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GITA “B&D FIAB TORINO” DEL 7 MAGGIO 2017

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GITA “B&D FIAB TORINO” DEL 7 MAGGIO 2017

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SPUNTI D’INTERESSE LUNGO IL PERCORSOCAVALLERMAGGIOREil nomePotrebbe essere realisticamente derivato dalla presenza di allevamenti di cavalli da tiro. I latini, infatti, chiamavano equus il cavallo elegante da carrozza e caballus quello da carretta. Caballarium era il luogo dove i cavalli venivano allevati.la storiaSi possono ricavare notizie sulla cittadina risalenti all'epoca romana (II sec. a.C.), confermate, peraltro dal ritrovamento nel 1928 di una tomba romana in regione Trebbietta (I sec. d.C.). Alla fine del X secolo il territorio di Cavallermaggiore venne assegnato dai Marchesi di Torino alle abbazie di Novalesa e di Caramagna. In un documento datato 1028 si parla di Cavallarium Witberti, dal nome della famiglia dominatrice, che faceva capo a Witberto, un antenato di Arduino il Glabro, Marchese di Susa. È in una bolla di Papa Lucio III (1185) che troviamo il nome di Cavallarius Maius che sarà nettamente distinto da Cavallerleone nel 1191. Una bolla di Papa Celestino III, infatti, parla di Cavallario Maiore e Cavallario Leone. Cavallermaggiore è territorio di conquista per le mire di diversi signori. Nel XII secolo passa a Bonifacio del Vasto, ai Marchesi di Busca, poi ai Signori di Rossana e, infine, al Marchesato di Saluzzo. Nel 1314 si insediano gli Acaja. Durante il XIV secolo venne redatto lo Statuto della cittadina, di cui ancora oggi è conservata una copia in pergamena datata 1392. Dal XV secolo. e precisamente dal 1418, il territorio passò ai Savoia e la storia di Cavallermaggiore venne legata alle vicende della casata.In epoca recente, nel 1863, il Re Vittorio Emanuele II diede a Cavallermaggiore il titolo di città.

dai Romani ai SavoiaLa storia di Cavallarmaggiore è ammantata di leggende. Si narra che la contrada che sorge a est del Maira e a nord del Mellea fosse già abitata nei primi tempi della Chiesa. Si chiamava allora Villa Longa perché si estendeva più in lunghezza che in larghezza. Il borgo comprendeva quelli che oggi sono Cavallermaggiore e Cavallerleone; il territorio, secondo la tradizione, venne diviso in due feudi affidati a altrettanti cavalieri. Il maggiore diede il nome di Cavallermaggiore alle sue terre, il fratello Leone, chiamò Cavallerleone i suoi possedimenti. Si possono ricavare notizie sulla cittadina risalenti all’epoca romana (II sec. a.C.), confermate dal ritrovamento nel 1928 di una tomba romana in regione Trebbietta (I sec. d.C.). Alla fine del X secolo il territorio venne assegnato dai Marchesi di Torino alle abbazie di Novalesa e di Caramagna. In un documento datato 1028 si parla di Cavallarium Witberti, dal nome della famiglia dominatrice, che faceva capo a Witberto, un antenato di Arduino il Glabro, Marchese di Susa. È in una bolla di Papa Lucio III (1185) che troviamo il nome di Cavallarius Maius che sarà nettamente distinto da Cavallerleone nel 1191. Una bolla di Papa Celestino III, infatti, parla di Cavallario Maiore e Cavallario Leone. Cavallermaggiore è territorio di conquista per le mire di diversi signori. Nel XII secolo passa a Bonifacio del Vasto, ai Marchesi di Busca, poi ai Signori di Rossana e, infine, al Marchesato di Saluzzo. Nel 1314 si insediano gli Acaja. Durante il XIV secolo venne redatto lo Statuto della cittadina, di cui an cora oggi è conservata una copia in pergamena datata 1392. Dal XV secolo e precisamente dal 1418, il territorio passò ai Savoia e la storia di Cavallermaggiore venne legata alle vicende della casata. In epoca recente, nel 1863, il Re Vittorio Emanuele II diede a Cavallermaggiore il titolo di città.  Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale Cavallermaggiore fu colpita da numerosi bombardamenti.

Ascanio SobreroCavallermaggiore è la città di origine della famiglia di Ascanio Sobrero (1812-1888), uno tra i più illustri scienziati dell’Ottocento che qui trascorse lunghi periodi della sua vita e qui è sepolto. Uomo di ampi interessi nel campo della scienza, della chimica e della tecnologia aprì, con le sue scoperte (tra cui la nitroglicerina) nuovi orizzonti al progresso industriale.

MonumentiLa chiesa più antica è San Pietro. Situata all'esterno della cinta muraria medievale la struttura, in stile romanico, consta di tre navate che terminano in absidi. Pare che l'edificio nell'anno 969 fosse stato donato da Arduino il Glabro al monastero benedettino della Novalesa. Nelle mura della chiesa si trovano frammenti in marmo risalenti ad epoca romana. Sulla facciata si può osservare una data impressa in cifre arabe: 1021. L' iscrizione, dato che le cifre arabe in luogo di quelle romane vennero utilizzate in Italia non prima della metà del XIV secolo, viene datata, sulla base di vari elementi, al '700. Il 1021, considerando le caratteristiche della struttura, si potrebbe, comunque, riferire verosimilmente alla data di costruzione o di riedificazione della chiesa.

San Pietro, in epoca medievale, ebbe il titolo di parrocchia fino a quando, nel XVI secolo venne soppiantata da San Michele. La chiesa dei Santi Michele e Pietro, venne edificata, all'inizio del XVI secolo, sull'antica cappella dei Romagnano, che esisteva già nel 1151. In stile romanico, è composta da tre navate con pilastri ottagonali che reggono volte a crociera; fu ampliata dal priore Menzio dopo il 1887. Al suo interno si possono osservare i dipinti su tela di Giovanni Dolce (Vergine con i Santi Cosma e Damiano) e di Martino Bonfini

(Madonna delle rose). Di Luigi Morgari, pittore di fine secolo XIX, la Via Crucis, la tela della Sacra Famiglia e vari affreschi. La chiesa di Santa Maria della Pieve, ricostruita in luogo di un edificio medievale risalente alla prima metà dell'XI secolo venne solennemente benedetta nel 1903. Notevole il ciclo di affreschi, presente nell'antico campanile, che risale al '300 ed ha come soggetto storie di Santo Stefano. Il Santuario della Madonna delle Grazie, originariamente innalzato dai monaci agostiniani in forme gotiche, venne ricostruito all'inizio dell'800 in stile neoclassico. Vi si può ammirare un dipinto raffigurante la Vergine, oggetto di devozione da parte dei cavallermaggioresi. Da rimarcare la presenza dell'Immacolata di Jean Claret, pittore fiammingo (XVII secolo) e l'affresco di Giovanangelo Dolce raffigurante San Gerolamo e Paolo eremita (1581).Tra le chiese sede di confraternita troviamo San Bernardino (o Santa Croce), sede dei Battuti Bianchi dediti originariamente all'assistenza degli

ammalati. L'edificio, settecentesco, venne commissionato dall'Abare Filippi e progettato da Francesco Gallo; presenta

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una cupola ellittica dipinta dai fratelli Pozzi. Da ricordare lo splendido coro ligneo, risalente al primo '600. All'interno si trovano gruppi statuari del Plura e del Clemente.Anche la chiesa della Misericordia, sede dei Battuti Neri risalente al XVI secolo, conserva numerose opere scultoree barocche del Clemente, del Plura, del Perucca e del Bernero. Significativa è la Deposizione attribuita a Giovanangelo Dolce. La decorazione settecentesca è opera di Giampiero Pozzo. L 'interno di questo edificio è stato restaurato in tempi recenti.

palazzo Garneri

L’architettura civile della metà del ‘500 vede emergere a Cavallermaggiore il Palazzo Garneri, quale testimonianza delle forme rinascimentali con linee semplici ed aggraziate. Si tratta di un disegno armonico e proporzionato caratterizzato da archi a tutto sesto, colonne e capitelli. L’edificio è caratterizzato da un corpo principale a nord (sulla via Turcotto) fiancheggiato da due maniche minori che delimitano il cortile interno. La manica posta a levante è composta da un portico che consente l’accesso al palazzo comunale da via Roma e da un loggiato al primo piano; nella manica di ponente sono riproposte le stesse geometrie, ma le aperture del primo piano sono tamponate (intervento successivo alla costruzione per sfruttare nuovi spazi per la residenza). Il corpo principale presenta un prospetto imponente con la sua slanciata altana a tre ordini sovrapposti di logge, in corrispondenza dello scalone in cui si riscontra l’impiego dell’ordine tuscanico.Sul loggiato del palazzo compare la data 1581: tale indicazione temporale risale all’attuale rifacimento, ma non corrisponde alla data di costruzione, sicuramente anteriore, come risulta all’osservazione delle mura medievali a ovest.Nel centro del cortile trova collocazione un pozzo (1463) proveniente dalla Motta S. Giovanni. Il manufatto è in marmo bianco di Valgrana e presenta una parte superiore di forma ottagonale ed una inferiore cilindrica. Delle otto facce della bocca, cinque sono lavorate ad altorilievo: nella fascia centrale è scolpito lo scudo della famiglia Solaro fra le iniziali gotiche minuscole FR ed IS, nelle fasce contigue si scorgono da una parte una croce pattée (ordine cavalleresco) seguita dal motto "LAUS DEO", dall’altra una freccia spezzata dei Solaro avvolta da un nastro a forma di S. Su una delle due facce più esterne si scorge la data in numeri romani MCCCCLXIII e su quella opposta è rappresentato l’Agnus Dei (Agnello di Dio) con la banderuola crociata, fiancheggiato da due fiori stilizzati.Alle pareti prospettanti il cortile sono incassati cinque blasoni araldici in pietra ed uno in metallo: i due tondi collocati presso il portale d’ingresso riportano lo stemma dei Romagnano, gli altri dei Garneri, degli Olivero, dei Filippi e dei Pallavicino (proveniete dalla torre del Motturone). Altri stemmi di antiche famiglie di Cavallermaggiore e dei monsignori sono collocati sulle pareti dello scalone e nello specifico quelli di mons. Vassarotti, mons. Rossi, mons. Bonada, Donalisio (giglio), Caramelli, Crema, Cambiano, Demonte, Reviglio ed Olivero (torre). Al piano terra, nella sala ex-consigliare (ora sede degli Uffici Demografici) si trova l’ambiente più interessante dell’intero edificio: un’aula dal soffitto in legno a cassettoni con grosse travature lavorate (una delle mensole riporta la data del 1584) ed il monumentale camino in bardiglio di Barge datato 1590. L’imponenza volumetrica, la concezione estetica e l’ottimo stato di conservazione fanno di questo esemplare uno dei più rappresentativi modelli di camini in ambienti signorili del XVI secolo piemontese. Il manufatto si articola su una struttura trilitica di base, a sostegno di una cappa ad orditura lignea stuccata, modellata in altorilievo. La caminiera è posta su quattro piedritti a volute, aventi il compito di reggere una trabeazione di tipo dorico a metope e triglifi. Nelle metope sono scolpite alcune figure con le seguenti successioni: salamandra nel fuoco, corazza di cavaliere (panoplia), arnesi guerreschi (tamburo e trombe), elmo e scudo araldico della famiglia Garneri, le successive quattro ripartizioni sono speculari. All’interno del Palazzo sono custoditi più antichi documenti del Comune: gli statuti su pergamena del 1324, i catastali del 1415 e le convenzioni con il feudatario dal 1314. Al primo piano del Palazzo, nell’atrio d’ingresso agli uffici comunali, è presente la più antica planimetria del territorio comunale redatta dall’agrimensore Demaria il 24 luglio 1700; nella sala "Giunta", invece si conserva la tela di Martino Bonfili di Ascoli, rappresentante la Madonna Assunta fra un coro di Angeli e S. Tommaso inginocchiato alla sinistra di un sarcofago aperto (1596).

BRACASA NATALE DEL SANTO COTTOLENGO

La Famiglia Cottolengo, che ha vissuto a Bra dal 1740 al 1994 rappresenta un ricco tessuto di storia e cultura braidese. San Giuseppe Benedetto Cottolengo, nasce il 3 maggio 1786 da Giuseppe Antonio Cottolengo e Benedetta Chiarotti; la casa natale del Santo è un’edificio che richiama architettonicamente stili appartenenti a secoli diversi ed è stato riportato alla sua originaria bellezza da un recente restauro che ha interpretato fedelmente lo spirito delle diverse epoche e le abitudini della famiglia che in esso ha sempre dimorato: dallo studio del papà del Santo che riflette il suo piglio manageriale, alle stanze dei figli, agli spazi destinati alla vita conviviale, come la sala da pranzo o la sala rustica, gli ambienti di servizio come la cucina, la cantina, la scuderia. La ricchezza di arredi, di oggetti di vita quotidiana minuziosamente e pazientemente riportati al loro decoro, di risvolti privati e di documenti ufficiali, che si possono ammirare lungo l’intero percorso, dà un’eccezionale spaccato della vita di almeno cinque generazioni di un’agiata ed illuminata famiglia borghese.

MUSEO DELLA BICICLETTA

Nei locali della ditta Bra Servizi, è possibile ammirare una collezione vastissima di biciclette generosamente donate da atleti e privati, anche di epoche ormai lontane, come quella del bersagliere del 1900, e quella da corsa del 1935 con il primo cambio Campagnolo a bacchetta posteriore, usata anche da Gino Bartali e Fausto Coppi. Sono esposte anche le maglie delle società ciclistiche, degli ex professionisti della provincia di Cuneo tra cui quella del braidese Matteo Cravero e di alcuni professionisti ancora in attività tra cui Diego Rosa e Francesca Fenocchio. Un posto particolare meritano la maglia rosa e la maglia gialla con cui Marco Pantani ha vinto il Giro d’Italia e il Tour de France 1998, la maglia della Ursus indossata da Gino Bartali e quella della Bianchi indossata dal Campionissimo Fausto Coppi nel dopoguerra, la maglia della Nazionale dei professionisti del 1996 e quella della società di Torino dedicata a Serse Coppi, fratello di Fausto. Sono esposte inoltre le maglie iridate di Giuseppe Saronni, Stefan Roche, Gianni Bugno, Mario Cipollini e Paolo Bettini accompagnate dagli articoli dei giornali e foto del tempo dedicati ai campioni del pedale che le hanno indossate.

LA ZIZZOLA – CASA DEI BRAIDESI

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Sulla sommità del più alto colle braidese, Monteguglielmo, si trova la caratteristica costruzione a pianta ottagonale della Zizzola. Per la sua mole e per la facile individualità da ogni punto della città, è divenuta il simbolo di Bra. L’edificio fu costruito nel 1840 quale “villa delle delizie”; nel 1962 è stato donato al Comune di Bra. A più di 150 anni dalla sua costruzione come residenza privata, è oggi possibile varcarne la soglia e scoprirne gli interni, nello scenografico allestimento museale multimediale della “Casa dei braidesi”. Qui, in un ambiente che reinterpreta il clima domestico, valore latente di questa antica dimora di loisir, i visitatori scopriranno stanze tematiche in cui l’astrazione dei complementi d’arredo, archetipo della vita quotidiana, raccoglie la stratificazione della memoria dei suoi abitanti. La narrazione è accompagnata delle parole e dalle immagini che scorrono nelle numerose installazioni audio visuali: dai mini-documentari alle intime postazioni, in cui scorrono le interviste dei testimoni della vita braidese.La “Casa dei braidesi” è un progetto del Comune di Bra, realizzato con il contributo della Regione Piemonte, della Fondazione Cassa di Risparmio di Bra e del Ministero dei Beni Culturali.

santuariomadonnadeifiori

La Storia  Apparizione della Madonna ad Egidia Mathis, avvenuta il 29 dicembre 1336L' origine del Santuario è legata all'apparizione della Vergine Maria. Il 29 dicembre 1336 una giovane sposa incinta, Egidia Mathis, insidiata da due soldati di ventura, si rifugia presso un pilone, su cui è dipinta la Vergine, che le appare.

Con un bagliore allontana i malintenzionati e conforta Egidia, che nel frattempo ha dato alla luce prematuramente il suo bimbo per lo spavento e l'emozione.La donna corre a casa e racconta l'accaduto. I brai- desi, impressionati dal racconto accorrono sul luogo del fatto e notano che i cespugli di pruno selvatico attorno al pilone sono fioriti: candide corolle su rami scheletriti per il gelo.Da allora ogni anno la fioritura si ripete, salvo rare e significative eccezioni (ad esempio nel 1914 e 1939 inizio della prima e seconda guerra mondiale).Di qui il titolo "Madonna dei Fiori". Sul luogo, al posto del pilone, fu edificata dapprima una chiesetta campestre. Divenuta insufficiente per i pellegrini, nel 1626 fu eretto l'attuale Santuario antico.

Ma poiché la devozione alla Vergine dei Fiori cresceva ancora, si rese necessaria la costruzione di un ulteriore santuario, la cui prima pietra fu posta nel 1933 e l'altare fu consacrato nel 1978.

SALZAIL CASTELLO DELLA SALZA (SECOLO XIII)

L'erezione del castello della Salza risale alla seconda metà del Duecento per l'iniziativa della nobile famiglia Saviglianese dei Gorena.All'inizio del XIV secolo il maniero passò ai Cambiani e verso la metà del Cinquecento alla nobile famiglia dei Cravetta di Villanovetta, che ebbe in Ajmone, celebre giurista, l'esponente più illustre e noto. Alla fine di quest'ultimo secolo il castello fu

sottoposto a radicali lavori di ristrutturazione e di ampliamento.Nel 1630 i Cravetta ospitarono il cardinale Maurizio, figlio di Carlo Emanuele I, il re morto di peste a Savigliano.Il castello nel 1799 rimase danneggiato dalle artiglierie francesi, durante le guerre napoleoniche. Con la scomparsa all'inizio del Novecento della famiglia Cravetta, il complesso passò ai marchesi Cuttica di Cassine e, successivamente, ai baroni Guidobono Cavalchini Garofoli.L'originaria struttura medioevale in mattoni del lato di ponente, ben si inserisce con le graziose e raffinate linee del loggiato costruito nel Cinquecento che orna la facciata rivolta a levante. Al piano terra si ammira uno spazioso ed elegante porticato a quattro arcate su cui si apre una bella porta barocca; al primo ed al secondo piano vi sono due gallerie sovrapposte con arcate accoppiate in modo che ogni coppia di esse insiste su una delle arcate del piano terreno.LA CAPPELLA DELLA MADONNA DEL CARMINE E DI SAN BIAGIO IN LOCALITÀ SALZA (SECOLO XVIII)La cappella fu fatta costruire nel 1757 dal feudatario dell'epoca Ajmone Filiberto Cravetta, forse su progetto del celebre architetto Bernardo Vittone, adiacente ad un torrione che anticamente faceva parte del castello della Salza.Senza dubbio si tratta dell'edificio religioso più bello e architettonicamente valido della campagna di Marene.L'interno è decorato da alcune pregevoli tele che ornano l'altare maggiore e le pareti laterali. La facciata è in cotto, a due ordini di lesene, il primo dei quali presenta capitelli dorici, con la finestra centrale che interrompe la cornice mossa e aggettante perché segue le lesene poste ad angolo retto.Suggestiva la posizione in bella vista a lato del castello della Salza, in cima ad una stradina in acciottolato.Nel Medioevo il piano terra del torrione era adibito a cappella del feudatario, ed i piani superiori ad alloggio per il cappellano.

MARENEIl paese di Marene si formò al tempo della dominazione longobarda (568-773), quasi di sicuro sui resti di uno dei tanti "pagi" di origine romana disseminati nel paludoso pianalto saviglianese. Dimostra ciò il frammento di una lapide custodita nel cimitero del paese, databile fra il VII ed il VIII secolo, e riconducibile alla celebre lastra del Gudiris di Savigliano. Quasi impossibile ai nostri giorni individuare il monumento di appartenenza: gli studiosi di fine Ottocento ritenevano che facesse parte di una stele commemorativa o votiva, oppure della pala di un altare della chiesa del luogo; indagini più recenti tendono invece a dimostrare che il reperto costituiva la parte centrale di una

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lastra tombale di maggior grandezza, il che proverebbe l'esistenza in quel luogo di un cimitero con vicino una chiesa, come si usava nei tempi antichi.Delle scorrerie dei Saraceni e degli Ungari che ebbero luogo nel X secolo si ha un vivo ricordo non solo per le distruzioni, ma anche per alcuni vocaboli entrati nell'uso quotidiano. A quest'ultima popolazione, oriunda della Pannonia, si deve forse l'origine del toponimo di Marene che, secondo il parere di taluni ricercatori, deriva dalla parola slava "maräne" formatasi attraverso una variazione dello slavo antico "marje", cioè palude, acquitrino.Le prime notizie certe su Marene, comunque, risalgono all'atto di fondazione del monastero di San Pietro di Savigliano redatto il 12 febbraio 1028 dai coniugi Abellonio e Amaltruda dei signori di Sarmatorio. Il documento è di straordinaria importanza per lo studio della storia locale in quanto, oltre a elencare le proprietà immobiliari dei casati Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, riferisce di molti paesi del Cuneese, fra cui "Marenis" con la chiesa di Santa Maria; circa la metà dei centri abitati menzionati sono oggi scomparsi.Sull'antico castello abbiamo rinvenuto interessanti riferimenti in uno scritto del 23 maggio 1078 con il quale la contessa Adelaide conferma ad Alberto di Sarmatorio il dominio sul paese e sulle cappelle del luogo; successivamente esso è menzionato negli atti del 7 ottobre 1128, del 29 maggio 1191 e del 10 giugno 1202 concernenti l'esercizio dei diritti signorili su alcune località del Saviglianese. Il maniero cadde in rovina nel XIV secolo, forse perché abbandonato dai feudatari che non risiedevano stabilmente in Marene. Dell'originaria struttura è pervenuta solo la torre che successivi lavori di ristrutturazione hanno prima trasformato in torretta di osservazione e poi in torre comunale, mediante l'installazione delle campane nel 1444 e dell'orologio nel XVIII secolo.Il primo nucleo abitato del paese si formò verso il Mille nei pressi della chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria della Pieve; di esso è rimasto il ricordo nel gruppo di case ancora denominato "chiesa vecchia" nel catasto del Settecento. Un altro nucleo si sviluppò attorno alle mura del castello e prese consistenza a partire dal XIII secolo, periodo in cui le popolazioni dei piccoli borghi, quali il nostro, sentivano la necessità di porsi sotto la protezione di una grande città o di un potente feudatario per difendersi dai soprusi dei numerosi avventurieri e dalle scorrerie di eserciti invasori o di passaggio. Fu così che nel 1225 Marene passò a far parte del comune di SaviglianoNel Medioevo esercitarono diritti signorili su una parte consistente del territorio di Marene i vescovi di Torino, i quali accordarono le investiture feudali il 27 giugno 1271 a Urico de Drua, il 9 ottobre 1309 a Vieto e Tommaso Piloso signori di Santa Vittoria, il 3 novembre 1377 a Giacomo Piloso, il 15 febbraio 1420 a Ludovico de Gorena, l'8 giugno 1439 ed il 20 aprile 1469 ad altro Giacomo Piloso, il 17 giugno 1521 a Ludovico e Giorgio di Romagnano consignori di Santa Vittoria, il 7 luglio 1583 a Francesco e Ludovico Romagnano conte di Pollenzo e di Santa Vittoria, ed il 25 marzo 1648 a Francesco Romagnano conte di Pollenzo.Sulle "restanti terre de Marene" primeggiarono i signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone e, dalla seconda metà del XIII secolo, i Gorena, i conti Cambiani (entrambe le famiglie dimorarono nel castello della Salsa), i conti Galateri (residenti nel palazzo di Bergamino), i conti Truchi (proprietari del castello in località Costa Trucchi), Ludovico Fiora ed i suoi eredi, i conti Cravetta di Villanovetta (dalla metà del XVI secolo proprietari del castello della Salsa), i conti Ruffini di Diano (residenti nel palazzotto sito in località Sant'Anna, a sud dell'abitato di Marene), Nicolao Ferreri, Giovanni Battista e Michele Muratori, Stefano Daniele, Michele Tortone, quest'ultimo capostipite dei Marenis di Savigliano.Gli abitanti di Marene rimasero gravemente danneggiati nel 1360 dal saccheggio del centro abitato da parte delle truppe del conte Amedeo VI, nel 1522-25 dal passaggio dell'esercito dell'imperatore Carlo V in guerra con Francesco I re di Francia, nel 1629 dalla virulenta forma di peste che causò la morte di oltre la metà della popolazione, nel 1630 dall'occupazione e dalle razzie dei soldati del cardinale Richelieu.Un'altra grave crisi economica e politica colpì il paese dal 1690 al 1696. Alle devastazioni causate dall'invasione delle truppe del generale francese Catinat, si sovrapposero le forti contribuzioni imposte dalla città di Savigliano, e la confusione originata dal tradimento dei conti Giacomo e Stefano Truchi di Marene, fomentatori della rivolta per affrancare il Piemonte meridionale dai Savoia.Onde far fronte alle ingenti spese dell'erario per riorganizzare l'esercito ed erigere baluardi difensivi, il duca Vittorio Amedeo II, con editto del 14 giugno 1693, invitò tutti i paesi ed i borghi di una certa importanza a erigersi in comuni autonomi, previo il pagamento di un'adeguata tassa. La comunità di Marene approfittò dell'opportunità e, nonostante gli enormi ostacoli frapposti dalla Città di Savigliano, riuscì a ottenere la dichiarazione di "comunità separata" con editto a capi e risposte vergato il 17 ed il 22 febbraio 1696 che previde, per la completa attuazione della disposizione, il versamento di un censo di 153.000 lire. Per far fronte a questi impegni i "capi di casa" di Marene alienarono l'investitura feudale ed il titolo comitale a Giacomo Bergera barone di Cly, residente da circa un anno nel bel palazzo di Bergamino. Al conte Giacomo Bergera nel 1726 successe il nipote Giacomo Francesco Antonio che il 17 settembre 1762 alienò il feudo di Marene con i diritti inerenti al Regio Patrimonio.Nel Settecento furono realizzate in Marene alcune opere pubbliche di grande utilità, fra cui spiccavano per importanza la costruzione della strada reale e l'ampliamento della strada per Savigliano. Con il conseguente aumento dei commerci si concretizzò lo sviluppo edilizio, già iniziato nel Seicento, che in pochi decenni assegnò al centro abitato l'attuale struttura. Abbattuta nel 1732, perché pericolante, la vecchia chiesa parrocchiale, il vicario don Vittorio Amedeo Balegno avviò i lavori per erigerne una nuova, dedicata alla Natività di Maria Vergine. I lavori, eseguiti su progetto dell'architetto Francesco Gallo, si conclusero nel 1741; l'edificio sacro venne aperto al culto il 10 settembre dello stesso anno.Risalgono al 1741 il conferimento dell'arma gentilizia alla comunità di Marene, e l'acquisto da parte del comune della casa posta d'angolo fra la piazza della parrocchia e via Maestra da adibire a sede del municipio.Verso la fine del Settecento furono costruiti i palazzi Galvagno e Gallina che ancora oggi decorano e abbelliscono con la loro eleganza architettonica l'antica via Maestra, l'odierna via Stefano Gallina. Si tratta di due edifici abitati nel secolo successivo, rispettivamente, da una ricca famiglia borghese del luogo, e dal conte Stefano Gallina, ministro delle finanze di Carlo Alberto.Nell'autunno del 1799 le località di San Bernardo e di Bergamino furono interessate da una cruenta battaglia fra gli eserciti austro-russi e francesi, che costò la vita a oltre mille soldati. Durante la dominazione napoleonica la parrocchia di Marene passò a far parte della diocesi di Saluzzo. Ma il provvedimento che scosse maggiormente la coscienza della popolazione locale riguardò la confisca e la vendita forzosa di ben 163.80 giornate di terreni espropriate agli enti religiosi soppressi.Dal conte Bergera i diritti signorili su Marene passarono, unitamente alle proprietà feudali relative, al principe Carlo Luigi di Savoia-Carignano, i cui eredi conservarono quasi intatto il patrimonio fino al tempo di Carlo Alberto. Questi, con atto camerale del 21 aprile 1837, volturò le 467.26 giornate di terreno che possedeva in località Bergamino, Bergaminotto, Bosco ed i mulini Canaposo, Fogliarini e Mallone all'Economato generale regio apostolico dei benefici vacanti; detti immobili nel 1927 vennero assegnati al Fondo per il culto.Casa Savoia ai nostri giorni si fregia ancora del titolo di marchese di Marene.Nel corso dell'Ottocento e del secolo successivo furono eseguite alcune opere di grande importanza quali la costruzione di piazza Carignano (1830), della casa canonica (1840), del castello neogotico (1850-54), dell'edificio scolastico (1934). Di rilevante interesse pubblico furono pure l'acquisto da parte del comune di Marene di palazzo Gallina con rogito del 24 febbraio 1920, e la realizzazione della nuova strada reale fra il 1966 ed il 1978. Determinante per lo sviluppo edilizio degli ultimi decenni si dimostrò la posa dell'impianto fognario e degli acquedotti urbano e rurale. Nella seduta del 6 luglio 1988 il consiglio comunale deliberò l'acquisto di palazzo Galvagno per destinare i 946 metri quadrati di superficie

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abitativa a sede dei più importanti servizi pubblici, quali la biblioteca comunale, il centro incontri, la sala riunioni ed il museo civico.

TORRE CIVIVA E CHIESA CONFRATERNITA DI SAN GIOVANNI DECOLLATO O DELLA MISERICORDIA, DETTA DEI "BATTUTI NERI" (SECOLO XVII)(Foto di Daniele Bergesio)

La torre è la più vecchia costruzione di Marene pervenuta ben conservata ai nostri giorni. Non è stato possibile datarla con certezza, anche se da uno scritto dell'Ottocento risulta che su un mattone infisso al primo piano era incisa la data del 1006. La torre, forse, faceva parte del castello e per secoli fu utilizzata dalla città di Savigliano come posto di avvistamento per segnalare l'avvicinarsi dei nemici. In epoca più recente venne adibita a funzioni di torre civica, munita di campane e di orologio.Realizzata in mattoni, deve il suo fascino alle origini antiche, che ne fanno il simbolo della

comunità e della storia marenese.Anche se la costituzione della confraternita di San Giovanni Decollato avvenne nel 1580, i lavori per l'erezione della chiesa ebbero inizio solo nel 1640, e si protrassero per alcuni decenni a causa di difficoltà di carattere finanziario.Al 1702 ed al 1744 risalgono le costruzioni rispettivamente del porticato e del campanile; nel contempo fu realizzato l'affresco posto nel riquadro sopra la porta d'ingresso raffigurante la Madonna con Gesù Bambino.L'interno della chiesa colpisce per l'ampiezza dell'ambiente e per la sobrietà delle linee architettoniche. I due altari laterali sono ornati da altrettante tele che rappresentano San Giovanni Nepomuceno e l'agonia di San Giuseppe assistito da Gesù e da Maria. Di un certo interesse è un dipinto di Giovanni Claret, ai nostri giorni esposto nella chiesa parrocchiale, raffigurante San Giovanni Battista Decollato e datato 1675.CHIESA CONFRATERNITA DELLA SANTA CROCE, DETTA DEI "BATTUTI BIANCHI" (SECOLO XV)Recentemente ristrutturata, la Chiesa dei Battuti Bianchi, sita in Via Don Rolle è diventata succursale della chiesa parrocchiale, così come negli anni tra il 1732 ed il 1741, quando non era ancora in funzione la nuova parrocchiale.Grazie alle sue ridotte dimensioni, che la rendono facilmente riscaldabile, è adibita a chiesa feriale nei periodi invernali.I membri della confraternita, già attivi fin dal XIII secolo, la vollero far erigere nel centro del borgo per avere un loro luogo di preghiera.Disposta su tre navate, la chiesa era inizialmente tutta affrescata. Con il passare degli anni, mentre da una parte andava trasformandosi secondo gli stili del tempo e assumeva sempre più connotazioni barocche, dall'altra si arricchiva di statue lignee, come quella del Cristo Risorto, di quadri pregiati e di altri reperti: alcuni offerti dalle famiglie più facoltose del paese, altri provenienti dall'antica parrocchia del cimitero demolita nel 1732. Da notare dietro l'altare il pregevole quadro della Crocifissione, datato 1956, opera del Claret, pittore fiammingo.Il restauro, datato 2009, ha portato l'edificio storico ha un completo recupero e risanamento interno ed esterno: il pavimento, il portale d'ingresso, le decorazioni dell'interno e dell'esterno, del campanile sono stati interamente rifatti donando alla Chiesa dei Battuti Bianchi un aspetto decisamente più apprezzabile.

IL CASTELLO NEOGOTICO (SECOLO XIX)(Foto di Daniele Bergesio)Il castello venne eretto fra il 1850 ed il 1854 dal conte Carlo Amedeo Grosso su progetto dell'architetto Luigi Formento, il celebre autore del tempio valdese e della chiesa di San Secondo di Torino.

Esso nel 1904 pervenne al conte Vittorio Solaro di Monasterolo che nel 1920 lo alienò a Giuseppe Davico, proprietario di un'importante catena di alberghi di lusso in Italia ed in Francia. Ai nostri giorni appartiene ad alcune famiglie del luogo. Lo stile neogotico dell'edificio presenta caratteri architettonici ibridi, in quanto miscela elementi medioevali e gotici.Riteniamo che il complesso debba essere valorizzato in quanto costituisce una precisa testimonianza del modo di vivere e della cultura dell'Ottocento.Un tempo era circondato da un grande parco che includeva, a nord, un vasto bosco e, sulla facciata, uno splendido giardino all'italiana ed un ampio viale d'accesso. Il castello si trova in ottima posizione, a ridosso del centro storico e dei principali

monumenti cittadini.

Page 7: Web viewPotrebbe essere realisticamente derivato dalla presenza di allevamenti di cavalli da tiro. I latini, infatti, chiamavano equus il cavallo elegante da carrozza e