Zio Santo

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i narratori ENZO CARBONE zio Santo

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La prima opera di Enzo Carbone.

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i narratori

... Zio Santo quando rincasava la sera portava sempre qualcosa dalla campagna: un po’ di ricotta che gli regalavano i pastori della “tempa”, una manciata di funghi, qualche minestra di fave...

ENZO CARBONE

zio Santo

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I PARTE

L’alba stava schiarendo e man mano la luce del giorno illuminava la collina, il panorama appariva pian piano, come quando si apre un si-pario.

La chiesa madre situata in cima al paese, le case l’una accanto al-l’altra, come un mucchio di funghi sopra un ceppo di pioppo, le strade strette e ciottolose. Le vecchie arcate annerite dal fumo e i fumaioli dei camini si innalzavano nel cielo ancora mattutino.

La gente ancora addormentata se ne andava frettolosa verso i cam-pi, avvolta da mantelli e vecchi pastrani militari, giubboni lunghi che scendevano fino al ginocchio. Con la cavezza degli animali tra le mani, li tiravano a capo chino, verso le diverse direzioni dei campi: gli anima-li andavano carichi di attrezzature contadine. Le campane della chie-sa madre suonavano da un pezzo, coi loro tocchi stonati: battevano al-l’udito la lenta amarezza che risveglia nell’animo umano il travaglio al pensiero di coloro che lasciano la vita per l’Eterno.

Zio Santo con l’asina storna e la piccola mandria dei maialetti se ne andava pian piano verso le immondizie del paese.

Faceva freddo, un venticello mattutino si faceva sentire fino nelle ossa e sulle guance carezzate dal suo mormorio di zanzara.

Si fece il segno della croce mormorando tra sé, come un lacriman-te: “Pace all’anima sua e beato sia nell’eterno riposo”. Lo ripeteva ogni qualvolta sentiva suonare le campane a quel modo.

Gli uccelli volavano da una siepe all’altra tra le foglie, spaventati dal grugnito dei maiali che affondavano il naso nelle immondizie, frugan-do ogni angolo, lesti sembravano birbanti affamati.

Zio Santo con una mano scuoteva la storna con la cavezza e con l’al-tra si stropicciava gli occhi ancora pieni di sonno. Sgridava la storna come una persona: “Dormi eh! Sempre dormi… guardi quant’erba?”.

La spingeva con la testa in giù forzandola a mangiare.

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Dalla curva della strada si sentiva la voce di Maddalena Lascala; parlava sola, credeva che le siepi l’ascoltassero come le teste dei conta-dini sulla piazza del Purgatorio.

Con le mani sui fianchi recitava una nenia come se fosse addolorata e pestata da una mandria di piedi sfrenati sul ventre. Chiedeva vendet-ta all’ignoto per le giovani creature e con lamenti pungenti allungava il passo come spaventata: “Poveri figli! Povere mamme! Cosa ci vuole per fare un figlio grande? Parte con la valigia e ritorna nella bara!”.

Con i capelli sudici che le coprivano gli occhi, spettinati e lunghi, tanto che a volte una ciocca si andava a ficcare fino in bocca, alcuni uo-mini le andavano dietro. Appena vide Zio Santo rannicchiato nel vec-chio pastrano militare e con quel cappellaccio da spaventapasseri in te-sta con tanti buchi gli chiese:

- Già qua sei , anche la notte porti a spasso queste bestiacce? Senti! Senti! Come suonano le campane della chiesa! Poveri figli. Partirono con la valigia e sono tornati nella bara! Bisogna stare sempre col cuore in mano coi figli lontani. Franco non vi scrive ancora? Giacomo si la-menta sempre nelle lettere, se sapessi, se sapessi cosa mi racconta.

Zio Santo con gli occhi lucenti, il sorriso amaro non disse una paro-la, si sfregò la barba bianca lunga, sembrava uno di quei monaci predi-catori, soltanto il fisico era diverso.

- Eh! Sembri muto, non bisogna pigliarsela tanto, basta che stan-no bene, il guaio è quando succedono disgrazie. Poveri figli! Li ricor-do come se li vedessi adesso! Ai soldi non penso Zio Santo, basta che sta bene.

Zio Santo muoveva soltanto il capo come la storna.- La povera Sandra, almeno della madre si poteva ricordare quel te-

stone.Maddalena Lascala andava alla fontana a prendere l’acqua, alla pe-

riferia del paese. - I soldi del viaggio, almeno quelli doveva mandare - rispose Zio

Santo.- Pazienza, pazienza Zio Santo, meglio così che vederseli come quei

poveri figli. Eh! Dio mio, vogliono andare a fare i bagni. Se non sanno nuotare!

- Il destino, il destino - ripetè Zio Santo.- Siamo noi che ci facciamo il destino molte volte - rispose Madda-

lena mentre si allontanava.

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Andrea Sputafuoco e Antonio il nano si fermarono vicino a Zio Santo.- Brutte notizie portano queste campane - disse Sputafuoco. - Li conoscevo per la miseria! Erano due fusti quei ragazzi! - aggiun-

se il nano.- Credono alla favola antica, quando tutti partivano per l’America -

rispose Sputafuoco. - Chi? - chiese Zio Santo, come se non avesse capito nulla di quel-

lo che aveva raccontato Maddalena Lascala e delle campane che suo-navano a morte.

- Giovanni, il figlio della vedova Maria la cicoriara. L’altro è il cugino Marco, il figlio del gobbo il calzolaio. Hanno la bottega nel piano delle fave, povera gente! - disse il nano.

- Quelli ormai… - rispose Sputafuoco mentre accendeva una cicca di sigaretta ed il nano si era messo per paravento.

- Ne capite qualcosa di questa vita, Zio Santo? Oggi si vive, domani si muore! Di sacrifici si può parlare - disse il nano.

- Dalla mattina alla sera nei campi. A fine anno si rimane più mor-ti di fame di prima.

- Certo! Certo, questo è vero - disse Zio Santo con quella voce scor-data come le corde di un organo antico.

- Voi avete vostro figlio che vi manda qualcosa, non avete tanto a la-mentarvi. Sapete com’è quando si è lontani, si pensa per la casa”disse Sputafuoco.

- Avesse mandato almeno i soldi del viaggio a don Salvatore l’usu-raio.

Il nano e Sputafuoco restarono stupiti. - E si, neanche una lettera finora.- Eppure sembrava calmo il vostro Franco. Non pensateci Zio San-

to, basta che sta bene: vedete quei poveri figlioli? Anche loro erano an-dati in Svizzera per guadagnar qualcosa, hanno rimesso la pelle.

Il nano lo diceva con la pelle d’oca.- Meglio non pensarci, guai e debiti tutti ne abbiamo - disse Sputa-

fuoco - pian piano dobbiamo tirare avanti alla meglio, sennò la mor-te chi la salva?

Quasi tutti i passanti si voltarono verso Zio Santo.- Povera gente! Erano andati per guadagnarsi il pane!La morsa alla gola era arrivata subito, come sempre quando si usci-

va parlava di suo figlio. A sua moglie non diceva nulla. Poveretta, ri-

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maneva tutto il santo giorno a letto e quegli altri due marmocchi di Carlo e Vittorio, ancora piccoli, avevano bisogno di essere guardati.

Assunta si era messa a servizio da don Nicola e tutti i giorni chiede-va se poteva andare a casa per un’ora per riscaldare un po’ di minestra alla mamma e ai fratellini, che l’aspettavano come un angelo.

Don Nicola si metteva ogni volta a brontolare: “Sangue di Giuda! Per le passeggiate alla grotta di Betlemme ti pago? La gioventù di oggi non domanda altro: feste e maltempo”.

- È per la mamma! Non si può muovere - rispondeva Assunta.- Bene, bene, ma corri eh! Come un lampo devi correre, alla svelta,

alla tua età bisogna volare come uccelli - le diceva tastandosi i baffi e facendo ballare il suo pancione ad ogni passo che dava.

- Tu moriresti, si moriresti, se non venissi io ogni giorno, cosa può fare Assunta in quel poco tempo che le danno come la grazia dal Para-diso. Quel pane perso di tuo marito.

- Zia, zia, il pane, vogliamo bere.- Un momento monellacci! Vi pare che sono venuta per cantar la

messa? Datemi tempo, non vedete vostra madre che non si può muo-vere. Lei viene prima di voi - gridava la Spirdata.

Assunta se li prese nelle braccia, li baciò molte volte sulle guance e poi andò vicino al letto della madre.

- Mamma, come ti senti? - le chiese.- Chi è morto? - le chiese sua madre, - è da stamattina che suona-

no le campane.- Non lo so - le rispose Assunta. Lo sapeva bene, tutti ne parlava-

no in paese, ma non voleva vederla piangere. Pensava tutti i giorni a Franco che non scriveva, e nessuno sapeva dove si trovava esattamen-te. Erano partiti assieme con il figlio di Maddalena Lascala. La Germa-nia era grande.

- Ti interessa? È dei morti che ti occupi? Pensa ai guai, viene qual-cuno a domandarti come stai?

- Se non venissi io! - La Spirdata girava per la casa da un angolo al-l’altro mettendo a posto ogni cosa, l’aveva sollevata sui cuscini e le ave-va rifatto il letto.

La gente del paese quando la vedeva passare, chiudeva porte e fine-stre, e si faceva il segno della croce.

Tutti la temevano, ed in qualsiasi orario della notte la si incontrava ora ad un punto ora all’altro del paese col barile di quaranta litri. Non

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temeva nulla, nessuno. Aveva chiesto del diavolo. Diceva alla gente che di lei non voleva saperne, aveva paura.

Neanche le malattie e la morte le giravano intorno, stanca non era mai, i mietitori avevano scommesso con lei. Erano scappati via di not-te, senza farsi più vedere da un padrone, nei giardini del Basento.

Rideva come una pazza, con la falce in mano stretta nel pugno sem-brava che tagliasse il grano coi denti.Per il lavoro la gente non se la la-sciava scappare, le davano quanto chiedeva, ne di più ne di meno.

Non cambiava idea neanche se scendeva Gesù Cristo a chiederglie-lo in ginocchio. La sua parola non si ripeteva, di cose dure ne aveva vis-sute, pelo e contropelo se li era fatti senza rasoio.

La sera rincasava con un fascio di legna sulla schiena sbuffando come una cavalla da corsa. In pochi minuti metteva a posto la nidiata che gli aveva lasciato suo marito, prima di morire con la polmonite che si era buscato nel Bradano mentre guardava le vacche del padrone An-tonio, il Santarmese.

In casa sua si trovava di tutto, dai campi portava ciò che trovava.Era orgogliosa di sua figlia che lavorava dalla sarta. Assunta, Zio

Santo, l’aveva messa a servizio da don Nicola. Quel pancione, ne na-scondeva di imbrogli.

- Quando ti comandano - diceva la Spirdata alla nipote - non la-sciarti asservire. La conosco quella gente!

Assunta la guardava con la coda dell’occhio, correndo di qua e di là per la casa. Carlo e Vittorio si appiccicavano al vestito, uno la tirava a destra e l’altro a sinistra.

- Debbo andare! Debbo andare! È tardi. Oh! Dio, zia pensateci voi ai bambini.

- Sì io, a tutto penso io, come se non avessi niente da fare a casa mia!” Non rimaneva con le mani in mano quando parlava, li acconten-tava subito con qualcosa che tirava fuori dalla tasca e se non si stavano zitti li ammutoliva con uno schiaffo.

- Lo dico sempre - diceva verso la cognata - il mondo gira al contra-rio.

- Avete visto? Li avete ricevuti? No! Eh! Mai scriverà. Quello è come suo padre: un pane perso, un cetriolo pieno d’acqua, una cocuzza mar-cia - si gonfiava facendosi rossa, sgridava la cognata come se fosse sta-ta sua figlia Teresa.

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- Devi mangiare, non devi trascurarti, startene impalata sul let-to come una mummia non serve a niente. Credi che verrà qualcuno a dire povera Sandra? Nessuno viene, oggi il mondo è guasto, se posso-no spingerti in un burrone lo fanno, ma aiutarti no.

Si avvicinò al letto, guardando se in giro tutto era in ordine,aveva appena finito di lavare il piatto.

- Come farete a dare i soldi a don Salvatore l’usuraio? Quello è senza cuore, non ha avuto nemmeno la compassione per i soldi del viaggio.

Sandra guardò la cognata con gli occhi scavati dalla malattia, e col respiro affannoso di chi sta arrampicandosi sopra una montagna di sa-pone.

- Chi ce li darà? Ho detto a Santo di chiedere a qualcuno fino a quan-do crescono i maiali, ora li vogliono senza soldi - si sforzava di parlare, animava tutte le sue energie per cacciare ogni parola fuori delle bocca.

- Chi t’aiuta?! Si vergogna dell’ombra sua. Mi dispiace, si, mi dispia-ce per questi innocenti! Qui verrà l’usciere! I bambini la ascoltavano con un tozzo di pane in mano, con occhi vivi come carboni accesi.

Sandra emise un gemito pauroso, l’alito del respiro le puzzava in-torno, e il sudore scendeva a gocce sulla fronte e sulla pelle pallida dal-le rughe profonde.

- L’usciere!Non abbiamo niente!- La storna e i maiali se li piglia senz’altro. Con la legge non si scher-

za, almeno quel bell’imbusto di don Salvatore si facesse scendere il cuore! A questo non credo, lo conosco bene!Per aver pietà di qualcu-no ce ne vuole...

- O Dio! O Dio!Aiutaci! Aprici una porta! Qualche buon cosciente può aiutarci - diceva Sandra alla cognata con le mani giunte in preghie-ra e lo sguardo verso il soffitto.

- Che gli caschi il cuore a don Salvatore! Questo è il suo mestiere: vive sul sangue degli altri stando al fresco tutto il giorno. Quando lo incontri ti fa la risatina con quella faccia da fannullone.

- Cosa possiamo fare? Così poveri come siamo, ah! Figlio mio non vuoi ricordarti neanche dei soldi del viaggio. Non sai quello che hai la-sciato in casa! - mormorava le parole verso il figlio, come se fosse stato lì davanti a lei, dai suoi occhi sgorgavano lacrime e piano piano scen-devano lungo le guance scarne.

- Piangendo non risolvi niente, io ho un rospo dentro il corpo, mi rosica piano piano come il verme nel formaggio. Se fosse stato qui gli

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canterei la messa a modo mio. Se continui di questo passo dove vai? A questi che lasci chi ci pensa? Lasci andare le cose come vanno, ti mortifichi dalla mattina alla sera inchiodata sul letto più ne vuoi? Non devi pensarci, anche se viene l’usciere. Ho fatto bene a dirlo così sof-fri meno!