William Hart LArte Di Vivere La Tecnica Di Meditazione Vipassana Insegnata Da S.N.goenka

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L’ARTE DI VIVERE di WILLIAM HART La tecnica di meditazione Vipassana come insegnata da S.N.Goenka traduzione di MARIA ANGELA FALA’ e PIERLUIGI CONFALONIERI

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meditazione vipassana

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L’ARTE DI VIVEREdi WILLIAM HART

La tecnica di meditazione Vipassanacome insegnata da S.N.Goenka

traduzione di

MARIA ANGELA FALA’ ePIERLUIGI CONFALONIERI

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Chapter Name 3

La saggezza è la cosa principale;perciò acquista saggezza:

e con tutta questa saggezzaacquista conoscenza

Proverbi, IV, 7

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SOMMARIO

Premessa Premessa all'edizione italianaPrefazione

Introduzione....................................................3 Nuotologia

CAPITOLO PRIMO..........................................22 La ricerca Percorrere il sentiero

CAPITOLO SECONDO.....................................35Il punto di partenza Il Buddha e lo Scienziato

CAPITOLO TERZO..........................................45La causa immediata

Il seme e il frutto

CAPITOLO QUARTO...........................................La radice del problema

I sassi e il ghee

CAPITOLO QUINTOLa pratica della condotta morale

La ricetta medica

CAPITOLO SESTO La pratica della concentrazione Un dolce di latte tutto curvo

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CAPITOLO SETTIMOLa pratica della saggezza

I due anelli

CAPITOLO OTTAVOConsapevolezza ed Equanimità

Nient’altro che vedere

CAPITOLO NONO La meta La bottiglia d'olio

CAPITOLO DECIMO L'arte di vivere I rintocchi dell’orologio

APPENDICE A L'importanza di Vedana nell'insegnamento del Buddha

APPENDICE B: Passi su Vedana tratti da vari Sutta

Glossario dei termini paliNoteCentri di meditazione Vipassana

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PREMESSA

Sarò sempre grato alla meditazione Vipassana per i cambiamenti che ha apportato nella mia vita. Prima di imparare questa tecnica, mi sembrava di vagare in un labirinto di vicoli ciechi mentre ora, finalmente, ho trovato la strada maestra. Sin da quando ho iniziato a seguire questa via, e con il trascorrere degli anni, a ogni passo la meta è divenuta più chiara: la liberazione da tutte le sofferenze, la piena illuminazione. Non posso dire di averla raggiunta, ma non ho alcun dubbio che la via conduca direttamente là.Sarò sempre debitore, per avermela mostrata, a Sayagyi U Ba Khin e alla catena di maestri che hanno mantenuto viva la tecnica attraverso i millenni che ci separano dal tempo del Buddha. A nome di costoro incoraggio altri a intraprendere questa strada, perché possano trovare la via per uscire dalla sofferenza.Anche se migliaia di uomini e donne occidentali l'hanno imparata, finora non era apparso alcun libro che descrivesse accuratamente e in modo completo questa forma di Vipassana e perciò sono lieto che, oggi, un serio meditatore si sia cimentato a riempire questo vuoto.Possa questo libro aiutare coloro che già praticano la meditazione Vipassana ad

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approfondirne la comprensione e a incoraggiare altri a provarla, così che anch'essi possano sperimentare la felicità della liberazione. Possa ogni lettore imparare l'arte di vivere, per trovare pace e armonia dentro di sé e generare pace e armonia per gli altri.

Che tutti siano felici!

SATYA NARAYAN GOENKA Bombay, aprile 1989

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PREMESSA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Pur essendo originaria dell’India e molto antica, per il suo carattere scientifico e pratico la tecnica di meditazione Vipassana è perfettamente adeguata al mondo moderno, sia orientale che occidentale. Molti di coloro che hanno già letto L'arte di vivere in inglese lo hanno trovato interessante e prezioso. Sono lieto che attraverso le traduzioni in altre lingue, tra cui l'italiano, sia stato reso più ampiamente disponibile.

Spero che i lettori italiani di questo libro possano trovarvi ispirazione per sperimentare di persona ciò che è Vipassana, e goderne così i benefici nella vita di ogni giorno.

Che tutti siano felici! SATYA NARAYAN GOENKA

agosto 1989

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PREFAZIONE

Fra i vari tipi di meditazione attualmente praticati, il metodo Vipassana insegnato da S.N. Goenka è unico. Questa tecnica é una via semplice e logica per conseguire un’effettiva pace mentale e condurre una vita felice e utile. Mantenuta invita per lungo tempo all'interno della comunità buddista della Birmania (oggi Myanmar), la meditazione Vipassana non contiene di per sé alcun elemento di natura settaria e può essere accettata e applicata da persone di qualsiasi origine. Satya Narayan Goenka, nato in una famiglia induista di stampo tradizionalista, è un ex industriale ed ex capo della comunità indiana in Birmania. Sofferente di dolorose emicranie fin dalla giovinezza, nel 1955 la ricerca di una cura lo portò in contatto con Sayagyi U Ba Khin, che al ruolo pubblico di alto funzionario statale univa il ruolo privato di insegnante di meditazione. Imparando Vipassana da U Ba Khin, Goenka scoprì una disciplina che non solo gli aveva alleviato i sintomi del malessere fisico, ma andava ben oltre, trascendendo ogni barriera culturale e religiosa. Durante gli anni che seguirono, impegnati nella pratica e nello studio sotto la guida del suo maestro, Vipassana gradualmente trasformò la sua vita.Nel 1969 S.N. Goenka ottenne da U Ba Khin il

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permesso di insegnare la meditazione Vipassana; quell'anno stesso andò in India e fu là che cominciò l’insegnamento, reintroducendo la tecnica Vipassana nella sua terra d’origine. In un paese ancora nettamente diviso in caste e religioni, i corsi di Goenka hanno attratto migliaia di persone di ogni ceto, nonché altrettanti occidentali, affascinati dalla natura pratica del metodo. Lo stesso Goenka è un esempio delle qualità della meditazione Vipassana. É una persona pragmatica, alle prese con le difficoltà della vita quotidiana e capace di affrontarle con incisività, mantenendo in ogni situazione una straordinaria calma mentale. Insieme con questa calma c'é una profonda compassione per gli altri, una grande capacità di entrare in effettivo contatto con qualsiasi essere umano. Inoltre non c'é nulla di solenne in lui: la sua ironia è coinvolgente, e la utilizza quando insegna. I partecipanti ai suoi corsi ricordano a lungo il suo sorriso, la sua risata e il motto che ripete spesso: "Siate felici!" Chiaramente Vipassana gli ha portato felicità, ed egli è desideroso di condividerla con gli altri, illustrando la tecnica che gli è stata così utile. Nonostante la sua presenza magnetica, Goenka non intende essere un guru che trasforma i suoi discepoli in automi. Al contrario, insegna l'autoresponsabilità. La prova concreta di Vipassana, egli dice, è la sua applicazione nella vita. Incoraggia chi medita a non sedersi ai suoi piedi, ma ad andarsene a vivere felicemente nel

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mondo; e mentre evita ogni espressione di devozione nei suoi confronti, spinge gli studenti a consacrarsi alla tecnica e alla verità che trovano dentro se stessi.In Birmania per tradizione, era prerogativa dei monaci buddisti insegnare la meditazione. Tuttavia, Goenka, come il suo maestro, é un laico a capo di una grande famiglia. Ciò nonostante, la chiarezza del suo insegnamento e l'efficacia della tecnica hanno ottenuto l'approvazione dei più autorevoli monaci in Birmania, India e Sri Lanka, alcuni dei quali hanno frequentato dei corsi sotto la sua guida.Per mantenere la sua purezza, ribadisce Goenka, la meditazione non deve diventare un affare. I corsi e i centri che operano sotto la sua direzione sono assolutamente senza fine di lucro. Lui stesso non riceve alcun compenso per il suo lavoro, diretto o indiretto che sia, e neppure gli assistenti che ha autorizzato a tenere corsi in sua vece. Offre la tecnica Vipassana semplicemente come un servizio all'umanità, per aiutare chi ne ha bisogno.S.N.Goenka è uno dei pochi maestri spirituali indiani che godono della massima stima sia in India che in Occidente: non ha mai cercato di farsi pubblicità ma si è unicamente affidato al messaggio verbale per diffondere l'interesse nei confronti di Vipassana e ha sempre posto l’accento sull'importanza di praticare concretamente la meditazione piuttosto che limitarsi a descriverla. Per tali ragioni è meno

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conosciuto di quanto non meriti. Questo libro è il primo studio completo sul suo insegnamento, redatto sotto la sua guida e con la sua approvazione.Le fonti principali di questo lavoro sono i discorsi tenuti da Goenka durante un corso di Vipassana di dieci giorni e, in misura minore, i suoi articoli in inglese. Ho utilizzato questi materiali liberamente, prendendo a prestito non solo gli schemi degli argomenti e la trattazione di punti specifici, ma anche gli esempi citati nei discorsi e, spesso, anche parole testuali e intere frasi. Coloro che hanno partecipato ai corsi di meditazione Vipassana troveranno certamente familiare buona parte di questo libro e saranno persino in grado di identificare quel particolare discorso o articolo che è stato utilizzato in un determinato punto del testo.Durante i corsi, le spiegazioni dell'insegnante sono accompagnate passo per passo dall'esperienza fatta dai partecipanti durante la meditazione. Qui invece il materiale è stato organizzato a favore di un diverso tipo di fruitore, per quelle persone che hanno semplicemente letto qualcosa sulla meditazione senza averla necessariamente praticata.

Per tali lettori si è tentato di presentare l'insegnamento come viene di fatto sperimentato: una progressione logica che fluisce ininterrottamente dal primo gradino fino alla meta finale. Questa organicità d’insieme è

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avvertibile più facilmente da parte di chi già si dedica alla meditazione, benché il presente lavoro cerchi di offrire a chi è alle prime armi un'idea dell'insegnamento quale appare a chi lo pratica.Alcune parti conservano deliberatamente un tono discorsivo per cercare di rendere con la maggiore vivacità possibile il modo di insegnare di Goenka. Si tratta dei racconti inseriti tra i vari capitoli e delle domande e risposte che concludono ciascun capitolo, ossia dei dialoghi tratti da discorsi con gli studenti realmente svoltisi durante i corsi o in colloqui privati. Alcuni racconti sono tratti dalla vita del Buddha, altri dalla ricca tradizione indiana di novelle popolari, altri ancora dall'esperienza personale di Goenka. Sono tutti narrati con le sue parole, non con l'intenzione di approfittare dell'originale ma, semplicemente, per presentarli in modo fresco, ponendo l’accento sulla loro importanza per la pratica meditativa. Questi brevi racconti alleggeriscono l’atmosfera molto intensa dei corsi di Vipassana e offrono motivo di ispirazione illustrando i punti centrali dell'insegnamento in una forma facile da ricordare. Delle molte storie raccontate in un corso di dieci giorni è stata riportata solo una piccola scelta. Sono state inoltre riprese citazioni dalle raccolte più antiche e ampiamente riconosciute delle parole del Buddha, i suoi Discorsi (SuttaPiµaka) così come sono stati conservati nell'antica lingua pali nei paesi di tradizione buddista

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Theravada.

Per dare uniformità al libro ho cercato di tradurre ex novo tutte le citazioni, attenendomi all’esempio dei maggiori traduttori moderni. Tuttavia, dal momento che non si tratta di un lavoro erudito, non mi sono sforzato di tradurre accuratamente parola per parola dal pali, ma ho cercato di rendere in termini semplici il senso di ogni passo come appare al meditatore di Vipassana alla luce della sua esperienza. Forse la traduzione di determinate parole o passaggi può sembrare poco ortodossa, ma, nella sostanza, spero di aver reso il significato più letterale dei testi originali. Per coerenza e precisione, i termini Buddisti usati nel testo sono stati citati nelle loro forme pali anche se, in alcuni casi, la forma sanscrita è più familiare ai lettori. Per esempio, il termine pali Dhamma è usato al posto del sanscrito dharma, kamma in luogo di karma, nibbana in luogo di nirvana, sankhara in luogo di samskara.In generale, per evitare inutili oscurità, si é contenuta al minimo l'utilizzazione di parole pali. Tuttavia, dato che spesso riassumono concisamente alcuni concetti non familiari al pensiero occidentale che sarebbe arduo esprimere con una sola parola, è sembrato talvolta preferibile utilizzare il pali piuttosto che un lungo giro di parole. Per i termini pali in

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corsivo nel testo si rinvia al glossario in fondo al volume.

La tecnica Vipassana offre uguali benefici a tutti coloro che la praticano, senza alcuna distinzione sulla base di razza, classe o sesso. Per rimanere fedele al suo approccio universale, ho cercato di evitare di usare un linguaggio sessualmente discriminato, anche se in genere mi sono servito del maschile per riferirmi a un meditatore di genere indeterminato: questo senza alcuna intenzione di escludere le donne o di dare una preminenza non dovuta agli uomini, dal momento che una tale parzialità sarebbe contraria all'insegnamento fondamentale e allo spirito di Vipassana.

Sono grato a tutti coloro che mi hanno aiutato a

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realizzare questo progetto. In particolare desidero esprimere la mia profonda gratitudine a S. N. Goenka, che ha sottratto tempo prezioso ai suoi impegnativi programmi per esaminare il lavoro durante la sua stesura e, in misura ancora maggiore, per avermi guidato nei primi passi sul sentiero qui descritto.Nel senso più profondo, il vero autore di questo lavoro è S. N. Goenka, poiché io mi sono unicamente proposto di presentare la sua trasmissione dell'insegnamento del Buddha. Il merito di questo lavoro appartiene a lui, mentre mi ritengo personalmente responsabile di qualsiasi eventuale mancanza.

W.H.

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INTRODUZIONE

Supponete di avere la possibilità di liberarvi da tutte le responsabilità sociali per dieci giorni e di poter vivere in un luogo tranquillo, appartato e protetto da ogni occasione di disturbo. In tale luogo si provvederà alle vostre esigenze fisiche fondamentali di vitto e alloggio, mentre alcuni volontari baderanno a che, nel limite del ragionevole, non vi manchi nulla. In cambio, ci si aspetterà da voi solo che evitiate i contatti con gli altri e, a parte le attività essenziali, trascorriate tutte le ore di veglia con gli occhi chiusi, mantenendo la mente focalizzata su un ben determinato oggetto di attenzione. Accettereste l'offerta?Supponete di aver semplicemente sentito che una tale possibilità esiste e che persone come voi non solo hanno la volontà ma anche il desiderio di trascorrere il proprio tempo libero in questo modo. Come definireste la loro attività? Fissarsi l’ombelico, potreste dire; o anche contemplazione, fuga o ritiro spirituale; autointossicazione o autoricerca; introversione o introspezione. Sia in senso negativo che positivo, l'impressione comune che si ha in merito alla meditazione è che essa sia un ritiro dal mondo. Anche se, ovviamente, esistono tecniche che hanno tale funzione, la meditazione non è necessariamente una fuga. Può anche essere un mezzo per incontrare il mondo al fine di comprenderlo e di

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comprendere se stessi.Ogni essere umano è condizionato a presumere che il mondo reale sia al di fuori, che per vivere si debba entrare in contatto con una realtà esterna, cercando input, sia fisici che mentali, dal di fuori. La maggior parte di noi non ha mai considerato la possibilità di recidere i contatti con l'esterno per vedere ciò che accade all’interno.L'idea di agire in tal modo ci sembrerebbe probabilmente come scegliere di trascorrere ore e ore a fissare le righe di uno schermo televisivo. Preferiremmo esplorare l'altra faccia della luna o il fondo dell'oceano piuttosto che le profondità nascoste dentro di noi. In realtà l'universo esiste per ognuno di noi solo quando lo sperimentiamo con il corpo e con la mente. Non è mai altrove, ma sempre qui-e-ora. Esplorando il qui-e-ora di noi stessi possiamo esplorare il mondo. Senza indagare il nostro mondo interiore, non potremo mai conoscere la realtà: conosceremo soltanto le nostre convinzioni o le nostre concezioni intellettuali su di essa. Osservandoci, invece, possiamo arrivare a conoscere la realtà direttamente e imparare a gestirla in modo positivo e creativo.Un metodo per esplorare il mondo interiore è la meditazione Vipassana insegnata da S. N. Goenka. É un modo pratico di esaminare la realtà del proprio corpo e della propria mente, di portare alla luce e di risolvere qualsiasi problema vi sia nascosto, di sviluppare nuovi potenziali incanalandoli verso il bene proprio e

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degli altri.Nell'antica lingua indiana pali Vipassana significa “introspezione, osservazione e comprensione profonda della realtà, così come essa è”. É l'essenza dell'insegnamento del Buddha, l'esperienza concreta delle verità da lui proclamate; egli stesso ha fatto quella esperienza attraverso la pratica della meditazione e quindi ha prima di tutto insegnato la meditazione. Le sue parole testimoniano la sua esperienza di meditazione, come pure le istruzioni particolareggiate su come procedere per fare diretta esperienza della verità.Tutto questo è ampiamente accettato, ma rimane il problema di come comprendere e seguire le istruzioni date dal Buddha. Infatti, mentre le sue parole sono state tramandate dai testi riconosciuti come autentici, al di fuori di un contesto di pratica viva l'interpretazione delle sue istruzioni su come meditare appare difficile. Ma se esiste una tecnica che si è mantenuta per innumerevoli generazioni e produce risultati identici a quelli descritti dal Buddha, e se essa si conforma in modo preciso alle sue istruzioni e ne chiarisce dei punti che a lungo sono sembrati oscuri, allora sicuramente merita di essere indagata. E questa tecnica è Vipassana: straordinaria per la sua semplicità, per l’ assenza di qualsiasi dogma e, soprattutto, per i risultati offerti.La meditazione Vipassana viene insegnata in corsi della durata di dieci giorni, aperti a

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chiunque sinceramente desideri imparare la tecnica e possieda le attitudini sia fisiche che mentali per farlo. Per tutti e dieci i giorni, i partecipanti non escono mai dal luogo in cui si tiene il corso e non alcun contatto con il mondo esterno. Si astengono dal leggere e dallo scrivere e sospendono ogni altra pratica, religiosa o no, attenendosi esattamente alle istruzioni ricevute. Per l'intero periodo del corso seguono un codice morale di base che comprende l’astensione da ogni attività sessuale e da ogni sostanza intossicante. Per i primi nove giorni del corso osservano il silenzio fra loro, mentre sono liberi di discutere i problemi inerenti la meditazione con il maestro e i problemi materiali con la direzione.Durante i primi tre giorni e mezzo i partecipanti praticano un esercizio di concentrazione mentale preparatorio alla tecnica di Vipassana vera e propria, che viene fatta conoscere il quarto giorno. Gli altri elementi vengono introdotti giorno per giorno, in modo che alla fine del corso la tecnica è stata presentata nel suo insieme secondo uno schema generale. Al decimo giorno il silenzio finisce e i meditatori fanno ritorno a un genere di vita più aperto ai contatti con gli altri. Il corso si conclude nella mattinata dell’undicesimo giorno.L'esperienza di questi dieci giorni riserva probabilmente numerose sorprese ai meditatori. La prima è che la meditazione è un lavoro duro! Si sperimenta subito che essa non ha niente a che vedere con il luogo comune che la

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rappresenta come una sorta di inattività o di rilassamento. É infatti necessaria un’applicazione continua per guidare consciamente i processi mentali in un determinato modo. Si viene esortati a mettercela tutta, seppure senza tensione, ma finché non si impara come fare, l'esercizio può essere frustrante o persino estenuante. Un'altra sorpresa è che, tanto per cominciare, le conoscenze profonde ottenute con l'auto-osservazione non sono probabilmente tutte piacevoli e beatificanti. Di norma siamo molto selettivi nelle opinioni su noi stessi. Quando ci guardiamo allo specchio, badiamo di assumere la posa più lusinghiera, l'espressione più gradevole. Allo stesso modo ognuno di noi ha un'immagine mentale di sé che, mentre enfatizza le sue qualità migliori, minimizza i difetti e omette del tutto alcuni lati del nostro carattere. Vediamo l'immagine che desideriamo vedere, non la realtà. La meditazione Vipassana, però, è una tecnica per osservare la realtà da ogni angolazione. Invece che con un'immagine di sé attentamente costruita, il meditatore si confronta con una verità completa, non censurata. E certi aspetti di essa saranno difficili da accettare.Talvolta può sembrare che, attraverso la meditazione, invece di trovare la pace interiore non si trovi altro che turbamento. Tutto, nel corso, può apparire insostenibile, inaccettabile: l'orario pesante, la sistemazione, la disciplina, le istruzioni e i consigli del maestro, la tecnica

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stessa. Un'altra sorpresa, tuttavia, è che le difficoltà a un certo momento scompaiono. Gradualmente i meditatori imparano a fare sforzi senza sforzo, a mantenere un'attenzione rilassata, un coinvolgimento distaccato. Invece di combattere, vengono assorbiti completamente dalla pratica. A quel punto la scomodità della sistemazione non sembra più importante, la disciplina diventa un utile supporto, le ore passano rapidamente, inosservate. La mente diviene calma come un lago di montagna all'alba, che rispecchia perfettamente i dintorni e nello stesso tempo rivela le sue profondità a quelli che lo guardano più da vicino. Quando si fa strada questa chiarezza, ogni momento é pieno di conferme, di bellezza, di pace.Così il meditatore scopre che la tecnica funziona realmente. Ogni passo può sembrare a volte un salto enorme, ma ci si accorge che è possibile compierlo. Alla fine dei dieci giorni si nota chiaramente quale lungo viaggio si è compiuto dall'inizio del corso. Il meditatore si è sottoposto a un processo analogo a un'operazione chirurgica per incidere col bisturi una ferita purulenta. Mettere a nudo la lesione e premere per rimuovere il pus è doloroso, ma senza di questo la ferita non può guarire. Una volta che il pus é stato rimosso, ci si è liberati sia di esso che del dolore e si avvia verso la guarigione. Allo stesso modo, passando attraverso i dieci giorni di corso, il meditatore libera la mente da alcune delle sue tensioni e acquista una salute

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mentale migliore. Il metodo Vipassana ha lavorato in profondità producendo cambiamenti interni che persistono dopo la fine del corso. Il meditatore verifica che tutta l'energia mentale acquisita durante il corso, tutto ciò che ha imparato, può essere applicato nella vita quotidiana a proprio vantaggio e per il bene degli altri. La vita diviene più armoniosa, fruttuosa e felice. La tecnica Vipassana insegnata da S. N. Goenka è quella che egli ha imparato dal suo maestro birmano, ora defunto, Sayagyi U Ba Khin, al quale era stata insegnata da Saya U Thet, un maestro di meditazione assai conosciuto in Birmania nella prima metà del novecento. A sua volta Saya U Thet era stato allievo di Ledi Sayadaw, un famoso monaco birmano vissuto tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900. Risalendo più indietro nel tempo, non si ricordano altri nomi di insegnanti di questa tecnica, ma coloro che la praticano ritengono che Ledi Sayadaw abbia appreso la meditazione Vipassana da maestri tradizionali, che l'avevano mantenuta in vita per intere generazioni, fin dall’antichità, allorquando l'insegnamento del Buddha era stato per la prima volta introdotto in Birmania.Non c’è dubbio che la tecnica concordi con le istruzioni del Buddha sulla meditazione, con il significato più semplice e più letterale delle sue parole. E, cosa più importante, produce dei buoni risultati, personali, tangibili e immediati.Questo libro non è un manuale di fai-da-te per praticare la meditazione Vipassana, e chiunque

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lo usi in tal modo lo fa a proprio rischio e pericolo. La tecnica deve essere appresa esclusivamente attraverso un corso, dove c'é l’ambiente adatto ad aiutare il meditatore e una guida adeguatamente istruita. La meditazione è una cosa seria, e specialmente la tecnica Vipassana, che affronta gli stati mentali profondi. Non ci si dovrebbe mai avvicinare ad essa con leggerezza o per caso. Se la lettura di questo libro vi ispira a provare Vipassana, potrete rivolgervi a uno degli indirizzi che troverete in fondo al volume per sapere cercare dove e quando si svolgono i corsi.Il nostro proposito è solo quello di offrire una visione generale del metodo Vipassana così come insegnato da S. N. Goenka, nella speranza che questo aiuti ad ampliare la comprensione degli insegnamenti del Buddha e della tecnica di meditazione che ne costituisce l’essenza.

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Nuotologia

Una volta un giovane professore stava compiendo un viaggio per mare. Era un uomo assai colto, pieno di titoli, ma aveva poca esperienza della vita. Tra l’equipaggio della nave su cui stava viaggiando c'era un vecchio marinaio analfabeta. Ogni sera il marinaio faceva visita al professore nella sua cabina per ascoltarlo dissertare su diversi argomenti. Era molto impressionato dalle conoscenze del giovane.Una sera, mentre il marinaio stava lasciando la cabina dopo alcune ore di conversazione, il professore gli chiese: "Dimmi, hai mai studiato la geologia?""Che cos'è?”"La scienza della terra.""No, non sono mai stato a scuola. “"Allora hai proprio sprecato un quarto della tua vita."Il vecchio marinaio se ne andò rattristato. "Se una persona così istruita dice questo, certamente deve essere vero." pensava. "Ho sprecato un quarto della mia vita!"La sera seguente, mentre il marinaio stava per lasciare la cabina, il professore gli chiese: "Dimmi hai mai studiato l'oceanografia?""Che cos'é?"

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"La scienza del mare.""No, non ho mai studiato niente."" Allora hai sprecato metà della tua vita."Il vecchio se ne andò, ancora più triste: "Ho sprecato metà della mia vita, così dice quest’uomo tanto istruito."

La sera seguente, ancora una volta il professore chiese al marinaio: "Dimmi, hai mai studiato la meteorologia?" Che cos'é? Non ne ho mai sentito parlare ""Ma come! É la scienza del vento, della pioggia, del tempo." "No. Non sono mai stato a scuola. Non ho mai studiato."" Non hai mai studiato la scienza della terra in cui vivi, non hai mai studiato la scienza del mare su cui ti guadagni da vivere, non hai mai studiato la scienza del tempo che incontri ogni giorno? Vecchio, hai sprecato tre quarti della tua vita." Il marinaio era molto infelice: "Quest'uomo istruito dice che ho sprecato tre quarti della mia vita! Dev’essere senz’altro vero.”Il giorno seguente, fu il turno del vecchio marinaio. Corse alla cabina del giovane e urlò: "Professore, avete studiato nuotologia?". " Nuotologia? Che vuoi dire?""Sapete nuotare, professore?""No, non so nuotare."" Professore, avete sprecato tutta la vostra vita! La nave ha urtato contro una roccia e sta

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affondando. Quelli che sanno nuotare possono raggiungere la spiaggia vicina, ma quelli che non sanno nuotare annegheranno. Mi dispiace, professore, ma avete sicuramente perso tutta la vostra vita."Potete studiare tutte le "ologie" del mondo, ma se non imparate la nuotologia, tutti i vostri studi sono inutili. Potete leggere e scrivere libri sul nuoto, potete dibattere sui suoi sottili aspetti teorici, ma come vi può aiutare tutto questo se vi rifiutate di entrare in acqua di persona? Dovete imparare a nuotare.

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CAPITOLO PRIMO

LA RICERCA

Ognuno di noi cerca la pace e l’armonia, perché è ciò che manca alla nostra vita. Tutti vogliamo essere felici; lo consideriamo un nostro diritto. La felicità é la meta a cui tendiamo, anche se spesso è difficile da ottenere. Tutti noi di quando in quando sperimentiamo l’insoddisfazione: turbamenti, irritazione, disarmonia, sofferenza. Anche se in questo momento siamo liberi da tali negatività, tutti possiamo ricordare un periodo in cui ci hanno tormentato e anche prevedere quando torneranno. In ogni caso, tutti noi dobbiamo affrontare la sofferenza della morte.La nostra insoddisfazione personale, inoltre, non resta limitata a noi stessi: al contrario, tendiamo a farne partecipi gli altri. L'atmosfera attorno a una persona infelice si carica di inquietudine, cosicché chiunque entri in contatto con lei finisce col sentirsi agitato e infelice. In tal modo le tensioni individuali, combinandosi fra loro, creano tensioni sociali.E’ questo il problema fondamentale della vita: la sua natura insoddisfacente. Avvengono cose che non vogliamo, e le cose che vogliamo non avvengono. E ignoriamo come e perché tale processo si realizzi, proprio come ignoriamo quale sia il nostro inizio e quale la nostra fine.

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Venticinque secoli fa, nell’India settentrionale, un uomo decise di indagare questo problema: il problema della sofferenza umana. Dopo anni di ricerca e di tentativi condotti con vari metodi, scoprì una via per ottenere una comprensione profonda della realtà della propria natura e sperimentare la vera libertà dalla sofferenza. Avendo raggiunto la meta più alta, ossia la liberazione dall'infelicità e dai conflitti, dedicò quel che gli restava della vita ad aiutare gli altri a fare ciò che lui stesso aveva fatto, mostrando loro la via per liberarsi.Questa persona - Siddhatta Gotama, noto come il Buddha, "l'Illuminato" - ha sempre dichiarato di non essere altro che un uomo. Come accade a tutti i grandi maestri, su di lui sono fiorite numerose leggende, ma nonostante le storie meravigliose che si raccontano sulle sue passate esistenze e sui suoi poteri magici, tutti i racconti concordano sul fatto che non si è mai dichiarato di origine divina o ispirato da un dio. Quali che fossero le sue particolari doti, erano doti eminentemente umane, che umane, che egli aveva portato alla perfezione. Di conseguenza, tutto ciò che egli ha realizzato è nelle possibilità di qualsiasi essere umano che agisca come lui.Il Buddha non ha insegnato né una religione né una filosofia né un sistema di credenze. Chiamò il suo insegnamento Dhamma, ovvero "legge", la legge della natura. Non aveva alcun interesse nei dogmi o nelle speculazioni oziose. Al contrario, offriva una soluzione pratica e

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universale per un problema universale. "Ora come sempre",egli diceva;" parlo della sofferenza e di come eliminarla." (1) Rifiutò persino di discutere su tutto ciò che non avesse a che fare con l'eliminazione delle miserie umane. Tale insegnamento, insisteva, non era qualche cosa che aveva inventato o che gli era stato rivelato da una divinità. Era semplicemente la verità, la realtà, che attraverso i suoi sforzi era riuscito a scoprire, così come tanti avevano fatto prima di lui e come tanti avrebbero fatto dopo di lui. Affermava di non avere il monopolio della verità e non rivendicava un’autorità particolare come maestro, né perché la gente aveva fede in lui né per la natura evidentemente logica di ciò che insegnava. Al contrario, egli affermava che è giusto dubitare e provare tutto ciò che va oltre la propria esperienza:

“ Non credete a tutto ciò che vi si dice o a tutto ciò che è stato tramandato dalle generazioni passate, e neppure a ciò che é opinione corrente o che dicono i testi sacri. Non accettate qualcosa come vera semplicemente basandovi su una deduzione o su una illusione, sull’apparenza esteriore o sulla parzialità di una certa prospettiva o in base alla sua plausibilità o perché il vostro maestro vi dice che è così. Ma quando voi, da soli, direttamente riconoscete: "Questi principi non sono benefici, sono biasimevoli, condannati dai saggi, se adottati e

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messi in pratica producono danno e sofferenza", allora li dovete abbandonare. E quando da soli, direttamente, riconoscete: "Questi principi sono benefici, non biasimevoli, lodati dai saggi, se adottati e messi in pratica conducono al benessere e alla felicità.” Allora li dovete accettare e mettere in pratica." (2)

L'autorità più alta è la propria esperienza della verità. Nulla deve essere accettato solo in base alla fede. Dobbiamo esaminare ogni cosa per vedere se è logica, pratica, benefica. Neanche l'aver esaminato un insegnamento utilizzando la ragione é sufficiente per accettarlo intellettualmente come vero. Se vogliamo trarre beneficio dalla verità, dobbiamo sperimentarla direttamente. Solo allora potremo sapere che è realmente vera. Il Buddha, come lui stesso ha sempre sottolineato, insegnava solo ciò che aveva sperimentato direttamente e incoraggiava gli altri a sviluppare da soli tale conoscenza e quindi divenire essi stessi l'autorità a cui riferirsi: " Ognuno di voi sia un'isola per se stesso; sia un rifugio per se stesso; non c'é altro rifugio. Sia la verità la vostra isola, sia la verità il vostro rifugio; non c'é altro rifugio". (3)L’unico vero rifugio nella vita, l’unico terreno solido su cui posare, la sola autorità che può dare una guida e una protezione sicura è la verità, il Dhamma, la legge della natura, sperimentata e verificata di persona. Quindi, nel suo insegnamento il Buddha ha sempre dato la

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più grande importanza all'esperienza diretta della verità.Spiegava nel modo più chiaro possibile quello che aveva sperimentato, così da fornire agli altri delle linee di condotta da elaborare per giungere alla personale realizzazione della verità. Egli ha detto: "L'insegnamento che ho presentato non ha due versioni separate, una esteriore e una segreta. Nulla è stato tenuto nascosto nel pugno chiuso del maestro". (4) La sua non era una dottrina esoterica per pochi eletti: al contrario, egli desiderava far conoscere la legge della natura in modo chiaro ed esauriente, cosicché ne potesse beneficiare il maggior numero di persone possibile.Non era nemmeno interessato a fondare una setta o un culto incentrato sulla sua persona. La personalità di colui che insegna, egli affermava, è di minor importanza rispetto all'insegnamento. Il suo proposito era di mostrare agli altri come liberarsi, non di farli diventare ciecamente devoti. A un seguace che gli mostrava eccessiva venerazione, disse: "Che cosa ottieni a vedere questo corpo, che è soggetto al disfacimento? Chi vede il Dhamma, vede me, chi vede me, vede il Dhamma." (5)La devozione nei confronti di un'altra persona, per quanto santa essa sia, non è sufficiente a liberare qualcuno; non ci può essere liberazione o salvezza senza l'esperienza diretta della realtà. Pertanto la supremazia è della verità e non di chi ne parla. Si deve rispettare chiunque insegni la verità, ma la via migliore per

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mostrare tale rispetto è lavorare per realizzare la verità.Quando verso la fine della vita gli furono tributati onori eccessivi, il Buddha commentò: "Non è così che si onora un Illuminato, non è così che gli si mostra rispetto, non è così che deve essere stimato, o riverito o venerato. Piuttosto sono il monaco o la monaca, il seguace e la seguace laici che procedono con costanza lungo il sentiero di Dhamma, dal primo passo fino alla meta ultima, è chi pratica il Dhamma operando nel giusto modo, che onorano, stimano, rispettano, riveriscono e venerano al massimo grado l'Illuminato.". (6)Ciò che il Buddha ha insegnato era una via che ogni essere umano può seguire. Chiamò questa via il Nobile Ottuplice Sentiero, ossia una pratica divisa in otto parti fra loro collegate. É nobile nel senso che chi segue il sentiero è destinato a diventare un uomo dal cuore nobile, una persona santa, liberata dalle sofferenze.É un sentiero che porta a una comprensione profonda della natura, della realtà, un sentiero di realizzazione della verità. Per risolvere i nostri problemi, dobbiamo vedere come è realmente la nostra situazione. Dobbiamo imparare a riconoscere la realtà apparente, superficiale e anche a penetrare al di là delle apparenze per percepire le verità più sottili sino alla verità ultima, e quindi sperimentare la libertà dalla sofferenza. Qualsiasi nome scegliamo di dare a questa verità di liberazione, sia esso, nibbana, "paradiso", o qualsiasi altro, non ha importanza.

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La cosa importante è farne esperienza.Il solo modo per sperimentare direttamente la verità è di guardare dentro noi stessi, di osservarci. Per tutta la vita siamo abituati a guardare fuori. Siamo sempre interessati a ciò che accade fuori, a ciò che fanno gli altri.Raramente, se non mai, abbiamo cercato di esaminare noi stessi, la nostra struttura mentale e fisica, le nostre azioni, la nostra realtà. Perciò siamo degli sconosciuti ai nostri stessi occhi. Non comprendiamo quanto sia dannosa questa ignoranza, quanto rimaniamo schiavi delle nostre forze interiori di cui non siamo consapevoli.Questa oscurità interiore deve essere scacciata dalla conoscenza della verità. Dobbiamo conseguire la comprensione profonda della nostra stessa natura per comprendere la natura dell'esistenza. Pertanto, il sentiero che il Buddha ha mostrato, è il sentiero dell'introspezione, dell'auto-osservazione. Egli ha detto: "Proprio all’interno di questo corpo, che contiene la mente con le sue percezioni, ho potuto conoscere l'universo, la sua origine, la sua cessazione e la via che conduce alla sua cessazione." (7) L'intero universo e le leggi della natura per mezzo delle quali esso opera devono essere sperimentati all'interno di noi stessi. Possono essere sperimentati solo all'interno di noi stessi.Il sentiero è anche un sentiero di purificazione. Ricerchiamo la verità su noi stessi non per un'oziosa curiosità intellettuale quanto piuttosto

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con uno scopo ben preciso. Osservandoci, diventiamo consapevoli per la prima volta delle nostre reazioni condizionate, dei pregiudizi che oscurano la nostra visione mentale, che ci nascondono la realtà e producono sofferenza. Identifichiamo le tensioni accumulate interiormente che ci turbano e ci rendono infelici e comprendiamo che possono essere rimosse.Impariamo gradualmente come permettere loro di dissolversi; e le nostre menti diventano pure, calme e felici.Il sentiero è un processo che richiede un'applicazione continua. Possono sopraggiungere improvvise intuizioni, ma sono il risultato di uno sforzo continuo. É necessario lavorare passo per passo; del resto, ad ogni passo i benefici sono immediati. Non seguiamo il sentiero nella speranza di accumulare benefici da godere solo nel futuro, o di ottenere, dopo la morte, un paradiso che ora possiamo solo immaginare. I benefici devono essere concreti, vividi, personali, sperimentati qui-e-ora.E, soprattutto, è un insegnamento da praticare. Avere semplicemente fede nel Buddha o nel suo insegnamento non ci aiuterà a liberarci dalla sofferenza; né lo farà una comprensione meramente intellettuale del sentiero. Questo ha valore solo se ci ispira a mettere in pratica l'insegnamento. Solo la pratica concreta di ciò che il Buddha ha insegnato darà risultati concreti e cambierà in meglio la nostra vita. Il Buddha ha detto:

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Una persona può recitare alla perfezione molti testi, ma se non li mette in pratica è sventata come il bovaro che conta solo le mucche degli altri: non gode delle ricompense proprie della vita di un ricercatore di verità.Un’altra persona può essere capace di recitare solo poche parole dei testi, ma se conduce una vita di Dhamma, procedendo passo dopo passo verso la meta finale, allora può godere delle ricompense della vita di un ricercatore di verità. (8)Il sentiero deve essere seguito, l'insegnamento deve essere messo in pratica, altrimenti l’esercizio è privo di senso.Non è necessario definirsi un buddista per praticare questo insegnamento. Le etichette sono irrilevanti. La sofferenza non fa distinzioni, ma è comune a tutti: quindi il rimedio, per essere utile, deve essere ugualmente applicabile a tutti. Né la pratica é riservata agli eremiti che si sono allontanati dalla vita ordinaria. Sebbene sia necessario dedicare un determinato periodo all’apprendimento, una volta che questo sia concluso, si deve applicare l'insegnamento alla vita quotidiana. Chi lascia la propria casa e le responsabilità del mondo per seguire il sentiero ha la possibilità di lavorare più intensamente, di assimilare l'insegnamento più profondamente e quindi di progredire più rapidamente. D'altra parte, chi è coinvolto nella vita mondana, impegnato a far fronte a molte e diverse responsabilità, può dedicare solo un

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tempo limitato alla pratica. Ma Dhamma deve essere applicato sia da coloro che hanno lasciato la casa, sia dai capifamiglia. Solo se viene applicato, Dhamma dà dei risultati. Se questa è veramente la via che conduce dalla sofferenza alla pace, allora, man mano che progrediamo nella pratica la nostra vita quotidiana deve diventare più felice, più armoniosa, apportatrice di pace interiore. Nello stesso tempo i nostri rapporti con gli altri devono diventare più pacifici e armoniosi. Invece di aumentare le tensioni della società, dobbiamo essere capaci di fornire un contributo positivo che accrescerà la felicità e il benessere di tutti. Per seguire il sentiero dobbiamo vivere la vita di Dhamma, della verità, della purezza. Questo è il giusto modo di seguire l'insegnamento. Dhamma, correttamente praticato, è l'arte di vivere.

Domande e risposte

DOMANDA: Voi fate riferimento al Buddha. Insegnate quindi il buddismo?

SATYA NARAYAN GOENKA: Non mi occupo di "ismi". Insegno Dhamma, e cioè quello che ha insegnato il Buddha. Egli non ha mai insegnato un "ismo"o una dottrina settaria. Ha insegnato qualcosa da cui chiunque, quale che sia la sua provenienza, può trarre beneficio: un'arte di vivere.

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Rimanere nell'ignoranza è dannoso per tutti: sviluppare la saggezza è un bene per tutti. Così, chiunque può praticare questa tecnica e trarne beneficio. Un cristiano diventerà un buon cristiano, un ebreo diventerà un buon ebreo, un musulmano un buon musulmano, un indù un buon indù, un buddista un buon buddista. Ognuno deve diventare un buon essere umano, altrimenti non potrà mai essere un buon cristiano, un buon ebreo, un buon musulmano, un buon indù, un buon buddista. Come diventare buoni essere umani: è questa la cosa più importante.

Voi parlate del condizionamento. Questo tipo di esercizio non è anch'esso una forma di condizionamento della mente, anche se positivo ?

Al contrario, è un processo di decondizionamento. Invece di imporre qualcosa alla mente, automaticamente rimuove le qualità non benefiche, cosicché rimangono solo quelle positive e benefiche. Eliminando la negatività, esso scopre la positività, che è la natura fondamentale di una mente pura.

Ma il fatto che per un determinato periodo di tempo si debba sedere in una certa posizione e dirigere l'attenzione in un certo modo, non è una forma di condizionamento.

Se fate questo come un gioco o come un rito

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meccanico, allora indubbiamente condizionate la mente. Ma sarebbe un uso sbagliato di Vipassana, mentre quando la tecnica viene praticata in modo corretto vi rende capaci di sperimentare direttamente la verità, da soli. E da questa esperienza si sviluppa naturalmente la comprensione, che distrugge tutti i condizionamenti precedenti.

Non è egoistico dimenticare il mondo e limitarsi a starsene seduti a meditare tutto il giorno?

Lo sarebbe se fosse fine a stesso, ma è un mezzo per raggiungere che non è affatto egoistico: una mente sana. Quando il vostro corpo é malato, andate in ospedale per recuperare la salute. Non rimanete là per tutta la vita, ma semplicemente per recuperare la salute, di cui poi farete uso nella vita ordinaria. Allo stesso tempo, frequentate un corso di meditazione per ottenere la salute mentale che utilizzerete nella vita di tutti i giorni per il bene vostro e degli altri.

Rimanere felici ed in pace anche quando ci si confronta con la sofferenza altrui non è forse pura insensibilità ?

Essere sensibili alle sofferenze degli altri non significa che si debba diventare tristi. Al contrario, dovete rimanere calmi ed equilibrati così da poter alleviare le sofferenze altrui. Se anche voi diventate tristi, accrescete l'infelicità

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attorno a voi; non aiutate gli altri e non aiutate voi stessi.

Perché non viviamo in pace ?

Perché ci manca la saggezza. Una vita senza saggezza è una vita di illusioni, uno stato di agitazione e di sofferenze. La nostra prima responsabilità è di vivere una vita sana, armoniosa, buona per noi e per tutti gli altri. Per fare ciò dobbiamo imparare ad usare le nostre facoltà di auto-osservazione, di osservazione della verità.

Perché è necessario un corso di dieci giorni per apprendere questa tecnica ?

E’ certo che se poteste fermarvi per un periodo più lungo sarebbe ancor meglio! Ma dieci giorni sono il tempo minimo che consente di comprendere lo schema della tecnica.

Perché dobbiamo rimanere per dieci giorni nel luogo in cui si tiene il corso?

Perché siete qui per compiere un'operazione alla mente.Così come le operazioni chirurgiche devono essere fatte in ospedale, in sale operatorie protette da fonti di infezioni, così qui, dentro i confini del luogo dove si tiene il corso, l’operazione sulla vostra mente può essere compiuta senza essere disturbati da influenze

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esterne. Quando il corso finisce, l'operazione è finita e voi siete pronti a rientrare in contatto con il mondo.

Questa tecnica guarisce malattie fisiche?

Si, come risultato secondario. Molti disturbi psicosomatici spariscono spontaneamente allorché le tensioni mentali si dissolvono. Se la mente è turbata, le malattie sono portate a svilupparsi. Quando la mente diviene calma e pura, scompaiono automaticamente. Ma se vi prefiggete come scopo la cura di un malessere fisico invece della purificazione della mente, non raggiungerete né l'uno né l'altro risultato. Ho verificato che chi segue il corso con lo scopo di curare una malattia fissa l'attenzione solo su questo per tutto il periodo del corso: "Oggi va meglio? No, non va meglio.... Oggi sto migliorando? No, nessun miglioramento!" E tutti i dieci giorni se ne vanno in questo modo. Ma se l'intenzione é semplicemente quella di purificare la mente, allora molti malanni scompariranno automaticamente, come risultato della meditazione.

Qual è secondo voi lo scopo della vita?

Uscire dall'infelicità. Gli esseri umani hanno la meravigliosa capacità di scavare a fondo dentro di sé, di osservare la realtà e uscire dalla sofferenza. Non usare questa capacità significa é sprecare la propria vita. Utilizzatela per vivere

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una vita sana e felice.

Voi parlate di "essere sopraffatti" dalla negatività. Cosa pensate del caso contrario, cioè di "essere sopraffatti" dalla positività, per esempio dall'amore?

Quello che voi definite "positività" è la natura reale della mente. Quando la mente è libera dal condizionamento, è sempre piena d'amore –amore puro-– e ci si sente in pace e felici. Se si rimuove la negatività, allora rimane la positività, rimane la purezza. Che tutto il mondo possa essere sommerso da questa positività!Percorrere il sentiero

Nella città di Savatthi, nel nord dell'India, il Buddha aveva un grande centro dove la gente poteva recarsi per meditare e ascoltare i suoi insegnamenti sul Dhamma. Un giovane era solito andare ogni sera ad ascoltare i suoi discorsi. Per anni andò ad ascoltare il Buddha, ma non mise mai niente in pratica.Dopo alcuni anni, una sera quest'uomo arrivò in anticipo e trovò il Buddha da solo. Gli si avvicinò e gli disse: "Signore, c'è una domanda che continua a sorgere nella mia mente e che mi provoca dei dubbi"."Davvero? Non ci dovrebbero essere dubbi sul sentiero del Dhamma; bisogna chiarirli. Qual è il

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problema?""Signore, sono molti anni che vengo al vostro centro di meditazione e ho notato che ci sono molti eremiti intorno a voi, monaci e monache, e alcuni di loro vi sono compagni da anni. Alcuni, come posso vedere, hanno certamente raggiunto lo stadio finale e di conseguenza sono pienamente liberati. Vedo anche altri che hanno sperimentato dei cambiamenti nella loro vita e sono migliori di prima, sebbene non possa dire che siano pienamente liberati. Ma ho altresì osservato che un gran numero di persone, compreso me stesso, sono rimaste quali erano, o, talvolta, sono persino peggiorati. Non sono affatto cambiate o non sono cambiate in meglio.Perché succede questo? La gente viene da voi, che siete un grande uomo, pienamente illuminato, una persona tanto compassionevole e potente. Perché non usate il vostro potere e la vostra compassione per liberarli tutti?"Il Buddha sorrise e disse: "Giovane, dove abitate? E qual è il vostro luogo di nascita?""Vivo qui a Savatthi, la capitale dello stato di Kosala". "Sì, ma i tratti del vostro viso mostrano che non siete di queste parti del paese. Di dove siete originario?""Sono della città di Rajagaha, la capitale del Magadha. Sono giunto qui e mi sono stabilito a Savatthi alcuni anni fa.""Avete forse cessato tutte le relazioni con Rajagaha?"

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"No, ho ancora dei parenti là. Ho degli amici, ho degli affari.""Allora certamente dovrete recarvi da Savatthi a Rajagaha abbastanza spesso?""Sì, molte volte all’anno visito Rajagaha e ritorno a Savatthi.""Avendo percorso molte volte la via che va da qui a Rajagaha, certamente dovete conoscerla bene""Sì, la conosco perfettamente. Potrei quasi dire che, persino se fossi cieco, potrei trovare la strada per Rajagaha, tante volte l' ho percorsa.""E i vostri amici, quelli che vi conoscono bene, certamente sapranno che siete originario di Rajagaha e che vi siete stabilito qui. Certamente sapranno che andate spesso a visitare Rajagaha e quindi ritornate, e che perciò conoscete perfettamente la strada da qui a Raagaha?"" Sì. Tutti quelli che mi sono vicino, sanno che vado spesso a Rajagaha e che conosco perfettamente la strada.""Allora può accadere che qualcuno di loro venga da voi e vi chieda di spiegargli la strada da qui a Rajagaha. Gli nascondete qualcosa o gli spiegate la strada in modo chiaro?""Che cosa c'é da nascondere? Gliela spiego nel modo più chiaro che posso: inizia a camminare verso est e poi diritto fino a Benares e continua fino a raggiungere Gaya e poi Rajagaha. Lo spiego con molta chiarezza, signore."

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"E queste persone a cui date tali spiegazioni, raggiungono tutti Rajagaha?""Come può essere, signore? Solo quelli che percorrono interamente il percorso, fino alla fine, solo essi raggiungeranno Rajagaha.""E’ proprio questo che voglio spiegarvi, giovane. La gente viene da me sapendo che sono qualcuno che ha percorso il sentiero da qui al nibbana, e lo conosce perfettamente. Vengono da me a domandarmi: “Qual è il sentiero per il nibbana, per la liberazione?” E cosa c'é da nascondere? Glielo spiego in modo chiaro: “Questo è il sentiero.” Se qualcuno si limita ad annuire e dice: “Ben detto, ben detto, un sentiero molto buono, ma non voglio muoverci un passo, un sentiero meraviglioso, ma non voglio prendermi la briga di percorrerlo”. Come può allora questa persona raggiungere la meta finale? Non posso prendermi nessuno sulle spalle per portarlo alla meta finale. Nessuno può trasportare un altro sulle spalle fino alla meta finale. Al massimo, con amore e compassione, si può dire: "Questo è il sentiero e in questo modo io l'ho percorso. Lavorate anche voi, camminate anche voi e raggiungerete la meta finale. Ma ognuno deve compiere il cammino da sé, deve fare ogni passo sul sentiero da solo. Chi ha fatto un passo, è di un passo più vicino alla meta.Chi ha fatto cento passi, è di cento passi più vicino alla meta. Chi ha fatto tutti i passi sul sentiero, ha raggiunto la meta finale. Dovete voi stessi percorrere il sentiero."

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CAPITOLO SECONDO

IL PUNTO DI PARTENZA La fonte della sofferenza è dentro ciascuno di noi. Quando avremo imparato a conoscere profondamente la nostra propria realtà, allora avremo trovato la soluzione al problema della sofferenza. "Conosci te stesso”: tutti i saggi lo hanno consigliato. Dobbiamo iniziare a conoscere la nostra propria natura, altrimenti non potremo mai risolvere i nostri problemi o i problemi del mondo.Ma in realtà che cosa sappiamo di noi? Ognuno di noi é convinto di essere importante, unico, ma la conoscenza che abbiamo di noi stessi è solo superficiale. A livelli più profondi, non ci conosciamo affatto.Il Buddha ha esaminato il fenomeno dell'essere umano indagando la sua propria natura. Lasciando da parte ogni pregiudizio, ha esplorato la realtà interiore e compreso che ogni essere è un insieme di cinque aggregati, quattro mentali e uno fisico. La materiaCominciamo con l'aspetto fisico. É il più ovvio, la nostra parte più visibile, subito percepita dai

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sensi, ma quanto poco la conosciamo in realtà! Possiamo controllare il corpo superficialmente: si muove e agisce secondo la volontà cosciente. Ma a un altro livello, tutti gli organi interni funzionano fuori dal nostro controllo, senza che noi sappiamo come. A un livello più sottile, non abbiamo la percezione delle incessanti reazioni biochimiche che avvengono dentro ogni cellula del corpo. Ma questa non è ancora la realtà ultima del fenomeno materia. In definitiva il corpo, che sembra solido, è composto di particelle subatomiche e di spazi vuoti. Persino queste particelle subatomiche non hanno una solidità reale; il tempo di esistenza di una di esse è molto meno di un trilionesimo di secondo. Le particelle nascono e svaniscono continuamente, passando dentro e fuori dallo stato di esistenza, come un flusso di vibrazioni. Questa è la realtà ultima del corpo, di tutta la materia, scoperta dal Buddha 2500 anni fa.Con le loro ricerche, gli scienziati moderni hanno riconosciuto e accettato questa realtà ultima dell'universo materiale, senza tuttavia divenire delle persone liberate, illuminate. Con la loro curiosità essi hanno indagato la natura dell'universo utilizzando l'intelletto e affidandosi agli strumenti per verificare le loro teorie. Il Buddha, al contrario, era motivato non soltanto dalla curiosità quanto piuttosto dal desiderio di trovare una via d’uscita dalla sofferenza. Nella sua ricerca non usò altri strumenti tranne la propria mente.

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La verità che scoprì non fu il risultato di una razionalizzazione, bensì della sua esperienza diretta. Ecco perché riuscì a liberarsi. Scoprì che l'intero universo materiale era composto di particelle, chiamate in pali kalapa "unità indivisibili". Nelle loro infinite varianti queste unità possiedono le qualità fondamentali della materia: massa, coesione, temperatura e movimento. Si combinano per formare strutture che sembrano avere una qualche permanenza, ma che di fatto sono tutte composte di minuscole kalapa, che sono in uno stato di continuo sorgere e sparire. Questa è la realtà ultima della materia: un costante flusso di onde o particelle. Questo è il corpo che ciascuno di noi chiama "me stesso".

La mente

Insieme con i processi fisici, c'é il processo psichico, la mente. Sebbene non possa essere toccata o veduta, sembra ancor più intimamente connessa a noi stessi che non i nostri corpi: possiamo immaginarci un'esistenza futura senza il corpo, ma non possiamo immaginare tale esistenza senza la mente. E di essa, tuttavia, conosciamo ben poco, e ben poco siamo in grado di controllarla. Quanto spesso essa rifiuta di fare ciò che vogliamo, e fa ciò che non vogliamo! Il nostro controllo sulla

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mente cosciente è già abbastanza debole, ma l'inconscio sembra addirittura fuori del nostro potere e della nostra comprensione, pieno di forze che forse non approveremmo o di cui non siamo consapevoli.Così come esaminò il corpo, il Buddha esaminò anche la mente e scoprì che, essenzialmente, nella sua totalità, essa consiste di quattro processi: coscienza (viññana), percezione (sañña), sensazione (vedana) e reazione (sankhara).Il primo processo, la coscienza, è la parte recettiva della mente, l'atto di consapevolezza indifferenziata o cognizione. Registra semplicemente gli eventi fenomenici, la recezione di ogni input fisico e mentale. Annota i dati grezzi dell'esperienza senza assegnare etichette o dare giudizi di valore.Il secondo processo mentale è la percezione, l'atto di riconoscere. Questa parte della mente identifica qualsiasi cosa sia stata annotata dalla coscienza. Distingue, etichetta e divide in categorie i dati grezzi e li valuta, in modo positivo o negativo.

La fase successiva della mente consiste nella sensazione. Di fatto, appena un input viene ricevuto, sorge la sensazione, un segnale che qualcosa é avvenuto. Fino a quando l'input non é stato valutato, la sensazione rimane neutrale. Ma una volta che si sia attribuito un valore, la sensazione diviene piacevole o spiacevole,

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secondo la valutazione data. Se la sensazione è piacevole, si avverte il desiderio di prolungare e intensificare l'esperienza. Se, al contrario, é spiacevole, quello di mettervi fine, di scacciarla. La mente reagisce con sensazioni di piacere e avversione. (1) Per esempio, quando l'orecchio funziona normalmente e si ode un suono, la cognizione é al lavoro.Quando il suono è riconosciuto come "parole", con connotazioni positive o negative, la percezione comincia a funzionare. Poi segue la sensazione. Se le parole sono di approvazione, nasce una sensazione piacevole. Se sono insulti, nasce una sensazione spiacevole. Tutto questo è subito seguito da una reazione. Se la sensazione è piacevole, si inizia a provarne piacere e si desidera una quantità maggiore di parole di approvazione. Se la sensazione é spiacevole, si inizia a provarne dispiacere, e si vuole che le ingiurie finiscano.Lo stesso processo avviene ogni volta che gli altri sensi ricevono un input: coscienza, percezione, sensazione, reazione. Queste quattro funzioni mentali sono anche più fluttuanti delle effimere particelle che compongono la realtà materiale. Ogniqualvolta i sensi vengono in contatto con un oggetto, i quattro processi mentali sopravvengono con la rapidità del fulmine e si ripetono ad ogni contatto; del resto si verificano così rapidamente che non si è consapevoli di cosa stia avvenendo. É solo quando una particolare reazione si ripete per un lungo periodo e ha

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preso una forma definita e intensa che se ne è consapevoli livello conscio.

L'aspetto più singolare di questa descrizione dell'essere umano non consiste in ciò che include, ma in ciò che omette. Occidentali od orientali, cristiani o ebrei o musulmani o indù, buddisti o atei o altro ancora, tutti noi abbiamo la certezza congenita che, da qualche parte dentro di noi, esiste un Io, un'identità permanente. Senza rifletterci, operiamo presupponendo che la persona che è esistita dieci anni fa sia essenzialmente la stessa di oggi e la stessa che esisterà tra dieci anni: forse anche la stessa che esisterà in una vita futura dopo la morte. Quale che sia la filosofia, la teoria o il credo che noi consideriamo veri, di fatto ognuno vive con una convinzione ben radicata: "Io ero, io sono, io sarò".Il Buddha ha sfidato questa istintiva affermazione d’identità. E nel farlo non ha esposto un'altra visione speculativa per combattere le teorie altrui, bensì ha ribadito più e più volte che non stava proponendo un'opinione, ma semplicemente descrivendo la verità che aveva sperimentato e che ogni persona comune può sperimentare."L'illuminato ha messo da parte tutte le teorie", diceva, "perché ha visto la realtà della materia, della sensazione, della percezione, della reazione e della coscienza, il loro sorgere e svanire". (2) Nonostante le apparenze, aveva scoperto che ogni essere umano in realtà è una

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Chapter Name 53

serie di eventi separati ma collegati fra loro. Ogni evento è il risultato del precedente e lo segue senza soluzione di continuità. La progressione ininterrotta di eventi intimamente connessi dà l'apparenza della continuità, dell'identità, ma si tratta solo di una realtà apparente e non della verità ultima.Possiamo dare il nome a un fiume, ma in realtà è un flusso d’acqua che non smette mai di scorrere. Possiamo pensare alla luce di una candela come a qualcosa di costante, ma, se la osserviamo da vicino, vediamo che in realtà la fiamma nasce da uno stoppino che brucia per un istante ed è subito rimpiazzata da una nuova fiamma, istante dopo istante. Parliamo della luce di una lampadina elettrica senza fermarci mai a pensare che in realtà, come il fiume, essa è un flusso costante: in questo caso un flusso di energia prodotta da oscillazioni ad altissima frequenza, che avvengono dentro il filamento. In ogni momento, qualcosa di nuovo nasce come prodotto del passato, per essere rimpiazzato da qualcos’altro nel momento seguente. La successione degli eventi è così rapida e continua che è difficile da discernere. In un determinato punto del processo non è possibile affermare che ciò che sta avvenendo è uguale a ciò che è avvenuto in precedenza, né si può dire che non lo sia. Ciò nondimeno, il processo avviene.Allo stesso modo, il Buddha comprese che una persona non é un'entità finita e immutabile, ma un processo che fluisce momento per momento.

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Non c'é un "essere" reale, solamente un flusso che va, un processo continuo di divenire. Naturalmente nella nostra vita quotidiana dobbiamo trattare gli altri come persone provviste di una natura più o meno definita, non mutevole; dobbiamo accettare le apparenze esterne, la realtà apparente, altrimenti non riusciremo a funzionare. La realtà esteriore è una realtà, ma solo quella superficiale. A livelli più profondi, la realtà é che l'intero universo, animato e inanimato, è in costante stato di divenire: di nascere e svanire. Ognuno di noi, di fatto, è un flusso di particelle subatomiche in costante mutamento, e insieme ad esso mutano, ancor più rapidamente dei processi fisici, i processi di coscienza, di percezione, di sensazione e di reazione.Questa è la realtà ultima del sé con cui ognuno di noi deve fare i conti. É questo il corso degli eventi in cui siamo implicati. Se saremo in grado di comprenderlo con esattezza, attraverso l'esperienza diretta, troveremo la strada che ci condurrà fuori dalla sofferenza.

Domande e risposte

DOMANDA: Quando parlate di "mente", non sono sicuro di cosa volete intendere. Mi è impossibile localizzare la mente.

SATYA NARAYAN GOENKA: É ovunque, in ogni

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atomo. Ovunque sentite qualcosa, là c'è la mente. La mente sente.

Dicendo mente allora non volete indicare il cervello?

Oh no, no. Qui in occidente si pensa che la mente sia solo nella testa. É un concetto sbagliato.

La mente è in tutto il corpo?

Sì, tutto il corpo contiene la mente, tutto il corpo!

Lei parla dell'esperienza dell'Io solo in termini negativi. Non ha un lato positivo? Non c'è un'esperienza dell'Io che riempie la persona di gioia, di pace, di estasi?

Con la meditazione si scopre che tali piaceri sensoriali vanno e vengono. Se questo Io realmente ne gioisse, se fossero "miei" piaceri, allora l'Io dovrebbe avere qualche potere su di essi. Ma essi nascono e svaniscono al di fuori del mio controllo. In questo caso, che cos'è l'Io?

Non sto parlando di piaceri sensoriali, ma di quelli a un livello molto profondo.

A quel livello l'Io non ha alcuna importanza. Quando si raggiunge quel livello, l'ego si dissolve. C'è solo gioia. La questione dell’Io

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allora non si pone neppure.

D’accordo, invece di Io diciamo allora l'esperienza della persona.

E’ la sensazione stessa che sente; nessuno la sente. Le cose stanno solo avvenendo, ecco tutto. Ora, a voi sembra che ci debba essere un Io che sente, ma con la pratica finirete col raggiungere il livello in cui l'ego si dissolve. E a quel punto questa domanda non avrà più ragione di essere.

Io sono venuto qui perché sentivo che il mio Io aveva bisogno di venire qui.

Sì. É vero. Per gli scopi convenzionali, non possiamo sfuggire dall'Io o dal "mio". Ma attaccarci ad essi, considerarli reali nel senso ultimo ci porterà solo sofferenza.

Mi domando se ci sono delle persone che provocano la nostra sofferenza?

Nessuno vi causa sofferenza. La sofferenza nasce dentro di voi, allorché generate tensioni nella mente. Sapendo come evitarlo diventa facile rimanere in pace e felici in ogni situazione.

E quando qualcuno ci fa del male?

Non dovete permettere che qualcuno vi faccia

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del male. Ogni volta che qualcuno fa qualcosa di sbagliato, fa male agli altri e nello stesso tempo a se stesso. Se gli permettete di fare del male, lo incoraggiate a farlo. Dovete usare tutta la vostra forza per fermarlo, ma solo con benevolenza, con compassione e simpatia per quella persona. Se agite con odio o ira, allora aggravate la situazione. Ma voi non potete avere benevolenza per tale persona a meno che la vostra mente non sia calma e in pace. Una volta che avrete appreso con la pratica a sviluppare la pace dentro di voi, il problema potrà essere risolto.

A quale scopo cercare pace dentro di noi quando non c'è pace nel mondo?

Il mondo sarà in pace solo quando la gente del mondo sarà in pace e felice. Il cambiamento deve partire a livello individuale. Se la foresta si inaridisse e voi voleste ridarle vita, dovreste innaffiare ogni albero. Se volete un mondo di pace, dovete imparare ad essere in pace con voi stessi. Solo allora potrete portare la pace nel mondo.

Posso capire come la meditazione sia in grado di aiutare persone infelici, disadattate, ma per chi si sente soddisfatto della sua vita, che è già felice?

Chi rimane soddisfatto dai piaceri superficiali della vita ignora i turbamenti profondi della

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mente. Si illude di essere una persona felice, ma i suoi piaceri non sono duraturi e le tensioni generate nell'inconscio si accresceranno, per apparire prima o poi al livello mentale conscio. Quando accade ciò, questa cosiddetta persona felice diventa triste. E allora, perché non iniziare a lavorare qui-e-ora per allontanarsi da una simile situazione?

Voi insegnate Mahayana o H²nayana?

Nessuno dei due. La parola yana, di fatto, significa “veicolo che vi porterà alla meta finale”, ma oggi gli si dà erroneamente una connotazione settaria. Il Buddha non ha mai insegnato qualcosa di settario. Ha insegnato il Dhamma, che è universale. E’ questa universalità che mi ha attratto verso l'insegnamento del Buddha, ed è da esso che ho tratto giovamento. Quindi è questo Dhamma universale che offro a tutti con tutto il mio amore e la mia compassione. Per me, il Dhamma non è né Mahayana né H²nayana, né alcuna setta.

Il Buddha e lo scienziato

La realtà fisica cambia costantemente ogni momento. Questo é ciò che il Buddha ha compreso esaminando se stesso. Con la mente

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fortemente concentrata, ha penetrato profondamente nella sua stessa natura e scoperto che l'intera struttura materiale è composta di minute particelle subatomiche, che compaiono e scompaiono continuamente. In uno schiocco delle dita o in un battito di ciglia, egli ha detto, ognuna di queste particelle compare e scompare molti trilioni di volte."Incredibile", penserà qualcuno che osserva solo la realtà visibile del corpo, apparentemente tanto solida, tanto immutabile e permanente. Ero solito pensare che la frase "molti trilioni di volte" fosse soltanto un'espressione idiomatica da non prendere alla lettera. E invece la scienza moderna ha confermato questa affermazione.Alcuni anni fa, il premio Nobel per la fisica venne assegnato a uno scienziato americano che per lunghi anni si era dedicato allo studio delle particelle subatomiche di cui é composto l'universo fisico. Era già noto che queste particelle compaiono e scompaiono con grande rapidità, continuamente; ora, questo scienziato decise di sviluppare uno strumento che potesse contare quante volte in un secondo una particella compare e scompare. Molto appropriatamente chiamò lo strumento che aveva inventato col nome di camera a bolle, e scoprì che in un secondo una particella subatomica compare e scompare 10 volte alla ventiduesima.La verità scoperta dallo scienziato è la stessa sperimentata dal Buddha, ma che differenza tra i due! Alcuni dei miei allievi americani che

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hanno frequentato dei corsi in India, una volta tornati in patria sono andati a far visita allo scienziato e mi hanno riferito che, nonostante egli avesse scoperto questa realtà, era ancora una persona comune, con il consueto bagaglio di infelicità che ha la gente comune porta con sé. Non si era completamente liberato dalla sofferenza. No, lo scienziato non era diventato una persona illuminata, non si era liberato dalla sofferenza perché non aveva sperimentato direttamente la verità. Ciò che aveva appreso era solo un sapere intellettuale. Credeva a questa verità perché aveva fiducia nello strumento che aveva inventato, ma non aveva sperimentato la verità di persona.Non ho nulla contro quest'uomo né contro la scienza moderna. Tuttavia, uno scienziato non deve limitare le sue conoscenze al mondo esteriore. Come il Buddha, lo scienziato deve estendere le sue indagini al mondo interiore, per sperimentare direttamente la verità. La comprensione personale della verità cambierà automaticamente gli schemi abituali della mente, e così si comincerà a vivere secondo verità. Ogni azione diviene diretta al proprio bene e a quello degli altri. Se manca questa esperienza interiore, la scienza può venire usata a fini distruttivi. Ma se diventiamo scienziati della realtà interiore, faremo un uso appropriato della scienza per la felicità di tutti.

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Chapter Name 61

CAPITOLO TERZO

LA CAUSA IMMEDIATA

Il mondo reale non regge il paragone con quello delle fiabe, in cui ognuno vive felice per sempre. Non possiamo nasconderci la verità, e cioè che la vita è imperfetta, incompleta, insoddisfacente: la verità dell'esistenza della sofferenza.Assodata questa realtà, ciò che è importante sapere è se la sofferenza abbia una causa e, in caso affermativo, se sia possibile rimuovere tale causa in modo che la sofferenza possa essere rimossa. Se gli avvenimenti che provocano la nostra sofferenza sono semplicemente delle circostanze casuali su cui non abbiamo alcun controllo o influenza, allora siamo impotenti e possiamo lasciar perdere il tentativo di cercare una via d'uscita. Se invece le nostre sofferenze sono dettate da un essere onnipotente che agisce in modo arbitrario e imperscrutabile, allora dobbiamo scoprire come propiziarci tale essere in modo che sia benevolo.

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Il Buddha ha compreso che la nostra sofferenza non è solo un prodotto del caso. Ci sono delle cause dietro ad essa, come ci sono cause per tutti i fenomeni: la legge di causa ed effetto -kamma- è universale e fondamentale per l'esistenza; e non esistono cause al di là del nostro controllo.

Kamma

Alla parola kamma (o, nella più conosciuta forma sanscrita, karma) viene generalmente attribuito il significato di "fato". Purtroppo le connotazioni di questa parola sono proprio il contrario di ciò che il Buddha intendeva con kamma. Il fato è qualcosa che sta fuori del nostro controllo, è il decreto della provvidenza, ciò che è stato pre-ordinato per ognuno di noi. Tuttavia, kamma letteralmente significa "azione". Proprio le nostre azioni sono la causa di tutto ciò che sperimentiamo: "Tutti gli esseri compiono i loro atti, sono eredi dei loro atti, hanno origine dai loro atti, sono legati ai loro atti; i loro atti sono il loro rifugio. Così come i loro atti sono vili o nobili, altrettanto lo saranno le loro esistenze.” (1) Tutto ciò in cui ci imbattiamo nella nostra vita è il risultato delle nostre azioni. Di conseguenza, tutti possiamo diventare padroni del nostro destino diventando padroni delle nostre azioni. Ognuno di noi è responsabile delle azioni che danno origine alla propria sofferenza. Ognuno di noi ha i mezzi per porre fine alla sofferenza

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provocata dalle proprie azioni. Il Buddha ha detto:

Ciascuno è maestro di se stesso;Ciascuno costruisce il proprio futuro. (2)

Così, ognuno di noi è come un uomo che non ha mai imparato a guidare e siede con gli occhi bendati al volante di un’auto in corsa su una strada piena di traffico. Non é possibile che egli raggiunga la destinazione senza incidenti. Anche se può pensare di essere lui a guidare la macchina, in realtà è la macchina a guidare lui. Se vuole evitare un incidente e fare in modo di arrivare a destinazione, deve togliersi la benda dagli occhi, imparare a guidare il veicolo e condurlo fuori pericolo il più rapidamente possibile. Analogamente, noi dobbiamo diventare consapevoli di ciò che facciamo, e quindi imparare a compiere quelle determinate azioni in grado di condurci dove vogliamo realmente andare.

Le tre categorie di azioni

Ci sono tre categorie di azioni: fisica, verbale e mentale. Normalmente diamo maggior importanza alle azioni fisiche, meno alle azioni verbali e meno ancora alle azioni mentali. Colpire una persona ci sembra un'azione più grave che insultarla, ed entrambe appaiono più pesanti di una malevolenza inespressa nei suoi

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confronti. Di fatto, sarebbe questo il giudizio conforme alle leggi emanate dagli uomini in ogni paese. Ma secondo Dhamma, la legge della natura, l'azione mentale è la più importante. Un'azione fisica o verbale assume un significato completamente diverso a seconda delle intenzioni con cui la si compie.Un chirurgo usa il bisturi per operare d'urgenza un uomo in pericolo di vita, ma l’intervento non ha successo e il paziente muore; un assassino usa il pugnale per colpire a morte la sua vittima: fisicamente le due azioni sono simili, con gli stessi effetti, ma mentalmente sono agli antipodi. Il chirurgo agisce per compassione, l'assassino per odio. I risultati ottenuti sono radicalmente diversi, perché diversa è l’azione mentale.Allo stesso modo, nel caso della parola, la cosa più importante è l'intenzione. Un uomo discute con un collega e lo ingiuria, definendolo pazzo. Esprime ira. Lo stesso uomo vede suo figlio che gioca nel fango e teneramente lo chiama pazzo. Esprime amore. In entrambi i casi sono state pronunciate le stesse parole, ma per esprimere due opposti stati mentali. É l'intenzione delle nostre parole che determina il risultato.Parole e azioni, e i loro effetti esterni, sono mere conseguenze dell'azione mentale. Essi si giudicano in relazione all’intenzione che esprimono.L'azione mentale é il vero kamma, la causa che darà i risultati nel futuro. Comprendendo questa verità il Buddha ha annunciato:

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La mente precede tutti i fenomenila mente è la cosa più importante, ogni cosa è fatta dalla mente.Se con una mente impuraparlate o agite,allora la sofferenza vi seguirà,come la ruota di un carro segue l’animale da tiro. Se con una mente pura parlate e agite,allora la felicità vi seguiràcome un'ombra che non svanisce mai. (3)

La causa della sofferenza

Ma quale azione mentale determina il nostro destino? Se la mente non consiste di niente altro che di conoscenza, percezione, sensazione e reazione, quale di queste dà origine alla sofferenza? Ognuna di esse è coinvolta in qualche misura nel processo della sofferenza. Le prime tre, tuttavia, sono principalmente passive. La coscienza recepisce soltanto i primi dati dell'esperienza, la percezione li inserisce in una categoria, la sensazione segnala ciò che è accaduto nei passaggi precedenti. Il lavoro di queste tre azioni mentali è quello di assimilare di mano in mano digerire le informazioni subentranti. Ma quando la mente inizia a reagire, la passività lascia il passo all'attrazione o alla repulsione, al piacere o al dispiacere. Questa reazione mette in moto una nuova

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catena di eventi, all'inizio della quale c'è la reazione, sankhara. Ecco perché il Buddha ha detto:

Qualsiasi sofferenza sorgaha una reazione quale causa.Se tutte le reazioni cessasseroallora non ci sarebbe più sofferenza. (4)

Il vero kamma, la vera causa della sofferenza, è la reazione della mente. Ogni fugace reazione di piacere o dispiacere può non essere molto forte e può non dare molti risultati, ma può avere un effetto cumulativo. La reazione è ripetuta momento per momento, intensificandosi a ogni ripetizione e sviluppandosi verso la bramosia o l'avversione: è ciò che nel suo primo sermone il Buddha ha definito tanha, letteralmente "sete": cioè l'abitudine mentale all’insaziabile bramosia di ciò che non c'è, la quale implica una uguale e irrimediabile insoddisfazione per ciò che c’é. (5) E man mano che bramosia e insoddisfazione aumentano di intensità, più profonda sarà la loro influenza sui nostri pensieri, sui nostri discorsi e sulle nostre azioni: e maggiore la sofferenza che provocheranno.Alcune reazioni, ha detto il Buddha, sono come linee tracciate su uno specchio d'acqua: appena disegnate, si cancellano. Altre sono come linee tracciate sulla sabbia: se sono state disegnate al mattino, spariranno durante la notte, eliminate dalla marea o dal vento. Altre sono come linee incise profondamente nella roccia

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con scalpello e martello. Anch' esse scompariranno a causa dell’erosione, ma ci vorrà molto molto tempo. (6)

Ogni giorno, per tutta la vita, la nostra mente continua a generare reazioni: eppure se alla fine di ciascun giorno cerchiamo di ricordarle, non saremo in grado di richiamarne alla memoria che una o due, ossia quelle che quel giorno ci hanno maggiormente impressionato. Così, se cerchiamo di ricordare tutte le reazioni che abbiamo avuto nel corso di un mese, saremo capaci di rammentarne solo una o due che in quel mese ci hanno impressionato più profondamente. E allo scadere di un anno saremo capaci di ricordare solo una o due reazioni che in quell’anno hanno lasciato l'impressione più profonda. Le reazioni profonde di questo tipo sono assai pericolose e conducono a un’immensa sofferenza. Il primo passo per emergere da tale sofferenza è quello di accettarne la realtà, non come un concetto filosofico o un articolo di fede, ma come un dato della nostra stessa esistenza. Se accetteremo questo e comprenderemo che cos’è la sofferenza e perché soffriamo, cesseremo di essere guidati e saremo noi a cominciare a guidare. Imparando a comprendere la nostra natura, potremo incamminarci sul sentiero che conduce alla fine della sofferenza.

Domande e risposte

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DOMANDA: La sofferenza non è forse una parte naturale della vita? Perché dobbiamo cercare di sfuggirle?

SATYA NARAYAN GOENKA: Siamo ormai così immischiati con la sofferenza che esserne esenti ci sembra innaturale. Ma quando sperimenterete la reale felicità della purezza mentale, allora vi renderete conto che questo è uno stato naturale della mente.

L'esperienza della sofferenza può nobilitare una persona e aiutarla a fortificare il carattere?

Sì. Questa tecnica infatti utilizza deliberatamente la sofferenza come uno strumento per rendere nobile una persona. Ma ciò accadrà solo se questa persona imparerà a osservare oggettivamente la sofferenza. Se rimane attaccata alla sua sofferenza, l'esperienza non la nobiliterà ed essa rimarrà sempre infelice.

Controllare le proprie azioni non è una sorta di repressione?

No. Si impara solo a osservare oggettivamente ciò che avviene. Se qualcuno è adirato e cerca di nascondere la sua collera, di sopportarla, allora, sì, c'è repressione. Ma osservando la collera, scoprirete che automaticamente essa

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svanisce. Vi liberate dalla collera quando imparate a osservarla oggettivamente.

Se continuiamo a osservare noi stessi, come possiamo vivere in modo naturale? Saremmo così impegnati a guardarci che non potremmo agire liberamente o spontaneamente.

Non è questo ciò che le persone verificano dopo aver completato un corso di meditazione. Qui imparate un training mentale che vi metterà in grado di osservarvi nella vita quotidiana ogni volta che ne avrete bisogno. Non è che si debba continuare a esercitarsi ad occhi chiusi tutto il giorno per tutta la vita, ma così come la forza che si acquista attraverso l'esercizio fisico vi aiuta nella vita quotidiana, analogamente questo esercizio mentale vi fortificherà. Quella che viene chiamata "azione libera e spontanea" è in realtà una reazione cieca, sempre pericolosa. Imparando ad osservarvi, scoprirete che è possibile mantenere l’equilibrio della mente tutte le volte che vi trovate in una situazione difficile. E’ questo equilibrio che vi mette in grado di scegliere liberamente come agire. Compirete allora un'azione reale, che è sempre positiva e sempre di beneficio per voi e per gli altri.

Esistono avvenimenti fortuiti, eventi accidentali senza una causa?

Nulla avviene senza una causa. E’ impossibile.

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Talvolta i nostri sensi limitati e il nostro intelletto non la possono discernere con chiarezza, ma questo non significa che non ci sia.

Voi affermate che ogni cosa nella vita è predeterminata?

Certamente le nostre azioni passate daranno dei frutti, buoni o cattivi. Sono esse a determinare il tipo di vita che conduciamo, la situazione generale in cui ci troviamo. Ma ciò non significa che qualsiasi cosa ci accade sia predestinata, stabilita dalle nostre azioni passate, e che non possa accadere nient'altro. Non é così. Le nostre azioni passate influenzano il corso della nostra vita dirigendola verso esperienze piacevoli o spiacevoli. Ma le azioni presenti sono ugualmente importanti. La natura ci ha dato la capacità di essere padroni delle nostre azioni presenti: con tale padronanza possiamo cambiare il nostro futuro.

Ma certamente anche le azioni degli altri ci influenzano?

Naturalmente. Siamo influenzati da chi ci circonda e dall’ambiente, così come noi li influenziamo. Se ad esempio la maggioranza è favorevole alla violenza, allora possono avvenire guerre e distruzioni, provocando immani sofferenze. Ma se la gente incomincia a purificare la mente, allora non può esserci

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violenza. La radice del problema è nella mente di ogni essere umano, e dato che la società è composta di individui, se ogni persona inizia a cambiare, cambierà anche la società e guerre e distruzioni diventeranno eventi rari.

Come possiamo aiutarci l'un l'altro se ognuno di noi deve confrontarsi con i risultati delle proprie azioni?

Le nostre azioni mentali influenzano gli altri. Se nella mente non generiamo altro che negatività, tale negatività ha un effetto pericoloso su quelli che entrano in contatto con noi. Se colmiamo la mente di positività e benevolenza verso gli altri, questo avrà un effetto giovevole su coloro che ci circondano. Non potete controllare le azioni, il kamma degli altri, ma potete diventare padroni di voi stessi per esercitare un influsso positivo su coloro che vi stanno intorno.

Perché essere ricchi è un buon karma? Se è così, significa forse che la maggior parte di coloro che vivono in Occidente hanno un buon karma e la maggior parte di coloro che vivono nel Terzo mondo hanno un cattivo karma?

La ricchezza da sola non è un buon karma. Se diventate ricchi ma restate infelici, qual è l'utilità della vostra ricchezza? Essere ricchi e anche felici, realmente felici: è questo un buon karma. La cosa più importante è essere felici, ricchi o no.

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Non è forse innaturale non reagire mai?

E’ ciò che sembra a coloro che hanno esperienza solo degli errati schemi abituali di una mente impura. Ma è naturale per una mente pura rimanere distaccata, piena d'amore, compassione, benevolenza, gioia ed equanimità. Dovete imparare a sperimentarlo.

Come possiamo essere coinvolti nella vita senza reagire?

Invece di reagire, imparate ad agire, ad agire con una mente equilibrata. Il meditatore di Vipassana non diventa inattivo come un vegetale. Impara ad agire positivamente. Quando sarete in grado di cambiare gli schemi abituali da reazione ad azione, allora avrete ottenuto qualcosa di grande valore. E Vipassana porta a questo cambiamento.

Il seme e il frutto

Ad ogni causa corrisponde un effetto. Ad ogni seme corrisponde un frutto. Ad ogni azione corrisponde un risultato. Un contadino semina

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due semi nello stesso terreno: un seme di canna da zucchero, e un seme di neem, una pianta tropicale molto amara. I due semi sono nella stessa terra, ricevono la stessa acqua, lo stesso sole, la stessa aria; la natura dà loro lo stesso nutrimento. Due pianticelle affiorano e iniziano a crescere. E che cosa accade all’albero neem? Cresce amaro in ogni sua fibra, mentre la canna da zucchero cresce dolce in ogni sua fibra. Perché la natura o, se preferite, Dio è stato così buono con uno e così crudele con l'altro?No, la natura non è crudele né buona, bensì opera secondo leggi fisse. La natura aiuta soltanto la qualità del seme a manifestarsi. Tutte le sostanze nutritive si limitano semplicemente ad aiutare i semi a rivelare la qualità che in essi è latente. Il seme della canna da zucchero ha la qualità della dolcezza, quindi la pianta non potrà essere che dolce. Il seme dell'albero neem ha la qualità dell'amaro, quindi la pianta non potrà essere che amara. Ad ogni seme corrisponde il frutto. Il contadino va dall'albero neem, si inchina tre volte, gli gira attorno 108 volte e poi offre fiori, incenso, candele, frutti e dolci.Quindi inizia a pregare: "Ti prego, dio neem, concedimi dei manghi dolci, voglio dei manghi dolci!" Il povero dio neem non glieli può dare, non ha il potere di farlo. Se qualcuno vuole manghi dolci, deve piantare semi di mango; così non avrebbe bisogno di lamentarsi e invocare aiuto. I frutti che otterrà saranno proprio dei manghi dolci. Ad ogni seme corrisponde un

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frutto. Le nostre difficoltà, la nostra ignoranza derivano dal fatto che non stiamo attenti quando piantiamo i semi. Continuiamo a piantare semi di neem, ma quando viene il tempo di cogliere i frutti, ecco che vogliamo manghi dolci. E continuiamo a lamentarci e a pregare e a sperare nei manghi. Ma non funziona. (7)

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Chapter Name 75

CAPITOLO QUARTO

LA RADICE DEL PROBLEMA

"La verità della sofferenza deve essere esplorata fino alla radice", ha detto il Buddha. (1) Nella notte in cui raggiunse l'illuminazione, sedette risoluto a non alzarsi finché non avesse compreso come nasce la sofferenza e come può essere sradicata.

Definizione della sofferenza

Il Buddha si rese conto chiaramente che la sofferenza esiste. É un fatto incontrovertibile, per quanto spiacevole possa essere. La sofferenza inizia con l'inizio della vita. Non abbiamo alcun ricordo conscio dell'esistenza intrauterina, ma l'esperienza comune è che veniamo alla luce piangendo. La nascita è un grande trauma.Iniziata la vita, siamo tutti costretti ad affrontare incontrare la sofferenza delle malattie e della vecchiaia. Per quanto malati possiamo essere, per quanto vecchi e decrepiti, nessuno di noi vuole morire, perché la morte è una grande

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infelicità.Ogni creatura vivente deve far fronte a tutte queste sofferenze. E mentre la nostra vita scorre, siamo costretti ad affrontare altre sofferenze, una varietà di dolori sia fisici che mentali. Siamo immersi nell’infelicità e la felicità ci sfugge. Non riusciamo ad avere ciò che vogliamo e, al contrario, otteniamo ciò che non vogliamo. Sono tutti casi di sofferenza evidenti per chiunque si fermi a riflettere. Ma il futuro Buddha non era soddisfatto delle limitate spiegazioni dell'intelletto. Continuò ad esplorare dentro di sé per sperimentare la vera natura della sofferenza e scoprì che "l'attaccamento ai cinque aggregati costituisce la sofferenza" (2). A livello più profondo, la sofferenza è l'attaccamento eccessivo che ognuno di noi ha sviluppato per il proprio corpo e per la propria mente, con le sue cognizioni, percezioni, sensazioni e reazioni. La gente si attacca con forza alla propria identità –al proprio essere fisico e mentale– quando in realtà ci sono solo processi in evoluzione. Questo attaccamento a un'idea irreale di sé, a qualcosa che di fatto è in costante mutamento, è sofferenza.

L’attaccamento

Ci sono diversi tipi di attaccamento. Per prima cosa c'è l'attaccamento all'abitudine di cercare la gratificazione dei sensi. Un tossicomane si droga perché desidera sperimentare la

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sensazione piacevole che la droga gli procura, anche se sa che drogandosi aumenta la sua dipendenza. Analoga è la nostra dipendenza da desideri sempre nuovi: non appena un desiderio é soddisfatto, ne creiamo un altro. L'oggetto è secondario; in realtà noi facciamo in modo di prolungare all’infinito lo stato di desiderio, in quanto esso fa sorgere in noi una sensazione piacevole che vogliamo continuare a provare. Il desiderare diventa un'abitudine che non possiamo abbandonare una dipendenza. E proprio come un drogato gradualmente sviluppa assuefazione nei confronti della sostanza che assume abitualmente e quindi ha bisogno di dosi sempre maggiori, così più cerchiamo di soddisfare i nostri desideri, più essi diventano forti, si trasformano in bramosia. E’ una via senza uscita, perché finché desidereremo ardentemente qualcosa, non potremo mai essere felici.Un altro grande attaccamento si ha verso l’Io, l'ego, l'immagine che abbiamo di noi stessi. Per ciascuno di noi, l’Io è la persona più importante del mondo. Ci comportiamo come calamite che accentrano automaticamente sopra se stesse la limatura di ferro. Se riflettiamo un attimo, tutti noi istintivamente cerchiamo di sistemare il mondo a nostro piacimento, cercando di attrarre ciò che è piacevole e di respingere ciò che è spiacevole. Ma nessuno di noi é solo al mondo; ciascun Io è costretto a entrare in conflitto con un altro. Il modello che ognuno cerca di creare è disturbato dai campi magnetici

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degli altri e noi stessi siamo soggetti a repulsioni e ad attrazioni. Il risultato non può essere altro che infelicità e sofferenza.Né limitiamo l'attaccamento all’Io ma lo estendiamo al "mio", a tutto ciò che ci appartiene. Sviluppiamo un grande attaccamento a ciò che possediamo, perché è collegato a noi e sostiene l'immagine dell'Io. Questo attaccamento non causerebbe problemi se quello che chiamiamo "mio" fosse eterno e l'Io ne potesse godere eternamente. Ma, nella realtà, prima o poi l'Io viene separato dal "mio". Il tempo della separazione deve necessariamente venire, e in quel momento la sofferenza sarà tanto più intensa quanto più grande è l'attaccamento al "mio".Ma l'attaccamento va anche oltre: si estende alle nostre opinioni e alle nostre convinzioni. Quale che sia il loro contenuto, siano esse giuste o sbagliate, se siamo attaccati ad esse certamente ci renderanno infelici. Siamo tutti convinti che le nostre opinioni e tradizioni siano le migliori e ogni volta che le sentiamo criticare ne restiamo colpiti. Se cerchiamo di spiegare le nostre opinioni e gli altri non le accettano, anche in questo caso ci turbiamo. Non siamo capaci di riconoscere che ognuno ha le proprie convinzioni. Invece di perdersi in futili discussioni sulla validità o meno delle varie opinioni, sarebbe più proficuo lasciare da parte le nozioni preconcette e cercare di vedere la realtà. Ma il nostro attaccamento alle opinioni ci impedisce di far questo e così restiamo infelici.

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Infine, c'è l'attaccamento alla religione e alle relative cerimonie. Tendiamo ad attribuire più importanza alle manifestazioni esteriori della religione piuttosto che al loro significato intrinseco e pensiamo che chi non compie tali cerimonie non può essere una persona veramente religiosa. Dimentichiamo che senza la sua essenza, l'aspetto formale della religione è un guscio vuoto. Recitare devotamente le preghiere o partecipare assiduamente alle funzioni non ha valore se la mente rimane colma di ira, collera e malevolenza. Per essere veramente religiosi dobbiamo sviluppare un'attitudine religiosa: purezza di cuore, amore e compassione per tutti. Tuttavia l’attaccamento alle forme esteriori della religione ci induce a dare maggiore importanza alla lettera piuttosto che allo spirito. Perdiamo l'essenza della religione e quindi rimaniamo infelici.Tutte le nostre sofferenze, di qualunque genere possano essere, sono collegate all’uno o all'altro di questi attaccamenti. Attaccamento e sofferenza vanno sempre di pari passo.

Il Sorgere Condizionato: la catena di causa ed effetto da cui trae origine la sofferenza.

Che cosa provoca l'attaccamento? Come sorge? Analizzando la sua propria natura, il futuro Buddha scoprì che esso si sviluppa a causa di reazioni mentali momentanee di piacere e

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dispiacere. Le reazioni brevi e inconsce della mente si ripetono e si intensificano momento per momento, fino a trasformarsi in potenti attrazioni e repulsioni e in tutte le nostre forme di attaccamento. L'attaccamento non è altro che la forma sviluppata di una reazione transitoria. E’ questa la causa immediata della sofferenza.Che cosa provoca le reazioni di piacere e dispiacere? Andando ancora più a fondo, il Buddha osservò che esse sono causate da una sensazione: proviamo una sensazione piacevole e iniziamo ad amarla; ne proviamo una spiacevole e iniziamo a rifiutarla, a respingerla. Ora, perché queste sensazioni? Che cosa le provoca? Analizzandosi ancor più profondamente, egli vide che sorgono a causa di un contatto: contatto dell'occhio con una cosa visibile, contatto dell'orecchio con un suono, contatto del naso con un odore, contatto della lingua con un sapore, contatto del corpo con un oggetto tangibile, contatto della mente con un pensiero, un'emozione, un'idea, una fantasia o un ricordo. E’ con i cinque sensi fisici e con la mente che noi sperimentiamo il mondo. Ogni volta che un oggetto o un fenomeno entra in contatto con una di queste sei basi dell'esperienza, si produce una sensazione, piacevole o spiacevole.E perché questo contatto è il primo a prodursi? Il futuro Buddha vide che il contatto avviene proprio in quanto esistono le sei basi sensoriali,

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ovvero i cinque sensi fisici più la mente. Il mondo è pieno di innumerevoli fenomeni: visioni, suoni, odori, sapori, oggetti, pensieri ed emozioni. Per tutto il tempo in cui i nostri recettori sono in funzione, il contatto é inevitabile. E perché esistono le sei basi sensoriali? Perché sono gli aspetti essenziali del fluire della mente e della materia. Perché allora questo flusso di mente e materia? Che cosa lo provoca? Il futuro Buddha comprese che il processo sorge a causa della coscienza, l'atto cognitivo che separa il mondo in conoscente e conosciuto, soggetto e oggetto, l’Io e gli "altri". Da questa separazione deriva l'identità, la "nascita". Ad ogni istante la coscienza sorge e assume una specifica forma mentale e fisica. Nell’istante successivo, di nuovo, la coscienza prende una forma leggermente diversa. La coscienza fluisce e muta attraverso tutta l'esistenza. Alla fine arriva la morte, ma la coscienza non si ferma: senza alcun intervallo, nell’istante successivo, assume una forma nuova. Da un'esistenza a un'altra, vita dopo vita, il fluire della coscienza continua. Qual è dunque la causa di questo fluire della coscienza? Egli ne vide il sorgere da una reazione. La mente è costantemente reattiva e ogni reazione dà forza al fluire della coscienza, così da perpetuarsi nell’istante successivo. Più una reazione è forte, più grande è l'impulso che suscita. La reazione leggera di un istante sostiene il fluire della coscienza solo per un istante. Ma se quella reazione momentanea di

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piacere o dispiacere si intensifica in bramosia o avversione, guadagna forza e sostiene il fluire della coscienza per molti momenti, per minuti, per ore. E se la reazione di bramosia o avversione si intensifica ancora, sostiene il flusso per giorni, mesi, anni. E se durante la sua vita una persona tende a ripetere e intensificare certe reazioni, esse sviluppano una forza sufficiente a sostenere il fluire della coscienza non solo da un istante all'altro, da un giorno all'altro, da un anno all'altro, ma da una vita all'altra.E che cosa provoca queste reazioni? Osservando la realtà a un livello più profondo, egli comprese che le reazioni avvengono a causa dell'ignoranza. Siamo inconsapevoli del fatto che reagiamo, e altrettanto inconsapevoli della vera natura di ciò a cui reagiamo. Siamo all’oscuro della natura impermanente e impersonale della nostra esistenza e ignoriamo che l'attaccamento a essa ci procura soltanto sofferenza. Non conoscendo la nostra vera natura reagiamo alla cieca. Non sapendo neppure di aver reagito, persistiamo nelle nostre reazioni cieche e permettiamo loro di intensificarsi. Così, a causa dell'ignoranza, diventiamo prigionieri dell'abitudine a reagire.Ecco come la ruota della sofferenza inizia a girare:

Se sorge l'ignoranza, c'è la reazione; se sorge la reazione, c'è la coscienza; se sorge la coscienza, ci sono la mente e la

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materia; se sorgono la mente e la materia, ci sono i sei sensi; se sorgono i sei sensi, c'è il contatto; se sorge il contatto, c'è la sensazione; se sorge la sensazione, ci sono la bramosia e l'avversione; se sorgono la bramosia e l'avversione, c'è l'attaccamento; se sorge l'attaccamento, c'è il processo del divenire; se sorge il processo del divenire, c'è la nascita; se c'è la nascita, ci sono l'invecchiamento e la morte, insieme a dolore, lamentazione, sofferenze fisiche e mentali, tribolazioni. In questo modo sorge l'intera massa di sofferenza. (3)

Da questa catena di causa ed effetto –il sorgere condizionato– siamo stati condotti nel nostro presente stato di esistenza, ad affrontare un futuro di sofferenza. Alla fine la verità gli fu chiara: la sofferenza inizia con l'ignoranza della realtà della nostra vera natura, del fenomeno etichettato come Io. E la causa successiva di sofferenza è il sankhara, l'abitudine mentale alla reazione. Accecati dall'ignoranza, generiamo reazioni di bramosia e avversione, che si sviluppano in attaccamento, il quale conduce a tutti i generi di infelicità. L'abitudine a reagire è il kamma, il modellatore del nostro futuro. Dunque la reazione sorge solo a causa dell'ignoranza circa la nostra vera natura.

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Ignoranza, bramosia e avversione sono le tre radici da cui nascono tutte le sofferenze della nostra vita.

La via d’uscita dalla sofferenza

Avendo compreso cosa sia la sofferenza e quale ne sia la sua origine, il futuro Buddha affrontò il problema successivo: come si può far cessare la sofferenza? Ricordando la legge del kamma, la legge di causa ed effetto: "Se questo esiste, quello avviene; quello sorge dal sorgere di questo. Se questo non esiste, quello non avviene; quello cessa dal cessare di questo". (4) Nulla accade senza una causa. Se la causa viene sradicata, allora non ci saranno effetti. In tal modo, il processo del sorgere della sofferenza può essere ribaltato:

Se l'ignoranza é sradicata e finisce del tutto, la reazione finisce; se la reazione finisce, la coscienza finisce; se la coscienza finisce, la mente e la materia finiscono; se la mente e la materia finiscono, i sei sensi finiscono; se i sei sensi finiscono, il contatto finisce; se il contatto finisce, la sensazione finisce; se la sensazione finisce, la bramosia e l'avversione finiscono; se la bramosia e l'avversione finiscono, l'attaccamento finisce;

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se l'attaccamento finisce, finisce il processo del divenire; se il processo del divenire finisce, la nascita finisce; se la nascita finisce, l’invecchiamento e la morte finiscono, insieme a dolore, lamenti, sofferenze mentali e fisiche e tribolazioni. Così finisce l'intera massa della sofferenza. (5)

Se mettiamo fine all'ignoranza, allora non ci saranno reazioni cieche con il loro seguito di sofferenze di vario genere. E se non vi sarà più sofferenza, allora sperimenteremo la vera pace, la vera felicità. La ruota della sofferenza può mutarsi nella ruota della liberazione.Questo è ciò che Siddhattha Gotama ha fatto per conseguire l'illuminazione. Questo è ciò che ha insegnato a fare agli altri. Egli disse:

Compiendo delle azioni negative vi contaminate. Non compiendo azioni negative vi purificate. (6)

Ognuno di noi è responsabile delle reazioni che causano la nostra sofferenza. Accettando questa responsabilità, possiamo imparare ad eliminare la sofferenza.

Il flusso delle esistenze successive

Con la Ruota del Sorgere Condizionato il Buddha

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ha spiegato il processo di rinascita o samsara. Nell'India dei suoi tempi, questo concetto era comunemente accettato come un dato di fatto, mentre oggi, per molti, può sembrare una dottrina estranea, forse insostenibile. Prima di accettarla o rigettarla, dovremmo tuttavia comprendere di che cosa si tratta e di che cosa non si tratta. Samsara è il ciclo delle esistenze ripetute, la successione delle vite passate e future. Le nostre azioni sono le forze che ci spingono di vita in vita. Ogni vita, di basso o alto grado, sarà come sono state le nostre azioni, vili o nobili. Sotto questo aspetto il concetto non differisce in sostanza da quello di molte religioni che predicano un'esistenza futura in cui riceveremo la ricompensa o il premio per le nostre azioni in questa vita. Il Buddha ha però compreso che anche nell'esistenza più esaltante può esservi sofferenza. Quindi non dobbiamo lottare per avere una rinascita fortunata, dal momento che nessuna rinascita é completamente fortunata. Il nostro scopo, piuttosto, dovrebbe essere la liberazione da tutte le sofferenze. Quando ci liberiamo dal ciclo delle sofferenze, sperimentiamo una felicità pura più grande di qualsiasi piacere del mondo. Il Buddha ha insegnato una via per sperimentare tale felicità proprio in questa vita.Samsara non è l'idea popolare della trasmigrazione di un'anima o di un sé che mantiene un'identità fissa attraverso ripetute reincarnazioni. Questo, ha detto il Buddha, è

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proprio ciò che non accade, e ha ripetutamente affermato che non esiste un'identità immutabile, che passa da una vita all'altra: "Proprio come da una mucca proviene il latte, dal latte la cagliata, dalla cagliata il burro, dal burro fresco il burro chiarificato, dal burro chiarificato la scrematura grassa. Quando c'è il latte, non si pensa che sia cagliata o burro fresco o burro chiarificato o scrematura. Analogamente, ogni volta va considerato reale solo lo stato di esistenza presente e non il passato né il futuro". (7) Il Buddha non riteneva che un ego fisso si reincarnasse in esistenze successive e neppure che non ci fossero esistenze passate o future. Al contrario, egli ha compreso e insegnato che il processo del divenire continua da un'esistenza all'altra, per tutto il tempo in cui le nostre azioni gli danno impulso. Anche se non si crede che ci sia un’altra esistenza oltre la presente, la Ruota del Sorgere Condizionato ha ancora la sua importanza. Ogni momento in cui ignoriamo che le nostre reazioni sono cieche, creiamo della sofferenza che sperimentiamo qui-e-ora. Se eliminiamo l'ignoranza e smettiamo di reagire ciecamente, faremo esperienza della pace che ne deriva, qui-e-ora. Il paradiso e l'inferno esistono qui-e-ora, possono essere sperimentati in questa vita, in questo corpo. Il Buddha ha affermato: "Anche se < qualcuno crede> che non ci sia un altro mondo, né una ricompensa futura per le buone azioni né una punizione per le cattive, già in questa stessa vita può vivere

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felicemente, mantenendosi libero dall'odio, dalla malevolenza e dall'ansia." (8)Sia che crediamo o non crediamo in esistenze passate o future, dobbiamo tuttavia affrontare i problemi della vita presente, problemi causati proprio dalle nostre reazioni cieche. La cosa più importante per noi è di risolvere questi problemi ora, fare dei passi in avanti per porre fine alla nostra sofferenza ponendo fine all'abitudine a reagire, e in tal modo sperimentare ora la felicità della liberazione. Domande e risposte

DOMANDA: Ci possono essere bramosie e avversioni benefiche: per esempio combattere contro l'ingiustizia, bramare la libertà, temere i malanni fisici?

SATYA NARAYAN GOENKA: Avversione e bramosia non possono mai essere benefiche. Vi renderanno sempre tesi e infelici. Se agite avendo nella mente bramosia e avversione, sia pure spinti da uno scopo encomiabile, il mezzo usato per raggiungerlo non è sano. Certo dovete agire per proteggervi dai pericoli. Potete farlo sopraffatti dalla paura, ma in questo modo sviluppate un complesso di paure che alla lunga saranno dannose. Oppure, avendo odio nella mente, potete avere successo combattendo contro l'ingiustizia, ma quell'odio diventerà un complesso mentale dannoso. Dovete combattere contro l'ingiustizia, dovete proteggervi dai pericoli, ma potete farlo con una

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mente equilibrata, senza tensioni. E potete lavorare in modo equilibrato per raggiungere qualcosa di buono, per amore degli altri. Una mente equilibrata é sempre utile e darà i risultati migliori.

Cosa c'è di sbagliato nel desiderare cose materiali per avere una vita più confortevole?

Se è un'esigenza reale, non c'è nulla di sbagliato purché lo facciate senza attaccarvi a ciò. Per esempio, se avete sete e desiderate dell’acqua, non c'è nulla di dannoso in questo. Avete bisogno di acqua e quindi fate in modo di ottenerla e placare la vostra sete. Ma se questo diventa un'ossessione, non potrà aiutarvi; anzi, vi fa del male. Dovete lavorare per ottenere ciò di cui avete necessità. Se non riuscite a ottenere qualcosa, ebbene dovete sorridere e tentare ancora, in un modo diverso. Se ci riuscite, rallegratevi di ciò che avete ottenuto, ma senza attaccamento.

Che cosa potete dire circa la pianificazione del futuro? Si potrebbe chiamare attaccamento?

Ancora una volta, dipende quanto siete attaccati ai vostri piani. Ognuno deve provvedere al suo futuro. Se i vostri progetti non hanno successo e iniziate a lamentarvi: questa è la prova del fatto che contavate troppo su di essi. Ma se non avete successo e riuscite ugualmente a sorridere pensando: "Ho fatto del

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mio meglio. In che cosa ho fallito? Proverò ancora!",allora state lavorando in modo distaccato e restate felici.

Fermare la Ruota del Sorgere Condizionato sembra una specie di suicidio, di auto-annullamento. Perché dovremmo volerlo?Cercare l'annientamento della vita è certamente dannoso, così come attaccarsi alla vita. Ma, al contrario, si impara a permettere alla natura di fare il suo lavoro, senza desiderare ardentemente nulla, neanche la liberazione.

Ma avete detto che non appena la catena dei sankhara ha termine, allora anche la rinascita si ferma.

Sì, ma questa è una cosa ben lontana. Interessatevi ora della vita presente! Non preoccupatevi per il futuro. Rendete buono il presente, il futuro sarà automaticamente buono. Certamente, allorché vengono eliminati tutti i sankhara, che sono responsabili di una nuova nascita, il processo di vita e morte si ferma.

Non è forse questo un annullamento, un'estinzione?

L'annullamento dell'illusione dell'Io, l'estinzione della sofferenza. Questo è il significato della parola nibbana: l'estinzione del bruciare. Bruciamo costantemente nella bramosia,

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nell’avversione, nell'ignoranza. Quando il bruciare si ferma, l'infelicità si ferma, e ciò che rimane è solo positivo. Ma descriverlo in parole non è possibile, perché è qualcosa che va al di là del campo sensoriale. Dovete sperimentarlo in questa vita, solo così saprete di che cosa si tratta. Allora la paura dell'annullamento scomparirà.

Cosa accade poi alla coscienza?

Perché preoccuparsene? Non aiuta nessuno speculare su qualcosa che può solo essere sperimentato, non descritto. Questo non fa che distrarre dallo scopo reale, che è lavorare per arrivarci. Quando raggiungerete quel livello, ne gioirete e tutte le domande spariranno. Non avrete altre domande! Lavorate per raggiungere quello stadio.

Come può funzionare il mondo senza attaccamento? Se i genitori sono distaccati, allora non si prenderanno certamente cura dei figli. Come è possibile amare ed essere coinvolti nella vita senza attaccamento?

Distacco non significa indifferenza; è corretto chiamarlo "santa indifferenza". Come genitori, dovete assumere la responsabilità di prendervi cura dei vostri figli con tutto l'amore possibile, ma senza attaccamento. Dovete fare il vostro

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dovere per amore. Supponete di aver cura di un malato e che, nonostante le vostre attenzioni, questi non si ristabilisca. Non iniziate a lamentarvi, sarebbe inutile. Con mente equilibrata, cercate di trovare un altro modo di aiutarlo. Questa è la santa indifferenza: né inazione né reazione, ma un'azione concreta e positiva con una mente equilibrata.

Molto difficile.

Sì, ma è ciò che bisogna imparare.

I sassi e il ghee Un giorno un giovane si recò dal Buddha piangendo e lamentandosi. Il Buddha gli chiese: "Che cosa che c'è non va, giovane?" "Signore, il mio vecchio padre è morto." "Che si possiamo farci? Se è morto, piangere non lo riporterà indietro.""Sì, capisco; piangere non riporterà indietro mio padre. Ma sono venuto da voi con una richiesta speciale: per favore, fate qualcosa per mio padre morto!" “Come? Ma cosa posso fare per vostro padre morto?""Signore, vi prego, fate qualcosa. Siete una persona tanto potente, certamente sapete cosa fare. Guardate questi sacerdoti, venditori di indulgenze e raccoglitori di elemosine che celebrano ogni sorta di riti e di rituali per aiutare i morti. Appena il rituale viene celebrato quaggiù, il cancello del regno dei cieli si apre e

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il morto può entrarvi, ottiene il visto di ingresso. Voi, signore, che siete così potente, se celebrate un rito per mio padre morto, non solo egli otterrà il permesso di entrarvi, ma avrà la garanzia di potervi soggiornare a vita! Per favore, fate qualcosa per lui!"Il poveretto era così sopraffatto dal dolore che non poteva comprendere alcuna argomentazione razionale. Il Buddha dovette usare un altro modo per aiutarlo a capire. Così gli disse: "Andate al mercato e comprate due vasi di terracotta." Il giovane era molto felice, pensando che il Buddha avesse acconsentito a celebrare un rito per suo padre. Corse al mercato e tornò con due vasi. "Bene", disse il Buddha, " ora riempitene uno di ghee, di burro chiarificato." Il giovane lo fece. "Riempite l'altro di sassi." Il giovane ubbidì. “Ora chiudeteli e sigillateli bene”. Il giovane eseguì anche questo. "E ora deponeteli nel laghetto laggiù." Il giovane eseguì, ed entrambi i vasi affondarono. "Ora", disse il Buddha, "prendete un bastone e fatte a pezzi i vasi." Il giovane si rallegrò moltissimo, pensando che il Buddha stesse celebrando un rito meraviglioso per suo padre.Secondo l’antica tradizione indiana, quando un uomo muore, suo figlio ne porta il corpo sul luogo della cremazione, lo depone sulla pira e lo brucia. Quando il corpo è bruciato per metà, il figlio prende un grosso bastone e gli spezza il cranio. Secondo le vecchie credenze, appena il cranio è aperto quaggiù, in questo mondo, lassù il cancello del regno dei cieli si apre. Così ora, il

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giovane pensava tra sé e sé: "Il corpo di mio padre è stato bruciato e ridotto in cenere ieri. Come un simbolo, il Buddha ora vuole che io rompa i vasi per aprirli!" Era molto felice di come si stava svolgendo il rito. Impugnò con forza il bastone e, come aveva detto il Buddha, il giovane ruppe entrambi i vasi. Subito il burro contenuto in uno di essi venne fuori e si sparse sulla superficie dell'acqua. I sassi contenuti nell'altro vaso, invece, uscirono e rimasero sul fondo. Allora il Buddha disse: "Bene, giovane, questo è il massimo che posso fare. Ora chiamate i vostri sacerdoti e operatori di miracoli e chiedete loro di iniziare a cantare e a pregare: "Oh, sassi, risalite, risalite alla superficie! Oh, burro, scendi, scendi sul fondo!" Fatemi vedere se ciò accade." "Oh, signore, perché mi prendete in giro! Come é possibile? I sassi, più pesanti dell'acqua, sono costretti a restare sul fondo: non possono riemergere, questa é la legge di natura! Il burro è più leggero dell'acqua, é costretto a rimanere in superficie: non può scendere, questa è la legge di natura!" "O giovane, conoscete tanto bene le leggi di natura, ma non avete capito questa legge naturale: se durante tutta la sua vita vostro padre ha compiuto azioni pesanti come sassi, è costretto ad affondare; chi può riportarlo su? E se tutte le sue azioni sono state leggere come questo burro, è costretto a salire; chi può tirarlo giù?"Tanto più presto comprenderemo le leggi di

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natura e cominceremo a vivere secondo i suoi dettami, quanto prima usciremo dall'infelicità. (9)

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CAPITOLO QUINTO

LA PRATICA DELLA CONDOTTA MORALE

Il nostro compito è di eliminare la sofferenza sradicandone le cause: ignoranza, bramosia e avversione. Per conseguire questo scopo, il Buddha ha scoperto, seguito e insegnato una via pratica. Ha chiamato questa via il Nobile Ottuplice Sentiero. (*Per una definizione del Nobile Ottuplice Sentiero v. il Glossario sotto la voce ariya atthangika magga). Una volta, alla richiesta di spiegare la via con parole semplici, il Buddha disse:

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"Astenersi dalle azioni malvagie,compiere solo azioni buone,purificare la mente:questo è l'insegnamento delle persone illuminate. (1)

É un'esposizione molto chiara che può essere accettata da tutti.Tutti sono d'accordo sul fatto che si dovrebbero evitare azioni dannose e compiere solo quelle benefiche. Ma come definire ciò che è benefico e ciò che è dannoso, ciò che è buono e ciò che é nocivo? Quando cerchiamo di far ciò ci basiamo sulle nostre opinioni, sulle convinzioni tradizionali, sulle nostre preferenze e i nostri pregiudizi e di conseguenza otteniamo definizioni parziali e settarie che sono accettabili per qualcuno ma inaccettabili per altri. In luogo di tali ristrette interpretazioni il Buddha ha offerto una definizione universale di buono e dannoso, di pietà e colpa. Ogni azione che reca danno agli altri, che disturba la loro pace e armonia, è un'azione colpevole, un'azione dannosa. Ogni azione che aiuta gli altri, che contribuisce alla loro pace e armonia, é un'azione pia, un'azione valida. Inoltre, la mente viene veramente purificata non attraverso cerimonie religiose o esercizi intellettuali, ma sperimentando direttamente la propria realtà e lavorando sistematicamente per rimuovere i condizionamenti che danno origine alla sofferenza. Il Nobile Ottuplice Sentiero può essere diviso in tre livelli di educazione: s²la,

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samadhi e pañña. S²la è la pratica morale, l'astensione da tutte le azioni dannose sia fisiche che verbali. Samadhi é la pratica della concentrazione, che sviluppa l'abilità di controllare e dirigere coscientemente i propri processi mentali. Pañña è la saggezza, lo sviluppo di una osservazione e comprensione profonda, purificatrice, della propria natura.

Il valore della pratica morale

Chiunque desideri praticare Dhamma deve iniziare con la pratica di s²la. Questo è il primo passo, senza il quale non si può avanzare. Dobbiamo astenerci da tutte le azioni, parole e gesti che recano danno agli altri. É una cosa facile da capire, in quanto la società richiede un simile comportamento per evitare la propria disgregazione. Ma, in effetti, ci asteniamo da tali azioni non solo perché danneggiano gli altri, ma anche perché danneggiano noi stessi. É impossibile commettere un'azione cattiva –insultare, uccidere, rubare o violentare– senza che ciò generi grande agitazione mentale, bramosia, avversione. Queste manifestazioni momentanee di bramosia e avversione sono causa di infelicità ora, e più ancora in futuro. Il Buddha ha detto:

Bruciare ora, bruciare in futuro, chi fa del male soffre doppiamente.Essere felice ora, essere felice in futuro,

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la persona virtuosa gioisce doppiamente. (2)

Non dobbiamo aspettare fin dopo la morte per sperimentare il paradiso e l'inferno; possiamo sperimentarli in questa vita, dentro di noi. Quando commettiamo un'azione negativa sperimentiamo il fuoco dell'inferno della bramosia e dell’avversione. Quando compiamo un'azione positiva sperimentiamo il paradiso della pace interiore. Quindi non è solo per il bene degli altri che ci asteniamo da parole e gesti nocivi, ma a nostro stesso beneficio, per evitare di danneggiare noi stessi.C'é anche un'altra ragione per intraprendere la pratica di s²la. E’ l’aspirazione ad esaminarci, a vedere nel profondo della nostra realtà. Fare questo richiede una mente molto calma e tranquilla. É impossibile vedere nelle profondità di uno specchio d'acqua quando è agitato. L'introspezione richiede una mente calma, libera da qualsiasi turbamento. Ogni volta che si commette un'azione negativa, la mente è pervasa dall'agitazione. Quando ci si astiene da tutte le azioni negative, sia fisiche che mentali, solo allora la mente ha la possibilità di raggiungere uno stato di pace tale per cui può avvenire l’introspezione. C'é ancora un'altra ragione per cui s²la è essenziale: chi pratica Dhamma sta lavorando verso lo scopo ultimo della liberazione da tutte le sofferenze. E mentre è assorbito in questo compito non può essere coinvolto in azioni che rinforzerebbero proprio le abitudini mentali che

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cerca di sradicare. Ogni azione che danneggia gli altri è necessariamente causata e accompagnata da bramosia, avversione e ignoranza. Commettere tali azioni significa retrocedere di due passi per ogni passo che si fa in avanti sul sentiero, cioè impedire ogni progresso verso la meta.La pratica di s²la, inoltre, non solo è necessaria per il bene della società nel suo complesso, ma per il bene di ogni suo membro; e non solo per il benessere materiale di una persona, ma anche per consentirle di progredire lungo il sentiero di Dhamma. Tre parti del Nobile Ottuplice Sentiero rientrano nell’ammaestramento di s²la: giusta parola, giusta azione, giusti mezzi di sussistenza.

Giusta parola

Bisogna parlare in modo puro e benefico. La purezza si raggiunge eliminando l’impurità, e quindi in primo luogo deve esserci chiaro che cosa significhi linguaggio impuro. In esso sono compresi atti quali: dire bugie, cioè dire più o meno la verità, riferire racconti che possono seminare zizzania tra amici, calunniare e diffamare, pronunciare parole dure che disturbano gli altri e che non hanno buoni effetti, darsi a pettegolezzi inutili e chiacchiere senza senso, che sono tempo perso sia per chi le fa che per chi le ascolta. Astenersi da questo

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linguaggio impuro porta automaticamente a un giusto parlare. Non si tratta però di un concetto esclusivamente negativo. Chi pratica la giusta parola, ha spiegato il Buddha:

"É colui che dice la verità ed è fermo nella sua sincerità, degno di fede, sicuro, leale con gli altri. Riconcilia i litiganti e incoraggia l'unità. Ama l'armonia, ricerca l'armonia, gioisce dell'armonia e crea armonia con le sue parole. Il suo dire è garbato, piacevole per l'orecchio, gentile, scalda il cuore, è cortese, gradevole a molti. Egli parla al momento opportuno, secondo i fatti, secondo ciò che è utile, secondo il Dhamma e il Codice di condotta. Le sue parole meritano di essere ricordate, sono tempestive, ben ragionate, ben scelte e costruttive." (3)

Giusta azione

Anche l'azione deve essere pura. Come già a proposito della parola, dobbiamo comprendere in che cosa consista l'azione impura, in modo da potercene astenere. Nel comportamento impuro sono compresi atti quali: uccidere una creatura vivente, rubare, condurre una vita sessuale disdicevole, per esempio commettere adulterio

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o violenza carnale, o intossicarsi fino a non essere più in sé e non sapere quello che si dice o si fa. Evitare queste cinque azioni impure porta automaticamente a un giusto e positivo comportamento.Anche questo non è un concetto esclusivamente negativo. Descrivendo chi pratica la corretta azione fisica, il Buddha ha detto: "Lasciando da parte il bastone e la spada, egli è attento a non recar danno a nessuno, pieno di gentilezza, alla ricerca del bene per tutte le creature viventi. Libero da ogni ambiguità, la sua stessa condotta è quella di un essere puro." (4)

I precetti morali

Per la gente comune, coinvolta nella vita sociale, la via per seguire la giusta parola e la giusta azione è quella di osservare i Cinque Precetti, che sono: 1. astenersi dall'uccidere qualsiasi creatura vivente;2. astenersi dal rubare; 3. astenersi da una condotta sessuale biasimevole; 4. astenersi dal dire il falso; 5. astenersi da sostanze intossicanti. Questi Cinque Precetti sono il minimo essenziale necessario per tenere una condotta moralmente accettabile e devono essere seguiti da chiunque desideri praticare il Dhamma.A volte, nel corso della vita, tuttavia, può presentarsi la possibilità di accantonare

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temporaneamente –forse per pochi giorni, forse solo per un giorno– i problemi quotidiani per purificare la mente e lavorare per la liberazione. E’ il tempo da dedicare a una seria pratica di Dhamma, e di conseguenza la propria condotta deve essere ancor più attenta che nella vita ordinaria. É importante inoltre evitare azioni che possano distrarre dall’opera di autopurificazione o interferire con essa. E’ in questo periodo che si osservano gli otto precetti. Questi comprendono i cinque precetti di base, con una modifica: invece di astenersi solo da una condotta sessuale biasimevole, ci si astiene da ogni attività sessuale. Inoltre ci si impegna a non mangiare fuori del tempo previsto (ovvero dopo mezzogiorno), ad astenersi da ogni piacere sensuale e ornamento fisico, nonché dall'uso di letti troppo confortevoli. La richiesta di astinenza sessuale e i precetti addizionali favoriscono la calma e l'attenzione necessarie per il lavoro interiore, e aiutano a liberare la mente da tutte le interferenze esterne. Gli Otto Precetti devono essere seguiti solo nel periodo dedicato alla pratica intensiva di Dhamma. Quando il periodo é concluso, come guida per la condotta morale i laici possono fare di nuovo capo ai Cinque Precetti. Infine ci sono i Dieci Precetti per chi ha scelto di vivere senza casa, come gli eremiti, i monaci mendicanti, le monache. Questi Dieci Precetti sono comprensivi dei primi otto, con il settimo diviso in due parti più un ulteriore precetto: astenersi dall'accettare denaro. Gli eremiti

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devono sostentarsi solamente con la carità ricevuta per essere liberi di dedicarsi completamente al lavoro di purificazione della mente a beneficio proprio e di tutti. I precetti, siano essi cinque, otto o dieci, non sono delle vuote formule dettate dalla tradizione: sono, letteralmente, " passi per proseguire nel cammino", dei mezzi molto pratici per ottenere la certezza che le proprie parole e le proprie azioni non recano danno né agli altri né a se stessi.

Giusti mezzi di sussistenza

Ogni persona deve sostentarsi in modo appropriato. Ci sono due criteri per stabilire un giusto modo di guadagnarsi la vita. Innanzitutto, non dovrebbe essere necessario trasgredire i Cinque Precetti nel proprio lavoro, perché chi si comporta in questo modo, ovviamente, danneggia gli altri. Inoltre, non si dovrebbe far nulla che incoraggi gli altri a trasgredire i precetti, dal momento che anche questo causa danno. I nostri mezzi di sussistenza non dovrebbero comportare danni agli altri esseri, né direttamente né indirettamente.Per cui ogni mezzo di sussistenza che richieda l'uccisione sia di esseri umani che di animali, è chiaramente un mezzo di sussistenza non giusto. Ma anche se l'uccisione viene compiuta da altri e si ha a che fare semplicemente con le parti dell'animale macellato –la pelle, la carne,

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le ossa e così via– anche questo non è un giusto mezzo di sussistenza, perché si è dipendenti dalle cattive azioni altrui. Vendere liquori o droghe può essere molto remunerativo, ma anche se non li si consuma personalmente, l'atto di vendere incoraggia gli altri a fare uso di sostanze intossicanti e quindi a danneggiarsi.Gestire una casa da gioco consente forti guadagni, ma tutti quelli che la frequentano si procurano un danno. Vendere veleni o armamenti –armi, munizioni, bombe, missili– è un buon affare, ma nuoce alla pace e all'armonia dei popoli. Nessuno di questi è un mezzo di sussistenza corretto. Anche se un certo tipo di lavoro può in effetti non recare danno ad alcuno, se però è compiuto con l'intenzione di danneggiare gli altri non è un giusto mezzo di sussistenza. Il medico che spera in un’epidemia o il commerciante che spera in una carestia non praticano un giusto modo di sussistenza. Ogni essere umano è membro della società. Rispondiamo ai nostri obblighi nei confronti della società con il lavoro che facciamo, servendo il nostro prossimo in modi diversi. In cambio riceviamo dei mezzi di sussistenza. Anche un monaco, un eremita ha un preciso lavoro per mezzo del quale si guadagna le elemosine che riceve: il lavoro di purificare la sua mente per il bene e il beneficio di tutti. Se inizia a sfruttare gli altri, ingannando la gente con riti magici o con false affermazioni di grande crescita spirituale, allora egli non pratica

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un giusto modo di sussistenza.Qualsiasi remunerazione ci viene data in cambio del nostro lavoro, deve essere utilizzata per sostentarci e sostentare chi dipende da noi. Se c'é un’eccedenza, almeno una parte dovrebbe essere restituita alla società per venire utilizzata a favore di altri. Se c'é l'intenzione di essere utili alla società, mantenendo se stessi e aiutando gli altri, allora il lavoro che si fa é un giusto mezzo di sussistenza.

La pratica di s²la in un corso di meditazione Vipassana.

La giusta parola, la giusta azione e i giusti mezzi di sussistenza dovrebbero essere messi in pratica perché hanno un senso sia per noi che per gli altri. Un corso di meditazione Vipassana offre la possibilità di applicare tutti questi aspetti di s²la. E’un periodo destinato alla pratica intensiva di Dhamma e quindi tutti i partecipanti si attengono agli Otto Precetti. Tuttavia, chi frequenta il corso per la prima volta e chi ha dei problemi di salute godono di un trattamento speciale, in quanto possono consumare un pasto leggero la sera. Per questa ragione tali persone seguono formalmente solo i Cinque Precetti, anche se sotto tutti gli altri aspetti osservano effettivamente gli Otto Precetti.Oltre ai precetti, tutti i partecipanti devono osservare il silenzio fino all'ultimo giorno del

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corso. Possono parlare con l'insegnante o con gli organizzatori, ma non con gli altri meditatori. In questo modo si limitano al minimo le distrazioni e le persone possono vivere e lavorare in spazi ristretti senza disturbarsi a vicenda. In questa atmosfera calma, tranquilla e pacifica, è possibile dedicarsi al delicato compito dell'introspezione.In cambio della loro attività di introspezione, i meditatori ricevono cibo e alloggio, il cui costo è stato sostenuto da altri. In tal modo, durante il corso, essi vivono più o meno come veri monaci, contando sulla carità di altri. Compiendo il proprio lavoro nel modo migliore, per il bene proprio e degli altri, i meditatori che partecipano a un corso di Vipassana praticano un modo corretto di sussistenza. La pratica di s²la è parte integrante del sentiero di Dhamma. Senza di essa non ci sarebbero progressi sul sentiero, perché la mente rimarrebbe troppo agitata per indagare la realtà interiore. Ci sono quelli che insegnano che lo sviluppo spirituale è possibile senza s²la. Qualsiasi cosa dicano di fare, tali persone non seguono l'insegnamento del Buddha. Senza praticare s²la è possibile sperimentare vari stati di estasi, ma è un errore considerare questi ultimi come realizzazioni spirituali. Certamente senza s²la non si può mai liberare la mente dalla sofferenza e sperimentare la verità ultima.

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Domande e risposte

DOMANDA: Compiere un'azione giusta è una forma di attaccamento?

SATYA NARAYAN GOENKA: No, è semplicemente fare del proprio meglio, comprendendo che i risultati sono al di là del nostro controllo. Fate il vostro lavoro e lasciate i risultati alla natura, a Dhamma: " Ciò che deve accadere, accadrà”.

Allora dobbiamo essere disposti a commettere degli errori?

Se commettete un errore, accettatelo e cercate di non ripeterlo la prossima volta. Se vi capita di sbagliare ancora, sorridete di nuovo e cercate una via diversa. Se potete sorridere di fronte al fallimento, non c’è attaccamento. Ma se il fallimento vi deprime e il successo vi esalta, c’è senz’altro attaccamento.

Allora l’azione corretta è solo lo sforzo di fare, non il risultato ?

Esatto. Il risultato sarà automaticamente buono se la nostra azione è buona. Dhamma se ne prenderà cura. Non abbiamo il potere di scegliere il risultato, ma possiamo scegliere la nostra azione. Fate solo il meglio che potete.

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É un'azione sbagliata fare del male ad un altro accidentalmente ?

No. Ci deve essere l’intenzione di fare il male ad un essere particolare e si deve riuscire a provocare un danno; solo allora un'azione negativa è completa. S²la non dovrebbe essere portata all'estremo, il che non è né pratico né benefico. D'altra parte, è ugualmente pericoloso essere così sventati nelle azioni da far male agli altri e poi scusarsi per il fatto che non se ne aveva l’intenzione. Dhamma ci insegna ad essere consapevoli.

Qual'è la differenza tra una comportamento sessuale corretto e comportamento sbagliato? É una questione di volontà?No. Il sesso ha un suo posto nella vita di un laico. Non deve essere forzatamente soppresso, perché l’astinenza forzata produce tensioni che a loro volta creano altri problemi, altre difficoltà. Tuttavia, chi dà libero sfogo alle urgenze sessuali e si permette di avere relazioni sessuali con chiunque, ogniqualvolta nasce una passione, allora non potrà mai liberare la sua mente dalle passioni. Evitando questi due estremi ugualmente pericolosi, Dhamma offre una via di mezzo, una sana espressione della sessualità che permette lo sviluppo spirituale, e cioè una relazione sessuale tra un uomo e una donna che si sono impegnati l'uno con l'altro. E se entrambi i partner sono meditatori di Vipassana, quando la passione sorge, entrambi

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la osservano. Questo non è né repressione né licenza. Per mezzo dell’osservazione è possibile liberarsi facilmente dalla passione. A volte una coppia avrà ancora dei rapporti sessuali, ma gradualmente raggiungerà lo stadio in cui il sesso non ha più alcun significato. Questo è lo stadio dell’astinenza reale, naturale, in cui la mente non è neppure sfiorata dall'idea della passione. Questa astinenza dà una gioia che va oltre ogni soddisfazione sessuale. Ci si sente sempre contenti, armoniosi. Si deve imparare a sperimentare questa autentica felicità.

In Occidente molti pensano che i rapporti sessuali tra due adulti consenzienti sono leciti.

Questa opinione è molto lontana da Dhamma. Chi ha rapporti sessuali con una persona, e poi con un’altra e poi con un’altra ancora, moltiplica la sua passione e la sua infelicità. Bisogna essere impegnati con una sola persona o scegliere il celibato.

Cosa pensate dell'uso di droghe per sperimentare altri stati di coscienza e di realtà diverse ?

Alcuni studenti mi hanno riferito che con l'uso di droghe psichedeliche sono passati attraverso esperienze simili a quelle che hanno incontrato con la meditazione. Sia che questo sia o non sia vero, avere un’esperienza indotta da una droga è una forma di dipendenza da un agente

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esterno. Dhamma, invece, vi insegna a diventare padroni di voi stessi così da poter sperimentare la realtà a vostro piacimento, ogni volta che lo desiderate. Un'altra differenza molto importante è che l'uso di droghe fa perdere a molti l'equilibrio mentale e li danneggia, mentre l'esperienza della verità fatta con la pratica di Dhamma rende i meditatori più equilibrati, senza arrecare danno a se stessi o ad altri.

Il quinto precetto significa astenersi da sostanze intossicanti o astenersi dal diventare intossicato? Dopo tutto, bere con moderazione, senza ubriacarsi, non mi sembra particolarmente dannoso. Oppure affermate che bere anche un solo bicchiere di alcol significa contravvenire a s²la?

Bevendo anche solo una piccola quantità, alla lunga si sviluppa bramosia per l'alcol. La gente non se ne accorge, ma fa il primo passo verso la dipendenza, che è certamente dannosa per tutti. Ogni dipendenza inizia da un solo bicchiere. Perché fare il primo passo verso la sofferenza? Chi pratica seriamente la meditazione e un giorno beve un bicchiere di vino senza pensarci o per convenienza sociale, quel giorno scoprirà che la sua meditazione è debole. Dhamma non va d'accordo con l'uso di sostanze intossicanti. Chi desidera veramente svilupparsi in Dhamma, deve rimanere libero da tutte le sostanze intossicanti. Questa è

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l'esperienza di migliaia di meditatori.I due precetti concernenti il comportamento sessuale scorretto e l'uso di sostanze intossicanti devono essere ben compresi dagli occidentali.

La gente spesso dice: " Se ti fa sentir bene, deve essere giusto."

Perché non vede la realtà. Quando fate un'azione con avversione, automaticamente diventate consapevoli del turbamento mentale che questa provoca. Quando però fate un'azione spinti dalla bramosia, essa sembra piacevole al livello superficiale della mente, ma c'é agitazione a un livello più profondo. Vi sembra di star bene solo per ignoranza. Quando comprendete che con tali azioni vi fate del male, naturalmente non le fate più.

Mangiare carne è contravvenire a s²la?

No, a meno che non abbia lui stesso ucciso l'animale. Se una persona trova della carne cucinata per lei, e la gradisce come qualsiasi altro cibo, non c’è trasgressione. Ma, certamente, mangiando carne, si incoraggia indirettamente qualcun altro a trasgredire il precetto uccidendo. Mangiare carne, poi, è dannoso anche a un livello più sottile. Ad ogni istante gli animali generano bramosia e avversione, sono incapaci di osservarsi e di

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purificarsi la mente. Ogni fibra del loro corpo è permeata di bramosia e avversione. Questo è il messaggio che le persone ricevono allorché non mangiano dei cibi vegetariani. Un meditatore cerca di sradicare bramosia e avversione, e quindi troverà utile evitare tali cibi.

E’ questo il motivo per cui durante un corso la dieta è vegetariana?

Sì, è la cosa migliore per la meditazione Vipassana.

Raccomandate una dieta vegetariana anche nella vita quotidiana ?

E’ utile anche questo.

Per un meditatore è accettabile arricchirsi?

Se praticate Dhamma, siete felici anche se non vi arricchite. Ma se vi arricchite e non praticate Dhamma, restate infelici. Dhamma è più importante. Chi vive nel mondo, deve sostentarsi, deve guadagnarsi da vivere onestamente, con il duro lavoro, e non c'é niente di sbagliato in questo: ma fatelo con Dhamma.

Se capita che il proprio lavoro abbia un effetto negativo, se ciò che si fa può essere usato in modo negativo, è questo un mezzo improprio di sussistenza?

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Dipende dalle intenzioni. Se a una persona interessa solo accumulare denaro, e quindi pensa: "Non mi importa che gli altri siano danneggiati, finché faccio soldi", questo è un modo sbagliato di guadagnarsi da vivere. Ma se ha l’intenzione di essere utile alla società e, nonostante questo, qualcuno è danneggiato, non può essere biasimata per questo.

La società per cui lavoro produce uno strumento che fra le altre cose è usato per ottenere dati sulle esplosioni atomiche. Mi hanno chiesto di occuparmi di questo prodotto e in qualche modo non mi sembra giusto.

Se una certa cosa verrà utilizzata solo per fare del male ad altri, certamente non dovete essere coinvolti. Ma se può essere usata sia per scopi positivi che negativi, non siete responsabili dell'uso che altri possono farne. Fate il vostro lavoro con l'intenzione che gli altri lo utilizzino esclusivamente a fini leciti. Non c'é nulla di sbagliato in questo.

Che ne pensate del pacifismo?

Se per pacifismo si intende l’inazione di fronte all'aggressione, certamente è sbagliato. Dhamma insegna ad agire in modo positivo, ad essere pratici.

E cosa pensate dell’uso della resistenza passiva,

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insegnato dal Mahatma Gandhi e da Martin Luther King?

Dipende dalla situazione. Se un aggressore non capisce altro linguaggio che quello della forza, si deve usare la forza fisica, mantenendo sempre l'equanimità. Altrimenti si deve usare la resistenza passiva: non per paura ma come un atto di coraggio morale. Questa è la via di Dhamma e questo è ciò che Gandhi aveva insegnato a fare alla gente. Fronteggiare a mani vuote un'aggressione armata richiede coraggio; per farlo si deve essere preparati a morire. La morte arriverà certamente prima o poi. Si può morire con paura o con coraggio. Gandhi era solito dire ai suoi seguaci che dovevano affrontare un'opposizione violenta: "Che le ferite siano sul vostro petto e non sulle vostre spalle". Egli ha raggiunto il suo scopo, perché Dhamma era in lui.

Voi stesso avete detto che la gente può avere meravigliose esperienze durante la meditazione pur senza osservare i precetti. Non le sembra dogmatico e categorico sottolineare così fortemente la condotta morale?

Ho visto, sulla base dell’esperienza di molti studenti, che chi non dà importanza a s²la non può fare progressi sul sentiero. Queste persone possono frequentare i corsi per anni e avere meravigliose esperienze di meditazione, ma senza che nella loro vita ci siano cambiamenti.

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Restano agitati e infelici perché stanno solo giocando con Vipassana, così come hanno giocato con altri metodi. Persone così sono dei veri perdenti. Quelli che vogliono davvero servirsi di Dhamma per cambiare la propria vita in meglio, debbono praticare s²la il più attentamente possibile.

La ricetta medica Un uomo si ammala e va dal medico. Questi lo visita, poi gli prescrive delle medicine. L'uomo ha molta fiducia nel suo medico. Ritorna a casa e nella sua stanza di preghiera mette un ritratto o una bellissima statua del medico. Poi si siede e tributa onori alla statua o al ritratto: si inchina tre volte e gli offre fiori e incenso. Quindi prende la ricetta e la recita solennemente: "Due pillole al mattino! Due pillole al pomeriggio! Due pillole alla sera!" Tutti i giorni, per tutta la vita, continua a recitare la ricetta, perché ha grande fiducia nel suo medico, ma la sola ricetta non lo aiuta.L'uomo decide di saperne di più sulla ricetta e così corre di nuovo dal medico e gli chiede: "Perché mi avete prescritto questa medicina? In che modo potrà giovarmi?" Il medico, che è una persona intelligente, gli spiegherà: "La vostra malattia è questa, e la causa della malattia è quest’altra: se prendete la medicina che vi ho prescritto, essa eliminerà la causa della vostra malattia. Quando la causa sarà eliminata, la malattia automaticamente sparirà." L'uomo pensa: "Meraviglioso! Il mio medico é così

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intelligente! Le sue ricette sono così utili!" Va a casa e inizia a litigare con i suoi vicini e conoscenti insistendo: "Il mio medico è il migliore! Tutti gli altri non servono a niente!" Ma che cosa ottiene con questi discorsi? Può continuare a discutere per tutta la vita, ma questo non lo aiuterà affatto. Solo se prenderà la medicina uscirà fuori dalla sua infelicità, dalla malattia. Solo allora la medicina lo aiuterà. Ogni persona liberata è come un medico. Spinto dalla compassione, prescrive delle ricette per aiutare gli altri a liberarsi dalla sofferenza. Ma la gente sviluppa una fede cieca in queste persone e trasforma le ricette in dogmi, iniziando a combattere con altre sette per affermare la supremazia dell'insegnamento del fondatore della propria religione, invece di praticare l'insegnamento, di prendere la medicina prescritta per eliminare la malattia.Avere fiducia in un medico è utile se incoraggia il paziente a seguire i suoi consigli. Capire come agisce un medicamento è utile se ne incoraggia l’assunzione. Ma senza prendere effettivamente la medicina, non si può curare la malattia. E quindi ciascuno di voi personalmente deve prendere la propria medicina.

CAPITOLO SESTO

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LA PRATICA DELLA CONCENTRAZIONE

Con la pratica di s²la tentiamo di controllare le nostre parole e le nostre azioni fisiche. Tuttavia, le cause della sofferenza si trovano nelle nostre azioni mentali. Misurare soltanto le nostre parole e azioni è inutile se la mente continua a ribollire fra bramosie, avversioni e azioni mentali dannose. Sdoppiati in questo modo, non potremo mai essere felici. Prima o poi bramosia e avversione proromperanno e ci spingeranno a trasgredire s²la, danneggiando noi stessi e gli altri. Il nostro intelletto ci avverte che è sbagliato commettere azioni dannose: dopo tutto, per migliaia di anni le religioni hanno predicato l'importanza della morale. Ma quando sopraggiunge una tentazione, essa sovrasta la mente e allora si trasgredisce s²la. Un alcolizzato può essere perfettamente conscio che non dovrebbe bere perché l'alcol gli fa male, ma, quando il desiderio nasce, egli cerca l'alcol e si intossica. Non può fermarsi, perché non ha alcun controllo sulla sua mente. Ma quando si impara a non commettere un’azione mentale dannosa, diviene facile trattenersi da parole e azioni dannose. Poiché il problema ha origine nella mente, dobbiamo confrontarci con esso a livello mentale; e per farlo dobbiamo intraprendere la

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pratica di bhavana, che significa letteralmente "sviluppo mentale" e che, nel linguaggio comune, si designa con il termine “meditazione”.Sin dai tempi del Buddha, il significato della parola bhavana era diventato vago in quanto la pratica era caduta in disuso. In tempi recenti è stata utilizzata in riferimento a qualsiasi tipo di esercizio mentale o di elevazione spirituale, persino ad attività come leggere, parlare, ascoltare o riflettere su Dhamma. Il termine "meditazione", come viene per lo più tradotto il sostantivo pali bhavana, viene usato anche in riferimento a svariate attività, dal rilassamento mentale ai sogni a occhi aperti e alle libere associazioni fino all'autoipnosi. Tutto questo é ben lontano da ciò che il Buddha intendeva significare con bhavana. Con questo termine egli si riferiva a specifici esercizi mentali, a tecniche precise per concentrare e purificare la mente.Bhavana comprende due importanti parti o sezioni: la concentrazione (samadhi) e la saggezza (pañña). La pratica della concentrazione è anche definita "sviluppo della tranquillità " (samatha-bhavana) e quella della saggezza "sviluppo della comprensione profonda”, (vipassana-bhavana). La pratica di bhavana inizia con la concentrazione che è la seconda suddivisione del Nobile Ottuplice Sentiero. É l'azione benefica di imparare a controllare i processi mentali, per padroneggiare la propria mente. Tre parti del

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sentiero si collocano sotto questo tipo di pratica: il giusto sforzo, la giusta consapevolezza e la giusta concentrazione.

Il giusto sforzo

E’ il primo passo della pratica di bhavana. La mente viene facilmente sopraffatta dall'ignoranza, influenzata dalla bramosia e dall'avversione.Sta a noi rinforzarla, così che diventi salda e stabile, uno strumento utile per esaminare la nostra natura ai livelli più profondi, per scoprire e quindi rimuovere i nostri condizionamenti.Il medico che desidera diagnosticare la malattia di un suo paziente, preleverà un campione di sangue e lo esaminerà al microscopio: e per far questo innanzitutto dovrà metterlo a fuoco e fissarlo in questa posizione. Solo allora sarà possibile osservare il campione, scoprire la causa della malattia e determinare la cura appropriata per eliminarla. Allo stesso modo noi dobbiamo imparare a mettere a fuoco la mente, fissarla e mantenerla su un singolo oggetto di attenzione. In tal modo la trasformiamo in uno strumento atto ad esaminare la nostra realtà più sottile e profonda. Il Buddha ha indicato varie tecniche per concentrare la mente, adattandole alle caratteristiche di ciascuna persona che andava da lui per ricevere l’insegnamento. La tecnica più appropriata per esplorare la realtà interiore,

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la tecnica che il Buddha stesso praticò, è quella dell’anapana-sati, la "consapevolezza della respirazione".La respirazione è un oggetto su cui concentrare l'attenzione alla portata di tutti, perché tutti respiriamo dal momento in cui veniamo alla luce fino al momento in cui moriremo. É un oggetto di meditazione universalmente accessibile e universalmente accettabile. Per iniziare la pratica di bhavana, i meditatori si siedono, assumono una posizione eretta e confortevole e chiudono gli occhi. Dovrebbero stare in una stanza tranquilla, senza possibilità di distrazioni. Volgendosi dal mondo esteriore a quello interiore, essi constatano che l'attività più preminente è il loro respiro; per cui rivolgono l’attenzione a questo oggetto: il respiro che entra ed esce dalle loro narici.Non si tratta di un esercizio di respirazione, ma di un esercizio di consapevolezza. Lo sforzo non è quello di controllare il respiro, ma di prendere coscienza di come il respiro stesso si manifesta: se è lungo o corto, pesante o leggero, forte o delicato. Si fissa l'attenzione sul respiro il più a lungo possibile, senza alcuna distrazione che rompa la continuità della consapevolezza. Tutti i meditatori si accorgono subito di quanto sia difficile. Se ci sforziamo di concentrarci sulla respirazione, iniziamo a lamentare dei dolori alle gambe. Se cerchiamo di eliminare tutti i pensieri che ci distraggono, ecco che ci si presentano alla mente migliaia di cose: ricordi, progetti, speranze, paure. Una di queste ci

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cattura l'attenzione e dopo un po’ ci rendiamo conto che abbiamo completamente dimenticato il respiro. Iniziamo di nuovo, con rinnovata determinazione, e di nuovo, poco dopo, ci rendiamo conto che la mente é sgusciata via a nostra insaputa. Chi è che controlla? Quando ci si dedica a questo esercizio, diviene subito molto chiaro che di fatto la mente è al di fuori del nostro controllo. Come un bambino viziato che prende un giocattolo, si annoia e ne prende un altro, e poi un altro ancora, la mente corre da un pensiero, da un oggetto di attenzione a un altro, fuggendo dalla realtà. Questa è un’abitudine radicata della nostra mente, è il modo in cui si è sempre comportata durante la nostra vita. Ma una volta che iniziamo a indagare la nostra vera natura, questa distrazione deve cessare. Dobbiamo cambiare gli schemi mentali abituali e imparare a rimanere nella realtà. Cominciamo facendo in modo di fissare l'attenzione sul respiro. Quando notiamo che essa sta divagando, con calma e pazienza riportiamola di nuovo indietro. Se non ci riusciamo, riproviamo una seconda volta e magari una terza. Sorridendo, senza tensione, senza scoraggiarci, continuiamo a ripetere l'esercizio. Dopo tutto, le abitudini di una vita non si cambiano in pochi minuti. Il compito richiede una pratica continua e ripetuta, molta calma e pazienza. Ecco come sviluppare la consapevolezza della realtà. Questo è il giusto modo di compiere degli sforzi. Il Buddha ha descritto quattro tipi di giusto

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sforzo:

-prevenire l’insorgere di stati d'animo malvagi e nocivi;-abbandonarli qualora dovessero sorgere;-generare stati d'animo benefici che ancora non ci sono;-mantenerli senza interruzione, sviluppandoli fino alla piena maturità e perfezione. (1)

Praticando la consapevolezza del respiro, si praticano contemporaneamente tutti e quattro i tipi di sforzo sopraelencati. Sedendoci tranquilli e fissando l’attenzione sul respiro senza che intervengano altri pensieri, inneschiamo e manteniamo un salutare stato di autoconsapevolezza. Ci sforziamo di non cadere in distrazioni o in assenze, di non perdere di vista la realtà. Se sorge un pensiero, non lo seguiamo ma riportiamo di nuovo la nostra attenzione sul respiro. In tal modo, sviluppiamo la capacità della mente di rimanere concentrata su un determinato oggetto di attenzione e di resistere alle distrazioni: due qualità essenziali per la concentrazione.

La giusta consapevolezza

Osservare la respirazione è anche un mezzo per praticare la giusta consapevolezza. La nostra sofferenza discende dall'ignoranza. Reagiamo perché non conosciamo la nostra realtà. La

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mente trascorre la maggior parte del tempo persa in fantasie e illusioni, rivivendo esperienze piacevoli e spiacevoli e anticipando il futuro con impazienza o con paura. Mentre siamo persi in tali bramosie e avversioni, non siamo consapevoli di ciò che sta avvenendo in questo istante, di ciò che stiamo facendo ora. E tuttavia, per ciascuno di noi, questo istante, qui-e-ora, è proprio il più importante. Non possiamo vivere nel passato, perché se ne é andato. Non possiamo vivere nel futuro, perché è sempre al di là della nostra portata. Possiamo vivere solo nel presente.Se siamo inconsapevoli delle nostre azioni presenti, siamo condannati a ripetere gli errori del passato e non potremo mai riuscire a realizzare i nostri sogni nel futuro. Ma se siamo in grado di sviluppare la capacità di essere consapevoli del momento presente, possiamo servirci del passato come di una guida per regolare le nostre azioni future, così da poter conseguire il nostro scopo.Dhamma è il sentiero del qui-e-ora. Pertanto dobbiamo sviluppare la nostra capacità di essere consapevoli del momento presente. Abbiamo bisogno di un metodo per concentrare l'attenzione sulla nostra realtà del momento, e questo metodo è la tecnica di anapana-sati. La sua pratica sviluppa la consapevolezza di sé qui-e-ora: in questo momento inspirando, in questo momento espirando. Praticando la consapevolezza del respiro, diventiamo consapevoli del momento presente.

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Un'altra ragione per sviluppare la consapevolezza del respiro é il desiderio di sperimentare la realtà ultima. Concentrarsi sul respiro può aiutarci a esplorare qualsiasi cosa di noi che ci è ancora sconosciuta, a portare alla coscienza tutto ciò che è inconscio. Tale concentrazione agisce da ponte fra la parte conscia e quella inconscia della mente, perché il respiro funziona sia consciamente che inconsciamente. Possiamo decidere di respirare in un modo particolare, di controllare la respirazione. Possiamo persino smettere di respirare per un po’. E tuttavia, quando interrompiamo i tentativi di controllare la respirazione, essa continua senza alcuna sollecitazione. Per esempio, possiamo iniziare a respirare intenzionalmente, con una certa forza, per fissare più facilmente la nostra attenzione. Appena la consapevolezza del respiro diventa chiara e stabile, permettiamo al respiro di procedere naturalmente, sia esso forte o leggero, profondo o superficiale, lungo o corto, veloce o lento. Non facciamo alcuno sforzo per regolarlo, lo sforzo é solo quello di esserne consapevoli. Attraverso la consapevolezza della respirazione naturale, possiamo cominciare a osservare il funzionamento automatico del corpo, un'attività che generalmente è inconscia. Dall'osservazione della realtà grossolana del respiro intenzionale, siamo passati ad osservare la realtà più sottile del respiro naturale. Abbiamo iniziato a muoverci oltre la realtà

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superficiale verso la consapevolezza di una realtà più sottile. Un’altra ragione per sviluppare la consapevolezza del respiro consiste nel fatto che essa ci permette di liberarci dalla bramosia, dall'avversione e dall'ignoranza, divenendone in primo luogo consapevoli. E’ un’operazione in cui il respiro ci può aiutare, in quanto agisce come riflesso del proprio stato mentale. Quando la mente è calma e in pace, il respiro è regolare e non faticoso. Ma ogni volta che nella mente sorgono stati negativi, siano essi di ira, odio, paura o passione, allora il respiro diventa più aspro, pesante e rapido, avvertendoci così del nostro stato mentale e consentendoci di affrontarlo. C'é però un'altra ragione per praticare la consapevolezza del respiro. Dal momento che il nostro scopo è conseguire una mente libera da qualsiasi negatività, dobbiamo fare attenzione che ogni passo che compiamo verso tale scopo sia puro e benefico. Anche allo stadio iniziale del conseguimento di samadhi, dobbiamo usare un oggetto di attenzione benefico, come lo è il respiro. Infatti non possiamo provare bramosia e avversione nei confronti del respiro, in quanto è una realtà totalmente scissa sia dall'illusione che dalla delusione. Costituisce quindi un oggetto d’attenzione appropriato.Nel momento in cui la mente è pienamente concentrata sul respiro, è libera dalla bramosia, libera dall'avversione, libera dall'ignoranza. Per quanto breve possa essere tale momento di

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purezza, è tuttavia assai potente perché sfida tutti i nostri condizionamenti passati. Tutte le reazioni accumulate sono stimolate e iniziano a manifestarsi come difficoltà di vario tipo, mentali o fisiche, che ostacolano i nostri sforzi tesi a sviluppare la consapevolezza. Possiamo sperimentare l'impazienza di progredire, che è una forma di bramosia, così come può sorgere avversione, sotto forma di collera e depressione, perché i progressi ci sembrano lenti. Talvolta veniamo sopraffatti dalla sonnolenza e ci assopiamo non appena ci sediamo a meditare. Talvolta siamo in uno stato di agitazione tale che non riusciamo a star fermi o cerchiamo delle scuse per evitare di meditare. Talvolta, infine, lo scetticismo mina la volontà di lavorare: dubbi ossessivi e irragionevoli sul nostro insegnante o sull'insegnamento stesso, oppure sulla nostra capacità di meditare. Quando sorgono queste difficoltà, ci viene persino in mente di lasciar perdere completamente la pratica.E’ in queste circostanze che dobbiamo comprendere che questi ostacoli sono una reazione al nostro successo nella pratica della consapevolezza del respiro. Se perseveriamo, poco per volta essi spariranno e il lavoro diventerà più facile, in quanto anche in questo primo stadio della pratica alcuni strati di condizionamento vengono sradicati dalla superficie della mente. In tal modo, anche quando pratichiamo la consapevolezza del respiro, iniziamo a ripulire la mente e ad

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avanzare verso la liberazione.

La giusta concentrazione

Fissare l'attenzione sul respiro sviluppa la consapevolezza del momento presente. E una giusta concentrazione consiste nel mantenere questa consapevolezza momento per momento, il più a lungo possibile.Anche nelle azioni quotidiane della vita ordinaria é richiesta la concentrazione ma questa non è necessariamente giusta concentrazione. Una persona può concentrarsi per soddisfare un desiderio sensuale o per prevenire una paura. Un gatto aspetta con tutta l'attenzione concentrata sulla tana di un topo, pronto ad assalirlo non appena compare. Un borsaiolo si concentra sul portafoglio della sua vittima, aspettando il momento per prenderlo. Di notte, dal suo lettino, un bimbo fissa impaurito l'angolo più scuro della stanza, immaginando dei mostri nascosti nell'ombra. In nessuno di questi casi c’è la giusta concentrazione, la concentrazione, cioè, che può essere usata per la liberazione. Samadhi deve avere come suo centro un oggetto che è libero da tutte le bramosie, da tutte le avversioni e da tutte le illusioni. Nel praticare la consapevolezza del respiro si scopre quanto sia difficile mantenere una consapevolezza ininterrotta. Nonostante la ferma determinazione di non distogliere l'attenzione

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dal respiro, in qualche modo essa scivola via inosservata. Scopriamo di essere come un ubriaco che, cercando di camminare lungo una linea retta, procede invece a zigzag. Ed effettivamente siamo ubriachi, per la nostra ignoranza e le nostre illusioni, e così continuiamo a vagare nel passato o nel futuro, nella bramosia o nell'avversione. Non possiamo rimanere sul giusto sentiero della consapevolezza prolungata. I meditatori dovrebbero essere sufficientemente saggi da non farsi deprimere o scoraggiare da queste difficoltà, bensì comprendere che ci vuole molto tempo per cambiare le abitudini mentali sedimentate nel corso di tanti anni e che ciò può essere fatto solo attraverso un lavoro costante, ininterrotto, paziente e perseverante. Il nostro compito consiste semplicemente nel riportare l’attenzione al respiro non appena notiamo che si è smarrita. Se possiamo far questo, abbiamo compiuto un importante passo verso il cambiamento di tutte le abitudini vagabonde della nostra mente. E attraverso una pratica ripetuta diventa possibile riportare di nuovo l'attenzione sul respiro sempre più rapidamente. Con gradualità, i periodi di negligenza si accorciano sempre più, mentre aumentano quelli di samadhi, di consapevolezza prolungata.Quando la concentrazione si rafforza, cominciamo a sentirci rilassati, felici e pieni di energia. A poco a poco il respiro cambia, diviene più lieve, regolare, leggero, superficiale.

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A volte può sembrare che la respirazione sia del tutto cessata. Di fatto, appena la mente si tranquillizza, anche il corpo si calma e il metabolismo rallenta, per cui è richiesto meno ossigeno. A questo livello, alcuni possono avere delle esperienze inusuali: vedere luci o avere visioni mentre siedono ad occhi chiusi, o udire suoni fuori dall'ordinario, per esempio. Tutte queste cosiddette esperienze extrasensoriali sono dei semplici segnali che indicano che la mente ha conseguito un più alto livello di concentrazione. In se stessi, questi fenomeni non hanno importanza e non bisogna prestar loro attenzione. L'oggetto della consapevolezza rimane il respiro, tutto il resto è distrazione. Né ci si deve aspettare tali esperienze: in alcuni casi avvengono, in altri no. Tutte queste esperienze inusuali sono unicamente delle pietre miliari che segnalano un progresso sul sentiero. Talvolta queste pietre miliari possono essere fuori vista, o noi possiamo essere così attenti al sentiero che tiriamo dritto senza notarle. Ma se prendiamo una di queste pietre miliari come meta finale e ci aggrappiamo ad essa, cessiamo di fare progressi. Dopotutto, sono innumerevoli le esperienze sensoriali inusuali che si possono avere. Coloro che praticano Dhamma non cercano tali esperienze, ma piuttosto la comprensione profonda della realtà, così da ottenere la liberazione dalla sofferenza.Pertanto continuiamo a prestare attenzione solo al respiro. Non appena la mente acquista

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maggiore concentrazione, il respiro diviene più leggero e più difficile da seguire, e quindi per rimanere consapevoli bisogna esercitare uno sforzo di attenzione ancora più grande. In tal modo continuiamo a levigare la mente, a rendere più acuta la concentrazione, fino a farla diventare uno strumento con cui penetrare al di là della realtà apparente, in grado di osservare la realtà interiore più sottile all'interno di noi stessi. Esistono molte altre tecniche per sviluppare la concentrazione: ripetere una parola o fissarsi su un’immagine visiva o anche compiere più e più volte una determinata azione fisica. Così facendo ci si assorbe nell'oggetto di attenzione e si consegue uno stato beato di trance. Sebbene tale stato sia senza dubbio molto piacevole per tutta la sua durata, quando finisce ci si ritrova catapultati nella vita ordinaria con gli stessi problemi di prima. Queste tecniche operano sviluppando uno strato di pace e di gioia alla superficie della mente, ma in profondità il condizionamento rimane intatto. Gli oggetti che queste tecniche utilizzano per conseguire la concentrazione non hanno alcun nesso con la nostra realtà momento per momento. La beatitudine che si ottiene è sovrapposta, creata intenzionalmente piuttosto che sorta spontaneamente dalle profondità di una mente purificata. Il giusto samadhi non può essere un'intossicazione spirituale. Deve essere libero da ogni artificio, da ogni illusione. Anche nell'insegnamento del Buddha sono vari

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gli stati di trance –jhana– che possono essere ottenuti. Al Buddha stesso furono insegnati otto stati di assorbimento mentale prima di divenire illuminato, ed egli continuò a praticarli per tutta la vita. Tuttavia, gli stati di trance da soli non poterono liberarlo. Perciò, quando insegnava gli stati di assorbimento, sottolineava che la loro funzione era unicamente quella di aiutare a sviluppare la comprensione profonda della realtà, al pari delle pietre che servono per attraversare un fiume. I meditatori sviluppano la facoltà della concentrazione non per sperimentare stati di beatitudine o di estasi, quanto piuttosto per forgiare la mente come uno strumento con cui esaminare la propria realtà e rimuovere i condizionamenti che causano sofferenza. Questa é la giusta concentrazione.

Domande e risposte

DOMANDA: Perché insegnate agli studenti a praticare anapana-sati concentrandosi sulle narici e non sull'addome?

SATYA NARAYAN GOENKA: Perché per noi anapana-sati viene utilizzato come preparazione per la pratica di Vipassana, e in questo tipo di Vipassana è necessaria una concentrazione particolarmente forte. Più l'area di attenzione è limitata, più forte sarà la concentrazione. Per sviluppare la

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concentrazione a un tale grado, l'addome è troppo grande. L'area più adatta è quella delle narici. Ecco perché il Buddha ci ha consigliato di lavorare su quest'area.

Mentre si pratica la consapevolezza del respiro, è permesso contare i respiri o dire "dentro" mentre si inspira e "fuori" mentre si espira ?

No, non ci deve essere una continua verbalizzazione. Se ogni volta aggiungete una parola alla consapevolezza della respirazione, gradualmente la parola diventerà predominante e vi dimenticherete completamente del respiro. Direte "dentro" o "fuori non facendo più attenzione all’atto dell’inspirare o dell’espirare." La parola diventerà un mantra. Rimanete soltanto con il respiro, il semplice respiro, nient’altro che il respiro.

Perché la pratica di samadhi non è sufficiente per la liberazione?

Perché la purezza mentale sviluppata con samadhi è raggiunta principalmente per mezzo della soppressione, non dell’eliminazione del condizionamento. É proprio come se qualcuno pulisse una cisterna di acqua fangosa aggiungendo una sostanza che faccia precipitare la soluzione, per esempio l'allume. L'allume fa sì che le particelle di fango sospese nell'acqua precipitino sul fondo della cisterna, lasciando l'acqua cristallina. Allo stesso modo

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samadhi rende cristallini i livelli superiori della mente, ma nell'inconscio resta un deposito di impurità. Per raggiungere la liberazione, queste impurità latenti devono essere rimosse. E per rimuovere le impurità dalla profondità della mente si deve praticare Vipassana.

Non è dannoso dimenticare il passato e il futuro e prestare attenzione solo al momento presente?Dopotutto, non è così che vivono gli animali? Sicuramente chiunque dimentichi il passato è condannato a ripeterlo.

Questa tecnica non vi insegnerà a dimenticare interamente il passato o a non avere interesse per il futuro. Ma l’abitudine attuale della mente é quella di immergersi costantemente nei ricordi passati e in desideri, progetti, o timori per il futuro e di rimanere ignoranti del presente. Questa abitudine malsana ci rende la vita infelice. Con la meditazione si impara a mantenere uno stabile punto d'appoggio nella realtà presente. Con questa solida base è possibile trarre la necessaria guida dal passato e fare giuste previsioni per il futuro.

Trovo che, quando medito e la mente vaga, può sorgere una bramosia; poi penso che non devo sviluppare bramosia, e comincio ad agitarmi. Come devo comportarmi in questi casi? Per quale motivo essere agitati a causa della bramosia? Basta che accettiate il fatto: "Oh,

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guarda, c'é bramosia” ecco tutto. E ne uscirete fuori. Quando scoprite che la mente ha vagato, basta accettare questo fatto, e automaticamente essa ritornerà al respiro. Non dovete creare tensioni perché c'è bramosia o perché la mente ha divagato; così facendo si crea nuova avversione. Accettate la realtà: è sufficiente questo.

Tutte le tecniche di meditazione buddiste erano già praticate nello yoga. Che cosa c'era di veramente nuovo nella meditazione insegnata dal Buddha?

Quello che oggi viene definito yoga è in realtà uno sviluppo posteriore. Patanjali visse circa 500 anni dopo i tempi del Buddha e naturalmente il suo Yoga S³tra mostra l'influenza dell'insegnamento del Buddha. Certo le pratiche yoga erano note in India anche prima del Buddha ed egli stesso, prima di conseguire l'illuminazione, le sperimentò. Tutte queste pratiche, tuttavia, erano limitate a s²la e a samadhi, la concentrazione fino al livello dell'ottavo jhana, l'ottavo stadio di assorbimento che si trova ancora nel campo dell'esperienza sensoriale. Il Buddha scoprì il nono jhana, Vipassana, cioè lo sviluppo della comprensione profonda della realtà che porta il meditatore alla meta ultima al di là dell'esperienza sensoriale.

Mi accorgo di essere molto propenso a sminuire

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gli altri. Qual'è il modo migliore per affrontare questo problema?

La meditazione. Se l'ego è forte, si cerca di sminuire gli altri, di abbassare la loro importanza e accrescere la propria. Ma la meditazione dissolve naturalmente l'ego. E quando esso si dissolve, non è più possibile fare qualcosa che offenda un altro. Lavorate e il problema si risolverà automaticamente.

A volte mi sento in colpa per ciò che ho fatto.

Sentirvi in colpa non vi aiuterà, vi causerà solo danno. La colpa non ha posto nel sentiero di Dhamma. Se vi accorgete di aver agito in modo errato, accettate semplicemente il fatto senza cercare di giustificarlo o di nasconderlo. Potete anche andare da qualcuno che rispettate e dirgli: "Ho fatto questo errore, ma in futuro starò attento a non ripeterlo". E poi meditate, e scoprirete di poter superare tutte le difficoltà.

Perché tendo a rinforzare questo ego? Perché continuo a voler essere Io?

Questo è ciò che la mente è stata condizionata a fare, a causa dell'ignoranza. Ma Vipassana può liberarvi da questo dannoso condizionamento. Invece di pensare sempre a voi stessi, imparerete a pensare agli altri.

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Come succede questo?

Il primo passo è riconoscere quanto si sia egoisti ed egocentrici. A meno che non si comprenda questa verità, non si può emergere dalla pazzia dell'amore di sé. Man mano che proseguirete nella pratica, vi accorgerete che anche il vostro amore per gli altri è nei fatti un amore egoistico. Capirete di amare qualcuno perché vi aspettate qualcosa da lui, vi aspettate che si comporti in un modo che vi piace: nel momento in cui questo qualcuno inizia a comportarsi in modo diverso, il vostro amore sparisce. Così vi domanderete se amate questa persona o voi stessi. La risposta vi diventerà chiara, ma non cercandola a livello intellettuale, bensì con la pratica di Vipassana. E una volta che avrete fatto questa esperienza diretta, potrete iniziare a emergere dal vostro egoismo, imparando a sviluppare un amore reale per gli altri, un amore altruistico, a senso unico: dare senza aspettarsi niente in cambio.

Io lavoro in un luogo in cui ci sono molti emarginati che chiedono l’elemosina.

Anche in occidente? Pensavo che i mendicanti esistessero solo nei paesi poveri!

So che molti di questi emarginati hanno a che fare con la droga. Mi chiedo se dando loro dei soldi, non li incoraggio a drogarsi.

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Ecco perché dovete fare attenzione che ogni donazione elargita venga utilizzata correttamente. In caso contrario non aiuta nessuno. Invece di dare dei soldi a queste persone, renderete loro un vero servizio aiutandoli a uscire dalla tossicodipendenza. Qualsiasi cosa decidete di fare, dovete farla con saggezza.

Quando dite "Siate felici", l'altra faccia della medaglia per me è "Siate tristi" !

Perché essere tristi? Uscite dalla tristezza!

Giusto, ma pensavo che stessimo lavorando per raggiungere un equilibrio.

E’ l'equilibrio che rende felici. Senza equilibrio, c’è la tristezza. Siate equilibrati, siate felici!

E non: " Siate equilibrati, non siate niente "?

L'equilibrio rende felici, non annulla. Si diventa positivi quando la mente è equilibrata.

Un dolce di latte tutto curvo

Due ragazzi molto poveri vivevano mendicando

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Chapter Name 139

cibo di casa in casa, in città e in campagna. Uno di essi era cieco dalla nascita, e l'altro lo aiutava; in questo modo se ne andavano insieme per procurarsi da mangiare. Un giorno il ragazzo cieco si ammalò. Il suo compagno disse: "Rimani qui e riposati. Andrò io in giro a mendicare per tutti e due e ti porterò di che cibarti." E se ne andò a chiedere l'elemosina. Quel giorno avvenne che al ragazzo fosse dato un piatto molto gustoso: del khir, un budino di latte all'indiana. Non aveva mai assaggiato un tale piatto prima e gli piacque moltissimo. Ma sfortunatamente non aveva un contenitore con cui portare il dolce al suo amico, e così se lo mangiò tutto. Quando ritornò dal compagno cieco, il ragazzo disse: "Sono molto dispiaciuto, oggi mi è stato dato un piatto meraviglioso, un dolce di latte, ma non ho potuto portartelo." Il ragazzo cieco gli chiese: "Che cos'é questo dolce di latte?"“Oh, è bianco. Il dolce di latte è bianco."Essendo cieco dalla nascita, il suo compagno non capiva: "Che cos'é il bianco?""Non sai che cos'é il bianco?""No.""É l'opposto del nero.""E il nero cos'é?" Egli non sapeva neanche cosa fosse il nero."Cerca di capire, ti prego; è bianco!" Ma il ragazzo cieco non poteva capire. Così il suo amico si guardò intorno e vedendo una gru bianca, la acchiappò e la portò al ragazzo cieco dicendo: "Bianco è come quest'uccello."

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Non avendo occhi, il ragazzo cieco allungò la mano per toccare la gru con le dita. "Ah, ora capisco cosa sia il bianco! E’ soffice.""No, no, non ha niente a che fare con l'essere soffice. Bianco è bianco! Cerca di capire.""Ma, mi hai detto che è come la gru e io ho esaminato la gru, e la gru è soffice. Così il dolce di latte è soffice. Bianco significa soffice.""No, non hai capito. Prova ancora."Di nuovo il ragazzo cieco esaminò la gru, passando la sua mano su e giù dal becco al collo, dal corpo fino alla punta della coda." Ah, ora ho capito. E’ tutto curvo! Il dolce di latte è tutto curvo!"Il ragazzo cieco non può capire perché non ha la facoltà di sperimentare che cosa sia il bianco. Allo stesso modo, se non avete la facoltà di sperimentare la realtà così com’é, per voi sarà sempre tutta curva, distorta.

CAPITOLO SETTIMO

LA PRATICA DELLA SAGGEZZA

Né s²la né samadhi sono insegnamenti esclusivi del Buddha. Entrambi erano già noti e praticati

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prima della sua illuminazione; infatti mentre stava cercando la via per diventare illuminato, il futuro Buddha aveva appreso samadhi da due maestri con cui aveva studiato. Nel prescrivere le due pratiche il Buddha concordava con i maestri delle religioni convenzionali. Tutte le religioni infatti insistono sulla necessità di un comportamento morale e offrono anche la possibilità di ottenere degli stati di beatitudine sia per mezzo di preghiere, rituali, digiuni o altri esercizi di austerità, sia con varie forme di meditazione. Lo scopo di tali esercizi è semplicemente quello di raggiungere uno stato di assorbimento mentale profondo. Si tratta dell’"estasi" sperimentata dai mistici delle varie religioni.Tale concentrazione, anche quando non è sviluppata fino al livello di trance, è molto utile. Acquieta la mente, distogliendo l'attenzione da situazioni in cui altrimenti si reagirebbe con bramosia e avversione. Contare lentamente fino a dieci per prevenire uno scoppio di ira è una forma rudimentale di samadhi. Altre forme, persino più ovvie, sono la ripetizione di una parola o di un mantra o la concentrazione su un oggetto. Tutte funzionano: quando l'attenzione è rivolta verso un certo oggetto, sembra che la mente divenga calma, piena di pace. La calma acquisita in tal modo, tuttavia, non è una vera liberazione. Anche se è estremamente utile, la pratica della concentrazione opera solo a livello mentale conscio. Quasi venticinque secoli prima dell'invenzione

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della moderna psicologia, il Buddha comprese l’esistenza dell’inconscio, che chiamò anusaya. Egli scoprì che bramosia e avversione si possono controllare a livello conscio col distogliere l’attenzione, ma che, in realtà, questo non le elimina: al contrario, le spinge in profondità, a livello inconscio, dove rimangono pericolose come sempre, anche se assopite. Pertanto, nella mente a livello superficiale può esserci uno strato di pace e armonia, mentre in profondità c'è un vulcano addormentato di negatività soppresse che prima o poi erutteranno con violenza. Il Buddha ha detto:

Se le radici rimangono intatte e solide nel terreno,un albero abbattuto butterà ancora fuori nuovi getti.Se l’abitudine latente alla bramosia e all'avversione non viene estirpata alle radici,la sofferenza risorgerà da capo continuamente. (1)

Sino a quando il condizionamento rimane a livello inconscio, alla prima occasione esso darà vita a nuovi germogli, provocando sofferenza. Per questo, persino dopo aver raggiunto i più alti stati conseguibili con la pratica della concentrazione, il Buddha non era convinto di aver raggiunto la liberazione. Stabilì dunque di continuare la sua ricerca per trovare la via di uscita dalla sofferenza e il sentiero che conduce

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alla felicità.Vide che c'erano due possibilità di scelta. La prima era il sentiero dell’autoindulgenza, che dava via libera al soddisfacimento di tutti i desideri. E’ questo il sentiero mondano, quello che segue la maggior parte della gente, consapevolmente o no. Ma egli vide con chiarezza che non poteva portare alla vera felicità. Non esiste nessuno nell'universo i cui desideri siano sempre soddisfatti, e nella cui vita ogni cosa desiderata si avveri senza che gli accada mai nulla di indesiderato. Chi segue questo sentiero, inevitabilmente soffre quando non riesce a soddisfare i propri desideri, cioè soffre per il disappunto e l'insoddisfazione. Ma soffre ugualmente quando ottiene ciò che desidera: soffre per la paura che l'oggetto desiderato svanisca, che il momento della gratificazione si dimostri transitorio: come di fatto è. Nel cercare, nell'ottenere e nel perdere ciò che desiderano, tali persone sono sempre agitate. Il futuro Buddha aveva sperimentato questo sentiero di persona prima di abbandonare il mondo per farsi eremita, e quindi sapeva che esso non porta alla pace. L'alternativa è il sentiero dell'autocontrollo, dell'astenersi deliberatamente dal soddisfare i propri desideri. In India, 2.500 anni fa, il sentiero dell'autocontrollo veniva portato all'eccesso, fino a evitare tutte le esperienze piacevoli e infliggersi quelle spiacevoli: si pensava in tal modo di guarire dall'abitudine alla bramosia e all'avversione, e di

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conseguenza, la mente si sarebbe purificata. Del resto, queste pratiche rigide sono comuni alla vita religiosa di qualsiasi parte del mondo e il futuro Buddha le aveva sperimentate per anni dopo aver abbandonato la vita laica. Aveva provato diverse pratiche ascetiche fino a ridursi in uno stato di estrema magrezza, per poi scoprire che ancora non si era liberato. Punire il corpo non purifica la mente.L'autocontrollo non deve essere spinto a questi estremi: si può praticarlo in una forma più moderata astenendosi dal gratificare i desideri che implicano azioni dannose. Questo tipo di autolimitazione sembra assai preferibile all’autoindulgenza perché, nel praticarlo, si evita almeno di compiere azioni immorali. Ma se l'autocontrollo viene raggiunto solo con l’autorepressione, le tensioni mentali aumenteranno fino a un livello pericoloso. Tutti i desideri soppressi si accumuleranno come acque in piena dietro la diga dell'autocontrollo. Un giorno la diga sarà costretta a cedere e a dare via libera a una distruttiva inondazione.Fino a quando la nostra mente non si libererà dai condizionamenti, non potremo essere né al sicuro né in pace. Per quanto benefico, s²la, non può essere mantenuto dalla pura e semplice forza di volontà. Anche samadhi può aiutare, ma si tratta solo di una soluzione parziale che non opera ai livelli mentali profondi dove si trovano le radici del problema, le radici delle impurità. Per cui, fino a quando queste radici rimarranno sepolte nell'inconscio, non ci potrà essere né

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una vera e duratura felicità, né la liberazione.Ma se è possibile rimuovere dalla mente le radici del condizionamento, allora non ci sarà pericolo di indulgere in azioni dannose, né necessità di autorepressione, perché l'impulso stesso di compiere un'azione negativa sarà scomparso. Liberati dalla tensione sia della ricerca che del rifiuto, ciascuno potrà vivere in pace.Per rimuovere le radici è necessario un metodo col quale penetrare nelle profondità della mente e raggiungere le impurità proprio dove esse si annidano. E’ questo il metodo scoperto dal Buddha: la pratica della saggezza o pañña, che lo ha guidato all'illuminazione, chiamata anche vipassana-bhavana, lo sviluppo della comprensione profonda della propria natura, per mezzo della quale si possono riconoscere ed eliminare le cause della sofferenza. Questo è ciò che il Buddha ha scoperto, ciò che egli ha praticato per raggiungere la sua liberazione e che ha insegnato agli altri per tutta la vita, l’elemento peculiare del suo insegnamento al quale attribuiva la massima importanza. Egli ripeteva spesso che "Se è sostenuta dalla moralità, la concentrazione è molto fruttuosa, molto benefica. Se è sostenuta dalla concentrazione, la saggezza è molto fruttuosa, molto benefica. Se è sostenuta dalla saggezza, la mente si libera da tutte le impurità". (2)La moralità e la concentrazione –s²la e samadhi– sono preziose di per sé, ma il loro

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vero scopo è di condurre alla saggezza. É solo attraverso lo sviluppo di pañña che troviamo il sentiero che sta a mezzo fra gli estremi dell’autoindulgenza e dell'autorepressione. Con la pratica della moralità, evitiamo di compiere le azioni che provocano le forme più gravi di agitazione mentale. Concentrando la mente, poi, la calmiamo ulteriormente e nello stesso tempo la prepariamo a intraprendere il lavoro di autointrospezione. Ma solo sviluppando la saggezza saremo in grado di penetrare nella realtà interiore e liberarci da ogni ignoranza e attaccamento.Due parti del Nobile Ottuplice sentiero riguardano la pratica dell'educazione alla saggezza: il giusto pensiero e la giusta comprensione.

Il giusto pensiero

Prima di iniziare vipassana-bhavana non è necessario che tutti i pensieri se ne siano andati durante la meditazione. I pensieri possono ancora persistere, ma per iniziare a lavorare è sufficiente mantenere la consapevolezza momento per momento.I pensieri possono rimanere, ma la natura del loro corso cambia. Con la consapevolezza del respiro, bramosia e avversione si sono calmati. La mente è divenuta tranquilla, almeno a livello conscio, e ha iniziato a pensare a Dhamma, alla via per uscire dalla sofferenza. Le difficoltà che

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si sono presentate agli esordi della pratica della consapevolezza del respiro ora sono terminate, o almeno sono state in parte superate. Si è pronti per il passo successivo: la giusta comprensione.

La giusta comprensione

E’ questa la vera saggezza. Pensare alla verità non è abbastanza. Dobbiamo noi stessi realizzare la verità, dobbiamo vedere le cose come sono realmente, non solo come appaiono. La verità apparente è anch’essa una realtà, ma è quella che dobbiamo penetrare per sperimentare la nostra realtà ultima e così eliminare la sofferenza. Ci sono tre tipi di saggezza: la saggezza ricevuta (suta-maya pañña), la saggezza intellettuale (cinta-maya pañña) e la saggezza basata sull'esperienza (bhavana-maya pañña). Letteralmente, la frase suta-maya pañña significa "saggezza ascoltata": la saggezza imparata dagli altri, ad esempio leggendo libri o ascoltando discorsi o conferenze; è la saggezza di un'altra persona che si decide di fare propria. L'accettazione può essere causata dall'ignoranza. Per esempio, le persone cresciute in una comunità con una certa ideologia, una certa religione o altro, possono accettare senza discutere. Oppure l'accettazione può essere causata dal desiderio. I capi della comunità possono dichiarare che

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accettare l'ideologia stabilita, il credo tradizionale, garantisce un futuro meraviglioso; può anche darsi che affermino che tutti i fedeli, dopo la morte, andranno in paradiso. Naturalmente la beatitudine del paradiso attrae molto, e così si accetta volentieri. Oppure l'accettazione può provenire dalla paura. I capi intuiscono che la gente comincia ad avere dei dubbi e a fare domande sull'ideologia della comunità, così ordinano di conformarsi al credo comune, minacciando punizioni terribili se non ci si adegua ad esso: forse affermano anche che tutti quelli che non credono dopo la morte andranno all'inferno. Naturalmente la gente non vuole andare all'inferno, così soffoca i suoi dubbi e adotta il credo della comunità.Sia che venga accettata per cieca fede, per desiderio o per paura, la saggezza ricevuta non è la propria saggezza, né qualcosa sperimentato di persona: è una saggezza presa a prestito.Il secondo tipo di saggezza è la comprensione intellettuale. Dopo aver letto o ascoltato un certo insegnamento, ci si riflette sopra e lo si esamina per stabilire se è davvero razionale, benefico e pratico. E se soddisfa a livello intellettuale, lo si accetta come vero. Anche in questo caso si tratta di una conoscenza che non è la propria, ma solo un ragionamento sulla saggezza che si è ascoltata.Il terzo tipo di saggezza è quella che nasce dalla propria esperienza, dalla realizzazione personale della verità. É la saggezza che si vive, la saggezza reale che porterà un cambiamento

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nella propria vita, mutando la natura stessa della mente.Nelle faccende del mondo, non sempre la saggezza basata sull'esperienza può essere necessaria o utile. É sufficiente accettare l’avvertimento degli altri sul fatto che il fuoco è pericoloso, oppure convalidare i fatti con dei ragionamenti deduttivi. É sconsiderato insistere a buttarsi tra le fiamme prima di accettare il fatto che il fuoco brucia. In Dhamma, però, la saggezza che deriva dall'esperienza é essenziale, dal momento che solo essa rende capaci di liberarci dai condizionamenti.La saggezza che si acquisisce ascoltando gli altri e la saggezza acquisita con la ricerca intellettuale sono utili se ci ispirano e ci guidano verso il terzo tipo di pañña, la saggezza basata sull'esperienza. Ma se ci accontentiamo di accettare la saggezza ricevuta senza discutere, questo diventa una forma di schiavitù, una barriera che non ci permette di ottenere la comprensione a livello di esperienza. Per la stessa ragione, se ci accontentiamo solo di contemplare la verità, di studiarla e comprenderla intellettualmente, ma non facciamo alcuno sforzo per sperimentarla direttamente, allora tutta la nostra comprensione intellettuale, invece di un aiuto per la liberazione, diventa una schiavitù.Ognuno di noi deve vivere la verità sperimentandola direttamente con la pratica di bhavana. Soltanto questa esperienza vissuta libererà la mente. Anche la realizzazione della

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verità di qualcun'altro non potrà liberarci; persino l'illuminazione del Buddha poté liberare una sola persona, Siddhatta Gotama. Tutt'al più la realizzazione di qualcuno può agire come ispirazione per altri, offrendo loro delle tracce da seguire, ma in definitiva ognuno di noi deve lavorare per conto proprio. Come ha detto il Buddha :

Ciascuno di voi deve lavorare e compiere il proprio sforzo,coloro che hanno raggiunto la meta finalevi mostreranno solamente la via. (3)

La verità può essere vissuta, e sperimentata direttamente, solo all'interno di se stessi. Tutto ciò che è esterno é sempre lontano da noi. Solo interiormente possiamo avere un'esperienza viva, diretta e autentica della realtà.Dei tre tipi di saggezza, i primi due non sono peculiari dell'insegnamento del Buddha, poiché entrambi esistevano in India prima di lui e anche ai suoi tempi c'era chi affermava di insegnare già qualsiasi cosa egli andava insegnando. (4) Il contributo specifico del Buddha al mondo è stata la via per realizzare personalmente la verità e sviluppare così la saggezza basata sull'esperienza diretta, bhavana-mayapañña. Questo modo per conseguire la realizzazione diretta della verità è la tecnica di vipassana-bhavana.

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Vipassana-bhavana

Vipassana spesso viene spesso descritta come un lampo di comprensione profonda, un'improvvisa intuizione della verità. La descrizione è corretta, ma di fatto c'è un metodo graduale che il meditatore può usare per avanzare fino al punto in cui si diventa capaci di avere una simile intuizione. Questo metodo è vipassana-bhavana, sviluppo della comprensione profonda, comunemente chiamato meditazione Vipassana.La parola passana significa "vedere", quel tipo ordinario di visione che abbiamo quando apriamo gli occhi. Vipassana significa un tipo di visione speciale: l'osservazione della realtà all'interno di se stessi. Questa si raggiunge prendendo come oggetto di attenzione le proprie sensazioni fisiche. La tecnica consiste nell'osservazione sistematica e imparziale delle sensazioni dentro di sé, un’osservazione che svela la realtà totale della mente e del corpo.Perché la sensazione? Innanzitutto perché è con la sensazione che sperimentiamo direttamente la realtà. Qualunque cosa deve entrare in contatto con i nostri cinque sensi fisici o con la mente, altrimenti per noi non esiste. Queste sono le vie d’accesso attraverso le quali sperimentiamo il mondo, le basi di tutte le nostre esperienze. E ogniqualvolta qualcosa viene in contatto con queste sei basi sensorie, si ha una sensazione.Il Buddha ha così descritto questo processo: "Se

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qualcuno prende due pezzetti di legno e li strofina l’uno contro l'altro, dalla frizione si forma del calore e si produce una scintilla. Allo stesso modo, quale risultato di un contatto che si è sperimentato come piacevole, sorge una sensazione piacevole, quale risultato di un contatto che si è sperimentato come spiacevole, sorge una sensazione spiacevole, quale risultato di un contatto che si è sperimentato come neutro, sorge una sensazione neutra." (5)Il contatto di un oggetto con la mente o con il corpo produce una scintilla di sensazione. Tale sensazione è il legame attraverso cui sperimentiamo il mondo con tutti i suoi fenomeni, fisici e mentali. Per sviluppare la saggezza basata sull'esperienza, dobbiamo diventare consapevoli di ciò che realmente proviamo, cioè dobbiamo sviluppare la consapevolezza delle sensazioni.Inoltre, le sensazioni fisiche sono strettamente connesse con la mente e, come il respiro, offrono un riflesso dello stato mentale presente. Quando degli oggetti mentali –pensieri, idee, fantasie, emozioni, ricordi, speranze, timori– vengono in contatto con la mente, sorgono le sensazioni. Ogni pensiero, ogni emozione, ogni azione mentale è accompagnata da una sensazione corrispondente all'interno del corpo. Quindi, osservando le sensazioni fisiche, osserviamo anche la mente.La sensazione è indispensabile per esplorare fino in fondo la verità. Ogni cosa in cui ci imbattiamo nel mondo provoca una sensazione

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all’interno del corpo. La sensazione è un crocevia in cui mente e corpo si incontrano. Sebbene sia di natura fisica, è altresì uno dei processi mentali (vedi capitolo secondo). Sorge dentro il corpo ed è sentita dalla mente. In un corpo morto o nella materia inanimata non ci può essere sensazione perché non vi è mente. Se siamo inconsapevoli di questa esperienza, la nostra indagine della realtà rimane incompleta e superficiale. Proprio come quando, liberando un giardino dalle erbacce, dobbiamo essere consapevoli delle radici nascoste e della loro funzione vitale, allo stesso modo dobbiamo essere consapevoli delle sensazioni –la maggior parte delle quali generalmente ci rimangono nascoste– se vogliamo comprendere la nostra natura e confrontarci con essa in modo appropriato.Le sensazioni si avvicendano senza sosta nel nostro corpo. Ogni contatto, mentale o fisico, produce una sensazione. Ogni reazione biochimica dà origine a una sensazione. Nella vita ordinaria, la mente conscia manca della concentrazione necessaria per essere consapevole di tutte le sensazioni –tranne le più intense– ma una volta che abbiamo affilato la mente con la pratica di anapana-sati e sviluppato la facoltà della consapevolezza, diventiamo capaci di sperimentare consciamente la realtà di ogni sensazione che proviamo dentro di noi.Nella pratica della consapevolezza della respirazione, lo sforzo sta nell'osservare il

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respiro naturale, senza controllarlo o regolarlo. Analogamente, nella pratica di vipassana-bhavana osserviamo semplicemente le sensazioni fisiche.Facciamo scorrere l'attenzione sistematicamente attraverso tutta la struttura fisica, dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, da un'estremità all'altra, ma così facendo non andiamo alla ricerca di qualche tipo particolare di sensazione, né cerchiamo di evitare sensazioni di altro tipo. Lo sforzo è solo quello di osservare oggettivamente, di essere consapevoli di qualsiasi sensazione si manifesti nel corpo. Le sensazioni possono essere di qualsiasi tipo: calore, freddo, pesantezza, leggerezza, prurito, palpitazione, contrazione, espansione, pressione, dolore, formicolio, pulsazione, vibrazione e altro ancora. Il meditatore non cerca qualcosa di straordinario, ma osserva semplicemente le sensazioni fisiche ordinarie così come si manifestano naturalmente. Nè deve fare sforzo alcuno per scoprire la causa di una sensazione: essa può nascere dalle condizioni atmosferiche, o per la posizione in cui si è seduti, o per gli effetti di una vecchia malattia o della debolezza del corpo, o anche per il cibo che si è ingerito. La ragione non è importante e non ci interessa. La cosa importante è di essere consapevoli della sensazione che proviamo in quel determinato momento nella parte del corpo in cui l'attenzione è concentrata.Quando ci dedichiamo a questa pratica per la

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prima volta, possiamo essere capaci di percepire le sensazioni in alcune parti del corpo e non in altre. Quando la facoltà della consapevolezza non è ancora pienamente sviluppata, sperimentiamo solo le sensazioni intense e non le più fini, le più sottili. Tuttavia, alternativamente, continuiamo a rivolgere l’attenzione a ogni parte del corpo, muovendo la nostra consapevolezza in ordine sistematico, senza permettere all'attenzione di essere attratta indebitamente da sensazioni più forti. Essendo già educati alla concentrazione, abbiamo sviluppato l'abilità di fissare l'attenzione su un oggetto scelto consciamente. Ora utilizziamo tale abilità per muovere la consapevolezza su ogni parte del corpo in ordine progressivo, senza tralasciare le parti in cui la sensazione è poco chiara per passare a quelle dove è più forte, senza soffermarci su qualche sensazione particolare e neppure cercare di evitarne altre. In tal modo ci troveremo gradualmente nella situazione in cui potremo sperimentare le sensazioni in ogni parte del corpo.Quando si intraprende la pratica della consapevolezza della respirazione, il respiro sarà spesso pesante e irregolare. Poi man mano si calma e diventa progressivamente più leggero, fine e delicato. Allo stesso modo, all’inizio della pratica di vipassana-bhavana, spesso si sperimentano sensazioni forti, intense e spiacevoli che sembrano durare a lungo, così come possono sorgere emozioni forti, pensieri a

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lungo dimenticati, ricordi che apportano con sé disagi fisici e mentali, persino dolore. Gli ostacoli della bramosia e dell’avversione, della pigrizia, dell'agitazione e del dubbio, che impediscono di progredire durante la pratica della consapevolezza del respiro, possono ora ricomparire, e tanto forti da rendere completamente impossibile mantenere la consapevolezza delle sensazioni.Di fronte a una tale situazione, non si ha altra alternativa se non quella di ritornare alla pratica della consapevolezza del respiro per calmare e affinare ancora una volta la mente.Pazientemente, senza sentirci sconfitti, riprendiamo a operare per ristabilire la concentrazione, ben sapendo che tutte queste difficoltà in realtà sono il risultato del nostro successo iniziale. Alcuni condizionamenti sepolti in profondità sono stati stimolati e hanno cominciato ad apparire a livello conscio. Gradualmente, con uno sforzo prolungato, ma senza tensioni, la mente riacquista la tranquillità e la concentrazione. I pensieri forti e le emozioni scompaiono e si può ritornare alla consapevolezza delle sensazioni. Con una pratica continua e ripetuta, le sensazioni intense tendono a dissolversi in sensazioni più uniformi e sottili e alla fine in semplici vibrazioni, che sorgono e se ne vanno con grande rapidità.Ma ai fini della meditazione è irrilevante che le sensazioni siano piacevoli o spiacevoli, intense o sottili, uniformi o variate. Il compito dei

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meditatori è semplicemente quello di osservare con oggettività. Sia che le sensazioni spiacevoli ci abbiano procurato disagio, sia che quelle piacevoli ci abbiano attratto, non dobbiamo fermare il nostro lavoro, né permettere ad esse di distrarci o intrappolarci; il nostro compito consiste solo nell’osservare noi stessi con lo stesso distacco di uno scienziato alle prese con esperimenti di laboratorio.

Impermanenza, inesistenza dell’Io, sofferenza

Perseverando nella meditazione, comprenderemo ben presto un fatto basilare: le nostre sensazioni mutano costantemente. Ad ogni istante, in ogni parte del corpo, sorge una sensazione e ogni sensazione è indice di mutamento. Ad ogni istante avvengono dei cambiamenti in ogni parte del corpo, delle reazioni elettromagnetiche e biochimiche. Ad ogni istante, e più rapidamente ancora, i processi mentali cambiano e si manifestano con mutamenti fisici.Questa è la realtà della mente e della materia: mutevole e impermanente: anicca. Ad ogni istante le particelle subatomiche di cui è composto il corpo nascono e svaniscono. Ad ogni istante le funzioni mentali compaiono e scompaiono, una dopo l'altra. Ogni cosa interna, fisica e mentale, così come il mondo esterno, cambia ad ogni istante. E se in precedenza

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potevamo aver riconosciuto, aver compreso intellettualmente che questo era vero, ora, con la pratica di vipassana-bhavana, sperimentiamo la realtà dell'impermanenza dentro la struttura del nostro corpo. L'esperienza diretta della transitorietà delle sensazioni ci prova la nostra natura effimera.Ogni parte del corpo, ogni processo mentale è in uno stato di fluire continuo. Non c'è niente che permanga al di là del singolo istante, nessun nucleo a cui potersi aggrappare, nulla che si possa chiamare "Io" o "mio". Questo Io è solo una combinazione di processi in continuo mutamento.Così il meditatore arriva a comprendere un'altra realtà fondamentale: anatta, la non-esistenza di un Io reale, di un sé o di un ego permanente. L'ego a cui si è così attaccati è un'illusione creata dalla combinazione di processi fisici e mentali, processi in costante fluire. Avendo esplorato il corpo e la mente fino ai livelli più profondi, si verifica che non c'è un nucleo immutabile, un'essenza che sia indipendente dai processi, nulla che sia esente dalla legge dell'impermanenza. C'è solo un fenomeno impersonale, che cambia al di fuori del nostro controllo. Allora un'altra realtà diviene chiara. Qualsiasi sforzo di aggrapparsi a qualcosa, dicendo: "questo è l'Io, questo è me, questo è mio", ci costringe all'infelicità, perché prima o poi questo qualcosa a cui ci aggrappiamo se ne andrà, e anche l’Io se ne andrà. L'attaccamento a ciò che è impermanente, transitorio, illusorio e

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fuori dal nostro controllo è sofferenza, dukkha. Comprendiamo tutto questo non perché qualcuno ci dice che è così, ma perché lo sperimentiamo osservando le sensazioni all'interno del nostro corpo.

Equanimità

Come si fa allora a non essere infelici? Come si fa a vivere senza sofferenza? Limitandosi ad osservare senza reagire: invece di cercare di far durare un'esperienza o di evitarne un'altra, di procurarsene una o di scacciarne un’altra ancora, non si fa altro che esaminare ogni fenomeno oggettivamente, con equanimità, con la mente equilibrata.Sembra abbastanza semplice, ma che fare quando ci sediamo con l’intenzione di meditare per un'ora e dopo dieci minuti ci fanno male le ginocchia? Cominciamo subito a odiare il dolore, a volere che se ne vada. Ma non se ne va; al contrario, più lo odiamo, più diventa forte. Il dolore fisico diviene un dolore mentale, che provoca grande sofferenza.Se possiamo apprendere per un momento solo a osservare il dolore fisico, e sia pure temporaneamente, possiamo liberarci dall'illusione che è il nostro dolore, che siamo noi a sentire dolore, se possiamo esaminare la sensazione oggettivamente come un medico esamina il dolore di qualcun altro, allora ci accorgiamo che il dolore stesso cambia. Non è

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fisso, cambia ad ogni istante, se ne va, ricomincia, cambia di nuovo .

Quando comprendiamo questo attraverso l'esperienza personale, scopriamo che il dolore non potrà più sopraffarci né controllarci a lungo. Forse se ne andrà via rapidamente, forse no, ma non importa. Non soffriamo più per il dolore perché possiamo osservarlo con distacco.

La via che conduce alla liberazione

Possiamo liberarci dalla sofferenza sviluppando consapevolezza ed equanimità. La sofferenza ha il suo principio nell'ignoranza della propria realtà. Nel buio di questa ignoranza, la mente reagisce ad ogni sensazione con piacere o dispiacere, bramosia o avversione.Ogni reazione di tale tipo crea sofferenza ora e mette in moto una catena di eventi che in futuro non porteranno altro che sofferenza. Come si può rompere questa catena di cause ed effetti? In qualche modo, a causa di azioni passate compiute nell'ignoranza, la vita è cominciata, il flusso di mente e materia ha avuto inizio. Allora ci si dovrebbe suicidare? No, questo non risolverebbe il problema. Nel momento in cui ci si uccide, la mente è colma di infelicità, colma di avversione. Qualsiasi cosa verrà dopo, anch'essa sarà colma di infelicità. Tale azione non può condurre alla felicità. La vita ha avuto inizio e da essa non si può scappare. Allora si

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dovrebbero distruggere le sei basi dell'esperienza sensoriale? Ci si potrebbe strappare gli occhi, mozzare la lingua, distruggere naso e orecchie. Ma come si potrebbe distruggere il corpo? Come si potrebbe distruggere la mente? Si tratterebbe di nuovo di suicidio, ossia di un atto inutile.Si dovrebbero distruggere gli oggetti propri di ognuna delle sei basi sensoriali, tutte le cose visibili, i suoni e così via?

Non è possibile. L'universo è gremito di innumerevoli oggetti; nessuno riuscirebbe a distruggerli tutti. Dato che le sei basi sensoriali esistono, è impossibile prevenirne il contatto con i rispettivi oggetti. Appena avviene il contatto, si è costretti a provare una sensazione.Ma questo è il punto in cui la catena può essere rotta. Il legame cruciale avviene nell’istante della sensazione. Ogni sensazione dà origine a piacere o dispiacere. Queste reazioni momentanee, inconsce, di piacere e dispiacere sono immediatamente moltiplicate e intensificate in bramosia e avversione, in attaccamento, e producono infelicità sia ora che nel futuro. É un'abitudine cieca che ripetiamo meccanicamente.Con la pratica di vipassana-bhavana, però, sviluppiamo la consapevolezza di ogni sensazione. E sviluppiamo l'equanimità: non reagiamo. Esaminiamo la sensazione spassionatamente, senza che ci piaccia o ci

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dispiaccia, senza bramosia, avversione o attaccamento. Invece di dar origine a reazioni nuove, ogni sensazione dà ora origine soltanto a saggezza, pañña, alla comprensione profonda: "Tutto ciò è impermanente, transitorio, destinato a cambiare, a sorgere per poi sparire. "La catena è stata rotta, la sofferenza è stata fermata. Non c'è alcuna nuova reazione di bramosia o avversione e quindi nessuna causa da cui la sofferenza possa scaturire. La causa della sofferenza è il kamma, l'azione mentale, ovvero la reazione cieca di bramosia e avversione, il sankhara. Quando la mente è consapevole della sensazione, ma mantiene l'equanimità, non c'è una reazione di questo tipo, non ci sono cause che produrranno sofferenza: abbiamo smesso di creare sofferenza per noi stessi.

Il Buddha ha detto:

Tutti i sankhara sono impermanenti.Quando realizzerete ciò con vera comprensione profonda,allora vi staccherete dalla sofferenza:questo è il sentiero della purificazione. (6)

Qui la parola sankhara ha un significato molto

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ampio. Una reazione mentale cieca è definita sankhara, ma il risultato di tale azione, il suo frutto è anch’esso noto come sankhara: da un certo seme, un certo frutto. Ogni cosa in cui ci imbattiamo nella vita è in ultima analisi il risultato delle nostre azioni mentali. Quindi, nel senso più ampio, sankhara non significa altro che il mondo condizionato, tutto ciò che si è formato e composto. Ne consegue che "Tutte le cose esistenti sono impermanenti", siano esse mentali o fisiche: ogni cosa nell'universo. Quando si osserva questa verità con la saggezza basata sull'esperienza per mezzo della pratica di vipassana-bhavana, allora la sofferenza scompare, perché ci si allontana dalle cause della sofferenza, si abbandona cioè l'abitudine alla bramosia e all'avversione. Questo è il sentiero della liberazione.Tutto lo sforzo sta nell'apprendere come non reagire, come non produrre un nuovo sankhara. Sorge una sensazione e ha inizio il piacere o il dispiacere. Questo momento transitorio, se non ne siamo consapevoli, viene ripetuto e si intensifica in bramosia e avversione, diventando un'emozione forte che talora opprime la mente conscia. Veniamo imprigionati dall’emozione e tutti i nostri migliori propositi sono spazzati via. Il risultato è che ci troviamo impegnati in azioni e discorsi malsani, nocivi a noi e agli altri. A causa di un momento di reazione cieca, ci procuriamo dolore e sofferenza, ora e in futuro. Ma se siamo consapevoli del punto in cui il processo di reazione inizia –se siamo cioè

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consapevoli della sensazione– possiamo scegliere di non permettere alle reazioni di aver luogo o di intensificarsi. Osserviamo la sensazione senza reagire, senza provare né piacere né dispiacere per essa. Così essa non ha alcuna possibilità di svilupparsi in bramosia o avversione, in un'emozione forte che possa sopraffarci: semplicemente sorge e svanisce. La mente rimane in equilibrio, in pace. Siamo felici ora e non possiamo aspettarci altro che felicità in futuro, poiché non abbiamo reagito.Questa capacità di non reagire è di grande valore. Se siamo consapevoli della sensazione all'interno del corpo e nello stesso tempo manteniamo l'equanimità, in quegli istanti la mente è libera. Forse all'inizio durante il periodo di meditazione questi istanti possono essere brevissimi, mentre per il resto del tempo la mente resta sommersa dalle vecchie abitudini di reazione alle sensazioni, al vecchio circolo vizioso di bramosia, avversione e infelicità. Ma con una pratica ripetuta, quei brevi attimi diventeranno secondi, e poi minuti, finché cesserà la vecchia abitudine alla reazione e la mente sarà costantemente in pace. Ecco come la sofferenza può essere fermata. Ecco come possiamo smettere di procurarci infelicità.Domande e risposte

DOMANDA: Perché dobbiamo far scorrere la nostra attenzione lungo il corpo seguendo un ordine preciso?

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SATYA NARAYAN GOENKA: Perché state lavorando per esplorare la completa realtà della mente e della materia. Per far questo è necessario sviluppare la capacità di percepire ciò che accade in ogni parte del corpo: nessuna parte dovrebbe rimanere insensibile. Dovete anche sviluppare la capacità di osservare tutta la gamma delle sensazioni. Il Buddha ha descritto la pratica in questi termini: "In ogni luogo dentro i confini del corpo si sperimentano sensazioni, dovunque ci sia vita nel corpo." (7) Se permettete all'attenzione di muoversi a caso da una parte a un'altra, da una sensazione a un'altra, naturalmente sarà sempre attratta dalle zone interessate da sensazioni più forti. La vostra osservazione rimarrà parziale, incompleta, superficiale. Quindi è essenziale muovere sempre l'attenzione con ordine.

Come possiamo capire che non stiamo creando delle sensazioni?

Potete fare una prova. Se dubitate che le sensazioni che state provando siano reali, potete darvi due o tre ordini, autosuggestioni. Se scoprite che le sensazioni cambiano a vostro comando, significa che non sono reali. In quel caso dovete gettare via tutta quanta l'esperienza e ricominciare osservando il respiro per un pò. Ma se scoprite di non poter controllare le sensazioni, ma che esse al contrario non cambiano a vostro piacimento, allora dovete scacciare i dubbi e accettare il

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fatto che l'esperienza è reale.

Se queste sensazioni sono reali, perché non le proviamo nella vita ordinaria?Lo fate a livello inconscio. La mente conscia è inconsapevole, ma in ogni momento la mente inconscia prova delle sensazioni nel corpo e reagisce ad esse. Questo processo avviene ventiquattro ore su ventiquattro. Con la pratica di Vipassana, tuttavia, si abbattono le barriere tra il conscio e l'inconscio. Diventate consapevoli di ogni cosa che accade all'interno della vostra struttura fisica e mentale, di ogni cosa che sperimentate.

Permettere a noi stessi di provare deliberatamente dolore fisico può sembrare masochismo.

Lo sarebbe se vi si chiedesse di sperimentare solo dolore. Ma, al contrario, vi si chiede di osservare il dolore oggettivamente. Quando osservate senza reagire, automaticamente la mente inizia a penetrare al di là della realtà apparente del dolore fino alla sua natura sottile, che consiste unicamente in vibrazioni che nascono e svaniscono ad ogni istante. E quando sperimentate tale sottile realtà, il dolore non può sopraffarvi. Siete voi i padroni di voi stessi, siete liberi dal dolore.

Ma certamente il dolore può essere un segnale che c'è deficienza di sangue in qualche parte

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del corpo. É saggio ignorare tale segnale?

Ebbene, abbiamo scoperto che questo esercizio non causa danni. Se lo facesse, non ve lo raccomanderemmo. Migliaia di persone hanno praticato questa tecnica. Non conosco neppure un solo caso in cui qualcuno che si stava esercitando in modo corretto si sia fatto del male. L'esperienza comune è che il corpo diventa docile e flessibile. Il dolore scompare quando imparate ad affrontarlo con mente equilibrata.

Non è possibile praticare Vipassana osservando una delle sei porte dei sensi, per esempio, osservando il contatto degli occhi con la visione e delle orecchie con il suono ?

Certamente. Ma anche questa osservazione deve comportare la consapevolezza della sensazione. Ogni volta che avviene un contatto in una delle sei basi sensoriali –occhi, orecchie, naso, lingua, corpo, mente– si produce una sensazione. Rimanendone inconsapevoli, si perde di vista il punto in cui inizia la reazione. Nel caso della maggior parte dei sensi, il contatto può essere solo intermittente. A volte le vostre orecchie possono udire un suono, a volte no. Ma ai livelli più profondi c'è ad ogni istante un contatto tra mente e materia che origina costantemente delle sensazioni. Per questa ragione, osservare le sensazioni è la via più accessibile e vivida per sperimentare il fatto

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dell'impermanenza. Prima di tentare di osservare le altre porte dei sensi, bisogna padroneggiare questa via.

Se dobbiamo solo accettare e osservare le cose così come vengono, in che modo può esserci progresso?

Il progresso si misura secondo lo sviluppo dell'equanimità. Non avete altra scelta se non l'equanimità, perché non potete cambiare le sensazioni, non potete creare le sensazioni. Qualsiasi cosa sorge, sorge. Può essere gradevole o sgradevole, di questo o di quel tipo, ma se mantenete l'equanimità, state certamente avanzando sul sentiero, state perdendo le vecchie abitudini mentali alla reazione.

Questo accade nella meditazione, ma come riferirlo alla vita ?

Quando nella vita quotidiana nasce un problema, bisogna fermarsi il tempo necessario per osservare le nostre sensazioni con mente equilibrata. Quando la mente è calma ed equilibrata, qualsiasi decisione si prenda sarà quella buona. Quando la mente è turbata, la decisione sarà una reazione. Bisogna imparare a trasformare il proprio comportamento in modo da passare da reazioni negative ad azioni positive.

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Quindi se non si è in collera o critici, ma si nota che qualcosa può essere fatto in modo diverso, e migliore, allora si può andare avanti e agire?

Si, bisogna agire. La vita è fatta per l'azione, non bisogna diventare inattivi. Ma l'azione deve essere compiuta con una mente equilibrata.

Oggi stavo impegnandomi per provare una sensazione in una parte del corpo che era intorpidita, e non appena la sensazione è sorta la mente ha fatto un sobbalzo, mi sono sentito come se avessi segnato un punto per la mia squadra. E mi sono mentalmente udito urlare:" Bene!" Poi ho pensato: "No, non voglio reagire così." Ma mi chiedo, una volta tornato nel mondo, come posso andare a una partita di baseball o di calcio e non reagire?

Anche in un incontro di calcio agirete, non reagirete, e scoprirete di divertirvi un mondo. Un piacere accompagnato dalla tensione della reazione non è un vero piacere. Quando la reazione cessa la tensione scompare, e solo allora è possibile cominciare a godere la vita. Allora posso saltare su e giù e gridare come voglio?

Si, con equanimità. Fatelo con equanimità.E che cosa faccio se la mia squadra perde?

In quel caso dovrete sorridere e dire "Siate felici!". Siate felici in ogni situazione!

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Mi sembra un punto fondamentale.

Sì!

I due anelli

Un uomo ricco morì in età avanzata, lasciando due figli. Per qualche tempo costoro continuarono a vivere secondo il costume indiano tradizionale, in un'unica famiglia, una famiglia allargata. Ma poi litigarono e decisero di separarsi e di dividere tra loro tutte le proprietà, al cinquanta per cento. Quando la transazione fu fatta, scoprirono un pacchettino che il padre aveva nascosto con cura. Lo aprirono e vi trovarono due anelli: uno era adorno di un diamante di notevole valore, mentre l’altro era un semplice anello d'argento da poche rupie.Vedendo il diamante, il fratello più anziano, preso dall’avidità, cominciò a spiegare al giovane: "Mi sembra che quest'anello non sia proprietà di nostro padre, ma piuttosto un bene proveniente dai suoi antenati; ecco perché lo ha tenuto separato dalle altre proprietà. E dal momento che è stato conservato per generazioni nella nostra famiglia, deve rimanere per la generazione futura. Quindi io, essendo il maggiore, lo conserverò. É meglio che tu

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prenda l'anello d'argento". Il più giovane sorrise e disse: "Va bene, sii felice con l'anello di diamanti. Io sarò felice con quello d'argento”. Entrambi si misero gli anelli al dito e se ne andarono per la loro strada.Il più giovane pensava tra sé: "É facilmente comprensibile che mio padre abbia custodito l'anello di diamanti, perché è di grande valore. Ma perché ha conservato questo comune anello d'argento?". Esaminò l'anello da vicino e vide che v’era incisa la frase: "Anche questo cambierà". "Ecco il mantra di mio padre”, pensò il giovane: "Anche questo cambierà'”. E rimise l'anello al dito.Entrambi i fratelli affrontarono gli alti e bassi della vita. Quando arrivava la primavera, il fratello più anziano si esaltava, perdendo l'equilibrio mentale. Quando veniva l'autunno o l'inverno, veniva colto dalla depressione e di nuovo perdeva l'equilibrio mentale. Divenne teso e sviluppò una forte ipertensione. Incapace di dormire la notte, iniziò a prendere sonniferi, tranquillanti e ogni sorta di medicine sempre più forti. Infine, le sue condizioni divennero tali, per cui fu necessario sottoporlo a elettroshock. Era il fratello che aveva l'anello con il diamante.In quanto al fratello più giovane, quello che aveva avuto l'anello d'argento, quando veniva la primavera ne godeva, non cercava di sfuggirle. Ne godeva, ma guardava il suo anello e si ricordava: "Anche questo cambierà". E quando cambiava, poteva sorridere e dire: "Bene, sapevo che stava per cambiare. É

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cambiata, ecco tutto!" Quando l'autunno o l'inverno arrivavano, di nuovo guardava il suo anello e si ricordava: "Anche questo cambierà". Non cominciava a lamentarsi, sapendo che anche quello sarebbe cambiato. E davvero, anche quello cambiava, se ne andava. Di tutti gli alti e bassi della vita, di tutte le vicissitudini egli sapeva che nulla è eterno, che ogni cosa viene solo per andarsene. Non perse l'equilibrio mentale e visse una vita felice e in pace.Questo era il fratello con l'anello d'argento.

CAPITOLO OTTAVO

CONSAPEVOLEZZA ED EQUANIMITA'

Consapevolezza ed equanimità: in questo consiste la meditazione Vipassana. Se praticate assieme, esse conducono alla liberazione dalla sofferenza. Se una o l'altra è debole o insufficiente, non è possibile avanzare lungo il sentiero che porta alla meta. Sono entrambe

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essenziali, come un uccello che ha bisogno di due ali per volare o un carro di due ruote per muoversi. E devono essere ugualmente forti. Se un'ala è debole e l'altra potente, l’uccello non può volare correttamente. Se una ruota è piccola e l'altra grande, il carro continuerà a muoversi in tondo. Per avanzare lungo il sentiero, il meditatore deve sviluppare sia la consapevolezza che l'equanimità.Dobbiamo diventare consapevoli della totalità della mente e della materia nella loro natura più sottile. A questo scopo non basta essere consapevoli solo degli aspetti superficiali del corpo e della mente, quali i movimenti fisici o i pensieri. Dobbiamo sviluppare la consapevolezza delle sensazioni in tutto il corpo e conservare l'equanimità nei loro riguardi.Se siamo consapevoli ma manchiamo di equanimità, tanto più allora diventiamo coscienti e sensibili alle sensazioni interiori, quanto più aumenteranno le probabilità di reagire, e perciò di accrescere la sofferenza. D'altra parte, se abbiamo raggiunto l'equanimità ma ignoriamo tutto delle sensazioni interiori, allora questa equanimità è solo superficiale e mantiene a livello inconscio le reazioni che si avvicendano costantemente nelle profondità della mente senza che ce ne accorgiamo. Dobbiamo quindi cercare di sviluppare sia la consapevolezza che l'equanimità ai livelli più profondi. Dobbiamo fare in modo di essere consapevoli di ciò che accade dentro di noi e, nello stesso tempo, di

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non reagire, sapendo che cambierà.Questa è la vera saggezza: la comprensione della propria natura, una comprensione conseguita con l'esperienza diretta della verità all'interno di se stessi. Questo è ciò che il Buddha chiamava yatha-bh³ta-ñana-dassana, la saggezza che nasce dall'osservazione della realtà così com'é. Con questa saggezza si può uscire dalla sofferenza. Ogni sensazione che si presenta darà origine solo alla comprensione dell'impermanenza. Cessano tutte le reazioni, tutti i sankhara della bramosia e dell’avversione. Imparando ad osservare la realtà oggettivamente, si smette di creare sofferenza per se stessi.

Il deposito delle reazioni passate.

Rimanere consapevoli ed equilibrati è la via per fermare il prodursi di nuove reazioni, di nuove fonti di infelicità. Ma c’é un'altra dimensione della nostra sofferenza con cui dobbiamo confrontarci. Smettendo di reagire da questo momento in poi, possiamo impedire ulteriori cause di infelicità, ma in ciascuno di noi esiste un accumulo di condizionamenti, ovvero la somma totale delle nostre reazioni passate. Anche se non aggiungiamo nulla di nuovo a questo deposito, i vecchi sankhara accumulati ci provocheranno ulteriore sofferenza.La parola sankhara può essere tradotta come "formazione", intendendo con questo sia l'atto

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del formare sia ciò che è formato. Ogni reazione è l'ultimo passo, il risultato di una sequenza di processi mentali, ma può anche essere il primo passo, la causa di una nuova sequenza mentale. Ogni sankhara è condizionato dai processi che conducono ad esso, e contemporaneamente condiziona anche i processi successivi. Il condizionamento opera influenzando la seconda funzione mentale, la percezione (trattata nel Capitolo Secondo). La coscienza è fondamentalmente indifferenziata, non discriminante: ha il solo scopo di registrare i contatti che avvengono nella mente o nel corpo. La percezione, invece, è discriminante: attinge dal deposito delle esperienze passate per valutare e catalogare ogni nuovo fenomeno. Le reazioni passate sono dei punti di riferimento con cui cercare di spiegare una nuova esperienza; la giudichiamo e la classifichiamo secondo i nostri passati sankhara.In tal modo le vecchie reazioni di bramosia e avversione influenzano la nostra percezione del presente. Invece di vedere la realtà, vediamo "come attraverso delle lenti affumicate”. La nostra percezione del mondo esterno e di quello interno è distorta e oscurata dai nostri passati condizionamenti, dalle nostre preferenze e dai nostri pregiudizi. In conseguenza della percezione distorta, una sensazione essenzialmente neutra diventa immediatamente piacevole o spiacevole. A questa sensazione reagiamo ulteriormente, creando un nuovo condizionamento che distorce

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ancora di più la nostra percezione. In tal modo ogni reazione diventa la causa di reazioni future, tutte condizionate dal passato e condizionanti a loro volta il futuro.La doppia funzione dei sankhara è illustrata nella Catena del Sorgere Condizionato (vedi Capitolo Quarto). Il secondo anello della catena è il sankhara, ossia la pre-condizione immediata del sorgere della coscienza, il primo dei quattro processi mentali. Tuttavia, sankhara è anche l'ultimo della serie dei processi, dopo la coscienza, la percezione e la sensazione. Riappare sotto questa forma, più avanti nella catena e dopo la sensazione, come reazione di bramosia e avversione. Bramosia e avversione si sviluppano in attaccamento, il quale diventa sorgente di una nuova fase di attività fisica e mentale. Così il processo si alimenta da solo. Ogni sankhara mette in moto una catena di eventi che creano un nuovo sankhara, il quale a sua volta mette in moto una nuova catena di eventi che si ripetono all’infinito, in un circolo vizioso. Ogni volta che reagiamo, rafforziamo la nostra attitudine mentale alla reazione. Ogni volta che sviluppiamo bramosia e avversione, rafforziamo la tendenza della mente a continuare a generarli. E quando questo schema mentale si è ben radicato, ne siamo catturati.Per esempio, un uomo impedisce a qualcuno di ottenere un oggetto desiderato. La persona frustrata crede che quell'uomo sia molto cattivo e lo detesta. Questa opinione –profondamente impressa nella mente inconscia della persona

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frustrata– non si basa su considerazioni circa il carattere dell’uomo, ma unicamente sul fatto che egli ha frustrato il desiderio della seconda persona. Ogni successivo contatto con quell'uomo porterà impresso questo marchio e farà nascere sensazioni spiacevoli, le quali produrranno a loro volta nuova avversione, rafforzando ulteriormente l'immagine. Anche se i due si incontrano dopo un intervallo di vent'anni, la persona che è stata frustrata tanto tempo prima pensa immediatamente che quell'uomo sia molto cattivo e di nuovo prova antipatia. In vent'anni, il carattere del primo uomo può essere totalmente cambiato, ma il secondo lo giudica con i criteri della passata esperienza. La reazione non avviene nei confronti dell’uomo, ma dell'opinione su di lui basata su una reazione cieca originaria e quindi prevenuta.In un altro caso, un uomo aiuta qualcuno a ottenere un oggetto desiderato. La persona che è stata aiutata crede che quell'uomo sia molto buono e lo stima. L'opinione è basata solo sul fatto che l'uomo ha aiutato una seconda persona a soddisfare il suo desiderio, non su una attenta considerazione del suo carattere. L'opinione positiva è registrata nella mente inconscia e connota il successivo contatto con quell'uomo, facendo sorgere sensazioni piacevoli che danno come risultato una simpatia più forte, il quale a sua volta rafforza ulteriormente l'opinione. Per quanti anni possano trascorrere tra un incontro e l’altro, lo

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stesso modello si ripete ad ogni nuovo contatto. Sia la persona frustrata che la persona gratificata non reagiscono all’uomo in se stesso, ma esclusivamente alla loro opinione su di lui, basata sulla cieca reazione originaria .In questo modo un sankhara può dare origine a una nuova reazione, sia nell'immediato che nel lontano futuro. E ogni reazione successiva diventa causa di ulteriori reazioni, destinate a non portare ad altro che a un’infelicità sempre maggiore. E’ questo il processo di ripetizione delle reazioni, della sofferenza. Pensiamo di trovarci di fronte alla realtà esterna mentre in realtà stiamo reagendo alle nostre sensazioni, le quali sono condizionate dalle nostre percezioni, le quali a loro volta sono condizionate dalle nostre reazioni. Anche se a partire da un dato momento smettiamo di generare nuovi sankhara, dobbiamo ancora fare i conti con quelli accumulati nel passato. Permane quindi in noi una tendenza a reagire che può riaffermarsi in qualsiasi circostanza, rendendoci infelici. E finché persiste questo vecchio condizionamento, non siamo completamente liberi dalla sofferenza.Come possiamo sradicare le vecchie reazioni? Per trovare una risposta a questa domanda è necessario comprendere più profondamente come procede la meditazione Vipassana.

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Sradicare i vecchi condizionamenti.

Nel praticare Vipassana, il nostro compito è semplicemente quello di osservare le sensazioni del corpo. La causa di ogni particolare sensazione non ci interessa; è sufficiente comprendere che ogni sensazione indica un cambiamento interno, che può essere di origine fisica o mentale, giacché mente e corpo funzionano in modo interdipendente e spesso non si possono differenziare: ciò che accade a un livello si riflette nell'altro.A livello fisico, come è stato trattato nel Capitolo secondo, il corpo è composto di particelle subatomiche –kalapa– che in ogni momento nascono e spariscono con grande rapidità, manifestando in un'infinita varietà di combinazioni le qualità basilari della materia –massa, coesione, temperatura e movimento– e producendo dentro di noi l'intera gamma delle sensazioni.Sono quattro le possibili cause del sorgere di kalapa. La prima è il cibo che mangiamo; la seconda è l'ambiente in cui viviamo. Ma tutto ciò che accade nella mente ha un effetto sul corpo e può essere responsabile del sorgere di kalapa. E quindi le altre due cause possono essere o le reazioni mentali in corso oppure le reazioni accumulate nel passato che stanno influenzando lo stato mentale presente. Per funzionare, il corpo richiede cibo. Tuttavia, anche se non viene alimentato, il corpo non crolla subito. Può continuare a sostenersi per

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settimane, consumando le energie conservate nei suoi tessuti. Quando tutte le energie immagazzinate sono consumate, il corpo crolla e muore: il flusso fisico perviene alla fine.Analogamente la mente deve restare attiva per mantenere il fluire della coscienza. Questa attività mentale è il sankhara. Secondo la Catena del Sorgere Condizionato, la coscienza ha origine dalle reazioni (vedi Capitolo quarto pag.). Ogni reazione mentale è responsabile dell'impeto dato al fluire della coscienza. E mentre il corpo richiede cibo solo ad intervalli, la mente richiede sempre nuove stimolazioni. Senza di queste, il fluire della coscienza non può continuare neanche per un istante. Per esempio, se a un dato momento generiamo avversione nella mente, nel momento successivo la coscienza che sorge è il prodotto di questa avversione e così via, momento per momento. Noi continuiamo a ripetere la reazione di avversione momento dopo momento, e a dare nuova energia alla mente.Con la pratica di Vipassana, però, il meditatore impara a non reagire. A un dato momento non crea più sankhara, non dà nuovi stimoli alla mente. Che accade allora al flusso psichico? Non si ferma subito: al contrario, l’una o l’altra della reazioni accumulate nel passato affioreranno alla mente per mantenere il flusso. Nascerà una risposta condizionata dal passato e su questa base la coscienza continua per un altro momento. Il condizionamento apparirà a

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livello fisico causando il nascere di un particolare tipo di kalapa, che poi si sperimenta come una sensazione nel corpo. Può forse sorgere un passato sankhara di avversione, manifestandosi in qualità di particelle che si sperimentano come spiacevoli sensazioni brucianti all’interno del corpo. Se a quelle sensazioni si reagisce con fastidio, si crea nuova avversione: si inizia a dare nuova energia al fluire della coscienza e non si permette più ad un altro sankhara proveniente dal deposito delle reazioni passate di emergere a livello conscio. Tuttavia, se capita una sensazione spiacevole e non si reagisce, allora non si creano nuovi sankhara. I sankhara scaturiti dal vecchio deposito se ne vanno. Nell’istante successivo, un altro sankhara del passato sorge come una sensazione. Di nuovo, se non si reagisce, se ne va. In tal modo, mantenendo l'equanimità, permettiamo alle reazioni accumulate nel passato di affiorare alla mente, una dopo l'altra, manifestandosi come sensazioni. Gradualmente, conservando consapevolezza ed equanimità nei riguardi delle sensazioni, sradichiamo i condizionamenti passati.Finché permangono i condizionamenti di avversione, la tendenza inconscia della mente sarà di reagire con avversione allorché si imbatte in qualche esperienza spiacevole. Finché permangono i condizionamenti di bramosia, la mente tenderà a reagire con bramosia ad ogni situazione piacevole. Vipassana opera erodendo queste risposte

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condizionate. Mentre procediamo nella pratica, continuiamo a imbatterci in sensazioni piacevoli e spiacevoli, e osservando ciascuna di esse con equanimità, indeboliamo gradualmente, fino a distruggerle, le tendenze alla bramosia e all'avversione. Quando le risposte condizionate di un certo tipo sono sradicate, si è liberi da quel tipo di sofferenza. E quando tutte le risposte condizionate sono state sradicate, una dopo l'altra, la mente è completamente libera. Colui che ha compreso a fondo questo processo ha detto:

In verità impermanenti sono le cose condizionate, avendo esse la natura del nascere e del passare . Se nascono e vengono estinte, il loro sradicamento porta la vera felicità. (1)Ogni sankhara nasce e scompare, per sorgere ancora nell’istante successivo in una ripetizione infinita. Se sviluppiamo la saggezza e iniziamo ad osservare oggettivamente, la ripetizione si ferma per dare il via allo sradicamento. Strato dopo strato, i vecchi sankhara sorgono e vengono sradicati, a patto che non reagiamo. Per quanti sankhara abbiamo sradicato, godremo di altrettanta felicità, la felicità della libertà dalla sofferenza. Se tutti i sankhara passati sono sradicati, godiamo la felicità illimitata della piena liberazione.La meditazione Vipassana è quindi un tipo di digiuno mentale che ha lo scopo di eliminare i

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condizionamenti passati. In ogni momento, per tutta la durata della nostra vita abbiamo generato delle reazioni: ora, conservandoci consapevoli ed equilibrati, abbiamo alcuni momenti in cui non reagiamo e quindi non generiamo nuovi sankhara. Quei pochi momenti, per quanto brevi possano essere, sono molto potenti; mettono in moto il processo inverso, il processo di purificazione.Per far scattare questo processo, non dobbiamo letteralmente fare nulla, dobbiamo cioè semplicemente astenerci da ogni nuova reazione. Qualsiasi sia la causa delle sensazioni che proviamo, vanno osservate con equanimità. L'atto di generare consapevolezza ed equanimità eliminerà automaticamente le vecchie reazioni, proprio come l'atto di accendere una lampada disperde l’oscurità di una stanza.Il Buddha ha narrato un giorno la storia di un uomo che aveva fatto molti doni caritatevoli, concludendola con queste parole:

Anche se costui ha compiuto gli atti più caritatevoli, sarebbe stato ancor più fruttuoso per lui rifugiarsi col cuore disponibile nell'Illuminato, in Dhamma e in tutte le persone sante. E dopo aver fatto questo, sarebbe stato ancor più fruttuoso per lui impegnarsi col cuore disponibile nei cinque precetti. E dopo di ciò, sarebbe stato ancor più fruttuoso per lui coltivare la benevolenza verso tutti giusto il tempo necessario a mungere una mucca. E una

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volta fatto tutto questo, sarebbe stato ancor più fruttuoso per lui sviluppare la consapevolezza dell'impermanenza giusto per il tempo necessario a schioccare le dita. (2)

A volte il meditatore può essere consapevole della realtà delle sensazioni nel corpo solo per un attimo e non reagisce perché ne comprende la natura transitoria. Ma anche questo breve momento avrà un effetto potente. Con una pratica paziente, ripetuta, continua, quei pochi momenti di equanimità aumenteranno e i momenti reattivi diminuiranno. Gradualmente l'abitudine mentale alla reazione si interromperà e i vecchi condizionamenti saranno sradicati, finché verrà il tempo in cui la mente sarà liberata da tutte le reazioni, passate e presenti, liberata da tutte le sofferenze.

Domande e risposte

DOMANDA: Questo pomeriggio ho cercato una nuova posizione in cui mi fosse facile sedere a lungo senza muovermi, mantenendo la schiena eretta, ma non ho potuto provare molte sensazioni. Mi chiedo se le sensazioni verranno o se devo ritornare alla vecchia posizione.

SATYA NARAYAN GOENKA: Non cercate di creare sensazioni scegliendo una posizione scomoda. Se quello fosse il modo giusto di praticare, vi chiederemmo di sedere su un letto

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di chiodi! Tali estremi non aiutano. Scegliete una posizione confortevole in cui il corpo sia eretto e lasciate che le sensazioni vengano naturalmente. Non cercate di crearle per forza, consentite loro solo di apparire. Verranno, perché esistono: e se anche vi aspettate una sensazione già provata in precedenza, ci può sempre essere qualcos’altro.

Ho provato sensazioni più sottili delle precedenti. Nella mia prima posizione era arduo rimanere seduto per più di un breve periodo senza muovermi.

Allora è bene che abbiate trovato una posizione più confortevole. Ora lasciate che la sensazione sia naturale. Forse alcune sensazioni forti sono scomparse, ed è il momento per voi di affrontare quelle più sottili, ma la mente non è ancora tanto acuta per sentirle. Per renderla più acuta, lavorate sulla consapevolezza della respirazione per un pò. Questa migliorerà la concentrazione e vi sarà più facile sentire le sensazioni sottili.

Pensavo che fosse meglio provare delle sensazioni forti, perché questo significava che un vecchio sankhara era riemerso.

Non necessariamente. Certe impurità appaiono come sensazioni molto sottili. Perché desiderare ardentemente sensazioni forti? Qualsiasi cosa appaia, forte o sottile, il vostro lavoro è di

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osservarla.

Dobbiamo cercare di identificare quale sensazione è associata con una data reazione?

Sarebbe una perdita inutile di energia. Sarebbe come se qualcuno, lavando un vestito sporco, si fermasse su ogni macchia per controllare ciò che l’ha provocata. Questo non lo aiuterebbe nel suo lavoro, che é solo quello di pulire il vestito: e per farlo, quel che importa è avere un pezzo di sapone da bucato e usarlo nel modo giusto. Se il vestito viene lavato correttamente, tutto lo sporco scompare. Allo stesso modo, chi ha ricevuto il sapone di Vipassana deve usarlo per rimuovere tutte le impurità della mente. Chi ricerca la causa di alcune particolari sensazioni, sta facendo un gioco intellettuale e si dimentica di anicca e di anatta. Questa intellettualizzazione non può aiutare nessuno a uscire dalla sofferenza.

Sono confuso su chi sta osservando e chi o cosa viene osservato.

Nessuna risposta intellettuale può essere soddisfacente. Ciascuno deve indagare per proprio conto. Che cos'é questo Io che sta facendo tutto questo? Chi è questo Io? Bisogna continuare a esplorare, ad analizzare, a vedere se viene fuori un qualche Io; se è così, osservatelo. Vedete se viene fuori un qualche

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Io; se è così, osservatelo. Se non viene fuori niente, allora bisogna accettare: “Questo Io è un'illusione".

Alcuni tipi di condizionamenti mentali non sono forse positivi? Perché cercare di sradicarli?

I condizionamenti positivi ci motivano a lavorare per la liberazione dalla sofferenza. Ma quando questo scopo è ottenuto, tutti i condizionamenti, positivi e negativi, devono essere abbandonati. É come usare una zattera per attraversare un fiume. Una volta che il fiume sia stato attraversato, non si continua il viaggio portandosi la zattera in testa. Una volta che è servita allo scopo diventa inutile e deve essere abbandonata. (3) Allo stesso modo, chi è completamente liberato non ha bisogno di condizionamenti. Una persona è liberata non a causa di condizionamenti positivi, ma a causa della purezza della mente.

Perché sperimentiamo sensazioni spiacevoli quando iniziamo a praticare Vipassana e perché le sensazioni piacevoli arrivano successivamente? Vipassana opera sradicando dapprima le impurità più grossolane. Quando puliamo un pavimento, dapprima raduniamo i rifiuti più grossi; quindi, ad ogni passata, raccogliamo la polvere sempre più fine. Così nella pratica di Vipassana: dapprima vengono sradicate le

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impurità mentali più grossolane, mentre le più sottili rimangono, apparendo come sensazioni piacevoli. Ma è pericoloso sviluppare bramosia per queste sensazioni piacevoli. Quindi dovete stare attenti a non scambiare una piacevole esperienza sensibile per la meta finale. Per sradicare tutte le reazioni condizionate bisogna continuare ad osservare ogni sensazione oggettivamente.

Avete affermato che ciascuno di noi ha i suoi panni sporchi, e anche il sapone per lavarli. Oggi mi sento come se fossi rimasto pressoché senza sapone! Questa mattina la mia pratica è stata molto intensa, ma nel pomeriggio ho cominciato a sentirmi realmente disperato e arrabbiato, e a chiedermi cosa fosse l’utilità di tutto. E’ stato come se, quando ero nel pieno della meditazione, sorgesse a contrastare questa forza un nemico interno –l'ego forse– a mettermi fuori combattimento. Sentivo inoltre di non avere la forza per combatterlo. C'è un modo per mettersi da parte così da non dover combattere tanto duramente, qualche modo intelligente per farlo?

Mantenere l'equanimità, ecco la via più intelligente! Quello che avete sperimentato è assai naturale. Quando vi sembrava che la meditazione andasse per il meglio, la mente era equilibrata e penetrava in profondità nell'inconscio. Come risultato di tale operazione in profondità, una reazione del passato è stata

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smossa ed è emersa alla superficie della mente, così nella seduta successiva avete dovuto affrontare una burrasca di negatività. In tale situazione l'equanimità è essenziale, perché in caso contrario la negatività avrebbe il sopravvento e non potreste lavorare. Se l'equanimità appare debole, bisogna applicare la consapevolezza del respiro. Quando viene una grossa burrasca, bisogna gettare l'àncora e aspettare che passi. In questi casi, è il respiro che funge da àncora. Utilizzatelo, e la burrasca passerà. É bene che questa negatività sia emersa, dandovi la possibilità di liberarvene. Se saprete conservare l'equanimità, scomparirà facilmente.

Anche se non provo dolore, posso ugualmente avvantaggiarmi da questi esercizi?

Se siete consapevoli ed equilibrati, allora –dolore o non dolore– state certamente facendo dei progressi. Non è necessario sentire dolore per fare progressi sul sentiero. Se non c'è dolore, bisogna accettare il fatto che non c'è dolore. Bisogna solo osservare ciò che c'è.

Ieri ho avuto un'esperienza in cui tutto il mio corpo si sentiva come dissolto, come se fosse ovunque solo una massa di vibrazioni

Sì?

Quando questo accadeva mi sono ricordato che

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da bambino avevo avuto un'esperienza simile. Per tutti questi anni ho cercato una via per provare ancora un’esperienza simile. Ed eccola di nuovo.

Sì?

Naturalmente volevo che l’esperienza continuasse, la volevo prolungare. Ma essa è cambiata e se n’è andata. E allora ho cercato di farla tornare ancora, ma senza risultato. Anzi, da questa mattina ho avuto solo esperienze grossolane.

Sì?

E poi ho compreso quanto mi rendevo infelice a cercare di ottenere quella esperienza.

Sì?

E poi ho compreso che in realtà non siamo qui per fare delle esperienze particolari. Giusto?

Giusto.

Che in realtà siamo qui per imparare ad osservare ogni esperienza senza reagire. Giusto?

Giusto.

Per cui, ciò di cui tratta realmente questa

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meditazione è lo sviluppo dell'equanimità. Giusto?

Giusto!

Mi sembra che ci voglia un’eternità per eliminare uno alla volta tutti i passati sankhara.

Sarebbe così se ad ogni singolo momento di equanimità corrispondesse un singolo sankhara del passato in meno. Ma nei fatti la consapevolezza delle sensazioni vi porta al livello più profondo della mente e vi permette di tagliare le radici dei condizionamenti passati. In questo modo, in un tempo relativamente breve potete eliminare interi complessi di sankhara, a patto che la vostra consapevolezza e la vostra equanimità siano forti.

E allora quanto tempo occorre per questo processo di purificazione?

Ciò dipende da quanto grande è il vostro deposito di sankhara che dovete eliminare, e quanto forte è la vostra meditazione. Non potete calcolare il vostro deposito passato, ma potete essere certi che più meditate seriamente, più velocemente vi avvicinate alla liberazione. Continuate a lavorare risolutamente verso quella meta. Verrà il tempo, più presto di quanto pensiate, in cui la raggiungerete.

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Nient’ altro che vedere

Un eremita viveva nei pressi del luogo dove oggi sorge la città di Bombay. Era un vero sant'uomo. Tutti quelli che lo incontravano lo veneravano per la sua purezza mentale e molti affermavano che doveva essere pienamente liberato. Udendo con quali alte parole parlavano di lui, naturalmente quest'uomo cominciò a chiedersi: "Forse sono davvero pienamente liberato". Ma, essendo una persona onesta, si esaminò attentamente e vide che nella sua mente c'erano ancora tracce di impurità e quindi, finché le impurità non fossero scomparse, non avrebbe potuto raggiungere lo stadio della perfetta santità. Allora chiese a quelli che venivano ad onorarlo: "Non c'è qualcun altro nel mondo, oggi, che è ritenuto completamente liberato?""Sì" essi replicarono. "C'è il monaco Gotama, chiamato il Buddha, che vive nella città di Savatthi. Viene ritenuto pienamente liberato e insegna la tecnica per mezzo della quale ha potuto conseguire la liberazione"."Devo andare da quest'uomo" decise l'eremita. "Devo imparare da lui la via per diventare pienamente liberato". Così iniziò a camminare da Bombay attraverso tutta l'India centrale e alla fine arrivò a Savatthi, che oggi è nello stato dell'Uttar Pradesh, nel nord dell'India. Una volta

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arrivato a Savatthi, raggiunse il centro di meditazione del Buddha e chiese dove potesse trovarlo."É uscito" rispose uno dei monaci. "É uscito per elemosinare il cibo in città. Aspettate qui e riposatevi dal viaggio, ritornerà tra poco"."Non posso aspettare. Non ho tempo di aspettare! Mostratemi la strada che ha preso e io la seguirò "."Va bene, dato che insistete, ecco la strada che ha preso. Se volete, potete trovarlo lì". Senza perdere un momento, l'eremita si mise di nuovo in cammino e arrivò nel centro della città. Là vide un monaco che andava di casa in casa elemosinando cibo. La meravigliosa atmosfera di pace e armonia che circondava questa persona convinse l'eremita di trovarsi di fronte al Buddha; e, avendolo domandato a un passante, scoprì che era proprio lui.Allora, in mezzo alla strada, l'eremita si avvicinò al Buddha, si inginocchiò e gli toccò i piedi. "Signore "disse" mi è stato detto che siete pienamente liberato e che insegnate una via per ottenere la liberazione. Vi prego, insegnatemi questa tecnica".Il Buddha rispose: "Sì, insegno questa tecnica e ve la posso insegnare. Ma non è né il tempo né il luogo opportuno. Andate e aspettatemi al centro di meditazione. Ritornerò presto e ve la insegnerò."."No, non posso aspettare"."Cosa dite, neanche per mezz'ora?""No, non posso aspettare! Chi sa? Tra mezz'ora

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potrei anche morire. In mezz'ora potreste morire voi. In mezz'ora tutta la fiducia che ho in voi potrebbe morire e allora non sarei più capace di imparare questa tecnica. Ora, signore, è il tempo. Per favore, insegnatemela ora!"Il Buddha lo guardò e riflettè: "Sì, a quest'uomo resta poco tempo, morirà fra pochi minuti. Devo dargli il Dhamma, qui-e-ora." Ma come insegnare Dhamma stando in mezzo alla strada? Disse solo poche parole, che pure contenevano tutto l'insegnamento: "Nel vostro vedere ci sia solo il vedere, nel vostro sentire nient’altro che il sentire, nel vostro odorare, assaporare, toccare nient’altro che odorare, assaporare, toccare, nel vostro conoscere nient’altro che il conoscere." Quando avviene il contatto per mezzo di una delle sei basi dell'esperienza sensoriale, non ci deve essere alcuna valutazione, alcuna percezione condizionata. Dal momento che la percezione comincia a valutare un'esperienza come buona o cattiva, si vede il mondo in modo distorto a causa delle proprie reazioni cieche. Per liberare la mente da tutti i condizionamenti, bisogna imparare a bloccare la valutazione basata sulle reazioni del passato ed essere solamente consapevoli, senza valutare e senza reagire.L'eremita era un uomo con una mente così pura che queste istruzioni gli bastarono. Là, seduto sul bordo della strada, fissò la sua attenzione sulla realtà interiore: nessuna valutazione, nessuna reazione, osservò semplicemente il

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processo dei cambiamenti interiori. E nei pochi minuti che gli rimanevano da vivere raggiunse la meta finale, divenne pienamente liberato. (4)

CAPITOLO NONO

LA META

"Qualsiasi cosa abbia la natura del nascere, ha anche la natura del finire". (1) L'esperienza di questa realtà è l'essenza dell'insegnamento del Buddha. Mente e corpo sono soltanto un insieme di processi che nascono e scompaiono costantemente. La nostra sofferenza sorge quando sviluppiamo attaccamento per i processi, per ciò che in realtà è effimero e non ha sostanza. Se siamo in grado di comprendere direttamente la natura impermanente di questi processi, il nostro attaccamento ad essi svanirà. Questo è il compito che si assumono i meditatori: capire la propria natura transitoria osservando le sensazioni interne in continuo

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mutamento. Quando si presenta una sensazione, non reagiscono, ma le permettono di nascere e sparire. Così facendo consentono ai vecchi condizionamenti mentali di emergere in superficie e sparire. Quando condizionamento e attaccamento cessano, cessa la sofferenza e si sperimenta la liberazione. É un compito lungo, che richiede un'applicazione costante. I benefici compaiono ad ogni passo lungo la via, ma ottenerli richiede uno sforzo ripetuto. Solo esercitandosi con pazienza, perseveranza e continuità il meditatore può avanzare verso la meta.

Il raggiungimento della verità ultima

Ci sono tre livelli di progresso sul sentiero. Il primo consiste solo nell’imparare la tecnica, come funziona e perché. Il secondo consiste nel metterla in pratica. Il terzo è la penetrazione, cioè l’uso della tecnica per penetrare in profondità nella propria realtà e perciò progredire verso la meta finale.Il Buddha non negava l'esistenza di un mondo apparente di strutture, forme, colori, sapori, odori, dolori e piaceri, pensieri ed emozioni, di esseri –se stessi e gli altri. Si limitava ad affermare che questa non è la realtà ultima. Con la visione ordinaria percepiamo solo i modelli su larga scala in cui i fenomeni più sottili si organizzano. Vedendo solo i modelli e non i componenti sottostanti, siamo innanzitutto consapevoli delle loro differenze, e quindi

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facciamo distinzioni, assegniamo etichette, ci formiamo preferenze e pregiudizi, cominciamo a provare piacere e dispiacere: tutto il processo che poi si sviluppa in bramosia e avversione.Per abbandonare l'abitudine alla bramosia e all'avversione, è necessario non solo avere una visione completa, ma vedere le cose in profondità, percepire i fenomeni sottostanti che compongono la realtà apparente. Questo è precisamente ciò che la pratica della meditazione Vipassana ci permette di fare.Ogni autoesame inizia naturalmente con l’aspetto più ovvio di ciascuno di noi: le diverse parti del corpo, le varie membra e i vari organi. Un'ispezione più ravvicinata rivela che alcune parti del corpo sono solide, altre liquide, altre in movimento, altre ancora ferme. Forse percepiamo la temperatura corporea distinta dalla temperatura dell'atmosfera circostante. Tutte queste osservazioni possono aiutarci a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza, ma sono ancora dei risultati di un esame della realtà apparente in un composto di strutture e forme. Quindi persistono le distinzioni, le preferenze e i pregiudizi, le bramosie e le avversioni.La meditazione ci conduce oltre, attraverso l’esercizio della consapevolezza delle sensazioni interiori, che rivelano senz’altro una realtà più sottile della quale in precedenza eravamo ignoranti. Dapprima siamo consapevoli dei diversi tipi di sensazione nelle diverse parti del corpo, sensazioni che sembrano sorgere,

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permanere per qualche tempo e finalmente sparire. Sebbene siamo ormai avanzati oltre il livello superficiale, stiamo ancora osservando gli schemi integrati della realtà apparente. Per questa ragione non siamo ancora liberi dalla discriminazione, dalla bramosia e dall'avversione.Se continuiamo a praticare con diligenza, prima o poi arriveremo al livello in cui la natura delle sensazioni cambia. Ora siamo consapevoli dell'uniformità delle sensazioni sottili attraverso tutto il corpo: sorgono e spariscono con grande rapidità. Siamo penetrati al di là degli schemi integrati sino a percepire i fenomeni sottostanti di cui sono composti, le particelle subatomiche di cui tutta la materia è costituita. Sperimentiamo direttamente la natura effimera di queste particelle, che nascono e scompaiono continuamente. Ora, di tutto ciò che osserviamo interiormente, sia esso sangue od ossa, solido o liquido o gassoso, bello o brutto, percepiamo solo una massa di vibrazioni indistinte. Alla fine il processo che ci porta a fare distinzioni e ad assegnare etichette cessa. Abbiamo esperienza di ciò che c'è all'interno della struttura dei nostri corpi, la verità ultima della materia: un flusso costante, che nasce e scompare.Analogamente, la realtà apparente dei processi mentali può essere penetrata sino ai livelli più sottili. Per esempio, capita un momento di piacere o di dispiacere, basato su un condizionamento passato. Il momento seguente la mente ripete la reazione di piacere o

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dispiacere e la rinforza attimo per attimo fino a svilupparla in bramosia o avversione.Di solito siamo consapevoli solo delle reazioni intensificate. Con questa percezione superficiale, cominciamo a identificare e discriminare tra piacevole e spiacevole, buono e cattivo, voluto e non voluto. Ma un'emozione intensificata si comporta esattamente come una realtà materiale apparente: quando iniziamo a esaminarla osservando le sensazioni interiori, essa si dissolve. Così come la materia non è altro se non sottili ondicine di particelle subatomiche, così una forte emozione è solo la forma consolidata di piaceri e dispiaceri momentanei, di momentanee reazioni alle sensazioni. Una volta che una forte emozione si sia dissolta in forme più sottili, non ha più il potere di sopraffarci.Dall'osservazione delle diverse sensazioni consolidate nelle diverse parti del corpo avanziamo verso la consapevolezza delle sensazioni più sottili di natura uniforme, che nascono e svaniscono costantemente in tutta la struttura fisica. A causa della grande rapidità con cui le sensazioni compaiono e scompaiono, possono essere sperimentate come un flusso di vibrazioni, una corrente che si muove attraverso il corpo. Ovunque fissiamo l'attenzione all’interno della struttura fisica, non siamo consapevoli di null’altro se non del nascere e dello svanire. Ogni volta che nella mente sorge un pensiero siamo consapevoli delle sensazioni fisiche che lo accompagnano, le quali sorgono e

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svaniscono. L'apparente solidità del corpo e della mente si dissolve, e noi sperimentiamo la realtà ultima della materia, della mente e delle formazioni mentali: null’altro se non vibrazioni, oscillazioni, che sorgono e svaniscono con grande rapidità. Colui che ha sperimentato questa verità disse:

Tutto il mondo è in fiamme tutto il mondo va in fumo.Tutto il mondo sta bruciando,tutto il mondo è in vibrazione. (2)

Per raggiungere questo livello di dissoluzione (bhanga), il meditatore non deve fare altro che sviluppare la consapevolezza e l'equanimità. Così come uno scienziato può osservare i più minuti fenomeni aumentando l'ingrandimento del microscopio, sviluppando la consapevolezza e l'equanimità si aumenta l'abilità di osservare le realtà interiori più sottili.Questa esperienza, quando avviene, è certamente molto piacevole. Tutti i mali e i dolori sono dissolti, tutte le aree prive di sensazioni sono scomparse. Ci si sente in pace, felici, colmi di beatitudine. Il Buddha la descrive così:

Ogni volta che si sperimenta il sorgere e lo svanire dei processi fisici e mentali, si sperimenta beatitudine e gioiaSi ottiene l'immortalità, come l’ha realizzata il

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saggio. (3)

La beatitudine sorgerà sicuramente allorché si avanza sul sentiero, quando l'apparente solidità della mente e del corpo si è dissolta. Compiaciuti da questa gradevole situazione, potremmo pensare che sia la meta finale. Ma è solo una stazione di transito. Da questo punto in poi avanziamo ulteriormente per sperimentare la verità ultima al di là della mente e della materia, per raggiungere la completa libertà dalla sofferenza.Il significato di queste parole del Buddha ci diventa molto chiaro attraverso la pratica meditativa. Penetrando dalla realtà apparente a quella sottile, iniziamo a godere del flusso delle vibrazioni attraverso il corpo. Poi improvvisamente il flusso se ne va. Di nuovo facciamo esperienza di sensazioni intense e spiacevoli in alcune parti, mentre altre parti rimangono insensibili. Di nuovo possiamo anche sperimentare un’intensa emozione nella mente. Se cominciamo a provare avversione per questa nuova situazione e a desiderare che il flusso ritorni, non abbiamo compreso correttamente la meditazione Vipassana, anzi l’abbiamo scambiata per un gioco il cui scopo è di ottenere esperienze piacevoli ed evitare o eliminare quelle spiacevoli. Ed è lo stesso gioco che abbiamo fatto per tutta la vita: il circolo senza fine dello spingere e del tirare, dell’attrazione e della repulsione, che conduce solo all’infelicità. Non appena la saggezza aumenta, scopriamo

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tuttavia che l’avvicendarsi di sensazioni forti, anche dopo l'esperienza di dissoluzione, non indica una regressione quanto piuttosto un progresso. Chi pratica Vipassana non lo fa con lo scopo di sperimentare un particolare tipo di sensazione, ma per liberare la mente da tutti i condizionamenti. Se reagiamo alle sensazioni, accresciamo la sofferenza. Se rimaniamo equilibrati, ci sbarazziamo di qualche condizionamento e la sensazione diviene un mezzo per liberarci dalla sofferenza. Osservando le sensazioni spiacevoli senza reagire, sradichiamo l’avversione. Osservando le sensazioni piacevoli senza reagire, sradichiamo la bramosia. Osservando le sensazioni neutre senza reagire, sradichiamo l'ignoranza. Perciò nessuna sensazione, nessuna esperienza è intrinsecamente buona o cattiva. E’ buona se chi la prova mantiene l’equilibrio; è cattiva se fa perdere l’equanimità. Con questa conoscenza, possiamo utilizzare ogni sensazione come uno strumento per sradicare i condizionamenti. Questo è lo stadio del sankhara-upekkha, dell’equanimità verso tutti i condizionamenti, che conduce passo dopo passo alla verità ultima della liberazione, il nibbana.

L'esperienza della liberazione.

La liberazione è possibile. Si può raggiungere la libertà da tutti i condizionamenti, da tutte le sofferenze. Il Buddha ha spiegato:

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C'é una sfera di esperienza, che sta al di là dell'intero campo della materia, dell'intero campo della mente, che non è né questo né un altro mondo, né entrambi, né la luna, né il sole. E’ ciò che io non chiamo né sorgere, né svanire, né durare, né morire o rinascere. Non ha sostegno, non ha sviluppo, non ha fondamento. E’ questa è la fine della sofferenza. (4)

Ha detto anche:

C'é un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato. Se non ci fosse un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato, come si potrebbe conoscere un modo per liberarsi dal nato, dal divenuto, dal creato, dal condizionato? Ma dal momento che c'é un non nato, un non divenuto, un non creato, un non condizionato, allora conosciamo una via per liberarci dal nato, dal divenuto, dal creato, dal condizionato. (5)

Il nibbana non è solo la condizione alla quale si perviene dopo la morte; è qualcosa da sperimentare dentro di sé qui e ora. É descritto in termini negativi non perché sia un'esperienza negativa, ma perché non abbiamo nessun altro modo per descriverlo. Ogni linguaggio ha parole concernenti l'intera gamma dei fenomeni fisici e mentali, ma non ci sono parole o concetti per descrivere qualcosa che è al di là della mente e della materia, che sfida tutte le categorie, tutte

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le distinzioni. Possiamo descriverlo solo dicendo ciò che non é. Di fatto, non ha senso cercare di descrivere il nibbana. Qualsiasi descrizione potrà solo confondere. Più che discuterlo o studiarlo, ciò che importa è sperimentarlo. "La nobile verità della cessazione della sofferenza deve essere realizzata da se stessi", ha affermato il Buddha (6). Quando qualcuno sperimenta il nibbana, solo allora esso diviene reale per lui, e tutte le argomentazioni su di esso diventano irrilevanti.Per sperimentare la verità ultima della liberazione è necessario in primo luogo penetrare oltre la realtà apparente e sperimentare la dissoluzione del corpo e della mente. Più si penetra oltre la realtà apparente, più si abbandona la bramosia, l'avversione e l'attaccamento, più ci si avvicina alla verità ultima. Un passo dopo l’altro, a un certo punto si raggiungerà naturalmente un livello in cui il passo seguente è costituito dall'esperienza del nibbana. Non esiste una particolare ragione per desiderarlo ardentemente né per dubitare che arriverà. Deve arrivare per tutti quelli che praticano correttamente Dhamma. Quando, nessuno può dirlo. Dipende in parte dall'accumulo di condizionamenti che ognuno ha, in parte dagli sforzi messi in atto per sradicarli. Tutto ciò che si può fare, tutto ciò che bisogna fare per raggiungere lo scopo, è di continuare ad osservare ogni sensazione senza reagire.Non possiamo decidere quando

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sperimenteremo la verità ultima del nibbana, ma possiamo verificare se stiamo progredendo verso di essa, controllando lo stato attuale della nostra mente. Conservando l'equanimità in tutte le situazioni che si presentano fuori e dentro di noi, in quel preciso momento raggiungiamo la liberazione. Chi ha conseguito la meta ultima ha affermato: "Estinzione della bramosia, estinzione dell'avversione, estinzione dell'ignoranza: questo è chiamato nibbana”. (7) Nella misura in cui la mente sarà libera da queste negatività, si sperimenterà la liberazione. Ogni momento in cui pratichiamo correttamente Vipassana possiamo sperimentare questa liberazione. Dopo tutto, per definizione, Dhamma deve dare dei risultati qui ed ora, non solo nel futuro. Dobbiamo sperimentare i suoi benefici ad ogni passo compiuto sulla via, ed ogni passo deve condurci direttamente verso la meta. La mente che in un dato momento è libera dai condizionamenti, è una mente in pace. Ciascuno di questi momenti ci porta più vicino alla liberazione totale. Non possiamo sforzarci di sviluppare il nibbana, dal momento che il nibbana non si sviluppa, semplicemente è. Possiamo però sforzarci di sviluppare la qualità che ci conduce al nibbana, la qualità dell'equanimità. Ogni momento in cui osserviamo la realtà senza reagire, penetriamo nella verità ultima. La più alta espressione della mente è l'equanimità basata sulla piena consapevolezza della realtà.

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La vera felicità

Una volta al Buddha venne chiesto di spiegare cosa fosse la vera felicità. Egli elencò varie azioni benefiche che producono felicità, degli autentici stati di felicità. Esse rientrano tutte in due categorie: azioni che contribuiscono al benessere degli altri adempiendo a tutte le responsabilità nei confronti della famiglia e della società, e azioni che purificano la mente. Il proprio bene non è separabile dal bene degli altri. Alla fine disse:

Di fronte agli alti e bassi della vitala mente rimane sempre equilibrata,non si lamenta, non genera impurità, si sente sempre sicura;questa è la felicità più grande. (8)

Qualsiasi cosa nasca, sia all’interno del proprio microcosmo mentale o fisico, che nel mondo esterno, può essere fronteggiata: non con la tensione, né con la soppressione della bramosia o dell’avversione, bensì con una calma totale, col sorriso che proviene dalle profondità della mente.In ogni situazione, piacevole o spiacevole, voluta o non voluta, non si prova ansia, ci si sente totalmente sicuri, di quella sicurezza che proviene dalla comprensione dell'impermanenza. Questa è la felicità più grande.Sapere che siete padroni di voi stessi, che nulla

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vi può sopraffare, che potete accettare con un sorriso qualsiasi cosa la vita vi offra: questo è il perfetto equilibrio mentale, la vera liberazione. Questo è ciò che si può ottenere qui ed ora praticando la meditazione Vipassana. Questa vera equanimità non è puramente negativa, e nemmeno fredda indifferenza. Non è la cieca acquiescenza o l’apatia di chi cerca di sfuggire ai problemi della vita, di chi cerca di nascondere la testa nella sabbia. Piuttosto, il vero equilibrio mentale è basato sulla piena consapevolezza dei problemi, la consapevolezza di tutti i livelli della realtà.L'assenza di bramosia e avversione non implica un'attitudine di arida indifferenza, in cui si gode della propria liberazione ma non ci si dà pensiero della sofferenza degli altri. Al contrario, la vera equanimità è chiamata propriamente "santa indifferenza". E' una qualità dinamica, un'espressione di purezza mentale. Libera dall'abitudine alla reazione cieca, per la prima volta la mente può intraprendere un'azione positiva, e in quanto tale creativa, produttiva e benefica per se stessi e per tutti gli altri. Insieme con l'equanimità sorgeranno le altre doti di una mente pura: benevolenza, amore che cerca il bene degli altri senza aspettarsi nulla in cambio, compassione per gli altri, per le loro debolezze e le loro sofferenze, gioia e simpatia per i loro successi e la loro fortuna. Queste quattro qualità sono l’inevitabile conseguenza della pratica di Vipassana.Se prima si cercava sempre di conservare tutto

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il buono per sé e di scaricare sugli altri le esperienze negative, ora si comprende che la propria felicità non può essere conseguita a spese degli altri, e che dare felicità agli altri porta felicità a se stessi. Quindi si cerca di spartire con gli altri tutto ciò che di buono si possiede. Usciti dalla sofferenza e sperimentata la pace della liberazione, si comprende che è questo il bene più grande. Di conseguenza si desidera che anche gli altri possano sperimentare questo bene e trovare così la via per uscire dalla sofferenza.Questa è la conclusione logica della meditazione Vipassana: metta-bhavana, lo sviluppo della benevolenza verso gli altri. Se in precedenza si approvavano a parole tali sentimenti mentre in profondità i processi di bramosia e avversione continuavano, ora, in qualche misura, il processo reattivo si è fermato, la vecchia abitudine all'egoismo è scomparsa e la benevolenza fluisce con naturalezza dalle profondità della mente. Con l’immensa forza della mente pura, la benevolenza può contribuire moltissimo a creare un'atmosfera pacifica e armoniosa a beneficio di tutti.Ci sono persone che pensano che essere sempre equanimi significa non godere più la vita nelle sue infinite varietà, come se un pittore che ha a disposizione una tavolozza piena di colori decidesse di usare solo il grigio, o chi, avendo a disposizione un pianoforte, decidesse di suonare sempre e solo un’unica nota. É un

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concetto sbagliato dell'equanimità. Il problema vero è che il piano è scordato e non sappiamo come suonarlo. Pestare semplicemente i tasti in nome dell'auto-espressione creerà soltanto dissonanze. Ma se impariamo ad accordare lo strumento e a suonarlo correttamente, allora potremo fare della musica usando tutta la tastiera dalla nota più bassa alla più alta: e ciascuna di esse creerà soltanto armonia e bellezza.Il Buddha disse che purificando la mente e conseguendo la "saggezza fino alla sua massima perfezione", si prova "gioia, beatitudine, tranquillità, consapevolezza, piena comprensione, vera felicità". (9) Con una mente equilibrata si può godere meglio la vita. Se si è in possesso di una consapevolezza acuta e totale del momento presente, quando capita una situazione piacevole, la si può assaporare completamente. Ma quando l'esperienza finisce, non ne siamo angustiati. Continuiamo a sorridere, comprendendo che era destinata a cambiare. Allo stesso modo, in presenza di una situazione spiacevole, non ci turbiamo, ma al contrario la comprendiamo e in questo modo possiamo persino trovare il mezzo di cambiarla. Se ciò non è in nostro potere, restiamo comunque in pace, ben sapendo che ogni esperienza è impermanente, destinata a passare. In tal modo, mantenendo la mente libera dalle tensioni, la nostra vitapuò essere più piacevole e produttiva.Si racconta che in Birmania c'era gente che

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criticava gli studenti di Sayagyi U Ba Khin, perché non tenevano quel contegno serio che è proprio di chi pratica la meditazione Vipassana. Questi critici ammettevano che durante il corso gli studenti si impegnavano seriamente, come veniva loro chiesto, ma in seguito apparivano sempre felici e sorridenti. Quando le critiche giunsero all’orecchio di Webu Sayadaw, uno dei monaci più rispettati del paese, egli replicò: "Sorridono perché possono sorridere." Il loro non era un sorriso dovuto ad attaccamento o ignoranza, ma al Dhamma. Chi ha ripulito la mente non va in giro col viso arcigno. Quando la sofferenza è rimossa, il sorriso affiora spontaneo. Quando si apprende la via per la liberazione, ci si sente naturalmente felici.Questo sorriso che viene dal cuore, che è solo espressione di pace, equanimità e benevolenza, un sorriso che resta luminoso in ogni situazione, è la vera felicità. Questo è il fine di Dhamma.

Domande e risposte

DOMANDA: Mi chiedo se possiamo trattare i pensieri ossessivi allo stesso modo con cui trattiamo il dolore fisico.

SATYA NARAYAN GOENKA: Basta accettare il fatto che nella mente c'è un pensiero ossessivo o un'emozione, qualcosa che era stato profondamente soppresso e ora è affiorato a

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livello conscio. Non scendete in dettagli, ma limitatevi ad accettare l'emozione come emozione. E assieme ad essa, che tipo di sensazione provate? Non ci può essere un'emozione senza una sensazione a livello fisico. Incominciate a osservare quella sensazione.

Quindi dobbiamo osservare la sensazione collegata con quella particolare emozione?

Osservate qualsiasi sensazione sorga. Non potete scoprire quale sensazione sia collegata con quell'emozione, per cui non cercate di farlo; significherebbe indulgere in uno sforzo inutile. Nel momento in cui nella mente c'è un'emozione, qualsiasi sensazione si provi a livello fisico è in rapporto con quell’emozione. Limitatevi a osservare la sensazione e a capire: "Queste sensazioni sono anicca. Anche questa emozione è anicca. Vediamo un pò quanto dura". Scoprirete che l’emozione scompare perché ne avete estirpato le radici.

Volete dire che l'emozione e la sensazione sono le stesse?

Sono le due facce della stessa moneta. L'emozione è mentale e la sensazione è fisica, ma sono in relazione. Di fatto ogni emozione, qualsiasi cosa sorga nella mente, deve nascere insieme ad una sensazione nel corpo. É una legge di natura.

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Ma l'emozione in se stessa è un contenuto mentale?

Un contenuto mentale, certamente.

Ma la mente è anche tutto il corpo?

É strettamente collegata a tutto il corpo.

La coscienza è in tutti gli atomi del corpo?

Sì. Ecco perché la sensazione collegata con una particolare emozione può nascere ovunque dentro il corpo. Se osservate la sensazione attraverso il corpo, state anche osservando la sensazione collegata con quell'emozione. E così uscite fuori dall'emozione.

Se ce ne stiamo seduti, ma non siamo in grado di provare una sensazione, l’esercizio è ugualmente utile?

Se sedete e osservate la respirazione, essa calmerà la mente e la porterà alla concentrazione; ma il processo di pulizia non può operare ai livelli più profondi se non provate delle sensazioni. Nelle profondità della mente, le reazioni iniziano con le sensazioni, che costantemente si succedono l’una all’altra.

Durante la vita quotidiana, se abbiamo alcuni momenti liberi, è utile fermarsi e osservare le

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sensazioni?

Sì. Anche ad occhi aperti, quando non avete altro da fare, dovete essere consapevoli delle sensazioni all'interno di voi stessi.

Un maestro come riconosce che un allievo ha sperimentato il nibbana?

Ci sono vari modi per verificare quando qualcuno sta effettivamente sperimentando il nibbana. Per questo un maestro deve ricevere un'educazione appropriata.

Come possono i meditatori riconoscerlo da soli?

Dai cambiamenti che intervengono nella loro vita. Chi ha realmente sperimentato il nibbana diventa una persona nobile, santa, con una mente pura. Non trasgredisce in alcun modo i cinque precetti di base, non nasconde gli errori ma li ammette apertamente e cerca in tutti i modi di non ripeterli. L'attaccamento a riti e cerimonie scompare, perché essi li riconoscono come forme esteriori, vuote, senza un'esperienza reale. Hanno una fiducia inamovibile nel sentiero che li conduce alla liberazione, non continuano a cercare altre strade. E, infine, in essi l'illusione dell'ego sarà frantumata. Se qualcuno afferma di avere sperimentato il nibbana, ma la sua mente rimane impura come prima, al pari delle sue azioni che restano nocive, allora c'è qualcosa di

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sbagliato. Il suo stile di vita deve mostrare se lo ha realmente sperimentato.Non è consono a un maestro rilasciare "certificati" agli studenti per annunciare che hanno conseguito il nibbana. Tutto si trasformerebbe in una gara di accrescimento dell’ego sia per l'insegnante che per gli studenti. Gli studenti cercherebbero solo di ottenere un certificato, e più certificati un maestro rilascia, più alta è la sua reputazione. L'esperienza del nibbana diventa secondaria, il certificato acquista un'importanza primaria e tutto diventa un folle gioco. Il puro Dhamma esiste solo per aiutare la gente, e la soddisfazione più grande è quella di constatare che uno studente ha veramente sperimentato il nibbana e si è liberato. Lo scopo del maestro e dell'insegnamento è di aiutare sul serio la gente, e non quello di pubblicizzare l’ego. Non è un gioco.

Come paragonereste la psicoanalisi a Vipassana?

Con la psicoanalisi si cerca di richiamare alla coscienza gli avvenimenti passati che hanno esercitato una forte influenza nel condizionare la mente. Vipassana, d'altra parte, conduce il meditatore ai livelli più profondi della mente dove, di fatto, inizia il condizionamento. Ogni episodio che la psicoanalisi cerca di far affiorare ha registrato anche una sensazione a livello fisico. Osservando le sensazioni fisiche

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attraverso il corpo con equanimità, il meditatore permette ad innumerevoli strati di condizionamento di emergere e scomparire. Egli si confronta con le radici del condizionamento e può liberarsene rapidamente e facilmente.

Cos'è la vera compassione?

É il desiderio di servire la gente, di aiutarla a uscire dalla sofferenza. Ma è una cosa che deve essere fatta senza attaccamento. Chi piange sulla sofferenza degli altri, si rende solo infelice. Non è questo il sentiero di Dhamma. Chi prova vera compassione, cercherà di aiutare gli altri con amore, con tutte le sue capacità. Se fallisce, sorride e cerca un altro modo per aiutare; lavora senza preoccuparsi dei risultati del suo servizio. Questa è la vera compassione, che nasce da una mente equilibrata.

Volete dire che Vipassana è il solo modo per raggiungere l'illuminazione?

L'illuminazione si raggiunge esaminando se stessi ed eliminando i condizionamenti. E fare questo è Vipassana, qualsiasi nome gli possiate dare. Alcune persone non hanno mai sentito parlare di Vipassana, e tuttavia in esse il processo ha iniziato ad operare spontaneamente. Giudicando dalle loro parole, sembra che questo sia stato il caso di diversi santi in India. Ma poiché essi non avevano appreso il procedimento con gradualità, non

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sono stati capaci di spiegarlo agli altri con chiarezza. Qui esiste la possibilità di apprendere passo per passo il metodo che porta all'illuminazione.

Voi definite Vipassana un’arte di vivere universale, ma questo non confonde le persone di altre religioni che la praticano?

Vipassana non si fa passare per una religione in competizione con altre religioni. Ai meditatori non viene chiesto di sottoscrivere ciecamente una dottrina filosofica, ma viene loro chiesto di accettare soltanto ciò che essi sperimentano come vero. La cosa più importante non è la teoria, ma la pratica, e ciò significa condotta morale, concentrazione e comprensione profonda della realtà che purifica la mente. Quale religione può fare obiezione a ciò? E come potrebbe confondere qualcuno? Date importanza alla pratica e verificherete che tali dubbi si risolveranno automaticamente.

La bottiglia d'olio

Una madre mandò il figlio con una bottiglia vuota e un biglietto da dieci rupie a comperare dell'olio dal droghiere all'angolo. Il ragazzo andò e si fece riempire la bottiglia; ma mentre stava tornando a casa cadde e la rovesciò. Prima che potesse raccoglierla, metà dell'olio si versò. Vedendo che la bottiglia era mezzo vuota, tornò

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dalla madre piangendo: "Ho perso metà dell'olio! Ho perso metà dell'olio!" Era molto infelice.La madre mandò un altro figlio con un'altra bottiglia e un'altra banconota da dieci rupie. Anch’egli si fece riempire la bottiglia e sulla via del ritorno cadde e la rovesciò. Di nuovo una metà dell'olio si versò. Raccolta la bottiglia, ritornò dalla madre molto felice: "Guarda, ho salvato metà dell'olio! La bottiglia è caduta e poteva anche rompersi. L'olio ha iniziato a versarsi, avrei potuto perderlo tutto. Ma ne ho salvato la metà!". Entrambi tornarono dalla madre nella stessa condizione, con una bottiglia che era per metà vuota e per metà piena. Uno piangeva per la metà vuota, l'altro era felice per la parte piena.Allora la madre inviò un altro figlio con un'altra bottiglia e altre dieci rupie. Anche questo cadde sulla via del ritorno e rovesciò la bottiglia. Metà dell'olio si versò. Il ragazzo raccolse la bottiglia e, come il secondo fratello, arrivò dalla madre tutto felice: "Madre, ho salvato metà dell'olio!" Ma questo figlio era un ragazzo Vipassana, pieno non solo di ottimismo ma anche di realismo. Egli capì che se metà dell'olio si era salvato, metà era andato perso. Così disse alla madre: "Ora andrò al mercato, lavorerò duro per tutta la giornata, guadagnerò cinque rupie e riempirò la bottiglia. Per questa sera l'avrò riempita." Questo è Vipassana. Non pessimismo, al contrario, ottimismo, realismo e "lavorismo"!

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CAPITOLO DECIMO

L'ARTE DI VIVERE

Fra tutti i pregiudizi che abbiamo su noi stessi, il più radicato è quello secondo cui esiste un sé. Sulla base di questa presunzione ognuno di noi dà la più grande importanza al sé, considerandolo il centro del proprio universo, e questo anche se possiamo facilmente constatare che fra tutti gli innumerevoli mondi esistenti, il nostro è solo uno, e che fra tutti gli innumerevoli esseri del nostro mondo, ancora una volta questo sé è solo uno. Per quanto possiamo dilatarlo, il sé rimane trascurabile se paragonato all’immensità del tempo e dello spazio. La nostra idea del sé è ovviamente un errore. Nonostante ciò, dedichiamo la vita a cercare di autorealizzarci, ritenendo che sia questa la via per la felicità. Il pensiero di vivere in un modo diverso ci sembra innaturale, se non addirittura spaventoso. Chiunque può sperimentare quanto si soffra a rimanere sempre chiusi in se stessi. Finché saremo sempre preoccupati dei nostri desideri e timori, delle nostre identità, saremo confinati

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dentro la stretta prigione del sé, tagliati fuori dal mondo, dalla vita. Uscire da questa ossessione del sé è davvero una liberazione, che ci rende capaci di entrare nel mondo, di essere aperti alla vita e agli altri, di cercare una vera realizzazione. Non è necessario negare il sé, o reprimerlo, ma liberarsi dalla errata idea del sé. E per raggiungere questa liberazione dobbiamo comprendere che ciò che noi chiamiamo sé è in realtà una cosa effimera, un fenomeno in costante mutamento. La meditazione Vipassana è una via per raggiungere questa comprensione profonda. Finché non si consegue un’esperienza personale della natura transitoria del corpo e della mente, si è costretti a rimanere intrappolati nell'egoismo, e quindi a soffrire. Ma una volta che l'illusione della permanenza viene frantumata, l'illusione dell'Io scompare automaticamente e la sofferenza svanisce. Per il meditatore Vipassana, anicca, la realizzazione della natura effimera del sé e del mondo, è la chiave che apre la porta della liberazione.L'importanza di comprendere l'impermanenza è un tema che attraversa tutto l'insegnamento del Buddha come filo conduttore. Egli ha detto:

Meglio un sol giorno di vita vedendo la realtà del nascere e dello svanire che cent’anni di esistenza rimanendo ciechi di fronte a questo. (1)

Il Buddha ha paragonato la consapevolezza

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dell’impermanenza a un vomere del contadino che estirpa tutte le radici, quando lo usa per arare un campo; al culmine di un tetto, più alto di tutte le travi che lo sorreggono; a un potente governatore che esercita il potere sui suoi vassalli; alla luna, il cui splendore oscura le stelle; al sorgere del sole, che disperde tutta l’oscurità dal cielo. (2) Le sue ultime parole prima di morire sono state: "Tutti i sankhara –tutte le cose create– sono soggette al decadimento. Esercitatevi con diligenza per comprendere questa verità". (3) La verità di anicca non deve essere solo accettata intellettualmente, né per emozione o devozione. Ognuno di noi deve sperimentare la realtà di anicca dentro di sé. La comprensione diretta dell’impermanenza e, con essa, della natura illusoria dell'ego e della sofferenza, costituisce la vera visione che conduce alla liberazione. E’ questa la giusta comprensione.Il meditatore sperimenta questa saggezza liberatoria al culmine della pratica di s²la, samadhi e pañña. Senza impegnarsi in queste tre pratiche, senza procedere un passo dopo l’altro lungo il sentiero, non si può arrivare alla vera comprensione profonda della realtà e alla liberazione dalla sofferenza. Ma persino prima di iniziare la pratica occorre possedere una qualche saggezza, forse solo una sorta di riconoscimento intellettuale della verità della sofferenza. Senza tale comprensione, anche se superficiale, il pensiero di lavorare per liberarsi dalla sofferenza non si affaccerebbe mai alla

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mente. "La giusta comprensione viene per prima", ha detto il Buddha.(4)I primi passi sul Nobile Ottuplice Sentiero sono infatti la giusta comprensione e il giusto pensiero. Dobbiamo vedere il problema e decidere di affrontarlo. Solo allora è possibile impegnarsi nella pratica effettiva di Dhamma. Iniziamo a intraprendere il sentiero praticando la moralità, seguendo i precetti per regolare le nostre azioni. Con la pratica della concentrazione, iniziamo ad occuparci della mente, sviluppando samadhi con la consapevolezza del respiro; e osservando le sensazioni in tutto il corpo, sviluppiamo la saggezza basata sull'esperienza che libera la mente dal condizionamento.E quando la vera comprensione nasce dalla propria esperienza, di nuovo la giusta comprensione diviene il primo passo lungo il sentiero. Avendo compreso, attraverso la pratica di Vipassana, che la propria natura è in continuo mutamento, il meditatore libera la mente dalla bramosia, dall’avversione e dall'ignoranza. Con una mente così pura è impossibile persino pensare di far del male agli altri. Al contrario i pensieri sono colmi unicamente di benevolenza e compassione per tutti. Nel parlare, nell'agire, nel procurarsi i mezzi di sussistenza, si vive una vita degna, serena e pacifica. E con la tranquillità che deriva dalla pratica della moralità, diviene più facile sviluppare la concentrazione. E più forte è la concentrazione, più penetrante sarà la

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propria saggezza. Il cammino è dunque una spirale ascendente verso la liberazione. Ognuna di queste tre pratiche sostiene l'altra, come le tre gambe di un tripode. Devono esserci tutte le gambe, ed essere tutte di eguale lunghezza, perché il tripode stia in piedi. Similmente, per sviluppare equamente tutte le sfaccettature del sentiero, il meditatore deve praticare insieme s²la, samadhi e pañña. Il Buddha ha detto:

Dalla giusta comprensione proviene il giusto pensiero; dal giusto pensiero proviene il giusto parlare; dal giusto parlare proviene la giusta azione; dalla giusta azione provengono i giusti mezzi di sussistenza; dai giusti mezzi di sussistenza proviene il giusto sforzo; dal giusto sforzo proviene la giusta consapevolezza; dalla giusta consapevolezza proviene la giusta concentrazione; dalla giusta concentrazione proviene la giusta saggezza; dalla giusta saggezza proviene la giusta liberazione. (5)

La meditazione Vipassana ha anche un profondo valore pratico, qui e ora. Nella vita quotidiana si presentano innumerevoli situazioni che minacciano l'equanimità della mente. Sorgono difficoltà inaspettate, e inaspettatamente altri ci contrastano. Dopo tutto, limitarsi ad apprendere

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la tecnica Vipassana non ci garantisce che non avremo altri problemi, come imparare a governare una barca non significa che si faranno solo dei viaggi tranquilli. Le burrasche sono destinate a venire, i problemi sono destinati a nascere. Cercare di sfuggire ad essi è futile e autodistruttivo. Al contrario, la linea giusta è di utilizzare tutto ciò che si è appreso allo scopo di uscire illesi dalla burrasca. Per giungere a questo, per prima cosa dobbiamo comprendere la vera natura del problema. L'ignoranza ci porta ad incolpare gli eventi esterni o le persone, a considerarli fonte delle difficoltà e a impiegare tutte le nostre energie per modificare la situazione esterna. Ma con la pratica di Vipassana ci accorgeremo che nessun altro oltre a noi stessi è responsabile della nostra felicità o infelicità. Il problema sta nell'abitudine a reagire ciecamente. Quindi dobbiamo fare attenzione alla burrasca interna delle reazioni condizionate della mente. Non basta decidere di non reagire. Finché i condizionamenti rimangono nell'inconscio, prima o poi sono destinati a sorgere e a dominare la mente, nonostante tutte le decisioni contrarie. La sola, reale soluzione è quella di imparare ad osservare e a cambiare noi stessi.Se questo è abbastanza facile da comprendere, renderlo effettivo è più difficile. Innanzitutto, come fare ad osservarsi? Nella mente è iniziata una reazione negativa: ira, paura o odio. Prima che ci si possa ricordare di osservarla, già ne

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siamo sopraffatti e ci esprimiamo o agiamo a nostra volta negativamente. In seguito, dopo che il danno è stato fatto, si riconosciamo l'errore e ci pentiamo, ma la volta successiva ripetiamo lo stesso comportamento.Oppure, supponiamo che, accorgendoci di avere innescato una reazione d’ira, si cerchi realmente di osservarla. Non appena ci si prova,ci si rammenta della persona o della situazione che ci ha fatto adirare. Insistere su questo intensifica l'ira. Come si vede, osservare l’emozione dissociata dalla causa o dalle circostante va ben oltre le capacità della maggior parte di noi. Ma indagando la realtà ultima della mente e della materia, il Buddha ha scoperto che ogni volta che nella mente sorge una reazione, a livello fisico avvengono due tipi di cambiamento. Uno di essi è facilmente riconoscibile –il respiro diventa leggermente irregolare– l'altro è di natura più sottile: nel corposa luogo una reazione biochimica, una sensazione. Con Attraverso un’apposito allenamento, una persona di media intelligenza può facilmente sviluppare la capacità di osservare sia la respirazione che le sensazioni. Questo ci permette di utilizzare i cambiamenti intervenuti nella respirazione e le sensazioni come segnali che ci avvertono di una reazione negativa molto prima che essa possa gradatamente acquistare una forza pericolosa. E se poi continueremo ad osservare la respirazione e la sensazione, ci sarà facile

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uscire dalla negatività.L'abitudine alla reazione è comunque profondamente radicata e non può essere rimossa subito del tutto. Nella vita quotidiana però, non appena avremo perfezionato la nostra pratica della meditazione Vipassana, noteremo almeno alcune occasioni in cui, invece di reagire involontariamente, ci limitiamo ad osservarci. Con gradualità i momenti di osservazione aumentano, mentre i momenti di reazione diventano meno frequenti. Anche se reagiamo negativamente, il periodo e l'intensità della reazione diminuiscono. Alla fine, anche nelle situazioni più provocatorie, saremo in grado di osservare la respirazione e la sensazione e rimanere calmi ed equilibrati. Con questo equilibrio, questa equanimità ai livelli mentali più profondi, si diviene capaci per la prima volta di un'azione reale: e l'azione reale è sempre positiva e creativa. Per esempio, invece di rispondere automaticamente nello stesso modo alla negatività degli altri, possiamo scegliere una risposta che sia la più benefica possibile. Quando viene affrontata da qualcuno in preda all’ira, una persona ignorante si adira anch’essa, e il risultato è una lite che causa infelicità ad entrambi. Ma restando calmi ed equilibrati si possono aiutare gli altri a superare l’ira e ad affrontare costruttivamente i problemi.Osservare le nostre sensazioni ci insegna che ogni qualvolta siamo sopraffatti dalla negatività, soffriamo. Quindi, ogniqualvolta che vediamo gli altri reagire negativamente, comprendiamo che

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stanno soffrendo, e questa comprensione ci porta compassione per loro e a fare in modo di aiutarli a liberarsi dall'infelicità, non certo a renderli più infelici. Rimanendo in pace e sereni, aiutiamo gli altri ad essere in pace e sereni. Sviluppare consapevolezza ed equanimità non ci rende passivi e inerti come dei vegetali, permettendo al mondo di fare di noi quel che gli aggrada. Né, assorti nel conseguimento della pace interiore, diveniamo indifferenti alle sofferenze degli altri. Il Dhamma ci insegna a prenderci la responsabilità non solo del nostro benessere, ma altresì di quello degli altri. Facciamo tutto ciò che è necessario per aiutare gli altri, conservando però sempre la mente equilibrata. Vedendo un bambino affondare nelle sabbie mobili, una persona stolta perde la testa e segue il bambino, facendo anch’esso una brutta fine. Una persona saggia, che non perde la calma e l’equilibrio, cerca un ramo con cui può raggiungere il bambino e trarlo in salvo. Seguire gli altri nelle sabbie mobili della bramosia e dell'avversione non aiuterà nessuno. Dobbiamo portare gli altri sul terreno solido dell’equilibrio mentale.Spesso nella vita è necessaria un'azione di forza. Per esempio, è capitato a tutti di cercare di spiegare a qualcuno, con un linguaggio educato e gentile, che sta facendo un errore, ma l’interessato ignora l'avvertimento, essendo in grado di capire soltanto parole e azioni dure. A questo punto, per farsi intendere, bisogna necessariamente passare ad azioni più

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energiche. Tuttavia, prima di agire, dobbiamo esaminarci per stabilire se la mente è equilibrata e se nutriamo solo amore e compassione per la persona che si sta comportando male. Se è così, l'azione sarà utile, altrimenti non aiuteremo realmente nessuno. Se il nostro intervento è dettato dall’amore e dalla compassione, non possiamo sbagliare.Quando vediamo una persona forte attaccare una più debole, abbiamo la responsabilità di cercare di fermare quest’azione dannosa: del resto, è ciò che farebbe qualsiasi individuo ragionevole, anche se probabilmente mosso da pietà per la vittima e da collera per l'aggressore. I meditatori di Vipassana, da parte loro, proveranno compassione per entrambi in uguale misura, ben sapendo che la vittima deve essere protetta dal danno e l'aggressore dal danneggiarsi con il suo comportamento nocivo. Esaminare la propria mente prima di passare alle maniere forti è estremamente importante; non basta limitarsi a giustificare in retrospettiva l'azione. Se non sperimentiamo di persona la pace e l’armonia interiori, non possiamo promuovere la pace e l’armonia in nessun altro. Come meditatori di Vipassana impariamo a praticare un distacco impegnato, ad essere sia compassionevoli che spassionati. Lavorando per sviluppare consapevolezza ed equanimità, lavoriamo per il bene di tutti. Se il nostro contributo non fosse che quello di evitare di accrescere le tensioni esistenti nel mondo, avremmo comunque compiuto un'azione

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benefica. In verità l'azione equanime ha risonanza perché è silenziosa, ricca di ripercussioni a largo raggio e destinata a incidere positivamente su molti. Dopotutto, la negatività mentale –nostra o altrui– è la causa principale delle sofferenze del mondo. Quando la mente ha raggiunto la purezza, l'infinita varietà della vita si spalanca ai nostri occhi e ci concede di godere e dividere con gli altri la vera felicità.

Domande e risposte DOMANDA: Possiamo parlare ad altri della meditazione?

SATYA NARAYAN GOENKA: Certamente. Non ci sono segreti in Dhamma. Potete parlare a chiunque di ciò che avete fatto qui. Ma guidare la gente nella pratica è una cosa totalmente diversa, che non dovrebbe essere fatta a questo livello. Aspettate finché sarete saldamente impadroniti della pratica ed educati a guidare gli altri. Se qualcuno a cui parlate di Vipassana è interessato a praticarla, consigliategli di seguire un corso. Almeno la prima esperienza di Vipassana deve essere fatta durante un vero e proprio corso di dieci giorni, sotto la guida di un maestro qualificato. Dopo questa esperienza si può praticare da soli.

Io pratico lo yoga. Come lo posso integrarlo con Vipassana?

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Qui, durante un corso, lo yoga non è permesso perché disturberebbe gli altri, attirandone l'attenzione. Ma quando sarete di nuovo a casa dopo il vostro ritorno a casa, potrete praticare sia Vipassana che yoga –cioè gli esercizi fisici delle posizioni yoga e il controllo del respiro. Lo yoga è molto benefico per la salute fisica, e può essere senz’altro combinato con Vipassana. Per esempio, assumere una posizione e poi osservare le sensazioni fisiche sarà senz’altro più benefico della sola pratica dello yoga. Ma le tecniche di meditazione yoga che utilizzano i mantra e le visualizzazioni sono completamente l'opposto di Vipassana. Non mescolatele con questa tecnica.

E circa i diversi esercizi respiratori dello yoga?

Sono utili come esercizi fisici, ma non mescolate queste tecniche con anapana. In anapana dovete osservare il respiro naturale così com'è, senza controllarlo. Praticate il controllo del respiro come un esercizio fisico e anapana per la meditazione.

E se mi stessi attaccando troppo all’illuminazione?

Se è così, state dirigendovi di gran carriera proprio nella direzione opposta. Non potrete mai sperimentare l'illuminazione finché avrete degli attaccamenti. Dovete solo comprendere che cos’è l’illuminazione. Poi continuate ad

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osservare la realtà del momento e lasciate che l'illuminazione venga. Se non viene, non ve ne preoccupate. Continuate ad esercitarvi e lasciate fare a Dhamma. In questo modo non c’è attaccamento, e l’illuminazione verrà certamente.

Dunque io medito solo per praticare?

Sì. Avete il dovere di purificare la vostra mente. Consideratela una responsabilità, ma senza attaccamento.

Non per ottenere qualcosa?

No. Qualsiasi cosa venga, verrà da sola. Lasciate che accada naturalmente.

Qual è la vostra opinione circa l'insegnamento di Dhamma ai bambini?

Il momento migliore per farlo è prima della nascita. Durante la gravidanza la madre dovrebbe praticare Vipassana, così che anche il bambino lo riceva e nasca un bambino di Dhamma. Ma se avete già dei figli, siete ancora in tempo a condividere con loro Dhamma. Per esempio, a conclusione del corso, avete imparato la tecnica di metta-bhavana, che consiste nel condividere la propria pace ed armonia con gli altri. Se i bambini sono ancora piccoli, indirizzate loro metta quando vanno a dormire e dopo ogni meditazione, così che

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anch’essi si avvantaggino della pratica di Dhamma; quando saranno più grandi, sarà bene spiegar loro qualcosa su Dhamma, perché lo comprendano e lo accettino. Se sono già in grado di capire qualcosa di più, insegnate ai bambini a praticare anapana per pochi minuti. Non fate nessun tipo di pressione su di loro, limitatevi a farli sedere con voi perché osservino il proprio respiro per pochi minuti, poi lasciateli andare a giocare. La meditazione sarà come un gioco per loro, saranno contenti di farla. Ma la cosa più importante è vivere una vita sana in Dhamma, essere un buon esempio per i bambini. In casa l’atmosfera deve essere tranquilla e armoniosa; è questo che li aiuterà a crescere in modo sano e felice. É la cosa migliore che potete fare per i vostri bambini.

Grazie per questo meraviglioso Dhamma!

Ringraziate Dhamma, piuttosto. Dhamma è grande. Io sono solo un veicolo. E ringraziate voi stessi, per aver saputo lavorare duramente per imparare la tecnica. Un maestro continua a parlare, parlare, ma se voi non lavorate, non potete ottenere niente. Siate felici, e continuate a lavorare sodo.

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I rintocchi dell’orologio

Ho avuto la grande fortuna di essere nato in Birmania, la terra di Dhamma, dove questa tecnica meravigliosa è stata tramandata per secoli nella sua forma originaria. Circa un secolo fa mio nonno vi giunse dall'India e vi si stabilì, e così io nacqui in quel paese. Ho avuto la grande fortuna di essere nato in una famiglia di uomini d'affari, dove dai vent'anni in poi ho cominciato a lavorare per far soldi. Ammassare denaro era lo scopo principale della mia vita. Sono stato fortunato poiché, sin dai primi anni, ho avuto successo e ho potuto guadagnare molto denaro. Se non avessi sperimentato personalmente come si vive da ricchi, non avrei mai avuto la prova diretta di quanto sia falso tale tipo di esistenza: in caso contrario, in qualche angolo della mente sarebbe sempre potuto nascere il pensiero che la vera felicità sta nella ricchezza. Quando la gente diventa ricca, acquista un prestigio speciale, una posizione sociale elevata che comporta cariche direttive in molte diverse organizzazioni. Dai vent'anni in poi mi sono buttato alla folle ricerca del prestigio sociale. E, naturalmente, le tensioni che un simile tipo di vita comporta mi fecero ammalare di una malattia psicosomatica, una grave forma di

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emicrania. Ogni quindici giorni mi veniva un attacco, e non c’era modo di curarmi. Mi sento fortunato di aver sviluppato una malattia di questo tipo. Anche i migliori medici della Birmania non riuscirono a curarmi. Il solo trattamento che avevano da offrirmi era un'iniezione di morfina per alleviare l'attacco. Ogni quindici giorni avevo bisogno di un'iniezione di morfina e poi ne subivo gli effetti collaterali: nausea, vomito, infelicità.Dopo alcuni anni di sofferenze, i dottori iniziarono a mettermi in guardia: "Ora state prendendo della morfina per alleviare gli attacchi della malattia, ma se continuerete, presto diventerete dipendente dalla morfina e dovrete prenderla tutti i giorni". Fui colpito da questa prospettiva, la vita sarebbe stata orribile. I dottori mi consigliarono: "Dato che vi recate spesso all’estero per affari, per una volta fate un viaggio per la vostra salute. Noi non abbiamo cure per questo disturbo e, a quanto ne sappiamo, nemmeno i medici di altri paesi. Ma forse essi conoscono qualche altro antidolorifico che può alleviare i vostri attacchi e liberarvi dal pericolo della dipendenza dalla morfina". Li ascoltai, e cominciai a viaggiare in Svizzera, Germania, Inghilterra, America e Giappone. Fui curato dai migliori medici di questi paesi. E per mia fortuna tutti hanno fallito. Quando tornai, stavo peggio di quando ero partito. Dopo il mio ritorno da questo viaggio

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infruttuoso, venne a trovarmi un mio caro amico che mi suggerì: "Perché non provi uno dei corsi di dieci giorni di meditazione Vipassana? Sono condotti da U Ba Khin, un sant'uomo, un funzionario statale, un padre di famiglia come te. A me sembra che la tua malattia abbia origine nella mente, e pare che questa tecnica liberi la mente dalle tensioni. Forse, praticandola, puoi curarti da solo". Avendo fallito da ogni altra parte, decisi per lo meno di conoscere questo maestro di meditazione. Dopo tutto, non avevo niente da perdere. Mi recai al suo centro di meditazione ed ebbi un colloquio con quest'uomo straordinario. Profondamente impressionato dall'atmosfera calma e pacifica del luogo e dalla sua stessa presenza piena di pace gli chiesi se potevo frequentare uno dei suoi corsi. "Certamente” mi rispose. ”Questa tecnica è per uno e per tutti. Siate il benvenuto." Io continuai: "Per diversi anni ho sofferto di una malattia incurabile, una grave emicrania. Spero che questa tecnica mi possa curare.""No” disse bruscamente” allora non venite da me. Non partecipate al corso."Non riuscivo a capire come potessi averlo offeso, e allora lui con compassione mi spiegò: "Lo scopo di Dhamma non è di curare le malattie fisiche. Se è questo che cercate, è meglio che andiate in un ospedale. Lo scopo di Dhamma è curare tutte le infelicità della vita. La malattia di cui soffrite non è in realtà se non una piccolissima parte delle vostre sofferenze.

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Se ne andrà, ma solo come sottoprodotto del processo di purificazione mentale. Se fate del sottoprodotto il vostro scopo principale, allora svalutate Dhamma. Non siete qui per curare il corpo, ma per liberare la mente." Mi aveva convinto. "Si” dissi “ora capisco, verrò solo per purificare la mente. Sia che la mia malattia possa essere curata o no, mi piacerebbe sperimentare la pace che vedo qui." E dopo aver promesso, ritornai a casa. Ma rimandai ancora il corso. Ero nato in una famiglia indù devota e conservatrice e sin dall'infanzia avevo imparato a recitare i versetti: "Meglio morire nella propria religione, nel proprio dharma*; mai passare a un'altra religione". (gioco di parole sui vari significati della parola dhamma (o dharma in sanscrito e in hindi). In India, oggi, si dà alla parola un significato ristretto e settario che qui è in contrasto con l'antico significato molto più ampio di "natura". (da inserire a piè pagina)

Dicevo a me stesso: "Attento, questa è un'altra religione, è Buddismo. Questa gente è atea, non crede in Dio e nell'esistenza dell'anima!". (Come se credere in Dio o nell'anima bastasse a risolvere tutti i nostri problemi!) "Se divento ateo, che mi accadrà? Meglio morire nella mia religione, non mi avvicinerò a loro."Non seppi decidermi per mesi e mesi. Ma poi ebbi la grande fortuna di risolvermi a fare un tentativo con questa tecnica per vedere cosa sarebbe accaduto. Partecipai a un corso di dieci

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giorni. Ho avuto la grande fortuna di averne tratto grandi benefici. Ora potevo capire il mio dharma, il mio sentiero, e il dharma altrui. Il dharma degli esseri umani è il dharma di ciascuno. Solo un essere umano ha la capacità di osservare se stesso per uscire dalla sofferenza. Nessun'altra creatura di livello inferiore ha tale facoltà. Osservare la realtà dentro di sé è il dharma degli esseri umani. Se non facciamo uso di tale abilità, allora viviamo una vita da esseri inferiori, sprechiamo la nostra vita, il che è senza dubbio pericoloso. Mi ero sempre considerato una persona molto religiosa. Dopotutto, avevo adempiuto a tutti gli obblighi religiosi, seguito le regole della moralità e fatto molte elemosine. E se non fossi stato un uomo autenticamente religioso, perché allora ero stato messo a capo di tante organizzazioni religiose? Certamente, pensavo, devo essere molto religioso. Ma nonostante tutte le elemosine o i servizi offerti, nonostante avessi agito e parlato sempre con grande correttezza, quando cominciai ad osservare la camera oscura della mia mente la trovai gremita di serpenti, scorpioni e centopiedi, a causa dei quali avevo dovuto sopportare tante sofferenze. Ora, mentre le impurità venivano gradualmente sradicate, cominciavo a godere di una pace reale. Compresi quanto fossi fortunato ad apprendere questa tecnica meravigliosa, il gioiello di Dhamma.Per quattordici anni ho avuto la grande fortuna di praticare questa tecnica in Birmania con

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l’attenta guida del mio maestro. Naturalmente adempivo a tutti i compiti che mi spettavano come padre di famiglia, e nel contempo, mattina e sera, mi dedicavo alla meditazione, ogni fine settimana andavo al centro del mio maestro e ogni anno facevo un ritiro di dieci giorni o più.All'inizio del 1969 dovetti fare un viaggio in India. I miei genitori vi si erano trasferiti alcuni anni addietro e mia madre aveva sviluppato una malattia nervosa che, sapevo, poteva essere curata con la pratica di Vipassana. Ma non c'era nessuno in India che gliela potesse insegnare. In quel paese, sua terra di origine, la tecnica Vipassana era andata persa da tempo. Persino il nome era stato dimenticato. Sono grato al governo della Birmania per avermi permesso di recarmi in India in un periodo nel quale ai suoi cittadini era difficile ottenere l’autorizzazione di viaggiare all’estero, e sono altresì grato al governo indiano per avermi concesso di entrare nel paese. Nel luglio del 1969 a Bombay si svolse il primo corso, al quale parteciparono i miei genitori e altre dodici persone. Ho avuto la fortuna di essere stato in grado di servire i miei genitori. Insegnando loro Dhamma, ho avuto la possibilità di ripagare il profondo debito di gratitudine che provo nei loro confronti. Una volta raggiunto lo scopo per il quale mi ero recato in India, ero pronto a ritornarmene in Birmania quando mi accorsi che coloro che avevano partecipato al corso avevano cominciato a insistere affinché ne tenessi un

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altro e un altro ancora. Volevano corsi per i loro padri, madri, mogli, mariti, figli e amici. Così fu tenuto un secondo corso e un terzo e un quarto, e in questo modo l'insegnamento di Dhamma cominciò a diffondersi.Nel 1971, mentre stavo tenendo un corso a Bodh Gaya, ricevetti un telegramma da Rangoon con la notizia della morte del mio maestro. Era una notizia grave, oltre che inaspettata, e certamente molto triste. Ma, con l'aiuto di Dhamma che egli mi aveva trasmesso, la mia mente rimase equilibrata. Ora dovevo decidere come ripagare il mio debito di gratitudine nei confronti di quella santa persona, Sayagyi U Ba Khin. I miei genitori mi avevano fatto nascere come un essere umano, sempre però chiuso nella conchiglia dell'ignoranza. Solo con l'aiuto di quell’uomo meraviglioso ero riuscito a rompere la conchiglia, a scoprire la verità osservando la realtà interiore, senza contare che per quattordici anni egli mi aveva rafforzato e nutrito in Dhamma. Come potevo ripagare il mio debito di gratitudine nei confronti di questo mio padre in Dhamma? Il solo modo che mi veniva in mente era di praticare ciò che lui stesso aveva insegnato, cioè vivere una vita di Dhamma: era questo il modo giusto per onorarlo. E con tutta la purezza mentale, con tutto l'amore e la compassione che potevo sviluppare, decisi di dedicare il resto della mia vita a servire gli altri, poiché era questo che egli desiderava che io facessi.

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Spesso egli si riferiva alla credenza tradizionale birmana secondo la quale venticinque secoli dopo la morte del Buddha, Dhamma sarebbe ritornato nella sua terra di origine, e da lì si sarebbe diffuso in tutto il mondo. Era suo desiderio far sì che questa predizione si avverasse trasferendosi in India per insegnare la meditazione Vipassana. "Venticinque secoli sono passati" era solito dire. "L'orologio di Vipassana ha suonato!" Malauguratamente, per motivi politici, negli ultimi anni della sua vita non aveva potuto recarsi all’estero. Così, allorché nel 1969 ricevetti il permesso di andare in India, ne fu oltremodo compiaciuto e mi disse: "Goenka, non stai andando tu, sto andando io!"Dapprima pensai che questa predizione fosse dettata da una credenza settaria. Dopo tutto, perché dopo venticinque secoli sarebbe dovuto accadere qualcosa di speciale che non poteva accadere prima? Ma quando giunsi in India fui stupito di scoprire che, sebbene in quel vasto paese non conoscessi neanche cento persone, a migliaia cominciarono ad affluire ai corsi, da ogni ambiente, da ogni religione, da ogni comunità. E non solo indiani, ma migliaia di persone di molti paesi diversi.Divenne chiaro che niente avviene senza una causa. Nessuno viene a un corso per caso. Alcuni forse hanno compiuto una buona azione in passato, a risultato della quale oggi hanno la possibilità di ricevere il seme di Dhamma. Altri invece hanno già ricevuto il seme e ora sono

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venuti per aiutarlo a crescere. Sia che siate venuti per ricevere il seme, sia per sviluppare il seme che già possedete, continuate a crescere in Dhamma per il vostro bene, per il vostro beneficio, per la vostra liberazione, e scoprirete come ciò inizia ad aiutare anche gli altri. Dhamma è utile a tutti. Che tutte le persone che soffrono possano trovare questo sentiero di pace ed essere liberate dalle sofferenze, dalle catene, dalla schiavitù.Che tutti possano liberare la mente dalle impurità e dalle contaminazioni. Che tutti gli esseri dell’universo siano felici.Che tutti gli esseri siano in pace con se stessi. Che tutti gli esseri siano liberati.

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APPENDICE A

L'IMPORTANZA DI VEDANA NELL'INSEGNAMENTO DEL BUDDHA

L'insegnamento del Buddha è un sistema per sviluppare la conoscenza di sé come un mezzo per l'autotrasformazione. Se comprendiamo la realtà della nostra natura basandoci sull'esperienza, possiamo eliminare gli equivoci che ci inducono ad agire in modo sbagliato e ci rendono infelici. Impariamo ad agire conformemente alla realtà e quindi a vivere in modo produttivo, utile e felice.Nel Satipatthana Sutta, il "Discorso sui fondamenti della consapevolezza", il Buddha ha

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descritto un metodo pratico per sviluppare la conoscenza di sé attraverso l'auto-osservazione. Questa tecnica è la meditazione Vipassana.Ogni tentativo di osservare la verità su noi stessi rivela immediatamente che quel che chiamiamo "sé" ha due aspetti: fisico e psichico, corpo e mente. Dobbiamo imparare ad osservarli entrambi. Ma come possiamo realmente sperimentare la realtà del corpo e della mente? Accettare le spiegazioni degli altri non é sufficiente, né dipende da una mera comprensione intellettuale. Entrambe possono guidarci nel lavoro di autoesplorazione, ma ognuno di noi deve esplorare e sperimentare la realtà direttamente dentro di sé. Sperimentiamo la realtà del corpo sentendolo per mezzo delle sensazioni fisiche che nascono all’interno di esso. Anche ad occhi chiusi sappiamo di avere le mani e tutte le altre parti del corpo, perché le possiamo sentire. Come un libro ha una forma esterna e un contenuto interno, la struttura fisica ha una realtà oggettiva esterna, il corpo (kaya), e una realtà interna, soggettiva, di sensazioni (vedana). Assimiliamo un libro leggendo tutte le parole che contiene, sperimentiamo il corpo provando le sensazioni. Senza la consapevolezza delle sensazioni non ci può essere una diretta conoscenza della struttura fisica. Le due cose sono inseparabili.Similmente, la struttura psichica può essere analizzata in forma e contenuto: la mente (citta) e qualsiasi cosa sorga nella mente (dhamma) –ogni pensiero, emozione, ricordo,

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speranza, paura, ogni avvenimento mentale. Così come corpo e sensazione non possono essere sperimentati separatamente, non si può osservare la mente prescindendo dai contenuti mentali. Ma anche mente e materia sono strettamente collegate fra di loro. Qualsiasi cosa accada in una, è riflessa nell'altra. E’ questa la scoperta chiave del Buddha, il significato cruciale del suo insegnamento. Egli ha detto: "Qualsiasi cosa nasca nella mente è accompagnata dalla sensazione". (1) L'osservazione delle sensazioni offre il mezzo di esaminare la totalità del proprio essere fisico e mentale.Queste quattro dimensioni della realtà sono comuni ad ogni essere umano: gli aspetti fisici del corpo e della sensazione, gli aspetti psichici della mente e dei suoi contenuti. Essi costituiscono le quattro divisioni del Satipatthana Sutta, le quattro strade per la fondazione della consapevolezza, i quattro avamposti per osservare il fenomeno umano. Se l'indagine è completa, ogni sfaccettatura deve essere sperimentata. E tutte e quattro possono essere sperimentate osservando vedana. Per questa ragione il Buddha ha sottolineato in particolar modo l'importanza della consapevolezza di vedana. Nel Brahmajala Sutta, uno dei suoi discorsi più importanti, ha detto: "L'illuminato si è affrancato e liberato da tutti gli attaccamenti perché ha veduto come sono realmente il nascere e lo svanire delle sensazioni, il godere di esse, il pericolo di esse,

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la liberazione da esse." (2) La consapevolezza di vedana, egli ha affermato, è un prerequisito per la comprensione delle Quattro Nobili Verità: "Alla persona che prova la sensazione, io mostro la via per comprendere cosa sia la sofferenza, la sua origine, la sua cessazione e il sentiero che conduce alla cessazione." (3) Cos'è esattamente vedana? Il Buddha lo ha descritto in vari modi, comprendendolo fra i quattro processi che compongono la mente (v. Capitolo secondo). Tuttavia, definendolo più precisamente, diceva che vedana ha due aspetti, uno fisico e uno mentale. (4) Da sola, la materia non può sentire nulla se la mente non è presente; in un corpo morto, per esempio, non ci sono sensazioni. É la mente che sente, ma ciò che sente è inscindibile dall’elemento fisico. Questo elemento fisico è di importanza centrale nella pratica dell'insegnamento del Buddha, che ha lo scopo di sviluppare in noi la capacità di affrontare tutte le vicissitudini della vita in modo equilibrato. E’ ciò che si apprende durante la meditazione, osservando con equanimità tutto quanto avviene in noi stessi. Con questa equanimità possiamo liberarci dall’abitudine alla reazione cieca e scegliere di agire nel modo più benefico in ogni situazione. Tutto ciò che sperimentiamo nella vita passa attraverso i sei cancelli della percezione, i cinque sensi fisici e la mente: secondo la Catena del Sorgere Condizionato, non appena ad uno di queste sei porte avviene il contatto, non appena

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incontriamo un fenomeno, fisico o mentale, si produce una sensazione (v. Capitolo quarto pag.). Se non osserviamo attentamente ciò che accade nel corpo, a livello conscio restiamo inconsapevoli della sensazione. Inizia allora, nel buio dell'ignoranza, una reazione inconscia nei confronti della sensazione, un piacere o un’antipatia momentanea che si sviluppa in bramosia o avversione. Questa reazione si ripete e si intensifica innumerevoli volte prima di ripercuotersi sulla mente conscia. Se i meditatori danno importanza solo a ciò che accade nella mente conscia, divengono consapevoli del processo dopo che la reazione è avvenuta ed ha acquistato una forza pericolosa, sufficiente a sopraffarli. Permettono alla scintilla della sensazione di accendere un grande fuoco prima di cercare di estinguerlo, creandosi inutili difficoltà. Ma se imparano ad osservare le sensazioni dentro il corpo, oggettivamente, permettono ad ogni scintilla di esaurirsi da sola senza innescare un incendio. Dando importanza alla manifestazione fisica, diventano consapevoli di vedana non appena nasce e possono prevenire qualsiasi reazione.L'aspetto fisico di vedana è particolarmente importante perché offre un'esperienza vivida e tangibile della realtà dell'impermanenza dentro ciascuno di noi. Ad ogni momento dentro di noi avvengono dei cambiamenti che si manifestano nel gioco delle sensazioni. É a questo livello che l'impermanenza deve essere sperimentata. L'osservazione del mutamento costante delle

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sensazioni ci permette di comprendere la nostra natura effimera e, di conseguenza, la futilità dell'attaccamento a qualcosa che è così transitorio. Per cui l'esperienza diretta di anicca dà automaticamente origine al distacco, per mezzo del quale non solo si possono avvertire le nuove reazioni di bramosia e avversione, ma anche eliminare l'abitudine stessa a reagire. In questo modo si libera gradualmente la mente dalla sofferenza. Se separata dal suo aspetto fisico, la consapevolezza di vedana resta parziale e incompleta. Per questo il Buddha ha ripetutamente sottolineato l'importanza dell'esperienza dell'impermanenza attraverso le sensazioni fisiche:

Quelli che continuamente fanno sforzi per dirigere la loro consapevolezza verso il corpo, che si astengono dal compiere azioni nocive e cercano di fare ciò che deve essere fatto, tali persone, consapevoli, piene di comprensione, sono liberate da tutte le loro negatività. (5)

La causa della sofferenza è tanha, bramosia e avversione. Di solito ci sembra di generare reazioni di bramosia e avversione nei confronti dei vari oggetti in cui ci imbattiamo attraverso i sensi fisici e la mente. Il Buddha, però, ha scoperto che tra oggetto e reazione c'è un anello mancante: vedana. Reagiamo non alla realtà esteriore, ma alla sensazione interna.

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Quando impariamo ad osservare la sensazione senza reagire con bramosia o avversione, la causa della sofferenza non nasce e la sofferenza cessa. Quindi l'osservazione di vedana è essenziale per praticare l'insegnamento del Buddha. E l'osservazione deve essere a livello della sensazione fisica perché la consapevolezza di vedana sia completa. Con la consapevolezza della sensazione fisica possiamo penetrare alla radice del problema e risolverlo. Possiamo osservare la nostra natura in profondità e liberarci dalla sofferenza.Attraverso la comprensione dell’importanza centrale che l’insegnamento del Buddha assegna all'osservazione della sensazione, è possibile pervenire a una comprensione nuova del Satipatthana Sutta. (6) Il discorso inizia con lo stabilire gli scopi del satipatthana, il metodo della fondazione della consapevolezza: "Purificazione degli esseri, trascendenza del dolore e dei dispiaceri, estinzione della sofferenza fisica e mentale, pratica di una via di verità, esperienza diretta della realtà ultima, nibbana". (7) Passa poi a spiegare brevemente come conseguire questi scopi: "Qui il meditatore si sofferma, ardente, colmo di comprensione e di consapevolezza, osservando il corpo nel corpo, osservando la sensazione nella sensazione, osservando la mente nella mente, osservando i contenuti mentali nei contenuti mentali, avendo abbandonato bramosia e avversione nei confronti del mondo. " (8)Che cosa significano le parole "osservando il

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corpo nel corpo, le sensazioni nelle sensazioni" e così via? Per un meditatore di Vipassana, l'espressione è chiarissima. Corpo, sensazioni, mente e contenuti mentali sono le quattro dimensioni dell'essere umano. Per comprendere correttamente questo fenomeno umano, ognuno di noi deve sperimentare la propria realtà in modo diretto. Per conseguire questa esperienza diretta, il meditatore deve sviluppare due qualità: consapevolezza (sati) e piena comprensione (sampajañña). Il discorso si intitola "I fondamenti della consapevolezza", ma la consapevolezza è incompleta senza comprensione, senza una visione penetrante delle profondità della propria natura, della impermanenza di questo fenomeno che si chiama Io. La pratica del satipatthana fa sì che i meditatori comprendano la propria natura essenzialmente effimera. Quando hanno conseguito questa comprensione personale acquistano una consapevolezza stabile e ferma: la giusta consapevolezza che conduce alla liberazione. Quindi, automaticamente bramosia e avversione scompaiono, non solo nei confronti del mondo esteriore, ma anche del mondo interiore, in cui bramosia e avversione sono maggiormente radicate, anche se molto spesso non ce ne accorgiamo, per l'attaccamento irriflessivo e viscerale al corpo e alla mente. Finché questo attaccamento profondo permane, non è possibile liberarsi dalla sofferenza.Il discorso su “I fondamenti della consapevolezza" tratta all'inizio

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dell'osservazione del corpo. Trattandosi dell’aspetto più appariscente della struttura fisico-mentale, è il punto adatto da cui iniziare il lavoro di auto-osservazione, ed è da qui che si sviluppa l'osservazione delle sensazioni, della mente e dei contenuti mentali. Il discorso illustra diversi modi per iniziare ad osservare il corpo. Il primo, e il più comune, è la consapevolezza del respiro. Un altro modo per cominciare è quello di prestare attenzione ai movimenti del corpo. Ma comunque si inizi il viaggio, per arrivare alla meta finale è obbligatorio passare per determinati stadi, che sono descritti in un paragrafo di importanza cruciale:

In questo modo [il meditatore] si sofferma ad osservare il corpo nel corpo, internamente o esternamente oppure sia internamente che esternamente. Si sofferma ad osservare il fenomeno del nascere nel corpo. Si sofferma ad osservare il fenomeno dello svanire nel corpo. Si sofferma ad osservare il fenomeno del nascere e dello svanire nel corpo. Ora la consapevolezza gli si presenta, "Questo è il corpo". Questa consapevolezza si sviluppa a un tal grado che rimangono solo comprensione e osservazione ed egli rimane distaccato, senza aggrapparsi a nulla nel mondo. (9)

La grande importanza di questo passo è dimostrata dal fatto che è ripetuto non solo alla fine di ogni sezione del discorso

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sull'osservazione del corpo, ma anche nelle successive suddivisioni del discorso, che trattano dell'osservazione delle sensazioni, della mente e dei contenuti mentali. (In queste tre successive suddivisioni, la parola "corpo" è sostituita rispettivamente da "sensazioni", "mente" e "contenuti mentali"). Il brano descrive così il terreno comune della pratica del satipatthana. Per le difficoltà che presenta, è stato oggetto di varie interpretazioni; tuttavia le difficoltà scompaiono quando si comprende che il passo si riferisce alla consapevolezza delle sensazioni. Con la pratica del satipatthana, i meditatori devono raggiungere una visione completa della loro natura. Il mezzo per conseguire questa visione penetrante consiste nell'osservazione delle sensazioni, che include anche l'osservazione delle altre tre dimensioni del fenomeno umano. Quindi, sebbene i primi passi possano differire, da un certo punto in poi la pratica deve comportare la consapevolezza della sensazione.Quindi, prosegue il brano, i meditatori iniziano a osservare le sensazioni che nascono all'interno del corpo, o esternamente, sulla superficie di esso, o entrambe insieme: dalla consapevolezza delle sensazioni in alcune parti e non in altre, essi sviluppano gradualmente la capacità di sentire le sensazioni in tutto il corpo. Quando iniziano la pratica, possono dapprima sperimentare le sensazioni di natura intensa che nascono e sembrano persistere per qualche tempo. I meditatori sono consapevoli del loro

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sorgere e, dopo un certo tempo, del loro svanire. A questo livello essi stanno ancora sperimentando la realtà apparente del corpo e della mente, la loro natura integrata, apparentemente solida e duratura. Ma proseguendo nella pratica, si raggiunge uno stadio in cui la solidità si dissolve spontaneamente e la mente e il corpo vengono sperimentati nella loro vera natura, come una massa di vibrazioni che nascono e svaniscono ad ogni istante. Sulla base di questa esperienza si comprende infine che cosa sono il corpo, le sensazioni, la mente e i contenuti mentali: un flusso di fenomeni impersonali, in costante cambiamento.Questa comprensione diretta della realtà ultima della mente e della materia frantuma progressivamente le proprie illusioni, i propri fraintendimenti e pregiudizi. Anche le idee giuste, che erano state accettate solo per fede o per deduzione intellettuale, ora, venendo sperimentate, acquistano un nuovo significato. Gradualmente, con l'osservazione della realtà interiore, tutti i condizionamenti che distorcono la percezione vengono eliminati. Rimangono solo la pura consapevolezza e la saggezza.Appena l'ignoranza scompare, le tendenze sotterranee di bramosia e avversione vengono sradicate e i meditatori si liberano da ogni attaccamento, compreso l'attaccamento più profondo di tutti: quello al mondo interiore del proprio corpo e della propria mente. Quando questo attaccamento viene eliminato, la

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sofferenza scompare e si perviene alla liberazione. Il Buddha ha spesso ripetuto: "Tutto ciò che viene percepito come sensazione è in relazione con la sofferenza.” (10) Quindi vedana è un mezzo ideale per esplorare la verità della sofferenza. Le sensazioni spiacevoli sono ovviamente sofferenza, ma anche la sensazione più piacevole è una forma di agitazione molto sottile. Ogni sensazione è impermanente. Perciò, se si è attaccati alle sensazioni piacevoli, quando esse svaniscono, rimane la sofferenza. Di fatto, ogni sensazione contiene un seme di infelicità. Per questa ragione, parlando del sentiero che conduce alla la cessazione della sofferenza, il Buddha ha parlato del sentiero che conduce al sorgere di vedana e alla sua estinzione. (11) Finché si rimane dentro il campo condizionato della mente e della materia, sensazioni e sofferenza persistono. Cessano solo quando si trascende quel campo per sperimentare la realtà ultima del nibbana.Il Buddha ha detto:

Un uomo non applica realmente Dhamma nella vita solo perché ne parla molto. Ma chi ne avesse sentito parlare anche solo un poco,sperimenta la Legge di Natura per mezzo del proprio corpo,allora vivrà conformemente ad essa,e avrà sempre presente Dhamma. (12)

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I nostri corpi testimoniano la verità. Quando i meditatori scoprono la verità dentro se stessi, per loro essa diviene reale e vivono conformemente ad essa. Ognuno di noi può comprendere quella stessa verità imparando a osservare le sensazioni che sorgono in noi stessi, e così facendo possiamo conseguire la liberazione dalla sofferenza.

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APPENDICE B

PASSI SU VEDANA TRATTI DA VARI SUTTA

Nei suoi discorsi, il Buddha si è spesso riferito all'importanza della consapevolezza della sensazione. Eccone alcuni esempi. Nel cielo soffiano diversi venti, da est e da ovest, da nord e da sud, carichi di polvere o privi di polvere, freddi o caldi, tempeste selvagge o brezze delicate: molti sono i venti che soffiano. Allo stesso modo, nel corpo nascono delle sensazioni: piacevoli, spiacevoli o neutre. Quando un meditatore, esercitandosi con entusiasmo, non trascura la facoltà della piena comprensione [sampajañña], allora quest’uomo saggio comprende appieno le sensazioni. Avendole comprese totalmente, diventa libero da tutte le impurità già in questa vita. Alla fine della vita, tale persona, essendo ben salda in Dhamma e comprendendo perfettamente le sensazioni, consegue lo stadio indescrivibile al di là del mondo condizionato.

S.XXXVI (II).ii. 12 (2), Paµhama Akasa Sutta

E come si sofferma il meditatore ad osservare il corpo nel corpo? Per far questo, il meditatore va nella foresta, ai piedi di un albero, in un luogo solitario. Là si siede a gambe incrociate, con il

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busto eretto e fissa la sua attenzione sull'area intorno alla sua bocca. Con consapevolezza inspira ed espira. Inspirando un respiro lungo, egli riconosce giustamente:"Sto inspirando un respiro lungo". Espirando un respiro lungo, egli riconosce giustamente: "Sto espirando un respiro lungo". Inspirando un respiro corto, egli riconosce giustamente: "Sto inspirando un respiro corto". Espirando un respiro corto, egli riconosce giustamente: "Sto espirando un respiro corto". "Sentendo l'intero corpo inspirerò", così egli si educa. "Sentendo l'intero corpo, espirerò", così egli si educa. "Con le attività corporee calmate, io inspirerò", così egli si educa. "Con le attività corporee calmate, io espirerò", così egli si educa.

D.22 / M. 10, Satipatthana Sutta, Anapana-pabbam . Quando una sensazione piacevole, spiacevole o neutra, sorge nel meditatore, egli comprende: "Una sensazione piacevole, spiacevole o neutra è sorta in me. É basata su qualcosa, non è senza una base. Su cosa è basata? Proprio su questo corpo." Così egli dimora, osservando la natura impermanente della sensazione dentro il corpo.

S.XXXVI (II). 1. 7, Paµhama Gelañña Sutta

Il meditatore comprende:" Là è sorta in me

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questa esperienza piacevole, spiacevole o neutra. É composita, di natura grossolana, dipendente da condizioni. Ma ciò che esiste realmente, ciò che è di gran lunga migliore, è l'equanimità". Anche se in lui è sorta un'esperienza piacevole, o spiacevole, o neutra, essa finisce, ma l'equanimità rimane. M.152, Indriya Bhavana Sutta

Ci sono tre tipi di sensazione: piacevole, spiacevole e neutra. Tutte e tre sono impermanenti, composite, dipendenti da condizioni, soggette al decadimento, allo svanire, al cessare. Vedendo questa realtà, il seguace bene istruito del Nobile Sentiero diventa equanime verso le sensazioni piacevoli, spiacevoli e neutre. Sviluppando l'equanimità, diviene distaccato, sviluppando il distacco, diviene libero.

M.74, D²ghanaka Sutta

Se un meditatore si sofferma ad osservare l'impermanenza della sensazione piacevole dentro il corpo, il suo declino, il suo svanire e cessare e altresì osserva il suo abbandono dell'attaccamento a tale sensazione, allora i condizionamenti nascosti di bramosia per una sensazione piacevole all’interno del corpo sono eliminati. Se rimane ad osservare l'impermanenza della sensazione spiacevole dentro il corpo, allora i condizionamenti nascosti di avversione verso una sensazione spiacevole

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all’interno del corpo sono eliminati. Se si sofferma ad osservare l'impermanenza della sensazione neutra dentro il corpo, allora i condizionamenti nascosti di ignoranza nei confronti della sensazione neutra all’interno del corpo sono eliminati.

S.XXXVI (II), i. 7, Paµhama Gelañña Sutta

Quando i condizionamenti nascosti di bramosia per una sensazione piacevole, di avversione per una sensazione spiacevole e di ignoranza per una sensazione neutra sono sradicati, si dice che il meditatore è totalmente libero dai condizionamenti sotterranei, è colui che ha visto la verità, ha eliminato tutte le bramosie e le avversioni, ha spezzato tutte le catene, ha pienamente compreso la natura illusoria dell'ego, ha messo fine alla sofferenza.

S.XXXVI (II). i. 3, Pahana Sutta

La visione della realtà così com'è diventa la sua giusta visione. Il pensiero della realtà così com'è, diventa il suo giusto pensiero. Lo sforzo per la realtà così com'è, diventa il suo giusto sforzo. La consapevolezza della realtà così com'è diventa la sua giusta consapevolezza. La concentrazione sulla realtà così com'è, diventa la sua giusta concentrazione. Le sue azioni del corpo e della parola, i suoi mezzi di sussistenza si purificano veramente. Così il Nobile Ottuplice

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Sentiero avanza in lui verso lo sviluppo e il compimento.

M. 149, Maha-Salayatanika Sutta

Il fedele seguace del Nobile Sentiero compie degli sforzi, e persistendo nei suoi sforzi diventa consapevole, e rimanendo consapevole diventa concentrato, e mantenendo la concentrazione sviluppa la giusta comprensione, e comprendendo correttamente sviluppa una fede vera, fiducioso del fatto che "Quelle verità di cui prima ho solo udito parlare, ora le ho sperimentate direttamente all’interno del corpo e le osservo con penetrante comprensione. "

S.XLVIII (IV). v. 10 (50), Apana Sutta (detto da Sariputta, il principale discepolo del Buddha)

GLOSSARIO DEI TERMINI PALI

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Qui di seguito sono riportati tutti i termini pali citati nel testo, nonché altre parole di rilievo nell'insegnamento del Buddha

ANAPANA Respirazione. Anapana Sati. Consapevolezza della respirazione

ANATTA Non sé, privo di ego, senza essenza, senza sostanza. Una delle tre caratteristiche fondamentali dei fenomeni, insieme ad anicca e dukkha.

ANICCA Impermanente, effimero, in continuo cambiamento. Una delle tre caratteristiche fondamentali dei fenomeni, con anatta e dukkha.

ANUSAYA La mente inconscia; i condizionamenti nascosti, sotterranei; le impurità mentali latenti (anche anusaya-kilesa)

ARAHANT/ARAHAT Essere liberato. Colui che ha eliminato tutte le impurità della mente.

ARYA Nobile; persona santa. Colui che ha purificato la mente al punto da aver sperimentato la realtà ultima (nibbana).

ARYA ATTHANGIKA MAGGA Il Nobile Ottuplice Sentiero che conduce alla liberazione dalla

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sofferenza. E’ diviso in tre parti:

SILA Moralità, purezza delle azioni vocali e fisiche

SAMMA-VACA Giusta parola; SAMMA-KAMMANTA Giusta azione; SAMMA-AJIVA Giusti mezzi di

sussistenza.

SAMADHI Concentrazione, controllo della propria

mente:

SAMMA-VAYAMA Giusto sforzo; SAMMA- SATI Giusta

consapevolezza, SAMMA-SAMADHI Giusta

concentrazione.

PAÑÑA Saggezza, comprensione profonda che purifica

totalmente la mente: SAMMA-SANKAPPA Giusto

pensiero, SAMMA- DITTHI Giusta

comprensione.

ARIYA SACCA Nobile verità. Le Quattro Nobili Verità sono:1. La verità della sofferenza 2. La verità dell'origine della sofferenza; 3. La verità della

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cessazione della sofferenza 4. La verità del cammino che conduce alla cessazione della sofferenza.

BHANGA Dissoluzione. Uno stadio importante nella pratica di Vipassana. L'esperienza della dissoluzione dell'apparente solidità del corpo in sottili vibrazioni che compaiono e scompaiono continuamente

BHAVANA Sviluppo, evoluzione mentale. Meditazione. Le due divisioni di bhavana sono lo sviluppo della tranquillità (samatha-bhavana), corrispondente alla concentrazione mentale (samadhi), e lo sviluppo della comprensione profonda (vipassana-bhavana), corrispondente alla saggezza (pañña). Lo sviluppo di samatha porta a stadi avanzati di concentrazione mentale; lo sviluppo di vipassana porta alla liberazione.

BHAVANA-MAYA PAÑÑA Saggezza a livello di esperienza. Vedi PAÑÑA.

BHIKKHU Monaco (buddista); meditatore. La forma femminile è bhikkhuni, monaca.

BUDDHA Persona illuminata. Colui che ha scoperto la via verso la liberazione, l’ha percorsa e ha raggiunto la meta finale con i suoi propri sforzi.

CINTA-MAYA PAÑÑA Saggezza intellettuale.

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262 Arte di Vivere

Vedi PAÑÑA.

CITTA Mente. Cittanupassana: osservazione della mente. Vedi SATIPATTHANA.

DHAMMA Fenomeno; oggetto della mente; natura; legge naturale; legge di liberazione, cioè insegnamento di una persona illuminata. Dhammanupassana: osservazione dei contenuti mentali. Vedi SATIPATTHANA. (In Sanscrito dharma)

DUKKHA Sofferenza, insoddisfazione. Una delle tre caratteristiche di base dei fenomeni, con anatta e anicca.

GOTAMA Nome di famiglia del Buddha storico (In sanscrito Gautama).

HINAYANA Letteralmente, "veicolo minore". Termine usato per indicare il Buddismo Theravada da parte di coloro che appartengono ad altre scuole. Connotazione peggiorativa.

JHANA Stato di assorbimento mentale o trance. Ci sono otto stadi di tal genere che possono essere ottenuti con la pratica di samadhi, o samatha-bhavana. Dedicarsi a questa pratica porta tranquillità ed estasi, ma non elimina le negatività mentali radicate nel profondo.

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Chapter Name 263

KALAPA La più piccola, indivisibile, unità della materia.

KAMMA Azione, e specificatamente un'azione che si compie e che avrà effetto sul proprio futuro. (In sanscrito karma).

KAYA Corpo. Kayanupassana; osservazione del corpo. Vedi SATIPATTHANA.

MAHAYANA Letteralmente," veicolo più grande ". Il tipo di buddismo che si è sviluppato in India pochi secoli dopo il Buddha e che si è diffuso a Nord in Tibet, Mongolia, Cina, Vietnam, Corea e Giappone.

METTA Amore incondizionato e buona volontà. É una delle qualità di una mente pura. Metta-bhavana: la pratica sistematica di metta per mezzo di una tecnica di meditazione.

NIBBANA Estinzione; libertà dalla sofferenza; la realtà ultima; stato incondizionato. (In sanscrito nirvana).

PALI Linea, testo. I testi in cui è registrato l'insegnamento del Buddha; quindi il linguaggio di questi testi. Prove linguistiche, storiche, archeologiche indicano che il pali era una lingua effettivamente parlata nell’India settentrionale più o meno ai tempi del Buddha. Più tardi i testi furono tradotti in sanscrito, che era una lingua esclusivamente

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letteraria.

PAÑÑA Saggezza. La terza delle tre parti attraverso le quali viene praticato il Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARYA ATTANGIKA MAGGA). Ci sono tre tipi di saggezza: suta-maya pañña, che letteralmente significa "saggezza che si ottiene ascoltando altri", cioè saggezza ricevuta; cinta-maya pañña, ovvero saggezza che si ottiene con l’analisi intellettuale; e bhavana-maya pañña, ovvero saggezza che si sviluppa dall’esperienza diretta e personale. Di queste, soltanto l'ultima, che viene coltivata con la pratica di vipassana-bhavana, può purificare del tutto la mente.

PATICCA-SAMUPPADA La Catena del Sorgere Condizionato; l’origine causale. Il processo, che inizia con l'ignoranza e attraverso il quale una persona, vita dopo vita, continua a produrre sofferenza per se stessa.

SAMADHI Concentrazione, controllo della propria mente. É la seconda delle tre parti con cui viene praticato il Nobile Ottuplice Sentiero. (vedi ARYA ATTANGIKA MAGGA). Se la si coltiva come fine a se stessa, porta al conseguimento dell'assorbimento mentale, (jhana), ma non alla totale liberazione della mente.

SAMMA-SATI . La giusta consapevolezza. Vedi

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Chapter Name 265

SATI

SAMPAJAÑÑA. Comprensione della totalità del fenomeno umano, ovvero comprensione profonda della sua natura impermanente a livello di sensazioni.

SAMSARA Ciclo della rinascita; mondo condizionato; mondo di sofferenza.

SANGHA Congregazione; comunità di ariya, cioè coloro che hanno sperimentato il nibbana; comunità di monaci e monache buddisti; membro di ariya-sangha, bhikkhu-sangha, o bhikkhuni-sangha.

SANKHARA Formazione (mentale); attività della volizione; reazione mentale; condizionamento mentale. Uno dei quattro aggregati o processi mentali, con viññana, sañña, e vedana. (In sanscrito samskara).

SANKHARA-UPEKKHA/SANKHARUPEKKHA Letteralmente, equanimità verso i sankhara. Uno stadio nella pratica di Vipassana, che viene dopo l'esperienza di bhanga, nel quale vecchie impurità che giacciono addormentate nell'inconscio emergono alla superficie della mente, manifestandosi come sensazioni fisiche. Conservando l'equanimità (upekkha) verso queste sensazioni, il meditatore non crea più nuovi sankhara e consente che quelli vecchi siano eliminati. Perciò il processo

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conduce gradualmente all'eliminazione di tutti i sankhara.

SAÑÑA Percezione, riconoscimento, individuazione. Uno dei quattro aggregati o processi mentali insieme a vedana, viññana e sankhara. Di solito è condizionata dai vecchi sankhara che ciascuno porta con sé, e perciò riporta una immagine distorta della realtà. Nella pratica Vipassana, sañña si trasforma in pañña, la comprensione della realtà così com’è. Diventa quindi anicca-sañña, dukkha-sañña, anatta-sañña, ed asubha-sañña, cioè, la percezione dell'impermanenza, della sofferenza, dell’inesistenza di un io e della natura illusoria della bellezza.

SATI Consapevolezza. Anapana-sati: consapevolezza della respirazione. Samma sati: giusta consapevolezza, una delle componenti del Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARYA ATTANGIKA MAGGA).

SATIPATTHANA L'instaurarsi della consapevolezza. Gli aspetti del satipatthana, che si intrecciano fra loro, sono quattro:1. osservazione del corpo (kayanupassana); 2. osservazione delle sensazioni che sorgono all'interno del corpo (vedananupassana); 3. osservazione della mente (cittanupassana); 4. osservazione dei contenuti della mente (dhammanupassana). Dal momento che le sensazioni sono direttamente collegate sia al

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Chapter Name 267

corpo che alla mente, tutti e quattro gli aspetti sono compresi nell'osservazione delle sensazioni.

SIDDHATTA Letteralmente, "colui che ha realizzato il suo compito." Il nome del Buddha storico. (In sanscrito Siddhartha).

SILA Moralità, astensione dalle azioni fisiche e vocali che danneggiano gli altri e se stessi. La prima delle tre parti attraverso le quali viene praticato il Nobile Ottuplice Sentiero (vedi ARYA ATTHANGIKA MAGGA).

SUTA MAYA PAÑÑA Saggezza ricevuta. Vedi PAÑÑA

SUTTA Discorso del Buddha o di uno dei suoi discepoli più autorevoli. (In sanscrito sutra.).

TANHA Letteralmente "sete". Comprende sia la bramosia che il suo contrario, l'avversione. Il Buddha identificò in tanha la causa della sofferenza nel suo primo sermone, il "Discorso sul mettere in movimento la ruota di Dhamma" (Dhamma-cakkappavattana Sutta). Nella Catena del Sorgere Condizionato, spiegò che tanha si originava come reazione alla sensazione (v.capitolo quarto pag.).

TATHAGATA Letteralmente, " così è andato" o " così è compiuto". Colui che camminando

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lungo il sentiero della realtà ha raggiunto la realtà ultima, una persona illuminata. É il termine con il quale il Buddha era solito riferirsi a se stesso.

THERAVADA Letteralmente, "insegnamento degli anziani". Gli insegnamenti del Buddha, nella forma in cui sono stati preservati nelle nazioni del sudest asiatico (Birmania, Sri Lanka, Tailandia, Laos, Cambogia). Sono generalmente riconosciuti come la forma più antica degli insegnamenti.

TIPITAKA Letteralmente, "i tre cesti". Le tre raccolte degli insegnamenti del Buddha: 1. Vinaya-piµaka: la raccolta della disciplina monastica; 2. Sutta-piµaka: la raccolta dei discorsi; 3. Abhidhamma-piµaka: la raccolta dell'insegnamento più alto, ossia l'esegesi filosofica sistematica di Dhamma. (In Sanscrito Tripiµaka).

VEDANA Sensazione. Uno dei quattro aggregati mentali o processi, insieme a viññana, sañña, e sankhara. Il Buddha lo descrive come avente sia aspetti fisici che mentali; perciò vedana offre un mezzo per esaminare la totalità del corpo e della mente. Nella Catena del Sorgere Condizionato, il Buddha spiegò che tanha, la causa della sofferenza, ha origine da una reazione a vedana (v. capitolo quarto pag.). Imparando ad osservare oggettivamente vedana, si può evitare

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Chapter Name 269

qualsiasi nuova reazione di bramosia e avversione, e sperimentare direttamente all'interno di se stessi la realtà dell'impermanenza (anicca). Questa esperienza è essenziale per lo sviluppo della condizione di distacco, che conduce alla liberazione della mente. Vedananupassana: osservazione delle sensazioni all'interno del corpo. Vedi SATIPATTHANA.

VIÑÑANA Coscienza, cognizione. Uno dei quattro aggregati o processi mentali, con sañña, vedana, e sankhara.

VIPASSANA Introspezione, osservazione e comprensione profonda della realtà che purifica totalmente la mente. Specificatamente è la comprensione profonda

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della natura impermanente della mente e del corpo. Vipassana-bhavana: lo sviluppo sistematico della comprensione profonda attraverso la tecnica di meditazione dell'osservazione della propria realtà per mezzo dell’osservazione delle sensazioni all’interno del corpo.

YATHA-BHNTA Letteralmente, "così come è ". Realtà.

YATHA-BHNTA-ÑANA-DASSANA Saggezza che sorge dal vedere la verità così come è.

NOTE

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Chapter Name 271

Tutte le citazioni derivano dal Sutta Piµaka e dalla Collezione dei discorsi del Canone Pali. I testi in pali citati qui citati sono quelli pubblicati negli scritti Devaganari dall’Università di Nalanda, Bihar, India. Le traduzioni in inglese consultate includono anche quelle della Pali Text Society di Londra, come pure quelle pubblicate dalla Buddhist Publication Society dello Sri Lanka. Mi sono state particolarmente utili le antologie curate dai Ven. Ñanatiloka, Ñanamoli, e Piyadassi. A loro, come agli altri traduttori moderni del Canone Pali, va la mia profonda gratitudine. La numerazione dei Sutta riportata nelle note è quella usata nelle traduzioni inglesi della Pali Text Society. In generale, i titoli dei Sutta non sono stati tradotti.

Sono state usate le seguenti abbreviazioni:

A Anguttara NikayaD Digha NikayaM Majjhima NikayaS Samyutta NikayaSatip Satipatthana Sutta

CAPITOLO PRIMO

1. S. XLIV. x. 2, Anuradha Sutta2. A III. vii. 65, Kesamutti Sutta (Kalama Sutta), iii, ix.

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3. D. 16, Maha-Parinibbana Suttanta. 4. Ibid. 5. S. XXII. 87 (5), Vakkali Sutta. 6. Maha-Parinibbana Suttanta. 7. A. IV. v. 5 (45), Rohitassa Sutta. Si trova anche in S. II. iii. 6. 8. Dhammapada, I, 19, 209. Basato sul M. 107, Ganaka-Mogallana Sutta.

CAPITOLO SECONDO

1. Sankara è uno dei più importanti concetti nell'insegnamento del Buddha, e uno dei più difficili da esprimere nelle traduzioni. La parola ha anche molteplici significati, e a volte non è facile stabilire quale sia il significato più appropriato in un particolare contesto. Qui la parola sankhara è considerata come l'equivalente a cetana/sañcetana, che significa volizione, intenzione. Per questa interpretazione vedere v. A. IV. xviii. I (171), Cetana sutta; S. XXII. 57 (5), Sattatthana Sutta; S. XII. iv. 38 (8), Cetana Sutta.

2. M. 72, Aggi-Vacchagotta Sutta.

CAPITOLO TERZO

1. M. 135, Cula Kamma Vibhanga Sutta. 2. Dhammapada, XXV. 21 (380). 3. Ibid, I. 1, 2. 4. Sutta Nipata, III. 12, Dvayatanupassana

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Chapter Name 273

Sutta. 5. S. LVI (XII), ii. 1, Dhamma-cakkappavattana Sutta. 6. A. III. xiii. 130, Lekha Sutta. 7. Basato su A. I. xvii, Eka Dhamma Pali (2).

CAPITOLO QUARTO

1. S. LVI (XII). ii. 1, Dhamma-cakkappavattana Sutta. 2. Ibid. 3. M. 38, Maha-tanhasankhaya Sutta. 4. Ibid. 5. Ibid6. Dhammapada, XII, 9 (165). 7. D. 9, Potthapada Suttanta. 8. A. III. vii. 65, Kesamutti Sutta (Kalama Sutta), xvi. 9. Basato su S. XLII. vii. 6, Asibandhakaputta Sutta.

CAPITOLO QUINTO

1. Dhammapada, XIV. 5 (183). 2. Ibid. I. 17, 18. 3. M. 27, Cula-hatthi-padopama Sutta4. Ibid.

CAPITOLO SESTO

1. A. IV. ii. 3 (13), Padhana Sutta.

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CAPITOLO SETTIMO

1. Dhammapada, XXIV. 5 (338). 2. D. 16, Maha-Parinibbana Suttanta. 3. Dhammapada, XX. 4 (276). 4. Vedi S. XLVI (II). vi. 2, Pariyaya Sutta. 5. S. XII. vii. 62 (2), Dutiya Assutava Sutta; anche S.XXXVI (II). i. 10, Phassa Mulaka Sutta. 6. Dhammapada, XX. 5 (277). 7. S. XXXVI (II). i. 7, Paµhama Gelañña Sutta.

CAPITOLO OTTAVO

1. D. 16, Maha-Parinibbana Suttanta. IL verso è pronunciato da Sakka, re degli dei, dopo la morte del Buddha. Compare anche in altre parti, in forme leggermente differenti, ad esempio, S. I. ii. 1, Nandana Sutta; ed anche S. IX. 6, Anuruddha Sutta. 2. A. IX. ii. 10 (20), Velama Sutta. 3. La famosa similitudine della zattera è presa dalla M. 22, Alagadd³pama Sutta. 4. Basato su Udana, I. x, storia di Bahiya Daruciriya. Si trova anche in Dhammapada Commentary, VIII. 2 (verso 101).

CAPITOLO NONO

1. S. LVI (XII). ii. 1, Dhamma-cakkappavattana Sutta. Questa espressione viene usata per descrivere la visione profonda raggiunta dai primi discepoli alla loro prima realizzazione del Dhamma.

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Chapter Name 275

2. S. v. 7, Upacala Sutta. Chi parla è la monaca arahat Upacala. 3. Dhammapada, XXV. 15 (374). 4. Udana, VIII. 1. 5. Udana, VIII. 3. 6. S. LVI (XII), ii. 1, Dhamma-cakkappavattana Sutta. 7. S. XXXVIII (IV). 1, Nibbana Pañha Sutta. Colui che parla è Sariputta, discepolo-capo del Buddha. 8. Sutta Nipata, II. 4, Maha-Mangala Sutta. 9. D. 9, Potthapada Suttanta.

CAPITOLO DECIMO

1. Dhammapada, VIII. 14 (113). 2. S. XXII. 102 (10), Anicca-sañña Sutta. 3. D. 16, Maha-Parinibbana Suttanta. 4. M. 117, Maha-cattarisaka Sutta. 5. Ibid.

APPENDICE A

L'importanza di Vedana nell'insegnamento del Buddha

1. A. VIII. ix. 3 (83), Mulaka Sutta. V. anche A. IX. ii. 4 (14), Samiddhi Sutta. 2. D. 1. 3. A. III. vii. 61 (ix), Titthayatana Sutta.

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276 Arte di Vivere

4. S. XXXVI (II). iii. 22 (2), Aµthasata Sutta. 5. Dhammapada, XXI. 4 (293). 6. Il Satipatthana Sutta appare due volte nel Sutta Piµaka, in D. 22 e in M. 10. Nella versione D., la sezione in cui si discute il dhammanupassana è più lunga che nella versione M. Perciò il testo D. è chiamato Maha- Satipatthana Suttanta, "il più grande". Per il resto i due testi sono identici. I brani citati in questo libro compaiono nella stessa forma in entrambi i testi.7. Satip. 8. Ibid. 9. Ibid. 10. S. XII. iv. 32 (2), Kalara Sutta. 11. S. XXXVI (II). iii. 23 (3), Aññatara Bhikkhu Sutta. 12. Dhammapada, XIX. 4 (259).CENTRI DI MEDITAZIONE VIPASSANA

I corsi di meditazione vipassana nella tradizione di Sayagyi U Ba Khin e sotto la guida di S.N. Goenka si svolgono regolarmente in tutto il mondo presso centri permanenti. La lista sotto indicata è solo una selezione dei centri più importanti. Per gli altri centri e il programma dei corsi, consultare il sito ufficiale : www.dhamma.org

Europa

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Chapter Name 277

ITALIA Centro Vipassana Dhamma AtalaVia Prov.le 12, Lutirano – 50034 Marradi (FI)Tel. [39] 055 804818 Fax: [39] 049 8591249E-mail: [email protected] web: http://www.atala.dhamma.org

Dhamma Dipa Harewood End, Herefordshire, HR2 8JS, England, U.K.Tel: [44] (01989) 730 234; Fax: [44] (01989) 730 450E-mail: [email protected] Website: http://www.dipa.dhamma.org

Dhamma DvaraVipassana Zentrum, Alte Strasse. 6, 08606 Triebel, GermanyTel: [49] (37434) 79770; Fax: [49] (37434) 79771E-mail:[email protected] Website: http://www.dvara.dhamma.org

Dhamma Mahi'Le Bois Planté' Louesme, F-89350 Champignelles, Francia Tel: [33] (0386) 457 514; Fax [33] (0386) 457 620E-mail: [email protected], Website: http://www.mahi.dhamma.org

Dhamma Nilaya6, Chemin de la Moinerie, 77120, Saints, France

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278 Arte di Vivere

Tel/Fax: [33] 1 64.751370; Mobile: 0609899079E-mail: [email protected] and [email protected]

Dhamma NeruCentro de Vipassana, Apartado Postal 29, Santa Maria de Palautordera 08460 Barcelona, SpainTel: [34] (93) 848 2695; Fax: [34] (93) 848 1584E-mail: [email protected] Web site: http://www.neru.dhamma.org

Dhamma SumeruCentre Vipassana, No. 140, Ch-2610 Mont-Soleil, SwitzerlandTel: [41] (32) 941 1670; Fax: [41] (32) 941 1650E-mail: [email protected] Web site: http://www.sumeru.dhamma.org

Dhamma PajjotaVipassana Centrum, Driepaal 3, 3650 Dilsen-Stokkem, BelgiumTel: [32] (089) 518 230; Fax: [32] (089) 518 239; E-mail:[email protected]

India(a) MAHARASHTRA

Dhamma Giri

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Chapter Name 279

Vipassana International AcademyIgatpuri, 422 403 Dist. Nashik, MaharashtraTel: (02553) 244076, 244086; Fax: (02553) 244176E-mail: [email protected]: http://www.vri.dhamma.orgCourse scheduleMumbai Office: Vipassana Information Centre, C/o Smita Kamdar,7C, Suresh Colony, S. V. Road, Near Nanavati Hospital, Vile Parle (W), Mumbai 400056. Tel: 022-26178701 (2:30 to 5:00 p.m. except Sundays).

DhammanandaPune Vipassana Centre, Dist. Pune, Village Markal-412 105City Office: Pune Vipassana Samiti, Dadawadi, Opp. Nehru Stadium, Near Anand Mangal Karyalaya, Pune-411 002Tel: (020) 2446 8903, 2446 4243; Tel/Fax: (020) 2446 4243; E-mail: [email protected]

Dhamma AjantaAjanta International Vipassana Samiti, Near MGM Medical College,N-6, CIDCO, Aurangabad-431003Tel: (0240) 2350092, 2480194.

Dhamma NasikaNashik Vipassana Kendra, Opposite Water Filtration plant,

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Shivaji Nagar, Satpur, Post YCMMV, Nashik-422 222. Tel: (0253) 5616242; E-mail:[email protected] Office: 'Upvan', Near Ganpati Mandir, Savarkar Nagar, Gangapur Road, Nashik 422 005, Tel: (0253) 2347908Course Schedule 2006

(b) NORTH INDIA

Dhamma ThaliRajasthan Vipassana CentreVia Sisodiya Rani Baug, Through Galtaji Road, PO Box 208, Jaipur 302 001, Rajasthan Tel: [91] (0141) 2680220, 2680311; Fax C/o (0141) 2561 283; Email:[email protected], [email protected]

Dhamma Sikhara Himachal Vipassana KendraMacLeod Ganj, Dharamshala 176 219,Dist. Kangra, H.P. Tel: (01892) 221309, 221368 Email: [email protected];

Dhamma LakkhanaLucknow Vipassana Centre, Asti Road, Bakshi ka Talab, Lucknow. Tel: (0522) 2508525. E-mail: [email protected]: Pankaj Jain, A-302, Sterling Apts, University Road. Tel:(0522) 2781896, 9335906341.

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Chapter Name 281

(c) GUJARATDhamma Sindhu

Kutch Vipassana Centre, Village-Bada, Tal. Mandvi, Dist. Kutch 370 475Tel: Off. (02834) 273612, Teacher's.Res. 273304Fax: (02834) 224267; E-mail: [email protected] Contact: (02834) 223076 [Mr Ishwarlal Shah] (d) CENTRAL and EASTERN INDIA

Dhamma GangaBara Mandir Ghat, Harishchandra Dutta Road, Panihati (Sodepur), Dist. 24 Parganas (N.), West Bengal 743 176. Tel: (033) 2553 2855City Office: Daya Ram Kajaria, 22 Bonfield Lane, 2nd floor, Room No. 10, Kolkata-700 001. Tel: 2242 3225 (R), 2471 0319.

Dhamma Kanana Dhamma Kanana Vipassana Centre, Wainganga Tat, Rengatola, P.O. Garra, Balaghat. City Contact: Haridas Meshram, Ratan Kuti, 126, I.T.I. Road, Buddhi, Balaghat-481001. Tel: 07632-260121; Mobile: 94251-40015

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282 Arte di Vivere

Mobile: 93290-24552; Email: [email protected]

Dhamma LicchaviVaishali Vipassana Centre, Ladaura Gram, Ladaura Pakri, Muzzaffarpur 843 113City Office: Lalit Kunj, Atardah, Muzzaffarpur 842 002, BiharTel: (0621) 2247 750, 2243 206, 2243 407; Fax: (0621) 2247702

Dhamma Bodhi Bodh Gaya International Meditation CentreGaya-Dhobi Road (15 km), Post: Magadha University, Gaya 824 234, Bihar. Tel: (0631) 2200 437 Off. Shanti Dham, Kankarbagh Road, Patna 800 020, BiharTel: & Fax: (0612) 2352 874, 2352530

Dhamma Upavana Baracakiya, Bihar.Contact: Dr Ishwarchandra Sinha. Khabhada Road, Muzaffarpur 842001, Bihar.Tel: Res. (0621) 244 975; 5521 0770

Dhamma PuriTripura Vipassana Meditation Centre, P. O. Machmara, Dist. North Tripura, Tripura 799 265Tel: (03822) 266204, 266 238; Agartala: (0381) 231 9343;Email: [email protected]

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Chapter Name 283

(e) SOUTH INDIADhamma Khetta

Vipassana International Meditation Centre, 12.6 km. Nagarjunsagar Road, Kusumnagar, Vanasthali Puram,Hyderabad 500 070, A.P.Tel: Off. (040) 2424 0290, Teacher's Res. 2424 1746; City Off. 2473 2569 Fax: C/o (040) 2461 3941;E-mail: [email protected] Website: http:// www.khetta.dhamma.org

NepalDharmasringa

Nepal Vipassana Centre, PO. Box No. 12896, Budhanilkanth, Muhan Pokhari, Kathmandu, NepalTel: [977] (01) 4371 655, 4371 007City Office: Jyoti Bhawan, Kantipath, GPO Box 133 KathmanduTel: [977] (01) 4250 581, 4225 490; Fax: 4224 720, 4226 314E-mail: [email protected] Website for Nepal centres: http://www.np.dhamma.org

Dhamma Tarai Birganj Vipassana Centre, Parwanipur Parsa, Nepal

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284 Arte di Vivere

Contact: Mr. Narayan Prasad Tiwari, Jyoti Spinning Mills Ltd. Jyoti Farm, Parwanipur, Dist. Parsa, Birganj, NepalTel: [977] (51) 522092, 580054; Fax: [977] (051) 580056, 522086Email: [email protected]

Dhamma JananiLumbini Vipassana Centre, Near Lumbini Peace Flame,Rupandehi, Lumbini Zone, Nepal. Tel: [977] (071) 80282. Contact: Mr Gopal Bahadur Pokharel, Bairav Color Lab, Butwal, Khasyauli, Lumbini Zone, Nepal. Tel: [977] (071) 541549;E-mail: [email protected]

Dhamma Birata Purwanchal Vipassana Centre, Phulbari Tole, South of Bus Park, Ithari-7, Sunsari, NepalTel: [977] (25) 585 521, E-mail: [email protected]: 1. (Biratnagar) Mr. Dev Kishan Mundada, Debanara, Goswara Road, Ward No. 9, Biratnagar, NepalTel: Off. [977] (21) 525486, Res. 527671; Fax: [977] (21) 526466; E-mail: [email protected]. (Dharan) Mr. Kamal Kumar Goyal, Tel: Off. [977] (25) 523528, Res 526829

Dhamma ChitawanaChitwan Vipassana Centre, Mangalpur VDC

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Chapter Name 285

Ward No 8, next to Bijaya Nagar Bazar, Chitwan, NepalCity office: Buddha Vihar, Narayanghat Contacts: (Narayanghat) 1. Mr. Hari Krishna Maharjan, Tel [977] [56] 520294, 528294;2. Mr. Pancha Ram Pradhan, Tel [977] [56] 520228

Dhamma KittiKirtipur Vipassana centre, Devdhoka, Kirtipur, NepalContact person :Ramsurbir Maharjan, Samal Tole, Ward No.6, Kirtipur, Nepal

Dhamma PokharaPokhara Vipassana Centre, Pachbhaiya, Lekhnath Municipality, Pokhara, Kaski, NepalContact: Mr Ashok Verma, Email: [email protected]: 061-560 345

CambodiaDhamma Latthika

Trungmorn Mountain, National Route 10, District Phnom Sampeau, Battambang, CambodiaContact: Chhoan Phieu, Tel: [855] (12) 918 626; E-mail: [email protected]

IndonesiaDhamma Java

Jl. H. Achmad No.99; Kampung Bojong, Gunung

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286 Arte di Vivere

Geulis, Kecamatan Sukaraja, Cisarua-Bogor, Indonesia.Tel: [62](0251) 271-008; E-Mail: [email protected] Website: www.indonesian.dhamma.orgCourse Registration Office Address: IVMF ( Indonesia Vipassana Meditation Foundation ), Jl. Tanjung Duren Barat I, No. 27 A, Lt. 4, Jakarta Barat, IndonesiaTel : [62] ( 021 ) 7066 3290 (7am to 10pm); Fax: [62] ( 021 ) 4585 7618

JapanDhamma Bhanu

Japan Vipassana Meditation Centre, Iwakamiyoku, Hatta,Mizucho-cho, Funai-gun, Kyoto 622 0324Tel & Fax: [81] (0771) 86 0765, E-mail: [email protected]

Mongolia

Dhamma Mahana Vipassana center trust of Mongolia. Eronkhy said Amaryn Gudamj, Soyolyn Tov Orgoo, 9th floor, Suite 909, MongoliaTel: [976] 9118 9192, 9915 6348 Contact: Central Post Office, P. O. Box 2146

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Chapter Name 287

Ulaanbaatar 211213, Mongolia Email: [email protected]

Dhamma MangalaMongolia.

MyanmarDhamma Joti

Vipassana Centre, Wingaba Yele Kyaung, Nga Htat Gyi Pagoda Road, Bahan, Yangon, Myanmar Tel: [95] (01) 549 290, 546660; E-mail:[email protected] Office: No. 77, Shwe Bon Tha Street, Yangon, MyanmarTel: [95] (1) 248174Contact: Mr Banwariji Goenka, Bandoola Myanmar, Goenka Geha, 3rd Floor, 77 Shwe Bon Tha Street, Yangon, MyanmarTel: [95] (1) 253601, 245327, 241708; Res. [95] (1) 556920, 555078; Tel/Fax: [95] (01) 554459E-mail: [email protected] ; [email protected]

Dhamma Ratana Okpo Monastery, Myoma Ward, Mogok, Myanmar Contact: Dr. Myo Aung, Shansu Quarter, Mogok. Mobile: [95] (09) 6970840, 9031 861; Email: [email protected]

Dhamma Mandapa Near Mandalay Arts & Science University,

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288 Arte di Vivere

Bhamo Monastic Compound39th St., Mahar Aung Mye Tsp., Mandalay, MyanmarContact: Dr. Soe Aye, Secretary, Trustee Secretary. Tel: [95] (2) 8023913, 6970173 Email: [email protected]

Dhamma Mandala Mandalay, Myanmar.Contact: Dr Mya Maung, House No 33 , 25th Street, (Between 81 and 82nd Street), Mandalay, MyanmarTel: [95] (02) 57655, Email: (Dr Tin Yin) [email protected]

Dhamma MakutaMindada Quarter, Mogok, Myanmar. Contact: Dr. Myo Aung, Shansu Quarter, Mogok. Mobile: [95] (09) 6970840, 9031 861; Email: [email protected]

Dhamma ManoramaMain road to Maubin University, Maubin, MyanmarContact: U Hla Myint Tin, Headmaster, State High School, Maubin, Myanmar.Tel: [95] (045) 30470

Dhamma MahimaYe Gyan Oh village near Mandalay-Lashio Road, Mandalay

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Chapter Name 289

Contact: Daw Win Kyi, No.40, Mya Sandar Road,

Bet: 62nd & 63rd Street, Bet: 29th & 30th Street, Mandalay, Myanmar.Tel: [95] (2) 33014; Email : [email protected]

Dhamma ManoharaAung Tha Ya Qr, Thanbyu-Za Yet, Mon StateContact: Daw Khin Kyu Kyu Khine, No.64 Aungsan Road, Set-Thit Qr, Thanbyu-Zayet, Mon State, Myanmar.Tel: [95] (057) 25607

Dhamma NidhiPlot No. N71-72, Off Yangon-Pyay Road, Pyinma Ngu Sakyet Kwin, In Dagaw Village, Bago District, Myanmar.Contact : Moe Mya Mya (Micky), 262-264, Pyay Road, Dagon Centre, Block A, 3rd Floor, Sanchaung Township, Yangon11111, Myanmar. Tel: 95-1-503873,503516~9,Email: [email protected]

Dhamma NanadhajaShwe Taung Oo Hill, Yin Ma Bin Township, Monywa District, Sagaing Division, MyanmarContact: Dhamma Joti Vipassana Centre

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290 Arte di Vivere

Sri LankaDhamma Kuta

Vipassana Meditation Centre, Mowbray, Hindagala, Peradeniya, Sri LankaTel: [94] (081) 238 5774, (060) 2800057; Fax: [94] (081) 238 5774; Email: [email protected] Website: http://www.lanka.com/dhamma/dhammakuta

Dhamma SobhaVipassana Meditation Center, 38, Pahala Kosgama, Kosgama, Sri Lanka. Email: [email protected]: 1. Mr. D. H. Henry, Opposite School, Wannithammannawa, Anuradhapura, Sri LankaTel: [94] (25) 2221887 C/o 222 0136. Email: [email protected]. Mr. Ranjit. Samarasinghe, 53/19, Torington Avenue, Colombo 7, Sri Lanka. Tel: (011) 2502403 Mobile: (071) 2347400 Email: [email protected]

Taiwan Dhammodaya

No. 35, Lane 280, Chung-Ho Street, Section 2, Ta-Nan, Hsin She,

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Chapter Name 291

Taichung 426, P. O Box No. 21, TaiwanTel: [886] (04) 581 4265, 582 3932; AT room: 2581 7313Fax: [886] (04) 581 1503, E-mail:[email protected] Website: http://www.dhamma.org.tw

Thailand Dhamma Kamala

Thailand Vipassana Centre, 200 Baan Nerrnpasuk, Tambon Dongkeelek, Maung District, Prachinburi 25000, ThailandTel/Fax: [66] (037) 403 515Contact: Mr Nirand Chayodom, Tel: Res. 5521 731; Off. 5210 392.Fax: 5521 753. E-mail: [email protected]

Dhamma Abha138 Ban Huay Plu, Tambon Kaengsobha, Wangton District, Pitsanulok Province, 65220, ThailandEmail: [email protected]

Dhamma Suvanna112 Moo 1, Tambon Ban-Kong, Nong-Rua District, Khon Kaen Province, 40240, ThailandEmail: [email protected], [email protected]

Dhamma KancanaMooban Wang Kayai, Tambon Prangpley, Sangklaburi District,

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292 Arte di Vivere

Kanchanaburi Province, ThailandEmail : [email protected]

Dhamma Dhani42/660 KC Garden Home Housing Estate, Nimit Mai Road, East Samwa Sub-district, Klongsamwa District, Bangkok 10510, ThailandEmail: [email protected]

Australia & New ZealandDhamma Bhumi

P. O. Box 103, Blackheath, NSW 2785, AustraliaTel: [61] (02) 4787 7436; Fax: [61] (02) 4787 7221 E-mail: [email protected] Web site: http://www.bhumi.dhamma.org

Dhamma Rasmi P.O. Box 119, Rules Road, Pomona, Qld 4568, AustraliaTel: [61] (07) 5485 2452; Fax[61] (7) 5485 2907E-mail: [email protected] site: http://www.rasmi.dhamma.org

Dhamma PabhaVipassana Centre Tasmania, GPO Box 6, Hobart, Tasmania 7001, AustraliaTel: [61] (03) 6263 6785; E-mail: [email protected] site: http://www.pabha.dhamma.org

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Chapter Name 293

Course registration & information: [61] (03) 6228-6535 or (03) 6266-4343

Dhamma Aloka P. O. Box 11, Woori Yallock, VIC 3139, AustraliaTel: [61] (03) 5961 5722; Fax: [61] (03) 5961 5765E-mail: mailto:[email protected] Web site: http://www.aloka.dhamma.org

Dhamma Niketana10 Blackman Avenue, Northfield 5085, South Australia, AustraliaTel: [61] (08) 8278 8278; E-mail: [email protected]

Dhamma PadipaVipassana Foundation of WA175 Railway Road, Subiaco WA 6008, AustraliaTel. [61] (8) 9388 9151E-mail: [email protected]

Dhamma Medini153 Burnside Road, RD3 Kaukapakapa, Rodney DistrictNew Zealand. Tel: [64] (09) 420 5319 Fax: [64] (09) 420 5320; E-mail: [email protected] Web site: http://www.medini.dhamma.org

North AmericaDhamma Dhara

VMC, 386 Colrain-Shelburne Road, Shelburne MA 01370-9672, USATel: [1] (413) 625 2160; Fax: [1] (413) 625 2170

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294 Arte di Vivere

E-mail: mailto:[email protected] Web site:www.dhara.dhamma.org

Dhamma Kunja Northwest Vipassana Center, P. O. Box 345, Ethel, WA 98542-0345, USATel: [1] (360) 978 5434. Fax: [1] (360) 978 5433, Reg Fax: [1] (360) 242-5988E-mail: [email protected]: http://www.kunja.dhamma.org

Dhamma Mahavana California Vipassana Center, Street address: 58503 Road 225, North Fork, California, 93643Mailing address P. O. Box 1167, North Fork, CA 93643, USATel: [1] (559) 877 4386; Fax [1] (559) 877 4387E-mail: [email protected]: http://www.mahavana.dhamma.org

Dhamma SiriSouthwest Vipassana Center, Street address: 10850 County Road 155 A Kaufman, TX 75142, USA Mailing address: P. O. Box 190248, Dallas, TX 75219, USATel: [1] (214) 521 5258, or (972) 932 7868,Fax: Center (972) 962 8858; in Dallas (214) 219

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Chapter Name 295

5125;E-mail: [email protected] site: http://www.siri.dhamma.org

Dhamma SurabhiP. O. Box 699, Merritt, BC V1K 1B8, Canada Tel: [1] (250) 378 4506 E-mail: [email protected]; Web-site: http://www.surabhi.dhamma.org

Dhamma MandaNorthern California Vipassana AssociationP.O. Box 8250, Santa Rosa, CA 95407, USATel: [1] (707) 793 2163; Website: www.manda.dhamma.orgE-mail: mailto:[email protected]

Dhamma SuttamaQuebec Vipassana Meditation Centre,P. O. Box 32083 Les Atriums Montreal, (Qubec) H2L 4Y5Tel: [1] (514) 481 3504; Fax: [1] (514) 879 3437E-mail: [email protected] Website: http://www.suttama.dhamma.org

Dhamma PakasaIllinois Vipassana Meditation CenterStreet Address: 10076 Fish Hatchery Road, Pecatonica, IL 61063, USATel. [1] (815) 489-0420; Fax [1] (360) 283-7068E-mail: [email protected]; Website: http://www.pakasa.dhamma.org

Dhamma ToranaOntario Vipassana Centre, 6486 Simcoe County Road 56, RR # 1,Egbert, Ontario, Canada L0L 1N0

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296 Arte di Vivere

Tel: [1] (705) 434 9850; Email: [email protected]

Dhamma VaddhanaSouthern California Vipassana Center, P. O. Box 486, Joshua Tree, CA 92252, USA.Tel: [1] (760) 362-4615; Email: [email protected] Website: www.vaddhana.dhamma.org

Dhamma PatapaSouth-east USA

Latin America Dhamma Santi

Centro de Meditação Vipassana, Miguel Pereira, BrazilTel: [55] (24) 2468-1188.Registration & Information: Vipassana BrasilTel: [55](21) 2221-4985; Email: [email protected] Address for correspondence only: R. Almirante Alexandrino, 3051, Santa Teresa, Rio de Janeiro, RJ CEP 20241-262 Website: http://www.santi.dhamma.org

Dhamma MakarandaCentro de Meditación Vipassana, Valle de Bravo, MexicoTel: [52] (722) 2-131367 (Toluca)Registration and information: Vipassana Mexico,

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Chapter Name 297

P. O. Box 202, 62520 Tepoztlan, MorelosTel/Fax: [52] (739) 395-2677; Email: [email protected]: http://www.makaranda.dhamma.org

Dhamma MariyadaNear Merida city, Venezuela, E-mail: [email protected]

Dhamma AcalaLaguna Verde, Chile, Email: [email protected]

Dhamma SukhadaBuenos Aires, Argentina, Email: [email protected]

South Africa Dhamma Pataka

(Rustig) Brandwacht, Worcester, 6850, P. O. Box 1771, Worcester 6849, South AfricaTel: [27] (23) 347 5446; Contact: Ms. Shanti Mather Tel: [27] (21) 761 2608; Fax: [27] (23) 347 5411; E-mail:[email protected], Website:http://www.pataka.dhamma.org

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298 Arte di Vivere

Appendice al libro: L'arte di Vivere, di W. Hart

Da quando, nel 1969, S.N. Goenka ha lasciato la Birmania (oggi Myanmar) per iniziare ad insegnare la meditazione Vipassana in India e, qualche anno dopo, anche nei paesi occidentali, la meditazione Vipassana si è diffusa rapidamente in tutto il mondo.Ora in molti paesi esistono strutture e centri permanenti dove si tengono periodicamente corsi di meditazione (si veda la lista indirizzi).Il primo corso di dieci giorni organizzato in Italia secondo questa tradizione si è svolto nel novembre 1986. Da allora ne vengono organizzati ogni anno. Nel 1991 alcuni meditatori hanno fondato un’associazione senza fini di lucro, l’associazione Vipassana Italia (successivamente riconosciuta Ente Morale dallo stato italiano) che si occupa dell’organizzazione dei corsi e di garantire l’assoluta correttezza nel seguire i principi che regolano l’insegnamento di Vipassana.Questo insegnamento, che non ha alcuna connotazione religiosa, è aperto a tutti, senza distinzione di religione, professione o credo filosofico, in quanto, poiché la sofferenza e le sue cause sono universali, la via per uscirne deve ugualmente essere accessibile a tutti. La realizzazione dei corsi è resa possibile da chi, avendo partecipato ad almeno un corso ed avendone tratto giovamento, sente il desiderio di far conoscere ad altri questa tecnica, offrendo

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Chapter Name 299

una libera donazione per permettere l'organizzazione di altri corsi.L’associazione Vipassana Italia ha l’obiettivo di far conoscere questa tecnica di meditazione universale, accessibile ed accettabile da tutti, indipendentemente da razza, religione o opinione politica. Attraverso lo studio e la pratica della meditazione Vipassana, come insegnata da S.N. Goenka, si propone di favorire l’acquisizione della conoscenza di se stessi, sviluppando un alto standard di moralità, la concentrazione mentale, l’osservazione e la comprensione profonda della propria realtà mentale e fisica.L’Associazione è di interesse generale poiché offre a tutti la possibilità di imparare questa tecnica di meditazione, fornendo così uno strumento pratico che permette di conoscersi e di lavorare su se stessi per condurre una vita più serena e socialmente responsabile.

Tutti i corsi, in tutto il mondo e in Italia, sono liberi da costi di partecipazione per evitare che gli aspetti commerciali interferiscano con la tecnica, e inoltre per dare a tutti, indipendentemente dalla situazione economica, la possibilità di beneficiare di questa arte di auto-conoscenza.I corsi hanno un programma molto intenso e si svolgono, per i primi nove giorni, in completo silenzio. Prima del corso tutti i partecipanti ricevono informazioni sulle regole, la disciplina e l’orario giornaliero, che è stato strutturato per

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300 Arte di Vivere

creare le condizioni migliori per l’apprendimento della tecnica.I corsi di dieci giorni sono la base necessaria per essere in grado di praticare la meditazione quotidianamente e di integrarla nella propria vita. La tecnica è facile da comprendere e non implica alcun rituale; può essere praticata da persone di ogni età e non richiede conoscenze preliminari. Ma, come è ben specificato negli opuscoli che gli interessati ricevono quando chiedono informazioni sui corsi, Vipassana è una tecnica molto seria, che implica impegno e duro lavoro e non ha nulla a che fare con “esperienze o viaggi strani”, con particolari stati di piacere o d’estasi, con stati mentali alterati.Vipassana offre la possibilità di conoscere i condizionamenti e le negatività della propria mente, permettendo, con il tempo, di eliminare le tensioni accumulate, di modificare i comportamenti e gli schemi di vita che procurano sofferenza.Per questo è necessario che i partecipanti godano di salute mentale e fisica stabile e abbiano la ferma volontà di osservare le regole e la disciplina per intraprendere seriamente l’esperienza. Nonostante l'impegno rigoroso richiesto dal programma del corso e dall'assidua osservazione del proprio corpo e della propria mente, la maggior parte dei partecipanti scopre che questi ritiri permettono di recuperare nuova energia per affrontare la vita quotidiana.

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Chapter Name 301

Recentemente questa tecnica è stata introdotta con successo anche in settori sociali ed educativi, come, ad esempio, scuole, carceri, centri di riabilitazione per alcolisti o tossicodipendenti.

Centro Vipassana Dhamma AtalaVia Prov.le 12, Lutirano – 50034 Marradi (FI)Tel. [39] 055 804818 Fax: [39] 049 8591249E-mail: [email protected] web: http://www.atala.dhamma.org