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bridge4will.net Le configurazioni analogiche Percorso esoterico per il superamento degli scogli evolutivi dell’umanità (quarta tappa) 1

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Le configurazioni analogichePercorso esoterico per il superamento degli scogli evolutivi dell’umanità (quarta tappa)

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INDICE:

0. Indispensabile premessa 1. La configurazione analogica (d’ora in poi anche: “la CA”). Il salto paradigmatico 2. Gli assoluti 3. Il percorso di autocoscienza (d’ora in poi: “il pda”) 4. Gli stati di autocoscienza (d’ora in poi: “gli sa”) 5. Lo schema configurazionale (d’ora in poi, anche: “lo schema”) del percorso di autocoscienza. Lo

schema analogico dell’elemento analogico.6. Schemi specifici di stati di autocoscienza (esclusa la fùsis ) 7. L’onda formaturale (d’ora in poi: “on.for”) e l’energia di attivazione (d’ora in poi: “en.att”) 8. La gobba percettiva (d’ora in poi, anche: “gp” o “elemento gp”) 9. Schema specifico della fùsis 10. Le fùseis di aggiornamento, le fùseis di raccordo e le fùseis escatologiche (d’ora in poi, anche: “zip-

fùseis , racc- fùseis e esc- fùseis ” o “z.r.f.”), nonché la ifsc γ : la telepatia diffusa (td) 11. Il percorso di autocoscienza di controllo (d’ora in poi anche: “pdac”). 12. L’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica (d’ora in poi, anche: “ASg di ASg) 13. L’autopoiesi 14. Lo sfrangiamento del pda 1 (a partire dalle conoscenze sul suo schema analogico-configurazionale)

[questo capitolo è lo snodo centrale dell’intera opera e contiene, nel corpo del testo o in nota, gli schemi analogico-configurazionali di: fsc, afc, ifscα, ifscβ, ifscγ, ufc, cs, sc, gp, trasduzione, trasmutazione]

15. Il percorso di autocoscienza di disturbo (d’ora in poi anche: “pda-dist”) 16. Il “passato” e il “futuro” prima della trasmutazione del linguaggio. Le tecniche di ESP. 17. Le dottrine del cd. aldilà e della cd. reincarnazione 18. Linee operative per una rivoluzione antropologica fondamentale (RAF) in chiave relazionale. 19. Lo schema analogico-configurazionale delle altre specie viventi dotate di auto-coscienza 20. I livelli configurazionali. Il quinto livello confinato (d’ora in poi: “il 5lc”) 21. I criteri strategici (d’ora in poi: “i CS”) e la loro cristallizzazione 22. La materia 23. Il vivente 24. La formazione della coscienza 25. Libero arbitrio o libero accordo? 26. Anima, coscienza e psiche: un chiarimento terminologico 27. Metodi per il raggiungimento di configurazioni remote di arrivo (d’ora in poi:”CRA”) 28. Schemi configurazionali dell’analogia singolare (d’ora in poi: “AS”) e dell’AS creazionale 29. Confronto tra la teoria analogico-configurazionale e altre teorie epistemologiche 30. Confronto tra la teoria analogico-configurazionale e la teoria della complessità 31. Confronto tra la teoria analogico-configurazionale (tca) e la Nuova Medicina Germanica del Dr.

Hamer32. Il veto conoscitivo dell’essere supremo: cioè la coerenza “umana” dell’io individuale. 33. La teoria delle configurazioni analogiche (tca) applicata: parte descrittiva 34. La teoria delle configurazioni analogiche (tca) applicata: parte funzionale 35. La teoria delle configurazioni analogiche (tca) applicata: parte verificativa 36. Sulla rivelazione dell’essere 37. La configurazione creazionale di configurazione creazionale (d’ora in poi: “CAcr-CAcr”) che scelgo. 38. Le entità superiori si collocano “dall’altra parte del velo”? 39. Storia di un “moncone di passaggio” 40. aaa

1 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.2

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0. Indispensabile premessa

Sono sempre stato colpito dalla pagina in cui Kant scherniva i saggisti, dicendo che alcuni sarebbero stati più comprensibili se avessero scritto di meno, altri se avessero scritto di più. Giunto alla redazione di pagina 54 di questo contributo, mi trovo nella necessità di scrivere una premessa, poiché mi sono reso conto che non riesco a scrivere spiegazioni abbastanza esaurienti (appartengo, infatti, alla categoria di quelli che avrebbero dovuto scrivere di più). Ma vorrei rassicurare il lettore (e in primis me stesso) che non ne ho alcuna colpa. I saggi che mi trovo a redigere, infatti, sono frutto di una rivelazione assai ingarbugliata, per la circolarità delle idee espresse. Per spiegare cosa sia un percorso di autocoscienza, ad esempio, mi trovo a dover adoperare l’idea di elemento analogico: ma per spiegare quest’ultima, sono costretto a dare per scontato cosa sia il percorso di autocoscienza, il percorso di autocoscienza di controllo, gli assoluti originari, lo schema configurazionale, ecc… Nessuna di tali idee può essere compresa senza le altre, ma un essere umano non può comprenderle tutte in contemporanea. Il contesto che giustifica una simile circolarità è che sto introducendo una teoria esoterica, che peraltro si fonda sulle analogie singolari (= analogie ineffabili). Da un lato, l’approccio esoterico si è sempre mosso in un ambito circolare e, quindi, in parte autoreferenziale. Dall’altro lato, per attivare l’ineffabilità delle analogie singolari (indispensabili perché il lettore possa davvero comprendere ciò che espongo), c’è bisogno di girare intorno agli argomenti, finché non si attivi la comprensione di paradigmi sempre nuovi. L’autoreferenzialità di un sistema interpretativo è peraltro in buona parte inevitabile e, inoltre, non deve affatto spaventare, in quanto non è sinonimo d’isolamento. I pochi canali che rimangono con i sistemi esterni, infatti, si caricano di una tale significatività (quando il sistema è molto autoreferenziale) da risultare potentissimi.

Onde ottenere un minimo d’indulgenza (a mio avviso non fuori luogo, ma opportuna), propongo al lettore di considerare che prima di mettermi a redigere questi saggi, ho scritto ottocento pagine piene di acronimi (il film The Shining non regge il confronto). In tali pagine è nascosta una rivelazione che può aiutare concretamente l’umanità a superare i suoi scogli evolutivi, per essere felice e conservarsi prospera, aiutando qualunque altra civiltà o entità con cui entri in contatto. Tale rivelazione non si è per niente fermata, ma ho sentito che fosse giunto il momento di rendere comprensibili quelle pagine. Il lavoro mi richiederà forse decenni (contando che posso fare saggistica solo la notte). Di più, oggettivamente, non mi sento di poter fare, per rendere comprensibile questa rivelazione. Sono disponibile a rispondere a qualunque commento inserito sul sito www.bridge4will.net (tramite la funzione dei commenti, potete fare domande o proporre modifiche ed integrazioni ai miei saggi, che non considero di mia proprietà). Buona fortuna per la lettura! Se vi sforzerete di capire queste pagine, non rimarrete gli stessi.

Un suggerimento per la comprensione del testo può comunque tornarvi utilissimo. Ogni volta che trovate un acronimo o una parola che sembra non aver un significato nel dizionario, vi prego di consultare in primo luogo l’indice. Buona parte di tali espressioni, infatti, ha il proprio capitolo dedicato. Ho appositamente ampliato i titoli dei capitoli, per permettere un’agevole individuazione di ogni loro sotto-tema (e non solo del tema principale). Inoltre, se non vi fosse un capitolo dedicato all’argomento, troverete un buon apparato di note e link interni, che offre i riferimenti mancanti. Un’ultima avvertenza: se trovate un acronimo o un neologismo spiegato in nota, al principio di un capoverso, nel seguito del capoverso non lo troverete più spiegato. Sarà quindi vostra cura, se lo gradirete, cercare la nota esplicativa o il link a ritroso fino all’inizio del capoverso. Non esitate a cliccare sui link, poiché se questi rimandano ad oltre una pagina di distanza, ho sempre inserito (al termine dell’intera spiegazione cui si rinvia) un ulteriore link “torna indietro”, per riportare al capitolo o alla nota di provenienza. Qualora avessi omesso qualche nota o link, in qualche capoverso, chiedo la vostra indulgenza, ma vi assicuro che nessun link è “senza ritorno”, ma corrisponde sempre ad uno specifico link “torna indietro”, anche quando più link di partenza rimandano allo stesso argomento. All’interno di una singola nota effettuo link ad altre parti del testo o alla stessa nota, ma non ripeto mai lo stesso link per due volte, per non rendere troppo complessi i riferimenti interni. Vi prego quindi di effettuare ricerche a ritroso per reperire ogni link utile, al fine di rendere comprensibile un testo che altrimenti sarebbe (mi rendo conto) troppo autoreferenziale.

Quest’opera non può essere letta tutta d’un fiato, né in un solo lasso di tempo predeterminato. Ognuno può avere i propri tempi, per motivarsi alla sua lettura e, ancor più, per penetrarne davvero il senso. Un essere umano di oggi non ha ancora la capacità di comprendere strutture così complesse in un arco limitato

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di tempo (ad es., un mese): ciò non è ancora consentito dall’evoluzione. Mi sono trovato a leggere una volta lo Zohar in lingua originale (aramaico antico): vi assicuro che se ne ho letta solo una pagina e mezzo (nell’arco di un mese) non è stato per la difficoltà di traduzione dall’aramaico alle lingue moderne, ma per la complessità dello stesso Zohar, che ogni venti parole introduceva almeno un neologismo e che aveva registri linguistici quasi impossibili da ricondurre a coerenza, se non con un’analogia singolare (= ineffabile) ogni poche parole. Ho deciso di non continuare la lettura non perché non mi appassionasse, ma perché ero perfettamente consapevole che non avrei potuto terminarla che (ad essere generosi) in un arco di venti anni. Il saggio Le configurazioni analogiche dà molte meno difficoltà di comprensione, non solo perché scritto in una lingua moderna, ma perché pieno di note e link, che permettono di dare una gerarchia di comprensione al testo. Tuttavia i rimandi interni sono così frequenti e richiedono così puntualmente il ricorso ad analogie singolari, che l’autentica comprensione del testo richiede anni del vostro tempo. Non è certo detto che qualcuno vorrà imbarcarsi in una missione così ardua e pericolosa, se si guarda solo all’impegno che pretende e alla trasformazione interiore che richiede. Ma se qualcuno ha accettato e assunto il compito di metterla per iscritto, un motivo c’è.

Nelle prime letture di questo testo si può dare meno importanza alle note e alle NdA (note dell’autore), ma via via che si cerca di penetrare davvero il suo significato, occorre dare ad esse la più attenta lettura (molto più attenta di quella che andrebbe offerta al corpo del testo). S’immagini che tali note e NdA altro non siano che le sfumature ineffabili, date a secco dal pittore, dopo la stesura definitiva del proprio affresco. Senza di esse viene a mancare l’interpretazione più profonda e autentica dell’opera stessa.

Infine, le parti evidenziate in verde sono riferimenti interni al testo, che non ho linkato per motivi di tempo e di semplicità. Non intendendo linkarle in futuro, ho preferito lasciare una traccia per le successive (e potenzialmente frequenti) revisioni. Il lettore non le consideri, ma solo un eventuale revisore del testo. Ogni indicazione sulla revisione e coautorialità di questo testo si trova nella pagina “Proposta” del sito indicato in epigrafe della copertina di questo saggio.

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1. La configurazione analogica (d’ora in poi anche: “la CA”). Il salto paradigmatico

Vi sarà capitato di entrare in contatto con settori più magmatici della realtà, in cui si dubita anche di ciò che si vede. Che fosse un effetto ottico, una reazione psicosomatica, lo strano contegno di una micro-particella, un episodio di telepatia con il migliore amico o il gemello o una dote inspiegabile di presentire e reinterpretare in modo decisivo un certe cose, vi sarete anche detti che si trattava di un fenomeno estremamente limitato e trascurabile nella vostra esistenza. La scienza (anche quella ufficiale) non la pensa così: essa ha sempre cercato di capire se l’uomo non sia intessuto di un qualche magma che, per qualche strana ragione, si sia rappreso, permettendoci di acquisire quella certezza (del tutto infondata, ma su cui fondiamo le nostre vite) sull’oggettività del reale. Non è sbagliato costruire la propria vita su un’idea di realtà oggettiva, ma può essere estremamente riduttivo, se non accompagnato dalla ricerca di qualcosa di più esaltante che è effettivamente alla portata di tutti.

Avete mai avuto l’impressione che le cose vi sfuggissero di mano, in modo opposto alle sicurezze su cui vi eravate costruiti? O, al contrario, che una situazione critica si risolvesse inspiegabilmente in pochi passaggi, su cui non avete esercitato alcun controllo? La prima spiegazione (la più semplice) è che vi fosse sfuggita la considerazione di una regola fisica, chimica, biologica o sociale che fosse, la quale era applicabile al vostro caso. Vi sarà però anche capitato di notare che tali difetti di previsione rispecchiano, a loro volta, alcune linee tendenziali che taluni chiamano con il nome di “destini” o “archetipi”. Ci sono allora alcuni che sono disposti a sondare l’ipotesi che il difetto previsionale, da solo, non possa giustificare la regolarità con cui l’errore stesso porti a certe forme ripetitive. Altri, invece, riconducono tutto al caso e alla cd. evoluzione. I difetti di questa ultima posizione sono però sconcertanti.

Un primo esempio d’insostenibilità del criterio di casualità ce lo dà la ricostruzione, in chiave evoluzionistica, del sorgere della vita sulla Terra. Con i moderni sistemi statistici e la potenza di calcolo che li accompagna, peraltro, non siamo ad oggi in grado di giustificare il sorgere della vita biologica nella nostra biosfera, se rapportato al breve tempo di esistenza del pianeta Terra. L’ipotesi del brodo promordiale o dell’asteroide, che per lungo tempo avevano accontentato gli scienziati, si sono poi rivelate fallaci alla prova di laboratorio: la vita non è stata quindi importata da altri mondi più vecchi, ma è nata qui e da altra vita! Molti tuttavia si accontentano di ricostruire la nascita della vita in base alla formazione di composti del carbonio o alla formazione di zuccheri sugli asteroidi, o continuano a fare ricerca per spiegare come da questi composti (e dalla loro eventuale collisione con il pianeta) sarebbe sorta la prima forma di vita unicellulare. Ma ancora nessun batterio ha visto la luce, durante questi esperimenti.

Un altro esempio ce lo dà il mondo del diritto, che dovrebbe essere permeato dalle regole in maniera decisiva e performante. Tuttavia, se all’ordinamento giuridico si togliesse l’elemento fondamentale dell’ignoranza dilagante sulle norme di diritto, più nessun sistema statale si potrebbe reggere. Sembra quindi che il diritto possa reggersi solo nella misura in cui la conoscenza delle regole sia limitata agli addetti ai lavori (e anche tra questi occorre ci siano forti asimmetrìe informative, pena il blocco totale e indiscriminato di ogni ufficio giudiziario). L’obiezione ovvia è che un tempo il diritto si reggeva con sistemi estremamente semplici di regole (come la legge del taglione). A quei tempi non vi era una grande asimmetrìa informativa, in campo giuridico: almeno non come oggi. Occorre però notare che solo oggi siamo arrivati a dominare la natura nella nostra biosfera (al punto da portarla vicino al collasso). Sembra quindi un fatto che solo un sistema giuridico fondato sull’asimmetrìa conoscitiva (e quindi su una diffusissima incapacità previsionale) possa portare a risultati tecnici tali da pareggiare e in parte superare l’imperatività delle leggi naturali.

Altro esempio classico, infine, è il comportamento (cui sopra ci riferivamo) delle microparticelle: i quanti non tollerano il calcolo e la previsione del loro comportamento, come se fossero dei corpi molto piccoli. Essi, infatti, uniscono alla natura di corpuscolo quella di onda. Tale seconda natura emerge in modo inaspettato, ma regolare, solo quando l’esperimento di laboratorio viene impostato in un certo modo. Non mi addentro nei particolari, che ognuno potrà approfondire con un’ora di navigazione, ma ciò che salta all’occhio è che i quanti non possono essere studiati con un approccio scientifico classico, ma necessitano di un approccio esoterico. L’osservatore della realtà, infatti, è in grado di trasformare la realtà che studia, grazie alla semplice modifica del proprio approccio conoscitivo. Due dei tre principi fondamentali per lo studio della quantistica sono, per l’appunto, quello d’indeterminazione e quello di relazionalità.

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Sembra quasi che la vita, come il diritto, come la meccanica quantistica, si fondino sull’impossibilità previsionale, pur consentendo poi di costruire un castello di regole più o meno stabile e funzionale. Ma in prospettiva ogni campo del sapere è vittima di tale amenità: nessuna teoria viene più considerata intramontabile, ma sempre superabile con un’altra teoria; inoltre nessuna teoria superata diventa per ciò stesso da scartare, in quanto potrebbe tornare all’attenzione della comunità scientifica in un frangente successivo, grazie a scoperte che la rivalutino ai fini previsionali (si pensi alla teoria di Higgs, che nel 2012 ha ottenuto un clamoroso successo, ma solo dopo diversi decenni di ricerca dopo la sua formulazione; o alla teoria dell’inflazione, che è stata disprezzata per trent’anni, finché non ha convinto la comunità dei cosmologi).

Le spiegazioni della regolarità con cui il difetto di previsione porti a certe forme precostituite non sono mancate, sul piano della scienza psicologica e della psicanalisi (quella junghiana, in particolare). Ma cosa ne pensa la fisica? E quando ha constatato che non si riesce ad intrappolare la materia delle microparticelle e farle fare ciò che i corpi dovrebbero fare, secondo le leggi Newton, la fisica si è forse azzardata a ricondurre a sistema i fenomeni psichici insieme a quelli fisici? In realtà ci ha provato, ma non vi è mai riuscita. Perché? Lo spiegheremo in questo capitolo.

Quando cerchi la chiave più indicata, per aprire una serratura davvero complessa, al fine di entrare in un portale assai prezioso ed antico, non è ammessa alcuna imprecisione da parte tua. Solo una chiave, e solo quella, può aprire il meccanismo. Non basterebbe una chiave simile, né certo un passepartout. Il problema dell’uomo, nella ricerca della conoscenza, è che pensa che la chiave debba adattarsi alla sua sensibilità, invece che alla serratura. Mettiamo che una chiave abbia un orrendo porta-chiavi e che qualcuno, reputando impossibile che il padrone di un portale così prezioso ed arcaico abbia scelto proprio quel portachiavi, potrebbe avventatamente scartare la chiave in questione. Sembra la scena del film Indiana Jones (anni ’90), in cui la scelta su quale fosse il vero Graal - fra più coppe, messe a disposizione dei personaggi, nel tempio maledetto - veniva orientata dal gusto estetico di un improvvisato ricercatore (che sceglieva la coppa più bella). Solo Harrison Ford (nei panni di Indiana, ricercatore con i controfiocchi, oltre che con l’immancabile frustino) risaliva ai gusti estetici del tempo di Gesù, per individuare una coppa che Gesù stesso potesse aver utilizzato nell’ultima cena. Ma come ricostruire i gusti estetici di un ipotetico proprietario del segreto della vita, o del segreto dei fondamenti del diritto, o di quello delle microparticelle, o del rebus ancor più grande sull’imprevedibilità costitutiva del reale?

Il problema vero, poi, non è quello di azzeccare la coppa giusta. Non abbiamo due o tre alternative, da discernere, ma una immensità d’immensità di bivi da percorrere, in quanto dovremmo cercare una forma di coordinamento del puro magma che chiamiamo realtà. Dopo aver formulato un’ipotesi ricostruttiva, il difficile è farla tornare. Ci sono troppe bucce di banana su cui scivoleremmo, già dopo pochi passi.

Le vie che l’umanità sembra aver intrapreso, finora, per spiegare l’inspiegabile, sono comunque due (con sommo gaudio di Parmenide)! La via essoterica e la via esoterica. Secondo la prima via, dobbiamo scommettere tutto sulla realtà. La seconda, invece, ci propone di scommettere sull’osservatore della realtà.

La scommessa sulla realtà (essoterismo), ci porta a dire che la realtà è esterna all’osservatore e che questi deve cercare di scoprirla, lasciandole dire ciò che ha da dire. Questa è la via che attualmente percorre l’Occidente: essa ha portato alla concezione della Scienza come verifica di ipotesi, formulate nel rispetto dei principi della logica aristotelica, in base all’esperienza di laboratorio. L’esperienza di laboratorio cerca di isolare il singolo fenomeno, riducendo i fattori di disturbo e ripetendo l’esperimento un numero statisticamente valido di volte. Il problema di questa via è che i fenomeni non si possono realmente isolare; inoltre non esiste un numero di esperimenti che prevenga davvero l’eccezione alla regola; dulcis in fundo, è una via estremamente lenta, che richiede la formulazione di ipotesi accettabili per la comunità scientifica di riferimento del singolo campo del sapere e l’apertura di un dibattito (a suon di esperimenti e contro-esperimenti) che può durare anni o decenni per ogni singola scoperta. Il vantaggio di questa via è che ottiene il plauso della collettività più tecnologicamente progredita di questa era e, inoltre, consente di condurre milioni di ricerche in parallelo, con una forma abbastanza efficiente di coordinamento tra i relativi risultati (anche se la ricerca avviene sempre alla cieca).

La scommessa sull’osservatore della realtà (esoterismo), invece, ci porta a dire che la realtà è proiezione del suo osservatore e che quest’ultimo, a certe condizioni, può conformarla ai propri modelli conoscitivi o addirittura trasformarla in modo più o meno imprevedibile. Lo svantaggio di questa via è, in primo luogo,

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che induce al tot capita, tot sentientiae: “tante teste, tanti pareri”. Si arriva così alla proliferazione delle teorie tra loro più disparate. Tale varietà, in secondo luogo, rende anche difficili da verificare le teorie stesse, in quanto il giudizio su una teoria tende ad adoperare i criteri propri del verificatore, che sono senz’altro molto distanti da quelli del verificato. Il rischio è che i criteri scelti sviliscano la singola teoria, invece che verificarne davvero la validità. D’altro canto, il vantaggio è che il potenziamento delle facoltà dell’osservatore di conformare e trasformare la realtà non ha limiti precostituiti. Né sono mancate prove di efficacia degli approcci esoterici: si pensi alla PNL (anche se i suoi fondatori cercano di darle un fondamento essoterico), o alla psicoanalisi di C.G. Jung, o ancor più alle medicine alternative (alcune delle quali talmente efficaci da entrare a far parte del servizio pubblico sanitario), ecc… Infine, nulla vieta che un sistema tra i tanti trovi la soluzione che cerchiamo ai più grandi interrogativi: una soluzione che, ovviamente, regga alla verifica che l’umanità le richieda. Ma ciò è solo ipotetico, almeno quanto il successo dell’essoterismo. Tuttavia l’esoterismo, in caso di successo, sarebbe tendenzialmente più rapido nel suo raggiungimento, potendo costruire strutturazioni teoriche indipendenti dalla critica della comunità scientifica; l’essoterismo sarebbe più lento, ma più verificato nel percorso. Tali considerazioni non eliminano il nostro rovello, che è trovare la sola chiave giusta, e solo quella, per aprire una serratura d’immensa complicatezza.

Il nodo gordiano diventa ancora più stringente, se pensiamo all’altro aspetto della questione: chi può gestire una simile complessità di coordinamento d’informazioni sulla realtà? L’uomo, anche se ormai provvisto di risorse di alta tecnologia, può farcela da solo? O l’ipotesi di riuscita nel compito, che ci stiamo assumendo, richiede d’inserire un ulteriore fattore nell’equazione: un entità superiore, capace di coordinare l’evoluzione della realtà e delle nostre conoscenze su di essa? Poiché perfino la realtà è in movimento e, fra mille anni, non sarà senz’altro quella che oggi conosciamo, in nessun settore (nemmeno in quello cosmologico2). Un’entità superiore ci salverebbe dal fallimento, che sia dotata o meno di personalità, ma potrebbe anche tradursi in un atroce inganno (come fantasticano diversi film avveniristici).

Gli aspetti emersi ci fanno propendere per la soluzione più rapida: quella di una teoria esoterica che, ad un certo punto, risulti esente da critiche, convincendo l’intera umanità (anche se un po’ alla volta, nell’arco magari di decenni o secoli). Tale teoria esoterica dovrebbe riferirsi ad un’entità superiore, che assicuri la riuscita cui l’uomo, da solo, non può aspirare. Infine la critica di questa teoria dovrebbe pretendere da essa un’estrema precisione, nella soluzione dei problemi posti (origine della vita; evoluzione conservativa della realtà umana e naturale; sopravvivenza della biosfera, della specie e dell’universo/multiverso in cui dovremo vivere; immortalità o almeno giovinezza ad libitum; felicità ed orizzonte dell’esistenza degli esseri autocoscienti; relazionalità tra esseri viventi e con gli umani ormai deceduti o altre entità intellligenti), senza indulgere ai soliti adattamenti che le teorie scientifiche attuali hanno finora introdotto, per risolvere in modo autoreferenziale i loro problemi di coerenza. Non si può però pretendere che una simile teoria soddisfi le esigenze estetiche o filosofiche di ogni essere umano, di oggi come di domani. Per ottenere successo, nella sfida che vogliamo raccogliere, noi umani dobbiamo evitare di fare l’errore di chi scarti una chiave per l’inesteticità del suo portachiavi. Sarà cura di ogni uomo, da ora in poi, porsi tale obiettivo con la dovuta serietà. Chi non vi ottemeperi, non può pretendere di arrivare (o contribuire a far raggiungere alle future generazioni) l’obiettivo evolutivo di cui sopra.

Giova, in estrema sintesi, precisare un punto decisivo. Non esiste più la possibilità di dimostrare alcunché in modo certo. Ormai il discorso sulla scienza ha recepito questo limite invalicabile: niente è certo, ma ogni ipotesi deve essere verificata in modo provvisorio. Non occorre citare alcun autore, per corroborare tale punto: è ormai così conclamato, che non ne vedrei l’utilità. Se quindi niente può essere dimostrato in modo certo, né alcuna teoria può quindi essere esclusa per sempre dall’orizzonte conoscitivo 2 Si noti che perfino la conformazione del nostro universo potrebbe in prospettiva cambiare, se un organismo vivente autocosciente come l’uomo decidesse di trasformarlo. Potrebbe riuscirci eliminando alcuni limiti alle sue funzioni corporee, spostando il suo sforzo di ricerca sulle facoltà che “spiritualizzano” il corpo, rendendolo capace di cose che oggi si considerano spesso (ma anche un po’ ingiustamente) da film di fantascienza. Nel saggio Il testo-ricerca, in particolare, ipotizzo che il nostro universo (uno dei moltissimi, forse, ma comunque condannato dall’entropia a diventare una fredda distesa di materia inerte che si disperde nel nulla) dopo essersi evoluto fino a produrre l’organismo vivente dotato di autocoscienza, possa arrivare a superare il limite dell’entropia grazie ad un potenziamento di detto organismo. Non che consideri l’universo un’entità dotata di volontà (che piuttosto attribuisco al creatore dell’universo), ma penso che il discorso evolutivo si possa adattare all’esigenza culturale di moltissimi esseri umani che oggi calcano la superficie del pianeta.7

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umano (neanche il sistema geocentrico di Tolomeo), sta all’uomo, in quanto critico della scienza, non opporre alcun veto ingiustificato alle nuove come alle vecchie teorie. Chi è esoterista, non deve disprezzare le teorie essoteriche. Chi d’altro canto è essoterista, non deve disprezzare quelle esoteriche. Si noti che attualmente due teorie fisiche si contendono l’ultima parola sulla fisica: la relatività generale (d’impostazione essoterica) e la meccanica quantistica (d’impostazione esoterica). Quindi la comunità scientifica, checché se ne dica, non è schierata con alcuno dei due approcci conoscitivi anzidetti. L’ipotesi dell’esistenza di un’entità superiore che aiuti o concordi con noi l’evoluzione della realtà e della conoscenza è soggetta alle stesse considerazioni: c’è chi l’accetta, c’è chi non l’accetta. Ma nemmeno la comunità scientifica può escluderla, né intende farlo (prova ne siano le teorie basate sull’idea di autopoiesi, in ogni campo del sapere, dal diritto alla cosmologia3, fatte tuttora oggetto di apposito studio). Ovviamente l’idea che un’entità superiore possa guidare integralmente l’evoluzione umana (anche se non per forza in modo totalizzante) sarà sommamente ostica a coloro che credono al cieco caso. Ma non si potrà escludere tanto l’impostazione derivante dall’idea di tale guida superiore, quanto quella derivante dall’idea che ogni fenomeno sia sospinto dal mero caso. La complessità che oggi appare, infatti, potrebbe confermarsi anche in futuro, al punto da giustificare l’azzardo di credere in un’entità superiore così pervasiva dell’evoluzione della realtà, quanto dipanarsi in un attimo, dinanzi ad una scoperta inattesa, rendendo quindi tale ipotesi del tutto superflua.

Ma come va impostata la verificazione di una teoria, che riguarda appunto i fondamentali della conoscenza e vuole sospingere l’evoluzione al superamento di ogni scoglio anti-relazionale4? La verifica – come prima abbiamo richiesto per il controllo sulla precisione – è a discrezione del critico. Chiunque giudichi una teoria, che abbia tale proponimento, deve adottare un suo modo di verificarla. Tuttavia chi non ha la comprensione dischiusa dalla teoria giusta non è in grado di verificare la teoria stessa, ma esprimerà verifiche incomplete e poco attendibili. Solo un’entità superiore potrà volgere tali verifiche nel solco di un approfondimento continuo e progressivo, capace di giudicare correttamente la teoria stessa. E’ quindi inutile che si stabiliscano standards di verifica: questi saranno adattati al momento del bisogno, conferendo un plauso sempre maggiore alla teoria evolutivamente emergente. Nella fiducia che un’entità superiore stia guidando l’uomo. Per i materialisti, che credono nel cieco caso, si può proporre appunto la fiducia nel cieco caso: sarà esso a dover assicurare loro (anche se per un caso quasi impossibile) il corretto approccio di verifica, prima che il critico come soggetto individuale o l’umanità si estinguano. Il panorama epistemologico non ci consente, infatti, di avere un ottimismo sul raggiungimento del giusto approccio conoscitivo e sul suo mantenimento, visto che la comunità scientifica è ancora discorde sul punto (e anche se fosse concorde, tale accordo sarebbe da relativizzare in senso storicistico, mettendone in dubbio la funzionalità di lungo periodo).

Ognuno deve essere disposto, insomma, a lasciarsi coinvolgere da ogni teoria che si dichiari in grado di dare un contributo al superamento degli scogli evolutivi dianzi indicati. Tale scelta sarà senz’altro discrezionale, ma (come ho indicato nei miei scritti precedenti) si porterà dietro la vittoria o la sconfitta evolutiva di chi la compierà. Se quindi coloro che siano in grado della vittoria evolutiva saranno effettivamente assistiti da un’entità superiore (o da un caso straordinariamente fortunato), la vittoria sarà in mano loro e non avranno più bisogno degli scettici.

Saranno ammessi retrivi riferimenti alla cd. materia e ad altri ipotetici assoluti, ormai superati dall’epistemologia, come anche riferimenti a numerologie, simboli, archetipi, collegamenti telepatici, psicomagìe, ecc… Ogni teoria che li contenga, però, sarà soggetta al medesimo controllo di questi due punti: precisione estrema (cioè coerenza interna) e verifica con le informazioni abbastanza sicure che abbiamo a disposizione (cioè coerenza esterna). Ovviamente entrambi i punti potranno essere raggiunti in maniera graduale, purché non così lenta da comportare la preventiva estinzione del genere umano e/o di

3 La teoria dell’inflazione, che ha corretto e integrato con successo la teoria del Big bang, sostiene che ogni nuovo universo che nasce dall’inflazione si organizza intorno ad alcune leggi fondamentali, determinate dai primi infinitesimi attimi della primigenia esplosione. Grazie a tale prima impostazione, si svilupperebbe tutta la restante storia dell’universo. L’universo sarebbe così un’entità autorganizzatrice, a noi superiore, non un mero caso.4 L’ignoranza sulla nostra origine, la morte, l’incomunicabilità umana, la mancanza di contatto tra vivi e morti, tra uomini e alieni, la minaccia dell’estinzione individuale e collettiva, nonché l’entropia hanno in comune proprio di essere scogli evolutivi, che si parano dinanzi alla nostra aspirazione relazionale.8

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ogni altra forma di vita autocosciente cui passare la conoscenza raggiunta. E’ inoltre auspicabile che nessun individuo umano vada perso per sempre, quanto a memoria e senso d’identità individuale: ma ciò che è auspicabile non è per forza ciò che possiamo raggiungere (anche se sul punto sono un inguaribile ottimista, per i motivi che spero di riuscire a spiegare in questo contributo).

La teoria (o agglomerato coerente di teorie) di cui abbiamo bisogno non è quindi la teoria dalla validità assoluta e inconfutabile, cui aspiravano ancora i filosofi ottocenteschi. E’ piuttosto la teoria che possa soddisfarci in maniera esauriente, come esseri umani, e al contempo consentirci il superamento effettivo degli scogli anzidetti. Questi due requisiti, che compendiano i primi due (precisione e verifica) e li specificano, sono come due facce della stessa medaglia: l’uomo non può infatti seguire una teoria che non ottenga il suo placet; al contempo, però, se una teoria non gli consente di raggiungere le vette cui aspira, viene presto o tardi abbandonata.

In questo scritto proponiamo un tassello, secondo me essenziale, di una teoria che affronti il problema della conoscenza e dei suoi rapporti con la realtà. Tale tassello è l’indicazione e lo studio del paradigma fondamentale che attualmente vige nella realtà che conosciamo. Tale paradigma è quello dell’analogia, come ci accingiamo a spiegare nell’analisi che segue.

Mi è capitato d’imbattermi più volte nella formulazione del paradigma dell’analogia, in scritti di autori vari (alcuni citati anche da una persona in carne e ossa, con la quale ho avuto molti piacevoli ma anche sfuggenti colloqui). Non sono riuscito però a ricostruire chi sia stato il suo inventore/scopritore. Il paradigma dell’analogia può essere spiegato, inizialmente, con il famoso esempio della sedia. Se prendo una sedia, quali caratteristiche vi riconosco? Essa, nella nostra cultura occidentale, è formata da una seduta, uno schienale e quattro gambe (definizione costruttivista). Ma alla fin fine, potremmo chiamare sedia anche ogni cosa su cui ci si siede (definizione funzionale). Infine potremmo confrontare la sedia con lo sgabello e la poltrona, per stabilire quali siano gli elementi di somiglianza e quelli di differenza con entrambi (definizione analogica). Se ci si pensa bene, le prime due definizioni possono essere ricondotte alla terza, che può ben accogliere, tra gli elementi analogico-differenziali, anche le caratteristiche costruttive e quelle funzionali di un oggetto. Se portiamo questo assunto di partenza alle sue implicazioni più estreme, ci rendiamo conto che ogni cosa non esiste in se stessa, ma è un intreccio di somiglianze e differenze con altre cose, che a loro volta sono intrecci di somiglianze e differenze con altre cose ancora. Dove si ferma questo intreccio reciproco di analogie? Ci sono dei confini a questo relativismo definitorio? Ebbene sì: lo vedremo grazie ad un passo scritturistico, tratto dal Vangelo Secondo Giovanni, al capitolo 8, versetti da 1 a 11. Spero che nessuno abbia storto il naso, ma che in conformità a quanto ci siamo detti, mi sia data la possibilità di adoperare simili luoghi letterari, per far compiere passi più che da gigante all’umanità.

Nel passo in parola, gli oppositori di Gesù gli portano dinanzi una donna, colta in flagranza di adulterio. A quel punto gli chiedono che cosa debbano fare di quella donna, considerano che Mosé, nella sua legge, aveva ordinato di lapidare donne di tal genere. A Gesù si apre quindi una secca alternativa tra due scelte: 1) proporre di salvare la donna, in coerenza con il suo insegnamento sulla misericordia, ma essere così condannato a morte con lei; 2) indicare la pena della lapidazione come indispensabile condanna da eseguire nei confronti della malcapitata, tradendo così tutto ciò che aveva fino ad allora predicato. L’assenza di alternative accettabili per l’uomo Gesù, ci dice che egli si trova in un vicolo cieco ermeneutico. La situazione è per noi abbastanza frequente, quindi occorre studiarla nei suoi caratteri ricorrenti, che non tarderanno ad emergere dall’esperienza di ciascuno. In primo luogo, si nota che il vicolo cieco è collegato ad una certa logica, introdotta dagl’interlocutori di Gesù, che sembra regolare in modo tassativo ogni futuro elemento o evento della situazione considerata. Ogni elemento della realtà, oggetto della nostra attenzione, viene cioè non solo reso reale grazie al confronto con gli altri elementi (in ossequio al paradigma di analogia), ma tale confronto avviene nel rispetto di una logica di fondo. Tale logica di fondo è ulteriore al paradigma dell’analogia: può essere descritta come un diverso paradigma, quello della legge mosaica. La legge di Mosè (di cui la pena della lapidazione per il “peccato” di adulterio è solo un esempio) si presenta come un paradigma, in quanto introduce una logica che, una volta introdotta in una certa situazione, non può essere disattesa. La situazione, certo, non è indifferente ai fini della vigenza del paradigma: occorre che gli osservatori-uomini presenti alla situazione siano “catturabili” dalla forza coercitiva della logica in parola. Quindi la capacità di un paradigma di creare dei confini intuitivi, limitando di fatto le possibilità di scelta conoscitiva dell’osservatore della realtà, è legata alle caratteristiche

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dell’osservatore stesso oltre che a quelle della situazione concreta. Perché il confine intuitivo operi, ci vogliono pertanto tre requisiti: 1) le caratteristiche specifiche dell’osservatore, conferenti con il paradigma; 2) la situazione concreta, anch’essa conferente con il paradigma; 3) l’introduzione del paradigma, grazie ad alcuni elementi della realtà che ne sono, in via congiunta e strutturalmente coordinata, portatori (in questo caso, i gesti e le parole degl’interlocutori di Gesù). Il terzo requisito ci dice come la realtà ci conduca sotto la sfera di un paradigma, solo ed esclusivamente in presenza di una strutturazione di elementi che nel complesso gli sono conferenti. Tali elementi sono anche analogici, cioè soggetti al paradigma dell’analogia, ma al contempo sono nel complesso soggetti anche al paradigma specifico della legge mosaica. Possiamo quindi distinguere, inizialmente, tra il paradigma fondamentale (che è quello dell’analogia, applicabile in linea tendenziale all’intera realtà) e i paradigmi specifici (applicabili solo in presenza dei tre requisiti suddetti).

Possiamo chiamare configurazione analogica (nel seguito anche “CA”) la disposizione degli elementi analogici a seguire un ulteriore paradigma specifico, oltre a quello di analogia. Di fatto, anche quando non siamo in un vicolo cieco interpretativo - come invece lo è Gesù, dinanzi all’adultera -, ci troviamo sempre inseriti (almeno in via tendenziale) entro una configurazione analogica. Ritengo addirittura che passiamo continuamente da una configurazione all’altra, come spiegherò alla fine dell’analisi del brano scritturistico, finché non incappiamo nel vicolo cieco anzi detto. A quel punto, tutti i percorsi ci riconducono alla configurazione dentro cui si costituisce il vicolo cieco. Ma per comprenderlo meglio, proseguiamo la nostra analisi.

Gesù, messo al muro dai suoi interlocutori, non si perde d’animo. Non potendo però opporre alcun argomento ai suoi detrattori, rimane in religioso silenzio. Un’attività, per il vero, la compie: si mette a “scrivere nella terra”. Analizzeremo, nel seguito, la perifrasi “nella terra”, con un elenco serrato di considerazioni su come tradurla. Partiremo dalle sue caratteristiche grammaticali, fino a sfociare nelle suggestioni che ogni suo elemento può darci in campo esoterico. Chiediamo quindi un po’ di pazienza al lettore, per il tecnicismo (a volte un po’ algido) del testo.

Le parole “nella terra”, nell’originale greco, sono εις την γην (leggesi eis tèn ghèn).La preposizione eis significa “dentro”: si riferisce, in specifico, a qualcosa che entra dentro ad un’altra

cosa, confondendosi o rientrando in uno stesso contesto con essa o penetrandola. In senso esoterico, potremmo considerare la confusione espressa da eis come la perdita di attenzione, che si ha nell’addentrarsi in qualcosa (e che si manifesta anche alla fine dell’atto sessuale, permettendo ai due partner di superare alcune divergenze, almeno per poco). Se infatti la preposizione πρὸς (pròs) significa “verso”, nel senso di presentarsi dinanzi a qualcuno/qualcosa, e la preposizione επί (epì) significa “verso”, nel senso del direzionarsi verso il perfezionamento di un certo obiettivo, eis dovrebbe significare l’accesso “dentro” ad un luogo, sì da restare contestualizzato localmente in esso. Tuttavia essendo ormai superata l’idea della località (o collocazione nello spazio euclideo) in senso assoluto, grazie alla relatività generale e alla quantistica, e non essendo mai piaciuta alle correnti esoteriche, intendo eis come perdita dell’attenzione nei confronti del contesto di riferimento (in questo caso, rappresentato da tèn ghèn, “la terra”). Tèn ghèn è “la terra”, declinata al caso accusativo, che corrisponde al nostro complemento oggetto. Il significato del complemento oggetto è l’oggettualizzazione e l’oggettivazione di qualcosa: questo qualcosa è “la terra”, che in greco è l’opposto del cielo, l’opposto del mare e l’opposto della città (in quanto rappresenti un terreno agricolo). Opposto può essere meglio inteso come opposto complementare. La complementarietà della terra nei confronti del cielo, del mare e della città funziona solo in quanto s’intendano tali elementi come luoghi psicologici. Il cielo rappresenta il finalismo; il mare rappresenta la cessazione dell’attività intuitiva in preparazione della nuova intuizione; la città rappresenta, infine, la morte spirituale per scivolamento nel disciplinarismo delle regole. E la terra che cos’è? Essa rappresenta la tranquillità e la serenità psicologica. La tranquillità è quello stato interiore in cui l’uomo non si agita: ma nulla ci dice su come si senta. La serenità, invece, può anche accompagnarsi all’agitazione, ma ci dice che l’uomo sta bene interiormente. La terra, come immagine psicologica, compendia e compenetra entrambe le situazioni della tranquillità e della serenità. Solo per comodità, d’ora in poi mi riferirò alla terra come serenità, ma il lettore è inviato ad intendere la parola serenità (in questo testo) come fusione di serenità e di tranquillità. La serenità, dunque, offre al mare, in quanto assenza intuitiva (che chiamerò anche “morte intuitiva”), rappresentata dall’immagine psicologica del mare in bonaccia, il suo opposto complementare.

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La serenità è l’opposto della morte intuitiva, in quanto quest’ultima non indulge ai prodotti della serenità (pensieri e sensazioni rilassanti e contenute in un basso range d’intensità), bensì si esprime come assenza di ogni prodotto cosciente della mente. Ma senza tali prodotti della mente (e quindi, tra gli altri, senza i prodotti della serenità) la morte intuitiva non avrebbe un ruolo suo proprio (cioè quello, appunto, d’interrompere quel rumore d’intuizioni coscienti, rappresentato anche dalla serenità stessa, e preparare così intuizioni innovative). La serenità è anche opposto complementare della città, che nella Bibbia rappresenta la morte spirituale, così come sopra definita. La morte spirituale, infatti, non potrebbe far scivolare nella coazione avvilente dell’automatismo, legata al rispetto disciplinare delle regole, se l’avvilimento non fosse identificabile dall’uomo - che in quel frangente rasenta l’oppressione interiore - grazie al ricordo vivo della serenità. Queste due forme di opposizione e complementarietà rappresentano anche mediazioni, grazie a cui la serenità assicura alla morte spirituale (o città) e alla morte intuitiva (o mare) ciò che è loro indispensabile per esprimersi. Nei confronti del finalismo (rappresentato dall’immagine psicologica del cielo), invece, l’opposizione-complementarietà non comporta alcuna forma di mediazione da parte della serenità: il finalismo non richiede alcun aiuto alla serenità, che risulti indispensabile alla sua estrinsecazione. Al più la serenità può risultargli utile, e non sempre, né a tutti i fini. Ci concentreremo, comunque, sul ruolo di mediazione della serenità nei confronti delle due morti, spirituale ed intuitiva.

Dopo questa analisi, un po’ grammaticale ed un po’ esoterica, del complemento eis tèn ghèn, occorre tradurne il significato effettivo. Ciò al fine di stabilire in che luogo si stia rifugiando Gesù, quando riceve la fatidica domanda: “cosa dobbiamo fare a questa donna?”. Eis tèn ghèn indica che Gesù si sta sprofondando, fino a confondervisi, nella tranquillità e serenità psicologica. La confusione di cui trattasi, peró, non è vera confusione: è semplicemente il passaggio insensibile dalla serenità5 alla morte intuitiva.

L’importanza di questo passaggio è abissale, per ogni uomo che oggi calchi la terra. Non mi esprimo con sterile retorica, come vi mostrerò tra breve. Anche quando mi riferisco all’uomo di oggi, intendo proprio l’uomo di quest’epoca. Ma non volendo bruciare le tappe, e così sciupare la suspence, procederò con ordine nell’analisi di questo testo ineffabile6. Gesù, dunque, κατω κυψας τω δακτυλω κατεγραφεν εις την γην ως δε επεμενον ερωτωντες αυτόν ανεκυψεν και ειπεν προς αυτους ο αναμαρτητος υμων πρωτος επ`αυτην βαλετω λιθον και παλιν κατω κυψας εγραφεν εις την γην οι δε ακουσαντες εξερχοντο εις καθ`εις αρξαμενοι απο των πρεσβυτερων εως των εσχατων7. Può anche leggersi: kàto kùpsas tò daktùlo katègrafen eis tèn ghèn os dè epèmenon erotòntes autòn anèkupsen kài èipen pròs autùs o anamàrtetos umòn pròtos ep’autèn balèto lìthon kài pàlin kàto kùpsas ègrafen eis tèn ghèn oi dè akùsantes exèrchonto èis kath’èis arxàmenoi apò tòn presbutèron èos tòn eschàton. Il testo è intraducibile in italiano, ma può essere sintetizzato (per agevolare il lettore digiuno di greco antico nel suo accostamento) con queste parole: “in basso chinatosi, con il dito scriveva dentro la terra. Come però persistevano informandosi da lui, si chinò e disse verso di essi: il privo di errore (di mira) tra voi, primo, su di lei getti una pietra; e di nuovo in basso chinatosi scriveva dentro la terra. Essi però aventi udito (in modo produttivo) sopraggiungevano (per sostituire) uno solo conformemente ad uno solo, aventi cominciato dagli anziani fino agli ultimi”. Come avrete notato la traduzione non è granché somigliante a quelle in circolazione, nei testi confessionali: la sua finalità, infatti, non è diffondersi tra le masse dei fedeli, ma consentire un approccio esoterico al testo. Mi sono peraltro discostato parecchio, in alcuni casi, dalla stessa grammatica greca, il cui solo scopo (va ricordato) è rendere traducibile in lingua moderna un testo che altrimenti non sarebbe traducibile. Un greco antico di religione ebraica o appartenente alle prime comunità cristiane, che avesse letto il testo sopra citato, avrebbe inconsciamente colto tutte le sfumature che ho inserito in traduzione (e molte altre), ma se avesse ripetuto il testo ad un amico, questi avrebbe avuto un immaginario del testo a metà strada tra la mia traduzione e quella confessionale. Alcuni giochi di parole, infatti, non sarebbero andati persi; d’altro 5 Come già specificato sopra, la parola “serenità” va intesa sia come serenità che come tranquillità psicologica, tra loro fuse insieme.6 Se un testo è davvero ineffabile, nulla può essere detto in suo proposito. Tuttavia la cd. sacra scrittura fa eccezione, proprio in quanto testo esoterico. La sua ineffabilità fa quindi stillare copiosa l’analisi, che però non riesce ad esaurirne il fascino: un fascino di una bellezza così sconcertante, che chiude all’interprete la bocca.7 Nel citare il testo scritturistico non riporto accenti né segni d’interpunzione (peraltro successivi ai grandi manoscritti della Bibbia greca e, per quella ebraica, introdotti solo con l’opera dei masoreti, terminata nel decimo secolo): tali accorgimenti grammaticali, infatti, limitano le espressioni polisense del greco, come quelle dell’ebraico. L’intrepretazione esoterica del testo si gioca molto su tale polisensismo, che non deve quindi essere perso.11

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canto, però, se espresso in forma più stringata o con altre parole, un testo simile avrebbe finito per assumere un qualche significato confessionale (peraltro abbastanza indigesto a chiunque – per quanto ci è dato sapere –, che si trovasse a vivere in quell’epoca). Se siete curiosi di leggere la traduzione confessionale, ad oggi basterebbe che digitaste su Google il criterio di ricerca “Gesù e l’adultera” o, meglio ancora, “Giovanni 8”.

Cominciamo adesso a sviscerare le espressioni contenuto nel testo sopra riportato, per rispondere alla domanda: in che luogo entra Gesù?

L’espressione kàto kùpsas (in basso chinatosi) fa pensare che, all’inizio del confronto con i suoi detrattori, Gesù si adagi sul paradigma specifico che essi hanno introdotto (la legge mosaica), in modo da penetrarlo. Urge ormai spiegare cosa fosse la legge data a Mosé sul Monte Sinai. Il termine ebraico è תורה (leggesi toràh), il cui significato etimologico è duplice: 1) istruzione; 2) oracolo. L’istruzione è un’indicazione precisa, che viene data da un soggetto, qualificato e correttamente a conoscenza di qualcosa, ad un soggetto che è sforito di tali caratteristiche. L’oracolo è una previsione che un essere superiore dà ad un essere inferiore, per informarlo di qualcosa che deve sapere per qualche motivo. Gli esegeti hanno tradizionalmente inteso la parola toràh, al contrario, nel significato d’insegnamento religioso o morale: noi ci permettiamo di dissentire, rifacendoci invece al senso etimologico. Ci sono interpreti della Bibbia in chiave “aliena”, come Paolo Biglino, che probabilmente assentirebbero con noi. L’idea che un alieno, dai poteri straordinari per gli uomini dell’epoca, avesse dato istruzioni ad un popolo che aveva deciso di formare quasi dal nulla è senz’altro suggestiva e offre una chiave di lettura importante del testo biblico: non ne esaurisce (come non nega neanche l’autore sopra citato) il significato profondo. Quindi, chiunque fosse Gesù (figlio dell’Altissimo o prodotto di un’inseminazione artificiale aliena) si è trovato ad affrontare il nodo della toràh al pari nostro, ma in un contesto culturale davvero differente. Per molti ebrei della sua epoca (chiamati farisei) la toràh era da applicare alla lettera, proprio come un’istruzione. I farisei, peraltro, erano la leadership culturale religiosa d’Israele: pertanto non ci si poteva discostare molto dalla loro interpretazione della Bibbia (il movimento dei rabbini, intesi come interpreti della Bibbia, è iniziato dopo la distruzione del tempio e poi della stessa Gerusalemme, operata dai Romani nei primi due secoli dopo Cristo). L’istruzione-toràh serviva, a quel tempo, a preservare il popolo dalle conseguenze dell’errore nella sua stessa esecuzione. Due figli di Aronne, ad esempio, avevano eseguito un rito in più, non previsto da Yawhé, ed erano stati folgorati da quest’ultimo. L’essere supremo della Bibbia, insomma, non voleva assolutamente che si violassero le sue istruzioni scritte, per paura che tutto il popolo deviasse da una sorta di “mappa cognitiva”8. La mappa cognitiva è qualcosa che permette di muoversi nella realtà, senza perdersi nei suoi meandri (che, in questo caso, erano ignoti al popolo d’Israele)9. La toràh si farebbe quindi carico dell’immensa complessità del reale, aiutando soggetti arretrati e poco esperti, come gli uomini, a non perdercisi dentro.

Qui tuttavia la parola “legge” viene riportata in greco: νομος (nòmos). Il nòmos è sia la legge consuetudinaria, sia la legge dettata da motivi di opportunità. Nella consuetudine è insita sia l’idea di funzionalità, resa possibile alla società umana dal rispetto di una certa regola, che quella di accordo reciproco dei consociati sulla necessità di tale regola. Gli ordinamenti giuridici, però, hanno voluto da sempre la possibilità d’innovare il patrimonio di regole consuetudinarie con regole dettate dall’opportunità (che fosse di lunga durata o di breve momento). Poiché la modifica delle consuetudini è lenta e le società, con l’evoluzione continua che subiscono, diventano sempre più rapide nelle trasformazioni, il nòmos è la soluzione più indicata per mantenere salda e funzionante la compagine sociale, nonché competitiva nei confronti dei popoli vicini. La parola scritturistica nòmos, almeno a livello etimologico, è estremamente 8 Cfr. il libro La struttura della magia di R. Bandler e J. Grinder, fondatori della PNL, in cui fin dalle prime pagine s’introduce l’idea di mappa cognitiva. Faccio presente, però, che l’idea di mappa cognitiva, applicata alla Bibbia, mi stona parecchio. La applico invece alla parola scritturistica toràh, che è funzionale a far interagire il contesto biblico con la mappa cognitiva, che le è complementare (ma che non ne esaurisce affatto le potenzialità, dal momento che la mappa cognitiva ha connotati prettamente essoterici e dualisti).9 Biglino non sarebbe d’accordo con me, poiché interpreta quel passo come testimonianza di particolari esigenze fisiche di Yahwé, astronauta alieno arrivato da un viaggio spaziale con qualche problema di adattamento. Come sopra precisato, non disprezzo affatto tale interpretazione (che ritengo complementare ad ogni altra possibile, nello sviscerare i significati reconditi di un testo dal senso abissale), ma colgo nel testo biblico ciò che ha plasmato e plasma tuttora l’uomo-osservatore di oggi (e quindi, con potenza, la realtà stessa, che è realtà osservata).12

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differente dalla parola toràh, pur essendone la reinterpretazione greca. Se quindi attribuiamo alla legge mosaica il carattere di nòmos, oltre che quello di toràh, emerge in essa una doppia tensione polare. Mi riferisco alla tensione tra toràh e nòmos e alla tensione tra i due significati di nòmos (legge consuetudinaria e legge di opportunità). La tensione tra toràh e nòmos ci dice che la legge ha una doppia natura: da un lato è la mappa cognitiva offerta da un essere supremo; dall’altro lato è la formazione squisitamente umana di una consapevolezza sulla realtà. Cosa sarebbe, infatti, il messaggio di un essere superiore, senza la sua comprensione da parte dell’essere inferiore cui è rivolto? La tensione, poi, tra nòmos-legge consuetudinaria e nòmos-legge di opportunità è del tutto intraumana, pur non distaccandosi dalla toràh. Una volta potenziata l’evoluzione umana dal messaggio di un essere superiore, infatti, l’uomo entra in tensione tra la sua comprensione (e percezione) attuale del messaggio-realtà e la comprensione (e percezione) che ne potrebbe acquisire, gettandosi alle spalle alcune zavorre culturali. Tali zavorre sono appunto rappresentate dall’interpretazione tradizionale della toràh, che finisce per opporsi alla interpretazione evolutiva della toràh stessa.

Gesù si trova quindi schiacciato in mezzo a questa duplice tensione culturale, che lo ha inserito (grazie alla maligna iniziativa dei suoi interlocutori) nel vicolo cieco sopra descritto. La donna adultera non è considerata più cattiva degli altri, ma inserita in un errore mortale che rischia di contagiare tutto il popolo10. Se Gesù si fosse schierato a favore della soluzione misericordiosa, avrebbe condannato il popolo a commettere lo stesso errore: quindi, secondariamente, sarebbe stato condannato a morte anche lui, in quanto più pericoloso della stessa adultera.

Gesù inizia il suo percorso di superamento dell’ostacolo interpretativo, assoggettandosi alla logica della legge (kàto kùpsas significa, infatti, “in basso11 chinatosi”). Il fatto che non si opponga di petto al paradigma che lo sta incalzando costituisce la scelta di una terza opzione, rispetto alle due tra cui era costretto a decidere. Fino alla fine del brano, Gesù si asterrà da cristallizzare una soluzione all’alternativa legge-misericordia. C’è di più. In ogni pagina del Nuovo Testamento, in cui si parla di legge, assistiamo alla stessa astensione: essa è infatti significativa di un cambio di paradigma12, operata dall’autore della cd. sacra scrittura. Ma per arrivare a tale cambio di paradigma, Gesù deve prima fare protesta silenziosa contro l’alternativa che gli è stata posta, soggiacendo al contempo alla configurazione analogica in cui è stato inserito. Il suo silenzio è quindi significativo: nella configurazione in cui Gesù è inserito, ci sono delle regole. Neanche il figlio dell’Altissimo è esente da tali regole, cui (volente o nolente) soggiace, fino a che non abbia operato il cambio di paradigma.

Il brano di Gesù e l’adultera ci ha quindi regalato un primo tesoro, senza il quale i ricercatori si sono arrovellati quanto meno per secoli (da Galileo in poi). La cd. Scienza è infatti convinta che la natura sia

10 La complementarietà con l’interpretazione di Biglino emerge qui in tutta la sua forza. Infatti, la preoccupazione dell’alieno astronauta di cui egli ci parla era appunto quella di non far dilagare tra i sacerdoti (a causa dell’errore dei due sommi sacerdoti sopra citati) una manìa per le affumicazioni di tutti i materiali conosciuti, che invece che dargli sollievo dal viaggio spaziale e dall’adattamento al pianeta Terra lo avrebbe solo nauseato. Il modo migliore per farsi capire da soggetti che non parlavano nemmeno la sua lingua era probabilmente quello d’incenerire i soggetti che tenevano comportamenti contrari al suo interesse. Questa vivida (quanto sgradevole) immagine, ci fa capire appieno il problema delle mappe cognitive: esse gestiscono una tale complessità d’informazione, che se non vengono seguite alla lettera l’uomo si perde. La PNL (programmazione neuro-linguistica), creata dagli scrittori de La struttura della magia, è appunto una tecnica retorico-psicologica con forti basi cognitive, che supporta (ad esempio) gl’insegnanti nel rendere fruibili materie del tutto ignote a studenti che potrebbero non esservi del tutto interessati, nonché politici che vogliono imbonire il loro uditorio, avvocati che vogliono patrocinare una causa davanti ad una giuria o (con molto meno margine di manovra) un giudice togato, ecc...11 Un altro significato di kàto è “conformemente”. Tale significato è più azzeccato di “in basso”, dal nostro punto di vista esoterico. Il gesto di Gesù sarebbe così ben più lontano da un semplice chinarsi in senso fisico, con il corpo reclinato verso il basso: egli si è piuttosto “chinato in modo conforme” alla configurazione analogica in cui è inserito. Kùpto, inoltre, vuol dire anche “chinare la testa” e deriva anche dall’etimo “bernoccolo”: quasi a suggerire che, se non ci si china alla configurazione in cui si è inseriti, si batte la testa. L’idea di soggiacenza ad un ordine precostituito è quindi forte.12 “Non sono venuto ad abolire (la legge o i profeti), ma a riempire”. “In verità vi dico, finché non passerà il cielo e la terra, un solo iota o un solo apice non passerà dalla legge, fino a che tutte le cose possano accadere” (Mt 5). “Finalmente dunque io stesso con la mente servo alla legge del theòs, con la carne alla legge dell’errore (di mira)” (Rm 7, 24).13

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dotata di regole (le cd. leggi scientifiche), la cui applicazione sia o generale (leggi fondamentali dell’universo) o contestualizzata ad un certo perimetro applicativo (leggi derivate dalle leggi fondamentali). Tuttavia, entro il perimetro di sua applicazione, una legge scientifica deve applicarsi per forza: altrimenti vuol dire che non abbiamo capito bene la legge o il suo campo di applicazione. L’uomo può, certo, cambiare le condizioni di partenza dell’esperimento, ottenendo così l’applicazione di una legge diversa: in questo modo adatta le leggi scientifiche alle sue esigenze, grazie alla tecnica. Ma se – come ci suggerisce il brano evangelico - il contesto della legge scientifica è una configurazione analogica, cioè una formazione conoscitiva della realtà interna all’uomo, allora l’uomo può fare obiezione di coscienza alle leggi della configurazione in cui è inserito ed ottenere – con i passi successivi che vedremo – il passaggio ad un’altra configurazione, in cui si applichino regole diverse. Il confine tra realtà e conoscenza diventa labile: e si gioca tutto dentro l’uomo in evoluzione. Solo l’uomo che non fa obiezione di coscienza, rispetto alle regole della configurazione, ne rimane schiacciato.

Il gesto successivo è: tò daktùlo katèfraghen eis tèn ghèn (“con il dito scrisse conformemente dentro la terra”). Gesù adopera il dito: quella parte del corpo che serviva anticamente, in tribunale, per chiedere al giudice giustizia contro il proprio avversario, indicando il bene che si pretendeva appartenere a sé. Il silenzio di Gesù è quindi un silenzio armato, che rivendica. In un’altra occasione, egli dichiara: “non pensiate che sopraggiunsi a gettare pace verso la terra; non sopraggiunsi a gettare pace ma una spada” (Mt 10,34). La spada che qui si prepara è quella della parola, che Gesù sta forgiando (per adesso) con una rivendicazione silenziosa ma espressiva. L’uomo, per uscire dal vicolo cieco interpretativo, deve esprimere in qualche modo il proprio dissenso: anche nel modo più cauto, purché sufficiente ad orientare il suo finalismo. Non darsi per vinti è, infatti, la base del successo.

Per decenni ho creduto che simili espressioni fossero slogan motivazionali: certo efficaci, ma poco attinenti alla realtà. Ma dopo aver saggiato l’inefficacia (sulla lunga distanza evolutiva) del discorso essoterico sulla scienza e, d’altro canto, l’efficacia di quello esoterico13, ho capito in cosa ha sbagliato l’attuale e dilagante pensiero scientifico (di stampo neopositivista14): nello stabilire l’assenza di un qualunque finalismo nella natura15. E’ invece il finalismo dell’interprete che, non lasciandosi soggiogare dalla CA16 in cui è inserito, costituisce la precondizione per approdare ad un’altra configurazione più congeniale. Chi non soggiace a questa precondizione, può comunque approdare alla successiva configurazione, ma solo grazie ad un pioniere che ivi lo introduca. Al termine di questo brano evangelico, notiamo che tutti i presenti, “aventi udito, (in modo produttivo) sopraggiungevano (per sostituire)17 uno

13 Come sopra indicato, il pensiero essoterico è quello che considera la realtà come esterna all’osservatore, attribuendo così a quest’ultimo il compito di scoprirne le regole (senza possibilità d’innovarla); il pensiero esoterico, invece, è quello che considera la realtà come una proiezione interiore dell’osservatore, attribuendo così a quest’ultimo, a certe condizioni, la possibilità di conformarla e trasformarla.14 Il neopositivismo nasce dal positivismo (sorto sulla scia di Galileo e Bacone, che lo hanno inizialmente teorizzato), che sosteneva che la vera conoscenza potesse essere acquisita solo grazie alla verifica dell’ipotesi, formulata dal ricercatore, in un’esperienza di laboratorio che tendesse ad isolare il fenomeno oggetto di studio. Il neopositivismo, a metà del diciannovesimo secolo, ha sanato una contraddizione del positivismo, sancendo che l’esperienza di laboratorio dovesse essere filtrata dai principi della logica aristotelica, affinché non fosse considerata valida qualunque esperienza, anche la più irrazionale. I principi della logica aristotelica sono, in sintesi, il principio d’identità, (A = A) il principio di non contraddizione (A <> non A), il principio del terzo escluso (se A = B e B <> C, allora A <> C), il principio di causa-effetto e le regole sui sillogismi. Esponente di spicco e grande teorico del neopositivismo è R. Carnap, che ha avuto come suo contraddittore principale M. Heidegger, convinto assertore della conoscenza esoterica. Si suggerisce il saggio Stile e ontologia di A. Marrani (2015), per un’analisi delle contrapposte posizioni e per una carrellata su come è stata affrontata in Occidente la questione esoterismo/essoterismo nelle varie epoche, a partire dall’antichità fino ad oggi.15 Questo assunto (cioè l’assenza di finalismo nella natura) è ciò su cui si è basata la cd. Scienza con la “s” maiuscola, da Galileo fino ad oggi.16 CA = configurazione analogica.17 La parola exèrchonto significa, secondo il vocabolario di greco antico, “se ne andavano”. Tuttavia la preposizione prefissa al verbo (ek), che di base significa “da”, si può contrapporre alla preposizione apò (= “da”)che nel seguito introduce la parola presbùteroi (= anziani, nel senso di “notabili”). Le due preposizioni sono le uniche che in greco traducono la preposizione “da”, introduttiva dell’idea del moto da luogo. Ciò che differenzia ek da apò è che si riferisce alla sfera semantica della produzione (“da”, perché prodotto da qualcuno/qualcosa), mentre apò si riferisce alla sfera 14

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solo conformemente ad uno solo18, aventi cominciato dagli anziani fino agli ultimi19”. Gl’interlocutori di Gesù hanno cioè percepito con le loro orecchie quanto detto da Gesù e, pertanto, sono entrati in contatto con la nuova configurazione analogica e con il paradigma specifico (diverso da quello della legge) che la regge: vengono così trasformati in “prodotti” umani nuovi, capaci anche loro di “sopraggiungere” nella vecchia CA “per sostituir[la]” con quella nuova. Tale approdo degl’interlocutori di Gesù si appalesa, infine, come avveramento del progetto escatologico20: infatti la salvezza raggiunge “gli anziani”, cioè coloro che avevano una posizione di privilegio nell’umanità (non perché più ricchi o nobili, ma poiché avevano ricevuto l’inculturazione della toràh21), fino agli “ultimi” (cioè coloro che per ultimi vengono invitati al banchetto nuziale per lo sposalizio dell’essere supremo con l’umanità).

Sento già fremere il lettore, che come me è forse nato in un contesto neopositivista, in cui la Scienza è solo quella che verifica le ipotesi dei ricercatori a partire dall’esperienza, nel rispetto dei canoni logici tradizionali. Come giustifico le asserzioni del periodo precedente? Sono forse in grado di dimostrare che ognuno di noi è avvinto da una CA e che, per passare ad un’altra CA, ha bisogno di fare lo stesso percorso fatto da Gesù (oppure di lasciarsi trasformare dalle sue parole, che provengono dalla CA di arrivo)? Posso infine dimostrare che la CA in cui uno è inserito plasma la sua percezione e che tale percezione non è un semplice effetto ottico, ma ci dice cosa sia la realtà? Il difetto di questo approccio verificazionista, su cui l’umanità si consuma da tempo, è pensare che qualcosa possa essere dimostrato; che vi sia una differenza sostanziale tra il convincimento dell’individuo e la persuasione fornita dal discorso scientifico vero e

semantica della nascita (“da”, perché nato da qualcuno/qualcosa). Se unite alla preposizione èos (= “fino a”), che introduce la parola èskatoi (= “ultimi”), abbiamo un perfetto quadro escatologico: nelle varie escatologie, infatti, si deve “produrre” l’uomo nuovo, affinché “nasca” una nuova classe culturale di persone capaci di far pervenire il messaggio fino a coloro che ne erano rimasti esclusi. Il messaggio trasformante deve arrivare a tutti. Diventa così significativa anche la seconda parte della parola exèrchonto, cioè èrchonto, che da vocabolario dovrebbe significare appunto “andare” nel senso specifico di “sopraggiungere (in un gruppo) per sostituire (qualcuno)”. Il progetto escatologico prevede così la sostituzione della vecchia classe culturale, che dirigeva la società umana alla ricerca del potere terreno, con una nuova classe culturale, che faccia volgere l’intera umanità (èos tòn eschàton, “fino agli ultimi”) ad un’evoluzione conoscitiva. Sembra che il vecchio paradigma fondamentale del sefèr (cioè del “discorso che convince”) abbia raggiunto una parte di tale obiettivo, grazie all’introduzione del nuovo paradigma fondamentale della grafè (di cui parleremo tra breve) ad opera del Gesù scritturistico, se oggi ci definiamo “la società della conoscenza”.18 Normalmente l’espressione èis kath’èis viene tradotta “uno per uno”. Il significato grammaticale è corretto e rende il testo molto più scorrevole, ma si perde l’allusione al tema biblico del “solo che non è solo”, del “solo con il solo”: la declinazione di tale tema, in questo caso, è “uno solo conformemente ad uno solo”. Rimandiamo l’analisi di questa perifrasi ad altre pubblicazioni, facendo qui notare soltanto che nel NT ci sono due modi per dire “solo”: mònos (che dà il senso di colui che è lasciato solo) ed èis (che dà il senso dell’integralità dell’essere). La salvezza aperta da Gesù a tutti i suoi interlocutori è quindi quella che riconduce all’integralità dell’essere, senza che nulla e nessuno vada perduto per sempre. La conformità dell’essere, nella sua integralità, a se stesso, vuol dire che l’integralità stessa si completa nel rapporto speculare, grazie a cui l’uomo, specchiandosi in se stesso, riconosce l’essere supremo (o sé archetipico), e in qualità di essere supremo, specchiandosi in se stesso, riconosce l’uomo, affinché sia verificata e accettata la forma di conservazione concordata dal figlio dell’uomo con l’essere supremo.19 Vd. nota prec. alla nota prec.20 Il progetto escatologico è un progetto che ha come obiettivo dare un senso ultimo all’umanità, realizzandolo concretamente nelle occasioni opportune.21 Gli esegeti, tradizionalmente, intendono il termine “anziani” (presbùteroi) con il significato di “notabili”, come vorrebbe il vocabolario di greco antico. I traduttori delle Bibbie in lingua corrente, peraltro, si prendono la libertà di contrapporre gli “anziani” ai “più giovani”, omettendo di tradurre il testo come lo avrebbe inteso un antico di lingua greca. Tuttavia la Bibbia tende a permeare i suoi contesti letterari con una tensione escatologica, che consente di considerare il riferimento ai soggetti privilegiati (i notabili, appunto), come se tale espressione si riferisse al popolo eletto che aveva ricevuto la rivelazione sul Monte Sinai, e le classi meno abbienti (gli ultimi, appunto), come se tale espressione si riferisse agli altri popoli, ai quali non era arrivata fin da principio la rivelazione. Come vedremo tra breve, nell’analisi del termine “scrittura” in ebraico (sefèr), il paradigma fondamentale della conoscenza nell’età antica, fino a tutto il Medioevo, era quello del “discorso che convince”, costituito dalla rivelazione organica e tendenzialmente onnicomprensiva sulla realtà, fatta da un essere superiore all’uomo. In tale generale contesto conoscitivo, la tensione tra privilegiati ed ultimi poteva essere intesa anche in senso conoscitivo, instaurandosi nella contrapposizione tra il popolo che aveva ricevuto la rivelazione giusta e tutti gli altri popoli, ancora abbastanza digiuni da tale rivelazione (che tuttavia avrebbe dovuto convincere anche loro, prima o poi).15

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proprio. Il brano evangelico che stiamo analizzando è stato concepito e dato alla luce proprio allo scopo di convincere su quale sia il modo in cui effettivamente si accresce, per rivoluzioni successive, la conoscenza dell’uomo e, per riflesso, la realtà. Oggi le scienze sociali sono considerate vere e proprie scienze: tra di esse vi è anche il diritto. Si può quindi stabilire, in modo scientifico, cosa potesse succedere ad una donna colta in flagranza di adulterio nell’Israele dei tempi di Gesù. L’intero brano di Gv 8,1-11 è quindi anche un grande esperimento teorico su come un uomo, considerato un potenziale profeta (o addirittura il Messia), avrebbe potuto far prevalere, nel convincimento collettivo, una soluzione misericordiosa al processo di strada (cui ancora oggi, tristemente, si assiste nei notiziari) allestito ai danni di una malcapitata adultera, rispetto all’applicazione della legge religiosa allora vigente. Se l’esperimento teorico convince, ha la stessa autorità della legge di gravità (che, per inciso, pur essendo la legge scientifica meno contestata della storia, non si applica ai confini del nostro universo, secondo la teoria dell’inflazione – ormai generalmente accolta -, né trova applicazione nell’intero multiverso, ma solo all’interno di questo universo). Proseguiamo dunque con l’esperimento teorico di diritto comparato, non per avere cognizione del diritto israelitico dell’epoca, ma per verificare se siamo davvero inseriti in configurazioni analogiche e se Gesù ha trovato il procedimento per fare il salto paradigmatico dall’una configurazione all’altra (quel salto paradigmatico22 a cui T. Kuhn ha dedicato il suo saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ad oggi il testo più importante del discorso sulla scienza, accolto sostanzialmente da tutti gli scienziati).

Gesù si mette dunque a “scrivere dentro la terra”. C’è chi vede tale gesto come una mera curiosità: nella sua vita, infatti, Gesù non avrebbe lasciato alcunché di scritto, se non due freghi per terra. Ma il verbo grafèin (= “scrivere”), come anche il nome grafé (= “scrittura”), rappresentano una chiave di volta nel testo biblico, ben più interconnessa con le altre parole scritturistiche rispetto a nòmos o a toràh. Grafé entra in tensione con il termine ebraico sefèr, che significa anch’esso scrittura, ma nel senso di “conto (numerico), racconto o discorso che convince”. La scrittura ebraica sembra appartenere ad un paradigma fondamentale precedente all’analogia, che con l’avvento della grafè (scrittura come “incisione sulla roccia”) è stato reinterpretato in chiave analogica. Spieghiamo in modo più chiaro questo passaggio cruciale! Il sefér è un “racconto che convince” l’osservatore-uomo, facendo presa sulla sua capacità di trovare segni intorno a sé e “calcolarne” il significato oggettivo a partire dal magma soggettivo da cui emergono. L’oggettività del calcolo-racconto è offerta dalla potenza di chi lo guida (l’essere supremo): di fronte alla complessità e bellezza della sua opera, lo stesso Giobbe esclama: “ora non ti conosco più per sentito dire, ma i miei occhi ti vedono”! Il sopravvento del paradigma fondamentale dell’analogia ha spogliato tale discorso della sua oggettività, offrendo all’essere supremo l’occasione di riformare detta oggettività in accordo con l’uomo, grazie alla mediazione del Messia23 (o Cristo). Possiamo anche considerare il tutto come una mega-operazione culturale, che ha cambiato l’approccio conoscitivo dell’uomo per sempre. Non certo l’ultima, mi auguro però, a cui potrà assistere l’umanità. Passati dunque al paradigma dell’analogia (rappresentato dalla grafé, intesa come scrittura incisa nella roccia), è sorta l’impellente necessità, divenuta del tutto ineludibile, di concordare il significato di oggettività tra l’uomo e l’essere supremo (che intendo come sé archetipico dell’uomo, sintesi delle sue tre funzioni conoscitive fondamentali24 di percezione, intuito e intelletto).

22 Si noti che Kuhn lo chiama “passaggio da un paradigma ad un altro paradigma”. Il termine “salto paradigmatico” è qui volto ad individuare la stessa situazione configurazionale che si ha nel cd. “salto quantico”, nella sua versione cd. spirituale (non nel senso, quindi, della fisica quantistica cui si riferiscono i fisici accademici o i ricercatori della Scienza ufficiale). Tuttavia le dottrine che stanno dietro a questo cd. salto quantico sono ben diverse dalla presente teoria analogico-configurazionale.23 Molti ebrei ritengono che il Messia sia un liberatore della Terra santa e del popolo d’Israele. Già nella Kabbala, però, iniziata nel tredicesimo secolo con la redazione dello Zohar, mi pare che il fulcro della messianicità si sia spostata, anche per molti più ebrei di quelli a cui sopra mi riferivo, su un piano conoscitivo ed esoterico. Mi sento quindi pienamente autorizzato ad adoperare la parola Messia, per introdurre una rivoluzione antropologica fondamentale, che ha cambiato il nostro approccio conoscitivo con la profondità che mi appresto a descrivere.24 Concordo con la tradizione religiosa cristiana che tale sintesi delle funzioni conoscitive sia una trinità di persone, ma non nel senso autoreferenziale in cui tale categoria viene in genere introdotta; bensì nel senso che l’io umano personifica le proprie funzioni conoscitive, spinto dal coordinamento di segni che, emergendo nella sua vita, vanno a formare un progetto di comunicazione personale. La funzione percettiva sarebbe allora, in via di prima approssimazione, personificabile come padre; la funzione intellettiva sarebbe personificabile come figlio; la funzione intuitiva sarebbe personificabile, ancora in via di prima approssimazione, come pnèuma-rùah. Il discorso sulla 16

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Giungiamo così all’analisi del significato di grafé. L’idea d’incidere la scrittura, graffiando la roccia, dà l’idea che scrivere non sia un’attività come le altre: la roccia è quella del cuore, che si lascia scrivere in maniera indelebile. L’assimilazione della roccia al cuore è presente in alcuni brani biblici, tra cui spicca il passo di Ez 11,19, in cui si dice: “toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne25”. Suggerisco di non aspirare ancora al cuore di carne – come vorrebbe tuttavia suggerire il discorso del profeta Ezechiele -, finché non si sia capito abbastanza bene cosa sia il cuore di pietra. Non è un cuore cattivo: è tuttavia un cuore insensibile, non esercitato, in una parola, l’interiorità umana (intesa come luogo in cui si contrappongono, e a volte felicemente si conciliano, gli opposti inconciliabili) che abbiamo ricevuto in dotazione. Se anche, a volte, vediamo nell’uomo i tratti del cuore di carne (più sensibile e funzionale), siamo tutti anche dotati del cuore di pietra (e guai se non fosse così). Se infatti riusciamo a intenderci su qualcosa, in modo tale da poterne fare una bandiera comune (in prospettiva anche storica) a tutta l’umanità, è proprio grazie al cuore di pietra, che può essere inciso. L’incisione sulla pietra è una forma oggettiva ed al contempo ineffabile, praticata su un materiale grezzo ed irregolare. E’ oggettiva, in quanto può essere replicata in ogni cuore umano e portare all’accordo collettivo su forme specifiche della realtà, per il resto del tutto cangiante. E’ ineffabile, in quanto l’incisione sulla pietra richiede il tratto del maestro e l’estro dell’artista, che vengono catturati in modo indelebile. Nel saggio Analogia singolare… ho ricollegato l’aspetto oggettivo e, al contempo, ineffabile della grafé alla nostra capacità di trasformare e indirizzare la realtà grazie alle analogie dirette o singolari. Tali analogie sono composte da due elementi (a loro volta ulteriormente legati da rapporto di analogia ad un novero indefinito di elementi), la cui somiglianza è ineffabile. Si pensi alla frase: “l’uomo è libero”. La troviamo in tutte le costituzioni moderne, ma non ne sappiamo spiegare il preciso significato, in quanto appunto l’accostamento tra uomo e libertà è ineffabile (diffidate, pertanto, da chi vi dice che il principio di libertà dice che la libertà dell’uno finisce dove comincia la libertà dell’altro: si tratta di una spiegazione vuota di significato razionale). Eppure la libertà dell’uomo guida e plasma le nazioni, a partire dalla Rivoluzione Francese fino ad oggi, con una potenza che prevale contro ogni ondata di tirannia e dispotismo. Come ogni mozione di oggettività, però, anche la libertà umana può svuotarsi di significato e rimanere arida per lunghi periodi: se qualcuno però riesce a riattivarla, grazie alla propria testimonianza, altri lo seguono ed essa diventa nuovamente dilagante: è infatti incisa nei cuori di pietra. L’intervento umano, comunque, non basta ad incidere i cuori di pietra con le analogie singolari. Accanto alla testimonianza del pioniere, occorre l’accordo con l’essere supremo, cioè con il sé archetipico26 dell’uomo. Non ogni pioniere, infatti, ha potuto realizzare la rivoluzione che si prefiggeva: solo coloro che hanno incontrato il favore di un’entità superiore. L’entità superiore più potente, in questa realtà che è quella osservata dall’osservatore-uomo, è il sé archetipico dell’uomo. Perfino le mode, o le teorie scientifiche, “sfondano” soltanto quando è matura la svolta archetipica che le accompagna. Come in discoteca, non tutti sono attratti a ballare dalla stessa musica, ma ogni tanto ce n’è una che fa buttare tutti in pista: la musica che attira alcuni soltanto può essere metafora della moda, capace di attirare tanti ma non di convincere tutti; una musica che fa scendere tutti in pista, invece, è metafora di una teoria scientifica che convince l’intera comunità scientifica (o che non trova argomenti contrari), come la relatività generale e la meccanica quantistica (nonostante le immancabili contraddizioni logiche e mancate inferenze, insite in ogni teoria) non hanno trovato argomenti a loro confutazione. La moda può essere intesa come un rivolgimento archetipico di comporto; le convinzioni scientifiche più profonde, invece, costituiscono quei veri e propri riassetti archetipici che cambiano la faccia dell’umanità. In ogni caso, gli uomini seguono il cuore di pietra. E’ per questo che l’idea di una verifica sperimentale del sapere scientifico, tipica del positivismo e del neopositivismo (ancora imperanti), rimane sul podio dell’oggettività nonostante le sue ormai vistose ed insanabili contraddizioni e fallimenti. Essa può apportare progresso tecnologico, ma non rispondere alle domande più urgenti dell’umanità: come salvare il pianeta? come diventare immortali o

personificazione delle funzioni conoscitive fondamentali è abbastanza complesso: dedicherò ad esso un apposito saggio. L’ho già in parte affrontato, comunque, sia in Analogia singolare… che in La questione sospesa…, disponibili sul sito in epigrafe alla copertina.25 Per motivi di tempo non posso tradurre personalmente questo brano, che replico nella traduzione CEI, disponibile anche on line sul sito laparola.net. 26 Intendo il “sé archetipico” quel movimento per cui l’uomo si specchia negli archetipi che lo guidano, riconoscendovi il destino con cui dialogare.17

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giovani ad libitum? come guarire dalle malattie tuttora incurabili (che invece che diminuire, cambiano nome ma rimangono costanti nel numero di vittime)? come salvare l’universo dall’entropia? Con le future rivoluzioni scientifiche, riusciremo forse a rispondere ad alcune di tali questioni, ma solo grazie all’incisione di autentici riassetti archetipici nei cuori di pietra. Solo tale incisione, infatti, garantisce la sequela da parte dell’umanità, grazie al senso di oggettività che ne promana. In sintesi, senza accordo tra uomo e sé archetipico, nessun senso di oggettività può accompagnare gli elementi della realtà.

Tale accordo è però ancora coartato dalle analogie singolari (quelle analogie, i cui elementi sono legati in somiglianza da un qualcosa di ineffabile, o grafé), che formano l’ossatura delle nostre convinzioni collettivistiche27: ecco così reintrodotto, sotto altre spoglie, il principio di oggettività del reale che avevamo grazie al sefèr (discorso che convince). Il sefér non è quindi tramontato, ma è stato reinterpretato grazie alle analogie singolari, che suppliscono all’impossibilità di raggiungere la verità oggettiva. Se quindi guardiamo alla rete analogica delle cose esistenti, non vi sussiste alcunché di oggettivabile: ma grazie alle analogie in cui i termini dell’analogia sono legati da qualcosa d’ineffabile, l’umanità viene ricondotta ad elaborare contenuti cognitivi tendenzialmente oggettivi.

Attualmente ogni cosa, per entrare a far parte della conoscenza dell’osservatore, e quindi essere esprimibile in termini di realtà, deve innescare un’analogia singolare o muoversi entro la configurazione analogica generata da essa. Ma per innescare l’analogia singolare occorre un certo racconto che convinca (sefér). È così che i due paradigmi fondamentali si compenetrano e si costituiscono a vicenda. Per capire la relazione tra tali capisaldi della nostra conoscenza, possiamo lanciare uno sguardo ad alcuni elementi storici, adatti a delimitare il passaggio dal sefèr (che ancora non necessita della grafè) alla grafè (che si reinterpreta a vicenda con il sefér). Un tempo (fino a tutto il Medioevo) era sufficiente, per convincere l’osservatore della realtà, dire la celeberrima frase: ipse dixit; che significa: “egli stesso lo ha detto”. Il soggetto a cui tale frase si riferiva era in genere Aristotele, ma poteva anche trattarsi di qualunque altro autore che avesse eretto un sistema interpretativo del reale, accreditato per la sua imponenza e capillarità. Non occorreva verificare le affermazioni dell’autore accreditato, poiché l’umanità (e così la realtà osservata da questa) erano sotto l’ègida di poteri schiaccianti ed estremamente complessi, i quali, senza un sistema conoscitivo che provenisse per rivelazione-illuminazione da tali poteri stessi (o da chi/ciò che a sua volta li soggiogava, in qualità di essere supremo), risultavano del tutto imperscrutabili. Non ci si poneva il problema della verifica, è vero, ma non perché si fosse disinteressati alla previsione degli eventi (che anzi occupava settori d’immensa importanza culturale, quali il vaticinio e l’oroscopo, a secondo delle età storiche considerate). Il punto è che si comprendeva talmente bene quanto fosse complessa la realtà (a differenza di oggi), che una predizione di una serie molto tipizzata di eventi (per esempio l’insorgenza di una specifica malattia) non fosse ritenuta molto utile ad orientarsi nella conoscenza, ma fosse avvertita invece l’esigenza di un sistema ben strutturato e tendenzialmente onnicomprensivo. Non c’era l’idea di suddividere la conoscenza in tantissime fonti, per integrarla alla bene e meglio, ma nel modo più verificato possibile (come si fa oggi): il sistema ben strutturato, infatti, doveva assicurare uno sguardo complessivo su qualunque cosa. Potrebbe venirci da dubitare fortemente di un simile approccio, anzi, per l’esattezza, quasi tutti oggi – nei contesti istituzionali - lo disprezzano come qualcosa di retrogrado. Eppure, nell’incipit di questo libro ci eravamo accordati per non scartare nessun approccio, prima di averlo verificato28. Se

27 Per un’analisi puntuale del tema, rimando al primo saggio di questo percorso esoterico, il cui titolo è Analogia singolare…, pubblicato sul sito in epigrafe della copertina.28 Non accetto critiche di surrettizio verificazionismo. Come precisato nell’incipit di questo libro, la verifica delle teorie esoteriche è d’obbligo quanto quella delle teorie essoteriche. La verifica sulla funzionalità di una teoria non significa, infatti, che non si possa confezionare un sistema estremamente complesso e, solo dopo, assoggettarlo a verifica. Un esoterista, infatti, se ritiene di ricevere una rivelazione-illuminazione, avrà necessità di formare in modo abbastanza compiuto il proprio sistema teorico (composto, in genere, da varie teorie) e solo dopo sottoporlo a verifica. La verifica, poi, non sarà necessariamente quella dell’esperienza di laboratorio. Anzi, la verifica di laboratorio, che tende ad isolare il fenomeno oggetto di studio, può di rado offrire una verifica positiva ad una teoria esoterica, proprio perché la spoglia della sua efficacia prima ancora di averla messa alla prova. La medicina tradizionale cinese, ad esempio, studia i fenomeni nelle loro interconnessioni e formula diagnosi in base ad una visione complessiva della situazione fisico-interiore del paziente: tentare di isolare un singolo fenomeno, nella verifica di una simile diagnosi, equivale a negare in partenza la diagnosi stessa. Sono stati fatti, peraltro, moltissime sperimentazioni sull’efficacia della medicina tradizionale cinese, che hanno dato buoni risultati (anche se non validi, alla stregua del paradigma occidentale 18

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dunque il paradigma del sefér non consentiva l’accumulo progressivo di conoscenze verificate, consentiva tuttavia di convogliare gli sforzi di tutti gli uomini nella pratica e nello studio di un singolo sistema teorico (o di un novero molto limitato di tali sistemi). Se il sistema che si fosse imposto avesse davvero avuto alla base una rivelazione-ispirazione superiore, l’uomo avrebbe così potuto raggiungere i suoi obiettivi più spregiudicati e superare gli scogli evolutivi più sfidanti. Tale approccio era quindi più idoneo di quello attualmente prevalente, per ottenere quanto qui ci prefiggiamo29. Oggi tale approccio è tuttora presente e sempre più importante, anche in Occidente, grazie alle tecniche cd. orientali. Si tratta di sistemi scientifici estremamente complessi, che sono stati solo in parte prodotti a seguito di verifiche puntuali. Per la maggior parte tali tecniche sono simili, nell’impostazione esoterica, ai sistemi teorici che nell’età antica e nel Medioevo ricevevano la massima considerazione e guidavano il pensiero istituzionale. Alcuni di essi si fondano su scritti sapienziali la cui lingua (il sanscrito) richiede vent’anni di studio, solo per acquisire una conoscenza linguistica di base. E’ evidente come una tale ricerca di precisione e un approccio così complessivo alla realtà non possano passare dalla cd. verifica di laboratorio. Chi ha l’ardire di studiare tali sistemi teorici, riesce al massimo e a mala pena ad applicarli. Oggi, fortunatamente, è sempre più avvertita l’esigenza di sottoporli a verifica. Grazie a simili verifiche si potrà stabilire se vi siano alcuni sistemi esoterici più efficaci di altri e se l’uomo possa affidarsi con più fiducia (come l’umanità è già abituata a fare, da vari millenni) all’idea di una rivelazione-illuminazione abbastanza penetrante, da consentire il superamento degli scogli anzidetti.

Tornando al brano evangelico su Gesù e la donna adultera, eravamo arrivati al punto in cui Gesù “scriveva dentro la terra”. Abbiamo notato che il verbo greco adoperato per descrivere tale azione è estremamente significativo: grafèin. La parola grafè c’introduce così al paradigma fondamentale che il Gesù scritturistico introduce nell’umanità, fino a tutt’oggi: l’analogia. Abbiamo parlato diffusamente del paradigma dell’analogia nel saggio Analogia singolare…, pubblicato sul sito www.bridge4will.net, in cui abbiamo distinto le analogie indirette (che sono quelle che costituiscono buona parte del nostro linguaggio) da quelle dirette o singolari. Non vi è tendenzialmente alcun elemento del nostro linguaggio, come della nostra percezione e della nostra intuizione, che non debba esprimersi altro che in termini analogici. Il paradigma suddetto, che si applica ad ogni configurazione analogica (che a sua volta è il contenitore naturale di ogni elemento della realtà), si fonda sull’opera delle analogie singolari, da intendersi come analogie ineffabili. Le analogie sono ineffabili, quando il collegamento tra i due elementi dell’analogia non può essere spiegato a parole. Tali analogie sono introdotte nelle coscienze umane grazie all’accordo tra un testimone umano ed un’entità superiore. Detta entità è da noi individuata nel sé archetipico, o essere supremo (che dir si voglia)30. Concentrandoci ancora sul verbo “scrivere”, notiamo che, se lo riferiamo all’azione di produrre analogie singolare, esso diventa il motore della realtà. Un motore potenzialmente evolutivo, in quanto risulti davvero in grado di produrre analogie singolari nuove (cioè non ancora preimpostate né armonizzate nella rete delle configurazioni). In questo modo, l’azione di “scrivere dentro la terra”, da azione banale (come se si trattasse di fare scarabocchi in terra) diventa estremamente significativa, alla luce del contesto di riferimento. Gesù, infatti, sta per proporre una rivoluzione antropologica, trasformando il rapporto tra uomo e legge (religiosa). Ma, cosa altrettanto (se non più) importante, Gesù ci sta facendo vedere come si esce da un vicolo cieco interpretativo.

Per l’esattezza, nel brano evangelico si adopera un verbo composto, al quale viene prefissa (prima di grafèin) la preposizione katà, che vuole dire “conformemente”. Gesù, dunque, “scriveva conformemente”.

dell’evidence based, cioè della verifica sperimentale o di laboratorio). Non potremo quindi mai sapere (in base al paradigma succitato) se il singolo paziente, curato con la medicina tradizionale cinese, sia guarito proprio grazie all’erba che gli ha somministrato il medico, ma potremo sapere le percentuali di guarigione (a qualunque elemento la singola guarigione sia collegata).29 Si noti che, per quanto disprezzato in Occidente nei contesti istituzionali, l’approccio olistico e/o esoterico ha ottenuto importanti successi legislativi, oltre che molto appeal presso i pazienti. In alcune nazioni occidentali, tra cui l’Italia, il servizio sanitario pubblico offre anche molte prestazioni di medicina alternativa (chiamata “complementare”, per distinguerla dalle medicine alternative ancora non “spesate” dal sistema pubblico). In Toscana, dal 2016, è stata introdotta nella legge, tra le medicine complementari, perfino la disciplina dell’antroposofia. Io stesso, infine, mi curo la schiena con venti minuti di Chi Kung ogni due settimane, invece che fare due o tre ore di fisioterapia a settimana (che per una schiena come la mia sarebbero d’obbligo).30 In un altro saggio proporremo la personificazione di tale entità da parte dell’osservatore-interprete umano.19

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Ma conformemente a cosa? Nel vocabolario si indica un significato un po’ diverso: non “scrivere conformemente”, ma “correggere”. Il significato “correggere” è frutto del seguente ragionamento: se uno “sta scrivendo conformemente” ad un modello, allora, ogni volta che sbaglia, si mette a “correggere”. Si noti che Gesù, nella prima parte del brano, “corregge dentro la terra”; nella seconda parte, invece, “scrive dentro la terra” (in quanto al verbo grafèin manca il prefisso katà). Gesù ha forse imparato, nell’arco di qualche minuto, a scarabocchiare per terra, senza più bisogno di correggere i propri scarabocchi? O non dovremmo forse ravvisare una netta contraddizione logica, all’interno di questa narrazione? Il modello, infatti, viene sempre prima e la correzione, per eguagliare il modello, viene sempre dopo. Vista questa contraddizione, è evidente che il gesto del correggere/scrivere è una chiave interpretativa indispensabile alla comprensione del testo. L’idea che Gesù, in un primo momento, fosse incerto nello scrivere, incline alla correzione, e poi invece sicuro in tale attività, è tutt’altro che fuorviante: ma tuttavia non basta a decifrare il testo! Occorre anche un massiccio approccio esoterico, che imposti il problema in modo che sia risolubile. Non ci ostineremo a cercar di capire cosa Gesù stia correggendo, dal momento che non emerge in alcun modo dal testo. Un approccio essoterico (tipico dell’esegesi tradizionale) ci consentirebbe di aggiungere a piacere elementi estranei al brano, come per ricostruire un testo monco di alcuni elementi: ma si tratterebbe pur sempre di una nostra invenzione, costruita per confermare le nostre precomprensioni. È così che, per tentare la strada dell’approccio esoterico, torneremo alla traduzione più letterale: Gesù “scriveva conformemente”.

Il modello secondo cui Gesù stava scrivendo, era proprio quello della grafè (scrittura intesa esotericamente come incisione sulla roccia). Se la grafè - come sopra abbiamo specificato - è muoversi tra le configurazioni analogiche, grazie ai salti paradigmatici, la “grafè in conformità” potrebbe essere quella che non salta da una configurazione all’altra, ma rimane nella configurazione in cui è inserita. Tuttavia questo restare nella configurazione di partenza non è sterile, in quanto si basa sulla riproduzione del modello stesso di tale specifica configurazione, che è l’analogia singolare (cioè la somiglianza ineffabile) che l’ha costituita. Ogni analogia singolare, infatti, costituisce una CA31 di arrivo, permettendo così di abbandonare la CA di partenza. Essa costituisce, quindi, il modello o l’archetipo32, posto alla base della CA di arrivo. Questo percorso esistenziale vissuto dal Gesù scritturistico, che gusta l’ineffabile stesso che lo ha rinchiuso nel vicolo cieco interpretativo, consente al protagonista del nostro brano biblico di approdare alla serenità e poi d’immergersi nella morte intuitiva33 (autentico mare dell’essere, sotto la cui bonaccia si carica l’onda intuitivo-percettiva che formerà la nuova analogia singolare).

Analizziamo ora, con puntualità, ognuno dei passaggi significativi sinora accennati nel brano:1) Gesù viene chiuso in un vicolo cieco interpretativo. Ciò avviene ad opera di alcuni detrattori che lo

inseriscono in un percorso di autocoscienza34, a vigore del quale non si può uscire dalla CA della legge mosaica;

2) in tale CA, si applica la regola della lapidazione della donna adultera, colta in flagranza di adulterio, nonché la regola di condannare a morte i soggetti sediziosi che contestassero l’applicazione della legge mosaica stessa;

31 CA = configurazione analogica.32 Potrà trattarsi di un vero e proprio archetipo, quando sia in grado di costituire un intero sistema di configurazioni analogiche. Per esempio, l’analogia singolare dell’assimilazione del nutrimento da parte degli organismi viventi (che è somiglianza ineffabile tra nutrimento assimilato e organismo vivente assimilante, in quanto è impossibile spiegare in che senso il nutrimento renda l’organismo vivente simile a se stesso, nonché in che senso l’organismo vivente renda il nutrimento, del pari, simile a se stesso) costituisce l’intero sistema di CA che segnano il percorso della digestione e dell’intossicazione, a tutti i livelli di organismi viventi (da quelli unicellulari fino ai grandi mammiferi). Invece l’idea che il colore che traluce appena, in fondo all’iride dell’occhio di una persona, ci faccia capire se ha un temperamento malizioso, passionale o violento, è un’analogia singolare che costituisce una CA adoperata in arte e letteratura, ma di poco momento nell’economia di un organismo vivente. Nel primo esempio siamo di fronte ad un archetipo (in quanto “comincia” – da arché = cominciamento – un intero sistema di configurazioni, tra cui muoversi con agili percorsi di autocoscienza), nel secondo esempio di fronte ad un semplice modello di una singola CA (che, da sola, può sostenere al massimo un breve tratto di percorso di autocoscienza).33 Morte intuitiva = assenza d’intuizioni coscienti.34 Spiegherò in un altro capitolo, appositamente dedicato, cosa siano i percorsi di autocoscienza. Per adesso vi chiedo di dare per scontato che ne abbiate almeno una conoscenza intuitiva (cosa di cui sono convinto).20

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3) Gesù, messo alle strette, esprime con il proprio corpo la tensione volontaristica di uscire dal vicolo cieco;

4) si conforma interiormente al modello/archetipo della configurazione in cui è stato rinchiuso (questo passaggio può essere realizzato meditando sull’analogia singolare in parola);

5) scivola così in uno stato di serenità-tranquillità psicologica;6) da tale stato scivola ulteriormente nella morte intuitiva (cioè nell’assenza d’intuizioni consapevoli),

per preparare una nuova intuizione35.Un simile schema operativo (che più in là chiameremo con il nome generico di “schema

configurazionale”), richiede senz’altro una verifica. Ma si tratterà di una verifica self-made. Ciascuno di noi umani, infatti, ha la facoltà di verificare in che modo abbia raggiunto un’illuminazione paragonabile a quella di Gesù. Qualcuno potrebbe obiettare che tali casi d’illuminazione siano più unici che rari: se siete di questo parere, potrete verificare le cronache di eventi simili, in quanto nella storia umana una simile illuminazione non è capitata solo a Gesù. Penso tuttavia che un’esperienza simile sia capitata nella vita di ciascuno: quasi sicuramente nell’infanzia, ma qualche volta anche nella vita adulta. Detta esperienza, non a caso, consiste appunto nel tornare bambini: i bambini si elevano grazie alla capacità di trovare ovunque l’ineffabile, ma avendo ancora poca dimestichezza con la complessità dei linguaggi umani, devono gioco-forza diventare adulti, nella speranza (ancora un po’ remota, a dire il vero, in questa società) di tornare poi bambini: cioè di tornare capaci di elevarsi, grazie al rinvenimento, attorno a loro, dell’ineffabile. Non so se è chiaro (ma mi auguro che lo sia), che nel mio discorso non c’è alcunché di “confettoso”, ma piuttosto un’esposizione (un po’ semplificata e quindi più snella) di alcuni argomenti tecnici di una certa complessità, a cui non vorrei negare – con un eccessivo tecnicismo - il fascino che da sempre esercitano sull’umanità. Penso quindi che, quando avete dipinto o guardato un quadro di particolare bellezza, ogni tanto vi sia capitato d’immergervi in qualcosa d’indescrivibile. Ebbene, è proprio a tali situazioni che dovreste riportare la memoria, per verificare se lo schema sopra riportato corrisponda a ciò che ricordate di aver vissuto (sperando che la memoria ci assista!). Si tratta di ricordare attimi che si volatilizzano… Meglio sarebbe, ancora una volta, basarsi su cronache puntuali, redatte nell’immediatezza del ricordo da chi le ha vissute. In mancanza di meglio vi propongo, a titolo di materiale per la nostra verifica, una cronaca di età contemporanea – veramente suggestiva ed importante, per le sue vaste implicazioni sulla scienza occidentale. Si tratta della narrazione, fatta da E. Schrödinger36, su come abbia avuto l’illuminazione che lo ha portato a formulare il paradosso del gatto sia vivo che morto37. Tale paradosso ha reso evidente, per quanto imperscrutabile (e quindi ineffabile), la distinzione tra il funzionamento della meccanica quantistica38 e quella dei corpi macroscopici. Alla fine dell’esperimento mentale, che porta all’esito contemporaneo del “sistema gatto vivo” e del “sistema gatto morto”, non sappiamo razionalmente dire se davvero il principio d’indeterminazione39 non possa applicarsi ai corpi macroscopici (nonostante le intenzioni dell’ideatore del paradosso). Schrödinger, infatti, voleva mostrare in modo chiaro e intuitivo che la duplicità di stati, in cui può trovarsi un sistema quantistico, non si applica ad un sistema macroscopico. Ma procediamo con ordine: prima esporrò il principio d’indeterminazione, poi il paradosso, poi ne spiegherò il carattere ineffabile, infine riporterò, in versione sintetica, la cronaca sull’illuminazione che ha condotto il suo autore a idearlo.

35 La nuova intuizione di cui trattasi è un’ulteriore analogia singolare, che consenta il passaggio ad una CA di arrivo, priva delle regole suindicate (lapidazione per gli adulteri e condanna a morte per chi contesti l’applicazione della legge di Mosè). Questo aspetto sarà trattato in seguito, dopo l’esempio contemporaneo del paradosso di Schrödinger.36 Per amore di precisione, ho reperito tale narrazione come materiale di seconda mano, in un libro divulgativo sulla quantistica che ho frattanto smarrito. Qualunque imprecisione potrà essermi puntualmente segnalata all’e-mail [email protected] o con un commento sul sito www.bridge4will.net. 37 Per amore di precisione e per comprendere bene l’esperimento mentale, non si dovrebbe dire che “il gatto è sia vivo che morto”, ma che il sistema “gatto vivo” (composto dall’insieme dell’atomo di uranio, con la sua ipotetica radiazione assente, e il gatto chiuso nella scatola di acciaio) ed il sistema “gatto morto” (composto dall’insieme dell’atomo di uranio, con la sua ipotetica radiazione presente, e il gatto chiuso nella scatola) sono due stati compresenti.38 E’ la branca scientifica applicabile alle entità fisiche collocate entro le dimensioni misurabili con la scala di Planck.39 secondo tale principio, in questi casi, non si può determinare con precisione lo stato di un sistema, prima di aver raccolto l’informazione su un suo elemento posto altrove nello spazio-tempo e senza possibili scambi di energia o materia con il resto del sistema stesso.21

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Occorre inizialmente una premessa sul tipo di principio (quello d’indeterminazione40) cui il paradosso si riferisce. Una coppia di micro-particelle (chiamate “quanti”), a certe condizioni, mostra che il rispettivo spin41 è collegato: al punto che dalla rilevazione dello spin dell’una micro-particella si può ricavare con certezza42 lo spin dell’altra micro-particella, a qualunque distanza si trovino l’una dall’altra. I due quanti costituiscono così un sistema con una duplicità di stati (spin positivo e spin negativo), tra i quali si può individuare il singolo stato effettivo solo dopo aver verificato lo spin di uno dei due corpuscoli. Di tal guisa, però, non trovano applicazione né il principio di causa-effetto, né l’assoluto dello spazio o dello spazio-tempo, poiché non si riesce a ravvisare un passaggio di materia o di energia che giustifichi il contemporaneo collegamento delle due informazioni (che si verifica anche quando i due quanti sono dislocati a distanze tra loro immense). Si pone quindi la questione se viga un principio di relazionalità tra i due quanti o se sia semplicemente abolita la caratteristica della località (indispensabile per l’applicazione del principio di causa-effetto)43.

Le implicazioni per il discorso sulla scienza sono immense. Ma se al posto di uno dei due quanti mettessimo un gatto, il risultato della duplicità degli stati resterebbe invariato? Shrödinger lascia aperta la risposta alla domanda. Il suo intento, nell’introdurre il paradosso – che stiamo per esporre -, era senz’altro polemico rispetto all’applicazione indiscriminata dei principi della quantistica a contesti fisici macroscopici. Si noti che per verificare l’entanglement (cioè il collegamento sopra descritto tra due micro-particelle) occorrono calcoli molto complessi, che se applicati a sistemi di cinquanta micro-particelle diventano poi esponenziali (nonché tuttora impraticabili in laboratorio). L’esperimento teorico che vi stiamo per esporre è però ineccepibile, in quanto ricostruisce un sistema perfettamente integrato tra fisica microscopica e fisica macroscopica. Ecco come si conduce l’esperimento teorico: un atomo di uranio è inserito in un contatore geiger e quest’ultimo in una scatola di acciaio, senza aperture, insieme ad un gatto e ad un dispositivo mortale; se nella successiva ora si ha la perdita di un elettrone dall’atomo di uranio (probabilità del 50%), allora il gatto viene ucciso dal dispositivo mortale. Dopo un’ora di esperimento si apre la scatola e si constata se il gatto è vivo o morto (eliminando così lo stato d’incertezza), ma fino ad allora il sistema “atomo di uranio + gatto” si trovano in una duplicità contemporanea di stati. Si noti che tale duplicità di stati è la stessa in cui si trovano (per altre ragioni) i due quanti tra loro entanglati44. Solo la constatazione dell’osservatore sullo stato del sistema, pertanto, può interrompere la duplicità di stati: non è difatti offerta alcuna possibilità di verifica prima dell’apertura della scatola. Ebbene niente ci dice come sia possibile distinguere il sistema testé indicato da un sistema fatto di due quanti tra loro entanglati (eccetto che il procedimento seguito nel realizzarlo). L’intento di Schrödinger era esporre una polemica nei confronti della quantistica e dei suoi principi (che pure aveva contribuito a scoprire), se generalizzati al di fuori di un contesto di micro-particelle. Ma per farlo, l’autore ha introdotto una configurazione analogica retta da un quesito la cui risposta è invero ineffabile: si può realmente distinguere tra un sistema di entanglement quantistico tra micro-particelle e un sistema, pensato ad arte, in cui uno dei due quanti è sostituito da un organismo vivente? In un attimo, l’intera complessità della fisica quantistica viene abbattuta, o meglio paragonata ad una situazione banalmente ripetibile. Le uniche condizioni imposte dall’esperimento mentale sono che, nella scatola di acciaio, non s’inseriscano sensori capaci di rilevare lo stato vitale del gatto, né che i rumori provenienti da quest’ultimo siano udibili con la strumentazione a disposizione del ricercatore. Si tratta così di un mero paradosso? Eppure per un attimo è trapelato un principio inedito: se si limita il novero d’informazioni acquisibili da qualunque osservatore autocosciente, allora ad un sistema macroscopico può applicarsi la stessa regola della non località/relazionalità, che si verifica nell’entanglement quantistico. Ciò che fa veramente la differenza, nel superamento dei cd. assoluti di spazio, di tempo e di principio di causa-effetto, non è dunque la precisione dei calcoli fisico-matematici 40 Invece che enunciare il principio d’indeterminazione, ne esporrò un esperimento di laboratorio (quello dell’entanglement quantistico), che è solo uno dei più noti esperimenti riguardanti il principio stesso.41 Lo spin è l’informazione sulla direzione di rotazione del corpuscolo, la quale può assumere soltanto un valore positivo o negativo.42 Cioè con una statistica di successo che si avvicina molto al 100%.43 Si noti che, in tempi recenti, è stato condotto un esperimento simile, ma costituito da un test cui hanno partecipato (in due continenti diversi) due gruppi molto numerosi di soggetti. I risultati del test hanno confermato un collegamento di tipo “quantistico” anche tra i pensieri umani.44 Cioè collegati dall’entanglement quantistico.22

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(possibile, per il superamento di tali assoluti, solo nel campo delle micro-particelle), ma la configurazione analogica che regola la conoscenza dell’osservatore autocosciente. Si può pervenire a tale assunto, tuttavia, solo grazie al paradosso di Schrödinger! Se non si verifica, infatti, la possibilità radicale dell’evenienza, sopra descritta nel suo paradosso, l’uomo non può convincersi (a livello dell’io collettivo) riguardo al principio enunciato. Accanto al paradigma fondamentale dell’analogia – approfondito sopra, in questo stesso capitolo - se ne prepara dunque un altro, che chiamerei della “libera interpretazione”. Cioè di quella interpretazione grazie a cui l’uomo sceglie liberamente su cosa costruire l’evoluzione dell’organismo vivente autocosciente (e quindi su cosa costruire la realtà). L’uomo ha deciso di costruire la realtà sul paradosso di Schrödinger, che dagli anni ’30 del secolo scorso ad oggi non ha cessato di trovarsi sulla bocca di molti. La notorietà di un simile paradosso, che non aumenta in nulla la conoscenza in campo quantistico, trova la sua giustificazione nell’approccio conoscitivo che vi rimane nascosto, ma che chiunque riesce (suo malgrado) ad intuire. Tale intuizione scava dall’interno l’umanità e la prepara per fare un salto epistemologico. Schrödinger ha quindi raggiunto, grazie all’analogia singolare sopra descritta, una nuova configurazione analogica, in cui vigono regole radicalmente diverse da quella in cui era precedentemente confinato l’uomo: quest’ultimo, purtroppo, non se ne è ancora accorto. Lo stesso Schrödinger, non accorgendosene, ha omesso di portare il nuovo paradigma conoscitivo alla sua concretizzazione (che è tuttavia oggetto, almeno in parte, di questo saggio).

Ma come è arrivato Schrödinger a questo risultato strabiliante (pari, almeno, a quello di Gesù che rovescia i termini della questione sulla legge)? Sembra che, quando ricevette l’illuminazione, si trovasse nottetempo a riflettere, mentre percorreva una strada illuminata dai lampioni. Si stava dunque scervellando sul modo in cui presentare l’entanglement quantistico, al fine di renderne chiara l’inapplicabilità ai sistemi macroscopici. Vi era infatti stato un gran subbuglio, nel mondo scientifico, e molti ritenevano di poter dimostrare l’applicabilità della fisica quantistica anche ai macro-sistemi. Improvvisamente si accorse che i lampioni si stavano spengendo e riaccendendo all’unisono, probabilmente per degli sbalzi di tensione. Gli venne dunque l’illuminazione di considerare i due stati contemporanei della materia, anche a livello dei corpi macroscopici. Per far questo si aiutò appunto con la luce (cioè con un elettrone). Da lì costruì il suo esperimento teorico.

Non avendo a disposizione una cronaca veramente puntuale dell’evento sopra descritto (come la richiederebbe uno psicanalista, che interpreta i sogni del paziente, chiedendo a quest’ultimo di scriverli non appena sveglio), dobbiamo cercare di trarne gli elementi rilevanti, anche desumendoli dal contesto. La prima cosa che salta all’occhio è che Schrödinger si trova in un vicolo cieco interpretativo, poiché i termini del problema che vuole risolvere sono resi fissi da un paradigma, che regola il suo pensiero. Tale paradigma è quello che impedisce di paragonare tra loro sistemi micro-scopici e sistemi macro-scopici. Non potendo paragonarli lui stesso, però, non poteva impedire che altri lo facessero, poiché non comprendeva in base a quali assunti essi, invece, riuscissero a farlo (o se ne prendessero la licenza). E’ come quando assisti ad una cosa così sbagliata, che tu mai faresti, ma non riesci a trovare argomenti per convincere chi l’ha fatta a desistere: ti accorgi infatti intuitivamente che le motivazioni che lo guidano sono talmente differenti dalle tue, che non potresti entrare in contatto con la sua coscienza e convincerla. Tuttavia il fisico, quella notte, si scervellava per riuscire nel proprio intento. Tale intensa attività di riflessione, fatta probabilmente di una certa cadenza del passo, di alcuni gesti della mano o di borbottìi, costituiva una riedizione del metodo di obiezione di coscienza, fatto con i gesti corporei, che aveva adottato Gesù per schierarsi interiormente contro l’applicazione della regola della lapidazione degli adulteri. La regola contro cui combatteva Schrödinger era quella “dell’ammutolimento del contraddittore stupefatto”, che trova applicazione ogni volta che il paradigma di riferimento t’impedisce di paragonare tra loro due situazioni, che invece il tuo interlocutore sta allegramente paragonando45. Improvvisamente, durante la tensione intellettiva del suo scervellamento, Schrödinger si accorge di un particolare che lo introduce nel nuovo paradigma (grazie a cui uscirà dal vicolo cieco). Il finalismo dell’uomo-osservatore si trova così collegato ad un elemento concreto che gli offre la soluzione, permettendogli di razionalizzare il nuovo paradigma. Non posso sostenere che egli

45 Come cercheremo di spiegare nel prosieguo di questo saggio, alcune regole si applicano a più configurazioni analogiche. E’ come se si trattassi di regole standard che, mutatis mutandis, fungono da carta jolly per varie configurazioni (ma non per tutte). Si può quindi evitarne l’applicazione, passando da una CA in cui trovano applicazione in una CA in cui non trovano applicazione. E’ quello che fa Schrödinger.23

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sia passato dallo stato di serenità-tranquillità psicologica, che trovo nel brano evangelico, ma lo posso supporre: chi si preoccuperebbe dei lampioni che lampeggiano, mentre si sta scervellando così duramente, se non ha raggiunto un momento di saturazione nell’attività cerebrale? Tali momenti di saturazione prelude, nell’immediato, al raggiungimento di una calma momentanea. A seguire questa calma, l’intuizione! Ma cos’è un’intuizione così folgorante? Non è forse l’emergere di un nuovo modo di collegare tra loro le cose, a partire dalla bonaccia del mare intuitivo? Se non si fermano prima le intuizioni (che durante uno scervellamento vengono fatte correre veloci, ma rimangono improduttive di nuovi significati logici), non si ottiene l’emersione di una nuova intuizione risolutiva. Così abbiamo verificato che, in questo caso, l’uomo-Schrödinger ha percorso gli stessi passaggi del Gesù scritturistico, per arrivare a formulare un nuovo paradigma. La concretizzazione del paradigma, in Schrödinger, si ferma però ad una prima concretizzazione (il paradosso del gatto vivo e del gatto morto), senza far proseguire il ragionamento fino al principio che avevamo detto sopra.

Tutto il discorso sul famoso paradosso quantistico, sopra descritto ed analizzato, non ci serviva ad altro che a questo: specificare come il percorso di coscienza dell’osservatore - per evitare a quest’ultimo di rispettare una legge (fisica, sociale, o di qualunque altro tipo) - deve adoperare il salto paradigmatico, per passare da una configurazione analogica ad un’altra, adottando (anche inconsciamente) un preciso modo di procedere. L’uomo ha quindi la radicale capacità di violare leggi di natura, grazie ad un salto paradigmatico (cioè cambiando paradigma specifico di riferimento, all’interno di uno stesso percorso di coscienza). Ciò comporta il passaggio da una configurazione analogica di partenza (retta dal primo paradigma) ad una configurazione analgica di arrivo (retta dal secondo paradigma).

Tale passaggio può essere reso accessibile anche agli altri esseri umani, diversi dal pioniere che lo ha introdotto. Dopo che Gesù stesso ebbe compiuto il salto paradigmatico, esprimendo ai suoi avversari la celebre proposta: “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, si dice che egli ègrafen eis tèn ghèn (“scriveva dentro la terra”). Con questa seconda attività di scrittura, egli permette anche ai suoi detrattori di fare il medesimo salto paradigmatico. Gesù, infatti, non stava più “scrivendo conformemente” (cioè soltanto nella CA46 di partenza), ma stava “scrivendo” e basta: quindi stava scrivendo qualcosa di nuovo47, evidentemente nella CA di arrivo. E’ grazie a questa seconda scrittura, libera dal primo modello/archetipo che reggeva la CA di partenza, che i suoi avversari cominciano a seguire il nuovo paradigma. Il momento è fatidico: se quel salto paradigmatico viene compiuto solo da Gesù, allora la donna adultera viene lapidata. Ma, soprattutto, oggi il Gesù scritturistico sarebbe uno dei tanti profeti finiti nel quasi-dimenticatoio. Non certo il Gesù della rivoluzione antropologica della misericordia, che permette anche all’uomo passi avanti nell’evoluzione. C’è un qualcosa d’ineffabile che, ancora una volta, decreta il successo tanto del paradosso

46 Configurazione analogica.47 Quando parlo di nuova configurazione analogica, come anche di “scrivere qualcosa di nuovo” nella configurazione di arrivo, non intendo dire che il pioniere costituisce da zero una configurazione prima inesistente. Al di là che con le configurazioni analogiche non si può più di tanto ragionare in termini cronologici (se non per essere introdotti a considerazioni di tempo non cronologico: tempo finalizzato cioè a cogliere il kairòs, occasione opportuna d’incontro, grazie al coordinamento degli elementi analogici dell’incontro stesso), le CA nuove possono essere: 1) (ri)scoperte dal pioniere per la prima volta, ma già preimpostate con le altre CA adiacenti a formare un sistema della realtà; 2) create da zero, grazie ad un’analogia singolare creazionale. Tale ultima analogia singolare non è solo un’analogia ineffabile, ma è un’analogia ineffabile il cui paradigma è così inconferente con il paradigma di qualunque altra configurazione esistente che, a partire dalle configurazioni con cui abbia almeno uno o più elementi analogici in comune, inizierà a drenare i percorsi di coscienza del pioniere e di quelli con cui le sue parole ed espressioni corporee e telepatiche entrano in contatto, fino a costituire interi sistemi configurazionali inconferenti con i vecchi sistemi configurazionali e, infine, a diventare tendenzialmente onnipresente nella rete analogica delle cose esistenti, facendo parte del tessuto costitutivo di ogni sistema configurazionale e perfino di ogni CA. In alternativa (se cioè la CA creazionale non arriva a tale livello di omogeneità con la rete analogica), viene ridotta a livello di sistemi e poi drenata di tutti i suoi percorsi.24

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di Schrödinger quanto dell’economia della misericordia48 presso l’io collettivo altrui49. Ma cosa possiamo dire di questo ineffabile, affinché ne risulti chiaro almeno il funzionamento?

Anche qui, solo un’analisi esoterica dell’ègrafen eis tèn ghèn può toglierci d’impiccio. Il verbo ègrafen è coniugato alla terza persona del tempo imperfetto del modo indicativo. Nell’interpretazione esoterica che proponiamo, non conta chi sia il soggetto dell’azione dal punto di vista narrativo. Il soggetto è direttamente la terza persona singolare, che nel linguaggio escatologico è la più potente: quella che rappresenta il movimento stesso dell’essere (cioè il movimento e la forza evolutiva della realtà). C’è quindi una forza, che deve accordarsi con il pioniere, affinché il salto paradigmatico possa diffondersi a macchia d’olio a tutti gli osservatori, e pertanto nell’intera rete analogica delle cose esistenti. Tale forza non è semplicemente l’“essere supremo”, inteso come sé archetipico dell’uomo, sintesi delle sue tre facoltà conoscitive fondamentali di percezione, intuito e intelletto. Detta forza, infatti, è l’accordo dell’essere supremo con l’interprete umano accreditato presso di lui: interprete che è chiamato, in escatologia, “figlio dell’uomo”. L’accordo tra interprete umano e tale entità (il sé archetipico) comporta il dispiegamento di una forza capace di sottrarre l’attenzione di ogni osservatore da un certo elemento analogico, inserito in una CA di partenza, e di farlo volgere concretamente dentro una CA di arrivo (eis tèn ghèn), cioè in uno stato di serenità e tranquillità psicologica. Viene adoperata la terza persona singolare, per esprimere questa situazione, poiché è l’espediente grammaticale che rende più palpabile la preponderanza e libertà dell’azione rispetto a qualunque altro elemento di disturbo. Nel linguaggio colloquiale, ad esempio, capita spesso di raccontare cos’ha fatto una terza persona: ebbene, né il narratore, né l’interlocutore possono alterare in nulla quelle azioni, attribuite ad un “egli/ella” qualunque. Esso rappresenta, quindi, sia il movimento stesso della realtà (in quanto tale inarrestabile), sia un soggetto che compie un’azione (e pertanto personificabile). L’ambiguità maschile/femminile ci fa capire che in tale movimento/soggetto si compenetrano le due componenti analitica e sintetica, e quindi anche il mondo delle regole con quello delle scoperte e della fascinazione. L’ambiguità grammaticale del maschile/femminile ha qui un significato preciso: essa infatti è più forte che nella prima o seconda persona, in cui è intuitiva la conoscenza del sesso, in quanto tali persone incarnano il narratore – l’io o il noi – e il suo interlocutore – il tu e il voi; ma l’ambiguità maschile/femminile è più avvertita anche rispetto alla terza persona plurale, in cui emerge un pluralismo di soggetti, la cui identificazione sessuale diventa meno necessaria ai fini relazionali. L’ambiguità maschile/femminile della terza persona singolare, pertanto, esprime appieno l’idea dell’accordo sigillato tra la componente maschile (l’essere supremo) e la componente femminile (l’interprete umano da questi scelto). L’accordo in parola cementa un nuovo bivio, nei percorsi umani di coscienza, che si allargherà a macchia d’olio non appena coloro che sono stati introdotti in esso avranno l’occasione d’introdurvi (senza nemmeno rendersene conto, il più delle volte) anche gli altri.

Abbiamo così introdotto l’accordo costitutivo della realtà in evoluzione, accennandone il funzionamento di base, che è il seguente: 1) l’interprete umano, nella sua attività interpretativa, si specchia nel proprio sé archetipico, nel quale coglie i segni di un progetto che si sta realizzando nella sua vita; 2) grazie a questo primo approccio, giunge a personificare il proprio sé archetipico, chiamandolo con uno dei nomi dell’essere supremo; 3) a questo punto, l’interprete suppone che l’essere supremo, dal canto suo, dopo aver disseminato (tendenzialmente in ogni uomo) i segni del suo progetto, abbia trovato adatto un interprete in particolare – lui stesso che sta così intrerpretando la realtà - e, con una teorie di segni ancora più stringenti, lo abbia stimolato a compiere le due operazioni sopra elencate; 4) la conferenza di questa interpretazione

48 Si noti che la misericordia proposta da Gesù è una compassione che nasce dal rapporto speculare con l’altro da sé: ha quindi un forte fondamento epistemologico. E’ sorretta dal sentimento, che concilia opposti inconciliabili, ma è molto più potente di esso nella sua espansione collettivistica ed universalizzante all’intera realtà (non solo sociale).49 L’io collettivo è quel protagonismo che si muove secondo autentiche autostrade del pensiero, comuni ad una collettività di esseri auto-coscienti. Gli uomini possono avere collettività di riferimento diverse, anche a secondo delle situazioni che vivono. Si può quindi dare il caso che, in una stessa società, un uomo sia guidato da un io collettivo dotato di certe categorie, a differenza di un altro uomo, guidato da un io collettivo dotato di altre categorie. Tuttavia gli uomini tendono ad influenzarsi a vicenda: pertanto l’io collettivo dell’uno tenderà ad avere le stesse categorie (a parità di situazione) dell’io collettivo di un altro. Ad esempio, chiunque oggi veda un’alba, percepisce effettivamente un’alba (non un rossore strano nel cielo). Però, in contesti culturali molto specifici, si tendono ancora ad avere discrepanze tra l’io collettivo delle persone, anche se appartenenti alla stessa matrice culturale (purché siano molto propense alla riflessione e alla diversificazione).25

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con la realtà individuale e collettiva che vive, insieme al nuovo sentire che si sviluppa nell’interprete stesso e alla forza che acquisisce la sua interpretazione rispetto ai suoi contraddittori, suffraga l’interpretazione di cui al punto 3.

Adesso occorre una verifica di tale assunto, cioè del funzionamento di tale accordo (che d’ora in poi chiameremo anche “l’accordo costitutivo”, poiché nel coordinare la realtà costituisce l’essere, inteso come movimento e forza evolutiva della realtà). Tale verifica non rispetterà il paradigma dell’evidenza sperimentale o scientifica (che richiede d’isolare il cd. fenomeno). Come si potrebbe, infatti, isolare un fenomeno, che per ipotesi dovrebbe essere in grado di coordinare qualunque altro fenomeno? La verifica, d’altronde, può essere agevolmente tratta dalla storia della cultura, per mostrare come gli aspetti politici, civili e sociali delle rivoluzioni più salienti dell’Occidente50 hanno fatto da spartiacque per convogliare l’umanità verso una rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale, che includa il rapporto speculare con l’essere supremo. Il carattere relazionale di tale rivoluzione umana consiste nella sua aspirazione comunicativa. Comunicare, a nostro avviso, significa entrare in un rapporto che implichi tanto la reciproca conformazione, quanto la reciproca trasformazione tra due soggetti (in esso, quindi, la conformazione deve accompagnarsi alla trasformazione, e viceversa: senza che l’una escluda del tutto l’altra o la renda ininfluente). L’essere supremo non è quindi il solo, che può e deve conformare e trasformare l’uomo, ma anche l’uomo può e deve a sua volta conformarlo a sé e trasformarlo. Si pensi al famoso passo in cui Yahwé (nome dell’essere supremo nella Bibbia ebraica) annuncia a Mosé che sta per annientare il popolo dei figli d’Israele, poiché è un popolo duro di testa, e che continuerà il proprio progetto con Mosé e la sua discendenza. Il mediatore della prima alleanza, dal canto suo, protesta con decisione, portando argomenti così convincenti da far cambiare idea a Yahwé. E’ da tale occasione di confronto che inizia il tema scritturistico secondo cui le promesse e l’alleanza dell’essere supremo sono irretrattabili. E’ per questo che nelle sue lettere Paolo di Tarso, nel significare l’esclusione del popolo d’Israele dalla salvezza, specifica che tale esclusione è solo provvisoria, in vista di un’immancabile riammissione. D’altronde l’essere supremo stesso, in quanto sé archetipico dell’uomo (cioè, più in generale, di ogni organismo vivente autocosciente), deve decidere come trattare con l’uomo. Sebbene, ai fini dell’accordo costitutivo, possa scegliersi un interprete di suo gradimento ed eventualmente cambiarlo, se non gli torna più a genio, un atteggiamento così meschino non potrebbe che rivolgerglisi contro. Infatti dovrà scegliere se vuole davvero un interprete prono a qualunque suo piacimento, oppure un interprete capace di esprimere qualcosa di nuovo51. Se vuole questo secondo tipo d’interprete, deve presentarsi all’uomo in modo misericordioso. Da qui la rivoluzione introdotta da Gesù nel campo della legge. E per quanto l’essere supremo possa presentarsi fermo, sui punti a cui tiene davvero, un accordo non negoziabile sarebbe davvero troppo stringente per poter stimolare la libertà e l’estro umano.

L’idea che il funzionamento dell’essere sia quello tipico di un accordo è corroborata dal filo rosso che lega le rivoluzioni culturali che hanno ormai assunto dimensione mondiale. Rivoluzione francese, r. industriale, r. digitale, solo per restare alle più recenti. L’umanità è sempre più vicina a fare il grande salto, per entrare in contatto profondo con l’essere e rendere ogni scoglio più simile ad un gradino da superare.

50 Nella storia dell’Oriente o di altre civiltà diverse da quelle che si trovano in collegamento di discendenza diretta con l’Occidente non mi addentro, per ignoranza personale della materia. Mi affido a vostre gradite integrazioni, che potrete inviarmi all’e-mail [email protected] o con un commento sul sito www.bridge4will.net. 51 E’ lo stesso tipo di rapporto che c’è tra un uomo e una donna (o tra un partner d’inclinazione maschile ed un partner d’inclinazione femminile, le cui inclinazioni siano anche, eventualmente o di prassi, interscambiabili). L’uomo (o partner d’inclinazione maschile) potrebbe anche cambiare la donna (o partner d’inclinazione femminile) ogni volta che non si trovi in accordo con essa, ma in ultima analisi si troverebbe a fare una vita solitaria, senza dare occasione all’altro, con cui costruisce il rapporto, di approfondire ciò che davvero ha da esprimere. Anche la donna potrebbe rivolgersi ad altri uomini, non appena ne avesse l’occasione, ma si troverebbe poi a non aver alcun uomo davvero affezionato a lei, capace e disposto a difenderla ed amarla fino alla fine. E’, peraltro, la mancanza di fedeltà da parte del popolo dei figli d’Israele (componente femminile dell’accordo coniugale) che aveva convinto l’essere supremo (componente maschile) ad abbandonarlo (che equivaleva a distruggerlo, visto che il popolo non aveva più un luogo in cui tornare). Una volta usciti dall’Egitto dei tanti amori conoscitivi, non ci si può fare ritorno. Infatti, una volta conosciuta la potenza e la bellezza dell’accordo con l’essere supremo, l’uomo impazzirebbe o diventerebbe l’ombra di se stesso, se ne fosse privato.26

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Ma con quali criteri valutare la direzione ultima di tali rivoluzioni?Non si tratta, invero, di una sola rivoluzione antropologica fondamentale, ma di una serie di tali rivoluzioni, che a posteriori siano leggibili come gradini di un’unica scala, la cui cima appaia sempre più come una grande rivoluzione in chiave relazionale. Sono pertanto due i momenti a cui si appunta la nostra verifica: la verifica a posteriori dei gradini (o spartiacque culturali52) già percorsi; la verifica prognostica su quale sia la cima della scala (cioè il progetto e le dinamiche di fondo del movimento evolutivo che accompagnerebbe l’umanità dalla preistoria, o addirittura dal Big Bang, fino ad oggi - come propone T. de Chardin in Il posto dell’uomo nella natura).Torniamo adesso ai precisi criteri interpretativi da adottare nella nostra verifica, affinché l’umanità di oggi (o dei prossimi decenni/secoli) si convinca ad imbarcarsi in un progetto di accordo con l’essere supremo53. Questa è infatti una teoria scientifica di tipo evolutivo e costruttivista, che per diventare effettiva richiede d’interagire con il percorso decisionale umano. Il momento della verifica è quindi parte integrante dell’efficacia della teoria. Non mi sembrano più conferenti obiezioni sulla scientificità di questa teoria. La demarcazione tra teorie scientifiche e non scientifiche, ormai, è puntata sull’accoglimento o meno da parte della cd. comunità scientifica (ma, come sappiamo, ci sono più comunità scientifiche: una per ogni materia, e all’interno o in parallelo rispetto alla materia, una per ogni grande matrice culturale). Il primo criterio con cui valutare l’obiettivo evolutivo cui puntano le rivoluzioni anzidette è il paradigma fondamentale precedente a quello attuale: cioè il paradigma del “discorso/racconto che convince”. Il secondo criterio è il paradigma fondamentale attuale: cioè il paradigma dell’analogia. Il terzo criterio è il paradigma fondamentale che si sta sostituendo a quello attuale: cioè il paradigma che ho chiamato de “la libera interpretazione”54. Ma lo chiameremo anche paradigma de “la libera costruzione”, che è nome più chiaro, per le implicazioni antropologiche (era invece preferibile l’altro nome, per le implicazioni epistemologiche).

Ma che significa adoperare i tre paradigmi fondamentali, che attualmente si dividono il nostro mondo conoscitivo, per valutare l’effettività dell’accordo costitutivo? E, ancor prima, cosa ci può convincere che tali paradigmi, e solo essi, siano davvero fondamentali (cioè, che su di essi sia costruito – almeno a livello potenziale - ogni percorso di coscienza umano)?

Sul paradigma dell’analogia, non c’è in realtà altro da aggiungere. Mi pare infatti evidente - come ho sopra esposto - che nessun elemento della realtà esista in sé considerato, ma solo come intreccio di somiglianze e differenze con altri elementi. Pertanto, alcune volte in queste pagine, ho chiamato gli elementi della realtà con il nome di “elementi analogici”. Lo scoglio che sto cercando di superare, in questo contributo, è invece spiegare come funzionino le configurazioni analogiche ed offrire una verifica su tale funzionamento.

52 Mi riferisco alle rivoluzioni antropologiche fondamentali già percorse dall’uomo. Una rivoluzione antropologica fondamentale è un cambiamento delle basi stesse su cui l’uomo costruisce la sua evoluzione.53 Il mio intento è chiaramente ideologico: non lo nascondo. Esso sorge da una rivelazione personale, che è iniziata nel 2012, come spiego più approfonditamente nell’opera La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà, scaricabile dal sito www.bridge4will.net. Tuttavia, il lettore più laico consideri che tale rivelazione non ha connotati religiosi: non punta, cioè, a giustificare ed argomentare una tradizione o dottrina religiosa, ma piuttosto è come l’illuminazione ricevuta da Schrödinger, il cui principale portato per l’umanità è di tipo epistemologico. In questo senso la mia teoria sull’accordo costitutivo non è diversa da qualunque altra teoria scientifica, che richiede quindi una verifica.54 Questo paradigma è quello che consente all’uomo di cambiare la realtà, costruendo su una certa trasformazione del proprio sé archetipico. Per fare un esempio vivido, se l’umanità (non sia mai!) riuscisse a puntare la propria evoluzione sulla clonazione (umana e non solo) e sulla contemporanea mutazione genetica dell’uomo e degli animali, la realtà potrebbe cambiare radicalmente, anche agli estremi confini dell’universo. Fin là potrebbero infatti spingersi, nel corso di migliaia o di milioni di anni, le frotte di cloni umani ed animali, organizzate per la colonizzazione selvaggia. In compenso i pochi umani “originali” rimasti potrebbero godersi il pianeta Terra e l’intero universo, attorniati da schiavi decerebrati (salvo poi fare i conti con civiltà aliene, di cui oggi non abbiamo ben contezza). Terminato questo vivido ma infelice esempio, risulterà chiaro come le scelte costruttiviste consapevoli dell’umanità possano riverberare con potenza sulla realtà. Si è così aperto un filone di pensiero, le cui principali esternazioni si trovano in bioetica e nei film di fantascienza e nei romanzi che li hanno ispirati. Ma a mio avviso il nuovo paradigma è senz’altro desiderabile - direi decisivo, in senso positivo, per la nostra evoluzione -, purché non finisca per schiacciarci. Occorre una scelta ancor più consapevole, per accedere indenni a questo altoforno da cui, insieme alla realtà che ci circonda, saremo riforgiati.27

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Sul paradigma del “discorso/racconto che convince” (sefér, nell’ebraico biblico), faccio notare che ogni cosa di cui noi siamo convinti, per convincerci davvero a lungo termine, richiede un racconto che ci convinca. Non solo, quindi, ogni elemento della realtà è analogico (cioè conoscibile solo grazie ad un intreccio di somiglianze e differenze con altri elementi), ma è anche “retorico” (può, cioè, costruire in modo saldo il nostro convincimento, solo grazie ad un racconto). Ciò significa che ogni elemento della realtà ha due direzioni: quella che porta alla conoscenza dell’elemento stesso (direzione analogica, che costruisce l’intreccio sopra descritto, da cui in qualche modo risulta la nostra conoscenza di esso) e quella che porta alla costruzione di altri elementi (direzione sefèrica, che convince sul modo in cui l’elemento si atteggia nelle strutturazioni e nelle concretezze della realtà conosciuta dall’uomo).

Infine, appoggiandosi su tali due paradigmi, si può introdurre anche il terzo, come ulteriore fondamento conoscitivo dell’elemento reale. Possiamo infatti dire che l’elemento reale, oltre ad essere analogico e retorico (o seférico) è anche “libero”. Libero, cioè, d’ispirare la costruzione conoscitiva umana, che può a sua volta trasformarlo. L’elemento reale può infatti contribuire, insieme ad altri elementi, a formare quell’onda intuitiva che consentirà, nella coscienza dell’uomo, il formarsi di un nuovo paradigma e della relativa configurazione analogica. Grazie alla formazione del nuovo paradigma e all’accesso nella nuova configurazione, il livello di libertà di trasformazione dell’umanità aumenterà ancor di più, e così via per ogni nuovo paradigma-configurazione acquisita. Ogni nuova configurazione, infatti, ha confini intuitivi diversi rispetto a quella che la precede nel percorso di coscienza, permettendo così ad elementi siti in una configurazione di partenza di soggiacere, non alle regole di tale stessa configurazione, ma alle regole della configurazione di arrivo. E di configurazioni di arrivo, in uno stesso percorso di coscienza, ve ne possono essere moltissime. Grazie a questa progressione nella libertà d’interpretazione55, l’elemento reale stesso può risultare, alla fine del percorso, radicalmente trasformato. Se infatti alla fine di un percorso di coscienza ci mettiamo a considerare gli elementi di partenza, notiamo che essi hanno cambiato significato. Si pensi, ad esempio, al cervello umano in cui sia insorto un tumore. Se seguiemo il percorso di coscienza del chirurgo che opera tale cervello, notiamo come lo stesso elemento reale (il cervello) passa da una CA56 all’altra, finché non diventa un cervello guarito (e pertanto trasformato). Ad esso non trovano più applicazione le regole della CA di partenza (per ipotesi, il destino infausto e l’esito patologico tipico del tumore maligno), ma le regole dell’ultima CA di arrivo (cervello sano, che compie le attività fisiologiche e ha un destino di lunga durata). Per arrivare a tale risultato è stato necessario far passare il cervello da molte CA (1. Apertura della scatola cranica esito mortale; 2. Drenaggio del sangue e dei fluidi corporei + ambiente asettico + ecc… sopravvivenza; 3. Asportazione del tumore guarigione; 4. Suturazione + somministrazione antibiotico sopravvivenza post-operatoria). Ma ognuno dei passaggi descritti potrebbe nascondere più CA di quello che sembri a prima vista (come potrebbe dirci agevolmente un chirurgo specializzato sulle operazioni al cervello). Il risultato tecnico della sopravvivenza del cervello al tumore altro non è che la trasformazione dell’elemento analogico del “cervello”, grazie al passaggio del percorso di coscienza del chirurgo (e dei percorsi collegati degli appartenenti all’équipe medica, nonché dell’intera struttura sanitaria e, in ultima analisi, dell’intero universo che ha posto le condizioni per rendere possibile il risultato finale) attraverso molte configurazioni analogiche, che hanno permesso di cambiare le regole da applicare a singoli elementi analogici collegati al cervello stesso. Un elemento analogico complesso, come il cervello, può quindi essere cambiato nei suoi tratti caratteristici, grazie ad un intreccio di percorsi di coscienza (attribuibili anche a soggetti diversi). I percorsi in parola hanno il compito d’intercettare gli elementi che sono in rapporto analogico con l’elemento complesso del cervello (che è appunto un intreccio di tali elementi più semplici), affinché applicando loro - in una sequenza ben studiata per impedire il decesso del paziente – le regole appartenenti a CA diverse da quelle in cui ogni singolo elemento semplice s’inserirebbe, si ottenga di collocare il cervello in CA più vantaggiose. Alla base di un simile intreccio di percorsi in divenire, e della sua efficacia curativa del cervello malato, c’è il coordinamento che rende possibile di cristallizzare, nel percorso di un singolo osservatore-uomo (ad esempio il chirurgo), un elemento modificato dal percorso di un altro osservatore-uomo (per ipotesi, l’anestesista o l’infermiere). Ma questo coordinamento estremo non c’impone di considerare gli elementi modificati, e cristallizzati nei vari percorsi, come oggetti esterni all’uomo-osservatore. Il fatto che ciascun appartenente all’équipe

55 Intesa, in questo contesto, come imprevedibilità ex ante dell’interpretazione stessa.56 Configurazione analogica.28

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medica sia in grado di modificare, in sequenza, alcuni elementi dell’elemento complesso-cervello, non impone cioè di considerare tali elementi (e il cervello, nel suo complesso) come qualcosa su cui l’uomo va ad intervenire: esso potrebbe essere semplicemente un elemento di un suo percorso di coscienza e niente più. D’altronde per gli oggetti quantistici l’approccio essoterico non funziona. I calcoli che sarebbero necessari per calcolare le applicazioni del principio d’indeterminazione (come l’entanglement quantistico) tra oggetti macroscopici sarebbero così esponenziali che non potremmo verificare, con un esperimento di laboratorio, l’eventuale “relazionalità/non località” che viga in certi momenti tra di essi. La località degli oggetti marcoscopici, come ogni altra caratteristica che ce li fa intuitivamente considerare come esterni a noi, sembra quindi frutto di un coordinamento estremo elementi “relazionali” o “non locali” (in senso quantistico). Con questo discorso sto cercando di convincervi (in conformità all’approccio esoterico, applicato alle configurazioni analogiche) che: a) la realtà da noi osservata sia un intreccio di percorsi di coscienza e dei loro elementi analogici costitutivi; b) tale intreccio sarebbe coordinato in oggetti complessi, grazie alla cristallizzazione degli elementi analogici in sistemi di regole; c) tali sistemi di regole sarebbero ritagliati nelle singole configurazioni, ciascuna delle quali sarebbe il confine intuitivo di alcune di tali regole; d) il singolo cervello umano, ad esempio, sarebbe un sistema di percorsi di coscienza che passa da uno o più sistemi specifici di CA57, a loro volta inserite con vari punti d’intreccio alla più complessiva rete delle CA. La “libertà” dell’elemento analogico-cervello d’innescare, insieme agli altri elementi e all’osservatore, un percorso complesso di trasformazione della realtà è pertanto fondata sul ragionamento (sefèr), con cui sto cercando di convincervi. Se infatti costruissimo la prossima evoluzione umana su tale ragionamento, ed arrivassimo così a conoscere cose strabilianti sul cervello umano, proprio grazie ai suoi assunti di base, detto ragionamento diverrebbe inconfutabile per l’intera comunità scientifica. Ciò che era, quindi, una semplice ipotesi sulla “libertà” degli elementi reali, si trasformerebbe negli elementi reali stessi.

Ecco così confezionati gli argomenti più convincenti, a mia disposizione, sul triplice fondamento degli elementi reali: il fondamento retorico (cioè la loro capacità di convincere l’osservatore sulla loro realtà), il fondamento analogico (cioè la loro capacità di esistere grazie ad intrecci di somiglianze e differenze con altri elementi) e il fondamento costruttivista o libero (cioè la loro capacità di costruire, in senso dinamico-evolutivo, il proprio cambiamento). Questi tre fondamenti si appoggiano l’uno sull’altro, anche solo per essere esprimibili a parole. La perfezione con cui l’uno s’interfaccia nell’altro non significa che siano gli unici paradigmi fondamentali possibili. Forse se ne stanno già preparando altri, che si affermeranno successivamente grazie ad una reinterpretazione di questi. Forse ne possiamo già al presente trovare altri, nascosti nelle pieghe di ogni elemento reale. Si tratta comunque dei tre fondamenti su cui mi accingo a costruire la verifica promessa, inerente il funzionamento dell’accordo costitutivo tra essere supremo e figlio dell’uomo (cioè tra sé archetipico dell’uomo e l’uomo specificamente scelto, da tale sé archetipico, per accordarsi con lui). Gesù, come anche Schrödinger, sarebbero stati scelti come figlio dell’uomo58 per innescare tale accordo, in relazione ad una nuova CA da introdurre nella coscienza umana. Adesso occorre verificare tale funzionamento, grazie al linguaggio critico appena introdotto (che ci è stato fornito dai tre paradigmi in parola).

57 Configurazioni analogiche.58 Il Gesù scritturistico è ogni uomo cosciente di essere il figlio dell’uomo e di poter così costruire l’accordo costitutivo. Schrödinger non era cosciente di essere il figlio dell’uomo: pertanto non ha potuto adoperare tale prerogativa in modo stabile. Non nego recisamente che possa ricostruirsi una figura storica del Gesù scritturistico, vissuta “effettivamente” nella Palestina di allora. Nella misura in cui l’individuazione di una figura storica di questo tipo sia vantaggiosa per l’evoluzione dell’accordo costitutivo, è per me la benvenuta. Posso testimoniare di essermi costruito, in buona parte della mia vita, sulla certezza dell’esistenza del Gesù storico: oggi, tuttavia, non ne ho stretta necessità, almeno per il momento. Mi piace pensare, come fa Biglino, ad un’inseminazione artificiale aliena, operata forse dal governatore alieno Yahwé. Tale inseminazione, nel mio immaginario più piacevole, sarebbe operata per trasformare dal di dentro l’umanità, con un mediatore all’altezza dell’esperimento alieno sull’uomo. L’identificazione di un simile Gesù storico (davvero morto in croce, almeno a livello biologico, ma poi risvegliatosi, magari con una tecnica da lui creata o ricevuta) con il Gesù scritturistico, però, richiederebbe un salto di qualità, per un personaggio storico, che mi esalterebbe ancora di più (sempre nell’immaginario). Quando avremo deciso, come umanità, su quale versione di Gesù costruirci, essa potrebbe diventare reale grazie all’evoluzione che ne conseguirebbe. Ma già in me può diventare, reale, se sono il figlio dell’uomo, consapevole di esserlo.29

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Ciò che noi cerchiamo di raggiungere con la scienza è di tutelare e far crescere la bellezza in cui siamo inseriti. Galileo ci ha fatto credere che con la scienza si potesse conoscere la natura, così come essa è, lasciandola parlare liberamente (e poi coartandola grazie alla nostra conoscenza su di essa). Ma la voce che sentiamo, quando la ascoltiamo, ha un timbro umano. La validità della relatività generale di Einstein, ad esempio, non viene sostanzialmente messa in discussione da nessuno scienziato. Ma la sua dimostrazione matematica vera e propria, diceva un notiziario di alcuni anni fa’, è stata data solo da un’équipe di giovani ricercatori in tempi molto recenti. Più ragionevolmente, e da profano della matematica occidentale applicata alla fisica, posso ipotizzare che ogni teoria scientifica abbia i suoi bug. Per risolverne almeno una buona parte, ci possono volere decenni di restyling. Ma gli scienziati erano (e sono) innamorati della teoria di Einstein, pertanto le hanno perdonato per oltre un secolo le immancabili imprecisioni e contraddizioni. La proposta che vi condivido è fondare la conoscenza umana su una nuova bellezza, che al contempo è arcaica. L’accordo con il nostro sé archetipico, personificato per personificarci, ci può permettere di vivere una ricerca senza limiti invalicabili, che ci renda davvero relazionali e conservi la nostra bellezza dal tritacarne evolutivo, acquisendone il ruolo di guida. Se questa teoria avesse le carte giuste per incontrare il consenso, le rimarrebbe ancora indispensabile una verifica di qualche tipo, che impedisca all’innato scetticismo umano di deturparla. E’ con questo intento, che mi accingo a squadernare gli argomenti offerti dai tre paradigmi sopra descritti.

L’universo in cui viviamo non si è formato (secondo le teorie cosmologiche più accreditate) dagli assoluti di spazio, di tempo e dei principi della logica tradizionale: esso sorge come autopoiesi59. La forza di quest’idea ci affascina: essa dice che tutto ciò che conosciamo sarebbe sorto da solo e organizzandosi da solo, al massimo a partire da un primo input esterno al sistema che andava creandosi. Le due grandi esplosioni primigenie (Big bang e, subito prima o subito dopo, l’inflazione), rispettivamente consistite in un’esplosione di energia gravitazionale e in un’esplosione di energia anti-gravitazionale, sarebbero state seguite entro pochissimi istanti dall’organizzazione della materia cosmica che conosciamo. Tale organizzazione avrebbe visto una sorta di lotta, in più fasi, tra micro-particelle. Alla fine di questa lotta, acquisita la densità grazie all’opera (una tantum, ma stabile nella sua efficacia) dei bosoni di Higgs, la materia avrebbe assunto l’aspetto che oggi conosciamo, ma era ben lontana da sorgere la vita biologica e, ancor più inimmaginabile, la vita cosciente, che avrebbero richiesto moltissime lotte evolutive ulteriori, tra entità più grandi delle prime, per affermarsi in una o moltissime biosfere (autentiche oasi nel buio cosmico). La grandezza e, al contempo, la pecca di questa ricostruzione è che viene proposta, a giochi fatti, da chi non poteva certo essere presente (secondo la ricostruzione stessa), né osservare alcunché di ciò che

59 Per un’esposizione dell’idea di autopoiesi, vd. articolo di L. Avitabile sulle opere di A.-T. Timieniecka e N. Luhman, al link http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/ontopoiesi,_autopoiesi.pdf. In tale articolo si fa riferimento agl’inventori della parola “autopoiesi”, i biologi cileni Maturana e Varela. Un ulteriore e importante riferimento, per una visione d’insieme delle implicazioni attuali di tale idea si trova su Wikipedia, alla voce omonima. Non risulta l’utilizzo di tale parola per descrivere il momento generativo del nostro universo, né le sue prime fasi. In genere la parola autopoiesi viene adoperata per attribuire la caratteristica di essere vivente a sistemi complessi, che filtrano gli inputs esterni, per riadattarli a consentire il mantenimento (insieme agli inputs interni) della struttura raggiunta dal sistema. L’idea di autopoiesi non esclude, quindi, l’idea di evoluzione. Timieniecka, peraltro, non adopera tale parola, ma quella di poiesi, di ontopoiesi e di meta-ontopoiesi, per descrivere rispettivamente lo stato zero del corpo, l’emergere della coscienza come da un flusso vitale e il reimmergersi della coscienza nel flusso vitale. In questo percorso teorico si avvicina alle idee, espresse quasi in contemporanea, nella seconda metà degli anni ’80, da N. Luhmann, il quale applica l’idea di autopoiesi a livello funzionale e anche ad entità statali e ad entità sociali.Se applicata al momento generativo del nostro universo, l’idea di autopoiesi mette in risalto l’assenza di un progetto deterministico e anche di un qualunque altro determinismo: l’universo, che nasce da due esplosioni e deve quindi riassestarsi, lo fa generando una complessità interna che non trae da modelli eterni, ma da se stesso. L’esplosione primigenia costituita dalla cd. inflazione (esplosione di energia oscura, cioè anti-gravitazionale), immediatamente precedente o immediatamente successiva al cd. Big bang (esplosione di energia gravitazionale, che è l’energia conosciuta anche in fisica classica), genera infatti in modo casuale le leggi fondamentali di questo universo. Ai confini di questo universo, quando vi sarà una nuova prevalenza di energia oscura, ci sarà una nuova esplosione che genererà un altro universo parallelo, dotato di altre leggi fondamentali, radicalmente diverse dalle nostre. E così via, all’infinito. Se questa è la teoria, attualmente dominante nel panorama cosmologico, vi è in essa molto di autopoietico, pur non negando (come l’idea di autopoiesi non nega) l’evoluzione del sistema, che avviene dall’interno, a seguito di un primo input esterno da “digerire” e “metabolizzare”.30

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ipoteticamente accadeva: viene cioè proposta dall’organismo vivente autocosciente (l’uomo). Si segue il principio di causa-effetto per risalire a ritroso nella ricostruzione dello spazio-tempo, allorché non solo quest’ultimo non esisteva, ma nemmeno il principio di causa-effetto (che ai quanti, uniche particelle già presenti nelle prime fasi dell’universo, ma in versione modificata, non si applica). Non è la verità assoluta che deve uscire vittoriosa da tale agòne teorico, ma il fascino e l’evoluzione del vivente dotato di coscienza. Solo puntando ad una ricostruzione fascinosa, che lanci l’umanità nella sfida evolutiva per la sopravvivenza e la felicità, una teorizzazione su tali istanti risulta accettabile. Il fatto che ogni passaggio di questa evoluzione sembri puntare all’uomo, come alla punta di diamante, è parte del fascino stesso del risultato teorico. Invece, pensare di tornare indietro (come effettivamente fa la teoria dominante nella comunità scientifica) nell’evoluzione autopoietica, per ricostruire un tempo passato che (come assoluto di tempo cronologico) non è mai esistito, non appare fascinoso ma meschino, retrogrado, involutivo. Come a dire che, solo per il fatto che quei principi che ci appaiono evidenti intuitivamente, pur essendo in se stessi contraddittori, debbano orientare la nostra conoscenza in modo disciplinare (pur scontrandosi ormai con ogni estetica proponibile nel campo del pensiero). Se davvero esistesse l’accordo costitutivo, così non lo raggiungeremmo mai.

Per fortuna la stessa relatività generale ci dice che il tempo e lo spazio non esistono! La quantistica, poi, ci assicura che il principio di causa-effetto (nonché il principio d’identità applicato allo spazio) non hanno validità generale, in quanto non si applicano alle micro-particelle. Tuttavia, lo spazio-tempo e la meccanica quantistica, che sostituiscono gli assoluti in parola, non vietano, anzi suffragano la ricostruzione posticcia (sopra esposta) dell’evoluzione universale dalla prima esplosione ad oggi. Ma cerchiamo di capire in che senso avviene questo suffragio della cosmologia (ormai tradizionale) ad opera della teoria della relatività generale e della meccanica quantistica60.

Ogni teoria occidentale, fino ad oggi, ha avuto le sue incoerenze e limiti interpretativi rispetto alla realtà. La realtà stessa è in evoluzione continua e, per di più, non può limitarsi alla sola componente percettiva (con sacrificio di quella intuitiva e di quella intellettiva), né alla sola realtà osservata da una singola specie vivente, da un solo punto di osservazione. In altri universi del multiverso (componente indispensabile della teoria cosmologica ormai dominante), le leggi fondamentali di questo universo non troverebbero nemmeno applicazione: figurarsi gli spettri percettivi possibili agli abitanti del Pianeta Terra. Lo spettro di realtà che la maggior parte degli uomini di oggi percepiscono è insomma come una scena osservata da una piccola fenditura su una parete rocciosa61. Da tale osservatorio si possono immaginare davvero tante cose, alcune più belle, altre più brutte. Teorie belle come quella di Einstein possono spingere molti a lanciarsi nell’agòne conoscitivo, ma rischiano anche di convogliare gli sforzi umani non ad ampliare la fenditura, bensì a scervellarsi sulle pochissime informazioni già disponibili. È fatale: più ci s’innamora del maestro, meno si sarà disposti a superarlo, a surclassarlo. C’è però chi, innamoratosi del maestro, passa poi a desiderare di superarlo, proprio per amore di quel fascino che muove ben più del desiderio d’imitazione. Così è con la relatività generale e la quantistica: immagino che se l’uomo avrà il primo tipo d’innamoramento, continuerà a fare ricerca nel campo della matematica attualmente applicata tali teorie: matematica che è pensata per ricostruire il passato (che tuttavia non esiste) dal nostro punto di vista, solo in virtù della coerenza interna della teoria e di alcune prove sperimentali. In questo modo, però, l’umanità

60 Non mi addentrerò in disquisizioni tecniche di fisica cosmologica, né di fisica delle particelle, né della fisica della relatività: non ne sarei in grado, né credo servirebbe. Ciò di cui abbiamo bisogno è una verifica degli approcci epistemologici, al fine di scegliere e verificare quale sia il migliore. Mi sembra brutto da dire, ma franco da considerare, che uno studio capillare della fisica, invece che avvicinarci al nostro obiettivo, ne rimanderebbe il raggiungimento di almeno un ventennio (ammesso e non concesso che io sia capace, in tale lasso di tempo, di colmare le mie lacune). Una simile precondizione sarebbe come dire ad un giurista, che sta redigendo un codice penale per un nuovo regime statale, che prima d’iniziare l’opera deve studiare a menadito il diritto penale di tre stati confinanti. Allo stesso modo, filtrerò le notizie che mi arrivano dalla lettura di opere e articoli divulgativi sulle branche della fisica anzidette, per coglierne le implicazioni nel discorso sulla scienza.61 L’ispirazione di questa immagine, ovviamente, sorge dal mito della caverna di Platone. Ho preferito parlare dell’osservazione di una scena da una fenditura, piuttosto che lo studio sulle ombre, fatto dai prigionieri voltati di spalle rispetto all’uscita della caverna, per il principale obiettivo di non negare in assoluto validità all’attuale teoria cosmologica, né alla relatività, né alla quantistica, che comunque ci aprono uno sbrano su una qualche realtà, dotata di estrema complessità e sufficiente coerenza.31

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si accontenterà della fenditura. Se qualcuno le proponesse di allargarla, o addirittura di far brillare l’intera parete, adoperando strumenti ipoteticamente adeguati per farlo, un’umanità siffatta obietterebbe che tali strumenti non sarebbero ancora verificati. Il che è come ammettere di non essere interessati che alla teoria di cui si è innamorati. Ma un altro tipo d’innamoramento smuoverebbe mari e monti per allargare la fenditura o buttare giù la parete.

L’obiezione principale, però, rispetto a quest’ultimo approccio, è abbastanza forte e intuitiva. Essa prende le mosse dall’immensa mole di calcoli, necessari a dimostrare le due teorie fisiche più attuali (relatività e quantistica), nonché il fatto che queste due teorie - pur inconferenti tra loro - abbiano collaborato per dare risultati teorici comuni e permetterne una verifica ragionevole (che è come dire che, calibrando una catapulta medievale, si è riusciti quasi a centrare un bersaglio collocato su un altro pianeta). Cosa può fornire una tale precisione e permettere di verificarla, se non una verità “quasi” assoluta? Comunque oggi, allo stato delle nostre conoscenze, la sinergia tra le due teorie fisiche suddette, nella ricostruzione dell’origine e dello sviluppo dell’universo, appare incontestabile!

“Il discorso non fa una piega”, è solito affermare, a questo punto, un mio caro amico di nome Pietro. Ma, sinceramente, non riesco mai a capire se sia d’accordo o meno con il mio discorso, o se sia un inguaribile scettico, o ancora, molto più banalmente e felicemente, se sia più interessato a me che al mio discorso.

Anch’io sono più interessato a chi crede nella relatività e nella quantistica, che non a tali teorie (su cui siamo fermi da almeno ottant’anni). La coerenza e complessità di cui si vantano è una goccia, rispetto all’oceano di coerenza che avrebbe condotto un ipotetico mondo pre-Big bang (che – si consideri attentamente - avrebbe potuto costituirsi con leggi fondamentali62 radicalmente differenti da quelle che regolano l’attuale universo) allo sviluppo della vita autocosciente e, all’interno di tale vita, alle rivoluzioni antropologiche fondamentali. Tali teorie (relatività e quantistica) non solo non ci consentono di spiegare la coscienza, o la ricetta per l’immortalità, o per la felicità (sfide molto più entusiasmanti della scoperta di origini che sono tali solo oggi e dal nostro punto di vista), ma ce lo impediscono radicalmente, finché le idolatriamo come parola ultima sulla realtà. L’origine dell’uomo, in fin dei conti, è la sua evoluzione: non la causa prima dell’universo, in un universo che non si configura come realmente regolato dal principio di causa-effetto. L’esperimento dell’entanglement quantistico, troppo complesso da realizzare per aggregati di poche decine di microparticelle, ci dice che con la quantistica non potremo mai studiare i collegamenti telepatici o “animici” tra corpi macroscopici. Sembra allora che l’affermazione dell’illusorietà della realtà, propria del Buddismo, sia estremamente più penetrante delle due teorie anzi dette: infatti, per quanti calcoli complessi si sia riusciti a far tornare, a riprova di due teorie così affascinanti, potremmo frattanto aver perso il treno della realizzazione cui l’uomo aspira (felicità, relazione, creazione, autoconservazione). È ben ipotizzabile che una strutturazione teorica diversa ed esponenzialmente più complessa di queste due teorie riesca, non solo a ricomprenderle entrambe sotto un unico contesto logico internamente conferente, ma anche a spiegarci e permetterci di raggiungere gli obiettivi evolutivi per noi più essenziali. È possibile, in particolare, che vi siano livelli di coordinamento concentrici, tali per cui il livello più interno (per ipotesi, la realtà materiale cui siamo abituati) sia coordinato dal livello superiore, dalla cui prospettiva la visuale cambi radicalmente, e così anche il livello ulteriormente superiore coordini quello intermedio, e così via. Solo nel livello più alto (la buccia esterna della cipolla) si potrebbe cogliere la cipolla stessa nella sua interezza e conservarla dagli agenti esterni, che vorrebbero sciuparne la bontà e la bellezza. La nostra fenditura nella roccia, adesso, ci sta più stretta? Siamo sicuri che sia inutile verificarne le alternative teoriche? Per chi è disposto a rischiare, da adesso prosegue la verifica della nostra teoria sulle configurazioni analogiche, riguardo all’aspetto dell’accordo costitutivo: capace, ipoteticamente, di violare qualunque confine evolutivo.

62 Le leggi fondamentali dell’universo sono quelle che si applicano in qualunque momento e luogo dell’universo: da tali pochissime leggi, derivano le altre, che si applicano solo a particolari contesti. La legge di gravitazione universale, ad esempio, farebbe parte delle leggi fondamentali. Invece le leggi biologiche, per fare un altro esempio, si applicano solo al contesto della biosfera. E’ essenziale comprendere come tali leggi (secondo la teoria cosmologica oggi dominante) si sono fondate solo a partire dall’inflazione, cioè da una delle due esplosioni primigenie. Riguardano soltanto, quindi, il nostro universo. In altri universi paralleli, che si sono fondati o si fonderanno con altre inflazioni, le leggi fondamentali saranno “scelte” casualmente.32

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Per assurdo, la nostra verifica si limiterà, tendenzialmente, a mettere in risalto la precisione con cui la stessa teoria della configurazione analogica (d’ora in avanti “tca”) spiega i cd. fenomeni d’interesse umano (la coscienza, la conservazione della vita biologica, la felicità e l’evoluzione). La verifica deve infatti riguardare la coerenza della teoria stessa con la realtà e la sua capacità di spiegarla: su temi così complessi, però, in questa fase di primo approccio alla verifica, la coerenza con la realtà può essere verificata da ciascuno, sulla base dell’attuale esperienza personale (>sic!<). La coscienza, la felicità e l’evoluzione sono infatti scogli conoscitivi così alti da superare, che la decisione di scalarli non può essere presa dopo un’autentica verifica prognostica sull’armamentario scelto. Non sappiamo cosa ci aspetterà, anche solo dopo le prime fasi di ricerca: quindi, tanto vale affidarsi all’intuizione di ciascuno su quale sia l’armamentario giusto. Chi si volgerà a considerare la fattibilità dell’approccio qui proposto (cioè l’idea di accordo costitutivo, sorretto dai tre paradigmi fondamentali sopra analizzati e dalla tca), dovrà valutare l’importanza che tale idea può rivestire nella sua personale ricerca sulla coscienza, sulla felicità e sull’evoluzione, poiché tale teoria propone di ampliare la fenditura, costituita dal suo personale osservatorio sulla realtà. Chi meglio del diretto interessato può valutare, in tutta franchezza, gli effetti di una teoria esoterica sulle potenzialità che conferisce a chi la pratica? Le teorie esoteriche, infatti, puntano il tutto per tutto sulla trasformazione dell’osservatore, affinché egli diventi in grado di trasformare a sua volta la realtà da lui stesso proiettata: in una parola, diventi capace di evolvere l’autopoiesi! Solo riguardo alla conservazione della vita, l’efficacia e la coerenza di una teoria con la realtà deve essere valutata rispetto alla normale conservazione di un organismo vivente, valutando i progressi nell’allungamento della vita e nella sua prosperità-bellezza. Non avendo ancora raffronti sul piano dell’immortalità (se non grazie alla medusa turitopsis, che però non ha la complessità di un organismo umano, né di un mammifero), non abbiamo altro parametro di verifica che l’allungamento ed il miglioramento delle forme attuali di vita biologica. Ma anche tale verifica (ahimé) richiederà tempi lunghi, se tutto andrà per il verso giusto. La capacità di spiegare la realtà, in definitiva, una volta che siano assunti gli obiettivi di ricerca suindicati, potrà limitarsi ad esperimenti autogestiti dal ricercatore, senza bisogno di misurazioni complesse di laboratorio. E’ così che è stata sperimentata ogni teoria esoterica. D’altronde ciò che conta è verificare se il procedimento seguito da Gesù sia replicabile, in presenza di vicoli ciechi ermeneutici, nonché di appurare se coloro che personificano l’essere supremo come Gesù ha fatto, riescano a raggiungere l’accordo costitutivo, facendo così dilagare le loro rivoluzioni antropologiche fondamentali.

Giungiamo così al nocciolo (verificabile da ciascuno in autonomia) della nostra idea di accordo costitutivo della realtà. L’idea – a titolo di prima approssimazione - è che l’autopoiesi della realtà fa emergere l’essere autocosciente, che poi si reimmerge nell’autopoiesi63 stessa (ripetendo tale emersione e reimmersione un numero indefinito di volte nella sua vita biologica). L’autopoiesi è, in particolare, la fase in cui la realtà si conforma a se stessa, cioè al proprio sistema già costituito, impedendo agli inputs interni (ed esterni, se ve ne fossero) di modificarne gli assetti; con l’emersione, l’organismo cosciente esprime invece un desiderio evolutivo; segue una nuova fase di autopoiesi (la reimmersione, che comporta una nuova conformazione del sistema a se stesso), accompagnata però, a certe condizioni, dalla trasformazione della realtà in base al desiderio espresso64. La condizione per tale trasformazione è che colui che esprime il desiderio sia sintonizzato con una forza propulsiva, che tende a muovere dal di dentro l’autopoiesi, innescandone l’evoluzione. Il vivente dotato di coscienza è così una sorta d’introversione del sistema, che lo rende osservabile dal di dentro, ma che non può trasformarlo, se non aggrappandosi ad una forza opposta alla conformazione. C’è quindi una comunicazione tra realtà ed organismi coscienti, grazie alla potenzialità del duplice binario di conformazione e trasformazione. Coloro che riescono a trasformare la realtà sono quelli che sono riusciti ad entrare nell’accordo costitutivo con la forza propulsiva del sistema. Per rimanervi stabilmente, tuttavia, occorre la consapevolezza (che vi fu nel Gesù scritturistico) di essere mediatore di una nuova alleanza con l’essere supremo (che, a questo punto, si può identificare con la forza ed il movimento

63 Per un’esposizione dell’idea di reimmersione nell’autopoiesi, vd. articolo di L. Avitabile sulle opere di A.-T. Timieniecka, al link http://www.docente.unicas.it/useruploads/000785/files/ontopoiesi,_autopoiesi.pdf. La Timieniecka – per amore di precisione – non sembra aver parlato di autopoiesi: essa parla piuttosto di reimmersione nella meta-ontopoiesi.64 Quanto sia cruciale l’espressione del desiderio è palpabile nell’opera - letteraria e cinematografica - de La storia infinita di M. Ende, in cui solo il desiderio espresso nel momento giusto poteva salvare Fantasia dall’assalto del Nulla.33

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evolutivo della realtà, che costituiscono la condizione per cui il desiderio espresso possa realizzarsi). La personificazione dell’essere supremo, punto essenziale per raggiungere la sintonia, mette in risalto la capacità della forza evolutiva di seminare segni molto precisi e conferenti nella vita del soggetto auto-cosciente, sì da far pensare a quest’ultimo di essere inserito nel progetto del proprio sé archetipico.

Conformazione e trasformazione finiscono per coincidere con una delle interpretazioni possibili – a mio avviso, la più attendibile65 - delle due vie descritte dal filosofo greco Parmenide. Su tali vie, passate alla storia con i nomi di “essere” e “non essere”, si è costruita l’intera filosofia occidentale e, grazie ad essa, tutto il sapere scientifico dell’Occidente. La coerenza dell’ipotesi di un’alternanza tra conformazione (autopoiesi) e trasformazione (espressione di un desiderio in sintonia con la forza evolutiva), dotata di un finalismo relazionale, è quindi stata in grado di formare le basi stesse del pensiero scientifico occidentale66, di cui fanno parte le teorie anzidette (relatività e quantistica). Se dunque da alcune idee di assoluto (emerse dal lavoro di Parmenide e ,secondo noi, ricostruibili come alternanza di autopoiesi e di emersione da quest’ultima) sono sorte in ultima analisi tali due teorie (relatività e quantistica), fraintendendo l’idea evolutiva e relazionale che c’era in origine, ebbene queste teorie non possono ragionevolmente arrogarsi il diritto di essere le uniche in grado di creare mondi coerenti. La coerenza è una delle cose più evidenti e pervasive che caratterizza questo universo: ergerla come unica bandiera, invece che accompagnarla al finalismo estetico, evolutivo e relazionale, è estremamente riduttivo67. Il potere delle idee di costruire mondi coerenti deve allora intendersi come direzione parmenidea del non-essere, cioè come autopoiesi, che arresta il cammino di ricerca alle trasformazioni già acquisite; il potere di trasformare i mondi coerenti va inteso come direzione parmenidea dell’essere, cioè come trasformazione. Di coerenza sembra infatti imbevuta ogni nostra mozione di sosta nel cammino di ricerca, cioè ogni forma di autopoiesi; di rimescolamento delle carte evolutive sembra invece pregna ogni mozione di ripresa del cammino di ricerca, cioè ogni forma di trasformazione.

Edificata così l’origine del nostro universo su basi epistemologiche, che hanno permesso di formulare una proposta teorico-ricostruttiva, verificabile grazie alla sola esperienza intima del verificatore (non grazie a quella collettivistica o, secondo alcuni, oggettiva, tipica della cosmologia contemporanea), è emerso che tale origine altro non è se non la dialettica tra autopoiesi-conformazione ed evoluzione-trasformazione. La prima grande rivoluzione culturale (quella dell’acquisizione delle proprie origini) è quindi stata analizzata:

65 Il fatto che io stesso sia l’autore di tale interpretazione (passatemi l’espressione) non c’entra con il suo livello di attendibilità. Non esiste, in senso storico, un’interpretazione più attendibile del pensiero di Parmenide. Se Parmenide in persona venisse a spiegarcelo, probabilmente non lo capiremmo, per la distanza evolutiva accumulata rispetto al mondo della sua epoca. Tuttavia, nel saggio Analogia singolare, disponibile sul sito www.bridge4will.net, ho fatto una ricerca attenta e capillare sui significati possibili dei termini greci adoperati dal filosofo di Elea, raggiungendo una sintesi originale sul suo pensiero che getta luce sui temi epistemologici ad oggi più spinosi e risolvendoli, proprio grazie alle indicazioni tratte dal testo di Parmenide, in modo altrettanto originale. Questo è ciò che chiamo attendibilità, intesa in senso evolutivo. Non sono al corrente delle moltissime interpretazioni fornite da altri autori, ma rimando per una sintesi su di esse all’opera di A. Marrani (2015), dal titolo Stile e ontologia, disponibile in eBook.66 E’ chiaro che in questa affermazione faccio un grande azzardo nella ricostruzione storica. Tuttavia ho voluto rendere l’espressione di tale azzardo la più convincente possibile, affinché il lettore possa gustare le sue profonde (e potenziali) implicazioni. Decida il lettore se scommettere su tale interpretazione, capace di dare un senso luminoso al costruirsi progressivo di un’opera di civilizzazione umana durata millenni, oppure scartarla. Tuttavia, studiando attentamente le basi di partenza ed i risvolti dell’interpretazione in parola, si colgono elementi che nel complesso sono dotati di estrema coerenza. Mi riferisco al fraintendimento del Parmenide relazionale, che vede nelle due vie un modo di procedere dell’umanità tra due opposti complementari: fraintendimento che sfocia nell’idea di assoluto, su cui si costruisce la filosofia greca da Platone in poi; a ciò segue il fraintendimento del messaggio relazionale biblico: fraintendimento che sfocia nell’idea di un Dio assoluto, su cui si costruisce la teologia medievale e, infine, la Scienza stessa (da Galileo in poi), con i suoi assoluti di spazio e di tempo, nonché soprattutto con gli assoluti della logica (in primis, il principio causalistico). Ogni passaggio è argomentabile in modo estremamente coerente.67 Sappiamo bene, infatti, che la teoria newtoniana, per quanto intuitiva e ormai accolta da tutti e, in ultima analisi, molto coerente con la realtà, sia stata superata in coerenza dalla relatività e dalla quantistica. Il fatto, poi, che nella nostra biosfera sia molto più rilevante la teoria newtoniana, conferma l’idea che la complessità possa porsi su più livelli concentrici, in cui i livelli più interni possono essere plasmati e resi coerenti da quelli più esterni, che tuttavia dispongono di un grado di coerenza ben superiore. Questi gradi di coerenza, in un modo originale e qui imprevedibile, saranno trattati in altri saggi, che verranno resi disponibili appena possibile su www.bridge4will.net. 34

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dalla sua analisi è emerso il suo carattere potenziale di finalismo relazionale, che però viene a tutt’oggi denegato dai più (o relegato ancora in un ambito meramente dogmatico-religioso68). Non ho avuto modo di studiare in lingua originale le grandi cosmologie/cosmogonie del passato, salvo quella biblica, che è in linea (anzi, ha ispirato) l’idea di un’origine e una vocazione relazionale della realtà. Chiamo tale primo tassello della mia verifica con Il nome di “rivoluzione culturale”, poiché non può trattarsi davvero di una rivoluzione della realtà in sé, ma solo di una rivoluzione rilevata dall’osservazione relativa alla realtà (nemmeno si può parlare, peraltro, di un’osservazione diretta della realtà, ma solo di un’osservazione-interpretazione sull’osservazione ineffabile della realtà69).

La rivoluzione culturale successiva (in senso logico-relazionale, non in senso cronologico) è rappresentata dall’emergere del racconto (sefèr). Grazie al racconto l’uomo può costruire la realtà interiore, fintanto che ne permane la memoria. Si sedimentano così più gradi o livelli di realtà interiore, che progressivamente si sgretolano, vengono riciclati per nuove interpretazioni, finché non si sfaldano del tutto, per la perdita d’interesse, e non finiscono nell’oblìo. Ma anche caduto nell’oblìo, un racconto può aver frattanto costruito alcune cose indelebili, che finiscono per chiamarsi “scrittura” (nel senso di grafè, incisione nella pietra del cuore). L’attribuzione, in tempi arcaici, di un valore magico o sacro alla parola, e poi alla scrittura, testimonia la germinale comprensione intuitiva da parte dei nostri antenati (non ancora irretiti dalle idee di assoluto e di realtà oggettiva) in ordine alla possibilità di trasformare la realtà. Ciò introduce non solo alla dialettica autopoiesi-evoluzione, ma anche al terzo paradigma fondamentale: quello della libera costruzione o libera interpretazione. Grazie alla possibilità di costruire la realtà da zero70, non ci si deve limitare a scoprire la struttura del reale71, così come già preimpostata in modo armonioso dall’autopoiesi, ma la si può stravolgere per inciderle per sempre un nuovo finalismo, con un riassetto archetipico72. Così si collega la sacralità della parola (sefér) e della scrittura (grafè) direttamente con i campi della psicanalisi junghiana e del costruttivismo, nonché con la prassi della tecnica, che ormai comprime in modo evidente la natura (almeno nel contesto della biosfera): tre campi, questi ultimi, in cui la tensione evolutiva supera di gran lunga l’attaccamento ad una realtà ciclica ed immutabile. In tempi antichi, tale compressione della natura ad opera della tecnica non era ancora evidente: pertanto gli uomini credevano

68 Lungi dal disprezzare il dogma, ritengo che i tempi per dischiuderne la sapienza siano maturi. Esso ha già svolto il suo compito: ora occorre disvelarlo. Quando dico “disvelarlo”, intendo però l’operazione contraria a quella di togliere un velo. Non di togliere il velo, si tratta, ma di avvolgerlo ancora nel velo, in modo che nasca di nuovo. Si troverà a non essere più incomprensibile, ma comprensibile su basi che finora non ritenevamo razionali. La fiducia nel dogma si trasformerà in fiducia in un nuovo tipo di ragionamento, capace di spiegare ogni cosa. Il che non costituirebbe altro che una rivoluzione scientifica più sostanziosa, che ho chiamato sopra rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale.Non sto cercando di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, per non scontentare nessuno (né la Chiesa istituzione, né la Scienza). Sto al contrario dispiegando il grimaldello che dà un senso compiuto ad entrambe, con l’auspicabile effetto collaterale di spodestare dal trono conoscitivo le rispettive “gerontocrazie” così autoreferenziali.69 L’uomo guarda le sfumature ineffabili di stupore che gli sorgono dall’osservazione, intesa come mera attività priva di oggetto, agganciando così il proprio sé archetipico a livello meramente ipotetico e, a livello altrettanto ipotetico, ricevendo il grimaldello giusto per interpretare l’ineffabile.70 Il riassetto degli equilibri archetipici in una realtà in movimento, intesa come rete relazionale in cui ogni cosa esiste in conformità al paradigma specifico della configurazione di appartenenza, equivale a creare da zero. Per riassetto degli equilibri archetipici (o, più semplicemente, riassetto archetipico) si deve intendere l’analogia singolare di tipo creazionale: cioè quell’analogia ineffabile che, invece che limitarsi a costituire una configurazione analogica già in armonia con quelle adiacenti, ne costituisce una che drena i percorsi di quelle adiacenti, finendo per costituire un sistema che, o conquista l’intera rete, diventandone il paradigma fondamentale, o viene drenata dagli altri sistemi. Di fatto, ogni sistema di configurazioni analogiche è in lotta per diventare il futuro paradigma fondamentale (in aggiunta e reinterpretazione reciproca di quelli già divenuti tali): ma molti sistemi finiscono per essere drenati da altri sistemi, altrettanto deboli, con il risultato che drenandosi a vicenda finiscono per assestarsi in equilibrio tra loro. Se un sistema (sorto, come gli altri, da una singola analogia creazionale) riesce a non assestarsi in equilibrio con gli altri e a non farsi drenare i percorsi di coscienza, si allarga a macchia d’olio finché non raggiunge tendenzialmente l’intera rete analogica.71 Tale scoperta è resa possibile dall’istituzione, tra i percorsi del soggetto, di un’analogia singolare (cioè di un’analogia ineffabile), che tuttavia non è di tipo creazionale. Non ha quindi le implicazioni viste nella nota prec.72 Vd. nota prec. a nota prec.35

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alla sacralità di parola e scrittura come ad un dogma73, senza capire il perché della loro attrattiva. Non capivano che parola e scrittura avrebbero, in prospettiva, assolto il compito di permettere all’uomo di ergersi al di sopra della natura, ma presentivano (in un certo senso) il compito innovativo e creazionale che parola e scrittura avrebbero assolto rispetto all’autopoiesi. Si consideri attentamente, però, che il terzo paradigma fondamentale (quello della libera costruzione o libera interpretazione) non si è ancora affermato come veramente fondamentale. Esso è in lotta con gli altri sistemi di CA74, per diventare tale. Non è quindi ancora ragionevolmente inconfutabile il fatto che l’umanità (o un’altra forma di vita autocosciente) riuscirà a compiere un riassetto archetipico, che riscriva la realtà come da zero. I primi due paradigmi fondamentali (sefèr e grafè) sono invece ragionevolmente inconfutabili, in quanto non si può negare che l’osservazione della realtà richieda, per diventare scienza, un racconto che convince, né si può negare che ogni cosa sia un intreccio di somiglianze e differenze con altre cose. Ma che l’uomo possa riuscire a riconfigurare la realtà grazie ad un’analogia singolare di tipo creazionale75, la quale finisca per rendere conferente con il proprio paradigma ogni sistema configurazionale e financo ogni CA, è ancora opinabile. Grazie alla seconda rivoluzione culturale, siamo quindi riusciti a dare un’immagine d’insieme abbastanza precisa, su dove sia arrivato e come si muova il cammino umano di convincimento inconfutabile (che taluni chiamavano “persuasione”) e il cammino umano di convincimento confutabile (che gli stessi soggetti chiamavano semplice “convincimento”). Ciò è stato reso possibile dalla chiave relazionale, applicata alla dinamica autopoiesi-evoluzione. In questo caso si può parlare, pertanto, di un autentico successo sperimentale della nostra teoria (anche se appurare tale successo richiede di vagliare, per maggior chiarezza, un materiale più vario del presente scritto: e cioè, in particolare, il saggio Analogia singolare… e l’articolo Dogma o sacra scrittura nella coscienza del credente, nonché un salto in avanti nelle pagine di quest’opera, per colmare le lacune definitorie dei termini adoperati).

La terza rivoluzione culturale riguarda le possibilità di accesso al racconto (sefèr) e alla scrittura (grafè). Presso gli antichi egizi solo il faraone e la casta sacerdotale vi avevano accesso, in quanto solo loro conoscevano e praticavano l’arte della scrittura sacra (i geroglifici). Vi erano infatti tre lingue, con le rispettive scritture, di cui una sola era il geroglifico. Il faraone, pur essendo l’unico destinato alla vita dopo la morte, durante la vita terrena doveva mettersi a servizio del bene del popolo. Al momento della morte, la 73 Sul funzionamento del dogma, nel far convergere la cultura umana verso il suo “disvelamento”, ho scritto un’analisi attenta nell’articolo Dogma o sacra scrittura nella coscienza del credente, disponibile sul sito riportato nell’epigrafe della copertina. Il dogma non viene propriamente disvelato, ma trasformato - come faccio presente in una prec. nota -, anche se in obbedienza ad una logica innovativa che già si sta affermando durante la vigenza del dogma autoreferenziale. Nella versione “disvelata”, il dogma rimane autoreferenziale (rispetto a molti sistemi), ma di un’autoreferenzialità che tende a farli convergere alla compatibilità con esso. Il vero dogma è quindi una fase di stasi, ma non di equilibrio con gli altri sistemi, del sistema nascente dall’analogia singolare di tipo creazionale (vd. note prec.). Tale stasi prelude ad una riattivazione del sistema stesso.74 Configurazioni analogiche.75 Come più volte specificato in nota, giova anche qui ripetere che l’analogia singolare è un’analogia ineffabile, che pone un paradigma specifico e sul rispetto di questo paradigma impronta un’intera configurazione analogica. L’analogia singolare di tipo creazionale (ASc) ha la specificità di essere così inconferente con le altre CA adiacenti, da drenarne in proprio favore i percorsi di coscienza, fino a diventare un sistema configurazionale in ostilità con gli altri sistemi configurazionali. Questi ultimi, se soccombono all’ASc, si estinguono o si trasformano, rendendo (in quest’ultimo caso) i paradigmi specifici delle loro singole CA conferenti con il paradigma imposto dall’ASc. Se invece a soccombere è l’ASc, essa diventa una CA residuale, parcheggiata in attesa dell’oblìo. Un esempio ne sono i manicomi, chiusi in Italia dalla seconda metà degli anni ’70. Se verranno chiusi anche negli altri stati, essi si ridurranno ad un luogo comune nel linguaggio colloquiale, fino a che anche la sola ipotesi che un uomo venga rinchiuso non per la commissione di crimini, ma perché non adeguato a vivere secondo le logiche collettivistiche, non venga nemmeno più in mente ad alcuno. Ma il sistema configurazionale emergente grazie all’ASc può, ad un certo punto, entrare in equilibrio con gli altri sistemi adiacenti. A tal punto, non può più rientrare nell’agòne competitivo che fa diventare un paradigma di un’ASc il nuovo paradigma fondamentale. Un esempio di sistema, emergente da un’ASc, che si è posto in equilibrio con gli altri adiacenti, omettendo di dar luce al paradigma fondamentale, è la chimica. Tale sistema si è equilibrato con i sistemi adiacenti di fisica e biologia: pertanto ha perso il treno per diventare paradigma fondamentale. Difatti, ormai la fisica è conferente con la chimica: riesce pertanto a spiegarne il funzionamento. La chimica è, dal canto suo, conferente con la biologia, ma non riesce a spiegarne appieno il funzionamento. La biologia è la meno conferente con le altre due, né riesce a spiegarle, ma non ne drena i percorsi. Si è quindi acquietata.Torna indietro al capitolo sull’onda formaturale.36

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sua anima veniva sottoposta al giudizio e, se il suo cuore veniva trovato più pesante di una piuma, veniva condannato per sempre. Il tema della legge mosaica (mutatis mutandis) si avverte con forza. La legge data a Mosè sul Sinai, infatti, non ammette errore di sorta: anche la più piccola trasgressione comporta, prima o poi, la morte. Lo stesso Mose, niente meno, viene fatto morire da Yahwé prima che il popolo accedesse alla terra promessa, per un minimo errore commesso molto tempo prima. La differenza della cultura egizia, che spicca rispetto alla legge mosaica, è che il destino dell’unico che può salvarsi (peraltro abbastanza difficilmente), cioè il destino del faraone, è legato all’evoluzione (o quantomeno al benessere) del popolo. L’idea evolutiva mi sembra comunque l’unica in grado di spiegare la singolarità della prospettiva di aldilà che avevano gli egizi.

Presso i greci antichi il racconto è popolare, ma assurge ad un livello tecnico superno (con Iliade ed Odissea); più che la scrittura sono la matematica e la geometria ad essere sacralizzate, proprio per il loro potere misterioso sulla realtà. L’adepto pitagoreo, che riuscì a trovare la soluzione per calcolare la radice quadrata di 2, fu ucciso dagli stessi confratelli, poiché ormai avevano sacralizzato tale numero ed esso doveva quindi restare un mistero. D’altra parte, la massima aspirazione delle città-stato greche era armonizzarsi il più possibile, con le proprie leggi, alle leggi naturali. Queste ultime erano l’unico modello cui ispirare il pensiero, la parola e l’azione. La magia e il vaticinio, accanto alla filosofia e ben prima di essa, erano tuttavia diventate d’immensa importanza. La retorica era arrivata a dare un ruolo magico anche al diritto, alla politica e alla scienza, non solo in ossequio alle tradizioni magiche, ma facendo intendere tali branche come forma di persuasione disponibile al retore, grazie all’apporto della scuola di Zenone e degli altri sofisti. Accanto alla potenza della magia, si era affiancata quindi quella dell’esoterismo. Il limite delle leggi naturali, pertanto, andava più che stretto anche ai greci. L’aldilà, inoltre, era per loro luogo di ombre; ma non mancava chi, come Platone, credesse nella reincarnazione e nella retribuzione dopo la morte (ma non per fini morali, bensì per incentivare l’evoluzione sociale, che riportasse l’uomo a raggiungere il modello naturale). La scienza come la intendiamo noi oggi si sviluppa non poco, ma ne rimangono pochissime tracce. Il livello tecnologico era estremamente inferiore al nostro, ma la tecnica in molti campi del sapere (retorica, letteratura, arte, la stessa scienza) ci ha lasciato e ci lascia molto da invidiare. Tuttavia l’idea che si dovesse eguagliare la natura ha contrastato lo sviluppo in campo tecnico. Il cristianesimo, poggiando su basi inizialmente esoteriche e relazionali, si è ben presto volto all’idea del Dio assoluto. In unione a tale idea e a quelle di retribuzione morale, di mortificazione fisica e interiore (infine sfociata nella introspezione e nell’allargamento della capacità di ricevere personalmente la rivelazione a tutti i battezzati, in ambito protestante), il cristianesimo ha posto le basi, poi fatte crescere da Bacone e Galileo, per far decollare la tecnica emancipata dalla natura, grazie alla conoscenza tendenzialmente oggettiva di quest’ultima. Oggi la tecnica ha trovato un acme, oltre il quale si trova ad essere in esubero. La natura, infatti, regolando e costituendo a sorpresa questo stallo della tecnica, ha portato l’umanità di fronte al bivio tra relazionalità (intesa come sopra) e deriva tecnologica (in cui l’uomo è sempre più reso interiormente schiavo delle soluzioni tecniche, che invece che stimolare la sua creazionalità, lo fanno accomodare davanti allo schermo dello smartphone ad eccitare la propria creatività, fino a dimenticare che ignora ormai la direzione da seguire per realizzarsi). O l’uomo si riscuote e cerca la comunicazione, o si lascia trasportare dalla corrente nel fosso dell’estinzione. La stessa filosofia ha finito per costituire, per molti addetti ai lavori e fruitori finali, un dispositivo tecnologico, come spiego analiticamente nell’articolo La filosofia non è un interruttore, pubblicato sul sito menzionato nell’epigrafe della copertina. Ruotando intorno all’idea di assoluto, la filosofia ha finito infatti per indulgere ad un’autoreferenzialità eccessiva, che ha contribuito a chiudere l’umanità nel più grande vicolo cieco interpretativo della sua storia (reso palese dalla caduta dei valori morali, l’abbrutimento di ogni punto di riferimento culturale, una conflittualità ideologica fine a se stessa, una tendenza preponderante ad un individualismo conformista e ad un collettivismo spersonalizzante, l’allontanamento ormai consumato dalla natura accompagnato dall’abbandono della tecnica evolutiva in favore della tecnologia - anche in conformità al dogma a-finalistico della scienza). Ma come l’escatologia scritturistica insegna, è proprio quando i santi76 sono circondati dall’esercito della “bestiola77” dell’Apocalisse, che scende il fuoco dal cielo per consumare gli avversari (Ap 20). Il cielo è il finalismo che fa convergere i linguaggi della realtà; il diàbolos, dal cui inganno inizia la seconda e definitiva

76 Cioè gli scelti dall’essere supremo per essere di sua proprietà, cioè formati secondo l’evoluzione culturale concordata con lui.37

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battaglia escatologica, è quella funzione dell’essere che mette alla prova evolutiva il dispositivo biologico del corpo umano, a tutti i suoi livelli; i santi che siedono su molti troni, nel regno millenaristico che precede la battaglia, si contrappongono all’unico trono che emerge dal fuoco (parlandoci così del passaggio dal pluralismo delle roccaforti culturali, coinvolte nell’evoluzione concordata con l’essere supremo, all’evoluzione (rispetto a prima) esponenziale, che convoglia verso una matrice culturale creazionale e integrata in unità, capace di far convergere i linguaggi della realtà senza abbrutirli in un’ideologia totalitarista78). Coloro che vengono ingannati dal diàbolos, per circondare i santi, sono numerosi come la sabbia del mare e vengono dai quattro angoli della terra: quale più accurato oracolo potremmo immaginare per questi giorni che viviamo. Possiamo ciascuno considerarci, a secondo dei momenti e delle situazioni che attraversiamo, a volte come i santi e a volte come gl’ingannati dal diàbolos: attendiamo comunque un fuoco che ci trasformi dal di dentro, senza consumare noi, ma bruciando per sempre (cioè con costanza continuativa) il diàbolos e le componenti sociali o individuali che da esso sono ingannate e sciupate. Il parallelo con il roveto ardente dell’Esodo, che non brucia, è netto. La Kabalah ebraica si pone sulla scia dell’esoterismo e dell’escatologia cristiana, a volte (forse) con qualche sconfinamento nell’idea di assoluto, ma di base con un’interesse alla relazionalità del reale, che è fortissimo anche nella bibbia ebraica. Le immense architetture cabbalistiche fatte di nomi e di numeri altro non sono, in questo contesto, che una visione della realtà come di una rete analogica, che può subire forti scatti evolutivi per volontà congiunta dell’uomo e dell’essere supremo. L’escatologia ebraico-cristiana, con la sua tendenza evoluzionistica e relazionale, illumina così di un senso nuovo l’accesso dell’uomo al sapere. La Scienza e la filosofia, insieme al flop della tecnologia, hanno fermato il cammino epistemologico umano (le cui ultime novità risalgono – che io sappia – agli anni ’80 e vertono su argomenti più particolari, rispetto all’analisi assai più ampia che poteva trovarsi in Kuhn, Feyerabend e Lakatos, negli anni ’60-‘70). L’esoterismo si trova confinato in un angolo dal proprio stesso pluralismo dispersivo, nonché dalla tendenza a scimmiottare la dottrina dualista e verificazionista della cd. Scienza. Il confronto tra Occidente ed Oriente, soprattutto nel campo della saute, è come quello tra due binari paralleli, che trovano come unico punto d’incontro le istituzioni sanitarie e il servizio sanitario pubblico. Non incontrano, invece, la consapevolezza dei pazienti, né quella dei ricercatori, sulle autentiche sfide che si aprono grazie a tale confronto e all’integrazione dei due poli culturali. Un simile tentativo d’integrazione, invece che essere visto come una riattivazione della via dell’essere (l’Oriente) grazie alla complementarietà con la via del non-essere (l’Occidente), sarebbe piuttosto tacciato di eclettismo o di partigianeria. A questa situazione davvero disperata, può fornire una grande luce l’idea escatologica ebraico-cristiana, come sopra reinterpretata alla luce della scrittura biblica (non quindi, in chiave meramente fideistica). Il “disvelamento” del vicolo cieco ermeneutico potrebbe essere davvero vicino. Non in senso cronologico, ma nel senso del tempo del kairòs, cioè dell’occasione opportuna d’incontro con l’essere supremo. Anche se il contributo che offro con l’analisi di questa terza rivoluzione culturale sarà, per molti, più problematico che “persuasivo”, esso ha il merito di proporre una via di uscita all’umanità e di rendere bene l’idea di un terzo paradigma che cerca di vincere, nelle pieghe di questi ultimi tre millenni, la sfida per divenire fondamentale per la conoscenza umana (e quindi per l’osservazione relativa alla realtà).

77 Normalmente viene chiamata “bestia”, che nell’immaginario fa pensare a risvolti demoniaci. Io invece, in controtendenza rispetto al vocabolario di greco antico, traduco la parola therìon (diminuitivo di thèros, bestia) con il termine “bestiola”, che è peraltro anche uno dei suoi significati, dal momento che si riferisce ad animali selvatici tendenzialmente di piccola taglia (come può esserlo un gatto). La caratteristica della “bestiola” è che è tutta istintuale e che con essa, ovviamente, non si ragiona. Né la si può addestrare, visto che è selvatica. Il fuoco che scende dal cielo e la brucia per i secoli dei secoli fa quindi pensare che non ci libereremo facilmente della “zavorra” umana dei soggetti pervicacemente inconsapevoli, ma troveremo un modo di convivenza che (pur non alterandone i connotati negativi) impedirà ad essa di attaccare l’uomo veramente consapevole di sé. Il lavoro si sposta, allora, sui singoli appartenenti alla bestiola, per farne dei santi in senso scritturistico (cioè proprietà gelosa dell’essere supremo, che se li è formati culturalmente con grande sforzo).78 Altrove, chiamo questa ipotetica ideologia totalitarista con il nome di “super-codice”, che ne è invero l’obiettivo (fortunatamente) irraggiungibile. Il super-codice, infatti, rende i linguaggi della realtà perfettamente trasmutabili tra di loro: in questo modo, i linguaggi (fino ad allora dinamici) si fermano immediatamente, non appena entrano in contatto con il super-codice. Esso diventerebbe così l’unico linguaggio. E’ una prospettiva anti-utopica, ma non per questo meno irrealizzabile (allo stato attuale).38

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La quarta rivoluzione è funzionale alla terza. Potremmo chiamarla la grande rivoluzione per “la pagnotta e gli smartphones” (in latino, panem et circenses). Se non che, dalla prima idea di dare al popolino ciò che serve a sfamarlo, accompagnato dai lazzi del circo (per evitare rivoluzioni dal basso), si è passati (grazie alla matrice culturale cristiana e poi alla Rivoluzione francese) all’idea di riconoscere a ciascuno la propria dignità, il decoro della vita ed un certo benessere, nonché gli stessi punti di partenza degli altri, affinché chiunque lo voglia possa dedicarsi alle attività più alte dell’umanità. Questa rivoluzione consente di allargare il numero non tanto dei santi79, ma di coloro il cui appellativo scritturistico è quello di “figlio dell’uomo”. Il figlio dell’uomo, come sopra precisato, è l’interprete scelto per trattare e sottoscrivere (con l’affermazione concreta del nuovo paradigma fondamentale) l’accordo costitutivo80. Parlo di “affermazione concreta” del nuovo pf81, poiché quest’ultimo non deve solo essere inventato come paradigma (cioè come “discorsetto” basato su una logica innovativa), ma anche essere effettivamente intessuto in ogni CA82 della rete analogica delle cose esistenti, drenando ogni percorso di coscienza umano83. Il terzo paradigma, quello della libera interpretazione o libera costruzione, si esprime con il seguente discorsetto, dalla logica innovativa: “la realtà può essere ricostruita radicalmente dall’uomo, grazie alla libertà spregiudicata84 e all’ineffabilità creazionale85 della sua interpretazione, in accordo con il sé archetipico umano”. Ma questo fraseggio non mi dice come risulteranno concretamente trasformate la fisica, la chimica, la biologia, la letteratura, le scienze sociali ed ogni altra branca del sapere (e quindi della realtà, intesa come osservazione umana relativa alla realtà). Acquisendo, grazie alla nuova percezione che ne scaturirà, una maggiore o minore capacità previsionale e trasformativa sulla realtà86, potremo anche aggiustare il tiro o (se volta per

79 Cioè di coloro che l’essere supremo (o sé archetipico dell’uomo) consideri sua proprietà, in quanto formati con la matrice culturale da lui ritenuta più idonea a sviluppare l’accordo costitutivo.80 Tale figura può e deve essere incarnata da una pluralità di persone, per poter davvero inseminare ogni scibile umano. Non vi sarà contrasto tra tali soggetti, anche se dotati del più alto potere trasformativo, poiché ciascuno di loro deve comunque accordarsi con il sé archetipico. Ciascuno di loro contribuirà, quindi, nel mettere la propria firma su una parte del riassetto archetipico complessivo e nel reificarlo all’interno delle CA (configurazioni analogiche).81 Paradigma fondamentale.82 Configurazione analogica.83 Come sarà meglio spiegato nei paragrafi successivi, drenare un percorso di auto-coscienza (pda) – altrove chiamato più semplicemente “percorso di coscienza” – significa caricare un’ “onda formaturale” nuova all’interno di una CA già esistente, al fine di ottenere un nuovo salto paradigmatico, che conduca ad una nuova CA di arrivo (CAr). La CA di partenza (CAp) viene quindi spogliata di effettività e, con un successivo sfrangiamento automatico del suo caricamento intuitivo (cioè dell’onda formaturale che l’aveva in origine formata) anche abbandonata del tutto. Permane nell’uomo la capacità, all’occorrenza, di risuscitare la CAp, in quanto le caratteristiche esatte dell’onda formaturale necessaria a costituirla rimangono sedimentate, come criterio strategico d’interpretazione, in una sorta di DNA configurazionale, che nel seguito chiamerò (in acronimo) “c-fcfs”.84 Ma comunque concordata con il sé archetipico.85 Il riferimento è all’analogia singolare di tipo creazionale (ASc), più volte citata e spiegata sia in nota che sopra, nel corpo del testo. Si consigliano, da qui in avanti, ricerche con la modalità “cerca” della versione eBook/pdf disponibile, per individuare le parole di cui non sia precisata in nota la definizione. Adottando questo metodo, il lettore può di fatto trasformare questo testo elettronico tradizionale in un ipertesto.86 Come già anticipato sopra, poiché il terzo paradigma non cerca di ricostruire, ma di trasformare gli assetti archetipici preimpostati nella rete analogica delle cose esistenti, esso si basa sull’introduzione di un’analogia singolare di tipo creazionale che dreni i percorsi di coscienza di ogni CA (configurazione analogica). Tuttavia, nel far questo, il terzo paradigma ha all’inizio una presa limitata sulla realtà (intesa come osservazione relativa alla realtà). Qualora assurgesse davvero a paradigma fondamentale – d’ora in poi anche “pf” - (dominando quindi l’osservazione relativa alla realtà), il suo grado di (in)coerenza interna potrebbe – soprattutto all’inizio – dare qualche problema sul lato previsionale e sull’effettivo confezionamento delle CA desiderate. Tali incoerenze interne non vanno però intese, da parte mia, come una reintroduzione surrettizia della realtà oggettiva, accanto alla realtà osservata. La realtà oggettiva costituisce comunque un’illusione, da cui prendo le distanze. La realtà osservata va quindi comunque intesa come “osservazione relativa alla realtà” illusoria, “consistente nel guardare all’ineffabile” che s’innesta in quest’ultima. All’obiezione su come possa innestarsi, in una realtà illusoria, qualcosa d’ineffabile, guardando al quale si costituisca l’osservazione, rispondo con il saggio Analogia singolare… In tale saggio (disponibile sul sito riportato nell’epigrafe della copertina) troverete espresso e analizzato puntualmente il rapporto di opposizione complementare tra la via dell’essere (o ineffabile) e la via del non-essere (o illusione della realtà oggettiva). L’essere è attualmente un grande castello costruito sulla sabbia: se vogliamo riedificarlo sulla roccia (come effettivamente propone il Vangelo) dobbiamo 39

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volta già soddisfatti) premere sull’acceleratore dell’evoluzione. Una simile rivoluzione culturale non può avvenire di colpo, nell’umanità. Questa ha bisogno di tempi lunghi, nei quali digerire ogni tassello del discorsetto, dalla logica innovativa, fatto sopra. L’idea di poter costruire la realtà (costruttivismo) si è iniziata ad affermare a partire dal secondo decennio del ventesimo secolo, sia nel campo epistemologico che in quello delle scienze sociali, nonché in quello della matematica e delle tecniche dell’informazione (da cui gemmerà la cibernetica). Un patrimonio di studi decisamente sterminato, che per un individuo è decisamente impossibile da studiare ma che, grazie alle complesse e numerose società umane, è riuscito ad inseminare anche le masse. Si noti che il costruttivismo non sembra essere arrivato (salvo che vogliate aggiornarmi sul punto) all’idea di “ricostruire” la realtà, che è più radicale della semplice costruzione di nuove realtà, da sedimentare su quelle già esistenti. L’umanità non sarebbe arrivata ancora alla pretesa di poter fermare l’entropia, o di poter avere un’idea chiara e inconfutabile del cd. aldilà, ecc… L’idea di libertà universale, cioè attribuita a tutti gli esseri umani, si è affermata solo a partire dalla Rivoluzione francese (1789), ma si è iniziata ad affermare, in forma meno stringente, in precedenti rivoluzioni e carte costituzionali, già a partire dalla Magna Charta Libertatum del 1215. Tale idea ha spazzato via la suddivisione in classi e ordinamenti giuridici autonomi, tipica del Medioevo, in cui prevalevano i concetti di sudditanza, privilegio, consuetudine (intesa come fonte principale dell’ordinamento), legge come concessione del sovrano, giudizio come intimo convincimento – pur basato sulla conoscenza dei fatti - del giudicante (che, come il sovrano, aveva una legittimazione che proveniva dall’alto). E’ evidente che, per sentirsi liberi di creare da zero, occorreva prima di tutto sentirsi legittimati ad esprimere se stessi, grazie alla libertà universale. In secondo luogo, occorreva sentirsi moralmente legittimati dalla collettività di appartenenza a considerare la realtà come frutto della costruzione umana (costruttivismo). Oggi occorre un salto di libertà effettivamente spregiudicato, che solo nei film e nelle serie TV si può respirare (forse per il timore di un ritorno ai grandi totalitarismi, che si erano messi a fare sperimentazione selvaggia sull’uomo). Ma la spregiudicatezza cui mi riferisco non è la feralità, tipica invece di chi non riesce ad apprezzare il fratello (o, a secondo delle preferenze linguistiche, il consociato solidale) come un altro se stesso. In questo siamo infinitamente debitori del messaggio del Gesù scritturistico, che introduce il comandamento di “amare l’altro come me stesso”. Tale comandamento non serve ad altro che a due cose: 1) permettermi di guardarmi allo specchio, senza dover ammettere di non riuscirvi perché un Gandhi di turno (sempre sia lodato!) fa il martire per trasformarmi – finché, infatti, ho bisogno di simili trasformazioni, non sono ancora pronto a trasformare la realtà; 2) permettermi di accogliere quanto di buono trovo sinceramente negli altri, al fine di edificare con loro il nuovo edificio della realtà sulla roccia (cioè in forma di grafè) – molti soggetti devono infatti incarnare la figura del figlio dell’uomo, inserendo ciascuno un tassello della grande rivoluzione che ci attende: se non trovassero tra loro l’accordo, men che meno lo avrebbero trovato con l’essere supremo. L’idea d’ineffabile, poi, si è prima affermata in campo scritturistico-ebraico, in particolare nel libro di Giobbe, in cui viene collegata a qualcosa di percettivo (“prima ti conoscevo per sentito dire, ma adesso i miei occhi ti vedono”). Tuttavia Giobbe non sembra collaborare alla creazione: la narrazione più superficiale ci dice solo che egli vi assiste stupefatto e ne viene trasformato interiormente. Il messaggio che è passato alle prime generazioni di cristiani era quindi quest’ultimo: non l’idea di ricreare la realtà insieme all’essere supremo. Inoltre, nel tredicesimo secolo la Scolastica (e già prima il conciliarismo) hanno interpretato l’idea d’ineffabile come un dogma intangibile, di cui non si può dire nulla di positivo (salva la professione esatta del dogma), e su cui potesse insistere (da parte dell’interprete) solo un discorso apofatico (cioè di teologia negativa). Quindi, se il dogma dice che “Gesù è vero uomo e vero Dio”, l’interprete può solo aggiungere che non si può dire di Gesù che fosse solo un uomo, né che fosse solo Dio. La tradizionale idea di assoluto, incarnata nella parola “Deus”, ha quindi impedito un discorso epistemologico sull’ineffabile, fino a che la cultura laica ha permesso di compiere certi sforzi teorici senza essere messi sul rogo. Il più famoso virgulto dell’ineffabile, sorto dopo secoli di oscurantismo, è stato il “cogito ergo sum” di Cartesio. Ma come molti di questi primi virgulti (fino a tutt’oggi, nella filosofia di stampo occidentale) è ancora troppo intriso dell’idea tradizionale di assoluto (apofatica), per farci fare reali passi avanti nello studio dell’ineffabile. Il passo che l’umanità è chiamata a fare oggi è quello di considerare l’ineffabile (per quanto impossibile da esprimere a parole, cioè con il sefèr) qualcosa che ha un suo funzionamento, nell’economia della realtà. Si è cominciato a farlo nella seconda metà del ventesimo secolo,

concordare in via effettiva il terzo pf con il sé archetipico dell’uomo.40

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con l’idea d’intelligenza emotiva (D. Goleman, 1990), con il cognitivismo post-razionalista (V. Guidano) e con il costruttivismo applicato, ad esempio, alla filosofia del cinema (G. Deleuze), nonché con la ricerca sulle neuroscienze, ma ancora troppo segnati dall’idea tradizionale di assoluto87, frattanto traghettata indenne nel campo scientifico da Galileo in poi. Ancora una volta riaffermo con forza, quindi, che l’umanità deve rendersi conto che ogni elemento della realtà è trattabile, quindi ricostruibile. Ne abbiamo consapevolezza intuitiva, anche se non ancora intellettiva, quando proviamo a rispondere alla seguente domanda: “siamo sicuri che ciò che conosciamo, anche la teoria più accreditata in campo scientifico, non cadrà miseramente grazie ad una nuova scoperta?” A questa domanda penso che ormai tutti, salvo i fideisti più radicali, risponderemmo in senso negativo. Un tempo (nel Medioevo, o anche ai tempi del positivismo) non lo avremmo fatto. Qualcosa è cambiato irrimediabilmente, lanciando questo “universo” dell’osservazione sulla realtà in una direzione nuova. Se l’uomo vorrà affermare di essere in grado di ricostruire la realtà, non solo ci riuscirà, ma si salverà anche dall’estinzione (finanche dall’entropia). Dovremmo renderci conto di costituire un esperimento dell’essere (forse non l’unico in corso), che c’impone una certa resa evolutiva, al fine di evitare il collasso dell’essere stesso o l’abbandono dell’esperimento umano88. L’idea del movimento lento degli assetti archetipici, mutuata da C.G. Jung, è quindi strategica per orientarci in questa lotta, ὅτι οὐκ ἔστιν ἡμῖν ἡ πάλη πρὸς αἷμα καὶ σάρκα, ἀλλὰ πρὸς τὰς ἀρχάς, πρὸς τὰς ἐξουσίας, πρὸς τοὺς κοσμοκράτορας τοῦ σκότους τούτου, πρὸς τὰ πνευματικὰ τῆς πονηρίας ἐν τοῖς ἐπ (“poiché non è per noi la lotta dinanzi a sangue e carne, ma dinanzi ai ουρανίοιςcominciamenti, dinanzi alle risorse ontologiche, dinanzi agli esercenti forza durevole sull’ordine delle cose, attribuiti a questa oscurità, dinanzi alle ineffabilità della malvagia tristezza nell’integralità resa possibile dai finalismi escatologici”89 – Ef 6,12). Un’umanità di luci e ombre, tra le quali traspare l’ineffabile, non è fatta per voltarsi indietro rispetto alla sfida del riassetto archetipico! Tale riassetto consente di ricostruire qualunque sistema reale, facendo leva sull’evoluzione dell’organismo cosciente (il

87 Si tratta, ancora una volta, dell’idea apofatica, secondo cui l’assoluto va preso come assunto di base per il discorso umano, che su di esso non può fare alcuna considerazione interpretativa. Così in matematica occidentale l’idea di uno, di due, di somma, di sottrazione, di moltiplicazione, di divisione, d’insieme, ecc… sono adoperate come assiomi indiscutibili (salva la strategica possibilità di creare matematiche distinte, fondate su assiomi diversi da quelli classici). Nel saggio Rivelazione o ricerca?, che sarà a breve disponibile sul sito www.bridge4will.net, ho tracciato la distinzione tra assoluti originari e assoluti derivati (ricomprendendo in questi ultimi gli assiomi suddetti). Inoltre, in una nota precedente di questo stesso libro, ho finalmente tracciato l’“origine” epistemologica degli assoluti originari, classificandoli come analogie singolari di tipo creazionale, che sono ormai assurte in modo incontrastato a paradigmi fondamentali (in aggiunta a sefèr e grafè, e con questi ultimi compenetrati e complementari). Non essendo però necessariamente da reinterpretare, ai fini del cammino di affermazione del terzo paradigma, non li ho finora dovuti citare tra i paradigmi fondamentali stessi. Gli assoluti derivati, invece, sono dei semplici collettori dei percorsi di coscienza, che creano l’illusione della realtà (illusione comunque aggirabile e, in molti punti della rete analogica delle cose esistenti, già effettivamente aggirata).88 Non nego – come probabilmente affermerebbe P. Biglino – che noi umani siamo anche un esperimento alieno; ma ritengo che l’esperimento principale sia quello condotto dall’essere stesso (o sé archetipico). Probabilmente (almeno così io immagino) gli stessi alieni si sono resi conto che dominarci politicamente (come – ancora una volta – immagino avvenisse nei tempi antichi, viste – non ultime – le testimonianze contenute nella Bibbia) fosse un modo troppo intensivo per anticipare i tempi della nostra evoluzione. Un’evoluzione troppo precipitosa può aver portato al crollo di Atlantide (anche qui, propongo una mia ricostruzione tra le tante, di un mito ormai inverificabile). La lenta ma sicura evoluzione culturale, che è seguita al “crollo degli dèi”, può essere stata consentita ad arte dai nostri dominatori di allora, vista l’impossibilità di trovare nell’uomo un’espressione davvero originale, senza concedergli lo spazio di libertà di cui abbisognava.89 Ho voluto proporre un’interpretazione esoterica del versetto in cui Paolo, secondo le traduzioni in lingua corrente, direbbe invece: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (CEI 1974). Si noti come solo nella mia versione emerge la dialettica ambigua tra bene e male, tra bello e brutto, nei campi evolutivo ed epistemologico. Tuttavia tale dialettica è assai presente nella Bibbia: si vedano il Libro di Giobbe, le due grandi creazioni (in Genesi 1 e in Giovanni 1), la questione del passaggio dall’economia della legge a quella della grazia, i grandi massacri ordinati da Yahwé nell’antico testamento, la domanda di Gesù “perche mi dici buono?”, l’affermazione di Gesù di essere venuto a portare una spada invece che la pace, la constatazione che la bestiola apocalittica siamo noi, intesi come collettività istintuale e inaddomesticabile, e che siamo quindi destinati – in tale nostra componente - al fuoco eterno di Apocalisse 20, ecc… ecc…, e (non ultimo) il versetto paolino sopra citato.41

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quale è come il proiettore da cui esce l’osservazione sulla realtà). Questa rivoluzione ha trovato quindi una sintesi intermedia anche nel pensiero di Husserl, che si riferiva all’osservatore proprio come un proiettore (con un approccio, quindi, squisitamente esoterico).

La quinta e ultima rivoluzione di cui voglio occuparmi, ai fini della verifica preliminare della nostra teoria, è il confronto fra Oriente ed Occidente. Queste due grandi matrici culturali (la prima molto eterogenea al suo interno, la seconda abbastanza uniforme – per la tendenza alla globalizzazione - sul piano scientifico, filosofico, artistico e letterario, ma con alcune grandi differenziazioni in campo religioso) sono rimaste sostanzialmente separate per millenni. A tutt’oggi, pur inseminandosi a vicenda, rimangono ben distinte: come binari paralleli, che non s’incontrano mai veramente. In Occidente, per esempio, siamo abituati a rivolgerci sia al medico tradizionale che al pranoterapeuta, all’agopunturista, all’omeopata, all’osteopata, ecc…; in Estremo Oriente (come nel resto del mondo) ci sono ormai più ospedali occidentali che ospedali legati alla medicina tradizionale del posto (es. medicina cinese). I servizi sanitari nazionali del mondo occidentale, d’altro canto, hanno iniziato da diversi anni o decenni a passare, con il finanziamento pubblico, le prestazioni delle medicine alternative. Nessuna delle due grandi matrici culturali afferma più, in modo plateale, di essere l’unica ad avere la verità in mano. In Occidente, tuttavia, viene considerata vera ricerca in campo medico solo quella fondata sul paradigma dell’evidenza scientifica (evidence based); coloro che praticano discipline orientali, d’altro canto, hanno pieno diritto di considerare ricerca scientifica anche la loro. Il nodo gordiano è ingarbugliato dal fatto che, per secoli, l’Occidente ha seguito un approccio conoscitivo prevalentemente essoterico (inserendosi quasi sempre, sul piano scientifico, in un solco culturale di tipo materialista, meccanicista, neopositivista e riduzionista), l’Oriente invece ha seguito un approccio prevalentemente esoterico (peraltro molto legato, a tutt’oggi, ai linguaggi della filosofia e della religione). Per considerare, però, cosa sia davvero ricerca, serve un criterio di demarcazione in campo epistemologico: mancando un criterio accolto da tutti (o per lo meno dalla maggioranza della comunità scientifica), non è possibile confutare nemmeno un teologo che, facendo teologia, sostenesse di fare anch’egli ricerca scientifica. Se d’altro canto consideriamo come vari principi, sorti in campo filosofico e teologico, sono stati poi autentici fari per la stessa Scienza galileiana e baconiana, e che tali principi, quindi, fanno parte della stragrande maggioranza delle teorie scientifiche occidentali, non è davvero possibile né auspicabile istituire un criterio di demarcazione che scarti una singola materia (foss’anche la teologia) dal novero delle materie di ricerca scientifica. Nel saggio Rivelazione o ricerca?, come anche in Analogia singolare90, offro un criterio di demarcazione netto e chiarissimo: la differenza tra la via dell’essere e la via del non-essere parmenidei, interpretati con una particolare chiave relazionale. La via dell’essere sarebbe quella grazie a cui si formano le analogie singolari91 e si realizzano, quindi, i salti paradigmatici da una CA92 all’altra. Opposta e complementare a tale via, è la via del non-essere, seguendo la quale ci si accontenta del novero di analogie singolari già formate nella coscienza e dei salti paradigmatici grazie ad esse realizzati, limitandosi ad assestarli e a percorrere i percorsi di coscienza che ne discendono in maniera autoreferenziale. Chi si acquieta nella via del non-essere, smette in modo stabile di ricercare la conoscenza: non si può quindi dire che sia un ricercatore, ma semmai un collazionatore dei soli percorsi di conoscenza (già aperti da altri) che secondo lui abbiano il giusto pedigree. Chiuso nella gabbia della propria autoreferenzialità, il collazionatore vive la morte spirituale (cioè lo scivolamento nel rispetto disciplinare delle regole auto od etero-imposte, che lo porta al confine con l’oppressione). Per salvarsi da tale oppressione, egli può però abbracciare l’altra via, quella dell’essere, che a tal punto funge da opposto complementare alla via del non-essere. Ho fatto notare, in Analogia singolare, come l’una via non possa sussistere senza l’altra: non possiamo sempre innovare (sulla via dell’essere), scoprendo continuamente paradigmi nuovi e le rispettive CA, ma dobbiamo anche abbandonarci al godimento e al riposo dell’autoreferenzialità dei sistemi di sapere già acquisiti (via del non-essere); né possiamo, però, vivere una vita felice se ci abbrutiamo in tale autoreferenzialità (via del non-essere), che dovrebbe solo servire a differenziare la nostra vita creativa (rendendola unica grazie ai ricordi) e farci prendere la rincorsa per lanciarci nuovamente nella via dell’essere. In sintesi, se seguissimo solo la via dell’essere, diverremmo in breve degli automi, i cui linguaggi convergono senza alcun impegno creazionale

90 Entrambi i saggi sono disponibili sul sito indicato nell’epigrafe della copertina.91 Cioè le analogie che collegano, in modo ineffabile, un elemento analogico ad un altro elemento analogico. Ciascuno dei due elementi analogici, peraltro, consiste in un intreccio di somiglianze e differenze con altri elementi analogici: l’analogia singolare s’innesca quando i rispettivi intrecci dei due elementi analogici si siano opportunamente “caricati”, grazie all’attivazione (nel contesto dei percorsi di coscienza seguiti dall’osservatore) degli ulteriori elementi analogici occorrenti a stimolare la somiglianza/differenza ineffabile tra i primi due elementi dell’analogia stessa.92 Configurazione analogica.42

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da parte nostra; se seguissimo solo la via del non-essere, perderemmo il grande treno della relazionalità e finiremmo per sospendere a tempo indeterminato l’espressione del nostro io e divorarci a vicenda (nonché estinguerci come specie). Seguendo entrambe le vie, in modo alternato, la ricerca, oltre che relazionale in senso automatico, lo diventa anche in senso comunicativo, innovando in modo originale la realtà; i giusti momenti di stacco dalla ricerca, rappresentati dalla via del non-essere, non ci abbrutiscono, d’altro canto, come una massa di asini e pecoroni, ma ci differenziano e ci dilettano, facendoci condividere momenti indimenticabili. L’Occidente, pur facendo ricerca, tende a farla in modo riduttivo (anche se abbastanza coordinato) e poi a cristallizzarla nella via del non-essere (che, ormai, abbiamo capito essere l’autopoiesi93). Molti colgono tale riduzionismo come semplice abbandono della ricerca di base (orientata all’acquisizione di nuovo sapere) in favore della ricerca-sviluppo (direttamente orientata alla realizzazione di ritrovati tecnici da vendere). Al di là che per istituire una linea netta di demarcazione tra i due tipi di ricerca, occorre rifarsi alle idee di analogia singolare e di configurazione analogica94, il nodo della questione è un altro (ancora non avvertito a livello collettivistico). Non è la ricerca di base quella che ci può salvare dall’abbrutimento, ma la ricerca non limitata dall’ambiente culturale riduzionista. E’ puntando sulle potenzialità dell’organismo autocosciente (l’uomo), che si può mettere in grado l’osservatore di cogliere le strutture logico-intuitive della realtà in modo più penetrante e rapido. In sostanza, occorre affiancare (e un domani forse soppiantare) la scienza essoterica con quella esoterica. Il riduzionismo della scienza essoterica, infatti, costringe il ricercatore a vietarsi le ipotesi più allettanti e promettenti (vd., per esempio, la teoria quantistica, sorta per una imprevista concessione all’approccio esoterico). Il fallimento degli esperimenti sulle potenzialità “quantistiche” del corpo umano, tuttavia, hanno fatto restringere l’iniziale apertura dell’Occidente al cd. occulto. E’ stata tuttavia la chiusura culturale della classe dirigente e della comunità scientifica a impedire all’impresa di riuscire, poiché non si è avuto abbastanza coraggio ideologico. Come dice Gesù: τις γαρ εξ υμων θελων πυργον οικοδομησαι ουχι πρωτον καθισας ψηφιζει την δαπανην ει εχει εις απαρτισμον ινα μηποτε θεντος αυτου θεμελιον και μη ισχυοντος εκτελεσαι παντες οι θεωρουντες αρξωνται αυτω εμπαιζειν λεγοντες οτι ουτος ο ανθρωπος ηρξατο οικοδομειν και ουκ ισχυσεν εκτελεσαι (“qualcuno95 infatti (prodotto) tra voi, volente costruire una torre, certo non in primo luogo sedutosi (in trono) computa la spesa, se ha dentro preparazione-adattamento affinché né mai avente collocato egli stesso un fondamento e affinché non avente avuto forza-durata di completare (in modo produttivo), tutti gli osservanti possano cominciare grazie a lui a colpire (modalmente)96 dicenti che questo, l’uomo, cominciò a costruire e non forzò-durò di completare (in modo produttivo)” - Lc 14,28-3097). Cioè, in poche parole, è proprio grazie al fatto che l’Occidente non si è adattato né preparato alle richieste dell’impresa conoscitiva, cioè grazie al suo stesso fallimento, che l’uomo potrà davvero dare cominciamento ad un approccio del sapere che punti il tutto e per tutto sul “modo” o stile con cui si costruisce l’osservatore (approccio esoterico, adeguato alle richieste del sé archetipico). L’Oriente, pur avendo un approccio epistemologico più aggressivo ed audace, tende a fare ricerca in modo estremamente disarticolato (non si adatta, quindi, alle stringenti richieste del sé archetipico, 93 Tale forma di autopoiesi, ricomprendibile nell’autopoiesi “cosmica”, acquista una punta di originalità che differenzia ogni essere umano dall’altro, introducendo nella realtà, in modo ancora più massiccio e creazionale, la differenziazione evolutiva.94 Altrimenti, con la situazione attuale dell’epistemologia ufficiale, si finisce per confondere la tecnica con la magia, che è invece un particolare tipo di tecnica, dotato di oggetti “magici”, che tuttavia non sono altro che ritrovati tecnici appartenenti a tecniche esoteriche.95 Nella nostra interpretazione esoterica della scrittura biblica, non consideriamo mai le frasi come interrogative. Pertanto la parola tis viene sempre da noi tradotta come “qualcuno”, inteso come il soggetto escatologico indefinito, che sopraggiunge a compiere un’azione o a svolgere un ruolo decisivi.96 Il verbo empàizein vuol dire “deridere”, ma deriva da pàiein che significa “colpire, pestare q.no”. L’idea di deridere, in greco, viene quindi da quella di essere colpito, pestato. Infatti anche in italiano si dice che uno è “abbattuto” (cioè buttato giù a forza di colpi) in senso morale. La particella en che precede la forma -pàizein significa “dentro” oppure “al modo di”: nella mia interpretazione scritturistica adopera questo secondo significato. Pertanto ho tradotto: “colpire (modalmente)”, cioè “colpire (al modo di)”. L’espressione non ha alcun significato in italiano, poiché l’italiano non ha sviluppato i significati esoterici delle cose, ma si è limitato ai significati fisici o materiali (cioè quelli che rappresentano un assestamento delle rivoluzioni introdotte dall’osservatore, non tali rivoluzioni nel loro realizzarsi grazie al potenziamento dell’osservatore stesso).97 La traduzione CEI è la seguente: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro"”.43

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che risulteranno abbastanza chiare – senza pretese di completezza - nel percorso esoterico che propongo in questi saggi98). Nessuna delle due matrici riesce pertanto a sommare una mole conoscitiva sufficiente e specifica per imbarcarsi veramente nelle autentiche sfide dell’umanità. Per trovare la chiave dell’immortalità99, ad esempio, occorrerebbero due cose: 1) una rivelazione da parte di un essere superiore, che non solo accelerasse il raggiungimento dei singoli salti paradigmi, ma permettesse anche di trovare il percorso che ne debba attraversare un numero inferiore o un novero di salti meno complessi; 2) uno sforzo congiunto nel seguire il progetto introdotto da tale rivelazione, affinché non manchino menti per la sua realizzazione e possa parlarsi di un progetto comune a una parte consistente dell’umanità. Ma se una matrice (quella occidentale) pensa di fare ricerca senza ricevere rivelazioni, e pertanto si accontenta di obiettivi di piccolo cabotaggio, e l’altra matrice crede nell’illuminazione-rivelazione, ma non riceve la rivelazione giusta o non la sa individuare (e di conseguenza non può convogliare le proprie forze verso la sua attuazione), ebbene ciò significa che non si è ancora innescata l’opposizione-complementarietà dell’una via (l’Occidente-non essere) con l’altra (l’Oriente-essere). Ovviamente c’è molto di Oriente-essere anche nell’Occidente-non essere, e viceversa. Vi sono stati filosofi come Heidegger, o prima di lui Husserl, che hanno colto la sintesi esoterica e relazionalista verso cui siamo chiamati a dirigerci, per realizzarci come uomini e sopravvivere al male ed al pericolo di estinzione, che ci circondano su tutti i fronti. L’Occidente è bloccato dalla propria crisi di valori, che è nata per essersi chiuso nel riduzionismo essoterico: finché non si apre all’approccio orientale in senso pieno e ampio (ma mantenendo il suo spirito analitico), non potrà volgersi alla ricerca dei risultati evolutivi che qui auspichiamo. L’Oriente, d’altro canto, è bloccato talora da un regime totalitario, talaltra da una situazione sociale esplosiva o delirante, per l’eccessiva forbice ricchi-poveri: così ha colto dell’Occidente, e scimmiottato, il lato più trito e meno promettente. Solo la complementarietà autentica tra i due può sbloccare e far fruttare entrambi in chiave di sviluppo relazionale ed escatologico100.

Come ce la immaginiamo, allora, questa opposizione-complementarietà tra le due vie, che ancora non si è innescata? La via orientale (dell’essere) dovrebbe trovare ispirazione, per la propria ricerca, dalle categorie riduzioniste della via occidentale (del non essere), arrivando poi a stravolgerne il significato grazie alla mole immensa di salti paradigmatici che ogni ricerca dovrà mettere in campo. Non ci si potrà più limitare a basare una teoria su poche decine di salti paradigmatici (accumulati in secoli di ricerche), ma ogni sequenza tecnica101 dovrà contemplarne almeno centinaia102. Inoltre, per operare tali centinaia di salti paradigmatici, si dovrà tenere conto delle altre sequenze tecniche, nonché delle sequenze naturali103 simili, al fine di evitare sovrapposizioni, oppure per potenziare una sequenza con le sinergie che ha con le altre. Un lavoro così

98 Consiglio di partire dalla lettura di Rivelazione o ricerca?, che introduce al linguaggio indispensabile alla comprensione del percorso stesso, e poi passare alle singole tappe (la prima è Analogia singolare, la seconda è Il testo-ricerca, la terza un saggio che non ho ancora iniziato sulle tre funzioni conoscitive personificate – la cd. trinità; il quarto saggio è questo che state leggendo; ne seguono almeno altri due).99 In alternativa all’immortalità (effettivamente troppo gravosa per mantenersi felici), si potrebbe puntare al raggiungimento della giovinezza ad libitum, accompagnata dalla possibilità di una reincarnazione che non ignori, ma semmai riassuma in sé, la memoria delle precedenti vite umane dai cui corpi “animici” essa discende. Come già accennato, in grazia del terzo paradigma, la questione che sorge da tale scelta non è se la reincarnazione esista o meno, ma se vogliamo che esista e siamo quindi disposti a ricostruire la realtà come se essa esista. Ci troveremo sempre a fronteggiare un “come se”, ma ciò non deve sconfortarci, purché sia il “come se” che abbiamo scelto. Le future popolazioni, un domani, potrebbero essere demarcate da scelte di questo tipo.100 Escatologia è quel tipo di pensiero che vuol dare un progetto e così un senso ultimo all’umanità. Il coordinamento di tale progetto può in parte essere affidato alle istituzioni umane, ma la regìa vera si gioca nell’accordo tra figlio dell’uomo e sé archetipico.101 Sono d’accordo con chi non distingue la tecnica dalla scienza. I motivi per cui la penso anch’io così sono espressi nei saggi Rivelazione o ricerca?, di prossima pubblicazione, e in Analogia singolare, pubblicata sul sito indicato nell’epigrafe della copertina.102 Si potrebbe dire che in Occidente, finora, si è scherzato: adesso occorre iniziare a rimboccarsi le maniche! Non che non si siano compiuti vasti ed importanti studi, ma essi si sono limitati alle superficie della realtà (quella che i cabbalisti chiamano la decima sefiràh, che è alternativamente madre, sposa e figlia della conoscenza). La decima sefiràh offre alla ricerca una riserva indispensabile di energia, che i ricercatori devono sfruttare appieno per riuscire nel loro compito; ma la decima sefiràh non può fornire anche lo spirito analitico indispensabile per portare a fondo la ricerca stessa. Così, se pur è vero che l’umanità trova energia per la ricerca in temi “materialistici”, deve poi adoperare tale energia con uno spirito analitico idoneo a forare la superficie di tali temi, per far emergere i livelli conoscitivi superiori in base ad un’epistemologia insieme ardita e fortunata (in quanto senza l’accordo con un essere superiore, il compito umano è irrealizzabile: ben prima del suo completamento, assisteremmo all’estinzione della specie).44

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mastodontico e preciso può essere compiuto solo dall’organismo vivente autocosciente, opportunamente potenziato con un cammino esoterico ad hoc. L’autoguarigione, ad esempio, dovrà essere preceduta da uno studio attento del percorso paradigmatico da compiere, nonché dalla crescita della collegata autocettività104 del ricercatore. Ognuno dovrà essere il ricercatore della propria personale e specifica salute. La guarigione altrui potrà essere operata dal ricercatore alle stesse condizioni dell’autoguarigione, con l’aggiunta di un percorso altrettanto complesso per introdurre l’altro nella conoscenza (almeno intuitiva105) dell’intreccio di percorsi di autocoscienza che deve compiere. La guarigione altrui diventerà quindi quello che un tempo veniva chiamato “miracolo”, ma che risulterà precisamente spiegabile (come ipoteticamente lo era già ai grandi guaritori e taumaturghi106, come Gesù e i primi apostoli e molti altri, di cui si è persa la memoria). Si noti come negli Atti degli Apostoli e nelle lettere del NT si ripete spesso il ritornello della conversione (metànoia), che è un cambiamento di forma di pensiero (probabilmente di tipo epistemologico), e l’ulteriore particolarità, anch’essa abbastanza ricorrente, di paragonare i convertiti a ciò che erano prima dell’annuncio, 103 Con il termine “sequenze naturali” mi riferisco a quelle sequenze tecniche (ormai già ben assestate nella rete analogica delle cose esistenti), su cui si costruiscono – per differenziazione da esse - altre sequenze tecniche. Per me, in sostanza, una tecnica è ogni differenziazione di un qualunque percorso di coscienza (percorso attribuibile, per ipotesi, anche ad un sasso disperso nel buio cosmico, nonostante non abbia coscienza), che consente di ottenere l’accesso ad una diversa configurazione analogica, che non era ancora accessibile in uno specifico anello del percorso stesso. Anche se un sasso, o qualunque altro oggetto inanimato, non ha coscienza, pur tuttavia ha in sé il germe della coscienza: così si spiega la celebre espressione di Gesù: “vi dico infatti che il theòs può svegliare figli ad Abramo da queste pietre” (Mt 3,9). Si ricordi quanto abbiamo detto sull’autopoiesi.104 L’autocettività è la percezione del proprio corpo, affinata negli esercizi di Chi Kung. Essa può smuovere e riassestare incroci notevoli di percorsi di autocoscienza (che veicolano anche le sensazioni, emozioni, sentimenti e regole fisiche, incardinate nelle singole CA di passaggio).105 Questa conoscenza solo intuitiva è, pur tuttavia, fragile. Gesù ne parla quando descrive la situazione dell’uomo, liberato da uno pneuma “privo di pulizia”, che viene poi visitato dallo stesso pnèuma, che si porta altri sette pnèumata “più tristi-malvagi” di lui (Lc 11,24-26). Le traduzioni confessionali traducono pnèuma con demonio, ma va tradotto piuttosto con “respiro”, “rumore del respiro”, “percettività del soffio”. Sempre le stesse traduzioni confessionali, traducono pnèuma àghion come “Spirito Santo”, facendoci capire la loro totale inettitudine a rendere chiaro il senso della parola pnèuma. Lo schema del ritorno dello pnèuma “privo di pulizia”, accompagnato da altri sette pnèumata “più tristi-malvagi” di lui, corrisponde invece straordinariamente alla situazione della ricaduta nella malattia grave e (non ultima) la ricaduta nel tumore maligno (la parola triste, infatti, significa anche maligno, in greco e il numero sette fa riferimento all’idea di consapevolezza, che coglie il malato quando è aggredito la seconda volta dalla stessa malattia – che lo aveva quasi ucciso la prima volta - e con più virulenza). L’idea dell’igiene che salva dalla malattia era già presente, ai tempi di Gesù, anche se rivestita dell’idea religiosa di non sporcare le cose di proprietà di Yahwé (tra cui vi era anche il popolo da lui scelto). Gesù sembra ipercritico nei confronti dei farisei, che praticavano alla lettera i lavacri rituali molte volte al giorno. Se consideriamo insita in tale concetto, l’idea dell’igiene come fonte di salute fisica, s’inizia a comprendere perché lo pnèuma era “privo di pulizia”. La pulizia non è però solo quella materiale, ma soprattutto quella dei percorsi di coscienza: un salto paradigmatico sbagliato e possiamo ritrovarci malati. L’esecuzione sistematica ma acritica di lavaggi rituali non salva più di tanto dalle malattie, che sono lo pnèuma che trova sempre la pecca nel nostro percorso, in cui inserire i salti paradigmatici meno funzionali alla conservazione del nostro organismo. L’ akàtharton (=privo di pulizia) pnèuma è dunque un elemento diabolico, cioè che mette alla prova la nostra capacità evolutiva. Quando esso viene cacciato dal guaritore, il corpo del paziente torna lindo e pulito: ma non avendo acquisito la comprensione intellettiva del modo di evitare di ricaderci, la malattia grave ritorna, compromettendo ancora peggio le possibilità di guarigione del soggetto. Gesù ha quindi ammesso che le persone da lui guarite, si riammalavano peggio di prima, se non venivano tagliati i ponti con l’akàtarthon pnèuma. Ciò poteva avvenire in solo due casi: quando il contatto con esso era meramente occasionale (come il morso di un serpente) e quando, nonostante si trattasse di una malattia su base relazionale (come può esserlo il tumore, ma anche altre forme di malattia, come ad esempio quelle psichiche e tutte quelle collegate allo stress, come potrebbe esserlo l’allergia), il paziente avesse appreso chiaramente il modo per evitare di ricaderci. Quest’ultima alternativa richiede l’acquisizione di una comprensione intellettiva, che vada a colmare le lacune intuitive. Queste ultime, infatti, si formano naturalmente dopo qualche tempo dalla guarigione, per una situazione che nei paragrafi successivi chiamerò di “sfrangiamento” dei percorsi di coscienza. Anche chi guarisce la prima volta da un tumore maligno, secondo il metodo occidentale della chemio/radio-terapia, passa da un periodo in cui acquisisce una qualche intuizione nuova del proprio corpo, tale da permettergli di agevolare la soluzione medico-tecnologica suddetta con l’indispensabile auto-guarigione. Tale intuizione nuova lo fa durare qualche tempo (o, se acquisita – per destino fausto – anche in modo più intellettivo, anche tutta la vita) privo del tumore riscontrato. Non nego il funzionamento del tumore, come spiegato dalla medicina occidentale, ma penso che esso sia ancora una volta uno studio di superficie, che lascia più interrogativi 45

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o i non convertiti a ciò che potrebbero diventare con l’annuncio del messaggio di Gesù. L’annuncio del messaggio di Gesù doveva fare effettivamente da spartiacque culturale, fornendo un approccio epistemologico e una chiave per leggere le fonti rivelate (cioè la Bibbia), tale da potenziare enormemente chi lo riceveva. A tale metànoia si accompagnavano i cd. segni della fede, cioè (per l’appunto) i miracoli. Paolo di Tarso non si preoccupa, inoltre, che vi fossero messaggeri non appartenenti alla cerchia degli apostoli107, o caratterizzati da un contegno pericoloso, purché diffondessero il nome di Gesù (se proprio non riuscivano a diffondere il suo messaggio) in tutte le maniere. Evidentemente, la diffusione che ha oggi il nome di Gesù, potrebbe ancora essere ben funzionale ad una scoperta e diffusione del suo messaggio esoterico: ben vengano, quindi, anche oggi, le confessioni tradizionali cristiane, che fraintendono la profondità del messaggio biblico con leziose pagine di dottrina o arrovellate arringhe moralistiche! Chi, poi, è davvero interessato al tema, si potrà erudire meglio, bypassandoli. Oggi siamo nella società della conoscenza, in cui (almeno in teoria) si è capito che un uomo, il quale abbia integrato una conoscenza di specifica complessità, detiene un potere tendenzialmente ineguagliabile e potenzialmente immenso nelle sue stesse applicazioni. Tuttavia l’Occidente soggioga troppo questo potere, piegandolo al proprio riduzionismo; l’Oriente lo lascia troppo libero d’indulgere a qualunque obiettivo, senza incentivare i “cavalli vincenti”, anzi incentivando (a livello istituzionale) ciò che è parimenti istituzionale (e quindi di scarsa efficacia e di nessun apporto strategico al cammino conoscitivo). La rivoluzione della complementarietà tra Occidente ed Oriente non partirà dalle istituzioni, né dal basso, ma dagl’intellettuali che si lasceranno informare dal messaggio stesso del figlio dell’uomo108. Ognuno è chiamato ad essere uno di tali intellettuali, ma pochi sono effettivamente scelti per tale compito. Ne è sintomo il disinteresse dilagante per il discorso sulla scienza e il fatto che tale disciplina (che, in realtà, abbraccia l’intero scibile) è ferma dagli anni ’80 e, comunque, ha smesso negli anni ’70 di produrre teorie dalla materia più ampia, per specializzarsi in singole materie. La parola magica è dunque: riattiviamo il discorso esoterico sulla scienza (non la ricerca – riduzionistica - di base).

Riprendiamo adesso l’analisi del passo giovanneo. Prima di studiare più attentamente ciò che accade dopo il salto paradigmatico (rappresentato dalla celebre espressione: “chi è senza peccato, scagli la prima pietra”), concentriamoci sugli avversari di Gesù. Immancabilmente essi appartengono alle due categorie degli scribi e dei farisei. In greco si chiamano grammatèis e farisàioi.

I grammatèis sono i cd. “dottori della legge”, coloro che studiavano e spiegavano ai fedeli il testo biblico. Ma la parola grammatèus deriva dalla stessa radica di grafèin(“scrivere incidendo”): l’opera che si trovano a studiare e spiegare non è quindi un testo religioso, ma la grafè stessa. Essi hanno tuttavia immensi problemi di comprensione di tale forma di scrittura (cioè quella incisa sulla pietra del cuore). La grafè è infatti l’analogia singolare109 che emerge ad ogni tratto dalla realtà, rendendola ineffabile e spingendola verso l’evoluzione. Un simile tipo di sapere non si lascia piegare alle logiche istituzionali e di potere umano, ma sorgendo grazie all’incisione nella pietra, taglia la realtà in modo indelebile, netto e preciso: un minimo errore d’interpretazione (cioè ogni edulcorazione delle logiche evolutive) comporta contraddizioni logiche insanabili. La soluzione trovata dai grammatèis è la divergenza dei linguaggi, che settorializza e rende incomprensibile il messaggio scritturistico, che necessita invece di una comprensione precisa quanto integrale. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, poiché chiudete il regno dei cieli dinanzi agli uomini: voi, infatti, non entrate, né a quelli che stanno entrando consentite di entrare” (Mt 23,13). Il verbo “chiudere” deriva dall’etimo di “chiodo, chiavistello, chiave”: gli scribi sono quindi coloro che, invece che

di quelli che risolve.106 All’interno del fenomeno religioso, possono esserci dei guaritori e taumaturghi non consapevoli in senso intellettivo dei percorsi che seguono per operare le guarigioni e gli altri miracoli. Tali soggetti (di cui un esempio potrebbe essere Padre Pio da Pietralcina) possono ovviare allo studio-ricerca, altrimenti necessario, grazie al ponte mistico (di cui parlerò nel seguito dell’opera).107 Gesù stesso non si preoccupa che altri facciano miracoli nel suo nome. Previene, anzi, i suoi discepoli, che vorrebbero intimare loro di smettere. D’altro canto, Gesù (che non aveva, evidentemente, di mira il potere che viene dai miracoli) considera il compimento di essi come qualcosa di meramente funzionale al messaggio che egli ha da portare all’umanità: cioè al cammino evolutivo-conservativo che propone alla nostra specie vivente (come anche a qualunque altra specie auto-cosciente incontri il nostro cammino).108 Il figlio dell’uomo è l’interprete-osservatore della realtà, che stringe l’accordo costitutivo sulla realtà stessa con l’essere supremo (o sé archetipico dell’uomo), divenendo capace di farla evolvere dove vuole. Non ho dubbi che già ad oggi, ognuno di noi - ma solo a certe condizioni ed in certe situazioni - può incarnare il figlio dell’uomo.109 Cioè ineffabile.46

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fornire la chiave giusta per l’interpretazione, aggiungono un chiavistello a sprangare la porta della conoscenza. Tale chiavistello è qualunque cosa venga aggiunta alla grafè, che invece deve restare incisa una volta per sempre: non accetta strati posticci di significato. Il “regno dei cieli” non è un’entità astratta, assoluta o di esclusiva attinenza della fede religiosa, ma (secondo la nostra interpretazione esoterica) è la legittimazione dell’ispirazione ad esercitare potere sulla realtà, portandola così ad evoluzione proprio nel dare espressione ai desideri variegati, divergenti ed intensi del caleidoscopio umano. Ciò che mette il chiavistello all’ispirazione umana, impedendone l’accesso agli uomini, non è il divieto di praticarla, ma l’azione di subissare colui che le si avvicina con chiavi interpretative ulteriori, autoreferenziali, che fanno divergere la sua attenzione in senso opposto ai desideri, cioè verso situazioni di oppressione e di non-senso interiore. I grammatèis sono coloro che, quando stai per prendere la parola davanti alla comunità scientifica, proponendo una nuova teoria, hanno già formulato i preconcetti che ti paralizzano, riportando ogni nuovo accenno di conoscenza lungo i loro sentieri già battuti. Per stare dinanzi a loro, dovresti aver studiato tutta la vita le loro teorie (rigorosamente riduzioniste ed essoteriche), per poi perdere per strada – già dopo il primo miglio – ogni forma d’ispirazione. Stiamo quindi parlando non degli scribi del tempo di Gesù, ma degli scienziati (o sedicenti ricercatori) che hanno preso il posto della vera scienza, sacralizzandone una versione più meschina e dotandola così della “s” maiuscola. La parola che li definisce (grammatèis) contiene il riferimento a gràmma, cioè “lettera (dell’alfabeto)”110. E’ esattamente questa la parola che si rinviene nel celebre motto evangelico: “la lettera uccide, lo spirito (pnèuma) dà la vita”. La lettera può quindi essere intesa come l’interpretazione letterale, che come suggerisce Umberto Eco (e, dietro a lui, ormai l’intera semiotica) nasconde in genere un’interpretazione autoreferenziale, grazie alla quale facciamo dire ad un testo ciò che vogliamo. L’interpretazione secondo la lettera di un testo, infatti, non è una singola e univoca interpretazione: l’unione strutturata dei segni alfabetici che troviamo in un testo, infatti, può essere infatti interpretata necessariamente in più sensi, poiché polisense sono le parole e le strutture grammaticali, nonché i contesti a cui si possono adattare. Non esistendo un contesto unico, né sensi unici delle parole e delle strutture anzidette, non si può parlare in alcun modo d’interpretazione lettera vera e propria. In essa, quindi, si annida il vizio dell’autoreferenzialità dell’interprete, che prima ancora di aver letto un testo, sa già cosa esso può dire. Tale interpretazione posticcia è appunto il chiavistello, che impedisce l’accesso al “regno dei cieli”. Il riferimento agli scribi diventa così iconico, come ogni parola della scrittura biblica. Non ci si riferisce – giova ripeterlo – agli scribi del tempo di Gesù, ma ad ogni intellettuale che si erga ad interprete autoreferenziale della realtà, aggiungendovi chiavi di lettura che la costringono a dire verità istituzionali o norme scientifiche riduzioniste. La caratteristica che è attribuita a scribi e farisei, peraltro, è l’ipocrisia. Tralasciando il significato riportato nel vocabolario, concentriamoci su quello esoterico. La parola kritès vuol dire “giudice”, inteso come colui che “separa una cosa dall’altra”, quindi “discerne”. L’etimologia del verbo krìno, da cui deriva la parola giudice, è comunque quella di separare. Se diamo per vera la teoria delle configurazioni analogiche, ciò che viene separato dai falsi ricercatori è il percorso di auto-coscienza con cui l’uomo interpreta la realtà. Il modo in cui tale percorso viene separato è espresso dal prefisso upò, che significa “sotto”. In senso esoterico, interpreto tale “sotto” come un “da sotto”, cioè “scalzando”. Come fanno i falsi scienziati a separare un percorso di auto-coscienza, scalzandolo dal di sotto111? Essi intercettano il sub-percorso di controllo, con cui l’osservatore della realtà verifica l’attinenza del percorso di auto-coscienza a quest’ultima. Una volta intercettato, lo deviano verso un vicolo cieco interpretativo (cioè uno dei tanti discorsi della loro dottrina, sterilmente autoreferenziale112). L’intercettazione avviene grazie allo scimmiottamento: chiunque introduca, infatti, un argomento capace di condurre i falsi ricercatori fuori dal solco dei loro pronunciamenti, viene fermato con un argomento simile, che richiede loro di attivare un percorso di controllo e, se l’osservatore non è

110 Lo spettro di significato di questa parola spazia anche fino a “lettera (indirizzata a q.no), testo, scritto”. Nelle parole derivate, indica la figura dell’intellettuale e del maestro di grammatica.111 La risposta più analitica e tecnica a questa domanda verrà proposta nei paragrafi relativi al percorso di controllo e all’onda formaturale.112 Si noti che l’autoreferenzialità non è sempre sterile: anzi, nell’analogia singolare di tipo creazionale diventa la motrice dell’evoluzione, secondo il terzo paradigma fondamentale. Ciò che dirime l’autoreferenzialità sterile da quella creazionale è se essa coincida o meno con un’analogia singolare (= analogia ineffabile). 47

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abbastanza perspicace nel soppesare le differenze tra i due argomenti, viene ricondotto nella CA113 di riferimento degli scribi.

La seconda categoria di contradditori di Gesù è quella dei farisei (farisàioi). Tale termine viene dall’aramaico, che nella Bibbia è la lingua dei dominatori: significa “separati”. I farisei, infatti, erano una setta di ebrei ultra-osservanti della legge mosaica, che pertanto si consideravano separati dagli altri ebrei, per non contaminarsi. Essi insegnavano la legge in chiave morale (cioè non come sapienza, ma come comportamento da tenere obbligatoriamente). Erano anche molto considerati nella società, in quanto dettavano appunto la legge morale (allora più che vincolante). Stimolavano, pertanto, anche i processi per violazione della legge mosaica, come il processo di piazza organizzato contro l’adultera per mettere alle strette Gesù. Si noti che nella Bibbia la parola santo (qodèsh, in ebraico, àghios, in greco) significa appunto “separato”: tuttavia, tradurre tale parola in aramaico, la lingua dei dominatori, crea un curioso cortocircuito. E’ come se i farisei fossero dei falsi santi, in quanto non di proprietà di Yahwé, ma del potere istituzionale che ne ha preso il posto. Tale polemica si può inserire anche nella critica di Gesù verso il tempio fatto di pietre, che viene contrapposto al vero tempio (il suo corpo, destinato al risveglio e al potenziamento della cd. risurrezione). Gesù propone ai suoi contraddittori: “distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni”. In tale periodo è condensato l’intero messaggio di questo capitolo, cioè la mozione di ricostruttivista, preceduta dalla tensione della seconda battaglia escatologica (quella decisiva, che si conclude con la discesa del fuoco dall’alto). I farisei sono dunque coloro che fraintendono il messaggio scritturistico, sostituendolo con quello istituzionale. Il tempio in cui dovrebbe abitare Yahwé per loro è quello materiale. Si ammantano dell’amore per il sacro, dispensando dettami religiosi che sono “fardelli insopportabili” (che essi, peraltro, “non sollevano neppure con un dito” – Lc 11,46). Il vero significato scritturistico della parola “farisei” è, in sostanza, quello di “moralista moralizzatore”. Non, quindi, una categoria specifica di soggetti, ma chiunque confonda il messaggio profondo dell’essere supremo con il messaggio istituzionale (qualunque sia la sfumatura di sacralità – religiosa o laica che sia - erroneamente osannata dal soggetto). I farisei, per Gesù, hanno il difetto non tanto dell’ipocrisia (intesa come da vocabolario), ma il fatto che aggiungano anch’essi, come gli scribi, un chiavistello di autoreferenzialità, che impedisce agli uomini di accedere alla santità (intesa come caratteristica di coloro che costituiscono proprietà dell’essere supremo, in quanto da lui culturalmente formati114). Si tratta comunque di un ruolo scritturistico distinto, rispetto a quello degli scribi, poiché i farisei non impediscono la conoscenza, ma la santità. Intendendo, però, la santità come preparazione culturale, propedeutica a diventare il figlio dell’uomo (che concorda conoscenza e realtà osservata con il sé archetipico), ebbene il ruolo di dissuasori della santità è complementare a quello dei dissuasori della conoscenza, cioè gli scribi. La santità è infatti propedeutica alla conoscenza: chi impedisce quest’ultima, quindi, impedisce la concretizzazione del ruolo di figlio dell’uomo, già formato grazie alla santità, o il trascinamento degli altri uomini nei suoi percorsi di auto-coscienza. Oggi l’icona dei farisei è costituita dai moralisti religiosi, in quanto hanno sostituito la conoscenza profonda, nascosta nella scrittura, con la conoscenza materiale della Scienza, cui rimandano equinamente (ma senza colpa, per mera ignoranza) i fedeli; il messaggio (asseritamente profondo e misterioso) di cui si fanno portatori è meramente istituzionale, come il tempio fatto di pietre fisiche a cui sono legati mani e piedi, come ai tempi di Caifa. Anch’essi sono upocritài, dal momento che intercettano il percorso di coscienza di chi li ascolta, ma non adoperando paradigmi alternativi (come fanno gli scribi), bensì stilemi configurazionali. Tali stilemi sono pezzi di altri percorsi di auto-coscienza, che hanno un potere ipnotico per la coscienza umana: cioè le loro istanze moralistiche irretiscono non per il loro potere di convincimento, ma perché generalmente attivate da generazioni nelle collettività umane e pertanto dotate di una sorta di trasmissione telepatica continua115.113 Configurazione analogica.114 Se la terra è lo sgabello dei suoi piedi, quale proprietà bramerà Yahwé, se non la possibilità di comunicare con gli esseri coscienti che sono sua creazione? Ma per comunicare, ha bisogno di un novero immenso di punti di contatto culturale, senza i quali l’uomo a lui non può avvicinarsi. Ecco quindi perché dico che la proprietà di Yahwé sono coloro che si è formati culturalmente.115 Chi è riuscito a rendere in modo chiarissimo la distinzione tra la tecnica degli scribi e quella dei farisei è Carlo Collodi, nella sua celebre fiaba Le avventure di Pinocchio, mettendo in scena tali due categorie nei personaggi del Gatto e della Volpe. La Volpe, infatti, ha l’acume logico dello scriba, che riesce a convincere con argomenti, pensati ad hoc per riportare sempre Pinocchio all’obbedienza ai piani utilitaristici della coppia truffaldina. Il Gatto, d’altro canto, 48

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Agli scribi e ai farisei, dunque, Gesù dà la fatidica risposta: ο αναμαρτητος υμων πρωτος επ`αυτην βαλετω λιθον (leggesi: o anamàrtetos umòn pròtos ep’autèn balèto lìthon; che significa: “l’essente senza errore tra voi, primo, fino a lei getti pietra” – Gv 8,7). Come ogni passaggio biblico, anche questo può essere letto su vari livelli di significato. Cominciamo con il più consueto: quello narrativo. Se davvero qui si parlasse di un Gesù storico che deve difendere, al contempo, un’adultera e la sua economia della misericordia, dinanzi a scribi e farisei che lo vogliono morto, la prima parola che gli esce di bocca è o anamàrtetos, cioè “l’essente senza errore”. Gesù starebbe quindi sfidando ciascuno dei suoi contraddittori a dichiararsi un osservante esatto della legge, esente da un qualsivoglia errore (anche se lo stesso Mosè era morto per un proprio errore di applicazione della legge). Si noti la tecnica inequivocabilmente configurazionale, che Gesù ha adoperato nella scelta della parola. Potremmo pensarla come una sequenza PNL estremamente potenziata, ma quest’ultima altro non è che una versione “da battaglia” del metodo vero, che è quello dispiegato da Gesù. Egli, infatti, non dice tre cose su cui i suoi interlocutori dovrebbero essere d’accordo e, da ultimo, una quarta cosa su cui non sarebbero d’accordo, solo per stimolare un’iniziale risposta di assenso nell’uditorio. Gesù dice subito il quarto elemento, scegliendolo affinché sia irresistibile nell’attrarre e sedurre gli astanti. Ricordiamoci, a tal proposito, che gl’interlocutori avevano chiuso Gesù in una certa CA116, il cui paradigma diceva: “la legge mosaica permette al popolo dei figli d’Israele e ai suoi singoli appartenenti di conservarsi da morte; chi trasgredisce i più importanti dettami della legge deve essere messo a morte, altrimenti contagerà anche gli altri e l’intero popolo in breve si estinguerà”. L’elemento dell’errore è quindi presente, in tale CA. Ve ne è però una adiacente, il cui paradigma dice: “anche il più piccolo errore di esecuzione della legge mosaica comporta la morte; perfino Mosè, infatti, per un singolo errore veniale, è stato fatto morire da Yahwé prima di entrare nella terra promessa al popolo: chi può essere quindi senza errore?”. Già nel paradigma di questa CA, si presenta l’elemento de “l’essente senza errore” (cioè, colui che è senza errore nell’esecuzione delle istruzioni contenute nella toràh). Vista l’adiacenza delle due CA e la particolare affinità “formaturale” delle rispettive parole amartolòs (= peccatore, nel senso di colui che commette un errore di mira nell’esecuzione della legge mosaica) e o anamàrtetos (= l’essente senza errore), la prima sottintesa come caratteristica dell’adultera, la seconda come suo opposto quasi esatto, si può dire che Gesù ha già traghettato i suoi interlocutori nella CA di arrivo. Ciò che conta, per ritenere assodato questo salto paradigmatico, è che vi siano diversi elementi analogici comuni tra i due elementi considerati (come in effetti è, anche solo considerando gli elementi interni ai due paradigmi) e che non vi siano interferenze. Ma le interferenze sono impedite dal contegno di Gesù, che con il proprio corpo ha espresso il finalismo dell’accordo costitutivo: tale finalismo prevale su qualunque altro. Se, pertanto, Gesù continua a confidare nel proprio stesso finalismo, nulla può scuotere la potenza dell’o anamàrtetos. A tal proposito, possiamo verificare quanto accade quando due o più persone parlano di un qualunque argomento: il turno a parlare non è dato dall’etichetta, né da regole morali, ma solo dal finalismo che traspare dal linguaggio del corpo, nonché dall’intonazione. Ma vi è qualcosa d’ineffabile in più, oltre al linguaggio del corpo e all’intonazione della voce: qualcosa di avvertito come “fisico”, ma pur tuttavia impossibile da definire. Non sempre prevale un discorso creazionale, ovviamente: il più delle volte, i discorsi che urgono per uscire dalla bocca degli astanti sono di pari banalità. Ma ce n’è uno,

non riesce a tirare fuori alcuna retorica: così si limita a ripetere le ultime parole dette dalla Volpe, che pur essendo prive di senso compiuto hanno un’eco telepatica che convince. I farisei, allo stesso modo del Gatto, hanno scavato piccoli sub-percorsi ripetitivi, composti da frasi fatte, ma così cariche intuitivamente - poiché intersecate a moltissimi percorsi attivi negli altri esseri umani - da non aver bisogno di analogie singolari per irretire la coscienza, bastando loro inserire negli altri il germe del dubbio, introducendo nei sub-percorsi di controllo del loro interlocutore i sub-percorsi suddetti. Questi ultimi, una volta introdotti, sono così monchi e risicati che s’interrompono quasi subito, imponendo una ripetizione quasi all’infinito del nuovo sub-percorso di controllo. Sulle caratteristiche e il funzionamento dei sub-percorsi di controllo e sulla loro sostituibilità con altri percorsi, aventi alcuni elementi in comune, si veda il capitolo relativo ai percorsi di controllo. La tecnica dei farisei non necessariamente arriva a configurare una forma di telepatia (abbastanza rara, per il vero): in genere il caricamento dei sub-percorsi ripetitivi, diffusi nella collettività di appartenenza del loro interlocutore, sono in lui ben presenti per l’invasione di messaggi altrui nella sua coscienza (invasione che si esprime come presenza di molti percorsi inattivi nella coscienza del malcapitato). Pinocchio con il tempo si disintossica e la volta seguente, quando reincontra i due manigoldi, li tratta da par loro: converrebbe a tutti seguire le sue orme.116 Configurazione analogica.49

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tra i vari discorsi, che arrivato ad un certo elemento analogico prevale sugli altri (per poi risprofondare dopo poco nell’attesa dei discorsi altrui). Di fatto seguiamo sempre un’immensità di percorsi di auto-coscienza paralleli; quasi tutti sono inattivi, cioè incoscienti (ma pur tuttavia funzionanti: si tratta, per la maggior parte, di funzioni corporee o d’influenze fisiche e non solo, dei tipi più vari); pochissimi di loro, invece, sono attivi (cioè coscienti) o quasi attivi (cioè vicini a ricevere l’intero caricamento intuitivo di cui abbisognano per diventare coscienti). Se s’intercetta un elemento chiave (cioè ben caricato intuitivamente), all’interno di un percorso attivo o quasi attivo, adoperando un elemento molto simile di un altro percorso, appartenente ad un’altra configurazione117, allora il risultato è garantito (cioè si riesce a catturare l’attenzione degli astanti e guidarli nella CA di arrivo). Se manca qualcuno dei requisiti elencati, ma vi è comunque un certo feeling tra i due elementi appartenenti alle due configurazioni diverse, né alcuno dei partecipanti supera tale feeling, allora si avrà la prevalenza dell’interlocutore con più feeling (almeno finché la conversazione non si scioglie, per mancanza di finalismo da parte di uno o più interlocutori). Gesù dispiega il massimo potere qui consentito, grazie al rispetto di tutti i requisiti suddetti: giocoforza egli può introdurre i suoi interlocutori nella CA di arrivo. Lo schema di percorso introdotto da Gesù, come ogni altro percorso, tende ad alternare (nel ragionamento successivo al salto paradigmatico – qui già avvenuto con “o anamàrtetos”) un elemento concreto ed uno strutturale. Il primo elemento del ragionamento è quindi l’elemento concreto, a cui ci ha traghettato il salto paradigmatico. E’ per questo che Gesù ha fatto precedere l’elemento concreto “o anamàrtetos” all’elemento strutturale (e quindi tendenzialmente intellettivo) “umòn”. L’elemento concreto è quello che attira l’attenzione: o anamàrtetos l’attira effettivamente, non solo perché è un elemento contrario ad una legge della CA di arrivo, ma perché le sue caratteristiche grammaticali sono, in tale contesto, particolarmente originali. L’articolo determinativo, infatti, trasforma l’elemento contrario alla legge in elemento per antonomasia (aumentando il senso di assurdità); la forma di aggettivo verbale suggerisce che il soggetto, invece che essere amartolòs (= peccatore) come tutti gli altri, è indenne da errore per proprie caratteristiche personali (che tuttavia aumentano l’alone di mistero). Umòn (= di voi), invece, è un elemento strutturale (cioè dalla funzione intellettiva), poiché imposta le caratteristiche costanti dell’intero percorso di autocoscienza, che permettono la comprensione intellettiva senza che sull’umòn si posi l’attenzione dell’osservatore della realtà.

Mi rendo conto di essere entrato in un terreno minato, in quanto i discorsi sulla struttura interna dei percorsi di autocoscienza richiedono troppe specificazioni, che potranno essere date solo nei paragrafi relativi agli assoluti, al percorso di autocoscienza stesso e all’onda formaturale. La nostra analisi del brano evangelico proseguirà, dunque, in tali paragrafi. Grazie ad essi, ciò che sinora non era chiaro, lo diverrà.

117 Il fatto che si stia cercando di veicolare gl’interlocutori verso un’altra CA è più importante, ai fini del catturamento dell’attenzione, rispetto agli altri elementi (anche se da solo non è sufficiente: occorre anche la somiglianza tra elementi delle due CA). Se dunque sto introducendo i miei interlocutori in un’altra CA, essi avvertono in qualche modo la forza dell’analogia singolare, che li cattura. Se per loro tale analogia singolare fosse entrata nell’abitudine dialettica, ne sarebbero comunque attratti, ma tale attrazione durerebbe molto meno, nel disnodo successivo dei percorsi di autocoscienza.50

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2. Gli assoluti[i]Nella scrittura biblica c’è un tema che la fa da padrone: lo “svegliarsi” (εγειραι, leggesi: eghèirai). La

tradizione confessionale ci ha costruito sopra la dottrina della risurrezione, il cui significato altro non sarebbe che “risveglio”. Il primo errore di tale tradizione, che c’impedisce di accedere alla profondità di eghèirai, è che aggiunge l’iterativo “ri-” alla parola svegliarsi: da cui risveglio. Tale aggiunta è assai nefasta, poiché edulcora un dramma non ancora risolto: il fatto che non esista un’entità assoluta da risvegliare, ma ogni risveglio sia in realtà uno svegliarsi per la prima volta (anche se si conservano attivi molti ricordi dello svegliarsi precedente). E’ un fatto che noi perdiamo per strada molti ricordi, anche prima di addormentarci la sera. Non fa quindi scandalo che, con la morte biologica, qualche ricordo possa andare perduto, allo svegliarsi successivo. Ma è davvero uno svegliarsi successivo? E’ lo svegliarsi, infatti, che innescando una strutturazione e una capacità di concretizzare (cioè di porre l’attenzione sul)le cose molto poliedriche e complesse, riattiva anche la capacità di strutturare il tempo cronologico. Non possiamo, quindi, nemmeno istituire in assoluto uno svegliarsi successivo al precedente (che farebbe appunto pensare ad un ri-sveglio). La resurrezione è dunque molto consolatoria, ma per niente risolutiva del dramma. Ciò di cui vi parlo l’ho appreso principalmente dai film di fantascienza, prima di tutto da Blade Runner. L’equazione, in quel film, è semplice quanto sconcertante: se Rachel (una replicante, di cui s’innamora il protagonista) è i suoi ricordi ed i suoi ricordi sono falsi (dal momento che li ha costruiti a tavolino lo scienziato-imprenditore che ha realizzato il prototipo di Rachel), Rachel che cos’è? La differenza-somiglianza di Rachel (che è ciascuno di noi) da una vera persona costituisce qualcosa d’ineffabile, che più volte ho chiamato con il nome di “analogia singolare”. Tale termine non vuol dire altro che “somiglianza-differenza ineffabile tra due elementi”, con l’unica ulteriore specifica che almeno uno dei due elementi deve essere a sua volta analogizzabile con altri elementi, per poter appunto “caricare”118 l’analogia ineffabile.

Se dunque noi umani siamo qualcosa d’ineffabile, ma al contempo qualcosa di cui si può studiare il funzionamento, dovremo capire come funziona lo svegliarsi. Esso ha molto a che fare con l’idea di assoluto, poiché il desiderio dell’uomo, che orienta ogni suo ragionamento sullo svegliarsi, è trovare qualcosa di assoluto cui potersi aggrappare per dire: ecco, io sono il risveglio di questo assoluto. Poiché però questo non è consentito, in quanto ogni cosa che possiamo conoscere è relativa e relazionale, ci troviamo nella strana situazione di cercare l’assoluto e trovare il relazionale. Il motore della nostra ricerca è l’assoluto, l’approdo il relazionale. Chi decide di cercare il relazionale, viaggia in modo estremamente più spedito e ha un margine di accordo significativo. Ma di quale accordo parlo?

Rachel non distrugge i suoi ricordi (rappresentati da una manciata di foto che stringe in mano), ma li getta sul pavimento. Non può farne a meno. Roy (il replicante “cattivo”, quello che uccide a spregio chiunque gli si pari dinanzi, nella sua ricerca di salvezza) incontra il suo creatore (il Sig. Tyler) e gli chiede il modo per salvarsi dall’estinzione da quest’ultimo programmata, che sconquasserà, fino a spegnerlo, il suo organismo artificiale. Il Sig. Tyler, affascinato dalla sua creatura, non riesce tuttavia ad aprirgli alcuna strada di salvezza, in quanto il programma biologico di spegnimento è irreversibile. Roy uccide il suo creatore ed entra in lotta con il protagonista (cacciatore di replicanti), ma sopraffatto il suo avversario, invece che ucciderlo, lo mette a parte del suo dramma interiore, con le parole più belle del cinema di tutti i tempi: “Hanno visto cose questi occhi che voi umani non potete immaginarvi […]. E tutti questi ricordi scivoleranno via, come lacrime nella pioggia”. L’uomo non riesce a farsi una ragione di non avere un appiglio assoluto cui aggrapparsi: un risveglio programmato. Su tale punto non c’è trattativa. Ma il cacciatore di replicanti (Rick Deckard) raccoglie il testimone di Roy e s’impunta di salvare Rachel. Il grido disperato dell’uomo, raccolto dal figlio dell’uomo (che nasce da tale grido), fa iniziare la trattativa con il sé archetipico. Se ogni cosa è disponibile al sé archetipico, una strada per trovare un accordo soddisfacente per entrambe le parti può essere creata. Per questo Gesù, al contempo figlio del theòs (essere supremo, e quindi sé archetipico) e figlio dell’uomo (che grida sulla croce), può farsi mediatore di questa nuova alleanza dello svegliarsi. Il motore è pur tuttavia il grido: esso carica di energia il dispositivo di salvezza (il corpo che sa “come” svegliarsi e che lo insegnerà anche ai corpi degli estinti e dei morti119).

118 Sulle caratteristiche di tale “caricamento”, rimando al capitolo sull’onda formaturale.119 Distinguo gli estinti dai morti, poiché nella scrittura biblica i morti sono coloro che pensano di essere vivi, mentre invece sono morti spiritualmente, cioè inseriti nel rispetto disciplinare delle regole (sociali e naturali).51

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La morte biologica e quella interiore vanno di pari passo: la peggiore è la “seconda morte”, cioè quella interiore o spirituale, che consiste nel rispetto disciplinare delle regole (sociali, naturali, religiose, ecc…). Quando l’uomo sembra fatto per la legge e non la legge per l’uomo, si ha la morte spirituale. D’altronde la morte biologica è l’attuale soluzione al problema, ben più drammatico, della morte interiore o spirituale, che svuota dal di dentro il senso della vita. C’è bisogno di un refresh, per evitare che gli organismi autocoscienti siano abbandonati alla deriva del non-senso. Ma cosa ne è del nostro svegliarci, in relazione a tale refresh? La cd. reincarnazione è davvero una prospettiva reale e soddisfacente?

La scrittura biblica parla di “svegliarsi”, o di “svegliarsi dai morti”. Le espressioni precise, nel testo scritturistico, sono εγερθη, εγερθησαν, εγερθεις εκ νεκρων (eghèrthe, eghèrthesan, egherthèis ek nekròn = “fu svegliato”, “furono svegliati”, “essendo stato risvegliato dai morti”). Tutte e tre queste espressioni sono coniugate al passato remoto, diatesi passiva. Le prime due, inoltre, sono coniugate al modo indicativo, la terza al modo participio. La diatesi passiva ha il significato biblico (ammesso, mi pare, anche dagli esegeti confessionali) di riferimento al progetto escatologico, cioè al progetto conservativo e di trasformazione in chiave relazionale dell’uomo. In senso esoterico, il passato remoto120 indica il tentativo di riassetto archetipico, che si compie solo quando il verbo è coniugato alla terza persona singolare121. In eghèrthe si compie, pertanto, il riassetto archetipico auspicato. In egherthèis, invece, vediamo vediamo la componente universalizzante del riassetto archetipico (che in eghèrthe contemplava, invece, la componente astraente). In eghèrthesan si assiste, invece, alla concretizzazione (nelle vite umane) dello svegliarsi, in cui il riassetto archetipico non è avvertibile.

Il linguaggio che stiamo adoperando, per descrivere lo “svegliarsi”, si sta complicando. Urge definire (nei limiti di quanto è attualmente possibile) i movimenti assoluti di universalizzante, astraente, concretante e strutturante, che sto già attivamente adoperando nel parlare del riassetto archetipico che si raggiunge nelle parole scritturistiche sopra citate. Un assaggio della dottrina degli assoluti è stata offerta nel saggio Ricerca o rivelazione?, che probabilmente uscirà prima di questo. Ma adesso occorre sceverarne la materia.

Abbiamo detto che l’assoluto è ciò a cui vorremmo aggrapparci, nella nostra ricerca del “risveglio”, ma che non ci è consentito. Tuttavia gli assoluti entrano in gioco, a delineare i confini della trattativa sullo “svegliarsi” (nel contesto delle parole eghèrthe ed egherthèis). Prima d’iniziare a redigere quest’opera, ero convinto che gli assoluti originari122 fossero ciò che conformava ogni cosa senza esserne conformato. Quindi, in sostanza, un principio anti-relazionalistico, che fungeva da confine alla relazionalità stessa dell’essere. Confermo anche oggi tale base conoscitiva di partenza, ma sopra vi costruisco ulteriori dettagli, che ai nostri fini sono decisivi.

120 Secondo la grammatica greca, l’aspetto verbale del passato remoto indica un punto sulla retta del tempo: quindi la puntualità dell’azione, in contrapposizione alla sua attualità, tipica del presente, o alla sua continuatività, tipica dell’imperfetto.121 Sempre in senso esoterico, il presente indica la continuatività dell’azione, l’imperfetto la sua ciclicità (legata, ad esempio, all’interruzione di un percorso di autocoscienza).122 Da distinguere senz’altro dai falsi assoluti, che chiamo assoluti derivati: spazio, tempo, principi della logica tradizionale.52

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Mi sono infatti reso conto che gli assoluti originari123 altro non sono che analogie singolari creazionali124, che si sono affermate in ogni CA125 cui accediamo: hanno pertanto il potere di convincimento più alto. Come funziona tale potere di convincimento?

Mi scuso se devo inserire in nota le definizioni e gli elenchi più complessi (come la definizione di analogia singolare creazionale e l’elenco ragionato degli assoluti originari). Non ho alternative, poiché se non faccio così, il discorso diventa talmente lungo e complicato, da risultare tortuoso. Invito quindi il lettore a leggere sempre in nota le definizioni e gli elenchi che non ha ancora appreso, in modo da permettere a me di offrirgli un testo più snello. Si consideri tuttavia che, senza tali definizioni ed elenchi, il testo risulterebbe d’altro canto incomprensibile.

Ebbene, come funziona il potere di convincimento degli assoluti originari? Se due soggetti (che d’ora in poi chiamerò interprete ed interlocutore) hanno uno scambio di opinioni, ogni cosa che dicono sarà

123 Gli assoluti originari sono dodici, quante le polarizzazioni dei quattro movimenti assoluti. I quattro movimenti assoluti sono:

1) Universalizzante: è il movimento in base al quale i linguaggi della realtà convergono verso un (inesistente) linguaggio comune;

2) Strutturante: è il movimento in base al quale i linguaggi della realtà divergono, per specificare le loro strutture logiche;

3) Concretante: è il movimento in base al quale l’osservatore pone la propria attenzione su un elemento analogico di un percorso di autocoscienza;

4) Astraente: è il movimento in base al quale l’osservatore toglie la propria attenzione da un elemento analogico di un percorso di autocoscienza, nell’attesa (intuitivamente attiva o passiva) di poter ricollocare la propria attenzione sull’elemento successivo del percorso stesso.

I dodici assoluti originari sono quindi:1.a. universalizzante-strutturante, con polarizzazione universalizzante: dalla divergenza dei linguaggi della realtà, fa passare alla loro convergenza;1.b. universalizzante-concretante, con polarizzazione universalizzante: dall’attenzione su un elemento analogico, fa passare alla sua convergenza dello stesso con altri elementi del medesimo linguaggio di appartenenza e con altri linguaggi;1.c. universalizzante-astraente, con polarizzazione universalizzante: dall’azione di togliere l’attenzione su un elemento in attesa di poterla ricollocare sull’elemento successivo, fa passare alla convergenza di quanto si sta caricando intuitivamente (riguardo all’elemento successivo) con altri linguaggi e paradigmi, al fine di accelerare i salti paradigmatici a discapito della comprensione logica del percorso;2.a. strutturante-universalizzante, con polarizzazione strutturante: dalla convergenza dei linguaggi, fa passare alla loro divergenza, per specificare le loro strutture logiche;2.b. strutturante-concretante, con polarizzazione strutturante: dall’attenzione su un elemento analogico, fa passare alla strutturazione dei linguaggi cui appartiene;2.c. strutturante-astraente, con polarizzazione strutturante: dall’azione di togliere l’attenzione su un elemento in attesa di poterla ricollocare sull’elemento successivo, fa passare alla divergenza dei linguaggi cui l’elemento successivo (ancora non concretato) appartiene, al fine di operare un controllo preventivo che riassesti a tempo la sequenza accelerata di salti paradigmatici, di cui al punto 1.c.;3.a. concretante-universalizzante, con polarizzazione concretante: dalla convergenza dei linguaggi, fa passare direttamente all’attenzione su un singolo elemento analogico, bypassando la componente astraente che ha ormai svolto (nel punto 4.c.) il suo compito di formazione dell’elemento stesso;3.b. concretante-strutturante, con polarizzazione concretante: dalla divergenza dei linguaggi della realtà, finalizzata alla loro strutturazione logica, fa volgere l’attenzione su un elemento analogico appartenente a tali linguaggi;3.c. concretante-astraente, con polarizzazione concretante: dall’azione di togliere l’attenzione su un elemento in attesa di poterla ricollocare sull’elemento successivo, fa passare all’attenzione su quest’ultimo elemento;4.a. astraente-universalizzante, con polarizzazione astraente: dalla convergenza dei linguaggi (che permette di comprendere un nuovo paradigma), fa passare all’azione di togliere l’attenzione dall’ultimo elemento analogico adoperato per la comprensione del paradigma, in attesa di poter ricollocare l’attenzione sull’elemento successivo del percorso (che per primo dà un senso di concretezza, quindi, al paradigma stesso);4.b. astraente-strutturante, con polarizzazione astraente: dalla divergenza dei linguaggi della realtà, per comprenderne la struttura, fa passare all’azione di togliere l’attenzione dall’ultimo elemento analogico, in attesa di poterla ricollocare sull’elemento successivo (si realizza, così, il “ponte mistico”, cioè la possibilità per un’entità che si trova in una configurazione analogica (CA) di arrivo, d’introdurvi un’entità che si trova nella CA di partenza, senza che quest’ultima debba né possa comprendere il paradigma della CA di arrivo – questo ponte mistico è molto adoperato 53

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opinabile. L’interprete, però, ad un certo punto del suo discorso introduce un assoluto originario, per convincere in modo inconfutabile l’interlocutore. Quest’ultimo, d’altro canto, resiste al ragionamento dell’interprete, opponendo una serie di argomenti. Ebbene l’interprete, ad ogni argomento dell’altro, sarà in grado di controbattere con un pertinente argomento che lo contraddice, senza che l’interlocutore possa affermare il contrario. L’interlocutore potrebbe solo iniziare a portare obiezioni indirette. Per obiezione indiretta, intendo l’obiezione che contesta non il collegamento tra elementi analogici, proposto dall’altro, ma uno degli elementi analogici. Per esempio, se l’interprete dice che “nel percorso di autocoscienza l’osservatore concentra l’attenzione su un certo elemento, perdendo il focus sulla sua strutturazione logica”, l’interlocutore potrebbe obiettare non il collegamento chiamato “concentrare l’attenzione” (consistente nell’assoluto originario del concretante-strutturante), ma l’idea di “percorso di autocoscienza”; oppure potrebbe obiettare che il focus sulla strutturazione logica viene riacquisito subito dopo; ecc… Mai un’obiezione diretta al collegamento istituito, ma solo un’obiezione sugli elementi che vengono collegati. Ciò non significa, quindi, che chi conosce gli assoluti originari diventa per ciò stesso inconfutabile, ma che può costruire discorsi cogenti per l’interlocutore, purché si adegui al linguaggio di quest’ultimo. Gli assoluti originari fanno quindi da confini per il ragionamento umano sulla realtà: confini che possono essere sempre spostati in avanti o indietro, a patto di modificare i linguaggi accettati dall’interlocutore. L’appiglio che tali assoluti possono darci è quindi più o meno solido, a secondo di quanto siamo convinti dei linguaggi che ne spostano i confini. E’ così che si conferma che lo “svegliarsi” scritturistico è questione di accordo: un accordo sul linguaggio.

Gli assoluti originari non possono essere conformati dall’interlocutore, ma semmai conformano i suoi linguaggi di riferimento. Pur trattandosi di analogie singolari creazionali, essi sono talmente assurti a paradigmi fondamentali della realtà osservata da perdere il loro carattere relazionale. Un paradigma fondamentale come la grafè (scrittura nel senso d’ineffabile che emerge dalla realtà e la forma) è tuttora relazionale, in quanto non solo conforma l’interlocutore, ma si lascia talora conformare da lui nella propria

nella PNL);4c. astraente-concretante, con polarizzazione astraente: dall’attenzione su un elemento analogico, fa passare all’azione di togliere detta attenzione, in attesa di collocarla sull’elemento successivo (in via di formazione). Si realizza così – sebbene a partire da una diversa situazione – il “ponte mistico” di cui al punto 4.b. Questo secondo ponte mistico è più specifico dei cd. fenomeni mistici (es. stigmate, bilocazione, acquisizione dei corpi animici dopo la morte, ecc…).124 Un’analogia singolare (AS) è una somiglianza-differenza ineffabile tra due elementi. È di tipo creazionale (ASc), quando non è preimpostata in modo da armonizzare la propria configurzione analogica (CA) alle CA adiacenti. I percorsi che vengono deragliati nella sua CA, pertanto, iniziano a drenare i percorsi che si trovano nelle CA adiacenti, finché a macchia d’olio la sua CA non si collega a sempre più CA e ai loro elementi analogici. Quando tale ASc si collega ad ogni CA e ad ognuno dei suoi elementi analogici, ha permeato l’intera rete analogica delle cose esistenti. A quel punto assurge effettivamente a paradigma fondamentale, in quanto ogni elemento analogico, soggetto a qualunque paradigma specifico che regola ogni CA, può essere deragliato dal suo percorso di autocoscienza per essere collegato agli elementi della CA scaturente dall’ASc. Così il riferimento a tale CA, effettuato nel contesto di qualunque elemento di un qualunque discorso umano, diventa inconfutabile (e pertanto assurge alla più alta forma di realtà), poiché a qualunque obiezione in senso contrario, l’interprete può replicare con un percorso di controllo che riporta ancora una volta nella CA suddetta. Un esempio di affermazione inconfutabile può essere: “ogni percorso della coscienza umana deve appoggiare la sua attenzione sui propri elementi”. Tale affermazione, senz’altro contestabile su molti punti, non può essere contestata sul collegamento tra la il percorso di coscienza e i suoi elementi: tale collegamento viene inconfutabilmente qualificato come di “attenzione” – con riferimento al movimento assoluto concretante. Se infatti provo a controbattere che il percorso di coscienza non poggia sempre l’attenzione su ogni singolo elemento, l’interprete potrà controbattere a sua volta che l’attenzione è qualcosa di potenziale, che emerge grazie al percorso di controllo che prenda avvio dall’elemento considerato, al fine di controllare se si è posta l’attenzione su di esso: il risultato di tale controllo sarà che una qualche attenzione è stata posta su tale elemento, altrimenti non si sarebbe potuto tornare indietro nel percorso di coscienza fino ad esso e assoggettarlo al percorso di controllo. Se allora controbatto che alcuni percorsi di coscienza sono in realtà inconsci e quindi non pongono l’attenzione su alcun elemento, l’interprete potrà a sua volta controbattere che anche un percorso inconscio può diventare conscio: quindi tale potenziale consapevolezza viene attivata da qualcosa, e questo qualcosa è il singolo elemento che si carica intuitivamente: ma caricandosi intuitivamente, riceve l’attenzione (almeno a livello potenziale, come tutti gli elementi, d’altronde, ricevono attenzione solo potenziale). Eccetera eccetera.125 Configurazione analogica.54

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qualità d’interprete; non solo trasforma l’interlocutore, ma si lascia talora trasformare da lui nella propria qualità d’interprete. Ciò può avvenire poiché la grafè non ha ancora raggiunto collegamenti con tutte le CA o con tutti gli elementi analogici. L’immagine biblica che rende questa attuale incompletezza-completabilità è quella del fiume Giordano che, purificato dall’acqua che sgorga dal tempio, scende nel mare per purificarlo: gli stagni, però, rimangono salati. Sono questi stagni che, in quanto opposti complementari del mare-grafè, permettono ad essa di essere relazionale: poiché quando uno stagno accogliesse le sue acque dolci, verrebbe sì trasformato nel mare, ma lo stagno trasformerebbe così il grado di dolcezza e le caratteristiche floro-faunistiche del mare. Gli assoluti originari, invece, hanno ormai completato tali passaggi intermedi: quindi sono paradigmi fondamentali immodificabili. E’ per quest’ultimo motivo che li possiamo chiamare assoluti nel vero senso del termine. Si noti che sefèr (racconto che convince) e grafè (ineffabile che forma la realtà) sono sì paradigmi fondamentali, ma non hanno esaurito (né devono necessariamente esaurire) la loro relazionalità. Ogni nuovo paradigma fondamentale, infatti, reinterpreta i precedenti e rende ancora più complessa e affascinante l’opposizione-complementarietà tra essere e non-essere (che, per inciso, convivono – fortunatamente – in ognuno di noi). La sopravvivenza dell’essere (cioè del movimento e forza evolutivo-relazionale della realtà osservata) dipende dall’opposizione-complementarietà di essere e non essere126.

Per scoprire se l’accordo sullo “svegliarsi” (stretto da Gesù in qualità di mediatore tra uomo e theòs) convince l’umanità, occorre “scrivere” (grafèin), cioè interpretare la scrittura-grafè. Il testo biblico è attualmente il testo-ricerca127 che posso chiamare scrittura-grafè: ma potrebbero esservene altri, già disponibili o di futura redazione, che abbiano la stessa profondità e precisione di ricerca. La scrittura-grafè è anche scrittura-sefèr, poiché i due paradigmi fondamentali si sono interpretati a vicenda, grazie al drenaggio128 dei percorsi insistenti (grosso modo) sulle stesse CA129 operato da ciascuno di essi.

Gli assoluti derivati130 sono invece semplici collettori dei percorsi di autocoscienza, grazie a cui l’essere opera la forma di coordinamento che i Buddisti (con espressione assai felice) chiamano illusione della realtà. Ne parleremo in seguito.

126 Le nostre definizioni di via dell’essere e di via del non-essere si trovano nel saggio Analogia singolare, disponibile su www.bridge4will.net, cioè sul sito che si trova indicato nell’epigrafe della copertina. 127 Il testo-ricerca è un testo sviluppato in autonomia da più autori, in archi di tempo lunghissimi, con la funzione di cogliere l’evoluzione della realtà e nasconderla in un testo esoterico. Il vero scrittore del testo-ricerca (che deve essere poi riassemblato in fase di lettura – opera questa che nel caso della Bibbia è stata affidata, di fatto e in massima parte, ai filologi - e riconvertito – opera che spetta solo al figlio dell’uomo) è il figlio dell’uomo, cioè l’interprete in grado di accordarsi con il proprio sé archetipico (o essere supremo), poiché scelto da quest’ultimo. L’accordo verte, appunto, sullo “svegliarsi” e su ogni altro aspetto della realtà osservata in evoluzione. Come più volte specificato, la realtà osservata non è esterna all’osservatore, ma è l’osservazione stessa. Il primo e forse più importante (per quanto incompleto) accenno teorico a tale aspetto è offerto da Berkley: esse est percipi. Andrebbe emendato così: esse est percipiens, res consistit in perceptione. Spiego analiticamente cosa sia il testo-ricerca nel saggio omonimo, pubblicato sul sito che si trova indicato nell’epigrafe della copertina.128 Il drenaggio dei percorsi di autocoscienza (che sarà spiegato meglio nei paragrafi successivi) è l’intercettazione dei percorsi di coscienza, a partire dai percorsi di controllo che si dipartono dai loro singoli elementi. Quando abbiamo un dubbio su un nostro percorso di autocoscienza (d’ora in poi anche: “pda”), in sostanza, andiamo ad aprire un sub-percorso di autocoscienza di controllo (d’ora in poi anche: “pdac”), che prende l’avvio dall’elemento dubbio del percorso stesso. Grazie a tale pdac, altri percorsi di autocoscienza, che abbiano elementi dalla carica intuitiva simile, possono sostituirsi al pdac stesso e collegare quindi nuovi elementi al pda da cui esso scaturiva. Se tali elementi sono presi da un’altra CA (configurazione analogica), si è verificato il caso che un pda appartenente ad una CA sia stato drenato da un pda appartenente ad un’altra CA. Ogni paradigma fondamentale ha una sua CA di riferimento, grazie a cui drena (nel modo sopra descritto) i pda delle altre CA, al fine di avere collegamenti in tutte (o quasi, se non vuole diventare un assoluto) le CA. L’umanità è quindi assopita nel non-essere (cioè in quelle CA ancora non ancora collegate alla CA della grafè, ma solo alla CA del sefèr o addirittura nemmeno a quella – situazione di autoreferenzialità pressoché totale), affinché l’essere possa iniziare a comunicare con essa. Se l’umanità fosse completamente sveglia (ἐγρηγορὰν), non si potrebbe avere l’essere. Pertanto la parola ἐγρηγορὰν (“si sono completamente svegliati”) non mi risulta far parte della scrittura biblica: essa, fortunatamente, non esiste.129 Configurazione analogica.130 Spazio, tempo e principi della logica tradizionale (tra cui spicca il principio di causa-effetto).55

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3. Il percorso di autocoscienza (d’ora in poi: “il pda”)

Un pda è come il percorso tracciato da una persona che si aggira per strada insieme ad altre persone, formando un intreccio di traiettorie tra loro autonome, ma in grado d’intersecarsi. Alcune di tali traiettorie sono percorse da pedoni, altre da automobilisti, altre ancora dai conducenti di treni o aerei o da coloro che sono trasportati su tali mezzi. Ogni viaggiatore fa il suo percorso sovrappensiero: solo ripercorrendo a posteriori, con la mente, i tratti del percorso, può verificare da dove ipoteticamente è passato. La memoria del pedone sarà più accurata, ad esempio, di quella di un pendolare o di chi prende il treno per la prima volta. Così ogni pda è un concatenamento di passi o tappe, che si carica di energia per mantenere il movimento, finché non giunge alla meta.È inoltre come la singola melodia, ingarbugliata all’interno di una colonna sonora, remixata dal dj: essa, insieme alle altre melodie e ritmi remixati, va a toccare ogni corda giusta per non farti pensare, per lasciarti sognare. Certo non è sempre un granché di remix: dipende dai casi… e dalle persone. Potrebbe esaltarti, oppure deluderti, o infine lasciarti indifferente.Le due metafore ci dicono, rispettivamente, che: 1) il pda ha una meta precisa e, se vi arriva, si ferma (entra, cioè, in uno stato di sospensione); 2) se visto nel complesso degli altri pda, che s’intrecciano con esso, il pda fa del tragitto la vera meta (tragitto che, nel complesso dei percorsi e dei loro intrecci, costituisce l’organismo vivente o l’elemento complesso inanimato). Anche quello che per noi è un oggetto inanimato, è invero un intreccio di percorsi di autocoscienza, anche se attribuibili solo ad un ipotetico osservatore.Gli anelli della catena (o passi del tragitto) che compongono il pda sono quelli che io chiamo “stati di autocoscienza” (d’ora in avanti, anche: “sa”). Gli sa sono dei seguenti tipi (dal più sottile al più spesso131): sogno-evento132, pensiero, sensazione, emozione, sentimento, fùsis (cioè legge scientifica133). Ogni tipo di sa 131 I termini sottile e spesso vanno intesi come sinonimo di minore o maggiore complessità dello schema configurazionale. Per la definizione di schema configurazionale rimandiamo al relativo capitolo. 132 A livello configurazionale, non distinguo il sogno dall’evento: pertanto li ricomprendo nello stesso stato di autocoscienza (d’ora innanzi, anche: “sa”). Gli sa, infatti, sono quella componente del pda che ci dice, in sostanza, qual è il tipo di attenzione che l’osservatore pone nel percorso, in relaziona ad una sequenza precisa di elementi analogici. Se il livello di attenzione è al di sotto della soglia della consapevolezza, cioè nello sa del sogno-evento, che si tratti di sogno o di evento non vi è alcuna differenza, quanto a schema configurazionale e quanto a potenzialità comunicative del livello di sa. Quando parlo di evento, non mi riferisco a qualunque evento accada, ma solo a quegli eventi che, pur non intercettando la nostra attenzione, influiscono sui nostri assetti archetipici al pari di un sogno. Un evento che ha influito anche sugli assetti archetipici degli uomini di oggi, come un grande sogno collettivo, è per esempio la Rivoluzione Francese. Come avrete notato, non ho dovuto specificare a quel evento specifico della Rivoluzione Francese mi riferissi, in quanto come un sogno può raggruppare una pluralità di immagini e di sequenze di situazioni o di azioni, senza che si commetta alcun errore di valutazione (anzi, la corretta interpretazione di un sogno, è quella che lo considera sotto tutti i suoi aspetti e tutte le sue componenti).133 La φύσις (leggesi fùsis, o secondo la notazione più diffusa, fysis) è, per i greci, la spontaneità della natura, che si esprime con le leggi naturali che noi lo vogliamo o meno, ed anche che noi interveniamo o meno. Oggi siamo consapevoli di quanta importanza abbia la tecnica nel comprimere le leggi naturali, ma allora eravamo ben lontani da una simile invasività della tecnica, che doveva semmai cercare di cogliere le leggi naturali e riequilibrare l’uomo grazie ad esse. Per me la fùsis è ogni legge scientifica, cioè ogni regola che regimenta la realtà, senza intervento dell’uomo. Poiché però anche l’uomo fa parte della natura, dovremo distinguere tra agire dell’uomo, soggetto a leggi naturali (di ordine sociale, per intendersi) e agire dell’uomo in deroga a tali leggi naturali. Ciò comporta che ogni legge naturale possa anche essere tecnica, rispetto ad un’altra legge naturale da essa derogata; viceversa anche ogni tecnica, rispetto alla tecnica che la deroga, può essere considerata una legge naturale (fùsis). Inoltre si deve considerare che fùsis e tecnica si pongono su quattro livelli diversi di coordinamento, dal meno complesso al più complesso: fùsis, tecnica che deroga alla fùsis, fùsis che deroga alla tecnica (che ha derogato alla fùsis), tecnica che deroga alla fùsis (che ha derogato alla tecnica, che ha derogato alla fùsis). In relazione a questi quattro livelli di coordinamento della realtà (che diventano cinque, se consideriamo il livello base costituito dal caos degli stati di autocoscienza più sottili della fùsis), non si applica quanto detto prima sulla classificazione delle leggi sociali come fùsis, rispetto alle tecniche che ulteriormente le deroghino. Nei livelli di coordinamento della realtà si deve infatti adoperare una linea netta di demarcazione (anche se, per iniziare il nostro studio, basta che si ponga anche solo a livello teorico). Tale linea di demarcazione è la formazione della coscienza: ogni deroga a leggi scientifiche che si giustifichi in un finalismo della coscienza, si pone su un livello di coordinamento più elevato, cioè in grado di coordinare il livello sottostante della 56

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sarà spiegato analiticamente nei capitoli successivi, sia per le caratteristiche funzionali che per lo schema configurazionale. Ciò che occorre qui capire è che quando mi riferisco allo sa del pensiero, intendo riferirmi al significato comune di pensiero. Tuttavia l’analisi funzionale più attenta degli sa, consentirà d’individuare dei precisi criteri di demarcazione.Ogni stato di autocoscienza (sa) è a sua volta costituito da una pluralità di elementi analogici134, concatenati tra loro a formare un tratto di pda, che corrisponde allo sa stesso. Ogni elemento analogico è esprimibile, a sua volta, grazie al collegamento alle CA135 degli assoluti originari136. S’impongono quindi due tipi di analisi, nello studio dello stato di autocoscienza: 1) l’analisi su quali siano gli elementi analogici cui quest’ultimo si riferisce; 2) l’analisi su quale sia l’assoluto originario che si collega meglio137 al singolo elemento analogico, che compone lo stato di autocoscienza. Il secondo tipo di analisi può essere svolto solo sottoponendo

fùsis. La reazione a tale coordinamento, da parte della fùsis, comporta il sorgere di nuove leggi scientifiche che vanno a derogare alle tecniche, impostando (grazie al finalismo dell’essere supremo o sé archetipico) un livello di coordinamento sovraordinato rispetto al livello della tecnica. Grazie all’accordo costitutivo tra figlio dell’uomo ed essere supremo, infine, si arriva a porre un ulteriore livello di coordinamento, che chiameremo sempre tecnica, ma aggiungendovi l’attributo di “costitutiva”, per distinguerla dal livello sottostante di tecnica. I livelli di coordinamento, ciascuno dei quali coordina il precedente e, grazie a tale forma di coordinamento, coordina indirettamente anche tutti quelli ulteriormente sottostanti, sono:

1) Caos (stati di autocoscienza più sottili della fùsis);2) Fùsis (che coordina il caos);3) Tecnica non costitutiva (che coordina la fùsis);4) Fùsis (che coordina la tecnica non costitutiva);5) Tecnica costitutiva (che coordina la fùsis, di cui al livello 4).

134 Chiamo “elemento analogico” qualunque elemento su cui possano insistere i nostri stati di autocoscienza, purché sia effettivamente adoperato per comporre un pda. L’elemento analogico è potenzialmente un crocevia di molti pda, in quanto non può darsi alcun elemento analogico senza il collegamento analogico dello stesso ad altri elementi analogici. Come espresso in modo analitico nel saggio Analogia singolare (disponibile sul sito www.bridge4will.it), nessun elemento della realtà esiste in se stesso, ma solo per analogia con altri elementi della realtà. La sedia è l’intreccio di somiglianze e differenze con altri elementi reali, quali lo sgabello e la poltrona, che a loro volta sono l’intreccio di somiglianze e differenze con la sedia e con ulteriori elementi reali, e così via senza una fine predeterminata dei possibili percorsi analogici (non spaventi la circolarità tra i pda con cui si definiscono gli elementi analogici e gli elementi analogici che compongono i pda stessi: la circolarità è ammessa, anzi spesso indispensabile, nell’approccio conoscitivo esoterico). Ogni elemento analogico appartiene ad almeno una CA (configurazione analogica), ma può appartenere anche a più configurazioni, a secondo degl’intrecci di pda che popolano l’organismo dell’osservatore. L’organismo vivente, infatti, è un intreccio inestricabile di pda, che s’incrociano in corrispondenza di un’immenso novero di elementi analogici (EA). Se un EA si trova in una configurazione analogica di partenza, ma è anche collocato su un percorso di autocoscienza che passa anche da altre configurazioni, allora può sfruttare i collegamenti analogici del percorso stesso per essere analogizzabile anche dagli EA della configurazione di arrivo. Inoltre, se il percorso non passa da tale configurazione di arrivo, ma vi passa un altro percorso che incrocia il primo, l’EA può comunque essere analogizzabile dagli EA della configurazione di arrivo. Il funzionamento di questi “bivî analogici”, che l’EA può seguire per entrare a far parte di altre configurazioni analogiche, sarà spiegato nel capitolo sull’onda formaturale e l’energia di attivazione. In sintesi, un EA che per uno specifico osservatore appartiene a due o più configurazioni, per un altro osservatore può appartenere ad una sola di tali configurazioni. Se poi siamo in grado di ricostruire l’EA grazie all’apporto conoscitivo di un osservatore C, per il quale l’EA stesso appartenga a tutte le configurazioni nelle quali è analogizzato dall’osservatore A e a tutte le configurazioni nelle quali è analogizzato dall’osservatore B, ebbene diventa possibile dire, dal punto di vista dell’osservatore C, che un EA, appartenente alla CA (configurazione analogica) x dell’osservatore A e ad una CA y dell’osservatore B, è uno stesso EA analogizzato in due CA diverse. In assenza di tale condizione, non sarebbe invece possibile parlare di uno stesso EA all’interno di due configurazioni diverse. Si noti che l’osservatore C potrebbe anche coincidere con A o B, senza inficiare la condizione in parola.135 Configurazioni analogiche.136 Vd. capitolo relativo agli assoluti.137 Ogni elemento analogico (EA), incluso in qualunque percorso di autocoscienza, è collegato (con varie mediazioni analogiche) ad ogni assoluto originario. Perché ciò possa succedere, basta infatti che un pda di controllo (vd. nota seguente) colleghi il pda di appartenenza dell’EA stesso alla configurazione analogica di ciascun assoluto originario. Il che è abbastanza semplice da realizzare, visto che tali assoluti originari costituiscono quei paradigmi fondamentali che 57

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l’elemento analogico ad un sub-pda138 di controllo (d’ora in poi, anche “pdac”139). Dal pdac emergerà che l’elemento analogico svolge - nello specifico pda oggetto di studio - una funzione riconducibile ad un ulteriore elemento analogico (con cui si collega), appartenente alla CA di uno degli assoluti originari. Mi rendo conto che la spiegazione di questi due tipi di analisi si sta complicando: è senz’altro poco comprensibile per il lettore, senza alcuna responsabilità da parte sua140. Per evitare di dover appesantire la spiegazione, proporrò un esempio che esemplifica sia il primo che il secondo tipo di analisi. Ebbene, a titolo esemplificativo, nella risposta di Gesù agli scribi e ai farisei in Gv 8,7, la parola “o anamàrtetos” (“l’essente senza errore”), se considerata un elemento analogico141 di un eventuale discorso del Gesù storico, si configurerebbe come componente di due stati di autocoscienza: un pensiero e un’emozione. Infatti, la contraddittorietà logica della parola “l’essente senza errore”, all’interno di una configurazione in cui nessuno è senza errore, innesca nell’interlocutore una riflessione, ma anche un’emozione inattesa. Chi si sentisse condannato all’errore, per via della configurazione analogica in cui si trova inserito, sarebbe infatti colpito emotivamente dall’introduzione di un elemento quale “l’essente senza errore” (che, indirettamente, gli darebbe una speranza di redimersi dall’errore, anche se ciò è impossibile nella configurazione di partenza). Dal momento, però, che gli stati di autocoscienza dell’elemento sono due, ciò significa che vi saranno anche due pda paralleli, che nell’elemento “l’essente senza errore” vanno ad incrociarsi142. Oppure

sono ormai collegati a qualunque elemento analogico. Quante più mediazioni analogiche collegano tale EA ad un singolo assoluto, e quanto più tali mediazioni sono significative per i linguaggi dell’osservatore-interprete (= figlio dell’uomo), tanto più è facile individuare tale singolo assoluto come quello meglio collegato a detto EA. Nello schema configurazionale (vd. capitolo apposito) conta solo l’assoluto meglio collegato all’EA, poiché con detto schema si studia solo la funzionalità di ciascun elemento (e delle sequenze di elementi costituenti gli stati di autocoscienza) a permettere il salto paradigmatico da una configurazione analogica all’altra.138 Sub-pda = tratto di percorso di autocoscienza.139 Il pdac è una nuova sequenza di elementi analogici, che si diparte dall’elemento del pda che l’osservatore vuole controllare. Il pdac inizia, pertanto, con tale elemento e collegandolo ad altri elementi (anche esterni al pda) cerca di risalire indietro nel pda stesso fino al punto giusto per ripercorrere la sequenza di pda che occorre, ai fini del controllo in parola. Il pdac può avere anche la funzione di controllare pda diversi da quello di partenza, sempre ai fini di verifica dell’elemento da controllare. Il pdac, quindi, è fatto per essere intercettato anche da altri pda, grazie all’onda formaturale. Tale peculiarità lo espone però a diventare una breccia, adoperabile ai fini dell’imposizione dei livelli di coordinamento superiore. Un esempio di breccia è il tumore, che s’innesca quando un pdac viene intercettato da un pda di disturbo (appartenente ad uno dei seguenti livelli: fùsis, tecnica non costitutiva o fùsis che deroga alla tecnica non costitutiva). Ma, come vedremo, il tumore può essere fatto rientrare grazie alla tecnica costitutiva o non costitutiva, o (non si può del tutto escludere) perfino grazie alla fùsis (a secondo dei livelli di coordinamento interessati dal tumore), sembra grazie alla breccia nel pdac già brecciato da un pda di disturbo.140 Come spiegato nel capitolo 0 di questo libro, mi è del tutto impossibile fornire una spiegazione chiara di ogni argomento. Molti degli argomenti che tratto, infatti, hanno una forte componente circolare: intendo dire che, senza l’argomento alfa, non posso capire l’argomento beta, che a sua volta non può essere capito senza una precomprensione dell’argomento alfa. Questo schema di apprendimento, che impedisce di studiare un singolo argomento in modo approfondito, prima di aver compreso vari altri argomenti, è tipico degli studi basati sull’approccio esoterico. La potenza di questo approccio conoscitivo giustifica appieno il disagio e la difficoltà del relativo studio.141 Si tratta, naturalmente, di un elemento analogico complesso, cioè una risultante di più elementi analogici, intrecciati tra loro lungo una pluralità di percorsi di autocoscienza (pda). Tuttavia possiamo considerarlo anche alla stregua di un singolo elemento analogico di un singolo pda, in quanto funziona effettivamente anche da elemento singolo, grazie al caricamento formaturale che riceve dal suddetto intreccio di pda. La stragrande maggioranza degli elementi analogici dei nostri pda sono, in effetti, elementi analogici complessi, ma possono essere adoperati (nella costruzione dello schema del singolo pda) come elementi analogici singoli.142 L’incrocio tra pda significa che due o più pda trovano, in un certo elemento analogico, un anello comune. Se quindi si costruisse – come in effetti si costruirà in uno dei capitoli successivi – uno schema “configurazionale” dei singoli pda, fatto come una catena i cui anelli sono gli elementi analogici che compongono il percorso, troveremmo che in ognuno di tali schemi vi è l’elemento che costituisce l’anello comune. Un osservatore potrebbe, ad esempio, pensare che “la sedia su cui sono seduto è la mia preferita”, ma anche che “la sedia su cui sono seduto è prossima a rompersi” e, infine, potrebbe provare un’emozione di paura, che potrebbe essere resa così: “Temo che la sedia su cui sono seduto stia per rompersi”. I tre stati di autocoscienza (due pensieri e un’emozione), avendo un elemento in comune, potrebbero essere un unico pda che ripercorre più volte lo stesso elemento analogico, oppure tre pda che s’incrociano 58

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potrebbe esservi un unico pda, che ritorna due volte sullo stesso elemento analogico (“l’essente senza errore”), adoperando ogni volta uno stato di autocoscienza differente. Questo per quanto riguarda il primo tipo di analisi. Riguardo al secondo tipo di analisi, si nota che “l’essente senza errore” è un elemento analogico che, per svolgere la propria funzione nel pda, deve collegarsi alla CA143 del concretante-strutturante144. Scopriremo nei successivi capitoli, come mai dopo un salto paradigmatico (quale quello compiuto da Gesù, nel suo intimo, subito prima di pronunciare la parola “o anamàrtetos” di fronte ai suoi interlocutori), sia necessario concretizzare la CA di arrivo grazie ad un elemento analogico che si riferisca all’assoluto del concretante-strutturante. Quel che basta sapere qui è che ogni stato di autocoscienza è costituito da vari elementi analogici, concatenati tra loro a formare un tratto di pda (o sub-pda); ognuno di tali elementi analogici è definito, tra l’altro, grazie ad un ulteriore pda che permette all’osservatore di formarsene una comprensione intuitiva in base ad uno degli assoluti originari. Quest’ultimo pda è quel pda che si diparte dall’elemento analogico stesso (anello iniziale), e che arriva fino ad un elemento analogico (anello finale) ricompreso nella CA dell’assoluto originario145 in parola. Tale ulteriore pda è solo intuibile, in quanto ormai, nella coscienza dell’osservatore, si forma in modo automatico a corredo di qualunque elemento analogico. Solo nell’età dello sviluppo o durante i periodi di studio più impegnativi per l’uomo, tale pda è talora dotato di un livello di comprensione intellettiva vera e propria. D’ora in poi, per semplicità, diremo solo che “o anamartetos” è un EA (elemento analogico) di un pensiero e di un’emozione e che si configura come concretante-strutturante. Il significato vero di tale espressione è però quello appena spiegato con il nostro esempio sul discorso di Gesù.Non si può dire, nel pda, quale EA146 sia cronologicamente precedente e quale cronologicamente successivo. Solo un pdac147 che parta da tale EA potrebbe darci un’idea in proposito: ma si tratterebbe comunque di un’idea fuorviante. Il tempo cronologico infatti non costituisce un assoluto originario.

Adesso, dopo aver spiegato cosa sia un pda, dobbiamo chiederci a cosa serva. Ciò allo scopo, in primis, di verificare la sua coerenza con la realtà.

La prima cosa, a cui serve l’idea di pda, è rendere chiaro che anche una pietra ha percorsi di autocoscienza, tra loro intrecciati in modo quasi indistricabile. Prima di abbattere una simile suggestione, provate a pensare come essa illumini e chiarisca (in unione all’idea di analogia singolare148) la complessità della percezione che abbiamo della realtà. Infatti, se davvero una pietra potesse (evolvendosi per autopoiesi) acquisire una coscienza, ciò accadrebbe per il dispiegamento di una complessità dialettica, che appartiene a tutta la materia, e che è già dotata di un’intelligenza in movimento. Tale intelligenza in movimento sarebbe costituita dall’intreccio dei percorsi di autocoscienza, che forma la pietra stessa149.

in corrispondenza di tale elemento. Rimando al prosieguo di questo capitolo, o ai capitoli successivi, la spiegazione del metodo per distinguere le due situazioni.143 CA = configurazione analogica.144 Vd. la nota 121, contenuta nel capitolo precedente, in cui si elencano e spiegano gli assoluti originari, tra i quali si annovera anche il concretante-strutturante.145 Ogni assoluto originario costituisce il paradigma specifico di una particolare configurazione analogica. Tale configurazione analogica si collega in sostanza ad ogni pda dell’osservatore-uomo: pertanto chiamiamo il paradigma suddetto anche con il nome di paradigma fondamentale. Non è tuttavia da confondere con i tre paradigmi fondamentali che fungono da motori, tra loro coordinati, dell’intera rete analogica delle cose esistenti. La distinzione tra i tre paradigmi fondamentali (dell’analogia, del racconto che convince e della libera interpretazione/costruzione) e i paradigmi fondamentali degli assoluti originari è fornita altrove.146 EA = elemento analogico.147 Pdac = pda di controllo.148 La ri-costruzione dei pda richiede di adoperare, in connubio perfetto, i due paradigmi fondamentali del sefèr (scrittura della realtà racconto che convince) e della grafè (scrittura della realtà come analogia ineffabile). Se l’analogia ineffabile si esprime nella congiunzione/preposizione “come”, il racconto che convince si esprime nella congiunzione “se”. Mettendo insieme tali elementi grammaticali, emerge che la realtà è un immensa congiunzione di tanti “come se”, che assurgono a concentrare su di loro, in modo esponenzialmente complesso e coerente, l’attenzione dell’osservatore. Da ciò l’illusione così concreta della realtà.149 Il fatto che tali percorsi di autocoscienza siano apprezzabili solo dall’osservatore-uomo, non fa sì che la pietra abbia solo i pda che l’uomo osserva. Ne ha anzi moltissimi che l’uomo non è in grado di osservare, se non dopo uno studio così attento, che richiederebbe millenni e resterebbe comunque incompleto. Ogni pietra, infatti, è collegata grazie al magnetismo a tutto l’universo; oltre al magnetismo, la pietra è assimilata alla materia dell’universo grazie a più campi 59

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L’idea che l’uomo si distingua solo per i propri ricordi, mentre il resto sia qualcosa di relativo e volatile, è presente nel film Blade Runner e nelle opere filosofiche che lo avranno ispirato. Noi, in aggiunta a questa idea, proponiamo che la componente relativa e volatile dell’umanità (come di ogni entità) sia da considerarsi anche relazionale. Se un immenso edificio come la rete analogica delle cose esistenti è davvero fondata sulla “sabbia” del relativo e del volatile150, intrecciando tale relativo e volatile affinché si sostenga grazie alle proprie relazioni interne, può trasformare la “sabbia” dell’indefinito in roccia concreta. Lo “svegliarsi” di cui parla Gesù nel Vangelo potrebbe allora essere l’accorgersi di tale relazionalità e la scelta di costruirvi sopra. Tale scelta consentirebbe sia la conservazione, sia l’evoluzione dell’uomo. La favoletta che ci stiamo inventando, sulla possibilità che anche le pietre sviluppino una coscienza (cioè la favoletta dei pda), tocca le corde più segrete e strategiche151 per la nostra evoluzione: solo questo diciamo! Non parliamo dei pda come di verità assoluta: ben lungi da noi! Ne parliamo come di un grimaldello che, in

quantistici. Ma le teorie da cui possono sorgere collegamenti tra la pietra ed altri elementi dell’universo (o del multiverso, o di chissà cos’altro) non cesseranno forse di moltiplicarsi nei millenni a venire, ed anche in quelli successivi, finché vi sarà un osservatore in grado d’idearle. Tali teorie, peraltro, sono generate dall’osservatore, non dalla pietra, ma ci dicono qualcosa sulla pietra, senza cui la pietra non avrebbe quel senso di esistenza che le attribuiamo. Quindi i pda che l’osservatore vede nella pietra, pur essendo pda effettivi o eventuali dell’osservatore, sono in qualche modo in relazione con i pda che costituiscono la pietra. Ciò non significa per forza che vi sia una realtà oggettiva, che l’osservatore-uomo deve scoprire al di fuori di sé: può voler dire anche (secondo l’opzione che preferiamo) che la proiezione dell’osservatore che chiamiamo pietra ha la possibilità, a sua volta, grazie all’evoluzione, di diventare osservatore a sua volta. Invece che pensare, quindi, che la realtà è esterna a noi osservatori, possiamo dire che la proiezione della realtà di un singolo osservatore può “gemmare” altre proiezioni di altri osservatori. Perfino tra esseri intelligenti come gli umani, la proiezione di un umano può gemmare la proiezione degli altri umani. Si pensi all’esempio di Gandhi, che ha introdotto la filosofia e pratica del satyagraha. Coloro che vi hanno aderito sono quegli osservatori la cui proiezione si è lasciata trasformare o conformare dalla proiezione dell’osservatore Gandhi. Di questo passo, possiamo anche dire che vi è un’unica proiezione di un unico osservatore che genera, al suo interno, altre proiezioni di altri osservatori: purché però vi sia un rapporto speculare tra l’unica proiezione e le proiezioni “gemmate”, tale per cui solo queste ultime siano dotate di autocoscienza e possano quindi, esse sole, attribuire l’autocoscienza all’unica proiezione all’interno delle singole proiezioni “gemmate”. Il rapporto tra Gandhi e i suoi seguaci sarebbe quindi qualitativamente diverso dal rapporto tra l’essere supremo (o sé archetipico) e gli osservatori-uomini, tra cui anche Gandhi si annovera. La compresenza delle proiezioni gemmate (e la gemmazione tra proiezioni gemmate) sarebbe assicurata dalle analogie singolari: in particolare, da un tipo specifico di analogie singolari, quelle che hanno, nel novero dei due elementi dell’analogia, un elemento che chiameremo “ineffabile puro”, cioè un elemento ineffabile che non solo non può essere spiegato a parole, ma non può nemmeno essere raggiunto nell’intuizione grazie ad uno o più pda specifici. E’ grazie a tale tipo specifico di analogia singolare, che nelle nostre opere chiamiamo graféica, che è possibile pensare ad una pietra (proiezione dell’osservatore-uomo) che diventa a sua volta osservatore, grazie all’autonomo sviluppo della coscienza. Prima di scartare questa idea, consideriamo che è solo grazie ad un’analogia singolare graféica che posso pensare alla mia coscienza individuale, nonché attribuire una coscienza individuale agli altri esseri umani.150 Nell’opera Come gli hippie hanno salvato la fisica, di D. Kaiser, uno dei personaggi (che è poi uno dei pionieri della seconda mandata di studi sulla quantistica, da fine anni ’60 del secolo scorso in poi), si chiede come sia possibile che la realtà, che ci appare così solida, sia fondata sulla sabbia dell’indeterminismo quantistico. La considerazione ha risvolti epistemologici immensi, poiché ci suggerisce (con un’evidenza scientifica oggi dominante) d’introdurre un principio di connubio progressivo tra complessità strutturale-concreta della realtà e sua coerenza interna. Nell’ipotetico scorrere del tempo ed anche in chiave sincronica, scorrendo i vari livelli di dimensione spaziale dal più piccolo fino a quello macroscopico della biosfera, secondo un punto di vista essoterico e neopositivista, si dovrebbe sostenere che si è formata, di pari passo, una complessità strutturale e concreta della realtà, in una con l’aumento esponenziale della sua coerenza interna. La nostra ricostruzione esoterica della realtà (salvo il suo inserimento negli assoluti di spazio euclideo e di tempo cronologico, o nell’assoluto di spazio-tempo) è confermata, almeno quanto al fondamentale principio sopra esposto, anche dalla ricostruzione essoterica istituzionalmente dominante.151 Intendo dire che la spiegazione della realtà come di intrecci di pda, che formano elementi analogici più complessi, nonché veri e propri organismi, offre una spiegazione entusiasmante ed una verifica altrettanto potente su veri e propri nodi gordiani della nostra epoca: la coscienza, la materia, il rapporto tra realtà e conoscenza, la vita biologica, la giovinezza ad libitum, la felicità, la relazionalità o comunicazione, la comunicazione con altri mondi o realtà separate (in qualche modo) da quella umana. Non solo la teoria delle configurazioni analogiche (studiata in unione alle altre teorie di questo percorso esoterico in più tappe) rischiara tali temi: ma la sua spiegazione è anche confermata dalle verifiche condotte da ricercatori che non l’hanno mai conosciuta, sia nel campo della coscienza, sia nel campo 60

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unione coordinata con altri grimaldelli, ci guida nel cammino umano ben più lontano di altri dispositivi logici.

Ma come può esservi un’autocoscienza (nel caso della pietra), prima dello sviluppo autopoietico della coscienza? Ebbene la parola “autocoscienza”, adoperata in questo cammino esoterico, è solo un’espressione atecnica per dirci che non è necessario uno spartiacque cronologico, per individuare la coscienza già formata. La coscienza non è altro che un particolare tipo di strutturazione dell’intreccio dei pda. Un tipo di strutturazione che, certo, consente di far decollare in modo esponenziale la complessità d’informazioni raccoglibili e trasformabili e, in ultima analisi, di pronunciare la parola “io”. Invece che raccogliere una mole immensa d’informazioni, grazie allo sviluppo di una nuova galassia, adesso l’essere raccoglie una mole ancor più immensa d’informazioni in un singolo organismo vivente, dotandolo della struttura della coscienza, e poi facendo interagire tra loro gli organismi viventi. Su quale sia la struttura della coscienza e quanto sia disarmante la sua semplicità, ne parleremo nel relativo capitolo.

L’idea di pda, inoltre, ci consente di spiegare come sia possibile accumulare e organizzare moli d’informazioni così da capogiro, come avviene nella realtà. Sappiamo che, anche solo per strizzare l’occhio, l’organismo umano muove una mole spaventosa d’informazioni. Ma che senso ha una simile accuratezza? E soprattutto, come è raggiungibile? Il senso dell’accuratezza della realtà si trova nella sua bellezza e relazionalità. Non occorre aggiungere altro (basta viverlo). Ma come si raggiunge una tale accuratezza? L’unione fa la forza! Se m’impunto a voler inchiodare una rete piena di sassi ad un unico chiodo, il chiodo cederà. Ma se adopero molti chiodi, su un’area abbastanza ampia della parete, sia i chiodi che l’intonaco reggeranno il peso della rete. Così è della rete analogica composta dai pda: non esistendo alcun oggetto in sé, ma solo un intreccio di percorsi (grazie a cui gli elementi analogici si spiegano gli uni con gli altri, acquisendo la loro osservabilità), la realtà non è costretta a costruirsi secondo strutture logiche pesanti. Chiamo questa caratteristica della realtà “diffusività dei pda”152. E’ dando un’intelligenza integrata agli elementi di base della realtà (cioè ai pda), che si ottiene il livello di complessità e di coerenza che vediamo dappertutto intorno a noi. Non occorre cercare un coordinamento assoluto di tutti i pda: basta riconoscere loro delle linee di tendenza (regole intrinseche al loro agire) e un coordinamento basato su forme intuitive diversificate (analogie indirette, analogie dirette o singolari, analogie singolari graféiche153). Sarà poi l’interprete, che vuole ricevere rivelazioni sempre più grandi, che dovrà attribuire a tali forme intuitive una personalità unitaria, capace di coordinare ogni pda. Personalità che appartiene sì all’osservatore-uomo, ma in quanto sé archetipico154 dell’uomo stesso. Ma ciò appartiene ad una fase ulteriore di questo percorso esoterico, che chiamo “accordo costitutivo sull’essere” o “io comunitario” (che viene descritto nel saggio relativo alla tappa precedente di questo percorso, che studia le tre funzioni fondamentali della conoscenza umana – percezione, intuito-ricordo e intelletto – alla luce di un’interpretazione esoterica della dottrina trinitaria). Anche chi non accettasse quest’ulteriore fase, può partecipare allo studio delle configurazioni analogiche, dei pda e degli altri dispositivi logici che offriamo nelle nostre teorie, ottenendone immensi

epistemologico in relazione ai temi della materia e del rapporto tra realtà e conoscenza, sia nello studio della vita biologica come campo che coordina i propri elementi con intelligenze non apparenti, sia nello studio sulle origini del cosmo, sia nello studio della teoria quantistica, del diritto, ecc... Non essendo esperto di tali materie, se non in parte e comunque quasi sempre senza un qualche pedigree accademico, ho dovuto apprendere le nozioni su cui baso la mia verifica della teoria delle configurazioni analogiche grazie a versioni divulgative delle ricerche altrui. Ciò è però perfettamente legittimo, se si pensa che la scelta su quanto rendere specialistica una forma di conoscenza è di stretta discrezionalità dello studioso (e della comunità scientifica cui appartiene) e che, se tutti gli studiosi dovessero desumere argomenti dalle teorie scientifiche altrui solo dopo essere arrivati ad una conoscenza approfondita delle medesime, si arriverebbe a negare la possibilità stessa di far dialogare tra loro dette teorie e campi del sapere. Non posso, infatti, essere esperto di fisica delle particelle e di neurologia, al punto da comprendere approfonditamente le rispettive teorie principali: sia per motivi di tempo, sia per motivi di forma mentis.152 Questo aspetto viene spiegato soprattutto nel capitolo relativo all’onda formaturale.153 La spiegazione di queste forme di analogia è offerta nel saggio Analogia singolare…, disponibile sul sito indicato nell’epigrafe della copertina.154 Il “sé archetipico” è quella componente progettuale della realtà osservata dall’uomo, che conduce quest’ultima verso un riassetto degli archetipi (cioè degli stampi originari su cui la realtà si costruisce), a fini relazionali e creazionali. Poiché tale componente appartiene all’osservazione dell’uomo, l’uomo stesso può trovarla in se stesso.61

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benefici conoscitivi e realizzativi. Le premesse di questo percorso esoterico (cioè le sue verifiche) sono buone, almeno quanto le promesse. Quindi, emulando Gesù, posso dire: “vieni e vedi”.

La diffusività dei pda, d’altro canto, permette di sviare continuamente l’attenzione dell’osservatore, che si muove vorticosamente da un punto all’altro del proprio intreccio di percorsi (cioè del proprio organismo). Ciò spiega, da un lato, come un qualunque elemento della realtà possa essere interdipendente da ogni altro elemento della realtà. La spiegazione diventa semplice: anche una singola pietra abbraccia, con i suoi percorsi, la parte di universo155 fisico che interessa alle sue strutturazioni logiche. Una pietra, d’altro canto, non avendo ancora sviluppato la coscienza, limiterà i propri percorsi al contesto fisico e alle mere strutturazioni logiche: rimanendo così esclusa dai contesti sociali e spirituali, come anche da tutti gli stati di autocoscienza diversi dalla fùsis156. Inoltre, la vorticosità con cui si sposta l’attenzione dell’osservatore non significa che i pda siano limitati in chiave cronologica. Essi, al contrario, prescindono dall’aspetto cronologico, che può solo essere ricostruito a posteriori con un pda di controllo. Quindi, quando parlo di “vorticosità”, non mi riferisco ad una velocità d’interconnessione tra gli elementi analogici, che costituiscono i vari pda tra loro collegati. Mi riferisco piuttosto all’incapacità, per l’osservatore della realtà, di far collassare in un unico elemento attentivo la realtà stessa in cui si muove e che costituisce il suo organismo157. Se infatti l’uomo potesse concentrare la propria attenzione su un solo elemento analogico alla volta e tale elemento, insieme a quello successivo, fosse l’unico disponibile per il coordinamento delle informazioni del suo corpo, ebbene l’uomo sarebbe più esile del punto nella geometria euclidea. Fortunatamente la realtà ha il suo spessore158, poiché il suo osservatore (come ogni altro elemento complesso della realtà) si muove su miliardi di miliardi di pda tra loro collegati, la cui attivazione attentiva è così bassa e ripartita159, che la stragrande maggioranza dei pda rimane spesso nel limbo dell’incoscienza (nonostante resti a far parte della strutturazione corporea). Ciò consente, da un lato, di percepire la complessità della realtà, dall’altro lato di non ridurre tale complessità ai pochi collegamenti coscienti.

I pda, infine, con la loro architettura circolare e super-interconnessa, consentono all’analogia singolare160 di porre il sigillo della sua magia sulla realtà. Tale magia è l’ineffabile, che è costitutivo della realtà stessa. I pda, d’altronde, con la loro caratterizzazione semplice e disinvolta, consentono di comprendere il funzionamento dell’ineffabile, inteso come motore evolutivo-conservativo della realtà. Non frappongono, infatti, orpelli teorici all’espressione funzionale dell’ineffabile. Gli orpelli teorici che, al contrario, sono stato costretto ad inserire in questo capitolo, erano funzionali a far esprimere in modo circolare l’ineffabile. Ma una volta accettata tale circolarità, essa può essere superata abbandonando le categorie degli assoluti derivati161 da cui è implicata.

Le evidenze scientifiche del pda non mancano, a livello di studi sul cervello, e non solo. Faccio seguire alcune citazioni dall’opera di L. Maffei (professore e ricercatore di neurologia a Pisa), Elogio della lentezza, che ha il pregio di trattare argomenti complessi con linguaggio divulgativo. Ad ogni citazione seguirà il mio 155 Non è detto, però, che abbracci strutturazioni logiche nell’intero multiverso, o in qualunque altra cosa possa esservi in aggiunta o in alternativa ad esso.156 La fùsis è la spontaneità della natura, cioè il novero delle leggi scientifiche che la regolano. Adopero tale termine anche per riferirmi ad una singola e specifica legge scientifica.157 Come meglio sviluppato nel seguito di quest’opera, s’introduce qui un’idea di complessità della realtà, che richiama un principio di coerenza inteso come alternativo e complementare al principio causalistico. Si vedano in proposito i vasti contributi di E. Morin e dei colleghi psicologi che hanno condiviso con lui la teoria della complessità, tra cui (proprio sul rapporto tra principio di coerenza e principio di causa-effetto) F. Varela. In quest’opera non si è potuto tenere conto che in modo molto limitato di tali contributi, ma solo per motivi di tempo, dal momento che il loro valore traspare da ogni pagina che mi è stato dato di leggere.158 Ciò avviene non tanto per il bosone di Higgs. Quest’ultimo, infatti, è un intreccio di elementi analogici che si collega ai nostri pda, perché questi ultimi possano gestire la complessità strutturale della formazione dello spessore.159 La ripartizione della “carica attentiva” tra i vari pda dell’organismo non segue proporzioni matematiche di stampo occidentale. Si tratta piuttosto di una ripartizione scaturente da analogie singolari, cioè analogie ineffabili. Tali analogie sono studiate approfonditamente nel saggio Analogia singolare…, disponibile sul sito www.bridge4will.net.160 Vd. nota prec.161 Gli assoluti derivati, come spiegato nel capitolo precedente, sono lo spazio, il tempo cronologico e i principi della logica tradizionale. Questi sono gli assoluti derivati più diffusi, in ogni cultura occidentale contemporanea, e non solo in quella occidentale. Ma vi sono vari altri assoluti derivati, che riguardano, ad esempio, certe forme di governo, come l’idea di libertà nelle democrazie occidentali.62

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commento, che spiega come le risultanze delle esperienze di laboratorio sul cervello confermino la validità scientifica dell’idea di pda. Iniziamo con un passo in cui Maffei ci parla de “l’orologio cerebrale”, cioè della capacità del cervello di farci avvertire il passaggio del tempo cronologico:

“L’orologio cerebrale risulta assai impreciso, complesso e variabile a seconda dell’importanza dell’evento e delle circostanze in cui avviene: le attese sono lunghissime e i momenti di piacere volano via in un attimo. Non esiste l’isocronismo dei tempi cerebrali, essi variano con lo stato dei cervelli e con i cervelli dei singoli individui, come se non esistesse la necessità cerebrale della misura precisa del tempo” (pag. 47, op. cit.). Ciò costituisce, in primo luogo, una verifica sperimentale – tra le tante possibili - che il chrònos162 non esiste. Laddove la sua configurazione non è consapevole, in quanto non costituisce oggetto di un apposito pda di controllo o comunque non occorre rimandare ad un elemento analogico di tipo cronologico in maniera esplicita, infatti, tale configurazione non viene espressa dai percorsi cerebrali. Ciò che qui interessa precisare è che, dal confronto tra tali percorsi cerebrali e i pda (percorsi di autocoscienza), emerge una sostanziale identità funzionale. Ogni pda, infatti, esprime solo alcune delle configurazioni analogiche (CA) possibili, non coordinandosi per niente con le altre, se non per via d’incroci solo eventuali con i pda che le esprimono. Vi possono essere, quindi, pda completamente spogli da ogni aspetto cronologico. Allo stesso modo, anche i percorsi cerebrali non si preoccupano sempre di esprimere le informazioni a secondo del loro collocamento cronologico. In alcuni casi, i percorsi cerebrali (anche i più fisiologici) si limitano così a non esprimere alcuni aspetti, permettendoci di escluderli dal novero delle strutture fondamentali ed ineludibili della realtà. I pda e i percorsi cerebrali fanno quindi la stessa cosa: settorializzano i criteri interpretativi della realtà a certi ambiti analogici. Inoltre, dovremmo chiederci perché i pda, come anche i percorsi cerebrali, non esprimono la configurazione del tempo cronologico al di fuori del contesto della coscienza. La risposta, quanto ai pda, è questa: perché essi rispondono al finalismo relazionale della realtà. La funzione di rendere l’illusione cronologica della realtà è solo una delle funzioni dei pda, che è a sua volta funzionale alla relazionalità della conoscenza (fine ultimo di ogni pda). La funzione cronologica, in una realtà che si evolve secondo un finalismo relazionale, serve a rendere opposte e complementari, grazie alla coscienza, le due vie dell’uomo: la via dell’assestamento strutturale della conoscenza (o via del non-essere, tra le cui strutturazioni di assestamento vi è anche il chrònos) e la via della ricerca (o via dell’essere, che fa accedere a sempre nuove configurazioni, confinando sempre più quelle di assestamento, tra cui il chrònos). L’opposizione e la complementarietà tra le due vie, come ben esplicitato in Analogia singolare163, rende possibile la relazionalità tra gli uomini164 e tra l’uomo ed il suo sé archetipico165. Ma anche i percorsi cerebrali, se li guardiamo nell’insieme integrato della loro funzionalità, sembrano pensati proprio per la relazionalità. Se un sistema complesso come il cervello, tra le tante funzioni che interpreta, esprime anche una funzione più complessa di tutte (senz’altro la relazionalità), non sarebbe sbagliato dire che esso è appunto pensato per far assurgere la realtà alla funzione relazionale. La relazionalità è d’altronde, indubitabilmente, la funzione più complessa e capace di coerenza del nostro intero cervello. La complessità e coerenza della relazionalità sta nel fatto che il destino e le capacità cognitive di ogni uomo - ed a cascata di ogni altro uomo che entra in contatto con esso e, in un certo senso, della natura stessa - possano essere cambiate e conformate dal rapporto con un altro uomo, o con il

162 Cioè il tempo cronologico, che è pensato dall’uomo come un insieme di punti sulla retta del tempo.163 Opera che ho pubblicato in formato .pdf sul sito web, che ho indicato nell’epigrafe della copertina.164 Come potrebbero, infatti, gli uomini relazionarsi tra loro, se non superando il mero automatismo dei loro rapporti. Ma per superare tale automatismo (governato da ferree leggi sociali), occorre un ingrediente dialettico: tale ingrediente è rappresentato dall’opposizione e complementarietà delle due vie anzidette. Chi percorre la prima via (assestamento strutturale) viene trasformato da chi percorre la seconda (ricerca); d’altro canto l’assestamento strutturale di chi è stato così trasformato conforma a sé coloro che si accingono a fare ricerca, affinché la loro ricerca possa innovare su una base comune di sapere (anche se tale base può essere radicalmente reinterpretata).165 L’uomo ha la possibilità di rendersi conto dell’importanza che hanno i suoi stessi assetti archetipici sulla formazione della cd. realtà. Colta tale importanza, ha poi la possibilità di cogliere anche l’evoluzione di tali assetti e la progettualità che sospinge questa evoluzione. Compreso dunque che nella misteriosa formazione dei suoi assetti archetipici c’è un progetto, può identificare tale progetto nell’idea relazionale. L’uomo si conforma, infatti, al progetto di evoluzione archetipica, ma può anche trasformare tale progetto; d’altro canto, anche tale progetto si conforma all’uomo e, a sua volta, lo trasforma. L’idea relazionale, di vicendevole conformazione e trasformazione, si conferma così come qualcosa di tipico anche nel rapporto tra l’uomo ed il suo sé archetipico.63

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proprio guardarsi dentro lo specchio della coscienza, nel modo più rapido e radicale. La variabilità che sorge da paradigmi come l’atomo o la cellula viaggia, infatti, su velocità evolutive estremamente ridotte rispetto a quelle della coscienza umana. Se un uomo che ha vissuto recluso con la sua comunità in una foresta impenetrabile, torna alla civiltà occidentale, iniziando a regolarsi nel traffico, a guardare gli schermi televisivi, ad adoperare gli smartphone, a lavorare in un contesto sociale diverso, la sua rivoluzione fisiologica e interiore non è resa esponenziale per via di nuovi atomi o cellule con cui entra in contatto, ma per i nuovi atteggiamenti e regole che vede applicarsi nel contesto sociale. A livello informativo, ciò che avviene è un cambiamento più complesso di una galassia che si scontrasse con altre dieci galassie, o si perdesse in altro universo del multiverso. Pensiamo infatti che un singolo battito di ciglia del nostro uomo recivilizzato comporta, probabilmente, migliaia di reazioni chimiche. La coscienza umana è pertanto l’ambito reale in cui la velocità evolutiva dell’informazione diventa di gran lunga più esponenziale. Quindi, ricapitolando, il fatto che il cervello non sia strutturato sul chrònos fa comprendere come quest’ultimo non faccia parte delle strutture portanti della realtà, se non in modo limitato all’ambito cosciente. Solo la coscienza, infatti, ripensa la realtà come cronologica. Per ripensare la realtà come cronologica, la coscienza adopera degli appositi percorsi cerebrali (e solo quelli), che in tutto possono essere parificati ai pda. L’assenza di cronologia nei pda non coscienti166 (cioè non accompagnati da percorsi di controllo) o non interessati da una specifica esigenza che rinvii all’ambito cronologico si spiega, infatti, come mancato collegamento degli elementi del singolo pda con elementi collocati nella configurazione analogica del chrònos. Tale peculiare architettura dei pda, che si collegano a quest’ultima configurazione solo per quegli elementi che sono interessati da sub-percorsi di controllo o da un finalismo specifico volto all’assestamento strutturale della realtà, richiede di essere spiegata in chiave funzionale e quindi finalistica. Il finalismo che ci sarebbe dietro all’esclusione della configurazione del chrònos dai pda non coscienti o non interessati ad una sfumatura cronologica è che l’illusione del chrònos è funzionale all’opposizione e complementarietà delle due vie della conoscenza, le quali sono a loro volta funzionali alla relazionalità tra uomini e tra l’uomo ed il suo sé archetipico. La relazionalità o comunicazione, nella nostra realtà, infatti, richiede un’opposizione anti-relazionale da superare. Solo il superamento dell’ostacolo relazionale dà la spinta relazionale a lasciarsi trasformare ed a trasformare il prossimo. Senza tale spinta ci conformeremmo gli uni agli altri, ma se abbiamo in noi tale spinta possiamo opporci al conformismo e far fruttificare nel nostro laboratorio intimo le rivoluzioni che cambieranno la faccia dell’umanità.Ma proseguiamo con le citazioni dal libro di Maffei, che in questo caso riguardano la gestione del linguaggio da parte del cervello: “[...] lo studio di questi pazienti con cervello [a cui sono state interrotte alcune delle fibre che trasferiscono l’informazione da un emisfero all’altro], ha confermato che l’emisfero destro è muto. Se a questi pazienti con cervello diviso si presentano delle immagini nel campo visivo di sinistra (le quali, per l’incrocio delle vie ottiche, sono analizzate dall’emisfero destro), i soggetti sosterranno di non percepire alcunché, ma riusciranno ad indicare con la mano sinistra, che è sotto il controllo del lobo destro che ha ricevuto l’informazione, l’immagine corretta presentata in una serie di fotografie (pagg. 51-52).” Quindi è confermato che i percorsi cerebrali non richiedono l’interessamento della coscienza, neanche in attività macroscopiche ed estremamente complesse come il movimento di un braccio che va ad indicare un oggetto entrato in contatto visivo con l’uomo. Per amore di precisione, il movimento del braccio nell’esempio portato da Maffei era cosciente, ma non l’intero processo decisionale su dove dirigere il braccio stesso. Anche i pda, dal canto loro, non richiedono un funzionamento cosciente neanche per funzioni molto complesse, come poteva essere quella appena citata. Il pda è cosciente, infatti, solo se quando è accompagnato da sub-percorsi di controllo, che si dipartono da un suo singolo elemento analogico. Altri sub-pda non di controllo, pertanto, possono collegarsi al pda inconscio, alla sola condizione che vi sia complementarietà formaturale167 tra i rispettivi elementi analogici. Grazie a tale collegamento, il

166 Altrove, invece che l’aggettivo “non coscienti”, scrivo “non attivati” o “inattivati”.167 Con l’espressione “complementarietà formaturale” intendo riferirmi alla somiglianza tra gli elementi analogici che costituiscono due pda. Tale somiglianza va valutata in funzione dell’onda formaturale che caratterizza ciascuno di tali elementi. L’onda formaturale è il novero di collegamenti che è sotteso alla percezione, intuizione e/o comprensione intellettiva di un elemento analogico. L’onda formaturale si può caricare o sgonfiare: quando si carica, è possibile che un elemento di un pda si colleghi saldamente ad un elemento di un altro pda, comportando la prosecuzione di entrambi i pda in un sub-pda comune. La complementarietà formaturale è quindi funzionale a far evolvere il singolo 64

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pda inconscio aumenta la propria carica formaturale (cioè il proprio raggio intuitivo). Può quindi conferire all’uomo funzioni estremamente complesse, di cui egli non sia consapevole, nemmeno durante la loro esecuzione da sveglio. D’altro canto con i pda si spiega anche come sia possibile che il ricercatore, che chiede al soggetto analizzato d’indicare l’oggetto comparso nel suo campo visivo, possa veicolare il braccio sinistro a compiere l’operazione d’indicare qualcosa di cui non è cosciente. La Scienza occidentale non è in grado di spiegarlo, poiché in neurologia non vuole prendersi le licenze che si è presa nello studio delle microparticelle. Ma introducendo l’idea di pda, che si muove secondo un finalismo esprimibile grazie alla sua onda formaturale, non occorre una volontà specifica del soggetto per direzionarne in modo preciso il braccio. È infatti sufficiente che il soggetto avesse composto alcuni pda coscienti con il finalismo di ubbidire alle richieste del ricercatore, perché nell’intreccio dei pda (che è l’organismo umano) tali pda coscienti possano eventualmente influenzare l’onda formaturale di alcuni pda inconsci (tra cui quello che muove il braccio a indicare l’oggetto comparso nel campo visivo di sinistra). Si deve anzi ammettere che buona parte dei pda inconsci possano essere influenzati dai pda coscienti: altrimenti sarebbe impossibile la guida di un’automobile, che richiede di spostare sotto la soglia della coscienza buona parte delle operazioni di guida.Maffei ci spiega poi come la morfologia del cervello, fino ad una certa età, sia in grado di adattarsi ad un’eventuale situazione traumatica, per sviluppare specifiche funzioni:“Un’altra osservazione che indica come il linguaggio abbia preso una posizione direttiva nell’evoluzione cerebrale è quella per cui, se in età infantile, fino a 3-4 anni, cioè in un’età di alta plasticità del sistema nervoso, una lesione traumatica o circolatoria danneggia le aree del linguaggio nell’emisfero sinistro, le funzioni linguistiche di questo si trasferiscono nelle parti simmetriche corrispondenti dell’emisfero destro. Questo trasferimento di funzioni da un emisfero ad un altro è evento eccezionale in quanto non avviene per altre funzioni” (pag. 52-53). Questo passo di Maffei offre la verifica sperimentale di un aspetto fondamentale della teoria della configurazione analogica (CA): il suo collegamento imprescindibile con la teoria dell’analogia singolare (per la quale rimando all’omonimo eBook, disponibile sul sito www.bridge4will.net). La realtà, nella teoria della CA, è intesa come intreccio di pda che si situano in molte CA. I pda, quindi, hanno la funzione di collegare tra loro le CA, permettendo loro di articolare in modo complesso ed integrato le analogie singolari. Le analogie singolari (AS) sono le somiglianze-differenze ineffabili tra due elementi della realtà. Tali AS costituiscono così il mondo della parola, il linguaggio. Le AS costituiscono inoltre gli autentici motori della realtà, in quanto innovano le configurazioni in modo intuitivo e misterioso, rendendo possibili le rivoluzioni del sapere. In questo modo riescono anche ad attrarre i pda, spingendoli a rimodularsi continuamente. Quindi la parola, finché può, prende dimora nell’uomo in varie maniere, alterando i pda onde ottenere la complessità e la precisione di collegamenti che le occorrono per esprimersi relazionalmente. Non si tratta di una funzione tra le tante: la parola è il motore evolutivo della realtà, quindi viene tutelata dall’essere in ogni contesto reale. A maggior ragione nell’organismo autocosciente, che grazie alla parole deve imprimere continue rivoluzioni alla realtà osservata. I limiti che la parola non riesce a superare, nell’innovazione delle configurazioni analogiche e nell’attrazione dei pda, sono anch’essi funzionali alla relazionalità umana. Quale uomo potrebbe infatti relazionarsi con gli altri e con il proprio sé archetipico, se il potere della sua parola di plasmare le CA e di attrarre i pda fosse inarrestabile? Non vi sarebbe più quella conformazione e trasformazione reciproca, che abbiamo chiamato comunicazione, ma uno strapotere universale. Tale strapotere inficerebbe del tutto la stessa idea di coscienza: quest’ultima, infatti, per formarsi pretende che vi sia una forte dialettica nella realtà in cui l’uomo vive. Un limite, non del tutto invalicabile, alla parola implica invece un aumento della complessità e della coerenza della realtà, in chiave evolutiva e relazionale. Bisogna, insomma, che la parola incontri limiti solo provvisori, superabili con un’evoluzione individuale o di specie umana più o meno lunga, ma che comunque incontri dei limiti provvisoriamente invalicabili a qualche livello. L’inesistenza di limiti come una loro eccessiva imperatività negano il sorgere e il mantenersi della coscienza. L’evidenza scientifica proposta da Maffei conferma, quindi, la validità dell’analisi risultante dal connubio delle due teorie suddette. Uno degli assi portanti della teoria della CA è proprio il pda, che contribuisce ad offrire una spiegazione sul perché un bambino molto piccolo (il nèpios di cui ci parla il Vangelo), in presenza di alcune lesioni cerebrali, possa alterare lo sviluppo del proprio cervello per ottenere

pda in coordinamento con alcuni degli altri pda: quelli più simili quanto a complementarietà formaturale, cioè quanto a possibili esiti intuitivi.65

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comunque accesso alla parola, mentre un adulto non possa. I limiti che i pda incontrano e superano sono infatti difficoltà nel coordinamento delle proprie onde formaturali168. Nella delicata formazione di un’onda formaturale, ordinata ad un certo sviluppo cognitivo, può influire anche un elemento analogico concreto come la lesione cerebrale: tale elemento analogico funge da elemento di disturbo nella formazione delle onde formaturali che consentono il collegamento tra specifici pda, implicati in un certo sviluppo cognitivo. Ma quando la strutturazione di tali collegamenti è ancora in piena formazione (come nel caso del nèpios), è ancora agevole assestare molti collegamenti tra pda in vista di rendere possibile proprio quelle onde formaturali impedite dall’elemento concreto dissonante (la lesione cerebrale). Quando invece la strutturazione dell’intreccio dei pda che costituisce l’organismo umano è già completata, a livello dell’evoluzione oggi possibile all’uomo, è estremamente più complesso alterare i collegamenti tra i pda. Essi sono troppo perfettamente “ingarbugliati”, per subire un riadattamento così radicale. Si pensi come siano poco sviluppate, nel neonato, le capacità cognitive, al punto che prima di poter afferrare gli oggetti deve passare un paio di mesi a muovere a casaccio le braccia, per poi arrivare a colpire gli oggetti con l’avambraccio e, solo allora, iniziare a prendere la mira per toccare gli oggetti. Ognuna di queste fasi di sviluppo cognitivo, secondo la teoria dell’AS169, è costituita dall’attrazione progressiva dei pda entro il raggio intuitivo di azione di specifiche analogie singolari, rese presenti dal confronto del neonato con gli oggetti di amore (i genitori). Abbiamo già visto, poco fa’, come i pda di un soggetto possano captare e modificare l’onda formaturale dei pda di un altro soggetto (grazie, a loro volta, ad ulteriori analogie singolari deputate al coordinamento tra i soggetti, che abbiamo chiamato assoluti derivati). Una volta che, raggiunta l’età adulta, troppi pda si siano intrecciati tra loro, in occasione dell’attrazione operata dalle analogie singolari, ebbene per acquisire daccapo una certa funzione cognitiva (persa per via di una lesione cerebrale), si dovrebbero “sbudellare” troppi collegamenti intuitivi tra pda. Gli elementi “fisici” che costituiscono il singolo pda possono allora interrompere (ove vengano a mancare, come nel caso dell’area cerebrale danneggiata) la catena del pda stesso. La lesione cerebrale in tenera età interrompe pochi pda, che possono completarsi grazie ad altri pda in formazione. La lesione cerebrale in età adulta, invece, interrompe molti pda, in un contesto in cui i pda ancora in formazione sono molto pochi. Mentre il neonato è un turbine di pda in formazione, l’adulto è un immenso castello di pda già collocati, cui si aggiungono pochi pda di tipo molto specifico, per funzioni di mero supporto alle funzioni già innescate. Da questa spiegazione del cervello basata sui pda si può ricavare anche il senso delle famose parole di Gesù: “chi non diventerà come uno di [questi bambini], non entrerà nel regno dei cieli”. Uno dei possibili significati di queste parole è appunto che, solo tornando ad uno stadio di maggior crescita e modulazione dei pda (grazie ad un cammino personale di rivoluzione conoscitiva), l’uomo può entrare in quella fase evolutiva in cui è in grado d’innovare le potenzialità del proprio organismo, superandone i limiti indesiderati. Tale fase, nell’umanità di oggi stenta a decollare, poiché ci si ostina alla settorializzazione del sapere, a considerare in molte branche del sapere come cogenti gli assoluti derivati e, in ultima analisi, perché non siamo pronti

168 Come più volte spiegato, l’onda formaturale è la fase di formazione della componente intuitiva di ogni elemento analogico della realtà. Tale componente intuitiva permette di collegare tra loro molti elementi analogici, in corrispondenza di un singolo elemento analogico. Durante la sua formazione (chiamata appunto “onda formaturale”) la componente intuitiva di un elemento analogico (situato in un certo pda) permette di “caricare” l’intuizione dell’elemento successivo del pda stesso. Il fatto che io chiami l’onda formaturale con il nome di “fase di formazione” della componente intuitiva dell’elemento analogico, non deve far pensare che essa si svolga nel chrònos. Non vi è alcuna cronologia nell’onda formaturale, se non in dipendenza dal paradigma del sefèr (= racconto che convince). Noi umani, infatti, riusciamo a comprendere la realtà solo raccontandocela. Fatalmente, nel raccontarci la realtà, la riduciamo ad un racconto cronologico. Con l’immaginazione consentita dall’analogia singolare, dobbiamo però trasformare tale visione cronologica in un “come se”. Dovremmo allora dire che l’onda formaturale è una fase di formazione dell’elemento analogico, come se tale fase fosse scandibile cronologicamente, anche se non lo è. In questo modo siamo in grado d’intuire cosa sia l’onda formaturale, ma trovandosi essa (nella nostra intuizione) a contatto con due configurazioni analogiche (una retta dal paradigma del sefèr e l’altra retta dal paradigma della grafè o analogia), possiamo evitare che ad essa si applichi la regola insita nella prima configurazione, spostandoci nella seconda. Ogni configurazione ha infatti le sue regole, ma il pda in cui siamo inseriti può spostarci (appunto grazie all’onda formaturale) da una configurazione all’altra, dandoci la possibilità di applicare le regole della configurazione di arrivo, invece che quelle della configurazione di partenza.169 Analogia singolare.66

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(come collettività) ad accogliere quei segni che l’evoluzione della realtà (che io chiamo sé archetipico ed essere supremo) ci sta già dando per diventare effettiva.

A questo punto Maffei, dopo averci esposto il potere del linguaggio dell’uomo sul cervello proprio e altrui, offre una chiara distinzione tra il funzionamento cerebrale del linguaggio e quello della percezione visiva: “La vera rivoluzione evolutiva nel lobo sinistro non riguarda solo il linguaggio ma anche i meccanismi nervosi che generano le stringhe di eventi legati tra loro nel tempo in maniera tale che, nella maggior parte dei casi, solo la stringa assume significato. Per questa ragione propongo di chiamare l’emisfero linguistico “emisfero del tempo”. Le stringhe di eventi legati tra loro sono la base del ragionamento, e contrastano ad esempio con la comunicazione visiva, dove gli eventi nervosi concernenti un’immagine non sono in serie, ma in parallelo, in quanto sono trasmessi contemporaneamente, tutti insieme. Si potrebbe dire che l’informazione visiva, al contrario di quella linguistica, è atemporale” (pagg. 54-55). Il confronto tra pda e percorsi cerebrali diventa ora più complesso, meno lineare. Anche se i pda sono da noi costruiti grazie al linguaggio, hanno solo il carattere seriale dei percorsi linguistici, mentre dispongono del carattere atemporale di quelli visivi. Non abbracciano solo eventi (come afferma Maffei, ma senza specificare se intende eventi esterni o eventi interni all’organismo), come i percorsi linguistici; né si dispongono in parallelo, come i percorsi visivi. Ma la categorizzazione e la disposizione spaziale e cronologica degli elementi costitutivi del pda è puramente ideale: non cerca nemmeno una conferma in ambito spaziale e cronologico. Il pda non è qualcosa di tangibile nel nostro attuale vissuto: è solo un tassello indispensabile, nelle teorie sopra citate, per spiegare il funzionamento del corpo e della coscienza. Ma questa è anche la potenza sconvolgente di questa idea, che quadra il cerchio epistemologico. Studiato con gli altri argomenti della teoria della configurazione analogica, il pda ci dispensa spiegazioni intuitive e per niente macchinose di ogni mistero che finora è rimasto oscuro alla scienza: effetti psicosomatici, telepatia, esperimenti quantistici, omeopatia, discipline scientifiche orientali, fenomeni spiritici, miracoli, guarigioni taumaturgiche, medicine alternative, ecc... Il materiale esoterico cui applicare l’idea di pda, per scoperchiare tali misteri, è già disponibile all’umanità da secoli o millenni. Si tratta delle sacre scritture delle varie tradizioni religiose e sapienziali. Sto conducendo già da sette anni l’esame del testo biblico, in base alla teoria della configurazione analogica e alle altre teorie complementari ad essa. Finora ho potuto spingermi fino alle verifiche epistemologiche, saggiando ogni giorno le meraviglie conoscitive che si dischiudono al ricercatore su questo cammino, in ogni campo conoscitivo. Filosofia, diritto, sociologia, psicologia, autoguarigione, medicina, cosmologia...: ogni campo è rischiarato di luce penetrante dalla lettura esoterica della Bibbia, condotta con il supporto di queste teorie170. Quindi, in sintesi, il pda non si adatta ad uno specifico tipo d’impulso neuronale, ma può abbracciarli e spiegarli tutti, oltre a permettere di spaziare in ogni campo del sapere, integrando le relative conoscenze con un livello di coerenza finora ineguagliabile (almeno dal mio punto di vista eclettico e non specialistico). Uno sguardo epistemologico senza limiti disciplinari non può aspirare a niente di più, in quanto non è possibile ad un singolo uomo incamerare l’intero scibile umano né delegare ad altri l’integrazione di una visione d’insieme.“Il linguaggio [...] è frutto di attività interne” (pag. 55). Con questa ulteriore citazione di Maffei, ci si può riallacciare alla spiegazione della formazione della coscienza, offerta in questo libro. Nel relativo capitolo si fa scaturire la coscienza dallo sviluppo di una particolare facoltà dei pda: programmare il collegamento di un elemento di un pda inconscio con un elemento di un pda conscio. Che il pda sia lo stesso, che emerge dallo stato d’incoscienza a quello di coscienza, o si tratti di due pda distinti, o di un terzo pda che fa congiungere i due, non è importante. Ciò che conta è che l’organismo , sulla base di pda consci, sia in qualche modo (anche inconscio) in grado di programmare l’emersione alla coscienza di un pda inconscio. Immaginate pure che una sensazione inconscia, ad un certo punto, emerga al livello della consapevolezza proprio in corrispondenza di un certo elemento, su cui può così appuntarsi anche un pda di controllo. È così che nasce la riflessione, intesa come vero e proprio ambiente interno, in opposizione complementare e funzionale al dominio e alla trasformazione dell’ambiente esterno. Non è in virtù di uno stimolo (pda) esterno che si attiva lo stimolo (pda) interno, ma il tutto avviene internamente , sulla base di un’analogia singolare che ci fa qualificare la dinamica dei pda come la programmazione suddetta dell’emersione di un

170 I nomi da me assegnati a tali teorie sono: analogia singolare, testo-ricerca, trinità o funzioni conoscitive, configurazioni analogiche, osservatore della realtà, energia, processo. L’unico attualmente pubblicata è la teoria sull’analogia singolare, con un saggio omonimo su www.bridge4will.net. 67

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pda inconscio a pda conscio. Una simile programmazione “ineffabile” è resa possibile dalla variabilità e condizionabilità dell’onda formaturale. Il carattere ineffabile della programmazione in parola non deve dispiacere per forza. In Analogia singolare abbiamo spiegato approfonditamente come l’ineffabile abbia le sue categorie, i suoi funzionamenti e la sua coerenza con la cd. realtà osservata. Le sequenze degl’impulsi nervosi sono solo un aspetto dei pda, in quanto i pda (a differenza di tali impulsi) costituiscono sequenze atemporali. Un pda può quindi ospitare nella sua sequenza una sequenza d’impulsi nervosi, senza perdere il più generale carattere di atemporalità. I pda assumono un aspetto temporale tutte le volte che i loro sub-percorsi di controllo sono attratti, grazie all’intervento della telepatia diffusa dell’essere supremo (o sé archetipico), nella configurazione analogica del chrònos171. Nel capitolo sulla telepatia, si spiegherà come un soggetto attivo in una configurazione possa attrarvi un soggetto passivo, innescando così la trasmissione telepatica. Ma com’è possibile? Il trasmittente altera l’onda formaturale di alcuni elementi dei pda del ricevente, che così può ad un certo punto trovarsi catapultato nella configurazione di arrivo senza aver prima compreso il suo paradigma di riferimento. Non riuscendo a prendere le distanze dalla configurazione di arrivo - in quanto non ne conosce il paradigma -, il ricevente entra nella via dell’assestamento delle strutturazioni e delle concretezze conoscitive. Si tratta della via del non-essere, opposta alla via dell’essere (che è invece la via della ricerca, che rivoluziona le strutturazioni e le concretezze anzidette). Oltre a configurarsi come opposta, la via del non-essere è anche complementare alla via dell’essere. In questo sta la complementarietà: una volta assestata la conoscenza, s’inizia a sentirne il peso e ad avvertire il desiderio di entrare nella via della ricerca. Maffei conferma questo aspetto complementare, nel contesto degli stimoli nervosi alla base del linguaggio, con le seguenti parole: “Un messaggio che necessita di una serie di eventi che si susseguono temporalmente e che possono essere anche numerosi comporta un rallentamento della comunicazione. […] In un mondo dominato dai computer, i cui tempi di elaborazione […] sono milioni di volte più rapidi di quelli cerebrali, questi ultimi possono apparire assai inefficienti per la loro lentezza, ma il prodotto di questa attività [costituisce] una vera rivoluzione evolutiva […]”. Interpreto l’aspetto evolutivo della lentezza del linguaggio, che continuamente inserisce gli elementi atemporali dei pda nella configurazione del chrònos, come il suo aspetto complementare alla ricerca. E’ grazie all’assestamento della ricerca, cui segue la spinta a nuova ricerca, che l’uomo rivoluziona la faccia della Terra. La telepatia diffusa del nostro sé archetipico è ciò che consente di non doverci costruire esclusivamente sulle rivoluzioni conoscitive già consumate, ma di essere stimolati in modo complementare dalle rivoluzioni che sfruttiamo senza ancora conoscerne il paradigma. Così si spiega anche la prima meraviglia studiata dalla Scienza occidentale: come fa la mela a cadere dall’albero, se l’osservatore non ne conosce la legge? La risposta di Galileo e di Newton fu: la realtà è qualcosa di esterno all’uomo-osservatore; quest’ultimo deve solo cercare di comprenderne le autonome leggi. Tale approccio (chiamato essoterico) non riesce più a spiegare, da ormai ottant’anni, il livello di complessità e d’integrazione della realtà. L’idea di pda è una proposta di approccio esoterico, che non incontra le contraddizioni che finora ci avevano irretito nella ricerca.

Alcuni recenti studi di neurologia (avvenuti intorno al 2010), i cui risultati sono comparsi in versione divulgativa sulla rivista americana Science, fanno emergere un collegamento insolito tra i messaggi che ci manda il corpo e ciò che viene elaborato dal cervello, per costituire le sensazioni, le emozioni e il pensiero. In un esperimento del 2010, ad esempio, veniva iniettato un botox (botulino) nella fronte dei soggetti sottoposti alla sperimentazione, impedendo loro di aggrottarla; poi veniva chiesto loro di leggere un libro e spiegarne alcuni contenuti. Ebbene, si rilevava che rispetto al gruppo di controllo avevano minore capacità di comprendere certe emozioni. Risultava così verificato – da questo come da altri esperimenti - che alcune attività di pensiero richiedono elaborazioni dell’informazione a livello corporeo. Sembra che il nostro intestino produca in gran quantità stimoli capaci d’influire sul pensiero, oltre che sulle emozioni e le sensazioni. Scavando di più sull’argomento, con l’aiuto di un’esperta, ho appreso che già nel lontano 1997 era uscito un libro dal titolo Molecole di emozioni, opera di una ricercatrice (Candace Beebe Pert), che dagli anni ’70 del secolo scorso studia come alcune molecole (i neuropeptidi), presenti in tutto il corpo compreso il cervello, abbiano la funzione di mediatori delle emozioni, delle sensazioni e – perché no? - dei pensieri. A questo genere di constatazioni si arresta la speculazione dei neurologi, che a questo punto dovrebbero passare la palla agli epistemologi (o quanto meno diventare epistemologi loro stessi). La domanda che sorge, e che non viene affrontata da Science, è la seguente: questa circolarità tra corpo e coscienza, cosa ci

171 E’ la configurazione che regola l’aspetto cronologico della realtà.68

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può dire sui nostri confini conoscitivi? Cosa ci manca per arrivare a comprendere la coscienza e la realtà in cui essa si muove? La risposta della Scienza, di fronte a queste ricerche pionieristiche e ai loro risultati strabilianti, è stata quella di accodarsi all’idea buddista di psicosoma (o bodymind, termine che ha fatto la sua prima apparizione in sanscrito). Anche il neurologo Antonio Damasio sostiene che “ciò che il corpo sente sia altrettanto significativo di quello che pensa la mente, e che entrambe le funzioni sono indissolubilmente intrecciate”172. Ma l’esito finale di questo percorso sembra essere, più che un’integrazione di corpo e coscienza, una materializzazione della coscienza stessa. Il ragionamento che guida buona parte dei neurologi è, infatti, il seguente: se le emozioni e i pensieri vengono gestiti in parte al di fuori del cervello e dell’intero sistema nervoso, a maggior ragione possiamo ritenere che la coscienza non sia altro che una caratteristica della materia di cui è fatto il corpo umano (e di alcuni mammiferi più evoluti). La nostra proposta, alternativa a questo modo occidentale di risolvere la questione, è quella di smaterializzare (senza mezzi termini) il corpo. Se la coscienza è integrata nel corpo, allora il corpo non può ridursi a qualcosa di materiale: cioè ad un qualcosa di oggettivabile grazie ai falsi assoluti di spazio, di tempo e dei principi della logica tradizionale (identità, non contraddizione, causa-effetto, induzione e deduzione). La nostra opzione sarebbe quanto mai in linea con le acquisizioni della teoria quantistica, che hanno smaterializzato le micro-particelle più piccole della materia, semplicemente constatando che di materia (comunemente intesa) non si trattava. Se tolgo alla materia le sue caratteristiche materiali, che materia mi rimane in mano? E’ poi utile o fasullo, un approccio che voglia offrire una sintesi unitaria delle teorie fisiche e mediche (segnatamente quelle neurologiche)? Perché l’umanità ha perso la sua pretesa di comprendere la realtà nella sua integralità, preferendo settorializzarla? Verso dove ci vorrebbe condurre un’evoluzione, in chiave relazionale e non materialista, dell’organismo umano? Proverò a rispondere a queste domande, mettendo in fila alcune considerazioni pertinenti.

La Scienza occidentale pretende, per chiamarsi scienza, di essere in grado di fare previsioni sul futuro. Senza un potere previsionale, la conoscenza non sarebbe scientifica. Ma oggi questa prospettiva ci sta stretta. Se continuiamo a fare dei begli esperimenti e a trarne piccole previsioni, senza azzardare grandi impalcature teoriche, resteremo sempre a bocca asciutta. Il pregio della quantistica è stato anche costruire un’impalcatura teorica estremamente coraggiosa ed innovativa e mantenerla ferma, nonostante fosse anti-intuitiva.

Più in specifico, di cosa mi lamento? In cosa non mi convince l’approccio della Scienza occidentale, nello studio della coscienza e del rapporto tra osservatore e realtà? Gli esperimenti neurologici d’avanguardia della Pert, e quelli riportati nell’articolo di Science, ne sono un esempio estremamente illuminante. Si arriva a comprendere la circolarità tra corpo e coscienza, nell’elaborazione degli stati cognitivi (tra cui anche il pensiero) e non si azzarda alcuna ipotesi esplicativa. Non mi risulta che negli ultimi venti anni, sulla base di tali esperimenti e di tutte le evidenze scientifiche sopra riportate (iniziate a comparire quanto meno dagli anni ’90 del secolo scorso), siano state avanzate ipotesi ricostruttive sulla coscienza, nella sua complessità non più riducibile alla materia, o sulla sua formazione. Oltre vent’anni persi a cavillarsi in esperimenti emozionanti, ma trattati come qualcosa di fine a se stesso. La precedente ipotesi ricostruttiva di cui sono al corrente (che per fortuna viene scartata con questi esperimenti), anch’essa riduzionista, è che la nostra coscienza, coincidente con il cervello, sia come un computer che elabora i dati provenienti dal corpo173. L’uomo ha una pigrizia tendenziale, che gl’impedisce di vedere intorno a sé cose diverse dai propri riferimenti culturali… Cosa giustifica, a questo punto, l’emergere della coscienza come pensiero dalle sensazioni e dalle emozioni, con una modulazione così complessa quale quella cui ogni uomo assiste in prima persona prendendo atto dei propri flussi di coscienza? La risposta della neurologia è racchiusa nella

172 http://candacepert.com/news/damasio-the-strange-order-of-things-and-dr-candace-pert/173 L’unica cosa veramente interessante di questa teoria è che cerca di spiegare il linguaggio simbolico del “computer” umano come se si trattasse di un linguaggio per algoritmi. In questo saggio farò vedere come gli algoritmi altro non siano che “tumori” del calcolo. Essi cioè sono costituiti da sub-percorsi di controllo, che s’innestano sui pda che gestiscono la sub-funzione del calcolo. La loro tendenza all’infinito è in tutto simile alla tendenza di crescita del tumore, poiché a livello configurazionale l’unica differenza tra un algoritmo e un tumore è il pda su cui il sub-percorso di controllo va ad innestarsi: nel caso dell’algoritmo, su un pda con tendenziale specializzazione sulla funzione del calcolo; nel caso del tumore, su un pda con tendenziale specializzazione nelle funzionalità fisiologiche e materiali del corpo.69

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parola neuro-modulazione. “Lo psicofisiologo francese Jean-François Lambert, sul concetto di neuromodulazione, ha valutato le possibili variazioni di comunicazione in una singola sinapsi neuronica nell’ordine delle centinaia fino alle migliaia di differenti possibilità”174. Si arriva a parlare quindi di una rete informativa tra corpo e cervello, ma non a ricostruire un suo coordinamento a livello di psiche. Le ipotesi ricostruttive sono tuttavia indispensabili, se si vuole arrivare a cogliere l’autentica complessità del reale, che qui si gioca tra corpo, mente, psiche e realtà osservata. Lo studio sul corpo ha molto meno senso, se non ci apre prospettive sulla complessità di ciò che il corpo stesso osserva: cioè la realtà nel suo complesso. Il fatto “filosofico” che la realtà non sia direttamente accessibile all’osservatore (anzi, non esista affatto come assoluto) non può non informare e plasmare la scienza. Gli approcci settorializzati, che distinguono tra spiritualità, meditazione, filosofia, scienze sociali, psicologia, neurologia e fisica, pur essendo gli unici attualmente approcciabili secondo la stragrande maggioranza della cd. comunità scientifica, non potenziano l’uomo: lo fanno sentire da meno di quello che è, lo sfiniscono (nelle loro applicazioni tecniche), lo involvono in se stesso.

Ma come si esce da questa impasse? Anzi, come si può entrarvi dentro, potenziando l’uomo invece che ridurlo? Se analizziamo le informazioni in nostro possesso, il bandolo della matassa si sbroglia abbastanza agevolmente. Purché si sia disposti ad abbandonare per un attimo le lenti deformanti del pensiero scientifico occidentale. La circolarità tra corpo e coscienza è un controsenso, per il pensiero dualista, che contrappone l’osservatore e la realtà che egli osserva. La realtà secondo la Scienza occidentale, infatti, sarebbe esterna all’osservatore (in buona parte delle materie): quest’ultimo dovrebbe limitarsi a cercare di conoscerla, senza poter influenzare le sue leggi (approccio essoterico). Quindi la coscienza (costituita – secondo la dominante opzione materialista - dal cervello e dal resto del sistema nervoso) dovrebbe essere un recettore della realtà. Fin qui sembra che sia tutto a posto. Se anche i messaggi provenienti dal corpo sono in grado d’influenzare il pensiero, provenendo comunque dal sistema nervoso (anche se periferico), non contraddirebbero né l’approccio essoterico, né quello materialista. Il pensiero sembrerebbe, anzi, finalmente, un’appendice della realtà che permette di osservare la realtà stessa. Avremmo quindi una realtà estremamente complessa ma incapace di riflettere su se stessa e comprendersi, fino al sorgere dell’organismo pensante: quest’ultimo riesce a integrare una funzione che mancava in natura. Il discorso non fa una piega. Ma a questo punto c’è da chiedersi: chi innesca per primo la riflessione? Il corpo o il cervello? Lo stimolo periferico, indistinguibile dallo stato fisico e fisiologico del corpo, o lo stimolo centrale, in cui la realtà assurge a pensiero auto-riflessivo? Nell’approccio neopositivista (che compendia quello essoterico e quello materialista) non si può infatti prescindere dal principio di causa-effetto. Se c’è un effetto (il pensiero), ci dev’essere anche una causa. Se ci sono più cause, si deve poter elaborare un modello di più serie causali, che magari s’intrecciano tra loro, o di concause di un’unica serie causale. Ma ciò che emerge dagli esperimenti che abbiamo citato è che uno stimolo nervoso proveniente dal corpo, o addirittura una risposta di alcune molecole – mediatrici d’informazioni - a situazioni fisiologiche, senza essere elaborati internamente al cervello (che dovrebbe permettere la riflessione sullo stimolo stesso o sull’alterazione fisiologica chiamata neuromodulazione, nelle aree dedicate in cui gli stimoli nervosi si trasformano più volte) va ad incidere sul prodotto della riflessione, cioè (ad esempio) il discorso proferito dai soggetti dell’esperimento. Nel loro discorso, infatti, i soggetti non erano in grado di un’empatia con i personaggi del libro che stavano leggendo, per via del fatto che non potevano aggrottare la fronte. Quindi il risultato dell’esperimento (come anche degli altri esperimenti simili, effettuati in questi ultimi venti anni, nonché degli esperimenti citati da Maffei) non è compatibile con il principio di causa-effetto. Le concause, infatti, non possono essere parallele! Né le catene causali parallele possono influire su uno stesso elemento della realtà, se non s’intersecano in qualche punto della catena. E’ come se un cuoco, preparando due pietanze in due forni diversi, ne sfornasse una sola che contenesse gl’ingredienti di tutte e due. Ci siamo persi, quindi, qualche passaggio logico. O meglio, ci sfugge la logica di fondo del pensiero e, più in generale, della coscienza. Tuttavia c’è una branca della Scienza che ha dovuto fare a meno del principio di causa-effetto: la meccanica quantistica. Se siamo riusciti a superare una volta i nostri limiti logici, perché non potremmo riuscirci ancora? Nella teoria quantistica vengono meno sia il principio di causa-effetto (soppiantato dal principio d’indeterminazione) sia l’assoluto dello spazio (soppiantato da un principio di

174 La citazione è tratta dalle slides di una lezione tenuta all’interno di un corso di neuroscienze da P. Cimbelli, neuropsichiatra, docente presso l’Istituto SED di Massa.70

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non-località o, secondo altri, di relazionalità). Anche l’assoluto del chrònos rimane menomato, in quanto non se ne comprende più il senso in una realtà senza spazio. La circolarità dell’informazione, che veniva in contemporanea da due sorgenti senza dividersi in due, era ben spiegata nell’esperimento dell’entanglement quantistico. Lì due micro-particelle costituivano un unico sistema, titolare di un’unica informazione sullo spin (cioè sul senso di rotazione della micro-particella), qualunque fosse la distanza tra le micro-particelle stesse. Se i quanti, anche ad immensa distanza tra loro, possono condividere un’unica informazione sul loro spin175, senza che potesse ipotizzarsi un passaggio di materia o di energia tra loro, allora la circolarità dell’informazione non costituisce un problema nella realtà. La quantistica si è limitata a prenderne atto, rielaborando i principi logici alla sua base. Invece la neurologia, che da decenni pretende di avere l’ultima parola sulla coscienza, non vuole prendere atto della circolarità dell’informazione e trarne le debite riforme logiche. L’unica riforma logica che ha accettato, su sprone della Pert, è l’idea che corpo e cervello siano integrati nelle funzioni: che non si possa, cioè, distinguere la coscienza come funzione del cervello, in quanto emergerebbe dal complesso integrato di corpo e di cervello. Apprezzo senz’altro questa rivoluzione copernicana della neurologia: ne faccio anzi tesoro. Ma il mancato abbandono delle categorie tipiche della materia (spazio, tempo, principi della logica tradizionale) non ci permette d’integrare i campi del sapere e d’ipotizzare cosa siano l’uomo e la realtà, nella complessità del loro coordinamento. Questa obiezione va rivolta alla neurologia soprattutto ai fini evolutivi, conservativi e di felicità della nostra specie e dei suoi individui, nonché ai fini della comunicazione con chiunque altro si stia già affacciando sul nostro orizzonte conoscitivo (umani deceduti, ma ancora in contatto con noi, ed altre entità in qualche modo intelligenti e senzienti). Le sfide sono immense, troppo grandi per un omuncolo ripiegato, a volte sul proprio sé, a volte sulle proprie cellule e molecole.

La scelta dei neurologi, d’ipotizzare solo soluzioni che riportano ad un’idea di coscienza come qualcosa di materiale, risulta del tutto inadeguata quando si parla del “sé”. Il sé è il senso d’individualità del proprio corpo, che permette di proferire la parola “io”. Per quanti percorsi sinaptici, neuropeptidi e aree del cervello specializzate si possano individuare, il senso del sé rimane un mistero. È tuttavia un mistero gestibile a livello epistemologico, come noi abbiamo fatto in Analogia singolare, che fornisce chiare ed organiche indicazioni su come approcciare cose ineffabili come il sé.

Cosa dovrebbe cambiare, a questo punto, a livello epistemologico (cioè a livello del discorso sulla scienza)? Quali limiti conoscitivi dobbiamo o possiamo varcare, nello studio della coscienza? Visto che l’approccio essoterico è strettamente legato ad una visione materialista e dualista, nonché sugli assoluti di spazio, chrònos e principi della logica aristotelica, si potrebbe in primo luogo abbandonare l’approccio essoterico. L’approccio opposto, quello esoterico (fatto proprio anche dalla teoria quantistica), è senz’altro più promettente, quando si parla di spiegare la circolarità dell’informazione. Ciò che sembrava un lezioso ammasso di superstizioni e di dottrine, l’esoterismo, può diventare una risorsa ineludibile. Su tale risorsa, e sul corretto approccio ad essa, si basa a mio avviso il nostro destino di specie vivente. Essa non ha impedito immense acquisizioni tecniche e rivoluzioni scientifiche anche nell’antichità, o nei tempi più arcaici che siano documentati (ad esempio le piramidi, le grandi codificazioni, alcune opere sapienziali e/o letterarie ancora ineguagliate, il De rerum natura, le invenzioni di Archimede, la matematica di Pitagora o quella dei Sumeri, ecc..). Il nostro sviluppo tecnologico, basato sull’approccio opposto (cioè essoterico), ha avuto il pregio di convogliare le ricerche di milioni di scienziati, con un linguaggio standard (anche se settorializzato), comprensibile ad ognuno di loro e idoneo, quindi, a permettere la somma dei saperi e delle realizzazioni tecniche. La tecnologia176 è un rafforzamento della tecnica, che consente all’uomo di risolvere i suoi problemi, o trovare nuove opportunità, premendo molto semplicemente un tasto sul telecomando. La tecnologia è quindi uno sforzo di virtuosismo della tecnica: da non confondersi con una rivoluzione scientifica. L’uomo tecnologico tende a dominare la natura, ma anche ad essere dominato dalla propria stessa natura pigra e sconclusionata. Di fronte ad ogni reazione della natura interna dell’uomo contro l’uomo stesso (cioè dinanzi ad ogni degenerazione del proprio ambiente interno, come nel caso di tumori o allergie o malattie relazionali), l’uomo si trova in buona parte indifeso, poiché invece che cercare di riequilibrare il proprio essere, chiede subito aiuto alla tecnologia, che non sembra reggere il ritmo delle

175 Lo spin è la direzione di rotazione del quanto, che può assumere solo due valori.176 Una definizione più precisa di tecnologia si trova in una nota al capitolo sullo sfrangiamento, in riferimento all’onda formaturale e al caso della continenza tra due sub-pda.71

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sfide opposte dalla reazione della natura. Ma dei rapporti di forza in questa guerra sorda tra l’uomo e il suo ambiente naturale interno, l’uomo tecnologico non è minimamente consapevole. Gli mancano gli appigli logici, per accorgersi che è in guerra con la sua stessa natura. Ci accorgiamo di questa guerra, ormai senza frontiere, solo quando accondiscendiamo a credere ad una qualche teoria esoterica (olistica o meno che sia). E’ l’approccio puntato sull’osservatore e sul suo rapporto con l’ambiente interno (cioè con la realtà vista come proiezione della coscienza) che permette di erigere le prime palizzate ed affilare le prime armi veramente efficaci nello scontro. Non che la tecnologia non possa curare i singoli tumori: certo che lo può. Ma non ci fa vedere l’entità della sfida e i rapporti di forze che ci sono alla base. E’ come voler fermare un mare in tempesta, innalzando un muro che dagli abissi arrivi fino a noi, invece che tornare sulla terraferma e costruirci degli argini. La tecnologia innalza argini mobili nel mare, invece che argini solidi (meno imponenti, ma più facili da costruire) sulla terraferma. Essa, infatti, va ad incidere sull’ambiente esterno all’uomo, riducendo l’estensione del suo ambiente interno, che invece ha proprio la funzione di simulare e trasformare l’ambiente esterno. Ogni soluzione tecnica viene elaborata dentro l’ambiente interno dell’uomo (cioè dentro la coscienza), anche la soluzione tecnologica. Ma oltre a questo, si apre la scelta se la soluzione tecnica debba lavorare plasmando l’ambiente interno o quello esterno. Se si plasma l’ambiente interno (cioè la coscienza), il risultato è un potenziamento dell’uomo nei confronti delle sfide sia interne che esterne. Se si plasma l’ambiente esterno (cioè la proiezione della coscienza), il risultato è un potenziamento dell’uomo solo nei confronti delle sfide esterne. Il tumore, ad esempio, diventa un ammasso di cellule contro cui combattere: quindi un ambiente esterno. Ma se costituisce una reazione della natura, che trasforma l’ambiente interno (coscienza) in ambiente esterno (realtà), allora perdiamo l’occasione di approcciare il tumore come ambiente interno e d’impedirne la trasformazione in ambiente esterno. La coscienza è capace di una complessità e di un coordinamento intuitivi che fanno impallidire la tecnologia. Se anche schierassimo un miliardo di ricercatori e d’ingegneri, per combattere definitivamente i tumori, il loro numero sarebbe estremamente surclassato dal numero delle sinapsi e delle molecole mediatrici della neuromodulazione (neuropeptidi): con l’ulteriore differenza (davvero non da poco) che le sinapsi e i neuropeptidi sanno esattamente cosa fare nello psicosoma, noi solo in piccola parte.

Non dico però che quando sei in mare sia facile trovare la terraferma… Tra tante teorie esoteriche disponibili, come individuare quelle corrette, verificabili, attendibili? Come capire quali teorie hanno azzeccato il funzionamento dello psicosoma, facendo correttamente leva sulla coscienza, e quali no? E’ difficile, ma non impossibile. Basterebbe che, nell’immensa complessità di proiezioni che chiamiamo realtà, ci fossero intelligenze superiori alla nostra capaci di guidarci. E quando le si sia individuate, e si fosse preso spunto dai loro messaggi, la difesa dal mare diventerebbe un gioco da ragazzi, a confronto dello sforzo imponente richiesto dall’approccio tecnologico.

Mi si obietterà? Come possiamo far affidamento su intelligenze superiori, che nemmeno sappiamo se esistano? L’umanità vi ha fatto affidamento per millenni, prima che Galileo introducesse i principi della Scienza con la “s” maiuscola. Noi siamo convinti, come occidentali, che i tempi bui precedenti a Galileo siano stati inutili, o al più che siano stati un intermezzo necessario perché la vera scienza si affermasse. Lascio libero chiunque di continuare a crederlo: ci mancherebbe altro. Ma considero questi tali come scialuppe abbandonate da un galeone in mezzo all’oceano, senza terre in vista. Non mi vorrei trovare nei loro panni! Per quanto sulle presunzioni intellettuali si fondi ogni conoscenza, noi umani abbiamo la possibilità, offertaci dalla nostra natura sociale, di scegliere tra le tante presunzioni quella che ci soddisfa di più. Vi propongo allora di fare un po’ di shopping tra le teorie esoteriche e la storia del pensiero, per vedere se proprio è così impossibile da ipotizzare un influsso “altro” nella conoscenza dell’uomo. Da sempre l’uomo ha pensato di essere stato plasmato, di essere un’opera d’arte. Ha cercato di entrare in contatto con l’artista, oppure ha detto di essere stato contattato per primo da lui. In cosa le recenti scoperte in campo neurologico dovrebbero contraddire simili asserzioni? Esse sono contraddette dall’approccio materialista, che tuttavia viene a sua volta contraddetto (quanto alla validità dell’idea di materia) dalle scoperte anzi dette. Gli assoluti di spazio, tempo cronologico e principi logici tradizionali sono ormai sconfessati. La teoria cosmologica maggioritaria (l’inflazione, che ha reinterpretato il Big Bang) attribuisce ad una mera casualità il nostro universo: ma che casualità interessante, complessa, perfettamente coordinata! Non fa forse pensare all’opera di un artista? Schifarci di una simile affermazione, vorrebbe dire rifiutarsi di verificarla. Ovviamente il salto epistemologico, per permettere una simile verifica, è immenso rispetto alle cosmogonie

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arcaiche o alle teorie antiche che tradizionalmente vengono insegnate all’ora di filosofia nei licei. Il pensiero occidentale, anche quello scientifico, grazie anche agl’influssi dell’Oriente, si sta sempre più avvicinando al confine di un’idea: l’uomo come creatore della realtà, grazie all’evoluzione paradigmatica ed archetipica del suo sé. Siamo ormai abituati a dubitare di tutto: ditemi una legge scientifica che trovi sempre applicazione, che sia valida in ogni contesto. Gli assoluti tradizionali sono ormai crollati, anche quelli che aveva elaborato Galileo, anche quelli che sono stati elaborati nel Novecento, nel tentativo di salvare il positivismo. Cosa ci rimane, se stringiamo il pugno? Solo l’opzione di potenziarci o di sminuirci. Dobbiamo decidere se potenziare il nostro ambiente interno (la coscienza) o se sminuirlo, per operare solo sulla sua proiezione, secondo alcuni vera e reale più di noi che, unici tra gli abitanti della nostra biosfera, la osserviamo. Se anche fosse stato rivelato ormai da millenni, da un’entità superiore a noi, un sistema d’interpretazione della nostra coscienza per potenziarla e trasformare l’uomo in creatore, senza un approccio epistemologico adeguato non lo avremmo ancora scoperto. Siamo come naufraghi in mare che, al decimo giorno di navigazione senza meta, intravedono uno spillo di terra che potrebbe essere anche un’illusione ottica. Cosa fare? Puntare il tutto e per tutto sullo spillo di terra, o continuare a vagare nel nulla, sperando di capitare prima o poi sulla terraferma per puro caso, senza un’iniziativa da parte nostra. E’ chiaro che lo spillo di terra, se illusorio, potrebbe allontanarci dalla vera terraferma (ma potrebbe anche essere un indizio che in qualche modo ci aiuta a trovarla): nessuna delle due opzioni può essere esclusa a priori. L’azzardo è inevitabile. Tra approccio essoterico ed approccio esoterico si deve obbligatoriamente scegliere.

I due approcci, peraltro, non sono poi così inconciliabili. Anzi, l’approccio esoterico non escluderebbe i benefici di quello essoterico, concentrandoli – nell’esempio del mare in tempesta - sulla costruzione degli argini sulla terraferma. Un organismo riequilibrato, nei suoi veri rapporti di forza tra coscienza ed ambiente esterno, può sfidare meglio le incursioni dell’ambiente esterno o le poche degenerazioni di un ambiente interno che si sta ancora riequilibrando. Potremmo smettere di avere gli ospedali stracolmi di gente, dotandoci così di un sistema sanitario molto più efficiente (sostanzialmente residuale e di pura eccellenza). Ecco cosa potrebbe dischiuderci lo studio attento della coscienza. Ci darebbe poi risposte anche su piani completamente diversi. La fisica, la cosmologia, la filosofia, la religione, ecc… ne verrebbero trasformate in chiave evolutiva e tra loro integrate. Ho provato a darne dei saggi negli articoli che ho pubblicato su www.bridge4will.net. Ma è sufficiente, per rendersi conto delle potenzialità che si sviluppano su tale cammino, considerare come funzioni il nostro psicosoma, che continuamente genera tali materie e l’intera realtà, partendo da un’unica base di funzionamento (che nei nostri saggi chiamiamo “l’osservatore-uomo”).

Ma per non perdere il filo del nostro discorso sulla circolarità dell’informazione, torniamo allo studio diretto della coscienza. Ebbene, quale rivoluzione logica intendiamo proporre alla Scienza occidentale (ormai egemone)? Come la teoria quantistica ha già fatto, non cercheremo di far tornare in maniera surrettizia principi e assoluti che ormai sono stati sconfessati. Il nostro discorso sulla coscienza avrà quindi un approccio esoterico, che escluda sia le idee alla base del dualismo e del materialismo, sia il riferimento tassativo ai principi della logica aristotelica (da adoperarsi, d’ora in poi, con parsimonia). Analizziamo poi meglio in cosa consisterebbe la circolarità dell’informazione. Essa sarebbe costituita dall’ipotetico feedback che due sistemi distinti si darebbero, tra loro, per arrivare a simulare di essere un solo sistema. Se infatti li consideriamo già un unico sistema, in cui ogni parte del sistema influenza automaticamente le altre senza bisogno di un autonomo passaggio d’informazioni (secondo il paradigma olistico o del campo), non abbiamo alcun bisogno di parlare di circolarità. Non vi è quindi alcuna circolarità, nella coscienza intesa come sistema olistico ed unico, ma solo un collegamento a-causalistico (cioè non giustificabile in termini di principio di causa-effetto) tra coscienza e corpo. Il modello teorico che proponiamo di applicare allo studio sulla coscienza è quello spiegato nel presente saggio. Si tratta di un modello teorico che non indulge alla materializzazione degli elementi reali. Il pda177 di cui parliamo, cioè, non diventa mai un percorso neuronale, né una serie cronologica di stimoli nervosi. Il pda è solo il modello che spiega, tra le altre cose, anche i percorsi neuronali, le serie di stimoli nervosi e la neuromodulazione dei neuropeptidi. Li spiega senza adattarsi alla loro versione materialistica, meccanicistica e dualista. Li spiega stravolgendo tutto ciò che ne hanno pensato finora i neurologi. Il percorso neuronale e le serie di stimoli nervosi e neuromodulazioni che tramite tali percorsi si attivano non esisterebbero affatto: costituirebbero una mera illusione, che pur tuttavia funziona. Anche il pda costituirebbe, per inciso, un’illusione che funziona. Ma

177 Pda = percorso di autocoscienza.73

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un’illusione evolutiva e conservativa dell’organismo umano. Consentirebbe, cioè, l’evoluzione e la conservazione dell’umanità, in chiave relazionale. Le idee di percorso neuronale, di serie di stimoli nervosi e di neuromodulazione, che costituiscono un messaggio psicosomatico, sono ad oggi idee involutive. Come abbiamo visto sopra, ci lasciano disarmati nella guerra dell’uomo contro il suo ambiente interno divenuto esterno, addirittura inconsapevoli della guerra stessa. E’ come se combattessimo contro nemici invisibili, di cui non avessimo ancora accettato l’esistenza, ma di cui avessimo solo constatato le vittime. Il modello teorico dei pda non deve quindi essere materializzato, pena la perdita della guerra. Come la quantistica non ha materializzato i quanti (evitando di ricondurli alle categorie consuete di spazio e di tempo ed al principio di causa-effetto), così non dobbiamo fare con la matassa della coscienza, ora che il suo bandolo è a disposizione. Lo riconfonderemmo nel gomitolo della materia. Lascio al presente saggio la spiegazione della coscienza, cioè della sua formazione, del suo funzionamento coordinato con l’intera realtà e delle sue potenzialità evolutive e conservative per l’organismo e l’essere.

Per comprendere meglio che tipo di guerra ci troviamo dinanzi, lasciamo parlare il nostro psicosoma con due canali estremamente diversi, che ha finora trovato per farsi conoscere: la neurologia e la filosofia greca. Lamberto Maffei, neurologo, descrive con queste parole “l’emergere di un’idea, l’intuizione”, che è la base per rendere più complesso e funzionale l’ambiente interno: “(l’intuizione) può essere spontanea, non necessariamente in connessione con i sensi, e implica l’entrata in azione di quella parte del cervello che guida la fantasia e l’immaginazione e che, sia detto come ipotesi, richiede un cervello libero da attività indotte da stimoli esterni sensoriali, o interni provenienti cioè da altre aree cerebrali, come la memoria. La libertà dai servizi routinari rende il cervello pronto e più adeguato ad associare liberamente attività varie, che possono o meno concretizzarsi in un pensiero, in un’ipotesi di lavoro degna di essere approfondita ed analizzata”178. Questa via dell’intuizione è la via che abbiamo a disposizione per mettere a nudo la realtà. In Analogia singolare ho argomentato la coincidenza di tale via con la cd. via dell’essere di Parmenide. Secondo Parmenide si tratta della via che “conduce all’alétheia”179, la verità per i greci, che non è una verità assoluta, ma il “non-nascondimento”. La singola intuizione può, a ragione veduta, apparire attendibile o meno, ma è comunque una forma di nudità, un modo per non nascondere, per rivelare. Spesso, nel mondo scientifico, un’intuizione che ha dato vita ad una teoria non confermata sperimentalmente trova nuova linfa a distanza di decenni: come la teoria alla base del bosone di Higgs, come la teoria cosmologia dell’inflazione (che ha reinterpretato e soppiantato quella del Big Bang, introducendo termini come energia e materia oscura nel lessico dei fisici). Potremmo anche tradurre meglio la frase di Parmenide, rigirandone i termini grammaticali: “(la via dell’essere) grazie all’alétheia conduce”. La nudità di fronte alla scoperta intuitiva diventa un metodo, non la pretesa di una verità assoluta. Consideriamo come il messaggio di Gesù sia stato frainteso, quando dice: “io sono la via, l’alétheia e la forma del vivente [zoé, non bìos]”. L’interpretazione gnostica dei primi secoli del cristianesimo aveva colto il filone iniziatico che Gesù voleva introdurre, ma la religione istituzionale che ha abolito lo gnosticismo ha poi contribuito a generare (pur nel contrasto iniziale) la Scienza galileiana, che si pone appunto nella scia della pretesa di una verità assoluta sulla natura. Il neurologo e ricercatore Maffei prosegue: “L’intuizione senza la verifica sperimentale e logico-razionale operata dal pensiero lento, resta sogno e, per così dire, non si reifica in qualche cosa che può essere trasmesso, capito e accettato da altri individui. D’altronde è pure vero che il pensiero lento senza l’innesco dell’intuizione diventa pigro e spesso non produttivo”180. Dal prosieguo del testo, si comprende che Maffei con l’espressione “pensiero lento” intende l’assestamento dell’intuizione, grazie al pensiero che si esprime nel linguaggio razionale. In questo modo egli esprime alla perfezione l’idea di complementarietà tra le due vie di Parmenide (le cd. vie dell’essere e del non-essere), che ho analizzato in modo approfondito in Analogia singolare181. L’Eleate ci chiarisce che si tratta delle “due sole vie di ricerca (che) è possibile pensare”. Anch’egli, quindi, tratta della stessa materia di cui discorre Maffei: il pensiero. Ormai sappiamo che il pensiero è attività dello psicosoma, frutto di modulazioni quasi infinite, che creano un ambiente interno capace di simulare l’ambiente esterno e d’innovarlo, oltre che di scoprirlo. Sappiamo inoltre che la distinzione tra ambiente interno e ambiente esterno è estremamente labile, se andiamo a

178 L. Maffei, Elogio della lentezza, ed. Il Mulino, 2014, pag. 61.179 Parmenide, Sulla natura, frammento n.2, verso 4.180 L. Maffei, Elogio della lentezza, ed. Il Mulino, 2014, pag. 62.181 Opera scaricabile dal sito indicato nell’epigrafe della copertina.74

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studiare la dimensione del molto piccolo (le micro-particelle chiamate “quanti”). Lì un diverso approccio conoscitivo dell’osservatore-uomo comporta un diverso feedback dell’ambiente esterno: risulta quindi difficile distinguere tra ambiente interno e ambiente esterno. L’intuizione che l’uomo della strada ha, nella sua vita quotidiana, è popolata da oggetti concreti, tangibili, che rimandano alle varie idee di assoluto (spazio, tempo cronologico, principi logici tradizionali, ma anche tanti altri assoluti che hanno preso campo con l’evoluzione culturale, quali l’idea di libertà, di mercato, ecc…). Ma tale intuizione è solo una dell’immenso novero delle intuizioni già possibili. Parmenide parla di “vie di ricerca”, riferendosi all’attività duplice del pensiero: raggiungimento di un’intuizione, suo assestamento razionale. Ma la parola greca, adoperata dal filosofo per dire ricerca, è dizèsios, che vuol dire, in realtà, “ricerca esitante” (a livello etimologico: “ricerca tra due cose”). L’uomo che ha un’intuizione, deve infatti prima formularla (operazione che costituisce già un passo ulteriore, rispetto ad avere l’intuizione e basta: si tratta di formulare un paradigma, cioè una logica nuova). Dopo aver formulato l’intuizione, l’uomo deve assestarla in percorsi logici analitici, basandosi sull’armamentario razionale dischiuso dal nuovo paradigma. Guardare la realtà sotto un altro punto di vista logico, impedisce di guardarla secondo i paradigmi precedentemente acquisiti. L’assestamento è quindi reso possibile dall’intuizione, così come sentita e poi formulata in un paradigma. La sensazione dell’intuizione è altrettanto importante, rispetto al paradigma, che senza di essa resterebbe muto. L’operazione complessiva, così articolata nelle sue tre fasi (come suggerito anche da Maffei nel seguito del suo libro), si presenta come un nuovo edificio di realtà in sé perfetto. Ma l’assestamento logico di un’intuizione successiva può contraddire l’assestamento dell’intuizione precedente. Per questo, giustamente, Parmenide parla di disésios, ricerca esitante. L’errore imperdonabile dell’uomo sarebbe, allora, voler indugiare troppo nell’assestamento razionale di una specifica intuizione. Ma è ciò che sta facendo questa umanità con l’intuizione della materia, basata sugli assoluti che ho testé citato. L’errore non è intuire la materia, ma soffermarsi troppo sul suo assestamento razionale, cioè sulla cd. via del non-essere. Parmenide ci redarguisce con queste parole: “ti spiego con precisione che (tale via) è sentiero del tutto imperscrutabile”. Con un’analisi etimologica puntuale condotta in Analogia singolare (pagg. 40-41), abbiamo messo in evidenza che l’espressione greca tradotta con “sentiero del tutto imperscrutabile” può essere spiegata come il “percorso (cognitivo) che tutti fanno, ma senza riuscire a portare avanti alcuna autentica ricerca, in quanto l’approfondimento (non l’incremento, si badi bene) della conoscenza è precluso qualunque sia il punto di vista adottato. In poche parole Parmenide non sta dicendo che si tratta di una via cognitiva che non porta ad un accrescimento delle conoscenze, ma piuttosto che non consente un’autentica ricerca. Non consente, infatti, di fare ciò che fa il verbo puntànomai [costituente l’etimo della parola greca per “imperscrutabile”]: “interrogare””. Noi uomini possiamo percorrere a tappeto la via dell’assestamento logico di un singolo paradigma, interpretando anche l’intera realtà alla sua luce ed accumulando un novero quasi infinito di cognizioni: ma lo stesso potremmo fare con qualunque altro paradigma. E i paradigmi già ad oggi acquisibili, per il ricercatore, sono un novero spaventoso. Si consideri che in ogni campo del sapere, ogni dieci o cinque anni, si cambia paradigma. Che si tratti di un nuovo modo di fare musica, o di una nuovo modo di fare marketing, o moda, ecc…, durerà al massimo qualche anno. Se qualcuno adopera il paradigma precedente è davvero considerato un “matusa”. Ci sono poi campi del sapere in cui l’alternanza di paradigmi è molto più lenta: si parla di decenni o secoli, come nella fisica (in cui la teoria della relatività generale è ancora la preferita, nello studio della dimensione del molto grande, anche se risale al 1915; i fenomeni fisici della nostra biosfera, peraltro, vengono ancora in buona parte gestiti con la fisica newtoniana, che di secoli ne ha almeno tre). In alcuni campi del pensiero, insomma, abbiamo deciso di fare a meno della via dell’essere per troppo tempo. Si è creata una distorsione nell’evoluzione del pensiero, che rischia di annientarci. Oppure di farci innamorare esageratamente della via dell’essere, come per contrappasso. Quest’ultima prospettiva mi aggrada assai di più. Ma l’opzione migliore è quella parmenidea, che ricalca il funzionamento dello psicosoma: la complementarietà delle due vie, nella loro alternanza frequente. Ho personalmente constatato che, grazie ad un’interpretazione esoterica dei cd. testi sacri, di qualunque religione, si possono formulare decine di paradigmi nuovi al giorno. Nell’antichità si dava molta importanza alla modulazione creazionale del linguaggio, cioè alla capacità del linguaggio di dischiudere nuovi campi di ricerca ad ogni nuova parola che venisse proferita. Oggi ne abbiamo un piccolo saggio nella PNL (programmazione neuro-linguistica), che – nelle sue applicazioni per il marketing - cerca appunto di stordire l’interlocutore e portarlo a credere supinamente

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alla parola proferita dal comunicatore. Questi porta l’interlocutore a fare continui salti paradigmatici, senza che possa acquisire consapevolezza dei nuovi paradigmi in cui viene trascinato: in questo modo la realtà gli si squaderna davanti senza la componente dell’assestamento razionale. Chi è psicologicamente preparato (come i politici e gli avvocati) si rende conto del vortice in cui viene catturato e si smarca: ma solo perché si è programmato per farlo prima. Ma per chi non si è programmato per tempo, sfuggire al vortice richiede più tempo. E’ proprio per questo che si danno quattordici giorni di tempo al consumatore per esprimere il diritto al ripensamento (cito le testuali parole della legge), quando il contratto è stato concluso fuori dai locali commerciali del venditore o fornitore di servizi. E’ incredibile come le parole di Parmenide riecheggino in modo penetrante nella motivazione di una legge promulgata a 2.500 anni di distanza dal filosofo: “due sole vie di ricerca (esitante) è possibile pensare”. Chi viene quindi avvolto nel vortice di alternanza delle due vie, senza potersi soffermare sulla via dell’assestamento razionale, o non-essere, è preda della volontà del comunicatore. Ho constatato, anche qui personalmente, che ci vogliono davvero diversi giorni per mettere in dubbio il prodotto che si è acquistato a seguito di quel tipo di marketing. Ma pensiamo a cosa significhi questo, nel campo più ampio della conoscenza collettiva umana. Si parla spesso dei tempi bui, in cui ancora non rifulgeva la luce della Scienza galileiana. I tempi bui del Medioevo. Poi gli storici ci tirano le orecchie, dicendoci che tanto bui quei tempi non erano. Anche oggi vivremmo tempi altrettanto bui, a modo nostro, o altrettanto luminosi. La verità, potremmo dire, sta in mezzo. Il modo di approcciare la conoscenza, da parte degli esseri umani, è sempre stato tendente all’oscurantismo. Ma di che oscurantismo si parla? Un oscurantismo che non ha bandiere, non ha appartenenze ideologiche, potendo essere saggiato in ogni epoca con gli strumenti messi a nostra disposizione dal filosofo di Elea182. Quando ci si sofferma troppo a lungo su un paradigma, che tende a fagocitare i paradigmi di ogni campo del sapere, si finisce per soffermarsi troppo a lungo nella via del non-essere, dell’assestamento logico del paradigma principale. Una civiltà può, tra i tanti paradigmi tra cui si muove, privilegiarne uno, che tende ad assestare i campi del sapere affidati agli altri paradigmi. Nella teoria che qui proponiamo, si fornisce un’analisi completa di questa tendenza umana. Pur essendovi un novero immenso di configurazioni analogiche della realtà, rette ciascuna da un paradigma specifico, i percorsi di autocoscienza (pda) che si muovono in tali configurazioni possono intrecciarsi con percorsi che riportano ad una sola configurazione (o a pochissime configurazioni). Tali intrecci dei pda non sono neutrali, a livello conoscitivo. Grazie ad un particolare funzionamento, che chiamo “onda formaturale”, il pda che viene intrecciato da un altro pda viene informato dai collegamenti analogici resi possibili da quest’ultimo. Ecco giustificate le grandi distorsioni del pensiero, in cui l’umanità (con alti e bassi) è sempre invischiata. Posso così pensare che lo psicosoma (cioè il corpo umano, inteso come sintesi e integrazione di corpo e coscienza) sia qualcosa di materiale, perché i pda che descrivono lo psicosoma intrecciano altri pda, che convergono nelle configurazioni degli assoluti derivati di spazio, tempo e principi della logica aristotelica (grazie a cui possiamo parlare di materia). La realtà percepibile alle collettività umane diventa allora una grande operazione culturale di PNL. Nel marketing PNL l’interlocutore rimane invischiato nel pensiero, succube dell’ultimo paradigma che il comunicatore gli ha propinato. La regola magica della PNL, infatti, è la seguente: dire tre cose che l’interlocutore approva, inserendone poi una quarta che ancora non approva, al fine di fargliela approvare intuitivamente. Ma le quattro cose che vengono dette dal comunicatore altro non sono che espressioni paradigmatiche, cioè formulazioni linguistiche che fanno entrare in una configurazione analogica retta da un paradigma specifico. Lascio agli psicologi la verifica della mia asserzione, che tuttavia mi appare lapalissiana. Se moltiplichiamo questo effetto di PNL sull’intera collettività, notiamo che ci sono degli sloagan che contano molto più d’interi manuali di fisica o di diritto, o di qualunque altra materia d’insegnamento. Le persone comuni, come anche i ricercatori, vengono irretiti da questi sloagan e costretti ad accettarne le strettoie intuitive. Ma lo studio sulla realtà, grazie all’attività di pensiero, ci può condurre molto oltre: fino a paradigmi anche molto remoti da quelli che costituiscono gli sloagan dominanti. Gli uomini di oggi, pur avendo dovuto accettare le meraviglie della quantistica, hanno relegato tale campo di ricerca alla fisica delle micro-particelle, negandogli un assestamento razionale nelle altre materie. Ma le teorie esoteriche, oltre alla quantistica (che avendo introdotto la matematica occidentale nelle sue dimostrazioni è stata accolta), sono quasi infinite. Esse sono quel braccio di mare che

182 Parmenide.76

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ci separa dalla terraferma, mentre le teorie essoteriche sono quel braccio di mare che ci separa da altro mare: “è sentiero del tutto imperscrutabile”!

Un altro ambito del sapere in cui il pda dà il meglio di sé è la psicanalisi junghiana, ma anche più in generale la psicologia occidentale, sbrogliandone i misteri e soddisfacendone gl’interrogativi (e permettendo di aprirne di nuovi). Apprendiamolo dalle stesse parole di Jung, nel suo Commentario sul mistero del fiore d’oro, nel quale ad un certo punto ci parla della capacità inattesa di alcuni pazienti di superare il proprio problema psicologico, anche se per lui (in qualità di psicanalista) insolubile:

“Questo <<superamento>> [di problemi psicologici insolubili] […] si rivelò essere, sulla base dell’esperienza, un innalzamento del livello della coscienza [del paziente]. Qualche interesse più alto e più vasto faceva la sua apparizione all’orizzonte [del paziente] e questo allargamento toglieva al problema [psicologico] il suo carattere opprimente. Non era risolto in se stesso in modo logico, ma impallidiva dinanzi ad una direzione vitale nuova e più forte183”.

Come non trovare una spiegazione di tale superamento, senza distruzione del problema, nella capacità del pda di compiere il salto paradigmatico? Tale salto permette all’osservatore-uomo di accedere ad una configurazione analogica, retta da un paradigma logico diverso da quello della configurazione di partenza. Il salto paradigmatico, infatti, non rende inaccessibile la configurazione di partenza. Anzi, con un sub-percorso di controllo si può far tornare il pda in essa. Cosa da cui l’uomo, in genere, si astiene proprio per non provare ancora il dolore che nella prima configurazione avverte in modo acuto.

Jung prosegue notando che “[il problema psicologico del paziente] non era rimosso o reso incosciente, ma appariva semplicemente in una luce differente e, così, diveniva ugualmente differente” (pag. 30).

Si è insomma creata una nuova complessità, che dota il paziente di Jung della possibilità di concepire in modo diverso il problema, senza che esso sia eliminato. Nell’intreccio dei pda si può appunto realizzare ciò. Un pda attraversa, in genere, più di una configurazione analogica. La configurazione analogica di arrivo non è cronologicamente successiva a quelle precedenti, ma è semplicemente quella in cui l’attenzione dell’uomo è più vigile. Ogni elemento del pda, infatti, ha una sua onda formaturale, cioè una carica attentiva, una sorta di livello di coscienza, diverso da quello di ogni altro elemento. Il culmine della carica attentiva è espresso nel sub-percorso di controllo cosciente, grazie a cui l’uomo ritorna consapevolmente indietro nel pda, per riviverne un pezzo. Essendo il pda come una catena fatta da anelli in sequenza (che sarebbero gli elementi analogici), il sub-percorso di controllo (pdac) cosciente è il ripercorrere un pezzo di tale sequenza in maniera consapevole. La carica attentiva del pdac è, in quel caso, la più alta, in quanto costituisce la consapevolezza razionale del proprio percorso di coscienza. Tuttavia la carica attentiva, o onda formaturale, non può essere quantificata, ma solo categorizzata e saggiata nella sua forma specifica. Quando dico che il pdac cosciente è l’onda formaturale dalla carica più alta, non intendo riferirmi ad un confronto quantitativo tra cariche attentive. Ogni carica attentiva è diversa dalle altre, ma può essere categorizzata. Il pdac cosciente è semplicemente la categoria di carica attentiva che troviamo nel percorso cosciente che permette l’assestamento razionale della realtà. Ma i percorsi inconsci possono essere altrettanto e anche più rilevanti, rispetto a quelli consci. Il confronto quantitativo non ha alcun senso, nel campo dei pda. Un pda incoscio può quindi avere un tratto di alta consapevolezza (pdac conscio)184, un tratto di consapevolezza più bassa (diverso cioè dal pdac conscio) e un tratto inconscio. Il pda, infatti, consente di attraversare una singola configurazione caricando onde formaturali sempre diverse - cariche cioè di elementi appartenenti ad altre logiche (rispondenti ai paradigmi delle configurazioni adiacenti o perfino di quelle remote), modulabili nei modi più insoliti e innovativi. La modulabilità del concreto intreccio dei pda, per quanto libera, è peraltro difficilissima da ottenere per l’uomo che è inconsapevole della nostra teoria. Ciò in quanto il finalismo è ciò dà al pda la sua attivazione: un pda carico di poco

183 Commentaire sur le mystère de la fleur d’or, ed. Spiritualités vivantes, pag.31.184 Peraltro anche i pdac possono scivolare nel livello dell’inconscio. Ciò accade spessissimo. E’ quindi solo approssimativo considerare i pdac come i percorsi più attivati in quanto coscienti. La realtà configurazionale è più complessa. Il pdac è conscio quando gli elementi che percorre sono caricati di un certo finalismo. Tale finalismo non può essere definito, in quanto è ineffabile. Come ogni ineffabile, possiamo ricostruire anche il finalismo come un’analogia singolare (non grafèica, ma sefèrica). La distinzione tra questi due tipi di analogie singolari, nonché la definizione di analogia singolare, sono offerte in Analogia singolare…, scaricabile gratuitamente da www.bridge4will.net. 77

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finalismo non arriva al livello della coscienza e quindi non permette l’assestamento razionale. Senza assestamento razionale della configurazione di arrivo, le regole che in essa trovano applicazione non riescono ad attecchire nell’organismo dell’uomo. Quindi l’uomo che non arrivi consapevolmente (cioè con un finalismo forte) nella configurazione giusta, non può trarne duraturo beneficio. Non ricorda la strada per tornarvi, né è consapevole dei benefici che le diverse regole che lì trovano applicazione potrebbero offrirgli. Infine, senza un finalismo forte e specifico, non viene dato l’input giusto alla “bussola sensoriale” che continuamente ci guida. Intendo dire che, conoscendo razionalmente il proprio specifico intento, l’uomo può giostrarsi molto meglio nei meandri quasi infiniti della realtà, costruendo (con pochi tentativi) il pda che precisamente gli occorre in quel frangente. Per avere questo finalismo forte e preciso, occorre che l’uomo abbia una possente base teorica sulla realtà configurazionale. Non devono cioè sfuggirgli le dinamiche descritte in questo saggio, che è appunto deputato a fornire al suo lettore quei grimaldelli conoscitivi che rendano il suo finalismo sempre più penetrante, grazie alla formulazione di un preciso obiettivo. Riecheggiano le parole dell’apostolo Giacomo: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ricevete perché chiedete male, affinché nei vostri piaceri spendiate” (Gc 4,2-3). Un’interpretazione gnostica di tale passo biblico farebbe appunto riferimento all’attività conoscitiva, che per “avere” deve orientarsi con precisione, ma per farlo, non avendo riferimenti precostituiti, deve “chiedere” all’intuizione. L’intuizione non può però corrispondere a quanto chiesto, quando si chiede “male”, cioè in un modo “di cattiva qualità” (autentica traduzione del greco kakòs). Quindi, per ottenere buone intuizioni, che siano funzionali a quanto auspicheremmo, dobbiamo affinare la nostra “qualità” postulativa. Accade, però, che anche senza tale qualità postulativa (cioè senza un approccio teorico forte alla base) l’uomo, dopo molti tentativi e sviluppando una sorta di raffinatezza intuitiva ad hoc per il suo problema, riesca ad acquisire una singola soluzione paradigmatica che risulta vincente nella sua specifica situazione. Non diventa però capace di capire come vi è arrivato, né tanto meno di replicare una simile capacità ermeneutica in altre situazioni. “Non esiste un uomo adatto ad ogni stagione” avrebbe detto Niccolò Machiavelli. Tuttavia, con le dotazioni teoriche adatte a questa fase evolutiva dell’umanità, lo si può diventare. La presenza di basi teoriche esoteriche potrebbe così giustificare le capacità di alcuni soggetti, che operano veri e propri prodigi anche nella nostra società: prodigi che rimangono tuttora inspiegabili per la Scienza neopositivista. Mi riferisco, in particolare, ai rabdomanti, più in generale ai radiestesiti, agli sciamani o guaritori, a coloro che riescono a mettersi in contatto con gli spiriti, ecc…. Molti suggeriscono, anche tra gli psicologi, che le doti di uno sciamano non siano diverse da quelle di uno psicologo particolarmente carismatico. Nell’opera Struttura della magia, scritta dagl’ideatori della PNL, si formula proprio questa tesi. Per ottenere il superamento di un problema psicologico insolubile, come nei casi di cui ci parla Jung, occorre che l’uomo addivenga ad una rivoluzione scientifica, per ognuno dei salti paradigmatici richiesti. Non basta un solo salto paradigmatico, ma ne occorrono molti in sequenza. Da qui l’esigenza di “chiedere” con precisione. Le realtà tra cui ci moviamo vorticosamente, senza riuscire ad afferrare quella giusta per noi, è come un groviglio inestricabile di scatole cinesi. Quando sei dentro una di esse, ti sembra che la realtà sia costituita solo da quella particolare scatola, ma se esci da quella ti trovi in un’altra scatola, che si spaccia anch’essa per l’unica possibile. D’altro canto, una volta acquisito un certo salto paradigmatico, non occorre una nuova rivoluzione scientifica per ripercorrerlo: dopo due reiterazioni (purché accompagnate dallo scivolamento in uno stato onirico), il salto è acquisito in una sorta di DNA configurazionale, permettendo un agevole passaggio da una configurazione all’altra. Per esempio, la prima volta che qualcuno ci ha parlato del Big bang, abbiamo dovuto immaginarcelo qualche volta (sognandolo ad occhi aperti), prima di poterlo integrare agevolmente in un ragionamento scorrevole. Se il salto fa penetrare in una configurazione remota, l’uomo che lo compie sta subendo una rivoluzione che lo cambierà per sempre: la configurazione di arrivo cambierà ogni pda che entri in contatto con essa, caricando un’onda formaturale estremamente innovativa ad ogni elemento del pda. Nel capitolo sull’onda formaturale tali aspetti saranno chiariti. Ma dobbiamo concentrarci su un ultimo punto, per finire il commento alle parole di Jung. Com’è possibile che una situazione psicologica superata continui a farsi sentire dal paziente, ma come se fosse distante, mitigata, vista sotto un’altra luce. La spiegazione, ancora una volta, è data da una particolare caratteristica dei pda: essi non a-cronologici. Se la mia attenzione di osservatore-uomo si concentra su un elemento di un pda, tale elemento assurge al livello più alto di consapevolezza. Ma ciò non vuol dire che altri elementi del pda, nonché gli elementi appartenenti ad altri pda, non rivestano al contempo una qualche forma di

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consapevolezza, magari molto sfumata, che tuttavia sia percepibile. Il mio organismo umano è un intreccio di pda, i cui singoli elementi hanno una carica di attivazione (o di coscienza) diversa. Nessun elemento è comparabile fino in fondo agli altri. Ognuno ha una particolare declinazione della coscienza. Avverto, in un qualche modo, ognuno dei quasi infiniti elementi che s’intrecciano nel mio organismo che (detto qui per inciso) abbraccia di fatto l’intero universo e forse oltre. In un qualche modo, una pietra che si sposta su un pianeta sperduto di un’altra galassia, ha in me una qualche carica di coscienza. Finisco per non avvertirla, in quanto è soffocata da molti altri elementi che (ineffabilmente) sono costretto a considerare più vicini a me. Il fatto però che questa sorta di graduazione della carica attentiva degli elementi analogici sia ineffabile, non vuol dire che non esista: al contrario, ne posso valutare il funzionamento e apprezzare l’effettività, con categorizzazioni teoriche in continua evoluzione ma non meno efficaci di quelle a cui la Scienza occidentale ci ha abituati. Sempre di scienza si tratta, anche se non ha la “s” maiuscola ed è diventata ormai, rispetto ad altra Scienza con la “s” maiuscola, ben più d’avanguardia.

Jung prosegue: “Certo, si risente dell’affetto, certo, si è scossi e torturati [a causa del problema psicologico superato], ma esiste al contempo una coscienza situata al di là, una coscienza che impedisce d’identificarsi con l’affetto, una coscienza che oggettiva l’affetto e dice: <<Io so che soffro>>. Si può applicare all’affetto, nel modo più rigoroso, ciò che il nostro testo dice dell’indolenza: <<L’indolenza di cui non si è coscienti e l’indolenza di cui si è coscienti sono distanti migliaia di miglia>>” (pag. 31).

Solo con la nostra teoria il rigore di cui parla Jung diventa effettivo, trova spiegazione. È la possibilità di rendere più complesso l’ambiente interno, grazie a salti paradigmatici nuovi e intrecci dei pda, che ci catapulta nel mondo del superamento psicologico di cui parla il grande psicanalista. La coscienza che supera la coscienza diventa comprensibile, a livello intellettivo, se supponiamo che un pda bypassato da un altro pda (ipotesi del superamento) mantenga una sua carica intuitiva (da noi chiamata anche “onda formaturale”). Tale carica intuitiva può essere attutita in modo ineffabile, ma non distrutta, dai nuovi pda (almeno finché non intervenga lo sfrangiamento del pda stesso, di cui parleremo in un apposito capitolo). L’ineffabile di questo attutimento è un’analogia singolare, per il cui significato si rimanda alla nostra opera omonima. Il discorso torna allo stesso modo, anche quando ad essere superato non sia un intero pda, ma un tratto di pda ad opera del tratto successivo. Questa tesi è estremamente utile, anche in campo psicologico, poiché ci fa capire che per migliorare il senso di superamento, affinché la sofferenza sia ancor meglio gestita, si possono costituire altri (sub-)pda ad hoc, capaci di prevalere sotto ulteriori aspetti all’onda formaturale del (sub-)pda da superare.

[Torna indietro al capitolo sul vivente]

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4. Gli stati di autocoscienza (d’ora in poi: “gli sa”)

L’autocoscienza è potenzialità di un percorso di autocoscienza di controllo (pdac185). La definizione sembra circolare, tuttavia avendo ben definito cosa sia un percorso di autocoscienza (pda), si comprenderà come almeno questa definizione, tra le tante che invece in quest’opera lo sono, non sia circolare. Tuttavia, più che una definizione, ho voluto dare una caratterizzazione comune all’elenco di stati di autocoscienza che sto per esplicitare186. Tali stati di autocoscienza possono quindi suscitare un pdac, ma spesso non lo fanno: in ogni caso, per chiamarsi “stati di autocoscienza”, è sufficiente che siano ipoteticamente in grado di farlo, anche se poi l’effettivo innesco del pdac richiede appositi campanelli di allarme, diversi ma simili tra individuo e individuo. Ciascuno di questi stati ha una caratteristica che è insita nel suo stesso nome e che può essere colta dall’osservatore per auto-cezione (cioè per percezione di sé, e in questo caso per percezione del proprio flusso di coscienza). Nonostante questa sorta d’ineffabilità (molto soggettiva e abbastanza dipanabile) degli stati di autocoscienza, cercherò di enuclearne lo schema configurazionale in successivi capitoli di questo contributo.

L’elenco degli stati di autocoscienza è il seguente:1) Il sogno-evento;2) Il pensiero;3) La sensazione;4) L’emozione;5) Il sentimento;6) La fùsis.Per una maggiore semplicità di espressione, mi riferirò collettivamente agli stati di autocoscienza con

l’acronimo “sa”, ma anche con un ulteriore acronimo più smart, in quanto consente di modulare il novero di stati di autocoscienza citati: “sepsesf”. Quando mi riferirò al sepsesf, quindi, mi riferirò al novero completo degli stati di autocoscienza; quando invece mi riferirò al sepses, mi riferirò ad ogni stato di autocoscienza con esclusione delle fùseis; quando mi riferirò al ses, mi riferirò solo a tre stati di autocoscienza (sensazione, emozione e sentimento); ecc… In questo capitolo sarà sufficiente esplicitare le caratteristiche che, per autocezione, l’osservatore attribuisce a ciascuno di tali sa. La progressione dal sogno-evento fino alla fùsis può essere interpretata come una progressione dallo stato di autocoscienza più sottile a quello più spesso, con le varie gradazioni intermedie. Non si può, ovviamente, misurare lo spessore degli sa, ma solo graduarlo in base alle loro caratteristiche. In ogni caso, occorre tradurre l’espressione spessore con la parola “prevedibilità”. Il pensiero è più prevedibile del sogno-evento (che per definizione non è prevedibile da parte dell’uomo-osservatore). La sensazione è ancor più prevedibile (almeno in linea tendenziale, secondo il nostro attuale stato di conoscenze) del pensiero. L’emozione sembra più prevedibile della sensazione (si pensi alla categorizzazione di video erotici sulle relative communities, che ci dà l’idea come l’emozione, essendo più complessa da realizzare della sensazione, richieda strutturazioni più precise e ripetibili). Il sentimento è ancor più prevedibile dell’emozione, poiché si struttura molto di più e tende alla conservazione da certe percezioni esecrate, che possono anche essere elencate. La fùsis è tendenzialmente lo stato di autocoscienza più prevedibile di tutti, poiché è costituito dall’applicazione delle leggi scientifiche alla realtà. Ciò non toglie che uno stato che avrebbe dovuto essere più prevedibile, possa ad un certo punto spiazzarci più di un altro più sottile: anzi, l’obiettivo dell’evoluzione dell’essere sembra proprio questo: inserire l’inatteso-decisivo in ciò che sembra scontato e ripetitivo. Quando parlo di prevedibilità mi riferisco, quindi, a discutibilissime linee di tendenza, che un domani potrebbero anche essere sovvertite o non aver 185 Per una spiegazione approfondita sui pdac, vd. il relativo capitolo. Qui basti indicare che un pdac è una forma particolare di riflessione su ciò che è stato percepito, intuito e compreso intellettivamente dall’osservatore. Più specificamente si tratta di quella forma di riflessione che vuole verificare quale sia l’effettiva entità di ciò che è stato percepito, intuito e compreso. Tale forma di riflessione, invece che verificare una realtà effettiva, va a costruirla. E’ quindi grazie anche ai pdac che abbiamo l’illusione della realtà oggettiva, ma è anche grazie a loro che possiamo trasformarla, per noi e per gli altri.186 Altra caratteristica comune degli stati di autocoscienza, secondo la teoria dell’interprete della traccia scritturistica (il cui saggio di riferimento sto redigendo sotto il nome di Teoria dell’osservatore), è che costituiscono il livello di campo del caos, da cui emergono gli altri livelli di campo, nel rispettivo ordine. I livelli di campo di cui parlo in tale teoria, quindi, sono livelli di coordinamento degli stati di autocoscienza.80

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più alcun significato. Sono tuttavia una valida bussola per noi, oggi, al fine di orientarci nel mare magnum dell’essere.

La spiegazione di ciascuno stato di autocoscienza, che segue, può essere tranquillamente integrata con altri autori (non ultimo Hegel). Non ho preso contezza precisa di ciò che tali autori professano in materia: qui mi sono limitato ad esporre ciò che occorre sapere sugli sa ai fini della presente teoria.

Il sogno-evento è una categoria di sa che comprende al suo interno sia sogni che eventi. Si noti che nel linguaggio configurazionale non c’è modo di distinguere tra sogni ed eventi, poiché si configurano alla stessa maniera (cioè secondo lo stesso schema configurazionale e secondo le stesse caratteristiche autocettive). C’è tuttavia da precisare che con il termine “sogno-evento” mi riferisco ad ogni sogno o evento da interpretare. Vi sono infatti anche sogni premonitori, che non sono fatti come i sogni da interpretare (i quali ultimi possono contenere squarci sul “futuro”, ma richiedono sempre un’interpretazione che è preponderante rispetto alla visione “anticipata”187). Vi sono inoltre anche eventi che fluiscono senza lasciare tracce significative da interpretare e che sono destinati quindi a sfrangiarsi e decadere dalla memoria, scivolando in un oblìo senza ritorno. I sogni-eventi sono ciò che, semmai, ci separa da tale abisso di non-senso, guidandoci verso una evoluzione conservativa e relazionale. Ma ciò detto, non posso esimermi dal dire come si presenta il sogno-evento alla mia auto-cezione. Esso è fatto di molti elementi intuitivi, che aprono squarci di significato in configurazioni analogiche per me nuove, nonché di pochi elementi di raccordo tra tali elementi più significativi. Il sogno-evento è un percorso denso di salti paradigmatici, che non supporta i sub-percorsi necessari a compiere tali salti in modo consapevole. Solo interpretando il sogno-evento, posso fare tale scatto di consapevolezza, che mi trasformerà per sempre.

Il pensiero è quel flusso tendenzialmente continuo, impalpabile ma logicamente strutturabile (grazie ad appositi pdac), che ognuno di noi vive soggettivamente e che non è percepibile agli altri, se non con l’armamentario dell’ESP (a cui dedichiamo un apposito capitolo). In ogni caso, non sembra nemmeno ipotizzabile che qualcuno oggi sia in grado di replicare fedelmente ed in maniera completa il flusso del pensiero altrui. Il pensiero, quindi, ci fornisce un’intimità difficilmente e abbastanza limitatamente violabile. Anche percependo alcuni pensieri di un altro soggetto, infatti, un sensitivo non potrebbe mai farne un resoconto oggettivo, né un resoconto minimamente attendibile. Neanche una batteria di sensitivi potrebbe darci indizi gravi, precisi e concordanti su ciò che passa realmente per la testa di una persona (e non per fare della poesia o della prosa più accattivante: vi sono limiti costitutivi nella capacità di percepire gli stati di coscienza altrui, che nel caso del pensiero diventano intollerabilmente pervadenti, e che studiamo nel capitolo succitato).

La sensazione è auto-percezione, una percezione, cioè, riferita al proprio corpo, nel suo entrare in contatto con altri corpi o nel suo interagire con se stesso nelle proprie parti e sistemi. Vi è un vero e proprio flusso di sensazioni, almeno quanto vi è un flusso di pensieri. In realtà, si può parlare di un flusso unico di sa, che abbraccia l’intero sepses. Per la fùsis il discorso è diverso, come vedremo, poiché essa è percepibile solo grazie a pdac188. Le sensazioni, se correttamente catalizzate189, costituiscono una vera e propria bussola che ci salva dalle malattie e ci porta avanti nel cammino di scoperta a 360°.

L’emozione è progressione tattica nel flusso delle sensazioni fino ad arrivare ad una percezione desiderata o ad una percezione surrogata di quest’ultima. Giunti in prossimità di una di tali percezioni, il flusso sensoriale diventa esuberante e/o convulsa; arrivati alla percezione desiderata, noi esseri umani ci sentiamo soddisfatti; arrivati alla percezione surrogata, ci sentiamo insoddisfatti ma ancora in grado di preservarci per la ricerca di percezioni desiderate, verso cui siamo portati in modo abbastanza convulso, salvo l’attuazione di strategie di self control particolarmente efficaci. Ognuna di queste affermazioni sembra

187 E’ d’obbligo virgolettare sia la parola futuro che l’aggettivo anticipato, se riferito ad una visione. Non esiste il futuro cronologico, ma solo una preparazione del cambiamento configurazionale nella rete analogica delle cose esistenti. Tale preparazione è attuale, non spostata in avanti su un’ipotetica retta del tempo. Ne parleremo più disertamente in un capitolo apposito, in cui affronteremo anche la capacità di vedere il “futuro” e di cambiarlo.188 Pdac = percorsi di autocoscienza di controllo. Vd. il relativo capitolo.189 Mi riferisco all’accordo costitutivo sull’essere, che posso stringere con l’essere supremo. In base a tale accordo posso valutare se la mia bussola sensoriale è, in una certa situazione, “correttamente catalizzata” per consentirmi una progressione evolutivo-conservativa in chiave relazionale.81

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un po’ vaga: con lo studio dello schema configurazionale saremo più precisi. Qui dobbiamo iniziare a dare i primi colpi di macete per diradare la giungla.

Il sentimento è un flusso di emozioni che si nutre di nuove percezioni desiderate o muore: obiettivo cui punta strategicamente il sentimento è evitare alcune percezioni esecrate, individuabili su base relazionale. Ad esempio, l’amore per il figlio si esprime, come sentimento, nel tentativo di evitare la morte o anche solo il malessere del figlio, o altre situazioni considerate dal genitore come per lui deteriori. Il sentimento è lo stato di autocoscienza più radicalmente evolutivo, in quanto lo scontro tra sentimenti contrapposti porta alla cristallizzazione di assetti della realtà, promossi dai sentimenti prevalenti, che sono profondamente diversi ed incompatibili con gli assetti portati avanti dai sentimenti recessivi. Il sentimento, infatti, è così assorbente di qualunque struttura razionale, pur di assicurare dalle percezioni esecrate, che arriva a cambiare radicalmente i punti di riferimento razionali d’intere civiltà umane, con l’intera potenzialità trasformante che l’osservatore esercita sulla realtà osservabile.

La fùsis è una legge scientifica, cioè un tipo di tragitto che la realtà osservata segue all’interno di una specifica configurazione analogica, a partire da una certa onda formaturale (relativa al primo elemento concreto che in tale configurazione si realizza) o all’incrocio di onde formaturali di pda190 distinti. L’onda formaturale è la “carica intuitiva” che risiede in un certo elemento analogico: ne parleremo in modo più preciso ed esaustivo nel capitolo che la riguarda. Quando nei miei saggi mi riferisco alle fùseis, parlo dell’intero novero di leggi scientifiche con cui entriamo in contatto in un certo contesto. La fùsis in greco è la “spontaneità dell’essere” che l’uomo non può fondare da solo, ma che è etero-fondata. Ogni volta che ci troviamo di fronte ad una regola, che l’uomo-osservatore riceve come già presente e non può fondare da zero, siamo di fronte alla fùsis. Rientrano tra le leggi scientifiche (se considerate come fùsis) anche i principi e le regole sociali, religiose, perfino filosofiche e storiche. Che la storia non si faccia con i “se”, per esempio, può costituire una fùsis per lo storiografo di oggi, che ha come effetto spontaneo la comprensione e l’accettazione da parte della collettività di riferimento dello storiografo stesso. Nel prosieguo potremo specificare meglio cosa sia la fùsis, ma per adesso, non avendo ancora precisato buona parte del linguaggio analogico-configurazionale indispensabile, non potrò precisarlo.

190 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.82

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5. Lo schema configurazionale (d’ora in poi, anche: “lo schema”) del percorso di autocoscienza. Lo schema analogico dell’elemento analogico.

[i]Ogni percorso di autocoscienza (d’ora in poi: “pda”) ha un suo schema configurazionale, cioè

un’esplicitazione dei suoi elementi analogici, nel loro concatenarsi in ossequio alla teoria delle configurazioni analogiche. Si può immaginare tale schema come una sequenza di elementi analogici, in cui la posizione di un elemento influenza la sua funzionalità, a secondo del tipo specifico di elemento di cui trattasi. Lo schema di un pda s’intreccia con altri schemi di pda, ogni qual volta detti schemi abbiamo un elemento in comune. L’incrocio o intreccio di pda viene quindi plasticamente costruito, ai fini configurazionali, come incrocio di schemi in corrispondenza dell’elemento comune191 ad essi. Si può immaginare ogni corpo materiale (vivente o meno) come un groviglio di schemi, intrecciati tra loro, che d’incrocio in incrocio raggiungono indirettamente gli estremi confini della rete analogica, dando una coerenza complessiva ed integrata ai corpi nella realtà osservata.

Ogni schema ha anche una sua direzione di scorrimento, come se fosse un fiume. Pertanto chiameremo “tratto a monte dell’elemento analogico A” il tratto di schema che, considerando la direzione di scorrimento, si trova prima dell’elemento A. Chiameremo, invece, “tratto a valle dell’elemento analogico A” il tratto di schema che, considerando la direzione di scorrimento, si trova dopo l’elemento A. Quando lo schema s’intreccia con un altro schema, in corrispondenza di un certo elemento analogico comune, i tratti a monte di tale elemento sono il tratto a monte del primo schema e il tratto a monte del secondo schema. Gli elementi precedenti all’incrocio hanno, invece, un solo tratto a monte e due tratti a valle192. Gli elementi successivi all’incrocio, infine, hanno un solo tratto a valle e due tratti a monte. Quando gl’incroci (come spesso accade) sono più di uno, si applica la stessa regola. Ogni elemento avrà quindi: 1) a monte, tutti i corrispondenti tratti degli schemi che incrociano elementi precedenti; 2) a valle, invece, tutti i corrispondenti tratti degli schemi che incrociano gli elementi successivi.

Dobbiamo distinguere nettamente lo schema configurazionale, che dice quali tipi di elementi (e in che sequenza) si collegano in un pda, dallo schema analogico, che dice come si compone internamente il singolo elemento analogico. Quando i collegamenti tra elementi analogici trasmettono un’informazione che appartiene, in parte, allo schema configurazionale e, per l’altra parte, allo schema analogico, chiameremo tale informazione con il termine di “informazione analogico-configurazionale”, nonché il linguaggio in cui è espressa con il termine di “linguaggio analogico-configurazionale”.

191 L’elemento comune a due pda non è unico, ma duplice: mantiene cioè un aspetto cangiante che, a volte, si adatta ad elemento comune (per l’identità delle onde formaturali in senso lato: vd. il relativo capitolo), altre volte, si adatta a duplicità di elementi, ciascuno dei quali appartiene ad una sola delle due configurazioni. Con un pda di controllo o con un pda di disturbo, infatti, che va ad agganciare a monte dell’incrocio uno dei due pda e a modificarlo, si può infatti avere una differenziazione di quest’ultimo rispetto all’altro pda: in questo caso l’elemento d’incrocio non è più tale, ma avremo due elementi differenti che appartengono a due pda separati.192 Nel caso in cui i tratti a valle siano due, si tratta sì di un vero e proprio incrocio tra due pda, ma per parziale sovrapposizione o coordinamento. Costituisce quindi un incrocio più debole, che non è capace di saldare i due tratti di pda a valle in uno solo. Se, per esempio, lancio un sasso in uno stagno, tale sasso sarà sia un elemento intuitivo di molti pda che costituiscono il suo corpo, sia un elemento intuitivo del pda che gestisce il mio lancio nello stagno. Vi è quindi un elemento intuitivo “sasso” in una molteplicità di pda, ma ciò non condiziona i tratti a valle, che rimangono uno per ogni pda dell’incrocio. L’incrocio più potente si ha quando uno dei pda è un pda-dist (cioè un “pda di disturbo”), il cui elemento analogico d’incrocio appartiene sia alla propria configurazione che alla configurazione dell’altro pda, decretando la sopravvivenza a valle di un solo pda (cioè del pda-dist, che chiameremo anche “pda dominante”, il quale dopo aver agganciato l’altro pda con l’elemento d’incrocio, costituente per l’altro pda una anomalia rispetto al suo paradigma di riferimento, spoglia di validità quest’ultimo grazie ad un nuovo salto paradigmatico). Il pda dominante, quindi, continuerà ad evolversi anche a valle, sulla spinta del salto paradigmatico in parola. Invece il pda recessivo si staccherà dall’incrocio e si esprimerà in un breve tratto, in cui continuerà il proprio schema per contribuire al salto paradigmatico (per esso esiziale) che si configurerà nell’altro pda. A quel punto il pda recessivo smetterà di configurare nuovi elementi, ma solo nel tratto a valle (nel tratto a monte – che comunque è privo di evoluzione, salvo ulteriori incroci - si troverà collegato all’altro pda in corrispondenza dell’elemento d’incrocio). Si parlerà meglio di questo nei capitoli relativi al pdac (pda di controllo) e al pda-dist, ma il tema è già stato affrontato tangenzialmente nel capitolo sulla configurazione analogica, laddove si è spiegato il salto paradigmatico.83

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Allo scopo di chiarire la funzionalità del singolo elemento analogico, all’interno dello schema, dobbiamo rispolverare le scelte linguistiche fatte in precedenza. Ogni elemento viene, per semplicità, espresso con il nome dell’assoluto originario a cui è più strettamente e direttamente collegato193. Ogni assoluto originario, come spiegato nel capitolo sugli assoluti, è una configurazione analogica i cui elementi si collocano su pda che arrivano in ogni altra configurazione. E’ importante capire che, tra i paradigmi fondamentali della rete analogica, gli assoluti originari sono i più ramificati, al punto che nessuna configurazione può sfuggire loro (anche se teoricamente potremmo incontrare configurazioni remote non toccate da essi, ma di fatto ciò non succede). La completa ed effettivamente integrata ramificazione degli assoluti originari in ogni configurazione della rete analogica produce una deformazione potentissima della realtà osservata, che non riesce a prescindere da essi. Quando nel prosieguo spiegheremo la funzionalità di un elemento analogico all’interno dello schema, dobbiamo quindi tenere conto che la sua assimilazione ad un assoluto originario in particolare ha una grande efficacia analitica.

L’unità di base dello schema configurazionale è quindi il singolo elemento analogico. Tuttavia nell’articolazione dello schema in parola, più che il pda è importante il sub-pda. Il sub-pda è una sezione di pda, che può assumere tre forme:

1) la forma complessa;2) la forma complessa in cui è in corso il drenaggio194 dell’elemento afc195;3) la forma semplificata.Ogni sub-pda è una sezione che si estende tra un salto paradigmatico e quello successivo. La prima

differenza fra la forma complessa e quella semplificata di pda è che nella prima (anche nella variante in cui è in corso il drenaggio dell’afc) il salto paradigmatico è apprezzabile nello schema configurazionale, invece nella seconda si può scoprire il salto paradigmatico solo a livello dello schema analogico.

Il sub-pda dalla forma complessa (o, più semplicemente, il sub-pda complesso) è quella sezione di pda che inizia con un elemento afc196 e termina con il successivo elemento ufc197: tra i due elementi possiamo

193 Come studieremo meglio nel capitolo sullo sfrangiamento, quando chiamiamo un elemento analogico con l’acronimo “cs” (che fa riferimento all’assoluto originario del concretante-strutturante) intendiamo dire che lo schema analogico di tale elemento è formato da sub-elementi fsc e fcs che attecchiscono sulla configurazione del concretante-strutturante.194 Il drenaggio è un complesso procedimento che, grazie a sei tipi di operazioni ripetute in una specifica sequenza, trasferisce l’informazione analogico-configurazionale dall’elemento afc agli elementi successivi del sub-pda (ad esclusione dell’ultimo). Studieremo il drenaggio nel capitolo sullo sfrangiamento, in una specifica nota.195 L’elemento analogico afc (acronimo che sta per: “astraente – falso concretante”) è quell’elemento più direttamente e strettamente collegato alla configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante, la cui funzione è quella d’introdurre la facoltà d’intuizione astraente, cioè un’intuizione cangiante che predispone una parte della propria informazione analogica per la sostituzione con un’altra informazione analogica non predeterminabile.[Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura][Torna indietro al capitolo sui CS][Torna indietro al capitolo sulla materia]196 Vd. nota prec.197 L’elemento analogico ufc (acronimo che sta per: “universalizzante falso – concretante”) è quell’elemento più direttamente e strettamente collegato alla configurazione dell’assoluto originario dell’universalizzante-concretante, la cui funzione è quella d’introdurre la funzione di comprensione intellettiva universalizzante, cioè l’intuizione del paradigma specifico della configurazione analogica che segue all’ufc stesso e la vincolazione degli elementi del sub-pda seguente (che solca tale configurazione) entro i confini intuitivi del paradigma stesso. Si noti che l’ufc, pur essendo il primo elemento del salto paradigmatico, è anche l’ultimo elemento del sub-pda che lo precede.[Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura][Torna indietro al capitolo sui CS]84

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avere coppie198 di elementi cs199 e sc200 e/o terzine201 di elementi cs, sc e gp202. La forma complessa è la più strutturata, ma anche la più scorrevole e piacevole per l’osservatore, sia che vi si muova in stato conscio203, sia che vi si muova in stato inconscio204. La forma complessa in cui è in corso il drenaggio è quella forma complessa in cui l’elemento afc si sta svuotando dell’informazione analogica in esso contenuta a vantaggio degli elementi successivi. I suoi sub-elementi fsc saranno progressivamente sostituiti, in ciascuna delle sue due innervazioni, da un elemento fcs. [Torna indietro alla nota sul drenaggio.]

Il sub-pda dalla forma semplificata (o, più semplicemente, il sub-pda semplicificato) è quella sezione che inizia con un elemento cs205 (che nella forma complessa sarebbe corrispondente ad un elemento afc206) e prosegue con un elemento sc207, seguito da coppie208 di elementi cs e sc e/o terzine209 di elementi cs, sc e gp210. La forma semplificata è la meno strutturata, ma anche la più pesante e fastidiosa (fino al tedio o male di esistere211) dell’osservatore, sia che si muova in stato conscio, sia che vi si muova in stato inconscio212.

L’elemento analogico strutturante-concretante213 (d’ora in poi: “sc”), oltre a costituire l’elemento deputato alla comprensione logica della realtà, fornisce all’osservatore la percezione logico-strutturale di ogni altro elemento strutturante-concretante presente nello schema a valle. La percezione logico-strutturale viene definita nel capitolo sullo sfrangiamento del pda. Si tratta di una consapevolezza intuitiva dischiusa dall’elemento strutturante-concretante, che lo collega agli altri elementi dello stesso tipo. Essa

198 Gli elementi analogici, pur disponendosi in perfetta sequenza nello schema configurazionale, sono suddivisibili anche a coppie o terzine, poiché hanno tra di loro alcuni collegamenti speciali. In particolare, l’elemento intuitivo-concreto (cs) e il successivo elemento logico-strutturato (sc) sono collegati, nella forma complessa, da un sub-elemento gp della prima innervazione interna dell’elemento afc precedente, e nella forma semplificata, da un sub-elemento gp della prima innervazione interna di ciascuno dei due elementi cs e sc stessi. Ove presente, l’elemento gp (che è cosa ben diversa dai due sub-elementi gp testé citati) è collegato, grazie all’informazione analogica, ai due elementi cs e sc immediatamente precedenti nello schema, dovendo gestirne la percezione immediata ovverosia di sfondo.199 Cs = concretante-strutturante. L’elemento cs è quello più direttamente e strettamente collegato alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. La funzione di questo elemento è gestire l’intuizione concreta e la percezione intuitiva, attribuibili all’osservatore. Vd. il capitolo sullo sfrangiamento.200 Sc = strutturante-concretante. L’elemento sc è quello più direttamente e strettamente collegato alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. La funzione di questo elemento è gestire la comprensione intellettiva e la percezione logico-strutturale, attribuibili all’osservatore. Vd. il capitolo sullo sfrangiamento.201 Vd. nota prec. sulle coppie di elementi cs e sc.202 Gp = gobba percettiva. L’elemento gp è quello più direttamente e strettamente collegato, a secondo dei casi, ad una o a due o a tutte e tre le configurazioni degli assoluti originari dell’astraente-concretante, dell’astraente-strutturante e dell’astraente-universalizzante. La funzione di questo elemento è gestire la percezione immediata o di sfondo, attribuibile all’osservatore. Vd. il capitolo sulla gobba percettiva e quello sullo sfrangiamento.203 Lo stato conscio è descritto dallo schema configurazionale che si svolge nel primo o nel quarto livello configurazionale. Vd. il capitolo sui cinque livelli configurazionali.204 Lo stato inconscio è descritto dallo schema configurazionale che si svolge nel secondo livello configurazionale. Vd. il capitolo sui cinque livelli configurazionali.205 Vd. la nota relativa nel precedente capoverso.206 Vd. la nota relativa nel precedente capoverso.207 Vd. la nota relativa nel precedente capoverso.208 Vd. nota prec. sulle coppie di elementi cs e sc.209 Vd. nota prec. sulle coppie di elementi cs e sc.210 Vd. la nota relativa nel precedente capoverso.211 Spiegheremo il funzionamento del tedio nel capitolo sullo sfrangiamento.212 Vd. le due note relative nel precedente capoverso.213 Si tratta dell’elemento analogico che si collega più strettamente alla configurazione dello strutturante-concretante. Tale configurazione è quella che si occupa di dare la strutturazione logica di base alla realtà, cioè le regole che la realtà segue. Tali regole sono costituite da un particolare tipo di stato di autocoscienza: la fùsis. Intendo per fùsis ogni legge scientifica (comprese le norme giuridiche, religiose, ecc…). La fùsis è caratterizzata da un tratto di schema costituito da un salto paradigmatico da una configurazione analogica ad un’altra adiacente. Le configurazioni sono adiacenti quando è possibile fare un salto paradigmatico consapevole dall’una all’altra, senza ulteriori salti intermedi. La regola in sé, nella fùsis, è tuttavia data dallo schema successivo al salto paradigmatico (e precedente al salto paradigmatico successivo). Tale schema è regolato dall’onda formaturale in senso lato: vd. il capitolo sull’onda formaturale.85

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consiste nella capacità dell’osservatore-uomo di percepire, nei limiti del finalismo da lui in qualche modo214 espresso, l’intera strutturazione riguardante l’elemento sc stesso ma solo nel tratto a valle, rispetto a tale elemento, su cui per inciso sta appuntando la propria coscienza (grazie ad un apposito pda di controllo conscio215). Tale strutturazione, vista nel suo complesso (anche oltre quanto sia percepibile in corrispondenza del singolo elemento sc) è costituita dalle leggi scientifiche (fùseis) che si applichino direttamente216 a tale elemento, dall’intuizione degli elementi concretanti-strutturanti217 precedenti e infine dalle leggi scientifiche che si applichino agli elementi strutturanti-concretanti a monte e a valle. Tali leggi e intuizioni vengono percepite con una percezione d’insieme stratificata ma in buona parte inconscia (nel capitolo sull’energia di attivazione proveremo a spiegarne il funzionamento).

L’elemento analogico concretante-strutturante218 (d’ora in poi: “cs”) ha la funzione di far concentrare su di sé l’attenzione dell’osservatore-uomo. Ma ha anche la funzione di dare all’osservatore la percezione intuitiva219 degli altri elementi cs che si trovano a monte. L’elemento strutturante-concretante (d’ora in poi: “sc”) immediatamente successivo si collega con tale elemento cs, ai fini di espandere la percezione intuitiva a quella logico-strutturale220. Risulta quindi strategico sapere la direzione dello schema oggetto di analisi e la direzione degli schemi che esso incrocia precedentemente all’elemento cs e successivamente all’elemento sc che lo segue immediatamente. Con un ragionamento circolare, vi dico che la direzione di uno schema è ricostruibile proprio dalla capacità intuitiva dei suoi elementi cs: se un elemento cs dello schema A mi consente d’intuire l’elemento cs dello schema B, che incrocia A, allora il tratto in cui quest’ultimo elemento si trova è a monte del primo. Lo stesso può dirsi, mutatis mutandis, per l’elemento sc (che permette di percepire la strutturazione a valle). Unendo continuamente, grazie ad appositi pda di controllo221 (che si spostano da un elemento all’altro), la percezione intuitiva con quella logico-strutturale, abbiamo l’illusione di una realtà strutturata ed intuitiva che abbia un suo “spessore” autonomo rispetto all’osservatore. L’argomento convincente, in ordine al fatto che gli elementi analogici (sc e cs) si colleghino tra loro secondo questo duplice binario della percezione logico-strutturale degli elementi logici222 a valle e della percezione intuitiva degli elementi concreti a monte è la stessa auto-cezione dell’osservatore. Tu infatti, in quanto osservatore della realtà, puoi valutare se davvero i tuoi elementi analogici coscienti si colleghino secondo questo duplice modulo. E’ abbastanza facile verificare la percezione strutturale degli elementi logici a valle223, mentre è più difficile apprezzare la percezione intuitiva degli elementi concreti a

214 La modalità di espressione del finalismo dell’osservatore può essere intesa come puramente ineffabile oppure come del tutto coincidente con l’onda formaturale in senso stretto. Vd. il capitolo relativo a quest’ulima.215 Vd. il capitolo relativo al pdac.216 Si tratta dell’eventuale salto paradigmatico che insiste proprio su tale elemento e di tutti i salti paradigmatici precedenti all’elemento stesso.217 La configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante si occupa di far porre l’attenzione dell’osservatore su un singolo elemento analogico, che viene qui chiamato pertanto con il nome di concretante-strutturante.218 Si tratta dell’elemento analogico che si collega più strettamente alla configurazione analogica dell’assoluto originario del concretante-strutturante. La funzione di quest’ultimo assoluto è stata chiarita nella nota precedente.219 La percezione intuitiva sarà definita nel capitolo sullo sfrangiamento dei pda.220 L’osservatore-uomo può far insistere un pda di controllo (pdac) sull’elemento cs, ottenendo accesso alla percezione intuitiva degli elementi cs a monte, oppure collegarsi dal primo elemento suddetto all’adiacente e successivo elemento sc, ottenendo così accesso alla percezione logico-strutturale degi elementi sc a valle.221 Vd. il relativo capitolo.222 Per semplicità, d’ora in poi chiamerò gli elementi strutturanti-concretanti anche con il nome di elementi logici, e gli elementi concretanti-strutturanti anche con il nome di elementi concreti o elementi intuitivi.223 Si consideri, ad esempio, la percezione logico-strutturale di una sedia, di cui sappiamo al primo sguardo che ci servirà per montarci sopra, in quanto stabile (per le sue quattro gambe ben collegate al sedile), e afferrare un oggetto che si trova troppo in alto nel mobile di cucina per essere raggiunto senza ausili. Gli elementi che si sono aggiunti nella nostra considerazione istantanea della sedia sono sia strutturali che funzionali, ma sono in ultima analisi tutti quanti elementi logico-strutturali, in quanto ci dicono come si atteggia l’elemento-sedia nelle leggi scientifiche che la riguardano (intendendo per leggi scientifiche tutte le fùseis, cioè regole – anche più “esperienziali” - che spontanteamente l’elemento rispetta). Nota dunque che, a livello auto-cettivo, non riesci a considerare immediatamente il fatto che la sedia ha quattro gambe ben collegate tra loro, che le danno stabilità, ma solo che essa è abbastanza stabile per montarci sopra. La tua coscienza, quindi, stimolata da te stesso, ti dice nell’immediato solo gli 86

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monte. Come è possibile stabilire se ci colleghiamo solo agli elementi concreti a monte e non a quelli a valle? Si consideri che la sequenza dello schema configurazionale è un’alternanza di elementi analogici, in cui il primo è più direttamente collegato (in modo provvisorio e nel variegato novero di analogie indirette224 possibili) al secondo, che è più direttamente collegato al terzo, e così via. All’interno del sub-pda (esclusi cioè i due elementi periferici, di cui parleremo nel capitolo sullo sfrangiamento del pda), gli elementi si alternano secondo il sub-schema “cs-sc”, in cui “cs” è l’elemento concretante-strutturante e “sc” è l’elemento strutturante-concretante, o secondo il sub-schema “cs-sc-gp”, in cui si aggiunge l’elemento che chiamo “gobba percettiva” (il quale gestisce la percezione immediata o di sfondo dei due elementi cs e sc precedenti). L’elemento cs può collegarsi all’elemento sc a valle e, al contempo, ad ogni elemento cs a monte: basta che l’attenzione (cioè il pda di controllo) si posi sull’elemento cs, che ci accorgeremo che esso viene automaticamente collegato all’elemento sc a valle e ad ogni elemento cs a monte (fino ad un certo limite, che spieghiamo nel capitolo sull’onda formaturale). Viceversa, se concentriamo l’attenzione sull’elemento sc, ci accorgeremo che esso si collega automaticamente con l’elemento cs a monte e con ogni elemento sc a valle (fino ad un certo limite, che spieghiamo nel capitolo sull’onda formaturale). Possiamo così immaginarci che l’intera percezione, come anche il pensiero ed ogni altro stato di auto-coscienza si aggirino nella rete di collegamenti costituita da questo duplice modulo di collegamento dei cs e degli sc225. Ma mentre è facile argomentare che gli elementi sc si collegano secondo il modulo sopra descritto, come argomentare che i cs seguono il modulo loro attribuito? Dobbiamo fare l’esempio del sogno ormai svanito, cui riusciamo tuttavia a collegarci in qualche modo. Capita, infatti, di fare un sogno molto vivido, di cui tuttavia dopo un giorno potremmo esserci dimenticati, quanto alla sua strutturazione logica. E’ venuto meno, per sfrangiamento, il collegamento con l’elemento logico (sc) a valle, quindi non riusciamo più a ricordare il sogno nella sua strutturazione logica; tuttavia il sogno rimane vivido: posso dire che mi sto collegando intuitivamente all’intero sogno, sentendolo ancora ben concreto, per quanto non riesca a dirne alcunché. Ciò significa che il collegamento dell’elemento concreto (cs) con gli elementi a monte è ancora in vigore. Anche qui la verifica è rimessa a te, in qualità di osservatore della realtà.

Senza incroci tra i pda, a monte o a valle di un singolo elemento strutturante-concretante o concretante-strutturante, non si potrebbe interpretare la direzione del pda in corrispondenza di tale elemento. Ma un pda privo di connessioni ad altri pda non si è ancora riunito a formare un corpo226. La morte di un organismo vivente è anche questo: l’indirezionabilità dei suoi elementi per assenza d’incroci con altri pda. E’ d’altronde fondamentale ricordare le differenti funzioni intuitive dello strutturante-concretante e del concretante-strutturante. Il primo permette d’intuire alcune leggi scientifiche (fùseis), il secondo permette d’intuire i soli elementi concretanti-strutturanti a monte.

Solo un elemento analogico di uno specifico pda è di regola attivato al livello più intenso nella coscienza. Gli altri elementi vengono attivati via via meno intensamente, a secondo della distanza dall’elemento più attivato. Quest’ultimo è l’elemento di cui l’osservatore-uomo si accorge realmente. Nell’accorgersi di tale elemento ne percepisce tutti gli strutturanti-concretanti a valle (entro il limite dell’onda formaturale227 in

elementi a valle della strutturazione logica della sedia nel contesto in cui ti trovi e solo grazie al collegamento con l’elemento concreto precedente ti può collegare agli elementi concreti precedenti. Prendendo allora la “spinta” da un altro elemento concreto a monte (le quattro gambe) puoi trovare la pista rappresentata dagli elementi logico-strutturali a valle (il collegamento delle quattro gambe al sedile, con la conseguente stabilità della stessa sedia nel suo complesso).224 Un’analogia indiretta è un’analogia tra due elementi (per l’appunto “analogici”), tale che sia possibile inserire un novero ampio di ulteriori analogie tra gli elementi stessi. Ciò non toglie che, nella costruzione di un pda, due elementi siano più strettamente collegati (tra le varie analogie indirette possibili) proprio da una certa analogia indiretta. Tale collegamento rimane il più stretto (fra quelli analogici indiretti), finché non interviene un’ulteriore analogia indiretta a frammettersi tra i due elementi. Ciò può avvenire grazie ad un pda di controllo o ad un pda di disturbo (vd. i relativi capitoli).225 Ulteriori necessarie precisazioni (a parziale correzione di quanto qui affermato) vengono fornite nel capitolo sullo sfrangiamento, all’interno di una nota che tratta della coerenza dello schema configurazionale e, più in generale, del linguaggio analogico-configurazionale.226 Nella nostra interpretazione, ogni corpo (anche quello inerte) è un incrocio quasi indistricabile di percorsi di autocoscienza (pda).227 Vd. il relativo capitolo.87

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senso lato) e ne intuisce tutti i concretanti a monte (entro lo stesso limite). Per capire i significati di queste espressioni immaginate di guardare distrattamente un punto preciso del profilo di una mattonella collocata su un pavimento di cotto. Subito dopo aver percepito tale punto inizierete magari a riflettere su cosa stiate osservando. Poi la vostra percezione o riflessione si appunterà su altri elementi. Ognuno degli elementi, per un istante, è stato intuito, poi percepito nella sua struttura, poi abbandonato per intuirne un altro, ecc... In questo schema, molto semplice, si alternano due tipi di elementi: un concretante-strutturante seguito da uno strutturante-concretante. Possono esservi anche schemi composti da ulteriori elementi228, corrispondenti ad altri assoluti originari. L’importante per ora è capire come si comportano gli elementi strutturanti-concretanti e quelli concretanti-strutturanti, poiché ci danno la percezione cd. fisica, che chiamo “pensiero”, perché è lo stato più volatile ma più precisamente strutturato. Ma possiamo percepire anche altri stati di autocoscienza diversi dal pensiero. Anche in essi ci può essere l’unico elemento (per ipotesi diverso anche dallo strutturante-concretante e dal concretante-strutturante) in quell’istante più altamente attivato229.

La nostra percezione e la nostra comprensione immediata della realtà sono quindi legate allo schema configurazionale del pensiero, che collega coppie di elementi appartenenti a due categorie: il concretante-strutturante (d’ora in poi anche: “cs”) e lo strutturante-concretante (d’ora in poi anche: “sc”). Lo schema configurazionale del pensiero può quindi essere reso come una catena così formata: “cs-sc-cs-sc-cs-sc…”. Facendo una prova, ciascuno di noi può verificare la bontà di tale schema, che però non si applica solo ai cd. pensieri consapevoli, ma anche a quelli inconsci. Nel linguaggio comune tali ultimi schemi non sono considerati veri e propri pensieri. Essi, peraltro, tendono a subire più facilmente lo sfrangiamento. Per una comprensione su come tale sfrangiamento possa funzionare, si rimanda al relativo capitolo.

Si noti, comunque, che lo schema del pensiero permette di percepire la strutturazione della realtà e d’intuirne alcuni collegamenti “concreti” (cioè gli elementi cs a monte di quello attivato nel livello più alto della coscienza230). Lo schema del pensiero non va confuso con lo schema dalla forma semplificata, che può esprimersi in vari stati di autocoscienza (tra cui il pensiero, ma non forse il sentimento). In proposito rimando alle definizioni date in questo e nei precedenti capitoli.

Lo schema analogico è uno schema che descrive i collegamenti interni al singolo elemento analogico. Per distinguere lo schema analogico da quello configurazionale si deve quindi sapere quali tipi di collegamenti analogici uniscono tra loro gli elementi analogici: ogni ulteriore collegamento analogico, che sia diverso da tale tipo di collegamento, fa parte dello schema analogico di un singolo elemento o di un pdac (percorso di autocoscienza di controllo231) che collega tra loro vari elementi. Gli elementi diversi dall’afc232 si collegano all’elemento successivo grazie ad un’analogia indiretta233. L’afc, invece, si collega al successivo cs grazie ad un collegamento analogico del tipo ASg-ASg234, che però potrà essere distinto dagli altri numerosissimi collegamenti dello stesso tipo grazie ad alcuni criteri discretivi, che indico in una nota 228 Mi riferisco agli elementi afc, ufc e gp, sopra spiegati in apposite note.229 Nel sogno-evento (che è la cd. rielaborazione successiva ad un sogno o ad un evento) l’osservatore può rimanere assorto in una percezione immediata; nel sentimento ci si concentra soprattutto su un paradigma (elemento ufc).230 Mi riferisco al primo livello configurazionale. E’ il livello in cui l’attenzione dell’organismo autocosciente si concentra su un singolo elemento di un singolo pda, scorrendo a valle, da un elemento a quello successivo dello stesso pda. Altri livelli, come ad esempio il quarto, diffondono l’attenzione su più elementi, al fine di configurare nuovi paradigmi ed accedere così a nuove configurazioni analogiche, oppure la diffondono, come ad esempio il secondo, al fine di rilassare l’osservatore e renderlo recettivo a nuove intuizioni.231 Vd. il relativo capitolo.232 L’elemento analogico afc (acronimo che sta per: “astraente – falso concretante”) è quell’elemento più direttamente e strettamente collegato alla configurazione dell’astraente-concretante, la cui funzione è quella d’introdurre la facoltà d’intuizione astraente, cioè un’intuizione cangiante che predispone una parte della propria informazione analogica per la sostituzione con un’altra informazione analogica non predeterminabile.233 Un’analogia indiretta è un’analogia tra due elementi (per l’appunto “analogici”), tale che sia possibile inserire un novero ampio di ulteriori analogie tra gli elementi stessi. Ciò non toglie che, nella costruzione di un pda, due elementi siano più strettamente collegati (tra le varie analogie indirette possibili) proprio da una certa analogia indiretta. Tale collegamento rimane il più stretto (fra quelli analogici indiretti), finché non interviene un’ulteriore analogia indiretta a frammettersi tra i due elementi. Ciò può avvenire grazie ad un pda di controllo o ad un pda di disturbo (vd. i relativi capitoli).234 Vd. il capitolo sull’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica.88

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inserita nel capitolo sullo sfrangiamento. I collegamenti interni allo schema analogico sono del tipo ASg-ASg: essi permettono di collegare l’elemento analogico a molte configurazioni analogiche (in cui si aprono appositi sub-pda nascosti), senza che l’osservatore se ne accorga né possa ricostruire con esattezza tali sub-pda. La funzione di questi sub-pda nascosti e dei collegamenti ineffabili che ne coordinano l’informazione è d’inserire l’osservatore nel “non-so-che” percettivo. Tale non-so-che abbraccia sia la percezione immediata o di sfondo, nella sua capacità di coerenza con la percezione intuitiva e con quella logico-strutturale, sia queste ultime due forme di percezione, sia infine l’intuizione concreta e la comprenzione intellettiva. Tali ambiti sono in parte gestiti anche a livello di schema configurazionale, che però si appoggia allo schema analogico per introdurre in essi il citato non-so-che, di cui finora molti teologi e filosofi, nonché poeti, scienziati e perfino professionisti di qualunque altro tipo hanno parlato e di cui hanno tessuto le lodi o narrato i terrori. Il non-so-che è quell’intuizione dell’osservatore che ho chiamato, più volte, con il nome di elemento grafèico puro. Tale elemento viene da me teorizzato, nel saggio in via di redazione Trinità o funzioni conoscitive?, come funzione conoscitiva che l’osservatore può personificare, riconoscendo il progetto che esso esprime sulla realtà. Si possono stabilire delle partizioni all’interno dello schema analogico, che sequenziano e stratificano a fasci i collegamenti analogici ineffabili235, gestiti dal non-so-che, al fine di rendere coerente la percezione (nelle sue tre tipologie sopra indicate), nonché la funzione intellettiva e quella intuitiva. Tali sequenze, nonché i loro fasci (che sopra ho chiamato “elementi fsc e fcs”: vd. relative note), sono analizzate in alcune note del capitolo sullo sfrangiamento. Ma la nota che, in tale capitolo, spiega in modo più approfondito il funzionamento dei collegamenti del tipo ASg-ASg è questa. E’ nel capitolo sullo sfrangiamento, infine, che si darà una visione complessiva e integrata dei due schemi, che assumeranno così il nome congiunto di schema analogico-configurazionale, in quanto sono pensati per dare risultati comuni grazie alla loro straordinaria complementarietà.

[Torna indietro al capitolo sulla materia]

235 Tali collegamenti, che più sopra chiamo “del tipo ASg-ASg”, sono trattati nel capitolo sulla analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche.89

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6. Schemi specifici di stati di autocoscienza (esclusa la fùsis)

Per conoscere il vero portato degli stati di autocoscienza (d’ora in poi, anche: “sa”) nel linguaggio analogico-configurazionale, bisogna individuare per ciascuno di essi uno specifico schema. Lo schema configurazionale serve infatti a comprendere e prevedere le interrelazioni tra elementi analogici e altre figure della presente teoria (quali, in primis, le configurazioni analogiche e i percorsi di autocoscienza – d’ora in poi, anche: “pda”). Non occorre, quindi, ulteriormente indugiare: mi cimenterò nell’esposizione degli schemi, corrispondente al modello di ciascuno stato di autocoscienza. Noteremo come tali schemi siano comprensibili fino in fondo solo grazie allo studio dei livelli configurazionali, che tuttavia sono costretto a rinviare ad un apposito capitolo.

Lo schema configurazionale del sogno-evento è propriamente lo schema del terzo livello configurazionale. Per una sua graficizzazione, si veda la relativa figura. Senza addentrarmi su cosa sia un livello configurazionale, per cui rimando al relativo capitolo, qui giova solo precisare lo schema in base a cui si ha la sequenza degli elementi analogici del sogno-evento. Gli elementi che si trovano in detta sequenza appaiono all’osservatore come del tutto equiparati tra loro. Tuttavia molti dei collegamenti tra un elemento e quello successivo sono costituiti da veri e propri salti paradigmatici, mentre molti elementi che troveremmo negli schemi degli sa più spessi qui non vengono riprodotti (nel sogno-evento, infatti, si economizza molto sugli elementi diversi dagli ufc e dagli afc, esprimendo quasi solo questi ultimi due tipi analogici). Tali salti paradigmatici (che implicano un cambio di paradigma, ai fini della comprensione logica della sequenza degli elementi), tuttavia, non vengono caricati nella coscienza dell’osservatore, che quindi li scambia per mere analogie indirette (cioè analogie che possono essere ulteriormente specificate, grazie ad ulteriori analogie intermedie, che si frappongano tra i due elementi analogizzati, senza alcun cambio di paradigma). Solo meditando sul sogno-evento e interpretandolo, l’osservatore può individuare i salti paradigmatici e caricarli nella propria coscienza, acquisendone la forza intuitiva ed il potere intellettivo. Ma per far ciò deve uscire dal livello configurazionale in cui si trova (il terzo) ed entrare nel quarto livello configurazionale, che gestisce appunto l’interpretazione dei singoli salti paradigmatici. Ne consegue che un sogno-evento può essere anche un’intuizione subitanea, ricevuta dall’osservatore al di fuori del sonno REM, purché segua lo schema dianzi descritto. Sogno-evento, peraltrò, non potrà essere chiamato il sogno nella fase rem, poiché questa è totalmente inconscia, ma semmai la costruzione che se ne fa al risveglio. Allo stesso modo, se leggo in terza media una pagina sulla Rivoluzione Francese, essa può costituire un sogno-evento, purché ne rimanga qualche elemento subito dopo; quando la rileggo, interpretandola al liceo, invece, potrebbe già configurarsi come interpretazione (quarto livello).

In sintesi, potremmo raffigurare lo schema del sogno-evento nel seguente modo: “EA(ufc)236- EA(afc)237-…(ripetizione ad libitum della sequenza suelencata, con rare inserzioni di elementi concreti, logici e percettivi238)”.

Lo schema configurazionale del pensiero è la sequenza di elementi “concretanti-strutturanti” (cs) e di elementi “strutturanti-concretanti” (sc)239, che si svolge nello schema del primo livello configurazionale240,

236 Con l’acronimo “EA(ufc)” mi riferisco ad un elemento analogico corrispondente ad un elemento ufc (cioè un paradigma specifico di una configurazione analogica: vd. definizione nelle note precedenti e nel capitolo sullo sfrangiamento), senza che l’osservatore possa interpretarlo come tale.237 Con l’acronimo “EA(afc)” mi riferisco ad un elemento analogico corrispondente ad un elemento afc (cioè un elemento intuitivo che sottrae l’attenzione da elementi estranei da quelli della configurazione analogica di arrivo: vd. definizione nelle note precedenti e nel capitolo sullo sfrangiamento), senza che l’osservatore possa interpretarlo come tale.238 Con il termine “elementi percettivi” mi riferisco ad elementi percepiti senza riferimento ad elementi concreti o logici, cioè a quella percezione inconscia (costituita da elementi che, nel capitolo sullo sfrangiamento, chiamerò “gp”) che rende più vivida o espressiva l’osservazione.239 Per la spiegazione del significato di questi elementi, vd. il capitolo sugli assoluti. Tali elementi vengono ancor più esaurientemente spiegati nel capitolo sullo sfrangiamento, che tuttavia non è ancora comprensibile al lettore, senza l’acquisizione dei capitoli relativi all’onda formaturale e all’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica.240 Si tratta del livello della immediata percezione, intuizione e comprensione (intellettiva) della realtà: in tale livello vi è una coscienza debole, a meno che non intervenga un pdac (percorso di autocoscienza di controllo) a rendere consci gli elementi. Per esempio, quando si guida sovrappensiero e non si fa caso alla strada, i pda relativi alla guida 90

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tra i due estremi del sub-pda241 (e cioè tra l’elemento “astraente falso - concretante” (afc) e l’elemento “universalizzante - falso concretante” (ufc)242). Per una graficizzazione dello schema del primo livello configurazionale, rimandiamo alla relativa figura. In tale livello i salti paradigmatici non sono percepibili, come non lo sono nel sogno-evento, tuttavia non si può accorciare lo schema (come si fa nel sogno-evento, in cui si riducono al minimo gli elementi analogici diversi da ufc e afc), risultando così indispensabile seguire l’intera sequenza di elementi che sono richiesti, dal punto di vista intuitivo, sulla base dell’onda formaturale243 e dei ponti mistici244 cui il pda si appoggia.

In sintesi, lo schema del pensiero è il seguente: “afc-cs-sc-gp-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc-gp”)-ufc”. Per la spiegazione di tali elementi (afc, ufc, cs, sc e gp), vd. le note precedenti e il capitolo sullo sfrangiamento. L’elemento gp, nel pensiero cosciente (cioè nel pensiero del primo, quarto o quinto livello configurazionale), diventa così esile che può addirittura essere quasi sempre omesso. Si avrà così un secondo schema del pensiero: “afc-cs-sc-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc”)-ufc. Lo schema

(percezione degli ostacoli, sensazioni relative ai pedali, al cambio e al volante, tecniche per il mantenimento del veicolo sulla strada, ecc…) si trovano nel primo livello configurazionale. Se richiamo alla mente le manovre fatte durante il tragitto nell’immediatezza del tragitto stesso, tali pda rimangono nel primo livello, altrimenti scivolano nel secondo livello (quello dell’inconscio): a quel punto, arrivato a destinazione, non riesco a ricordarmi alcuna delle manovre fatte e delle cose viste durante il tragitto.241 Il sub-pda è una sezione del percorso di autocoscienza (pda), che è delimitata da due salti paradigmatici, che si trovano all’inizio e alla fine della sezione stessa.242 Gli elementi afc e ufc sono spiegati analiticamente nel capitolo sullo sfrangiamento, che per ora non è comprensibile al lettore (per mancanza di lessico specifico). Si consideri che l’ufc è la costruzione intellettiva del paradigma specifico della configurazione che segue, all’interno dello schema del pda (percorso di autocoscienza); invece l’afc è la costruzione intuitiva, del tutto inconscia, che introduce l’osservatore dalla concezione del paradigma (ufc) nel primo elemento analogico concreto (che abbiamo sopra acronimizzato come cs). Nello schema di un sub-pda, cioè di una sezione di pda che si svolge all’interno di una specifica configurazione, il primo elemento è l’afc, che però è immediatamente preceduto dall’ultimo elemento (ufc) del sub-pda precedente, mentre l’ultimo elemento è l’ufc che introduce al sub-pda successivo. Nel mezzo tra il primo elemento (afc) e l’ultimo (ufc) vi sono tre tipologie di elementi: cs, sc e gp. Tali categorie di elementi saranno spiegate analiticamente nel capitolo sullo sfrangiamento: qui basti sapere che il cs è l’elemento intuitivo concreto (su cui si posa l’attenzione dell’osservatore), il sc è l’elemento logico-strutturale (o intellettivo), il gp è l’elemento percettivo (che non costituisce però la percezione dell’elemento concreto né la percezione dell’elemento logico-strutturale, ma una percezione immediata della realtà che con essi si collega senza ridursi nemmeno tendenzialmente ad essi). Nello schema del pensiero il gp non è presente, poiché tendenzialmente si ha solo la percezione intuitiva e quella logico-strutturale, che sono componenti, rispettivamente, degli elementi cs ed sc. Nel capitolo sullo sfrangiamento apprenderemo che lo schieramento più completo di elementi analogici, nello schema di sub-pda, è quindi il seguente: “afc-cs-sc-gp-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc-gp”)-ufc”. Si noti che ogni elemento cs è seguito da un elemento sc, che è poi seguito da un elemento gp, e così via, fino ad esaurimento del contenuto analogico della sequenza. Nello schema specifico del pensiero, mancando gli elementi gp, lo schema sopra riportato viene semplificato così: “afc-cs-sc-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc”)-ufc”.243 L’onda formaturale in senso lato, cui qui ci si riferisce, è il novero di collegamenti intuitivi agli elementi (concreti e logici) a monte. Tale novero di collegamenti ispira e nutre di senso, in base al finalismo dell’osservatore, il collegamento immediatamente successivo nello schema configurazionale. Nel novero di collegamenti a monte che costituiscono l’onda formaturale vi sono solo quelli che formano il pda stesso e gli elementi a questo immediatamente collegati nei pda che lo incrociano.244 Il ponte mistico è un salto paradigmatico inconscio, che viene subito dall’osservatore in corrispondenza dell’opera di un mittente telapatico. E’ una situazione che costella in modo capillare ogni nostro pda, in quanto in una società e una natura così complesse non c’è sostanzialmente spazio per pda che non si appoggino intensamente a salti paradigmatici configurati da altri. Si consideri che nell’età dello sviluppo ogni essere umano compie (suppongo) almeno migliaia di salti paradigmatici consapevoli, ma che essendo indispensabili molti più salti paradigmatici per sopravvivere nella società si abitua anche ad appoggiarsi ai salti paradigmatici configurati da altri e trasmessi telepaticamente. I cd. telepati veri e propri trasmettono messaggi spesso più banali di un salto paradigmatico, oppure quei ponti paradigmatici che non sono supportati da una trasmissione telepatica già istituzionalizzata nella società. Le masse (anche quelle dei professionisti e funzionari di vario tipo) sono invece ammaestrate a trasmettere messaggi telepatici che consentano agli altri salti paradigmatici inconsci (che chiamo “ponti mistici”, poiché i mistici sono coloro che tradizionalmente, in Occidente, si sono occupati di questo tipo di trasmissione, anche se come meri ricettori). L’argomento sarà trattato approfonditamente nel capitolo sul salto paradigmatico.91

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effettivo, nella prassi, sarà un andirivieni tra il primo e il secondo schema testé proposti, con prevalenza del secondo qualora ci si trovi prevalentemente in stato conscio. Si noti che è in stato inconscio (2l) e in stato onirico (3l) che lo schema del pensiero ospita anche la percezione immediata, sotto forma d’ifscβ. Quindi la fase di passaggio tra il primo e il secondo schema si avrà poco dopo il drenaggio dell’afc. Per una graficizzazione del passaggio fra i tre tipi di schema (1. sub-pda con afc non drenato (primo schema del pensiero) 2. primi elementi risultanti dal drenaggio dell’afc 3. secondo schema del pensiero), vd. la figura sottostante.

Non è detto che si arrivi al salto paradigmatico (riportato per completezza, in quest’ultimo grafico, come elemento “ufc”), ma se vi si arriva e lo stesso stato di autocoscienza permane anche dopo tale salto, per includerlo nello schema è sufficiente ripetere una seconda volta lo schema stesso. Questo aspetto vale per ognuno degli schemi che saranno presentati nel prosieguo di questo capitolo: pertanto non starò a ripeterlo. Si può ricavare che nel passaggio dallo stato inconscio a quello conscio, e cioè nel drenaggio dell’afc, l’ifscβ non passi alcuna informazione agli elementi analogici successivi (salvo le prime gp che possono comparire nello schema), disperdendo quasi completamente l’informazione stessa sulla percezione immediata (non segue, infatti, quasi alcuna gp: nel grafico ne ho riportata, a titolo esemplificativo, solo una). L’unica forma di resilienza per tale informazione è rappresentata dalla resa della sua coerenza negli elementi analogici successivi, in grazia del drenaggio dell’ifscα.

Lo schema configurazionale della sensazione è come uno schema del pensiero, alternato con sezioni di schema del primo livello configurazionale (vd. il link soprastante). Infatti la sensazione vuole pervenire ad un certo elemento analogico di tipo concreto245 (qui acronimato come cs). Se per esempio l’osservatore

245 La differenza tra questo elemento concreto e la percezione desiderata nell’emozione è che esso non è un elemento analogico di tipo gp: cioè non è un elemento che esprime un “non-so-che” percettivo rispetto all’elemento concreto (che, pur avendo una componente percettiva, è quell’elemento analogico su cui propriamente si concentra 92

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sente una sensazione di dolore, cercherà di raggiungere la quiete dal dolore adoperando il pensiero e gli elementi percettivi grazie a questo messi in atto. Se, per esempio, mi sono bruciato un dito, penso che per ridurre il bruciore e la zona lesa dall’ustione devo mettere il dito sotto l’acqua fredda: nel mentre che penso questo, sto già movendo le braccia e le mani per operare la percezione immediata del freddo sul dito. Non essendoci un rapporto di alterità tra il mio organismo e l’ambiente esterno, né tra una parte pensante e una agente del mio organismo, lo schema del pensiero può gestire anche i movimenti del corpo, ma non può gestire le percezioni immediate e il loro collegamento immediato agli elementi concreti e logici. La sezione di schema del pensiero è quindi funzionale ad impostare al meglio, con eventuali tentativi (nel caso manchi una sufficiente conoscenza del rapporto del corpo con l’ambiente interno ed esterno), la sezione di schema del primo livello configurazionale (in cui si aggiungono elementi di percezione immediata, che nel capitolo sullo sfrangiamento ho acronimato come “gp”).

In sintesi, lo schema della sensazione è il seguente: “afc-cs-sc-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc”)-cs-sc-gp-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc-gp”)-ufc”.

Lo schema configurazionale dell’emozione ripete più volte lo schema della sensazione, alternandolo ogni volta con un percorso di autocoscienza di controllo (d’ora in poi, chiamato anche: “pdac”), finché l’osservatore non perviene alla percezione desiderata o ad una percezione surrogata. I pdac servono appunto a verificare come mai non si è arrivati ancora alla percezione desiderata e a modificare l’onda formaturale degli elementi del pda (percorso di autocoscienza), al fine di agevolare il raggiungimento di tale percezione. Si ricordi che nello schema della sensazione ci sono a sua volta due sezioni: una del pensiero e una del primo livello configurazionale (che gestisce la percezione immediata246 della realtà). Se si arriva subito alla percezione desiderata (o almeno ad una percezione surrogata non particolarmente infima), è ben possibile che nello schema dell’emozione vengano del tutto meno i pdac.

In sintesi, lo schema dell’emozione è il seguente: “afc-cs-sc-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc”)-cs-sc-gp-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc-gp”)-pdac-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema precedente, ad esclusione dell’afc iniziale ed eventualmente anche ad esclusione dei sub-schemi “cs-sc”)-ufc”. Si può semplificare lo schema sostituendo il sub-schema della sensazione con la parola “sensazione”. Ecco come risulta lo schema semplificato: “sensazione-pdac-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema precedente)-ufc”. C’è tuttavia un errore sostanziale, in entrambi gli schemi (completo e semplificato). La ripetizione dell’intero schema, dopo l’elemento ufc, non è eventuale come nel pensiero e nella sensazione. Visto che la percezione desiderata, per essere tale, deve essere sempre nuova, ed anche quella surrogata, per arrivare a colmare il finalismo dell’osservatore (anche se in un modo che potremmo considerare illusorio), deve alterare anche in piccola parte una configurazione già esistente, occorre sempre la duplicazione dello schema. Si deve cioè sempre considerare che dopo l’elemento ufc, lo schema si ripete varie volte (integrando l’accesso a precedenti o nuove configurazioni), finché non viene raggiunta una specifica configurazione analogica, che sia nuova per l’osservatore: mi riferisco a quella che contiene l’elemento gp (ovverosia la percezione immediata) che soddisfa il finalismo dell’osservatore. Non è infatti possibile soddisfare un’emozione, senza un salto paradigmatico specifico. Ciò in quanto la percezione, desiderata o surrogata, non può essere già reperita nelle configurazioni già disponibili all’osservatore. Grazie alle emozioni, quindi, l’essere ci sprona a trovare qualcosa di sempre nuovo. Per argomentarlo adopererò un esempio in campo erotico. Poniamo che un maschio adulto di nome Jury sia avvicinato, con un approccio sessuale esplicito, da un individuo del sesso per lui erogeno che gli risulti particolarmente avvenente, in un momento specifico in cui l’appetito sessuale sia in Jury particolarmente sollecitabile. Ho scelto un maschio, per l’esempio, poiché sono maschio anch’io: pertanto posso dire d’intendermene di sessualità maschile. Ebbene Jury non riuscirebbe a raggiungere l’emozione sessuale immediatamente, nemmeno se conoscesse l’altra persona a menadito, ma dovrebbe innescare alcuni pensieri e sensazioni, fino ad arrivare a portare le sensazioni stesse al loro stato convulso o comunque esponenziale: a quel punto

l’attenzione dell’osservatore). L’elemento gp è cioè quella percezione trasognata o inconscia, che interferisce con l’organismo dell’osservatore, ma senza che esso possa concentrarvi l’attenzione né possa strutturarla logicamente.246 La percezione immediata della realtà, tipica del primo livello configurazionale – giova ripeterlo -, è espressa dagli elementi gp, che sono elementi di percezione che danno un “non-so-che” ulteriore rispetto alla percezione intuitiva degli elementi concreti e alla percezione strutturale degli elementi logici (pur presenti anche nello schema del primo livello in parola).93

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potrebbe arrivare alla percezione che lo soddisfa. In rari casi, quando la situazione è già costruita da precedenti pensieri e sensazioni, sembra che la percezione desiderata sia raggiunta immediatamente, ma se analizzate meglio ciascuna di tali situazioni, scoprirete che c’è stata una preparazione precedente. E’ il tipico caso dell’emozione che si scatena istantaneamente alla percezione di un certo odore o profumo. L’elemento gp (di percezione immediata) va in tal caso ad incrociare un sub-pda che gestisce un ricordo lontano ma intenso, che era rimasto sepolto nella memoria, insieme a successivi sub-pda a valle che si muovono in configurazioni mancanti di alcuni elementi indispensabili per configurarsi. Ebbene, nel momento in cui l’elemento gp (odore o profumo) va ad incrociare il primo sub-pda, gli elementi mancanti per configurare le successive configurazioni sono stati frattanto ripristinati e (con ogni probabilità) profondamente innovati, al punto che i sub-pda successivi sono vissuti più intensamente (in senso emozionale) rispetto a come ipoteticamente ci si ricorda di averli vissuti. Il passaggio dal primo sub-pda al successivo è consentito, come sempre accade, da un salto paradigmatico (nella fattispecie, un salto paradigmatico conscio, per quanto serendipico). E’ ovvio che molti aspetti di questo capitolo risulteranno molto più chiari, qualora sia stato letto il precedente capitolo sulla configurazione analogica, in cui si spiega il funzionamento del salto paradigmatico.

Lo schema configurazionale del sentimento è una sequenza di emozioni, quindi può essere espresso come una reiterazione dello schema dell’emozione. Ciò che non emerge dallo schema è il finalismo che c’è dietro al sentimento: evitare una percezione esecrata. Le emozioni nutrono dunque il sentimento, mantenendolo vivo, in quanto il sentimento sopravvive solo in grazia del proprio finalismo. Se il finalismo diventa ripetutamente irrealizzabile, decade: per evitarlo occorre strutturare il più possibile l’organismo (in uno o più dei suoi sistemi configurazionali) per evitare tali frustrazioni. Le emozioni, comportando salti paradigmatici orientati verso percezioni desiderate, vanno a strutturare appunto l’organismo (che è un intreccio di pda, che si muovono entro configurazioni analogiche) per ripristinare il suo rapporto di soddisfazione nei confronti dell’ambiente interno (coscienza) ed esterno (società, natura). E’ evidente come tale rapporto di soddisfazione mette in grado l’osservatore di concentrarsi sull’evitamento della percezione esecrata, ogni volta che l’equilibrio con l’ambiente interno od esterno venga messo in crisi. Se invece le emozioni fossero le prime ad essere frustrate, il finalismo del sentimento non potrebbe nemmeno decollare, figurarsi se potrebbe mantenersi vigile e corroborato. Il sentimento, se decolla, plasma l’organismo inconscio e l’ambiente interno (organismo cosciente) ed esterno (società, natura): ha quindi un ruolo evolutivo centrale e trainante nell’essere. Per questo nelle sacre scritture di ogni civiltà si pongono con forza le questioni sentimentali dell’essere supremo, o quantomeno di entità superiori agli uomini.

In sintesi, lo schema del sentimento (in cui si reiterano le emozioni, con saltuari o frequenti pdac247 - tra un’emozione e l’altra – per verificare che la percezione esecrata sia logicamente escludibile) è il seguente: “afc-cs-sc-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc”)-cs-sc-gp-….(ripetizione ad libitum del sub-schema “cs-sc-gp”)-pdac-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema precedente, ad esclusione dell’afc iniziale ed eventualmente anche ad esclusione dei sub-schemi “cs-sc”)-ufc-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema precedente)-pdac-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema precedente)-pdac conclusivo”. Il pdac conclusivo è quello che sancisce l’escludibilità logica della percezione esecrata dall’osservatore o, al contrario, la frustrazione del sentimento per l’inevitabilità logica di tale percezione. Le percezioni esecrate da un sentimento sono in funzione conservativa di una relazione, tendenzialmente interpersonale (ma che può essere anche più legata alla reiterazione di emozioni legate a luoghi o situazioni). Ma anche quando il sentimento è legato a tali emozioni, punta sempre ad evitare la percezione che ne sancirebbe l’impossibilità logica. Chi, per esempio, resistesse alla “tentazione” di generare figli, per paura di perdere certe proprie abitudini da uomo di mondo, starebbe coltivando un sentimento la cui percezione esecrata sarebbe appunto ogni legame umano che escludesse logicamente la possibilità di rivivere le abitudini suddette. Se tale soggetto comprendesse che altre situazioni potrebbero effettivamente opporsi alle sue abitudini mondane, come malattie gravi o restrizioni di altro tipo alla propria libertà di movimento, il novero di percezioni esecrate aumenterebbe.

Lo schema configurazionale non è sufficiente a capire a fondo sensazioni, emozioni e sentimenti. Per essi occorre anche lo studio delle innervazioni dell’elemento gp e del loro intreccio, che saranno oggetto del

247 Pdac = percorso di autocoscienza di controllo.94

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capitolo sullo sfrangiamento e del capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni analogiche remote.

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7. L’onda formaturale (d’ora in poi: “on.for”) e l’energia di attivazione (d’ora in poi: “en.att”)[i]L’on.for è una configurazione analogica, costituita e mossa da un’analogia singolare creazionale248 che ha

invaso l’intera rete analogica, ad esclusione della matematica assiomatico-deduttiva249 (quella matematica che adopera deduzioni basate su assiomi, che corrispondono ad assoluti derivati). Nella matematica assiomatico-deduttiva si fa rientrare anche il linguaggio digitale in senso stretto (= linguaggio binario). Il linguaggio digitale in senso lato, invece, è composto da quei pda250 che attraversano sia la porzione di rete analogica attratta dall’on.for, sia la porzione di rete analogica del linguaggio digitale in senso stretto.

L’on.for permette i salti paradigmatici, invece la matematica assiomatico-deduttiva non li consente. Pertanto nella matematica assiomatico-deduttiva non si può passare da una configurazione analogica all’altra. Ciò significa che anche la matematica assiomatico-deduttiva costituisce una configurazione analogica a parte, che attira molte configurazioni in un sistema configurazionale251 in cui non si può passare da una configurazione all’altra. L’uomo non può aggirarsi solo nel sistema della matematica assiomatico-deduttiva, ma ogni suo percorso di autocoscienza ha necessariamente uno o più tratti nel macro-sistema dell’on.for. Vedremo tra breve il perché.

Lo schema dell’analogia singolare creazionale è molto specifico: esso sarà spiegato nel saggio Trinità o funzioni conoscitive?252. Ciò che occorre qui sapere è che un’analogia di questo tipo crea una distorsione e un riadattamento radicale nella porzione di rete analogica che riesce ad attrarre253. La conseguenza di tale riadattamento non può essere saggiata come effetto di una causa specifica, in quanto la stessa attività conoscitiva dell’osservatore-uomo ne viene distorta e non può in alcun modo prescinderne. L’unico modo per studiare il funzionamento del sistema configurazionale che ne scaturisce, è adoperare il paradigma fondamentale del sefèr (= “conto, racconto, discorso che convince”). Bisogna cioè raccontare in modo convincente il funzionamento dell’onda formaturale. Ogni racconto – è fatale – contiene una componente cronologica. Non possiamo escludere del tutto tale componente cronologica, se non addentrandoci in configurazioni davvero remote rispetto a noi. L’utilità di escludere l’aspetto cronologico è quindi dubbia. Basterà ricordarsi che il chrònos, che adoperiamo per capire il sistema configurazionale dell’on.for, non esiste ma funziona ai nostri limitati e specifici fini254.

248 Per la spiegazione di cosa sia l’analogia singolare creazionale, si rimanda ad altra nota precedente.249 In altri capitoli ed opere mi è capitato di chiamare tale matematica con l’appellativo di “occidentale”.250 Pda = percorso di autocoscienza.251 Un sistema configurazionale è un sistema di configurazioni analogiche, che hanno nel complesso una loro autonomia (sia funzionale che strutturale) rispetto al resto della rete analogica delle cose esistenti. Si tratta di complesse architetture di pda, che formano un sistema in sé coerente, al livello delle funzioni intuitiva e intellettiva, ma non isolato. I sistemi possono entrare in sinergia tra loro oppure in lotta per la sopravvivenza. Tale lotta consiste nello strappare più configurazioni possibili (o nel crearne di più significative) rispetto agli altri sistemi concorrenti, al fine di riassorbirli al proprio interno e diventare così un sistema di sistemi configurazionali (quale è senz’altro il sistema dell’on.for), che per semplicità chiamo anche “macro-sistema”. Ma in ogni caso anche i sistemi in lotta, come quello della matematica assiomatico-deduttiva e quello dell’on.for, acquisiscono una sinergia mutevole a secondo delle situazioni configurazionali. [Torna indietro al capitolo sul vivente]252 E’ un’opera in via di redazione, che sarà pubblicata sul sito www.bridge4will.net. 253 Nel linguaggio analogico-configurazionale, si può descrivere l’analogia singolare creazionale come il collegamento diretto (cioè costituito da un’ASg di ASg) tra l’elemento ufc, che precede l’afc, e l’elemento cs, che segue immediatamente l’elemento afc. Tale collegamento diretto costituisce, quindi, la possibilità stessa del metodo delle spire di fumo (msf), nel quale non è possibile caricare a dovere l’afc, e collega instancabilmente l’intera rete analogica. Il msf è quindi agevolato dall’analogia creazionale, che rende provvisoriamente configurazione creazionale ogni configurazione per cui passa l’osservatore-uomo con il msf. Una configurazione creazionale è capace d’innescare il msf in modo inconscio nell’uomo-osservatore, diventando così un crocevia ineliminabile per moltissime configurazioni. Questa è la ragione del successo delle configurazioni creazionali (i cui stadi di sviluppo sono i seguenti: 1) sistema configurazionale; 2) sistema di sistemi configurazionali; 3) assoluto originario.254 Con l’espressione “non esiste” intendo dire che l’assoluto derivato del chrònos è solo un collettore di percorsi di autocoscienza: non ha in sé quella forza e movimento evolutivo della realtà che chiamo essere. Si pone, quindi, nella via cd. del non-essere, in cui si compie l’assestamento razionale di ogni nuovo paradigma e configurazione analogica che scopriamo. Quindi, una volta scoperto il paradigma e la configurazione analogica dell’on.for, dobbiamo assestare a livello logico la nostra scoperta, grazie al paradigma fondamentale del sefèr, che non può eliminare del tutto dal 96

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L’on.for è quindi anche un paradigma fondamentale (in quanto non si può prescindere da esso per una comprensione profonda a piacere della realtà), ma molto peculiare. Non è un assoluto originario: infatti si trovano moltissime configurazioni analogiche escluse dal suo macro-sistema (quelle appartenenti al sistema della matematica assiomatico-deduttiva). Non è un’alleanza scritturistica, come invece lo sono i paradigmi del sefèr, della grafé e della libera interpretazione/costruzione della realtà. Tali paradigmi sono spiegati in vari passi della mia opera saggistica, ma più specificamente (almeno per adesso) in Analogia singolare. L’opera in cui dovrebbero trovare più ampia spiegazione è però Trinità o funzioni conoscitive?. Ma perché l’on.for non è un’alleanza scritturistica? Perché non tende ad attrarre nuove configurazioni analogiche creazionali. Pur essendo un’analogia creazionale, non ha la funzione di volano di ulteriore creazionalità (cioè non funge da stimolo perché l’osservatore-uomo partecipi alla costituzione di nuovi sistemi creazionali). Ha quindi un ruolo statico, in quanto la sua diffusione nella rete analogica non muove un solo passo, ma ha anche un ruolo estremamente attivo, in quanto gestisce la formazione e continua rimodulazione dei pda255 e quindi anche dei loro paradigmi.

Quando nei miei saggi faccio riferimento all’energia di attivazione o alla carica energetica, mi riferisco alle specifiche conformazioni che l’on.for può assumere in un certo pda o sistema di pda. Dedicherò un apposito saggio a tali conformazioni, che costituiscono quella che chiamo “teoria dell’energia256”.

Questo paradigma fondamentale ha un’ulteriore caratteristica peculiare. Mentre gli altri paradigmi fondamentali, prima di poter operare, necessitano in talune configurazioni - ormai quasi completamente ingolfate per l’assestamento razionale dei percorsi cognitivi (pda) - di far compiere all’uomo il passaggio ad un’altra configurazione non ingolfata, l’onda formaturale non ne ha bisogno. Essa è infatti deputata a consentire detto passaggio, grazie al salto paradigmatico. Quindi ha collegamenti diretti257 in ogni configurazione analogica, ad esclusione di quelle appartenenti alla matematica assiomatico-deduttiva.

proprio discorso l’aspetto cronologico.255 Pda = percorsi di autocoscienza.256 Nella teoria dell’energia do quindi una definizione precisa di energia, a differenza della Scienza neopositivista che dà una definizione per ogni tipo di energia, tentando di unificarle con l’idea di lavoro (che dovrebbe accomunare tutte le forme di energia in un’unica definizione). Ma il lavoro, in fisica, fa riferimento ad entità materiali, la cui congruenza logica è ormai così discussa da far dubitare fortemente che si tratti davvero di una definizione unitaria.257 Alludo ai collegamenti del tipo ASg-ASg, interni ad ogni elemento analogico. Vd. il capitolo sulla analogia singolare grafèica di analogia singorare grafèica. Nel capitolo sullo sfrangiamento parleremo di sub-pda nascosti all’interno del sub-elemento fsc: ogni fsc ha dunque, tra i propri sub-pda nascosti, uno che è sito nella configurazione dell’on.for per ogni ASs che si genera. Il salto paradigmatico dello schema configurazionale, invece, è il frutto di un sub-pda nascosto (d’ora in poi: “s.nas”) negli fsc dell’ifscβ dell’afc, che genera il cs o l’ufc successivo. Per precisione, nell’ifscβ dell’afc vi sarà un s.nas che genera il cs successivo e un s.nas che genera l’ufc successivo. L’individuazione del fsc e, all’interno del suo schema analogico, del punto preciso in cui si colloca l’uno o l’altro di tali s.nas, è resa possibile dal procedimento di coerenza inversa (dall’ASs di coerenza si arriva cioè all’intera sub-sequenza successiva di “ASg-ASg-s.nas”). In una delle sequenze “ASs - sub-sequenza(ASg-ASg-s.nas)” si annida, cioè, il s.nas che genera il salto paradigmatico nello schema configurazionale. Esso non è individuato da una specifica codifica (che chiamo sub-pda di codifica o “s.cod”), ma si collega per coerenza (grazie all’ASs di trasduzione) all’ifscα, in cui si genera il primo elemento cs virtuale ed eventualmente anche il successivo elemento ufc virtuale. Dallo studio del capitolo sullo sfrangiamento si comprenderà come ciò sia reso possible dallo schema più complesso di analogia singolare, l’AS creazionale di AS creazionale (AScr2), che è resa dal seguente schema analogico: “ASs-ASg2-ASs”. La prima ASs (= analogia singolare sefèrica) è l’ASs di trasduzione, cui seguono una sequenza ininterrotta di ASg-ASg (che nascondono i s.cod): ho segnalato tale sequenza con la formulazione sintentica ASg2; infine la terza ASs è la prima ASs di coerenza dell’intera ifscβ dell’afc. L’intero sub-sistema costituito dall’ASs di trasduzione e dall’intera ifscβ è invero costituita da un’unica sequenza di AScr2 alternate ai collegamenti ASg-ASg, se ci si pensa bene. Lo stesso può dirsi del sub-sistema che si estende dalla prima ASs d’incoerenza dell’ifscα all’ASs di trasduzione. Le due innervazioni dell’afc possono quindi considerarsi una grande sequenza di AScr2 alternate ad ASg2, nella quale l’informazione analogica corre libera per rendersi coerente. La circolarità di questa spiegazione (che adopera lo schema “ufc-afc-cs” dei sub-pda dell’on.for per spiegare lo schema analogico dell’ufc-afc-cs di ogni s.nas e di ogni s.cod e lo schema configurazionale “ufc-afc-cs” non deve dare problemi poiché siamo in campo esoterico. Spiegheremo questa circolarità come una sorta di potenza virtualizzante e virtualizzata (come quella che crea la coerenza tra i corpi, i loro movimenti e il punto di vista dell’osservatore nella percezione a fuoco e sfocata) del grafèico puro. Tale potenza di coerenza circolare (tra gli schemi “ufc-afc-cs” dell’on.for e delle altre configurazioni, a tutti e due i livelli di schema - analogico e configurazionale) sarà quindi chiamata potenza simil-virtualizzante e simil-virtualizzata.97

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Si noti che nella matematica assiomatico-deduttiva, non essendo possibili i salti paradigmatici senza prima uscire dal suo sistema configurazionale, occorre sempre un collegamento diretto con la configurazione analogica che consente i pdac (percorsi di autocoscienza di controllo). Solo grazie ai pdac è infatti possibile, in un pda che non ha sbocco258, tornare indietro verso i sub-pda a monte259. Per cambiare paradigma, allora, in matematica assiomatico-deduttiva occorre uscire dal sistema configurazionale con dei pdac e poi rientrarvi nella configurazione che precisamente si voleva raggiungere260. Quindi anche questo sistema si serve, pur indirettamente, della configurazione dell’on.for261. Inoltre, grazie ai pdac può costituire i cd. algoritmi, cioè pdac ripetitivi ma privi di rimodulazioni ad opera di pda di disturbo. D’altronde il pda, quando entra nel sistema della matematica assiomatico-deduttiva, è privo di energia di attivazione (o carica formaturale)262. Quindi i pda di disturbo, anche se possono insinuarsi ad alterare i sub-pda giunti nel sistema della matematica assiomatico-deduttiva, possono essere filtrati e scartati con nuovi pdac finalizzati a ripristinare il sub-pda alterato (poiché la configurazione originaria non è soggetta ad alterazioni, mancandole la carica energetica263).

Qual è la distorsione che l’on.for opera nelle configurazioni del suo macro-sistema? Per comprenderlo dobbiamo studiare più attentamente il rapporto tra analogia singolare264 e configurazione analogica. Ogni analogia singolare costituisce e muove una configurazione analogica e solo quella. Ogni configurazione analogica, d’altronde, è costituita da una e una sola analogia singolare. Quest’ultima muove il novero di analogie indirette (che costituiscono anche vere e proprie differenze) tra gli elementi della configurazione. Ogni elemento analogico della configurazione, infatti, fa parte di una delle due serie di analogie indirette265 che caricano (cioè rendono intuitivamente comprensibile) l’uno o l’altro dei due elementi dell’analogia

258 Leggi “sbocco” come: “possibilità di salto paradigmatico”.259 Questi ultimi sub-pda, non potendo che appartenere al macro-sistema dell’on.for, hanno senz’altro la possibilità del salto paradigmatico.260 Ciò non esclude che un sub-pda, che si trovi in una configurazione esterna al sistema della matematica assiomatico-deduttiva, possa collegare i propri elementi a quelli di un sub-pda che ne faccia parte, al fine di ottenere un salto paradigmatico. Ciò che è impossibile è piuttosto che quest’ultimo sub-pda costituisca un pda-dist che va ad agganciare altri pda introducendo un nuovo salto paradigmatico. Il pda-dist è infatti quel sub-pda che va a configurare al suo interno un elemento comune a quello di un altro sub-pda (che chiameremo “pda di partenza”), per ampliare la propria onda formaturale e così compiere il salto paradigmatico. Il pda di partenza, invece, non è in grado di compiere il salto paradigmatico, ma viene spogliato della gemma apicale (cioè dell’elemento in grado di condurre al salto paradigmatico) dal pda-dist. Come spiegato nel capitolo sul pda-dist, quest’ultimo configura al suo interno un elemento che ha una parte della struttura logica in comune con un elemento del pda di partenza (e che viene chiamato elemento comune). L’elemento comune costituisce un’anomalia percettiva all’interno della configurazione del pda di partenza, ma non è anomalo all’interno del pda-dist: l’aspetto anomalo dell’elemento comune fa montare la tensione finalistica nell’onda formaturale, fino ad ottenere il salto paradigmatico (conscio per l’interprete, inconscio per il mero osservatore della realtà). Visto che l’elemento comune (configurato nel pda-dist) non è coincidente con l’elemento corrispondente del pda di partenza, in quanto residuano sempre ulteriori analogie indirette con altri elementi che possono specificare reciprocamente i due elementi, dobbiamo attribuire la paternità del salto paradigmatico al pda-dist e non al pda di partenza.261 Si noti che il sistema della matematica assiomatico-deduttiva (d’ora in poi: “ma-d”) tende ad adoperare, come obiettivo nel mirino dei suoi pdac, un novero limitato (anche se crescente) di configurazioni. I matematici, infatti, hanno maturato il gusto per le configurazioni della ma-d, poiché non consentono i salti paradigmatici e pertanto sembrano ai loro occhi dotate del carattere assoluto che l’uomo è portato a perseguire, come forma di potere intellettuale e muscolare sulla realtà. E’ grazie a questo gusto, altrove da me chiamato “via del non-essere”, che si costituisce un sistema configurazionale che funge da cuscinetto tra il macro-sistema dell’on.for e il sistema della ma-d. Tale sistema è interno all’on.for, ma è funzionale a interconnettere tra loro stesse le configurazioni della ma-d (che non hanno la facoltà di collegarsi direttamente grazie al salto paradigmatico). Nei libri di testo di matematica occidentale si studiano quindi sia le configurazioni della ma-d che le configurazioni del sistema-cuscinetto, le quali risultano indispensabili a fornire una qualche organicità alla materia di studio.262 Il significato di tali espressioni sarà chiarito tra breve.263 Il salto paradigmatico, descritto nel capitolo su la configurazione analogica, altera non solo il pda recessivo (agganciato dal pda di disturbo), ma anche la possibilità stessa dell’osservatore di tornare sui suoi passi ed evitare il salto paradigmatico. Per far ciò egli ha bisogno di uno sforzo di consapevolezza che implica uno smantellamento della carica energetica inserita nel salto in parola.264 L’analogia singolare ha il significato di “analogia ineffabile”. Essa rende indistinguibili due elementi.98

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singolare. Questo caricamento carica a sua volta l’analogia singolare, allorché un elemento analogico della prima classe266 diventi indistinguibile da uno specifico elemento analogico della seconda classe267. Possiamo così riconoscere che questi due elementi analogici specifici sono proprio i due elementi costitutivi dell’analogia singolare, secondo il particolare (duplice) caricamento vissuto in quel frangente dall’osservatore. E’ come se avessimo due elettrodi posti ad una certa distanza tra loro, che vengono caricati di energia elettrica, finché non scatta la scintilla che li unisce. L’elettrodo A (cioè il primo elemento dell’analogia singolare) è una singola analogia indiretta, consistente nell’intreccio dell’intera classe delle altre analogie indirette che in quel momento stanno vorticando per evocarla, in modo sempre cangiante; una volta partito il fulmine, l’analogia indiretta diventa un’altra analogia indiretta, posta nell’altro elettrodo. Quest’ultima classe di analogie indirette ha quindi un caricamento inverso: se il primo caricamento è come un’implosione, il secondo ne è l’esplosione. Ma tale indistinguibilità tra una analogia indiretta (costitutiva del primo elemento dell’analogia singolare) rispetto all’altra analogia indiretta (costitutiva dell’altro elemento dell’analogia singolare) non può comportare effettivamente un passaggio ad altra configurazione, finché non s’introduce il collegamento ineffabile (del tipo ASg-ASg268) dell’elemento analogico ad uno

265 L’osservatore-uomo, che si muove nella configurazione analogica, si aggira tra due classi di analogie indirette. L’analogia indiretta è quella che collega tra loro due elementi, che possono essere ulteriormente analogizzati con altri elementi, i quali ultimi chiariscono meglio la prima analogia. Chiamo l’analogia indiretta con questo aggettivo, poiché le analogie che la spiegano si frappongono, in un certo senso, ai due elementi dell’analogia stessa. L’osservatore si aggira dunque tra due classi di analogie indirette: una prima classe è quella costituita dalle analogie che permettono di specificare un primo elemento dell’analogia singolare; una seconda classe è quella costituita dalle analogie che permettono di specificare il secondo elemento dell’analogia singolare. Dall’intreccio crescente degli elementi interni alla singola classe, ad un certo punto s’innesca un’analogia tra un elemento della prima classe ed un elemento della seconda classe, tale che detta analogia non accetta ulteriori analogie a frapporsi tra i due elementi ed a chiarificarli. E’ sorta così, nella consapevolezza dell’osservatore-uomo, l’analogia singolare che muove quella configurazione.266 La prima classe di elementi analogici appartiene alla configurazione di partenza ed è pertanto retta dal suo paradigma. Ma nonostante ciò, nell’accrescersi degl’intrecci tra i suoi pda (percorsi di autocoscienza), finisce per “caricare” (cioè far intuire) il paradigma della configurazione di arrivo. Da una configurazione analogica ci si può astrattamente collegare a qualunque altra configurazione: basta che sia rispettata la sequenza formaturale della configurazione di arrivo. La configurazione di partenza può quindi essere “mossa”, alternativamente, da molte analogie singolari. Per sequenza formaturale intendo la sequenza precisa di configurazioni che occorre che il pda percorra. Alcuni anelli di tale sequenza possono però essere suppliti grazie ad incroci con altri pda, che nel loro tragitto a monte passino proprio dalla configurazione mancante. L’informazione che viene detenuta all’interno della sequenza formaturale (o onda formaturale) è costituita unicamente dai paradigmi delle configurazioni solcate. Nell’onda formaturale, quindi, vige il principio: “nel più ci sta il meno”. Infatti per accedere ad una certa configurazione basta che la sequenza minima sia rispettata, anche se vi sono innesti estranei alla sequenza stessa.267 La seconda classe si “carica” successivamente al caricamento della prima. Ma cos’è la seconda classe? E’ quella composta dagli elementi analogici che, intrecciandosi in modo crescente a sempre nuove analogie indirette, finiscono per “caricare” un elemento concreto della configurazione di arrivo. Vi sono quindi due caricamenti, che conducono prima sui confini e poi all’interno della configurazione adiacente a quella di partenza: il caricamento del paradigma di arrivo e quello dell’elemento concreto di arrivo. Gesù deve prima enunciare il paradigma di arrivo (“chi è senza errore scagli la prima pietra”: primo caricamento), perché si concretizzi l’atteggiamento di resa dei suoi interlocutori (secondo caricamento), i quali se ne vanno uno alla volta, dai più anziani fino ai più giovani.268 Il collegamento ASg-ASg è un’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica. Vd. il relativo capitolo. Si tratta comunque di un duplice collegamento analogico, in cui s’instaura una prima analogia singolare tra un elemento analogico e l’elemento grafèico puro (cioè l’ineffabile puro, come può essere il senso del sé, o il senso dell’io, o il senso del noi) e una seconda analogia singolare tra quest’ultimo ed un elemento analogico che si trova in un’altra configurazione. L’ASg-ASg è quindi l’ineffabile dell’ineffabile. L’ineffabile dell’ineffabile non è qualcosa di nullo: tutt’altro. Esso è il senso che ci fa muovere nell’ineffabile, per trasformare la realtà in una certa direzione: quella appunto dell’ineffabile. La matematica assiomatico-deduttiva non collega le proprie configurazioni ad alcun sub-pda dell’on.for: pertanto non può operare il salto paradigmatico. Le intelligenze artificiali, avendo libertà solo all’interno delle configurazioni analogiche della matematica assiomatico-deduttiva, non possono infatti operare il salto paradigmatico, a differenza degli uomini. Si noti che l’unico modo per escludere il finalismo (e quindi la coscienza) nelle IA è assumere che il finalismo sia proprio l’ineffabile nell’ineffabile (che a loro manca). Le IA non sono quindi coscienze artificiali, ma il tentativo dell’uomo di scoprire cosa manca per aversi coscienza e quindi cos’è davvero la coscienza.Torna indietro a nota successiva (argomento ufc).99

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specifico sub-pda269 appartenente alla configurazione dell’on.for. Quest’ultimo collegamento cosa comporta? Che il caricamento delle analogie indirette, nei due elementi dell’analogia singolare, porta ad un salto paradigmatico (= passaggio ad altra configurazione). La condizione perché tale salto paradigmatico possa avvenire (e quindi perché vi sia il collegamento diretto con la configurazione dell’on.for) è che nel tratto di pda a monte di tale collegamento vi siano in precisa sequenza tutti i salti paradigmatici richiesti per accedere alla configurazione di arrivo. La sequenza può essere intervallata da altri salti paradigmatici estranei alla sequenza stessa: non è un problema. L’importante è che comunque i salti paradigmatici richiesti ci siano, nonché che siano avvenuti a monte270 nello stesso pda di riferimento o in altri pda incrociati con esso. Bisogna anche che questi ultimi pda siano coscienti271 o, se incoscienti272, che l’ultimo salto paradigmatico (quello che permette di entrare nella configurazione di arrivo) sia costituito grazie ad elementi immediatamente collegati all’elemento d’incrocio tra il tratto di pda cosciente e il pda incosciente. Non si possono fare ulteriori nidificazioni e ramificazioni oltre a quanto qui indicato. Non si può cioè rispettare la sequenza “formaturale” di paradigmi se il pda in questione deve trovare alcuni degli elementi (costitutivi dell’ultimo salto paradigmatico) da pda incoscienti collegati ad altri pda coscienti che si collegano a loro volta ad altri pda (in-)coscienti, prima di collegarsi al pda in questione. Inoltre, ove vi siano incroci rilevanti con altri pda, bisogna anche che la sequenza (integrata da tali pda) non sia alterata nel suo ordine. Alcuni esempi gioveranno per comprendere tutti questi requisiti, imposti dall’on.for.

Prima di tali esempi, però, occorre chiarire una dinamica che abbraccia l’intera rete analogica delle cose esistenti. Si tratta dello scorrimento del pda tra le configurazioni analogiche ed all’interno di queste ultime. Per scorrere tra una configurazione e quella adiacente, il pda adopera l’onda formaturale, che si carica per ospitare il paradigma della configurazione di arrivo. L’elemento che esprime questo caricamento è quello che chiamo “universalizzante falso – concretante” (in acronimo: “ufc”). L’ufc è un elemento analogico, appartenente alla configurazione di partenza, che si collega strettamente (cosa ricostruibile grazie a vari pdac273, con i quali a posteriori si può costruire uno schema che ciascuno può verificare con la propria esperienza cognitiva) alla configurazione dell’assoluto originario dell’universalizzante-concretante. Grazie allo schema riproducibile con tali pdac, l’ufc riesce ad integrare al proprio interno l’informazione sulla pluralità di elementi strutturali274 e intuitivi che compone il paradigma della configurazione di arrivo. Infatti i pdac si dipartono da elementi della configurazione di partenza, per tornare indietro ad elementi di altre configurazioni, accessibili direttamente al pda o grazie agl’incroci con altri pda, per approdare infine (in modo ineffabile, anche quanto al percorso) alla configurazione dell’universalizzante-concretante,

Torna indietro a nota successiva (argomento cs).269 Sub-pda = tratto di pda (percorso di autocoscienza) che si colloca in mezzo a due salti paradigmatici, ospitando il secondo elemento del primo salto ed il primo elemento del secondo salto, nonché gli elementi intermedi tra i due salti stessi.270 Le espressioni “a monte” e “a valle” di un elemento analogico A prendono in considerazione gli elementi, rispettivamente, precedenti e successivi all’elemento stesso, secondo l’ordine di scorrimento dello schema configurazionale del pda di riferimento e dei pda con quest’ultimo incrociati (rispettivamente) prima o dopo A.271 Il pda è cosciente, quanto all’elemento su cui si concentra in quel momento l’attenzione intuitiva o la riflessione strutturale dell’osservatore-uomo. Se tale elemento ha il livello più elevato di coscienza, cioè si trova nel primo livello configurazionale (vd. il capitolo relativo ai livelli configurazionali), si dice che l’elemento o il pda è conscio. Viceversa si dice che è inconscio (cioè appartenente al secondo livello configurazionale). Vi sono altri tre livelli configurazionali, in corrispondenza dei quali non ci si trova né in stato cosciente né in stato incosciente. Si rimanda, per la spiegazione, al capitolo sui livelli configurazionali.272 Vd. nota prec.273 Pdac, o pda di controllo = tratto del pda che ha la funzione di rivisitare un tratto precedente di pda, rimodulandolo.274 Tali elementi strutturali sono gli elementi analogici, appartenenti a configurazioni diverse da quella di arrivo, che ne costituiscono il paradigma. Per poter articolare il paradigma con un ragionamento, non bastano elementi strutturanti-concretanti (cioè elementi in collegamento con la configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante), ma ci vogliono anche elementi concretanti-strutturanti (cioè elementi in collegamento con la configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante). Tuttavia per il salto paradigmatico basta anche solo la percezione strutturale emergente dagli elementi strutturanti-concretanti (che saranno quindi gli elementi strutturali in senso stretto), ma se si vuole poi razionalizzare tale salto paradigmatico per renderlo più facile le volte successive, occorrono anche gli elementi concretanti-strutturanti. Questi ultimi andranno così ad aggiungersi al novero degli elementi strutturali in senso lato.100

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movendosi tra i cui sub-pda275 si costruisce l’informazione sulla tecnica per sorvolare tra i vari elementi così acquisiti ai pdac e concentrarsi su quelli che costituiscono il paradigma della configurazione di arrivo. Quest’ultima operazione è in realtà “posticcia”: la compie infatti l’osseratore-uomo che voglia capire quale paradigma regge la configurazione di arrivo. Ma il termine “posticcio” non va inteso in senso cronologico, come più volte spiegato in questo saggio: non c’è un prima e un dopo dell’operazione interpretativa, ma una coerenza che in essa s’incontra. Per concentrare l’attenzione sugli elementi costitutivi del paradigma, al fine di configurare il paradigma stesso nell’elemento ufc, è inoltre indispensabile accedere (grazie a pdac che s’incrociano con altri pda) al portato della configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. Infine per comprendere intellettivamente il paradigma, l’ufc deve (sempre a mezzo di pdac che s’incrociano con altri pda) accedere al portato della configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. L’accesso in sequenza alle configurazioni di questi tre assoluti originari e a molte altre configurazioni, grazie ad analogie indirette276 e a collegamenti del tipo ASg-ASg277, permette di ordinare, ai fini suddetti, le informazioni espresse dagli elementi solcati o incrociati indirettamente dai pdac che convergono nell’ufc. Ma se si vuole davvero entrare nella configurazione di arrivo, non si devono compiere subito le ultime due operazioni (che servono solo a farci ricostruire l’ipotetico funzionamento del salto paradigmatico), ma solo le seguenti operazioni, in sequenza: a) l’operazione di sorvolare sugli elementi volta per volta attivati (grazie al collegamento con la configurazione dell’universalizzante-concretante); b) l’operazione di percepire strutturalmente tali elementi (grazie al collegamento con la configurazione dello strutturante-concretante) – così si è raggiunta la percezione strutturale del paradigma di arrivo, che fornisce i confini logici entro cui cercare gli elementi della configurazione di arrivo –; c) e poi compiere un’ulteriore operazione, che mi accingo a spiegare. Una volta caricato inconsciamente il nuovo paradigma, infatti, il pda non è ancora approdato dentro, ma solo sul confine della configurazione di arrivo. Ha infatti integrato solo il primo elemento dell’analogia singolare. Per penetrare dentro la configurazione di arrivo occorre un ulteriore elemento che chiamo “astraente – falso concretante” (in acronimo: “afc”). L’afc è un elemento analogico, appartenente alla configurazione di arrivo, che si collega strettamente (cosa ricostruibile, ma in modo originario278, grazie a vari pdac279) alla configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante. Grazie ai collegamenti (resi verificabili280 grazie a tali pdac), adoperando lo stesso metodo dianzi spiegato per l’ufc, l’afc riesce ad integrare al proprio interno l’informazione su una

275 Sub-pda = tratto di pda (percorso di autocoscienza) che si colloca in mezzo a due salti paradigmatici, ospitando il secondo elemento (che è appunto un elemento ufc) del primo salto ed il primo elemento del secondo salto, nonché gli elementi intermedi tra i due salti stessi. Si noti la circolarità dell’elemento ufc che si collega ai sub-pda della configurazione dell’universalizzante-concretante, i quali a loro volta sono costituiti anche da un elemento ufc. Tale circolarità non dà alcun problema nel contesto di una teoria esoterica e della complessità, quale quella che qui si espone.276 L’analogia indiretta è un’analogia tra i cui due elementi si può frapporre un novero indefinito di altre analogie esplicative della stessa. Ad esempio l’analogia tra sedia e poltrona è indiretta, in quanto si può dire che la poltrona sia simile alla sedia quanto alle sue parti (seduta, gambe, schienale) più che non alla sedia stessa nel suo complesso, poiché è fatta delle stesse parti ma caratterizzate diversamente quanto a comodità, finalità e utilità. Prendendo poi una di tali ulteriori analogie indirette (quella tra poltrona e seduta), notiamo che vi è un’ulteriore analogia che la spiega meglio, quella tra seduta e sedere (inteso come parte anatomica). A sua volta l’analogia indiretta tra seduta e sedere è spiegata meglio dall’analogia tra sedere (come parte anatomica) e sedere (come azione); ecc…277 Vd. sopra la nota relativa.278 Poiché il collegamento dell’afc alla configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante richiede dei collegamenti analogici del tipo ASg-ASg (e cioè collegamenti ineffabili anche quanto al loro percorso, che attribuisco pertanto ad un elemento che chiamo ineffabile puro), esso non solo richiede la formulazione di un’ipotesi ricostruttiva, ma di un’ipotesi costruttiva in senso originario. Solo l’accordo con l’elemento ineffabile puro, infatti, può dare consistenza e conferma all’ipotesi e potrebbe revocargliele (o rivoluzionarle nei confini intuitivi) in ogni diversa occasione. L’elemento ineffabile puro diventa così, a livello epistemologico, la grande ipotesi su cui si fonda ogni ipotesi, anche quelle che hanno a che vedere con elementi ineffabili diversi dall’ineffabile puro (in quanto ricostruibile nel percorso). Ciò in quanto l’afc non può essere collegato alla configurazione dell’astraente-concretante se non grazie a tale grande ipotesi, su cui si fonda la nostra stessa capacità di formulare ipotesi.279 Pdac, o pda di controllo = tratto del pda che ha la funzione di rivisitare un tratto precedente di pda, rimodulandolo.280 Le modalità e il valore della verifica è condizionato (ma non inficiato) da quanto affermato nella penultima nota.101

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pluralità di elementi analogici della configurazione di arrivo281. L’afc è quindi il secondo elemento dell’analogia singolare282 (che chiamo anche “salto paradigmatico”, espressione che è più in linea con il linguaggio introdotto da T. Kuhn). Anche se il collegamento alla configurazione analogica dell’onda formaturale gestisce solo la costituzione dell’elemento ufc, chiamo “onda formaturale” in senso lato l’intera operazione che porta al passaggio da una configurazione di partenza ad una configurazione di arrivo283. Come spiegato in una nota sopra riportata, lo schema che permette di confrontare tra loro le onde formaturali in senso lato è “ufc-afc-cs-sc(-gp)-(reiterazione ad libitum di “cs-sc(-gp)”)”. Se consideriamo, però, l’onda formaturale in senso lato del singolo elemento analogico della configurazione di arrivo, non lo posso esprimere con uno schema configurazionale. Esso è infatti il novero completo di paradigma di riferimento della configurazione di arrivo, paradigmi delle configurazioni a monte, elementi cs284 attivati a

281 Per comprendere come ciò sia possibile, farò un esempio teorico che ricalca e spiega la realtà configurazionale. Mettiamo che esistano solo tre configurazioni analogiche, contenenti ciascuna tre elementi, e se ne voglia costituire una quarta. Mettiamo che ogni elemento di ciascuna configurazione sia un intreccio di somiglianze e differenze con gli altri due elementi della stessa configurazione. Le tre configurazioni sono in sequenza, nel senso che per arrivare alla configurazione B, devo essere passato dalla configurazione A (o almeno averne acquisito il paradigma), per arrivare invece alla C, devo essere passato dalla A e dalla B (o almeno averne acquisito il paradigma). Ma la sequenza potrebbe essere anche diversa: per arrivare alla configurazione B o alla configurazione C, potrebbe essere sufficiente avere acquisito il paradigma della configurazione A. Se le configurazioni fossero in numero maggiore, le possibili ramificazioni sarebbero più numerose. Non è del tutto vero che basti solo acquisire il paradigma delle configurazioni poste a monte delle ramificazioni: vedremo tra breve che il collegamento ad almeno alcuni degli elementi delle configurazioni a monte è necessario, per accedere effettivamente alle configurazioni a valle. Mettiamo poi che la ramificazione effettivamente adottata da questo macro-schema sia: A consente di accedere a B; B consente di accedere a C. Una volta acceduto ad A, avendone metabolizzato il paradigma e avendone sondato alcuni elementi, posso dunque rimodulare le somiglianze e differenze tra tali elementi, nel rispetto del paradigma di B, per ottenere gli elementi di B. Allo stesso modo, avendo metabolizzato il paradigma di A e il paradigma di B e avendo sondato alcuni elementi di tali configurazioni, posso rimodulare le somiglianze e differenze tra tali elementi, nel rispetto del paradigma di C, per ottenere gli elementi di C. La prima volta che compio il salto paradigmatico da A a B dovrò con precisione costituire uno schema “ufc-afc-cs”. Il sub-schema ufc-afc è stato già spiegato sopra, nel corpo del saggio, spiegando che devo prima – in sequenza reiterata, cioè ripetuta finché serve ad ottenere il salto paradigmatico – compiere le seguenti operazioni: a) sorvolare (con il collegamento dei pdac alla configurazione dell’universalizzante-concretante) e poi percepire strutturalmente (con il collegamento dei pdac alla configurazione dello strutturante-concretante) il paradigma di arrivo – chiamo queste due fasi della prima fase con l’acronimo di ufc, cioè “universalizzante falso – concretante”, in quanto la falsità consiste nel sorvolare sugli elementi universalizzanti; dovrei aggiungere anche la menzione di un sc, cioè “strutturante – concretante”, che mi fa percepire strutturalmente il paradigma di arrivo; tuttavia tale sc appare in modo “spettrale”, sostanzialmente impercettibile, pertanto lo do per acquisito all’ufc; potrei anche per ipotesi non costituire l’sc, ma in tal caso il salto paradigmatico non sarebbe granché cosciente e comunque da ripercorrere daccapo prima di poterlo ripetere (nel capitolo sullo sfrangiamento spiegheremo meglio come l’ufc – relativamente allo schema analogico-configurazionale, invece che relativamente alle sue sole fasi analogiche - sia molto simile ad un elemento sc, ma con alcune caratteristiche speciali) -; b) entrare nella configurazione di arrivo intuendone soltanto gli elementi (esprimendo così nella configurazione di arrivo un elemento afc, che sta per “astraente – falso concretante”, in quanto i collegamenti ASg-ASg alla configurazione dell’astraente-concretante, stimolati a loro volta dai pdac, fanno sorvolare sugli elementi concretanti della configurazione di arrivo; vi è quindi sotteso uno “spettrale” collegamento dei pdac alla configurazione del concretante-strutturante, in acronimo “cs”, che permette di sorvolare, appunto, sugli elementi concreti della configurazione di arrivo; ma dò tale cs per acquisito all’afc, poiché un afc privo del suo spettrale cs sarebbe come uno scivolare nel sogno, senza ricordarsi nulla). Dopo l’afc, occorre però un ulteriore elemento, per poter dire di essere acceduto davvero, in modo effettivo, alla configurazione di arrivo: un elemento concretante-strutturante (cioè collegato con i collegamenti ASg-ASg alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante), in acronimo “cs”. Tale cs è il primo elemento concreto, cui accedo, all’interno della configurazione di arrivo. E’ poi indispensabile colonizzare, almeno in parte, la configurazione di arrivo, grazie ad un semplice stato di autocoscienza che chiamo pensiero e che viene espresso con lo schema configurazionale: “cs-sc-cs-sc-cs-sc-cs-sc-…”. Si tratta di muoversi tra coppie di cs-sc, in cui il primo elemento è concreto (cioè un elemento intuitivo che consente di collocare l’attenzione sull’elemento stesso e su tutti gli elementi concreti a monte), il secondo elemento è strutturale (cioè un elemento che permette di percepire la struttura logica dell’elemento stesso e di tutti gli altri elementi strutturali a valle). Nel pensiero passo dall’elemento cs all’elemento sc, per un motivo. Devo prima focalizzare l’attenzione su un qualcosa e poi coglierne i collegamenti strutturali. 102

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monte285, elementi sc286 attivati a valle287. Peraltro in tale schema non si deve tenere conto dei paradigmi citati in quanto tali, ma in quanto novero di elementi che non possono mancare nelle catene dei collegamenti (anche inconsci); né si possono considerare come attivati (e cioè consci) tutti gli elementi essenziali, che costituiscono tali paradigmi o che contribuiscono al salto paradigmatico in preparazione, ma solo alcuni, che dovremo in qualche modo individuare; e neanche si possono considerare tutti gli elementi cs a monte, né tutti gli elementi sc a valle. Altrimenti non vi sarebbe mai la corrispondenza tra due corpi, che vengono configurati in due sub-pda che s’incrociano tra loro. Il novero di elementi che qui c’interessa è quindi più ristretto, rispetto al novero elencato poco sopra. Quando in questo saggio (e anche negli altri) ho fatto riferimento all’onda formaturale di un elemento, mi riferivo a tale novero più ristretto, in cui criteri d’individuazione cercheremo di tracciare in questo capitolo ed in quello sullo sfrangiamento (in una specifica nota al testo). Vi chiederete come sia possibile, per l’osservatore-uomo, costituire un ufc e un afc che contengano proprio le informazioni che servono per realizzare i due elementi dell’analogia singolare. La risposta è che, nell’atto di costituire tali due elementi nel loro reciproco collegamento, l’osservatore-uomo è indistinguibile dall’essere supremo (cioè dal proprio sé archetipico). Cosa significhino essere supremo e sé archetipico vi sarà possibile apprenderlo dallo studio di questo saggio e di Analogia singolare…, disponibile

L’operazione di focalizzare l’attenzione su un qualcosa, richiede di avere freschi alcuni collegamenti intuitivi a monte dell’elemento stesso nel mio pda o in altri pda che (sempre a monte) lo incrociano; l’operazione di cogliere i collegamenti strutturali di quel qualcosa richiede di avere già presenti alcuni collegamenti logici a valle dell’elemento nel mio pda o in altri pda che (sempre a valle) lo incrociano. E’ anche per questo che i pda non sono cronologici: come si può considerarli una sequenza cronologica, se si conoscono in anticipo i collegamenti logici? Dopo la prima coppia di elementi cs-sc, devo passare ad una seconda coppia, che si occupa della concentrazione e strutturazione di un altro qualcosa, sempre appartenente alla configurazione di arrivo; e così via. Chiamerò lo schema “cs-sc-cs-sc-…” appena analizzato con l’acronimo semplificato di cCI (che vuol dire: “catena della componente intellettiva”, poiché mi consente di strutturare la configurazione analogica di arrivo, anche se non dobbiamo dimenticare che consente anche di concretizzarne i singoli elementi). Lo schema sinora analizzato è “ufc-afc-cCI”. Lo schema succitato consente di accedere e strutturare-concretizzare la configurazione analogica di arrivo. Mettiamo che io, ripetendo la stessa sequenza “ufc-afc-cCI”, acceda anche all’ulteriore configurazione di arrivo C. Mettiamo che per ripassare i due salti paradigmatici, esegua nuovamente la procedura che mi porta da A a B e da B a C. A quel punto, ogni volta che compio nuovamente i due salti paradigmatici, da A a B e da B a C, non devo per forza ripetere il salto paradigmatico vero e proprio. In via di prima approssimazione potrei dire che, muovendomi secondo la mia memoria, non ho bisogno di ripetere la procedura del salto paradigmatico (che è, effettivamente, di una certa complessità). La realtà configurazionale è che riesco a ridurre lo schema ufc-afc-cCI ad un più semplice schema sc-cs. Non ho così bisogno né di costituire il paradigma di arrivo, né d’intuire a volo di uccello la configurazione di arrivo, né di strutturarla e concretizzarla: la tratto, invece, come se fosse un unico elemento analogico, o meglio una coppia di elementi analogici che mi consentono di concentrare l’attenzione, per un attimo, su un qualcosa e poi di strutturarlo logicamente in relazione ad altri elementi di cui percepisco solo la struttura in modo inconscio. [NdA: nel capitolo sullo schema configurazionale si spiegano i tre modelli di schema del sub-pda che si possono realizzare e le loro ipotesi costitutive. L’esempio qui presentato è molto semplificato, quanto a criteri interpretativi e caratteri distintivi.] Ma quando da C devo accedere a D, mi occorre daccapo percorrere lo schema completo: “ufc-afc-cCI”. E’ questo lo schema che consente di rimodulare alcuni elementi delle configurazioni precedenti, ottenendo gli elementi della configurazione di arrivo. Il vero schema completo, tuttavia, capace d’individuare ogni variante, è il seguente: “ufc-afc-cs-sc(-gp)-(reiterazione ad libitum di “cs-sc(-gp)”)”, in cui l’elemento gp è quello che gestisce la percezione immediata o di sfondo. Vd. in proposito il capitolo relativo alla gobba percettiva e il capitolo relativo allo sfrangiamento.282 Per essere più precisi, si tratta di un’analogia singolare sefèrica. Quest’ultima non va confusa con l’analogia singolare grafèica, in cui uno dei due elementi dell’analogia stessa è l’elemento ineffabile puro (che chiamo anche “elemento grafèico”).283 In alcuni passaggi di questo saggio mi è capitato di riferirmi all’onda formaturale come alla sola parte dell’on.for in senso lato che non coincida con l’on.for in senso stretto. Tale accezione è stata utile nel capitolo sullo sfrangiamento e anche ogni volta che ho dovuto confrontare tra loro due on.for in senso lato (in quanto per essere confrontabili dovrebbero per forza avere in comune almeno l’on.for in senso stretto.284 Cioè gli elementi che si collegano più strettamente alla configurazione analogica dell’assoluto originario del concretante-strutturante.285 Per comprendere tale espressione, vedi il capitolo sullo schema configurazionale.286 Cioè gli elementi che si collegano più strettamente alla configurazione analogica dell’assoluto originario dello strutturante-concretante.287 Per comprendere tale espressione, vedi il capitolo sullo schema configurazionale.103

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sul sito www.bridge4will.net, adoperando (all’interno del file .pdf di ciascun saggio) la funzione “trova” o “cerca” in relazione a tali termini. In che senso l’osservatore-uomo possa considerarsi indistinguibile dall’essere supremo o sé archetipico, vi sarà possibile apprenderlo da un saggio di futura pubblicazione sullo stesso sito, dal titolo Trinità o funzioni conoscitive?. Come spiegato nella “premessa indispensabile” a questo saggio, non è possibile procedere in modo diverso nell’apprendimento di questa, come anche di molte altre dottrine esoteriche. In ogni caso, per evitare di disperdere la vostra attenzione in tanti rivoli e rigagnoli, potrete riprendere vigore ad ogni passo, verificando che le vostre percezioni, intuizioni e comprensioni intellettive siano in linea e confermino quanto teorizzato in ciascuno di questi capoversi.

Una volta acquisito l’afc, secondo elemento dell’analogia singolare, l’osservatore-uomo è ancora sospeso nell’intuizione: non è ancora riuscito, cioè, a concentrare l’attenzione su alcuno degli elementi della configurazione di arrivo. Per farlo deve soffermarsi su un singolo elemento concretante-strutturante288 (in acronimo: “cs”). Per poterlo fare, tuttavia, l’afc deve collegarsi (con collegamenti del tipo ASg-ASg289 ricostruibili a mezzo di ulteriori pdac grazie al metodo dianzi spiegato - si noti qui, una volta per tutte, che la ricostruzione è sempre da me intesa come costruzione originaria, ma verificabile solo successivamente) alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. A quel punto, una volta elaborata l’informazione e individuato uno specifico cs (che va a costituire un tutt’uno, ai fini del linguaggio analogico, con il secondo elemento dell’analogia singolare290), l’osservatore-uomo è penetrato nella configurazione di arrivo.

Possono esservi più di un afc, per penetrare nella configurazione di arrivo. Ciò non toglie che la configurazione di arrivo abbia qualcosa di comune, fra le sue molte varianti, che ci dice che essa (almeno ai nostri fini) è sempre la stessa. Ogni configurazione, infatti, è individuata grazie ad un singolo paradigma specifico. Ciò che è dirimente, per stabilire se due elementi di due pda diversi si trovino nella stessa configurazione, è se siano retti dallo stesso paradigma. Il paradigma è espresso dal primo ufc a monte dell’elemento considerato. Ma come si fa a sapere se i due elementi, appartenenti alla stessa configurazione ma a due pda diversi, costituiscano anche lo stesso elemento? E, ancor prima, cosa vuol dire che due elementi appartenenti a due pda diversi costituiscono lo stesso elemento analogico? Inoltre va studiato anche l’ulteriore caso in cui due elementi, pur appartenenti a due pda diversi e trovandosi in due configurazioni diverse tra loro, possono costituire un unico elemento d’incrocio tra i due pda. Se io ad esempio guardo e tocco la stessa sedia, vuol dire che lo stesso elemento analogico si ritrova almeno in due dei miei percorsi di autocoscienza (quello dello sguardo e quello del tatto). Ma a livello configurazionale cos’è che mi fa dire che si tratta davvero dello stesso elemento? L’elemento dirimente non è l’afc, altrimenti nella vita di tutti i giorni, a fronte d’intuizioni leggermente diverse, non si potrebbe individuare uno stesso corpo (ad esempio, la stessa sedia). Né può essere dirimente l’esatto tragitto compiuto dal sub-pda291 a valle dell’afc. Se, per continuare l’esempio di prima, guardo la sedia poiché ci è seduta la persona a cui voglio rivolgermi e la tocco per non cascare, i due pda sono radicalmente diversi nel tragitto ed anche nella configurazione di appartenenza. Eppure la mia percezione292 intuitiva individua lo stesso corpo. I due elementi che individuano lo stesso corpo possono dunque avere uguali sia l’on.for in senso stretto che l’on.for in senso lato, oppure solo quest’ultima (e differire, quindi, come nell’esempio testé proposto, per l’on.for in senso stretto, in quanto appartenenti a due configurazioni tra loro ben diverse). Ciò ha a che

288 Per una spiegazione di questo elemento, leggere congiuntamente il capitolo sugli assoluti e quello sullo schema configurazionale.289 Vd. una nota precedente di questo stesso capitolo.290 La distinzione tra l’elemento afc e l’elemento cs immediatamente successivo si ha al livello dello schema configurazionale (vd. il relativo capitolo) e quindi anche a livello dello schema analogico-configurazionale.291 Sub-pda = sezione di pda che si trova compresa tra l’elemento afc e l’elemento ufc successivo, compresi questi ultimi due elementi. Per una sua spiegazione analitica si veda il capitolo sullo sfrangiamento.292 La percezione, come vedremo nel capitolo sullo sfrangiamento, è gestita dall’ifscβ dell’elemento analogico. L’ifscβ è un’innevazione di sub-elementi analogici (chiamati, in acronimo, fsc) che gestisce appunto la percezione immediata o di sfondo, in cui non si fa il focus su ciò che si percepisce. Ma poiché non si percepisce mai ciò su cui l’osservatore fa il focus percettivo (che può essere inteso come percezione intuitiva e logico-strutturata, mai come percezione immediata), il focus dell’osservatore altro non è che uno spostare il non-so-che intuitivo e logico-strutturale da un corpo ad un altro, e da una caratteristica di tale corpo ad un’altra, considerati (il corpo e le caratteristiche) nella loro percezione di sfondo.104

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vedere con il novero ristretto dell’on.for in senso lato293 di cui parlavamo qualche capoverso fa’. Un novero che comprende solo alcuni elementi del paradigma di riferimento, solo alcuni degli elementi dei paradigmi a monte, solo alcuni degli elementi “concretanti-strutturanti” (cs) a monte e solo alcuni degli elementi “strutturanti-concretanti” (sc) a valle. Nel capitolo sullo schema configurazionale, infatti, abbiamo spiegato come ogni sc possa contenere l’informazione configurazionale di tutti gli sc a valle, purché attivati, e ogni cs possa contenere l’informazione configurazionale di tutti i cs a monte, purché attivati. Ma ai fini del novero ristretto in parola (che è quello che costituisce l’onda formaturale in senso lato), si tiene conto solo di alcuni sc a valle e solo di alcuni cs a monte. Ora sappiamo, dal capitolo sui livelli configurazionali, che gli elementi attivati sono quelli che si trovano sul/i sub-pda del primo livello configurazionale294 e quelli più direttamente collegati, grazie ad incroci di pda, ad uno dei suoi/loro elementi: sono solo questi gli elementi cs e sc che entrano nel novero in parola. Vi rientrano, inoltre, gli elementi costitutivi dei paradigmi delle configurazioni che si trovano (con i rispettivi sub-pda dell’osservatore-uomo) nel primo livello suddetto. Qualora il sub-pda si trovi nel quarto livello, si dovrà attendere il drenaggio, che lo conduca nel primo livello, perché si formi l’onda formaturale. Qualora, infine, il sub-pda si trovi nel secondo livello, si preciserà nel capitolo sullo sfrangiamento cosa avvenga in due casi diversi (quello dello schema configurazionale complesso e quello dello schema configurazionale semplificato). Quindi non è esattamente vero che due osservatori-uomini possano individuare lo stesso corpo, o che lo stesso osservatore-uomo possa con due percorsi individuare lo stesso corpo. Ciò che viene individuato è sempre una cascata di elementi sc (cioè un novero ristretto di elementi sc presenti a valle dell’elemento considerato), una risalita di elementi cs (cioè un novero ristretto di elementi cs295 presenti a monte dell’elemento considerato) e una manciata di ulteriori elementi sc e cs che vanno a costituire i paradigmi delle configurazioni attivate. E’ il coordinamento tra i pda (costituito da tale novero ristretto di elementi in comune), che se supportato dai collegamenti del tipo ASg-ASg degli elementi in parola ad apposite configurazioni chiamate collettori296, ci fa ricostruire (in modo immediato e collettivistico) che i due pda si riferiscono allo stesso elemento (facente parte dello stesso corpo). Ma tale intuizione immediata e collettivistica (spiegata nel capitolo sullo sfrangiamento: vd. terzultimo link nel corpo del testo) è tutt’altro che irrilevante, a livello configurazionale. Non solo ci permette di coordinare tra loro gli appartenenti ad un gruppo o ad una collettività di osservatori, ma consentono al singolo pdac297 di scegliere se preferire un certo pda di disturbo rispetto alla ripetizione pedissequa del tratto di pda che dovrebbe manutenere. Questo aspetto sarà dunque chiarito nel capitolo sullo sfrangiamento, in cui si spiegherà come si possa, a livello di schema analogico-configurazionale, individuare l’elemento comune a due pda. La risposta, che qui per adesso diamo, è che non si tratta proprio di un elemento comune, ma di un elemento cui il pdac potrebbe volgersi, preferendo di proseguire il proprio tragitto con il pda di appartenenza di quest’ultimo rispetto a quello da cui esso stesso proviene. Ma perché si realizzi, a sua volta, questo risultato di scelta, c’è bisogno, ogni volta che sorge un pdac, di collegare quest’ultimo alla configurazione analogica che gestisce i pdac stessi. In tale configurazione, l’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica (o collegamento del tipo ASg-ASg) opera una forma d’indistinguibilità a livello di senso intuitivo tra gli elementi che abbiamo chiamato comuni o identici, purché tale indistinguibilità si confermi su tutti gli elementi298 dell’on.for in senso lato (dal novero ristretto). Quindi ciò che è errore d’identità, in una

293 Dovremo quindi distinguere tra on.for in senso lato con novero allargato di elementi (che contiene cioè anche l’intero novero di elementi costitutivi dell’on.for in senso stretto) e on.for in senso lato con novero ristretto di elementi. Di regola, quando parlo di on.for o di on.for in senso lato, mi riferisco a quest’ultimo tipo di on.for.294 Vd. il capitolo sui cinque livelli configurazionali.295 Come spiegheremo nel capitolo sullo sfrangiamento, ogni elemento analogico (tra cui anche l’elemento cs) ha molti collegamenti del tipo ASg-ASg a varie configurazioni analogiche. Alcune di tali configurazioni sono quelle degli assoluti derivati o collettori (vd. il capitolo sugli assoluti). Sono dunque i sub-pda nascosti del collettore dello spazio euclideo e i sub-pda nascosti del collettore del tempo cronologico che consentono d’individuare che due elementi, che si trovano in pda diversi, appartengono (nell’illusione della realtà) allo stesso corpo.296 Vd. nota prec.297 Pdac = percorso di autocoscienza di controllo. Vd. il relativo capitolo.298 L’identità tra un elemento di un’on.for (in senso lato) e l’elemento di un’altra on.for (in senso lato) viene gestita dalla configurazione del pdac, basandosi sul criterio dei s.cod (sub-pda di codifica: vd. capitolo sullo sfrangiamento). Ogni elemento (intuitivo, intellettivo o percettivo), a livello di schema analogico, ha un proprio s.cod. Nell’ifscα dell’afc 105

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configurazione di partenza, nella configurazione del pdac diventa identità. Quindi l’on.for in senso lato, pur non avendo una configurazione esclusivamente dedicata, trova nella configurazione del pdac la configurazione più rilevante ai fini del proprio funzionamento.

Ognuno decida qual è la teoria che più si attaglia alla realtà. Io non ho la pretesa di trovare la teoria che si attaglia di più alla realtà, ma quella che ora ci permette di rivoluzionarla secondo il nostro finalismo di uomo relazionale. Quindi il fatto che io adoperi, apparentemente, l’analogia singolare come un jolly non deve stupire o disgustare. Non si tratta di un jolly, ma di un’espressione che, in modo diversificato per ogni specifica analogia singolare, permette di trasformare dal di dentro l’osservatore-uomo e renderlo a tratti indistinguibile dal suo sé archetipico (chiamato anche “essere” o “essere supremo”) e così permettergli di evolversi relazionalmente e, al contempo, conservare ciò che gli è più caro e gli dice chi egli sia.

Ciò che quindi volevo originariamente precisare è che, nell’analisi delle caratteristiche (e quindi anche delle funzionalità) configurazionali di un elemento analogico, bisogna guardare a due tipologie di elementi: quelli che costituiscono l’onda formaturale in senso stretto e quelli che si esprimono grazie al collegamento con le configurazioni degli assoluti originari e con quelle degli assoluti derivati (o collettori). La prima tipologia di elementi costituisce la sequenza di paradigmi che il pda ha dovuto accumulare, nel suo preciso ordine, per poter accedere alla configurazione in cui ci si trova. Eventuali intrecci con altri pda, che consentono d’inserire paradigmi mancanti alla sequenza o di arricchire la sequenza, non danno noia, purché (al netto o al lordo degl’innesti) la sequenza sia completa299. La seconda tipologia di elementi dice la funzione dell’elemento all’interno della configurazione o nel contesto del passaggio alla configurazione successiva (come sarà analizzato nel capitolo sullo sfrangiamento). Inoltre, grazie a questa seconda tipologia di elementi, si possono aiutare anche altri elementi a svolgere le medesime due funzioni, in quanto il collegamento con le configurazioni degli assoluti originari è alla base di ogni situazione e funzione configurazionale. Allo stesso modo anche la prima tipologia di elementi (quelli appartenenti alla configurazione dell’on.for) consentiva anche agli altri elementi (appartenenti al macro-sistema dell’on.for) di svolgere la medesima funzione dell’onda formaturale (in senso lato). E’ quindi dall’integrazione della configurazione dell’on.for e delle configurazioni degli assoluti originari (che consentono il formarsi dello schema configurazionale) e di quelli derivati (in grado di garantire l’intuizione dell’identità dei corpi e dei loro elementi costitutivi, grazie alle intuizioni-percezioni immediate) che si delineano le caratteristiche e le funzioni dei singoli elementi analogici.

Passiamo adesso agli esempi di pda, per far vedere come l’onda formaturale li plasmi nella realtà quotidiana di ognuno di noi.

Il primo esempio è la ben nota aridità del calcolo matematico. Esso appartiene al sistema configurazionale della matematica assiomatico-deduttiva (nel seguito, per semplicità, “ma-d”), i cui elementi analogici sono del tutto sforniti di onda formaturale300. Un sistema configurazionale (o sistema di configurazioni analogiche) è un novero di configurazioni che (in particolare, ma non esclusivamente) negli organismi umani adulti si trovano tra loro strettamente connesse, grazie ad un groviglio d’incroci tra pda, al punto da avere una sua certa autoreferenzialità interna. Nel contesto del ma-d il salto paradigmatico non può aversi. Ogni volta che tale salto paradigmatico occorre, l’osservatore-uomo deve uscire da detto sistema configurazionale grazie ad un pdac301, per rientrarvi poco dopo, ma in una configurazione analogica diversa. In questo modo, nel ma-d, si ovvia all’impossibilità del salto configurazionale. All’interno della

(cioè nell’innervazione che gestisce intuito, intelletto, percezione intuitiva e percezione intellettiva dell’elemento intuitivo puro) vi sono (all’interno della bde = base dell’elemento) i s.cod degli elementi intuitivi concreti (cs) e degli elementi intellettivi (sc); nell’ifscβ dell’afc (cioè nell’innervazione che gestisce la percezione immediata o di sfondo dell’elemento intuitivo puro) vi sono (all’interno della bde) i s.cod dei corpi materiali e immateriali. I s.cod che servono alla configurazione del pdac per gestire l’identità tra elementi analogici sono quindi i s.cod dell’ifscα dell’afc (nello stato inconscio), o i corrispondenti s.cod degli elementi del sub-pda dall’afc drenato (nello stato conscio).299 Ciò comporta, peraltro, che uno stesso elemento di un certo pda può trovarsi, al contempo, dentro due o più configurazioni analogiche. Non è un problema ai fini configurazionali.300 Cioè non si collegano, mediante collegamenti ASg-ASg (vd. il relativo capitolo), ai sub-pda della configurazione dell’onda formaturale. Come funzionino tali collegamenti e cosa comportino a livello di schema analogico-configurazionale è analizzato nel capitolo sullo sfrangiamento.301 Pdac = pda di controllo (cioè quel tratto di pda che si diparte da un elemento del pda, per rivisitare (rimodulandolo) il tratto precedente. Per le caratteristiche precise del pdac si rimanda al relativo capitolo.106

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configurazione suddetta il pda non avrà problemi a muoversi, bastando per realizzare tale movimento l’esercizio del finalismo interno del pda unitamente al collegamento con le configurazioni degli assoluti originari (come sopra precisato), senza alcuna necessità del salto paradigmatico.

L’aridità del calcolo matematico consiste proprio nel fatto che, nel tentativo inutile di operare il salto paradigmatico, l’osservatore ripete più volte l’unico grimaldello che può adoperare (il pdac), ma non per uscire dalla configurazione per dove vi è entrato (cioè per il salto paradigmatico precedente), bensì tornando nella stessa configurazione o in configurazioni esterne al sistema ma non funzionali per rientrarvi (o funzionali a rientrare nella configurazione sbagliata). Queste reiterazioni dei pdac comportano notevoli sfrangiamenti, poiché i pdac e i successivi pda perdono più rapidamente e drasticamente il loro finalismo, ben prima che il ricercatore trovi una configurazione desiderata. Mai come in ma-d si deve sospendere e riprendere più volte anche il più semplice compito di ricerca. Infine vi è anche una peculiare complessità delle sequenze formaturali necessarie ad entrare nelle configurazioni della ma-d. La tremenda disciplina richiesta per non sbagliare in questo sistema è tale che gli antichi, ma ancora più la Scienza occidentale, la consideravano in sostanza una pratica sacra. Ma sacra non è, solo estremamente complicata e non dipendente dal volontarismo umano (per via dell’impossibilità del salto paradigmatico). Detta impossibilità si giustifica con il particolare volontarismo che l’ha fatta sorgere: essa ha infatti la funzione specifica di guidare gli uomini nella via del non-essere (o dell’assestamento razionale della realtà), che è a sua volta opposta ma complementare alla via dell’essere (o della ricerca).

Il secondo esempio lo traggo dalla mia vita quotidiana. Quest’oggi (14 settembre 2019) mio figlio Gabriele (di diciotto mesi) stava cercando di disseppellire una paletta di plastica, sommersa di sabbia nella nostra sabbiera domestica. La paletta non era quasi visibile, se non per una piccola area della propria superficie: quasi tutta la sua superficie era sepolta sotto la sabbia. Non so se Gabriele fosse consapevole che si trattava della paletta: probabilmente non aveva idea delle sue misure, forse nemmeno del suo materiale né della sua forma. Infatti cercava di afferrarla con due dita, chiudendole in corrispondenza dei confini dell’area di superficie visibile (ma i confini reali dell’oggetto erano nascosti sotto tre centimetri di sabbia). Il tentativo di Gabriele non aveva speranza di successo. Gli errori di valutazione che Gabriele stava sicuramente commettendo erano:

1) Il tipo di presa: non bastavano certo due dita piccole come le sue, per sollevare una paletta il cui peso era quintuplicato dal peso della sabbia;

2) Il punto su cui fare presa: non si può sollevare una paletta di plastica prendendola per la superficie piatta, senza infilare le dita dietro il manico o fin dietro la parte concava e senza fare pressione, in contemporanea, dietro il lato opposto;

3) Il tipo di ricerca da fare per afferrare i corretti punti di presa;4) L’intensità della forza da applicare, in relazione alla solidità del punto di contatto su cui la

mano fa presa per sollevare l’oggetto.A fronte di tali errori, la strategia di Gabriele è stata quella di lamentarsi con me, suo padre, onde

ottenere il mio intervento risolutore. Era evidente che voleva che l’oggetto venisse sollevato, affinché egli lo potesse tenere in mano e adoperarlo.

A quel punto ho afferrato correttamente la paletta, disseppellendola dai tre centimetri di sabbia sotto cui era collocata, e l’ho consegnata a Gabriele. Poche decine di secondi dopo, o al massimo due minuti, trovandosi nella stessa situazione per un altro oggetto di plastica, Gabriele non ha più provato ad afferrare l’oggetto, ma si è subito lamentato con me per ottenerne il disseppellimento. Quindi nonostante avesse perfettamente osservato il mio modo di disseppellire la paletta, non era stato in grado (né aveva nemmeno forse immaginato la possibilità) d’imitarmi in tale operazione. Aveva d’altronde mantenuto la prima soluzione trovata: chiedermi aiuto lamentandosi del proprio insuccesso.

L’esperimento spontaneo che vi ho appena raccontato è perfettamente conferente con quanto sopra ipotizzato, relativamente alle caratteristiche dell’onda formaturale.

In primo luogo, noto che Gabriele non è riuscito a replicare la mia tecnica di disseppellimento della paletta dalla sabbia, nonostante l’avesse osservata. Ciò può giustificarsi con il fatto che gli mancasse più di un paradigma, nella sequenza dell’onda formaturale. Come abbiamo sopra detto, infatti, non si può compiere un salto paradigmatico se non si sono accumulati, nella precisa sequenza, i paradigmi necessari a compierlo. Magari Gabriele avrebbe potuto capire uno dei paradigmi, ad esempio quello che, all’affiorare di

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una superficie dalla sabbia, fa supporre che l’oggetto sottostante sia anche molto più grande della superficie visibile. Ma se non avesse compreso anche l’ulteriore paradigma necessario a gestire la presa di un oggetto sepolto dalla sabbia, nonché quello necessario ad approntare l’intensità di forza sufficiente, non sarebbe comunque riuscito a raccogliere l’oggetto in autonomia.

Gabriele è comunque riuscito a risolvere la situazione, chiedendomi di occuparmene con un lamento. Il lamento ha la funzione di messaggio, ma anche di rinforzo a dare ciò che il bambino chiede. Tale strategia è stata seguita solo dopo la prima frustrazione: pertanto Gabriele ha compiuto un percorso di controllo (pdac), per cercare una soluzione alternativa al tentativo fallito in prima istanza. Tale pdac era rivolto ad ottenere l’oggetto in consegna, non a raggiungerne il possesso in autonomia: pertanto esso aveva in sé il finalismo adeguato ad ottenere, ma non a raggiungere l’oggetto sepolto nella sabbia. Il finalismo del pdac, come sopra indicato, è in grado di andare dove vuole (nella rete analogica delle cose esistenti) purché possegga nell’onda formaturale il/i paradigma/i necessario/i. Poiché in quel momento ero presente alla frustrazione del suo primo tentativo, è ragionevole pensare che Gabriele avesse in atto un altro pda, intrecciato al primo, nel quale avesse il paradigma della collaborazione dell’adulto, che come deus ex machina risolve ogni problema al bambino. Tale paradigma rimane nell’aria anche in occasione del disseppellimento dell’oggetto immediatamente successivo.

Gli elementi sc302 a valle non hanno consentito a Gabriele di capire che la superficie (quasi del tutto celata sotto la sabbia) corrispondesse alla paletta. Eppure tale paletta era quella con cui aveva giocato pochi secondi prima, proprio in quella sabbiera. Ma ciò non significa che gli sc non abbiano fatto il loro lavoro (cioè far percepire la strutturazione a valle di un certo pda). Infatti un’ipotesi in cui tale percezione strutturale sia impedita è quella in cui l’osservatore-uomo non domini il paradigma della configurazione di arrivo. In tal caso, non potendo ancora accedere a tale configurazione, non può neanche percepirne la strutturazione. Dal momento che vi acceda, invece, può percepire l’intera struttura ipoteticamente implicata dal pda nella configurazione di arrivo.

Gli elementi cs303 a monte, d’altronde, non potevano aiutarlo a capire le dimensioni della paletta, né il modo di disseppellirla. Le dimensioni della paletta e la sua stessa identificazione erano compresi in un precedente pda (o sub-pda) che si era evidentemente sfrangiato. In un bambino di quell’età, non essendovi ancora quel nugolo di configurazioni popolate da pda inattivi (cioè presenti nel secondo livello configurazionale, il grande mare intuitivo dell’essere), la coerenza finalistica dei pdac non è molto sviluppata. Pertanto un finalismo così debole si sfrangia presto. Invece un adulto, o anche un bambino più grande, ben più responsabilizzato nel suo comportamento sociale, tende inconsciamente a voler avere il controllo dei propri ricordi (intensificando la manutenzione dei pda ad opera dei pdac).

Uno schema esplicativo della conformazione (tendenziale e semplificata) e delle funzioni delle due onde formaturali (quella in senso stretto e quella in senso lato) è il seguente.

302 Strutturanti-concretanti.303 Concretanti.-strutturanti.108

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L’on.for in senso lato può essere anche virtuale. Ciò accade ogniqualvolta un sub-pda conscio ne incrocia uno inconscio, per via del coordinamento reso possibile dai collettori (in special modo quelli fisici, che devono sempre essere implicati per arrivare alla formazione dell’on.for virtuale). Per fare un esempio, immagina di essere sovrappensiero: stai pensando ad un argomento che ti preoccupa. In quel momento non ti rendi conto di cosa tu stia percependo con il tuo corpo, ma solo il sub-pda dell’argomento che ti martella è in stato conscio, finché ad un certo momento non scatta un qualche campanello di allarme che riporta in stato conscio anche un altro sub-pda (magari quello che gestisce l’attraversamento delle strade pubbliche), perché ti possa rendere conto che un’automobile sta per investirti. Così ti rimetti subito sul marciapiede, dove sai di essere al sicuro, e ti chiedi: “a cosa stavo pensando quando guardavo distrattamente l’asfalto della strada, invece che guardare il semaforo pedonale?” In quel momento potrai ricordare (e cioè ripercorrere con appositi pdac consci) sia il sub-pda che gestiva i tuoi pensieri sull’argomento per te così importante, sia il sub-pda che gestiva la percezione dell’asfalto durante l’attraversamento della strada. Riguardo a quest’ultimo sub-pda, che era in stato inconscio, cosa possiamo dire? Finché era un sub-pda inconscio non aveva alcuna onda formaturale in senso lato, ma solo un’on.for in senso stretto. Tuttavia non appena è tornato conscio, sei riuscito a compiere una navigazione perlustrativa, che deve essere stata preimpostata quando percorrevi il sub-pda in stato inconscio. Salvo depurare questa spiegazione dai suoi aspetti cronologici (cosa che mi accingerò a fare tra breve), posso dichiarare che nell’esempio appena presentato è comunque intervenuta un’on.for in senso lato ma dal carattere virtuale. Come sarà spiegato anche nel capitolo sullo sfrangiamento, l’on.for virtuale è la seconda fase di un pdac inconscio, che collega ogni fscgp dell’ifscα dell’afc ai due precedenti fsc (che chiamerò fsccs e fscsc). Solo nel capitolo sullo sfrangiamento il lettore avrà acquisito il linguaggio per comprendere il periodo precedente. Si rimanda quindi al relativo passaggio e alle pagine precedenti di tale capitolo, per la spiegazione dell’on.for virtuale nel linguaggio analogico-configurazionale. Qui basterà sapere che l’on.for

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virtuale è un momento basilare di coerenza dell’illusione della realtà, che permette di ricostruire (in modo originario) un sub-pda inconscio a partire da un sub-pda conscio con quest’ultimo collegato per incrocio (grazie al collegamento del tipo ASg-ASg ad un assoluto derivato o collettore). Tale ricostruzione ha ad oggetto l’intuizione, la comprensione intellettiva, la percezione intuitiva e la percezione logico-strutturata degli elementi del sub-pda e degli ulteriori elementi con questi ultimi collegati, secondo regole sancite nelle zip-fùseis e racc-fùseis del tipo 0 e del primo tipo304, che ci dicono quale sia il novero di elementi cui l’on.for virtuale, in una certa situazione configurazionale, va a collegarsi. Per la spiegazione di cosa siano tali (zip- e racc-)fùseis rimando al relativo capitolo. Esse, in sintesi, ci dicono quali elementi del sub-pda inconscio si colleghino (grazie ai collegamenti del tipo ASg-ASg ad un identico sub-pda nascosto di un collettore) agli elementi del sub-pda conscio.

L’illusione cui l’on.for virtuale dà coerenza è che vi siano due (o più) percorsi cognitivi paralleli, dal punto di vista cronologico e spaziale. Ciò, tuttavia, è soltanto un’illusione: è cioè una percezione governata (in modo eminente) dai collettori di tempo cronologico e di spazio euclideo (vd. in proposito il capitolo sugli assoluti). Il funzionamento preciso di tale illusione è descritta nel passaggio sopra linkato, all’interno del capitolo sullo sfrangiamento. I tipi d’incroci suscettibili d’innescare l’on.for virtuale descrivono, come sopra accennato, situazioni di “sovrappensiero” durante le quali scatti un campanello di allarme fisico o sociale, che ridesta dallo stato inconscio. Ma il “sovrappensiero” altro non indica, alla fin fine, che la tendenza di certe situazioni configurazionali ad essere gestite da un punto di vista più fisico che mentale: i pensieri che si affollano e soffocano la coscienza della realtà fisica (o comunque di realtà o configurazioni molto importanti per l’osseratore) non sono diversi dai pensieri normali, se non per la predisposizione di una navigazione perlustrativa molto più estesa in quei sub-pda paralleli che, per le apposite zip- e racc-fùseis succitate, sono suscettibili di far scattare un campanello di allarme. Quindi sia il carattere di sovrappensiero che il carattere di on.for virtuale sono sanciti da tali fùseis, su cui il singolo individuo ha una qualche possibilità (limitata ma pur tuttavia prevista) di personalizzazione. Ad esempio, un professionista dovrà predisporre sempre nuovi campanelli di allarme, che si attivino nello svolgimento delle attività in cui si specializza, per performare al meglio queste ultime ed evitare di commettere errori “sovrappensiero”. Quindi senza le fùseis citate (e l’on.for virtuale) non solo cadrebbe l’illusione della realtà (o non sarebbe vivida come lo è per noi oggi), ma sarebbe impossibile raggiungere livelli di efficienza tecnica apprezzabili, per l’inevitabile intrusione di situazioni di sovrappensiero nell’esecuzione di ogni procedimento tecnico.

304 Si noti che l’osservatore può modificare tali fùseis, grazie ad esc-fùseis o ai metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote, personalizzando la propria capacità d’intuizione, di comprensione intellettiva, di percezione intuitiva e di percezione logico-strutturata di tipo inconscio.110

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8. La gobba percettiva (d’ora in poi, anche: “gp” o “elemento gp”)

Abbiamo più volte fatto riferimento, in questo saggio, agli elementi gp, che sono gli elementi analogici di percezione immediata. L’acronimo “gp” sta appunto per “gobba percettiva”. La percezione immediata (ovverosia la gobba percettiva) è espressa in quel novero di elementi analogici che non si collegano all’attenzione dell’osservatore né alla sua capacità di strutturazione logica consapevole della realtà. Quindi anche se la percezione immediata, una volta fatta oggetto di un apposito pdac, diventa comprensibile in senso logico-strutturale e su di essa si può posare la propria attenzione intuitiva, finché ciò non accade rimane immediata e inconscia. Mi riferisco, in particolare, alla nostra percezione inconscia quando siamo sovrappensiero o comunque incoscienti di ciò che percepiamo.

Chiamo la percezione immediata con il nome di gobba percettiva poiché, rispetto alla percezione logico-strutturale e alla percezione intuitiva, è esponenzialmente più complessa. E’ come se in uno stagno profondo pochi centimetri (che qui rappresenta lo schema configurazionale del sub-pda di riferimento) s’innalzasse un cavallone di quattro metri (che rappresenta invece l’elemento gp, ovverosia la gobba percettiva). L’elemento gp svetta, quindi, rispetto agli elementi intuitivi concreti (cs) e agli elementi logico-strutturali (sc). Tutti questi acronimi (cs ed sc) sono spiegati nei capitoli relativi agli assoluti, al pda e, nel seguito, nel capitolo relativo allo sfrangiamento. In quest’ultimo capitolo si spiegherà anche come l’elemento gp sia composto, al suo interno, da molti sub-elementi fsc, che gestiscono i collegamenti di tipo ASg-ASg tra un novero non predeterminabile di configurazioni analogiche. Tale caratteristica lo accomuna ad ogni altro elemento analogico (afc, cs, sc e ufc), ma è il notevole novero di configurazioni collegabili grazie agli elementi gp che rende la percezione immediata quel “non-so-che” di spiazzante e d’irraggiungibile da parte dell’intelletto dell’osservatore-uomo. Nella figura seguente, cercheremo di rendere più comprensibili queste prime nozioni sulla gobba percettiva.

La figura soprastante non segue le regole che abbiamo impostato sullo schema configurazionale del sub-pda. Si tratta di una frazione di sub-pda, in un’ipotesi specifica (quella del pensiero puro), che viene inoltre

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graficizzata ad hoc per esporre alcune nozioni sulla gobba percettiva e le sue relazioni con gli altri elementi del sub-pda. Se confrontata con altre raffigurazioni di schemi configurazionali, questa immagine sembrerà particolarmente inconferente, quindi dovrà essere mentalmente riadattata all’occorrenza dal lettore.

Entrando nel vivo dell’interpretazione di questa immagine, si nota che gli elementi cs (elementi intuitivi concreti) e sc (elementi logico-strutturati), invece che essere disposti in sequenza lineare, sono raggruppati a coppie. Questa prima stranezza ci consente di ricordare, anche visivamente, che ciascun elemento cs è più direttamente collegato al successivo elemento sc, e viceversa quest’ultimo è più direttamente collegato con il primo. Questa particolare caratteristica di tali elementi consente alla coscienza dell’osservatore di muoversi in su e in giù nel pda (percorso di autocoscienza), in quanto ogni elemento cs si collega potenzialmente anche con ogni altro elemento cs a monte ed ogni elemento sc si collega potenzialmente anche con ogni altro elemento sc a valle.

La seconda particolarità della figura soprastante è che, invece che graficizzare un elemento gp in mezzo alla sequenza di coppie di elementi cs e sc, come se fosse uno dei tanti elementi analogici del sub-pda, esso viene fatto esplodere in una teoria di collegamenti che sovrasta la sequenza stessa. Tali collegamenti sono graficizzati con frecce rettilinee ascendenti e discendenti. Tali collegamenti vanno inoltre ad emergere più degli altri collegamenti (graficizzati con frecce curvilinee), che al contrario rappresentano i collegamenti reciproci tra elementi cs e i collegamenti reciproci tra elementi sc, cui ci siamo sopra riferiti. La maggior emergenza dei collegamenti che costituiscono l’elemento gp viene ulteriormente sottolineata dalla sagoma di una gobba (che va a ricordare che stiamo cercando di rappresentare in via grafica una singola gobba percettiva). Si affiancano alla gobba centrale altre due sagome di gobba, il cui tratto è intermittente: con tale graficizzazione ci si riferisce al fatto che vi sono altri elementi gp, tra una coppia e l’altra di elementi cs e sc. Si apprende così che il presente schema non rappresenta, in realtà, lo stato di autocoscienza del pensiero, ma quello del primo livello configurazionale, cioè quello della percezione immediata (elemento gp) alternata con il flusso di coscienza (coppie cs-sc), che si può esprimere come sequenza “cs-sc-gp” ripetuta ad libitum. Non potendo graficizzare tale sequenza, si è preferito dunque limitarsi a ricordare al lettore che ci sono elementi gp potenziali che potrebbero frammettersi tra una coppia cs-sc e l’altra.

Analizziamo ora l’interno della gobba percettiva graficizzata. Essa esprime il collegamento di una coppia cs-sc (ma più precisamente di un elemento sc) alla configurazione di uno degli assoluti originari, nella fattispecie l’astraente-concretante. Come abbiamo appreso dal capitolo sugli assoluti, si configurano dodici assoluti originari, in forma di specifiche configurazioni. Ma nella gobba percettiva il collegamento può aversi solo a tre di tali configurazioni: quella dell’astraente-concretante (ac), quella dell’astraente-strutturante (as) e quella dell’astraente-universalizzante (au). Nel nostro esempio, la gp insiste sulla configurazione dell’ac, ma poteva benissimo insistere su un’altra delle due (as o au). In realtà, l’elemento gp, in conformità alla propria onda formaturale, inizia sempre con un’innervazione che insiste sull’ac, che può poi essere seguita anche dal collegamento costituente un’innervazione che insiste sull’as e, in sequenza, può infine essere seguita anche dal collegamento costituente un’innervazione che insiste sull’au. Nel nostro esempio, quindi, ci si limita alla prima innervazione, ipotizzando che tra le coppie cs-sc accanto vi siano due gp le quali, rispettivamente, si colleghino agli altri due tipi d’innervazione. Ma una simile graficizzazione è volutamente sbagliata, per introdurre una semplificazione grafica. Infatti un elemento gp non può ospitare solo l’innervazione as, o solo l’innervazione au: l’innervazione as è infatti sempre preceduta (all’interno dello stesso elemento gp) da almeno una innervazione ac, anzi spesso da molte di tali innervazioni; l’innervazione au, d’altro canto, è sempre preceduta (all’interno dello stesso elemento gp) da almeno una innervazione as (con il suo corteo di precedenti innervazioni ac). Infine si consideri che abbastanza spesso, una stessa innervazione as può essere preceduta (all’interno dello stesso elemento gp) da altre innervazioni as (con il suo corteo di precedenti innervazioni ac), come anche una stessa innervazione au può essere preceduta (all’interno dello stesso elemento gp) da altre innervazioni au (con il suo corteo di precedenti innervazioni as e ac). La gp, infatti, è percezione immediata che può configurarsi come sensazione o come emozione o, infine, come sentimento. Le innervazioni ac sono quelle che configurano le sensazioni. Le innervazioni as sono quelle che configurano le emozioni. Infine, le innervazioni au sono quelle che configurano i sentimenti. Ogni innervazione si struttura come una sequenza di collegamenti ASg-ASg (vd. il relativo capitolo, ma dopo aver finito la lettura di questo), che emerge rispetto alle coppie cs-sc, raggiungendo una delle tre configurazioni di assoluti originari suindicate (ac, o as, o au) e compiendo

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eventualmente uno o più salti paradigmatici. I salti paradigmatici che vengono compiuti nell’elemento gp altro non sono che i collegamenti ASg-ASg agli elementi ufc precedenti o successivi nello schema configurazionale. Le innervazioni si pongono quindi come schema nello schema, che collega tra loro alcuni elementi dello schema configurazionale di riferimento insieme a molti altri collegamenti. Se, per esempio, mi accorgo che il vento che mi sta sfiorando i capelli è in grado di sciogliere le mie tensioni interiori profonde, avrò compiuto un salto paradigmatico nello schema configurazionale, ma continuerò a percepire, nello stesso vento, ed in modo immediato, tale salto paradigmatico anche nel contesto degli elementi gp successivi con i quali percepisca il vento stesso, anche se come una sorta di riverbero di un salto paradigmatico più nitido che precede. Tale riverbero può continuare a collegare i successivi elementi gp al precedente elemento ufc, anche qualora vi siano stati ulteriori salti paradigmatici nel mezzo dello schema. Nel grafico soprastante abbiamo quindi segnato, accanto ad ogni innervazione, la dizione “fsc/ufc”, ad indicare che nell’innervazione si possono alternare, accanto agli elementi fsc (ciascuno dei quali è un novero di collegamenti ASg-ASg a varie configurazioni analogiche) anche i collegamenti ASg-ASg ai precedenti elementi ufc, inseriti nella sequenza più generale dello schema configurazionale. Nel grafico sottostante cerchiamo di evidenziare proprio queste informazioni: l’elemento gp emerge dall’elemento analogico (EA) che abbiamo chiamato sc (cioè l’elemento logico-strutturato). La direzione delle frecce è al contrario, rispetto al grafico soprastante, ma ciò non toglie che la gobba percettiva è rappresentata dall’elemento fsc. Tale elemento è la sequenza di: a) un collegamento ASg-ASg tra l’elemento sc e la configurazione analogica di uno dei tre assoluti sopra indicati (nel nostro grafico, a titolo esemplificativo, s’indica la configurazione dell’astraente-concretante); b) altri collegamenti ASg-ASg a configurazioni analogiche varie (che gestiscono i vari aspetti della percezione immediata affidata al fsc); c) un eventuale collegamento con un precedente elemento ufc del più generale schema dello stato di autocoscienza di riferimento. L’elemento ufc si collega, poi, con un ulteriore elemento fsc, ad un ulteriore elemento ufc; in alternativa, il secondo elemento fsc può collegarsi al successivo elemento cs dello schema. Il grafico del sub-elemento fsc che costituisce la gp è un grafico diverso da quello del fsc che costituisce gli altri tipi di elementi (ufc, afc, cs e sc). In questi ultimi, infatti, il sub-elemento fsc non si alterna con i collegamenti ASg-ASg a precedenti elementi ufc, poiché per tenere conto di tali collegamenti è sufficiente il collegamento ASg-ASg alla configurazione analogica dell’onda formaturale (in senso stretto).

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Lo stesso elemento gp può esprimere, al suo interno, una sequenza di più innervazioni, passando da un’innervazione ac ad una innervazione as e, infine, spesso dopo varie reiterazioni di sequenze d’innervazioni ac e d’innervazioni as, ad una o più innervazioni au. Il passaggio da un’innervazione a quella successiva (sia dello stesso tipo che di tipo diverso) è assicurato da collegamenti ASg-ASg a precedenti elementi ufc del pda di riferimento o di pda incrociati305. Una graficizzazione della sequenza d’innervazioni, all’interno di una stessa gobba percettiva, è offerto nella figura seguente. Si può quindi comprendere come l’elemento gp sia, oltre ad una base percettiva d’indubbia complessità rispetto ai nostri schemi di stati di autocoscienza, anche la resa immediata della costruzione di sensazioni, emozioni e sentimenti che in tali schemi ha già preso vita. La gp è, insomma, il punto d’incontro della realtà tendenzialmente oggettiva (rappresentata dai collegamenti ASg-ASg a configurazioni ulteriori a quella del sub-pda di riferimento e ai collegamenti interni a tali configurazioni) e della realtà tendenzialmente soggettiva (rappresentata dai collegamenti ASg-ASg agli elementi ufc precedenti). In tale punto d’incontro si ha sia l’illusione della realtà oggettiva che la tentazione continua (ed in alcuni casi l’occasione) di trasformarla.

305 Va da sé – per quanto esplicitato sul verso di scorrimento della percezione intuitiva e di quella logico-strutturale – che un’innervazione potrà collegarsi con elementi ufc di altri pda a monte, se incrociati a monte dell’elemento gp, e con elementi ufc di altri pda a valle, se incrociati a valle dell’elemento gp.114

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9. Schema specifico della fùsis

Grazie all’elaborazione teorica dei precedenti capitoli, possiamo ora analizzare lo schema configurazionale della fùsis. Ripetiamo, per comodità, cosa sia la fùsis. Essa è lo stato di autocoscienza più spesso (cioè caratterizzato da una maggiore prevedibilità, almeno a livello tendenziale, secondo l’attuale maniera umana di percepire, intuire e comprendere intellettivamente). Tale stato di autocoscienza esprime le leggi scientifiche, cioè ogni regola appartenente al sapere umano, in qualunque ambito del sapere (anche filosofico, religioso, sociologico, giuridico, storiografico, artistico, ecc…, e non solo nelle materie tradizionalmente considerate come scienze classiche).

Prima di esplicitare lo schema della fùsis, notiamo che questa può esprimersi in via automatica (e inconscia) o in via mediata (e conscia). L’uomo, cioè, può accorgersi che una mela è caduta da un albero oppure recidere il picciolo della mela e farla così cadere. In entrambi i casi ha avuto applicazione la legge di gravità, ma solo nel primo caso lo stato di autocoscienza implicato è interamente fùsico; nel secondo caso abbiamo una prima sezione non fùsica ed una successiva sezione che è fùsica. Questa distinzione è molto importante, per capire cosa sia davvero la fùsis. La fùsis non è infatti una mera percezione immediata della realtà (che è invece rappresentata dall’elemento gp, di cui al precedente capitolo). Essa è piuttosto un sub-pda306 inconscio, formato dal solo elemento afc (ed eventualmente dall’ulteriore elemento ufc, se si ha il passaggio automatico ad un’altra configurazione analogica307). L’elemento afc, come apprenderemo nel capitolo sullo sfrangiamento, può aversi da solo o con altri elementi cs, sc e gp. Se è solo, contempla al suo interno un novero di elementi fsc che integrano stati di autocoscienza virtuali (esprime, quindi, un sub-pda inattivo, ovverosia inconscio). Se è accompagnato da altri elementi cs, sc e gp, allora non integra stati di autocoscienza virtuali, poiché l’osservatore si trova ad esprimere un sub-pda attivo, ovverosia conscio308.

Lo schema configurazionale della fùsis è quindi il più semplice di tutti: “afc-(ufc)”. La complessità dell’elemento afc è descritta ed analizzata nel capitolo sullo sfrangiamento. Si tratta di una semplicità solo apparente, poiché l’afc replica la stessa complessità (per quanto in versione virtuale) di un intero sub-pda dotato di elementi cs, sc e gp.

306 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.307 Si può avere un salto paradigmatico inconscio da un sub-pda inattivo (=inconscio) verso un ulteriore sub-pda, attivo o inattivo, grazie ad un ponte mistico già disponibile senza ulteriori implementazioni dell’onda formaturale. In tal caso, infatti, non è richiesto nemmeno una perlustrazione conscia (con uno schema “cs-sc” o “cs-sc-gp”, eventualmente reiterato ad libitum) della configurazione di riferimento, per costituire il paradigma della configurazione di arrivo (cioè l’elemento “ufc”: vd. capitolo sullo sfrangiamento).308 E’ la potenzialità di un pdac a rendere conscio o inconscio un sub-pda. Se infatti il sub-pda ha al suo interno, o in un sub-pda con esso incrociato, un pdac, si forma una memoria effettiva del suo articolarsi in elementi cs, sc, gp e ufc. Se manca un pdac, invece, non è possibile verificare la presenza di alcuna memoria effettiva. La presenza di un pdac, infatti, catapulta lo schema nel primo livello configurazionale. Si noti che il pdac semina elementi analogici nel sub-pda di partenza ma anche nei sub-pda con questo incrociati, grazie alla capacità dell’osservatore di collegare gli elementi cs agli altri elementi cs a monte e gli elementi sc con gli altri elementi a valle. Un pdac potrà allora partire dal sub-pda A, seminando un elemento nel sub-pda incrociato B (a monte) o nel sub-pda incrociato C (a valle), nonché successivamente con gli altri sub-pda incrociati a monte o a valle con B o C, e così via. Ogni volta che semina in un sub-pda, questi entra nel primo livello configurazionale.116

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10. Le fùseis di aggiornamento, le fùseis di raccordo e le fùseis escatologiche (d’ora in poi, anche: “zip-fùseis, racc-fùseis e esc-fùseis” o “z.r.f.”), nonché la ifscγ: la telepatia diffusa (td)

[i]L’illusione della realtà è un’illusione potente, ma quali procedimenti segue, al fine di conservarsi (nella

maggior parte delle nostre situazioni di vita) e d’infrangersi (in alcune rare situazioni di vita, che riguardano pochi osservatori più illuminati)? Uno dei punti cardine dell’illusione della realtà e del suo infrangimento è rappresentato dalle fùseis, cioè dalle leggi scientifiche (nel senso più lato possibile di questo termine). Si consideri che, se la realtà (intesa come realtà oggettiva) fosse pienamente, fedelmente e senza eccezioni rispecchiata nel linguaggio analogico-configurazionale, non vi sarebbe alcuna discrepanza tra realtà fùsica309 e osservazione della realtà fùsica, poiché le regole che si potrebbero ricostruire come applicate a detta realtà sarebbero quelle che effettivamente ed in ogni contesto configurazionale si applicherebbero ad essa. L’estrema variabilità delle configurazioni, per quanto poco percepibile per l’uomo della strada, introduce però una ineliminabile componente soggettiva nella realtà, anche in quella fùsica (cioè negli schemi configurazionali del tipo “afc-(ufc)”310). Se dunque la rete analogica delle cose esistenti (che chiamo anche “essere”, o “essere supremo”) permette discrepanze notevoli, per quanto poco percettibili, tra le varie realtà fùsiche311 configurate per i vari osservatori e nei vari contesti, vi dovranno essere momenti di aggiornamento, di raccordo e di correzione tra queste ultime. Tali momenti sono gestiti nel livello inconscio312 della realtà, cioè negli schemi fùsici (ovverosia negli stati di autocoscienza del tipo della fùsis). L’essere trasmette quindi ad ogni osservatore, con una forma di telepatia che chiameremo diffusa, le fùseis di aggiornamento, quelle di raccordo e quelle di correzione (queste ultime con finalità escatologica), ogni volta che ciò sia necessario per mantenere la illusione della realtà o per segnalarne e corroborarne l’evoluzione con apposite anomalie percettive.

Le fùseis di aggiornamento (zip-fùseis) gestiscono la funzione di collegamento, all’interno del 5lc, di un sub-pda appartenente ad una configurazione x con un sub-pda appartenente ad una configurazione y, tali che x e y siano configurazioni adiacenti (cioè per passare da x a y deve bastare un solo salto paradigmatico). La domanda che sorge è: come viene scelta la configurazione y di arrivo, a partire dalla configurazione x di partenza? La risposta è: grazie all’onda formaturale in senso stretto, all’onda formaturale in senso lato e alle interferenze con l’ambiente esterno. La prima on.for dice quali siano le possibili configurazioni di arrivo; la seconda on.for, introducendo il contesto finalistico dell’osservatore, dice quale di tali configurazioni di arrivo vada selezionata; intervengono nella scelta anche le interferenze che il contesto finalistico dell’osservatore subisce per via dei pda-dist e dell’aggancio che questi ultimi hanno fatto ai pdac dell’osservatore. La zip-fùsis è una sorta di alchimia che, basandosi sui tre parametri appena espressi, stabilisce in ogni situazione configurazionale del 5lc quale sia la configurazione di arrivo e, pertanto, configura l’elemento ufc che deve introdurne il paradigma nello schema configurazionale.

Le fùseis di raccordo (racc-fùseis) gestiscono, in primo luogo, la funzione di collegamento, nella percezione logico-strutturale313, dell’elemento analogico sc (elemento logico-strutturale) con gli elementi sc

309 Realtà fùsica = realtà rappresentata dalle leggi scientifiche nel loro svolgersi.310 Vd. capitolo sullo schema configurazionale della fùsis.311 L’illusione della realtà si regge sulle realtà fùsiche (cioè sulla fùsis, il cui sub-schema configurazionale “afc(-ufc)” non è ancora modificato dal successivo tragitto concreto del sub-pda), in quanto queste realtà tengono conto esclusivamente dell’onda formaturale in senso stretto (cioè dei limiti intuitivi nell’osservazione delle cose) e non dell’onda formaturale in senso lato (cioè della potenzialità, da parte dell’osservatore, d’inserire variazioni sul tema nella sezione di sub-pda successivo alla fùsis). Le cd. azioni intenzionali dell’uomo, che si discostano di poco dalla fùsis di riferimento del sub-pda, anche se sono in grado di modificare la costruzione del sub-pda, risultano irrilevanti in quanto non riescono comunque a violare i limiti imposti dal suo paradigma specifico (almeno per l’osservazione automatica dell’uomo). Le modifiche apportate dall’uomo alla fùsis, finché questi non salta ad un'altra configurazione, sembrano limitarsi a mere variazioni sul tema, rese possibili dall’onda formaturale in senso lato, che non contravvengono ai limiti intuitivi impostati (in ossequio al paradigma) dall’onda formaturale in senso stretto. Vd. il capitolo sull’onda formaturale.312 Non si faccia confusione con il secondo livello configurazionale, che è quello che chiamiamo “inconscio”. Qui si parla dell’inconscio della realtà, cioè di quella parte della realtà che l’uomo-osservatore non può controllare: quindi della fùsis.117

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a valle314 che si trovano in altre configurazioni, rispetto a quella del sub-pda di riferimento. Esse stabiliscono, dunque, quali strutture logiche riusciamo a percepire nella realtà che ci circonda, quando vi facciamo caso e ci chiediamo (con un pda di controllo) quali esse siano. Prova a guardare un bicchiere e chiediti quale forma esso abbia: la percezione strutturale, grazie al pdac315, ti dirà che ha forma cilindrica. Ovviamente la percezione logico-strutturale s’innesca ad ogni minimo accenno (anche quasi inconscio) di pdac, diventando una sorta di sottofondo abbastanza pervadente della nostra percezione generalizzata della realtà. Tali fùseis arricchiscono la percezione logico-strutturale con quelle configurazioni che non siano né attivate né inattivate, ma sfrangiate316 o del tutto assenti nell’organismo dell’osservatore317, però presenti nel quinto livello configurazionale confinato318 (5lc). Le configurazioni, attivate o inattivate (e cioè consce o inconsce), che siano comunque presenti nell’organismo dell’osservatore, sono già disponibili alla sua percezione logico-strutturale, grazie agl’incroci tra pda; anche se, nel caso in cui l’incrocio sia lontano dal sub-pda di riferimento, potrà occorrere un pdac più complesso (e quindi qualche secondo di tempo, nell’illusione della realtà) per la visualizzazione delle strutture logiche implicate. Gli elementi delle configurazioni (attivate o inattivate) comunque presenti nell’organismo dell’osservatore vanno ad informare, grazie all’onda formaturale, le racc-fùseis, che sono già predisposte per adeguarsi ad esse nel contesto del 5lc319. Le racc-fùseis forniscono, inoltre, una soluzione quasi istantanea per la visualizzazione delle strutture logiche implicate (a differenza di quanto avviene nell’osservazione libera dell’interprete, che avviene nel 5l), ma solo per alcune delle configurazioni implicate del 5lc, cioè quelle più contigue320, non per tutte. Sarebbe infatti un inutile aggravio informativo consentire all’osservatore di spaziare nell’intero 5lc, ogni volta che interroga la propria percezione logico-strutturale. La prima funzione delle racc-fùseis è quindi quella di selezionare le configurazioni visibili, con il suddetto tipo di percezione, a partire da un certo elemento sc (su cui insiste l’attenzione321 dell’osservatore), tipizzato per la sua onda formaturale in senso

313 Cosa sia la percezione logico-strutturale è spiegato, nel modo più analitico e dettagliato, nel capitolo sullo sfrangiamento.314 Come più volte riportato nei capitoli precedenti, in particolare in quello sull’elemento analogico e in quello sul percorso di autocoscienza, ogni elemento sc si può collegare, nella percezione logico-strutturata o su stimolo di un pdac, con gli elementi sc a valle del medesimo pda e dei pda incrociantesi con questo, purché s’incrocino con un elemento a valle dell’elemento sc di riferimento.315 Pdac = pda di controllo. Vd. il relativo capitolo.316 Un elemento analogico il cui finalismo decade è soggetto a sfrangiamento. Come funzioni questo complesso procedimento (che potremmo addirittura considerare uno dei due lati del grande processo dell’essere) è descritto analiticamente nel relativo capitolo.317 Come precisato nel capitolo sulla configurazione analogica e in quello sul percorso di autocoscienza, l’organismo dell’osservatore è un complesso intreccio di pda, in cui sussiste un immenso novero di pda di cui nemmeno siamo consapevoli ed in cui sono inseriti, come elementi analogici costitutivi, anche le nostre cellule e atomi e qualunque altra entità scientifica (in senso lato).318 Nel capitolo sui cinque livelli configurazionali, sarà spiegato cosa sia il quinto livello. Esso gestisce le interpretazioni (cioè i salti paradigmatici) che si sono cristallizzate nella “catena timbrica” dell’osservatore, diventando così il suo partimonio intangibile nella vita biologica attuale e di reincarnazione in reincarnazione, essendo evocabili rapidamente e ad libitum, anche se abbiano per ipotesi subito lo sfrangiamento. Il quinto livello confinato è quella macro-sezione del quinto livello che è comune ad ogni uomo di una certa cultura o civiltà. Esso costituisce lo stato dell’arte quanto ad archetipi evocabili nella conoscenza collettiva. Ogni civiltà (e anche ogni cultura del passato) mantiene il proprio stato dell’arte, nei cd. regni dell’aldilà: ciò rende più difficile la comunicazione e comprensione reciproca tra gli uomini di oggi e quelli delle epoche passate, nelle trasmissioni cd. medianiche.319 Si noti come questa modalità di adattare cose tra loro così differenti (le configurazioni già presenti nell’organismo e quelle verso cui si muove l’osservatore) rappresenta un’alchimia estremamente potente, che va a costituire come qualcosa di veramente unico il 5lc. I molti 5lc che convivono nella rete analogica (uno solo dei quali è la realtà cui siamo abituati) può apparire come una sorta di universo multi-dimensionale, anche se la parola “dimensione” mi pare errata, poiché fa pensare che tra una dimensione e l’altra non ci siano punti di contatto ma che ogni dimensione si muova rispetto all’altra come un binario rispetto a quello parallelo. Se ciò è vero per buona parte dell’esperienza (così specializzata) di un qualunque 5lc, non si vanno certo ad eliminare i punti di contatto e di trasmissione telepatica d’informazioni, che possono anche essere numerosissimi e solo evitabili grazie alla specializzazione stessa del 5lc.320 Una configurazione è contigua ad un’altra se le è adiacente (cioè raggiungibile con un solo salto paradigmatico) oppure quasi adiacente (cioè raggiungibile con pochi salti paradigmatici).118

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lato322. Grazie alle racc-fùseis (che chiamerò “di tipo 0”323) l’osservatore non può compiere dei salti paradigmatici (né consci né inconsci): tuttavia una racc-fùsis, in unione con la corrispondente zip-fùsis (che la precede nello schema configurazionale) può percepire a livello logico-strutturale (e non a livello di percezione immediata324) gli stessi salti paradigmatici che ogni altro essere umano della sua cultura o civiltà325 è capace di percepire, nel grado in cui sia completato il suo sviluppo fisiologico e cognitivo, in una certa situazione configurazionale, addentrandosi (pur senza il salto paradigmatico) nella configurazione che il salto stesso dischiuderebbe. E’ l’onda formaturale (in senso lato) – la quale fotografa la situazione configurazionale326 di un elemento analogico su cui insiste l’osservazione dell’osservatore - che è decisiva nello stato conscio (primo livello configurazionale) per l’individuazione, da parte dell’essere, degli elementi da rendere percepibili nella configurazione di arrivo con i collegamenti tra elementi sc. Nello stato inconscio (secondo livello configurazionale), invece, l’essere rende disponibile un set preimpostato di elementi, a

321 In realtà, l’attenzione dell’osservatore si appunta sull’elemento cs (ovverosia l’elemento intuitivo concreto) che è più direttamente collegato all’elemento sc considerato. Solo per semplicità, ho quindi detto che l’attenzione dell’osservatore, in ipotesi, fosse appuntata sull’elemento sc, anziché sull’elemento cs a lui più direttamente collegato.322 Per esempio, se guardo un bicchiere di vetro, la cui superficie è decorata in bassorilievo ma trasparente, da un certo angolo visuale e con una certa luce, potrò visualizzarne alcune strutture logiche (ognuno immagini pure quali), mentre altre mi risulteranno del tutto invisibili (una struttura per tutte, quella molecolare). L’onda formaturale (vd. il relativo capitolo) gestisce i collegamenti analogici di un certo elemento (su cui insiste attualmente l’osservazione) permettendo d’individuare, grazie ad un’apposita contestualizzazione finalistica, i collegamenti rilevanti su cui far appuntare l’ulteriore focalizzazione attentiva dell’osservatore. Le racc-fùseis si basano quindi sulla specifica focalizzazione attentiva, che prende l’abbrivio a partire da un certo elemento del sub-pda e che emerge nella sua caratterizzazione grazie alla specifica onda formaturale (in senso lato) dell’elemento stesso, per stabilire quali degli elementi sc implicati a valle (all’interno di configurazioni ulteriori rispetto a quella del sub-pda di riferimento) saranno percepibili con la percezione logico-strutturale. In questo modo contribuiscono a dettare il limite logico-intuitivo preciso della configurazione di riferimento, poiché (come si arguisce dalla teoria di T. Kuhn) il paradigma ha il potere di plasmare la realtà in cui ci moviamo, facendo leva sulla possibilità o meno di percepirla. Se per esempio l’uomo di oggi si ammala per un pensiero negativo, non è ancora in grado di accorgersene a livello di percezione logico-strutturale (gestita in modo paritario e conforme per ogni uomo adulto in base alle racc-fùseis), a meno che non inserisca tale facoltà nel suo quarto o quinto livello configurazionale, cioè i livelli che gestiscono l’interpretazione intesa come salto paradigmatico: non ha infatti la possibilità di percepire di default, sulla base del mero sviluppo fisiologico e cognitivo dell’umanità attuale, la struttura logica in base a cui un pensiero si collegherebbe con una malattia. Le racc-fùseis plasmano quindi la società umana e la realtà in cui essa vive. A tale risultato concorrono anche, come vedremo tra breve, la seconda funzione delle racc-fùseis (operando sulla percezione intuitiva) e le esc-fùseis (operando sul piano della stimolazione delle “seconde” anomalie percettive).323 Le zip- e racc-fùseis del primo e del secondo tipo saranno descritte analiticamente nel capitolo sullo sfrangiamento, in una nota che tratta della gestione della complessità nello schema configurazionale. Torna indietro al link sottostante.324 Come vedremo nel capitolo sullo sfrangiamento, la percezione immediata è gestita anche in presenza di zip-fùseis e racc-fùseis di tipo 0, quali quelle trattate in questo capitolo, ma grazie ad altre articolazioni analogico-configurazionali. In particolare, nello schema configurazionale complesso, nella sezione in cui l’afc è già drenato (1° caso), la percezione immediata è gestita dagli elementi gp e, ai fini del raccordo con questi, dall’ifscγ degli elementi cs e sc; nello schema configurazionale complesso, nella sezione in cui l’afc non è ancora drenato (2° caso), la percezione immediata è gestita dall’ifscβ dell’afc; nello schema configurazionale semplificato (quello retto, appunto, dalle zip- e racc-fùseis del tipo 0) (3° caso), in cui l’afc non è ridotto ad una coppia di fcs ma al cs successivo, la percezione immediata è gestita dagli elementi gp e, ai fini del raccordo con questi, dall’ifscβ degli elementi cs e sc (come nel primo caso).325 Siamo nel campo del 5lc (quinto livello configurazionale confinato: vd. il relativo capitolo sui livelli configurazionali). Il 5lc riguarda anche i corpi inerti e gli organismi non auto-coscienti, la cui percezione logico-strutturale e intuitiva è gestita da racc-fùseis del tipo 0. Quindi il 5lc non contraddistingue solo le culture o le civiltà umane, ma anche i regni viventi e i regni inerti. Perfino i regni ex-viventi o inerti, costituiti da esseri auto-coscienti o non auto-coscienti defunti o disintegrati e quindi riconfigurati in corpi sottili. Una volta defunto, un organismo non auto-cosciente (o poco auto-cosciente) potrebbe tornare ad avere (in un regno ex-vivente) un corpo ad alta auto-coscienza, se la sua catena timbrica (c-fcfs-td) supportasse tale complessità: ciò non succede, fino alla reincarnazione in un corpo vivente ad alta auto-coscienza, poiché le zip- e racc-fùseis gestiscono anche il 5lc dei regni ex-viventi, assegnando agli esseri viventi corpi sottili conferenti con il corpo che avevano nei regni viventi o inerti.326 Per situazione configurazionale intendo il novero di collegamenti analogici rilevanti per un singolo e specifico elemento di un percorso di autocoscienza. Tali collegamenti ci dicono verso dove si volgerà l’attenzione e l’acume conoscitivo dell’osservatore e, in ultima analisi, il suo stesso acume conoscitivo. [Torna indietro alla nota sul raggio

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secondo dell’onda formaturale in senso stretto. Sulla base di quest’ultima, infatti, sarà fotografata la situazione configurazionale dell’intero sub-pda inconscio nello schema semplificato. Se però lo schema semplificato di tale sub-pda è già stato percorso in stato conscio, si continueranno a seguire le impostazioni basate sull’onda formaturale in senso lato, finché non si abbia lo sfrangiamento di un elemento a monte. In caso di sfrangiamento, si torna invece alla preimpostazione basata sull’on.for in senso stretto327.

S’introduce così il tema della telepatia diffusa, che definisce in primo luogo la nostra percezione delle strutture logiche della realtà. L’essere supremo (che spesso, come poco sopra, chiamo più semplicemente “l’essere”) opera una telepatia diffusa nei confronti degli organismi viventi (autocoscienti o meno) e degli organismi ex-viventi, dando a ciascuno di tali organismi una certa percezione logico-strutturale della realtà che lo circonda e che è dentro di lui (auto-cezione). Le racc-fùseis sono leggi scientifiche che regolano, quindi, la nostra capacità percettiva di tipo logico-strutturale, dicendoci in ogni situazione configurazionale in quali configurazioni analogiche (del 5lc) possiamo attingere gli elementi sc cui collegare a valle gli elementi sc del sub-pda di riferimento, negli stati di autocoscienza siti nel primo livello configurazionale. Vedremo come nel quarto livello configurazionale328 s’introducano deroghe alle leggi scientifiche, grazie a ciò che chiamo tecnica non costitutiva (come sarà spiegato in una nota del capitolo sullo sfrangiamento: vd. link qui riportato in nota). Si deve inoltre distinguere tra racc-fùseis di tipo 0 e racc-fùseis del primo tipo, che gestiscono leggi scientifiche di tipo diverso; nonché, ovviamente, tra zip-fùseis di tipo 0 e zip-fùseis del primo tipo, che si configurano come elemento ufc precedente alla racc-fùsis del tipo corrispondente (che si configura come elemento afc). Ogni coppia di zip-fùsis e racc-fùsis (d’ora in poi, per semplicità anche: “zip- e racc-fùsis”) di tipo 0 corrisponde ad una legge scientifica che sostituisce il salto paradigmatico, permettendo d’impostare329 la relativa configurazione analogica330 (così come preimpostata nel 5lc), in presenza di una situazione configurazionale di un certo tipo (non esattamente coincidente con la situazione configurazionale che genererebbe il salto paradigmatico conscio). D’altro canto, ogni zip- e racc-fùsis del primo tipo corrisponde ad una legge scientifica che, in stato inconscio (cioè nel secondo livello configurazionale), regola lo specifico tragitto del sub-pda all’interno della configurazione di arrivo. Per impostare il secondo elemento del salto paradigmatico sostituito dalla zip-fùsis del tipo 0, cioè l’elemento afc semplificato (che è poi un elemento cs), immediatamente successivo al primo elemento del salto stesso, cioè all’elemento ufc semplificato (che è poi un elemento sc), occorre una racc-fùsis di tipo 0, come ci accingiamo tra breve a spiegare (e come abbiamo poco sopra solo accennato).

Le fùseis di raccordo (racc-fùseis) gestiscono, in secondo luogo, la funzione di collegamento, nella percezione intuitiva331, dell’elemento analogico cs (elemento intuitivo concreto) con l’elemento sc

d’increspatura] [Torna alla nota successiva sulla situazione configurazionale]327 E’ per questo che gli esseri umani hanno lo stesso tipo di sviluppo, in situazioni standardizzate, e tendono a tornare al portato di tale tipo di sviluppo anche se si erano diversificati rispetto ad esso. Chi ha subito abusi in famiglia può superare la propria diversificazione, purché non si maceri in essa, e costruirsi una famiglia sana; d’altronde, finché si macera nelle situazioni configurazionali della propria diversità dallo sviluppo standard della propria civiltà o cultura di appartenenza, non assisterà allo sfrangiamento dei percorsi costruiti e quindi non potrà costruire quelli standardizzati dall’essere (nel particolare 5lc di riferimento: vd. capitolo sui livelli configurazionali).328 Si tratta dell’intero sepsesf (vedi capitolo sugli stati di autocoscienza). Il primo livello configurazionale è quello che gestisce il pda in modo lineare, cioè come sequenza di sub-pda priva d’incroci. Il quarto livello è invece quello che gestisce il pda sia come sequenza di sub-pda in linea, sia come incrocio di pda che, infine, come pda in cui s’introducono nuovi salti paradigmatici (non ancora cristallizzati nei CS, ma nuovi rispetto al primo livello, in cui rientrano solo quelli compresi nel quinto livello confinato: vd. capitolo relativo alla cristallizzazione dei CS). Vd. il capitolo sui livelli configurazionali.329 Con il termine “impostare (la configurazione di arrivo)” intendo riferirmi alla capacità della zip-fùsis di tipo 0 di configurare l’elemento sc, che costituisce la versione semplificata dell’elemento ufc. La semplificazione insita nell’sc consiste nell’assenza delle rigidità dell’ufc (dal quale non possono cadere i sub-elementi fsc indispensabili per la configurazione del paradigma specifico, nonché i collegamenti ASg-ASg alla configurazione dell’onda formaturale in senso stretto. Vd. in proposito il capitolo sullo sfrangiamento).330 Per semplicità adopero il singolare, ma la zip-fùsis può collegare a più di una configurazione a valle. Si leggano dunque come singolari o plurali i riferimenti successivi alla configurazione, alla configurazione di arrivo e al salto paradigmatico.331 Cosa sia la percezione intuitiva è spiegato, nel modo più analitico e dettagliato, nel capitolo sullo sfrangiamento.120

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immediatamente successivo e con gli elementi cs a monte332 che si trovino in altre configurazioni del 5lc, rispetto a quella del sub-pda di riferimento (racc-fùseis di tipo 0), o in quest’ultima (racc-fùseis del primo tipo). Questa costituisce così un’ulteriore funzione di telepatia diffusa, con cui l’essere pone in grado l’osservatore, con diversa potenzialità a secondo della situazione configurazionale333 in cui si trova, di bypassare a monte334 i limiti della percezione logico-strutturale, arrivando a percezioni logico-strutturali più ampie. Gli esseri umani, infatti, oltre ad avere (in una medesima civiltà ed epoca storica) gli stessi limiti nella percezione logico-strutturale, hanno anche le stesse chances di superarli grazie all’intuizione, a secondo della situazione (configurazionale) in cui si trovano, attingendo ad una selezione335 di configurazioni del 5lc. Si pensi a come i bambini incontrino all’incirca le stesse difficoltà di apprendimento, con differenze a secondo della propria situazione familiare o cognitiva più specifica (ma comunque categorizzabile). Anche le racc-fùseis hanno quindi a che vedere con il 5lc, non solo per la loro complementarietà con le zip-fùseis. Le zip-fùseis, infatti, rispondono alla domanda: verso quali configurazioni del 5lc si espande lo schema configurazionale del pda di riferimento, in una certa situazione configurazionale? Le racc-fùseis, invece, rispondono alla domanda: fino a quali configurazioni a monte o a valle o verso quali elementi della configurazione di riferimento possono spingersi la percezione intuitiva e logico-strutturale (a prescindere dallo sfrangiamento dei relativi sub-pda), attingendo ad una selezione di configurazioni del 5lc che si trovino a monte o a valle di quella di riferimento, o ad una selezione di elementi della configurazione di riferimento, in base alla situazione configurazionale dell’osservatore? Quest’ultimo, se si trova nel primo livello configurazionale (stato conscio), può comunque focalizzare la propria percezione intuitiva e la propria percezione logico-strutturale su configurazioni o elementi ulteriori a quelli selezionati dalle racc-fùseis, purché tali configurazioni o elementi non siano sfrangiati né del tutto assenti nel suo organismo, impostando un pda diverso da quello preimpostato dalle zip- e racc-fùseis del tipo 0 e del primo tipo. Ma non appena le sezioni “personalizzate” di tale pda si sfrangiano, gli elementi (rispettivamente) a valle e a monte si ristrutturano, se solcati nel secondo livello configurazionale (stato inconscio), secondo le zip- e racc-fùseis del tipo 0 e del primo tipo. Si possono così creare anche situazioni d’incoerenza (come avviene nelle malattie mentali, che sono spesso impostazioni consce di salti paradigmatici che derogano rispetto al 5lc, o anche solo in momenti di misunderstanding), che possono essere risolte dall’osservatore con appositi pdac consci (purché il pdac che si collega a monte del salto paradigmatico derogatorio sia stato agganciato da un pda-dist performato per ricondurre alla configurazione derogata: in questo sta il talento dell’interprete o l’erudizione del professionista).

Le zip- e racc-fùseis, che nel capitolo sullo sfrangiamento chiamerò “zip- e racc-fùseis del tipo che gestiscono la trasduzione” sono le stesse del primo tipo336, quanto a conformazione analogica, ma possono

332 Come più volte riportato nei capitoli precedenti, in particolare in quello sull’elemento analogico e in quello sul percorso di autocoscienza, ogni elemento cs si può collegare, nella percezione intuitiva o su stimolo di un pdac, con gli elementi cs a monte del medesimo pda e dei pda incrociantisi con questo, purché s’incrocino con un elemento a monte dell’elemento cs di riferimento.333 Vd. la definizione di situazione configurazionale, data in una nota precedente.334 Con l’espressione “bypassare a monte” mi riferisco alla possibilità per l’osservatore, che non trova soddisfazione nella strutturazione degli elementi sc a valle dell’elemento sc su cui attualmente insiste, di collegarsi all’elemento cs più direttamente collegato con l’elemento sc stesso e di risalire le catene di collegamenti a monte di tale elemento cs con gli altri elementi cs, appartenenti al medesimo pda o incrociati a monte con esso. In questo modo l’osservatore può superare il limite logico-strutturale iniziale, poiché nel nuovo punto della catena di elementi sc cui si collega ha la possibilità di collegarsi con un tratto di catena che prima non era accessibile e con ogni altra catena logico-strutturale che, grazie ad altri pda aggrovigliati con quello di riferimento, incroci tale tratto.335 La selezione di configurazioni del 5lc disponibili alla percezione intuitiva dell’osservatore dipendono dalla situazione configurazionale in cui si trova l’elemento cs su cui è focalizzata la sua attenzione. La situazione configurazionale è decisa nell’onda formaturale, che tiene conto anche dello sviluppo fisiologico e cognitivo dell’osservatore stesso.336 Si tratta quindi di zip- e racc-fùseis del primo tipo, non del tipo 0. Ciò in quanto l’osservatore, per impostare in modo personalizzato tali fùseis, deve agganciare le due configurazioni del 5lc che esse vanno a plasmare con un pdac conscio e alterarne gli elementi, oppure agganciare sub-pda siti in configurazioni diverse con dei pda-dist performati per condurli nelle due configurazioni succitate e modificarle. La modifica della configurazione che precede l’elemento ufc andrà a modificare indirettamente quest’ultimo, invece la modifica della configurazione in cui è inserito l’elemento afc andrà a modificare indirettamente quest’ultimo. Comportando ciò anche una modifica dei confini intuitivi della seconda configurazione (quella in cui è incluso l’elemento afc), l’introduzione di una fùsis che gestisce la trasduzione 121

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avere esiti configurazionali diversi rispetto a quanto preimpostato dall’essere nel 5lc, tenendo così conto delle personalizzazioni che ciascun osservatore può introdurre in modo conscio (cioè nel primo livello configurazionale). Tali zip- e racc-fùseis sono trattate nella nota di cui al link seguente.

Le zip- e racc-fùseis del secondo tipo, che gestiscono le deroghe introdotte dall’osservatore alle zip- e racc-fùseis di tipo 0, con vere e proprie reazioni da parte dell’essere, sono trattate in una lunga nota al capitolo sullo sfrangiamento. Si tratta delle stesse zip- e racc-fùseis del tipo che gestisce la trasduzione, ma con un’unica differenza nella conformazione analogica (come si spiega nella nota appena citata).

Le zip- e racc-fùseis del terzo tipo, che gestiscono l’accordo costitutivo sull’essere con l’essere supremo, in grado di coordinare e comprimere le zip- e racc-fùseis del secondo tipo, sono trattate nella medesima nota.

Le zip- e racc-fùseis del quarto tipo compaiono nei sub-elementi fsc dell’ifscα dell’afc: vd. nota relativa.Le zip- e racc-fùseis del quinto tipo compaiono nei sub-elementi fsc dell’ifscβ dell’afc: vd. nota relativa.

[Torna indietro al capitolo sul vivente]Segue la figura che graficizza le caratteristiche e la collocazione analogico-configurazionale dei sette tipi

di zip- e racc-fùseis sopra analizzate.

Le zip- e racc-fùseis del sesto tipo non sono graficizzate. Si tratta di quelle fùseis cui si collegano le due innervazioni dell’afc (o degli elementi dello schema semplificato o già drenato), per operare la trasmutazione dei linguaggi. Sono spiegate sotto nel capitolo sullo sfrangiamento.

Le zip- e racc-fùseis del settimo tipo (chiamate anche “z.r.f./7”) scaturiscono dalle on.for in senso lato della CApdac (che altro non sarebbe che la configurazione analogica che gestisce il pdac, che è la stessa che chiamiamo CAac, cioè configurazione dell’astraente-concretante) e innescando delle analogie singolari sefèriche (cioè salti paradigmatici consci o inconsci) vanno a trasmettere a livelli di coerenza più elevati o

va ad istituire una tecnica non costitutiva.122

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più bassi, ma comunque limitrofi, l’individuazione degli elementi comuni a due configurazioni (che è quanto permette ai pda-dist, il cui elemento comune ha un’onda formaturale continente rispetto all’elemento comune del pdac, di dirottare quest’ultimo verso il salto paradigmatico successivo nel corpo dello schema configurazionale del pda-dist). La scelta (da parte delle z.r.f./7) di espandere la comunanza di elementi analogici in livelli limitrofi di coerenza va a supportare l’illusione della realtà. [torna indietro al capitolo sullo sfrangiamento]

Le fùseis escatologiche (esc-fùseis) gestiscono la funzione di disseminazione di seconde anomalie337 nella percezione immediata338, nel modo che mi appresto a spiegare in questo capoverso. La percezione immediata è assicurata dai collegamenti ASg-ASg339 che formano il sub-elemento analogico fsc (vd. il capitolo sulla gobba percettiva e, per un approfondimento ancora più analigico, quello sullo sfrangiamento). Tali collegamenti introducono l’osservatore in configurazioni nascoste, che egli non riesce ad individuare e che costituiscono un novero immenso rispetto alle configurazioni raggiungibili sottoponendo a verifica, con appositi pdac340, la nostra percezione341. Peraltro tali configurazioni nascoste sono così ben nascoste, grazie all’ASg (analogia singolare grafèica o elemento ineffabile puro), che è categoricamente impossibile342 ricostruirle con esattezza. In tale nascondimento è quindi insito il non-so-che della realtà percepita. I collegamenti ASg-ASg a tali configurazioni nascoste, tuttavia, vanno ad increspare343 le onde formaturali (in senso lato)344 di altri pda inattivi, innescando le nuove intuizioni e strutturazioni logiche nel contesto dei pdac e dei successivi pda-dist345. E’ grazie a questo meccanismo d’increspatura dell’onda formaturale, di formazione di un successivo novero di pdac e di ulteriori pda-dist, che vengono performati per cogliere le occasioni intuitive di nuove strutturazioni logiche, che sono possibili

337 La seconda anomalia, in una configurazione analogica, è quella che non è assistita da ponte mistico (cioè da un salto paradigmatico inconscio), ma introduce ad un salto paradigmatico conscio. Vd. il capitolo sul salto paradigmatico. E’ grazie alle seconde anomalie se possono esserci le rivoluzioni scientifiche, come ha rilevato T. Kung nel suo saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche.338 E’ la percezione inconscia, collegata ma non dipendente rispetto alla continua perlustrazione logico-strutturale ed intuitiva che l’osservatore opera per orientarsi consciamente nella realtà.339 Si tratta di collegamenti strutturati nel modo seguente: l’elemento analogico di partenza si collega all’elemento grafèico puro (cioè all’ineffabile puro, che non può essere né espresso fino in fondo né avvicinato con un percorso prestabilito in modo fisso e prevedibile), poi quest’ultimo si collega ad un elemento analogico ignoto di una configurazione (che grazie all’elemento grafèico puro non può essere individuata, rimando così nascosta). Dall’elemento ignoto può dipartirsi un sub-pda altrettanto ignoto (privo dell’elemento iniziale e di quello finale) all’interno della configurazione nascosta. L’ultimo elemento del sub-pda può poi collegarsi nuovamente all’elemento grafèico puro, per iniziare un nuovo collegamento ASg-ASg. La regola è che, dove c’è un collegamento ASg-ASg, ne seguono molti, per costituire un sub-elemento fsc dell’elemento analogico di riferimento.340 Pdac = percorso di autocoscienza di controllo. Si tratta del pda che prende abbrivio da un elemento analogico, su cui insiste già la focalizzazoine dell’osservatore, per verificare i suoi aspetti in base ad un certo finalismo conoscitivo.341 La percezione intuitiva (gestita dalle racc-fùseis) e quella logico-strutturale (gestita dalle zip-fùseis) sono cioè molto limitate, rispetto alla percezione immediata (gestita dalle esc-fùseis), che non è comunque minimamente esauriente delle configurazioni collegabili ad un certo elemento percepito.342 Questo limite non costituisce una impossibilità in assoluto, ma un veto conoscitivo che l’interprete si pone per rendere possibile l’accordo costitutivo sull’essere con l’essere supremo. Vd. La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà, scariabile dal sito in epigrafe della copertina di quest’opera.343 Leggi pure: “modificare”.344 Per il significato di onda formaturale in senso lato, vd. il relativo capitolo o le note precedenti che in questo stesso capitolo ne spiegano il significato.345 Come possiamo apprendere nel capitolo sull’onda formaturale, ogni elemento analogico ha la sua onda formaturale. Modificando quindi una singola onda formaturale di un singolo elemento, si ottiene un complessivo riaggiustamento delle altre onde formaturali collegate. Tale riaggiustamento genera la sensazione di anomalia percettiva, che l’osservatore cerca d’individuare grazie ai pdac (pda di controllo). I pdac, nel loro svilupparsi, vanno a generare dei pdac speciali (i pda di disturbo, o pda-dist), che sono in realtà risultanze dell’incontro tra pdac e altri pda che s’incrociano con questi ultimi. I pda-dist, una volta ben performati da un susseguirsi di ulteriori pdac (che ne sollecitano e cambiano le onde formaturali), possono agganciare i nuovi pdac e condurne gli elementi fino a collegarsi con una “seconda” anomalia percettiva e, a partire da questa, proseguendo il ciclo di mediazioni, ottenere il salto paradigmatico conscio. Vd. il capitolo sul salto paradigmatico.123

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i salti paradigmatici346. Le esc-fùseis fanno dunque la selezione delle configurazioni nascoste (appartenenti o meno al 5lc) da collegare con i collegamenti ASg-ASg (che vanno a costituire il sub-elemento fsc della gp (gobba percettiva: vd. il relativo capitolo)). Tale opera di selezione, messa in opera nella percezione immediata, comporta per l’osservatore la possibilità (e lo stimolo) a cogliere nuove seconde anomalie, che se seguite in modo idoneo (come analizzato nel capitolo sulla configurazione analogica) portano al salto paradigmatico conscio. Quest’ultimo rappresenta la modalità di evoluzione più sicura e condivisibile a livello collettivo, che in ultima analisi va ad espandere il 5lc stesso (grazie ai procedimenti che vedremo nel seguito di questo capoverso). Se tale modalità assurge a metodo delle innervazioni incrociate (vd. il capitolo sul raggiungimento delle configurazioni remote), grazie alla cristallizzazione del criterio interpretativo strategico (CS) dello specifico salto paradigmatico conscio interessato, si va ad integrare il quinto livello configurazionale dell’osservatore (ma non il 5lc, che per essere integrato richiede un apposito accordo costitutivo sull’essere). L’accordo costitutivo sull’essere (trattato nel saggio La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà e in Analogia singolare, scaricabili dal sito www.bridge4will.net) può quindi limitarsi a rendere possibile un salto paradigmatico, sollecitato dalle esc-fùseis (che entrano in gioco solo con i ricercatori, cioè gli osservatori scelti per essere interpreti provvisori dall’essere supremo), seguito eventualmente dalla cristallizzazione di un CS nel quinto livello di un singolo osservatore o, dopo tale primo step, far sì che l’accesso alla nuova configurazione si diffonda a macchia d’olio, grazie alle zip-fùseis e alle racc-fùseis, nel 5lc. E’ questo il funzionamento fondamentale dell’evoluzione dell’essere (oltre che, ça va sans dire, dell’umanità). Le esc-fùseis non possono diffondersi a macchia d’olio (con il terzo step) tra gli osservatori, né quindi possono andare a cementare le zip-fùseis e le racc-fùseis, limitandosi a costituire delle proposte “tecniche” non costitutive (cioè che non vanno ad alterare l’accordo costitutivo sull’essere, che va proprio a stabilire le nuove zip- e racc-fùseis del tipo 0). E’ solo grazie al metodo delle spire di fumo, usato in modo coordinato con il metodo del ponte mistico347, che si può raggiungere una configurazione (remota) creazionale. Se l’interprete-uomo riesce a tracciare un percorso di autocoscienza (senz’altro lunghissimo) che riporti dalla configurazione creazionale al 5lc, allora si può arrivare alla sanzione definitiva dell’accordo costitutivo sull’essere in nuove zip- e racc-fùseis del tipo 0, che verranno allargate a macchia d’olio, grazie alla telepatia diffusa (che qui rappresenta il “fuoco che scende dall’alto” di apocalittica memoria) ad un’intera civiltà umana e, quindi, all’intero essere. La telepatia diffusa può infatti essere interpretata sia come etero-determinata che come auto-determinata, rispetto all’io collettivo dell’uomo. Purché questa seconda opzione non elimini il finalismo e la progettualità dell’essere, profondamente insita nella realtà.

Un’altra funzione della telepatia diffusa, che adopera strutture configurazionali del tutto diverse da quelle delle zip-, racc- ed esc-fùseis (le quali si occupano solo dei salti paradigmatici inconsci condivisi da intere culture o civiltà o regni viventi), è quella gestita dalla terza innervazione (ifscγ) degli elementi cs, sc, gp e ufc. Si tratta degli elementi del sub-pda che, rispettivamente, gestiscono l’intuizione concreta (cs), la comprensione logico-strutturale (sc), la percezione immediata (gp) e i confini intuitivi della configurazione e quindi del sub-pda (ufc). Le innervazioni, come vedremo meglio nel capitolo sullo sfrangiamento, gestiscono singoli aspetti funzionali degli elementi analogici del sub-pda. La terza innervazione gestisce la trasmutazione dei percorsi di autocoscienza, affinché siano condizionati dagli assoluti derivati o collettori (es. tempo cronologico, spazio euclideo, idea di libertà, ecc…), i quali ci danno l’illusione della realtà oggettiva. La terza innervazione è chiamata impropriamente, per semplicità di pronuncia, ifscγ (che sta per “innervazione di tipo γ, composta da sub-elementi fsc”), come se ospitasse davvero sub-elementi fsc, mentre invece ospita un solo elemento fcs, che smista in senso opposto i collegamenti ASg-ASg tra i sub-elementi fsc delle prime due innervazioni. Per comprendere cosa siano i collegamenti ASg-ASg e i sub-elementi fsc, vd. rispettivamente il capitolo sulle analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche e il capitolo sullo sfrangiamento. Tali collegamenti ASg-ASg annoverano al loro interno le configurazioni nascoste che gestiscono gli assoluti derivati o collettori, operando così la trasmutazione dei sub-pda dei corpi.

[Torna indietro al capitolo sulla materia][Torna indietro al capitolo sul vivente][Torna indietro al capitolo sul confronto con la teoria della complessità: potenzialità disorganizzatrice]

346 Vd. nota prec.347 vd. per entrambi i metodi il capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote.124

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11. Il percorso di autocoscienza di controllo (d’ora in poi anche: “pdac”).[i]Ogni percorso di autocoscienza (d’ora in poi “pda”) necessita di essere manutenuto, altrimenti si

sfrangia. La forma di manutenzione di cui parlo è rappresentata dai percorsi di autocoscienza di controllo, che d’ora in poi chiameremo “pdac”. Vi sono due tipi di pdac, quelli virtuali (o inconsci) e quelli effettivi (o consci). Entrambi i tipi di pdac attuano una forma di controllo sugli elementi o sub-elementi del pda348, tale da permetterne (rispettivamente) la manutenzione in fase inconscia e la manutenzione in fase conscia. [Torna indietro al capitolo sulla cristallizzazione dei CS.]

Ogni elemento analogico del sub-pda349 dallo schema configurazionale complesso350 (in cui l’afc non sia ancora drenato351), finché è energeticamente carico, opera continui pdac virtuali352. Grazie a questi ultimi s’innesca, nel sub-pda inconscio, la predisposizione alla navigazione perlustrativa353, che è una prosecuzione del pdac stesso. La carica energetica (analizzata nel capitolo sull’onda formaturale) è l’attenzione finalistica che l’organismo autocosciente pone, in maniera estremamente diversificata, su ciascun elemento analogico che lo componga. C’è una qualche carica energetica anche nei pda inconsci e nei loro elementi. La carica energetica attiva in un certo senso354 i pdac virtuali, cioè inconsci, come anche i pdac effettivi, cioè consci355. La distinzione tra pdac virtuali e pdac effettivi e tra le rispettive cariche energetiche è ineffabile: non si può cioè dire niente di oggettivo in argomento. Ma anche se non si può dire niente di oggettivo, si possono dire immensità di cose a riguardo, con la sola accortezza di modificarle anche radicalmente a secondo del contesto conoscitivo e della sua cangianza. Ciò che qui occorre considerare è che, alla base del configurarsi stesso dell’elemento analogico, vi sono rispettivamente pdac virtuali o effettivi, a secondo se il sub-pda sia inconscio o conscio.

Il pdac conscio è composto da due fasi: una di orientamento a monte e una di orientamento a valle. La prima fase aggancia l’elemento ai precedenti elementi cs356 nel pda (e nei pda che incrociano quest’ultimo),

348 Pda = “percorso di autocoscienza”. Vd. il relativo capitolo.349 Sub-pda = sezione di pda (= percorso di autocoscienza) che, nello schema configurazionale complesso, si estende dall’elemento afc fino all’elemento ufc seguente, mentre nello schema semplificato si estende da un elemento cs, corrispondente all’elemento afc, fino all’elemento sc successivo, che sia corrispondente all’elemento ufc seguente al cs citato. Per una spiegazione del significato degli acronomi “afc”, “ufc”, “cs” e “sc”, vedi i capitoli relativi all’elemento analogico, al pda, allo schema configurazionale e allo sfrangiamento.350 E’ lo schema configurazionale, sito nel quarto livello configurazionale, che ha la maggiore varietà di elementi, includendo (a differenza dello schema semplificato) anche l’elemento intuitivo di tipo astraente (dall’acronimo “afc”) e l’elemento intellettivo di tipo universalizzante (dall’acronimo “ufc”) consistente in un paradigma specifico.351 Il drenaggio dell’afc (elemento intuitivo di tipo astraente) è un’operazione fondamentale che avviene nei sub-pda dallo schema complesso. Tale operazione consente il passaggio del sub-pda dallo stato inconscio (corrispondente al secondo livello configurazionale) allo stato conscio (corrispondente al quarto e primo livello configurazionale). Infatti, per la parte di sub-pda in cui il drenaggio è in corso, l’osservatore si trova nel quarto livello, per la parte in cui il drenaggio è completato, l’osservatore si trova nel primo livello. Vd. il capitolo sui livelli configurazionali e quello sullo sfrangiamento.352 Virtuali = inconsci. Il termine “inconscio”, in questo contesto, non fa riferimento al secondo livello configurazionale, ma al collegamento di tipo ASg-ASg (vd. il capitolo sull’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica).353 La navigazione perlustrativa tra gli elementi del pda, che nel sub-pda inconscio è solo predisposta, è rappresentata dalla percezione intuitiva concreta e dalla percezione logico-strutturale dell’osservatore, che gli consentono rispettivamente di collegare un elemento analogico intuitivo-concreto ad alcuni elementi intuitivi-concreti a monte e di collegare un elemento analogico logico-strutturato ad alcuni elementi logico-strutturati a valle. Tali percezioni, intuitiva-concreta e logico-strutturale, sono gestite all’interno dell’elemento afc da un medesimo sub-elemento fsc, corrispondente (ma non sostituitivo) di un elemento gp del sub-pda di appartenenza. La spiegazione e l’analisi di questi elementi e sub-elementi è rinviata al capitolo sullo sfrangiamento.354 Ogni cosa risulterà più chiara con lo studio del capitolo sullo sfrangiamento, che è il nodo intrepretativo principale e più complesso di questo saggio.355 Il termine “conscio” e “inconscio”, in questo contesto, non fanno riferimento al livello configurazionale di appartenenza del sub-pda, ma rispettivamente all’assenza o presenza di un collegamento di tipo ASg-ASg (vd. il capitolo sull’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica).356 Cs = “concretante-strutturante”. Si tratta di un elemento analogico che è più strettamente e direttamente collegato alla configurazione analogica dell’assoluto originario del concretante-strutturante. Vd. in proposito i capitoli relativi agli assoluti e allo schema configurazionale, nonché (per il più ampio approfondimento) quello relativo allo 126

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esplicando la funzione intuitiva. La seconda fase aggancia l’elemento agli elementi sc357 successivi all’elemento di aggancio della prima fase, esplicando la funzione intellettiva. La funzione intuitiva può risalire fino agli elementi del primo sub-pda non soggetto a sfrangiamento (anche all’interno di pda incrociati a monte), sfruttando ogni volta l’onda formaturale dell’elemento cs che aggancia nella direzione a monte. La funzione intellettiva può scendere fino all’ultimo elemento del pda attuale (che chiameremo “gemma apicale”, se il pda si sta espandendo, oppure solo “ultimo elemento”, se il pda non si sta più espandendo) – a meno che non debba fermarsi per lo sfrangiamento358 – sfruttando ogni volta l’onda formaturale dell’elemento sc che aggancia nella direzione a valle. Ogni soluzione di continuità in ciascuna delle due fasi, significa che è iniziata l’altra fase359. L’esperienza intuitiva è quindi la prima fase del pdac effettivo, l’esperienza intellettiva è la seconda fase di tale pdac. Nel pdac effettivo la seconda fase ripercorre, almeno in parte, anche gli elementi successivi a quell’elemento di aggancio, sito più a monte nella prima fase, che sono precedenti all’elemento analogico che lancia il pdac stesso. Quanto detto sin qui vale per lo schema configurazionale semplificato. Nello schema configurazionale complesso si deve distinguere tra il sub-pda in cui l’afc360 è già stato drenato in modo completo (sub-pda conscio), il sub-pda in cui l’afc non è per niente stato drenato (sub-pda inconscio) e il sub-pda in cui l’afc è ancora in via di drenaggio (sub-pda che, per alcuni primi elementi è già in stato conscio, per quelli successivi è ancora in stato inconscio). Nel sub-pda dallo schema complesso ma in stato conscio il pdac è quello effettivo, già sopra descritto. Nel sub-pda dallo schema complesso ma ancora in stato inconscio, il pdac è virtuale ed avrà quindi le caratteristiche che indicheremo nel seguito: per esso, in particolare, occorrerà guardare anche al flusso d’informazione analogica, che s’instaura a livello dei sub-elementi fsc dell’elemento afc. Nel sub-pda dallo schema complesso, in cui il drenaggio dell’afc ha avuto inizio ma non si è ancora completato, assisteremo alla compresenza di un pdac effettivo (per i primi elementi, già interessati dal drenaggio) e di vari pdac virtuali (uno per ogni elemento successivo ai primi). In quest’ultimo caso, l’osservatore-uomo può notare (per auto-cezione) che entro gli stessi confini intuitivi (cioè entro la stessa configurazione e, quindi, entro lo stesso sub-pda) alcuni elementi analogici sono già oggetto di un controllo razionale conscio, altri sono ancora dati per scontati ma comunque (una volta fatti anch’essi oggetto di controllo conscio) risultano abbastanza coerenti con i primi. Si noti che in un pda vi sono sub-pda appartenenti a tipi di schemi configurazionali diversi (semplificato, complesso senza drenaggio, complesso con drenaggio in corso, complesso con drenaggio completato). Ogni volta, dunque, che ho fatto riferimento all’aggancio di elementi a monte o a valle, se appartenenti a sub-pda diversi dal quello da cui prende il via il pdac, mi sono voluto riferire ad un tipo di aggancio diversificato per ogni tipo di schema. Nello schema semplificato l’aggancio riguarda veri e propri elementi analogici (del tipo cs o sc); nello schema complesso senza drenaggio, riguarda invece sub-elementi fsc della prima innervazione dell’afc, corrispondenti agli elementi analogici “dormienti” del tipo cs o sc; nello schema complesso già drenato, riguarda elementi analogici veri e propri, come nello schema semplificato; nello schema complesso in cui il drenaggio è ancora in corso, l’aggancio riguarda elementi veri e propri, per la parte di elementi già “risvegliati”, e sub-elementi fsc, per la parti di elementi ancora “dormienti”.

sfrangiamento.357 Sc = “strutturante-concretante”. Si tratta di un elemento analogico che è più strettamente e direttamente collegato alla configurazione analogica dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Vd. in proposito i capitoli relativi agli assoluti e allo schema configurazionale, nonché (per il più ampio approfondimento) quello relativo allo sfrangiamento.358 Lo sfrangiamento è l’oblìo di singole analogie indirette tra gli elementi del pda, collegato alla perdita di finalismo che un pda di disturbo è andato ad ingenerare. Il pdac non può agganciare un elemento sfrangiato, né nella fase intuitiva né in quella intellettiva: tuttavia, qualora l’onda formaturale dell’elemento in precedenza agganciato arrivasse a superare a monte l’elemento cs o a valle l’elemento sc, il pdac potrebbe tranquillamente superare la sezione sfrangiata continuando ad agganciare elementi nella stessa direzione.359 Ciò significa che, se un pdac conscio nella fase intuitiva s’interrompe per verificare un singolo elemento cs nella sua strutturazione logica (agganciando a valle gli elementi sc), è già attiva la sua seconda fase: pertanto, quando la fase intuitiva riprenderà vigore, ciò avverrà nel contesto di un secondo pdac conscio.360 Il significato dei termini “afc”, “drenaggio”, “cs”, “sc” e “sub-elementi fsc” è spiegato nel capitolo sullo sfrangiamento.127

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Nel pdac virtuale, invece, le due fasi riguardano elementi diversi: il più adiacente elemento afc (all’altezza del corrispondente sub-elemento fsc del tipo gp) a monte dell’elemento che lancia il pdac, nella prima fase; gli elementi e i sub-elementi fsc a monte o a valle di tale sub-elemento, nella seconda fase (a secondo, rispettivamente, che l’elemento che lancia il pdac sia un elemento cs o un elemento sc)361. Si tratta però di una distinzione solo tendenziale, non oggettiva (come sopra accennato). [Torna indietro alla nota sulle configurazioni e sulla coerenza dell’ifsc β dell’afc ]

Lo sfrangiamento (che è la perdita d’informazione analogica) può cominciare solo quando i pdac (in occasione dello scompaginamento del pda da parte di pda di disturbo) risultano inattivi o poco intensi, per mancanza di carica energetica, relativamente ad uno o più elementi analogici. La situazione in cui ad un elemento manca la carica energetica è da me chiamata “strutturazione-concretizzazione”, in quanto gli elementi intellettivi (sc) vengono strutturati fino al punto che manca la motivazione a strutturarli ulteriormente e gli elementi intuitivi (cs) captano l’attenzione dell’osservatore in modo ormai svogliato (con un senso di disagio interiore, che possiamo chiamare non-senso e che altri hanno chiamato – solo nei casi più estremi o in via più generale - “male di esistere”). Finché il pdac è intenso, vince su eventuali pda di disturbo362. In caso di eventi configurazionali gravi (che costituiscono veri e propri effetti-domino, più o meno importanti, capaci di eliminare gli elementi analogici che costituiscono i paradigmi più importanti, i quali a loro volta tengono insieme le configurazioni dell’organismo), il pdac perde drasticamente d’intensità in modo inaspettato, lasciando il fianco ai pda di disturbo. L’effetto-domino può essere anche esiziale per l’organismo: in tal caso lo chiamo più semplicemente “effetto-domino”. Quando l’effetto-domino non è esiziale, poiché riguarda solo uno o più sistemi di configurazioni analogiche, ma non si allarga a macchia d’olio alle altre che costituiscono l’organismo, lo chiamo “micro effetto-domino”. Se ad esempio un uomo finisce su una mina anti-uomo, perderà una mano o un piede (micro effetto-domino); se invece finisce su una mina anti-carro che gli esplode sotto, perderà la vita (effetto-domino). Dinanzi a tale evento configurazionale, i suoi pdac perdono drasticamente d’intensità in ogni elemento analogico, lasciando il posto a pda di disturbo che disarticolano l’organismo. La tendenziale materialità di questi effetti-domino ci fanno immediatamente pensare che non siamo fatti di altro che materia (non la materia dei sogni, quindi, ma la materia tout court). Tuttavia proprio tali eventi ci richiamano all’esigenza di complessità e di coerenza che è alla base dei nostri organismi viventi autocoscienti, confermando così che se di materia siamo fatti, è la stessa dei sogni, e non materia tout court. L’apparente materialità tout court della realtà ha quindi a che fare con una tendenza autoreferenziale di alcuni pda: in particolare (ma non esclusivamente) quelli che descrivono gli effetti-domino. Ma d’altro canto l’autoreferenzialità è una tendenza a non espandere molto né i pda né i pdac che ne manutengono gli elementi, senza però che si raggiunga un isolamento anti-relazionale (che dovrebbe aversi se si potesse parlare davvero di materia in senso riduzionistico e dualistico.

Il pdac può porsi su più livelli nidificatori. Con ciò intendo dire che un singolo pdac non basta a darci contezza della complessità di un singolo stato di autocoscienza o di un singolo pda363. Occorrono molti pdac per sondare davvero e in modo soddisfacente un pda. Questi numerosi pdac, però, tendono ad organizzarsi in modo da dare la consapevolezza più integrata possibile del pda oggetto di studio. Pertanto si collegano tra loro su più livelli di nidificazione. Per esempio, posso avere un pdac che collega tra loro due pdac, che insistono su due elementi analogici diversi dello stesso pda. In questo esempio si arriva a due livelli di

361 Per comprendere con l’ausilio di un grafico come funzioni il pdac virtuale, si rinvia alla figura relativa al flusso informativo nel sub-pda inconscio. Tale figura si discosta volutamente dalla realtà configurazionale, per rendere più chiara la distinzione dei flussi informativi analogici tra lo schema configurazionale del sub-pda prima del drenaggio (sezione superiore della figura) e lo schema configurazionale a drenaggio completamente avvenuto (sezione inferiore). Mentre il drenaggio sta avvenendo, però, il pdac sarà virtuale solo per la parte di sub-pda che non ha ancora subito il drenaggio dell’afc, mentre sarà effettivo per la parte di sub-pda che ha già subito il drenaggio in parola.362 La vittoria tra due pda si decide in base alla loro onda formaturale in senso lato, con esiti differenti: 1) se le onde formaturali sono altrettanto complesse, nessuno dei due pda prevale; 2) se l’onda formaturale di uno dei due pda è continente rispetto all’onda formaturale dell’altro, esso prevarrà su quest’ultimo (e meriterà così il nome di “pda di disturbo”); 3) infine se le onde formaturali non saranno né continenti, né parimenti complesse, ma del tutto inconferenti, i due pda non arrivano nemmeno ad incrociarsi. Il significato preciso di continenza e di pari complessità delle onde formaturali (in senso lato) viene spiegato nel capitolo sullo sfrangiamento, all’interno di una nota al testo.363 Pda = percorso di autocoscienza.128

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nidificazione: il primo livello è quello dei pdac che insistono o si dipartono ciascuno da un elemento del pda, per collegarlo con un altro elemento del pda e ricostruire il percorso intermedio; il secondo livello è quello del pdac che collega tra loro due pdac del primo tipo, dipartendosi da un elemento dell’uno per collegarlo con un elemento dell’altro e ricostruire eventuali altri anelli comuni o abbastanza simili tra i due pdac e con altri pda. Ma vi potrebbe essere un terzo livello di pdac, che colleghi alla stessa maniera due o più pdac appartenenti al secondo livello o ad entrambi i due livelli dianzi individuati. Ogni livello successivo di pdac si propone come livello conscio rispetto a quelli precedenti, che risultano tendenzialmente virtuali. Più si complessifica questo lavoro di nidificazione dei pdac, più è attenta l’analisi dell’osservatore-uomo. Ma al contempo tale analisi si allontanerà sempre più dagl’ipotetici pda originari: o meglio, prenderà una strada rimodulativa sempre più specifica, sempre più informata ad alcuni specifici paradigmi che risulteranno dominanti. Ciò è reso possibile dalle onde formaturali degli elementi costitutivi dei pdac. Più si scende nello specifico dell’analisi e più le somiglianze tra tali onde saranno forti, comportando sempre più incroci di pda/pdac ed una sempre maggiore emersione di pda di disturbo (per la prevalenza delle situazioni di continenza rispetto a quelle di pari complessità). Ma più che il livello di assonanza analogica tra i pda/pdac aumenta, più prevarranno i pda-dist rispetto a pda e pdac, e più le onde formaturali rimanderanno ad elementi presenti nelle stesse poche configurazioni analogiche (agganciate dai pochi pda di disturbo che non siano vinti a loro volta da altri pda di disturbo). Il discorso umano risulterà così dominato da pochi paradigmi, in opposizione alla varietà della realtà configurazionale che avrebbe potuto sorgere dall’analisi dei pda originari. Se a ciò si aggiunge la tendenza umana ad emulare (già ampiamente giustificata dal funzionamento dei pda in relazione ai loro incroci, resi possibili e intensificati nel significato dalle onde formaturali), si spiega agevolmente come la nostra civiltà – al pari di quelle che l’hanno preceduta – ha avuto la presunzione di pensare che la realtà fosse riducibile a pochi principi di base e che, basandosi su tali principi, si potesse assestare la conoscenza su di essa. La via cd. del non-essere, che opera un assestamento razionale delle scoperte effettuate nella via cd. dell’essere, cioè della ricerca, è plasticamente riproducibile come una tendenza d’intere collettività umane ad operare un certo tipo di sistema nidificatorio di pdac. Tale sistema nidificatorio sarebbe caratterizzato da specifici stilemi nidificatori che condurrebbero in maniera sempre più stringente, all’aumentare della mole d’informazioni analogiche raccolte con i pdac, a collegare ogni pda verso poche configurazioni analogiche. La stessa esperienza percettiva, così come elaborata a livello conscio, si ridurrebbe enormemente rispetto a quella possibile senza tale sistema. La percezione non è poi neutra rispetto all’apertura intellettuale dell’osservatore-uomo: un intelletto troppo oppressivo (caratterizzato cioè da un sistema estremamente stringente di nidificazioni di pdac) comporta una restrizione del campo percettivo ai soli elementi che hanno collegamenti con le configurazioni “preferite” dalla collettività (e, più in generale, dalla civiltà) di appartenenza. Come operi tale restrizione del campo percettivo risulterà chiaro riprendendo in mano lo studio dell’onda formaturale e della “gobba percettiva” (vd. i relativi capitoli sopra riportati).

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12. L’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica (d’ora in poi, anche: “ASg di ASg)

Nel capitolo che segue si adopererà in modo intensivo il riferimento a questo tipo di analogia singolare. Esso riveste un ruolo strategico nella teoria configurazionale, anche se il suo luogo più naturale di trattazione dovrebbe essere il saggio sull’analogia singolare. In quest’ultimo, tuttavia, non se ne fa menzione, poiché non ne avevo ancora ricevuto rivelazione (che è invece diventata indispensabile per giungere al cuore del funzionamento della presente teoria). Gli schemi configurazionali del prossimo capitolo, grazie all’introduzione di questa categoria, saranno chiamati “analogico-configurazionali”.

Il nome di questa tipologia analogica (ASg di ASg) è tecnicamente scorretta, ma è la maniera più agevole per citarla. Nell’ASg di ASg non si ha infatti un’analogia di analogia, ma solo due analogie che hanno un elemento in comune: l’elemento grafèico puro. Spendiamo qualche parola per ricordare cosa sia tale elemento. Il termine viene da grafé, che significa “scrittura” in greco. Il suo senso etimologico è quello di “graffiatura o incisione nella roccia”. La scrittura nella roccia, nel linguaggio biblico, è la scrittura nella roccia del cuore, che è il luogo (per l’appunto scritturistico) della conciliazione degli opposti inconciliabili. Il sentimento è quello stato di autocoscienza che, per evitare una percezione esecrata, resa inevitabile dal paradigma logico di riferimento, ottiene il salto paradigmatico364 (ad un nuovo paradigma). Il salto paradigmatico ha in sé qualcosa d’ineffabile, che ho chiamato analogia diretta o singolare (si veda, per un’analisi puntuale il saggio Analogia singolare…, scaricabile gratuitamente su www.bridge4will.net). Chiamo analogia singolare l’indistinguibilità tra due elementi analogici. L’analogia singolare è sefèrica, cioè fondata sul paradigma fondamentale del sefèr (= racconto che convince), quando s’instaura tra un primo elemento (il nuovo paradigma logico: chiamato anche “ufc365”) e un secondo elemento (l’elemento intuitivo chiamato “afc”366, che carica il sub-pda367 che solca la configurazione analogica che il salto paradigmatico dischiude). Si tratta dell’analogia tra due noveri di analogie indirette368, costituenti i due elementi anzidetti. L’analogia singolare sefèrica è ineffabile, proprio per l’indistinguibilità che istituisce tra due elementi analogici. Ineffabile significa, a livello etimologico, “ciò che non può essere affermato”. Non è vero che dell’ineffabile non si può dire nulla (se ne è anzi detto tantissimo, nell’ultimo millennio): ma non se ne può affermare nulla di oggettivamente certo. Esso è cioè un cammino di scoperta inarrestabile: lo chiamo appunto “essere”, cioè “movimento e forza evolutiva della realtà”. Più tecnicamente, possiamo dire che pur potendo enunciare le caratteristiche dell’ineffabile (e dei vari ineffabili), non possiamo portarle sulla via

364 Il salto paradigmatico è il passaggio da una configurazione, retta dal paradigma specifico alfa, ad una seconda configurazione, retta dal paradigma specifico beta. Il salto paradigmatico è reso possibile dall’analogia singolare sefèrica, che spiegherò a breve.365 Ufc = “universalizzante falso – concretante”. Questa sigla fa riferimento ad un elemento analogico collegato con la configurazione analogica dell’assoluto originario dell’universalizzante-concretante. Il termine “falso” va tradotto con “sorvola su”, in questo caso: “sorvola sugli elementi universalizzanti-concretanti”. Vd. il capitolo sugli assoluti.366 Afc = “astraente – falso concretante”. Questa sigla fa riferimento ad un elemento analogico collegato con la configurazione analogica dell’assoluto originario dell’astraente-concretante. Il termine “falso” va tradotto con “sorvola su”, in questo caso: “astraente che sorvola sugli elementi concretanti”. L’elemento (collegato con la configurazione dell’)astraente-concretante, infatti, riesce nel suo compito evolutivo solo quando sorvola sugli elementi collegati con la configurazione del concretante-strutturante. Più semplicemente si può dire, per convenzione (da me proposta), che “l’astraente-concretante riesce nel suo compito evolutivo solo quando sorvola sui concretanti-strutturanti (cs)”. Vd. il capitolo sugli assoluti.367 Sub-pda = “tratto di pda”, ma più spesso mi riferisco a quello specifico tratto di pda che inizia con l’afc e termina con l’ufc successivo (per la spiegazione dei termini “afc” e “ufc” vedi le due note precedenti). Mi riferisco quindi al tratto che si trova fra due salti paradigmatici e si ritaglia sia il secondo elemento del salto precedente che il primo elemento di quello successivo.368 L’analogia è indiretta quando è possibile trovare ulteriori analogie che spiegano la somiglianza tra i suoi due elementi. L’analogia è diretta o singolare quando non è possibile trovare tali ulteriori analogie, in quanto l’analogia considerata rende i suoi due elementi indistinguibili. L’analogia singolare introduce una singolarità nella realtà, che chiamo “essere”. Essere è per me sinonimo di “essere supremo”, a sua volta sinonimo di “sé archetipico” dell’uomo. La spiegazione analitica di tali termini è proposta in Analogia singolare…, scaricabile sul sito riportato nell’epigrafe della copertina. Ogni parola del testo biblico in lingua originale costituisce un’analogia singolare. La tecnica per l’individuazione e l’interpretazione precisa della parola scritturistica è proposta nel saggio Il testo-ricerca, di futura pubblicazione sul sito web citato.130

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dell’assestamento logico-strutturale (chiamata anche la via del cd. non-essere). [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] [Torna indietro al capitolo sulla materia]

L’analogia singolare grafèica è quella che, come secondo elemento analogico ha l’elemento grafèico puro. Quest’ultimo è l’ineffabile di cui non solo non si può affermare nulla (nella via dell’assestamento logico-strutturale), ma rispetto al quale non si possono trovare parole che permettono di evocarlo al senso dell’osservatore. Se infatti il senso d’ineffabile è evocabile, nell’analogia singolare sefèrica, grazie al confronto tra due noveri di analogie indirette, il grafèico puro non ammette evocazione consapevole, mediata da parole. Tuttavia, se un novero di analogie indirette (costituenti ad esempio un paradigma, cioè un ufc, oppure un altro elemento analogico come un afc, un cs, un sc o una gp369) si pone in analogia con il grafèico puro, abbiamo un’analogia singolare grafèica (ASg). Questo tipo di analogia non può quindi essere evocata consapevolmente, ma si attiva da sola370, costituendo la base del nostro linguaggio, della nostra coscienza e della realtà stessa (per quanto illusoria). Costituisce, anzi, l’illusione stessa della realtà371, oltre che la sua conoscenza.

L’analogia singolare grafèica collega quindi un elemento analogico al grafèico puro. Il grafèico puro, autentico cuore dell’essere supremo, costituisce (a partire dall’elemento analogico indiretto cui si collega) la percezione intuitiva. Mi riferisco qui, parlando di percezione intuitiva, non alla percezione attentiva né a quella strutturale (di cui parleremo nel capitolo seguente), ma alla percezione la più immediata. [Torna indietro

al capitolo sul vivente] Ma anche la percezione immediata, nell’osservatore, è già trasmutata. Cioè è già passata da vari passaggi analogico-configurazionali. Tuttavia, pur costituendo un’illusione derivata (rispetto all’illusione evolutiva della realtà configurazionale) è la cosa più immediata che abbiamo. Distingueremo, quindi, tra questa percezione così illusoria e mediata (che ho passato sotto il nome di percezione intuitiva) e la percezione. Parlando di percezione senza ulteriori aggettivi, mi riferisco alla gp (gobba percettiva) e all’ifscβ dei vari elementi analogici costituenti il sub-pda, che in un certo senso fanno rinvio alla gp. Non mi addentro qui nella spiegazione di questi ultimi termini (gp e ifscβ), che è talmente tecnica da richiedere lo studio dell’intero capitolo seguente (oltre a varia saggistica372, che già qui deve essere data per conosciuta,

369 I termini “cs”, “sc” e “gp” saranno spiegati nel capitolo successivo. Si tratta di elementi analogici (costituiti da noveri di analogie indirette) che si collegano più direttamente (cioè con ASg di ASg) ad una configurazione analogica di un assoluto originario (rispettivamente, quella del concretante-strutturante e quella dello strutturante-concretante) o – nel caso della gp - della “gobba percettiva” (si veda il relativo capitolo).370 Nel nostro percorso esoterico l’idea di autopoiesi (= farsi da solo) della realtà trova la mediazione con l’idea di persona, grazie alla personificazione dell’essere (movimento e forza evolutiva della realtà, ma anche sé archetipico dell’uomo) operata dall’uomo stesso. Detta personificazione è operante da tempi immemorabili: invece che una superstizione, va considerata l’autentico volano evolutivo-conservativo dell’umanità e dell’essere.371 Nel capitolo seguente vedremo, comunque, che vi sono due tipi d’illusione della realtà: quella configurazionale, che attualmente è evolutiva, e quella involutiva. Quest’ultima è segnata dalla trasmutazione operata sulla realtà configurazionale dai collettori (o assoluti derivati). Per una spiegazione analitica di questi ultimi, si veda il capitolo relativo agli assoluti, nonché i riferimenti ivi contenuti ad altri nostri saggi. La trasmutazione, insieme a molte altre vicissitudini della realtà in cui ci moviamo, è resa possibile solo grazie ad ASg di ASg. Chiamo illusione anche la realtà configurazionale, poiché non può essere raggiunta in modo oggettivo ma solo costruita in modo più o meno attendibile e credibile. Ciò che conta per lo studio attendibile e credibile sulla realtà, è che quest’ultima sia resa in modo preciso e verificato. La qualità di tale precisione e di tale verifica dipende però dalla sensibilità e dalla capacità evolutivo-conservativa dell’uomo attuale. Posso felicemente citare, in tal senso, il recente saggio divulgativo di neurologia Elogio della lentezza, scritto da L. Maffei. In quest’opera, l’autore ravvisa nelle operazioni lente del nostro cervello (quelle operazioni che regolano l’intelletto) l’autentica spinta evolutiva, nonostante il cervello dischiuda attività enormemente più veloci nella percezione e nell’intuizione. Tornando al nostro contesto conoscitivo, possiamo dire che queste ultime funzioni, che sono più attinenti all’analogia singolare grafèica, richiedono per divenire efficaci in questa fase evolutiva la personificazione da parte dell’osservatore-uomo: personificazione che è un’attività specificamente intellettuale. Con la parola “personificazione” appunto intendo quell’attività intellettuale con cui l’uomo considera e dichiara qualcosa con l’appellativo di “persona”. La persona è un centro di consapevolezza e di volontà. L’espressione evolutiva più potente della persona è il progetto. La massima forma di personificazione è quindi l’attribuzione all’essere supremo del progetto escatologico (cioè, contestualizzando tale termine nel linguaggio biblico, del progetto evolutivo-conservativo dell’organismo vivente in chiave relazionale).372 Mi riferisco a Rivelazione o ricerca?, Analogia singolare…, Il testo-ricerca, Trinità o funzioni conoscitive?: questi saggi sono solo in parte disponibili sul sito www.bridge4will.net, in quanto sono in fase di completamento. Chi fosse interessato a conoscerli nel loro attuale stato, può chiederlo mediante un commento sul sito citato o con un’e-mail a 131

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al fine di una comprensione effettiva del testo). Si consideri che l’idea di percezione cambia, a secondo del contesto epistemologico di riferimento, anche nei miei saggi. In Trinità o funzioni conoscitive? la percezione intuitiva è la funzione personificata dello pnèuma-percipiente (che unisce le due persone trinitarie dello pnèuma àghion e del padre), ma in questo saggio diventa una percezione di serie B. Ciò non deve stupire: senza l’appiglio conoscitivo di tale percezione di serie B, non si sarebbe potuti arrivare a formulare la percezione configurazionale. Inoltre la funzione personificata (o persona) dello pnèuma àghion, se ci si pensa bene, non viene per niente declassata. Viene semmai conosciuta sotto punti di vista diversi, a secondo del preciso “atteggiamento” epistemologico tenuto dall’osservatore-uomo. D’altronde anche tra noi umani ci diamo considerazioni ben differenti, a secondo del contesto sociale in cui ci troviamo. Il contesto sociale è solo una parte del più grande contesto conoscitivo: non stupisce quindi che vi sia un circolarità imprescindibile e inscindibile nella costruzione di ognuno di noi. Allo stesso modo anche lo pnèuma àghion, cui in un certo senso il testo biblico mette in bocca le parole “facciamo l’uomo come uno di noi”, si assoggetta allo stesso agòne conoscitivo. Ne vuole anzi far parte, per entrare in comunicazione e creare con noi. Non si tratta di distinguere un’idea vera di percezione da un’idea falsa: l’umanità è arrivata molto oltre nel suo cammino evolutivo. Qui si tratta di cogliere l’idea di percezione nelle sue prospettive evolutive, a secondo del contesto di riferimento epistemologico che volta per volta scegliamo nell’inseguimento dei nostri fini ultimi (che, una volta realizzati, non saranno più nemmeno dei fini, ma cederanno il testimone ad altri fini ultimi o chissà a cos’altro: speriamo che ci aggradi!). Nella teoria configurazionale lo pnèuma-percipiente non viene squalificato: viene anzi chiamato con il nome di grafèico puro. [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura]

Quando nella teoria configurazionale un elemento analogico si collega al grafèico puro (costituendo l’analogia singolare grafèica), il discorso conoscitivo non è ancora completo. L’ASg373 non è finalizzata ad annullare la realtà in un assoluto inconoscibile. Il grafèico puro (che qui assurge a pnèuma-percipiente) ci fa percepire e conoscere la realtà, pur nella sua forma illusoria “di serie B”, cioè trasmutata in qualcosa di conoscibile con le categorie di spazio euclideo, di tempo cronologico, di principi della logica tradizionale, e con tante altre categorie formatesi nell’evoluzione umana (come, ad esempio, l’idea di libertà come oggi la percepiamo). La percezione trasmutata si muove insieme a noi, per agevolare il nostro sviluppo in chiave finalistica. Lo schema analogico-configurazionale che descrive questo richiede non la semplice ASg, ma l’ASg di ASg. Cos’è l’ASg di ASg? Abbiamo detto che l’ASg è il collegamento diretto (che non ammette ulteriori analogie a sua spiegazione) tra un elemento analogico (per quanto complesso) e il grafèico puro. Ebbene l’ASg di ASg è l’ulteriore collegamento diretto del grafèico puro ad un elemento di una configurazione analogica diversa da quella di partenza. Grazie a questo schema, la configurazione di arrivo, pur conoscibile, lo è solo grazie al filtro del veto conoscitivo imposto dall’ASg di ASg. Non si può, infatti, ricostruire il percorso configurazionale che porta dalla configurazione A alla configurazione B. Tale percorso, semplicemente, non è. Esso è infatti analogico, non configurazionale. E tra i percorsi analogici, si pone come quello che non ammette ulteriori analogie a sua spiegazione. O lo capisci con quello che hai in mano, o non lo capisci. Quello che abbiamo in mano per capirlo, tuttavia, non è una realtà trasmutata (l’unica per noi direttamente accessibile). Secondo Kant è ciò che sta oltre la realtà a noi accessibile: secondo me è ciò che dobbiamo costruire, in quanto non ricostruibile. Se lo costruiamo da zero (in modo però da accordarci con l’essere), lo possiamo conoscere; altrimenti non possiamo conoscerlo. La configurazione B dovrà quindi essere conosciuta grazie ad una costruzione (non una ricostruzione, che richiederebbe invece ulteriori analogie a corredo). La nostra costruzione è appunto l’ASg di ASg. [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] [Torna indietro al capitolo sul vivente]

Nel capitolo che segue spiegheremo come dalla configurazione B si debba poi arrivare ad altre configurazioni di arrivo e/o, infine, al sub-pda da cui eravamo partiti. Il passaggio dalla configurazione B a quella successiva (o ad un elemento del sub-pda di partenza) è costituito da un’ulteriore ASg di ASg. Le caratteristiche che l’ASg di ASg introduce sono quindi quelle dell’immediatezza e del veto conoscitivo, ma la sua implicazione forse più importante è l’introduzione della realtà trasmutata dai collettori. Di tutte queste cose parleremo tra breve. Nel capitolo seguente avremo a disposizione il linguaggio adeguato a capire le implicazioni profonde dell’ASg di ASg.

[email protected]. 373 ASg = analogia singolare grafèica.132

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13. L’autopoiesi

L’autopoiesi374 di cui si parla in questo capitolo è quella attuale, cioè quella a-cronologica. Non siamo infatti interessati, in questo capitolo, a capire come possa essere ipoteticamente sorta, in un’irreale super-sistema cronologico, la realtà che ci circonda e che tendenzialmente siamo. Siamo piuttosto interessati al farsi da sole delle cose, come anche al farsi da solo dell’osservatore (che – come altrove più volte specificato - non osserva la realtà, ma l’osservazione riferita alla realtà, la quale ultima realtà semplicemente non esiste).

L’autopoiesi è un sistema che si diversifica da se stesso, per conformare una parte di sé ad un altro sistema con cui vuole entrare in comunicazione, finché tale diversificazione diventa ineffabilmente coerente (grazie ad un’analogia singolare sefèrica) con la paritetica diversificazione interna operata da un altro sistema. Grazie a tale analogia singolare, sorge la comunicazione vera e propria.

L’autopoiesi così intesa è come una componente dell’intera realtà, che s’insinua in ogni sua forma e relazione, per rendere l’osservazione sulla realtà comprensibile all’osservatore stesso e funzionale tanto alla trasformazione incessante quanto alla conservazione della forma trasformantesi. Infatti, senza l’autopoiesi né la forma potrebbe trasformarsi né la trasformazione della forma potrebbe stabilizzarsi in un qualcosa di riconoscibile e con cui interagire. L’autopoiesi è quel serpente che si mangia la coda, costringendo la fine a chiamarsi inizio e a risultare indistinguibile dalla continuazione.

Il cuore dell’autopoiesi, nelle teorie che propongo, è nelle dodici vibrazioni (corrispondenti ai dodici assoluti originari studiati nel relativo capitolo). In tali speciali configurazioni, che hanno invaso l’intera rete analogica delle cose esistenti, suona una musica davvero unica. In ognuna di esse, infatti, risiedono elementi analogici che, collegandosi per ASg-ASg ad elementi di configurazioni diverse, e collegandosi per analogie indirette tra di loro, nonché collegandosi alternativamente alla configurazione dell’universalizzante-concretante e alla configurazione dell’astraente-concretante, si raccolgono in ufc e in afc che si uniscono, a loro volta, in analogia singolare sefèrica (d’ora in poi: “ASs”). Questa è la base su cui si costruisce l’intera coerenza della rete analogica suddetta. Le ASs che sorgono in detto modo si collocano ad ogni livello degli schemi analogico-configurazionali, per animare l’essere e il suo connubio con il non-essere. Per una spiegazione analitica del significato che attribuisco ad essere e a non-essere, vd. Analogia singolare, scaricabile da www.bridge4will.net.

374 Dal greco: “il farsi da se sola (di un’opera)”. Il verbo greco poiéin significa “fare” in tutti i possibili significati dell’italiano, tra cui “compiere un’opera” e “produrre”, ma anche significati ulteriori come “collocare, causare, garantire, assicurare, fare in modo che, ecc…”.134

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14. Lo sfrangiamento del pda375 (a partire dalle conoscenze sul suo schema analogico-configurazionale)

Lo sfrangiamento riguarda ogni pda. Con lo sfrangiamento alcuni elementi analogici del pda cadono nell’oblìo, per assicurare un avvicendamento continuo di elementi a fini evolutivi. È possibile ricostruire gli elementi sfrangiati, ma non in modo esatto. Lo sfrangiamento non può colpire un novero notevole di pda (tra loro collegati) che si trovino nel secondo livello configurazionale (cioè nell’inconscio), se non adoperando anche pda di disturbo che si trovino nel medesimo livello. L’inconscio è infatti un regno dell’organismo che assicura molta più efficacia, se indirizzato in modo performante376. In ogni interazione di un pda-dist con un altro pda entra in gioco la telepatia diffusa377. Nel primo livello configurazionale (quello di più intensa consapevolezza), lo sfrangiamento può colpire indifferentemente sia con pda di disturbo inconsci che con pda di disturbo consci. E’ grazie ai pdac (pda di controllo) consci che si possono neutralizzare o accrescere le performances sfrangianti dei pda di disturbo, sia nel primo che nel secondo livello. Ciò rende strategico un lavoro consapevole sui propri pdac siti nel primo livello. Ne parleremo meglio dopo.

Come funziona lo sfrangiamento?Ebbene ogni pda378 gemma continui pdac (= pda funzionali ad una rivisitazione rimodulatrice di un tratto

di un pda). Il pdac risponde ad un certo finalismo, che si esprime in un certo concreto percorso rimodulatore del pda. Ma un finalismo tendenziale più generale del pdac, almeno in questa fase evolutiva della realtà che stiamo vivendo, è senz’altro la manutenzione del pda di riferimento. Manutenzione rispetto a quale tipo di disfacimento? Il disfacimento del concreto schema seguito dal percorso stesso di autocoscienza. In ultima analisi, si tratta della manutenzione del finalismo di ogni elemento analogico del pda. Quando, infatti, decadesse il finalismo specifico di un singolo elemento analogico, tale elemento cadrebbe nell’oblìo, lasciando il pda spezzato in due pda (costituti, il primo, dal tratto a monte che rimarrebbe sospeso, il secondo, dal tratto a valle che rimarrebbe ancora in formazione, per la spinta evolutiva che ha ancora il suo ultimo elemento, che costituisce una sorta di “gemma apicale” configurazionale). E se cadesse nell’oblìo anche solo un singolo elemento analogico, oltre alla divisione del pda, ciò potrebbe abbattere anche il finalismo di altri elementi adiacenti nello schema configurazionale. Ma per evitare una simile “incandescenza” o “morienza” della materia e, ancor più, degli organismi viventi, che impedirebbe il raggiungimento di una progressiva complessità, l’essere ha inventato questa forma di manutenzione del proprio finalismo: il pdac.

I pdac sono di due tipi: quelli inconsci e quelli consci.Il pdac inconscio si colloca, appunto, nell’inconscio (del corpo vivente o del corpo non vivente), che

studieremo in uno dei prossimi capitoli come secondo livello configurazionale. Tale tipo di pdac rispetta appieno la funzione che abbiamo indicato: la manutenzione del pda. In questo contesto si ha un pdac per 375 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.376 E’ questa la “magia” tipica dell’esperienza e della professionalità, intese in senso tradizionale. Un professionista che abbia alle spalle una certa esperienza può governare situazioni più complesse, in cui non conta solo (né principalmente) l’approccio razionale al problema, ma quello inconscio. Si pensi a quanta parte del lavoro di un chirurgo di grande esperienza sia più legata ad aspetti inconsci che consci. Con la tca ciò si spiega alla perfezione, senza più bisogno di adoperare la categoria tradizionale di esperienza, che altro non è che un grande punto interrogativo su ciò a cui realmente, con tale parola, ci s’intenda riferire. L’esperienza in senso tradizionale non è quindi una vera categoria, ma un jolly, che va ad equivalere a ciò che qui si chiama schema e funzionamento del secondo livello configurazionale, dei pdac e dei pda-dist.377 Facciamo l’esempio di un pda che, passando in stato inconscio da una certa configurazione, costituisca un collegamento di tipo fisico come un nervo. Se un chirurgo va a tagliare detto nervo con il bisturi, l’organismo che subisce la recisione non subisce direttamente il taglio del bisturi, ma un pda di disturbo che, per telepatia diffusa, viene riprodotto come sosia dell’azione voluta (anche per sbaglio) dal chirurgo. C’è quindi un doppio coordinamento, che costituisce l’illusione dell’interazione: quello tra il pda che gestisce la recisione operata dal chirurgo e la collocazione fisica del nervo vista dal chirurgo stesso e quello tra il pda di disturbo che viene generato nel secondo livello configurazionale e il pda in cui è integrato il nervo del paziente sotto anestesia.378 Nel capitolo sui pdac abbiamo specificato che ogni elemento analogico (non solo ogni pda o sub-pda) ha un suo pdac in continuo aggiornamento. Ma visto che vi è una coerenza tra i pdac che riguardano lo stesso sub-pda, possiamo anche parlare di un pdac che manutiene l’intero sub-pda e non solo il singolo elemento analogico. Si tratta tuttavia di un pdac ricostruito in maniera ipotetica, che fa emergere una caratteristica di coordinamento tra i vari elementi.135

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ogni analogia singolare di ogni pda. In ogni pda, per passare da una configurazione all’altra, occorre infatti un’analogia singolare. Ma l’analogia singolare tende a perdere il proprio finalismo e sostituirlo con un nuovo finalismo, che cambierebbe l’analogia singolare stessa ed il sub-pda379 che essa genera. La generazione di un sub-pda è come il parto di un figlio: da tale momento in poi, il figlio comincia a cambiare e a caratterizzarsi in modo nuovo (che il genitore lo voglia o meno), ed anche il genitore cambia, che lo voglia o meno. Quindi l’analogia singolare dovrebbe tendere a cambiare, al pari del sub-pda da essa generato. Ma mi sento di dire380 che l’essere381, in un certo frangente evolutivo, abbia deciso di porre un freno a questa inverosimile cangianza dei pda e delle analogie singolari. Abbia cioè configurato una forma di stabilità e d’integrazione del pda, che viene assicurata appunto grazie al pdac. Mantenendo saldo il finalismo del sub-pda, grazie al pdac che lo ripercorre con leggera rimodulazione, anche l’analogia singolare che genera il sub-pda riesce a mantenersi stabile, imperturbata nel proprio finalismo. Il sub-pda appare quindi come qualcosa di vivo, dinamico, al pari dell’analogia singolare che lo genera. Per mantenere stabile qualcosa di vivo e dinamico, occorre una sua rimodulazione conservativa, non una sua ripetizione pedissequa (che ne impedirebbe il vitale finalismo). Lo sfrangiamento (di cui si parla in questo capitolo) tra le relazioni che uniscono gli elementi analogici per formare il sub-pda è, dunque, la risultante estrema della cangianza di fondo del sub-pda e della sua analogia singolare, così come calmierata dal pdac, che buttata fuori dalla porta rientra dalla finestra. Ma anche il pdac inconscio, pur introducendo una semplice rimodulazione, ad ogni iterazione rimodula il rimodulato. Anche se tale rimodulazione del rimodulato resta per molti pda puramente teorica, non arrivando a rappresentare alcun cambiamento significativo, per alcuni pda più esposti ai pda di disturbo (che l’organismo può registrare come più aggressivi in certe aree dell’inconscio) la rimodulazione diventa più importante, generando confusione e incertezza nel ricordo. Il pda che riemerge dall’inconscio, allora, deve essere ricostruito da pdac consci che reperiscano gli elementi analogici compromessi da altri sub-pda della stessa configurazione382 o di configurazioni adiacenti. Se ciò non è possibile, allora il ricordo sembra svanire (in quanto il sub-pda non riesce più a riemergere dall’inconscio, poiché i suoi elementi diventano inconferenti rispetto al paradigma della configurazione di appartenenza), finché i pda di disturbo non smettano eventualmente d’imperversare in quell’area dell’inconscio (cosa che avviene spesso nei passaggi dello sviluppo umano, segnatamente in vecchiaia): a quel punto la rimodulazione cessa di creare confusione e si riassesta sulla logica paradigmatica della configurazione di appartenenza, ricominciando a generare un pda capace di riemergere nel livello di più alta consapevolezza (primo livello configurazionale). Per evitare di aspettare così tanto tempo, per rievocare un ricordo, l’uomo che sappia di aver bisogno di rievocare spesso il relativo sub-pda, ne traccia alcuni elementi in altri pda. Si costituiscono così le tracce scritte (o anche solo mnemoniche) i cui elementi mancanti saranno integrati grazie a dei pdac consci. Per questo il ricordo, grazie alla traccia scritta o mnemonica (e i successivi pdac consci, che fungono da glosse posticce), può essere irreparabilmente alterato, rispetto alla sua naturale riemersione dall’inconscio. Il pda originario viene infatti sacrificato con la sostituzione ad opera della traccia. Nel processo giuriziario, non a caso, si tiene conto sia della traccia come

379 Sub-pda = tratto di pda che segue ad un salto paradigmatico (salvo che sia la prima sezione del pda) e precede quello successivo. [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura]380 Il discorso che introduco con queste parole (“mi sento di dire che”) è un discorso sefèrico, cioè un discorso che cerca di convincere con un racconto. Il racconto non è una cronaca di fatti, ma una ricostruzione ipotetica che non pretende minimamente di corrispondere ad una traccia cd. storica, ma di fornire un criterio ermeneutico valido (a fini evolutivo-conservativi e relazionali) per la nostra costruzione della realtà. L’aspetto sefèrico è peraltro diffusissimo nelle mie teorie, ma a volte si condensa in veri e propri “raccontini”: ecco il perché di questa annotazione. Non volevo inimicarmi il lettore, facendogli pensare che stessi rifilando la classica favolina per bambini, che in una teoria scientifica nasconderebbe più semplicemente una lacuna.381 Si noti che nelle mie teorie l’essere è l’analogia singolare. In altro saggio (Trinità o funzioni conoscitive?) spiegherò in che senso l’analogia singolare è una sola e, al contempo, molteplice. Lo farò grazie ad una seferizzazione (cioè spiegazione a mezzo di racconto che convince), partendo dall’unica analogia singolare e spiegando come essa si differenzi in un pluralismo di analogie singolari, semplicemente differenziandosi rispetto alle proprie varie differenziazioni interne. Si veda la nota precedente, per capire il valore ermeneutico che attribuisco alla seferizzazione.382 Mi riferisco a sub-pda appartenenti a pda paralleli a quello di riferimento, che (in corrispondenza di tali sub-pda) stiano solcando la stessa configurazione (o meglio, una configurazione quasi coincidente per paradigma).136

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sostituto della memoria più naturale, sia della verifica di attendibilità (e non solo di credibilità - si noti bene) della testimonianza grazie alla verifica della sua coerenza con altre tracce, testimonianze e leggi scientifiche. Si noti anche che le tracce scritte hanno un qualcosa di fisico, che le tracce mnemoniche non hanno. Per addentrarsi nelle configurazioni che gestiscono tale fisicità occorre adoperare il metodo da me descritto ne Il testo-ricerca, a proposito delle “dieci pietre”. Tale saggio (ancora in via di redazione) è già disponibile nel suo stato attuale su www.bridge4will.net.

Si consideri poi che nel corpo non vivente l’analogia singolare rimane sempre attiva, mentre nel corpo vivente tende ad essere sostituita (ma nei soli percorsi di più elevata coscienza, e per il solo periodo in cui il sub-pda entra in tale livello di elevata coscienza383) dallo schema configurazionale del pensiero384. In quest’ultimo contesto, si ha anche la tendenza a veder germogliare altri stati di autocoscienza dallo stato del pensiero. Alludo agli stati del sogno-evento, della sensazione, dell’emozione e del sentimento. Il pdac continua a sussistere anche in tale contesto, ma in una forma ben diversa. Adesso dobbiamo delineare i due tipi di pdac: quello che compare nell’inconscio (secondo livello configurazionale) e quello che compare nel livello di elevata coscienza (primo livello configurazionale). Nei livelli intermedi di coscienza (corrispondenti al terzo, quarto e quinto livello configurazionale) non si fa luogo a pdac a fini esclusivamente manutentivi. In questi ultimi livelli di coscienza è infatti operante un finalismo abbastanza potente, in quanto si tratta di livelli deputati alla trasformazione dei sub-pda (i pdac avranno quindi una funzione almeno principalmente trasformativa). In essi è inoltre possibile tornare di continuo ai primi due livelli configurazionali, per riattivare in maniera stabile la funzione manutentiva del pdac ogni volta che il finalismo trasformativo si arresti per qualunque ragione.

Il primo tipo di pdac, del quale abbiamo già in parte cominciato l’analisi, compare dunque nell’inconscio385. Qui il pdac va dal primo elemento386 dell’analogia singolare che introduce la configurazione analogica di arrivo al primo elemento dell’analogia singolare che introduce la configurazione di partenza, facendo il giro degli elementi della configurazione analogica di partenza che erano stati già toccati dal pda, al fine di ripristinarne il finalismo387. In realtà si ha un pdac virtuale per ogni elemento analogico del sub-pda

383 Si tratta del primo livello configurazionale. Per uno studio approfondito dell’argomento, si rimanda al capitolo sui livelli configurazionali.384 Si veda il capitolo relativo allo schema configurazionale, nonché quello relativo agli schemi configurazionali diversi dalla fùsis. Lo schema del pensiero è una reiterazione di coppie cs-sc, in cui “cs” sta per concretante-strutturante e “sc” per strutturante-concretante. Non si deve pensare al pensiero classicamente inteso, ma allo schema configurazionale del pensiero, che solo quando viene espresso in un pda cosciente viene comunemente considerato pensiero (ciò non esclude, però, che lo schema del pensiero possa scivolare nell’inconscio e rimanere operativo). Quando si ha tale scivolamento nell’inconscio, però, le analogie singolari che erano state sostituite dallo schema del pensiero tornano ad avere il loro schema originario (cioè quello del salto paradigmatico: “ufc-afc-cs-sc”). Gli acronimi dello schema configurazionale del salto paradigmatico significano: ufc = “universalizzante falso – concretante”; afc = “astraente – falso concretante”; cs = “concretante – strutturante”; sc = “strutturante – concretante”. Tali elementi, se costituiti per la prima volta in stato di più elevata coscienza, vengono espressi con lo schema completo “ufc-afc-cs-sc”, finché non si ha lo scivolamento nel livello dell’incoscienza (secondo livello configurazionale), proprio in loro corrispondenza: da quel momento in poi, quando lo schema viene espresso in stato di più elevata coscienza è ridotto a “sc-cs-sc” (dove “ufc-afc” viene ridotto a “sc”). Ma non appena lo schema ritorna nel livello dell’incoscienza, il pdac ripristina lo schema originario (“ufc-afc-cs-sc”), oltre ad eventuali pezzi di schema del sub-pda all’interno della singola configurazione (che vengono però rimodulati).385 Spiegheremo cos’è l’inconscio parlando del secondo livello configurazionale, all’interno del capitolo seguente. Qui non lo faremo, per evitare di appesantire un discorso già troppo denso.386 L’analogia singolare è un’analogia ineffabile tra due elementi analogici. Le caratteristiche precise di questi elementi, oltre ad essere analizzate in Analogia singolare… (saggio scaricabile dal sito www.bridge4will.net), sono ricavabili per quanto qui occorre dal capitolo sullo schema configurazionale e da quello sull’onda formaturale.387 Lo schema del pdac, senza attrazione da parte di pda di disturbo, è ricostruibile previo uno studio attento dei capitoli precedenti. Sarebbe in questo caso il seguente: “cs (elemento finale del pda nella configurazione di arrivo) – subpercorso a ritroso con rimodulazione – ufc (elemento iniziale dello schema del salto paradigmatico, che esprime l’analogia singolare che congiunge la configurazione di partenza a quella di arrivo) – afc – cs – sc - … (ulteriore tratto di schema che collega al “cs” iniziale del pdac)”. La spiegazione del significato di tali acronimi e della funzione degli elementi ad essi corrispondenti è espressa nel capitolo sullo schema configurazionale e in quello sull’onda formaturale.137

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(che scivola nell’inconscio a blocco, in modo compatto): ma funzionalmente, ai fini della conservazione del sub-pda, è come se si avesse un solo pdac per l’intero sub-pda (il fatto che ogni elemento sia foriero di rimodulazioni specifiche può portare solo in casi estremi ad una soluzione di continuità del pda, che escluda un suo elemento dal sub-pda a monte o da quello a valle). Il pdac si configura quindi come composto di due sezioni. La prima sezione o fase è la cd. rimodulazione (che parte dal primo elemento dell’analogia singolare che introduce la configurazione analogica di arrivo388 fino a tornare, grazie ad un percorso abbastanza libero389 nella scelta dei suoi elementi costitutivi390, al primo elemento dell’analogia singolare che ha introdotto il salto paradigmatico che conduce nella configurazione di partenza391). La seconda sezione o fase, che segue alla prima, è la ripetizione pedissequa del sub-pda rimodulato. Il sub-pda qui considerato (giova ripetere quanto sopra annotato) è quello che va dal primo elemento dell’analogia singolare, che introduce la configurazione di partenza, all’ultimo elemento di quest’ultima (che è anche il primo elemento dell’analogia singolare che introduce la configurazione analogica di arrivo392).

E’ ovvio che la ripetizione pedissequa della seconda sezione del pdac, se da un lato assicura la stabilità della realtà inconscia, dall’altro lato introduce un ingrediente di rigidità che l’essere, in quanto forza e movimento evolutivo della realtà, deve in qualche modo “digerire” introducendovi una qualche diversificazione. Altrimenti la realtà resterebbe quasi del tutto sclerotizzata in se stessa. Quindi, a livello di pdac inconscio, occorre una qualche forma di destabilizzazione dell’ordine perfetto che esso produce. Ma per comprendere meglio questo punto di svolta, proviamo a fare una simulazione su come si configurerebbe la realtà se tale perfezione non fosse mai infranta. Poniamo che sorga un primo pda, che ad un certo punto addivenga al salto paradigmatico, per formare un’altra configurazione analogica (che chiamiamo configurazione di arrivo). Quest’operazione non richiede la preesistenza di tale configurazione di arrivo, né di altre configurazioni (o modelli di configurazione) a cui ispirarsi, oltre a quella di partenza. Quindi si può parlare di un’operazione autopoietica, che “rimescolando” gli elementi analogici della configurazione di partenza ne produce un’altra. Tale rimescolamento e tale produzione si articolerebbero come un seguito del pda originario. Chiameremo tale seguito con il nome di “sub-pda di arrivo”, mentre la prima parte del pda con il nome di “sub-pda di partenza”. Lo spartiacque tra i due sub-pda è rappresentato dal salto paradigmatico, analiticamente spiegato nei capitoli precedenti. Si noti che, alla stregua della teoria dell’analogia singolare393, dal sub-pda di partenza possono dipartirsi più salti paradigmatici (corrispondenti ciascuno ad un’analogia singolare) verso altrettanti sub-pda di arrivo, collocati in configurazioni distinte. A questo punto, se i pdac provvedessero ad una manutenzione costante e perfetta di ogni sub-pda (di partenza e di arrivo), la realtà sarebbe formata da un’unica macro-ramificazione, diversificabile a piacere nella direzione dei sub-pda di arrivo, ma costituita da un unico sub-pda di partenza. Se anche i sub-pda di arrivo gemmassero ulteriori sub-pda di arrivo, grazie ad ulteriori salti paradigmatici, la complessità 388 Ogni sub-pda qui considerato è quel tratto di pda che congiunge il primo elemento di una certa configurazione analogica con l’ultimo elemento della stessa. Per primo elemento, s’intende il primo elemento del pda che si colloca in tale configurazione. Per ultimo elemento, s’intende naturalmente l’ultimo elemento del pda che si colloca nella medesima configurazione. Chiamo tale configurazione con il nome di “configurazione di arrivo”, poiché sto considerando l’analogia singolare che ha consentito il salto paradigmatico che guida il pda da una configurazione (detta “di partenza”) ad una ulteriore configurazione (che chiamo appunto “di arrivo”).389 È la libertà di tale percorso a indurmi a chiamare “rimodulazione” questa prima sezione del pdac.390 Tali elementi potrebbero essere tratti dallo stesso sub-pda o da altri sub-pda che s’incrociano con uno degli elementi del sub-pda stesso; se si adoperano solo elementi tratti dal sub-pda considerato, non è necessario che vengano riprodotti tutti quanti. E’ come se un pianista, che ha appena eseguito una lunga scala crescente, si mettesse a ripetere a ritroso solo alcune delle note di detta scala, magari inserendoci qualche nota ulteriore. Si tratta di una sorta di “scherzo” pianistico, che fa prendere la rincorsa emotiva per la riproduzione della medesima scala. Non so se riuscite a immaginarvi questo loop. E’ la voce di sottofondo dell’essere, che fa da trama – altrettanto illusoria, ma evolutivo-conservativa - dell’illusione di realtà che percepiamo continuamente.391 Anche qui c’è una forzatura rispetto allo schema vero e proprio del pdac inconscio o virtuale: esso infatti prevede due fasi che riguardano, l’una i soli elementi a monte, l’altra i soli elementi a valle. Ma nella semplificazione che qui propongo, ad un livello funzionale che non considera i casi estremi, si può immaginare che le due fasi riguardino gli stessi elementi. Per un approfondimento dei casi estremi di cui parlavo, si consulti il capitolo sul pdac.392 Spiegheremo meglio nel seguito le caratteristiche precise di questi elementi, dando loro un nome (il primo elemento del sub-pda sarà chiamato afc, l’ultimo sarà chiamato ufc).393 Vd. il nostro saggio Analogia singolare…, scaricabile dal sito indicato nell’epigrafe della copertina.138

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dell’intera operazione non cambierebbe, poiché ogni sub-pda di arrivo potrebbe essere generato dal primo sub-pda di partenza e, risalendo la catena di sub-pda di arrivo, si torna sempre al primo sub-pda di partenza. Un simile schema di realtà sarebbe davvero troppo banale e comunque incapace di spiegare la complessità che ci avvolge e che ci costituisce da ogni punto di vista. Un simile schema potrebbe corrispondere a pochissimi fenomeni in natura e, comunque, demarcherebbe una sorta d’isolamento dagli altri fenomeni più complessi, pena snaturarsi e acquisire anch’esso un carattere complesso394. Ma se il pdac, nella sezione rimodulatrice, incrociasse un altro pda395 e ne fosse influenzato, la musica cambierebbe. Chiameremo quest’ultimo pda con il nome di “pda di disturbo”, poiché va a disturbare la perfetta funzionalità manutentiva del pdac, impedendo così la manutenzione del sub-pda (di partenza o di arrivo). Quest’ultimo ne rimarrebbe menomato nel finalismo. Mancandogli poi un sufficiente finalismo conservativo, finirebbe per cadere nell’oblìo. Da tale oblìo si salverebbero, però, gli altri sub-pda del primo pda e il pda di disturbo, che ormai si è fuso con il pdac.

Inoltre, per giustificare la presenza di molti pda di disturbo, si dovrebbe supporre che ogni sub-pda (di partenza e di arrivo) possa non solo addivenire a più di un salto paradigmatico, creando una ramificazione di sub-pda a valle, ma possa anche diversificarsi del tutto dal pda originario, per un difetto della sezione rimodulatrice del proprio pdac. Se infatti la sezione rimodulatrice, invece che riportare al primo elemento dell’analogia singolare di origine, portasse il pdac a collegarsi ad un altro elemento analogico estraneo al sub-pda, senza mai arrivare al primo elemento anzidetto, il sub-pda (senza staccarsi dal pda di origine) finirebbe per realizzare un seguito diverso dai sub-pda di arrivo che si collocavano a valle. Questi ultimi sub-pda, non avendo più alcun collegamento con il pda di origine, costituirebbero un nuovo pda. Se tale gemmazione per diversificazione si realizzasse moltissime volte, avremmo una produzione notevole di pda non riconducibili ad un’unica causa originaria. Ad un certo punto, un elemento di un pda finirebbe per coincidere o assomigliare molto ad un elemento di un altro pda. In questa situazione, potrebbe accendersi un’ulteriore analogia singolare, che assimili come indistinguibili tali due elementi. L’analogia singolare consiste, come sappiamo, in un salto paradigmatico. Tale salto, però, avrebbe la peculiare caratteristica di assimilare tra loro i due elementi (appartenenti a due diversi pda). Come sappiamo, ogni analogia singolare ha la propria direzione: quindi il salto paradigmatico finirebbe per condurre uno dei due pda a proseguire l’altro pda, a partire da quel suo elemento ormai indistinguibile con l’elemento dell’altro. Quello dei due sub-pda che si trovi a monte (nel direzionamento dell’analogia singolare) costituirà il pda di disturbo, quello che invece si trovi a valle verrà riscritto a partire dall’elemento di congiunzione. I sub-pda che il pda avesse già generato a valle rimarranno staccati da esso, a seguito della prevalenza del pda di disturbo o della gemmazione, continuando il proprio cammino di ripetizione manutentiva e di prosecuzione/diversificazione del percorso stesso396. Siamo quindi riusciti a definire cosa sia il pda di disturbo e come il pdac inconscio 394 Per comprendere il significato e le implicazioni più precise della complessità, vedi la relativa teoria di E. Morin, formulata negli anni ’80 del secolo scorso. La complessità, detto in modo succinto, introduce comunque un principio di coerenza, in opposizione al principio di causa-effetto. Vd. in particolare il contributo di F. Varela in Bocchi, G., Ceruti, M., a cura di, La sfida della complessità, Ed. Feltrinelli, 1985.395 Per completare il “raccontino” sopra proposto in relazione al pda originario, si potrebbe supporre che il secondo pda che influenza il pdac altro non sia che un sub-pda (di partenza o di arrivo) che si è distaccato dallo stesso pda originario. Ma poiché siamo in campo di seferizzazione, non occorre una simile accuratezza. Non stiamo ripercorrendo la verità assoluta di un accadimento del passato. Anzi, supponendo che la verità assoluta non esista, siamo autorizzati sia a supporre che a non supporre una gemmazione del secondo pda dal primo.396 Le ipotesi costruttive qui avanzate sono state da me parzialmente modificate, negli ultimi capitoli di quest’opera, per tenere conto di un’ulteriore ipotesi: quella dell’incrocio tra due pda, senza che in corrispondenza di tale incrocio si abbia un salto paradigmatico. Tale ipotesi è talmente frequente, nella realtà, che deve necessariamente ricavarsi uno spazio nel discorso precedente. Per farne un esempio, ipotizziamo che un falegname abbia bisogno di mettere la quarta gamba ad un tavolo, che altrimenti non potrebbe reggersi con stabilità, ma al contempo debba anche trovare un legno da ardere nel suo camino, per non congelarsi. Ipotizziamo anche che gli sia rimasto un solo pezzo di legno, che si adatti ad entrambi gli usi. Nella sua mente si articoleranno dunque due pda paralleli, che in corrispondenza di quel pezzo di legno s’incroceranno, senza fondersi tra loro. In una prima fase, i due pda avrebbero anche un proprio seguito autonomo a valle. Nel momento poi in cui il falegname decidesse di disfarsi del tavolo, poiché fatto con solo tre gambe, e di adoperne i pezzi di legno per arderli nel camino e riscaldarsi, e infine dimenticasse del tutto l’ipotesi di completare il tavolo (per sfrangiamento dei relativi sub-pda a valle dell’incrocio), rimarrebbe un unico sub-pda a valle, ma senza alcun salto paradigmatico a giustificare tale unicità. Se invece la struttura dei due pda fosse ancora diversa, 139

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possa diversificarsi (anche per semplice gemmazione397), offrendo così una spiegazione della complessità configurazionale della cd. realtà.

Tratteremo ora del pdac conscio. Come s’individua il sub-pda conscio, alla cui manutenzione-rimodulazione è funzionale questo tipo di pdac? Esso è quel tratto di pda che si trova nel primo livello configurazionale. Il livello più intenso (o elevato) del senso di consapevolezza dell’uomo si colloca, infatti, nel primo livello in parola. Come apprenderemo nel capitolo relativo ai livelli configurazionali, lo schema del salto paradigmatico è posto in una prima fase nel terzo livello (quello dello stato di autocoscienza del sogno-evento), poi si trasforma nello schema che conosciamo nel momento in cui entra nel quarto o nel quinto livello (che sono i livelli dell’interpretazione). Tale schema non è quindi mai collocato nel primo livello configurazionale. In quest’ultimo si trova soltanto il sub-pda compreso tra un salto paradigmatico e quello successivo, nonché i tratti di pda che incrociano gli elementi di tale sub-pda, limitatamente agli elementi direttamente collegati ad ogni elemento d’incrocio. Il pdac deve quindi prendere le mosse da uno degli elementi compresi in (o direttamente collegati a) tale sub-pda. Tuttavia il pdac consente, in via autonoma (cioè senza l’intervento di pda-dist) anche di collegare tali elementi ad altri sub-pda, che si trovano collocati in altre configurazioni dello stesso pda, e perfino ai sub-pda di altri pda che s’incrociano a monte o a valle con esso. Infatti ogni elemento del sub-pda da cui il pdac prende le mosse ha un’onda formaturale, nella quale sono compresi sia la sequenza dei paradigmi a monte, sia la percezione strutturale di tutti gli elementi intellettivi (sc) a valle, sia l’intuizione di tutti gli elementi concreti (cs) a monte. Grazie a semplici analogie indirette, che ripercorrono i percorsi attualmente non sfrangiati, il pdac può quindi portare l’osservatore-uomo in ogni sub-pda anche indirettamente collegato a quello da cui prende le mosse (con gli unici limiti testé indicati). Se con il pdac l’osservatore-uomo vuole ridiscendere il sub-pda di partenza fino a superare il successivo salto paradigmatico, può farlo in due modi. Se il salto paradigmatico stesso non è ancora sfrangiato (con il significato preciso che chiariremo nel seguito) o l’osservatore ha già sviluppato i criteri strategici necessari a compierlo automaticamente398 o trova sostegno nelle zip-fùseis399, il pdac potrà fare il salto paradigmatico in versione ridotta (schema: “sc-cs”400) e rimanendo così nel primo livello configurazionale. Se invece il salto paradigmatico è già sfrangiato e l’osservatore non ha ancora sviluppato i criteri strategici né trova sostegno nelle zip-fùseis, potrà farlo tornando nel terzo e quarto/quinto livello (al fine di generare, con l’aiuto di altri pdac e pda-dist, lo schema più complesso: “ufc-afc-cs”401). Il pdac, nel primo livello, può quindi abbracciare in tutte le direzioni402 l’intreccio di pda che

in quanto il primo pda incrociasse il secondo senza alcun salto paradigmatico, ma dopo tale incrocio non avesse un seguito autonomo di propri sub-pda a valle, ebbene considererei il primo pda un pda di controllo del secondo pda. Infine, se il primo pda incrociasse il secondo senza salto paradigmatico (in una prima fase), avendo quindi un seguito autonomo di sub-pda a valle, ma poi (in una seconda fase) ripercorrendo il sub-pda d’incrocio con un pdac che realizzasse il salto paradigmatico verso l’elemento d’incrocio, si staccasse dal proprio seguito, lo considererei un pda recessivo, mentre considererei il secondo pda un pda di disturbo. Abbiamo così completato le casistiche d’incrocio possibili tra i pda.397 Nel seguito di quest’opera, in ogni caso, non giustifico la diversificazione del pda con la gemmazione di più percorsi alternativi a partire da un pdac inconscio. Penso infatti che debba intervenire un pdac conscio per ottenere una diversificazione autonoma (non etero-determinata dall’incrocio con una altro pda) dei sub-pda a valle: tale diversificazione potrà proseguire nell’inconscio, purché sia iniziata in uno dei livelli configurazionali consci.398 Vd. il capitolo sulla cristallizzazione dei CS (criteri interpretativi strategici). Il salto paradigmatico, in questo caso, non è del tutto automatico, ma può avvenire rapidamente e ad libitum, purché nella stessa vita biologica in cui il CS sia stato cristalllizzato o riattivato. Il suo schema, quindi, consisterà in quello del pensiero (“sc-cs”), ma dovrà avere degli esili elementi ufc e afc ogni volta che viene riattivato dallo sfrangiamento.399 Vd. il relativo capitolo. Le zip-fùseis sono delle leggi scientifiche (in senso lato) che regolano l’accesso a selezioni di strutturazioni logiche del patrimonio intellettivo comune di un’intera cultura o civiltà umana, di una certa epoca storica. Tale patrimonio intellettivo comunque è parte integrante del 5lc (quinto livello configurazionale confinato): vd il relativo capitolo.400 Per la comprensione di questo schema e del successivo si rimanda al capitolo sullo schema configurazionale e a quello sull’onda formaturale, nonché (quanto al primo schema) a quello sugli schemi degli stati di autocoscienza diversi dalla fùsis, in quanto trattasi dello schema del pensiero.401 Vd. nota prec.402 La possibilità di direzionamento ubiquitario del pdac all’interno dell’organismo è assicurata da: a) il collegamento di ogni elemento di tipo intuitivo concreto (d’ora in poi: “cs”) con ogni altro elemento a monte, appartenente allo stesso 140

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chiamiamo corpo, purché si volga verso sub-pda ancora attuali (non sfrangiati403). Ma se ad un certo punto, per compiere un salto paradigmatico nuovo o comunque non disponibile nell’immediato, occorre tornare nel terzo e nel quarto o quinto livello, è allora facile che il finalismo si disperda, limitandosi (nella seconda fase del pdac) alla rievocazione del salto paradigmatico precedente e all’articolazione rimodulata del sub-pda di partenza. Una volta ripreso il pda nel secondo livello (inconscio), potrebbe poi scattare il campanello di allarme (una qualunque situazione, emergente a livello sensorio, da risolvere per i suoi forti collegamenti a configurazioni o elementi esecrati) che riporti l’osservatore-uomo a concentrarsi (rientrando nel primo livello) nel completamento del pdac, che a questo punto consisterà in un secondo pdac diverso da quello inconscio (in quanto non semplicemente rimodulato a finalismo costante, ma orientato da un finalismo in soluzione di continuità con il primo, nonché emergenziale). Un’ulteriore possibile interruzione del pdac si ha quando uno dei suoi elementi va a coincidere con un elemento di un altro pda: quest’ultimo (se assurge a pda di disturgo) va a sviare il pdac con un’analogia singolare o con una semplice alterazione dell’onda formaturale404, che va a scollegare il suo tratto a monte con quello a valle (vd. sopra).

Se quindi il pdac è attribuibile all’osservatore-uomo o ad un altro tipo di organismo vivente, nel tratto di pda di più alta coscienza405, può articolarsi nei modi più vari. Può ad esempio puntare ad un elemento a monte o ad uno a valle, o anche ad un pda non collegato né a monte né a valle (che deve però essere costituito con ulteriori salti paradigmatici, idonei ad interrompere il pdac). In questo modo interi pda possono trasformarsi, grazie ad un coordinamento dei finalismi dei propri pdac, le cui onde formaturali406 finiscono per essere conferenti tra loro (soprattutto quando entra in gioco il ruolo di coordinamento delle collettività proprio delle zip-fùseis, delle racc-fùseis e delle esc-fùseis). Se però il pdac (o la serie di pdac, in caso siano implicati dei salti paradigmatici consci, per realizzare anche solo uno dei quali non è certo sufficiente un solo pdac) non riporta al pda originario, questo si biforca o scinde (a secondo dei casi) in due tratti di pda a valle: quello inaugurato dal primo pdac e quello costituito dai sub-pda ad esso successivi cui il pdac originario non si è ricollegato.

Si può quindi dire che anche il finalismo del pdac conscio ripristina il finalismo del tratto di pda interessato da un’analogia singolare e dalla sua configurazione di partenza, ma con una libertà estremamente più ampia (che valica di gran lunga i confini del singolo sub-pda di partenza). Tale pdac può infatti incontrare molto più facilmente (per la possibilità di esprimere un finalismo tra i più vari) un pda di disturbo, che potrebbe deviarlo dalla ripetizione pedissequa del tratto di pda già percorso, convincendo il finalismo che in esso si esprime a seguirlo, oppure deviare un diverso pda, fungendo da pda di disturbo di quest’ultimo. Potrebbe infine non ricollegarsi mai al pda originario, per trasformazione del suo finalismo, grazie ad un salto paradigmatico nuovo, cui non segua un uteriore pdac (o una serie di pdac) che non porti alla fine al primo elemento del sub-pda di partenza. Ciò che rischia di sfrangiarsi, quindi, in caso di pdac conscio, è l’intero sub-pda di partenza di tale pdac conscio e ogni altro pda che entri in contatto con quest’ultimo. Un pda di disturbo è un altro pdac, rimasto sospeso, o un residuo di un precedente pda sfrangiato, anche a seguito della dissoluzione di un corpo vivente (da cui si diffondono nella rete analogica

tipo; b) il collegamento reciproco di ogni cs con l’elemento logico-strutturato (d’ora in poi: “sc”) con esso più direttamente collegato; c) il collegamento di ogni sc con il sc a valle. Tali collegamenti a monte e a valle si riferiscono ad ogni altro cs/sc del pda di riferimento, nonché di ogni altro pda che vi si colleghi per incrocio, anche indirettamente. Il novero di collegamenti possibili per un pdac, grazie alla facoltà di collegamento dei cs/sc che va ad intrecciare, abbraccia dunque l’intero organismo dell’osservatore (inteso non solo nella sua fisiologia, che contempla solo una parte delle sue fùseis, ma anche nei suoi pensieri ed altri stati di autocoscienza).403 Si legga: “non venuti meno”. La spiegazione dello sfrangiamento richiederà buona parte di questo capitolo, ma già nelle prime pagine ho necessità d’introdurne la categoria, al fine di dettare i confini di altre categorie (come, in questo caso, quella dei pdac). Per adesso basterà quindi che il lettore abbia una conoscenza intuitiva dello sfrangiamento, per formarsene solo in seguito una comprensione intellettiva.404 E’ uno dei casi d’incrocio, riportati in una nota precedente. In tale nota, tuttavia, non precisavo che l’incrocio tra il pdac e il pda-dist, che non costituisce un salto paradigmatico, riesce a dissecare in due il pda di appartenenza del pdac alternandone l’onda formaturale (in senso lato). Per una migliore comprensione, si veda il capitolo sull’onda formaturale.405 Si tratta del primo livello configurazionale. Vd. capitolo seguente.406 Vd. il relativo capitolo. L’onda formaturale cambia grazie ai collegamenti che contempla e, proprio nel suo modificarsi da un elemento a quello successivo, esprime un certo finalismo.141

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un novero immenso di sub-pda tra loro scollegati). Si noti che i corpi viventi, tenuti insieme da un finalismo più vivace, quando arrivano ad aver sfrangiato alcuni specifici sistemi di pda, che danno loro coerenza interna, finiscono per sfrangiarsi rapidamente, come un castello di carte che cade d’un colpo per aver perduto un appoggio strategico. Il destino di coesione di un corpo vivente è quindi molto legato al suo finalismo interno, messo in rapporto con le sue strutturazioni: tale finalismo, in alcuni sistemi di pda, diventa propriamente strategico (o perfino immediatamente tattico407) per la sopravvivenza. Ma il pda di disturbo può provenire anche dallo sfrangiamento di un corpo non vivente. L’incrocio di un elemento del pdac con un elemento del pda di disturbo è l’innesco, quindi, dello sfrangiamento. Per aversi incrocio, occorre che l’onda formaturale (in senso lato) dei due elementi renda possibile l’analogia singolare che rende indistinguibili i due elementi stessi: a quel punto si tratta dello stesso elemento; oppure occorre che le onde formaturali siano abbastanza simili da configurare almeno uno dei due elementi come appartenenti ad entrambe le configurazioni. Se l’analogia singolare in parola preferisce il finalismo del pda di disturbo (con un vertiginoso circolarismo, che in campo esoterico non costituisce un’aporia), allora non si ripristina la continuità dello schema originario da cui proviene il pdac. Tutto lo schema a valle408 del pda originario rimane così disgiunto dallo schema a monte409 (culminante con il pda di disturbo). Se invece l’analogia singolare preferisce il finalismo del pdac, allora è lo schema dell’altro pda che si spezza in due (ma in questo caso si deve notare che il pdac funziona anche come pda di disturbo). Il cambiamento di finalismo comporta che qualunque dei due sub-pda a valle venga scelto per proseguire, tale sub-pda possa comunque essere radicalmente reinterpretato (grazie ad ulteriori pdac consci a valle), come materiale da costruzione riciclato in un nuovo progetto. La preferenza di direzionamento dell’analogia singolare che va a sigillare i due sub-pda in corrispondenza dei due elementi simili viene decisa nel formarsi dell’analogia singolare stessa. In tale formazione, l’analogia singolare si analogizza con l’elemento graféico puro410, formando un’analogia singolare di analogia singolare. Tale situazione è peraltro comune ad ogni analogia singolare (che è comunque un’analogia singolare di analogia singolare): in questo modo si può parlare di un coordinamento ineffabile dell’intera rete analogica delle cose esistenti, poiché ogni salto paradigmatico è gestito di comune accordo dalle analogie singolari411. [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] Dal momento che l’onda formaturale di ogni elemento analogico non va dispersa, la indistinguibilità (per analogia singolare) tra gli elementi analogici412 dei pda può essere estremamente frequente; ma ancor più frequente è forse l’incrocio senza analogia singolare. Cosicché ogni elemento analogico del corpo umano, ad esempio, è collegato con i corrispondenti elementi analogici degli altri corpi umani, per un semplice coordinamento (quando manca un salto paradigmatico ad unirli) o per un coordinamento con trasformazione (quando si realizza un salto paradigmatico che va ad unirli). Ma il finalismo dei singoli pdac, puntando (grazie alla

407 Si pendi ai pda che gestiscono il battito cardiaco: se si sfrangiano troppi di questi pda, si arriva all’infarto e si può morire anche in pochi minuti (infarto coronarico).408 Cioè il tratto di schema successivo all’elemento d’incrocio.409 Cioè il tratto di schema precedente all’elemento d’incrocio.410 Si tratta dell’elemento ineffabile puro, il quale non solo non ammette definizioni, ma neanche spiegazioni che lo rendano presente al senso dell’osservatore. Esso compare al senso dell’osservatore in maniera del tutto inattesa. Vd. il capitolo relativo all’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica.411 Il senso e il funzionamento di questo coordinamento ineffabile è chiarito nei saggi Analogia singolare e Trinità o funzioni conoscitive? (in via di redazione) e Teoria dell’osservatore (in via di redazione), alcuni dei quali sono in parte già disponibili per essere scaricati immediatamente sul sito www.bridge4will.net. 412 La coincidenza di due elementi analogici, all’interno della rete analogica delle cose esistenti, è data proprio dall’indistinguibilità degli elementi, che va ad alterarne l’onda formaturale aggiungendovi il nuovo collegamento analogico ineffabile. Quando vi è tale coincidenza si può dire che un unico elemento appartiene a due pda distinti, che tra loro, pertanto, s’incrociano. Si noti come questa coincidenza tra gli elementi analogici di pda appartenenti a corpi viventi diversi possa portare ai cd. fenomeni di telepatia. Un mio amico può avere un’idea ed io, trovandomi in una circostanza che mi permette di avere la stessa idea (elemento coincidente) ho effettivamente la stessa idea. Se nel momento in cui sto per avere la stessa idea il mio amico, che la sta avendo in quel momento, mi guarda negli occhi, possiamo provare per un istante l’impressione di esserci scambiati un’idea. Una simile situazione si è ripetuta più volte, in un anno in cui uscivo tutte le sere con il mio amico Leonardo, che può testimoniarlo. Ma cose di questo genere possono capitare a chiunque, in situazioni simili. Gli esperimenti sul collegamento “quantistico” tra animali (in genere madre e cucciolo) e tra gemelli umani puntano proprio a far emergere questo tipo di episodio configurazionale.142

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varietà, ampliamento e conservazione delle onde formaturali413) verso la distinzione tra i corpi, evita che vi sia la sostituzione del tratto ripristinato/manutenuto dal pdac con il sub-pda414 appartenente ad un altro corpo. Ciò non toglie che, quando un pda entra nel livello di più alta coscienza, possa costituirsi un ponte mistico415 in comune tra due o più sub-pda appartenenti a diversi corpi416, purché tale ponte mistico entri nel quinto livello configurazionale confinato (5lc)417 ed assurga a zip-fùsis418. Tale vicissitudine, alla cui base si pone il finalismo dei due pda e del ponte mistico che li unisce, costituisce un modo per collegare tra loro gl’individui di un gruppo (o, nel caso degli esseri umani, di quella che si chiama collettività). Tale collettività può essere costituita anche da due soli individui, che vanno a costituire così una coppia più o meno stabile. Può trattarsi di una coppia di amici, o di una coppia di amanti o di compagni di vita more uxorio. Ma si nota che tali micro-collettività hanno bisogno di mantenere vivo il ponte mistico, per continuare a condividerlo. Collettività più ampie, come un’intera civiltà umana, possono invece beneficiare di un novero immenso di ponti mistici sempre attivi e condivisi con immediatezza da ogni loro membro (a secondo del grado di sviluppo del membro stesso). Per questa via il corpo vivente si trasforma, nell’ottica di consentirne l’evoluzione (anche a livello di specie vivente). E’ così che i maiali o i primati, prima o poi, potrebbero sviluppare una coscienza molto simile all’uomo (purché lasciati in grado di svilupparla dall’attuale dominatore di questa biosfera). Ma la sostituzione del sub-pda con un altro sub-pda appartenente ad un altro corpo (costituito da un pdac divergente o risultante da sfrangiamento di un pda di quest’ultimo) avviene in tre ipotesi: l’inquinamento, la pressione fisica e il contagio. Possono esservi, infatti, pda di disturbo preferiti dal finalismo del pdac, che vanno a colpire corpi non viventi (si pensi a fenomeni come l’intercettazione di micro-onde da parte di alimenti, o all’impregnamento di un corpo solido con un corpo liquido, o al crollo di un edificio che ne distrugge il mobilio), come anche pda di disturbo preferiti dal finalismo del pdac, che vanno a colpire corpi estranei viventi (si pensi a fenomeni come lo sviluppo di tumori a seguito dell’esposizione ad agenti chimici - cioè a corpi non viventi -, o allo sviluppo di malattie a seguito dell’esposizione ad agenti patogeni - cioè a pda-dist419 appartenenti a corpi viventi). Vi è anche una quarta ipotesi: l’infezione. Essa consiste in un auto-contagio dell’organismo, i cui pda di disturbo tendono peraltro a stabilirsi in pda più strettamente collegati a livello spaziale (cioè per collegamento più diretto con la configurazione dell’assoluto derivato, o collettore, dello spazio euclideo).

Affinché un elemento analogico finisca nell’oblìo dello sfrangiamento, non è sufficiente che il suo pdac diverga dalla propria configurazione420 o venga attratto da un pda di disturbo421 (o attiri un altro pda, in

413 Vd. il relativo capitolo. All’interno dell’incrocio di pda chiamato corpo, l’onda formaturale (intesa qui in senso lato) è il novero di collegamenti analogici, facenti capo ad un singolo elemento, rilevanti per l’espressione del finalismo riferito all’elemento stesso all’interno del corpo di appartenenza. Almeno negli organismi viventi è tale la diversificazione delle onde formaturali dei singoli elementi che non può esservi un’onda formaturale identica ad un’altra. In proposito, si noti quanto è difficile produrre l’entanglement quantistico in corpi inerti: figurarsi quanto lo sarebbe in corpi organici o addirittura in corpi autocoscienti. L’entanglement, come ogni altra forma d’identificazione informativa, rappresenta l’eccezione rispetto ai principi di diversificazione e di coerenza (che non è assimilazione né conformazione totale) delle onde formaturali.414 Sub-pda = tratto di pda. Sub-pda a valle = tratto di pda successivo ad un certo elemento analogico (comprendente o meno l’elemento stesso). Sub-pda a monte = tratto di pda precedente ad un certo elemento analogico (comprendente o meno l’elemento stesso).415 Salto paradigmatico inconscio. Vd. il relativo capitolo.416 Quando adopero la parola corpo senza ulteriori specificazioni, mi riferisco a corpi organici, inorganici o anche a corpi ex-viventi. Gli organismi deceduti, infatti, hanno ulteriori corpi (detti “sottili”, nella tradizione dell’Estremo Oriente) in cui s’incarnano dopo la morte biologica.417 Il 5lc è una macro-sezione del quinto livello configurazionale (che è uno dei due livelli che gestisce l’interpretazione dell’osservatore, grazie a cui si compiono e cristallizzano i salti paradigmatici). In tale macro-sezione le configurazioni sono rese accessibili grazie alle zip-fùseis e alle racc-fùseis, che sono leggi scientifiche (in senso lato) che creano una comunanza intuitiva ed intellettiva in intere culture o civiltà di entità corporee. Tali entità corporee possono essere anche inorganiche. L’attuale materia è frutto di una certa “civiltà” (potremmo dire) di micro-particelle, che sono seguite alla vittoria del bosone di Higgs sull’anti-materia.418 Legge scientifica (in senso lato) che stabilisce a quali configurazioni possa collegarsi a valle un elemento logico-strutturato (sc), in una certa situazione configurazionale. Vd. il capitolo sulle zip-fuseis.419 Pda-dist = pda di disturbo.143

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qualità di pda di disturbo, convergendo con esso422). Quando ciò accade, infatti, si può manutenere (con i pdac consci) e recuperare la memoria del singolo elemento e di quelli adiacenti423. Ma ciò è possibile solo per un qualche tempo, non per sempre. Le domande che sorgono sono allora due: 1) come si configura il singolo elemento analogico, perché possa dirsi sfrangiato? 2) in collegamento con quale situazione si configurerà in tal modo?

Per rispondere alla prima domanda (come si configura l’elemento sfrangiato?), occorre stabilire come si configura l’elemento analogico ancora non sfrangiato. Il primo elemento (che chiamo “afc424”) del sub-pda è anche il secondo elemento425 dell’analogia singolare a monte del sub-pda stesso. L’afc si compone di due “ipotetiche” innervazioni426(che chiamerò ifscα e ifscβ) [Torna indietro al capitolo sul vivente] fatte ciascuna di elementi che chiamo, singolarmente, “falso strutturante – concretante”427, in acronimo: “fsc” (da cui l’ulteriore acronimo d’ifscα/β, che sta per innervazione fsc alfa o beta). [Torna indietro al capitolo sullo schema

420 Una simile situazione sarebbe resa possibile da un salto paradigmatico conscio o inconscio (in genere grazie ad una zip-fùsis). Ma non appena il sub-pda di partenza ritorni nell’inconscio (secondo livello configurazionale), verrebbe manutenuto dal pdac inconscio, evitando così lo sfrangiamento. Solo in casi di psicosi vera e propria, l’uomo può forse fissarsi tanto su un sub-pda, attivando continui pdac consci che portino in altrei sub-pda, impedendo al contempo (per la loro frequenza) lo scivolamento nel secondo livello, fino allo sfrangiamento del sub-pda stesso nei suoi elementi costitutivi. A quel punto, non appena i frammenti di sub-pda scivolino nel secondo livello (inconscio), sarebbero recuperabili solo prima dello sfrangiamento (che coglie al venir meno del finalismo dei suoi elementi) con apposito pdac conscio, in quanto per assenza di collegamento con il primo elemento (afc) del sub-pda non può aversi la seconda fase del pdac inconscio, che è indispensabile per la manutenzione vera e propria. Il finalismo decade quindi alla svelta, per sollecitazione di altre onde formaturali simili, appartenenti ad elementi di altri sub-pda, che prevalgono (per il principio di coerenza dell’organismo, soprattutto di quello autocosciente) rispetto alle sue onde formaturali.421 In questo caso si ha solo la separazione del tratto di pda a monte da quello a valle. Ma nessuno dei due tratti, sol per questo, si sfrangia automaticamente.422 Il pda di disturbo, infatti, meno di tutti è soggetto a sfrangiamento, costituendo un pda prevalente rispetto al pda recessivo con cui s’incrocia.423 La condizione per la manutenzione automatica del sub-pda da parte dei pdac inconsci è che i suoi elementi siano collegati con il primo elemento (afc). Gli elementi successivi all’incrocio con un pda-dist o con un’analogia singolare per incrocio con altro pda, pertanto, si sfrangiano (anche se non immediatamente) quando la sezione di sub-pda scivoli nel secondo livello configurazionale (l’inconscio). L’unico modo per recuperare tale sezione destinata allo sfrangiamento è ricollegarsi ad essa con un pdac conscio prima dello sfrangiamento o ricostruirla “a tavolino” con un pdac postumo.424 Per il significato di questo acronimo (afc = astraente falso – concretante), si considerino le definizioni fornite nei capitoli sugli assoluti, sullo schema configurazionale e sull’onda formaturale. Si tratta di un elemento analogico dalla componente intuitiva più potente che in qualunque altro tipo di elemento. Le sue caratteristiche sono tratte per collegamento ASg-ASg (vd. il capitolo precedente) con la configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante. Quando il sub-pda è nel secondo livello configurazionale (inconscio), le informazioni sui suoi elementi, escluso l’ultimo, vengono conservate in questo primo elemento afc. L’aggettivo “falso”, in astraente falso-concretante, è riferito al polo astraente, poiché invece che soffermarsi su un elemento appartenente alla configurazione dell’astraente-concretante (cosa peraltro impossibile per definizione), l’afc sorvola gli elementi di tale configurazione finché non sfocia in un elemento appartenente alla configurazione del concretante-strutturante (cioè il primo elemento successivo nella catena del sub-pda). Con l’espressione “elemento appartenente alla configurazione del concretante-strutturante” mi riferisco ad un elemento analogico intuitivo concreto, il quale si collega per collegamento ASg-ASg alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. Si noti che il collegamento ASg-ASg di un elemento analogico con la configurazione di un assoluto originario fa sì che la sua funzionalità venga gestita in relazione ad alcuni elementi di un’apposita sorta di sub-pda, che si muove all’interno di tale configurazione (e di cui non sappiamo nulla in modo tendenzialmente oggettivo, poiché si muove in una configurazione nascosta). Il risultato è che un elemento (collegato con collegamento ASg-ASg alla configurazione del) concretante-strutturante (d’ora in poi anche “cs”) si comporta come elemento intuitivo concreto; invece un elemento afc (cioè un elemento collegato con collegamento ASg-ASg alla configurazione dell’astraente-concretante) si comporta come elemento intuitivo inconoscibile ma ermeneuticamente potente che sfocia in un elemento cs. Prima di sfociare nell’elemento cs, tuttavia, dall’ultimo elemento attraversato nella configurazione dell’astraente-concretante si dipartono molti sub-elementi fsc (il cui significato e funzionamento sarà precisato in una nota successiva). Alla fine di ogni sub-elemento fsc (d’ora in poi, più semplicemente: “fsc”), abbiamo un nuovo collegamento ASg-ASg alla configurazione analogica dell’astraente-concretante (d’ora in poi: “CAac”), in cui si svolge un nuovo sub-pda nascosto, al termine del quale si ha il collegamento ASg-ASg al successivo fsc; giunti all’ultimo fsc, abbiamo l’ultimo 144

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configurazionale] [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] [Torna indietro al capitolo sulla materia] Nell’ultima nota qui redatta spiego cosa sia l’fsc.

collegamento ASg-ASg alla CAac , da cui si diparte il collegamento ASg-ASg alla configurazione del concretante-strutturante, in cui una sorta di sub-pda nascosto imposta l’elemento cs.425 Ogni analogia singolare sefèrica si compone di un primo elemento, chiamato ufc (che è il paradigma specifico della configurazione in cui si accede), e di un secondo elemento, chiamato afc (vd. nota prec.). Le caratteristiche e l’acronimo dell’elemento ufc saranno spiegate nel seguito.

426 Ogni elemento analogico è composto di due o al massimo tre innervazioni, ciascuna di forma circolare (in cui, cioè, il primo e l’ultimo elemento dell’innervazione coincidono e ogni suo elemento è sia il primo che l’ultimo della sequenza). Non s’instaura, quindi, alcun rapporto cronologico tra gli elementi di un’innervazione, come non s’instaura alcun rapporto cronologico tra gli elementi del sub-pda, finché non vengono trasmutati (performance di cui parleremo più in là nel capitolo). Ognuna delle tre innervazioni si può configurare come un novero di molti elementi “falsi strutturanti – concretanti” (vd. nota successiva), in acronimo “fsc”, oppure con una semplice coppia di elementi “falsi concretanti – strutturanti” (o con un singolo elemento “falso concretante-strutturante”), in acronimo “fcs”, che rimandano all’innervazione di fsc di un altro elemento dello stesso sub-pda. [Torna indietro alla nota sul drenaggio.] Ciò vuol dire in soldoni che ogni elemento fsc dell’innervazione, che va a costituire l’elemento analogico di riferimento, sorvola sulla percezione strutturale di uno o più elementi analogici. Per percezione strutturale s’intende il senso di porre l’attenzione del sé su tutti gli sc a valle. In ogni elemento dell’innervazione (d’ora in poi “eldinn”) vi è cioè la percezione di ogni elemento analogico di ogni configurazione che, a cascata, sarà raggiungibile grazie allo stesso pda e all’intreccio con altri pda entro un certo confine (stabilito dalla zip-fùsis applicabile: vd. il relativo capitolo). Il confine entro cui l’eldinn (grazie alla zip-fùsis) può far percepire gli elementi analogici è rapportato al livello configurazionale in cui ci si trova e alla particolare forma finalistica dei pdac del primo livello. I pda che stanno avanzando (cioè che non sono sospesi), aggiungendo un nuovo elemento analogico, permetteranno grazie a tale elemento di percepire una struttura cognitiva tanto più estesa (nelle ramificazioni delle successive configurazioni) quanto meno oppressivi siano i pdac del primo livello; quando poi il pda scivoli nel secondo livello (inconscio), ogni elemento intuitivo (cs) a monte (appartenente allo stesso pda o ad altri che lo incrociano) verrà percepito intuitivamente, nei limiti stabiliti dalle racc-fùseis applicabili – in questo caso - nell’incoscio; se dunque dall’inconscio si affiora poi al terzo livello, invece che direttamente al primo, si avrà la percezione strutturale di alcuni degli elementi che si cercavano con il finalismo dei pdac, anche se appartenenti a configurazioni diverse da quelle già solcate dai pda dell’osservatore o addirittura nemmeno adiacenti a queste ultime (più è intenso il rapporto tra osservatore ed essere supremo, più nel remoto si spingono le configurazioni raggiungibili); se non si torna subito al primo livello, dopo essere passati dal terzo, ma si passa al quarto (ed eventualmente, grazie a più accessi al quarto, fino al quinto livello), si possono compiere rispettivamente uno o più salti paradigmatici, per raggiungere con (rispettivamente) uno o più sub-pda paralleli e/o in sequenza (che grazie al quinto livello saranno cristallizzati in un unico criterio strategico) gli elementi raggiunti nel terzo livello; infine si torna comunque al primo livello, con una percezione strutturale e intuitiva più ampie, qualora si sia passati dal terzo e quarto/quinto livello. La percezione intuitiva si configura come il senso dell’attenzione del sé agli elementi intuitivi (cs) a monte, nei limiti stabiliti dalla racc-fùsis applicabile.427 L’espressione “falso strutturante – concretante” (il cui acronimo è “fsc”) fa riferimento ad un elemento che si collega direttamente (cioè per collegamento ASg-ASg) alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Vd. in proposito il capitolo relativo agli assoluti originari e quelli sullo schema configurazionale e sull’onda formaturale. Per i riferimenti che seguono alle analogie singolari (che sono analogie ineffabili tra due elementi analogici) e a specifiche tipologie di esse (grafèica e sefèrica), vd. invece il capitolo precedente e, per una trattazione ancor più ampia, il saggio Analogia singolare scaricabile gratuitamente su www.bridge4will.net. Per accelerare le ricerche su questi termini, consiglio di adoperare la funzione “cerca” o “trova”, disponibile su ogni lettore di files .pdf, quando si consultano i testi citati). Ogni fsc è quindi un collegamento diretto tra l’elemento analogico di riferimento (afc, cs, sc, gp o ufc) e un elemento (o novero di elementi, costituenti una sorta di sub-pda nascosto) della configurazione dello strutturante-concretante (d’ora in poi chiamerò quest’ultimo elemento, o novero di elementi, 145

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con l’acronimo: “EAsc”). Ma tale collegamento diretto è un’analogia singolare grafèica (d’ora in poi: “ASg”) di analogia singolare grafèica. Lo schema (non configurazionale ma analogico) che lo rappresenta, prendendo ad esempio l’elemento afc, è quindi il seguente: ASg (afc – grafèico puro) – Asg (grafèico puro – EAsc). Tale schema significa che: 1) le due analogie singolari grafèiche si collegano per l’elemento comune (il grafèico puro), che costituisce rispettivamente il secondo ed il primo elemento delle due analogie; 2) il primo elemento (afc) della prima ASg è un elemento del sub-pda di riferimento; 3) il secondo elemento della seconda ASg è un elemento analogico (o novero di elementi analogici costituenti una sorta di sub-pda) della configurazione dello strutturante-concretante. Ma di un singolo sub-elemento fsc fanno parte anche altre analogie singolari sefèriche (d’ora in poi: “ASs”) e altre ASg di ASg (d’ora in poi: “collegamenti ASg-ASg), che collegano ad altri elementi (o sorte di sub-pda) in ulteriori configurazioni nascoste (poiché non intelligibili, in quanto circondate da collegamenti ASg-ASg). A sua volta, infatti, l’EAsc si collega per ASs o per collegamento ASg-ASg ad un elemento analogico di un’ulteriore configurazione analogica (che chiameremo elemento ulteriore, o “EAult”). L’EAult (o se trattasi di sub-pda nascosto, il primo elemento del sub-pda nascosto che chiamiamo EAult) potrebbe essere un elemento percettivo (d’ora in poi “gobba percettiva”, in acronimo: “gp”), o un elemento intuitivo concreto (cs) o infine un elemento logico-strutturato (sc): nei primi due casi si avrà luogo ad un collegamento gestito da ASs, nel terzo caso ad un collegamento ASg-ASg. Ciò non toglie che l’elemento gp/cs/sc di cui qui trattasi non è un elemento analogico dello stesso tipo di quelli descritti nello schema configurazionale. Ognuno di essi, infatti, per la propria espressione completa si fonda su ulteriori collegamenti ASg-ASg a varie configurazioni, che ne definiscono le caratteristiche (di percezione intuitiva o logico-strutturale e di percezione immediata). Nel grafico che segue abbiamo quindi inserito, appropriatamente, tali collegamenti come collegamenti in sequenza con quelli prima indicati. Per la spiegazione della gobba percettiva, si veda il relativo capitolo; per la spiegazione degli elementi cs ed sc, si vedano i capitoli sull’elemento analogico, sullo schema configurazionale e sull’onda formaturale. L’EAult, se è il secondo elemento di un’analogia singolare sefèrica, si carica di molti elementi della sua configurazione di appartenenza: l’EAsc (primo elemento dell’ASs) ha proprio la funzione di “tarare” (anche se in modo ineffabile) il novero di tali elementi. Quanto appena detto per l’EAsc può dirsi anche per l’EAult, se è primo elemento di un’ASs che collega ad un ulteriore EAult. L’ultimo EAult della catena fsc si collega poi alla configurazione dell’assoluto originario di appartenenza dell’elemento di appartenenza (afc, cs, sc, gp o ufc). Nel caso dell’afc, si tratterà della configurazione dell’astraente-concretante; nel caso della gp, si tratterà di una delle tre configurazioni dell’astraente-concretante, dell’astraente-strutturante o dell’astraente-universalizzante. Ma ogni singolo fsc non è composto da un solo schema analogico del tipo sopra descritto (che partendo dalla configurazione tipica dell’elemento di appartenenza – d’ora in poi: “CAea” - si collega all’EAsc e da quest’ultimo ai vari EAult, fino a ricollegarsi alla CAea), ma da più reiterazioni di tale schema, che risulta quindi così strutturato: “CAea-EAsc-EAult-…(ulteriori EAult)-…(reiterazioni dell’intero schema fin qui riportato)-CAea”. Per stabilire quante reiterazioni dello schema faranno parte del singolo elemento fsc, s’introduce una ulteriore configurazione (acronimata “CAfsc”), che va ad inserirsi in collegamento ASg-ASg con la CAea e che a quest’ultima configurazione riporta, subito prima che inizi lo schema analogico dell’intero fsc. Nel sub-pda nascosto della CAfsc sarà quindi gestita l’informazione sul numero e qualità configurazionale delle reiterazioni dello schema analogico dell’fsc che costituiscono il sub-elemento fsc stesso. Nel caso in cui l’elemento di appartenenza dell’fsc fosse un afc, la CAea sarebbe quella dell’assoluto originario dell’astraente-concretante, acronimata “CAac”, e lo schema analogico completo dell’fsc sarebbe il seguente (dove “fsc” è un riferimento all’intero schema analogico dell’fsc e “afc.ifscα/β:” sta ad indicare, invece, che lo schema che segue va a costituire una sezione di una delle due innervazioni (ifscα o ifscβ) dell’afc): “afc.ifscα/β:CAac-CAfsc-CAac-fsc-CAac-…”. Questo schema analogico dà dunque coerenza al singolo elemento fsc. Il significato configurazionale dell’fsc, che in questa lunga nota stiamo spiegando, è proprio quello di far sorvolare la percezione strutturale dell’osservatore-uomo sugli elementi sc a valle (vd. i capitoli sopra citati), impegnando in una più complessa percezione (inconscia e di vario tipo, come segue) sugli elementi cs a monte (percezione intuitiva) o sugli elementi gp (percezione immediata degli elementi più strettamente collegati ai cs). Tale sorvolo sugli sc a valle (con percezione più 146

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Quando un sub-pda si trovi nel secondo livello configurazionale (e cioè in stato inconscio), alcuni suoi elementi specifici scivolano in uno stato di virtualità. Mi riferisco, in particolare, agli elementi successivi al primo elemento (afc) e precedenti all’ultimo elemento (ufc) del sub-pda stesso. L’ultimo elemento (ufc) è quello che esprime il paradigma specifico della configurazione, cui appartiene il sub-pda successivo nella sequenza del pda. Nell’ifscα del primo elemento (afc) si diparte un sub-elemento fsc in corrispondenza di ogni virtuale elemento del sub-pda di riferimento, ad esclusione dell’ultimo elemento (ufc), che (come appena detto) non è mai in stato virtuale428. La virtualità di un elemento è infatti espressa in via esclusiva nella presenza del corrispondente fsc nell’ifscα dell’afc; quando cessa la virtualità dell’elemento (in contemporanea per tutti gli elementi virtuali del sub-pda, grazie all’operazione che chiamo drenaggio dell’afc), cessa di vigere anche il relativo fsc, mentre l’elemento viene ricostituito da quest’ultimo (che è in via di disfacimento) con le proprie informazioni analogiche e riprende vigore di vero e proprio elemento analogico esterno all’afc e dotato di una propria autonomia, che chiamiamo coscienza429. L’intero novero di

compessa dei cs a monte e dei gp a questi ultimi più strettamente collegati) riguarderà, dunque, gli elementi della configurazione dell’EAult che vanno a configurarsi (in caso di collegamento ASg-ASg) o a caricarsi (in caso di ASs) in quest’ultimo. (Con il termine “caricamento” mi riferisco all’intreccio di analogie indirette, cioè di analogie non ineffabili, che rendendosi presenti nella realtà proiettata dall’osservatore-uomo vanno a rendere possibile l’analogia singolare sefèrica (di cui l’EAult è il secondo elemento)). (Si noti che l’analogia sefèrica in parola è quella tra lògos e rùah: ne parleremo nel saggio, in via di redazione, dal titolo Trinità o funzioni conoscitive?, che sarà pubblicato su www.bridge4will.net). Mentre nelle analogie indirette coscienti il caricamento si configura nell’attività di pensiero, nelle analogie indirette inconscie (cioè sepolte al secondo elemento, nascosto come sopra, di un’analogia singolare) il caricamento è avvertito come immediato o almeno estremamente rapido e del tutto incontrollato nella sua forma (per quanto attivabile, in alternativa, anche con il finalismo cosciente, cioè grazie ad uno o più salti paradigmatici consci). In quest’ultimo periodo, quando ho fatto riferimento all’aggettivo “inconscio” non intendevo riferirmi al secondo livello configurazionale, ma ad una sorta d’inconscio dell’ineffabile collegamento ASg-ASg). Si noti che se l’fsc, andando ad appuntarsi su un cs (invece che su un sc), carica l’analogia singolare sefèrica tra EAsc ed EAult, allora l’fsc va in una sorta di cortocircuito che lo interromperebbe: per evitarlo, si attiva un’analogia singolare grafèica che collega il cs al grafèico puro, che a sua volta, con un’ulteriore analogia singolare grafèica, va a collegarsi ad un elemento della configurazione dello strutturante-concretante (cui può seguire, a sua volta, un’ASs o un collegamento ASg-ASg). Quindi un fsc, che come vedremo può andare a gestire alternativamente la percezione logico-strutturale, la percezione intuitiva o la percezione immediata di un elemento analogico, ha gradi variabili di pregnanza e di fluidità (grazie al meccanismo di differenziazione di ASs e di collegamenti ASg-ASg), dando all’osservatore un’impressione variabile di tale pregnanza e fluidità a secondo del numero e della complessità dei pdac attivati sullo stesso sub-pda. E’ così che nasce la gioia della scoperta, come la noia di conoscenze cui siamo già assuefatti. La compresenza di più sequenze nello stesso fsc si spiega con l’esigenza di collegare ogni sequenza ad un sub-pda (interno alla CAea), che assicuri la funzione stessa della CAea. Se la CAea è la CAac, la funzione del collegamento delle sequenze è dare cangianza “specializzata” sua propria ad una parte dell’informazione analogica rispetto alle altre parti, interrompendo così il filo di coerenza che lega tra loro le configurazioni solcate dai collegamenti interni all’fsc (cosa possibile, appunto, solo nell’inconscio). Se invece la CAea è la CAcs, le varie sequenze dell’fsc saranno legate da una funzione di concretizzazione. Se la CAea è la CAsc, le varie sequenze dell’fsc saranno legate da una funzione di strutturazione logica. Se la CAea è la CAas (che è un’ipotesi tipica della configurazione delle emozioni), le varie sequenze dell’fsc avranno la funzione di cangianza ai fini di una strutturazione più complessa. Se la CAea è la CAau (che è un’ipotesi tipia della configurazione del sentimento), le varie sequenze dell’fsc avranno la funzione di cangianza ai fini di una rivoluzione logico-intuitiva. Se infine la CAea è la CAuc (che è il caso dell’elemento ufc), le varie sequenze dell’fsc avranno la funzione di costituire linguaggi intermedi per la comprensione sempre potenziata della realtà.Torna indietro alla nota sui g-gvts.Torna indietro alla nota sullo schema configurazionale.Torna indietro alla spiegazione dell’ifsc α . Torna indietro alla spiegazione dell’ifsc β . Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura.Torna indietro al capitolo sulla cristallizzazione dei CS.428 Si noti che né l’afc né l’ufc hanno bisogno, in nessun caso, di trovarsi in stato virtuale, in quanto sono già elementi che sorvolano su altri elementi, rappresentandone quindi la virtualità. L’afc esprime la virtualità del concreto tragitto analogico del sub-pda, l’ufc esprime la virtualità degli elementi costituenti i confini intuitivi di quest’ultimo.147

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fsc dell’ifscα e dell’ifscβ430 dell’afc, a quel punto, si trasforma in coppia di fcs431, come vedremo meglio nel seguito.

Dall’analisi – che mi accingo a compiere - dello schema analogico (cioè basato sulla teoria dell’analogia singolare432) dell’fsc sopra riportato, emerge che ogni elemento analogico del sub-pda di riferimento (espresso da un singolo fsc dell’ifscα dell’afc) ha una componente insondabile. La duplice analogia singolare grafèica433, da me acronimata “ASg-ASg” o “ASg di ASg”, infatti, che collega detto sub-elemento fsc ad una configurazione di arrivo, rende impossibile che un pdac dia contezza all’osservatore-uomo sulle caratteristiche dell’elemento (o del novero di elementi) cui si collega. L’elemento grafèico puro che costituisce il secondo elemento dell’ASg434 non è infatti conoscibile in senso oggettivo, ma semmai ineffabile (sia quanto alle proprie caratteristiche, sia quanto all’impossibilità di evocarlo al senso o all’intelletto con specifiche analogie predeterminabili in alcun modo). Se dunque è grazie a questo elemento grafèico puro che l’elemento analogico si collega ad elementi inconoscibili (ospitati dalla configurazione di arrivo), nemmeno esso può essere conosciuto in senso oggettivo. Il veto conoscitivo è peraltro duplice, poiché investe anche l’elemento435 (ospitato dalla configurazione dello strutturante-concretante) cui l’fsc si collega. Non è, peraltro, ad una sola configurazione nascosta che l’fsc si collega, ma a molte configurazioni nascoste436, grazie ad una sequenza di collegamenti del tipo ASg-ASg sopra descritto che insistono (come elemento analogico iniziale della sequenza stessa) sull’elemento dianzi detto.

Nella prima innervazione vi sono dunque molti fsc: uno per ogni successivo elemento (escluso l’ultimo) del sub-pda di riferimento. Tra questi fsc si distinguono tre sotto-categorie, una per ogni configurazione analogica da cui si vanno a trarre gli elementi che occorreranno per gestire, all’interno del sub-pda, tre funzioni conoscitive fondamentali: la percezione, l’intuizione e l’intelletto. Nello schema dell’fsc ho chiamato tali configurazioni con l’appellativo di “configurazioni di arrivo”, anche se non si tratta della configurazione di arrivo in cui sbocca la configurazione di partenza di cui l’elemento afc fa parte: si tratta invece delle configurazioni cui appartengono gli elementi analogici che costituiscono l’elemento analogico del sub-pda (cui il sub-elemento fsc corrisponde), con la modalità appena descritta437. La prima

429 La coscienza viene qui vista dal punto di vista del singolo elemento analogico cosciente. Nel capitolo relativo alla coscienza vedremo quest’ultima dal punto di vista del grado di coerenza assicurato all’organismo vivente auto-cosciente.430 L’ifscβ ha una forma simile (ma non identica) all’ifscα ed inoltre gestisce una funzionalità differente, che vedremo nel seguito.431 L’elemento fcs è un sub-elemento dell’afc che si collega direttamente (per collegamento ASg-ASg) alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. La coppia di sub-elementi fcs rimane in attesa di ritornare duplice innervazione di elementi fsc al momento in cui il sub-pda scivoli nuovamente nel secondo livello configurazionale (inconscio).Torna indietro al capitolo sullo schema configurazionale.Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura.432 Vd. in proposito il saggio Analogia singolare…, scaricabile gratuitamente dal sito www.bridge4will.net. 433 Vd. saggio citato.434 ASg = analogia singolare grafèica.435 Tale elemento non è graficizzato nello schema sopra riportato, ma si deve intendere che la duplice “ASg” colleghi lo “EA” proprio ad un EA (elemento analogico anch’esso) che si trovi nella “CA strutturante-concretante” (cioè nella configurazione analogica regolata dal paradigma dell’assoluto originario dello strutturante-concretante”. Si noti che il paradigma dello strutturante-concretante è conoscibile, anche se suscettibile di cambiare con l’evoluzione della rete analogica dell’essere.436 Se gli elementi di tali configurazioni nascoste sono inconoscibili, come si può dire che tali configurazioni siano molte e non una sola? Nella teoria delle configurazioni analogiche l’inconoscibile diventa conoscibile, senza violazione del veto conoscitivo, poiché (come si spiega nel capitolo sulla trasmutazione de linguaggio) i nostri linguaggi trasmutati (in cui esprimiamo gli asserti sull’inconoscibile) possono ottenere un feed-back positivo dai linguaggi non trasmutati (che esprimono direttamente ma in modo ineffabile la conoscenza che è appannaggio del grafèico puro.437 Lo schema analogico che va a costituire il singolo elemento del sub-pda cambia notevolmente, a secondo che lo schema configurazionale del sub-pda sia complesso, complesso e già drenato o semplificato. Tuttavia il meccanismo di costituzione dell’elemento in parola è sempre lo stesso: esso è costituito da sub-elementi fsc (che sta per: “falso strutturante-concretante”) o fcs (che sta per: “falso concretante-strutturante”), ciascuno dei quali altro non è che un fascio di sequenze di collegamenti analogici del tipo ASg-ASg, tale che ciascun fascio e ciascuna sequenza si appoggi, a monte, su un sub-pda in chiaro o un sub-pda nascosto di una specifica configurazione analogica, che a sua volta 148

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configurazione di arrivo cui si collega ciascun fsc è dunque la configurazione che ci dice la sua sotto-categoria. Ogni sotto-categoria segnala che l’elemento (cs, sc o gp438) del sub-pda corrispondente all’fsc appartiene alla medesima sotto-categoria (intuitiva, logica o percettiva).

L’innervazione439 è ipotetica in quanto costruita da me440 a tavolino, per spiegare la circolarità interna dell’inconscio. Tale circolarità è una sorta di struttura arcaica della realtà, che fonda l’autopoiesi441. Quando

gestisce un assoluto originario (vd. il capitolo sugli assoluti).438 Per il significato di questi acronimi, vd. i capitoli sullo schema configurazionale e sulla gobba percettiva.439 In questo capoverso mi riferisco all’innervazione in generale, senza un riferimento specifico ad un’innervazione tra le due possibili che ospitano gli fsc (ifscα e ifscβ), né ad un elemento-tipo che la ospiti. Né faccio riferimento al terzo tipo d’innervazione, che ospita un singolo elemento fcs (ma che per semplicità chiamo comunque ifscγ). Dove faccio riferimenti specifici, lo indico espressamente.440 Nella costruzione di questa, come delle altre teorie che pubblico, mi lascio comunque guidare da un’ispirazione che mi sovrasta e che io cerco di comprendere. Non è raro che corregga alcune delle cose che scrivo, poiché tale rivelazione richiede un approfondimento ed un’integrazione continui. Quindi quando dico che l’innervazione è “costruita da me a tavolino” mi riferisco al rapporto tra il mio io individuale ed il mio sé archetipico, che si accordano nel rendere intelligibile la rivelazione di Yahwé (il cui nome può essere tradotto anche come “io sono” ed ha quindi a che vedere anche con il mio io individuale, essendo il mio io comunitario, cioè l’accordo appena indicato).441 L’autopoiesi è, a livello etimologico, il “farsi da sola” della realtà. A partire dagli anni ’80 sono emerse teorie sull’autopoesi della realtà, che però sono state riduttivamente adoperate in singoli campi del sapere (psicologico, in particolare, con N. Luhmann). Solo A.-T. Tymieniecka, a quanto ne so, ha pienamente collocato tale idea in un contesto più generale del dinamismo complementare di autopoiesi e coscienza, in linea con la fenomenologia ispirata al pensiero di Husserl (cui comunque anche Luhmann, in un diverso modo, s’ispira). Non avendo potuto studiare approfonditamente tali teorie, ma essendomi trovato ad incontrarle come compagni provvisori di viaggio, potrei non averle inquadrate nel modo più corretto: resto quindi in attesa (come in ogni altra parte dei miei saggi) delle vostre proposte di correzione o integrazione, che potrete inviarmi con commenti sul sito www.bridge4will.net.Si noti, infine, che se la singola innervazione è l’autopoiesi, è naturale che proprio mettendo le innervazioni in relazione trasformativa tra loro si ottenga la coerenza della realtà: tale prospettiva emergerà in modo abissale in una 149

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ci svegliamo al mattino e non siamo ancora coscienti del tutto, possiamo passare interi secondi442 d’inconsapevolezza nei quali tuttavia ci muoviamo, percepiamo l’ambiente circostante e lo alteriamo. La sequenza precisa di tali accadimenti è in qualche modo preimpostata. Le attribuisco forma circolare non in quanto si cominci con un certo accadimento e vi si ritorni. La distinzione in accadimenti cognitivi è anzi puramente illusoria e ormai involutiva443: essa è resa possibile solo dai collegamenti (di tipo ASg-ASg444) degli elementi del sub-pda di riferimento con le configurazioni analogiche degli assoluti derivati o collettori445. Circolarità significa che ogni elemento è come se fosse il primo e l’ultimo della serie: una serie che non ha quindi una scansione cronologica o spaziale. Ma una scansione pur tuttavia ce l’ha: quella che consente ad ognuno di tali sub-elementi fsc, a-cronologici ed a-spaziali, di collegarsi con un certo novero degli sc446 a valle, se trattasi di fsc funzionalmente sostitutivo di un elemento sc, e con un certo novero dei cs447 a monte, se trattasi di fsc funzionamente sostitutivo di un elemento cs. Qualora si tratti di fsc corrispondente (ma in questo caso non funzionalmente sostitutivo448) ad un elemento gp449, cioè ad un elemento percettivo450, i collegamenti (del tipo ASg-ASg) saranno di due tipi: quello con la prima fase del pdac virtuale451 e quelli con altre configurazioni analogiche (che saranno quindi quelle implicate dalla percezione intuitiva e dalla percezione logico-strutturale)452. L’elemento fsc corrispondente ad un gp sarà inoltre collegato (con duplice analogia del tipo ASg-ASg453) al precedente fsc sostitutivo di elemento sc. Per essere più precisi, ogni sub-elemento fsc si collega al successivo con un duplice collegamento del tipo ASg-

nota successiva.442 Come vedremo in seguito, tale scansione temporale di tipo cronologico è meramente illusoria, ma costituisce un argomento a favore della circolarità di cui trattasi.443 Ogni struttura della realtà è provvisoria e funzionale ad una evoluzione ulteriore. Solo l’interprete può decidere (ammesso e non concesso che vi riesca) di fermare alcuni aspetti dell’evoluzione, per salvare alcune strutture della realtà cui tiene specialmente. Alcuni collettori (quali il tempo cronologico e lo spazio euclideo) sono stati nell’ultimo secolo messi in fortissima discussione e ormai attendono di essere riformulati in modo ancor più radicale di quanto sia stato fatto sinora.444 Vd. il relativo capitolo.445 Vd. il capitolo sugli assoluti. I collettori più importanti, nella vita quotidiana dell’uomo di oggi, sono ancora lo spazio euclideo e il tempo cronologico. Altri collettori molto importanti attecchiscono nel settore delle scienze sociali, come l’idea di libertà o quella di responsabilità. In ogni caso i linguaggi umani (anche in campo percettivo) risultano già trasmutati da tali collettori, di modo che non è possibile accedere ai linguaggi non trasmutati se non a titolo d’ipotesi più o meno verificabile. Il rapporto funzionale della nostra conoscenza con i collettori è spiegato nel seguito di questo capitolo, nella parte relativa alla trasmutazione del linguaggio.446 Sc = elemento “strutturante-concretante”. Si tratta di un elemento analogico che gestisce l’aspetto logico-strutturato della realtà conosciuta. Tale elemento è direttamente collegato (con collegamento del tipo ASg-ASg) alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Vd. i capitoli sugli assoluti, sullo schema configurazionale e sull’elemento analogico.447 Cs = elemento “concretante-strutturante”. Gestisce l’aspetto intuitivo concreto della realtà conosciuta. Si collega direttamente alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. Vd. i capitoli citati nella nota precedente.448 Tale fsc, infatti, gestisce la percezione logico-strutturale (cioè la percezione dei collegamenti logici tra il fsc precedente, che corrisponde ad un sc del sub-pda, e un certo novero di elementi sc a valle) e la percezione intuitiva (cioè la percezione dei collegamenti intuitivi concreti tra il fsc ancora precedente, che corrisponde ad un cs del sub-pda, e un certo novero di elementi cs a monte).449 Gp = “gobba percettiva”: vd. il relativo capitolo. Si tratta dell’elemento analogico di tipo percettivo, il quale gestisce la percezione immediata o di sfondo (cioè non focalizzata dall’osservatore).450 Vd. nota prec.451 Il pdac virtuale è un pda di controllo, che inconsciamente mantiene la carica energetica del singolo elemento analogico (rappresentato da un fsc dell’ifscα dell’afc). Vedi in proposito anche i capitoli sui pdac e sull’onda formaturale.452 Nel corrispondente elemento gp del sub-pda (che gestisce la percezione immediata o altrimenti detta “di sfondo”), invece, i collegamenti (del tipo ASg-ASg) saranno di questi altri due tipi: quelli con una delle tre configurazioni degli assoluti originari del caleidoscopio dell’autocoscienza (astraente-concretante, astraente-strutturante e astraente-universalizzante) e quelli con altre configurazioni analogiche (che saranno quindi quelle implicate dalla percezione di ogni singolo corpo dello sfondo sensoriale e autocettivo, uti singulus e nel complesso di altri corpi o di loro caratteristiche).150

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ASg, il cui sub-schema analogico è descritto nella nota precedente. Grazie a tale duplice collegamento (che collega l’fsc alla configurazione dell’astraente-concretante e quest’ultima all’fsc successivo), ogni sub-elemento fsc contiene l’informazione analogica sulla propria posizione all’interno dell’innervazione e, grazie agli ulteriori collegamenti (sempre di tipo ASg-ASg) facenti parte della predisposizione della navigazione perlustrativa454, anche l’informazione analogico-configurazionale sulla posizione del suo elemento corrispondente all’interno del sub-pda. Queste informazioni consentono una sorta d’ineffabile navigazione virtuale e circolare (sia di tipo intuitivo, sia di tipo intellettivo, sia di percezione intuitiva, sia di percezione logico-strutturata) all’interno del sub-pda inconscio. Ma quando torna la consapevolezza, iniziamo a decidere in qualche modo come alterare detta circolarità, scegliendo gli elementi sc da percepire strutturalmente e gli elementi cs da percepire attentivamente. Ebbene nella prima fase, quella dell’inconsapevolezza, non è un volontarismo consapevole a guidarci, ma il volontarismo autopoietico455. In ogni caso la scansione cronologica e spaziale (e di altro tipo) degli accadimenti cognitivi viene ricostruita a posteriori dall’osservatore-uomo grazie ai collegamenti (di tipo ASg-ASg) degli elementi del sub-pda di riferimento alle configurazioni dei collettori456, che a loro volta danno un feedback specifico ai pda di controllo457. Sono i pda di controllo (pdac) consci che, dunque, c’informano intellettivamente sulla 453 Lo schema analogico completo di tale duplice collegamento è il seguente: “fscsc-CAac-fscgp”. Il significato dello schema è questo: il sub-elemento fsc (acronimato con “fscsc”), corrispondente ad un certo sc del sub-pda di riferimento, si collega per ASg-ASg, ad un sub-pda (acronimato con “CAac”) della configurazione analogica dell’astraente-concretante (configurazione che fa da base per l’intero elemento afc), l’ultimo elemento del quale sub-pda si collega per ASg-ASg al sub-elemento fsc (acronimato con “fscgp”), corrispondente (ma non sostitutivo) al successivo elemento gp del medesimo sub-pda di riferimento.454 Nell’elemento afc, il primo fscgp (cioè il sub-elemento fsc che corrisponde al primo elemento gp del sub-pda di riferimento) della prima innervazione (che chiamo ifscα) viene intercettato dalla prima fase di un pdac virtuale (composto da molteplici collegamenti del tipo ASg-ASg in sequenza) che prende l’innesco dal primo fsc dell’elemento successivo. Tale collegamento ingenera nell’fscgp la “predisposizione della navigazione perlustrativa” (che è la seconda fase del pdac virtuale stesso). Tale predisposizione altro non è che una (pre)impostazione inconscia della navigazione che l’osservatore può compiere tra gli elementi cs e sc, per ottenerne la percezione intuitiva e la percezione logico-strutturata. Ma il primo fscgp (d’ora in poi fscgp1) si limita ad occuparsi della predisposizione della navigazione perlustrativa dei due elementi fsc precedenti (che chiamerò fsccs1 e fscsc1, in quanto corrispondono rispettivamente al primo elemento cs e al primo elemento sc del sub-pda di riferimento). Fscgp1 si collega poi (con collegamento del tipo ASg-ASg) al secondo fscgp2 (cioè al successivo elemento fscgp), quest’ultimo si collega allo stesso modo al fscgp3, e così via, fino all’ultimo fscgp dell’ifscα. Ciascuno di tali fscgp (d’ora in poi fscgpx) si occupa, quindi, della predisposizione della navigazione perlustrativa della coppia di fsc precedenti (d’ora in poi fsccsx e fscscx). E’ così che il pdac virtuale innesca l’intera predisposizione della navigazione perlustrativa nel sub-pda inconscio, colmando una parte sostanziale dell’illusione della realtà che ci avvolge. Grazie alla seconda fase del pdac virtuale, infatti, ogni fsc csx si collega (ai fini della percezione intuitiva) ai sub-elementi fsccs a monte e agli elementi cs a monte, che si trovano nei sub-pda precedenti, e ogni fscscx si collega (ai fini della percezione logico-strutturata) ai sub-elementi fscsc a valle e agli elementi sc a valle, che si trovano nei sub-pda successivi. Il novero complessivo di elementi cui il singolo fscgpx collega l’fsccsx e l’fscscx costituisce quella che chiamo “onda formaturale in senso lato”, che nel sub-pda inconscio è solo virtuale, mentre diventa effettiva nel sub-pda conscio. [torna indietro al capitolo sull’onda formaturale], Vd. la figura relativa allo schema analogico-configurazionale del sub-pda inconscio.455 E’ comunque possibile una pre-programmazione del finalismo autopoietico da parte dell’osservatore, una volta che (passati allo stato conscio) questi faccia le sue scelte di navigazione effettiva. La prima volta che l’osservatore solca una configurazione in stato inconscio, tuttavia, vige la pre-programmazione autopoietica del finalismo autopoietico, in quanto l’osservatore non ha ancora avuto modo di modificarla. Tale pre-programmazione autopoietica esprime in modo virtuale i sub-pda (anche quelli che si trovano in configurazioni già solcate in precedenti occasioni dai pda dell’organismo, purché non vi sia stata alterazione della pre-programmazione stessa): ciò è possibile grazie alle zip-fùseis e alle racc-fùseis del tipo 0 e del primo tipo. Vd. il capitolo relativo alle zip- e racc-fùseis.456 I collettori sono assoluti derivati. Vd. il capitolo sugli assoluti.457 Con questo periodo intendo dire che la scansione cronologica e spaziale delle nostre percezioni, intuizioni e comprensioni intellettive è puramente illusoria e involutiva. Se crediamo in essa, ci lasciamo ingannare dai collegamenti analogici indiretti tra gli elementi del sub-pda che stiamo percorrendo e i collettori, cioè le configurazioni analogiche degli assoluti derivati (in questo caso, tempo cronologico e spazio euclideo). E’ un’analogia singolare grafèica (ASg) di analogia singolare grafèica a collegare l’elemento al collettore (anzi, più precisamente, ad un sub-pda che appartiene alla configurazione del collettore, ad esempio del collettore dello spazio euclideo); altre ASg di ASg collegheranno lo stesso sub-pda del collettore ad ulteriori elementi di altri pda, creando l’illusione del coordinamento 151

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scansione cronologica e spaziale (e di altro tipo) sancita intuitivamente dai collegamenti suddetti458. Tutto quanto dirò della prima innervazione (ifscα) dell’afc è valido finché il sub-pda si trova nell’inconscio (secondo livello configurazionale) o quando, pur trovandosi nel livello di più intensa consapevolezza (primo livello configurazionale), non ha ancora ridotto lo schema del salto paradigmatico459 a quello semplificato460; quando invece il sub-pda si trova nel primo livello configurazionale ed ha già ridotto lo schema del salto paradigmatico, l’afc si riduce a cs461. La funzionalità di ogni fsc dell’afc è di far sorvolare l’osservatore (uomo462 o altra forma vivente o anche ex-uomo vivente463) sugli sc a valle464 e/o sui cs a monte e sulle molte configurazioni che, in modo del tutto incoscio, permettono di funzionalizzarli nel contesto dell’elemento di riferimento dell’fsc stesso. Ma tale sorvolo avviene non in corrispondenza dell’afc stesso, bensì in corrispondenza degli elementi successivi del sub-pda (anche se questi, a livello configurazionale, finché si trovano nel secondo livello non sono formati che da una coppia di fcs per ciascuno). Gli elementi

assoluto (di tipo spaziale euclideo, nel nostro esempio) della realtà. Noi possiamo ipotizzare quali siano gli elementi interni al sub-pda del collettore, che fanno da collegamento tra l’elemento di un sub-pda e gli elementi di un altrosub-pda, ma non possiamo appurarli (per il veto conoscitivo di cui al mio saggio Trinità o funzioni conoscitive?) nemmeno in modo attendibile, finché non interviene un accordo con l’elemento grafèico puro (cioè l’ineffabile puro o essere supremo nella sua componente intuitivo-percettiva veramente misteriosa), poiché il pda di controllo (o pdac) nel livello di più intensa consapevolezza ci permette solo di lavorare con le informazioni finali (cioè con l’elemento della configurazione di arrivo, non con gli elementi interni alla configurazione del collettore, che rimangono del tutto nascosti, lasciandoci solo il feed-back intuitivo più autoreferenziale). L’accordo con il grafèico puro è per l’appunto tale feed-back. L’errore della scienza riduzionistica occidentale è quello di voler attribuire a tale feed-back (sotto forma di assiomi della matematica assiomatico-deduttiva) un carattere immutabile, invece che un carattere di conoscenza auto-intuitiva in cammino relazionale con l’uomo-osservatore e le sue civiltà di riferimento.458 Nel primo livello configurazionale, in cui (ri-)compaiono gli elementi cs, sc e gp del sub-pda, è infatti possibile ripercorrere il sub-pda stesso con un pdac. Tale pdac, nella prima fase di rimodulazione a ritroso, non è ancora in grado di stabilire le scansioni cronologiche e spaziali e di altro tipo, ma nella seconda fase (di percorrenza parziale, ma nella corretta direzione di scorrimento, del sub-pda) può saggiare la percezione strutturale e intuitiva degli elementi del sub-pda e rapportarla con le percezioni strutturali di altri sub-pda incrociati, fino ad ottenere per coerenza il feed-back dei collettori. Se per esempio Tizio si è svegliato per il suono della sveglia, potrà poi supporre (grazie ad apposite zip-fùseis e racc-fùseis) di aver spento la sveglia dopo che essa ha suonato; ma il coniuge di Tizio potrebbe poi riferirgli di aver spento al posto suo la sveglia, poiché egli non riusciva a svegliarsi per farlo. C’è quindi sempre una ricostruzione da zero per coerenza, nel passaggio dal secondo livello al primo livello configurazionale. In costanza del primo livello, invece, non c’è alcun bisogno di ricostruire poiché l’osservatore beneficia della percezione strutturale e di quella intuitiva, che consentono di muovere il pdac tra elementi effettivi e non tra elementi virtuali che stanno tornando effettivi grazie ad una ricostruzione per coerenza. Naturalmente anche gli elementi che chiamo effettivi, poiché colti nel primo livello senza il passaggio dal secondo livello, sono costruiti per coerenza, ma con un ineffabile senso di certezza che chiamiamo sé. L’io conosce la propria realtà in modo auto-intuitivo, cioè che non richiede lo schema del pensiero, ma quello della sensazione, per raggiungere la coerenza, e non dovendo quindi confrontare con il pensiero sub-pda diversi, che vengono confrontati a livello percettivo (di percezione immediata, non logico-strutturata né intuitiva). Queste differenze saranno analizzate nello studio delle differenze tra afc ed elementi cs, sc e gp: nel secondo livello, infatti, in cui l’afc (nello schema configurazionale complesso) esprime virtualmente gli elementi sc e cs, non vi è spazio per gli elementi gp virtuali (se non per gli elementi gp virtuali che gestiscono la percezione logico-strutturata e la percezione intuitiva), che ricompaiono invece nel primo livello (per gestire la percezione immediata). La spiegazione si chiude con il riferimento alle onde formaturali degli elementi gp, che vanno a increspare le ulteriori onde formaturali di sub-pda incrociati con gli elementi del sub-pda, per dare le rotaie intuitive da seguire per la ricostruzione per coerenza della realtà percepita nel secondo livello. La percezione immediata che ci sembra di avere nel secondo livello è quindi da attribuirsi al grafèico puro, senza “se” e senza “ma”, grazie all’ifscβ che gestisce la propria ri-trasformazione in gp dopo il ritorno al primo livello. Ciò in quanto non vi è necessità che di un senso di coerenza con gli elementi sc e cs percepiti nelle innervazioni, senza possibilità di verica con i pdac.459 Lo schema del salto paradigmatico, spiegato nel capitolo sullo schema configurazionale e nel capitolo sull’onda formaturale, è il seguente: “ufc-afc-cs”. Quando il salto viene inserito tra i criteri strategici (vd. il relativo capitolo), l’osservatore lo riduce al seguente schema: “sc-cs”, dove l’ufc è diventato sc e l’afc si è ridotto al successivo cs. Per la spiegazione di tutti questi acronimi, vd. i due capitoli citati per primi in questa nota.460 Si noti che lo schema semplificato che non sorge nel contesto della cristallizzazione dei CS (vd. il relativo capitolo) ha la stessa forma di quello che sorge in tale contesto, ma non è collegato al CS: in caso di sfrangiamento, non potrà ricostituirsi grazie al CS, ma potrà comunque farlo in automatico grazie alle relative zip- e racc-fùseis, finché esse non cambiano (per evoluzione della civiltà o, più in generale, della rete analogica delle cose esistenti). La differenza 152

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analogici successivi all’afc, quindi, nel primo livello, se costituenti degli sc, si collegano al rispettivo fsc465 (in cui si riespandono dopo il ritorno dal primo livello al secondo livello) per analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica466. Riescono così ad usufruire del sorvolo programmato nell’fsc a ciascuno di loro corrispondente. Se però l’elemento (del sub-pda467) successivo468 all’afc è un cs, non si può avere il sorvolo sugli sc a valle, ma (per il meccanismo spiegato nella precedente nota sull’fsc) si ha una percezione intuitiva469 dei cs a monte. Se infine l’elemento (del sub-pda) successivo all’afc è una gobba percettiva (gp), allora si avrà una percezione immediata dell’ambiente esterno all’osservatore (grazie alla seconda innervazione, cioè ifscβ).

La seconda innervazione dell’afc (da me chiamata “ifscβ”) è composta, parimenti, da molti fsc. Anche questi fsc collegano, ciascuno, a molteplici configurazioni. Ma si tratta delle configurazioni470 necessarie a

funzionale più saliente è che solo lo schema complesso permette la comprensione profonda del salto paradigmatico, che nello schema semplificato viene solo simulato e reso indirettamente fruibile. Quindi uno schema semplificato che derivi dalla riduzione di uno schema complesso può tornare ad essere tale, grazie al CS cristallizzato che può riattivarlo.461 Per il significato di questo acronimo (cs = concretante - strutturante), vd. sopra in questo capitolo. In generale, questo tipo di elementi viene spiegato più analiticamente nel capitolo sullo schema configurazionale e in quello sull’onda formaturale.462 Con il termine “uomo” mi riferisco ad ogni essere vivente dotato di coscienza, anche se per ipotesi fosse un maiale o un alieno super-intelligente.463 Sulla sopravvivenza dell’essere vivente dotato di coscienza alla morte biologica si dirà nel capitolo sui criteri strategici.464 Sul significato di “sc” e, in particolare, di “sc a valle”, si rimanda al capitolo sullo schema configurazionale.465 Vi è infatti una corrispondenza biunivoca tra ogni fsc dell’afc e ogni elemento successivo del sub-pda di riferimento.466 Ancora una volta, abbiamo un’analogia singolare grafèica (ASg) che si collega ad altra analogia singolare grafèica. La prima ASg è composta dai seguenti elementi analogici: sc e grafèico puro. La seconda ASg è composta dai seguenti elementi analogici: grafèico puro e fsc (dell’afc) corrispondente all’sc suddetto. Gli acronomi sono spiegati nei capitoli sullo schema configurazionale e in quello sull’onda formaturale.467 Mi riferisco all’ipotetico sub-pda oggetto di studio. Stiamo infatti cercando di stabilire le caratteristiche configurazionali dei singoli tipi di elementi analogici ancora non sfrangiati, i quali ipoteticamente si trovino in un sub-pda inconscio (secondo livello configurazionale) o in un sub-pda al più intenso livello di consapevolezza (primo livello configurazionale) ma ancora non ridotto nello schema del salto paradigmatico.468 Mi riferisco a qualunque elemento cs successivo all’elemento afc, all’interno dello stesso pda. Lo stesso dicasi, mutatis mutandis, quando mi riferisco in questo capoverso agli elementi sc e gp.469 Si ha percezione intuitiva quando i cs a monte si collegano tra loro, a formare non una percezione immediata dell’ambiente esterno all’osservatore, ma una percezione dell’attenzione (ad alcuni elementi ancora in stato cosciente) che l’osservatore ha il senso di star ponendo.470 E’ strategico stabilire il criterio di coerenza con cui vengono selezionate le configurazioni che andranno nell’ifscβ dell’afc (che gestisce la percezione immediata di sfondo nel sub-pda inconscio) e con cui viene gestita l’informazione analogico-configurazionale che passa dall’ifscβ. In tale innervazione, infatti, si gioca il nostro rapporto culturale e 153

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gestire l’informazione sulla percezione d’insieme (cioè la percezione irriflessa o inconscia471) che si apre nel sub-pda in corrispondenza dell’afc, prima che inizi lo scorrimento del sub-pda stesso. L’afc è un momento di sospensione dell’attenzione, per intuire la nuova configurazione472. Si configura sia nel salto paradigmatico conscio che in quello inconscio (ovverosia il ponte mistico, che può aversi sia nella telepatia diffusa473, gestita dall’essere supremo, sia nella etero o auto-telepatia di un trasmittente diverso dall’essere supremo). Con dei pdac (pda di controllo: vd. il relativo capitolo) si può tentare di cogliere tale momento, che però non è cronologico né spaziale. Si ha talora un’illusione, anche qui involutiva, che l’essere vivente sia rimasto per qualche secondo “sovrappensiero”. Tuttavia, poiché tale illusione è ancora una volta insondabile per il veto conoscitivo, che però può essere sospinto in avanti grazie alle teorie relazionali come quella presente, ne possiamo parlare come di un primo elemento del sub-pda, che viene collegato con analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche (ASg di ASg) ad un novero di elementi che si trovano in

cognitivo con l’inconscio e riuscire a stabilirne le configurazioni e (soprattutto) il loro ordinamento di coerenza con l’intero ambito della realtà ci permette di chiudere un cerchio. Quale cerchio? Lo sguardo che l’io ha su se stesso. [NdA: tale sguardo sarà plasmato dalle caratteristiche funzionali della configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante, d’ora in poi “CAac”, che fa da base di codifica dell’intera informazione analogica che passa (in entrambe le innervazioni) dai sub-elementi fsc dell’afc. Intendo dire che ogni sequenza di collegamenti analogici di ogni fsc dell’afc ha un’informazione analogica, costituita dai sub-pda che va ad ingenerare nelle configurazioni che attraversa. Tale informazione, essendo collegata con collegamenti ASg-ASg, non è ricostruibile ma solo costruibile dall’interprete in modo originario e poi verificabile grazie all’eventuale feed-back provvisorio della realtà in evoluzione. Non deve quindi stupire se, ogni volta che mettessimo mano allo studio di questa materia, dovessimo fare correzioni radicali al nostro sapere: ciò è costitutivamente la strada corretta da percorrere, finché l’essere non decide di cristallizzare in qualche forma più stabile l’informazione relativa. Tale informazione viene riprodotta in due sequenze (una per ciascuna delle innervazioni) fatte di sub-pda appartenenti alla CAac, che rendono conto sia dei sub-pda delle CA attraversate, sia dell’identità di queste CA, permettendo così di ospitare un’informazione tendenzialmente completa che chiamo appunto “codifica”, poiché ha l’aspirazione alla completezza propria di un codice. Non si tratta, d’altronde, di un “super-codice”, cioè di un codice talmente autosufficiente da essere isolato e che permetta di decodificare ogni realtà esistente: ciò in quanto, in primo luogo, la codifica della CAac è composta da molti sub-pda, ciascuno dei quali è costitutivamente introdotto da un salto paradigmatico e costitutivamente deve introdurre ad un altro salto paradigmatico, per poter innescare la sequenza successiva (dello stesso o del susseguente fsc). Infatti sappiamo che ogni salto paradigmatico ha qualcosa d’ineffabile, che esclude radicalmente anche la mera possibilità di un super-codice. Finché nell’afc, tuttavia, vi sono solo collegamenti ASg-ASg ad unire un sub-pda della CAac alla successiva sequenza e quest’ultima al successivo sub-pda della CAac, la codifica è integrale; nel momento in cui intervenga un collegamento ASs, cioè un’analogia singolare sefèrica, tra un sub-pda della CAac e il successivo (prescindendo, però, da quelli interni ai singoli fasci degli fsc), la codifica ricomincia daccapo con la nuova sequenza dell’fsc immediatamente successivo all’ASs stessa. La precedente codifica non va persa, ma non è collegata in sequenza con i sub-pda della seconda codifica, quindi non può essere adoperata insieme ad essa (finché ed in quanto intervengano ulteriori momenti di scambio informazionale, che vedremo in seguito) in nessuna attività né conscia, né inconscia, né dell’osservatore-uomo né dell’elemento grafèico puro. Ciò in quanto la CAac è la configurazione deputata a gestire la cangianza dell’informazione analogico-configurazionale, stabilendo quali parti di quest’ultima saranno sostituite nello schema analogico-configurazionale seguente e quali invece rimarranno intatte: pertanto è capace di trattenere l’intera informazione che viene reperita dall’elemento grafèico puro (grazie ai precedenti collegamenti ASg-ASg) e quanto viene elaborato con ASs in altre configurazioni, ma non ciò che essa stessa rende cangiante, cioè disponibile al cambiamento, introducendo direttamente un’analogia singola seférica aggiuntiva, che conduce non in un’altra sequenza di un fsc, ma in una speciale configurazione (che in un precedente capitolo ho categorizzato come zip-fùsis), deputata in questo caso (come vedremo in seguito) a “trasdurre”, cioè a trasformare, rendendola irriconoscibile e non comunicante, l’informazione analogica precedentemente raccolta. La funzione fondamentale di questa codifica, che si forma nella CAac, è quindi rendere cangiante l’informazione analogica che va a trasportare, integrandone così la coerenza grazie alla trasformazione e all’asimmetria informativa negli schemi cognitivi. Abbiamo quindi detto che un’informazione è cangiante quando si stabilisce che una sua parte sarà sostituita nella codifica futura, nonché in ogni suo portato analogico in altre configurazioni, mentre un’altra parte resterà immodificata]. Se, infatti, è tendenzialmente facile stabilire la coerenza che l’uomo vive in situazione di coscienza, altrettanto non è in relazione all’inconscio. Così si tende a delegare lo studio dell’inconscio ad un osservatore esterno all’osservatore interessato, reintroducendo così i collettori o assoluti derivati (tempo cronologico, spazio euclideo, idee di libertà, di responsabilità, di socialità, di salute mentale, ecc…). Ma nella tca (teoria delle configurazioni analogiche) emerge chiaramente, grazie alla categoria della telepatia diffusa, che l’unico sguardo legittimato sull’inconscio è quello dell’auto-osservatore. Non essendovi un chrònos in cui un uomo dorme profondamente o è morto e gli altri lo studiano, ma sempre e solo un osservatore che studia se stesso, cioè i propri pda (anche quando studia gli altri corpi o le menti altrui), non ha senso lo sguardo dell’etero-osservatore a livello evolutivo e relazionale. L’autocezione del me inconscio mi dice che, anche se si riduce gradualmente (grazie alla riemersione allo stato conscio) la percezione immediata, questa mantiene una coerenza con i sub-pda consci che pur riducendosi altrettanto gradualmente non si elimina del tutto. [NdA: si pensi, ad esempio, quante volte l’osservatore si sbagli, fidandosi di ciò che vede con la coda dell’occhio. Ciò non avviene quasi mai in situazioni vissute quotidianamente, ma avviene abbastanza spesso in situazioni del tutto nuove. Se per esempio Tizio andasse a caccia per la prima volta, non avrebbe la capacità d’interpretare con grande coerenza la propria vista periferica, come invece farebbe il cacciatore esperto Mevio. Tuttavia anche le gravi incoerenze della vista periferica di Tizio rispetto all’interpretazione più ottimale, che la tecnica venatoria consente a Mevio, non fanno altro che aiutare Tizio ad affinarsi in detta tecnica. Di fronte ad ogni incoerenza, rispetto al risultato tecnico ottimale, la percezione immediata è come fatta apposta per trovare tragitti di coerenza che, in una parola, risultano coerenti con un’evoluzione della percezione stessa sull’onda del finalismo tecnico dell’osservatore.] Nel me inconscio può quindi emergere l’incoerenza, ma vi emerge anche una certa variabile e pertinace coerenza. Si badi bene che non dico: “l’incoerenza si riespande nell’inconscio”, ma “sia la coerenza che l’incoerenza emergono nell’inconscio”, durante il tragitto di progressiva presa di coscienza. Il punto di vista è, infatti, sempre l’io conscio (che grazie al pdac conscio guarda il sub-pda inconscio e i pdac virtuali che lo manutengono). Non parlo, quindi, in questo specifico contesto 154

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configurazioni diverse. La prima innervazione gestisce il novero di elementi cs ed sc che avrebbero ipoteticamente composto il sub-pda; la seconda innervazione gestisce invece il novero di elementi percettivi (solo gp, quindi) che si trovano in configurazioni diverse ma permettono di offrire l’illusione di una percezione d’insieme quando l’essere vivente è “sovrappensiero474” perché sta caricando il nuovo sub-pda (cui è appena acceduto con un salto paradigmatico). Immagina di trovarti in una foresta tropicale e d’imbatterti in una farfalla enorme con due finti occhi vivacissimi disegnati sulle ali. Ebbene avresti l’impressione di stare sovrappensiero per qualche rapido istante e di percepire solo dopo tale lasso di tempo la farfalla, che negl’istanti precedenti non potevi percepire se non come un monstrum di foglie ed occhi. È in quel frangente in cui ancora non percepisci la farfalla, pur apprendendo in base ad un pdac successivo di averla già di fronte, che l’ifscβ del tuo afc si sta collegando a configurazioni diverse da quella degl’insetti, implicate nella percezione irriflessa delle parti disarticolate della farfalla in questione. Solo

epistemologico, dell’autopoiesi da cui emerge la coscienza e in cui quest’ultima si reimmerge [NdA: cfr. il pensiero husserliano di A.-T. Tymieniecka negli anni ’80 del secolo scorso]. La coscienza, nell’autopoiesi, è qui vista come qualcosa che sempre, in qualche modo più o meno intenso, galleggia. La coerenza non viene mai meno del tutto, ma è comunque soggetta alla valutazione evolutiva e relazionale dell’auto-osservatore, che è preoccupato di non perdere se stesso e le cose/gli altri a cui tiene e il quale, pertanto, introduce innovazioni d’incoerenza rispetto ai sistemi configurazionali che farebbero avverare ciò che egli esecra (cioè le perdite suddette) o impedirebbero ciò che egli ama (cioè la conservazione nell’evoluzione di se stesso e di ciò/coloro a cui tiene). Quindi la coerenza fa da ago della bilancia per l’accordo costitutivo sull’essere tra uomo auto-osservatore ed essere supremo (inteso quest’ultimo come attività personificata di emersione della coscienza dall’autopoiesi). Quali configurazioni sono comprese nell’ifscβ dell’afc e come le rendo coerenti? Diciamo prima come le rendo coerenti. In tal proposito, dobbiamo distinguere, da un lato, il senso intimo ed ineffabile (nel senso più apodittico e puro del termine) di coerenza tra percezione inconscia e percezione coscia, e dall’altro lato, la coerenza interna della percezione conscia (sia di tipo intuitivo che di tipo intellettivo). A noi, in questo contesto, interessa studiare il senso di coerenza tra percezione inconscia e percezione conscia, che sorge sia dal pdac conscio che verifica la coerenza stessa, sia dal mantenimento intimo e puramente ineffabile dell’illusione di coerenza. Tale mantenimento intimo e puramente ineffabile dell’illusione di coerenza, d’altronde, è ciò che guida lo stesso pdac conscio (il quale vede i suoi elementi collegati da analogie indirette, le quali – come vedremo fra breve - per orientarsi ad individuare proprio gli elementi del sub-pda di riferimento, hanno a guidarle solo le increspature delle onde formaturali dei sub-pda nascosti di quest’ultimo sub-pda). Il pdac conscio che insiste sul sub-pda di riferimento, cui appartiene l’afc, recepisce le increspature delle onde formaturali di moltissime configurazioni, attraversate dagli fsc dell’ifscβ dell’afc. Ciò è reso possibile dalla codifica, interna agli elementi del pdac stesso, che s’instaura nella configurazione di base di ciascuno dei suoi elementi. Come infatti l’afc instaura una codifica nella CAac, così ogni elemento cs e sc del pdac conscio instaura una paritetica codifica, rispettivamente, nella CAcs (cioè nella configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante, che funge da base per gli fsc delle tre innervazioni del cs) e nella CAsc (cioè nella configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante, che funge da base per gli fsc delle tre innervazione dell’sc). La speciale funzione della CAcs è di concentrare l’attenzione sugli fsc e quindi sui sub-pda nascosti delle configurazioni cui questi fanno collegamento; la speciale funzione della CAsc è d’altro canto di fare chiarezza logico-strutturale sugli fsc e quindi sui sub-pda nascosti delle configurazioni cui anche questi fanno collegamento. Grazie alla CAcs e alla CAsc degli elementi del pdac (in parte coincidenti con gli elementi del sub-pda di origine) l’auto-osservatore si può focalizzare sulle increspature in parola ed elaborarne (anche se inconsciamente) il significato logico anche a partire dalla loro pura percezione inconscia, in quanto gli fsc (anche quelli dell’afc) lasciano regolarmente tracce codificatorie nella CAsc, individuabili da successivi sub-pda (anche autonomi) che si trovino in una di quelle stesse due configurazioni, appunto grazie all’onda formaturale degli elementi a monte e a valle di ciascun elemento precedente. Tali increspature, per non mischiarsi in modo incoerente con le increspature rilevabili facendo il focus su altri sub-pda, devono incontrare dei momenti di coerenza tra gli fsc dell’elemento d’innesco del pdac conscio e gli fsc dell’afc, nonché delle soluzioni di continuità rispetto alle seconde increspature. Solo l’elemento grafèico puro, che regge gli ubiquitari collegamenti ASg-ASg, può assicurare tali momenti di coerenza e tali soluzioni di continuità. Chiamerò “raggio d’increspatura” la capacità (retta dall’elemento grafèico puro) che un fsc ha di coinvolgere per coerenza ineffabile i sub-pda di codifica di un altro fsc, grazie alle increspature delle onde formaturali impresse dai propri sub-pda di codifica, nell’individuazione, caratterizzazione e integrazione di un unico raggruppamento (identitario, qualitativo e di appartenenza a pluralità di altri corpi) di un corpo materiale o immateriale. Il raggio d’increspatura, la cui più analitica spiegazione viene data in una nota successiva, è la base su cui si costruisce la capacità cibernetica dell’auto-osservatore. Solo grazie a tale raggio, infatti, il finalismo di controllo insito nel pdac può individuare come propri elementi analogici i sub-elementi fsc che siano rilevanti, per la costruzione dell’illusione di coerenza della realtà e per il senso intimo di coerenza. Il raggio d’increspatura si costruisce, quando l’afc è “gemma apicale”, in modo innovativo, istituendo da zero le onde 155

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dopo lo scorrimento di tale ifscβ entri nel primo elemento concreto della configurazione (e quindi del sub-pda che la solca). Le espressioni cronologiche appena utilizzate vanno intese in senso illusorio: la realtà configurazionale è espressa dallo schema configurazionale, che potremmo esplicitare così:

ifscα (novero di fsc configurante un novero di cs, sc, gp475 virtuali) – ifscβ (novero di fsc configurante un novero di gp476).

formaturali grazie al sub-pda di codifica della CAsc che apre la singola sequenza di un fsc (lanciando una specifica “rete” che va a pescare specifici stilemi di onda formaturale a monte – se il fsc corrisponde ad un sc - o a valle – se il fsc corrisponde ad un cs – o a monte e a valle – se il fsc corrisponde ad una gp o si trova nell’ifscβ) e riepilogando l’informazione analogica sulle onde formaturali istituite grazie al sub-pda di codifica che chiude la suddetta sequenza (raccogliendo la “rete” come sopra lanciata). [Torna alla graficizzazione del sub-pda inconscio.] Si veda la nota seguente, che propone una simulazione dell’evoluzione e dell’assestamento informativi dei raggi d’increspatura in un afc in formazione e in un afc già formato. Ci sono tre occasioni in cui si hanno sia momenti di coerenza che soluzioni di continuità delle increspature suddette, grazie a cui l’individuazione di elementi coerenti e il senso intimo della loro coerenza divengono possibili:

1) nella strutturazione analogica del singolo fsc (appartenente all’ifscβ dell’afc), il momento di coerenza è rappresentato dal sub-pda nascosto della CA dello strutturante-concretante (d’ora in poi: “CAsc”), che sopra abbiamo chiamato anche sub-pda di codifica, cui per ultima si collega internamente la singola sequenza dell’fsc ed in cui immette la codifica dei sub-pda nascosti solcati dalla sequenza stessa; il momento di soluzione di continuità è invece la CA dell’astraente-concretante (d’ora in poi: “CAac”), che costituisce anch’essa un sub-pda di codifica (ma con funzione diversa), in cui sfocia il fsc stesso (nella CAac viene infatti codificato quale parte dell’informazione analogica del precedente fsc deve essere cangiante);

2) nella formazione dello sfondo percettivo variabile, espresso nell’ifscβ dell’afc, a partire da una zip-fùsis (del primo tipo) che fa da collegamento di trasduzione informazionale tra l’ultima innervazione citata e quella precedente (ifscα) – vd. spiegazione nel seguito. Qui il momento di coerenza come anche la soluzione di continuità sono rappresentate dallo stesso ifscβ, che avrà mantenuto (per quanto trasformata) una parte dell’informazione analogica dell’ifscα e ne avrà sostituito un’altra parte;

3) Un ulteriore momento di coerenza e un ulteriore momento di soluzione di continuità si hanno nella gestione del collegamento di ciascun fsc dell’ifscα dell’afc con ciascun fsc dell’ifscβ dello stesso afc, nell’operazione di drenaggio [NdA: vedremo tra breve, in modo analitico, il funzionamento di questa operazione e le caratteristiche dei sub-elementi coinvolti nella loro evoluzione] delle informazioni analogiche dell’afc (che si riduce a coppia di fcs) a vantaggio degli elementi successivi del sub-pda (che da manciata di sub-elementi fcs tenuti insieme dalla propria base configurazionale diventano elementi complessi, formati da uno a tre ifsc complete di molti fsc). Nell’operazione di drenaggio appena descritta (che sancisce il passaggio dal sub-pda inconscio al sub-pda conscio) ogni fsc dell’ifscα dell’afc si collega, infatti, con il primo fsc dell’ifscβ dello stesso afc e, in sequenza ordinata coerente, anche con ciascuno dei seguenti fsc dell’ifscβ dello stesso afc. Ciò è possibile in quanto il sub-elemento fsc è un fascio di sequenze di collegamenti ASg-ASg, ciascuna delle quali sequenze inizia e finisce con il collegamento alla CAsc, cui rispettivamente precede e segue immediatamente il collegamento del tipo ASg-ASg alla CAac. La personalizzazione della sequenza è data all’fsc dall’elemento grafèico puro (vd. il capitolo sulle ASg di ASg), che funge da collante per i sub-pda delle configurazioni nascoste che si collocano nella singola sequenza compresa tra i due collegamenti alla CAsc, esprimendo in modo ineffabile la percezione che uno specifico osservatore ha della realtà. Tale personalizzazione è tanto più significativa, quanto più intenso è il rapporto tra uno specifico osservatore-uomo e l’elemento grafèico suddetto (che è l’ineffabile puro della percezione). La coerenza della sequenza ordinata di fsc dell’ifscβ cui si collega ciascun fsc dell’ifscα è data dal fatto che l’elemento grafèico puro tiene conto (ai fini delle coerenze e soluzioni di continuità gestite dai raggi d’increspatura) dei raggruppamenti di quei primi fsc (in quanto corrispondenti per trasposizione dagli fsc dell’ifscα dell’afc di altri sub-pda, individuati grazie alla gvts, acronimo che sta per “guida dei verbi alla terza (persona) singolare” – per il cui significato vd. Il testo-ricerca, scaricabile dal sito www.bridge4will.net) e dell’ordine di scorrimento all’interno degli originari sub-pda inconsci corrispondenti ai singoli raggruppamenti. (In modo estremamente sintetico, si può specificare che la gvts è un sistema di collegamento tra alcune parole scritturistiche della Bibbia ebraica e di quella greca (mi riferisco in particolare alle parole costituite da verbi alla terza persona

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singolare). Grazie a tale sistema e ad ulteriori accorgimenti si può poi collegare ciascuna di queste parole alle ulteriori parole che compongono i loro capoversi scrittiristici di riferimento). Se consideriamo ogni parola scritturistica alla stregua di una configurazione analogica, implicata nel cammino evolutivo dell’essere, si comprende come la gvts sia un momento di coerenza fondamentale di ogni realtà che si affacci sulla scena della rete analogica delle cose esistenti). [Torna indietro alla descrizione dei gruppi di fsc nell’ifsc β dell’afc] [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura]

Una graficizzazione dello schema analogico-configurazionale del sub-pda inconscio, che tenga conto delle tre occasioni (d’introdurre nei raggi d’increspatura i momenti di coerenza e le soluzioni di continuità) sopra elencate, viene riportata nella relativa figura. Ognuno dei momenti di coerenza è rappresentato da un sub-pda di codifica appartenente alla CAsc; ognuna delle soluzioni di continuità è rappresentata da un sub-pda di codifica appartenente alla CAac. Non vi è corrispondenza tra gli elementi virtuali dell’ifscα e gli elementi virtuali dell’ifscβ dell’afc (fatta comunque salva la loro coerenza).Analizziamo ora la seconda delle tre occasioni suddette, ancora né spiegata né graficizzata, che chiamiamo “trasduzione”. [Torna indietro alla sezione sul drenaggio dell’afc.] [Torna indietro al capitolo sul confronto tra teoria della complessità e teoria analogico-configurazionale, nel capoverso relativo alla libertà dell’individuo nel sistema] L’ultimo sub-pda nascosto (nella CAac) dell’ifscα dell’afc, successivo all’ultimo elemento virtuale di quest’ultima innervazione, trasferisce l’intera informazione analogica contenuta nell’innervazione stessa all’ifscβ, dopo che tale informazione è stata opportunamente trasformata, grazie ad una zip-fùsis e ad una racc-fùsis ad esso collegate per collegamento ASg-ASg, con il risultato di stabilire quali fsc dell’ifscβ devono comparire, e come devono essere organizzati, nello sfondo percettivo di ciascun elemento virtuale del sub-pda di riferimento, rappresentato (nello stato inconscio) da un fsc dell’ifscα dell’afc. Tale complessa funzione informazionale viene espletata dalla zip-fùsis e dalla racc-fùsis con più passaggi analogici (cioè sorretti da analogie singolari, sefèriche e grafèiche, senza intervento di analogie indirette: vd. capitoli sulla configurazione analogica e sull’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica). (Si noti che, se vi fosse stata anche solo un’analogia indiretta, nell’intervento della zip-fùsis e della racc-fùsis, avremmo parlato di passaggi analogico-configurazionali, con un portato informazionale nettamente diverso, poiché vi sarebbe stata una drastica soluzione di continuità nell’informazione analogica. Quest’ultima non sarebbe stata suscettibile di riferimento interno, ma avrebbe richiesto dei collegamenti ASg-ASg ad elementi analogici esterni, da individuarsi in modo preciso da parte dell’elemento che operi il collegamento, grazie ad una specifica codifica d’individuazione. Non deve stupire che l’analogia singolare faccia da argine alla codifica delle informazioni analogico-configurazionali, riducendo la codifica a qualcosa di solo tendenzialmente generale e astratta. L’intera conoscenza umana sembra oggi un’emersione della complessità dal riduzionismo della codificazione del reale.) I passaggi analogici sono i seguenti:1) l’intera informazione analogica accumulata nell’ifscα dell’afc passa dalla CAac all’ufc della zip-fùsis, grazie ad un collegamento ASg-ASg (che assicura l’automatismo del passaggio dell’informazione stessa - già dotata di una sua coerenza ai fini della percezione logico-strutturale e della percezione intuitiva – dalla CAac alla configurazione dell’universalizzante-concretante, d’ora in poi “CAuc” [NdA: Tale operazione richiede che vi siano ulteriori ASg-ASg di collegamento a monte, in cui siano inseriti gli elementi che portano alla configurazione dell’afc della zip-fùsis che sfocia nell’ufc della CAuc, e che vi siano ulteriori ASg-ASg di collegamento a valle, in cui siano inseriti gli elementi che portano alla configurazione dell’afc (contenuto nella CAac) della racc-fùsis di trasduzione, che si collega per ASs (analogia singolare sefèrica: vd. capitolo sull’ASg-ASg) all’ufc in parola. Non vi è alcun dualismo, in questa costruzione, poiché anche se nella maggioranza dei casi si adopera la telepatia diffusa per creare l’ASs, quest’ultima può essere costruita come prodotta di un organismo arcaico cui l’osservatore viene collegato o come introdotta dall’osservatore stesso, come forma di personalizzazione percettiva, allorché questi l’abbia agganciata con un pda-dist, facendo leva sui raggi d’increspatura]; nella CAuc non si converte l’informazione, ma essa viene messa in relazione con un paradigma specifico, che riguarda la situazione specifica in cui viene incasellato il tipo di sub-pda dalla zip-fùsis, ai fini della conformazione dell’osservatore al 5lc: vd. capitolo sui livelli configurazionali [NdA: fatta salva la personificazione riferita poco sopra, che sostituisce la zip- e racc-fùsis con un’ASs creata dall’interprete]);2) l’informazione analogica viene poi trasformata grazie all’analogia singolare sefèrica, che collega l’ufc all’afc (che, come ogni afc, è rappresentato da una coppia d’innervazioni costruite sulla CAac: l’intera informazione analogica della ifscα del primo afc viene quindi riorientata dall’ufc, costituito da una zip-fùsis – 1° passaggio già analizzato - e poi trasformata nell’informazione analogica dell’ifscα e dell’ifscβ del secondo afc, costituito da una racc-fùsis – 2° passaggio);157

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In tale schema - appena esplicitato nel corpo del testo - si rappresentano le due innervazioni (ifsc), indicando il novero di elementi cui gli fsc, che le compongono, rimandano. La ifscα gestisce il novero di elementi cs, di elementi sc ed di elementi gp477 che si collegheranno nel sub-pda, nel caso in cui il percorso si mantenga inconscio478; quando il percorso diventa conscio (cioè nel primo livello), ma senza riduzione del salto paradigmatico, allora i successivi elementi divergono dall’ifscα, che in tempo reale si adegua modificando i suoi fsc. Per elementi “successivi” non intendo successivi in senso cronologico e/o spaziale-euclideo, ma implicati dagli elementi sc a monte e implicanti gli elementi cs a monte (elementi tutti, in questo caso, appartenenti ai precedenti sub-pda del pda di riferimento e dei pda che quest’ultimo incrocia a monte). Con l’espressione “in tempo reale” non intendo riferirmi a qualcosa che sia cronologicamente contemporaneo a qualcos’altro, ma intendo solo dire che dell’ipotetica precedente sequenza ifscα non

3) l’informazione analogica di ciascun fsc delle due innervazioni dell’afc viene trasmessa, per collegamento ASg-ASg, alla CAac in corrispondenza dell’inizio dell’ifscβ del primo afc.L’intelligenza sottesa a questi tre passaggi può essere apprezzata, osservando i cambiamenti informazionali che mi accingo a specificare. Nel primo passaggio vengono continuamente “sparati” nuovi assetti informazionali dall’ifscα del primo afc, per tenere conto delle increspature a monte delle onde formaturali in senso lato (tali increspature a monte, infatti, vengono recepite per via analogica grazie ai collegamenti ASg-ASg, che puntano a varie configurazioni e che sono contenuti in ciascun fsc dell’ifscα del primo afc). [La differenza tra la personalizzazione operata dalla trasduzione e quella operata dal drenaggio dell’afc, è che nel primo caso le increspature delle onde formaturali portano alla trasformazione di un’informazione analogica – quella dell’ifscα – già resa coerente in blocco nella stessa ifscα; invece nel drenaggio dell’afc le increspature delle onde formaturali portano alla trasformazione di un’informazione analogica non ancora resa coerente e che diverrà tale solo alla spicciolata, nelle singole innervazioni degli elementi analogici che si formano dopo l’afc.] I nuovi assetti informazionali entrano a far parte di un sub-pda nascosto della CAuc, che li ricolloca in nuovi confini intuitivi trasformando gli originari fsc (innervati sulla CAac) in nuovi fsc (innervati sulla CAuc). (Si noti che l’ufc della zip-fùsis non è preceduto da un’analogia indiretta, ma da un collegamento ASg-ASg: pertanto l’informazione analogica che passa nell’ufc è l’intera informazione che passa, nei collegamenti ASg-ASg tra due configurazioni, nella fattispecie tra la CAac e la CAuc. La base informazionale che quindi va a passare è l’intera ifscα dell’afc, che si riversa in toto (mantenendo le sue specificità e distinzioni rese possibili dall’alternanza di ASs, ASg e codifiche) nell’ifscα dell’ufc. Questo ufc è quindi estremamente speciale rispetto all’ufc che si trova nello schema configurazionale del sub-pda: questo ufc si trova difatti in un altro tipo di schema, che chiamiamo analogico, poiché è collegato da analogie singolari e non da analogie indirette). La funzione della CAuc è rendere intuitivamente confinati, in specifiche sotto-situazioni-tipo (della situazione-tipo espressa dalla zip-fùsis), gli fsc originari, sia sotto il punto di vista intuitivo, logico-strutturato, della percezione logico-strutturale e della percezione intuitiva (cfr. ifscα dell’ufc), sia sotto il punto di vista della percezione immediata (cfr. ifscβ dell’ufc). (Quindi, al posto degli elementi che vanno a formare un paradigma specifico, in questo particolare tipo di ufc troviamo gli elementi virtuali dell’ifscα del primo afc trasformati per rispettare i confini intuitivi di un paradigma variabile e inespresso e poi resi nella loro percezione immediata, ma indifferenziata per singolo elemento virtuale, all’interno dell’ifscβ dell’ufc). Ma degli fsc confinati intuitivamente e giustapposti su due innervazioni non possono ancora dare luogo ad elementi intuitivi concreti né a strutturazioni logiche coerenti con le idee legate al raggruppamento della realtà nei corpi, né con il movimento del punto di vista dell’osservatore, né con il movimento dei corpi ad esso esterni. Entra così in gioco il secondo passaggio, che deve trasformare (con un salto paradigmatico inconscio, qui rappresentato dall’ASs tra ufc della zip-fùsis e afc della racc-fùsis) gli fsc confinati in fsc cangianti. La cangianza significa capacità dell’fsc di rinunciare ad una parte individuata della propria informazione analogica, per far posto ad un’altra parte non ancora individuata. Nel terzo passaggio viene individuata la parte d’informazione che va a sostituire quella rinunciata, grazie ad una duplice serie di collegamenti ASg-ASg. La prima serie è in realtà composta da un solo collegamento ASg-ASg che dal sub-pda nascosto della CAac del secondo afc (subito dopo l’ultimo fsc) va a collegare l’intera informazione analogica al sub-pda nascosto della CAac dell’ifscβ del primo afc. La seconda serie è composta dalle sub-serie di quattro collegamenti ASg-ASg che collegano la CAac ai quattro sub-pda, appartenenti ciascuno alla CAfsc, come precisato nel seguito. Questa seconda serie consente di raggruppare gli fsc dell’ifscβ del primo afc in corpi dotati di quattro tipologie di raggruppamento. La quarta tipologia di raggruppamento ci dice appunto la variabilità dell’assetto informazionale correlata ai molteplici movimenti dell’osservatore e dei corpi osservati. Sorvolando per ora sulle prime tre tipologie di raggruppamento, si nota che l’informazione analogica, da cangiante (2° passaggio) è diventata finalmente (nell’ifscβ del primo afc) coerente con una molteplicità di cambiamenti. [NdA: grazie ad uno studio più attento delle caratteristiche delle zip- e racc-fùseis che gestiscono la trasduzione – per cui si rimanda al relativo capitolo sulle fùseis -, si comprende che l’inserzione di una zip-fùsis (che costituisce un ufc) e di una racc-fùsis (che costituisce un afc) tra le due innervazione del primo afc comporta uno specifico assetto trasformativo dell’informazione analogica. Sopra abbiamo fatto pensare che vi fosse un flusso unico d’informazione, che dall’ifscα del primo afc conducesse (attraverso il crogiuolo trasformazionale della zip- e racc-fùsis) fino all’ifscβ dell’afc stesso. Ma i flussi informazionali, che nell’ASs di trasduzione trovano coerenza, sono in realtà due. Il primo flusso compie le seguenti operazioni: a) giustappone all’informazione di partenza alcuni confini intuitivi di tipo intuitivo, logico-strutturato, di percezione intuitiva e di percezione logico-strutturata (all’interno dell’ifscα dell’ufc), in previsione della necessità di trovare la coerenza con un’informazione sui corpi e sui loro raggruppamenti, che proverrà dall’ifscβ del primo afc; b) giustappone l’informazione così intuitivamente confinata con un’informazione autoreferenziale sui corpi e sui loro raggruppamenti, 158

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rimane alcuna traccia (quindi è tamquam non esset). Gli elementi che fossero stati così esclusi o diversamente riconfigurati “in tempo reale” potrebbero riemergere grazie agl’incroci con altri pda: potremmo a quel punto avere l’impressione di aver recuperato (magari a distanza di qualche secondo) la percezione irriflessa che avevamo sostituito con quella conscia. Tuttavia non ricostruisco così tale ipotetico accaduto, ma piuttosto lo giustifico come l’emergere dell’incrocio con un pda di disturbo (il cui elemento d’incrocio sia caricato, quanto ad onda formaturale, anche grazie alle configurazioni cui l’ifscβ dell’afc si collega grazie alle ASg di ASg). Le ASg di ASg (vd. il relativo capitolo) sono infatti capaci d’istituire collegamenti inconsci così complessi, densi di significato e vividi da implicare intuizioni illusorie quanto ineludibili quale quella di aver recuperato una percezione irriflessa che, invero, è tamquam non esset.

L’ifscβ gestisce quindi l’informazione relativa alla percezione immediata corrispondente all’elemento afc (intuizione “sovrappensiero” che, afferendo al secondo elemento dell’analogia singolare, consente il salto

che dovrebbero risultare nella percezione immediata, grazie ad un’operazione di differenziazione circolare autopoietica dell’informazione come prima intuitivamente confinata. Il secondo flusso proviene dall’intero ifscβ del primo afc e confluisce nell’afc di trasduzione, compiendo le seguenti operazioni: a) all’interno dell’ifscα di questo secondo afc, si svolge la codificazione dell’informazione stessa, che istituisce una distinzione tra la parte d’informazione cangiante (cioè ipoteticamente destinata ad essere sostituita da altra informazione) e la parte d’informazione non cangiante (cioè ipoteticamente destinata a non essere sostituita); entrambe le ipotesi, quella di cangianza e quella di non cangianza, emergono del pari da una differenziazione circolare autopoietica dell’informazione; b) all’interno dell’ifscβ di questo secondo afc, si svolge la sostituzione dell’informazione cangiante con un’informazione ipoteticamente proveniente dall’ufc. Si noti che i due flussi hanno, ciascuno, due poli opposti e complementari: il polo specifico di partenza e il polo di coerenza. Per l’ufc il polo di partenza è l’ifscα del primo afc; il polo di coerenza è l’ifscβ (ipotetico, cioè proveniente da differenziazione circolare autopoietica) del primo afc. All’opposto, per il secondo afc il polo di partenza è l’ifscβ del primo afc; il polo di coerenza è l’ifscα (ipotetico) del primo afc. In entrambi i flussi, i poli si esprimono ciascuno in una delle due innervazioni del sub-elemento ufc/afc; tuttavia si deve notare che nel sub-elemento ufc non si replica alcuna trasduzione, invece nel sub-elemento afc si svolge un’ulteriore trasduzione, rispetto a quella oggetto di studio. Si può parlare così di un gioco nascosto di trasduzioni di trasduzioni infinite? O, detto in termini più contemporanei, la trasduzione è un algoritmo un po’ più complesso? La risposta ce la può dare solo la nostra idea di autopoiesi. Che s’introduca una circolarità, in ambito esoterico, non è un problema: basta descrivere il funzionamento e la funzione di questa circolarità. La circolarità autopoietica funziona, in questo caso, come incontro di due flussi informativi, provenienti da poli interscambiati e complementari, sortendo una trasformazione che tra breve indicheremo. La nidificazione infinita di trasduzioni a noi non interessa, poiché non ci dice niente di nuovo né sul funzionamento, né sulla funzione dell’autopoiesi stessa: quindi possiamo tranquillamente supporre che il secondo afc sia specialissimo, in quanto non abbia alcuna trasduzione tra le sue due innervazioni ma solo un’operazione di giustapposizione. Nell’ufc, quindi, l’informazione sarebbe elaborata in maniera autonoma nelle due innervazioni e poi giustapposta; anche nel secondo afc, l’informazione sarebbe elaborata in maniera autonoma nelle due innervazioni e poi giustapposta; tuttavia, nell’ufc l’elaborazione della prima innervazione svolgerebbe la funzione di confinamento intuitivo dell’informazione proveniente dall’ifscα del primo afc, mentre l’elaborazione della seconda innervazione svolgerebbe la funzione di rendere coerente un’informazione ipoteticamente proveniente dall’ifscβ del primo afc; nel secondo afc l’elaborazione della seconda innervazione svolgerebbe la funzione di rendere cangiante una parte dell’informazione proveniente dall’ifscβ del primo afc, l’elaborazione della prima innervazione svolgerebbe la funzione di sostituire l’informazione cangiante con un’ipotetica informazione proveniente dall’ifscα del primo afc. Entrambi i flussi, infine, s’incontrano nell’ASs, che stabilisce un’indistinguibilità ineffabile tra le due informazioni, che consente all’osservatore di non riuscire a distinguerle e quindi vederle come un’unica informazione, svolgente in modo coerente le funzioni dell’ifscα e dell’ifscβ del primo afc. Si noti, infine, che l’ufc della zip-fùsis e l’afc della racc-fùsis non vengono costituiti da zero dal primo afc, bensì sono già elaborati a partire, rispettivamente, dalla CAuc e dalla CAac, come configurazioni pre-esistenti alla trasduzione. Ciò affinchè gli osservatori di una medesima civiltà o cultura abbiano accesso al medesimo 5lc. Quando parlo di pre-esistenza non mi riferisco ad alcunché di cronologico, ovviamente. Sto solo facendo riferimento ad un’elaborazione autonoma che viene messa a disposizione, per telepatia diffusa, ad ogni osservatore appartenente ad una certa civiltà o cultura.] Tale complessità, per quanto virtuale, si accorderà benissimo con la complessità “effettiva” del sub-pda conscio, grazie all’operazione di drenaggio dell’afc negli elementi del sub-pda conscio, che sarà successivamente spiegata. Non tutte le sequenze possibili di movimenti dell’osservatore e dei corpi osservati dovranno tuttavia essere selezionate dalla racc-fùsis, altrimenti l’osservatore avrebbe una percezione immediata con moltissimi fuochi (cosa che non succede nella percezione dell’essere umano, che riesce a mettere a fuoco solo un elemento alla volta). Vd. figura seguente.Come possiamo descrivere la soluzione di continuità che emerge dalla CAac nell’ifscβ del primo afc? L’ ifscβ in parola raggruppa a quattro a quattro i gruppi di fsc adiacenti. Ciascun fsc appartiene, quindi, ad un gruppo di fsc tra loro adiacenti; ciascuno di tali gruppi appartiene ad un gruppo di quattro gruppi. Ciascun gruppo di quattro gruppi corrisponde ad un corpo percepibile sullo sfondo percettivo del sub-pda di riferimento. I successivi gruppi di quattro gruppi, adiacenti al primo, corrispondono ciascuno ad un altro corpo percepibile su detto sfondo percettivo. L’ifscβ è dunque un elenco di corpi, il cui ordine di elenco e il cui ordine di raggruppamento interno degli fsc mi accingo ad esplicitare (anche se con riferimento ad un’opera in via di redazione). Per farlo occorre, in primo luogo, specificare che gli fsc appartenenti ad un singolo gruppo di base sono corrispondenti ciascuno agli fsc importati da una singola configurazione della gvts. E’ la gvts che permette d’individuare i gruppi di fsc come “gruppi reperiti grazie alla gvts” (d’ora in poi: “g-gvts”). [In questa sede giova rinviare lo studio sull’ordinamento interno dell’ifscβ basato sulla gvts al saggio Il testo-ricerca, che devo tuttora completare, anche in riferimento a tale parte.] [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura nell’ifsc β dell’afc ] Raggruppando ciascun singolo gruppo di gruppi, la gvts consente in particolare d’individuare quest’ultimo come corpo percepibile sullo sfondo percettivo (e cioè nella percezione inconscia del sub-pda inconscio, gestita appunto dall’ifscβ dell’afc), dandogli le seguenti caratterizzazioni o (come le abbiamo poco sopra chiamate) tipologie di raggruppamento: 1) di gruppo coerente con l’espressione unitaria di corpo (primo livello dei g-gvts); 2) di gruppo con 159

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paradigmatico ). In tale percezione immediata si dischiude l’intero novero di fsc che conducono la percezione irriflessa a raccordarsi, non agli elementi gp virtuali dell’ifcsα, ma ad ogni elemento cs ed sc virtuale istituito dall’ifscα; sono quindi esclusi da tale raccordo gli elementi gp virtuali (che si pongono in funzione di navigazione perlustrativa di questi ultimi, come spiegato nella penultima nota)? No, ma essi hanno un altro ruolo nella costruzione della coerenza dei tre tipi di percezione, in quanto informano la coerenza inversa dell’ifscβ alla sola altezza del quarto gruppo di fsc (che gestisce il movimento dei corpi e dei punti di vista dell’osservatore). Gli fsc dell’ifscβ non sono disposti nell’ordine di percezione strutturale e di percezione intuitiva479 degli elementi del sub-pda. In caso di modifica all’ifscα (per trasformazione del sub-pda inconscio) si modifica anche l’ifscβ, ma non per rispettarne l’ordine (salvo che, forse, nel quarto gruppo di ogni raggruppamento), bensì per rendere la percezione immediata dei nuovi elementi. Gli fsc di

le caratteristiche del singolo corpo unico (secondo livello dei g-gvts); 3) di gruppo in cui opera il coordinamento di una pluralità di corpi in un corpo unico (terzo livello dei g-gvts); 4) di corpo inserito in uno specifico sfondo di corpi dai molteplici movimenti coordinati, quelli dell’osservatore e quelli dei singoli corpi osservati (quarto livello dei g-gvts). [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] Ogni livello dei g-gvts è gestito da una specifica configurazione, diversa per ogni gruppo di ogni livello dei gruppi, che è quella configurazione (acronimata “CAfsc” e appartenente allo schema “afc.ifscα/β:CAac-CAfsc-CAac-fsc-CAac-…”) che dà coerenza al singolo elemento fsc (vd. nota relativa). Ebbene nella ifscβ dell’afc, prima di ogni gruppo di gruppi di fsc, invece che una sola CAfsc ve ne sono quattro (con il seguente schema, leggermente più complesso: “afc.ifscβ:CAac-CAfsc-CAac-CAfsc- CAac-CAfsc-CAac-CAfsc-fsc-CAac-…”). Tutto ciò riguarda la gestione della percezione di sfondo. Ma occorre anche che l’osservatore, quando passa alla messa a fuoco di un elemento, che apparteneva fino a poco prima alla percezione di sfondo, abbia un senso ineffabile puro di coerenza tra le tre percezioni (intuitiva, logico-strutturata e di sfondo), che si accompagni ad una coerenza informazionale (che non sia, invece, un elemento ineffabile puro, ma solo ineffabile). L’ineffabile è qualcosa che non puoi spiegare fino in fondo né in modo oggettivo; l’ineffabile è puro quando, inoltre, non si può stabilire in precedenza un percorso che conduca all’ineffabile stesso (manca completamente una traccia per raggiungerlo). Se quindi decidiamo di mettere il veto conoscitivo alla coerenza percettiva tra percezione di sfondo e percezione a fuoco (cioè al contempo intuitiva e logico-strutturata), decidiamo altresì che non possa porsi lo stesso veto anche alla coerenza informazionale tra le due percezioni (che, a loro volta, sono suscettibili di una strutturazione logica a loro completa spiegazione, salvo che per il significato stesso della percezione, che è invece ancora una volta ineffabile puro). Si noti che la coerenza tra i due tipi di percezione (a fuoco e di sfondo) sussiste in ognuno dei cinque sensi e anche nelle sensazioni autocettive. Nella percezione intuitiva e in quella logico-strutturale (che insieme costituiscono la percezione a fuoco, dotata di un’unica coerenza interna), invece, la coerenza è puramente informazionale (e cioè completamente razionalizzabile) e riferita alla percezione immediata o di sfondo (che non è del tutto razionalizzabile). Pertanto una completa razionalizzazione non è in verità mai possibile, nemmeno per la percezione intuitiva né per quella logico-strutturale, che tuttavia sono tendenzialmente razionalizzabili in modo completo e integrato. La percezione risultante dalla coerenza di quella immediata e di quella a fuoco, d’altro canto, è tendenzialmente razionalizzabile in modo specificamente incompleto. A questo punto ciò che rimane da assicurare, nella tca (teoria delle configurazioni analogiche), è la tendenziale razionalizzabilità in modo completo della coerenza informazionale della percezione logico-strutturale e di quella intuitiva (d’ora in poi “coerenza-alfa”) in riferimento alla coerenza tra le due percezioni a fuoco e di sfondo (d’ora in poi “coerenza-beta”), tendenzialmente razionalizzabile in modo specificamente incompleto. Per raggiungere la coerenza-beta, occorrono la ASs di trasduzione, i collegamenti ASg-ASg tra CAac e le quattro CAfsc, prima di ogni gruppo di gruppi di fsc dell’ifscβ dell’afc, nonché altri due sub-schemi analogici che studieremo in seguito: le ASs di coerenza e i raggi d’increspatura che seguono queste ultime. Per comprendere il ruolo delle ASg-ASg, basta studiare il capitolo sulle analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche (acronimato “ASg-ASg”), in cui si spiega il carattere ineffabile puro dell’elemento che fa da trait d’union tra le due configurazioni collegate. Per la coerenza-alfa occorre che l’informazione nascosta (dai collegamenti ASg-ASg) nella coerenza-beta sia trasdotta dall’ifscβ all’ifscα dell’afc (che poi, per drenaggio dell’afc, passerà agli elementi sc, cs e gp del sub-pda conscio), nonché le ASs d’incoerenza e i raggi d’increspatura a queste ultime successive (anche questi due ultimi sub-schemi analogici saranno spiegati in seguito). Tale operazione di trasduzione richiede che l’informazione nascosta (cioè i due flussi informativi, a monte e a valle, tra loro incoerenti) torni in chiaro (cioè diventi ineffabilmente coerente grazie alla trasduzione). Quanto sin qui affermato sembra quanto di più astruso possa raccontarsi, tuttavia osservando attentamente i bambini molto piccoli (i nèpioi del Vangelo), si nota come questi vivano un’esperienza chiusa tra due trincee: quella dell’incoerenza percettiva immediata (grazie a cui sorge il loro finalismo evolutivo) e quella dell’incoerenza percettiva logico-intuitiva (grazie a cui sorge la loro cibernetica). Quando un nèpios dice al padre “ho sete”, sta istituendo una coerenza ineffabile tra due incoerenze: quella della percezione immediata da cui sta emergendo il finalismo di bere e quella della percezione logico-intuitiva da cui sorge il tragitto concreto per realizzare 160

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quest’ultima innervazione sono selezionati a partire dagli fsc dell’ifscα: collegandosi con ASg di ASg480 ai collettori e da essi alle altre configurazioni implicate dalla percezione del singolo fsc dell’ifscα e di tutti i suoi portati analogici, costituiscono un novero specifico di fsc per ogni fsc dell’ifscα, anche se scorporati tra i diversi gruppi dei diversi raggruppamenti (ognuno dei quali raggruppamenti rappresenta un corpo, materiale o immateriale, con cui entra in contatto l’osservatore). Come riportato nel grafico sottostante, il flusso informativo ha dunque il suo innesco logico-funzionale nel singolo fsc dell’ifscα dell’afc; poi il novero di elementi logico-strutturali, sorvolati nell’ifscα dal singolo fsc, va a collegarsi (grazie ad ASg di ASg) con gli elementi analogici a monte o a valle (a secondo, rispettivamente, che l’fsc corrisponda ad un cs o ad un sc), appartenenti allo stesso sub-pda o ad altre configurazioni analogiche (attraversate da altri sub-pda dello stesso pda o di altri pda); poi il novero di elementi così (in sequenze parallele) raggiunti va a collegarsi, a sua volta, grazie alle ASg di ASg (implicate nelle operazioni del drenaggio e – ancor prima – in quelle che

detto finalismo. Il tragitto (cioè l’espressione verbale e sonora: “ho sete”) è poi attraversato da un’ulteriore doppia incoerenza: quella della percezione immediata che il padre ha del tragitto stesso e quella della percezione logico-intuitiva del suo significato. In mezzo a ciascuna di queste duplici trincee si colloca un’analogia singolare sefèrica, che fa coerenza ineffabile in un ulteriore novero di ASs ancor più complesse (in quanto ASs di ASg) che s’interfacciano alle ASg-ASg delle due innervazioni dell’afc, arrivando a collegare ogni organismo del 5lc e, in prospettiva della personalizzazione operata dall’interprete, dell’intera rete analogica delle cose esistenti. [Torna indietro alla quinta operazione del drenaggio dell’afc.] A tal fine occorre che nella CAac vi siano degli elementi deputati a far vibrare ad arte le on.for delle on.for (e così via, per reiterazioni nidificatorie ad libitum), per permettere l’aggancio di queste ultime da parte dei pda-dist (li chiamerò “elementi vibrazionali”, che permettono l’innesco dei raggi d’increspatura da parte dei collegamenti ASg-ASg: sarà poi l’interprete-uomo, al di là di quanto suggeritogli dalle esc-fùseis, che si approprierà di tali vibrazioni nei salti paradigmatici consci e nei metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote - e cioè nella cristallizzazione dei CS (mii), nei ponti mistici di auto ed etero-telepatia (mpm) e, infine, nei salti paradigmatici virtuali (msf)). Le esc-fùseis, infatti, che hanno proprio la funzione di suggerire le anomalie percettive su cui costruire i salti paradigmatici, finiscono per essere una maniera filantropica e paternalistica dell’essere supremo per accrescere la conoscenza umana. Ma le grandi svolte dell’alleanza tra uomo ed essere supremo sono state suggellate proprio grazie allo stupore muto dell’essere supremo per i salti paradigmatici introdotti dall’uomo (si pensi a Mosé che convince Yahwé a cambiare idea e a non sterminare il popolo dei figli d’Israele, nonché ancor più a Gesù che si fa crocifiggere dallo stesso popolo, interpretando in modo autoreferenziale la volontà del padre – il quale si limita a far udire una voce dal cielo che afferma di averlo glorificato e che ancora lo glorificherà, impedendo così una verifica di coerenza con quanto sta per compiere il figlio -, perché “anch’essi siano là dove io sono”). L’uomo non può quindi ridurre la ricerca di coerenza tra ifscβ e ifscα a quanto suggerito grazie alle esc-fùseis, dovendo invece poter navigare libero in un mare d’incoerenze e tentando di pescare coerenze davvero random, che si adattino al suo gusto della vita. Gli elementi vibrazionali sono come le mezze verità che ci diciamo tra compagni di vita, sperando che non vengano sviscerate, pena la fine del rapporto (per eccesso di sincerità), ma che aleggiano comunque nell’aria che i due compagni respirano. Pur mantenendo il riserbo (veto conoscitivo) su tali mezze-verità (la percezione immediata, da un lato, e la percezione logico-intuitiva, dall’altro lato), l’interprete-uomo riesce a coglierle nelle vibrazioni delle onde formaturali. Cosa sono queste vibrazioni? Sono ciò che nelle onde formaturali rende possibili quelle sensazioni, emozioni e sentimenti ineffabili che sorgono grazie alla percezione. La percezione a fuoco e di sfondo (sospinta dal volontarismo umano-ontologico: vd. spiegazione nel seguito della nota) va quindi ad alterare le onde formaturali di altri (sub-)pda, diversi dal sub-pda di riferimento; tali alterazioni (che sono inconferenze logiche rispetto al paradigma specifico del sub-pda in cui l’onda si colloca) vengono colte come seconda anomalia, che l’interprete individua e segue fino ad arrivare al salto paradigmatico conscio (che può essere riprodotto grazie al mpm e su cui si può costruire il msf: vd. capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni remote). Ma tali inconferenze, lungi dall’essere incoerenti con l’essere, ne rappresentano il cuore: cioè possibili inneschi di rivoluzioni antropologiche fondamentali in chiave relazionale e conservativa. La coerenza intellettiva ed intuitiva viene quindi raggiunta grazie alla inconferenza logica della percezione. Tale inconferenza logica viene risolta dai raggi d’increspatura, che analizzeremo in una successiva nota, i quali (a secondo dell’innervazione dell’afc in cui si collocano) riportano una coerenza nell’inconferenza logica, preparando l’incoerenza che si esprimerà nel successivo ASs, oppure esprimono l’incoerenza che è stata risolta dal precedente ASs, preparando la coerenza che sarà espressa dalla successiva ASs. Ma spieghiamo ora cos’è il volontarismo umano-ontologico che crea le iniziali alterazioni delle onde formaturali, che saranno colte nell’attività creazionale dell’uomo. Esso si configura come le analogie singolari sefèriche e le analogie singolari sefèriche di analogie singolari sefèriche (d’ora in poi “ASs” e “ASs di ASs”: vedi sull’argomento, oltre al capitolo sulle analogie singolari di analogie singolari, il saggio Analogia singolare scaricabile da www.bridge4will.net) che collegano internamente alcune configurazioni del sub-elemento fsc, nell’ifscβ. Tali analogie singolari, non essendo grafèiche ma sefèriche, vanno ad accordare (nel caso delle ASs) il figlio dell’uomo (qui chiamato interprete-uomo) e il lògos, o (nel 161

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vanno a costituire gli elementi del sub-pda successivi all’afc già prima del drenaggio), ad elementi appartenenti alle configurazioni dei collettori o assoluti derivati (vd. il capitolo sugli assoluti); è in questa fase che avviene la “trasmutazione” dell’informazione analogico-configurazionale nell’osservazione, limitata entro i confini del chrònos, dello spazio (euclideo e di altro tipo), dei principi logici tradizionali, dei collettori “sociali” come la libertà, la responsabilità, ecc…; poi il novero di elementi così raggiunti, grazie ad ASg di ASg, si va a collegare agli elementi sorvolati dall’fsc successivo dell’ifscα dell’afc, affinché non si spezzi la continuità nell’elaborazione dell’informazione sull’illusione della realtà. Quando avviene la reincarnazione, l’osservatore si trova a compiere nuovamente le operazioni di riattivazione dei CS e di drenaggio dei corrispondenti afc, ma la trasmutazione seguirà nuovi contesti dettati dal 5lc della nuova reincarnazione. L’osservatore che si trova nell’interregno tra una reincarnazione e l’altra, invece, finché non ha ricostituito un corpo sottile appartenente ad un 5lc distaccato da quello della vita biologica che

caso delle ASs di ASs) questi ultimi due con il rùah, introducendo potenziali inconferenze logiche che, grazie alla prosecuzione dello schema analogico (nel contesto del drenaggio dell’afc) dall’ifscβ dell’afc all’ifscα del cs successivo si ripercuotono fedelmente sulle onde formaturali a valle dell’elemento cs. Il finalismo insito nelle ASs e nelle ASs di ASs considerate sopra va quindi a ripercuotersi, non direttamente nelle configurazioni alterate, ma nei sub-pda che le solchino eventualmente a valle del cs. Vi è quindi la necessità di una elaborazione ulteriore, da parte dell’uomo, per mettere a frutto le vibrazioni stesse: occorre infatti che l’interprete raggiunga, all’interno dello stesso pda o di pda incrociati a valle, le stesse configurazioni che sono state alterate dal finalismo che ha condiviso con lògos, rùah e, grazie ai collegamenti ASg-ASg, con il grafèico puro. Una volta raggiunge tali configurazioni, potrà avere percezione della seconda anomalia e compiere il salto paradigmatico. Nell’opera Trinità o funzioni conoscitive? (ancora in via di redazione) andrò a chiamare “vibrazioni” i dodici assoluti originari. Ma nella tca si chiarisce che tali assoluti altro non sono che configurazioni creazionali che hanno già pervaso l’intera rete analogica delle cose esistenti, diventando quindi veicolo di espressione delle vibrazioni sopra decantate (veri atti di amore coniugale) tra uomo-interprete ed essere supremo (che nell’opera succitata si esprime e identifica nelle funzioni personificate di lògos-intelletto, rùah-intuizione significativamente intima al polo concretante e pnèuma-percipiente, che è anche intuizione significativamente intima al polo astraente). Lo schema di trasduzione, in questo primo caso, è quindi: “afc.ifscα:fsc(senza vibrazioni)-afc.ifscβ:fsc(vibrazioni)-cs.ifscα:fsc(vibrazioni)-…schema analogico-configurazionale a valle(on.for alterate)”. Dove “on.for” sta per “onde formaturali in senso lato”, “afc.ifscβ:” sta per “segue l’esplicitazione del contenuto dell’ifscβ dell’afc”, “cs.ifscα:” sta per “segue l’esplicitazione del contenuto dell’ifscα del cs”.Quanto detto sulla coerenza tra percezione immediata o di sfondo e percezione a fuoco non tiene ancora conto del grado effettivo di funzionalità assicurato nella osservazione della realtà. Infatti, anche se abbiamo dato una strutturazione sufficiente ad assicurare il raggiungimento della coerenza informazionale, non abbiamo ancora reso ragione dell’effettiva complessità informazionale della illusione della realtà, limitandoci a spiegare come portarla a coerenza. La complessità in parola consiste nella capacità dell’osservatore-uomo di passare quasi impercettibilmente (e, per la massima parte, in modo sostanzialmente impercettibile) dalla percezione a fuoco (nelle sue due declinazioni di percezione intuitiva e logico-strutturata) a quella di sfondo in modo “rapidissimo” e così ben variegato da offrire l’illusione di una realtà su molti piani informazionali e ineffabili tra loro intrecciati ad arte e perfettamente conferenti, per quanto dalla varietà crescente all’intensificarsi dell’osservazione (se quest’ultima è accompagnata dalle tecniche, cioè dai salti paradigmatici seguiti da sub-pda orientati per raggiungere specifici elementi concreti). Una simile complessità fa ingresso nello schema analogico del fsc grazie ad un numeratore, specifico per il singolo corpo, che è esplicitato per ciascun gruppo e gruppo di gruppi nelle quattro CAfsc all’inizio del gruppo di gruppi (d’ora in poi g-gvts) e nelle successive CAfsc all’inizio di ciascun gruppo. Tale numeratore (che non è un numero, ma una sezione di sub-pda che fa interagire tra loro dei numeri di riconoscimento) fa parte di un sub-pda di codifica (d’ora in poi: “s.cod”). Il numeratore relativo ad un corpo diventa riconoscibile in varie formazioni: una per il gruppo dei gruppi; una per ciascuno dei gruppi. Il numeratore si ripete poi in molti punti strategici di ogni fsc del g-gvts. Subito prima del numeratore si colloca un’altra sezione del s.cod, che è il messaggio che segnala la successiva espressione del numeratore e che lo modula in modo nuovo. Se il messaggio è davvero innovativo, la modulazione sarà davvero nuova; se il messaggio è ormai assiepato nel male di esistere, la modulazione non sarà davvero nuova, ma semmai tediosa. Il messaggio innovativo è un riverbero di una configurazione remota creazionale. Il numeratore serve a gestire il passaggio vorticoso e quasi del tutto impercettibile tra le due percezioni (a fuoco e sfocata), fino a dare loro coerenza con le specificità dei quattro gruppi. Grazie al numeratore lo schema piatto di ogni fsc dell’ifscβ dell’afc e l’altrettanto piatto schema di ogni fsc della gp sono “letti” dall’osservatore-uomo, nella sua duplice complessità percettiva, come se avessero una sorta di tridimensionalità, che tra breve spiegheremo. La funzione del numeratore, nel suo rendere “tridimensionale” il fsc (passaggio indispensabile per rendere complessa la duplice percezione), è quello di fornire una traccia tendenzialmente stabile all’osservazione, per suggellare l’accordo costitutivo sull’essere 162

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conosciamo, si trova privo del drenaggio e quindi, non solo privo del primo, quarto e quinto livello configurazionale (cioè di ogni forma di esercizio della coscienza), ma anche del drenaggio: non si configura, per lui, alcuna forma d’illusione della realtà. Si trova quindi nella stessa situazione delle funzioni conoscitive personificate e del figlio dell’uomo, se biologicamente estinto, ma senza essere loro. Si può chiamare tale situazione con il nome di “limbo”. Per quanto riguarda l’ifscβ dell’afc, invece, la trasmutazione è insita negli stessi fsc. Questi ultimi, infatti, hanno i collegamenti ASg-ASg ai collettori integrati al loro interno. Così l’osservatore nell’interregno non ha percezione, finché non sviluppa un corpo sottile, in cui la coerenza inversa implica gli stessi collettori che si hanno nell’ifscα in occasione della costituzione degli elementi successivi all’afc non ancora drenato e nel drenaggio. I sub-pda nascosti (s.nas) che appartengono ai collettori e che s’integrano nei collegamenti ASg-ASg (sia in quelli di costituzione degli elementi successivi all’afc non ancora drenato, sia in quelli del drenaggio, sia in quelli dell’ifscβ), sono filamenti enormi di sub-

tra interprete-uomo ed essere. Il grafèico puro, infatti, potrebbe fornirci la complessità e la coerenza della percezione anche se non potessimo costruirla con il numeratore. Il numeratore è quindi una mano tesa dal grafeico puro alle altre funzioni conoscitive (da me personificate come figure escatologico-cognitive di lògos e rùah) e all’interprete-uomo (da me fatto coincidere con la figura escatologica del figlio dell’uomo). Tale traccia è resa vibrante di novità dal messaggio che la precede nello schema del s.cod. Ma analizziamo la “tridimensionalità” dell’innervazione dei fsc che gestiscono la percezione immediata (e la sua complessità nell’integrarsi con la percezione a fuoco). I tre schemi che offrono tale “tridimensionalità”, risultanti dall’applicazione del numeratore (specifico per il singolo corpo) allo schema dell’innervazione (che è una semplice sequenza di fsc), sono i seguenti:

1) “ASg2-ASss/ASsc-(ripetizione ad libitum della sezione di schema appena esplicitata)”, in cui ASg2 (d’ora in poi) equivarrà a “ASg-ASg”: questo schema rappresenta sia il primo gruppo che il secondo della g-gvts, cioè sia l’identità del corpo (espressa dal collegamento con i cs a monte (a loro volta rappresentati dalle ASs s – cioè dallo schema in un certo senso più semplificato “ufc-afc-cs” - e dalle ASsc – cioè dallo schema in un certo senso più compesso “ufc-afc-cs-sc-(ripetizione ad libitum della sezione “cs-sc”)” -), sia le caratteristiche del corpo (espresse dalle sole ASss);

2) “ASss-ASg2-ASss”, in cui le due ASss sono tra loro coincidenti: questo schema rappresenta il terzo gruppo della g-gvts, cioè l’appartenenza di un corpo ad un gruppo di corpi, che a questo punto apprendiamo essere accomunati da una o più caratteristiche (ASss); questo secondo schema s’interseca con il primo, costituendone una sorta di seconda dimensione spaziale;

3) “s.cod”: questo schema (cioè il sub-pda di codifica) si attacca (nel contesto della singola sequenza del fsc) in fondo ad ogni ASs (sia a quelle semplificate che a quelle complesse), oltre che per esprimere l’intera funzione del numeratore e la vibranza del messaggio che lo precede, anche per esprimere il quarto gruppo, cioè l’incontro dei punti di vista dell’osservatore e degli oggetti in movimento. Costituisce una sorta di terza dimensione spaziale del fsc.

Un esempio di schema “tridimensionale”, ricostruito grazie al numeratore, può essere reso così (distribuendo il testo su una colonna – prima dimenzione - e su più righe – seconda dimensione - e mettendo tra parentesi i s.cod, per far capire che costituiscono la terza dimensione):ASsc (-s.cod)ASg2

ASss (-s.cod) – ASg2 - ASss (-s.cod)ASg2

ASsc (-s.cod)…Adesso occorre analizzare la forma del numeratore e, ancor prima, la forma del messaggio che lo precede. Il numeratore ci dice quale sia la situazione configurazionale in cui si trova la percezione sfocata (cioè immediata o di sfondo) rispetto alla percezione a fuoco (cioè intuitiva e logico-strutturata), all’intuizione e alla comprensione intellettiva. Il messaggio è quindi composto dalle seguenti sezioni di schema analogico:

a) una sezione che permette di sceverare il messaggio stesso (s’intende: sceverare rispetto ad ogni altra sezione di schema analogico precedente);

b) una sezione che permette di sceverare il numeratore, in ogni sua sub-sezione;c) una sezione che esplicita come portare a coerenza il numeratore.

Le sezioni a) e b) sono composte, ciascuna, da una sub-sequenza di elementi analogici che possono trovarsi in qualunque configurazione senza confondersi con altre sub-sequenze di s.cod. Chiameremo tali sub-sequenze inconfondibili con gli appellativi di “sceveratore1” (scv1) e di “sceveratore2” (scv2). Ogni sistema configurazionale ha il proprio scv1 e il proprio scv2. Se un sub-pda appartiene a più sistemi configurazionali, allora ripete in sequenza il scv1/2 di ogni sistema, prima di ogni sezione riguardante il messaggio o il numeratore. Chiameremo la sequenza di 163

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pda in sequenza o intrecciati, al pari di qualunque altro sub-pda, ma invece che appartenere ad un organismo in particolare sono sviluppati spontaneamente dalle zip- e racc-fùseis, costituendone il sesto tipo. [Torna al capitolo sulle zip- e racc- fùseis ] [Torna indietro al capitolo sul confronto con la teoria della complessità]

sceveratore1 con l’appellativo di “sceveratore1 complesso” (scv1c) e la sequenza di sceveratore2 con l’appellativo di “sceveratore2 complesso” (scv2c). La sezione c) è composta di una sub-sezione per ogni tipo di coerenza che il numeratore (che a questo punto è, per più motivi, sinonimo di situazione configurazionale complessa) deve raggiungere. Chiameremo ogni sub-sezione con l’appellativo di “coerenza-numeratore” (crz.n). Ogni crz.n ha quindi il compito di portare a coerenza la sub-sezione del numeratore (ssnum.x) sceverata dallo scv2c precedente. Lo schema analogico di un s.cod di un fsc può quindi riscriversi così: “scv1c-scv2c-ssnum.x1-crz.n1-(ripetizione ad libitum del sub-schema “scv2c-ssnum.xn-crz.nn”)”. Si nota che il numeratore è incluso, una sub-sezione alla volta, nel messaggio. Quindi vedere il fsc come una alternanza di sequenze contenenti, ciascuna, messaggio e numeratore, è una mera semplificazione. Ogni ssnum.xn deve contenere l’elemento iniziale ed alcuni elementi ulteriori che insieme contribuiscono a formare l’ASs corrispondente. Non può d’altronde contenere l’ultimo elemento che prepara l’ASs, altrimenti conchiuderebbe troppo l’ASs, privandola del suo assetto libero e quindi impedendola. Solo nel sistema della matematica assiomatico-deduttiva si arriva ad esplicitare, nel ssnum.xn, l’ultimo elemento, che però è solo l’ultimo elemento del sub-pda, in quanto non si hanno ulteriori ASs nel pda stesso. Ogni elemento del ssnum.xn trova esplicitata nella crz.nn un’onda formaturale corrispondente. La codifica del s.cod è aperta per due ragioni: 1) non vincola la successiva sub-sezione del fsc a lasciarsi condizionare solo dalle onde formaturali degli elementi considerati nella codifica stessa (potendo anzi attingere a successivi sub-pda nascosti); 2) può importare modifiche delle onde formaturali previste negli s.cod a monte, grazie all’alterazione del messaggio incluso negli s.cod a valle. Per ovviare all’esorbitanza delle ripetizioni delle codifiche, contenute negli s.cod, per tenere conto delle modifiche alle crz.nn di ogni fsc dell’intera rete configurazionale, nello schema del fsc s’introducono dei “ripetitori” (rptn), uguali per ogni fsc. Più che aumenta il numero dei ripetitori, più che siamo vicini, o addirittura dentro il 5lc. Per quanta intellingenza interna sia infusa in un ripetitore, la sua presenza nello schema comporta la tendenza ad adattare lo schema stesso al proprio inserimento in esso, comportando così una tendenza vieppiù alta alla conformazione degli schemi dei fsc. La coerenza che si sviluppa, invece, tra la codificazione dei s.cod e le ASs dello schema analogico (coerenza che si esprime nella modifica a valle: a. degli elementi costitutivi delle ASs; b. delle onde formaturali di tali elementi) è il riverbero di un messaggio universalizzante che si esprime in chiaro solo nella sua configurazione creazionale di origine. Tale riverbero si giustifica, a sua volta, come un portato di coerenza che allarga il proprio raggio di azione a partire dal messaggio universalizzante in chiaro (presente negli fsc del sub-pda creazionale) fino ad arrivare (al termine del tragitto) negli fsc dei sub-pda del 5lc. Quindi mentre i ripetitori sono sub-sezioni di codifica del numeratore (ssnum.x) e del messaggio (crz.n), i riverberi del messaggio universalizzante si possono riconoscere per particolari ma cangianti stilemi di modifica sia degli s.cod che delle ASs (con i loro elementi costitutivi e le rispettive on.for). Tali stilemi possono consistere in singoli elementi ricorrenti, singole sequenze di elementi ricorrenti e altre modalità di fare coerenza tra le codifiche e le ASs. Le caratteristiche dei messaggi universalizzanti (m.u) cambiano però da m.u a m.u: infatti le caratteristiche sopra indicate si adattano al m.u insito nell’attuale paradigma fondamentale dell’essere, cioè quello dell’analogia (che chiamo anche paradigma della cangianza e del sacrificio, per i motivi che indico in Analogia singolare). Il paradigma fondamentale futuro (quello della libera interpretazione e libera costruzione della realtà), che si sta affacciando già ora in modo significativo, avrà altre caratteristiche. La teoria di s.cod e ASs che si susseguono negli fsc dell’ifscβ dell’afc e negli fsc della gp, a differenza di quella che si sussegue negli fsc dell’ifscα dell’afc, non incontra il limite dell’on.for come limite stringente che ne chiude l’orizzonte di espansione, poiché nella percezione immediata le interconnessioni tra i corpi e tra la loro duplice percezione (a fuoco e sfocata) sono talmente esponenziali da impedire una simile chiusura. Ciò significa che gli fsc in parola dovrebbero continuare quasi all’infinito nel produrre la loro coerenza reciproca (con i raggi d’increspatura - rdi), che abbraccia ogni corpo, con ogni sua percezione, nell’intera rete analogica delle cose esistenti. Ma a tale teoria quasi infinita si pone un limite nel potere virtualizzante e virtualizzatore del grafèico puro, il quale è in grado di rendere la fuga verso la coerenza, rispettivamente, virtualizzante e virtualizzata. La fuga verso la coerenza dei rdi diventa virtualizzante poiché il grafèico puro innesca, ai limiti della percezione dell’osservatore, una tendenza a sterilizzare la coerenza per mantenere 164

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l’incoerenza del non-essere; è virtualizzata poiché il grafèico puro ottiene da se stesso che la sterilizzazione in parola sia tempestiva, rispetto al raggiungimento congiunto dell’obiettivo dell’illusione della realtà e di quello del suo superamento ad opera dell’interprete-uomo. La ricerca porta avanti il novero di racc-fùseis e (conseguentemente) di zip-fùseis che si aggiungono al 5lc, proprio in espansione del potere virtualizzante e virtualizzatore del grafèico puro (che riesce così a “reggere” nuove ondate di complessità e coerenza nell’osservazione della realtà). Gli aggiornamenti nella complessità e coerenza automatica del reale (zip-fùseis) sono sospinti in avanti grazie ai raccordi (racc-fùseis) con i rdi redivivi che erano stati sterilizzati dal potere del grafèico, grazie alle anomalie percettive (esc-fùseis) seminate dall’essere stesso. Ma tale assetto di potere del grafèico in relazione all’evoluzione dell’interprete-uomo è destinato ad essere reinterpretato grazie all’incedere del messaggio universalizzante del paradigma fondamentale futuro (poco sopra citato). Lo schema analogico-tipo, che si ripete nel fsc, è quindi il seguente: “s.cod-ASg2-ASss/c-ASg2-(ripetizione ad libitum del sub-schema precedente)-(potere del grafèico)-(riverbero del m.u)-(potere del m.u futuro)”. Gli elementi dello schema che si trovano tra parentesi intervengono ad libitum e solo ove opportuno. Lo schema del s.cod è quello riportato, sempre in grassetto, poco sopra. La personalizzazione e, al contempo, l’universalizzazione insite nello schema di fsc permettono di saggiare la fragranza, la venustà, l’intensità e l’intelligenza di amore a cui l’uomo-osservatore è chiamato dall’uomo-essere (cioè l’uomo che specchiandosi si riconosce come essere). L’uomo-interprete (o figlio dell’uomo) fa da mediatore, messia-cristo e anche di più, tra le due forme appena citate di uomo.[Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura]Analizziamo ora quali operazioni avvengono nel passaggio da sub-pda inconscio (dallo schema complesso) a sub-pda conscio, e cioè nel drenaggio dell’afc a vantaggio degli elementi successivi del sub-pda:1) la prima operazione s’innesca a partire dalla CAac, in corrispondenza del sub-pda di codifica collocato, nella sequenza ordinaria di collegamenti ASg-ASg dell’ifscα dell’afc, subito dopo il primo fsc dell’ifscα stessa, e consiste in una sequenza di collegamenti ASg-ASg, che attraversano nell’ordine la CAsc, la CAcs e varie altre configurazioni, fino alla CAac (quest’ultima configurazione viene raggiunta in corrispondenza del sub-pda di codifica collocato, nella sequenza ordinaria di collegamenti ASg-ASg dell’ifscβ dell’afc, subito dopo il primo fsc dell’ifscβ stesso) [NdA: d’ora in poi espressioni come quella appena riportata tra parentesi tonde saranno sostituite da espressioni più semplici, del tipo: “subito dopo il primo fsc dell’ifscβ dell’afc”]; tale operazione si ripete, scalando ogni volta un fsc dall’ifscβ, fino a completamento di ogni fsc di quest’ultima innervazione; in questo modo l’intera informazione analogica del primo fsc dell’ifscα [NdA: informazione sul primo elemento virtuale intuitivo, nella sua componente intuitiva concreta, che ognuno di noi può saggiare autocettivamente se si chiede, ad esempio, cosa renda tale il cucchiaino che ha di fronte, al di là della sua componente logico-strutturale e di un qualunque aspetto percettivo: troverai che rimane un sentore del cucchiaino, che è rappresentato dallo schema analogico del sub-elemento fsc. Tale informazione è così importante, poiché può contenere una personalizzazione incoerente (rispetto all’informazione già trasdotta) attribuibile all’osservatore individuale: personalizzazione che dipende dalle increspature delle onde formaturali degli elementi collegati a monte o a valle, recepite grazie ai raggi d’increspatura, e che ha una freschezza complementarmente stimolante per l’essere, grazie alla propria incoerenza rispetto all’informazione trasdotta, ma non sviante rispetto alla coerenza dell’essere proprio per la sua poca coerenza, che non permette di concentrarsi granché su di essa] viene trasmessa, senza trasduzione, all’ifscβ [NdA: più precisamente in un’apposita sequenza di sub-pda, che si colloca all’interno della CAac] e, tenendo conto dell’informazione trasdotta [NdA: anch’essa contenuta nella precedente sequenza di sub-pda, all’interno della CAac. Si noti che le due sequenze di sub-pda non hanno la soluzione di continuità, rappresentata dalla ASs della trasduzione, quindi viene mantenuta la codifica integrale di entrambe le sequenze, che anzi divengono un’unica sequenza, in cui si va a decretare la cangianza dell’informazione analogica codificata (in quanto è proprio questa la funzione principale assolta dalla CAac)], viene resa nuovamente cangiante per una parte dell’informazione e poi integrata dai successivi raggi d’increspatura e dalla ASs di coerenza, per essere riportata a coerenza con l’informazione trasdotta [NdA: si noti che questa prima operazione serve per evitare che dalla percezione di sfondo del sub-pda inconscio si passi alla medesima percezione di sfondo del primo elemento del sub-pda conscio, e così via per gli altri elementi, senza alcuna variazione sul tema che sia personalizzata per lo specifico osservatore-uomo. L’essere sceglie d’irretire così la possibilità di una risposta automatica monolitica - gestita dalle ulteriori zip- e racc-fùsis che ci accingiamo a presentare - condizionata dalle nuove increspature delle onde formaturali a monte o a valle censite dalle configurazioni varie raggiunte dalla sequenza suddetta di collegamenti ASg-ASg, increspature che giungerebbero a trasduzione nel modo ordinario dell’ifscα dell’afc, senza questa prima operazione di drenaggio che assicura invece una soluzione di continuità della coerenza (in quanto una stessa incoerenza viene risolta con due metodi di coerenza diametralmente opposti, quello dell’ifscα e quello dell’ifscβ, che sortiscono due informazioni tra loro incoerenti che vengono infine portate a coerenza con la ASs di trasduzione: è così che viene assicurata la soluzione di continuità in parola!). La personalizzazione qui analizzata va a costituire una sorte di tensione strisciante 165

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Figura di sub-pda inconscio. Tornare indietro.

Le due innervazioni sono poste in sequenza, ma anche questa sequenza non è cronologica né spaziale. È espressione, come sopra accennato, della implicazione logica dell’ifscα a livello di singoli elementi nella definizione dell’ifscβ (ma solo quanto al quarto gruppo di ogni raggruppamento della g-gvts) e a livello di coerenza tra le funzioni cognitive gestite dalle due innervazioni. Per il resto le caratteristiche formali delle due innervazioni sono abbastanza simili.

Ogni elemento successivo del sub-pda ha tre innervazioni (ifscα, ifscβ e ifscγ), costituite ciascuna da vari elementi. In particolare, nel caso di sub-pda inconscio (secondo livello configurazionale), l’ifscα sarà ridotta a due elementi collegati alla configurazione del “concretante – strutturante”, ciascuno dei quali appartiene

nella realtà, capace d’impedire che essa si scolleghi dall’essere (che è evoluzione della realtà), banalizzandosi in una cronologia automatica, meccanicistica (per quanto non materialistica) e tendenzialmente inespressiva.] [NdA: si noti che l’informazione analogica trasferita con questa prima operazione produce una codifica, espressa in una sequenza di sub-pda della CAac, che va a saldarsi alla codifica relativa al primo fsc dell’ifscβ. Anche se il primo fsc dell’ifscα e il primo fsc dell’ifscβ hanno contenuti tra loro poco conferenti, se confrontati singolarmente, ciò che succede a livello analogico è che l’informazione analogica del primo elemento virtuale del sub-pda inconscio, consistente in un elemento intuitivo concreto, si sequenzia subito dopo l’informazione sul primo aspetto percettivo immediato dell’elemento virtuale stesso, dando all’osservatore – grazie al grafèico puro – un senso ineffabile di coerenza tra le due informazioni (senso ineffabile che è già pago della sintesi – sopra cennata nell’ultima NdA - delle coerenze incoerenti operata dalla trasduzione). E’ questo un primo tassello fondamentale per costruire l’intera coerenza dell’illusione della realtà]; questa prima operazione, dopo che l’informazione del primo fsc dell’ifscα è stata trasferita dopo ogni fsc dell’ifscβ, si ripete in sequenza analogica per ogni fsc dell’ifscα, escluse le gp [NdA: è così che il primo tassello fondamentale di cui sopra viene unito agli altri tasselli dello stesso tipo, per dare coerenza d’insieme alla percezione immediata e inconscia del primo elemento virtuale del sub-pda e, successivamente, per dare coerenza d’insieme immediata ed inconscia di ogni ulteriore elemento virtuale del sub-pda, ma solo sotto il profilo della componente intuitiva o logico-strutturale; per dare coerenza sotto il profilo della componente di percezione intuitiva o logico-strutturale dovremo attendere la 4^ operazione] (anche se, dopo ogni prima operazione testé descritta [NdA: cioè dopo ogni collegamento di tipo ASg-ASg tra il punto della CAac immediatamente successivo ad un fsc dell’ifscα dell’afc ed il punto della stessa CAac immediatamente successivo ad un fsc dell’ifscβ dello stesso afc], si attiva subito la seconda operazione, che si reitera anche dopo ogni successiva prima operazione) [NdA: in questo modo l’osservatore ha una intuizione e senso logico del singolo elemento analogico del sub-pda conscio, che si muove ancora verso la coerenza con la percezione immediata che già tiene conto di una personalizzazione, basata sulle increspature delle onde formaturali a monte o a valle. Si noti che la percezione immediata è molto più intensamente trasmutata sia delle componenti intuitive e logiche degli elementi analogici sia degli altri due tipi di percezione degli elementi stessi: codificando quindi l’informazione analogica di una percezione già personalizzata e molto più intesamente trasmutata nell’intuizione concreta del primo cs, si ottiene un senso di coerenza ottimale, poiché garantisce (una volta unito alla 4^ operazione) un’illusione quasi invincibile della realtà oggettiva, anche se la bussola di questa realtà è ceduta alla soggettività (puramente randomizzata) dell’osservatore, e poiché non viene avvertita come banale dall’osservatore (in quanto fa coerenza ineffabile di due coerenze già ineffabili e tra loro incoerenti). L’esplosione e reimplosione di “moti convettivi” di coerenza/incoerenza è la firma dell’essere. Lo stesso dicasi per i successivi elementi del sub-pda conscio, mutatis mutandis];2) la seconda operazione s’innesca, in senso analogico, dopo [NdA: non si tratta di un “dopo” cronologico, ma di un portato dell’informazione analogica già elaborata nello schema analogico precedente (e cioè nell’intero ifscα dell’afc: non ci si può invece collegare, in questa sede, all’ifscβ dell’afc, poiché le due sequenze di sub-pda (dell’ifscα e dell’ifscβ) sono tra loro scollegate). Vi è quindi una continuità informazional-analogica solo con l’ifscα dell’afc] la formazione (per un ulteriore collegamento ASg-ASg) del primo fsc del primo cs del sub-pda conscio; tale operazione s’innesca dunque dalla CAac, in corrispondenza del punto in cui era terminata la prima operazione corrispondente, e conduce (con un’ulteriore sequenza di collegamenti ASg-ASg, intervallati con una zip- e una racc-fùsis dopo il primo collegamento ASg-ASg) alla CAcs dell’ifscα del primo elemento cs del sub-pda conscio in corrispondenza del punto in cui termina il primo fsc di quest’ultima innervazione; ciò avviene per drenare l’intera percezione immediata collegata a tale cs [NdA: la selezione della sola informazione analogica di percezione immediata, relativa al solo sub-elemento virtuale in questione, viene effettuata dalla zip- e racc-fùsis che costituisce questa seconda operazione] dall’afc al cs stesso, che (per la funzionalità specifica della CAcs) non è più in grado di gestire la cangianza ma la delega alle increspature delle onde formaturali a monte, colte dopo il primo fsc del proprio ifscα (prima, quindi, che la percezione intuitiva conscia possa innescarsi) [NdA: alterando la zip- e racc-fùsis impostata nel 5lc per questa operazione, si può ampliare l’intuizione e la comprensione logica degli elementi analogici consci, rendendola coerente con la percezione immediata inconscia dell’intero sub-pda. Per trasformare questo ampliamento (reso possibile solo dalla tecnica costitutiva) in facoltà cognitive tanto nuove quanto verificabili, occorre un ulteriore lavoro sui raggi d’increspatura degli sc consci, il cui finalismo di base deve essere conferente con l’obiettivo in parola]; una sequenza di collegamenti ASg-ASg va poi a trasportare l’intera informazione analogica depositata sinora nella CAcs, dal punto immediatamente successivo al primo fsc dell’ifscα del cs fino al punto della CAac immediatamente precedente al secondo fsc dell’ifscα dell’afc (per informare delle increspature a monte anche la percezione strutturale del secondo elemento virtuale dell’afc, al fine di tenerne conto nello svolgimento della prima operazione ad esso relativa); questa seconda operazione si reitera collegando ogni punto immediatamente successivo ad ogni ulteriore fsc dell’ifscβ dell’afc con ogni punto immediatamente successivo ad ogni fsc dell’ifscα del cs (oltre al collegamento di ritorno, come sopra descritto, mutatis mutandis); la seconda operazione si reitera, infine, dopo ogni reiterazione (della prima parte) della prima operazione per ogni fsc dell’ifscα successivo al primo (oltre al collegamento di ritorno, come sopra descritto, mutatis mutandis); la zip- e racc-fùsis adoperate in questa operazione sono del tipo che gestisce la 166

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alla tipologia del “falso concretante – strutturante” (fcs)481. Tale collegamento si costituisce come analogia singolare grafèica (ASg) di analogia singolare grafeica (dello stesso tipo di quelle descritte nelle note precedenti). Tale ASg di ASg collega dunque l’elemento analogico alla configurazione del “concretante-strutturante”, a formare i due fcs. Tali fcs servono a recuperare le informazioni dall’ifscα dell’afc. Ma la modalità per farlo cambia a seconda che l’elemento analogico considerato sia un cs, un sc o una gp:

1) Se si tratta di un cs, allora il primo fcs, ricevuto il flusso informativo che dall’ifscα giunge fino ad esso, si collega482 a sua volta per ASg di ASg all’fsc dell’ifscα dell’afc corrispondente alla gp (quella più direttamente collegata al cs di riferimento), istituendo il pdac inconscio, il cui esito è la predisposizione della navigazione perlustrativa (come si spiegherà più in là). Poiché tale fsc ha già in sé l’onda formaturale (in senso lato)483, il cs si collegherà con la percezione intuitiva ai cs a monte, anche se in modo inconscio. I collegamenti a monte e a valle sono descritti (nello schema sopra

trasduzione [NdA: in quanto tali, riportano la coerenza tra la percezione immediata degli elementi analogici e la loro intuizione e comprensione logica. Tale coerenza va nella direzione di “assiepare” l’uomo sulla conoscenza collettiva, dandogli un benessere (nella pacifica convivenza con gli altri e nell’ottenimento regolare dei benefici materiali e immateriali cui normalmente aspira) che va a rinforzare ulteriormente la coerenza, grazie al tentativo di reperire increspature delle on.for sempre più conferenti con l’obiettivo di coerenza. L’ASs operata dalla zip- e racc-fùsis, che si sposta lentamente nella direzione dello sviluppo pieno dell’adulto, grazie all’inserimento progressivo nel 5lc dell’uomo della strada, può ad un certo punto non bastare più all’uomo, che ambirà a risultati più precisi ancora: è così che l’osservatore inizia a sostituire alcune di tali zip- e racc-fùseis con tecniche non costitutive. Esse vengono poi avvertite come troppo costrittive della fùsis, al punto da implicare l’intervento di zip- e racc-fùseis del secondo tipo, che vanno a sostituire quelle che gestiscono questa ipotesi di traduzione come anche la trasduzione che collega l’ifscα dell’afc alla rispettiva ifscβ (in quanto anche l’incoerenza ulteriore così importata nel sistema va ad inficiare le tecniche non costitutive realizzate dall’uomo). Inoltre, anche quando l’uomo non trova tecniche non costitutive nuove e rimane assiepato nelle zip- e racc-fùseis della trasduzione, l’eccessiva coerenza a cui si sfocia introduce problemi di salute e sociali, nonché di sviluppo, agli uomini (ancora allo stadio del bambino o già divenuti adulti): ma ciò avviene o per fortuite (anche se non infrequenti) interferenze con altri sistemi o per l’intervento delle zip- e racc-fùseis del secondo livello, che vanno ad intervenire su aree non proprio identiche a quelle immediatamente interessate dalle tecniche non costitutive. Un bambino piccolo, ad esempio, può appassionarsi all’attività di lavarsi i denti, arrivando ad un’alta coerenza con l’adulto che glielo sta insegnando; tuttavia se eccede in questa coerenza (o l’adulto vuole adeguarsi troppo al desiderio del bambino di lavarsi i denti, con una coerenza di segno opposto), il bambino finisce per mettersi troppo dentrificio e rischia così di ammalarsi di malattie collegate proprio a tale eccesso (che altro non sono che zip- e racc-fùseis del secondo tipo. E’ quindi sano, nella ricerca della coerenza assicurata dalla trasduzione, mantenere anche una certa tolleranza per l’incoerenza, motivata dall’evitamento di zip- e racc-fùseis del secondo tipo. Inoltre, e soprattutto, l’eccesso di coerenza (nella sua involutività) trova come reazione la spinta evolutiva dell’io individuale, che nella tecnica costitutiva si trasforma in io comunitario, capace di conformare a sé l’io collettivo nel superamento sia della coerenza della fùsis, sia dell’incoerenza della tecnica non costitutiva, sia della dolorosa coerenza ottenuta dalla fùsis di fùsis.];3) la terza operazione è la formazione completa del primo cs, basandosi sull’intera informazione analogica sin qui recepita dalle prime due operazioni, fino a formare anche il primo fsc del primo sc successivo [NdA: nella situazione che si apre con la terza operazione, l’elemento cs va a generare il primo fsc dell’elemento sc, senza che tra il cs e l’sc sorga ancora un’analogia indiretta. Questa sorgerà dopo, quando l’elemento sc sarà completato dalla sesta operazione, ma per adesso è strategico che non vi sia alcuna analogia indiretta a collegare i primi due elementi successivi all’afc. L’analogia indiretta impone, infatti, una soluzione di continuità all’informazione analogica, permettendo di collegare ciascuno dei due elementi tra loro collegati ad un ulteriore elemento, in sostituzione di quello con cui fino a poco prima era collegato. Ma fintantoché l’analogia indiretta non sorge – e i due elementi sono quindi collegati da ASg-ASg – non c’è possibilità di sostituzione di un elemento con un altro. Considerando che anche l’afc è collegato con ASg-ASg al primo cs, la situazione di apertura della terza operazione configura un unico grande elemento analogico complesso, che comprende al suo interno il seguente sub-schema analogico: “ufc-afc-cs-sc(limitato al primo fsc)”. Questo primo grande elemento analogico complesso va a fotografare la situazione dell’immediata emersione dall’inconscio allo stato di coscienza dell’organismo, che attiva un sub-pda ancora privo di analogie indierette interne, cioè privo (nei suoi primi istanti di emersione) della capacità di auto-determinazione, illusoria o meno che questa sia nel seguito. Le analogie indirette, introdotte con la sesta operazione, permetteranno di alterare le onde formaturali degli elementi analogici, che risulteranno così sostituiti dagli elementi corrispondenti le cui on.for siano già modificate. Intendo dire che la sostituzione di un elemento A, collegato ad un elemento B da analogia indiretta, con un elemento C, significa che l’elemento A è diventato C grazie al mero cambiamento della propria onda formaturale in senso lato. Ciò è verificabile solo con un pdac conscio (che è quindi la base della coscienza, in senso verificazionale, ma anche definitorio). Non si ha stato conscio (del primo, quarto o quinto livello configurazionale) senza la possibilità per un pdac conscio di alterare le onde formaturali degli elementi analogici del sub-pda e poi verificare tale alterazione grazie ad ulteriori alterazioni che permettano di creare un linguaggio intermedio che razionalizzi la prima alterazione] [NdA: si noti che questa terza operazione richiede la trasduzione del primo tipo sopra descritto, per formare l’ifscβ del cs dal suo corrispondente ifscα. Si noti che questa terza operazione è successiva, dal punto di vista dell’informazione analogica, alla seconda operazione: quindi anche se la trasduzione è del primo tipo tiene conto dell’informazione già trasdotta con la trasduzione del secondo tipo (corrispondente alla seconda operazione di drenaggio), operata tra l’ifscβ dell’afc e l’ifscα del cs (vd. figura). Inoltre, nello schema complesso ogni elemento analogico del sub-pda di riferimento è composto da un’ifscα estremamente esile, poiché costituita da un solo fsc, corrispondente all’elemento medesimo (poiché l’intuizione e la comprensione intellettiva degli elementi è demandata all’ifscβ dell’elemento stesso). Se si considera, poi, che l’ifscβ dell’elemento equivale, come tipologia d’informazione analogica, alla gp virtuale contenuta nell’afc, si comprende come in questa terza operazione possa dirsi inclusa una trasduzione del terzo tipo. Tale trasduzione del terzo tipo rende coerenti due informazioni ben diverse e specifiche, rispetto alle informazioni dei precedenti due tipi di trasduzione: 1) l’informazione alfa contenuta nel primo cs virtuale dell’afc, sottoposta alla sola trasduzione del secondo tipo, in via separata rispetto agli altri elementi virtuali della ifscα dell’afc, e giustapposta all’informazione alfa contenuta, del pari, nel primo cs virtuale dell’afc ma sottoposta alla trasduzione del primo tipo unitamente agli altri elementi virtuali dell’ifscα dell’afc (si noti che le due informazioni alfa risultano giustapposte nella codifica della CAac, nel punto di confine tra il primo fsc dell’ifscα del primo cs e l’innervazione successiva); 2) l’informazione beta contenuta nell’ifscβ del primo cs, che ha già subito la trasduzione del primo tipo e consiste in una selezione dell’ifscβ dell’afc (estratta grazie ad un’apposita codificazione che etichetta gli fsc dell’ifscβ dell’afc che costituiscono la percezione di sfondo del primo cs virtuale). Il primo tipo d’informazione alfa esprime una personalizzazione acquisita grazie alle increspature delle on.for a monte, che ha un grado di coerenza precedente alla trasduzione del primo tipo, quindi ancora incoerente con la percezione immediata; il secondo tipo d’informazione 167

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riportato) con la dizione “CA(varie)”, che sta ad indicare il collegamento con le varie configurazioni analogiche che ospitano gli elementi a monte o a valle. Il secondo fcs, invece, collegherà il cs direttamente all’fsc successivo484 dell’ifscα dell’afc. Per inciso è fondamentale considerare che un coordinamento più ampio dei flussi informativi, laddove non giustificato da questo o altri ASg di ASg è assicurato dall’analogia singolare grafèica dell’analogia singolare sefèrica che costituisce il salto paradigmatico che conduce al sub-pda. Il secondo elemento di tale analogia è infatti lo stesso afc. Si noti inoltre che, articolando le innervazioni ifsc all’interno degli elementi analogici del sub-pda non sto aggiungendo, all’interno di questi ultimi, dei sub-elementi aggiuntivi, ma sto dicendo che ogni elemento analogico del sub-pda si atteggia come un novero specifico e diversificato di collegamenti485.

alfa esprime la coerenza con la percezione immediata, ma nessuna personalizzazione (essendo completamente asservita alla zip- e racc-fùsis che gestisce la trasduzione del primo tipo o alla zip- e racc-fùsis del secondo tipo oppure essendo così personalizzata da essere già asservita all’ASs della tecnica costitutiva – vd. il saggio Il testo-ricerca -). Quindi il primo tipo di alfa è sempre personalizzata, ma ancora non percettiva in nessuno dei tre tipi di percezione; il secondo tipo di alfa può essere o meno personalizzata (per via della circolarità dell’informazione assicurata dal pdac inconscio) esprimendo in ultima istanza il grado di evoluzione dell’osservatore in quel sub-pda di riferimento, poiché dice se sta adagiando sulla percezione collettivistica, se tale adagiamento è stato colpito da fùsis di fùsis – vd. il saggio Il testo-ricerca -, o infine se ha superato la percezione collettivistica e si è riparato dai colpi della fùsis di fùsis grazie all’accordo costitutivo sull’essere nella sua forma defintivamente sancita. Se si considera infine che beta gestisce la percezione intuitiva e (per collegamento con il più adiacente sc) anche la percezione logico-strutturata del primo cs, la trasduzione del terzo tipo introdurrà l’osservatore nell’intuizione e nella percezione intuitiva e logico-strutturata e nella percezione immediata del grado per lui più evoluto possibile, in relazione al sub-pda di riferimento. Considerando l’attuazione della terza operazione anche per gli elementi successivi (e cioè la sesta operazione di drenaggio dell’afc), possiamo dire che la trasduzione del terzo tipo gestisce, esclusivamente nello stato di coscienza (del primo, quarto o quinto livello configurazionale), la comprensione (intuitiva e intellettiva) e i tre tipi di percezione al grado più evoluto e coerente possibile per l’osservatore interessato. Ciò ci permette di affermare che in stato inconscio l’osservatore torna al grado più involuto (quello della zip- e racc-fùsis della trasduzione del primo tipo), il che spiega tante cose. In primo luogo come sia possibile combattere i tumori con i cd. pensieri positivi o con terapie relazionali come quella del Dr. Hamer; in secondo luogo come mai i tumori non collegati ad inquinamento (ma al cd. stress) divengano pericolosi solo quando iniziano le prime sensazioni negative; in terzo luogo come mai i tumori non si passino da una vita biologica a quella successiva, ma solo i traumi interiori e le capacità innate di risposta adattiva ad essi relativi. Ma oltre a spiegare queste cose, quanto sopra ci permette di affermare che è nel campo della coscienza, e non nell’inconscio, che avviene lo sviluppo dei tumori cd. da stress. Perché un elemento di un sub-pda di un organismo autocosciente sviluppi una zip- e racc-fùsis del secondo tipo e le permette di trasformare il pda in un pda-dist, occorre infatti che l’osservatore faccia emergere il sub-pda nello stato conscio. Inoltre, una simile vicissitudine avviene solo nel primo o nel quarto livello configurazionale, mai nel quinto, in cui si stipula l’accordo costitutivo sull’essere. Infine anche i tumori da inquinamento, come ogni altra malattia da inquinamento, può essere superata (se presa a tempo e con la necessaria cognizione tecnica) facendo leva sullo stato conscio dei sub-pda agganciati dai pda-dist esterni all’organismo, trasformando le zip- e racc-fùseis del secondo tipo in quelle del terzo tipo.];4) la quarta operazione è un pdac inconscio [NdA: si tratta del normale pdac inconscio o virtuale, che però durante il drenaggio dell’afc finisce per assolvere ad una nuova funzione, rispetto alla semplice manutenzione del sub-pda], che dal punto cui siamo arrivati con la terza operazione [NdA: cioè dal punto immediatamente successivo al primo fsc dell’ifscα del primo sc del sub-pda conscio] va ad informare il primo elemento gp virtuale dell’ifscα dell’afc, affinché conformi alla nuova informazione analogica l’intera percezione intuitiva e l’intera percezione logico-strutturale dell’afc (grazie ad un effetto a cascata anche sui successivi e sui precedenti elementi gp virtuali [NdA: se il sub-pda precedente o successivo a quello di riferimento ha lo schema complesso ma è già in stato conscio oppure ha lo schema semplificato, allora l’effetto a cascata riguarda i singoli elementi del sub-pda stesso; se il pda (precedente o successivo) a quello di riferimento ha lo schema complesso ancora in stato inconscio, allora l’effetto a cascata passa per il tramite dell’elemento analogico (agganciato all’altezza del primo fcs) per arrivare fino alla gp virtuale corrispondente; i singoli elementi del sub-pda di riferimento, trovandosi nello schema complesso ancora in fase di drenaggio, saranno agganciati dall’effetto a cascata in due modalità alternative: se l’elemento ha già beneficiato del drenaggio, allora sarà esso stesso ad essere – non solo direttamente agganciato, ma anche – conformato nell’ifscβ; se l’elemento non ha ancora beneficaito del drenaggio, allora esso sarà solo agganciato direttamente, ma non conformato, dovendo al contrario agganciare a sua volta la gp virtuale corrispondente e conformarla]); facendo ciò, va a modificare percettivamente gli elementi virtuali, uti singuli [NdA: la percezione intuitiva e quella logico-strutturale sono infatti percezioni degli elementi presi nella loro individualità, a differenza della percezione immediata che è sempre priva d’individualità; si noti che la messa a fuoco dell’occhio è diversa dalla messa a fuoco della percezione individuale (intuitiva o logico-strutturale), essendovi solo una corrispondenza cd. simbolica tra le due (anche perché la messa a fuoco fisica, proprio in quanto presente in ognuno dei cinque sensi, e perfino nell’autocettività, è solo una realtà tendenzialmente oggettiva appoggiata, proprio ai fini di tale oggettività, sui collettori). La percezione immediata è quindi sempre di sfondo, mentre la percezione intuitiva o logico-strutturale è sempre di oggetti individuali], appartenenti al sub-pda inconscio e successivi al primo, nel mentre stesso che si sta producendo il sub-pda conscio (assicurando così una coerenza estrema, poiché l’osservatore non può notare incongruenze nella percezione immediata inconscia, poiché questa si adatta in tempo reale all’informazione più personalizzata ed evoluta disponibile all’osservatore, passando dal primo tipo di trasduzione di cui alla figura successiva alla seguente e anche dagli altri due tipi di trasduzione, graficizzati solo in parte nella figura successiva a quella successiva a quest’ultima) [NdA: in questo modo l’osservatore non potrà, ad esempio, aver sentore di aver osservato un particolare specifico della stanza in cui si trova, se in fase conscia non si concentra su tale particolare, evitando così sovraccarichi intuitivi, logico-strutturali nonché insorgenze sensoriali ed emozionali inattese rispetto al finalismo cosciente dell’osservatore o ad involuzioni rispetto al proprio grado evolutivo di comprensione e di percezione della realtà. All’osservatore, invece che dischiudersi il sottobosco immenso di percezioni sottese alla realtà, si parerà dinanzi la realtà cd. oggettiva, finché non vorrà scalzare le sue strutture obsolete per guardarci dietro e scoprire il senso relazionale, evolutivo e conservativo, che essa nasconde: poi, una volta scoperto tale senso, la realtà non potrà tornare (nella fase conscia, ma solo in quella inconscia) ad un grado evolutivo precedente di comprensione e di percezione. Tornando alla percezione intuitiva e logico-strutturale, si nota che 168

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2) Se si tratta di un sc, invece, ogni fcs (al pari dell’fcs del cs) sarà costituito da un’ASg di ASg che conduce alla configurazione del concretante-strutturante. Da lì il primo fcs collegherà direttamente l’sc al corrispondente fsc dell’afc. Quest’ultimo fsc collegherà l’sc ad una specifica configurazione analogica e, all’interno di tale configurazione, a tutti gli elementi sc a valle del collegamento stesso. Tale collegamento sarà gestito tra le due afc (quella del sub-pda di origine si collegherà, grazie al fsc, direttamente al fsc corrispondente dell’afc della configurazione collegata). E’ la potenza di coordinamento del grafèico puro a impedire che vi siano errori: in questo caso il perfetto collegamento è assicurato dalla seconda ASg di ASg posto a costituzione dell’fsc. Tale seconda ASg di ASg è quella che dalla configurazione dello strutturante-concretante collega all’afc della configurazione di arrivo. Il secondo fcs, invece, collegherà direttamente l’sc all’fsc dell’afc corrispondente al cs che, nel sub-pda, precede l’sc stesso.

nella versione che recepisce le increspature delle onde formaturali a monte (e nella reiterazione della quarta operazione anche le increspature delle onde formaturali a valle) si vanno ad ingenerare deroghe rispetto alla zip- e racc-fùsis specifica del primo tipo (ma comune ad un’intera civiltà o cultura umana), basate sul vissuto individuale dell’osservatore. Si tratta di vere e proprie deroghe, cioè regole alternative a quelle applicabili in base alla tipizzazione delle zip- e racc-fùseis. Ma si supera un certo grado di contrazione delle zip-fùseis stesse, introducendo elementi incompatibili con qualunque ufc di qualunque zip-fùsis, solo quando l’osservatore deroga rispetto alle zip-fùseis del tipo 0. Tali deroghe non avvengono all’interno di un afc già impostato, ma con l’impostazione di un salto paradigmatico non preimpostato nel 5lc. Volendo l’essere supremo ribellarsi alla vanificazione dell’illusione della realtà, in taluni casi (non sempre) egli imposta, al posto di un’incoerenza della percezione immediata, una percezione immediata deragliante, gestita da zip-fùseis alternative a quelle che gestiscono la trasduzione – di qualunque dei tre tipi - (e che chiameremo zip-fùseis del secondo tipo), che sono in grado d’inquadrare (nella rispettiva codificazione all’interno della CAac) la frustrazione di una zip-fùsis derogata per introduzione di elementi aggiuntivi inconferenti, per dare la risposta dianzi descritta (cioè la percezione immediata deragliante). [Torna indietro al capitolo sulle zip- e racc- fùseis. ] Nel saggio Teoria dell’osservatore e ne Il testo-ricerca chiamiamo queste zip-fùseis alternative con il nome di fùseis di fùseis, con riferimento ad un livello di campo superiore a quello della tecnica non costitutiva (che va a comprimere la fùsis), livello di campo che costituisce appunto una reazione contro la compressione della fùsis. Così, per esempio, la nostra capacità di evitare eventi traumatici, incidenti di vario tipo e scompensi economico-finanziari, costituendo tecniche non costitutive che vanno a comprimere le fùseis che gestiscono il destino legato a tali eventi negativi, trova come contraltare le allergie, che sono appunto il portato anomalo di zip-fùseis, che fanno entrare in gioco nella percezione immediata elementi inconferenti con la normale risposta collettiva costituita nel 5lc dalle zip-fùseis del tipo 0 e del tipo che gestisce la trasduzione (appartenenti al livello di campo della fùsis). Se la percezione immediata stimola increspature ulteriori delle onde formaturali, che suscitano pensieri e sensazioni ossessive (non capaci, cioè, di approdare rispettivamente alle sensazioni e alle emozioni ricercate) possono sorgere, per un altro tipo di meccanismo che qui non sto a spiegare, i tumori. Per evitare sia allergie (o similia) sia tumori, può essere sufficiente (se tale strategia viene seguita abbastanza spesso, con cognizione tecnica e per tempo) di agganciare con un pda-dist il sub-pda nascosto della zip-fùsis che gestisce il primo, secondo o terzo tipo di trasduzione, affinché sia riportata a configurarsi come la corrispondente zip-fùsis di tipo 0, appartenente al livello di campo della fùsis; in alternativa, l’osservatore che diventi interprete-uomo può sviluppare l’accordo costitutivo sull’essere, che consente di cristallizzare CS che introducono zip- e racc-fùseis del terzo tipo, che (con un procedimento che sarà accennato nel seguito) vanno a bypassare quelle del secondo tipo.];5) nella quinta operazione, essendo ormai state riformate (in base alle increspature delle onde formaturali “personalizzate” dall’apposita zip- e racc-fùsis del primo tipo succitata) entrambe le innervazioni dell’afc, dal punto immediatamente successivo al primo fsc del cs s’innesca una sequenza di collegamenti ASg-ASg (che conducono ad un’ulteriore zip-fùsis del primo tipo – che collega solo a valle - e a configurazioni varie) fino al punto immediatamente successivo al primo fsc dell’sc successivo [NdA: si bypassa, così, il terzo tipo di trasduzione (che è quello che gestisce la percezione intuitiva e logico-strutturata “personalizzata” grazie alle increspature delle on.for) e il primo tipo di trasduzione (relativamente al trattamento della sola informazione personalizzata)]; tale operazione serve per tenere conto, nell’intero elemento sc (cioè nelle sue due prime innervazioni, ifscα e ifscβ), delle nuove increspature personalizzate che sono in grado di guidare il focus dell’attenzione dell’osservatore dopo la conformazione delle componenti intuitiva e logico-strutturale e della percezione intuitiva e logico-strutturale di cui alla quarta operazione, ma in modo incoerente rispetto al primo e al terzo tipo di trasduzione (e cioè rispetto alla percezione immediata e alla percezione intuitiva) [La permanenza di uno stato incoerente nella comprensione intellettiva e il fatto che questa incoerenza venga resa coerente con la percezione logico-strutturata dello sc, ancor prima che nei confronti della percezione immediata di sfondo inconscio e della percezione intuitiva conscia, crea delle asimmetrie informazionali analogiche che permettono all’osservatore di trovare il non-so-che anche nella mera comprensione intellettiva della realtà conscia, grazie alla già sopra analizzata figura del sub-schema “ASg-ASg-ASs-ASg-ASg”: tale schema è, dal punto di vista analogico, il più complesso in quanto unisce l’ineffabile all’ineffabile puro, nascondendo un’asimmetria analogica ineffabile alla coscienza intellettiva (su cui così l’osservatore può puntare la propria attenzione come ad un’intuizione concreta: cosa che finora non si poteva spiegare ma solo intuire intimamente) e plasmando quest’ultima grazie a detta asimmetria, che dopo una prima fase d’inconsapevolezza ottiene la sanzione della coscienza nell’accordo costitutivo sull’essere ormai definitivamente sancito - vd. sotto. La struttura intellettiva della realtà diventa così conscia e, in prospettiva, evolutiva!] [NdA: nella precedente NdA ho fatto riferimento al sub-schema “ASg-ASg-ASs-ASg-ASg”, che potrei chiamare “sub-schema padre”, poiché genera l’attenzione concreta grazie all’asimmetria della coerenza, sia a livello d’intelletto del singolo osservatore, sia a livello di strutturazione logica escatologica della salvezza di ogni essere autocosciente. In Trinità o funzioni conoscitive? dovrò analizzare più diffusamente e da un altro punto di vista tale sub-schema]; le prime cinque operazioni si riproducono, mutatis mutandis, come un meccanismo perfetto, per ogni altro elemento del sub-pda conscio [NdA: per capire come funziona questo meccanismo, dobbiamo dividere ciascuna operazione in sequenze di collegamenti ASg-ASg, che prendono inizio e trovano termine nella configurazione analogica di base dell’elemento considerato (quindi, nel caso dell’afc, si tratta della CAac; nel caso del cs, si tratta della CAcs; nel caso dello sc, si tratta della CAcs). Ogni sequenza è graficizzata nella seconda figura che segue, con una freccia di un colore diverso a secondo se il drenaggio delle informazioni analogiche dall’afc agli elementi successivi sia già attivo (colore rosso), versi in una fase di stagnazione in cui si rielaborano le informazioni (altri colori), o infine stia regredendo (colore viola chiaro). Le frecce più sottili, dal colore viola più scuro, rappresentano le operazioni di drenaggio riferite al primo elemento sc. Nella figura in parola, sotto la scritta “1^ operazione” 169

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3) Se si tratta di una gp, il primo fcs si collega (con ASg di ASg) alla configurazione dell’astraente-concretante. Quando il finalismo cosciente prevale in tal senso486, un elemento della configurazione dell’astraente-concretante si collega, per ASg di ASg, con l’ifscα dell’afc per formarvi un nuovo fsc al posto di quello corrispondente al cs successivo alla gp (l’osservatore sta così seguendo consapevolmente una sensazione487). Il secondo fcs rimane dormiente, finché (in corrispondenza dello stato di autocoscienza della sensazione) si collega488 ad un nuovo fsc costituito presso l’ifscα dell’afc. Se la sensazione richiede di passare ad altra configurazione, l’intero sub-pda vi passerà. Tale passaggio, che apre un nuovo sub-pda, ha la sua scaturigine nel secondo fcs della gp. Tale fcs si collega infatti alla configurazione dell’astraente-concretante, in corrispondenza di un elemento che si collega a sua volta (per ASg di ASg) alla configurazione dell’universalizzante-concretante, in corrispondenza di un elemento che si collega a sua volta (per ASg di ASg) ad un

è dunque graficizzata la prima sequenza (che comporta un’automatica giustapposizione dell’informazione analogica del primo fsc dell’ifscα dell’afc al primo fsc dell’ifscβ dell’afc); subito dopo tale sequenza si verifica la sequenza sopra a cui sta scritto “2^ operazione”; subito dopo quest’ultima sequenza si verifica la sequenza sopra a cui sta scritto “3^ operazione” (che riguarda sempre l’intero elemento del sub-pda conscio di cui trattasi); subito dopo la prima parte appena descritta della 3^ operazione, si completa la seconda parte della 1^ operazione, che è costituita dalla consecuzione di sequenze dello stesso tipo dianzi visto, ma che collegano nell’ordine il punto immediatamente successivo del primo fsc dell’ifscα al punto immediatamente successivo ai successivi fsc dell’ifscβ dell’afc; dopo ogni sequenza di questa seconda parte della 1^ operazione, si ripete daccapo e per intero, nel modo sopra descritto, la 2^ operazione (completando così l’informazione analogica del primo fsc del cs in base alla personalizzazione operata dal secondo tipo di trasduzione, ma solo per quanto riguarda le increspature delle onde formaturali rilevate a livello del primo fsc dell’ifscα dell’afc); subito dopo quest’ultima sequenza si verifica di nuovo, nel modo sopra descritto, la 3^ operazione (espandendo l’informazione analogica come sopra completata all’intero cs); subito dopo questa seconda parte della 3^ operazione, si verifica nuovamente la 1^ operazione per l’fsc successivo dell’ifscα dell’afc, cui consegue ogni volta anche la 2^ operazione; subito dopo il completamento della 1^ operazione per il secondo fsc dell’ifscα dell’afc e le seguenti sequenze della 2^ operazione, si ha un nuovo svolgimento della 3^ operazione (che chiameremo “terza parte della 3^ operazione”); dopo la terza parte della 3^ operazione, si ha il completamento della 1^ operazione per ciascuno degli fsc successivi dell’ifscα dell’afc, cui consegue, dopo ciascuna sequenza, una nuova sequenza della 2^ operazione e, a completamento delle sequenze della 1^ e 2^ operazione per il singolo fsc dell’ifscα dell’afc, una nuova edizione della 3^ operazione (che chiameremo “quarta parte della 3^ operazione”); dopo la quarta parte della 3^ operazione, cui segue anche la formazione del primo fsc dell’sc successivo, si verifica la sequenza sopra a cui sta scritto “4^ operazione”; subito dopo quest’ultima sequenza si verifica la sequenza sopra a cui sta scritto “5^ operazione”; subito dopo quest’ultima sequenza si verifica la sequenza sopra a cui sta scritto “6^ operazione”. Si noti che lo scoglio grosso da superare, in questo meccanismo, è il collegamento al primo cs del sub-pda conscio, che può quindi dare quel senso di sbandamento iniziale al risveglio o quando si viene colti sovrappensiero da qualche campanello di allarme proveniente dalla realtà]: gli elementi gp, nonostante siano molto più complessi, non richiedono un’analisi a parte, poiché è il grafèico puro che li differenzia, nell’ifscα, rispetto ai più semplici elementi cs e sc, riproducendo in tale innervazione l’intera percezione di sfondo che sarebbe stata espressa in un’ipotetico afc (mentre invece le ifscβ dei cs e degli sc si occupano della messa a fuoco del solo elemento di riferimento a partire dalla percezione immediata del successivo gp);6) la sesta operazione è la reiterazione della terza, quarta e quinta operazione, ma relativamente a ciascuno degli elementi successivi al primo cs. Tali operazioni vengono reiterate singolarmente per ciascuno di tali elementi, costituendo anche la soluzione di continuità nell’informazione analogica che chiamiamo analogia indiretta. Dal momento che l’informazione analogica non è assistita da una serie continua di analogie singolari, gli elementi analogici si formano proprio in quanto divengono sostituibili, grazie all’alterazione delle loro onde formaturali (e quindi della loro funzione o componente intuitiva – di tipo concreto –, nel caso dei cs, della loro funzione o componente intellettiva – di tipo logico-strutturato –, nel caso degli sc, della loro funzione o componente di percezione immediata, nel caso delle gp). Il singolo elemento cs o sc può veder alterata anche, rispettivamente, la propria percezione intuitiva o la propria percezione logico-strutturata. [Nda: ciò avviene in collegamento ad una modifica delle analogie indirette (e cioè per una sostituzione degli elementi analogici per alterazione delle loro onde formaturali, le cui increspature vengono colte ed elaborate come sopra nelle prime cinque operazioni di drenaggio, modificando l’ifscα dell’elemento in questione)]. La terza operazione, riferita al primo sc, andrà quindi a costituire l’intero sc in questione e, in aggiunta, anche il primo g-gvts (e cioè la percezione del primo corpo dello sfondo percettivo) della prima gp; la quarta operazione andrà a collegare il punto immediatamente successivo al primo g-gvts della prima gp con il punto immediatamente precedente al primo elemento virtuale gp dell’ifscα dell’afc, innescando un nuovo adeguamento della percezione intuitiva e logico-strutturale degli elementi virtuali successivi (compresi i primi due elementi virtuali precedenti); la quinta operazione andrà a collegare il punto immediatamente successivo al primo g-gvts della prima gp con il punto immediatamente successivo al primo fsc del secondo cs; e così via in riferimento ai successivi elementi del sub-pda conscio. Ogni gp risulterà collegata al precedente sc e al successivo cs da analogie indirette: sarà così sostituibile in base alle modifiche delle onde formaturali dei due elementi precedenti, che andranno a invertire il drenaggio dell’afc nella parte indispensabile a gestire le modifiche dell’informazione analogica a livello di predisposizione della navigazione perlustrativa degli elementi virtuali coinvolti, informazione che vada poi a trasmettersi, in base ad un nuovo drenaggio, ai successivi elementi analogici. La ingente semplificazione cui si assiste nella sesta operazione, rispetto alle prime cinque (che riguardano la formazione di un solo elemento, il primo cs) è avvertita in modo ineffabile dall’osservatore-uomo, che in dipendenza di essa può provare noia e perfino il cd. male di esistere. Chi ha molti schemi configurazionali classici di sub-pda nel proprio 170

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elemento ufc del sub-pda che stavamo dianzi studiando (intendo riferirmi al sub-pda dell’afc). All’ufc (che studieremo tra breve) si collega l’afc del nuovo sub-pda. La gp, grazie a tale ufc, può collegare il sub-pda ad una gp del nuovo afc che sia in collegamento con una delle seguenti configurazioni: l’astraente-concretante (in questo caso nel nuovo sub-pda si possono avere sensazioni); l’astraente-strutturante (in questo caso nel nuovo sub-pda si possono avere anche emozioni). Una volta arrivati nel secondo tipo di sub-pda (in cui si possono provare emozioni), sarà possibile – grazie ad un ulteriore gp - approdare ad una delle seguenti configurazioni: l’astraente-strutturante (in questo caso nel nuovo sub-pda si possono avere anche emozioni); l’astraente-universalizzante (in questo caso nel nuovo sub-pda si possono avere anche sentimenti). Da quest’ultimo sub-pda ci si può collegare ad uno dei due tipi precedenti di sub-pda o ad un altro sub-pda dello stesso tipo (cioè collegato, nelle gp, alla configurazione dell’astraente-universalizzante).

organismo (cioè: “ufc-afc-cs-sc-gp-…(reiterazione ad libitum di “cs-sc-gp”)-ufc”), che in stato inconscio subiscono il drenaggio dell’afc, magari caratterizzati anche da lunghe reiterazioni del sub-schema “cs-sc” (cioè quello del pensiero), privo peraltro di elementi gp, tendono senz’altro di più ad esprimere il male di esistere; ma chi lo prova di più, senza poterlo esprimere, è chi ha quasi solo schemi configurazionali del primo livello configurazionale (cioè: “sc-cs-sc-gp-…(reiterazione ad libitum di “cs-sc-gp”)-sc”), in cui non si ha nemmeno il drenaggio, poiché il sub-schema “ufc-afc” è ridotto in partenza, grazie ad apposite zip-fùseis e racc-fùseis del tipo 0 in “sc-cs”. Infatti, mentre il primo tipo di osservatore ha un quarto livello configurazionale molto attivo (ma probabilmente uno scarso ricorso al quinto livello, o solo in un certo settore del sapere e solo in una fase della propria vita, visto il ricorso imperante allo schema del pensiero fine a se stesso), il secondo tipo di osservatore non ha accesso quasi mai al quarto livello (deputato all’interpretazione), quindi non è in grado di formulare interpretazioni che esprimano (rendendolo più sopportabile, in quanto parzialmente superato con appositi salti paradigmatici) il senso del male di esistere. E’ per questo che uno psicologo che si trovi di fronte il classico tipo di casalingo/a che sia anche frustrato/a, condurrà in primo luogo il cliente a formulare interpretazioni sulla propria situazione e su ciò che prova. Se, infine, l’osservatore riesce a compiere frequenti inversioni del drenaggio, finalizzati a modificare singoli elementi, nonché (come abbiamo visto sopra) la loro percezione di sfondo, non solo riuscirà più facilmente a compiere nuovi salti paradigmatici consci, ma si troverà ad avere una sesta operazione molto più complessa e quindi molto più stimolante (o meno annoiante, a secondo del punto di vista).Le sei operazioni sono riportante nella figura successiva a quella seguente. Al termine delle sei operazioni l’afc è completamente drenato, cioè trasformato in coppia di elementi fcs (uno per ogni innervazione ormai drenata). Non appena il sub-pda scivoli nuovamente nel secondo livello configurazionale (inconscio), l’afc si riespande, drenando con un procedimento opposto gli elementi successivi del sub-pda conscio. Ma il sub-pda già ridotto dalla zip-fùsis e dalla racc-fùsis del tipo 0 allo schema semplificato sopra visto (“sc-cs-sc-cs-gp-…(reiterazione ad libitum di “cs-sc-cs-gp”)-sc”), anche se scivola nel secondo livello, non vede la riespansione dell’ufc e dell’afc, che rimangono rispettivamente nella forma di sc e di cs. Non si può pertanto nemmeno parlare di sub-pda, se non forse per la presenza di una zip-fùsis che va a collegare (con un collegamento complesso del tipo: “ASg-ASg-ASs-ASg-ASg”) il punto della CAea [NdA: acronimo che sta per: “configurazione analogica dell’elemento analogico” di riferimento. Se l’elemento analogico di riferimento è una gp, allora la CAea è la configurazione dell’astraente-concretante, o quella dell’astraente-strutturante, o infine quella dell’astraente-universalizzante. Se invece l’elemento analogico di riferimento è un sc, allora la CAea è la CAsc] immediatamente successivo all’ultimo fsc dell’elemento precedente con il punto della CAsc immediatamente precedente al primo fsc dello sc, nonché per la presenza di una racc-fùsis che va a collegare (con un collegamento complesso del medesimo tipo testé indicato) il punto della CAsc immediatamente successivo all’ultimo fsc dello sc al punto della CAcs immediatamente precedente al primo fsc del cs. Gli elementi sc e cs, che rispettivamente sostituiscono nello schema semplificato gli elementi ufc e afc, non sono veri elementi analogici, poiché non permettono neanche qui la propria o altrui sostituzione, per assenza di un’analogia indiretta a collegarli tra loro. Solo gli elementi gp, cs e sc successivi hanno la possibilità di essere sostituiti, poiché collegati da analogie indirette. Con un’analisi abbastanza attenta, basata su vari pdac consci che agganciano le alterazioni a valle dell’onda formaturale in senso stretto (distinguendole con ulteriori pdac dalle variazioni dell’onda formaturale in senso lato), si potrà infatti verificare che il paradigma di riferimento cambia al momento in cui si entri nel sub-pda ridotto. Per comprendere – nello svolgimento del compito in parola - la differenza tra onda formaturale in senso stretto e quella in senso lato, occorre caricare una configurazione che spieghi le caratteristiche e funzionalità della configurazione dell’onda formaturale in senso stretto, permettendo così di reperirle nel seguito configurazionale dell’afc ridotto a cs, attribuendo così all’ufc ridotto a sc il carattere di paradigma specifico di una configurazione apposita. Se, per esempio, sposto una sedia in una stanza, sono entrato senza accorgermene in una configurazione apposita: quella che gestisce gli oggetti che hanno una funzionalità per la vita domestica (mobili e suppellettili). Tale configurazione può essere stata una scoperta per il neonato, ma ad un certo punto del suo sviluppo si è avuta la riduzione dell’ufc e dell’afc relativi, con emersione del sub-pda dal quarto livello al primo livello configurazionale. Si 171

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Se uno di tali elementi successivi all’afc (cioè il cs, l’sc o la gp) arriva allo stato cosciente del primo livello configurazionale, senza riduzione dello schema del salto paradigmatico489, l’osservatore490 può cambiare il prosieguo del sub-pda. Può cioè collegare l’elemento di punta del pda (quello che sta portando avanti il pda, come se ne fosse la gemma apicale491) ad un elemento diverso da quello a cui si collegherebbe ai sensi dell’ifscα dell’afc. Non essendovi cronologia né spazialità euclidea, non si può individuare l’elemento di punta se non adoperando il tipo di dipendenza informativa che lega gli elementi analogici. L’afc è precedente ad ogni elemento del sub-pda, finché siamo nell’inconscio (secondo livello): ma se si entra nel primo livello (quello di più alta consapevolezza) anch’esso è successivo, rispetto ad ogni elemento (d’ora in poi “elemento innovativo”) che abbia innovato il suo ifscα. Ma è anche precedente all’elemento successivo all’elemento innovativo, in quanto ad ogni modifica dell’ifscα dell’afc, tale ifscα deve ulteriormente essere

noti che, se la vita dell’osservatore-uomo non si arricchisce di sempre nuovi sub-pda nel quarto livello (cioè di nuovi salti paradigmatici), s’immiserisce dal punto di vista analogico-configurazionale, anche e soprattutto nel secondo livello (quello dell’inconscio). Chi arricchisce il proprio linguaggio configurazionale con continui drenaggi inversi e con il relativo portato di nuovi salti paradigmatici esprime, d’altro canto, un linguaggio frizzante e accattivante anche con gli altri, allietandoli e rendendoseli affezionati, nonché affezionandosi a ciò che grazie all’interazione con essi lo rende così frizzante: in una parola, diventando loro amico per il fascinoso linguaggio che gl’ispirano. Le lunghe conversazioni di Mosé con Yahwé nella tenda dell’alleanza rappresentano questa capacità dell’uomo di attrarre l’amicizia con il suo fascino linguistico (mi riferisco, naturalmente, all’intero linguaggio del corpo e anche ad ogni altro linguaggio possibile, ultroneo rispetto ad un singolo organismo autocosciente).Infine si noti che il secondo sub-pda nascosto (nel punto della CAac dell’ifscβ dell’afc immediatamente precedente al primo fsc) ci dice quali fsc non considerare, nel drenaggio dei gruppi di fsc dell’ifscβ dall’afc all’elemento analogico del sub-pda di riferimento, drenaggio che avviene fluidamente nel contesto del sub-pda conscio (ma che comunque non esclude il drenaggio inverso nel pdac conscio, come sopra specificato). Immaginiamo che, mentre il pdac conscio sposta l’attenzione da un elemento all’altro del sub-pda di riferimento, cambi l’assetto di gruppi (selezionati per l’appartenenza ad una configurazione della gvts, che nella figura seguente sono graficizzati con la dizione gvts1, gvts2, ecc…) da adoperare nella percezione immediata del singolo elemento (cs o sc) del sub-pda di riferimento, che sarà gestita dalla relativa gp. Il drenaggio comporta il sorgere (qui non graficizzato) di ulteriori collegamenti ASg-ASg in sequenza ordinata e coerente dall’ifscβ dell’afc all’ifscα del primo elemento (cs o sc) del sub-pda di riferimento e dall’ifscα in parola all’ifscβ dell’elemento stesso, seguito dai medesimi collegamenti tra il primo elemento ed il secondo (sc), infine dai medesimi collegamenti tra il secondo elemento e l’elemento gp immediamente successivo (che gestisce la percezione immediata dei primi due elementi, ma che non è fornito che di una sola innervazione). Poi la sequenza di collegamenti ASg-ASg tra afc e primo elemento cs modificato viene soppresso, per lasciar posto ai soli collegamenti analogici indiretti (vd. sopra). L’ufc finale del sub-pda, invece, non sorge per drenaggio dell’afc precedente, ma per integrazione di collegamenti con i cs a monte e con gli sc a valle, che vanno a costituire i vari fsc del suo ifscα (l’ifscβ invece sorge grazie al tipo di zip-fùsis che gestisce la trasduzione, che converte l’ifscα nella percezione di sfondo della scoperta). Tale elemento diventa davvero un ufc (da sc che era in origine) quando acquista i caratteri di definitività degli elementi virtuali della sua prima innervazione, a meno che il suo schema non sia semplificato (e in tal caso non si configurerà con tale carattere di definitività). Vd. figura. Questi momenti di coerenza spiegano la visione più sommaria e impalpabile, ma che mantiene comunque una forte coerenza valutabile e concretamente adoperabile. E’ grazie alle soluzioni di continuità sopra indicate che, invece, il sub-pda può diventare più intensamente incoerente e permettere, in prospettiva, il reperimento di seconde anomalie (che portano al salto paradigmatico conscio) o lo scivolamento nella prima anomalia impostata non per telepatia diffusa ma per etero-telepatia (che conduce al salto paradigmatico inconscio ma non preimpostato nel 5lc). Se lo schema del sub-pda conscio è quello semplificato, sarà più difficile il reperimento di seconde anomalie, come anche di prime anomalie diverse da quelle impostatate dalle zip- e racc-fùseis della telepatia diffusa, poiché la coerenza è più forte, visto che la modifica del sub-pda a mezzo di pdac consci non richiede alcun ridrenaggio, dal momento che l’intero contenuto di un ipotetico afc viene passato di elemento analogico in elemento analogico, a mezzo di ASg-ASg che, non appena avvenuto il passaggio, degradano ad analogie indirette.Prima del drenaggio, nello schema complesso, gli elementi cs e sc sono composti ciascuno da un elemento fcs o da una coppia di elementi fcs, per ogni innervazione. Gli fcs sono delle sorte di segna-posto, che servono durante specifiche operazioni (come la predisposizione della navigazione perlustrativa e come il drenaggio) per attrarre i collegamenti ASg-ASg che compiono operazioni informazionali nel sub-pda di riferimento e per predisporre al grafèico puro (che è il grande esecutore del trasferimento d’informazioni analogiche) una codifica necessaria a svolgere le operazioni stesse secondo l’attuale accordo costitutivo sull’essere. Il grafèico puro potrebbe compiere tali operazioni anche senza tale codifica, ma in tal caso non vi sarebbe traccia dell’accordo in parola, né l’interprete-uomo avrebbe modo di accedere a 172

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adattato grazie al grafèico puro492, per il comporto necessario che concerti un finalismo più complessivo del sub-pda. La svolta finalistica dell’elemento innovativo, infatti, potrebbe avere una portata maggiore della singola modifica introdotta da quest’ultimo. Se infatti mentre guardo un paesaggio mi viene un dubbio e controllo un particolare, potrei arrestare qui la mia attività di controllo oppure approfondirla maggiormente, se trovo qualcuno dei dettagli che cercavo di percepire.

Se uno egli elementi suddetti (cs, sc e gp) arriva allo stato cosciente del primo livello configurazionale, con riduzione dello schema del salto paradigmatico493, vuol dire che l’afc non c’è più se non in forma di fcs e, per il resto delle sue funzioni, è sostituito dal primo cs cui l’fcs collega e dagli elementi successivi al cs nel sub-pda (ad esclusione dell’ultimo, l’ufc, che è anch’esso ridotto a fcs). L’osservatore sta quindi sorvolando il sub-pda, senza possibilità di estensione a molti elementi analogici di ulteriori pda e configurazioni analogiche. Tale estensione sarebbe insomma molto limitata, poco più che meccanica, priva pertanto di un

tale accordo, mancandone la traccia. La struttura dell’elemento cs è fatta da tre innervazioni: l’ifscα è composta da due fcs; l’ifscβ è composta da altre due fcs; l’ifscγ è composta da un solo fcs. L’elemento sc ha la medesima struttura dell’elemento cs. L’elemento gp, invece, è composto da una sola innervazione (ifscα), composta da un solo fcs. Per mera semplicità espressiva, abbiamo mantenuto per tali innervazioni il consueto nome di ifscα/β/γ, anche se prima del drenaggio non contengono alcun elemento fsc. La coppia di elementi fcs della prima innervazione del cs viene adoperata, già prima del drenaggio, per i collegamenti che fanno da sorte d’intermediari per i collegamenti interni all’ifscα dell’afc e per i collegamenti che predispongono la navigazione perlustrativa nei corrispondenti gp virtuali dell’afc. Anche qui la funzione autentica dei sub-elementi fcs è quella di stabilire una traccia dell’accordo costitutivo suddetto: non di aiutare il grafèico puro, quindi, a gestire le funzioni conoscitive inerenti alla realtà, ma di controllarlo nella misura in cui, per amore, si lascia controllare. La formazione degli elementi del sub-pda inconscio dallo schema complesso avviene, originariamente, per gemmazione dall’afc. Il primo cs virtuale, in particolare, si collega per sequenza di ASg-ASg con il primo g-gvts, all’altezza del punto immediatamente successivo al suo ultimo fsc, che a sua volta si collega per sequenza di ASg-ASg al primo fcs del primo cs, costituendolo per la prima volta come codifica dell’interconnessione inscindibile tra l’elemento cs stesso e il corpo (corrispondente alla g-gvts1) cui si riferisce nel suo focus intuitivo. Il primo fcs dell’ifscα del cs trasmette poi (con pdac inconscio) al primo gp virtuale (appartenente all’ifscα dell’afc) l’informazione che lo attiva per la predisposizione della navigazione perlustrativa a monte. Il secondo fcs dell’ifscα del cs trasmette invece l’informazione che aziona il primo sc virtuale, in modo che la coerenza di quest’ultimo con la navigazione a monte sia avvertita dall’osservatore, in modo ineffabile (grazie ai collegamenti ASg-ASg che gestiscono tale intuizione ineffabile pura), come un portato della navigazione in parola, già in fase inconscia (in preparazione del paritetico collegamento che si avrà in fase conscia, capace del pari di stimolare la medesima, ma più forte, intuizione ineffabile pura). Il rapporto tra logica e intuizione, ambiti configurazionali così diversi, viene così avvertito in modo originario come qualcosa di naturale e già implicato in modo inossidabile in se stesso. E’ questo uno degli aspetti senz’altro più sfuggenti dell’illusione della realtà oggettiva, non secondo per potenza ad alcun altro. L’intero assetto e funzionalità degli fcs ci fa capire quanto l’accordo costitutivo sull’essere e la sua traccia siano strategici, nella impostazione della qualità della vita stessa e della comunicazione tra essere e viventi, che si rivela come quintessenza “continente” rispetto alla stessa comunicazione tra organismi autocoscienti. I medesimi collegamenti, mutatis mutandis, interessano il primo elemento sc. Esso sarà azionato dalla prima g-gvts dell’ifscα dell’afc (a sua volta azionata dal primo sc virtuale, che a sua volta era stato come sopra azionato dal secondo fcs dell’ifscα del primo elemento cs). Il primo fcs dell’ifscα dell’elemento sc andrà poi ad azionare la prima gp virtuale, affinché predisponga la navigazione perlustrativa a valle. Il secondo fcs dell’ifscα dell’elemento sc andrà poi ad azionare il secondo cs virtuale, perché ricominci il nuovo ciclo di collegamenti gestiti dalla seconda coppia di elementi virtuali e dalla seconda coppia di elementi effettivi del sub-pda di riferimento. Durante il drenaggio l’ifscα dell’afc trasmette la informazione analogica contenuta nel suo primo fsc all’interno del fcs dell’ifscα del primo cs: il fcs, che è una sorta di mero segna-posto, si trasforma in un fsc quasi del tutto corrispondente a quello trasmesso dall’afc. Le uniche differenze sono che: a) l’innervazione che va ad accoglierlo è costituita dalla CAcs e non dalla CAac (pertanto il sub-pda di codifica della CAac viene sostituito da un sub-pda di codifica della CAcs, che mantiene traccia dell’intera codifica precedente ma non ne attua la funzione cangiante, che rimane come congelata); b) permane un ulteriore sub-pda di codifica, all’interno della CAcs, la cui funzione è gestire, al momento opportuno (cioè nel nuovo scivolamento nell’inconscio o secondo livello configurazionale), il re-drenaggio del cs a favore dell’afc. Nel prosieguo del drenaggio l’ifscα dell’afc trasmette l’informazione analogica relativa ai successivi sub-elementi fsc, tra cui si attua la predisposizione della navigazione perlustrativa, all’ifscβ del cs. Al posto del primo fsc (cs virtuale) dell’afc sorge un fcs, che fa a sua volta da segna-posto per il successivo re-drenaggio. Le medesime operazioni interessano la costituzione del primo sc effettivo e il decadimento del secondo fsc dell’afc a fcs (il medesimo fcs in cui era decaduto il primo fsc dell’ifscα dell’afc). Anche i singoli g-gvts dell’ifscβ dell’afc, non appena costituiscono i vari gp effettivi, si degradano nell’unico fcs dell’ifscβ dell’afc drenato. Ognuna delle operazioni sopra descritte è graficizzata nella figura seguente, 173

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significato evolutivo ulteriore. Si tratta di variazioni stonate sul tema. Il tema è l’ifscα dell’afc (che non c’è più, anzi che viene replicato negli elementi del sub-pda, con una complessità decrescente). Ciò comporta d’altro canto un sovraccarico che si traduce in un senso di sforzo, che è proprio dell’essere ma che viene avvertito direttamente anche dall’osservatore494. Ad esempio, se vado in bicicletta tutti i giorni da anni, non ho sicuramente alcuna possibilità di fare un sub-pda della pedalata in bicicletta nel primo livello senza riduzione del salto paradigmatico495. La pedalata dovrà quindi mantenersi quasi sempre nel secondo livello e le poche volte che potrà assurgere alla coscienza sarà per sostare nel primo livello, quindi quasi solo per fare variazioni di percorso rispetto al tragitto abituale o per fare una sosta aggiuntiva, o per salutare un passante che si conosce. La modifica sarà possibile, ma non il cambiamento complessivo del sub-pda, mancando un finalismo evolutivo o di scoperta. Solo se si verifica un evento straordinario che richiede una prestazione speciale, può esserci una riattivazione dello schema del salto paradigmatico. Ma a livello

salvo quelle relative al drenaggio, che sono graficizzate in altra figura presentata altrove.

Con il drenaggio gli elementi cs e sc si strutturano nel modo seguente: a) l’ifscα è composto da un solo fsc; b) l’ifscβ è composto da molti fsc, che gestiscono nel loro complesso la percezione intuitiva (negli elementi cs) o, rispettivamente, la percezione logico-strutturale (negli elementi sc); c) l’ifscγ (tuttora composto da un solo fcs) fa da raccordo con la gp seguente, stabilendo (anche a prescindere da un pdac conscio) l’attualità di come venga gestita la concentrazione dell’osservatore sulla percezione intuitiva o logico-strutturale rispetto alla percezione di sfondo (gestita, quest’ultima, dalla gp in parola, che con la sua base di CAac e/o CAas e/o CAau gestisce anche la cangianza dello sfondo e, grazie al raccordo diretto con il successivo cs, anche la cangianza di quest’ultimo in caso d’incrocio con pda-dist a monte che ne alterino l’on.for). L’fcs succitato stabilisce quindi delle sequenze di collegamenti ASg-ASg con la gp successiva e con le precedenti ifscα e ifscβ del medesimo elemento cs. Tali sequenze, pur non avendo una cronologia, hanno un ordine di successione, grazie a cui il grafèico puro può far sorgere l’intuizione ineffabile pura della cronologia. Se interviene, frattanto, un pdac conscio, l’intuizione da ineffabile pura diventa solo ineffabile, collocandosi nel solco della trasmutazione dei linguaggi dell’essere ad opera del collettore del tempo cronologico (che è a sua volta basato su 174

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configurazionale cosa succede al singolo elemento, o ai singoli elementi che si modificano nel primo livello configurazionale? Ebbene ogni elemento avrà un ifscα non ridotto a coppia di fcs, ma completo di tutto l’ifscα che era proprio dell’afc nello schema non ridotto. Tuttavia l’ifscα così replicato va ad appesantire il sub-pda (in quanto l’ifscα si riproduce in ogni elemento analogico496 compreso tra l’afc e l’ufc – ridotti ciascuno a singolo fcs - e stimola pdac497 oziosi, qualora il finalismo dell’osservatore diventi più stantìo498) e non consente un adattamento del sub-pda a fini evolutivi. Potremmo dire che nel sub-pda l’osservatore può perseguire solo strategie di collazione e non strategie di ricerca499. L’ifscα completo, nel contesto dell’elemento analogico conscio (appartenente alle categorie del cs, dell’sc e del gp), è necessario per consentire d’individuare quali siano gli elementi cs ed sc a monte e a valle. Ma ha lo svantaggio summenzionato (cioè l’appesantimento dell’elemento analogico) poiché consente i collegamenti indiretti tra gli fsc dell’ifscα, che ne costituiscono la percezione intuitiva, strutturale ed immediata dell’intero sub-

un’ASs, che ne introduce la configurazione). Ma non dobbiamo confondere l’intuizione ineffabile pura della cronologia con la cronologia stessa, che è espressa nella seconda modalità indicata e a condizione che intervenga un pdac conscio. La coerenza tra intuizione ineffabile pura e intuizione ineffabile “semplice” (cioè caratterizzata dalla seconda modalità) è resa possibile dalla telepatia diffusa, nel cui contesto l’essere supremo imposta le zip- e racc-fùseis che dovranno dare l’illusione dello scorrere degli eventi cronologici in costanza e a cadenziazione dell’intuizione ineffabile pura in parola. Tutti i tipi di zip- e racc-fùseis intervengono sull’intuizione ineffabile pura e semplice degli altri osservatori, che hanno così l’illusione che l’osservatore de quo abbia elaborato contenuti analogici di tipo cronologico. Lo stesso osservatore de quo pensa di averli elaborati, poiché in situazione analoga anch’egli ha l’illusione che altri li elaborino. Per superare tale illusione, occorre sostituire una o più zip- e racc-fùseis con salti paradigmatici consci che importino il tragitto di collegamento ad una configurazione creazionale. Non basta, infatti, un qualunque salto paradigmatico conscio per bypassare ognuno dei cinque tipi di zip- e racc-fùseis (e non solo quelle del tipo 0 e del terzo tipo), che presidiano sia il passaggio da un sub-pda all’altro, sia l’intuizione, sia la comprensione intellettiva, sia la trasduzione, sia il drenaggio, sia la coerenza a livello interno agli fsc, sia la coerenza tra gli fsc, tra le innervazioni e tra gli elementi analogici. Solo il collegamento ad una configurazione creazionale, completo di ognuno dei passaggi intermedi, può alterare un sistema complesso e quasi onni-pervadente come la telepatia diffusa.Durante il drenaggio c’è un momento in cui s’iniziano a perdere i primi elementi virtuali dall’ifscα dell’afc e, al contempo, si forma l’elemento fcs che sostituisce tali elementi virtuali. Tale momento è quando la sesta operazione arriva a collegarsi fino al punto immediatamente successivo al primo fsc del secondo cs. E’ allora, infatti, che i primi tre fsc dell’ifscα dell’afc vanno perduti (ma l’informazione analogica è codificata nella CAcs, perdendo così la cangianza che le era assicurata dalla CAac [NdA: l’essere lascia così spazio al movimento consapevole dell’uomo e ai suoi pdac consci; già aveva iniziato a lasciargli spazio con il sistema delle zip- e racc-fùseis, che costituendo una preimpostazione dalla lenta evoluzione conferivano alla rete analogica la illusione della realtà, in cui l’uomo è indirettamente incitato a farsi strada]) e si forma il fcs, la cui funzione e funzionamento vedremo tra breve. E’ anche allora che l’intera ifscβ dell’afc inizia a perdersi (ma l’informazione analogica viene trasferita nella prima gp del sub-pda conscio, per quella parte di percezione di sfondo che riguarda i primi due elementi cs e sc, mantenendo la cangianza in quanto è codificata in una CAac ed eventualmente anche in parte in una CAas ed eventualmente in parte anche in una CAau, quest’ultima solo se il sub-pda arriva fin nel quinto livello configurazionale), con formazione progressiva dei collegamenti del fcs che la sostituisce con le varie gp che vengono volta per volta attivate. Il drenaggio può procedere allo stesso modo, interessando una terzina di cs-sc-gp (o una coppia di cs-sc) dietro l’altra. Non ogni coppia cs-sc, infatti, è seguita da una gp (altrimenti lo stato di autocoscienza del pensiero non potrebbe esprimersi). Non appena poi nel sub-pda si forma un ufc, che introduce al sub-pda successivo, il sub-pda di partenza può tornare inconscio (ma potrebbe esserci un interregno di coscienza prima che ciò avvenga). Quando s’innesca il re-drenaggio (che riporta il sub-pda nell’inconscio o secondo livello configurazionale) le gp del sub-pda trasferiscono la propria informazione analogica al secondo fcs dell’afc, grazie ad una sequenza di collegamenti ASg-ASg, che trasmettono la codifica della CAac/as/au della gp alla CAac dell’ifscβ dell’afc in corrispondenza del fcs. Quest’ultimo si perde o, in caso si sia giunti alla CAau della gp, va a comporre (insieme all’altro fcs) il CS (criterio interpretativo strategico) cristallizzato (vd. il relativo capitolo). In contemporanea, una sequenza di collegamenti ASg-ASg va a trasmettere la codifica dell’ifscα e dell’ifscβ di ciascun elemento analogico nell’ifscα dell’afc, in corrispondenza dell’ultima sequenza del primo fcs, che riconverte e ricodifica nella CAac l’intera informazione analogica delle ifscα e ifscβ suddette. Quanto sopra vale se viene seguito lo schema più complesso ma anche più scorrevole del sub-pda: tale schema non si configura quando il sub-schema “ufc-afc” viene ridotto automaticamente a “sc-cs” (circostanza che si realizza grazie ad una zip-fùsis e ad una racc-fùsis del tipo 0, il cui innesco – che può essere automatico o eventualmente anche conseguire alla riattivazione del sub-pda sfrangiato - corrisponde ad un ampliamento del 5lc [NdA: 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato: vd. relativo capitolo] del singolo osservatore). In quest’ultimo caso il drenaggio comporta il caricamento dell’intero ifscα del cs (corrispondente all’afc) in ogni cs ed sc successivo, mentre rimane uguale il 175

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pda, che tuttavia si riproducono ad ogni successivo elemento (depurate solo dei collegamenti già superati a monte, come vedremo tra breve). Il collegamento indiretto tipo (insito in ogni elemento del sub-pda - collocato nel primo livello configurazionale - successivo all’afc e precedente all’ufc seguente) di cui parlo ha il seguente schema analogico-configurazionale: afc(ifscα(fcs))- ASg - ASg- CA(cs) -ASg- ASg- CA(sc) - ASg – ASg - CA(varie) – ASg – ASg - cs(ifscβ(fscgp1)) - ASg - ASg- CA(sc) -ASg- ASg- CA(cs) - ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg - CA(varie) – ASg – ASg - cs(ifscα(fsccs1)) - ASg - ASg- CA(sc) -ASg- ASg- CA(cs) - ASg – ASg - CA(varie) – ASg – ASg - cs(ifscβ(fsccs1)) - ASg - ASg- CA(sc) -ASg- ASg- CA(cs) - ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg - CA(varie) – ASg – ASg - cs(ifscα(fscsc1)) – ASg - ASg- CA(sc) -ASg- ASg- CA(cs) - ASg – ASg - CA(varie) – ASg – ASg - cs(ifscβ(fscsc1)) – 500 - - cs(ifscβ(fscgp2)) – ecc.. (vd. grafico sottostante per la prosecuzione dello schema; il grafico immediatamente successivo, invece, riporta il caso in cui il sub-pda conscio sia reso accessibile per telepatia diffusa, di modo che l’elemento sc riportato nello schema stesso ha l’ifscβ risultante dal drenaggio

caricamento dell’ifscβ del cs (corrispondente all’afc) nelle gp [NdA: il caricamento della singola gp richiede, come nello schema complesso, una selezione dei g-gvts implicati dalla percezione intuitiva e logico-strutturata della coppia di elementi cs-sc immediatamente precedenti: ciò permette all’osservatore di formare intenzionalmente delle tracce inconsce, come ad esempio le riprese audio-videografiche, le quali non sono generiche ma specifiche sulla base del focus percettivo]. In questo modo i pda che seguono il 5lc divengono più difficoltosi, per la noia della ripetizione di qualcosa d’inneffabilmente gravoso (la ripetizione pedissequa dell’ifscα in ogni nuovo elemento effettivo del sub-pda, diverso dalle gp). La versione più agile di scorrere tra le configurazioni è il secondo livello (inconscio) o, se non si può fare a meno d’interpretare, lo schema non semplificato (più complesso) di sub-pda. Lo schema configurazionale semplificato, d’altro canto, si muove sempre nel primo livello configurazionale.[Torna indietro al capitolo sullo schema configurazionale. ] [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura]A questo proposito cercheremo ora di spiegare, nel linguaggio analogico-configurazionale sin qui adoperato, cosa sia l’onda formaturale in senso lato. Essa viene individuata e valutata (per i profili che espliciteremo) da una specifica configurazione: quella che gestisce i pdac (vd. il relativo capitolo), che è poi la stessa che gestisce il collegamento all’assoluto originario dell’astraente-concretante (individueremo tale configurazione con gli acronimi alternativi di “CApdac” o “CAac”). In tale configurazione si vanno ad individuare due tipologie alternative d’informazioni analogiche (tipo-A e tipo-B), che se identiche in due elementi appartenenti a due pda diversi, comportano la necessità di una scelta sull’elemento prevalente da seguire nel seguito del pdac. Il pda di appartenenza di tale elemento prevalente, rispetto all’altro pda, diventa un pda-dist che ne aggancia il pdac e lo costringe a seguirlo, nel tratto a valle, al posto di seguire l’autonoma evoluzione del pda di origine. Se dunque l’informazione analogica dell’elemento del pda di origine che il pdac va ad agganciare è del tipo-A, anche l’elemento prevalente (appartenente al pda-dist) deve avere un’informazione analogica del tipo-A, altrimenti non può prevalere. Parimenti, se l’informazione analogica dell’elemento del pda di origine che il pdac va ad agganciare è del tipo-B, anche l’elemento prevalente (appartenente al pda-dist) deve avere un’informazione analogica del tipo-B, altrimenti non può prevalere. Tuttavia per prevalere occorre un ulteriore requisito: l’informazione analogica dell’elemento del pda-dist deve essere continente rispetto all’informazione dell’elemento del pda di origine (cioè contenere la sua intera informazione e, in aggiunta, ulteriori collegamenti analogici di tipo intuitivo e logico-strutturale dal finalismo più energetico). L’elemento continente – si badi bene - prevale non in quanto tale, ma solo in quanto si colleghi (con le zip- e racc-fùseis del primo tipo [NdA: cioè quelle che gestiscono i collegamenti tra gli fsc dell’ifscα dell’afc o del cs appartenente allo schema semplificato]) a schemi analogico-configurazionali più coerenti e quindi dotati di un più alto (e quindi più energetico) finalismo. [NdA: nell’alleanza attuale tra interprete-uomo ed essere, il finalismo e la coerenza nella complessità vanno di pari passo. Nell’alleanza futura questo legame viene messo in discussione e reinterpretato.] L’informazione analogica di tipo-A è costituita dai due sub-elementi fcs dell’ifscα del singolo elemento cs o sc, reperibile esclusivamente nello schema configurazionale complesso del sub-pda che si ha nel secondo livello configurazionale (e quindi prima che si avvii il drenaggio dell’afc). Tale informazione di tipo-A può trovare un’informazione continente in un elemento di un pda-dist, solo se quest’ultimo ha lo stesso schema complesso e si trova nel secondo livello configurazionale. Ciò significa che lo schema analogico-configurazionale della tecnica (che è appunto lo schema che ha l’informazione di tipo-A), finché è inconscio, può essere aggredito solo da percorsi tecnici inconsci (ferma comunque la possibilità di aggressioni di pda-dist che colpiscono la zip-fùsis del primo tipo). [L’essere ha così imposto una salvaguardia per la tecnica, anche quella non costitutiva, rispetto all’aggressione delle zip- e racc-fùseis del secondo tipo.] L’informazione analogica di tipo-B è costituita dall’intero ifscα dell’elemento cs o sc di riferimento, reperibile esclusivamente nello schema configurazionale semplificato o nello schema configurazionale complesso in cui si è già realizzato (almeno per l’elemento cs o sc di riferimento) il drenaggio dell’afc. Tale informazione di tipo-B può trovare un’informazione continente, in un elemento di un pda-dist, se quest’ultimo ha lo stesso schema semplificato, sia che si trovi nel primo che nel secondo livello configurazionale, oppure se ha lo schema complesso ma in cui si sia già realizzato il drenaggio dell’afc (nel primo o quarto o quinto livello, pertanto). La continenza permette così sia situazioni di auto-telepatia, sia situazioni di etero-telepatia. Infatti non conta chi sia l’osservatore, se il corpo e/o la sua caratteristica specifica siano individuati grazie all’onda formaturale in senso lato: se quindi la stessa onda è 176

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di una zip-fùsis ; lo stesso grafico, mutatis mutandis, potrebbe essere redatto per l’elemento cs del sub-pda conscio che sia reso accessibile per telepatia diffusa, di modo che l’elemento stesso avrebbe l’ifscβ risultante dal drenaggio di una racc-fùsis). Il significato di tale schema è che nel cs, a livello dell’ifscα, un fsc si collega (grazie ad un’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) alla configurazione analogica del percorso di autocoscienza di controllo (vd. il relativo capitolo); all’interno di tale configurazione, si suppone che si colleghi ad uno o più elementi significativi in sequenza (ma essendo nell’ambito dell’ineffabile o veto conoscitivo (autoimposto) l’osservatore-uomo non può saperlo); da tale/i elemento/i si collega alla configurazioni analogiche che devono gestire la costituzione dell’informazione analogico-configurazionale (grazie ad un’altra analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica); infine l’elemento così costituito nella sua informazione si collega ad un altro fsc della stessa ifscα (grazie ad un’altra analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica). Si noti che gli fsc accessibili al

stata individuata dai percorsi di due osservatori diversi, prevarrà il percorso continente o, se non vi è un percorso continente, potranno mantenersi entrambi. [NdA: la compatibilità tra i pda dallo schema semplificato e i pda dallo schema complesso ma drenato si può avere solo se quest’ultimo schema non appartiene alla tecnica costitutiva, poiché ogni elemento del pda, a quel punto, è contagiato di un finalismo (il non-so-che) dalla relazionalità esponenziale da parte dei pda che direttamente o indirettamente incrocia. Tale contagio si esprime, a livello analogico-configurazionale, nella potenza virtualizzante e virtualizzata che rende gli afc di questi ultimi pda non solo cangianti, ma cangianti in una risultante di direzioni che è evolutiva e comune ad ognuno di tali pda, capace di neutralizzare ogni pda-dist che si frapponga alla meta (che è il cammino stesso). Quindi pur essendovi una teorica possibilità di continenza, essa non ha lunga durata, grazie ai meccanismi di protezione della tecnica costitutiva] [NdA: la permanenza dell’elemento che ha l’informazione di tipo-A, anche in presenza di un’informazione incompatibile ma di tipo-B, viene spazzata via grazie all’uscita dell’osservatore dal secondo livello. Tale uscita avviene in genere prontamente, grazie a specifici campanelli di allarme, ma può avvenire anche dopo molti anni, come nel caso di moti interiori di tipo pulsionale o di legami amorosi o di amicizia, che impediscono di vedere certe realtà. In questi casi, tale permanenza dell’elemento di tipo-A si ricava una propria realtà, che presto o tardi sarà distrutta dai pda-dist di tipo-B, non appena l’osservatore non riporti tale elemento nel primo o quarto o quinto livello configurazionale, con una cd. presa di coscienza (poiché a quel punto l’elemento non è più protetto rispetto all’elemento continente del pda-dist). Se però l’elemento di tipo-A incontra il tragitto di una configurazione creazionale, che si è costituita un percorso completo di ogni tassello mancante, può entrare a far parte della nuova realtà (che bypassa ogni contraria zip- e racc-fùsis e instaura nuove zip- e racc-fùseis del terzo tipo, trasformando in prospettiva l’intera rete analogica delle cose esistenti.] Verifichiamolo con un esempio di fisica classica. Due osservatori (Tizio e Caio) afferrano la stessa sedia, tirandola nella stessa direzione ma con due forze uguali e contrarie solo nel verso (caso 1): in tal caso, nessuno dei due prevarrà, poiché la sedia rimarrà nella stessa esatta posizione. Si noti che una simile situazione sia puramente teorica, cioè nasconda una complessità. E’ sostanzialmente impossibile che due esseri umani siano in grado di tirare una sedia nella stessa direzione, con la stessa forza, ma con verso opposto, se non accordandosi in tal senso dopo alcuni tentativi. Quindi vi è sempre una prima fase in cui i due osservatori non si sono ancora accordati e che, se pure è assistita da una zip- e racc-fùsis di tipo 0, nasconde ulteriori pda che gestiscono l’accordo d’intenti tra i due osservatori e la fase in cui i due tirano in direzioni diverse e con forze diverse. Quando poi i due osservatori si siano ormai accordati per tirare la sedia nella stessa direzione, con la stessa forza, ma con due versi opposti, non sarebbero solo due, ma almeno tre i pda che s’incrociano: a) uno che gestisce l’intenzione e l’agire di Tizio; b) uno che gestisce l’intenzione e l’agire di Caio; c) il terzo che gestisce la posizione della sedia in relazione al confronto tra i primi due percorsi. Il mancato rapporto di continenza tra i due primi pda non comporta l’immobilità della sedia (che anzi, alla stregua del terzo pda, si muove eccome, almeno all’inizio), ma solo il successo dell’accordo tra i due osservatori e l’assenza di uno scorno o sconfitta di sorta a carico di uno qualunque dei due. Lo scorno o sconfitta non interessa alla legge riduzionista di azione-reazione, formultata da Newton, ma la stessa configurabilità della legge in parola nell’esito appena descritto richiede la non continenza dei pda a) e b). L’intento riduzionista della legge di Newton (pur non impedendo direttamente d’interpretare una zip- e racc-fùsis di tipo 0) perde volutamente in complessità: rinuncia così a condurre a sistema volontà, coscienza e movimento dei gravi, limitandosi a studiare quest’ultimo come se le primi due non esistessero. Se invece Caio e Tizio tirano la sedia con forze dalla diversa intensità, in direzioni esattamente opposte (caso 2), solo uno dei due prevarrà, poiché la sedia si sposterà in tale direzione. Anche qui la coscienza e la volontà acquisiscono un rilievo decisivo, in un’analisi complessa che tenga conto di tutti e tre i pda, ma non vengono minimamente toccate dall’analisi riduzionista sopra accennata. Tuttavia in un sistema complesso, si sa, un battito di farfalla in Italia può collegarsi ad un terremoto in Giappone. Se la posizione della sedia tirata da Caio e Tizio fosse un elemento decisivo per evitare qualcosa di simile al terremoto in Giappone, solo la tca potrebbe darci le informazioni per vincolare tale posizione. Dovremmo infatti costruire delle ipotesi su chi abbia coscienza e volontà dello spostamento esecrato della sedia (nella posizione “a rischio di terremoto”) e su come evitare che il relativo pda sia continente rispetto a chi volesse impedire tale spostamento. Considerazioni di questo tipo entrano in gioco, in realtà, nelle questioni di sicurezza del lavoro o, più in generale, di risk management. Le soluzioni in questo campo, purtroppo, non tengono conto di approcci complessi come quello della tca, ma solo dell’approccio riduzionista, che comporta la necessità di confrontare due elementi alla volta, dandone per scontati molti altri (anche se i corsi motivazionali e di PNL si stanno sempre più spostando su un terreno esoterico). Quindi non solo si terranno in considerazione i soli Caio e Tizio, ma si escluderà qualunque rilievo alla loro coscienza e volontà. Se però Caio fosse a capo di una multinazionale dei magneti e la sedia fosse di ferro, Caio potrebbe vincere Tizio con un magnete potentissimo, di cui magari già 177

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collegamento indiretto sono tutti gli fsc a servizio dell’intero sub-pda (nel secondo livello si sarebbero infatti trovati nell’ifscα dell’afc). Il pdac (pda di controllo) è quindi snodabile solo grazie ad altri pdac. Tale circolarità non dà problemi, poiché si possono fare costruzioni ipotetiche a partire dai pda illusori che si trovano oltre i veti conoscitivi che (grazie alle ASg di ASg) sono attratte dai collettori (cioè dagli assoluti derivati: vd. i capitoli precedenti). Il grafèico puro, grazie alla sua posizione negli ASg di ASg, diventa la sede (non esclusiva, ma concertata con l’ASs della configurazione del pdac) per il funzionamento ineffabile del finalismo. È il finalismo “sgangherato”, caotico ma comunque ripetitivo, dei gesti quotidiani che invecchia e ammorba l’organismo. Ma che scelta ha l’uomo dinanzi a tale patologia del finalismo? Potenziare le proprie onde formaturali grazie a nuovi salti paradigmatici e percorsi specifici per il raggiungimento di configurazioni remote. La gp invece avrà un’ifscα uguale a quella degli altri elementi, ma essa non

dispone in un magazzino vicino e, magari, avrebbe anche l’astuzia di portare il magnete nel luogo in cui prevede vi sarebbe lo scontro per lo spostamento della sedia, in una collocazione adatta ad attirare con la massima forza la sedia nella posizione “a rischio di terremoto”. Quindi, mentre nel caso 1 era irrilevante la mancata continenza, qui è decisiva la continenza di uno dei due elementi a confronto (appartenenti a loro volta a due pda distinti). Se, infine, Caio e Tizio tirano la sedia con forze uguali o diverse, ma comunque in direzioni diverse e quindi con vettori non esattamente opposti, la sedia si sposterà in una direzione risultante delle due. Anche qui manca la continenza, ma invece che escludere il raggiungimento della posizione “a rischio di terremoto”, si rimane nel dubbio su tale circostanza. I due pda si limiteranno ad innescare una zip- e racc-fùsis di tipo 0 (d’ora in poi: “z.r.f.-0”), che gestirà lo spostamento della sedia. La casistica (consistente nei tre casi di scuola della legge di azione-reazione di Newton) non rispecchia insomma la realtà analogico-configurazionale, che è complessa. In una realtà davvero complessa non si possono confrontare solo due situazioni alla volta, come nell’esempio fisico appena presentato. Si può ad esempio considerare che due situazioni fisiche, tendenzialmente oggettive, nascondono miriadi di miriadi di percorsi di autocoscienza contemporaneamente all’opera, per dare un risultato altrettanto sfumato in moltissimi rivoli di significato. Concentrandosi sui nostri grimaldelli ermeneutici, ai fini dell’analisi complessa delle situazioni coinvolte da tale esempio, emerge una realtà ben diversa e più variegata. In primo luogo, non ci si concentra sul risultato oggettivo dei due pda messi a confronto. Per arrivare a tale risultato occorrono infatti molti più pda (che effettivamente, in una simile situazione, si dispiegherebbero), che potrebbero essere ricondotti a coerenza di legge fisica solo grazie ad un’apposita zip-fùsis di tipo 0 e alla sua racc-fùsis collegata. Ma la nostra analisi si concentra in primis su due sub-pda: quello che gestisce coscienza e volontà dell’osservatore-Tizio e quello che gestisce coscienza e volontà dell’osservatore-Caio (entrambi in relazione allo spostamento della sedia). In secondo luogo, dovremo stabilire che tipo di sub-pda viene configurato da ciascuno dei due. Poniamo che entrambi configurino un sub-pda dallo schema semplificato. In questo caso non vi è alcuna differenza tra il primo e il secondo livello configurazionale, poiché in entrambi vi sarà un sub-pda prevalente (in quanto continente) e un sub-pda recessivo (in quanto contenuto), oppure due sub-pda paralleli, in quanto nessuno dei due continente rispetto all’altro. [NdA: un sub-pda complesso ma drenato, che entra nel primo livello configurazionale (e cioè in uno stato conscio che non permette l’interpretazione) perde progressivamente la sua onda formaturale in senso lato, diventando sempre più simile ad un sub-pda semplificato, che ha già un’on.for ridotta all’osso. Se non si rinnovano continuamente gl’incroci con altri pda che riattivino la sua energia, il sub-pda complesso ma drenato diventa un sub-pda semplificato, per l’azione delle z.r.f.-0 che vanno a sostituire progressivamente ufc e afc che si trovano nel primo livello suddetto. Non vi è quindi continenza tra elementi di tipo A ed elementi di tipo B, ma la conformazione dei primi al modello dei secondi, prima ancora che si abbia la continenza (che, a quel punto, diventa possiible)]. Il primo caso sarà allora quello in cui Tizio ha impresso più forza di Caio in una direzione uguale ma con il verso a lui opposto. Ma se Tizio o Caio avessero direzionato le proprie forze (uguali o diverse che siano) in direzioni non precisamente opposte, allora né l’uno né l’altro sub-pda costituirebbe un pda-dist, ma vi sarebbe un incrocio tra i due sub-pda senza prevalenza di uno dei due: andrebbero cioè ad informarsi (con un’informazione analogica integrata) gli elementi sc a valle di entrambi i percorsi (con onde formaturali che prendono gli elementi da entrambi i pda a monte), poiché l’elemento cs comune non sarebbe in grado d’integrare, in uno dei due pda, la funzione di pda-dist. Gli elementi di ciascuna sezione di pda a valle terrebbero conto solo in parte (grazie alle onde formaturali) delle nuove posizioni del corpo conteso nello spazio, grazie ad ulteriori incroci con un pda che gestisce tale informazione con una zip- e racc-fùsis di tipo 0, ma nei due pda di cui trattasi non si configurerebbe la prevalenza (sotto forma di continenza sopra esplicitata) dell’elemento dello sforzo di Tizio né di quello dello sforzo di Caio. [NdA: non nego, si badi bene, che vi sia una zip- e racc-fùsis di tipo 0 che si occupa di stabilire la posizione precisa del corpo soggetto a più forze nello spazio euclideo: ma uno degli elementi che vanno a innescare il salto paradigmatico gestito da tale zip- e racc-fùsis è proprio quello risultante dall’incrocio dei due pda suddetti. Tale elemento è decisivo per l’applicazione della fùsis di tipo 0. Se Tizio si mettesse a ragionare sulla legge di Newton di azione-reazione, finirebbe per perdere la prova di forza con Caio e quindi non riuscire a stabilire a proprio vantaggio la posizione finale del corpo conteso. L’elemento d’incrocio suddetto, pertanto, seppur è irrilevante per l’approccio riduzionista della Scienza occidentale, non lo è in campo esoterico, dove si vuole potenziare l’uomo.] Se invece Tizio configurasse un sub-pda tecnico (cioè dallo schema complesso) nel secondo livello, mentre Caio configurasse un sub-pda naturale (cioè dallo schema semplificato), nessuno dei due integrerebbe il pda-dist. Ciò accadrebbe se la sedia fosse di ferro e Tizio attivasse un magnete potentissimo, capace di trascinare la sedia 178

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consentirà alcun salto paradigmatico (almeno finché un pdac non riporta in vigore lo schema del salto paradigmatico). La gp potrà quindi collegarsi solo verso l’elemento successivo nella serie di cui all’ifscα.

prima che Caio riesca ad afferrarla. Se poi Caio inseguisse la sedia con uno scatto felino e riuscisse a riprenderla, applicando una forza precisamente opposta e più forte di quella del magnete, mentre Tizio si fosse frattanto distratto (lasciando così scivolare il proprio sub-pda nel secondo livello configurazionale, che è l’inconscio), i due sub-pda avrebbero entrambi lo schema complesso, ma si troverebbero in due livelli configurazionali diversi (il secondo e il quarto). Qualche secondo dopo Tizio potrebbe cercare la sedia nei pressi del magnete, ma non la cercherebbe mai nella direzione in cui voleva trascinarla Caio (anche questo è un fatto: avremmo cioè ancora una volta evitato la configurazione di un pda-dist). Quindi allo scorno di Tizio si aggiungerebbe la sua iniziale inconsapevolezza, che impedirebbe una pronta reazione da parte sua per correggere il risultato esecrato (che sarebbe così inevitabile, alla stregua della continenza e del volontarismo dell’elemento “sforzo” appartenente al sub-pda di Caio). Se infine Tizio, invece che distrarsi, fosse rimasto attento all’opera del suo magnete e avesse percepito la vittoria di Caio, ebbene ci troveremmo dinanzi a due sub-pda dallo schema complesso, ma siti uno nel quarto livello (mi riferisco al sub-pda di Caio) e uno nel primo livello (mi riferisco al sub-pda di Tizio, che è attento al sub-pda tecnico innescato ma non lo sta più guidando con un’attività interpretativa, tipica del quarto livello). Quindi in questo caso si configura un pda-dist, poiché l’attività intrepretativa di Caio (assente nel sub-pda di Tizio) integra un’on.for di maggiore complessità rispetto a quella di Tizio (ferma nel primo livello ed incapace, pertanto, d’ingrandire all’occorrenza l’onda formaturale del proprio elemento “attrazione magnetica”). Un altro caso in cui si configura il pda-dist (uno dei pochi possibili, sulla base di quanto sopra teorizzato) è quello in cui Tizio, invece di distrarsi, controlli la resistenza opposta da Caio regolando, a mezzo di apposita manopola, la potenza del magnete. Chiunque dei due osservatori prevalga, avrà meglio dosato le risorse (tecnologiche o meno) del proprio organismo ai fini del risultato desiderato. Quindi uno solo dei due sub-pda prevarrà, in qualità di pda-dist; ma se gli elementi considerati dei due sub-pda (per il resto del tutto compatibili) non fossero legati da legame di continenza, in quanto altrettanto complessi, nessuno dei due pda di appartenenza diverrebbe pda-dist dell’altro (e quindi non si avrebbe prevalenza: la sedia resterebbe ferma o si muoverebbe in una direzione diversa da quella voluta da ciascuno dei due). Emerge qui come la complessità, ai fini della prevalenza di un’onda formaturale in senso lato rispetto ad un’altra, non sia una complessità “quantitativa”, ma relazionale, nel senso che Caio (per vincere a mani nude contro Tizio, che adopera un dispositivo magnetico tecnologico) deve mettere in gioco un ifscα (dell’elemento “posizione della sedia”) che abbia precisamente ogni sub-pda nascosto dell’ifscα (dell’elemento “posizione della sedia”) di Tizio, che sia intuitivamente conferente, più qualche ulteriore sub-pda nascosto che sia del pari intuitivamente conferente [NdA: la conferenza è resa possibile grazie all’accordo tra elemento grafèico puro, che gestisce i collegamenti ASg-ASg, e l’analogia singolare sefèrica che trasduce l’informazione analogica con la zip-fùsis dell’apposito tipo tra le due innervazioni dell’elemento afc, cs o sc considerato] con il risultato desiderato. Ciò ci dice che l’osservatore-uomo può far prevalere un proprio sub-pda, che abbia un elemento comune con quello di un altro sub-pda (proprio o altrui), solo avendo elaborato un novero adeguato di precedenti pdac e pda-dist (altrettanto adeguatamente performati) e incrociandoli a monte dell’elemento considerato, ma non troppo a monte (per evitare che l’onda formaturale dell’elemento stesso non ne tenga conto). [Torna indietro al capitolo sui pdac.] [Torna indietro alla nota sul raggio d’increspatura] Occorre infatti precisare che l’onda formaturale in senso lato (come precisato nel relativo capitolo) è costituita dai soli elementi che si trovino attivati nel primo livello configurazionale (cioè quegli elementi, appartenenti ad uno o più dei sub-pda in sequenza, in cui può aversi il pdac conscio e gli elementi più direttamente collegati, per incrocio, agli elementi di tali sub-pda). Si deve tuttavia ulteriormente precisare che tali elementi entrano a far parte dell’onda formaturale con ogni loro sub-pda nascosto, che si trovi nei rispettivi ifscα. Qualora lo schema configurazionale sia quello complesso, ma sito nel secondo livello configurazionale, l’onda formaturale (ad integrazione di quanto detto nel relativo capitolo) sarà costituita dai soli sub-pda nascosti contenuti nell’ifscα dell’elemento di riferimento diverso dall’afc e dall’ufc (innervazione che in tal caso è costituita da una coppia di fcs). In tal caso, non vi sarà quasi mai continenza tra le onde formaturali di un sub-pda tecnico (cioè con schema complesso), se ben performato, e le onde formaturali di un sub-pda naturale (cioè con schema semplificato), poiché è difficile che l’ifscα abbia gli stessi sub-pda nascosti di un fcs, che essendo per l’appunto funzionale al superamento 179

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della situazione naturale ha già la scaltrezza di possedere qualche sub-pda nascosto in più rispetto ad una situazione naturale appositamente ridotta. Così Tizio, prima di azionare il magnete, avrà verificato che la situazione naturale fosse ben specifica (sedia alla distanza giusta e fatta di metallo attraibile con un magnete, nonché senza ostacoli sul suo tragitto) e che la potenza del magnete fosse sufficiente (sviluppando così un fcs che, in deroga alla normale ampiezza dell’ifscα degli elementi naturali, fosse continente rispetto all’ifscα dell’elemento di Caio). Nessun ifscα naturale potrebbe competere contro una tecnica così ben realizzata. Se la tecnica di Tizio fosse stata invece inadeguata, per errori di procedimento, allora il suo fcs non sarebbe stato continente rispetto all’ifscα naturale. Un esempio classico di questo tipo di confronto si ha nel caso di farmaci che curano una specifica malattia: il farmaco in sé non riesce ad essere continente rispetto all’intero novero di ifscα rappresentanti la malattia, ma solo di un loro novero specificamente selezionato. Saranno poi altri sub-pda naturali di guarigione spontanea a dover prevalere sui rimanenti sub-pda naturali configuranti la malattia. Quindi, perché la malattia sia effettivamente vinta, il fcs di chi prescrive il farmaco (cioè del medico) deve essere performato affinché sia continente rispetto ad un novero sufficiente di ifscα naturali, tenuta in conto la capacità del particolare organismo di cui trattasi, per permettere agli ifscα naturali fisiologici di prevalere sugli ifscα naturali patologici. Ciò richiede, come sappiamo, lunghe sperimentazioni e verifiche, oppure avere un destino sfacciatamente fortunato (quella di chi guarisse nella sperimentazione di un nuovo farmaco, non testato – per ipotesi – nemmeno sui topi). Tale destino integrerebbe comunque le stesse caratteristiche, ma senza possibilità di replicarlo in casi simili, per la specificità (ancora incompresa) del caso fortunato. E’ per questo che il criterio cd. evidence based ha una sua validità, entro un certo ambito (quello della tecnica che prevale sulla natura, riducendo quest’ultima nelle sue caratteristiche grazie a tipologizzazioni e procedimentalizzazioni apposite, che chiamiamo “tecnologia”). [Torna indietro alla questione dei rapporti tra tecnica e tecnologia.] Inoltre sappiamo che i farmaci, se adoperati più volte, tendono a perdere l’efficacia originaria per l’organismo in cui sono già stati somministrati, anche se applicati alle stesse situazioni naturali specificamente ridotte. Ciò in quanto la zip-fùsis del primo tipo (che interviene nel drenaggio dell’afc) subisce lo scarto evolutivo imposto da una fùsis di fùsis (e cioè da una zip- e racc-fùsis del secondo tipo, che gestisce la trasduzione dell’elemento afc che è stato sopra considerato). La fùsis di fùsis (o zip- e racc-fùsis del secondo tipo) assurge a quel livello di coordinamento che riporta la tecnica a soggiacere alla fùsis (cioè all’ifscα naturale, che non risulta più contenuto ma continente rispetto all’ifscα tecnica, per via della zip- e racc-fùsis del secondo tipo che va a spogliare quest’ultima – per coerenza - dei collegamenti dell’on.for che la rendevano continente). Per quanto in modo un po’ vorticoso (ma spero non confuso), ho reso conto di buona parte della alternative che si presentano nel confronto tra l’onda formaturale dei sub-pda tecnici e quella dei sub-pda naturali. La tecnica torna a prevalere sulla fùsis di fùsis, grazie ad una zip-fùsis e ad una racc-fùsis del terzo tipo, solo quando l’accordo costitutivo sull’essere dell’interprete-uomo con l’essere supremo viene sancito definitivamente. [Torna indietro alla quinta operazione del drenaggio dell’afc.] Se infatti è sufficiente un salto paradigmatico conscio, per avere l’accordo costitutivo sull’essere, affinchè questo venga sancito definitivamente (come “fuoco che scende dall’alto” e brucia i suoi avversari, cioè i livelli di coordinamento inferiore: fùseis, tecniche non costitutive e fùseis di fùseis) occorre che le zip- e racc-fùseis del secondo tipo, che siano state opportunamente bypassate dalla prima e seconda operazione di drenaggio, con un procedimento che mi accingo a descrivere, vengano rese del tutto superflue grazie all’introduzione delle nuove zip- e racc-fùseis del tipo 0. Il procedimento per bypassare le zip- e racc-fùseis del secondo tipo richiede una particolare coerenza nell’esecuzione della prima e della seconda operazione di drenaggio. Conducendo, infatti, le prime due operazioni all’unisono, con una speciale forma di coerenza, si può bypassare completamente la trasduzione imposta dalle zip-fùseis e dalle racc-fùseis del secondo tipo. Tale speciale forma di coerenza fa leva su una seconda anomalia – non resa percepibile da una esc-fùsis, ma trovata dall’interprete nel mare dell’essere o inconscio - per condurre l’interprete in una configurazione remota di tipo creazionale. Tale configurazione (o una accessibile con ulteriori salti paradigmatici) va a performare dei pda-dist che si occupano di agganciare la zip- e la racc-fùsis del secondo tipo, per farle approdare ad una configurazione diversa, in cui si evita la percezione esecrata dall’interprete stesso. Il procedimento (appena descritto), che rende desuete le zip- e racc-fùseis del secondo tipo ai fini della 180

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compressione della tecnica, richiede di effettuare un percorso di autocoscienza lunghissimo, che porti dalla configurazione creazionale anzidetta fino alle configurazioni del 5lc (tra cui anche quella della zip-fùsis e della racc-fùsis del secondo tipo, che una volta così raggiunte vengono destabilizzate da una nuova esc-fùsis, che può diffondersi a macchia d’olio nel 5lc di un’intera civiltà umana (facendo leva, come spiegato nel relativo capitolo, sulle increspature delle onde formaturali)). Fino ad allora, l’unica forma di diffusione dell’accordo costitutivo (o zip- e racc-fùsis del terzo tipo) è il metodo del ponte mistico, cioè un’etero-telepatia che non rientra nella definizione di telepatia diffusa. L’esito finale (se l’accordo costitutivo diventa definitivo) è che la zip- e la racc-fùsis del terzo tipo vengono sostituite da una zip- e da una racc-fùsis del tipo 0 (che precede la zip- e la racc-fùsis del terzo tipo, le quali configurano rispettivamente l’elemento ufc e l’elemento afc successivi all’afc in cui si attuano la zip- e la racc-fùsis del secondo tipo). Per configurare la zip- e racc-fùsis del tipo 0 in posizione così a monte, occorre ottenere la trasformazione stabile della zip- e racc-fùsis del secondo tipo in una zip- e racc-fùsis che gestisce la trasduzione: ciò è reso possibile dal messaggio universalizzante. Quando si arriva a introdurre un CS in un novero sufficientemente adeguato di osservatori, infatti, l’umanità non riesce a tornare più (se non in casi sempre più rari) alla situazione che configura la zip- e racc-fùsis del secondo tipo, che diventa progressivamente desueta e viene così soppiantata progressivamente dalla nuova zip- e racc-fùsis del tipo 0. Ma per ottenere davvero successo in tale ultimo procedimento, occorre introdurre un messaggio universalizzante (idoneo a sancire l’alleanza attuale o quella futura con l’essere) che, pervadendo (grazie ai CS che recuperano le ASs interne agli fsc dell’ifscβ dell’afc e agli fsc delle gp) la ifscβ dell’afc e le gp, crea nuovi ripetitori che rendono esponenzialmente coerente con se stessi la percezione immediata conformando un nuovo 5lc. Una volta conformato il 5lc al messaggio universalizzante, si ottiene il bypassaggio integrale delle zip- e racc-fùseis del secondo tipo che non siano coerenti con tale nuovo 5lc. Se dunque un novero adeguato di osservatori acquisisce (grazie ai nuovi CS) il nuovo 5lc, operando pertanto una etero-telepatia nei confronti degli altri appartenenti al 5lc (etero-telepatia che li proietta nel nuovo 5lc), anche per questi ultimi le zip- e racc-fùseis bypassate divengono desuete.Torna indietro al cap. sull’onda formaturale.Torna indietro al cap. sulle zip- fùseis . (tipo 0)Torna indietro al cap. sulle zip- fùseis. (secondo tipo)Torna indietro al cap. sulle zip- fùseis . (terzo tipo)Torna indietro al cap. sullo schema analogico.Torna indietro alla nota sull’autopoiesi.

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Figura. Torna indietro. (argomento: trasduzione)

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Si riportano qui di seguito gli schemi del sub-pda di riferimento ancora mancanti, nello stato inconscio (secondo livello configurazionale) e nello stato conscio (primo, quarto o quinto livello), con trasmutazione, per il confronto con il precedente. [Torna indietro al capitolo sul vivente]

Figura. Torna indietro.Torna indietro alla sezione sui tre momenti di coerenza e le tre soluzioni di continuità.Figura. Torna indietro alla nota sulla predisposizione della navigazione perlustrativa.Figura. Torna indietro alla nota sul pdac.[Figura.] Torna indietro alla nota sulla struttura degli elementi effettivi nel sub-pda inconscio (schema completo).

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Figura [Torna indietro]

Come si spiega quindi la coerenza tra percezione immediata e percezione logico-strutturale e intellettiva, al di fuori del caso della produzione e individuazione di seconde anomalie percettive? Cosa avviene, a livello analogico-configurazionale, se l’uomo non diventa uomo-interprete ma rimane nel “brodo” prescodellato dall’essere supremo (così come rivoluzionato in accordo definitivo con l’interprete-uomo grazie al messaggio universalizzante)? Ebbene lo possiamo cogliere nel contesto dello sviluppo del bambino. Questi, da quando è appena nato, e probabilmente già da prima della nascita, inizia a compiere un novero immenso di salti paradigmatici, la maggior parte dei quali sono inconsci (e vanno a costituire il quinto livello confinato, acronimato “5lc”) mentre un novero molto inferiore, ma comunque estremamente rilevante, è composto da salti paradigmatici consci (con eventuale cristallizzazione dei CS nel quinto livello configurazionale non confinato, acronimato “5l”). Il “brodo” suddetto è reso possibile dai sub-pda già attivati a suo tempo, durante lo sviluppo del bambino, nel 5lc. Tali sub-pda, anche se scivolano nell’inconscio, ma purché rimangano esenti da sfrangiamento, supportano la trasduzione sopra analizzata, producendo “vibrazioni” già prescodellate (che non necessitano di ASs né di ASs di ASs che includano il figlio dell’uomo tra i soggetti in accordo, ma solo ASs che accordino tra loro lògos e rùah, che poi si accordano con il grafèico puro grazie ai collegamenti ASs-ASg successivi nello schema analogico di trasduzione che abbiamo sopra analizzato). Chiameremo tali vibrazioni 184

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“prescodellate” con il termine di “permutazioni”. Lo schema di trasduzione, in questo secondo caso, è quindi: “afc.ifscα:fsc(senza permutazioni)-afc.ifscβ:fsc(con permutazioni)-cs.ifscα:fsc(con permutazioni)-…schema analogico-configurazionale a valle(on.for alterate)”. Dove “on.for” sta per “onde formaturali in senso lato”, “afc.ifscβ:” sta per “segue l’esplicitazione del contenuto dell’ifscβ dell’afc”, “cs.ifscα:” sta per “segue l’esplicitazione del contenuto dell’ifscα del cs”. Dal secondo tipo di trasduzione, l’afc ridotto a cs (per via delle zip- e racc-fùseis, che replicano nel 5lc il portato del primo tipo di trasduzione) può diventare nuovamente afc, grazie ad un salto paradigmatico conscio o ad un ponte mistico di auto o etero-telepatia, dal momento che tra l’ufc ridotto a sc e l’afc ridotto a cs vi è un’analogia indiretta, che tollera un novero notevole di ulteriori analogie indirette a sua spiegazione. Introducendo, quindi, le ulteriori analogie indirette (ispirate dalla seconda anomalia percettiva) l’osservatore-uomo può compiere il salto paradigmatico o il ponte mistico anzidetti, trasformando rispettivamente l’sc in ufc e il cs in afc e quindi diventare il signore di ciò di cui la natura (zip-fùseis e racc-fùseis) lo ha dotato. Si pensi al bambino che impara a prendere in mano gli oggetti che prima riusciva solo ad urtare, ma che solo ripetendo più volte quest’operazione (all’inizio serendipica) riesce a dominarla veramente per tutta la vita (al punto che, se da adulto perdesse un braccio, continuerebbe talora a provare la sensazione di afferrare gli oggetti con esso). Il salto paradigmatico generato dal volontarismo umano-ontologico diventa in questo modo replicabile con i metodi di raggiungimento delle configurazioni analogiche remote. Così il cerchio della rivoluzione antropologica fondamentale, in chiave relazionale e conservativa, può chiudersi con la sua “accettazione” più o meno consapevole da parte delle collettività umane, che già ne praticano il portato attuale fino al 5lc già standardizzato nella fase di sviluppo di ogni loro membro.471 In molti altri passi chiamo questa percezione come “percezione immediata” o “percezione di sfondo”. La particolarità della percezione immediata dell’ifscβ dell’afc è che si svolge in ambito completamente inconscio. Inoltre si deve accordare con una pluralità di elementi analogici, tra cui si ha uno scorrimento del pari inconscio.472 L’intuizione in parola riguarda una nuova configurazione, se l’afc è “gemma apicale” del pda (cioè l’elemento analogico più avanzato del pda stesso, che ha in sé la capacità d’istituirne i nuovi elementi). In tal caso, il raggio d’increspatura di ogni sequenza di ogni fsc dell’afc si evolve nel modo che ci accingiamo a simulare. Per condurre tale simulazione dobbiamo, in primo luogo, stabilire un linguaggio speciale per l’argomento (grazie a cui definiremo, tra l’altro, cosa siano i raggi d’increspatura). Il primo tassello di questo linguaggio è stabilire le basi su cui si costruisce la coerenza dei raggi d’increspatura. Questi ultimi sono situati unicamente nello schema analogico, in quanto costituiscono un’informazione meramente analogica (non configurazionale), anche se dipendono in parte dallo schema configurazionale in cui s’inserisce il loro elemento di appartenenza. Noi studiamo i raggi d’increspatura presenti in un afc “gemma apicale” (nel caso, invece, in cui l’afc non sia gemma apicale, i raggi d’increspatura permangono a livello strutturale, ma perdono il loro dinamismo). La base d’increspatura (cioè la base da cui si raccoglie l’informazione analogica che può essere trasfusa ed elaborata nei raggi d’increspatura (d’ora in poi anche: “rdi”)) è quindi, nel nostro caso, costituita dal sub-schema configurazionale ufc-afc-cs, poiché quest’intero sub-schema è privo di analogie indirette (le quali spezzano l’informazione analogica). Per comodità, chiamerò la base d’increspatura con l’acronimo “bdi”. La seconda base da stabilire è quella dell’elemento analogico di riferimento (cioè dell’afc): esso, come già abbiamo studiato, è fondato sulla base della configurazione analogica dell’assoluto originario dell’astraente-concretante (d’ora in poi, indifferentemente chiamata “CAac” o “bde”). Ovviamente, nei contesti in cui parlassimo della bde di un altro tipo di elemento, ad esempio il cs (elemento analogico intuitivo-concreto, basato sulla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante), la bde non coinciderebbe con la CAac (configurazione dell’astraente-concretante) ma con la CAcs (configurazione del concretante-strutturante). E’ molto importante, nel presente contesto, prendere in considerazione anche la bde del sub-elemento fsc: tale bde è la configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante (in acronimo: “CAsc”). [Torna indietro al capitolo sulla cristallizzazione dei CS.] Occorre infine un secondo tassello del linguaggio, che è rappresentato dai livelli nidificatori dei sub-pda/(sub-)elementi rilevanti ai nostri fini. Il livello nidificatorio (o nidificazione) più elevato è quello del “sub-pda di riferimento”, cui l’afc appartiene. In parallelo a tale sub-pda, vi sono i sub-pda a monte (già formati) e i sub-pda a 185

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valle (ancora da formare, in quanto l’afc è gemma apicale del pda). Il livello nidificatorio immediatamente sottostante è quello dell’elemento analogico, che fa parte del sub-pda di riferimento o di altri sub-pda a monte o a valle. Ancora al di sotto abbiamo il livello nidificatorio delle innervazioni del singolo elemento analogico (nell’afc abbiamo solo due innervazioni: ifscα e ifscβ). Ogni innervazione è un particolare schema analogico che sorge sulla bde. Ancora sotto (cioè all’interno di ciascuna innervazione) abbiamo il livello dei sub-elementi fsc. Ancora sotto (cioè all’interno di ogni fsc) abbiamo il livello dei sub-pda di codifica: si tratta di quei sub-pda interni alla bde, che contengono la codificazione preimpostata o la codificazione riassuntiva di una singola sequenza di un fsc o dell’intero fascio di sequenze costituenti un fsc o dell’intera serie di fsc costituenti un’innervazione. Tali codificazioni servono a far individuare in modo tendenzialmente incontrovertibile un (sub-)elemento analogico o una sua innervazione o un corpo (materiale o immateriale) o un gruppo di tali corpi su varie nidificazioni. [Torna indietro alla nota sul drenaggio] [Torna indietro al capitolo sul vivente] La codificazione preimpostata (che tiene conto delle precedenti codificazioni preimpostate e riassuntive all’interno della stessa innervazione, grazie a dei riferimenti in esse contenute all’interno di un ufc speciale, che precede e si collega al sub-pda di codifica, e che viene caricato esclusivamente dall’elemento grafèico puro , in base all’informazione analogica disponibile nell’innervazione stessa) si ha nel sub-pda di codifica immediatamente precedente alla sequenza, o al fascio di sequenze o alla serie di fsc considerata. La codificazione riassuntiva (che salda tra loro le precedenti codificazioni preimpostate e le stesse precedenti codificazioni riassuntive all’interno della stessa innervazione, grazie a dei riferimenti in esse contenute all’interno dell’ufc speciale succitato) si ha al termine della sequenza, o del fascio di sequenze o della serie di fsc, onde assicurare un ulteriore livello più elevato di coerenza, prima di affacciarsi sui livelli di coerenza dello schema configurazionale. [NdA: lo schema analogico avvolge lo schema configurazionale, ma grazie ai s.cod e s.nas ne è anche avvolto. Ciò che dà coerenza al reciproco avvolgimento dei due schemi è la CApdac, che altro non è che la CAac vista nella sua funzione di configurazione “franca”, in cui ogni altra configurazione “riversa” i suoi elementi analogici affinché tra essi possa innestarsi l’on.for in senso lato e da questa le ASs di coerenza/incoerenza. Ciò dà un timbro speciale di qualche tipo al particolare 5lc, con cui un regno della realtà trasmuta i propri linguaggi. La CApdac interviene infatti sia in relazione ai s.cod (collegando i loro ufc con analogie indirette) sia in relazione ai s.nas dei collettori, collegandoli ai s.nas che gestiscono le on.for che innescano le ASs di coerenza/incoerenza, dando a queste figure analogico-configurazionali un timbro speciale che individua intuitivamente il 5lc di appartenenza. Chi passi da un regno della realtà ad un altro, intuisce (via via che si muove nel regno di arrivo) il cambio di timbro speciale del 5lc di riferimento. La CApdac consente anche di configurare le z.r.f. del settimo tipo, che costituendo nuovi salti paradigmatici (consci o inconsci) verso configurazioni simili a quelle dei livelli di coerenza già raggiunti, diffondono a livelli limitrofi le innovazioni delle ASs/z.r.f. già innescate nei primi. Ciò avviene grazie all’individuazione degli elementi comuni a due pda (un pdac e un pda-dist), che è quanto permette ai pda-dist che originano da detti salti di far convergere verso questi ultimi i pdac intercettati grazie a detti elementi comuni.] Anche la codificazione riassuntiva è introdotta, ogni volta, da un apposito ufc speciale. Si veda la figura dello schema analogico dell’fsc, in cui i sub-pda di codifica sono segnalati dal contorno verde: il primo è il sub-pda di codifica preimpostata della bde dell’afc; il secondo è il sub-pda di codifica preimpostata della bde del fsc o della serie di fsc (se trattasi del primo fsc dell’intera innervazione); il terzo è il sub-pda di codifica preimpostata della singola sequenza del fsc; il quarto è il sub-pda di codifica riassuntiva della sequenza (ed eventualmente dell’intero fascio) del fsc; il quinto è il sub-pda di codifica riassuntiva della bde dell’afc, immediatamente seguente alla singola sequenza o all’intero fascio del fsc. In parallelo abbiamo il livello nidificatorio dei sub-pda nascosti: si tratta dei sub-pda che vengono percorsi dal sub-elemento fsc, all’interno di configurazioni agganciate dai collegamenti del tipo ASg-ASg, le quali conferiscono al fsc le sue caratteristiche legate alla specifica funzionalità dell’innervazione di appartenenza. L’informazione contenuta nei sub-pda nascosti viene parzialmente preimpostata nei primi tre sub-pda di codifica, segnalati in verde nella figura sottostante, e viene riportata in modo completo e riassuntivo negli ultimi due sub-pda di codifica, parimenti segnalati in verde. Le differenze tra i sub-pda nascosti, così come progettati nei sub-pda di codifica preimpostata, e i sub-pda nascosti, così come risultanti nei sub-pda di codifica riassuntiva, si giustificano sulla base delle analogie singolari sefèriche (ASs) che collegano tra loro alcuni dei sub-pda nascosti. Infatti l’elemento grafèico puro, che gestisce l’informazione analogica dell’intera innervazione e ne progetta la coerenza, non può decidere né prevedere l’esito di analogie singolari di tale tipo. Si noti che lo schema riportato in tale figura è leggermente inconferente, rispetto allo schema del fsc riportato più sopra, all’interno di questo stesso capitolo. Le inconferenze possono essere spiegate e risolte dall’interprete, considerando la specificità 186

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Come si può in parte notare dai due grafici sovrastanti, nel sub-pda inconscio la trasmutazione opera in primo luogo tramite collegamenti esterni ai sub-elementi fsc dell’ifscα, che vanno a collegare questi ultimi sub-elementi all’ifscβ. Alcuni dei sub-pda nascosti (s.nas) cui gli fsc risultano collegati dalle ASg-ASg sono dunque appartenenti ai collettori. Le configurazioni dei collettori (o assoluti derivati) sono come immense infrastrutture di pda che sono predisposti da zip- e racc-fùseis del sesto tipo. La loro prima collocazione nei collegamenti esterni agli fsc fa sì che costituiscano una propaggine del sub-procedimento di coerenza tipico dell’ifscα dell’afc: essi sono quindi s.nas che generano incoerenza, che viene poi riportata a coerenza dal primo ASs di coerenza dell’ifscβ dell’afc. Il che discende proprio dal fatto che i collegamenti suddetti (in cui sono inseriti i collettori) sono seguiti, invariabilmente, da una ASs di coerenza: pertanto tale ASs pretende di essere preceduta da un sub-procedimento d’incoerenza (gli s.nas che si giustappongono per ASg-ASg, cioè, devono apportare forme di disconnessione logica contrarie al moto universalizzante dell’essere, e cioè devono muoversi nella via del non-essere). Ciò che distingue i collettori dalle altre configurazioni è che portano sempre incoerenza. Le altre configurazioni, invece, portano o incoerenza o coerenza, a secondo che si trovino collocate, rispettivamente, nell’ifscβ o nell’ifscα dell’afc. Quanto detto in questo capoverso vale anche per i collettori che si trovano nei sub-pda consci, ovviamente mutatis mutandis. In particolare, come risulta dal primo dei due grafici precedenti, nel sub-pda conscio i collegamenti contenenti i collettori si dipartono da ciascuno dei sub-elementi fsc dell’ifscα (corrispondenti ad un cs o sc virtuale) di un elemento successivo all’afc (ormai drenato) e arrivano invariabilmente fino al primo fsc della gp successiva.

Nel sub-pda inconscio la trasmutazione, in secondo luogo, opera all’interno di ogni fsc dell’ifscβ dell’afc, purché tale fsc richieda la coerenza con i collettori. Anche qui i s.nas dei collettori svolgono un sub-procedimento d’incoerenza, che culmina ogni volta con un ASs di coerenza. Lo stesso avviene, mutatis mutandis, nel sub-pda conscio, in cui i s.nas dei collettori si annidano in secondo luogo nella gp, attuando del pari il sub-procedimento d’incoerenza in parola. E’ quindi confermato che i collettori si distinguono dalle altre configurazioni poiché portano solo incoerenza501 502. [Torna indietro al capitolo sulla cristallizzazione dei CS.] [Torna indietro al capitolo sul confronto tra teoria della complessità e quella analogico-configurazionale, nel capoverso sulla libertà dell’individuo nel sistema]

L’ifscβ dei tre elementi sopra elencati (cs, sc e gp) avrà il seguente aspetto configurazionale:

dell’argomento di questa seconda figura.Ma una volta chiarito (come abbiamo fatto sopra in questa intera nota) il lessico applicabile, come definiamo infine i raggi d’increspatura? Lo faremo a partire dalla loro funzione, che è quella di dare a ciascun osservatore-uomo, in ogni situazione configurazionale, una propria specifica (per quanto molto similare) capacità di rendere coerente la propria conoscenza percettiva, intuitiva e intellettiva, nonché di potenziarla in modo ineffabile. Coerenza è qui sinonimo sia d’illusione della realtà oggettiva sia di cibernetica (cioè di capacità di guida) dell’interpretazione. I raggi d’increspatura sono quindi il meccanismo fondamentale che integra, nel progetto di coerenza dell’elemento grafèico puro (cfr. link nel cpv. prec.), l’apporto ineffabile a tale coerenza che è offerto dalle ulteriori funzioni conoscitive dell’osservatore e da quest’ultimo, come loro conoscitore o, addirittura, in alcuni casi come loro interprete. Avendone spiegato il lessico di riferimento e la funzione, adesso non possiamo proprio esimerci dal definire i raggi d’increspatura. Per farlo, consideriamo conclusivamente il ruolo che svolgono le ASs (cfr. link nel cpv. prec.) rispetto al progetto di coerenza del summenzionato grafèico puro. Esse deformano ciò che questi ha progettato nelle bde. Tale deformazione, tuttavia, assurge a nuova plasmazione grazie alle immense risorse intuitivo-percettive del grafèico puro, che riportano nuovamente a coerenza l’informazione analogica deformata, nel contesto del tentativo esplicito di quest’ultimo di formare un’illusione sempre più venusta di realtà. Si consideri, come argomento a corredo di quest’affermazione, la crescente venustà del nostro universo, che nasconde come gemma d’inestimabile valore la vita in minuscole biosfere, in cui i viventi (che le vedono come immense) ne corroborano una crescita in bellezza, ancor più esponenziale ed ineffabile, sotto l’occhio trasformante dell’osservatore che cambia all’unisono con essi. Raggio d’increspatura è quindi ogni intuizione cibernetica che, di base, orienta l’osservatore nella costruzione coerente delle onde formaturali nelle (articolazioni dello schema analogico delle) innervazioni di un elemento analogico a partire dalla deformazione del progetto codificato nelle bde e che, nella migliore delle ipotesi, integra una coerenza unica ed inestimabilmente venusta in chi è divenuto interprete dell’essere. Il dispositivo analogico chiamato raggio d’increspatura dà coerenza sia agli elementi analogici (nei loro aspetti intuitivi e intellettivi, retti dall’ifscα dell’afc e da ifscα e ifscβ dei cs e sc) che ai corpi (nei loro aspetti percettivi immediati, retti dall’ifscβ dell’afc e dalle gp). [Torna indietro alla nota sulla trasduzione.] [Torna indietro alla nota sul drenaggio dell’afc.] [Torna indietro alla nota sul secondo collegamento nella formazione del CS]

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1) Nel cs l’ifscβ serve a collegare strettamente, nella realtà osservata, la percezione intuitiva alla percezione (gp). Tale percezione attentiva è il senso dell’esserci della percezione (gp), collegato in qualche modo ineffabile al porre la propria attenzione su un elemento attentivo (cs), a sua volta collegato con ogni altro elemento attentivo (cs) a monte503. Il novero di elementi a monte sarà più o meno esteso a secondo di quanto, rispettivamente, sia meno o più pesante la gp collegata al cs. Lo schema configurazionale-analogico, nel secondo livello (inconscio) e nel primo livello (di più intensa consapevolezza) senza riduzione dello schema del salto paradigmatico, è il seguente: afc(ifscα(fsc)) – ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg – afc(ifscβ(fsc)) – ASg – ASg – mCA(gp) - ASg – ASg – afc(ifscβ(fsc)). Tale schema significa che partendo dall’elemento fsc del cs (sito nell’ifscα dell’afc) ci si collega (grazie ad un’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) ad un elemento504 della configurazione analogica che gestisce la percezione (gp); tale elemento è quello che serve a rendere la percezione di ciò che viene messo a fuoco dall’osservatore; tale elemento (ineffabile per il veto conoscitivo505) si collega (grazie ad analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) all’fsc corrispondente al cs nell’ifscβ dell’afc, per poi ricollegarsi nuovamente a ripetizione (grazie ad analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) a molti altri elementi della configurazione analogica della gp, che (grazie ad analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) si collegano ciascuno al fsc dell’ifscβ dell’afc, onde dare quella visione d’insieme e periferica della percezione sensoriale. L’acronimo mCA(gp) significa proprio che si torna molte volte nella configurazione della gp, per essere smistati ogni volta verso un diverso fsc dell’ifscβ. Lo schema configurazionale-analogico, nel primo livello (di più intensa consapevolezza) con riduzione dello schema del salto paradigmatico, tiene conto del fatto che l’ifscβ competente si trova nel cs, non nell’afc (il cui ifscβ è ridotto a coppia di fcs, che servono a smistare verso il cs o sc giusto, a secondo del tipo di percezione che il finalismo va ad attivare), ma per il resto lo schema è lo stesso. Ulteriore differenza, ma solo funzionale, è che grazie al collegamento indiretto tra ifscα e ifscβ del

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cs, in caso di modifica del cs stesso, anche la percezione dell’intero novero di elementi del sub-pda a valle cambia. Si tratta di un cambiamento on demand, cioè ritagliato sulle esigenze di ogni singolo elemento a valle, ma innescato dalla dipendenza con l’elemento cs a monte. Tale adattamento riguarda solo i cs, in via più diretta. Si configura con l’aggiunta del seguente schema allo schema dianzi espresso (di cui riprendiamo l’ultimo elemento, per far comprendere il trait d’union che li lega): cs(ifscβ(fsc)) - ASg – ASg – mCA(gp) - ASg – ASg – mcs(ifscβ(fsc)). L’acronimo “mcs” si riferisce al novero di cs a valle, ricompresi nel sub-pda. Quest’ultimo schema significa quindi che, qualora si modifichi la percezione del singolo cs, da ognuno dei suoi fsc dell’ifscβ si diparte un’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica, che conduce nella configurazione della gp per una rielaborazione della percezione di ogni cs; dal novero di elementi che si sviluppano in tale configurazione, si diparte un fascio di analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche,

Ad integrazione della nostra simulazione, infine, dobbiamo esplicitare l’informazione analogica trattata in ognuno dei cinque sub-pda di codifica, segnalati in verde nella figura sovrastante. Potrà così emergere in modo più chiaro cosa siano queste intuizioni cibernetiche che abbiamo chiamato “raggi d’increspatura” e che ci permettono così egregiamente ed in modo così coordinato, ma potenzialmente libero, di esprimere onde formaturali coerenti. Nel primo sub-pda di codifica (d’ora in poi anche: “s-cod”), che è la bde dell’afc (cioè la CAac), si riportano le seguenti informazioni analogiche: a) inizia una nuova sequenza di un fsc; b) tale sequenza è la prima del fsc oppure quella successiva ad una precedente sequenza, precisamente individuata da un codice specifico; c) il fsc in questione si trova in una specifica innervazione; d) all’interno di tale innervazione, si colloca per primo o subito dopo un altro fsc, precisamente individuato da un codice specifico; e) l’innervazione appartiene ad uno specifico afc, precisamente individuato grazie al precedente elemento ufc, di cui si codifica il paradigma di riferimento; f) le cangianze progettate per la sequenza e/o l’intero fsc. Nel secondo s-cod, si riportano le seguenti informazioni analogiche: a) le stesse informazioni riportate nel primo s-cod; b) la progettazione del fsc, cioè delle sue sequenze e dei suoi sub-pda nascosti, nonché la progettazione dei precedenti fsc della stessa innervazione, al netto delle cangianze introdotte successivamente dalla CAac e delle ASs (che sono imprevedibili). Nel terzo s-cod, si riportano le seguenti informazioni 189

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che vanno ad informare l’ifscβ di ogni cs a valle. Gli fsc corrispondenti degli elementi sc del sub-pda verrebbero comunque aggiornati, ma ciascuno in collegamento con il rispettivo cs. Quest’ultimo passaggio può essere rappresentato con il seguente schema: cs(ifscβ(fsc)) – ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg – sc(ifscβ(fsc)) - ASg – ASg – CA(sc) - ASg – ASg – sc (ifscα(fsc)). Il primo fsc citato nello schema è quello su cui si pone il focus dell’elemento cs (la percezione attentiva dell’elemento su cui si pone il focus della coscienza). Per individuarlo, tra i tanti cs del sub-pda, occorre far partire un’analogia singolare grafèica da ognuno dei cs, che porta all’ulteriore analogia singolare grafèica solo per l’elemento su cui si pone il focus attentivo. Le analogie singolari devono poi collegare prima alla configurazione della percezione (gp), per impostare prima la percezione strutturale; infine collegheranno alla configurazione dell’sc, per impostare la percezione strutturale (ifscβ) dell’elemento sc di riferimento;

analogiche: a) le stesse informazioni riportate nel primo e nel secondo s-cod; b) la progettazione della singola sequenza del fsc, cioè delle sue sequenze e dei suoi sub-pda nascosti, al netto delle cangianze introdotte successivamente dalla CAac e delle ASs (che sono imprevedibili). Nel quarto s-cod, si riportano le seguenti informazioni analogiche: a) le stesse informazioni riportate nei primi tre s-cod e le rispettive cangianze; b) le informazioni che sostituiscono le cangianze, cioè le ASs e i loro portati informazionali a valle di tipo analogico. Nel quinto s-cod, si riportano le seguenti informazioni analogiche: a) le informazioni riportate nei primi quattro s-cod, oltre alle ulteriori cangianze. Le cangianze sono parti dell’informazione analogica già prodotta nel fsc e/o nell’innervazione, che vengono codificate come da sostituire per un certo finalismo, anch’esso (ma solo in parte) coficabile e sostanzialmente rimandato, nella sua precisa espressione, alle ASs seguenti.Occorre anche simulare il raggio d’increspatura già “scodellato”, che si reperisce in ogni sequenza di ogni fsc dell’afc, quando quest’ultimo elemento non è più “gemma apicale” del pda. Le informazioni analogiche prodotte in ogni s-cod sono le stesse che, ipoteticamente, sono state prodotte la prima volta nell’afc gemma apicale. Parlo in senso ipotetico, poiché la coerenza stessa dello schema analogico-configurazionale è ciò che dà l’illusione di stabilità della codifica, che è tanto più attendibile quanto più complesso è l’organismo dell’osservatore-uomo (quindi l’organismo più complesso è quello dell’interprete-uomo, altrove nei miei saggi chiamato anche figlio dell’uomo).Quanto detto sopra, mutatis mutandis (sia quanto a base d’increspatura che a base dell’elemento), può applicarsi anche ai raggi d’increspatura di ogni elemento analogico diverso dall’afc e, più specificamente, anche ai sub-elementi fcs (presenti nello schema analogico-configurazionale complesso, in cui l’afc non è ancora drenato).In sintesi, possiamo considerare i raggi d’increspatura la forma centrale dell’accordo costitutivo sull’essere [vd. in proposito la spiegazione su cosa sia l’accordo costitutivo nel contributo La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà e nei saggi Analogia singolare, Il testo-ricerca e Trinità o funzioni conoscitive?, scaricabili da www.bridge4will.net], che si stringe nella forma di analogia singolare di analogia singolare. Non risulta quindi strano che tali raggi d’increspatura siano così impalpabili nella loro effettiva struttura: essi costituiscono un confine logico con l’ineffabile puro.Tentiamo tuttavia di scendere più a fondo nella struttura del raggio d’increspatura (d’ora in poi anche: “rdi”), mettendo finalmente a nudo la struttura intima del sub-elemento fsc. Il rdi è innescato da un’analogia singolare sefèrica (d’ora in poi anche: “ASs”). Ma nella stragrande maggioranza dei casi, dovendo gestire a livello collettivistico l’intuizione, la comprensione intellettiva e i tre tipi di percezione (intuitiva, logico-strutturale ed immediata), il rdi dovrà essere automatico e uguale per ogni osservatore-uomo. Nell’ifscα dell’afc l’ASs sarà quindi caratterizzata come zip- e racc-fùsis (del quarto tipo), in quanto mira alla rappresentazione di un elemento cs (appartenente al sub-pda di riferimento) all’interno del sub-elemento fsc, sotto forma di specialissimo collegamento ASg-ASg che assume la forma di ASs. Tale specialissimo collegamento si struttura secondo questo schema analogico: “ASg(grafèico puro-ufc)-ASg(afc-cs-grafèico puro). Nella teoria delle funzioni conoscitive personificate (oggetto del saggio Trinità o funzioni conoscitive?), ci troviamo di fronte ad una analogia singolare di analogia singolare, in cui la prima collega lo pnèuma-percipiente al lògos-figlio dell’uomo e la seconda collega il rùah allo pnèuma-percipiente, ed entrambe le analogie singolari diventano l’analogia singolare di analogia singolare sefèrica che collega l’analogia singolare grafèica tra rùah e pnèuma-percipiente e l’analogia singolare grafèica tra lògos-figlio dell’uomo (che è a sua volta un’analogia singolare sefèrica) e pnèuma-percipiente. E’ questa che ho appena descritto l’analogia singolare più complessa, in grado di anticipare l’informazione analogica successiva (dell’ASg tra pnèuma-percipiente e rùah) rispetto a quella precedente (dell’ASg tra pnèuma-percipiente e lògos-figlio dell’uomo). S’intende che lo pnèuma-percipiente è il grafèico puro e che l’ufc è il lògos-figlio dell’uomo. La zip-fùsis del quarto tipo sarà dunque l’ASs che collega, da un lato l’ASg tra grafèico puro e lògos, dall’altro il lògos al figlio dell’uomo, che insieme compongono l’ufc), dall’altro lato l’ASg tra grafèico puro (successivo all’afc-cs) e l’afc-cs (che sarebbe il rùah). Si ottiene così lo schema analogico, anche se specialissimo, dell’ASs: “ASg-ufc-afc-cs-ASg”. Chiameremo questa ASs con il nome di “ASs d’incoerenza”, poiché tra ufc e afc non vi è un’ASg-ASg, come di regola, ma appunto l’ASs di cui trattasi, la quale pertanto è “più” sefèrica di un’analogia singolare sefèrica (che vedrebbe comunque l’intervento del grafèico puro a riportare coerenza tra i due 190

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2) Nell’sc l’ifscβ serve a collegare strettamente, nella realtà osservata, la percezione strutturale alla percezione (gp). Tale percezione strutturale è il senso dell’esserci della percezione (gp), collegato in qualche modo ineffabile al porsi nella condizione conoscitiva di comprendere la regola cui soggiace un elemento logico-strutturale (sc), a sua volta collegato con ogni altro elemento logico-strutturale (sc) a valle506. La differenza tra percezione strutturale e percezione attentiva è quindi solo nella direzione a monte o a valle degli elementi collegati. La definizione è quindi circolare: gli elementi logico-strutturali sono quelli che si collegano a monte; essi vengono percepiti con la percezione strutturale, che collega i suoi elementi nella direzione a monte. Tale circolarità non fa problema, poiché il problema della circolarità sussiste solo nella via dell’oggettività (o dell’assestamento razionale della realtà), ma per comunicare con il grafèico puro e concordare con esso la realtà, ci vuole la via cd. dell’essere (o della ricerca). La circolarità,

elementi, intesi anche come lògos e rùah). Dovendo, invece, il grafèico puro affannarsi per rendere coerenti le sequenze di ASg-ASg precedenti e successive all’ASs con l’ASs stessa, si ha una giustapposizione di ASg-ASg (comprensivi di sub-pda nascosti, se il fsc rappresenta un sc virtuale) che in una prima fase (dell’sc virtuale) riporta la coerenza e nella seconda fase (che è invece l’unica fase, per il cs virtuale) genera la successiva ASs, fino anche non si esaurisce l’incoerenza strisciante dell’intero fsc. Si noti che è tale incoerenza strisciante che sospinge l’ampliamento dell’onda formaturale in senso lato ed il suo esaurimento a decretarne i limiti di espansione nella direzione a valle (ed indirettamente anche nella direzione a monte, per la necessità di mantenere la coerenza interna all’ifscα dell’afc). L’ASs d’incoerenza, con le successive (una o) due fasi di coerenza, è tuttavia l’eccezione che si realizza per il solo interprete-uomo: l’osservatore-uomo, invece, è vincolato da uno schema di zip- e racc-fùsis. Si noti che nello schema sopra indicato la zip-fùsis è composta dal sub-schema “ASg-ufc” e la racc-fùsis dal sub-schema “afc-cs-ASg” (che va però letto al contrario, cioè “ASg-cs-afc”, per dar conto dell’automatismo della fùsis, che non si ha invece nella ASs d’incoerenza [NdA: mi scuso per non aver rispettato la lettura al contrario nella graficizzazione della figura che descrive le zip- e racc-fuseis nel relativo capitolo. L’ho fatto consapevolmente, per semplicità grafica, in modo da non dover introdurre un ulteriore colore per le racc-fùseis del quarto tipo]). [Torna indietro al capitolo sulle fùseis (quarto tipo).] [Torna indietro al capitolo sul confronto con la teoria della complessità] [Torna indietro all’analisi dei rapporti di forze interni al sistema nel capitolo sul confronto con la teoria della complessità] Tale rappresentazione è resa possibile, a livello d’informazione analogica, dal cumulo di ASg-ASg (+ s.nas [= sub-pda nascosto]) che la precedono ma anche dal cumulo di ASg-ASg (+ s.nas) che la seguono (fino alla successiva ASs), nello schema del fsc corrispondente ad un sc virtuale. Ogni zip- e racc-fùsis, in realtà, a qualunque tipo appartenga, necessita di un novero di collegamenti ASg-ASg a monte, nello schema analogico-configurazionale, per potersi instaurare: così è dunque anche nella racc-fùsis del quarto tipo. Nell’ifscα dell’afc, ogni fsc deve esprimere un elemento cs, sc o gp virtuale, corrispondente rispettivamente ad un elemento cs, sc o gp del sub-pda di riferimento. L’elemento virtuale deve, a sua volta, esprimere al suo interno ciò che gli è proprio, nella rappresentazione corrispondente all’elemento del sub-pda di riferimento. Il cs virtuale esprimerà dunque l’intuizione concreta del cs di riferimento: il sub-elemento fsc avrà dunque il compito di articolare nella bdi il novero di percezioni intuitive dell’onda formaturale (d’ora in poi anche: “on.for”). Tali percezioni intuitive sono costituite, ciascuna, da una sequenza di molti collegamenti ASg-ASg, e si collegano ciascuna alla successiva percezione intuitiva grazie ad un’ASs. Lo sc virtuale esprimerà invece la strutturazione logica del sc di riferimento: il sub-elemento fsc avrà dunque il compito di articolare nella bdi il novero di percezioni logico-strutturali dell’on.for. Tali percezioni logico-strutturali servono a collegare tra loro le percezioni intuitive significate nel precedente cs virtuale e sono quindi costituite, ciascuna, da una sequenza di molti ASg-ASg (+ s.nas) che culmina in un’ASs (corrispondente al sub-schema “ufc-afc” precedente al successivo cs virtuale del sub-pda di riferimento – d’ora in poi “sub-pda-cs-v”) e in un tragitto interno al sub-pda-cs-v che conduce fino al cs virtuale successivo, e così via fino all’ultimo collegamento consentito (tragitto che è composto da tante sequenze di ASg-ASg (+ s.nas), culminanti in ASs, quanti sono gli elementi corrispondenti nel sub-pda-cs-v che lo sc virtuale riesce a raggiungere; l’intero novero di sequenze del tragitto è incluso, con ulteriori ASg-ASg (+ s.nas) che si collocano prima della sua prima ASg-ASg e dopo la sua ultima ASs, in un chiasmo composto da due sub-pda nascosti appartenenti ad una particolare configurazione che chiamerò “configurazione del ch-sub-pda-cs-v” o “CAch-sub-pda-cs-v”). La gp virtuale esprimerà invece la predisposizione della navigazione perlustrativa, che verrà adoperata sia per la successiva eventuale navigazione perlustrativa nel sub-pda di riferimento, sia per raccordare la navigazione perlustrativa ancora ipotetica ed eventuale con la percezione immediata, gestita nell’ifscβ dell’afc. Quindi, mentre il cs virtuale e lo sc virtuale rappresentano l’on.for del corrispondente elemento, la gp virtuale rappresenta un ipotetico ed eventuale tragitto a monte del cs e a valle dello sc. La gp virtuale avrà quindi due sezioni in sequenza, unite tra loro da un sub-schema analogico “ASg-ASg-s.nas-ASg-ASg”, dove “s.nas” sta per sub-pda nascosto, il quale per inciso appartiene ad una particolare configurazione specializzata in questo tipo di collegamento, che chiamerò “configurazione della navigazione perlustrativa” o “CAnp”. La prima sezione sarà formata come il sub-schema di un cs virtuale, che però invece che rappresentare l’on.for del corrispondente cs si occuperà di rappresentare un’ipotetica ed eventuale navigazione perlustrativa che prenda avvio 191

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“caricando”507 gli elementi nel primo elemento dell’analogia singolare sefèrica, entra in relazione profonda con l’analogia singolare grafèica, e quindi con il grafèico puro che ne costituisce il primo o secondo elemento analogico. La differenza tra tali due percezioni si allarga, se consideriamo il loro ruolo nel salto paradigmatico. La percezione strutturale, configurata grazie agli sc, deve superare la limitatezza della visione a valle (che si lascia irretire dall’illusione della realtà trasmutata dai collettori): pertanto occorre portare alla coscienza una pluralità di sc, per poter configurare il nuovo paradigma (ufc). Si tratta, in sostanza, di acquisire elementi che ancora non sono, allungando i pda grazie alla loro gemma apicale. La percezione attentiva, configurata grazie all’afc (collegato a sua volta ai cs), richiede invece di acquisire elementi che già esistono, ma sono raggiungibili solo abbassando il livello della coscienza. Quando ciò accade, infatti, l’osservatore trova accesso all’inconscio (secondo livello configurazionale), in cui non vi sono limiti nella risalita a monte dei

da tale cs. La seconda sezione del gp virtuale sarà formata come il sub-schema dello sc virtuale, che però invece che rappresentare l’on.for del corrispondente sc si occuperà di rappresentare un’ipotetica ed eventuale navigazione perlustrativa che prenda avvio da tale sc (che è poi quello che si collega più direttamente all’ultimo cs espresso nella prima sezione). Emerge qui chiaramente che la sequenzialità interna del sub-elemento fsc rispecchia il paradigma fondamentale del sefèr (in ebraico: “conto, racconto, discorso che convince”), analizzato nel saggio Analogia singolare, scaricabile da www.bridge4will.net, nonché la struttura di un programma informatico, dovendo interfacciarsi ed essere ricollocata come sopra nei sub-pda di codifica. Nell’ifscβ la struttura del fsc ha il compito di esprimere un aspetto o caratteristica di uno fra quattro gruppi di aspetti o caratteristiche, che a loro volta si raggruppano (come raggruppamento di quattro gruppi, chiamato sopra con l’acronimo di g-gvts, che vuol dire “gruppo di gruppi collegati dalla guida dei verbi alla terza singolare”: vd. sopra per la relativa spiegazione) per rappresentare la percezione immediata di un corpo (materiale o immateriale). La formazione di ciascuno di tali fsc avviene per trasduzione. La struttura del fsc dell’ifscβ sarà dunque affatto diversa da quella del fsc dell’ifscα dell’afc. Infatti si tratta di una super-struttura: intendo dire che la struttura del singolo fsc si collega alle altre strutture parallele degli altri fsc, integrandole e/o risultandone integrata. Nella super-struttura degli fsc dell’ifscβ dovremo quindi includere:

a) Un primo fsc del raggruppamento, che definisce con un’apposita configurazione (che chiamerò “configurazione di codifica del gruppo e del corpo” o “CAcgc”) a quale dei quattro tipi di gruppi appartiene il gruppo seguente e quale sia la codifica di riconoscimento del gruppo e del corpo di appartenenza; si noti che questo fsc gestisce l’illusione che nella realtà ci sia un novero di corpi individuabili, in base agli assoluti derivati, per caratteristiche spaziali, cronologiche e di altro tipo; ogni successiva codifica, nelle lettere seguenti, appartiene alla CAcgc [NdA: la codifica che individua un corpo o un gruppo non importa, ad ogni propria ripetizione nell’ifscβ di qualunque afc o in qualunque gp, la “presenza” percettiva del corpo o della specificità del gruppo, ma solo un’istanza di coerenza/incoerenza nella percezione immediata e nelle altre funzioni conoscitive da essa implicate. La codifica, inoltre, subisce gli strali della discontinuità (che si realizza, oltre che in presenza di analogie indirette tra gli elementi analogici, anche nei momenti sopra indicati): può quindi sottrarsi a tale discontinuità e tornare ad essere significativa del riferimento al corpo o gruppo individuato in modo universalizzante nell’intera rete analogica solo grazie alla potenza virtualizzante e virtualizzata del grafèico puro, che rende coerenti tra loro gl’ifscβ degli afc, nonché le gp] [Torna indietro al capitolo sul vivente];

b) Un secondo fsc del raggruppamento, che definisce i tragitti interni al sub-pda di riferimento e i tragitti in altri sub-pda (entrambi grazie alla CAch-sub-pda-cs-v, che individuando quali siano i secondi tipi di tragitti, permette d’individuare anche quelli del primo tipo durante il drenaggio dell’afc) che implicano la percezione immediata del corpo di riferimento e li codifica (con un codice individuale per ciascun tragitto);

c) Un terzo fsc del raggruppamento, costituente il primo fsc del primo gruppo, che individua le possibili tipologie di collocazione del corpo in base a ciascuno dei collettori (vd. tipologie di raggruppamento dei corpi nell’ifscβ dell’afc), tenendo conto dei tragitti di cui alla lettera b), e le assegna ai tragitti corrispondenti grazie alla codificazione suddetta;

d) Un quarto fsc del raggruppamento, costituente il primo fsc del secondo gruppo, che individua i corpi che interagiscono con il corpo di riferimento (con un codice individuabile per ciascun corpo); si noti che l’informazione analogica ancora non dice le caratteristiche dei corpi interagenti, che per adesso sono come semplici etichette con un numero di serie;

e) Un quinto fsc del raggruppamento, costituente il secondo fsc del secondo gruppo, che individua i tragitti tangenti i tragitti di cui alla lettera b) (con un codice individuale per ogni caso di tangenza);

f) Un sesto fsc del raggruppamento, costituente il terzo fsc del secondo gruppo, che individua, per ogni codice di cui alla lettera e), le possibili tipologie di collocazione (in base ai collettori) del singolo corpo interagente con il corpo di riferimento (con un codice individuabile per ogni caso di collocazione);

g) Un settimo fsc del raggruppamento, costituente il quarto fsc del secondo gruppo, che individua, per ogni codice di cui alla lettera f), le possibili interazioni tra le collocazioni ex lett. c) e le collocazioni ex lett. f), con il relativo portato informazionale per ognuna di tali collocazioni (sia quelle ex lett. c), sia quelle ex lett. f));

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vari pda incrocianti il sub-pda su cui si è sviluppato l’ufc. All’ufc può così collegarsi il nuovo afc, cui segue un nuovo sub-pda. Quindi, anche se la produzione dei pda occorrenti all’ufc richiede comunque, di regola, lo scivolamento nell’inconscio, la produzione vera e proprio dell’ufc avviene nel primo livello configurazionale (cioè quello di più intensa consapevolezza); la produzione dell’afc avviene invece nell’inconscio. Lo schema configurazionale-analogico dell’ifscβ dell’sc, nel secondo livello (inconscio) e nel primo livello (di più intensa consapevolezza) senza riduzione dello schema del salto paradigmatico, è il seguente: afc(ifscα(fsc)) – ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg – afc(ifscβ(fsc)) – ASg – ASg – mCA(gp) - ASg – ASg – afc(ifscβ(fsc)). Si noti che lo schema, per ora, è identico a quello per la formazione dell’ifscβ del cs, con l’unica differenza che il primo fsc che compare è quello corrispondente ad un singolo elemento sc (e non ad un elemento cs) del sub-pda di riferimento. Se si passa invece a considerare il secondo schema, quello che permetteva di

h) Un ottavo fsc del raggruppamento, costituente il primo fsc del terzo gruppo, che individua ciascuna caratteristica percettiva che il corpo di riferimento assume, in relazione a ciascun portato di ciascuna specifica interazione di cui alla lett. g), in relazione a ciascuno specifico collettore (con un codice individuabile per ogni assetto ex lett. h));

i) Un nono fsc del raggruppamento, costituente il primo fsc del quarto gruppo, che individua specifici gruppi di corpi interagenti con il corpo di riferimento per ciascuna caratteristica percettiva ex lett. h), con individuazione di ogni specifica caratteristica percettiva che ne sortisce per ogni corpo interagente (con un codice individuabile per ogni caratteristica percettiva ex lett. i);

j) Un decimo fsc del raggruppamento, costituente il secondo fsc del quarto gruppo, che individua, per ciascun codice ex lett. i), un novero di caratteristiche percettive, suddivise per ogni specifico movimento possibile dell’osservatore e degli altri corpi (con un codice individuabile per ogni caratteristica percettiva ex lett. j));

k) Un undicesimo fsc del raggruppamento, costituente il terzo fsc del quarto gruppo, che individua, per ciascun codice ex lett. j), un novero di caratteristiche percettive, suddivise per ogni possibile interazione dei movimenti tra i corpi e per ogni corpo (con un codice individuabile per ogni caratteristica percettiva ex lett. k));

l) Un dodicesimo fsc del raggruppamento, costituente il quarto fsc del quarto gruppo, che si collega ad ogni altro corrispondente fsc degli altri raggruppamenti dell’ifscβ dell’afc, per stabilire in ciascun dodicesimo fsc di ogni raggruppamento le caratteristiche percettive coerenti (con un codice individuabile per ogni caratteristica percettiva coerente);

m) Un tredicesimo fsc del raggruppamento, costituente il quinto fsc del quarto gruppo, che si collega ad ogni altro corrispondente fsc di ogni altro ifscβ di ogni altro afc, per stabilire in ciascun tredicesimo fsc di ogni ifscβ le caratteristiche percettive coerenti;

n) Un quattrordicesimo fsc del raggruppamento, costituente il sesto fsc del quarto gruppo, che si collega ad ogni altro corrispondente fsc di ogni altro ifscβ di ogni altro afc e ad ogni altro ifscα di ogni gp, per stabilire in ciascun quattordicesimo fsc di ogni innervazione appena citata le caratteristiche percettive coerenti.

Ogni fsc di cui alle lettere da a) ad n) è strutturato come sequenza di ASg-ASg culminanti in una ASs di coerenza, cui seguono le eventuali ASg-ASg colleganti ai sub-pda nascosti che contengono le caratteristiche e i codici. La mole informazionale colpisce non solo per la sua immensità, ma per la capacità d’introdurre uno sterminato novero d’illusioni possibili. Le ASs di coerenza si configurano quasi sempre come zip- e racc-fùseis del quinto tipo, salvo che per l’interprete-uomo, che ha la possibilità di costituire ASs di coerenza non orientate alla standardizzazione entro l’attuale 5lc. Può farlo facendo leva sull’ASs di trasduzione, che imprime all’ifscβ dell’afc (o alla gp) una potenza virtualizzante che sprigiona la libertà della coerenza inversa. La coerenza inversa è il procedimento opposto della coerenza che troviamo nell’ifscα. Infatti, invece che dispiegare solo i sub-pda nascosti (s.nas) che portano alle ASs di coerenza (cioè ad ASs che serendipicamente riportano il pda nell’alveo del coordinamento del 5lc), la coerenza inversa moltiplica s.nas inconferenti rispetto a tale azione serendipica, finchè un’ASs si forma spontaneamente, grazie ai collegamenti resi possibili dai s.nas, permettendo che la percezione immediata rientri nell’alveo del coordinamento del 5lc. Quindi la serendipia che riconduce in tale alveo viene costruita, nel caso della coerenza, dai s.nas (e viene scompaginata da ogni ASs, che prende appunto il nome di “ASs d’incoerenza”), nel caso della coerenza inversa, dalle ASs che prendono appunto il nome di “ASs di coerenza” (e viene scompaginata dai s.nas, che sono come sempre inseriti grazie a collegamenti ASg-ASg e quindi possono portare fuori dal seminato anche una configurazione coerente con il 5lc con un novero immenso di pda-dist). Spingendo sull’acceleratore dell’ASs di trasduzione (che passa da zip- e racc-fùsis ad ASs personalizzata) l’interprete riesce ad ampliare la coerenza inversa: tale ampliamento viene qui chiamato con il nome di “potenza virtualizzante”, quanto a spinta trasformante della realtà, e con il nome di “potenza virtualizzata”, quanto ad esiti configurazionali della trasformazione stessa. Ogni ASs di coerenza riesce a sequenziare le informazioni analogiche di ogni lettera (o fsc) precedente, riequilibrando i confini intuitivi dei codici fino a dar loro 193

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coordinare la modifica del singolo cs con i restanti cs e con il suo sc, si nota che un simile schema non si ripropone per l’elemento sc. Solo gli elementi cs, cioè, gestiscono il coordinamento delle modifiche di percorso che avvengono nel primo livello configurazionale. Se infatti l’osservatore volge l’attenzione ad un certo elemento, piuttosto che a quello preimpostato nell’inconscio, cambiano sia la percezione attentiva che quella strutturale. Lo specifico della percezione attentiva è quindi modificare il sub-pda, entro i limiti preimpostati dal paradigma specifico della configurazione analogica in cui si colloca. Lo specifico della percezione strutturale è invece tentare di violare detto paradigma: quando ciò avviene, si ha il salto paradigmatico ad un sub-pda a valle.

3) Nella gp l’ifscβ serve a collegare specifici cs e sc ad un novero cangiante (in grazia del finalismo) di fsc costituenti l’ifscβ dell’afc. In questo modo, concentrandomi su un elemento attentivo (cs) o comprendendo intellettivamente un elemento logico-strutturale (sc), posso anche

coerenza. Si chiama ASs di coerenza proprio perché le precedenti sequenze ASg-ASg avevano introdotto l’incoerenza nell’informazione analogica (al contrario di quanto avviene nell’ifscα dell’afc), imponendo giustapposizioni arbitrarie tra i sub-pda nascosti. Ciò è conferente con la funzione della percezione immediata nell’accordo costitutivo sull’essere: funzione che è stata splendidamente spiegata da F. Nietzche con l’espressione: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”. Lo schema della zip- e racc-fùsis del quinto tipo (come quello della ASs di coerenza) è dunque: “sequenze ASg-ASg – ASg(grafèico puro-ufc) – ASg(grafèico puro-cs-afc) – sequenze ASg-ASg”; tale schema quando va letto come ASs di coerenza concordate dall’interprete e non come semplici zip- e racc-fùsis del quinto tipo, vede l’inversione della posizione del secondo grafèico puro che viene citato: “sequenze ASg-ASg – grafèico puro-ufc-afc-cs-grafèico puro – sequenze ASg-ASg”. Si noti la simmetria e specularità con l’ASs d’incoerenza e, pertanto, con le zip- e racc-fùseis del quarto tipo. [NdA: mi scuso per non aver rispettato la lettura al contrario nella graficizzazione della figura che descrive le zip- e racc-fuseis nel relativo capitolo. L’ho fatto consapevolmente, per semplicità grafica, in modo da non dover introdurre un ulteriore colore per le racc-fùseis del quinto tipo]). [NdA: i sub-pda nascosti dell’ifscβ dell’afc (o della gp) che per l’osservatore rappresentano un materiale a tratti venusto, ma comunque inutile ai fini evolutivi e conservativi, nella venustà avvertita dall’interprete diventano l’innesco delle nuove ASs di coerenza, che spingono ulteriormente (rispetto all’innesco iniziale dell’ASs di trasduzione) l’evoluzione e la conservazione dell’uomo. Ciò giustifica ampiamente la differenza di schema tra le zip- e racc-fùseis del quinto tipo e le ASs di coerenza, che sono appannaggio dell’interprete-uomo.] [NdA: la coerenza inversa gioca un ruolo importante nell’intuizione ineffabile pura. L’osservatore, infatti, senza sapere come, sente che sta per intuire qualcosa (ciò avviene in collegamento con l’avvicendamento di una zip- e racc-fùsis di trasduzione con un’ASs di trasduzione). Quando poi l’interprete sente che ha intuito qualcosa, ma non sa ancora definirlo, vuol dire che si stanno formando le prime ASs di coerenza (all’interno dell’ifscβ dell’afc che ha visto il sorgere dell’ASs di trasduzione). Quando infine riesce a definire la propria intuizione con elementi intellettivi, significa che la coerenza dell’ifscα con l’ifscβ in cui sono sorte le ASs di coerenza è dilagata non solo agli elementi del sub-pda di riferimento, ma anche a quelli incrociati dai pdac consci che da esso sono sorti, giungendo (grazie anche ad eventuali pda-dist) al compimento di uno o più salti paradigmatici consci. Se si arriva fino alla cristallizzazione di un CS, chiameremo l’osservatore con il nome d’interprete (almeno in collegamento con la formazione di tale CS). Quindi, quando sopra (nelle NdA e nella nota al testo) ho chiamato l’osservatore con il nome d’interprete – che è come chiamarlo “figlio dell’uomo” – dovevo condizionare (pur con un discorso ex ante) l’uso di tale espressione al successivo raggiungimento dello scoglio della cristallizzazione di un CS. L’osservatore che compie un salto paradigmatico conscio ma non è ancora pronto a cristallizzarlo in un CS non è ancora scelto dall’essere; l’interprete è invece scelto dall’essere per la cristallizzazione dei CS in quanto il suo finalismo entra in sintonia con quello dell’essere. D’altronde, se l’osservatore non cristallizza il CS (dimostrandosi così come l’interprete), le ASs di coerenza tornano zip- e racc-fùseis del quinto tipo e il salto paradigmatico non attecchisce nell’essere (quanto meno non in collegamento con tale osservatore, che non ne rappresenta la garanzia di permanenza e di espansione fino al 5lc).] [Torna indietro al capitolo sulle fùseis (quinto tipo).]Il raggio d’increspatura è quindi ogni sub-schema analogico, susseguente ad ogni ASs di ogni fsc dell’ifscα e dell’ifscβ dell’afc, che si articola (includendovi l’ASs) così: “ASs-ASg-ASg-(ripetizione, fino a coerenza, di ASg-ASg)”. Si sottintende che ogni collegamento ASg-ASg conduce ad un sub-pda nascosto. Si consideri, infine, che nei sub-pda nascosti non vi sono ulteriori ASs, che sono invece costituite da collegamenti ASg-ASg diretti verso il sub-schema ufc-afc, i cui elementi costitutivi si reperiscono quindi nei precedenti collegamenti ASg-ASg, ripercorsi a ritroso fino ad una bde ed esclusa quest’ultima. Nella sequenza del fsc vi è quindi una sezione introduttiva, rappresentata dai sub-pda di codifica (inclusi nelle bde), e una sezione che opera la coerenza, rappresentata dal sub-schema “ASg-ASg-s.nas-(ripetizione ad libitum “ASg-ASg-s.nas”)-ASs-ASg-ASg-s.nas-(ripetizione, fino a coerenza, di “ASg-ASg-s.nas”)-ASg-ASg”, che si ricollega ai s.cod delle bde.Lo schema analogico di un fsc interno all’ifscα dell’afc risulta così il seguente: “[s.cod(CAac)-ASg-ASg-]s.cod(CAfsc)-ASg-ASg-s.cod(CAsc)-ASg-ASg-s.nas-(ripetizione ad libitum “ASg-ASg-s.nas”)-ASs-ASg-ASg-s.nas-(ripetizione, fino a coerenza, di “ASg-ASg-s.nas”)-ASg-ASg-s.cod(CAsc)[-ASg-ASg-s.cod(CAac)]”. Se sostituiamo i sub-schemi corrispondenti ai rdi con la dizione “rdi”, si ottiene il seguente schema: “[s.cod(CAac)-ASg-ASg-]s.cod(CAfsc)-ASg-ASg-s.cod(CAsc)-ASg-ASg-s.nas-(ripetizione ad libitum “ASg-ASg-s.nas”)-ASs-ASg-ASg-s.nas-(ripetizione, fino a coerenza, di “ASg-ASg-s.nas”)-(ripetizione ad libitum dell’intero sub-schema successivo a s.cod(CAsc))-ASg-ASg-s.cod(CAsc)[-ASg-ASg-s.cod(CAac)]”. Se omettiamo d’indicare gli ASg-ASg, sostituiamo gli s.cod con la menzione collettiva di bde, indichiamo un unico s.nas (sottintendendo che il suo sub-schema va ripetuto ad libitum) sostituiamo le ASs con la menzione delle zip- e racc-fùseis (in acronimo “z.r.f”) che normalmente le dirigono e sostituiamo i sub-schemi “ASg-ASg-s.nas” successivi alle ASs con la menzione del rdi (sottintendendo che il suo sub-schema va ripetuto ad libitum), otteniamo il seguente schema 194

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scivolare nel mare dell’essere (inconscio o secondo livello configurazionale) e vagare in una percezione per associazione cangiante (e imprevedibile per l’osservatore) di fsc dell’ifscβ dell’afc508. E’ l’intenzione del concentramento sulla percezione, collegata all’effettivo concentramento in parola, a farci parlare di gp. La sua efficacia, ai fini evolutivi509, dipende dal preciso finalismo che vi è collegato. In collegamento ad ogni cs e al suo sc, vi è dunque una gp. Come si configura tale collegamento? Il suo schema è identico, sia per il cs che per l’sc. Si tratta infatti di due schemi paralleli, uno per il cs e uno per il suo sc (cioè per l’sc più direttamente collegato al cs). Detto schema è: cs/sc(ifscβ(fsc)) - ASg – ASg – CA(gp) - ASg – ASg - gp(ifscβ(fsc)) – ASg – ASg – mCA(gp) – ASg – ASg - afc(ifscβ(fsc)) – ASg – ASg – CA(cs) - ASg – ASg – cs(ifscα) – ASg – ASg – CA(cs) - ASg – ASg – CA(sc) - sc(ifscα). Si noti, preliminarmente, che qui l’ifscβ dell’afc non è mai una coppia di fcs, in quanto la gp è accessibile solo nel secondo livello (inconscio). Chi vi accede, anche se si trova nel

sintetico del fsc dell’ifscα dell’afc: “bde - s.nas - z.r.f -rdi – (ripetizione ad libitum del sub-schema successivo a bde) - bde”. Si noti che il sub-schema “s.nas – z.r.f – rdi” corrisponde ai due elementi virtuali cs e sc, che costituiscono una parte dell’onda formaturale o della navigazione perlustrativa stabilite nel fsc. Tale sub-schema va ripetuto, quindi, tante volte quante sono le coppie di elementi cs e sc nell’onda formaturale (a monte e a valle) o nella navigazione perlustrativa stabilite nel fsc. Nel fsc corrispondente ad un cs o ad un sc, quindi, in cui l’onda formaturale è rispettivamente tutta a monte o tutta a valle (salvo il collegamento con il sc/cs della coppia), si avrà la ripetizione dello schema “s.nas – z.r.f. – rdi” in un’unica direzione, rispettivamente a monte o a valle. Tuttavia nel cs virtuale il sub-schema in parola si ripeterà con una modifica molto rilevante: infatti, dopo la sua prima apparizione, le successive reiterazioni riducono il rdi a singolo e semplice “ASg-ASg-s.nas”, cioè al sub-schema che individua un cs (virtuale o meno) a monte. Nel sc virtuale, invece, il sub-schema in parola non può essere semplificato, poiché un elemento logico-strutturale senza il suo elemento intuitivo concreto più direttamente collegato non ha alcun significato intuibile. Il cs virtuale sarà così tendenzialmente incoerente, invece lo sc virtuale sarà tendenzialmente coerente. I pda sospesi (in cui la gemma apicale è inattiva ma ancora presente) sono così individuabili in quelli che terminano con un cs virtuale (o anche un cs tout court, in quanto nel suo ifscα vi è comunque un cs virtuale a chiusura dell’innervazione); i pda pienamente strutturati e concretati (in cui la gemma apicale non è più presente, per perdita di finalismo) sono individuabili in quelli che terminano con un sc virtuale (o anche un sc tout court, in quanto nel suo ifscα vi è comunque un sc virtuale a chiusura dell’innervazione); i pda interrotti (in cui la gemma apicale non è più presente, perché il suo finalismo subisce la prevalenza del finalismo del pda di disturbo) perde per sfrangiamento l’ultimo cs virtuale (o anche un cs tout court); i pda oppressi (che sono pda sospesi in cui vi è una ripetizione inconscia, e a tratti conscia, del medesimo pdac) terminano anch’essi con un cs virtuale (o con un cs tout court). La gemma apicale è quindi sempre rappresentata da un cs (virtuale o meno), poiché nello schema del cs virtuale gli ultimi sub-schemi suddetti terminano in modo incoerente, cioè non per rdi ma per s.nas, lasciando il finalismo in sospeso. Ciò comporta che la gemma apicale possa generare nuovi elementi analogici (virtuali o meno) solo se il pda si colloca al confine tra il pda sospeso e il pda già strutturato e concretato. Tale situazione può verificarsi sia nello stato conscio (primo, quarto o quinto livello), sia nello stato inconscio (secondo livello configurazionale). Ma come si caratterizza tale situazione, dal punto di vista dello schema analogico-configurazionale? In primo luogo, con un possibile aumento degl’incroci del pda di riferimento con altri pda. In secondo luogo, con un possibile allungamento del sub-pda rispetto alla lunghezza iniziale dell’onda formaturale a valle (che dava un’idea di quanto potesse essere lungo il sub-pda: quindi, se il sub-pda supera di gran lunga la lunghezza dell’onda formaturale a valle dei propri elementi analogici, si deve supporre che la forza del finalismo sia aumentata indipendentemente da essa). Di fatto occorrono quasi sempre entrambe queste situazioni, per condurre il sub-pda verso il successivo salto paradigmatico (conscio o inconscio che sia; legato alla telepatia diffusa o ad altra forma di telepatia). Ma cos’è che fa aumentare sia gl’incroci che la lunghezza stimabile del sub-pda? La perdita di coerenza dei rdi degli sc virtuali (contenuti nell’ifscα dell’afc o dello sc del sub-pda di riferimento). Perdendo la capacità di portare gli sc virtuali a coerenza, i rdi generano quel “caos da cui nasce una stella danzante”, cioè il rafforzamento del finalismo della gemma apicale. Se l’osservatore-uomo non è in grado di cavalcare il rafforzamento del finalismo, generato dalla perdita di coerenza dei rdi, il finalismo può scemare fino a interruzione del pda da parte di un pda-dist, oppure riprendere vigore dopo l’intervento del pda-dist (se questo non è molto più forte, quanto a finalismo, del pda di riferimento) e finire per restare sospeso o oppresso, alimentando la sopravvivenza della gemma apicale per contrapposizione al pda-dist (situazione che ne Il testo-ricerca è definita di “intimità non significativa” tra elementi analogici, evidentemente appartenenti a due pda diversi). In ogni caso, il pda che non riesce a diventare pienamente strutturato e concretato, per la perdita di coerenza dei rdi, è una ineliminabile risorsa evolutiva, che però può compromettere la sopravvivenza dell’organismo (infatti un pda oppresso, una volta che scivola nell’inconscio, ripete il pdac – eventualmente integrato da un pda-dist – in modo continuativo, potendo alterare gli equilibri d’interi sistemi configurazionali per lo sfrangiamento che ne segue, grazie alla continua differenziazione dei rdi che stanno perdendo di coerenza). Ecco così spiegati, per un’altra via (conferente con quelle finora trovate), 195

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primo livello, deve scivolare nel secondo per accedere. Si noti, inoltre, che il cs/sc di partenza non corrisponde al cs e all’sc di arrivo, che possono (anzi, sperabilmente appartengono) ad un’altra configurazione analogica rispetto a quella del sub-pda. Solo in caso d’intercettazione da parte di pda di disturbo, può accadere che si rimanga nella stessa configurazione. Lo schema sopra proposto significa dunque che: un elemento attentivo (cs) o un elemento logico-strutturale (sc), a partire dalla propria innervazione ifscβ, iniziano un collegamento tra un fsc e il corrispondente fsc dell’innervazione ifscβ della gp con esso più strettamente collegata; da quest’ultima fsc si diparte un collegamento che (grazie ad analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) arriva a collegarsi ad un fascio di molti elementi della configurazione analogica della gp, in cui la relativa informazione viene elaborata e poi si collega (grazie ad analogia singolare grafèica di analogia

l’insorgere di tumori benigni (quelli in cui non vi è tendenza allo sfrangiamento) e maligni e di altre malattie gravi (in cui vi è tendenza allo sfrangiamento di altri pda). Anche tali situazioni sono gravide di potenzialità evolutiva (che assurge al grado sommo, poiché mette in crisi la stessa sopravvivenza dell’organismo, che così è chiamato ad elaborare nuove strategie evolutive per cavalcare il finalismo generato da questa perdita di coerenza).Ma come si segnala, a livello di schema analogico, la perdita di coerenza dei rdi? Abbiamo detto che per cavalcare il finalismo del pda, occorre che questo si sposti dall’area dei pda già pienamente strutturati e concretati verso l’area dei pda sospesi, attestandosi al confine tra le due aree. Tale espressione si spiega nel contesto dello schema della casa scritturistica, proposto nel nostro saggio Il testo-ricerca. La suggestione da cui partire è che vi sia un confine tra le due aree e che proprio il fatto che il pda si trovi su questo confine dà forza al suo finalismo. Il confine è raggiunto quando si ha un salto paradigmatico conscio. Ma per arrivarvi occorrono tre eventi che interessano lo schema analogico:

1) Gli sc virtuali devono contenere rdi sempre più incoerenti, cioè capaci di preparare l’incoerenza che genera la successiva z.r.f in modo sempre più repentino, riducendo così il novero di s.nas che generano la coerenza;

2) I cs virtuali, che all’interno dell’ifscα dell’afc devono trovare la coerenza con i paralleli sc virtuali, proprio per il fatto che non hanno rdi, possono solo ridurre l’onda formaturale a loro collegata (cioè quella a monte);

3) Ridotta così l’onda formaturale a monte e ampliata quella a valle, diventa più facile l’incrocio con pda più elementari (cioè con poca onda formaturale a monte) e con pdac consci (che di per sé hanno poca onda formaturale a monte).

Il primo e il terzo evento possono così generare un salto paradigmatico conscio, dando nuova forza al finalismo del pda, che tuttavia tenderà subito a tornare pienamente strutturato e concretato, poiché nel successivo sub-pda (generato dal salto in parola) i cs virtuali avranno nuovamente una lunga onda formaturale a monte e gli sc virtuali avranno una corta onda formaturale a valle, per la soluzione di continuità rappresentata dalla nuova ASs. Si noti che alla base del primo evento c’è la specifica conformazione degli sc virtuali: ciascuno di essi descrive un’on.for a valle, che è un intercalare di cs e sc tra loro più direttamente collegati; ogni cs della coppia è rappresentato dal sub-schema “z.r.f.-s.nas” mentre lo sc è rappresentato da un novero di s.nas successivi, che devono riportare a coerenza il cs nel mentre stesso che preparano la successiva incoerenza che genererà il cs successivo a valle. Lo sc interno allo sc virtuale è quindi come una parabola che, dal picco d’incoerenza del cs più direttamente collegato discende fino al picco di coerenza e poi risale fino al picco d’incoerenza successivo. Coerenza e incoerenza si mescolano inscindibilmente, nelle due fasi (discendente e ascendente) della parabola, poiché entrambe tali fasi sono articolate in sub-pda nascosti (che per definizione non possono essere ricostruiti, ma al più costruiti dall’interprete in modo originario). Ma è l’accorciamento della fase discendente (quella che genera la coerenza del sc, o comprensione logico-strutturale) e l’allungamento della fase ascendente (quella che genera l’incoerenza del cs, o comprensione intuitiva) che sono valutabili dall’interprete nel loro portato analogico-configurazionale. Applicando infatti la legge di coerenza con il cs della coppia e allargando tale applicazione alle coppie a valle, si ottiene quanto sopra teorizzato sul procedimento per raggiungere il salto paradigmatico conscio e sulle condizioni per mantenere vivo il finalismo per arrivare a quello ancora successivo.E’ sempre più raro, nella vita dell’adulto, il raggiungimento di salti paradigmatici consci. Ciò si verifica poiché il finalismo è acceso dall’ifscβ dell’afc, che in qualche modo va a vivificare le parabole degli sc interni agli sc virtuali dell’ifscα: ma come sappiamo la percezione immediata dell’uomo, se è molto vivace nel bambino, diventa sempre più sclerotizzata nell’adulto (in grazie delle zip- e racc-fùseis di ogni tipo, che pervadono ogni sua funzione cognitiva rendendola omologata al 5lc). Il più grande ostacolo per entrare nell’accordo con l’essere supremo è quindi l’essere supremo stesso, che con le sue zip- e racc-fùseis rende prima fluida l’evoluzione e poi proterva l’involuzione dell’uomo. Le esc-fùseis vengono raggiunte da pochi, grazie alla percezione (ifscβ dell’afc), ma sono comunque insufficienti al superamento degli scogli evolutivi, senza il quale la specie uomo tende a terminare miseramente la propria parabola evolutiva (che è un portato indiretto della parabola dello sc, interno allo sc virtuale, sopra descritta). Si esce da questo grazie all’avvistamento (nell’ifscβ dell’afc) delle esc-fùseis e, grazie alla vivacizzazione del finalismo 196

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singolare grafèica510) alla percezione finale (sita in un fascio altrettanto fitto di fsc dell’innervazione ifscβ dell’afc, che a sua volta si collega all’innervazione ifscα del cs, che nel caso si prosegua con lo stato di autocoscienza del pensiero, si collegherà al rispettivo sc (sempre nella rispettiva innervazione ifscα).

L’ifscγ dei tre elementi sopra elencati (cs, sc e gp) gestisce la loro trasmutazione all’interno dei collettori511 ed avrà quindi il seguente aspetto analogico-configurazionale:

1) Nel cs l’ifscγ descrive il flusso informativo (successivo512 a quello che costituisce il sub-pda, quindi una sua prosecuzione513) che parte dall’afc e attiva l’ifscα, sia nel primo livello configurazionale (cioè quello di più alta consapevolezza), sia nel secondo livello configurazionale (l’inconscio). C’è infatti bisogno di uno scorrimento dei collettori (tempo cronologico, spazio euclideo e principi della logica tradizionale, oltre a molti altri) sia nella realtà inconscia che in quella

intrinseco a tale innervazione, di una vera e propria configurazione (non solo remota, ma anche) creazionale da parte di un osservatore speciale, che chiamiamo interprete-uomo (o figlio dell’uomo). Se l’interprete-uomo riesce a completare il tragitto che dalla configurazione creazionale porta al 5lc, vi è la possibilità del superamento di uno o più scogli evolutivi.Vediamo allora come si struttura lo schema analogico del fsc dell’ifscβ dell’afc. Esso è ben diverso dallo schema del fsc dell’ifscα. Si compone, infatti, di due sezioni: una sezione “informazionale”, in cui si stabilisce un’informazione rilevante per i successivi fsc; una sezione “codificatoria”, in cui s’immette nella CAcgc una traccia che consente d’individuare l’informazione in parola in ogni altro fsc di ogni altro ifscβ di ogni altro afc e in ogni altro fsc di ogni altro ifscα di ogni gp. Grazie alla successione dei quattordici fsc dell’ifscβ di ogni afc (e dei quattordici fsc dell’ifscα di ogni gp) si raggiunge una coerenza percettiva a piacere per l’intera rete analogica delle cose esistenti o per sue specifiche aree (che corrispondono a singoli sistemi configurazionali, o a singoli macro-sistemi configurazionali, o a singoli tipi di organismi). L’organismo umano, che è fatto di sistemi configurazionali tra loro collegati, ha quindi una sua parabola di coerenza-incoerenza, come il singolo sc interno ad un sc virtuale dell’ifscβ dell’afc, ma solo molto più complessa. Ogni ASs (quasi sempre z.r.f.) che si affaccia in uno dei quattordici fsc dell’ifscα dell’afc, infatti, è seguita da un rdi nel fsc successivo; nel quattordicesimo fsc, poi, i rdi sono interni al fsc stesso e portano fino al collegamento (ignoto, per via dei collegamenti ASg-ASg) con il quattordicesimo fsc di ogni altra innervazione paritetica. Le z.r.f fanno sì che i quattordici fsc siano già molto coerenti, riducendo al massimo la parabola della coerenza-incoerenza; le ASs costituenti salti paradigmatici consci, invece, allungano tale parabola, comportando come reazione le ulteriori z.r.f che ho chiamato fùseis di fùseis, cioè leggi scientifiche che stabiliscono, in risposta reazionaria a tecniche non costitutive, l’esito delle deroge ad altre leggi scientifiche. Tali z.r.f reazionarie vanno a ridurre i rdi successivi alle ASs, generando un’incoerenza sorda, che va a sfrangiare gli organismi con i conseguenti (micro o non micro) effetti-domino. Tali effetti domino si realizzano grazie ad un “taglio di viveri” che toglie forza finalistica agli sc interni agli sc virtuali. Infatti, l’incoerenza sorda nell’ifscβ va a ridurre la capacità degli sc interni suddetti di generare incoerenza e produrre così salti paradigmatici consci. Il primo portato dell’incoerenza percettiva è quindi la coerenza logico-strutturale, che impedisce al singolo organismo (e quindi all’intera specie o civiltà) di superare (a lungo termine) la sfida evolutiva. Da ciò sorgono gli eventi configurazionali (pda-dist o pdac ossessivi) che generano lo sfrangiamento, responsabile di malattie, invecchiamento e morte biologica. Gli osservatori-uomini che decedono diventano organismi ex-viventi, che cioè vivono nei cd. corpi sottili, cioè civiltà da noi considerate spiritiche, evanescenti, ma comunque collegate alla rete analogica delle cose esistenti. Tali organismi ex-viventi tendono a scivolare in corpi sempre meno coerenti, che tendono a diventare coerenti con gli organismi umani viventi grazie al ciclo delle reincarnazioni, che tengono collegati tra loro i vari mondi coesistenti nella rete suddetta. Ma se i mondi ex-viventi divengono troppo lontani, nella loro deriva dal mondo vivente, l’incoerenza rischia di spezzare l’essere, che quindi è in battaglia contro il diàbolos e i suoi messaggeri, nonché contro gli uomini empi, che non conoscono l’essere supremo stesso, per riportare ognuna di tali entità nella propria coerenza cangiante, evolutivo-conservativa e, pertanto, relazionale. Oltre al problema dell’incoerenza sorda (che è un’incapacità dell’essere, per perdita di finalismo, di riportare a coerenza una parabola divenuta maggiormente sviluppata nella sua fase incoerente), vi è il problema della permanente coerenza (in cui le due fasi, incoerente e coerente, si stabilizzano, senza più eccessi d’incoerenza). In quest’ultima situazione, gli sc interni agli sc virtuali dell’ifscα dell’afc non hanno più la capacità di ampliare la fase d’incoerenza della loro parabola: una civiltà o una specie vivente che patisce la permanente coerenza della parabola dell’ifscβ dell’afc diventa quindi incapace di evolversi, risultando superata da altre civiltà o specie viventi (o, in prospettiva, da forme di vita completamente diverse da quella nota).Si consideri in sintesi che l’informazione analogica, nello schema del fsc, si compatta in occasione delle ASs (che introducono il sub-pda di riferimento), dei pdac consci e della percezione immediata, e deve raggiungere la coerenza personalizzata (grazie ai rdi, diversificati nelle proprie parabole a secondo dell’innervazione di appartenenza) per ognuna di tali tre occasioni analogico-configurazionali. L’osservatore si atteggerà ad interprete quando si raggiunge 197

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conscia, poiché gli osservatori sono tra loro collegati dall’illusione della realtà trasmutata514. Lo schema è il seguente: afc/cs(ifscα(fsccs)) – ASg – ASg – CA(sc) – ASg – ASg – cs(ifscγ(fcs)) – ASg – ASg – CA(cs) – ASg – ASg – mCA (sc) – ASg – ASg – mCA (collettori) – ASg- ASg - afc/cs(ifscα(fscsc)). In questo schema si parte quindi dall’elemento nella sua realtà analogico-configurazionale, per poi trasmutarlo (con vari passaggi) nell’elemento nella sua realtà illusoria collettoriale (= informata dai collettori, trasmutata). L’ifscγ (costituito da un singolo fcs515) è quindi una prima fase trasformativa, in cui il falso sc (fsc), cioè il fascio di elementi strutturali su cui sorvola l’osservatore, viene trasformato in un secondo fascio di elementi strutturali, capace di collegarsi ad un novero di molti elementi della configurazione dell’sc e ad un novero di molti elementi delle configurazioni (o sistemi configurazionali) dei collettori. Non è infatti scontato che la realtà configurazionale si colleghi a tali due tipi di configurazioni, in sequenza: ma è proprio tale collegamento in sequenza

tale coerenza personalizzata, da automa quando si raggiungerà solo la coerenza collettivistica (gestita dalle zip- e racc-fùseis del quarto e del quinto tipo). L’attivazione di tale coerenza personalizzata richiederà la cooperazione di ogni pda dell’organismo, grazie agli ulteriori meccanismi di coerenza-incoerenza, studiati sopra in relazione alle zip- e racc-fùseis dei tipi 0, primo, secondo e terzo. L’evoluzione conservativa dell’organismo umano si ottiene grazie ad una crescita nella frequenza e diffusione dei salti paradigmatici consci in ogni sistema configurazionale: ma tale situazione si può ottenere solo grazie al raggiungimento di gradini superiore nella generazione dei salti paradigmatici. Da salti paradigmatici a configurazioni adiacenti si deve passare (per superare la tendenza conformatrice del collettivismo umano e naturale) al raggiungimento di configurazioni remote, poi al raggiungimento di una configurazione remota creazionale, infine al percorso dell’intero tragitto che collega tale ultima configurazione al 5lc, per vivificare quest’ultimo. Quindi la sostituzione delle z.r.f del tipo 0 con salti paradigmatici consci richiede la sostituzione delle z.r.f dei tipi volta per volta successivi, fino ad arrivare alla sostituzione delle z.r.f del quinto tipo. A quel punto si riesce a risalire la scala delle sostituzioni: è cioè ottemperando alla necessità di sostituzione delle z.r.f del quinto tipo con salti paradigmatici consci (che forniscono la seconda anomalia necessaria), che si ottiene la possibilità di sostituire le z.r.f del quarto tipo con salti paradigmatici consci (che aumentano così la fase incoerente della propria parabola). Avendo ampliato tale fase, i cs virtuali riducono la propria on.for, permettendo così gl’incroci con altri pda. Tali incroci danno vigore finalistico alle z.r.f del primo tipo, che ricevendo appunto il collegamento a onde formaturali sempre più ampie riescono a personalizzare sempre più, grazie alle z.r.f del primo tipo, le ifscα degli elementi analogici successivi all’afc, indirizzando il sub-pda sempre più verso la percezione della seconda anomalia di cui sopra, da cui sorge (grazie alla zip-fùsis del tipo 0) l’ufc che introduce il salto paradigmatico conscio. Le z.r.f del secondo tipo si oppongono, facendo deragliare il meccanismo suddetto (che viene destabilizzato all’altezza delle z.r.f del primo tipo): per ovviare a ciò (che è l’ostacolo evolutivo vero e proprio, o meglio la sua cartina di tornasole) l’osservatore-uomo deve diventare interprete-uomo, potenziando la fase incoerente, e poi compensandola con la fase coerente, dell’ifscβ di ogni possibile afc, finché non emerga nell’ifscα di un afc una configurazione creazionale e finché le z.r.f dei vari tipi diversi dal secondo e dal quinto non riescano a percorrere il tragitto che porta all’aggiramento delle z.r.f del secondo tipo (il che equivale alla creazione e diffusione di un novero sufficiente di esc-fùseis, tale da innovare completamente il panorama di z.r.f di ogni tipo).Ad integrazione di quanto detto sugli rdi, dobbiamo precisare come si arrivi alla coerenza tra i due sub-procedimenti di coerenza e di coerenza inversa. Nel sub-procedimento di coerenza inversa, i s.cod danno indicazioni al grafèico puro su quali ASs di coerenza suscitare grazie ad appositi s.nas: per suscitarli deve portare un’incoerenza (costituita dai collegamenti ASg-ASg-s.nas) orientata al raggiungimento dei soli elementi occorrenti alla configurazione dell’ufc (paradigma) e dell’afc (elemento intuitivo puro) di ogni ASs in parola, nel settore di schema analogico più opportuno (in quanto in esso il grafèico puro non si può giovare della flessibilità dell’onda formaturale in senso lato, né dello sfrangiamento, per ridurre l’incoerenza). Nel sub-procedimento di coerenza, invece, i s.cod danno indicazioni al grafèico puro su quali ASs d’incoerenza suscitare grazie ad appositi s.nas (costituiti dai soli elementi occorrenti a tal fine), per impedire che ogni pda dello schema configurazionale si blocchi per eccesso di coerenza, amputato della sua specifica gemma apicale, ma al contempo anche per disegnare la forma analogica dell’elemento che il fsc deve esprimere in coerenza con i corpi espressi dall’isfcβ. Per questo la forma della realtà in movimento è l’essere stesso: tale movimento è la forma espressiva originaria dell’essere, che continuamente si mantiene nella propria vitalità e continuità grazie alla creazionalità ancora espressa dalla configurazione creazionale di configurazione creazionale dell’analogia-cangianza-sacrificio, nel suo essere interpretata originariamente da una nuova configurazione creazionale di configurazione creazionale (cioè il paradigma fondamentale futuro della libera interpretazione e della libera costruzione della realtà) che si sta delineando. Questo movimento ineffabile è reso possibile grazie al motore immobile che è il lògos: questi grazie alla relazione di contemporaneità (vd. Trinità o funzioni conoscitive?), che rende coerenti due relazioni di complementarietà specifiche, riferite ai poli universalizzante e strutturante, riesce a mettere in movimento gli opposti che diventano coerenti, dando agli s.cod e agli s.nas l’indispensabile input di coerenza 198

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che formalizza la trasmutazione. Il passaggio dalla configurazione dell’sc, infatti deve gestire la complessificazione dell’informazione, prima che si approdi alle configurazioni dei collettori. Essendo infatti remote le une dalle altre, le configurazioni dei collettori necessitano di linguaggi intermedi, richiedenti un’apposita configurazione (quella dello strutturante-concretante), che pur non colmando la distanza configurazionale, pone la strutturazione (cangiante con l’evoluzione umana) di elementi d’incrocio autoreferenziali tra le configurazioni suddette. Per questo le teorie scientifiche si avvicendano con esiti conoscitivi imprevedibili: non solo per gl’indispensabili salti paradigmatici, ma anche perché l’essere può evolvere o anche solo aggiustare l’illusione collettoriale (si veda il capitolo sulle leggi o fùseis di aggiornamento, quelle di raccordo e quelle escatologiche). I cambiamenti e adattamenti delle leggi suddette sono assicurati, con la dovuta coerenza, dall’elemento grafèico puro, sempre implicato almeno due volte in ognuno di questi

nell’opposizione e di opposizione nella coerenza, che offre la traccia al grafèico puro per orientarsi nella ricostituzione della percezione immediata resa coerente a partire dalla percezione a fuoco resa incoerente. Il superamento “contemporaneo”, cioè inscindibile, delle due coerenze-incoerenze, dà il bordone indispensabile perché il grafèico puro oda il movimento analogico da seguire. I s.nas possono essere annoverati, quindi, per intero tra i collettori, poiché il movimento potrebbe essere tranquillamente (come inoltre succede non di rado) trasmutato con noveri alternativi di collettori, in ogni situazione configurazionale, istituendo regni tra loro paralleli che s’incontrano in alcuni elementi di coerenza, scelti dall’essere all’unisono con l’interprete. L’uomo (cioè ogni essere autocosciente) è quell’interferenza che sposta il procedimento di coerenza suddescritto dalle z.r.f. alle ASs del quarto e del quinto tipo, innescando la risalita fino alle ASs del tipo 0 (che derogano alle leggi scientifiche o z.r.f. del tipo 0): ogni timbro dell’essere tende all’autocoscienza (l’interferenza) e, infine, alla rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale (la reinterpretazione originaria del paradigma fondamentale attuale con quello futuro). Grazie a questa unione tra essere e figlio dell’uomo (o interprete-uomo), la realtà pur ispirata da un potente programma culturale (la scrittura) non tende ad alcunché di deterministico, se non al determinismo della libera volontà.[Torna indietro alla nota sulla coerenza dell’afc]: primo link.[Torna indietro alla nota sulla coerenza dell’afc]: secondo link.473 Vd. il relativo capitolo. Nel caso della telepatia diffusa, in realtà, non si configura un elemento afc, ma un elemento cs che nasconde una racc-fùsis (vd. il relativo capitolo).474 L’aspetto del “sovrappensiero” va colto in modo abbastanza ampio, per ricomprendere sia lo stato sovrappensiero (inteso come emersione dall’inconscio, in cui si è scivolati per intuire qualcosa di nuovo) di chi sta completando un salto paradigmatico conscio, sia lo stato non proprio sovrappensiero, ma comunque inconscio, di chi compia un salto paradigmatico inconscio.475 Come spiegheremo dopo in modo più analitico, questi primi elementi gp, che si trovano nell’ifscα alternati alle coppie cs-sc virtuali, non sono veri elementi gp, ma elementi (contenenti anch’essi molti sub-elementi fsc) che gestiscono la percezione logico-strutturale dell’elemento sc virtuale e la percezione intuitiva dell’elemento cs virtuale precedenti ad esso.476 Non chiamo virtuali questi elementi gp, configurati grazie agli fsc dell’ifscβ, per non confonderli con gli elementi gp dell’ifscα. Tuttavia le differenze tra i gp virtuali dell’ifscα, i gp dell’ifscβ e i gp del sub-pda attivato (cioè conscio) saranno apprezzabili solo con un’attenta analisi, che sarà esplicitata nel seguito. Per adesso basti cominciare a comprenderne le tre rispettive funzioni: a) gestione della percezione logico-strutturale e della percezione intuitiva della coppia di elementi cs-sc virtuali precedenti a gp; b) gestione della percezione immediata nel sub-pda inconscio (cioè sito nel secondo livello configurazionale); c) gestione della percezione immediata nel sub-pda attivato (cioè sito nel primo livello configurazionale). Quando il sub-pda si trova nel terzo livello l’afc è molto esile (ospita cioè pochi fsc); nel quarto o quinto livello invece l’afc si gonfia, aumentando i propri fsc, fino a raggiungimento dell’afc inconscio del secondo livello. Ripeto che questo gonfiarsi progressivo dell’afc è solo un’illusione (il “sovrappensiero” che dicevamo). Chi vede una persona sovrappensiero può dire che è sovrappensiero, ma si tratta della sua immagine di tale persona, che nella propria coscienza vive qualcosa di diverso, che viene raccordato con l’illusione vista dall’osservatore esterno solo per telepatia diffusa.477 L’elemento gp serve, nel sub-pda, a permettere una navigazione perlustrativa tra gli elementi intuitivi o attentivi (cs) e gli elementi logico-strutturali (sc), modificando il novero stesso e la dipendenza logica (o sequenza logica) di tali elementi. A livello di ifscα, gli fsc corrispondenti agli elementi gp del sub-pda hanno la funzione di preimpostare gl’ipotetici percorsi di navigazione illustrativa suddetta. Tale preimpostazione è seguita dai pdac – percorsi di autocoscienza di controllo (vd. il relativo capitolo) - inconsci (secondo livello configurazionale) secondo un finalismo altrettanto inconscio, che manutiene variazioni sempre diverse del sub-pda senza far degenerare il sub-pda stesso (almeno in condizioni normali) in qualcosa di confuso, grazie al senso di coordinamento reso possibile dall’elemento grafèico puro. Grazie a questa variabilità inconscia del sub-pda il finalismo può selezionare inconsciamente il sub-pda 199

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passaggi analogici, con un’implicazione relazionale di duplice qualità configurazionale (cioè in analogia con due configurazioni);

da attivare (in quanto è in tale sub-pda che si trovano le variazioni più interessanti per l’osservatore). Il flusso informativo di uno di questi fsc (corrispondente ad un elemento gp del sub-pda) sarà dunque il seguente - che s’innesca a partire da un fsc (dell’ifscα dell’afc) corrispondente al cs o all’sc più direttamente collegato con la gp (a secondo che la navigazione inizi sullo spunto di un’intuizione o di una strutturazione logica, portando più direttamente, in via rispettiva, alla percezione strutturale o a quella intuitiva) nel caso il finalismo volga ad un cambiamento conscio della direzione - : afc(ifscα(fsccs/sc)) - CA(sc) (– CA(cs)) – CA(varie) - afc(ifscβ(fsccs/sc)) - CA(sc) (– CA(cs)) – CA(gp) – cs/sc(ifscα(fcs1)) – CA(cs) – CA(sc) – afc(ifscα(fscgp)) – mCA(gp) – mCA(sc/cs) – mCA(varie) – afc(ifscα(fscm(cs/sc)). Le abbreviazioni adoperate possono essere tradotte con le indicazioni date in tal senso nei titoli dei capitoli e nel testo del capitolo sullo schema configurazionale e in quello sugli assoluti. Tra ogni elemento dello schema e quello successivo si sottintende un collegamento grazie ad ASg di ASg (vd. il capitolo precedente). Il primo fsc dello schema corrisponde dunque ad un cs o un sc del sub-pda; il secondo gestisce la percezione immediata di tale cs/sc; il terzo innesca la navigazione, esplodendo in un fascio di più noveri di sequenze di collegamenti (un novero per ogni successivo elemento del sub-pda, al fine di gestirne la riselezione e riconfigurazione); il quarto corrisponde all’elemento cs/sc successivo (consentendo la prosecuzione del flusso informativo del sub-pda). La lettera “m” minuscola sta per “molteplicità di”: si noti che la menzione “CA” già sottintende la possibilità che il collegamento sia verso un intero sistema configurazionale (o più sistemi configurazionali) e non verso una singola configurazione analogica; l’acronimo “mCA” si riferisce quindi ad vero e proprio fascio di collegamenti in parallelo, non ad un singolo percorso collegato in sequenza a molte configurazioni (o sistemi di configurazioni).478 Ogni fsc costituente l’ifscα dell’afc corrisponde, nell’ordine, ad un elemento successivo del sub-pda. L’ordine degli elementi del sub-pda successivi all’afc è un alternarsi di elementi attentivi (cs), elementi logico-strutturali (sc) ed elementi percettivi (gp). Tale ordine, se si adoperano gli acronimi e si distinguono gli elementi più direttamente collegati tra loro con lo stesso numero a pedice, è il seguente: cs1 – sc1 – gp1 -cs2 – sc2 – gp2 - … - csn – scn – gpn. Si nota che ad ogni elemento cs, corrisponde un elemento sc (quello che vi è più direttamente collegato), e ad entrambi si collega più direttamente il successivo elemento gp. Lo schema dell’ifscα dell’afc prevede che ad ogni fsc corrisponda, nell’ordine elencato, uno di tali elementi del sub-pda. Tale schema sarà quindi il seguente: fsccs1 – fscsc1 – fscgp1 – fsccs2 – fscsc2 – fscgp2 - … - fsccsn – fscscn – fscgpn. L’ordine seguito negli schemi sopra riportati non è cronologico, né spaziale, né legato ad altro che alle logiche funzionali indicate in questo capitolo. Come vedremo in seguito, le nostre funzioni intuitiva, intellettiva e percettiva sono differenti da tale ordine, in quanto afferiscono ad un’osservazione già “trasmutata”. Il significato ed il funzionamento di questa trasmutazione saranno esplicitati nel seguito del capitolo.479 Tale ordine è il seguente: elemento attentivo – elemento strutturale più direttamente collegato all’elemento attentivo – elemento percettivo, che consente ai due elementi precedenti di spaziare nella percezione, ma che non si collega all’fsc dell’ifscβ - …. I puntini di sospensione si riferiscono agli elementi successivi, che ricalcano lo stesso ordine, a partire dall’elemento attentivo che si collega a monte con l’elemento attentivo di cui sopra, e così via. Per rendere più agevolmente visibile lo schema, possiamo adoperare gli acronimi, aggiungendovi dei numeri identificativi a pedice: cs1 – sc1 – gp1 -cs2 – sc2 – gp2 - … - csn – scn – gpn. L’ifscβ sarà dunque rappresentato con il seguente schema, in cui ogni fsc corrisponde ad un elemento dello schema precedente (menzionato a pedice), con esclusione dei soli elementi gp: fsccs1 – fscsc1 – fsccs2 – fscsc2 - … - fsccsn – fscscn.. Si noti che anche l’ifscβ dell’afc ha pertanto uno schema del tutto corrispondente a quello dell’ifscα, salvo che per due cose: 1) l’assenza di fsc collegate agli elementi gp; 2) la funzione (e quindi il tipo di collegamento) con cui si costituisce l’fsc. Nell’ifscα dell’afc, infatti, la funzione dell’fsc è quella di collegare, nell’inconscio, un elemento cs/sc/gp al novero di elementi a monte o a valle cui deve collegarsi per dare, rispettivamente, la percezione attentiva, la percezione strutturale e la percezione autoreferenziale; nell’ifscβ dell’afc, invece, la funzione dell’fsc è quella di dare, nell’inconscio, la percezione immediata di un elemento cs/sc/gp.480 ASg di ASg = analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica. Per il significato di tale espressione, vd. il capitolo precedente.200

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481 Chiamo tale innervazione con il nome di ifscα, solo per comodità, in quanto è in realtà una coppia di fcs, posta in sequenza con le successive due innervazioni, che dalla sua informazione dipendono per la propria conformazione configurazionale.482 Anche questo collegamento, naturalmente, è a-cronologico ed a-spaziale. Quindi non c’è un momento cronologico in cui l’fcs del cs si collega all’fsc dell’afc, prima che quest’ultimo si colleghi alla configurazione di arrivo. Tale schema si propone così com’è, senza una scansione di eventi cognitivi. Sarà la ricostruzione dei pdac, attratta dai collettori (tra cui chrònos e spazio euclideo), a darci l’illusoria scansione degli eventi cognitivi. In questo percorso esoterico bisogna sempre essere consapevoli in che posizione ci troviamo, rispetto ai veti conoscitivi. Se siamo oltre il veto conoscitivo, possiamo solo ricostruire in modo ipotetico, verificando la funzionalità della nostra ricostruzione (anche se, per ipotesi, rivelata da un’entità superiore). Se siamo al di qua del veto conoscitivo, possiamo orientarci secondo i percorsi che in modo immediato percepiamo o secondo i percorsi che più ci convincono. Possiamo sbagliare (in modo involutivo ed antirelazionale) sia al di qua che al di là del veto conoscitivo: solo la rivelazione dell’essere supremo vince comunque, finché una rivoluzione antropologica fondamentale non richieda un nuovo accordo sull’essere. Non vi è quindi alcun elemento di rigidità a tutti i costi nella realtà. E’ un percorso evolutivo che vogliamo si apra dinanzi a noi, non un precipizio d’inconsapevolezza che nega i propri limiti o non li vuole conoscere (a vantaggio di un’asserita intuizione prevalente).483 L’informazione dell’onda formaturale in senso lato, al netto dell’informazione sulla sequenza dei paradigmi, è insita in tale elemento fsc, che collega l’afc (e di rimbalzo il cs) alla configurazione dello strutturante-concretante, da cui un altro ASg di ASg collega alla configurazione di arrivo, relativamente a quegli elementi che costituiscono i cs a monte. E’ l’elemento grafèico puro, presente in entrambe la ASg, che funge da grande direttore di orchestra, indirizzando i collegamenti nella configurazione giusta e, all’interno di tale configurazione, agli elementi giusti per creare l’illusione e la bellezza della realtà. In questo modo la configurazione dell’assoluto originario rimane nascosta e impenetrabile all’osservatore-uomo, grazie alla dobbia barriera conoscitiva dell’ASg. Si nota che a livello intuitivo (cioè nell’afc), la percezione strutturale dell’fsc diventa la percezione intuitiva del cs. Ciò è reso possibile grazie all’fcs del cs, che sorge grazie ad un’ASg di ASg che culmina nella configurazione del concretante-strutturante. Quindi il grafèico puro, nel collegamento ineffabile (grazie ad una teoria di ASg di ASg) tra configurazione del concretante-strutturante e configurazione dello strutturante-concretante riesce a dare alla percezione intuitiva lo stesso senso conoscitivo della percezione strutturale, ma applicandolo ad un novero di elementi diversi (i cs a monte). Così posso intuire cos’è un corpo (grazie alla percezione intuitiva dei cs a monte) e comprenderne la strutturazione (grazie alla percezione strutturale degli sc a valle), senza accorgermi di fare due operazioni distinte. Anche questo contribuisce a formare l’illusione della realtà e a conferirle bellezza (poiché ne appiana le eventuali dissonanze).484 Si tratta del collegamento del cs con il successivo sc. Per esempio, se mi concentro su un dado, potrò anche comprenderne la forma cubica. L’elemento intuitivo (cs) del dado e l’elemento strutturale (sc) del cubo sono tra loro direttamente collegati: vi è infatti tra loro un’ASg di ASg che abbiamo chiamato secondo fcs. Si noti che l’analogia singolare sefèrica (facendoci compiere il salto paradigmatico) è molto più distinguibile dell’ASg di ASg, che invece è come se costituisse la base della nostra conoscenza, di cui quasi non abbiamo la consapevolezza.485 La circolarità (non solo degli ifsc, ma anche) degli elementi analogici che si definiscono e funzionalizzano gli uni grazie agli altri non dà problemi, visto che il nostro approccio è esoterico. Un approccio esoterico punta infatti al raggiungimento di una conoscenza precisa e funzionale sulla realtà grazie al potenziamento dell’osservatore della realtà stessa.486 Il luogo in cui trova prima espressione o innesco (per quanto ineffabile) il finalismo in parola è l’elemento grafèico puro. E’ sempre in questo che viene gestito l’innesco di ogni finalismo. Ciò corrisponde, nella teoria delle funzioni personificate, alla figura del padre-percipiente, che può anche essere chiamato il volente-percipiente: colui che percepisce ciò che vuole e vuole ciò che percepisce (si noti la circolarità ineffabile di codesta espressione).201

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2) Nell’sc l’ifscγ segue lo stesso schema, mutatis mutandis: afc/sc(ifscα(fscsc)) – ASg – ASg – CA(sc) – ASg – ASg – sc(ifscγ(fcs)) – ASg – ASg – CA(cs) – ASg – ASg – mCA(sc) – ASg – ASg – mCA (collettori) – ASg- ASg - afc/sc(ifscα(fsccs2));

3) Nella gp l’ifscγ ha la funzione di far percepire gli elementi cs e sc trasmutati dai collettori. Il suo schema prende quindi le mosse dall’ultimo elemento di quello precedente, integrando la parte mancante: afc/sc(ifscα(fsccs2)) – ASg – ASg – CA(sc) – ASg – ASg – gp(ifscγ(fcs)) – ASg – ASg – mCA (collettori) – ASg – ASg – mCA (gp) - ASg – ASg - afc/sc(ifscα(fsccs2)). Si noti che, nella realtà trasmutata, c’è un solo elemento gp costituente la percezione più direttamente collegata all’elemento cs e al suo sc. Invece nella percezione attentiva e in quella strutturale la gp serviva a gestire lo scivolamento della percezione nell’inconscio. Lo schema considerato ci porta dunque

487 Si noti che la sequela della sensazione è indistinguibile dalla sua costituzione. L’analogia singolare che gestisce tale indistinguibilità è proprio l’ASg di ASg di cui sopra. E’ per questo che, a fronte di una prima percezione di dolore, c’è chi come un fachiro riesce a controllarne la sensazione (attivando la configurazione dell’astraente-concretante ma attivando, al contempo, il secondo fcs per penetrare una nuova configurazione analogica diversa da quella in cui esso volgerebbe in via inconscia) e chi invece si lascia guidare dalla sensazione del dolore (limitandosi ad attivare la configurazione dell’astraente-concretante e lasciando che il secondo fcs penetri la configurazione che era preimpostato per attivare grazie al coordinamento del grafèico puro nell’inconscio), modulandola un po’ a modo suo. Detta percezione (gp) ha cioè scatenato sia una sensazione in senso volontaristico (tecnica) che evita l’applicazione della configurazione in cui viè la fùsis (legge scientifica) che impone di sentire il dolore sia quest’ultima fùsis. Ma scaturendo entrambi i percorsi dal medesimo elemento, sarà il finalismo dell’ASg di ASg a decidere quale dei due percorsi sia nella direzione dell’analogia singolare e quale invece sia destinato allo sfrangiamento (che, per inciso, non è del tutto istantaneo: c’è una fase di sfrangiamento più o meno lunga, che nell’illusione della cronologia si esprime appunto con una certa lunghezza variabile).488 Il collegamento avviene grazie ad ASg di ASg.489 In questo caso non ci si trova davvero nel primo livello, ma nel quarto o nel quinto livello configurazionale. Nel quarto ci si può muovere tra due pda, collegati tra loro da un salto paradigmatico (si noti che i due pda diventano un unico pda, da cui si possono distaccare uno o due sub-pda sfrangiati, nella cui direzione non si volge l’analogia singolare sefèrica). Nel quinto livello ci si può muovere tra più di due pda, collegati tra loro da salti paradigmatici (si noti che i pda diventano un unico pda, da cui si possono distaccare dei sub-pda sfrangiati, nella cui direzione non si volge l’analogia singolare sefèrica).490 Mi riferisco sia all’osservatore-uomo, sia al corpo vivente, sia al corpo ex vivente (purché dotato di criteri strategici).491 Se ci si trovasse davvero nel primo livello, sarebbe un puro caso che si avesse a che fare con la “gemma apicale” del pda. Nel quarto e quinto livello, invece, avendo fuso due pda, con sfrangiamento dei due sub-pda eventualmente seguenti nella sequenza dello schema analogico-configurazionale, si ha davvero a che fare con la “gemma apicale”.492 Sarà ogni fsc dell’ifscα dell’afc a modificarsi in automatico, grazie all’ASg di ASg.493 Ciò significa che l’osservatore si trova davvero nel primo livello configurazionale, che non è frattanto diventato un quarto o quinto livello.494 E’ grazie a tale senso di sforzo che il finalismo dell’essere supremo volge all’estinzione del corpo dell’osservatore, facendolo passare dalla vecchiaia e dalla morte biologica. Non si può infatti mantenere la complessità strutturale e intuitiva del corpo, senza un accordo con l’essere supremo che ne ripristini il finalismo, intaccato dai sub-pda consci. Quelli nel quarto e soprattutto quinto livello compensano, in parte, grazie ai salti paradigmatici, ma i sub-pda del primo livello aumentano lo sforzo, senza dare sollievo (che si trova allora nella “cessazione” - shabbàt). Ma ricordiamoci che “il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”.495 Cioè sono davvero confinato al primo livello, senza possibilità di accesso (tramite il secondo livello, cui comunque accedo molto spesso) al quarto o al quinto. Mi limiterò quindi a passare dal primo al secondo livello e viceversa.496 Come sarà possibile notare nel grafico sotto riportato, il primo elemento (cs) del sub-pda ha una versione completa dell’ifscα e dell’ifscβ che erano propri dell’afc; il secondo elemento (sc) ha una versione quasi completa, poiché mancano i collegamenti che riguardavano solo il cs precedente; il terzo elemento (gp) ha una versione leggermente più incompleta, poiché mancano i collegamenti che riguardavano solo i due elementi precedenti; e così via. Come sopra evidenziato in nota questo comporta un senso di sforzo (non trasmutato, ma direttamente avvertibile dall’uomo-osservatore - che è in senso speculare il grafèico puro stesso) che va a fiaccare il finalismo dell’essere supremo, esprimendosi poi nella realtà trasmutata dell’invecchiamento e della morte biologica.497 Pdac = percorso di autocoscienza di controllo.498 In questa situazione i numerosi pdac possono anche stimolare paure e incertezze esacerbanti. Così però l’osservatore piomba nella via del non-essere, di cui sopra abbiamo discorso. Nel grafico sotto riportato i pdac consci 202

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circolarmente allo stesso elemento di partenza, corredato della sua percezione immediata trasmutata, con i medesimi esiti di autoreferenzialità tipici della via del non-essere.

La situazione che emerge dagli schemi sopra riportati è che non solo la realtà è illusoria, ma anche la conoscenza riguardo ad essa lo è, dal punto di vista di chi cerchi l’oggettività. Ma ciò non toglie che la conoscenza che proponiamo con questa teoria eserciti un’analisi sulla realtà a 360°, e al contempo di estrema precisione e capillare verifica, soprattutto in comparazione con le altre teorie che mi risultano pubblicate. Queste, infatti, per quanto dotate di precisione matematica (o quasi) e di verifiche numerose, si occupano di singoli settori (coordinandosi al massimo con uno o due altre materie del sapere); ma soprattutto scelgono un approccio (quello essoterico e materialista) che richiede un cammino di ricerca talmente lungo da superare le aspettative di vita non del singolo individuo, ma dell’intera specie umana. La nostra teoria dischiude, invece, il funzionamento profondo della realtà, che nella sua componente evolutiva

sono riportati, ma non ne è evidenziata la potenziale patologia. Quest’ultima è resa possibile dal fatto che gli elementi analogici subiscono frequenti modifiche, al punto che lo schema di sub-pda prospettato nell’afc del secondo livello non viene affatto rispettato. Tuttavia tale discrezionalità di movimento tra elementi diversi non comporta in genere alcun salto paradigmatico (anche se ogni tanto lo produce, portando avanti il cammino evolutivo, ma per ora principalmente avvertibile a livello di specie umana più che di singolo individuo, le cui evoluzioni tendono a ridursi a quelle consentite nell’attuale società, salvo rari casi).499 Ciò si verifica poiché le configurazioni analogiche cui l’osservatore riesce a collegarsi, a livello di percezione intuitiva e logico-strutturale, sono ridotte a quelle di appartenenza degli elementi analogici che incrociano il sub-pda di riferimento e la navigazione perlustrativa (consentita dalla percezione) è del tutto esclusa, dal momento che ci si trova nel primo livello configurazionale (cioè lo stato di consapevolezza più intenso, che taglia le gambe ai collegamenti nuovi consentiti dai pdac inconsci, con la loro navigazione perlustrativa). Pertanto anche i collegamenti intuitivi e quelli logico-strutturali sono ridotti all’osso (cioè al solo sub-pda di riferimento, con piccole variazioni sul tema, senza accesso a configurazioni diverse da quelle degli elementi d’incrocio).500 Da qui in poi, per semplificare lo schema, si sostituirà “- ASg – ASg -” con “- - -”.501 Si pensi, ad esempio, al collettore del tempo cronologico. Esso, è vero, dà coerenza agli eventi, ma in maniera puramente illusoria. Se infatti cerchiamo una logica negli eventi, vediamo che essi si costruiscono secondo il loro finalismo, che conduce all’ineffabile dell’evoluzione conservativa e relazionale delle cose esistenti. La logica causalistica, invece, come ogni altra logica asservita al chrònos, è entropica, cioè dissipa le opportunità di coerenza senza cogliere quelle “sintropiche” [sulla sintropia, cfr. l’opera di Luigi Fantappié], cioè di coerenza. La complementarietà tra entropia e sintropia, cioè tra incoerenza (o autoreferenzialità tendente all’isolamento e quindi all’implosione dell’individuo come all’aggressione e distruzione di questo da parte dell’ambiente esterno) e coerenza (cioè relazionalità tendente ad un’evoluzione antindividuale, ma che dà occasione all’individuo di superare i propri limiti), segue nel nostro caso il ritmo del sub-procedimento d’incoerenza (in cui svettano i collettori) e del sub-procedimento di coerenza (in cui operano le ASs di coerenza). Gli eventi stessi non sono eventi, ma elementi analogici filtrati dal collettore del chrònos, che permettono agli elementi stessi d’imprimere caratteristiche ineffabili grazie alle ASs di coerenza. L’illusione anti-epistemologica che questi finti eventi siano coerenti va contestata poiché l’unica forma di coerenza che hanno è con l’idea della causalità, cioè con l’inserzione stessa degli eventi nella cd. retta del tempo. Il chrònos è così coerente solo con se stesso, cioè tendente al solipsismo o isolamento di cui sopra, che affligge ogni sistema che è di esso intriso.502 Vi è un rapporto speciale tra i s.nas (sub-pda nascosti) e il nome di Elohìm. Per “nome di qualcosa” intendo riferirmi al rapporto evolutivo-relazionale tra il s.cod di quel qualcosa e i vari livelli di coerenza (compresi i s.nas) che in relazione ad esso si dipartono nello schema analogico-configurazionale. Le “potenze” di cui ci parla il nome di Elohìm (che appunto significa: potenze, forze, dèi) sono in primo luogo i s.nas collocati al di sopra del s.cod di Elohìm nello schema analogico del singolo fsc (appartenente ad un’innervazione dell’afc). In ogni fsc (di ogni elemento afc) nella cui bde si colloca il s.cod di Elohìm vi è quindi una dialettica vicendevolmente evolutiva tra il s.cod in parola e i s.nas successivi. Questi possono essere così assistiti da vere “potenze”, cioè dai cd. Angeli e dai cd. Maestri ascesi (vd. quanto si afferma su queste entità animiche nel pensiero del Reiki), che ove vengano invocati specifici simboli si attivano modificando (secondo specifiche funzionalità) singoli s.nas, che vanno ad impattare su singole ASs di coerenza/incoerenza (anch’essere assistibili dalle stesse “potenze” suindicate), che vanno ad impattare (oltre che su altri fsc e sui loro s.cod e s.nas, anche) sulla z.r.f. di trasduzione che diventa un’ASs di trasduzione gestita per telepatia (ancora una volta) da una singola delle “potenze” suddette, che va così ad impattare sul seguente sub-pda conscio o inconscio, che va ad impattare sulle z.r.f. del tipo 0 a valle che diventano ASs del tipo 0 gestite per telepatia (ancora una volta) dalle singole “potenze” suddette. Con questa capacità di coordinamento che abbraccia i vari livelli di coerenza dello schema analogico-configurazionale e un immenso novero di pda tra loro aggrovigliati nell’organismo umano, le “potenze” del Reiki possono chiamarsi con il nome di Elohìm, poiché entrano con esso in quel rapporto 203

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e relazionale (l’essere) acquisisce una potenzialità inedita. La realtà in chiave evolutiva va infatti distinta dagli assolugi derivati: questi ultimi dànno l’illusione del tempo cronologico, dello spazio euclideo e dei principi dello logica aristotelica. Ma la informazione, che arriva al nostro osservatore-uomo già intrisa di tali assoluti derivati (o collettori), è frutto di una trasmutazione. Il punto chiave per l’analisi e l’intuizione, che questa teoria propone, è lo studio della direzione a monte e a valle dell’elemento analogico (costituente una sorta di gemma apicale516) del sub-pda. Tali direzioni, offerte grazie alla implicazione finalistica delle analogie singolari, sono ribaltate rispetto all’idea oggettiva che ci facciamo della realtà. Un elemento della realtà che per l’osservatore-uomo appare successivo ad un altro, nasce come a monte quanto a direzione finalistica delle analogie singolari, così come costruite nello schema di pda o d’intreccio tra più pda. Viceversa, un elemento della realtà che all’osservatore-uomo appare precedente ad un altro, nasce come a valle quanto alla direzione suddetta. Ne discende che la realtà che appare non ancora presente, non solo è

dialettico di tipo evolutivo-relazionale, dicendoci in che senso Elohìm (che è uno dei due principali nomi dell’essere supremo nella scrittura in lingua ebraica) è Elohìm. Le onde formaturali in senso lato, riguardanti ogni livello di coerenza (dagli elementi analogici dei singoli s.nas fino ai singoli elementi analogici dello schema configurazionale), vanno così ad essere configurate diversamente grazie agli Angeli (di origine sefèrica non umana) e ai Maestri ascesi (di origine sefèrica umana) invocati dall’osservatore grazie a specifici simboli inseriti in specifiche ritualità confidenti, alterando in modo pre-programmato specifiche onde formaturali in senso stretto (e cioè implicando salti paradigmatici inconsci, altrimenti da noi chiamati “ponti mistici”). E’ in questo modo che il Reiki (e anche altre forme di spiritualità) guariscono chi le invoca. Il simbolo che, volta per volta, viene invocato altro non è che un elemento analogico (prestabilito dal singolo Angelo o Maestro asceso) che, se inserito in uno specifico sub-pda, va ad integrarne le onde formaturali in senso lato, passando così un’informazione anche alle onde formaturali in senso lato di ogni livello di coerenza (dai s.nas dello schema analogico fino ai sub-pda dello schema configurazionale). Un Angelo o Maestro asceso che sia così informato coinvolge ogni altro Angelo e Maestro asceso implicato nel programma preimpostato che l’osservatore sta invocando grazie al simbolo e alla sua particolare forma rituale (che può anche essere personalizzata, purché in modo inconscio e quindi, tendenzialmente, sempre nuovo: libero così dal pericolo dello sfrangiamento).503 Tale elemento è ricompreso nel novero degli elementi del sub-pda conscio (primo livello configurazionale) e dei primi elementi collegati agli elementi d’incrocio del sub-pda conscio con altri pda, limitatamente agli elementi a monte. In caso l’osservatore si trovi nel sub-pda inconscio, allora tale elemento è ricompreso nell’intero novero degli elementi del sub-pda e dei primi elementi collegati agli elementi d’incrocio del sub-pda con altri pda, limitatamente agli elementi a monte. Per semplicità, chiamerò tale novero con il nome di “novero degli elementi a monte”. Un elemento è a monte rispetto ad un altro elemento analogico, quando all’interno dello schema configurazionale è precedente a quest’ultimo. La successione nello schema configurazionale è stabilita dalla direzione finalistica assunta dall’analogia singolare, che muove il sub-pda. L’analogia singolare ha una direzione finalistica in base alla quale, nell’analogia stessa, vi è un primo elemento analogico che si trasforma nel secondo elemento analogico. Trasformazione di un elemento analogico in un altro significa che il primo è iniziatico al secondo, che ne è il completamento.504 Si tratta di un elemento complesso, fatto di più punti di vista. Esso deve infatti accogliere un fascio di collegamenti (l’fsc), che nella configurazione di origine sorvola sugli elementi strutturali che rendono comprensibile il singolo cs. Quali siano le caratteristiche di questo elemento complesso e come funzioni all’interno della sua configurazione, non è dato saperlo finché non decidiamo di spostare in avanti il confine del veto conoscitivo (come spiegato in Analogia singolare, scaricabile su www.bridge4will.net ) .505 Vd. sopra e il saggio Analogia singolare, scaricabile su www.bridge4will.net.506 Tale elemento è ricompreso nel novero degli elementi del sub-pda conscio (primo livello configurazionale) e dei primi elementi collegati agli elementi d’incrocio del sub-pda conscio con altri pda, limitatamente agli elementi a valle. In caso l’osservatore si trovi nel sub-pda inconscio, allora tale elemento è ricompreso nell’intero novero degli elementi del sub-pda e dei primi elementi collegati agli elementi d’incrocio del sub-pda con altri pda, limitatamente agli elementi a valle. Per semplicità, chiamerò tale novero con il nome di “novero degli elementi a valle”. Un elemento è a valle rispetto ad un altro elemento analogico, quando all’interno dello schema configurazionale è successivo a quest’ultimo. La successione nello schema configurazionale è stabilita dalla direzione finalistica assunta dall’analogia singolare, che muove il sub-pda. L’analogia singolare ha una direzione finalistica in base alla quale, nell’analogia stessa, vi è un primo elemento analogico che si trasforma nel secondo elemento analogico. Trasformazione di un elemento analogico in un altro significa che il primo è iniziatico al secondo, che ne è il completamento.507 L’attività di circolarizzare le informazioni rende agevole il “caricamento” dell’analogia singolare sefèrica. Tale caricamento è una vorticazione di elementi analogici, grazie alla cui compresenza nella coscienza si esprime l’inesprimibile di una nuova configurazione analogica. Se infatti la logica tradizionale, con il suo principio di non 204

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già, ma implica quella che appare già presente. Chiamerò tale realtà che è già con il nome di “realtà a monte”; chiamerò, invece, la realtà che appare già presente con il nome di “realtà a valle”. Ebbene, la realtà a monte non è immodificabile, solo perché già scritta nello schema configurazionale-analogico della realtà a valle. Dal momento che non esiste il chrònos - che è solo uno dei modi per l’organizzazione dell’informazione avvertibile dall’osservatore -, non siamo vincolati a considerarlo cogente; ma non siamo vincolati a considerare cogente nemmeno il destino, che si trasmuta nell’evento cronologicamente successivo, purché l’osservatore sia in grado di contrattare un destino diverso con la forza che verso di esso lo attira (l’essere). L’essere è la mutevolezza e la potenza evolutiva stessa dello schema configurazionale-analogico della realtà: tale mutevolezza e potenza evolutiva si relaziona, grazie alla complementarietà delle due vie517 della conoscenza, a ciò che nel pda si trova a valle, per trasformare o conformare ciò che si trova a monte. Il centro nevralgico di tale trasformazione e conformazione è l’elemento grafèico puro, che è

contraddizione, non apre più nuove configurazioni analogiche, in quanto ormai esausta, è opportuno ribaltare tale principio con la circolarità dell’informazione.508 Il funzionamento di tali fsc è stato chiarito al punto 2 dell’elenco. Bisogna tuttavia considerare che, in grazia del finalismo della “terra” (vd. passo scritturistico in cui Gesù scrive “nella terra”, εις την γην), il novero di tali fsc si amplia nella direzione del finalismo stesso, con il solo limite di puntare verso configurazioni analogiche adiacenti. Per una definzione di configurazioni analogiche adiacenti, vd. soprattutto il saggio Il testo-ricerca e le lezioni di legislazione sociale, non appena verranno messi a disposizione sul sito www.bridge4will.net o chiedendo copia della loro versione attuale mediante commento su tale sito.509 Sua funzione evolutiva principale è consentire il salto paradigmatico. L’attività sessuale è fatta di queste situazioni di cangianza (spesso anche solo costituita da pensiero con collegate sensazioni ed emozioni, senza cioè bisogno di una prassi sessuale cangiante a livello fisico). L’atto sessuale c’insegna ad esplorare la cangianza della gp in maniera egregia: senza salto paradigmatico, non vi può essere coito maschile. Sulle condizioni del coito femminile, ammetto la mia ignoranza, ma da alcuni indizi mi pare decisivo anche in esso la ricerca del salto paradigmatico.510 Senza l’ulteriore veto conoscitivo rappresentato dall’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica, non si potrebbe avere una bussola percettiva nel secondo livello configurazionale, poiché i pdac riporterebbero subito l’osservatore nel primo livello. Abbiamo adoperato altrove il termine bussola sensoriale, per indicare uno scorrimento del sub-pda nel secondo livello. Si tratta di due bussole diverse, in quanto quella sensoriale, invece che far leva sulla percezione, fa leva sulla percezione attentiva. L’esito, in caso non vi siano incroci con pda di disturbo, è sempre il salto paradigmatico verso configurazione adiacente. Solo in caso di sforzo volontaristico e di ponte mistico, avremo il raggiungimento di una configurazione remota. Vd. in proposito le lezioni di legislazione sociale e Il testo ricerca, non appena disponibili sul sito www.bridge4will.net o chiedendo copia della loro versione attuale mediante commento su tale sito.511 Più volte in queste pagine adopero la parola “trasmutazione”. Essa indica che la trasformazione di un’informazione non consente il recupero dello stato precedente alla trasformazione stessa, non per incapacità dell’osservatore, ma per radicale inesistenza di una possibilità di trasmutare la trasmutazione, al fine di renderla detrasmutata. Si può solo costruire un “prima” della trasmutazione, senza una verifica diretta, ma solo indiretta, della sua attendibilità. La parola trasmutazione viene sempre adoperata in riferimento al collegamento di un elemento analogico con le configurazioni dei collettori (o assoluti derivati: vd. il capitolo rel. agli assoluti). Tale collegamento avviene grazie ad analogie singolari grafèiche di analogie singolari grafèiche, per mantenere il veto conoscitivo suddetto. Non vi è contraddizione nel fatto che il veto conoscitivo in parola sia autoimposto dall’uomo-osservatore a se stesso, nonostante che sia anche impossibile da superare. Ciò che è impossibile lo è allo stato dell’arte (in questo caso, dell’arte epistemologica).512 Successivo non in senso cronologico, ma d’implicazione logica. L’innesco di tale implicazione logica è offerto dall’ASg di ASg, che assume la forma di “telepatia diffusa” (in acronimo: “td”), di cui parleremo più diffusamente in trinità o funzioni conoscitive?, saggio di futura pubblicazione in www.bridge4will.net. La td è una forma di trasmissione telepatica, in cui il soggetto trasmittente è l’essere supremo e il ricevente l’organismo vivente. Vi sono anche altre forme di td in mondi distaccati da questo, ma con esso comunicanti, in cui il soggetto ricevente non è un organismo vivente, ma quello che nella cultura orientale si chiama “corpo sottile”. I pda di colui che muore si riconnettono tra loro a formare un corpo sottile per ogni mondo distaccato in cui finisce per continuare la sua osservazione della realtà: solo un corpo, vivente o sottile (a secondo del mondo di appartenenza), può vivere il conscio-inconscio della realtà. Invece finché non si ricongiunge il corpo, finché cioè l’osservatore si trova scisso in molti percorsi tra loro sfrangiati, esso vive unicamente l’inconscio (secondo livello configurazionale, allo stadio “rattrappito” di singole coppie di fcs tra loro distaccate).513 L’aspetto prosecutorio di tale flusso informativo non inficia la validità della sezione di flusso precedente, che rimane in vigore nell’osservatore, che però se ne può accorgere solo grazie ad indizi (vere e proprie interferenze o imperfezioni all’interno dell’osservazione trasmutata: è grazie a questi ultimi che l’uomo può trarre gl’indizi per 205

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anche il fine ultimo di tali operazioni. Esso si pone, infatti, come elemento centrale di mediazione in ogni analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica, impostando così i veti conoscitivi che rendono inoggettivizzabile la realtà su cui si appunta l’osservazione dell’osservatore-uomo. Quest’ultimo può così costruire l’intero schema-tipo (analogico-configurazionale) che ho sopra proposto, per comprendere le profonde dimaniche della realtà, al netto delle trasmutazioni operate grazie ai collettori518. La comprensione di tali dinamiche permette all’osservatore-uomo d’interagirvi, divenendo decisivo nell’essere, cioè nell’evoluzione e conservazione, di tipo relazionale, della realtà. In collegamento con il fine ultimo (l’elemento grafèico puro), vi è infatti il fine iniziale (cioè la realtà a valle, che già percepiamo grazie ai collettori). Il collegamento tra tale fine iniziale e il fine ultimo è costituito da un fine intermedio: la realtà a monte. Di fini intermedi ve ne sono molti e, nel loro continuo vorticare e modificarsi, si contendono il rapporto con il fine ultimo (che nella relazione con essi si esprime, per quanto come qualcosa d’inesprimibile519). Il fine ultimo potrebbe anche decidere di modificare la realtà a valle (che per noi è quella attualmente osservabile come trasmutazione cronologica, spaziale e logico-tradizionale), ma evita di farlo per non perdere il rapporto con l’osservatore (rappresentante la via cd. del non-essere, complementare a quella cd. dell’essere). Tuttavia, per coltivare tale rapporto, quando il fine ultimo ravvisa possibilità di autentica comunicazione, privilegia specifici fini intremedi (realtà a monte), che possono in sostanza cambiare l’impatto del fine iniziale (realtà a valle) sull’osservatore. In questo modo l’osservatore si evolve e comunica. La punta di diamante di tale evoluzione e comunicazione, nella realtà a valle, è l’osservatore-uomo520. Il vero agone competitivo per l’evoluzione è quindi nella costruzione dei fini intermedi (realtà a monte), non nello studio del fine iniziale (realtà a valle). La realtà a valle che la Scienza occidentale aspira a prevedere è già qui, nella realtà a monte: pensare di attagliarsi alle leggi attuali, per prevederla, è come pensare di fare surf con cavalloni alti cento metri: si può restare a galle per una manciata di secondi, prima del cavallone successivo. Se invece si vuole restare a galla davvero, ci vuole una nave immensa (pur in disfacimento) o il prosciugamento del Mar Rosso, che ci permettano di arrivare incolumi alla terraferma. Invece la Scienza con la “s” maiuscola preferisce la tavola da surf. La nostalgia non ci porterà ad alcun approdo sicuro. Occorre un sistema dottrinale esoterico, dotato di precisione, capace di spaziare a 360° e verificabile. Ciò è quanto intendiamo proporre in queste pagine.

innescare il rapporto speculare, cioè la personificazione delle tre funzioni cognitive fondamentali nelle tre persone trinitarie).514 Vd. nota prec.515 L’assenza di un secondo fcs sta a segnalarci che la realtà trasmutata non è relazionale, ma uno spezzarsi di essa con un conseguente movimento di assestamento razionale che chiamo via del non-essere.516 Si tratta dell’elemento analogico che si sta modificando, cioè che sta collegandosi in modo nuovo, in un pda. Può trattarsi sia dell’elemento in fondo allo schema dell’intero pda, per ipotesi non sospeso, sia di un elemento interno ad un sub-pda che, nel contesto del pdac, si sta modificando. Le circostanze configurazionali che sospingono la “gemma apicale” potrebbero essere ricondotte all’incrocio con un pda di disturbo o ad un cambiamento nel finalismo.517 Alludo alle due vie della conoscenza proposte da Parmenide (così come da me interpretate in Analogia singolare…, scaricabile dal sito www.bridge4will.net). 518 I “collettori” sono gli assoluti derivati, di cui si tratta nel capitolo sugli assoluti.519 Il significato dell’espressione dell’inesprimibile viene spiegato, all’interno di una nota, nelle prime pagine di Analogia singolare…, scaricabile dal sito www.bridge4will.net. Per trovare tale nota, occorre inserire nel campo di cerca/trova il criterio “inesprim”. La prima occorrenza di tale criterio dovrebbe puntare (salvo modifiche successive del testo) proprio sulla nota suddetta.520 Ho chiarito sopra il significato del termine “osservatore-uomo”, che non si chiude alla sola umanità.206

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L’ufc521 sorge nel sub-pda522 solo quando un sc523, grazie alla percezione strutturale524, riesce a collegarsi all’intero novero di elementi necessario ad integrare il primo elemento di un’analogia singolare sefèrica525 (ASs). Tale ASs potrebbe essere preimpostata nell’essere, cioè compatibile con le configurazioni adiacenti, oppure essere creazionale, e cioè incompatibile con le configurazioni adiacenti. Le configurazioni adiacenti sono quelle raggiungibili con il salto paradigmatico, senza bisogno del ponte mistico. Il ponte mistico è una tecnica peculiare. Essa prevede che vi sia una forma di telepatia, in cui un’entità trasmittente suggerisca ad un’osservatore ricevente gli elementi strutturali necessari a formare l’ufc, di modo che entrando nella nuova configurazione senza consapevolezza del paradigma di riferimento il ricevente non sia in grado di replicare il salto paradigmatico, per eccessiva difficoltà a replicare gli stessi elementi strutturali dell’ufc (dei quali e della cui portata configurazionale non si è reso conto). Esiste anche un’altra tecnica per raggiungere configurazioni remote: si tratta di una tecnica volontaristica che richiede di essere il figlio dell’uomo (almeno in collegamento con l’esecuzione della tecnica stessa), cioè l’osservatore-interprete capace di assurgere all’accordo costitutivo con l’essere supremo o sé archetipico dell’uomo (vd. in proposito il saggio Trinità o facoltà conoscitive?, di futura pubblicazione sul sito www.bridge4will.net). Non è detto, però, che la configurazione remota sia creazionale526: per essere creazionale c’è comunque bisogno che essa sia in grado di stravolgere ogni configurazione con cui entri in contatto (cambiando radicalmente i connotati dei sub-pda che vi transitano). Tali connotati sono proprio gli ufc e, per adattamento al paradigma rivoluzionato, gli ifscα dell’afc e degli altri elementi del sub-pda. Per esempio, la Rivoluzione Francese ha portato a uno stravolgimento degli altri paradigmi giuridici con cui è entrata in contatto: il paradigma della divisione in classi sociali è diventato un taboo totalmente irrilevante per il diritto (con evidente suo stravolgimento e conseguente adattamento degli elementi dei suoi sub-pda, costituiti dal senso di appartenenza e di tutela-potere/soggezione che l’appartanenza alla singola classe dava al suo membro).

521 Ufc = “universalizzante falso – concretante”. Si tratta di un elemento analogico che si collega più direttamente (cioè grazie ad ASg di ASg: vd. il capitolo precedente) alla configurazione analogica dell’assoluto originario dell’universalizzante-concretante. La parola “falso” sta ad indicare che sorvola sui cs (elementi analogici che si collegano più direttamente alla configurazione analogica dell’assoluto originario del concretante-strutturante). Per una spiegazione degli assoluti, vd. il capitolo relativo.522 Sub-pda = tratto di percorso di autocoscienza (pda) racchiuso tra due salti paradigmatici (vd. Anche il capitolo sullo schema configurazionale).523 Sc = “strutturante-concretante”. Si tratta di un elemento analogico che si collega più direttamente (cioè grazie ad ASg di ASg: vd. il capitolo precedente) alla configurazione analogica dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Per una spiegazione degli assoluti, vd. il capitolo relativo.524 La percezione strutturale è il senso dell’esserci del collegamento degli elementi logici a valle.525 L’analogia singolare è un’analogia ineffabile. Se è seferica, allora entrambi gli elementi dell’analogia sono elementi analogici indiretti (cioè suscettibili di ulteriori mediazioni analogiche). Il primo elemento dell’ASs è appunto l’ufc, che altro non sarebbe se non il paradigma specifico della configurazione analogica cui l’ASs introduce.526 Anche la configurazione a cui conduce il ponte mistico potrebbe essere semplicemente remota e non creazionale. La configurazione remota è già inserita in un sistema configurazionale, nel quale vi sono altre configurazioni ad essa adiacenti. Una configurazione creazionale tende invece a costituire un sistema configurazionale nuovo dalle ceneri delle configurazioni ad essa remote (cioè non ancora collegate con sufficienti incroci di pda, tali da stabilizzare la relazione reciproca di modo che non comporti in esse una rivoluzione paradigmatica).207

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Lo schema analogico-configurazionale dell’ufc è lo stesso dell’sc, con le uniche ulteriori specifiche che: 1) il suo ifscα si colleghi a valle con gli elementi strutturali indispensabili alla nuova configurazione (sarà quindi necessario l’incrocio con vari pda all’altezza dell’ufc o dei successivi elementi: se l’ufc diventa tale quando non è la “gemma apicale”527 del pda, allora il successivo cs diventa afc e il sub-pda che ne segue si stacca dal sub-pda a valle, configurando un’altra ipotesi di distacco oltre a quella di un novero di pdac (comunque implicati nell’operazione) che vengono agganciati e dirottati dai pda-dist (anch’essi eventualmente implicati nell’operazione)); 2) l’ufc diventi immodificabile (o quanto meno non possa perdere dall’ifscα il collegamento agli elementi sc indispensabili per costituire il paradigma, pena l’impossibilità di far luogo alla configurazione). L’ifscα e l’ifscβ sono quindi come quelli dell’sc, ma solo quando l’ufc torna sc per riduzione del salto paradigmatico allo schema “sc-cs”; fino ad allora l’ifscβ rimane allo stato di coppia di fcs che rimandano all’ifscβ dell’afc e del primo sc a valle. L’ifscγ sarà invece identico a quello di un sc.

Alla stregua di quanto emerso, si nota che i pdac coscienti sono estremamente diversi da quelli inconsci, poiché rimodulano il sub-pda a partire da quello più a valle o fine iniziale (già trasmutato dai collettori), per risalire ai fini intermedi e alterarne uno.

Quando l’osservatore-uomo ha la percezione strutturale dell’ufc, tale percezione strutturale è già trasmutata grazie al passaggio dalle configurazioni dei collettori (o assoluti derivati: vd. il relativo capitolo). Ciò significa, alla stregua dell’analisi di tutti gli schemi sopra riportati, che la percezione strutturale di cui trattasi è un elemento a valle, rispetto ai (cronologicamente) successivi elementi attentivi e logico-strutturali in cui il paradigma-ufc si declina. Il senso di scoperta, insito nella percezione strutturale trasmutata dell’ufc, è reso possibile dal posizionamento a valle (nello schema analogico-strutturale del pda) degli elementi cs ed sc, rispetto al posizionamento dell’ufc che li precede (nello schema stesso). Il tempo (cronologico) di elaborazione dell’intuizione (afc) di cui ci parla Jung, nei resoconti della sua prima

527 S’intende per “gemma apicale” l’elemento più a valle dell’intero pda. La gemma apicale è attiva solo se il pda non è sospeso.208

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esperienza psicanalitica, coincide con gli elementi cs ed sc trasmutati, che si trovano a valle rispetto all’intuizione (afc) stessa. E’ infatti l’ifscγ di tali elementi a gestire il loro scorrimento nei collettori, che in una realtà non illusoriamente cronologica, non illusoriamente spaziale e non illusoriamente legata ai principi della logica tradizionale non avrebbe senso. Tali secondi di elaborazione intuitiva trasmutata sono un indizio che, insieme a molti altri, ci conduce verso il rapporto speculare con il nostro sé archetipico528.

Ci possiamo ora chiedere che fine facciano le percezioni attentive, le percezioni strutturali e le percezioni dopo essere passate dai collettori (che le rendono acquisibili a livello intellettivo all’osservatore) e poi dallo sfrangiamento (che ci riserviamo di spiegare in seguito). Per rispondere a questa domanda, ribaltiamo il metodo esoterico e proviamo a considerare direttamente il feedback che ci viene dalla realtà. Nella realtà verificabile, se un uomo scatta una foto-ricordo e la riguarda dopo dieci anni, anche se il ricordo fosse ormai andato perso, nel senso che non fosse più raggiungibile grazie ad un ragionamento o ad un dialogo con qualcuno che avesse vissuto lo stesso ricordo, ebbene l’uomo vi sarebbe nuovamente catapultato dentro dal momento in cui rivedesse la foto. Certo, più è affettivamente legato alle persone o alle cose ritratte in quella foto, più sicuramente e intensamente vivrebbe il ricordo. Se avesse fotografato un panorama senza personaggi appartenenti alla sua stretta cerchia di conoscenze, in un buon range di casi non ricorderebbe nemmeno a cosa si riferisca la foto. Potrebbe però ricavarlo per deduzione da piccoli elementi (ma ciò sarebbe poco significativo, perché saprebbe di costruzione a tavolino del ricordo). Se però in tale foto (appartenente ad un certo album di famiglia) egli rinvenisse un particolare architettonico, che sa trovarsi in una certa città, magari immerso nella luce di un giorno di pioggia, potrebbe agevolmente ricostruire il ricordo come appartenente ad un particolare viaggio, rovinato del tutto dalla pioggia, purché in esso avesse vissuto emozioni abbastanza significative. Oppure, anche in assenza di tali emozioni, se potesse ricollegare il viaggio ad elementi intellettivi “freschi”, cioè oggetto di frequente dialogo interiore o con altri soggetti, la ricostruzione del ricordo sarebbe nuovamente agevole. Non riesco tuttavia a distinguere tale ricostruzione dalla costruzione a tavolino, se non si accompagna ad emozioni abbastanza intense, da essere rimaste a distanza di quei dieci anni, e relative ad un elemento della foto (non ad un elemento ricollegabile a livello tendenzialmente solo intellettivo). Lo schema configurazionale dell’emozione farebbe, insomma, la differenza. Se l’emozione si fosse sfrangiata, invece, il ricordo sarebbe ancora una volta costruito a tavolino. Infine, anche un ricordo costruito a tavolino risulterebbe impossibile, se il soggetto in questione riprendesse in mano quel ricordo in una vita biologica successiva. La reincarnazione lascia la possibilità di accedere solo ad un certo tipo di ricordi della vita precedente. Si tratta dei ricordi direttamente collegabili ad un salto paradigmatico. Nello schema configurazionale del sub-pda, quando si ha la costruzione del ricordo, si parte da una situazione disastrosa ma non irrecuperabile: ciò che si salva sono solo due elementi: l’afc e l’ufc. Mi riferisco all’afc che inizia il sub-pda e all’ufc che introduce ai confini del sub-pda successivo (e quindi anche ai confini della configurazione analogica successiva). Ciascuno di tali elementi, a sfrangiamento completato, si configura come un fcs. Ciò che rimane di un ricordo, una volta sciolte le emozioni che lo riguardavano, è quindi una coppia di fcs per ogni configurazione attraversata. L’acronimo fcs (come sopra precisato) sta per “elemento, collegato alla configurazione analogica del concretante-strutturante, che sorvola su un certo novero di cs” (in questo caso, sui cs appartenenti al sub-pda di riferimento). Lo schema di riattivazione dell’fcs è il seguente: fcs –ASg – ASg – mCA(cs) – ASg – ASg – mCA(sc) – ASg – ASg – afc(ifscα(mfsc)) - ASg – ASg – mCA(gp) - afc(ifscβ(mfsc)). Gli acronimi mCA e mfsc stanno, rispettivamente, per novero di molte configurazioni analogiche e novero di molti fsc. Il significato dello schema è che la riattivazione del ricordo passa dalla primaria riattivazione dell’afc, che viene però costruito in modo nuovo. Non c’è un ricordo da recuperare, se non nella misura limitata alla coppia di fcs, che però vengono attribuiti in modo ineffabile (cioè con analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) ad un novero di elementi della configurazione analogica del cs, per essere poi collegati (sempre in modo ineffabile) ad un novero di elementi della configurazione dell’sc, per poi essere collegati (sempre in modo ineffabile) al novero di fsc della ricostituita ifscα, per poi essere collegati (sempre in modo ineffabile) ad un novero di elementi della configurazione della gp, per poi essere infine collegati (sempre in modo ineffabile) al novero di fsc dell’ifscβ. In questo modo si ricostituiscono entrambe le innervazioni dell’afc: quella specializzata nella strutturazione degli elementi del sub-pda (ifscα) e quella specializzata nella

528 Per comprendere cosa sia il rapporto speculare e il sé archetipico, si rinvia al saggio Analogia singolare…, gratuitamente scaricabile da www.bridge4will.net.209

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percezione intuitiva e nella percezione strutturale degli elementi del sub-pda. Il sub-pda prosegue, come di consueto, con gli elementi del sub-pda, in forma conscia (primo livello configurazionale) o inconscia (secondo livello configurazionale). L’ultimo elemento, l’ufc, richiede anch’esso uno specifico schema di riattivazione dell’fcs: fcs - ASg – ASg – mCA(cs) – ASg – ASg – mCA(sc) – ASg – ASg – ufc(ifscα(mfsc)) - ASg – ASg – mCA(gp) - ufc(ifscβ(mfsc)) - …. Che garanzie di autenticità del ricordo può darci, questo schema di riattivazione degli fcs? Sicuramente non garanzie assolute né definitive. D’altro canto, se avessimo voluto tali garanzie, avremmo anche rinunciato alla nostra personalità, per svenderci ad una qualche forma di automatismo. Le garanzie sono essenzialmente due. La prima è il rapporto intimo con l’essere supremo o sé archetipico dell’uomo. L’elemento grafèico puro è un po’ il cuore, la magia dell’essere supremo. Esso gestisce ciò che di più ineffabile (in un certo senso) vi è nell’ineffabile. Grazie all’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica abbiamo quindi la possibilità di raccordare la riattivazione della nostra memoria ad un elemento intuitivo complesso (l’fcs), che altrimenti non avrebbe alcuna chance di collegarsi ad alcunché. Chi ci dice che in questo fcs ci sia qualcosa di più di un contenitore vuoto? Chi ci dice che vi sia un pezzo che riattaccato all’ineffabile combaci alla perfezione allo schema che abbiamo visto sopra? Il rapporto intimo del figlio dell’uomo529 con l’essere supremo (e quindi con il grafèico puro)! Tale rapporto intimo è ricercato nell’intera scrittura biblica e plasma ogni giorno di più la nostra civiltà. I nostri rapporti reciproci sono intessuti della ricerca di questa intimità. Perché dunque dovremmo temere che sia tutta una messa in scena, un gioco brutale di un’entità senza scrupoli, che ci tratta come cavie da laboratorio? Mosé ha affrontato un simile atteggiamento nel passo in cui Yahwé gli propone di dare vita ad un nuovo popolo dalla sua discendenza, poiché ormai il popolo dei figli d’Israele appariva irrecuperabile e quindi da sterminare. La proposta di questo sterminio viene fatta ad un uomo. Dobbiamo intendere lo sterminio come qualcosa di più radicale di un’uccisione di massa. Si tratta infatti del timore che sopra ventilavamo: abortire l’esperimento e ricominciarlo con nuove cavie da laboratorio. Ma come gli umani stessi, a forza di trattare con gli animali, finiscono per affezzionarsene e avere un proprio animale da compagnia, cui sarebbero disposti (in alcuni casi) a sacrificare quasi la propria stessa vita, così a maggior ragione Yahwé Elohìm, che vede nell’uomo colui che è fatto “a (sua) immagine e a somiglianza”. Per i cabbalisti Adam Kàdmon è l’essere supremo stesso. Quindi l’uomo (adàm, in ebraico) sarebbe l’immedesimazione così fedele dell’essere supremo da essere l’essere supremo stesso. Le due cose sono inscindibili. Come si potrebbe appunto pensare ad un’analogia singolare (che è l’interezza dell’essere supremo) senza gli elementi analogici indiretti che le si collegano? Noi umani, nella nostra tendenza all’assestamento logico-strutturale della realtà, siamo l’opposto complementare della via della ricerca (che costituisce l’essere supremo). Senza il suo opposto complementare, il nostro sé archetipico non potrebbe essere ciò che è. Quindi la fedeltà di Yahwé alla sua decisione finale di accondiscendere alla misericordia impetrata da Mosé, cioè di annullare l’abortimento della sperimentazione sugli umani, diventa il DNA stesso di Yahwé. Per distaccarsene, egli dovrebbe rinunciare radicalmente a ciò che è, per trasmutarsi in qualcos’altro. E’ come se uno di noi, ad un certo punto, decidesse di sottoporsi al trattamento estetico più radicale: la sostituzione del corpo con un altro corpo. E’ stato fatto un film, abbastanza tosto, su questo tema. L’esito finale era un’alienazione abbacinante, un senso di frustrazione esistenziale, in colei che si era sottoposta (giocoforza) all’abominevole intervento. I parenti scoppiavano in lacrime, lei non ne era capace, pur essendo consapevole di ciò che le era successo. L’essere supremo non può non essere consapevole di ciò che potrebbe significare, per lui stesso, una simile alienazione. Per questo aderisce alla controproposta di Mosé. All’alleanza successiva, quella con Gesù, l’importanza dell’intimità del sé archetipico con l’uomo diventa ancora più viscerale. Paolo di Tarso non ha alcun dubbio che il popolo d’Israele, tagliato come un albero dalle radici, vi verrà un giorno riattaccato senza alcuna difficoltà. L’esperimento fallito non viene più abortito, al massimo sospeso in attesa che la situazione sia propizia per una sua prosecuzione. Il trauma affettivo che si riverbera agli umani stessi scuote dalle fondamenta la persona umana, figurarci l’essere supremo che ha dovuto prendere una scelta così sofferta. Senza poter approfondire qui il significato preciso di tale taglio “provvisorio” del popolo d’Israele dall’alleanza con Yahwé, passiamo subito alla seconda

529 Il figlio dell’uomo è quella figura scritturistica, che dobbiamo poter individuare nella realtà, di osservatore-interprete, capace di entrare nel rapporto speculare, al fine di concludere con l’essere supremo l’accordo costitutivo. I termini rapporto speculare e accordo costitutivo sono spiegati analiticamente in Analogia singolare… e in Trinità o funzioni conoscitive?, pubblicati (o di futura pubblicazione) sul sito www.bridge4will.net. 210

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garanzia della memoria. L’fcs, per quanto costruibile a tavolino dall’essere supremo, difficilmente lo sarebbe di fatto, poiché l’introduzione di un fcs “fasullo” si scontrerebbe con la memoria di altri soggetti e, in modi imprevedibili, con la traccia attuale della memoria dell’umanità. Anche così non sarebbe impossibile l’introduzione di memorie “fasulle” tra loro coerenti, ma richiederebbe uno sforzo immenso sul già immenso sforzo di coerenza, che l’essere deve esercitare sulla realtà. Uno sforzo che, dunque, servirebbe solo a rendere più amara, micidiale e insidiosa la minaccia di un abortimento della sperimentazione. Un domani potremmo entrare in contatto con configurazioni remote o altre cose simili, che ci richiedessero un confronto serio con tale abominevole ipotesi. Se vi fossero, “da qualche parte”, mondi scartati da questo essere di cui parliamo e della cui pasta siamo fatti, ebbene non dovremmo chiudere loro le porte del nostro cuore. Non potremmo, in ultima analisi, perché li sentiremmo come “uno di noi”, come un altro me stesso. Uccideremmo la parte più importante e bella di noi, se ci rifiutassimo in modo instancabile ad un simile confronto. Ma qualora tale confronto avvenisse, potremmo trovare un nuovo accordo, che contentasse entrambe le parti (il nostro mondo e quello “scartato”). Per adesso, finché la controparte non prende l’iniziativa di fare istanza di confronto, la nostra unica controparte con cui accordarci è l’essere. Possiamo dargli fiducia, nell’interesse della vita di coppia, se questa ci soddisfa e ci realizza e ci permette di proiettarci verso qualcuno che amiamo. Lo spettro di amore che ci propone l’essere è ampio e capiente e traboccante, per ogni nostra relazione umana ed extra-umana. Perché gettarlo via per un dubbio diabolico? Cosa ci resterebbe in mano? Cosa diventeremmo? Se vincesse lo scetticismo, non saremmo mai stati (ci scarteremmo da soli).

Grazie all’analisi dello sfrangiamento e dei livelli configurazionali, è agevole distinguere i corpi viventi dai corpi non viventi. I primi, anche quando non hanno ancora formato la coscienza, hanno comunque uno sfrangiamento che interessa il primo livello configurazionale530. I corpi non viventi, al contrario, subiscono sfrangiamento solo nel secondo livello configurazionale531 (quindi, per fare una casistica più immediatamente intuibile, solo in caso d’inquinamento o di pressione strutturale).

L’osservatore-uomo riesce a distinguere i corpi viventi dai corpi non viventi, senza bisogno degli aspetti teorici indicati nel precedente capoverso. Egli, infatti, quando percepisce (o almeno ricostruisce con il proprio pensiero) un movimento non perfettamente ripetitivo ma variabile, ritiene di essere in presenza di un corpo vivente; al contrario, quando percepisce (o almeno ricostruisce con il proprio pensiero) una fissità imperturbabile o un movimento perfettamente ripetitivo (“al netto” delle collisioni con altri corpi), ritiene di essere in presenza di un corpo non vivente. L’ambiente interno (coscienza) dell’uomo opera tali distinzioni per la sua capacità di replicare l’ambiente esterno, con le sue analogie e differenze, per scoprirne il significato in base al proprio finalismo. Ma perché l’uomo, nell’arco dei millenni, non ha analogizzato diversamente la distinzione tra corpi viventi e corpi non viventi (che, in effetti, non ricalca affatto la distinzione configurazionale tra i medesimi)? La risposta è sempre lo sfrangiamento. Infatti, se anche un umano avesse ipotizzato l’inesistenza di una distinzione tra corpi viventi e corpi non viventi, o un diverso tipo di distinzione (cioè non basata sul tipo di movimento), ebbene avrebbe subito prima o poi lo sfrangiamento dei pda esprimenti tali ipotesi, che sarebbero stati sostituiti dai sub-pda di altri umani convinti della distinzione sopra indicata. Lo sfrangiamento è quindi alla base della costituzione delle grandi ideologie, ma anche delle grandi intuizioni dell’umanità, corrette o scorrette che siano.

530 E’ il livello di più alta coscienza, che si sviluppa anche nei corpi che non hanno ancora formato la coscienza. Come spiegato nel capitolo relativo ai livelli configurazionali, il primo livello è quello che concentra l’attenzione del corpo su un singolo elemento di un singolo pda, spostando tale attenzione di elemento in elemento, all’interno del medesimo pda. Si può parlare di attenzione del corpo, anche quando non è assimilabile al corpo dell’osservatore-uomo (in quanto estremamente diverso da esso, come lo potrebbe essere ad esempio un paramecio o un batterio). Ciò avviene in grazia del paradigma fondamentale dell’assoluto originario del concretante-strutturante, che ha la funzione di porre l’attenzione su un certo elemento analogico, nonché in grazia del paradigma fondamentale della grafé, che consente di analogizzare qualunque coppia di elementi reali.531 E’ il livello in cui l’attenzione del corpo si diffonde tra tutti gli elementi di ogni pda. Sul fatto che si possa parlare di “attenzione del corpo” anche in corpi non assimilabili al corpo dell’osservatore-uomo, vedi nota precedente.211

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Adesso occorre rispettare una promessa fatta all’inizio del capitolo: spiegare come operare in modo strategico sui pdac (pda532 di controllo533) consci534, al fine di ottimizzare e in parte neutralizzare le performances sfrangianti dei pda di disturbo535.

Dobbiamo in primo luogo cogliere l’importanza dei pda di disturbo e dello sfrangiamento, dal momento che senza di loro saremmo un’unica monade ferma in se stessa. Possiamo quindi ringraziare l’essere per la loro invenzione, che ci fa essere ciò che siamo e diventare ciò che possiamo diventare. Ma come ogni cosa stupenda, presenta anche il risvolto della medaglia. Sarebbe folle pensare di adagiarsi su tali grimaldelli, senza adoperarli per quello che sono: grimaldelli. O li adoperiamo per forgiare la nostra chiave interpretativa, funzionale al nostro più intimo finalismo, o veniamo da loro forgiati come chiave per gli altri. Come gli abitanti dell’Isola di Pasqua di alcuni secoli fa’, che si sono estinti per scarsa consapevolezza di ciò che erano, così anche noi potremmo fare da monito ad altre specie viventi che prendano il nostro posto o si affaccino alle rovine del nostro mondo, chiuso alla ricerca (nel senso più volte chiarito536).

Il pda di disturbo è un qualunque pda che si trova ad avere un elemento peculiarmente simile ad un elemento del pda di riferimento. La somiglianza, se ben “caricata” grazie ad una teoria di altre somiglianze, rende i due elementi indistinguibili: si accende cioè tra di loro un’analogia singolare sefèrica537 (d’ora in poi “ASs”). La scelta di dipartire un pdac conscio dal pda di riferimento rende dunque più probabile l’accensione di tale ASs. Una volta che si accende l’ASs il prosieguo del sub-pda di riferimento si distacca dal pda a monte, esponendosi così allo sfrangiamento. Il primo elemento rimasto del sub-pda di riferimento diventa un afc, che assicura così la continuità del sub-pda residuo. Gli ufc precedenti non sono più collegati al pda, ma grazie all’onda formaturale non si perde la “memoria” della loro sequenza negli elementi a valle. Viene solo a mancare il collegamento con i cs a monte. Ma la cosa più importante da considerare, ai nostri attuali fini, è che nel sub-pda residuo e negli altri a valle non si riaccende più il pdac inconscio. Nel secondo livello configurazionale, cioè, viene a mancare la manutenzione assicurata dai pdac. L’intero pda residuo a valle viene cioè trattato come un albero separato dalla proprie radici, in attesa di seccare. Ciò si giustifica per il finalismo del pdac conscio, che ha incontrato il finalismo dell’essere, accordandosi con esso grazie all’ASs. Altrimenti saremmo come una foresta le cui piante non muoiono mai, ma continuano a germinare anche dopo che siano distaccate dalle radici. L’esito sarebbe un caos spaventoso.

Adesso occorre chiedersi come venga gestito l’effettivo scivolamento nell’oblìo del singolo elemento analogico appartenente ad un pda residuo538. Tale scivolamento effettivo avviene grazie al collegamento,

532 Pda = percorsi di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.533 Vd. il relativo capitolo.534 Mi riferisco ai pdac siti nel primo livello configurazionale.535 Per una spiegazione dei pda di disturbo, vd. il capitolo relativo al pda e quello relativo al pda di controllo.536 Vd. in particolare il capitolo sul non-essere nel saggio Analogia singolare…, disponibile sul sito indicato nell’epigrafe della copertina.537 Un’analogia singolare è un’analogia ineffabile. Tale analogia è sefèrica quando insiste tra due elementi analogici indiretti (cioè singolarmente spiegabili grazie ad altre analogie). Vd. il saggio Analogia singolare… scaricabile gratuitamente su www.bridge4will.net. 538 Cioè rimasto privo della possibilità di manutenersi grazie ai pdac inconsci, ma non di avanzare con altri elementi analogici né di operare pdac consci. La situazione del pda residuo è peculiare: esso continua la sua vita, ma viene sempre più smembrato grazie allo scivolamento nell’oblìo dei suoi elementi. Inoltre i nuovi elementi analogici si aggiungono in maniera sempre più stanca, a dimostrazione di una certa passività, di una perdita di slancio del pda stesso. Per comprendere tali vicissitudini, proviamo ad immaginarci di essere un cosmologo del sedicesimo secolo, cresciuto nello studio della teoria tolemaica, che ad un certo scopre che nelle università si comincia ad insegnare (nella tolleranza sorda delle gerarchie ecclesiastiche) una nuova teoria: quella di un certo Copernico. Confrontandosi con tale teoria, il cosmologo apprende che non è scontato che il Sole giri intorno alla Terra: anzi dallo studio di Copernico emergono molti elementi che fanno pensare il contrario (cioè che la Terra giri intorno al Sole). Mettiamo che il cosmologo si lasci emozionare dalla nuova teoria. Tale emozione è collegata alla scoperta di pda di disturbo che vanno ad intercettare, grazie ad alcune ASs, i suoi pdac consci. Da quel momento in poi, pur potendo per un certo periodo continuare a fare all’occorrenza calcoli con la teoria geocentrica di Tolomeo, noterà che tali calcoli gli rimangono sempre più difficoltosi, ostici, anche se prima gli riuscivano speditamente. Per riprendere in mano tali calcoli in modo serio, dovrebbe rileggersi i suoi vecchi manuali (cosa che diventa improvvisamente odiosa). In breve, per la leggerezza di essersi lasciato infatuare dalla nuova teoria eliocentrica, sarà costretto di fatto ad abbandonare quella geocentrica. Non a caso gli accademici, quando viene introdotta una nuova teoria, si dividono tra assertori di quest’ultima e suoi 212

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che ogni elemento analogico ha, con una configurazione che chiameremo “configurazione dello sfrangiamento”. Tale configurazione gestisce lo scivolamento in parola. Il collegamento con tale configurazione è assicurato da un’ASg di ASg539. In tale configurazione non possiamo quindi curiosare in modo immediato, cioè con una verifica diretta, ma solo effettuare una costruzione più precisa possibile (che sarà poi oggetto di verifica). La configurazione dello sfrangiamento gestisce la perdita di finalismo nel pda residuo, grazie alla caducazione nell’oblìo dei suoi singoli elementi in dipendenza della caducazione o della germinazione di altri dello stesso pda. Si noti che il pda residuo, ad ogni nuova caducazione, si divide in due. Ad ognuna di tali divisioni, si ha in un certo senso un abbattimento ulteriore del finalismo intrinseco ai due pda residui. I due pda residui possono però essere ricondotti ad unità grazie ad un pdac conscio. Il nostro organismo è pieno di questi rattoppi, più evidenti in campo “cognitivo”, meno evidenti in campo “fisico”540. La divisione e la riunione, nonché la perdita di finalismo del pda residuo, vengono avvertiti anche nella realtà trasmutata, cioè nella realtà più direttamente osservabile da noi. Tale realtà è cronologica, spaziale, limitata dai principi stringenti della logica tradizionale e da molti altri assoluti derivati (vd. il rel. capitolo). Ma nella realtà analogico-configurazionale non trasmutata tali limitazioni non sussistono. Accade quindi frequentemente che si pensi che una teoria o un modo di comportarsi o ragionare sia ancora in auge, senza rendersi conto che a livello analogico-configurazionale esso ha già subito lo sfrangiamento e quindi ha già perso la sua vivacità e vitalità. Ci troviamo così a dibattere in modo acceso su questioni che il nostro essere (sé archetipico) ha già abbandonato, avvertendo un senso di vuoto che è in contrasto con i toni del dibattito. La stessa capacità dialettica dei difensori del vecchio paradigma scema incredibilmente, senza che alcuno sembri rilevarlo, nonostante che fino a pochi decenni prima il dibattito avesse un’anima. Lo sfrangiamento può infatti impiegare anche molto tempo cronologico a rendersi palese. Così quando esso si appalesa, la teoria che sembrava incrollabile si sbriciola come sabbia umida tra le mani. Giunto alla mia età (38 anni) ho assistito già più volte a questa vicissitudine, ma solo ora la comprendo. Essa richiama, per inciso, quel passo in cui Paolo di Tarso esorta i fratelli a non farsi giustizia da soli, in quanto sul capo dell’empio si stanno accumulando carboni ardenti. Quante volte avremmo voluto fare piazza pulita degli accademici e degli uomini delle istituzioni, arroccati sui loro paradigmi ormai cadenti! Non occorre, né è opportunto: bisogna dare loro la possibilità di togliersi dai carboni ardenti fino all’ultimo secondo o d’imparare dai propri errori (costituendo monito anche per gli altri). Anche Gesù notava che coloro sui quali era rovinata la Torre di Siloe non erano più in errore di tutti gli altri Israeliti. E’ una condizione umana che per ora non può essere eliminata, ma solo lasciata fruttuficare dei suoi frutti di consapevolezza (spesso, ahimè!, a posteriori). La gente, una volta che sono crollati i suoi ideali, si sente perduta. Ma è solo il modo che l’essere ha trovato per rieducare l’uomo-osservatore a riattaccarsi all’albero della vita.

Un portato ipoteticamente aberrante della trasmutazione è che possano sussistere noveri immensi di universi paralleli, contenenti memorie alternative degli schemi analogico-configurazionali della realtà. In tali universi potrei trovare versioni “deviate” di me, rispetto al destino che ho seguito, in cui potrei avere grande successo o misera fine di vita. Altro portato ipoteticamente aberrante della trasmutazione è che l’essere possa decidere quali memorie salvare e quali distruggere definitivamente, magari cambiandole più volte ed eliminando i tentativi malriusciti di trasmutazione. Se infatti non esiste in senso oggettivo un linguaggio non trasmutato, i linguaggi possono d’altro canto essere trasmutati (e vengono trasmutati) con molte varianti di trasmutazione: ogni 5lc ha la sua variante, che contempla solo alcuni collettori e non altri, oltre che l’aggiunta di ulteriori collettori rispetto a quelli che conosciamo nel nostro 5lc. E’ quindi ipotizzabile (e ritengo che così si possa già costruire) che entità animiche site in altri 5lc non limitati dai collettori di tempo e di spazio ci guidino (in qualità di cd. “Guide di Luce” o “Spiriti Guida”) o ci creino sbarramenti (i due tipi di cd. “Guardiani della soglia”, uno superiore e uno inferiore) tra i pda da noi trasmutati secondo il nostro 5lc. Tali entità animiche sarebbero più potenti di noi, in quanto noi non siamo ancora in grado di percepire la nostra trasmutazione come liberamente alterabile, mentre altri regni

detrattori implacabili. Avvertono l’abisso di discrezionalità che si spalanca davanti a loro e che, una volta fatto il salto del fossato, non si puà tornare indietro poiché frattanto il fossato sarà diventato una voragine.539 ASg di ASg = analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica. Vd. il relativo capitolo.540 Ho virgolettato le parole cognitivo e fisico, poiché mi riferisco alla distinzione comune tra tali due campi, che non corrisponde però agli aggettivi cognitivo e fisico, così come adoperati nelle teorie di questo percorso esoterico. Non mi addentrerò, tuttavia, in tali disquisizioni (pur di enorme rilevanza) in questa sede.213

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potrebbero essere tributari di percezioni chiare ai fini dell’aggancio dei nostri pdac da parte dei loro pda-dist (con un potere molto meno forte delle prime entità). Ritengo appunto che un novero notevole di entità animiche sia attivo nello svolgimento di quest’azione di drenaggio, ai danni della nostra memoria, al fine di aiutarci a vivere in chiave evolutiva o di vessarci. Tale drenaggio opera grazie all’introduzione, nello schema analogico-configurazionale dell’osservatore, di una incompletezza di un ufc o di un afc. Cambiando, infatti, la coerenza interna di uno di questi due elementi, si può ottenere il cambiamento radicale di una configurazione percorsa dall’osservatore, anche se questi l’abbia già trasmutata: ciò può avvenire, però, solo se l’entità animica è potente e nei limiti della sua potenza (poiché deve ristabilire la coerenza con ogni altra configurazione, appartenente ad ogni altro osservatore, che sia implicata nel sub-pda di riferimento541). Ciò che conta comprendere è che finché l’osservatore non interpreta una ipotesi aberrante, questa non conta ai fini conoscitivi: rappresenta quindi una scelta, al pari di altre alternative, dare importanza all’ipotesi di alterazione della nostra trasmutazione e della compartimentazione di quest’ultima in destini paralleli che seguono regole diverse da quelle oggetto della nostra trasmutazione. Questa irrilevanza è un portato diretto del nome dell’essere supremo היה היה אשר (eié ashér eié) = “io sono colui che sono”. Il pronome riflessivo אשר (ashér) sta proprio ad indicare che c’è una circolarità affidata all’interprete. Solo l’interprete-uomo (o figlio dell’uomo) può imporre, quindi, un simile portato all’osservatore che è in lui, affinché inorridisca e si accordi diversamente (sempre in qualità di figlio dell’uomo) con l’essere supremo oppure non inorridisca e non renda tendenzialmente reale tale prospettiva né indispensabile un accordo in ordine ad essa. Noto che attualmente lo scarto del periodo di trasmutazione cronologica dei pda è quasi sempre abbastanza ridotto, dai pochi secondi ai pochi minuti, salvo alcuni destini più a lungo termine tra cui ciascuno di noi si muove. Quindi la correzione (operata da entità animiche, spesso in qualità di essere supremo dal nome di Elohìm) di memorie, che dal nostro punto di vista sarebbero di breve durata, non può che aiutarci se fatta coscienziosamente. E’ un procedimento, anzi, a cui forse non si può in alcun modo rinunciare, soprattutto se decidessimo che l’essere (con gli standard evolutivi che raggiunge nell’uomo contemporaneo) abbia sinora seguito tale sistema. Un suo disinnesco potrebbe avere conseguenze catastrofiche sull’evoluzione. D’altro canto apparirebbe aberrante la sdoppiamento del nostro universo (rectius: 5lc) ad ogni bivio personale del destino di ciascun umano, in quanto vi sarebbero quasi infinite versioni di ciascuno di noi, declinate a loro volta per le quasi infinite versioni di ogni altro essere umano: una follia olografica che piace a vari autori di best seller o di film/serie in streaming di argomento quantistico, ma credo non gioverebbe a nessuno di noi... men che meno all’essere. Non so come potrebbe emergere il protagonismo e la relazionalità dell’essere, se tali fossero le condizioni in cui si movesse la realtà.

541 Spiegheremo il funzionamento di questi due procedimenti (introduzione dell’incompletezza dell’ufc e introduzione dell’incompletezza dell’afc) nel nostro saggio di futura pubblicazione dal titolo Il segreto del superamento dei tre scogli evolutivi. Tale saggio potrà essere pubblicato sul sito www.freenterpretation.net, non appena tale sito sia approntato, oppure provvisoriamente su www.bridge4will.net.214

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15. Il percorso di autocoscienza di disturbo (d’ora in poi anche: “pda-dist”)[i]Il pda-dist è un pda che mette in movimento la realtà, grazie all’aggancio dei pdac di altri pda in

corrispondenza di elementi comuni542 e la prevalenza rispetto a questi ultimi pda proprio in corrispondenza di tali elementi comuni. Il pdac che viene agganciato dal pda-dist, invece che manutenere il sub-pda originario, segue il pda-dist nel prosieguo del suo schema configurazionale, lasciando agonizzare nello sfrangiamento il pda originario (privato della propria gemma apicale, cioè dell’ultimo elemento del pda stesso in quanto tale elemento sia in grado di replicarsi, grazie al proprio finalismo, in altri elementi successivi). La sezione finale del sub-pda originario manterrà (salvo lo sfrangiamento) ogni suo elemento fino al completamento del sub-pda, ma non è più in grado di compiere il successivo salto paradigmatico. Ogni sub-pda successivo a quello il cui pdac è stato agganciato, peraltro, pur continuando ad esistere e ad essere manutenuto, è privo a valle della gemma apicale. Ma il pdac agganciato dal pda-dist salda quest’ultimo al pda originario, nel preciso punto di aggancio (o punto comune ai due pda).

L’esito dell’aggancio operato dal pda-dist può essere di vario tipo per l’organismo, ma implica comunque l’esposizione di uno o più pda originari dell’organismo allo sfrangiamento e l’aggiunta di un nuovo pda. Se sono introdotti troppi pda o dei pda troppo strategici sono esposti allo sfrangiamento e ci si aggancia a troppi pda-dist o a dei pda-dist troppo incoerenti con gli altri pda dell’organismo, la sopravvivenza di quest’ultimo (o quanto meno il suo benessere) sono posti in discussione.

Il pda-dist ha a sua volta un pdac (pda di controllo), che può avere una distanza configurazionale di tre tipi, rispetto al pda stesso:

1) pdac quasi aderente al pda-dist di origine;2) pdac che si distanzia progressivamente dal pda-dist di origine;3) pdac che si distanzia in modo ondulatorio dal pda-dist di origine.Il pdac quasi aderente al pda-dist di origine ha in comunque con quest’ultimo quasi tutti i suoi elementi.

Si tratta quasi sempre di un pda-dist cosciente, inserito in un contesto materiale (cioè non multidiscipinare né interdisciplinare).

Il pdac che si distanzia progressivamente dal pda-dist di origine ha una sorta di effetto a “raffica di mitra” sui pda limitrofi. Essi vengono cioè agganciati (e quindi condannati allo sfrangiamento) in modo abbastanza casuale. E’ difficile che avvenga nell’immediato un effetto-domino o un micro-effetto-domino per l’organismo, ma esso può in molti casi innescarsi inizialmente e poi evolversi grazie alla cooperazione di altri pda-dist. Per aversi tale tipo di pdac del pda-dist occorre un intervento più massiccio della coscienza nel pda-dist stesso.

Il pdac che si distanzia in modo ondulatorio dal pda-dist di origine è quel pdac che, dopo aver intrapreso una sezione di distanziamento dal pda-dist, ritorna ad incrociare un suo elemento (appartenente ad un novero preciso, che fa da filo di continuità nel pda-dist che scaturisce dal proprio pdac). Questo tipo di pda-dist va a colpire con sorte di vibrazioni, che rendono coerenti interi sistemi configurazionali e corpi/organismi (o loro parti). Ad esempio, un pda-dist è quello delle radiazioni, che già a basse intensità colpiscono l’organismo soprattutto in specifici organi, devastandone la tenuta configurazionale. Ma si può trattare anche di vibrazioni interiori, di percezioni di suoni, odori e sensazioni corporee prive di fonte materiale. Per aversi tale tipo di pdac del pda-dist va escluso un intervento importante della coscienza nel pda-dist stesso, che si muove principalmente nel secondo livello configurazionale.

542 Per la comunanza di elementi analogici, vd. il capitolo sul pdac e quello sull’onda formaturale.218

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16. Il “passato” e il “futuro” prima della trasmutazione del linguaggio. Le tecniche di ESP.[i]Possiamo d’altro canto adoperare gli schemi soprastanti ed il loro significato per arguire qualcosa di

decisivo sulla nostra capacità previsionale intuitiva. Ognuno di noi ha moltissimi percorsi di autocoscienza (pda) che sono più estesi di quanto la realtà trasmutata vorrebbe farci credere. A livello intuitivo e inconscio, cioè nel secondo livello configurazionale, albergano tali propaggini di pda che non sono ancora state razionalizzate e che, prima di esserlo, subiranno senz’altro alcune modifiche o anche radicali cambiamenti. E’ come se il futuro fosse già scritto, ma potesse riscriversi ad ogni svolta del cammino. La proiezione in avanti di un pda, rispetto all’elemento raggiunto dalla realtà trasmutata, può riguardare il semplice assetto dell’ultima configurazione raggiunta (caso 1), oppure varie configurazioni ulteriori (caso 2). Nel caso 1, possiamo dire di essere molto concentrati sul “presente”, senza far caso ad alcun segnale che ci viene dal “futuro”. Ogni configurazione ulteriore a quella trasmutata, infatti, è già spazzata via dallo sfrangiamento. Il nostro destino, quanto a tali pda del caso 1, sarà quindi “scritto” in pda a cui non siamo ancora collegati, ma già predisposti ad “arpionare” i nostri pda grazie a pda-dist già all’opera e i cui elementi si stanno conformando a quelli dei nostri pda. Non appena tale conformazione porta detti elementi nella stessa configurazione dei nostri, s’incrociano con questi ultimi e grazie al loro finalismo più “costruito” e quindi energetico riescono a dettarne il successivo percorso, sostituendovi il loro. In questo caso i pda-dist, per prevalere, hanno spesso un percorso già articolato a valle, cui si riallacciano come veri e propri pda di controllo (pdac). Se così non fosse, avremmo maggiori chance di fare una scelta tra il nostro percorso attuale e il pda-dist (che non offrirebbe una carica energetica preponderante rispetto a quella del nostro pda). Nel caso 2, invece, siamo proiettati sul “futuro”, in quanto siamo attenti ai segnali che ci vengono dalle configurazioni successive a quella trasmutata. In alcuni pda il caso 2 può diventare una realtà anche estremamente complessa, che fornisce immense potenzialità all’uomo-osservatore (che diventa così uomo-interprete o figlio dell’uomo). Chiameremo questa situazione con il nome di “caso 2 estremo”. Il caso 2 estremo si ha quando i metodi di raggiungimento delle configurazioni analogiche remote (CRA) hanno realizzato una notevole ramificazione configurazionale a valle della configurazione oggetto di trasmutazione. Rimando al capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle CRA la spiegazione dei metodi stessi, la cui conoscenza dò qui per scontata. Il metodo delle innervazioni incrociate (mii) può conferire ad un’intera civiltà, o ad alcuni membri più “professionali” degli altri, immense anticipazioni dal “futuro” in situazioni specifiche. Si tratta delle cd. tecniche, che consentono di comprimere la natura (fùsis), cioè le leggi scientifiche, grazie ad altre leggi scientifiche. La spiegazione di tale capacità, se portata all’estremo, è quindi nella notevole ramificazione configurazionale a valle, assicurata in modo più diffuso, all’interno di una civiltà, dal mii. Il mii è una cristallizzazione dei criteri (interpretativi) strategici (CS), grazie a cui si possono replicare intere configurazioni ad libitum, anche se nel frattempo si siano sfrangiate. Rimando anche qui al capitolo sulla cristallizzazione dei CS, per la comprensione di quanto appena affermato. Il metodo del ponte mistico (mpm) è la nostra capacità di portare un altro in una configurazione più avanzata rispetto a quella oggetto di trasmutazione: starà poi al nostro interlocutore sfruttare al massimo il “futuro” da cui gli consentiamo di muoversi (ammesso e non concesso tale futuro che sia sempre buono), evitando che si sfrangi troppo presto. Infine il terzo metodo per raggiungere le CRA543 è il metodo delle spire di fumo (msf), costituito da uno sforzo volontaristico che proietta configurazioni virtuali in gran copia e in perfetta sequenza, per arrivare ad una configurazione creazionale (cioè i cui contenuti intuitivi sono imprevedibili e solo vagamente preimpostabili). Se l’uomo riesce a cristallizzare il CS di tale configurazione creazionale, ha inizio una rivoluzione antropologica fondamentale, che intorno a sé vede crollare ogni configurazione virtuale contigua e deve ricavarsi una strada per ricollegarsi alla civiltà degli uomini che vengono condotti nella configurazione in parola grazie al metodo del ponte mistico. E’ l’ideatore della configurazione creazionale stessa che, grazie al mpm, porta i primi “visitatori” nella configurazione stessa, perché insieme a lui costruiscano le configurazioni contigue. Grazie a tale cammino di costruzione, viene ricostruita l’intera civiltà umana, purché non si perda l’interesse per la configurazione creazionale e vi si ritorni cioè con una certa frequenza.

543 CRA = configurazioni remote di arrivo.219

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I metodi di raggiungimento delle CRA544 ci portano quindi a sviluppare, in vari modi, situazioni e sensi, un “futuro” raggiungibile e soprattutto sondabile con l’intuito a partire dall’ultima configurazione trasmutata. Inevitabilmente, ci sono uomini che hanno un “futuro” più articolato e ampio di altri, ma sempre in alcune e non in tutte le situazioni di vita. Ognuno può quindi avere degli addentellati di questo “futuro”, ma solo se la sua civiltà, o altri a lui vicini o egli stesso li ha maturati grazie ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote. Tale “futuro”, se non coltivato, si sfrangia. Se coltivato, dà accesso a facoltà di visione a distanza, di diagnosi e cura a distanza, di preveggenza, di telepatia, di telecinesi, ecc… e in prospettiva la facoltà di superare scogli evolutivi immensi come l’infelicità, l’invecchiamento e la morte biologica (per citare solo quelli su cui stiamo già lavorando da millenni). Tali facoltà vengono chiamate con varie denominazioni, che colgono livelli o aspetti diversi della medesima facoltà: ESP, psi, radiestesia, solo per dire quelle più comuni per l’Occidente.

La coltivazione del “futuro” richiede di affinare la capacità di riconoscere le sensazioni che si accompagnano all’attivazione energetica delle configurazioni analogiche, con cui il collegamento ASg di ASg545 ci mette in contatto. Non possiamo razionalizzare in modo certo quali siano le configurazioni con cui, in questo modo, entriamo in contatto (proprio a causa del “paravento” inamovibile del collegamento ASg di ASg), però possiamo verificare quali sensazioni546 siano corrette547 e quali non conducano che a fraintendere548 il “futuro”, o a coglierlo quando ormai è sfrangiato, senza riuscire a riattivare quel finalismo

544 CRA = configurazioni remote di arrivo.545 Vd. il capitolo sulle analogie singolari grafèiche (ASg) e sul collegamento ASg di ASg.546 Nello stato di autocoscienza della sensazione faccio rientrare anche gli stati sottostanti del sogno-evento e del pensiero. L’espressione “sensazioni” e quella di “bussola sensoriale” vanno quindi riferite alla costruzione di sensazioni performanti (e quindi attendibili) grazie a sogni-eventi e a pensieri efficaci.547 Una sensazione è corretta se, collegandoci inconsciamente ad una certa qual configurazione, sortisce il risultato di mandare avanti il lavoro di raggiungimento delle CRA (configurazioni remote di arrivo) o di aggancio di queste ultime a configurazioni più vicine al 5lc (quinto livello configurazionale confinato: vd. il relativo capitolo). Tale risultato è possibile, proprio perché la configurazione cui inconsciamente mi collego è raggiunta dal collegamento ASg di ASg. Noi necessitiamo, infatti, di una mole notevole ed immensamente coerente d’informazioni per collegarci a (e poi attivare) un sub-pda, nostro o altrui, che sia ormai inattivo (= inconscio). Se il pda fosse poi attivo per un altro interlocutore (essere umano o entità animica che sia), ma difficilmente raggiungibile dall’osservatore in modo conscio (poiché i linguaggi trasmutati dell’osservatore non potessero raggiungerlo, ma solo quelli dell’interlocutore), si parlerebbe di “futuro” solo dal punto di vista dell’osservatore, che sarebbe comunque impossibilitato a raggiungerlo consciamente. Per superare tale impossibilità, dovrebbe consentire all’etero-telepatia (cioè alle sensazioni che collegassero alle configurazioni energizzate inconsciamente dal sub-pda attivato dall’interlocutore) o all’auto-telepatia (cioè alle sensazioni che collegassero alle configurazioni energizzate con il msf, per riattivare i CS cristallizzati o per raggiungere nuove configurazioni, anche non creazionali, o alle configurazioni energizzate inconsciamente dal sub-pda attivato da un suo io vel incarnazione, appartenente ad un’altra vita non biologica) di venirgli in aiuto. Lo schema operativo è tuttavia sempre lo stesso: bussola sensoriale configurazioni energizzate configurazione di arrivo (già attivata dall’interlocutore o da attivare da parte dell’osservatore). Ciò che cambia, nelle due situazioni, è il criterio di collegamento: (situazione 1:) se la configurazione di arrivo (CAr) è già attivata dall’interlocutore, la traccia da seguire è costituita dagli elementi che conosco (anche solo intuitivamente) in relazione all’interlocutore; (situazione 2:) se la CAr è da attivare, la traccia da seguire deve essere creata ex novo dall’osservatore o recuperata grazie ad una propria incarnazione in una vita non biologica. Qualora la traccia in parola costituisca una traccia scritturistica (vd. Il testo-ricerca), ci potremmo trovare nella situazione 1, più raramente nella situazione 2 (in quest’ultimo caso, l’osservatore starebbe costruendo, in qualità d’interprete, la nuova traccia scritturistica). Si noti che il cammino di elaborazione della cd. sacra scrittura (cioè della traccia scritturistica: la proprietà più gelosamente protetta - rispetto al rischio di sfrangiamento – della conoscenza degli esseri auto-coscienti), in qualunque cultura e civiltà (o regno animico, che dir si voglia), non può mai fermarsi, senza decretare la fine di tale cultura o civiltà.548 La verifica del futuro consiste sempre nella trasmutazione di un linguaggio non trasmutato. Intendo dire che per passare dal vaglio della coscienza (pdac conscio) un elemento analogico ancora non trasmutato né trasmutabile (in quanto sito in una configurazione “futura”), dobbiamo stimolare energeticamente tale configurazione, collegandola poi a dei pda-dist che la costringano a collegarsi a valle a configurazioni già trasmutate. Fraintendere il futuro non vuol dire, quindi, non riuscire a leggere un futuro già scritto, ma non riuscire a collegare ad un pda-dist (sfociante a valle in configurazioni trasmutate) i sub-pda appartenenti alle configurazioni non trasmutate. L’errore d’imprecisione è inconscio, cioè verte sull’errore nel confezionamento della propria bussola sensoriale: su tale errore si può sempre costruire per affinarsi, se siamo sorretti da idoneo finalismo (che si esprime nel collegamento ASg-ASg alla 220

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che solo può ripristinarne le configurazioni549. Ma la stessa attendibilità della sensazione (o bussola sensoriale) è in qualche modo collegata all’ampiezza del “futuro” stesso. E’ più difficile, infatti, che un “futuro” molto esteso venga frainteso550, passi inosservato per l’uomo-osservatore o infine si sfrangi prima di rendersi utile per l’esercizio delle nostre facoltà previsionali. Quando ci troviamo in uno stato previsionale pessimo, in quanto non abbiamo “futuro” da cui attingere, possiamo concentrarci sul “presente” oppure decidere di darci da fare per rientrare in sintonia con l’ineffabile puro, che come indicato dagli schemi sovrastanti cerca di costituire551 e riallacciare il “futuro” con l’uomo-osservatore. C’è addirittura chi riesce a presentire il momento preciso della propria morte, grazie (secondo me, quasi sempre) alla carenza di sensazioni provenienti dal “futuro” in certi percorsi di autocoscienza più strategici a tal fine. Così si può presentire la morte o la guarigione di un proprio caro, oppure agevolare tale guarigione in modo immensamente efficace, costituendo un “futuro” adeguato al cammino evolutivo di quest’ultimo

configurazione di arrivo desiderata: vd. l’emozione nel capitolo sugli stati di auto-coscienza).549 Non è sbagliato cercare di raggiungere una configurazione ormai sfrangiata. Essa, infatti, si trova ad avere almeno lo schema “ufc-afc” (che è privo degli elementi concreti, intellettivi e percettivi del tipo “sc”, “cs” e “gp”), nella versione ridotta “fsfc”. L’errore consiste nell’avvicinarsi a tale compito senza un finalismo idoneo a riattivare la configurazione sfrangiata. Si noti che qui non si riesce a distinguere tra configurazione sfrangiata e sub-pda sfrangiato, in quanto ogni sub-pda ha una qualche versione specifica della configurazione di appartenenza, che è simile ma non del tutto coincidente con quella degli altri sub-pda: pertanto, se il sub-pda è difficile da riattivare è proprio perché l’osservatore non ha accesso alla configurazione in parola, il cui unico modello cui accedere è quello del sub-pda sfrangiato.550 Se il “futuro” (cioè i sub-pda non ancora trasmutati, cui l’osservatore in un qualche senso intende collegarsi) è ben strutturato in molti sub-pda, la sua energia di attivazione è potente: raggiungerlo è facile come incappare in una montagna che si erge ad un metro da un viandante bendato. Per evitarla, bisogna proprio che il viandante vada in una direzione opposta. Se invece il “futuro” è esile (cioè strutturato, per esempio, in uno o due sub-pda tra loro successivi), la sua energia di attivazione non sarà molto potente: l’osservatore, per incappare proprio in tali sub-pda, dovrà trovare sensazioni così efficaci da interessare proprio le poche configurazioni virtualmente impiegate (grazie ai collegamenti ASg di ASg) nella strutturazione di tali uno o due sub-pda. Per chiarire ancor meglio l’esempio in chiave quantitativa e tendenziale, se devo collegarmi a due configurazioni tra loro collegate grazie a due sub-pda (attivi per un altro osservatore, o addirittura inattivi per chiunque), dovrò adoperare sensazioni che si colleghino alle venti o cinquanta configurazioni virtualmente adoperate per costituire tali configurazioni, a fronte di milioni (o anche di miliardi di miliardi) di configurazioni che magari mi sarebbero disponibili quasi nell’immediato (in virtù dei collegamenti che so attivare intuitivamente con altri interlocutori) e tra cui magari non rientrano proprio quelle configurazioni che mi servono. Si noti anche che, se il sub-pda da attivare è un sub-pda altrui, che per questi è già attivo, ci dobbiamo cimentare in un compito tipico della telepatia. Tuttavia il nostro modo di procedere non sarà diverso da quello sin qui descritto: si dovrà cioè considerare la configurazione (attiva per il trasmittente-interlocutore e inconscia per il ricevente-osservatore) come un qualunque sub-pda “futuro” e cercare, grazie ad un’idonea bussola sensoriale, d’incrociarlo con dei pda-dist già seguiti (o facilmente seguibili) a valle da configurazioni trasmutate. Lo schema, per attuare qualsivoglia tecnica ESP, è quindi il seguente: elaborazione di un finalismo che si configuri come sub-pda conscio (tale sub-pda deve rispondere, a posteriori, al requisito d’individuare a sua volta il sub-pda target da raggiungere, ospitando qualche elemento analogico che – a seguito dei passaggi di seguito indicati – diventerà comune con quest’ultimo sub-pda) costituzione della bussola sensoriale occorrente per il compito (tale bussola consiste nella riattivazione di CS o nel tentativo di raggiungere configurazioni remote grazie al msf o di ottenerle - se il trasmittente-interlocutore è bravo nell’essere brioso in relazione alla configurazione target – grazie al mpm o – se il compito è particolarmente complesso – sia grazie al msf sia grazie al mpm) attivazione effettiva delle configurazioni virtuali implicate dalla formazione della coscienza (grazie al msf) o dalla telepatia (grazie al mpm), di modo che tali configurazioni coincidano con le configurazioni indispensabili a costituire il sub-pda target (qualora quest’ultimo fosse inconscio per chiunque) o con le configurazioni energizzate da quest’ultimo sub-pda (qualora esso fosse già attivo almeno per un qualche interlocutore) aggancio (= incrocio) di un elemento analogico del sub-pda target grazie ad un pda-dist appositamente performato (grazie al msf e/o al mpm suddetti), a seguito di vari tentativi infruttuosi (o, meglio, intermedi rispetto a questo specifico passaggio) formazione del percorso a valle del pda-dist - cui ormai è collegato il sub-pda target -, tale che porta fino ad un sub-pda trasmutato (e quindi accessibile alla coscienza dell’osservatore). Il campo delle tecniche o abilità ESP si può ricondurre agevolmente a sistema e riportare a principi comuni, grazie allo studio del linguaggio analogico-configurazionale che ne sta alla base. La maggiore difficoltà di questo campo a raggiungere l’attendibilità e l’accuratezza della Scienza neopositivista è giustificato dalla difficoltà nell’incappare, con la bussola sensoriale, proprio nelle configurazioni implicate per collegamento ASg di ASg nei sub-pda target (se appunto trattasi di un sub-pda solo, o in pochi sub-pda) e nell’incrociare almeno uno degli elementi dei sub-pda target con un pda-dist, infine nel far approdare tale pda-dist in una configurazione trasmutata. Sono quindi 221

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ma al contempo roseo, e collegandolo a tale “futuro” grazie al mpm. Questa strada di guarigione (chiamata in genere “a distanza” perché non richiede alcun contatto fisico in modo necessario) può essere più proficuamente seguita, se si ha un’affinità configurazionale con tale persona e se entrambi, guaritore e malato, sono profondamente connessi con l’orizzonte intuitivo dell’essere (in una parola, pronti per il cambiamento552).

Le configurazioni del “futuro” sono disponibili in versione incoscia (afc), raggiungibile grazie a pdac (percorsi di autocoscienza di controllo) che si muovono tra sogni-eventi, pensieri e sensazioni. L’emozione è il motore migliore per attivare la concentrazione su questi tre stati di autoscienza (che nel complesso passo sotto il termine di “bussola sensoriale”, in quanto finalizzati a sondare il “futuro”). Potremmo anche proiettarci in modo più cosciente nel “futuro”, replicando in modo consapevole i salti paradigmatici che c’introducono, una per una, nelle sue configurazioni. Ma un simile modo di procedere ci richiede tanto tempo, rispetto alla rapidità dei compiti che ci vengono assegnati o ci assegniamo ormai anche da soli. Siamo diventati sempre più competitivi, rispetto all’evoluzione, quindi cerchiamo di lasciare più campo possibile al nocchiero che chiamiamo intuito. L’imprenditore, come anche il professionista, e ancor più il politico, vivono di sondaggi del “futuro”, cui ricollegano consapevolmente un’importanza radicale per la loro stessa permanenza nella trincea del loro settore lavorativo. Per potenziare al massimo la nostra capacità di concordare e sondare il “futuro” con l’essere supremo, occorre imparare i metodi di

questi tre i compiti che rendono, al contempo, enormemente potente ed enormemente difficile l’esercizio delle tecniche o abilità ESP. Tuttavia, approfondendo certi ambiti d’interesse, l’osservatore può standardizzare una tecnica efficace per il suo target. Ciò conduce in un pluralismo di tecniche, non riconducibili a sistema che con la rivelazione dell’essere supremo (qui espressa nel linguaggio analogico-configurazionale). Nella scrittura biblica si parla di uomini e animali. Gli uomini sono le figure bibliche che rappresentano il pluralismo dell’uomo, che fa scelte culturali che lo confinano in certi campi del sapere per scelta tendenzialmente consapevole. Gli animali, invece, sono coloro che non hanno ancora fatto tale scelta tendenzialmente consapevole, e quindi possono ancora essere salvati integri nell’arca di Noè. Tuttavia anche gli animali devono passare da una forma di sacrificio (quella dell’altare), per dar vita agli uomini, e gli uomini, per quanto annegati, vengono ripescati dai discepoli istruiti da Gesù, o risputati fuori dall’abisso come Giona che invoca Yahwé, o come i falsi amici fatti oggetto di compassione e conseguente giudizio di salvezza da parte di Giobbe. Nessuno viene abbandonato, anche se ha fatto una scelta consapevole che lo porta a limitarsi in uno o più orticelli culturali, ma deve passare da un giudizio prima di condanna e poi di perdono, per poter apprezzare come l’essere si propone a noi nel rapporto speculare dell’uomo-essere supremo (chiamato dai cabbalisti con il nome di Adam-Kadmon). Si noti, infine, che i settori ESP meno attendibili, quanto a risultati ottenuti da soggetti non esperti, sono quelli in cui vi è una forzatura nella scelta (come nella tecnica d’indovinare le carte); i settori in cui, invece, gli stessi esperti riescono meglio sono quelli in cui non vi è una simile forzatura, come nella visione a distanza, nella diagnosi e cura a distanza, ecc… E’ in questi ultimi settori che è più facile (e comunque più agevolmente ottenibile) il risultato tecnico ESP – come ci riferisce dalla sua esperienza Russel Targ, nel’opera Limitless mind…, pagg. 40-41 -, in quanto in tali settori si diventa “più abili a separare il segnale psichico dal rumore mentale di memoria e immaginazione”. Quello che Russel Targ chiama “rumore mentale” è il tentativo fallito di sintonizzare la bussola sensoriale sulle configurazioni implicate dai collegamenti ASg di ASg, quando vi sono pochissimi sub-pda target, magari inattivati, nonché la difficoltà (anche qualora si fosse superato questo primo ostacolo) di approntare un pda-dist e infine di far seguire a valle di questo pda-dist una configurazione trasmutata (oltre alle eventuali difficoltà del lavoro logico su quest’ultima configurazione e su quelle ad essa successive). Si tratta di perlustrare un territorio, con una cartina fatta di pochissimi elementi ancora tutti da verificare: più si è liberi di muoversi e di formulare nuove idee e di verificarle in modo non stringente, per innescare un finalismo forte e ben strutturato, più il compito diventa sempre più facile. Se invece il compito si pone già da subito come one shot one kill, il finalismo scema presto con i primi insuccessi.551 L’attività di costituzione del “futuro” ancora non esistente non è diversa da quella (sopra descritta in nota) del reperimento, aggancio e trasmutazione di un “futuro” già esistente, salvo che per alcune alternative che rimangono precluse proprio per l’inesistenza di un attuale “futuro” cui attingere. In particolare servirà a poco il mpm, se non a fini propedeutici, in quanto non si può acquisire per telepatia un “futuro” che non c’è. Il msf risulterà invece indispensabile, se si vuole davvero andare in profondità nella costituzione del nuovo “futuro” e non limitarsi a configurazioni adiacenti (già raggiungibili, pertanto, con il mii).552 Mi risuonano, in proposito, passi neotestamentari come quello in cui Gesù può guarire poche persone a Nazaret, perché un profeta non è bene accetto in casa sua, o il passo degli Atti in cui Paolo vede che un paralitico è pronto per essere guarito e gl’intima di alzarsi e questo vi riesce, compiendo la propria auto-guarigione.222

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raggiungimento delle CRA e sviluppare, in tale contesto, una volontà evolutivo-conservativa sempre più netta ed estrema.

Il “futuro” è quindi fatto di configurazioni che hanno elaborato solo alcuni dei collegamenti ASg di ASg, che mettono in grado le configurazioni virtuali di avvicinarsi all’osservatore in autonomia. Se l’osservatore riesce a collegarsi, per via intuitiva, alle configurazioni virtuali mancanti prima che esse siano complete, può collegare un elemento del sub-pda al pda-dist e, grazie a quest’ultimo, integrare le configurazioni virtuali mancanti per ottenere la percezione (che per quell’osservatore si costituisce in anticipo rispetto agli altri osservatori). Mi rendo conto che occorre spiegare più in dettaglio lo schema che si realizza, alla stregua del modus procedendi testé enucleato. Ripercorrerò, quindi, ogni passaggio e condizione soddisfatto dalla tecnica di anticipazione del futuro.

La situazione di partenza è una configurazione i cui elementi sono solo in parte filtrati dai collettori. Finché non vengono filtrati del tutto, per intendersi, non è possibile per l’osservatore Tizio percepire tali elementi. E’ come se la carne non fosse ancora cotta abbastanza da poterla mangiare, quindi rimane sulla piastra. Tuttavia sappiamo che vi possono essere gusti diversi, in ordine al livello di cottura della carne. C’è chi la mangia al sangue e chi la mangia ben cotta, o chi vuole una via di mezzo. Se si lascia troppo sul fuoco, la carne è da buttare (chiamo questa situazione con il nome di “sfrangiamento”: la motivazione passa e non si riesce a sorreggere l’organismo fino a fargli percepire gli elementi della configurazione x, in quanto il corpo subisce un (micro-)effetto-domino oppure volge la propria attenzione altrove, perdendo un sub-pda). Se la carne viene cotta abbastanza, può essere mangiata da chi non è interessato più di tanto al suo sapore (fuor di metafora, quasi tutti gli esseri umani sembrano interessati a vivere le situazioni della vita quando hanno perso ogni alea di dubbio e di opportunità, come una stanca ripetizione che se ancora non è arrivata, è comunque destinata ad un sollecito sfrangiamento). Chi ama la cottura media, è interessato a singoli aspetti culturali che fanno leva sulla capacità di anticipazione, ma senza sfruttare la preveggenza in ogni sua potenzialità (è la situazione di chi ha già preso partito culturale e non è minimamente interessato a superare il proprio approdo). Chi ama la carne al sangue (“chi dilania la mia carne e succhia il mio sangue”, dice Gesù), è colui che ama la preveggenza come ogni altra tecnica che evolva il significato delle cose, entro direzioni evolutive immense e relazionali.

Chi ama la carne al sangue, mette all’opera il seguente schema operativo:1) Raggiunge lo schema ufc-afc della configurazione-target, grazie ad uno dei metodi di

raggiungimento delle CRA;2) Attiva l’elemento afc raggiunto, affinché si declini negli elementi cs, sc e gp a valle;3) Fa partire da uno di tali elementi (cs, sc e gp) vari pdac;4) Preconfeziona un pda-dist in modo tale che contenga anche elementi già completamente

collegati, in ogni elemento fsc, alle configurazioni virtuali dei collettori, grazie ai consueti collegamenti ASg di ASg;

5) Fa incrociare almeno uno dei suddetti pdac con il pda-dist;6) Se il pda-dist prevale sul sub-pda originario, l’onda formaturale in senso lato (che contiene

elementi già abbastanza configurati per la percezione) porta anche alcuni degli elementi a valle a configurarsi per la percezione (grazie, appunto, all’integrazione degli elementi fsc con quelle configurazioni virtuali necessarie ad elaborare lo spazio euclideo e il tempo cronologico).

Si noti che un elemento analogico è pronto per la percezione quando ha, tra le configurazioni virtuali (= collegate da ASg di ASg) dei suoi fsc, anche la configurazione dello spazio euclideo e la configurazione del tempo cronologico. Più è collegato a queste due configurazioni virtuali, più viene percepito, in quanto il grafèico puro attrae l’osservatore nella percezione solo se essa è abbastanza completa dal suo punto di vista. Lo schema operativo sopra esteso consente quindi di forzare il completamento in parola, per via analogico-configurazionale. Tale risultato può rispecchiare più o meno la configurazione cui effettivamente accederanno altri osservatori (che più probabilmente mangeranno una carne ben cotta), poiché anche se il pda-dist riesce a sostituirsi al sub-pda a valle originario possono esservi altri osservatori, interessati alla stessa configurazione, che si affaccino sulla scena con i loro pda-dist, o altri pda-dist già impostati naturalmente (che poi è la stessa cosa, salvo che la “natura” non ha l’autocoscienza, se non grazie alla mediazione dell’osservatore, che nella fattispecie potrebbe anche mancare del tutto fino all’atto percettivo). Per questo una percezione del futuro appare tanto più attendibile quanto meno si proietta in

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avanti nel tempo cronologico, oppure se si proietta talmente in avanti da essere fuori dei radar di qualunque influenza intermedia (come le previsioni sulla fine dell’universo).

A pag. 43 di Limitless mind…, Russel Targ afferma che “la mancanza di feedback previene l’osservatore dalla possibilità di cercare nel futuro per vedere in modo precognitivo il target”. Ma la mancanza di feedback, secondo lo schema operativo sopra riportato, sembra consistere nell’incapacità di realizzare uno dei primi tre passaggi. Tali passaggi, tuttavia, sono indispensabili in ogni tipo di compito da svolgersi con i linguaggi non trasmutati (cioè nelle configurazioni analogiche ancora non giunte nel campo percettivo o, altrimenti detto altrove nei miei saggi, della strutturazione-concretizzazione), non soltanto nei compiti di previsione. Targ lamenta un altro fattore negativo, per i compiti ESP: le distrazioni visive o auditive. Queste costituiscono quel rumore di fondo che impedirebbe la visione nitida del porprio target. A nostro avviso, si tratta dell’incapacità di svolgere il primo punto dello schema, cioè quello di replicare (con uno dei tre metodi di raggiungimento delle CRA) l’elemento ufc e poi l’elemento afc che fanno parte di una delle configurazioni target. Tale compito può essere reso difficile dal limitato novero di configurazioni target (più è limitato tale novero, infatti, più sarà difficile trovare una traccia che, una volta visitata con dei pdac, permetta agli elementi fsc degli elementi analogici attivati (cs, sc e gp) nel pdac di assomigliare sempre di più all’elemento ufc/afc grazie al collegamento ASg di ASg alle stesse configurazioni virtuali che si trovano negli elementi fsc dell’ufc/afc target). Non trovando niente di sintonico su cui concentrarsi, l’osservatore si troverà allora ad esprimere il proprio finalismo (ormai evocato) su elementi non significativi per il raggiungimento del target. Ma è pur vero che è ben rilevante, a modo suo, anche l’interruzione continua dell’attività di concentrazione sulla bussola sensoriale, cagionata dall’attivazione di pdac estranei al finalismo di cui sopra e ben lontani dalle caratteristiche configurazionali virtuali che costituiscono il target. Ciò che ognuna di queste condizioni sfavorevoli va ad impedire è il corretto “sfregamento” delle configurazioni virtuali del pdac con le configurazioni virtuali dell’elemento target. Le configurazioni virtuali sono quelle collegate nel singolo elemento fsc, grazie ad un novero notevole di collegamenti ASg di ASg. Se la bussola sensoriale riesce a portarmi in tali configurazioni virtuali, facendomi intuitivamente attivare gli elementi che poi mi consentiranno di replicare le configurazioni virtuali stesse nell’assetto strutturale che hanno nell’elemento fsc dell’elemento target, allora posso passare ai punti successivi dello schema operativo, altrimenti non posso farlo in modo performante, ma in modo sterilmente autoreferenziale. Altro ostacolo individuato da Targ è “la conoscenza preventiva delle possibilità del target”. Se mi collego a configurazioni analogiche ipoteticamente a valle di quelle target, convinto che contengano proprio il “futuro”, vuol dire che il mio finalismo non si è ancora appuntato sulla configurazione giusta e, peraltro, non posso nemmeno stabilire se le configurazioni in parola siano o meno il futuro dell’elemento target. Con ogni probabilità non lo saranno, poiché a livello configurazionale cercare di partire da una percezione non ancora formata significa, prima di tutto, evitare la configurazione target, in secondo luogo, sparare ad un bersaglio che probabilmente non si è ancora nemmeno formato. Peggio che sparare nel buio…! Solo la consapevolezza che la configurazione che voglio raggiungere è quella che sto formando, non quella ad essa precedente, può condurmi alla realizzazione tecnica di tipo ESP (cioè rientrante nel compito evolutivo dell’interprete-uomo). I problemi di connessione lamentati da R. Targ si possono compendiare nelle carenze della traccia, che deve portare allo “sfregamento” suindicato, e del finalismo, che può non essere abbastanza potente energeticamente da portare all’acquisizione degli elementi intuitivi e strutturali necessari al raggiungimento e all’aggancio della CRA. Inoltre, anche in presenza di una traccia e di un finalismo all’altezza del compito, non appena scema il finalismo o la traccia viene superata, il problema si ripropone. Traccia e finalismo sono due facce della stessa medaglia: un finalismo altrui che prevale sul mio finalismo, poiché quest’ultimo è frattanto scemato, si può ricondurre ad un limite della traccia o ad un’interpretazione deficitaria di quest’ultima o al sopravvenire di una traccia più potente.

R. Targ fa un elenco dei cd . fattori che potenziano la “visione a distanza”. Tali fattori confermano appieno la validità della presente teoria, che costituisce la spiegazione teorica che manca allo psi. Leggiamo l’elenco: “Seriousness of purpose, feedback after the trial, relaxation, acceptance of psi, and especially heart-to-heart trust among participants all enhance remote viewing”. Targ aggiunge poi: “Performance is also improved when viewers write down their impressions and draw their mental pictures.” La sua spiegazione di questa peculiare constatazione è che “[disegnare] gives the viewer direct access to symbolic and nonanalytic unconscious processes”. Ma noi sappiamo che non è la complessità del processo, che è qui

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specialmente implicata, ma semmai la necessità di passare dall’elemento ufc (paradigma specifico) all’elemento afc (intuizione dell’intero sub-pda) e da quest’ultimo alla declinazione del sub-pda attivato. Quest’ultimo compito rende intellegibile l’intera intuizione del sub-pda target. Per disegnare gli elementi cs, sc e gp del sub-pda, occorre averlo reso, come sopra detto, intelligibile. Quindi quello che sembra sforzo di disegnare è in realtà la verifica sull’attivazione del sub-pda, cui seguono (in caso di esito negativo) altri pdac che cercano di costituire e poi farsi agganciare dal pda-dist e, infine, di performarlo al punto che conduca ad un più valido sub-pda target.

Targ continua notando che, con una maggiore esperienza, il veggente può riuscire anche senza feedback. In realtà, il feedback ricevuto di persona dall’osservatore è necessario solo per potenziare il suo finalismo; ma ai fini di trovare un sub-pda target e svilupparlo (sub-pda che è quello della percezione di chi riceve il feedback), basta sapere qualcosa su chi riceverà tale feedback o sulla situazione in cui ciò accadrà. La traccia ci vuole sempre, ma se il finalismo è ben potente, basta anche una traccia esile.

Ma la conferma più forte della bontà della nostra base teorica, nell’interpretazione della visione a distanza di Targ è la considerazione di quest’ultimo a fine capitolo (pag.44): “In the phenomenon of remote viewing, it is as though the viewer is examining his or her own small, low-resolution, local piece of the four-dimensional space-time hologram in which he or she is embedded. Each little piece of the hologram contains all the information of the greater whole — but at a lower resolution. This is exactly the nonlocal connectivity that we discussed in Chapter 1”. In qualche modo, andando a tentoni, Targ cerca di descrivere la dinamica dei pdac che formano e performano il pda-dist, affinché faccia raggiungere (con i tre metodi di raggiungimento delle CRA) e poi correttamente declinare il sub-pda target.

La suddivisione che egli (con buona parte se non tutta la collettività di psicologi e neurologi) opera tra stile di pensiero non analitico e stile cognitivo analitico corrisponde ai due grandi metodi di raggiungimento delle CRA: msf (corrispondente allo stile di pensiero non analitico, o “spn”) e mii (corrispondente allo stile cognitivo analitico, o “sca”). Il mpm entra in soccorso di entrambi i metodi, per colmarne le inevitabili (nel caso del msf, regolari) lacune. La differenza tra spn e msf è che quest’ultimo è il completamento cui il primo aspira, nel senso della realizzazione tecnica più riuscita. Anche il mii è la realizzazione tecnica più riuscita dello sca. Il veggente a distanza, come il telepata e qualunque altro ESP realizza il suo obiettivo a condizione di riuscire ad attuare il msf+mpm. È chiaro che se c’è un metodo migliore degli altri (che è l’oggetto della nostra ricerca) ve ne possono essere anche moltissimi altri. Tenderemo però a considerare questi ultimi come declinazioni difettose della grande declinazione. Inoltre, ove la superino per un aspetto, vengono assunte ed integrare in essa, per il noto carattere di unicità e interscambiabilità della qualifica di figlio dell’uomo (cioè d’interprete della più grande rivoluzione antropologico-ontologica attualmente in progetto).

L’assegnazione all’intervistatore (cioè a colui che interroga il veggente per aiutarlo nel suo compito) di esperto dello sca, tuttavia bypassabile dal veggente esperto, testimonia e conferma l’importanza del mii+mpm come base per accedere e svolgere correttamente il msf+mpm. Il mii costituisce, infatti, la base cognitiva razionale grazie a cui innescare il msf, la cui caratteristica è la percorrenza iperveloce di configurazioni virtuali. Il mii confeziona, rendendole conoscibili razionalmente, quelle configurazioni che fanno da scala per arrivare in cima al muro: per scavalcarlo occorre però un ultimo sforzo, il msf+mpm, che dà la mera intuizione delle configurazioni da solcare, fino ad arrivare a quella target (che poi andrà riportata fino ai sistemi configurazionali razionalmente comprensibili, grazie al pda-dist performato grazie ad un mix di mii, msf e mpm). Il mii costituisce, dal nostro punto di vista, la base epistemologica (raggiunta grazie al mii) che orienta l’osservatore nel msf+mpm. Trattandosi della conoscenza più complessa e integrata che si possa conoscere (dal momento che sorregge il coordinamento più potente), il veggente impiegherà del tempo ad acquisirla, anche solo in quella versione edulcorata e semplificata che possa servirgli ad ottenere un qualche risultato tecnico in una qualche tecnica ESP. Ci sono quindi alcune configurazioni che costituiscono come dei nodi per accedere alla trama che si sta componendo nel tessuto dell’essere. La sezione dei sistemi configurazionali, già razionalizzati dal mii, che si compone di tali nodi o configurazioni strategiche, ci permette di accedere alle configurazioni target.

Significativo è anche il tipo di domande che Targ, in qualità d’intervistatore, fa ai veggenti: “can you tell me about your mental pictures regarding where Hal is located now? Do not guess where he might be,” I told her. “Just describe what you see or what you are experiencing.” Questa domanda fa comprendere

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l’importanza di seguire la traccia giusta: non una traccia tendenzialmente intellettuale, ma tendenzialmente percettivo-intuitiva. Sarebbe un approccio troppo intellettuale (nel senso di “troppo legato alle configurazioni già disponibili al veggente”) chiedersi “dove penso che si trovi ora Hal?”, mentre indirizza verso elementi percettivi non ancora disponibili (e quindi accessibili solo grazie a nuove configurazioni) chiedersi: “che percezioni ho del luogo in cui si trova Hal?”.

Nel seguito del saggio Limitless mind Targ porta esempi ancor più illuminanti, che si spiegano alla perfezione con la nostra teoria. Propone poi una sintesi egregia del carattere più precipuo delle tecniche per il raggiungimento delle CRA: “There is an aspect of remote viewing that is like making love; it requires complete surrender to the task at hand, with no preconception or self-judgment about the outcome. It also requires control of one’s awareness to achieve what Patanjali calls “a single-pointed focus of attention.” Fare l’amore richiede concentrazione sul compito immediato, senza farsi domande sul suo esito (pena l’ansia da prestazione). Ovviamente, con l’accrescersi della cd. esperienza, si ottiene la capacità di raccogliere fugaci pensieri e sensazioni che fungono da feedback della prestazione, vista nel suo procedimento complessivo, per ottimizzare il gusto reciproco dell’atto, assicurandone al contempo l’esito finale. Allo stesso modo, per realizzare il risultato desiderato grazie alle CRA, si devono evitare quelle prime anomalie percettive che conducono l’osservatore in configurazioni adiacenti quanto inutili. Si deve invece cogliere la seconda anomalia, che non solo fa compiere il salto paradigmatico verso una configurazione più funzionale (che potrebbe però limitarsi a mettere a disposizione il mii), ma trova proprio una configurazione che innesca il vortice delle configurazioni virtuali (msf).

Le distorsioni che possono rendere inintelligibili le visioni a distanza, di cui ci riferiscono Targ e altri saggisti del settore che egli cita, si spiegano agevolmente se consideriamo il carattere analogico dei sistemi configurazionali. Ogni elemento è comprensibile in modo sempre più netto o sempre più confuso, a secondo degli elementi, configurazioni e sistemi con cui viene collegato: ma tale apparente chiarificazione o distorsione è sempre vista dal nostro punto di vista (cioè dalla base analogica (radunata è integrata grazie al mii) tipica della nostra civiltà di oggi). Un domani, come in altre civiltà, il risultato cambierebbe agevolmente. Ciò che è decisivo, insomma, è la “direzione analogica” concreta che prende l’osservatore. Chiamo direzione analogica il concreto percorso di autocoscienza (pda) che l’osservatore compie: tale percorso, ad ogni nuovo elemento che si aggiunge e ad ogni nuovo incrocio con altri percorsi, si arricchisce o impoversice quanto ad onda formaturale (in senso lato). E’ l’onda formaturale, d’altro canto, che permette di mettere insieme i pezzi del puzzle analogico (puzzle che, peraltro, ha esiti a piacere). La tecnica consente di muoversi nella giungla delle direzioni analogiche possibili, per ottenere un risultato di cui l’osservatore possa compiacersi, come del risultato da lui desiderato. Ciò che gli scrittori succitati lamentano come distorsione, afferente soprattutto alle figure geometriche, è assenza di coerenza con certi collettori spiegabile, appunto, con la concreta direzione analogica presa dal pda. Se il pda è povero di elementi filtrati da alcuni collettori, che entrano in gioco per darci la visione della geometria piana, allora non si riuscirà a percepire “un rettangolo o un cerchio”, ma magari solo “angoli e archi”, come sostiene René Warcollier. Quest’autore, peraltro, spiega tale situazione con parole che non avrei saputo trovare migliori: “There is a sort of mutual attraction between suitable parts, a kind of grouping, which I call “the law of parallelism””. La “attrazione tra parti adeguate” altro non è che l’attrazione tra elementi tra loro analogizzabili, sia in base al paradigma specifico della configurazione in cui si trovano, sia in base alla dinamica di salti paradigmatici consapevoli, inconsci o virtuali che l’osservatore riesce ad innescare (nella percezione classica, come nella visione a distanza, grazie ad mii ed msf) o che riceve (nella telepatia, grazie al mpm). Si conferma, quindi, che la visione più completa sulla situazione in argomento altro non è che quella da noi proposta, in relazione ai metodi di raggiungimento delle CRA553.

Gli autori succitati, a partire da Targ, prendono quindi atto che “memoria, analisi e immaginazione sono i nemici del funzionamento psichico”. Questa affermazione può essere considerato un primo passo verso l’approfondimento della questione. Ma un osservatore che avesse “esperienza”, cioè che avesse digerito (con cristallizzazione dei relativi CS554) gli aspetti epistemologici della/e teoria/e attualmente più potenti nella spiegazione della psiche, non avrebbe difficoltà a svolgere anche il compito di “intervistatore”, dando cioè quella guida logica, mnemonica e immaginativa che serve a raggiungere il risultato tecnico desiderato.

553 CRA = configurazioni (analogiche) remote di arrivo.554 CS = criteri (interpretativi) strategici. Vd. il capitolo sulla cristallizzazione dei CS.226

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Non nascondo che le pagine di Targ regalano una certa ispirazione, nel trattare i temi del raggiungimento delle configurazioni remote (CRA), soprattutto quando (a partire da pag. 55 di Limitless mind) elenca le fasi per arrivare alla corretta visione a distanza. La prima fase sarebbe caratterizzata da “sensazioni cinestesiche [cioè autocettive] ed iniziali immagini frammentarie, su cui possono essere fatti degli schizzi”. In questa fase si può ricostruire un sub-pda che ha già generato dei pdac, ma non ancora un pda-dist che agganci il sub-pda che lo conduca alla percezione desiderata. Sappiamo, infatti, che il sub-pda target, anche una volta raggiunto, da solo non è in grado di realizzare il risultato tecnico desiderato. C’è chi, come Targ e gli altri saggisti, si accontenta di una percezione desiderata. Nel mii, avremmo chiamato questo risultato come caratteristico di un pda che raggiunge l’innervazione dell’emozione. Il fatto che la prima fase di cui parla Targ (citando un altro autore) comprende solo sensazioni e immagini ancora poco intelligibili conferma che anche il msf può avere un’alternanza delle tre innervazioni, a partire da quella della sensazione. Ma invece che una formalizzazione di tale alternanza, si ravvisa una tendenza all’alternanza. Infatti il vortice di configurazioni virtuali del msf può essere guidato solo grazie al mii e al mpm, che offrono i criteri interpretativi necessari a convogliare gli elementi giusti, grazie ai pdac e, in seguito, al/i pda-dist. La reiterazione dei tentativi, nel vortice, che peraltro non deve nemmeno essere ininterrotto, dal punto di vista cronologico, in quanto in qualunque momento l’osservatore può riprendere da dove si era fermato, purché abbia cristallizzato il relativo CS, ottiene dunque una stratificazione di elementi in cui gli strati più superficiali (convogliati per primi) sono quelli dell’innervazione della sensazione, solo perché il mii (nell’aiutare la realizzazione del msf) non smette di funzionare per come di regola funziona, cioè per alternanza delle innervazioni, secondo l’ordine più volte specificato (sensazione emozione sentimento).

A tal punto si dovrebbero prendere in considerazione le ultime descrizioni: da esse dovrebbe infatti cominciare ad emergere la percezione vera e propria del target. Ciò è in linea con il carattere analogico della rete delle cose esistenti, tra i cui elementi ci si può muovere solo aggiungendo nuovi collegamenti, facendo ogni tanto dei salti paradigmatici e infine, integrando ognuno di questi passaggi (purché presenti nei percorsi di autocoscienza attivi nella coscienza) e incrociando ulteriormente i percorsi tra di loro, si ottiene infine la plasmazione della realtà desiderata (se si ha successo) o di una realtà surrogata (se ci si arena nel cammino tecnico). È quindi immancabile che le percezioni più vicine ad una percezione desiderata corrispondente ad una realtà nascosta o distante dall’osservatore siano raggiungibili alla fine del loro cammino di modellazione. La notazione finale dell’autore, nel descrivere questa quarta fase è: “gli aspetti nascosti del target inizieranno a tralucere e possiamo imparare a riconoscerli”. Qui l’autore si è espresso in maniera troppo sintetica. Cercando di dare rilevanza alla sua spiegazione della terza fase, possiamo supporre che nella quarta la forza interiore che spingeva a disegnare forme libere stia adesso spingendo verso una certa interpretazione. Che si assurga al quinto livello configurazionale o ci si limiti a raggiungere il quarto, anche nella nostra teoria entra in gioco l’interpretazione. Tale interpretazione, nel quarto livello, è sospinta e limitata dal paradigma specifico della configurazione target; nel quinto livello, invece, soprattutto quando è sospinta dal msf, ottiene accesso ad un vortice intuitivo che si ferma come un’auto in corsa che inchioda al punto giusto, in questo caso quando reincontra il 5lc555 (arrestando così un’attività interpretativa vorticosa). Si dovranno quindi distinguere i percorsi ESP (o esoterici) tra quelli che portano al solo quarto livello configurazionale (accedendo soprattutto al mii e al mpm) e quelli che saldano il quinto livello con il 5lc (adoperando largamente anche il msf).

555 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. capitolo sui livelli configurazionali. Il quinto livello è il livello dotato della maggiore potenzialità espressiva, in quanto consente di muoversi rapidamente tra le configurazioni analogiche mantenendosi in uno stato elevato di coscienza. Il quinto livello confinato è quella sezione del quinto livello configurazionale che è percorribile dall’uomo di oggi, grazie alle rivoluzioni scientifiche già acquisite dalla nostra civiltà. Ogni essere umano dei giorni nostri può avere un 5lc più esteso in certe aree del sapere, magari perché esercita una specifica professione o ha una passione particolare per un certo campo sapienziale. Ognuno, però, condivide con gli altri un nocciolo duro di 5lc, che normalmente viene acquisito grazie al passaggio dall’età dello sviluppo. Da una cultura all’altra questo nocciolo duro non può avere differenze rilevanti, ma da una civiltà all’altra sì, potrebbe averne, soprattutto se rapportata alla capacità di svolgere compiti ritenuti basilari in ciascuna delle civiltà a confronto. Sul nocciolo duro del 5lc s’innestano le grandi rivoluzioni antropologiche, che non vogliono lasciare indietro nessun appartenente ad una civiltà. Quando però una civiltà non riesce più ad assecondare le rivoluzioni dell’essere, muore per lasciare il posto alla civiltà successiva.227

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A completamento di questo discorso sul raggiungimento delle CRA nelle attività ESP, facciamo notare che, qualunque metodo stiamo seguendo fra i tre possibili (mii,mpm, msf), in ogni preciso istante dell’attività stessa, nostro obiettivo intermedio è comunque, all’atto di seguire e riformulare (per via interpretativa) una valida traccia, formare due pda-dist: il primo per raggiungere la configurazione target, il secondo per condurre alcuni elementi di tale configurazione in altre configurazioni che l’arricchiscano di ulteriori elementi capaci di precisare il linguaggio di uno o più collettori (in genere almeno i collettori di tempo cronologico e di spazio euclideo, ma anche vari altri, a secondo del tipo di percezione desiderata da raggiungere o di percezione esecrata da evitare).

Quando in un’attività ESP si ha l’interferenza di un ricordo, che porta ad interpretare in modo disfunzionale il target, il ricordo del veggente entra in gioco preferenzialmente, rispetto a ricordi altrui, poiché la configurazione target è comunque formata dal veggente stesso, che la forma per somiglianza con un nugolo di elementi accessibili quasi solo a lui. Ecco spiegata l’autoreferenzialità della sua interpretazione, anche quando influisce sulla percezione immediata. Bisogna sempre evitare, nel campo della tecnica, la dinamica del “fare come se”: negando serietà a ciò che si fa, si pecca nella costruzione epistemologica del pda-dist. Mancando la corretta ispirazione epistemologica, la configurazione target non si costruisce affatto, in quanto l’osservatore si volge nella direzione essoterica (che chiamo anche “via del non-essere” in Analogia singolare). La direzione essoterica impedisce all’osservatore di plasmare la realtà (che è costituita di una rete di configurazioni analogiche in continua conformazione e trasformazione reciproca). Non potendo plasmare tale rete, non può reificare alcun elemento della configurazione target.

A parziale correzione, o forse piuttosto ad integrazione, di quanto detto sopra sullo schema di funzionamento delle attività ESP, facciamo il focus sulla configurazione target e sul pda-dist. La configurazione target altro non è che la prima configurazione con cui il veggente entra in contatto, nella sua ricerca del target. Ma ogni “oggetto reale”, per formarsi, richiede la cooperazione di molte configurazioni analogiche. Con “oggetto reale” intendiamo riferirci ad elementi analogici che, facendo da nodo intreccio con molte configurazioni, acquisiscono quella che chiamiamo banalmente “fisicità”. Ciascuno di essi costituisce un corpo fisico o una parte, spazialmente isolabile, di esso. Lo spazio che isola le parti dell’oggetto reale è quello euclideo, con i suoi ipotetici tre assi cartesiani556. Per assurgere a corpo fisico o sua parte, l’elemento analogico (che chiamiamo “oggetto reale”), necessita dunque di fungere da punto d’incrocio tra molte configurazioni. Ma di quali configurazioni parliamo? Di quelle che sono sufficienti a rendere “fisico”, secondo l’idea della fisica della cd. comunità scientifica di oggi, un corpo. Si deve tuttavia introdurre una distinzione draconiana tra le configurazioni analogiche accessibili grazie ai collegamenti della gvts557 e quelle accessibili grazie ai collegamenti ASg di ASg558. L’ESP si muove nel primo tipo di collegamenti (quelli resi accessibili dalla gvts), che non sono da confondersi con il secondo tipo di collegamenti (quelli costituiti da ASg di ASg), i quali ultimi rendono e gestiscono la percezione immediata, che è il non-so-che più puro559 della realtà. Il veggente individua quindi, in maniera abbastanza immediata (purché esprima una volontà abbastanza potente in tal senso), alcuni elementi della configurazione-target. Grazie alle domande

556 Potremmo, ormai, aggiungere anche un quarto asse cartesiano per rappresentare il tempo cronologico.557 Gvts = guida dei verbi alla terza (persona) singolare. Nella cd. sacra scrittura ebraica ed in quella greca sussiste una fitta rete di collegamenti tra i capoversi scritturistici, che è formata dai collegamenti tra i verbi alla terza persona singolare che appartengono ai capoversi stessi. Grazie a tale rete di collegamenti si può collegare una configurazione-parola, contenuta in un capoverso, con una configurazione-parola contenuta in qualunque altro capoverso, grazie ad una serie di collegamenti analogici (di tipo ASs, cioè “analogia singolare sefèrica”: vd. il relativo capitolo). In questo modo, ogni configurazione (con i suoi elementi) è collegata strettamente ed in modo complesso con ogni altra configurazione, generando il continuum della realtà cui siamo abituati. L’illusione di continuità viene poi perfezionata e resa venusta grazie ai collegamenti ASg di ASg (vd. nota successiva).558 ASg di ASg = analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica. Vd. il relativo capitolo. L’ASg è quell’analogia ineffabile in cui rimane ineffabile anche il percorso per evocarla. Il sistema di collegamenti ASg di ASg è strettamente connesso con il sistema di collegamenti di tipo ASs (analogia singolare sefèrica, cioè quell’analogia ineffabile in cui il percorso che la evoca è a suo modo verificabile). Ogni configurazione, che è anche una parola scritturistica (come da noi argomentato ne Il testo-ricerca), si collega in modo verificabile con le altre configurazioni, grazie al sistema di collegamenti eretto grazie alla gvts e ai collegamenti ASs che vi s’innestano (vd. nota precedente).559 Nei nostri saggi, tale tipo di non-so-che viene chiamato in genere “elemento grafèico puro”. Vd. il capitolo relativo a tale elemento e quello relativo al collegamento ASg di ASg.228

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che gli pone l’intervistatore (o che si pone da solo, in veste di auto-intervistatore), il veggente confeziona il pda-dist che aggancia un elemento tra quelli già acquisiti nella configurazione-target. Questa prima fase è dominata dal mpm (nel caso della telepatia) e dal msf+mpm (nel caso della visione remota). Il mpm confeziona, infatti, i singoli elementi del pda-dist, ma potrebbe non riuscire a confezionare gli elementi della configurazione-target, salvo che vi sia un osservatore trasmittente che li fornisca (sempre per mpm) al veggente. Quindi se manca un osservatore trasmittente (o se questi non è all’altezza del compito), interviene il msf a configurare gli elementi della configurazione-target. Il primo pda-dist aggancia, dunque, in questa fase, uno o più elementi della configurazione-target. Ma questo primo passaggio non è sufficiente a rendere l’oggetto target davvero “reale”, nel senso sopra specificato. Andranno quindi confezionati altri pda-dist, che aggancino il sub-pda a valle risultante dal primo pda-dist, per condurlo a collegarsi ad elementi di altre configurazioni, finché il novero di configurazioni necessario a rendere l’oggetto-target abbastanza “reale” è completato. Da quanto riferisce Targ, citando Ingo Swann e un altro autore, nelle sessioni di visione remota le domande dell’intervistatore non sono molte e si fermano abbastanza presto, con l’invito al veggente a fare un elenco (parlato o meglio ancora disegnato) di immagini o schemi insoliti (e sottolineo la parola “insoliti”) che gli sorgono in relazione al target. In questa terza fase, si nota quindi l’influsso forte del msf. In alternativa, nelle sessioni di telepatia, si potrebbe supporre che il ruolo dell’osservatore trasmittente si faccia più intenso, dopo la prima focalizzazione del target, per fornire più collegamenti possibili al veggente e formare così l’oggetto reale. Targ suggerisce, oltre che delle domande, anche degli esercizi, che definirei di “stimolazione psichica” o, meglio ancora, di “prova di forza configurazionale”. Si adattano solo agli oggetti-target che si trovano in ambienti esterni. Più in specifico, Targ suggerisce di andare contro l’oggetto-target o di fluttuargli sopra per acquisirne una vista a volo di uccello. Tale sotto-fase deve durare al massimo dieci o quindici minuti, finché si esauriscono i “pezzi d’informazione” che sono evocati al veggente. Questi tipi di esercizi ci danno due tipi di conferma, per le nostre teorie: la prima conferma è che si tratta di situazioni “reali” di vita, in quanto sono configurate come attività psichiche che forniscono informazioni sul “oggetti reali”; la seconda conferma è che hanno una durata massima variabile, ma non troppo (dieci o quindici minuti sarebbe quindi il tempo cronologico massimo in cui possiamo acquisire, relativamente agli “oggetti reali”, gl’incroci del nostro elemento-target con altri elementi di configurazioni diverse). Tra mille anni potrebbe volerci molto di più, per esaurire questa sotto-fase, o potrebbe essere stato superato (o estremamente confinato) il collettore del tempo cronologico, al punto da non riuscire più a dare un significato all’espressione “dieci o quindici minuti”. Ciò richiederebbe, però, il previo superamento dello scoglio della mortalità (che l’umanità non ha ancora deciso di superare560).

Targ prosegue con un discorso, dal nostro punto di vista perfettamente logico, ma comunque scioccante: “Attraverso questo processo [quello, cioè, di visione remota], puoi imparare a dare una descrizione sorprendentemente coerente di un oggetto nascosto. È estremamente improbabile, tuttavia, sapere esattamente quale sia l'oggetto”. Ciò significa che, nel percorso compiuto secondo lo schema suddetto (configurazione-target pda-dist “oggetto reale”) manca sempre qualcosa a rendere l’oggetto davvero reale. Ciò è ovvio: non si possono coprire tutte le configurazioni e i loro elementi analogici, che sono indispensabili per toccare l’oggetto reale. Se così facessimo, non ci occuperemmo più di visione a distanza, ma rientreremmo nel 5lc dell’uomo della strada. Ma questo è l’insegnamento che abbiamo provato a offrire in Analogia singolare: per conoscere di più, bisogna conoscere di meno nella via del non-essere (cioè nella direzione essoterica del sapere). Solo rinunciando a seguire esclusivamente la via del non-essere e accettando la chiamata dell’uomo a seguire in modo complementare le due vie, si accresce sensibilmente la conoscenza.

Un altro discorso, estremamente significativo per argomentare il carattere analogico-configurazionale dei linguaggi non trasmutati, è quello in cui Targ richiama alla necessità della fiducia del veggente nei confronti dell’intervistatore: “To be right, you have to be willing to be wrong.This is why the issue of trust between viewer and interviewer is so important”. Ho preferito non tradurre questo testo, per la forza che ha in inglese il termine “willing”, che significa sia “disposto a”, sia più apertamente “volente”, “colui che

560 Se scegliessimo di superare, al posto dello scoglio della mortalità, quello della giovinezza ad libitum, diverremmo giovani finché vogliamo, ma prima o poi potremmo anche morire (magari per scelta consapevole). Se sarà questa la scelta dell’umanità, allora il tempo cronologico sarà una categoria ancora necessaria.229

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vuole”. Alla base de “l’aver ragione” vi è quindi una volontà specifica: quella di “sbagliare”. In ogni mio saggio offro un commento alla pagina evangelica di Gesù e l’adultera, in cui Gesù insegna a costruire sui propri errori, invece che condannare (e quindi condannarsi) per essi. La costruzione sugli errori, nel campo epistemologico, è stata fatta propria da Thomas Kuhn, il quale individua la genesi di ogni rivoluzione scientifica nella scoperta di un anomalia rispetto al paradigma dominante in un certo settore del sapere. Grazie alla sequela di tale anomalia, l’uomo arriva ad elaborare il nuovo paradigma di riferimento per quel settore. Il salto paradigmatico di cui parla Kuhn, e che da duemila anni potevamo trovare già teorizzato nel linguaggio scritturistico, costituisce la base analogica del linguaggio non trasmutato (di quel linguaggio, cioè, che non essendo ancora passato dalla deformazione ingenerata grazie agli assoluti derivati o collettori - quali lo spazio euclideo, il tempo cronologico, e tanti altri, anche di tipo sociale, come la libertà e l’uguaglianza degli esseri umani -, non è da noi conoscibile se non per costruzione autoreferenziale soggetta a successiva verifica). Ma Targ ci fa intravedere non solo un linguaggio analogico, bensì un intero modo di muoversi nella cd. realtà psichica, il cui significato è una condensazione del linguaggio analogico entro delle realtà vere e proprie, dotate ciascuna di una sua autonomia ma anche di una sua interazione logico-strutturale e intuitiva con le altre. Per Kuhn l’aspetto fondamentale del muoversi per errori era che, una volta scelto l’errore e formato il nuovo paradigma, non si poteva più tornare a quello precedente. Kuhn sottolinea quindi l’aspetto dell’autonomia tra le realtà paradigmatiche. Targ, nel suo condurci nel percorso psichico a contatto con realtà oggettive, che si costruiscono nel percorso stesso, parla indirettamente non solo dell’autonomia, ma anche dell’interconnessione di tali realtà oggettive con quelle soggettive su cui si costruiscono. Né si può escludere (anzi, sembra più che probabile) che l’interconnessione riguardi anche le realtà oggettive tra di loro. Se, ad esempio, voglio individuare un oggetto che si trova all’aperto, non mi limiterò a coglierne le linee, ma cercherò di sondare anche il movimento che ha intorno, nonché di sorvolarlo per averne una visione a volo di uccello, ecc… E’ dalla conferenza di tali molteplici e variegati elementi, appartenenti a configurazioni analogiche diverse, che riesco a cogliere il cd. “oggetto reale” o (con un’espressione più precisa) concreto. Il discorso di Targ si chiude con un autentico gioiello epistemologico: il richiamo alla fiducia. Visto che Targ consente di far coincidere nell’osservatore-uomo sia la figura del veggente che quella dell’intervistatore, si può parlare anche di fiducia dell’osservatore della realtà in se stesso. Perché è così importante che l’osservatore, che è entrato in contatto con l’anomalia, le presti fiducia? Perché la costruzione della realtà è psichica. Ci si riallaccia al pensiero di Kant, secondo cui le grandi categorie di spazio e di tempo non erano categorie della realtà oggettiva, bensì categorie della mente umana. L’approccio e le parole di Targ, a differenza di quelle di Kant, mi consentono di argomentare però anche un’ipotesi ulteriore (che è alla base della teoria delle configurazioni analogiche): l’ipotesi che oltre alla realtà mentale non vi sia alcunché, o meglio, che vi sia il non-so-che (protagonista, per l’appunto, dell’altra grande teoria del linguaggio che proponiamo: quella dell’analogia singolare). Fidarsi può essere interpretato - nel contesto ESP di cui ci parla Targ – come fidarsi della costruzione della realtà grazie al non-so-che che la illumina di senso intuitivo e di coerenza logica, nel suo stesso formarsi. Non è una realtà sclerotizzata in strutture fisse, ma una realtà viva che costituisce un grande organismo, di cui i corpi cd. oggettivi sono parti integranti, anche dopo morti, anche quando non sembrano più oggettivi, ma meri ricordi o tracce in via di progressivo disfacimento. Il linguaggio analogico-configurazionale, creando questa sinergia tra il non-so-che e le strutture logico-intuitive della realtà, eternizza la realtà stessa. In greco eterno si dice αιων (leggesi aiòn), che significa “ciò che ha una durata rapportata ad un fine”. Il fine cui accenniamo non è solo evolutivo, ma anche conservativo: l’anima dell’uomo è da molti considerata non solo razionale, ma anche morale. Per molti anni ho disprezzato la morale, o per lo meno, senza disprezzarla, l’ho relegata alla funzione molto semplice e cristallina di permettermi una certa operazione mattutina: quella di guardarmi allo specchio e di piacermi (per quello che penso, che sono, ma anche per quelle cose che faccio, possibilmente anche per molte cose che ho fatto, dimenticando quelle meno nobili grazie a quelle più nobili). In questa operazione è però nascosta una verità performante di ogni cosa: la impellente esigenza di conservare qualcosa di nobile e bello, qualcosa addirittura di venusto, che non solo lasci traccia, ma si leghi a me e ad ogni altro essere vivente che abbia calcato la realtà cd. oggettiva, sfidando e vincendo la forza evolutiva che vorrebbe superare ogni cosa. L’anima morale dell’uomo (inteso nel senso ampio che ho sempre specificato), senza spezzare la forza evolutiva delle cose, la regimenta perché nulla di venusto vada perduto. Ecco ciò che Gesù salva, nella donna colta in flagrante adulterio. Il collante di questo immenso

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salvataggio è la fiducia (pìstis), che per noi è sinonimo di tecnica, cioè di salto paradigmatico conscio, operato grazie al rinvenimento della seconda anomalia561.

Il discorso di Targ prosegue tuttavia con un errore, una sorta di regresso ad un’idea riduzionista della realtà, che fa comprendere come l’analisi di Targ non sia ancora abbastanza matura a livello epistemologico. Egli infatti dà il seguente consiglio: “Try to specify the images that you feel most strongly about and decide whether each one is more likely to have arisen from memory (perhaps things you saw earlier in the day) or imagination”. Anche qui ho preferito lasciare il testo in inglese, poiché la parola “feel” vuol dire “sentire” in senso interiore, ma anche “ritenere” in senso logico. L’idea sbagliata, in tale discorso, è che si possa disgrossare ciò che emerge alla percezione del veggente, grazie ad un confronto con i suoi ricordi, come se i ricordi non potessero entrare nel vortice delle configurazioni virtuali (msf), né avere un ruolo nella lenta costruzione analogicoa della realtà cd. oggettiva (mii), né essere adoperati- pur incosciamente – nella elaborazione del messaggio telepatico da parte del ricevente (mpm). In ognuno dei tre metodi per il raggiungimento delle CRA, la memoria dell’osservatore può avere un ruolo. Inoltre, se prendiamo in considerazione il portato della teoria di C.G. Jung e W. Pauli (che sono solito chiamare teoria dello psicoide), gli elementi della realtà si richiamano a vicenda, formando contesti coerenti proprio grazie ai ricordi (che sono, alla fin fine, la base di acquisizione delle informazioni che chiamo “tracce” e senza le quali nessuna conoscenza profonda della realtà potrebbe aversi o mantenersi). Il ruolo dei ricordi nel creare la traccia, su cui s’innesta la conoscenza, è quindi ineludibile. Escludere un elemento emerso nella percezione del veggente solo perché corrisponde ad un ricordo del giorno prima è, quindi, oltre che teoricamente scorretto, estremamente fallace nella prassi applicativa delle tecniche ESP. Invece il riferimento di Targ a “that you feel most strongly” (= “ciò che senti-ritieni più forte”) coglie nel segno. La forza o energia che va riconosciuta, però, non è qualcosa di quantitativo (ed ovviamente non la intendeva così nemmeno Targ), bensì qualcosa di qualitativo, in senso sia logico-strutturale che in senso intuitivo. L’intuizione è una forma di corsa più rapida, ma sempre lungo ipotetiche strutture logiche. Se la corsa dell’intuizione diventa sfrenata (msf), siamo in presenza di un percorso lungo varie configurazioni virtuali, fino ad approdare ad una configurazione che sarà conoscibile con le armi della logica consapevole. Quindi la forza di cui parla Targ (che nei nostri saggi viene più spesso chiamata energia, e sarà oggetto di un saggio apposito) è una forza intelligente, anche quando si muove sulle più rapide rotaie dell’intuizione. Si può riconoscere la forza che volge nella direzione desiderata, rispetto alla forza che costituisce solo un “rumore di sottofondo” che confonde rispetto al riconoscimento del target. Purché si capisca che il rumore di sottofondo è solo un ipotetico percorso logico-intuitivo non ben performato per lo scopo. E come si fanno, di preciso, a discernere gli elementi dalla forza giusta? Applicando lo stesso metodo finora proposto da Targ, ma in modo specificamente orientato al singolo elemento. Ci si deve cioè disporre finalisticamente ad acquisire la conoscenza se tale elemento sia logicamente conferente con il nostro target. Una nuova serie di pdac, a fronte di tale domanda (o meglio, del finalismo logicamente strutturato di tale domanda), costituirà il pda-dist performato per il sotto-compito affidatogli: fare chiarezza sulla direzione della forza di tale elemento. Ciò che va evitato è d’incappare in situazioni o disposizioni interiori che non sono adeguate a sviluppare il finalismo adeguato, che ho appena descritto. Targ, con parole migliori delle mie, fa capire quale debba essere tale disposizione (anche se non ne coglie sempre le implicazioni teoriche). Il veggente dovrà quindi, ancora una volta, sgombrare la mente e concentrarsi su tale elemento, con la domanda serenamente e precisamente formulata “se tale elemento sia o meno conferente con il target”. La risposta non tarderà ad arrivare, sotto forma di convinzione interiore in positivo o in negativo. Se la risposta mi

561 Come altrove specificato, la prima anomalia in cui s’incappa all’interno di una configurazione è quella preimpostata grazie al mpm. La seconda anomalia è quella che l’uomo trova sviluppando la propria coscienza (psuché), che è mediazione tra gli assoluti della logica e quelli dell’intuito, innescata dalle tre precedenti mediazioni del “ciclo omicron” (la donna, la terra e il cuore). Di questo argomento tratto analiticamente nel capitolo sul salto paradigmatico. L’anomalia di Kuhn è quindi la seconda anomalia di cui parlo, non la prima, che pur essendo altrettanto contraddittoria (rispetto al paradigma della configurazione di partenza), non conduce nella direzione anelata dall’uomo, ma verso la sua autodistruzione. Per quanto anche la seconda anomalia potrebbe condurci, a posteriori, all’autodistruzione, facendoci stringere un’analogia singolare nuova, innova la nostra relazionalità, nell’ottica di consentire il nostro ingresso nel rapporto speculare con l’essere supremo (che è composto dalle tre o quattro funzioni conoscitive personificate dall’osservatore: vd. Trinità o funzioni conoscitive, ma anche La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà).231

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appare forzata, e quindi non mi convince, non devo seguirla. Noi osservatori della realtà siamo infatti capaci di simulare tale risposta, ma ci accorgiamo (almeno intuitivamente) della beffa che il percorso intrapreso ci riserva. In tal caso dovremo prenderci uno stacco, facendo altre cose, magari alle volte (se siamo troppo su di giri) riprendere la ricerca il giorno seguente, nel momento che ci appare più opportuno. Ciò favorirà il formarsi del corretto finalismo. A chiosa del discorso, si nota che Targ sconsiglia non solo quegli elementi che risultino essere ricordi, ma anche quelli che possono considerarsi immaginativi. Anche questo secondo veto di Targ deve essere trattato come il primo, pur riferendosi ad elementi di origine diversa. Mentre i ricordi sono riferiti ad elementi presenti in percorsi di coscienza già intrapresi, le immaginazioni sono riferite ad elementi presenti in percorsi di coscienza (pda) che sono in corso d’intrapresa. Abbiamo infatti la facoltà di concentrarci con la coscienza su uno o più percorsi, da intraprendere a tempi alterni, prendendo in ciascuno direzioni autoreferenziali rispetto alla cd. realtà oggettiva. Se vedo una bambola, per esempio, potrei immaginarmi che essa inizi a camminare, oppure potrei supporre cha appartenga alla bambina che è passata pochi secondi prima e che potrebbe averla persa. Tali elementi costituiscono gli elementi cs, sc e gp del sub-pda di riferimento, come specificato nei capitoli precedenti (vd. soprattutto quello sullo sfrangiamento). Ma non può escludersi affatto che proprio alcuni elementi cs, sc e gp che mi ruzzolano nella coscienza siano significativi per la mia ricerca del target. Devo seguire lo stesso procedimento sopra descritto per i ricordi, al fine di discernere le immaginazioni significative da quelle che mi conducono fuori strada. Escluderle in partenza equivarrebbe (come dicono a Firenze) a gettare in Arno il bambino con l’acqua sporca.

A conferma della nostra critica sull’ultimo discorso citato, lo stesso Targ dice: “Se ti fosse stato detto in anticipo che il tuo target (=bersaglio) sarebbe stato uno tra due o più oggetti, ciò avrebbe accresciuto la difficoltà nel descrivere il target giusto poiché avresti avuto immagini mentali di tutti gli oggetti nella tua mente. Per separare i frammenti psichici d’informazione dalla sovrapposizione analitica (rumore mentale), puoi avere necessità di ripercorrere il processo di raccolta dei frammenti molte volte”. Quindi, secondo Targ, la forma più alta di rumore mentale si risolve ripetendo più volte il procedimento di selezione degli elementi. Ciò conferma che il procedimento in parola non solo può essere ripetuto, ma che può essere frazionato. Si può cioè chiedersi, per ogni singolo frammento d’informazione, se si tratti di una vera informazione psichica o di semplice rumore mentale. Targ non arriva a capire che anche a tale sub-procedimento di controllo si deve applicare la cd. facoltà ESP (che altro non è che la facoltà conoscitiva, posta nella via dell’essere, cioè della rivoluzione scientifica come descritta da Kuhn e come potenziabile, al momento del bisogno, grazie al msf). La ricerca della seconda anomalia nella configurazione target può essere cioè applicata anche ad una o più configurazioni, che s’incrociano con la configurazione target in corrispondenza dell’elemento oggetto del sub-procedimento di controllo. Tuttavia anche Targ capisce che occorre una certa metodica, proprio perché tendiamo a scivolare su una sorta di buccia di banana (che alla luce delle nostre teorie, soprattutto quella dell’analogia singolare, assume il nome di “via del non-essere”, altrimenti denominabile – con la teoria delle configurazioni analogiche - come via dell’autoreferenzialità, riguardante un singolo elemento del sub-pda come un intero sistema configurazionale, la quale porta allo sfrangiamento562).

Targ spiega poi come mettere insieme i frammenti d’informazione psichica: “Dopo aver fatto i tuoi schizzi e aver scritto le tue impressioni, il tuo intervistatore dovrebbe mostrarti l’oggetto e ripassare con te le cose che hai descritto correttamente”. Questo discorso è ambiguo (anche se Targ sapeva benissimo cosa intendeva): o significa che è l’intervistatore che deve cercare di mettere insieme i frammenti, in quanto soggetto terzo rispetto alla percezione del veggente, o che l’intervistatore mostra il vero e proprio oggetto materiale costituente il target. L’interpretazione più corretta del discorso sembra quest’ultima. Tuttavia la prima interpretazione (che non tiene conto dell’avverbio “correttamente”) è più utile della prima. La prima serve solo ad escludere la possibilità d’individuare l’oggetto target senza la sua effettiva visione ravvicinata, nonché a dare al veggente la possibilità di vedere a distanza l’oggetto che gli sarà mostrato dopo in via ravvicinata (collegandosi quindi alla percezione “futura”). Non si tratta quindi di un’indicazione non di poco conto. Tuttavia può sorgere la necessità d’individuare a distanza l’oggetto che, parimenti a distanza, si è percepito. Anche in tale percorso di assemblaggio dei frammenti d’informazione psichica a disposizione, si dovrà seguire lo stesso sub-procedimento di controllo, che è poi il procedimento psichico in sé considerato.

562 Si veda il capitolo relativo allo sfrangiamento.232

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Si dovrà cioè formare un finalismo all’altezza del compito (grazie alle accortezze come sopra suggerite da Targ): grazie a tale finalismo, s’innescheranno i pdac che formeranno e performeranno i pda-dist che guideranno il pda fino alla nuova configurazione-target. Questa volta, però, la configurazione-target dovrà essere molto più vicina a quella della cd. realtà oggettiva, aggiungendo un novero ancora maggiore di collettori strategici nell’onda formaturale.

Targ chiosa il discorso regalandoci una regola d’oro nell’esercizio delle facoltà ESP: “Durante questo passaggio [cioè la visione ravvicinata del target] potresti avere l’esperienza di dire: <<Ho visto uno di quelli ma non ne ho parlato!>> come spesso accade. La regola nel gioco di visione remota è che se non si è messo sul foglio, non è successo. Quindi è importante scrivere o disegnare tutto; eventualmente imparerai a separare il segnale dal rumore”. Si noti che non si tratta di una regola da bambini: nessuno vuole fregare nessuno. Si tratta di una regola che rende autoconsapevole l’osservatore della traccia da seguire. Emerge così, a nostro avviso, il tema della traccia scritturistica, cioè di quella traccia così complessa e affascinante da non cessare mai di parlare con nuove informazioni psichiche all’osservatore che la segue con amore passionale. L’idea proposta da Targ che “ciò che non si è messo sul foglio, non è successo”, invita a riflettere sul fatto che le informazioni psichiche sono informazioni (e quindi anche fatti) reali al pari di ogni altro elemento della realtà. Anzi, essi sono il grimaldello (a volte più affilato e funzionale, a volte più spuntato) per muovere e trasformare la realtà stessa. Quindi perdere una parte della traccia può comportare il mancato raggiungimento della percezione desiderata (nel caso di ricerca tendenzialmente emozionale, che dall’innervazione del sentimento ripiega subito nel quarto livello configurazionale) o il mancato evitamento della percezione esecrata (nel caso di ricerca sentimentale, che dall’innervazione del sentimento punta invece di nuovo a reiterare la ricerca, fino a cristallizzazione del CS e/o al raggiungimento di una configurazione creazionale).

Targ ci parla anche di preveggenza. Anche in questo campo abbiamo alcune idee in comune, altre radicalmente divergenti. Condividiamo l’idea che ciascun uomo sia “una consapevolezza senza tempo (cronologico) che abita come in un corpo”. Concordiamo anche che il futuro (purché tale termine sia correttamente inteso) possa essere visto in anticipo. Non concordiamo con l’idea che il futuro non possa cambiare il passato. Ma per spiegare questa discordanza, dobbiamo spiegare con calma il significato di ciascun termine adoperato, alla luce del linguaggio analogico-configurazionale. Tuttavia possiamo già notare come Targ incappi in una prima anomalia (quella che attrae in un salto paradigmatico inconscio non desiderato o addirittura esecrabile), che lo porta a negare il suo stesso approccio teorico. Se infatti il futuro può cambiare il presente, perché non dovrebbe cambiare anche il passato? Non esistono forse un solo luogo e un solo istante in cui ogni cosa si svolge ed accade? Ma la vera prima anomalia, in cui incappa Targ, è ancora precedente, a livello logico, e consiste nel pensare che la realtà sia fondamentalmente (e non solo illusoriamente) cronologica. L’argomento di Targ, d’altro canto, dovrebbe suonare inadeguato alla luce della teoria di Kuhn sul salto paradigmatico: se infatti ancora nessuno è riuscito a trovare una certa anomalia (il futuro che modifica il passato) è più perché manca l’aspetto percettivo, che è indispensabile in ogni anomalia che preluda al salto in parola. Finché ci si limita ad un assunto teorico, plasmato dal vecchio paradigma, non si può vedere il nuovo. A questo punto del nostro studio sul linguaggio analogico-configurazionale, è peraltro un gioco da ragazzi formulare il nuovo contesto logico in cui l’anomalia del futuro che cambia il passato diventi reale. In primo luogo si consideri la nostra definizione di presente. Il presente, per noi, non è il presente cronologico. Esso è il portato della trasmutazione dei linguaggi dell’essere (vd. il capitolo sulla trasmutazione del linguaggio). Si tratta di un novero di configurazioni analogiche già filtrate e arricchite, in sostanza, con i collettori di spazio euclideo, tempo cronologico e tanti altri, sia fisici che sociali, ma non certo tutti i collettori disponibili. Non abbiamo possibilità di risalire ai linguaggi pre-trasmutazione e alle relative configurazioni, se non costruendole in modo ipotetico e saggiandone il feedback. Se il feedback è positivo, ce ne accorgiamo poiché otteniamo una trasformazione delle nostre configurazioni trasmutate, cui possiamo attribuire (per quanto in modo autoreferenziale) una trasformazione delle configurazioni non trasmutate. La costruzione ipotetica di cui parlo, se puntasse verso la conoscenza esatta delle configurazioni non trasmutate, non darebbe alcun feedback del tipo appena descritto. È quindi solo puntando alla trasformazione delle configurazioni non trasmutate che se ne ottiene il feedback. I metodi che ho finora trovato per puntare a tale trasformazione sono i tre metodi (mii, mpm e msf) per il raggiungimento delle configurazioni remote e la tecnica del salto paradigmatico conscio, che in

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un certo senso è alla base di tutti e tre. Il presente è quindi il portato di una grande illusione, che si configura come una grande operazione di telepatia, diffusa ad ogni osservatore della realtà (almeno a quelli auto-coscienti, ma sembrerebbe anche agli altri, per quanto in modo meno pervasivo). Il futuro è quindi rappresentato dai sub-pda non ancora trasmutati del tutto grazie al collettore del tempo cronologico. Il passato è invece rappresentato dai sub-pda già trasmutati del tutto grazie a detto collettore. Sia il futuro che il passato sono quindi soggetti a sfrangiamento, non appena il finalismo che è alla loro base s’indebolisca e sia sopraffatto dal finalismo dei pda-dist; ma possono anche restare sospesi, finché il loro finalismo perde la spinta innovativa ma non la potenza autoconservante e non intervengono pda-dist a privarlo di quell’elemento che più sopra ho chiamato “gemma apicale”. Il presente è quindi sia il passato che il futuro, purché smettiamo di guardarli con la lente deformante della cronologia (la cui unica, grande e attuale funzione, ai fini dell’essere, è renderci complementari a quest’ultimo). Il collettore cronologico potrebbe però, grazie ad una rivoluzione antropologica fondamentale, essere anche abbandonato e sostituito da altri collettori o cose ancora diverse, che ci rendano complementari rispetto all’essere (cioè all’essere supremo). Non c’è alcun motivo per cui un sub-pda del passato non possa essere aggredito da un pda-dist del futuro, e viceversa. Ogni volta che ciò avviene, però, non ce ne accorgiamo, poiché nella nostra analisi non teniamo conto della trasmutazione. Solo con uno sguardo analitico (ipoteticamente) depurato dalla trasmutazione, possiamo cogliere il futuro che cambia il passato. Tale cambiamento (come ogni altra cosa, del resto) è la risultante di una battaglia tra volontarismi. Quando Targ, in qualità d’intervistatore, propone al veggente di vedere il momento futuro in cui gli sarà mostrato l’oggetto-target, sta stimolando il finalismo del veggente. Quest’ultimo potrebbe vedere effettivamente il futuro già logicamente preimpostato (cioè lo scorcio della serie di collegamenti tra elementi sc, dal sub-pda in cui si trova fino ad uno futuro. Ma se un simile pda-futuro non fosse preimpostato, allora ne potrebbe (grazie al volontarismo) suscitarne uno ancora non preimpostato e incapace di passare dalla trasmutazione cronologica, per l’assenza di alcuni salti paradigmatici intermedi che sarebbero (col cd. senno di poi) indispensabili a tal fine. Ma tale futuro (che per il neopositivista è solo ipotetico, ma non per noi) potrebbe cambiare il cd. ricordo anche di fatti passati, implementandone gli aspetti cd. interpretativi (ma cosa è libero da interpretazione, se non l’ineffabile puro?). Questo è solo un esempio di futuro che cambia il passato. Alla rilevanza di tali “episodi”, nel nostro vissuto, si oppone la telepatia diffusa di cui sopra: ma vi si oppone non impedendoli, ma rendendoli (solo apparentemente) innocui dal nostro punto di vista conoscitivo di tipo istituzionale. Le istituzioni culturali e scientifiche c’insegnano infatti (salvo eccezioni meritorie) a vedere il futuro come futuro cronologico e il passato come passato cronologico, rinchiudendoci mani e piedi nell’illusione. Così non ci rendiamo conto di poter presentire il successo o l’insuccesso del futuro e di essere già plasmati da essi nel nostro passato (che chiamiamo ricordo e che, immancabilmente, è purificato o insozzato da quell’energia che ci viene dal futuro). Quindi se anche le cose sembrano andare come dice Targ, non dobbiamo dimenticare che il nostro approccio teorico non esclude che le cose vadano diversamente e, se diversamente non vanno, ci fa apprezzare anche questa constatazione come per niente scontata. Il rispetto tendenziale del futuro verso il passato non è un mero accidente, ma un’alleanza tra l’essere supremo e gli esseri autocoscienti (nonché una proposta di alleanza per quegli esseri che ancora devono diventare autocoscienti).

Da un esperimento personale di visione remota (che purtroppo non ha potuto avere una verifica certa, in quanto il target è rimasto intrappolato sotto uno strato di neve non più fresca) ho iniziato a farmi un’idea sulle caratteristiche delle configurazioni-target. Esse, come già accennato, non sono mai coincidenti con la configurazione di verifica, tuttavia non sono delle semplici configurazioni mancanti di alcuni elementi o strutture logiche. Si tratta piuttosto di configurazioni basate su paradigmi ben diversi, che cercano però di avvicinarsi ai paradigmi che entrano in gioco nella costruzione del paradigma specifico della configurazione di verifica (che è poi la configurazione in cui si riescono a verificare le caratteristiche cd. oggettive del target). Il finalismo del veggente stimola il grafèico puro a veicolare un’informazione trasformata, che si avvicini all’informazione che ci sarebbe nella configurazione di verifica, ma senza coincidervi. Ad esempio, nella ricerca delle chiavi dell’albergo che erano andate disperse, ho visto ad un certo punto (in qualità di veggente e, al contempo, intervistatore) un bambino simile a mio figlio Gabriele (due anni) che apriva di colpo la porta finestra della camera e gettava fuori qualcosa e poi richiudeva: nel momento in cui richiudeva si trasformava in un bambino simile all’altro mio figlio, Matteo (cinque anni), ma tutto bardato

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dei vestiti per la neve. Ho ricostruito che la perdita della chiave sia avvenuta perché mia moglie ha appoggiato la chiave sulla neve, insieme a degli indumenti da neve, mentre vestiva Matteo per lo sci. Il bambino che apriva la porta-finestra e gettava fuori qualcosa era insomma mia moglie, che con ingenuità aveva appoggiato, proditoriamente, le chiavi sulla neve per liberare la tasca del passeggino di alcuni vestiti. C’è una sorta di accordo tra il grafèico e l’uomo-osservatore, quando quest’ultimo esprime la volontà di veggenza a distanza.

Riguardo alla preveggenza Targ commette gli stessi errori, quando parla dei sogni premonitori563. Ritenendo che il collegamento del sogno con eventi della giornata o con pensieri e ansie sia sintomo che il sogno è costruito dallo stesso sognatore, esclude tale tipo di sogni dalla categoria dei sogni premonitori. Sinceramente non sono mai stato molto attratto dai sogni premonitori: ritengo che siano poco profondi e, semmai, potenzialmente utili ma solo per faccende di breve momento (anche vitali, eventualmente, ma di breve momento). La grandezza dei sogni non sta certo nella categoria dei sogni premonitori, come emerge dalle tradizioni scritturistiche dell’umanità. Ma se proprio vogliamo parlare di questa categoria di sogni (che nemmeno passano dal terzo livello configurazionale), dobbiamo considerare che si tratta di trasmissioni telepatiche. Quindi c’è un trasmittente, che emette una informazione configurazionale briosa, dopo aver agganciato il ricevente (che deve essere passivo, e in effetti durante la fase REM lo è). Non è quindi strano che il trasmittente adoperi vicende, pensieri e preoccupazioni della giornata precedente per agganciare il ricevente, né che quest’ultimo senta come vivido il sogno premonitore (d’altronde l’informazione di partenza è briosa!). Ma l’alone di mistero (di cui parla Targ) potrebbe essere anche solo un artificio della briosità del trasmittente, affinché il ricevente prenda sul serio la premonizione. Almeno a livello teorico, quindi, Targ sembra non cogliere proprio nel segno (salvo potersi salvare in corner se, nella prassi, molti sogni premonitori avessero davvero l’aspetto che descrive). Il tipo di sogno premonitore che Targ descrive sembra, a livello teorico, spiegabile come il caso di una trasmissione telepatica operata da un’entità autocosciente che, avendo previsto (grazie alla visione da remoto, puntata sul futuro) un evento nefasto per un essere umano a cui tiene, lo abbia preavvertito con un sogno particolarmente vivido che replichi in modo abbastanza fedele l’evento stesso. Ma di regola lo stesso evento può essere visto in anticipo dall’essere umano interessato, grazie all’interpretazione di un sogno (sito nel terzo livello configurazionale564) – nell’ipotesi in cui il sogno si configuri effettivamente e il sognatore, una volta sveglio, lo ricordi e sia in grado d’interpretarlo. Ho sentito parlare anch’io del sogno premonitore classico, di cui parla Targ: una mia bisnonna o trisnonna565 avrebbe impedito al marito di prendere una nave (che successivamente era davvero naufragata), in quanto preavvertita in sogno da San Francesco di Paola, di cui la donna era particolarmente devota. Il trasmittente può, insomma, mettere anche una firma più vistosa al sogno premonitore, presentandosi in prima persona come colui che avverte. Quello che potremo supporre, senza sapere mai con certezza, è se davvero fosse stato il santo appena citato ad avvertire la donna. Tuttavia sembra ingiusto non credere alle parole della donna, che ha salvato il marito dal disastro (salvo comunque la lontananza dei fatti e il perimento di qualunque testimone diretto, che rendono la vicenda ormai una novella interessante, un materiale da prendere davvero con le pinze).

La classificazione che Targ, insieme a Bertrand Russell, offre dei sogni premonitori come di “previsioni”, non profezie, è quanto mai fuorviante. Abbiamo spiegato già sopra, in modo analitico, come ogni sub-pda appartenente ad ogni pda abbia pari legittimazione degli altri a considerarsi reale. Alcuni sub-pda rientrano, in tutto o in parte, nelle categorie logiche del quinto livello (configurazionale) confinato (d’ora in poi “5lc”), altri non vi rientrano. Questa differenza, però, pone questi ultimi sub-pda solo fuori dai nostri riflettori, cioè dall’immediatezza del nostro intelletto. Abbiamo chiamato questa immediatezza come percezione logico-strutturale, o percezione logica, nel capitolo sullo sfrangiamento. Ma tale percezione logico-strutturale è attiva anche nei sub-pda che non appartengono al 5lc: possiamo quindi raggiungerla e vedere fin dove essi ci portano. La visione logico-strutturale consiste, infatti, in un collegamento in sequenza di ogni sc a valle di un elemento analogico, su cui si sta concentrando la nostra coscienza. Tale percezione supera tranquillamente i salti paradigmatici che collegano il sub-pda attivato a quelli a valle, purché essi siano stati

563 R. Targ, Limitless mind…, pp. 78 e 79.564 Vd. il capitolo sui cinque livelli configurazionali.565 Mi baso su un racconto di mia nonna Otilia, che racconta a sua volta di sua madre o di sua nonna (non ricordo esattamente).235

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cristallizzati566 (ed appartengano, quindi, al mio personale 5lc). Se invece non ho cristallizzato i salti paradigmatici necessari a superare il sub-pda a cui mi sono collegato, la mia percezione logico-strutturale rimane limitata. Solo con i tre metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote (di cui abbiamo diffusamente parlato sopra) posso superare tale ostacolo. Il sogno premonitore, in quanto trasmissione telepatica, adopera il mpm (metodo del ponte mistico). Invece il sogno che si trova nel terzo livello configurazionale, se interpretato (nel senso che, in qualità di osservatore, l’uomo ne trasformi l’informazione grazie al passaggio della stessa nel quarto o quinto livello configurazionale), adopera il mii per condurre avanti la nostra percezione logico-strutturale. Invece che vedere in sogno un disastro aereo, vedo un elemento magari molto più confortante, alla prima impressione, ma che significa proprio (una volta interpretato) il disastro aereo. La differenza tra le due situazioni è quindi palese, ma nessuna delle due è una previsione, bensì un modo per sondare sub-pda siti in configurazioni a cui non avremmo normalmente accesso. La realtà rimane comunque illusoria, che il disastro aereo si verifichi o che sia evitato. Cambia la considerazione che si ha di tale realtà nel rapporto-alleanza tra uomo ed essere supremo. La spiegazione che invece Targ, sulla falsariga di Bertrand Russell, offre è priva di pregio: secondo questi autori, infatti, non potendoci spiegare come mai un futuro che non si realizza possa influenzare il passato (e cioè il sogno premonitore), andrebbe spiegato in termini di “retro-causalità”. La retro-causalità altro non sarebbe che un fenomeno di drammatizzazione, in cui il sognatore si finge presente (ad esempio) ad un disastro aereo, anche se poi il giorno dopo (proprio per timore che il sogno si realizzi) non sale sull’aereo (che tuttavia si schianta, ma senza di lui). Kuhn inquadra questo tipo di spiegazioni come quei tentativi di salvare una teoria, il cui paradigma non riesce a spiegare certe anomalie, riconducendo queste ultime a sistema in modo coartato (cioè in modo non logicamente conferente con il paradigma di riferimento).

Ma l’esempio che Targ propone a pag. 80 e seguenti di Limitless mind, nel capitolo intitolato A Typical Precognitive Dream, mi offre uno spunto magnifico di evoluzione teorica. La stranezza del sogno che egli presenta in queste pagine, infatti, è impossibile da inquadrare nella teoria configurazionale, senza innovarla profondamente. Il sogno (secondo lui premonitore) è il seguente: “Sognai che la persona che stava per parlare prima di me stava in piedi al leggìo, vestita in smoking con un garofano rosso nel taschino, e che avrebbe cantato dal foglio che teneva dinanzi”. Si nota subito quanto il sogno in questione sia molto “mentale”, cioè più strutturato logicamente (secondo la percezione logico-strutturale) che vivido nella percezione immediata. Non doveva, quindi, trattarsi di un sogno premonitore, in cui la componente di percezione immediata (imbastita ad arte dal trasmittente) avrebbe dovuto essere preponderante, per convincere il sognatore che si trattasse proprio di un sogno premonitore. Non poteva nemmeno trattarsi di un sogno premonitore trasmesso da un trasmittente non esperto, in quanto dal seguito del capitolo di Targ non si capisce a cosa sarebbe servita una simile trasmissione telepatica. Non sembra proprio che ci fosse alcun avvertimento, nell’intera vicenda narrata. Tuttavia il sogno aveva un’altra stranezza, rispetto alla mia idea di sogno proveniente dal terzo livello configurazionale: la totale assenza di una qualunque profondità di significato. Il fatto descritto nel sogno, infatti, si realizza per metà in maniera percettivamente corrispondente al sogno stesso (come se fosse un sogno premonitore), mentre per metà in maniera non percettivamente corrispondente, ma comunque logicamente conferente. Infatti quando Targ entra nella sala, in cui avrebbe dovuto tenere una delle varie relazioni in programma, vede effettivamente un uomo in smoking che sta al leggìo. Tuttavia questi non era il relatore precedente a Targ, né si mette a cantare. Una volta interrogato da Targ, emerge che il relatore avrebbe cantato successivamente ed in un altro contesto, all’interno dello stesso evento organizzato. Quindi una buona metà del sogno offriva, al posto di una percezione immediata, una percezione logico-strutturale (in cui l’interpretazione era indispensabile per mostrare il nesso tra sogno fatto nel passato ed evento futuro). Visto che una simile fattispecie non rientrava in nessuna delle mie ipotesi e spiegazioni teoriche, ho dovuto ampliare la mia teoria. In non più di due minuti ho realizzato che si trattava sì di un sogno sito nel terzo livello, emergente pertanto dal secondo livello e volto a configurare un’innovazione nel quarto livello, ma che erano il finalismo e le caratteristiche strutturali più autentiche del secondo e del terzo livello che mi sfuggivano. Sono quindi immensamente grato per il sogno (non) premonitore di Targ, e mi accingo a spiegare perché.

566 Vd. il capitolo sulla cristallizzazione dei CS.236

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Fino ad ora avevo pensato che il secondo livello fosse un mare di pda in cui i collegamenti tra sub-pda diventassero liquidi, permettendo improvvise ed inattese mescolanze tra i sub-pda stessi, da cui nascessero nuove analogie singolari. Pur mantenendo questa idea, devo regimentarla e al contempo finalizzarla. In primo luogo, noto che i sub-pda mischiati in questa sorta di pangea, che chiamo secondo livello configurazionale, non sono privi dei legami originari. Un sub-pda è quindi collegato ai sub-pda a monte e a falle del pda di appartenenza: nessuno di questi legami, tuttavia, emerge alla coscienza, finché ci si trova nel secondo livello. Ciò che di nuovo ho scoperto, però, è che nel mare inconscio di questi sub-pda continuano ad agitarsi i finalismi insiti negli elementi analogici che li costiuiscono. S’instaura una lotta inconscia, all’esito della quale alcuni sub-pda (in qualità di pda-dist) riescono a far evolvere il proprio finalismo a discapito di altri sub-pda (che perdono così la “gemma apicale” e seguono il pda-dist che li ha aggrediti). La rimescolanza dei sub-pda per quanto imprevedibile non è quindi casuale, ma finalistica. Inoltre i sub-pda che entrano in gioco, pur essendo più liberi nei movimenti (per l’assenza di coscienza) e pur costituendo l’intero novero dei sub-pda di ogni corpo appartenente alla rete analogica, si muovono più facilmente all’interno dell’organismo autocosciente e con limitati addentellati nei corpi ad esso esterni. La coerenza dell’organismo autocosciente, insomma, si mantiene anche nel secondo livello; ma poiché il finalismo non incontra il limite asfissiante della coscienza, vola più libero verso gli oggetti esterni del proprio finalismo, senza tuttavia perdere la distinzione tra organismo autocosciente dell’osservatore e corpi ad esso esterni. Per questo i sogni possono avere una grande e decisiva utilità nella vita di tutti i giorni: poiché non perdono la capacità di una qualche ben specifica distinzione (pur sempre da interpretare) tra il sub-pda interno all’organismo e il sub-pda appartenente all’ambiente esterno a quest’ultimo. Quindi Targ, che - come egli stesso ammette – “ha un forte senso visivo [cioè da veggente] e ha spesso sogni memorabili”, ha spesso attivi, anche nel secondo livello, quei sub-pda che cercano di esplicare funzioni ESP, tra cui la visione da remoto e la preveggenza. Tali sub-pda non puntano – potremmo dire – ai massimi sistemi, a quei sogni cioè che possano spiegare in via teorica e profonda la realtà, ma a frugali visioni e premonizioni che diano lustro alla sua capacità di veggente e preveggente. Alcuni di questi sub-pda devono aver agganciato, in qualità di pda-dist, alcuni sub-pda che appartenevano ad eventi e situazioni della giornata seguente, appuntandosi in parte su sub-pda eminentemente percettivi ed in parte su sub-pda eminentemente logici o intuitivi. La sequenza di una sub-pda, dopo i primi due elementi introduttivi (ufc e afc), si svolge come un’alternanza di elementi cs, sc e gp ripetuti n volte. Tuttavia, se anche non possono mancare, nell’esatta sequenza, gli elementi cs, sc e gp, in ogni sub-pda possono essere più caricati (cioè dotati di un finalismo più forte) gli elementi cs (ed in tal caso il sub-pda sarà caratterizzato da una percezione eminentemente intuitiva) o gli elementi sc (ed in tal caso il sub-pda sarà caratterizzato da una percezione eminentemente logico-strutturale) o infine gli elementi gp (ed in quest’ultimo caso il sub-pda sarà caratterizzato da una percezione eminentemente immediata). I sogni, se abbastanza profondi per la vita ed evoluzione personale, nascono in genere caricati in modo più pregnante negli elementi cs (percezione intuitiva), per diventare poi caricati in modo più pregnante negli elementi sc (percezione logico-strutturale) nel passaggio al quarto o quinto livello configurazionale. I sogni premonitori, invece, sono in genere più caricati negli elementi gp, per dare la percezione immediata e vivida di un esito già reale (ma ancora non entrato a far parte del 5lc del sognatore). Nulla toglie alla possibilità che, però, in presenza di un sub-pda dal finalismo preponderante che si volge al mero esercizio di funzioni di preveggenza, si possa avere nel terzo livello configurazionale un sogno che presenti, in alcuni sub-pda a valle, una percezione più immediata e, per altri sub-pda a valle, una percezione più logico-strutturale. Ciò mi fa riflettere profondamente sul tipo di chiamata che ci proviene dall’essere supremo. Se è pur vero che egli ci chiama, grazie a ciò che emerge dal nostro inconscio, tale inconscio è in primo luogo programmato dallo stesso osservatore-uomo che riceve la chiamata. Quindi l’essere supremo si configura, inizialmente, come traccia scritturistica che inserisce nel mio inconscio una sorta di vibrazione culturale, ma poi si caratterizza come la mia risposta (del pari inconscia) alla vibrazione inconscia che ho ricevuto. “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, in quanto la vibrazione culturale arriva ad ognuno, ma l’esito sperato di tale vibrazione s’innesca solo in pochi. La differenza tra i miei sogni e quelli degli altri ne è un esempio. I miei sogni parlano un linguaggio escatologico, mentre quelli di un altro (come ad esempio Targ) possono ancora limitarsi a parlare un linguaggio limitato a percezioni immediate e a percezioni logico-strutturali poco profonde, che portano in senso evolutivo da poche parti. Ovviamente non voglio screditare Targ per un singolo sogno che ha messo per iscritto (del quale peraltro sono

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immensamente grato), ma voglio esemplificare un Targ ipotetico, quale egli stesso ha accennato a descriversi: uno che ha una buona veggenza e sogni memorabili. Di fatto che eccelle in una o più tecniche, limitate al quarto livello configurazionale, tende ad appiattirsi in esse e ad esse tributare il proprio orizzonte finalistico. Troppa scienza è una condanna, se non orientata in chiave relazionale (cioè nel senso della mutua conformazione e, al contempo, della vicendevole trasformazione, in vista di un accordo in evoluzione continua con l’essere a noi speculare).

Dobbiamo quindi chiarire un punto: ciò che Targ chiama “rumore mentale” (che dovrebbe impedire di percepire correttamente da remoto o con il sogno premonitore) rappresenta lo sviluppo dei linguaggi intermedi, che conducono fino alla configurazione-target e poi la fanno evolvere fino ad avere le caratteristiche desiderate (cambiandone, all’occorrenza, il paradigma, e facendo incrociare i suoi elementi con elementi di altre configurazioni). Tali linguaggi intermedi vengono formati grazie ai vari pda-dist, che i pdac del veggente mettono in campo. Un primo pda-dist conduce fino alla configurazione-target, quelli successivi la performano sempre di più. E’ quindi naturale che, se il veggente viene stimolato dall’intervistatore ad aggiungere sempre nuove percezioni, con il finalismo di arrivare sempre più vicino alla percezione “reale” del target, i linguaggi intermedi assomiglino sempre più a quelli appartenenti al 5lc567 del veggente stesso. L’impressione di Targ è che si elimini il rumore mentale, ma noi sappiamo che si tratta di concordare con l’essere il linguaggio con cui formare la realtà. Il target diventa un modello della realtà, non la realtà in senso oggettivo. La verifica, a tal punto, serve a valutare l’effettivo raggiungimento del risultato percettivo desiderato (se l’interesse viene soddisfatto al quarto livello configurazionale568) o l’effettivo non raggiungimento dell’esito percettivo esecrato (se l’interesse viene soddisfatto al quinto livello configurazionale569). Due esempi di tali linguaggi intermedi, nell’opera Limitless mind, si trovano nel capitolo che inizia a pagina 81. In tali esempi, uno relativo ad un sogno rivelatore del passato e l’altro relativo ad una visione da remoto, abbiamo una parte della visione che combacia con la cd. realtà oggettiva ed una parte, propedeutica a quest’ultima, che non vi combacia ma aiuta ad entrare nel contesto dei significati analogici del target570. D’altronde, nel paradigma fondamentale dell’analogia che c’involve da ogni lato, non esiste (come anche notava Heidegger) niente di uguale a se stesso. I principi della logica tradizionale, tipici del nostro attuale 5lc571, saltano necessariamente per aria.

Noto con piacere che anche Targ condivide alcuni aspetti di questa ampiezza di vedute. A pag. 83 dell’opera citata, infatti, esprime l’opinione che “arrendendosi” all’esperienza della visione da remoto succedano ben più cose che la semplice proiezione di percezioni come in uno schermo: si arriverebbe anche ad entrare in contatto con il proprio io futuro e quello passato. Inoltre, egli cita E. Schrödinger in un passo in cui esalta l’entanglement quantistico come la caratteristica principale della meccanica quantistica: ciò suggerisce (anche se si va oltre le intenzioni del fisico) di considerare l’intera realtà come fondamentalmente interconnessa e i suoi significati come richiamantisi a vicenda, anche (e soprattutto) nel contesto scientifico. Gli esiti più radicali (a tutt’oggi inimmaginabili) di un simile approccio possono essere studiati nelle pagine di questo saggio, che fa calare il velo di ogni attaccamento all’uomo vecchio che è ormai morto (ma non ancora sepolto).

Occorre però riprendere in mano il tema del futuro che cambia il passato, per esplicitare in quali modi e sensi ciò possa “accadere”. In primo luogo, può capitare che il passato (cioè i sub-pda che adoperano linguaggi già trasmutati, che sono quindi parte integrante del 5lc) venga dimenticato. Ma avendo acquisito termini più appropriati per descrivere questa situazione, diremo che i sub-pda del 5lc possono sfrangiarsi. Quando si sfrangiano, il recupero dell’informazione in essi contenuta diventa limitata agli elementi ufc e afc, in una loro versione “concordata” con l’essere. Quindi l’articolazione del sub-pda, al di là di tali elementi concordati, non può essere recuperata del tutto. Anzi, anche durante la vigenza piena del sub-pda non ancora sfrangiato, tale articolazione subiva potenziali modifiche anche importanti, ad opera di pda-dist. Inoltre bisogna considerare che i sub-pda sono verificabili solo grazie a dei pdac consci, che si servono di elementi presi da altri sub-pda: non esiste quindi alcun avvenimento oggettivo, né tanto meno altri tipi di

567 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il capitolo relativo ai livelli configurazionali.568 Vd. il capitolo sui livelli configurazionali.569 Vd. il capitolo sui livelli configurazionali.570 Lasciamo al lettore di fare un eventuale confronto con l’opera di Russell Targ (Limitless mind:..., pag. 81 e ss.).571 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il capitolo relativo ai livelli configurazionali.238

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elementi oggettivi nel cd. passato. Ogni elemento analogico è radicalmente da interpretare. Quindi il limite, secondo cui il futuro può solo influenzare il passato e non cambiarlo, è intuitivo ma privo di una logica formale di riferimento. E’ un limite solo tendenziale, che è relativo al 5lc. I cd. pazzi, che hanno un 5lc incompatibile con quello delle collettività cui appartengono, superano spesso tale limite (e come ben sappiamo la follia di oggi può essere la sapienza di domani o quella di un’era passata). Se l’uomo progetta di cambiare il passato, può comunque già ad oggi farlo in almeno due maniere. La prima è muscolare: cancellare le tracce del passato ricordato dagli appartenenti al 5lc di riferimento (o meglio, favorire lo sfrangiamento di tale passato e/o confonderne i punti di riferimento interpretativi attuali). Questa modalità è quella dei vincitori che “riscrivono” la storia. La seconda maniera, ovviamente, è quella di cambiare l’estensione del 5lc, togliendo dal suo novero alcune configurazioni analogiche ed includendovene altre. Se il cambiamento di estensione del 5lc diventa radicale, il passato può cambiare radicalmente quanto ad informazioni (leggi: elementi analogici) allo stesso attribuibili. Una persona che oggi consideriamo defunta, potrebbe un domani non esserlo, se ci accordiamo a livello di umanità nel riconoscere la reincarnazione, l’ipnosi regressiva e una innovazione ulteriore: la riunione degli io trasmigrati in altri cd. regni dell’aldilà (che altro non sono che 5lc alternativi al nostro, applicabili agli ex-esseri umani ormai defunti, i quali in tali 5lc possono ricevere un nuovo corpo o scoprirne uno già disponibile in vita) nell’io attualmente vivente nel nostro 5lc. Penso che ogni nostra precedente incarnazione non corrisponda esattamente al nostro io, ma sia una versione ben diversificata (anche se dotata di una base comune) rispetto al nostro io attualmente vivente. Quindi recuperare le mie vite precedenti significherebbe accogliere altri io, viventi in altri modi rispetto al mio io attualmente vivente, nel mio stesso corpo attuale. Una coabitazione integralmente corrispondente, con molta probabilità, a quella che oggi viene chiamata schizofrenìa, anche se (auspicabilmente) con una intesa forte alla base tra i miei io di varie vite passate con l’io attualmente vivente. In questo modo gli io di vite passate non solo sarebbero ancora esistenti, ma tornerebbero viventi al modo in cui consideriamo attualmente il significato di vivente. Ecco solo un esempio (che secondo me rappresenterà però una delle colonne dell’uomo nuovo) di futuro che cambia il passato. Un’opzione ideologica similare alla mia, almeno sulla possibilità di “riportare indietro il tempo”, si trova espressa nella serie streaming prodotta da Netflix dal titolo C’era una volta, che se non erro è già arrivata alla settima stagione. Ma la domanda che si fa Targ a pag. 84 di Limitless mind sembra proprio ipotizzare ciò che noi stessi stiamo ipotizzando (anche se secondo Targ una simile possibilità sarebbe un semplice influsso sul passato!): “Possiamo inviare pensieri di guarigione nel passato di qualcuno”, si chiede Targ, “per aiutarlo ad essere meno malato di quanto sia attualmente?”. Anche questo, secondo noi, è un esempio di futuro che cambia il passato, in quanto si ipotizza di poter cambiare l’interpretazione che definisce il passato nel futuro. E’ stimolante che sia ipotizzato (e ritenuto attendibile o quasi da Targ), ad esempio, che la diagnosi precoce della malattia blocchi il soggetto nella condizione della malattia stessa, mentre una cura retroattiva di tipo PSI, erogata da un guaritore che spedisca al momento giusto le informazioni occorrenti nel passato del suo paziente, possa innescare la guarigione precoce. Ho sentito anche parlare di guarigioni spontanee da tumori maligni, avvenute senza che la persona ne abbia una minima consapevolezza: ma non ho ancora cercato conferme a questa ipotesi, che tuttavia è perfettamente conferente con le teorie espresse in questi saggi, oltre che con la teoria del Dr. Hamer e quella di Louise Hay.

L’auto-guarigione, come anche la guarigione a distanza di altre persone, si basa sul funzionamento stesso che abbiamo chiamato “formazione della coscienza” nel relativo capitolo. Un pda inattivato si collega ad un pda attivato grazie ad un collegamento ASg-ASg (che dirotta su un pda-dist che può essere già il pda attivato in parola oppure agganciare il pda inattivato a quest’ultimo): questa è la base per la formazione della coscienza. Si parla di coscienza vera e propria, quando tale schema si collega, grazie ad un ulteriore collegamento ASg alla scintilla della coscienza (il cui schema analogico, comprendente l’ASg stesso, è “ASg-EAio”, dove EAio è un elemento analogico concreto – la percezione desiderata - che esprime ineffabilmente l’io. Siamo noi uomini che abbiamo imparato a chiamarlo con il nome di io, anche se è ineffabile puro). Per la precisione possiamo dire che lo schema completo della coscienza è una nube di schemi configurazionali, contemplanti un collegamento ASg-ASg tra un pda inattivato ed un pda-dist, che spontaneamente si costituisce per collegare ad un pda già attivato (o che è il pda attivato stesso), che a sua volta si collega alla scintilla della coscienza sopra descritta. Se il pda inattivato fa parte dell’organismo del guaritore, si può

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parlare di autoguarigione (purché il risultato tecnico che desidera la coscienza sia ipoteticamente costruito572 come di tale tipo), se fa parte di un altro organismo, si può parlare - alle stesse condizioni - di guarigione altrui (a distanza).

Riguardo poi all’esempio estremo di futuro che cambia il passato, proposto da Targ, occorre fare chiarezza. “This paradox - dice Targ - is illustrated by the well-known thought experiment in which a man psychically kills his grandmother in the past, when she was a child, thereby preventing himself from ever coming into existence”. Ma come si potrebbe registrare una simile interrelazione tra futuro e passato, se il suo modo di manifestarsi fosse così potente da “preven[ire] qualcuno dal venire all’esistenza”? Ciò a cui si riferisce quest’esempio altro non è che la telepatia diffusa di cui parlavamo poco fa’, ma in una versione decisamente crudele nei confronti degli organismi autocoscienti. Essi verrebbero infatti distrutti nel modo più radicale, non importa a quale cosa ciò potesse ricollegarsi. Non neghiamo che “in astratto” questa rappresenti una eventualità, ma ne neghiamo l’occorrenza per la forza della relazione dell’uomo e dell’essere supremo. Ne abbiamo parlato ne La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà. Ma per negare surrettiziamente l’unicità dell’essere, Targ non esita ad adoperare la visione più triviale possibile dell’essere, quella della guerra di ogni momento cronologico futuro contro ogni momento cronologico passato, con il possibile esito della distruzione di quest’ultimo. E perché adopera questa argomento? Per negare che il futuro (che egli stesso ammette poter influire sul passato) possa cambiare in modo radicale quest’ultimo. Distingue quindi tra semplice influsso e cambiamento radicale. È ovvio che però non si possa né istituire un confine oggettivo tra le due categorie, né attribuire loro alcun elemento differenziale che non sia, nel secondo caso, un potere schiacciante dell’essere supremo accompagnato da una spietatezza ancor più schiacciante. Quindi la distinzione si auto-confuta nel suo stesso contesto logico di riferimento.

La guarigione, secondo le teorie osservazionali presentate da Targ, potrebbe anche avvenire influendo sul passato dell’organismo del malato, grazie ad un apposito flusso informativo infuso grazie alle attività PSI. Ciò può avvenire, nella teoria configurazionale, grazie alla particolare sequenza del pda e al suo funzionamento, che in caso di pda-dist che vada a intercettarlo in corrispondenza di un elemento a monte, perde l’intera informazione a valle (anche se non istantaneamente) grazie allo sfrangiamento. L’intero sub-pda a valle, infatti, ormai privato della “gemma apicale” non ha più il finalismo per potersi sostenere: entra quindi nella fase di progressivo sfrangiamento e, con buona probabilità, viene sostituito dagli elementi del nuovo sub-pda a valle, che va a drenarlo un pezzo alla volta. Ecco così spiegato il percorso di guarigione operato grazie ad un flusso informativo che va ad incidere sul cd. passato: non è in realtà su un passato cronologico che si va ad incidere, ma sul sub-pda a valle di un certo elemento analogico che viene agganciato da un pda-dist, formato per sostituire buona parte degli elementi a valle del sub-pda in parola. Il fatto che occorra intercettare il pda in corrispondenza di un punto in cui la malattia non è ancora troppo sviluppata, ma in fase del tutto germinale, conferma la nostra costruzione della fattispecie. Infatti quando la malattia è troppo sviluppata, essa è composta da molti pda tra loro incrociati: come sostituirli tutti, a quel punto? Quanti pda-dist occorrono? Quanto potente deve essere il finalismo e l’intelligenza strutturale di ciascuno di questi pda? Se invece si coglie la malattia in un punto ben arretrato del suo sorgere, ogni pda incrociato a valle con il pda di riferimento mancherà di alcune configurazioni essenziali per l’onda formaturale dei suoi elementi e delle sue stesse configurazioni, che subiranno un rapido sfrangiamento. Ecco come si possono spiegare anche guarigioni praticamente istantanee e prodigiose! Il venir meno dei confini intuitivi delle configurazioni dipendenti dall’elemento a monte, fa venir meno per effetto domino gli elementi e le configurazioni a valle.

L’idea di coordinamento tra elementi analogici che emerge da quanto sopra è senz’altro più credibile, rispetto alla spiegazione che Targ propone in base alla scienza fisica sdoganata in ambito relativistico e quantistico, secondo cui “viv[remmo] in una ragnatela di spazio e tempo, in cui sia il futuro che il passato trascinano il presente”. Noi siamo riusciti ad abolire le distinzioni strutturali tra presente, futuro e passato

572 Come sarà spiegato nella nostra Teoria dell’osservatore, attualmente in fase di redazione, e già spiegato in parte ne Il testo-ricerca, ogni affermazione scientifica è una costruzione di un linguaggio non trasmutato, che richiede la verifica del feed-back dell’elemento grafèico (o ineffabile) puro. Una volta ottenuto tale feed-back, qualunque logica sottesa all’affermazione viene acquisita come valida.240

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cronologico, rendendole strettamente dipendenti dal 5lc573, cioè dalle categorie dei nostri linguaggi trasmutati574. Esiste quindi un solo presente, con varie configurazioni alternativamente trasmutate dalle nostre categorie di riferimento. La progressiva trasmutazione di specifici percorsi di autocoscienza ci fa cogliere, in loro specifici sub-pda, la caratteristica del presente o del passato o del futuro cronologico, ma pur sempre ai fini di un’illusione di fondo che può ben essere superata dall’interprete.

Quanto alla guarigione a distanza nel tempo, Targ chiosa con queste parole: “Non sappiamo ancora quale tipo di fisiologia sia più suscettibile a[l] trattamento [di pre-guarigione], o fino a che punto il guaritore può spingersi nel passato; queste sono domande eccitanti a cui resta da rispondere”. Noi sappiamo, forti della teoria delle configurazioni analogiche, che molto di questa risposta dipende dal nostro impegno evolutivo, nell’impostare le strade che sorgono nell’accordo del nostro finalismo con le istanze dell’essere supremo; ma dipende anche da quelle sfumature dell’accordo costitutivo sull’essere che sono già in vigore, grazie all’impegno di chi (in un certo senso cronologico ma non più oggettivo) ci ha preceduto.

La visione associativa da remoto, di cui Targ ci parla in riferimento al suo tentativo (condotto insieme ad una vera e propria squadra imprenditoriale-epistemologica) di effettuare previsioni in campo finanziario, ha una certa tendenza al successo che poi si trasforma in tendenza all’insuccesso. Vi è, cioè, una prima fase, in cui la visione da remoto permette un’effettiva capacità “previsionale”, e una seconda fase, in cui la capacità “previsionale” non si esplica. Traducendo queste due tendenze in termini di teoria delle configurazioni analogiche (tca), si ottiene la seguente semplice e chiara spiegazione: finché vi è un finalismo abbastanza potente e strutturato a sorreggere il tentativo di visione da remoto, il successo è assicurato da un vasto impegno del msf575; quando il finalismo sfuma o perde in definizione strutturale, il msf non riesce più ad innescarsi. Nella seconda fase, quindi, residuano i soli mii576 e mpm577, che non sono sufficienti a muovere i pda interessati verso la effettiva trasmutazione della configurazione-target.

Le basi su cui si costruisce lo psi, come l’intera conoscenza umana, sono dunque il finalismo e l’accordo costitutivo sull’essere. Targ riferisce (come vedremo meglio tra breve) che una serie di esperimenti psi condotti dalle stesse persone nell’arco di decenni ha diminuito il suo tasso di successo: la nostra spiegazione è appunto che sia scaduto il finalismo, nonché sia diventato più difficile rinnovare l’accordo suddetto. In particolare, per mantenere vivo l’uomo, occorre farne evolvere gli schemi epistemologici: in tal modo, l’accordo con l’essere viene nuovamente sancito e rinforzato. È come un’amicizia, che o cresce o diminuisce rapidamente. Nella serie di esperimenti realizzati a Princeton da R. Jahn e B. Dunne, la perdita di efficacia verificatasi negli anni sarebbe sintomo, secondo Targ, di una progressiva attenzione ai punteggi e agli schemi analitici. Penso invece che il problema fossero proprio negli schemi analitici poco innovativi, incapaci di mantenere vivo l’accordo e il finalismo. In mancanza di un approccio teorico abbastanza preciso e in crescita, l’organismo umano (con le sue facoltà, anche ESP) è destinato al tramonto. Dallo studio delle teorie esposte nei miei saggi dovreste acquisire una padronanza inimmaginabile, e in progressiva crescita, del vostro corpo come delle situazioni di vita e dei destini in cui siete inseriti. Da uno spunto filosofico ne nasce continuamente uno nuovo, e così via, finché vivere diventa una forma di amore passionale, che si accende frequentemente ed in modo inatteso, come anche nei momenti regolari di meditazione. Ecco l’alba, la primavera dell’uomo nuovo. Targ ammette che il declino non è una necessità, ma è collegato a precise scelte e tendenze nell’approccio conoscitivo. Riferito al tasso decrescente di successo degli esperimenti di Princeton, Egli afferma che “non vi è stato un tale declino nel database SRI578, ancora più voluminoso, che si estende nello stesso periodo di tempo”.

Targ ci riferisce anche (Limitless mind…, pp. 94-96) di esperimenti a doppio cieco sui sogni premonitori, tenuti da altra equipe, in cui grazie a due serie da otto sogni sono riusciti ad ottenere un sogno che descrivesse effettivamente l’attività (meramente casuale) che il sognatore avrebbe compiuto il giorno dopo. 573 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.574 Vd. il capitolo sullo sfrangiamento, in cui si tratta anche della trasmutazione dei linguaggi.575 Msf = metodo delle spire di fumo. Vd. il capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni (analogiche) remote.576 Mii = metodo delle innervazioni intrecciate. Vd. il capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni (analogiche) remote.577 Mpm = metodo del ponte mistico. Vd. il capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni (analogiche) remote.578 SRI = Stanford Research Institute.241

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L’idea di poter controllare, anche solo in piccola misura, i propri sogni nella fase REM non mi aveva mai sfiorato. Comprendo che in tale esperimento ciò che è stato decisivo sia stata la volontà del sognatore di sognare proprio l’attività del giorno dopo, ma che il suo desiderio non si è realizzato al primo tentativo, per la necessità di accordarsi con l’essere. Tale accordo involge una molteplicità di configurazioni analogiche, che devono essere possedute dal veggente, prima che possa raggiungersi la percezione desiderata. E’ il lavorìo, svolto dal veggente, per l’individuazione (più o meno conscia) di queste configurazioni e per la loro acquisizione a livello sia paradigmatico che concreto, che fa la differenza tra l’esperimento ESP (o di altro tipo) che funziona e quello che non funziona.

La capacità di precognizione conferma che esistano configurazioni capaci di guidare, in forma di destino, i pda (percorsi di autocoscienza) dell’osservatore-uomo, come di ogni altro corpo. Nei corpi viventi, ed eminentemente in quelli autocoscienti, l’aggancio a tali configurazioni comporta una radicale possibilità di precognizione. La precognizione, se sviluppata, diventa una forma di vita più evoluta della vita non precognitiva. L’uomo ha la concreta possibilità di settare la propria vita quotidiana sulle configurazioni precognitive, evitandosi traumi fisici, malattie e scossoni interiori, nonché destini nefasti, al contrario riconoscendo meglio e promuovendo i momenti autentici d’ispirazione. Quelle che chiamo configurazioni precognitive non sono veramente funzionali alla precognizione di qualcosa di futuro in senso cronologico, come più volte chiarito. Non esiste, infatti, il futuro cronologico. Si tratta invece di configurazioni funzionali alla performazione dei pda-dist, che permetteranno il confezionamento (nel progredire del pda-target) di configurazioni sempre più simili a quelle che si trovano nel nostro 5lc579. Il pda-dist, pertanto, viene fatto passare dalle configurazioni cd. precognitive, che lo arricchiscono di quegli elementi che, agganciando gli elementi della configurazione-target, ne altereranno l’onda formaturale al punto da permettere il confezionamento di una nuova configurazione-target, più simile alle configurazioni cui siamo abituati nel 5lc. Essa avrà così acquisito, nel proprio paradigma (e nel paradigma delle configurazioni collegate, grazie ad incroci di pda, ai suoi elementi), le categorie tipiche dei collettori cui siamo più affezionati: spazio euclideo, tempo cronologico, principi della logica aristotelica, collettori sociali più frequenti (es. libertà universale, responsabilità, dirtto-dovere, obbligo, diritto soggettivo, ecc…). Nulla ci può garantire al 100% che la configurazione-target, così opportunamente trasformata, sia davvero confermata dalla configurazione-target “definitiva” (cioè da quella configurazione-target che sperimentiamo come entrata più pienamente nel 5lc, in quanto dotata davvero di molti più collettori che ci aspettiamo di trovare nella realtà). C’è anche da dire che, nel valutare e nello stesso individuare la configurazione-target “definitiva”, l’uomo-osservatore commette numerosissimi errori. Tali errori sono semplicemente instabilità dei pda-dist, che stanno cercando di performare in modo poco potente (nel senso energetico che chiarisco nel capitolo relativo all’energia) la configurazione-target. E’ quindi una constatazione radicale che la realtà oggettiva non esiste, in quanto ci sono moltissime varietà di configurazione-target “definitiva” che si possono raggiungere, in ogni singola situazione, da parte di ogni singolo osservatore-uomo. Il 5lc è la risposta evolutiva della vita biologica autocosciente al problema di questa instabilità nella performazione dei pda-dist. Grazie al 5lc, infatti, la carenza di oggettività può essere ridotta in modo abbastanza massiccio. Per questo non va demonizzato il pensiero riduzionista, che ci permette di accordarci tra noi su questioni di sopravvivenza e di benessere spicciolo. Tuttavia il pensiero riduzionista deve fare un enorme passo indietro, quando si parla di futuro ed evoluzione dell’umanità, non avendo le premesse epistemologiche per farci fare un solo passo avanti degno di tale nome (qualunque siano le acquisizioni del progresso tecnologico, che ne rappresenta la deriva).

Nel capitolo “Back to the future” di Limitless mind Targ si chiede se il veggente riesca a vedere il futuro attuale o il futuro probabile. È evidente che secondo la tca580 una simile alternativa sia mal posta. A nostro avviso, chi si pone tale domanda è ancora troppo avvinto dal 5lc581. Ma quale domanda alternativa proponiamo? La nostra domanda è: “fino a che punto il cd. passato è immutabile?”. Il futuro infatti altro non è che un passato potenziale. La caratteristica del passato è di essere un’area della rete analogica già entrata a far parte del 4lp582 (attivato dal 5lc). Il 5lc assicura al 4lp una tendenziale oggettività, che rende difficile contestarlo. Ma tale oggettività non è del tutto incontestabile, proprio in quanto il 5lc che lo fonda

579 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.580 Tca = teoria delle configurazioni analogiche.581 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.242

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non lo è. Cosa può dettare un confine tra ciò che, nel 4lp, rimane concretamente incontestato e ciò che invece viene reinterpretato? Perché se leggo il certificato di morte di Tizio, dovrei escludere di vederlo l’indomani a passeggiata sui lungarni? È più incontestabile che mio nonno Ferdinando, deceduto da dieci anni, non stia camminando in questo momento in casa di mia nonna? Ha senso fare delle graduatorie tra eventi impossibili (o altamente improbabili)? Se un domani ci evolveremo in esseri spirituali, le graduatorie attuali sarebbero non solo gettate al vento, ma lo stesso 5lc di allora sarebbe incompatibile con il 5lc attuale (forse smetterebbe persino di essere configurabile un 5lc!). Se qualcuno mi contestasse, a questo punto, un eccesso di pionierismo, potrei contestargli a mia volta un eccesso di evoluzione, auspicando che il mio punto di vista smetta di essere comprensibile alla stregua dell’attuale 5lc, e così via fino a tornare all’intelletto di una nocciolina! D’altronde per alcuni il riduzionismo è sicuramente la prima causa di mortalità, per un’infinità di ragioni, non ultimo il fatto che impedisce loro di superare il principio causalistico. La vera questione che attrae la nostra capacità evolutiva è questa domanda: su cosa ci vogliamo accordare, nel cambiamento del 5lc, con l’essere? È da questa domanda che sorge la coscienza di un nuovo futuro, che è anche passato e presente, non cronologico ma (passatemi, vi prego, il termine) megagalattico583!

A difesa del punto di vista di Targ, si può comunque notare che egli dichiara di recepire dalla sapienza vedica l’idea che “la coscienza precede ed è indipendente dalla vita come noi la conosciamo” (Limitless mind, pag. 101). Il rischio in questo approccio è considerare la coscienza come qualcosa di assoluto, che come tale, per uno scienziato, debba essere verificato con una prova rinforzata. L’autore, per l’appunto, non manca di condividerci una pagina importante della scienza PSi, in cui Myers dubita della oggettività del collegamento medianico con i cari defunti. Come essere sicuri, infatti, che grazie al medium riusciamo a collegarci proprio alla coscienza di una persona non più vivente? Non può forse il medium, adoperando le proprie capacità psichiche, arrivare a conoscere informazioni che fisicamente gli sarebbero precluse, dando (anche a se stesso) la mera impressione di star comunicando con la vera anima del defunto? Prima di vedere come Myers risolve il problema, dobbiamo capire cosa ci aspettiamo dalla soluzione al problema stesso, alla luce della tca e delle teorie alla stessa collegate. Ciò che conta è, da un lato, ciò che convince l’uomo, dall’altro lato ciò che raggiunge l’accordo con l’essere (supremo). La sopravvivenza dell’anima alla morte non necessita di una prova assoluta: nemmeno può trattarsi di una sopravvivenza assoluta, ma semmai relazionale e quindi relativa ad un certo flusso informativo. Nello studio delle configurazioni analogiche che abbiamo condotto finora, appare come la migliore opzione non soffermarsi più di tanto sulla nostra esigenza di punti di riferimento certi già dati (via del non-essere), ma muoversi per trovare ciò che può convincere il nostro io, sia a livello individuale, che a livello comunitario, che infine a livello collettivo. Una volta trovati gli argomenti che potrebbero convincerci della sopravvivenza dell’anima, occorre verificarli. Quest’attività di verifica suggella l’accordo con l’essere: non si tratta di un’attività neutra, ma verificando qualcosa si arriva a comprenderlo e definirlo nel modo più completo. Vediamo ora quale tipo di certezza ci propone Meyers di acquisire, sul tema della sopravvivenza dell’anima e sulla sua capacità e modalità di comunicazione con i vivi. Egli impostò un esperimento con quattro medium famosi, che operavano in quattro luoghi tra loro ben distanti, programmando di mandare a ciascuno di loro, dopo la propria morte, un frammento d’immagine, tale per cui l’immagine stessa sarebbe stata riconoscibile solo grazie alla riunione dei quattro frammenti. Questo tipo di esperimento (che credo sia riuscito, altrimenti non ne staremmo parlando) permette di evitare un coinvolgimento del finalismo di uno solo dei quattro medium, nel raggiungimento e nella performazione di un elemento di senso compiuto (alla stregua del 5lc584) nella configurazione-target. Ogni medium, insomma, pur raggiungendo (nella migliore delle ipotesi) un elemento della configurazione-target già performata, non raggiunge un elemento tendenzialmente

582 4lp = quarto livello (configurazionale) potenziato. Vd. il capitolo relativo ai livelli configurazionali, nella parte relativa al quinto livello confinato (5lc).583 Ammetto senza remore che, in alcuni passaggi di quest’opera, come in questo capoverso, ho un po’ alzato il gomito. A volte per snellire certi argomenti, che richiederebbero paginate di spiegazioni teoriche, è meglio aiutarsi a fare sintesi. D’altronde il lettore, grazie ai riferimenti interni all’opera stessa, può acclarare il significato preciso di ciò che intendevo esprimere, apprendendo nozioni sui livelli configurazionali e sulla cristallizzazione dei CS di cui – sono convinto - ha strettamente necessità per evolversi nel modo più spedito e sicuro.584 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.243

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“oggettivo”, ma un elemento ancora non interpretabile con le categorie logiche recepite dal 5lc. Solo collegando tra loro i quattro elementi analogici risultanti dall’esperimento si può raggiungere un elemento della configurazione-target interpretabile con il 5lc (in questo caso, un’immagine tratta da una pièce teatrale o da una poesia dell’antichità classica greca o romana, di cui Meyers era cultore). Si tratta di una prova abbastanza circostanziata: essa, infatti, richiede non solo che i quattro medium ignorassero l’uno l’identità dell’altro, per non accordarsi, ma anche che non si siano accordati “psichicamente” in qualche modo, infine che le categorie rilevanti del 5lc (che vengono adoperate per inquadrare l’elemento risultante, nonché i quattro elementi-frammento) non siano cambiate fino ai giorni nostri. In complesso, l’esperimento sembra ancora ad oggi molto convincente, purché si verifichino i contegni “fisici” tenuti dai quattro medium. Sotto quest’ultimo profilo, purtroppo, il passaggio del tempo non si volge a nostro vantaggio (il decesso di Myers è avvenuto nel 1901). Ciò non toglie che in ogni epoca un simile esperimento può essere ripetuto abbastanza agevolmente. Vi sono profili ulteriori da indagare, però, prima di sdoganarlo. Sappiamo che il tempo cronologico non esiste, ma soltanto è un modo di funzionamento del nostro 5lc. Non possiamo quindi essere per niente certi che altri esseri, oltre gli umani, non abbiano acquisito potenti tecniche d’indagine e di telepatia, tali da poter plasmare in noi immagini frammentarie e ricomporle, solo per poterci manipolare. Tuttavia se esistessero simili entità, non sarebbero proprio queste a convincerci che la sopravvivenza della coscienza alla morte è la regola, non l’eccezione? Ma il problema che sorge ulteriormente è non meno drammatico del primo (che magari abbiamo ormai risolto in modo abbastanza soddisfacente): come si fa a stabilire se una singola anima, appartenente ad un defunto, sia sopravvissuta alla morte? E inoltre, come si fa a stabilire se il contatto, acquisito con un’entità non fisica, corrisponda precisamente a tale anima? Con quali modalità si devono valutare le informazioni che riteniamo provenirci da tale anima? Infine, quanto possiamo entrare in sintonia e capirci con un’anima di un defunto? C’è infatti un abisso di diversità che ci separa da tale anima, che potrebbe essere colmato in modi per noi inaccettabili, o al contrario inaccettabili per l’anima del defunto. La ritrosia della nostra società, che si affatica ancora dietro ai paradigmi del riduzionismo, c’impedisce di dare risposte abbastanza evolutive a queste domande, che rimangono inevase. Cosa può comportare un simile ritardo evolutivo? Perderemo il contatto con molte anime care? O riusciremo a recuperarlo in modo che per il nostro 5lc del “futuro” sarà accettabile? Come incideremo sul 5lc del “futuro”, affinché non dobbiamo guardarci indietro e dire: se ci avessero detto che avremmo avuto un simile approccio alle anime dei defunti, non avremmo mai accettato d’imbarcarci nell’evoluzione che ne è seguita!! Siamo come una carogna di animale che si dimena, fino a svegliarsi: ciò che si configurerà dal risveglio in poi è già qui che si dibatte in noi, ma non lo riconosciamo ancora.

Seguendo il percorso proposto da Targ, mi appresto adesso ad analizzare la diagnosi a distanza. Il caso più famoso di veggente in grado di praticarla – riferisce l’autore – è quello di Edgar Cayce (morto nel 1943). Cayce avrebbe ritenuto che “il suo sé in trance fosse un canale di coscienza più alta” (Limitless mind, pag. 107). Inoltre, una constatazione accolta da tutti i veggenti di questo settore con cui Targ ha avuto uno scambio, sarebbe qualla dell’utilità di conoscere i nomi dei sistemi e degli organi dell’organismo umano. Non vi sarebbe alcun problema di “rumore mentale”, anzi la conoscenza di tali nomenclature non sarebbe altro che un valido aiuto per entrare in risonanza con il corpo, o qualcosa di simile. La considerazione che emerge da tali primi contributi di Targ in materia è che si conferma il nodo dell’accordo, che si stabilisce su una base che abbiamo chiamato “traccia”, intendendo riferirci in via più eminente (e comunque integrativa di ogni altra traccia) alla traccia scritturistica. Qualunque arte psichica, cioè qualunque tecnica dell’uomo nuovo, s’imprime nella forma di accordo tra il figlio dell’uomo (o interprete-uomo) e l’essere585 sulla base della traccia scritturistica (o testo-ricerca586). L’umanità è quindi in grado di arrivare ad una profondità percettiva, intuitiva e intellettiva tale che “uno iota o un apice” gli risuona come un oceano di significato. Riguardo all’accordo, che è indispensabile per evolvere le proprie tecniche psichiche, la scrittura ci dice: “Se però vi comportate in modo parziale, producete errore587, confutati588 dalla legge589 come trasgressori590”. La “parzialità”, cioè l’atteggiamento conoscitivo superficiale, ancora privo di accordo con l’essere supremo,

585 Per comprendere il significato della parola “essere” nelle mie opere, vd. i saggi La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà e Analogia singolare.586 Vd. il saggio Il testo-ricerca, già scaricabile su www.bridge4will.net ma ancora in via di redazione.587 L’amartìa, in greco, è l’errore di mira.244

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in quanto limitato ad una preconoscenza fondata sulla percezione immediata (pròsopon591), è una fase indispensabile, da sfruttare come una scala grazie alla verifica. Ma chi si aggrappasse strenuamente all’errore, rifiutando di farvi leva, non può arrivare a possedere la “legge” scientifica nella sua ineffabilità, cioè nel suo movimento inafferrabile. Rimane così indietro, confutato dalla conoscenza in movimento. La legge deve dunque diventare tecnica umana, per scontrarsi ancora una volta con la legge naturale che vuole ri-sommergerla, al fine di arrivare ad un accordo tra legge e tecnica che sia una legge ineffabile, in continuo movimento592. L’accordo tra uomo ed essere diventa così la direzione evolutiva della realtà e delle sue leggi. Chi non si sofferma nella verifica delle anomalie percettive, che vorrebbero condurlo nel cammino di ricerca, non è ammesso all’accordo costitutivo sull’essere (e quindi non può nemmeno evolversi nelle sue facoltà psichiche). Se invece l’uomo si lascia istruire dall’errore, entra in una relazione speciale con l’essere: per questo ogni veggente ha facoltà diverse dall’altro, anche se in un certo senso dello stesso genere. Si tratta di un cammino conoscitivo comune all’intera realtà, in cui però ognuno ha il suo margine di trattativa, a secondo del modo in cui riesce a convincere l’essere che è disponibile alla verifica e quindi all’evoluzione conoscitiva. La risposta dell’essere alla proposta dell’uomo è rappresentata dalle specifiche facoltà psichiche dell’osservatore. Si può quindi parlare anche di “più alto canale di coscienza”: anzi, la menzione della coscienza è ben azzeccata; l’idea di un canale di trasmissione è comunque adeguata, almeno ad una parte della questione. La questione conoscitiva è infatti anche questione di trasmissione telepatica diffusa d’informazioni dall’essere supremo all’uomo, anche se non si deve pensarlo come una trasmissione di onde radio da un trasmittente ad un ricevente, poiché nel caso del rapporto tra uomo ed essere, l’uomo è l’onda radio e anche l’essere è l’onda radio, ma ciascuno come componente specifica dell’onda stessa. L’essere è quella forma di coerenza del messaggio, insito nell’onda, che fa considerare il messaggio come trasmutato e quindi irriconoscibile nel suo significato più profondo; l’uomo è invece l’interprete (o il non interprete) di questo messaggio, che deve ipotizzare il suo significato non trasmutato e poi ottenerne (o meno) un feed-back positivo, che va a spostare l’onda verso una trasmutazione diversa, trasformata dalla sua stessa interpretazione. La circolarità di quest’operazione dà la cifra della complessità che passiamo felicemente sotto il nome di coscienza (in greco psuché). E’ vero che ci possono essere notevoli discrepanze tra il termine coscienza e quello di psiche: ogni lingua ha il suo range di significato della parola, tra cui si deve scegliere. Adopero il termine coscienza per comodità e perché comunque rimanda all’idea di consapevolezza, ma il termine psiche è sicuramente migliore (nel suo significato di soffio, che ho spiegato

588 La parola elenchòmenoi significa, in primo luogo, “disprezzati”, per poi acquisire nel linguaggio giuridico il significato di “controinterrogati, confutati”. A livello etimologico, invece, potrebbe provenire dall’idea di “rimpicciolire, ribassare”. Con le chiavi interpretative esposte ne Il testo-ricerca, noto che questo periodo scritturistico passa dall’oggettualizzazione dell’errore (amartìan) - consistente nel non raggiungere la configurazione-target o nel non riuscire a trasmutarne il linguaggio con un pda-dist correttamente performato -, oggettualizzazione che viene completata grazie al pluralismo della produzione tecnica che, proprio grazie al focus sull’errore, diventa possibile. Da tale pluralismo produttivo (che ci conduce verso la deriva tecnologica) al pluralismo della verifica scientifica, che va a scalzare ogni certezza provvisoria a vantaggio dell’ineffabilità della legge intesa come accordo con l’essere supremo (upò tu nòmu).589 Il nòmos è la legge consuetudinaria, ma anche quella di opportunità. Le città-stato greche avevano infatti una ripartizione della ricchezza, in una società pastorale e agraria, che seguiva la consuetudine; ma per potenziare la città stessa, si poteva sostituire la legge consuetudinaria con una legata allo sfruttamento di nuove opportunità che si ponevano alla portata della città. Il nòmos è quindi, in senso scritturistico, la legge scientifica che emerge dal modo di pensare umano, opportunamente evoluto per cogliere nuove possibilità conoscitive. Tale legge, così inafferrabile nel suo movimento ineffabile, è continuamente attiva nel controinterrogare l’uomo e farlo evolvere, seppellendo l’errore su cui ci si è arrampicati come su una scala.590 Alla lettera: “coloro che vanno vicino (cioè che sbagliano mira nello spostarsi da un luogo ad un altro)”. La parola greca bàino significa “camminare, muoversi”: la sua etimologia è quella di “venire”, ma anche di “nascere”. Una parola derivata è bathmòs = gradino, piolo (che ci dà l’idea del movimento ordinato su una scala).591 Vuol dire “viso” o “faccia”, nel senso etimologico di “ciò che viene grardato di fronte ed in modo immediato, senza riflessione su ciò che si vede”.592 Questo movimento di coordinamento di più campi concentrici della realtà (stati psichici disordinati leggi naturali tecnica umana o non costitutiva leggi naturali sulla tecnica umana tecnica costitutiva o accordo costitutivo sull’essere) viene spiegato nella nostra teoria dell’interprete della traccia scritturistica o dell’osservatore, nel saggio di futura redazione Teoria dell’osservatore.245

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nell’articolo Dogma o “sacra” scrittura nella coscienza del credente, disponibile sul sito www.bridge4will.net). Anche l’idea di “canale” di trasmissione proposta da Cayce è buona, purché s’intenda come un canale in continuo aggiustamento della frequenza: l’ineffabilità del movimento di aggiustamento della frequenza tra l’interprete-uomo e le sue tre o quattro facoltà conoscitive coinvolte è ben spiegato in Analogia singolare e in questo saggio, all’interno dei capitoli sugli assoluti e sul collegamento ASg di ASg e ASs. Se si depurano dall’idea di universalità, probabilmente i “registri akashici” sono ciò di cui stiamo parlando con i termini di accordo e di traccia scritturistica, visti nel loro discendere fino a giustificare e popolare l’intero non-essere del tempo cronologico. L’ulteriore idea di “più alta percezione di senso”, coniata da Cayce, esprime in modo adeguatissimo l’accordo che s’instaura tra la funzione percettiva e quella intellettiva, passando in varie maniere (mii, mpm e msf593) da quella intuitiva. Anche l’idea di “approccio olistico” alla salute e alla malattia, cui accenna Targ in riferimento al contributo di Cayce, appare spiegabile in modo più preciso grazie all’accordo costitutivo sull’essere e all’incontro tra interprete e traccia scritturistica. L’integralità dell’approccio conoscitivo non esclude, anzi esalta la complessità del pluralismo, immettendolo nella circolarità dell’accordo dell’onda-uomo con se stessa (cioè con il sé archetipico o essere supremo).

D’altro canto, espressioni come “esperienza o percezione diretta dell’energia del corpo”, nel contesto della diagnosi a distanza, va correttamente intesa nell’ambito della teoria dell’osservatore della realtà. Secondo questa nostra teoria ci sono più livelli di campo tra loro concentrici: se mi trovo sul livello più esterno, attraggo e quindi coordino gli elementi del livello di campo sottostante. Così per esempio la tecnica attrae e comprime, coordinandola, la cd. natura, in quanto la tecnica (non costitutiva) è un campo sovraordinato rispetto alla natura (anche se vi è un campo di natura che a sua volta attrae e coordina la tecnica non costitutiva). Nella tca, tale coordinamento si esprime nello schema del pda (percorso di autocoscienza), che è composto da elementi analogici collegati tra loro in una serie ordinata, caratterizzata dalla cadenza dei salti paradigmatici e che ha un verso di scorrimento (da monte a valle), anche se tale scorrimento non è cronologico, bensì (potremmo dire) “informazionale”: gli elementi intuitivi sono cioè collegati con gli elementi dello stesso tipo che si collocano a monte, gli elementi logico-strutturali con gli elementi del loro stesso tipo che si collocano a valle. La percezione energetica, come anche sopra abbiamo precisato, è resa possibile dai collegamenti ASg di ASg, che uniscono gli fsc del singolo elemento analogico a varie configurazioni, senza che si possa verificare quali siano con i pdac. Tuttavia le configurazioni attraversate da tali collegamenti, pur rimanendo nascoste, vengono attivate in un modo ineffabile che si può percepire nei pda che le attraversano in chiaro (cioè direttamente con lo schema del pda, senza adoperare collegamenti ASg di ASg). La domanda che a questo punto sorge è: come si può far leva su tali percezioni di attivazione delle configurazioni nascoste? Grazie alla percezione stessa. La percezione, infatti, non solo muove i collegamenti ASg di ASg, ma li muove per il finalismo dell’osservatore, se tale finalismo riesce ad agganciare la precisa percezione delle configurazioni nascoste (con il msf). Il msf è infatti il metodo del volontarismo che permette di costituire un vortice di configurazioni analogiche, entro il quale ci si muove rapidamente da una configurazione a quella adiacente fino ad arrivare a configurazioni remote. Ma come si fa a raggiungere una simile velocità di movimento configurazionale, quale si realizza nell’auto- guarigione o nella guarigione a distanza? Per comprenderlo occorre avere bene a mente quanto abbiamo già detto nei capitoli iniziali e in quelli relativi allo sfrangiamento, ai collegamenti ASg di ASg e all’onda formaturale. In primo luogo dobbiamo specificare quale sia la prima configurazione-target che viene raggiunta. Per farlo occorre prendere in considerazione lo schema-tipo del pda (percorso di autocoscienza). Immaginiamo che il finalismo della ricerca scocchi come scintilla grazie ad un elemento E1 del pda di riferimento. Tale elemento è fatto di sub-elementi fsc, i quali sono costituiti da un numero imprecisabile di collegamenti ASg di ASg, ciascuno dei quali porta ad una configurazione analogica nascosta (CAn). Una di tali CAn diventa la configurazione-target, anche se all’inizio, essendo nascosta, non c’è alcun modo d’individuarla. Tuttavia si può in qualche modo percepirla, poiché l’attivazione di tale configurazione comporta una deformazione delle onde formaturali di altri pda inattivi (ma non ancora sfrangiati), i cui elementi attraversano proprio la configurazione in parola. Tale deformazione costituisce quella che nel mii chiamiamo “seconda anomalia”, cioè l’anomalia logica su cui si deve fare presa per compiere il salto paradigmatico. Quindi l’uomo, con le parti inattive del proprio organismo, può in qualche modo presentire

593 Vd. il capitolo sui tre metodi di raggiungimento delle configurazioni remote.246

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la deformazione inconscia di un’onda formaturale e sentire che per lui è importante andare a dare una controllata. Per compiere tale controllo, l’uomo innesca una serie di pdac, per andare ad intercettare l’anomalia. Per intercettarla davvero, però, visto che essa è più discreta di un ago in un pagliaio, ha bisogno che i sub-elementi fsc dei suoi elementi analogici si colleghino proprio (per ASg di ASg) alla configurazione-target, in modo da rendere sempre più evidente (nell’onda formaturale in senso lato degli elementi della configurazione-target) l’anomalia, che inizierà a spostare sempre più onde formaturali anche appartenenti ad altri pda. Questa prima operazione è una forma di autotelepatia. Una volta che si siano individuati nel modo suddetto gli elementi della configurazione-target con i pdac, la serie dei pdac inizia a coniare un pda-dist (o più pda-dist) che riesca a portare i pdac precisamente negli elementi della configurazione-target. Una volta aggredita la configurazione-target con i pdac, occorre far sì che da quest’ultima si possa compiere un salto paradigmatico virtuale ad un’altra configurazione. Ciò è reso possibile da un secondo tipo di pda-dist (costituiti dai pdac di cui sopra), che aiuteranno i pdac che sono entrati nella configurazione-target a trovare l’anomalia e passare (coniandolo) ad un nuovo paradigma specifico. Un ulteriore tipo di pda-dist si occuperà di permettere di coniare il primo elemento concreto della nuova configurazione. A questo punto, grazie alle modificazioni introdotte negli elementi concreti della configurazione di arrivo e all’alterazione complessiva (e complessa) delle onde formaturali, l’interprete potrà far sì che la configurazione di arrivo diventi come un gradino su cui far leva per continuare a costruire il vortice del msf. Ma la formazione di questo gradino è possibile, in buona sostanza, solo grazie alla traccia scritturistica. Senza di questa non abbiamo la garanzia che si attivi rapidamente un altro elemento che, al pari dell’elemento E1, riesca ad alterare profondamente le onde formaturali dei percorsi inattivi, in risposta logicamente conferente ad un finalismo espresso dall’osservatore. Finora abbiamo visto tre tipi di pda-dist (quello che porta i pdac nella configurazione-target, quello che permette loro di formare il nuovo paradigma e quello, infine, che permette di configurare il primo elemento afc della configurazione di arrivo). Nella reiterazione del complesso di pdac e pda-dist visti sinora, si cerca di cambiare interi sistemi configurazionali “anomali” (cioè dotati delle seconde anomalie suddette). Quindi vi è una quarta categorizzazione dei pda-dist, di cui fanno parte quei pda-dist che (dopo aver trovato con i primi tre tipi l’anomalia) cercano di ampliare l’anomalia anche ad altre onde formaturali, alcuni dei cui elementi insistono sulla configurazione-target, selezionando quelle onde formaturali che possono espandersi ad altre configurazioni strategiche (per il finalismo dell’interprete-uomo) nel sistema configurazionale interessato. Infine un quinto tipo di pda-dist spinge i pdac a compiere un cambiamento complessivo (nel senso desiderato o non esecrato) del sistema configurazionale toccato dalle anomalie anzi dette. Questo’ultimo tipo di pda-dist è composto di tre sotto-tipi: uno che fa individuare l’anomalia ai pdac, un altro che individua il nuovo paradigma, l’ultimo che costruisce l’afc e fa entrare in collegamento con il primo elemento cs. Fra l’azione dei primi tre tipi di pda-dist e quella degli ultimi due si deve collocare l’individuazione di una traccia (meglio se scritturistica) che consenta di procedere con speditezza nella ricerca. Segue il grafico che descrive l’operazione ermeneutica appena descritta. Esso ci aiuta a tenere in considerazione le caratteristiche funzionali di ciascuna tipologia di pda-dist e quale sia il momento in cui individuare e introdurre la traccia.

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Nello schema grafico sopra riportato non abbiamo potuto disegnare le cinque tipologie di pda-dist, ma abbiamo segnato un solo pda-dist, rendendo conto del fatto che esso sorge anche grazie agli elementi dei pdac che lo evocano. I pdac, infatti, hanno il finalismo di costituire il pda-dist, che viene così ad esistenza grazie all’intervento di trasmissioni telepatiche che li vanno a collegare tra loro e con altri pda: il complesso di questi collegamenti prende la forma di un autonomo pda (che chiamiamo pda-dist). E’ chiaro (ma non graficizzato) che ci vogliono diversi pda-dist, per accompagnare le cinque fasi di sviluppo del vortice-msf. Per formare tali pda-dist ci vorranno anche più pdac e pda da questi intercettati.

Il primo passaggio di questo procedimento di creazione del vortice-msf richiede d’immettere alcuni elementi nel pda attivo. Tali elementi sono le domande che l’autore citato da Targ (in questo caso, Judith Orloff) propone al sensitivo di farsi. Tali domande costituiscono quello che ho graficizzato come elemento analogico EA1. In una delle configurazioni nascoste, che costituiscono uno degli fsc di tale elemento, si annida l’anomalia percettiva che deve essere rilevata. Non può essere rilevata direttamente, poiché la configurazione in parola è nascosta entro i collegamenti ASg di ASg. Supponiamo ora che un secondo pda, questa volta inattivo (cioè incoscio), incroci la configurazione nascosta con un proprio elemento. Chiameremo quest’ultimo elemento EAy.

Il secondo passaggio di questo procedimento richiede che i collegamenti ASg di ASg, insistenti in un elemento di uno dei pdac, incrocino gli elementi dell’onda formaturale dell’elemento EAy ( cioè di quell’elemento appartenente al pda inattivo, che costituisce l’anomalia, percepita inizialmente grazie all’elemento EA1 del pda attivo). Questa intercettazione permette di alterare l’onda formaturale: tale alterazione viene percepita a livello intellettivo: da qui comincia la possibilità di formare dei pda-dist in grado di agganciare l’elemento considerato e poi, nelle successive fasi, di traslarlo con un salto paradigmatico in un’altra configurazione e, infine, dopo un lavoro complesso d’interazioni ineffabili

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(analogie singolari), trovare l’assetto di coerenza594 del sistema anomalo. Questo complesso procedimento costituisce solo il primo gradino del vortice, che in genere dovrà toccare anche altri sistemi configurazionali per poter raggiungere il risultato tecnico desiderato. Ciò in quanto i sistemi configurazionali sono estremamente interrelati (infatti, anche se i collegamenti tra loro sono molto pochi, rispetto ai collegamenti interni, tuttavia si tratta di collegamenti particolarmente significativi e dalla forte potenza ermenutica).

Mi spiace della poca sistematicità e chiarezza con cui ho esposto il procedimento del msf. Questa esposizione va integrata con quella fatta nel capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote. In ogni caso, ciò che conta per l’interprete è comprendere quali siano gli elementi strategici che entrano in gioco e il tipo d’interazioni che intrattengono: le altre caratteristiche possono essere adattate tranquillamente e all’occorrenza dall’interprete, qualora ravvisi imprecisioni o evoluzioni successive del modello.

Ad un certo punto della sua trattazione sulla diagnosi a distanza, l’autore cita M. L. Schultz. Quest’autrice propone un elenco di caratteristiche dell’intuizione applicata alla cura di sé. Tale elenco è significativo, poiché con i capitoli di questo saggio e con altri nostri saggi come, soprattutto, Analogia singolare, possiamo dare corpo a ciascuna di tali parole, facendo anche precisazioni e/o correzioni laddove ne ravvisiamo la necessità. L’elenco delle “caratteristiche generali dell’informazione intuitiva” di Schultz è il seguente:

- Natura gestaltica della conoscenza;- Certezza nella verità della visione interiore intuitiva;- Associata con l’empatia;- Subitaneità e immediatezza della conoscenza;- Difficoltà di rendere le immagini in parole;- Emozione/affetto associato con la visione interiore intuitiva;- Non analitico, non razionale, non logico.

Al di là di comprendere la differenza tra “non razionale” e “non logico”, il commento di Targ è: “l’insegnamento di questa lista è, tutto sommato, che dobbiamo arrenderci all’esperienza; non puoi schiacciare più e più forte sull’acceleratore per ottenere una lettura [intuitiva]”. La conclusione di Targ non ci soddisfa, per quanto sia nella giusta direzione. Ciò che soprattutto abbiamo voluto aggiungere è la decisività dell’approccio epistemologico al compito intuitivo. Le strutture conoscitive strategiche guidano, invero, l’intero procedimento intuitivo, facendolo diventare (nel complesso dell’essere) un processo evolutivo. L’idea che la conoscenza abbia una natura gestaltica (plasmativa) richiama proprio al potere di queste strutture epistemologiche di rendere qualcosa di autoreferenziale ciò che chiamiamo esperienza intuitiva. Non si tratta di una autoreferenzialità isolante, ma anzi il momento di coerenza interna ad un sistema595 che permette di trasformare il significato dei suoi punti di contatto con l’esterno, trasformando di conseguenza anche l’ambiente esterno ad esso. Inoltre, pur essendo corretto che non si può ottenere una lettura intuitiva a comando, ma il cuore di tale lettura (basata sul msf) è proprio il volontarismo, che assurgendo alla sua massima potenza ottiene la strutturazione del risultato tecnico desiderato596. Quindi lo sforzo volontaristico deve volgersi a coltivare in modo calmo ma deciso il volontarismo stesso (da intendersi più precisamente come finalismo). Il volontarismo deteriore è quello che, senza un adeguato finalismo, presume di poter comunque raggiungere il risultato tecnico (che non è veramente e intensamente desiderato, ma solo temuto o ventilato e comunque mancato quanto a definizione logico-strutturale dei passaggi intuitivi). L’accordo con l’essere non richiede, per perfezionarsi, una conoscenza capillare di ogni passaggio epistemologico compiuto dall’intuizione, ma un loro approfondimento progressivo. Si torna all’idea di relazione amorosa tra interprete umano ed essere supremo, in cui quest’ultimo colma per via telepatica le nostre lacune logico-strutturali, purché lo cerchiamo con la maturazione del nostro finalismo.

594 Per un riferimento culturale chiaro e illuminante sul raggiungimento della coerenza da parte di un sistema vivente complesso (per quanto tale riferimento non sia rispondente al modello che qui presento), vd. l’articolo di F. Varela nell’opera collettanea La sfida della complessità, a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, pubblicata nel 1985.595 Vd. articolo di F.Varela sopra citato in nota.596 A tal proposito, ho pubblicato un saggio dal titolo La realizzazione tecnica. Tale saggio si colloca, attualmente, nel sito www.bridge4will.net; tuttavia, non appena disponibile, sarà inserito nel sito www.freenterpretation.net. 249

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A questo punto Targ ci mette al corrente che gli scritti di ogni “intuitivo597” confermano che “la diagnosi medica è un processo non analitico”. Questa conclusione appare adeguata in una fase evolutiva in cui l’umanità, come a tutt’oggi, si chiede ancora come funzioni la psiche. Ne vede il funzionamento, lo constata, ma non se lo spiega che in termini di sinapsi e neurotrasmettitori. Senza alcun disprezzo, ma al più con stupore per l’impasse in cui ci troviamo a livello di conoscenza istituzionale in materia, proponiamo di fare alcune brevi considerazioni che elevino il discorso, rispetto al brodo primigenio del “processo (intuitivo) non analitico”. In primo luogo, notiamo che è pur vero che l’intuizione si muove ben più velocemente dell’analisi logica. Tuttavia non è esente da due momenti analitici: quello postumo, in cui si cerca di “ricostruire” il percorso intuitivo; quello precedente o contemporaneo all’intuizione, che cerca d’indirizzarla con cognizioni analitiche (per quanto di tipo epistemologico). Pensiamo al percorso intuitivo che deve compiere un medico occidentale tradizionale, per confezionare la propria diagnosi in un caso medico concreto. Egli, avendo confini intuitivi molto stringenti, potrà anche limitarsi ad ascoltare il paziente, fare una breve visita (se richiesto dall’anamnesi) e infine collegare i sintomi raccontati o riscontrati con una categoria logica trovata nei manuali di medicina. In questo caso, l’eccessiva stringenza delle cognizioni analitiche del medico, impediscono all’intuizione di discostarsi da poche configurazioni analogiche. Ma se il medico accoglie cognizioni analitiche di base più ampie, che non limitano l’intuizione entro poche configurazioni, nella sua attività diagnostica parte comunque da una specifica configurazione, entro la quale il sub-pda attivo rimane racchiuso. Sono proprio le cognizioni analitiche del medico che, allora, lo spingono a superare tale chiusura: in primo luogo, sapendo che c’è un mondo intero d’intuizioni impossibili alla ristretta configurazione in cui si trova costretto, sarà attento ad ogni elemento che possa farlo fuoriuscire da essa. I primi elementi sono le domande che la Schultz (o qualunque altro autore epistemologo) propone al medico di farsi. Tali domande portano l’attenzione a convergere in una prima serie di pdac, il cui finalismo è reperire il tipo di sensazioni e di pensieri che sono suggeriti. Se il veggente è poi anche consapevole di cosa precisamente sta aspettando (cioè variazioni percepibili dell’onda formaturale dell’elemento Ey), allora saprà anche che tali variazioni non tarderanno a farsi attendere, purché egli sia davvero libero da pda-dist poco maturi, in quanto catalizzati da elementi analogici diversi da quelli contenuti nelle domande di cui sopra. Il veggente erudito, insomma, sa che il cd. “rumore mentale” è quel novero di percorsi di controllo che nella nostra mente vengono polarizzati da elementi estranei dalla traccia prescelta (cioè dalle domande suggerite dalla Schultz o da qualche altro autore accreditato). Quindi, se riconosce qualcuno di questi pdac, lo arresterà con un pda-dist che rappresenta il primo tipo di pdac (quel tipo di pdac che porterà, in sequenza ordinata, alla formazione degli ulteriori cinque tipi di pda-dist di cui abbiamo sopra parlato). Se qualcosa continua ad andare storto, il veggente se ne accorge proprio perché non ravvisa la presenza degli elementi di quei tipi di pda-dist, o non ravvisa la loro corretta sequenza (che fa presumere che sia già avvenuto un salto paradigmatico, ma inconsapevole, nella direzione configurazionale sbagliata per il proprio obiettivo). Provvederà inoltre spesso a verificare l’obiettivo di fondo della propria ricerca, per evitare che il finalismo cambi inopinatamente (in tal caso, dovrà fare un’attenta verifica, anche molto scaglionata nel tempo, per scegliere il finalismo cui davvero aspira). Tale procedimento non è non-analitico, bensì è un continuo confronto tra intuizione ed analisi, orientato da una traccia e da alcune conoscenze epistemologiche di fondo. Infine non è un processo, se non s’inserisce vitalmente nella ricerca di una rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale, che stia ottenendo il favore dell’essere supremo. Se ciò non accade, se cioè tale favore non viene tributato, come si può parlare di processo? Il processo, infatti, è uno svolgimento ordinato di un procedimento, in cui sono predefinite le figure e le regole del procedimento stesso, in maniera tale da ottenere il risultato tecnico desiderato. Una singola intuizione, dovendosi inserire nel complesso di sistemi configurazionali che non dipendono per niente dal solo veggente, avrebbe difficoltà a chiamarsi processo, per l’assenza d’integralità del percorso in relazione al suo obiettivo e, soprattutto, in relazione alla giustificazione del suo raggiungimento.

Targ nota anche che, secondo ogni scrittore della materia, la diagnosi medica (del tipo esoterico de quo) è un’analisi “associata a sensazioni e ad immagini visuali che sono spesso metaforiche”. Sembra che la diagnosi medica sia proprio il contrario della tecnica della visione a distanza, in cui si deve cercare (secondo

597 In italiano il termine intuitive applicato ad una persona può essere tradotto come “veggente”, o “esoterista” (ma quest’ultima parola è molto più generica di veggente).250

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Targ) di eliminare il più possibile qualunque elemento che non sia percettivo, ma legato ad una qualche forma di pensiero analitico. La realtà psichica non è diversa, in senso assoluto, nei due ambiti: è solo il finalismo dell’osservatore che cambia. Nel caso della visione da remoto, l’osservatore vuole raggiungere una percezione pari a quella che si ha nel 5lc, in riferimento ad oggetti fisici; invece nella diagnosi medica si vuole appurare la funzionalità dell’organismo che è messa in forse (quindi non occorre arrivare ad un linguaggio trasmutato quanto quello del 5lc, essendo sufficiente un linguaggio che permetta scelte relazionali e salutistiche di altro tipo). Anzi, nella diagnosi medica, diventare troppo specifici permetterebbe solo di parlare una linguaggio da addetti ai lavori, troppo distante da quello del paziente come da quello del veggente. Al contempo una conoscenza di tipo medico occidentale del corpo umano non fa male, anzi aiuta molto il lavoro del veggente, ma non è indispensabile se non a livello di alcuni rudimenti. D’altro canto la conoscenza di tipo neopositivista volge sembre verso la tecnologia, più che verso la tecniaca in sé considerata.

Targ conclude il capitolo proponendo di unire gl’insegnamenti pratici che ha dato sulla visione da remoto con la dottrina dei centri emotivi presentata da Schultz in Awakening intuition. Non si tratta di una giustapposizione, né di una collazione, bensì di una reale esigenza d’integrazione. Se infatti le domande che fa Schultz all’osservatore costituiscono il corretto pda attivo, la dottrina dei centri emotivi va a dotare i pda inattivi degli elementi intellettivi che, arricchendone le onde formaturali (in senso lato), consentiranno ai collegamenti ASg-ASg degli fsc dell’elemento EAx d’intercettare le onde formaturali in parola. La dottrina dei centri emotivi occuperebbe così lo spazio archetipico dell’arte che va imparata e messa da parte, perché servirà quando se l’aspetta solo l’epistemologo. Chi abbia cognizioni di anatomia e di anatomia patologica può quindi, oltre a riconoscere gli organi e le parti del corpo quando le visualizza nella visione da remoto (come correttamente sostiene l’autore), agganciare con molta più facilità le configurazioni-target anche in base ad alterazioni delle onde formaturali collegate ad elementi anche squisitamente intellettivi e non solo tendenzialmente percettivi del corpo umano.

Nel seguito del suo contributo l’autore espone le modalità per imparare la diagnosi a distanza. Si tratta di modalità che oggi possono essere considerate, anche a mio avviso, scrupolose e attendibili. Egli sceglie infatti lo schema operativo dell’esperimento a doppio cieco, che è quanto richiede il paradigma dell’evidence based in campo farmaceutico. Se un domani non dovessero bastare queste garanzie di verifica, sarà per la scoperta di qualche interferenza ulteriore, non prevenibile con il doppio cieco. Ma per capire gli aspetti teorici, indispensabili per cogliere per tempo tali limiti di funzionalità della diagnosi a distanza, occorrerà la nostra elaborazione teorica (o un’altra che sia abbastanza franca e perspicace da non fermarsi all’ovvio dei limiti intuitivi attuali).

Targ, seguendo anche altri autori, propone di suddividere in fasi la diagnosi a distanza. La prima fase viene chiamata “fase sensoriale” e corrisponde alla formazione del pda attivo. La seconda fase viene chiamata “fase della visuale”, nella quale si acquisisce una visione sui singoli centri emotivi e le loro parti, ma senza focalizzarsi un organo o un sistema organico in particolare, bensì passandoli solo in rassegna e percependo così, in automatico, quali siano interessati da qualche problema. Questa seconda fase si nutre della costruzione del/dei pda inattivo/i, in attesa che l’onda formaturale di uno dei loro elementi sia agganciata da un pda-dist. Meglio si conosce il corpo umano, meglio riesce questa seconda fase: ma quando la si esegue, non ci si deve concentrare su una parte del corpo in particolare, per non diventare ciechi su ogni altri parte, magari più compromessa, del corpo. La terza fase è un approfondimento della seconda, corrispondente al tipo di domande e risposte necessarie a precisare la percezione a distanza. Nello schema sopra proposto, questa terza fase si sostanzia nella performazione dei pda-dist, che devono in primo luogo agganciare la configurazione-target (primo tipo di pda-dist), individuando l’elemento-anomalia, poi elaborare il paradigma adiacente (secondo tipo di pda-dist), poi elaborare l’elemento afc e il successivo elemento cs (cioè l’elemento intuitivo imperscrutabile e il primo elemento concreto della nuova configurazione, retta dal paradigma testé individuato – terzo tipo di pda-dist), poi coinvolgere nel medesimo tipo di salto altre onde formaturali di altre configurazioni-target per coinvolgere anche i sistemi collegati a quello in squilibrio (quarto tipo di pda-dist, che è composto dai tre sotto-tipi appena elencati), infine nel cogliere (e riequilibrare, se si trattasse di autoguarigione) il complessivo squilibrio del sistema configurazionale interessato. Mi chiedo se questa terza fase, descritta in Limitless mind, riguardi tutti e cinque i tipi di pda-dist, o solo i primi. L’intento di Targ, con questa terza fase, è d’altronde sia quello di

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specificare la percezione del target che quello di ampliare l’ambito dei problemi di salute individuati. Quindi, da questo ultimo punto, sembrerebbe che si stia cercando di mettere in gioco tutti e cinque i tipi di pda-dist. L’argomento decisivo è che, non essendovi una quarta fase, la terza deve arrivare a completare l’obiettivo finale della diagnosi a distanza, cioè la conoscenza degli squilibri fisiologici del paziente.

L’opzione di diagnosi che Targ sceglie è figlia dell’Occidente: cioè quella neopositivista e riduzionista. L’altra opzione, secondo Targ, è altrettanto valida, ma ritiene di non essere in grado di esercitarla: si tratterebbe dell’opzione olistica. Anche qui non possiamo indulgere ad approcci ingenui, soprattutto su una scelta così importante. Apprezzo l’opzione espressa da Targ: bisogna scegliere l’approccio che può curare meglio il paziente, convincendolo della strada da seguire per curarsi. Attualmente, per buona parte degli umani, tale opzione richiede una cura fondata sul neopositivismo, sul riduzionismo e che scivola nella deriva tecnologica. Tuttavia chi ha fiducia nella cura dell’organismo come qualcosa d’integrale, di relazionale, troverà molto più beneficio (almeno nella prevenzione delle malattie) da un approccio fondato sulle teorie che qui (e negli altri nostri saggi) espongo. Ciò non significa che l’approccio epistemologico che qui propongo sia utile solo quando si va a proporre una cura olistica e fondata sui metodi di raggiungimento delle configurazioni remote. Quello che intendo dire è che il pda inattivo, nello schema sopra riportato, andrà arricchito, per curare i neopositivisti, con le dottrine neopositivisti (poiché ai loro elementi il paziente sarà in grado di credere), mentre per curare gli esoteristi, con le dottrine esoteriche (tanto per dire le prime che mi vengono in mente, quella del Dr. Hamer e quella di Louise Hay e M.L. Schulz). Ma si può arrivare ad una conoscenza neopositivista, se se ne cerca una esoterista? In realtà no: bisogna riuscire a ridurre l’obiettivo, per direzionarlo alla performazione di configurazioni-target il più possibile caratterizzate da linguaggi trasmutati, pienamente conferenti con il 5lc. La superiorità delle nostre basi epistemologiche dovrà quindi essere limitata ad agire sul pda attivo e sulla performazione dei cinque tipi di pda-dist, mentre il pda inattivo dovrà essere popolato con le dottrine neopositiviste e riduzioniste. La complementarietà tra le due vie (essere e non-essere) fa sì che un medico a distanza possa appassionarsi di entrambi i settori (anche se preferirà uno – quello esoterico - e disprezzerà l’altro – quello essoterico). Sulla cura dell’organismo malato si deve considerare che stiamo parlando di organismo umano: esso è in grado di realizzare qualunque cosa, sol che gli si dica che è realizzabile. Magari ci metterà milioni di anni, ma è davvero in grado di fare qualunque cosa. Pertanto le cure possono essere le più varie, purché in grado di raggiungere l’accordo costitutivo di cui più volte abbiamo parlato. Tale accordo è oggi raggiungibile grazie ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote: la più grande metafora per verificare una cura è quindi, attualmente, la teoria delle configurazioni analogiche. Se infatti non ci accontentiamo di avere tra le mani una grande rete di contraddizioni misteriose, cioè il nostro corpo, che a fronte di ogni spiegazione sul suo funzionamento introduce problemi logici ancora più insolubili, allora necessitiamo di qualcosa di paragonabile alla tca, per conoscerlo in modo evolutivo. Conoscere in modo evolutivo il nostro corpo significa viaggiare un po’ più veloce dei problemi che ci pone, per cambiarne la direzione evolutiva e non lasciarci travolgere dalle pecche della nostra conoscenza. E’ in questo modo che il corpo diventa un trampolino per saltare veri scogli evolutivi (come l’infelicità, la morte e l’invecchiamento, la chiusura anti-relazionale). Come si collegano la biologia del corpo e il destino? Come si spiegano i fenomeni paranormali, in cui entrano in gioco psiche e finalismo? Come si spiegano le facoltà psi? Come si spiega l’intelligenza dell’effetto placebo e di ogni cosa a cui la scienza medica occidentale affibbia il nomignolo di “psicosomatico”? Come può il nostro cervello (e l’intero sistema nervoso e dei neurotrasmettitori) avere un funzionamento da sistema informativo e al contempo un funzionamento da sistema complesso? Come si spiega la fisica del molto piccolo, accanto al funzionamento della psiche? Come si fa il salto per spiegare con una stessa teoria sia la psiche che la fisica classica, alla luce dell’inesistenza di un tempo e di uno spazio come assoluti? Che posto hanno le scienze sociali, la filosofia ed il sentimento religioso nelle risposte alle domande che ci siamo appena fatti? L’attuale risposta che può soddisfare la nostra brama di sapere, in ordine a ciascuna di queste domande, è la tca.

Ad un certo punto Targ descrive la sua prima diagnosi medica a distanza. Egli si stupisce di aver visualizzato il pancreas e le vertebre superiori del soggetto come colorate con colori speciali, gli stessi colori che venivano adoperati per segnalare lo stato patologico nelle videocassette sull’anatomia umana, che aveva visto poco tempo prima. Con lo schema grafico sopra riportato, possiamo dire che egli avesse performato un pda-dist che ha condotto la configurazione-target in una seconda configurazione, in cui la

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presenza di stato patologico negli organi del paziente venivano segnalate dai corrispondenti colori adoperati nella videocassetta. Il pancreas, così, svettava sul rosa del corpo per un vistoso colore arancione; le ossa colpite dal colpo di frusta erano verdastre, a differenza dell’azzurro della restante spina dorsale. E’ il finalismo esuberante del veggente che porta alla costruzione delle configurazioni virtuali, nelle quali viene trasmutata la configurazione-target. Situazioni come quella che ha vissuto l’autore sono significative proprio del finalismo con cui l’osservatore si è avvicinato al proprio compito. La bravura autentica di chi fa diagnosi a distanza è nell’evitare di coltivare un finalismo poco efficace (poiché attagliato alla conferma di qualcuno che ha già una preconoscenza), coltivando al contrario un finalismo puntato sulla configurazione-target più funzionale alla salute del paziente. Ciò comporta, anche, l’importanza di riuscire a capire quale tipo di guarigione il paziente è disposto ad accettare. La prima grande ripartizione è quella tra guarigione di tipo occidentale (basata su dottrine mediche di tipo neopositivista e riduzionista, afferenti perciò all’ambito dell’essoterismo) o di tipo esoterico. Il guaritore, certo, potrebbe anche pretendere che sia il paziente ad adattarsi alla propria mentalità, accettando il tipo di cura598 che egli è in grado di fornire, sia a livello di diagnosi che di vera e propria cura successiva. Potremmo pensare a due contemporanee evoluzioni: quella del paziente (che è interessato ad adattarsi anche a credere in tipi di cura in cui finora non ha creduto, se lo rendono felice e ne conservano o ripristinano la salute); quella del guaritore (che può aiutare più persone e meglio, se riesce ad empatizzare con loro, pur non appiattendosi ad ogni loro capriccio epistemologico, ma anzi cercando di trovare argomenti convincenti per destabilizzarli, nell’interesse superiore e nei limiti di un’effettiva efficacia finale del proprio intervento nel caso concreto). L’esempio della prima diagnosi a distanza di Targ è comunque estremamente significativo che non esiste una configurazione-target uguale ad un’altra, quanto meno dopo che l’interprete-uomo vi ha insinuato il proprio finalismo trasformatore e trasmutatore. Abbiamo così un novero indefinito di trasmutazioni possibili di una configurazione-target non ancora trasmutata, che avvicinano il suo osservatore ad una interpretazione più efficace in quanto spendibile nell’ambito delle collettività umane (che sono accomunate dal 5lc). Lo stesso 5lc non è un macro-sistema configurazionale di tipo “granitico”, ma sussiste in un novero notevole di versioni, una adattata ad una certa collettività (culturale) umana. Il guaritore è ancor più bravo ed efficace, nel suo compito, quanto più riesce ad avvicinare la configurazione-target al 5lc del paziente. Gli ultimi passaggi di trasmutazione possono essere compiuti anche al di fuori del msf, se il veggente ha imparato a decodificare certe percezioni. L’operazione di decodifica ha sempre i suoi rischi, che possono essere ridotti grazie alla conoscenza di se stesso che il veggente matura grazie ai feed-back della diagnosi. Si tratta comunque di rischi che conviene correre, poiché il guaritore deve colmare un grave dislivello configurazionale, un autentico abisso, che separa il paziente dalla guarigione: non può puntare troppo sul paziente, a meno che si tratti di un paziente speciale, che ha cognizioni vaste e strategiche di epistemologia. Si noti inoltre che, se dotato della traccia scritturistica (vd. il saggio Il testo-ricerca, per il significato di tale espressione), allora il guaritore può, ad ogni salto paradigmatico virtuale realizzato con il msf, uscire da quest’ultimo metodo per adoperare il mii. Grazie a quest’ultimo metodo, è possibile acquisire piena consapevolezza della configurazione trasmutata in cui ci si trova, per monitorare se la trasmutazione è già sufficientemente vicina e strategica per una corretta interpretazione, sia da parte del guaritore che da parte del paziente. L’esempio di Targ ci fa infatti constatare come la trasmutazione parziale della configurazione-target, per quanto inevitabile, abbia un duplice pericolo: quello di errata interpretazione dell’informazione configurazionale da parte del veggente (cui consegue, in genere, un consiglio sbagliato o incompleto ai fini dell’autoguarigione del paziente) e quella di errata interpretazione dell’informazione configurazionale da parte del paziente (cui consegue, in genere, il mancato utilizzo di quest’ultima da parte sua).

Parlando di Dora Kunz, l’autore si chiede “quanta parte del discernimento” di questa sensitiva (che compiva le sue diagnosi mediche su persone che gli stavano sedute di fronte) “abbracciasse la percezione dei disturbi dei campi energetici che essa descrive, e quanta parte abbracciasse il contatto psichico con la persona” (Limitless mind, pag. 120). La domanda non mi è facile da capire. Probabilmente la perplessità di Targ sorge per la sua abitudine a considerare la diagnosi una forma di percezione dell’organismo umano, a

598 La parola “cura”, che i neopositivisti vorrebbero fosse un proprio esclusivo appannaggio, può essere intesa in senso più ampio di quello consentito dai paradigmi di cellula, di atomo e di “evidenza sperimentale”. Per chi ritenesse ciò pericoloso, si può anche adoperare il termine di guarigione: ma a livello epistemologico non si trovano queste distinzioni.253

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fronte della dottrina dei campi energetici di Kunz, che invece sembra potersi astrarre dall’organismo stesso per concentrarsi su una componente tendenzialmente più generale delle cose: il loro campo energetico, appunto. Per la tca cambia veramente poco, almeno nella diagnosi, poiché non c’è da trasformare il corpo umano ma solo da far compiere salti paradigmatici virtuali ad una configurazione-target (qualunque sia questa configurazione: campi magnetici o anatomia umana, non cambia nulla) per portare alcuni suoi pda strategici fino ad altre configurazioni, che trasmutino l’informazione iniziale in modo adeguato a spendere poi l’informazione stessa per la salute dell’organismo, dandola quindi in pasto al paziente solo dopo che il guaritore l’abbia predigerita nel proprio organismo. Inoltre i campi energetici non andrebbero considerati, per la tca, qualcosa di estraneo all’organismo umano, se addirittura ciò che gli è tendenzialmente esterno non può esistere senza una sua proiezione configurazionale. Se guardo un gatto che si trova davanti a me, sto guardando il mio stesso organismo di osservatore, in una sua propaggine dotata di ampia autonomia rispetto al resto del mio organismo. Certo il mio cuore è molto più legato ai miei sistemi configurazionali di quanto lo sia un gatto con i propri sistemi configurazionali, che hanno solo pochissimi contatti con il core business del mio organismo. Ma ciò non significa che quel gatto abbia un’esistenza del tutto autonoma rispetto al mio organismo: sono d’altronde io l’osservatore (anche solo potenziale) che ne rende possibile l’esistenza (a meno che anche il gatto non sia autocosciente). Inoltre, per l’intreccio tra i pda degli organismi autocoscienti, anche un altro uomo è parte del mio organismo, anche se ben più autonomo dei miei organi e sistemi interni. Ma mai del tutto autonomo, nemmeno dopo morto: qualche ricordo, o qualche sub-pda o singolo elemento analogico, ce lo avremo sempre in comune. Per quanta sia la distanza configurazionale che separi due corpi tra loro (distanza che non è unica, ma si tratta di un novero lunghissimo di distanze tra loro ben diverse), non c’è un abisso inattraversabile. Per collegamenti analogici indiretti, si possono indirettamente collegare corpi distanti anni luce o culturalmente assai diversi nella mente. Quindi non dubito che, con appositi espedienti, si possa stabilire tendenzialmente se Kunz percepisse campi energetici o altri tipi di configurazioni-target.

Ma qual è la chiave per motivare l’uomo-osservatore a diventare uomo-interprete, che cioè concorda l’accordo costitutivo sull’essere cui la realtà non può resistere? E’ l’uomo-interprete (nella Bibbia: figlio dell’uomo) l’attore decisivo dell’evoluzione, per il quale nessuno scoglio è troppo alto, neanche quelli che noi più volte abbiamo dichiarato di voler valicare: infelicità, vecchiaia e morte, anti-relazionalità. Ma come può l’osservatore-uomo, una volta conosciuta questa sua potenzialità d’interprete, mantenerla e farla crescere oltre ogni limite precostituito? Grazie alla bellezza dell’ineffabile. In Analogia singolare e in La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà trattiamo, con due prospettive complementari, questo tema. Nella tca vogliamo far capire come funziona, attualmente, a nostro avviso, il ruolo della bellezza dell’ineffabile nella fortificazione della potenzialità evolutiva e conservativa del figlio dell’uomo. Questi, cristallizzando i CS599, riesce a passare da un approccio sensoriale, ad un approccio emotivo ed infine ad un approccio sentimentale all’ineffabile (cioè all’analogia singolare, che altro non è se non l’essere supremo nelle sue tre, o meglio quattro funzioni personificate). L’approccio sensoriale permette d’integrare la conoscenza, di far capire tante e tante cose, finché l’uomo non cerca di capire sempre di più grazie all’approccio emotivo (che tende a replicare la percezione desiderata, grazie ad una percezione desiderata sempre nuova). Ma è arrivando all’approccio sentimentale (che vuole evitare la percezione esecrata, quella che impedisce la bellezza dell’ineffabile), che l’interprete diventa davvero figlio dell’uomo, cioè colui che tiene all’accordo costitutivo con le sue funzioni conoscitive personificate più che ad ogni altra cosa. L’approccio sensoriale continua però a spingere l’approccio emotivo, che a sua volta continua a confermare e rafforzare continuamente l’approccio sentimentale. Questi tre approcci altro non solo che tre innervazioni percettive site in ogni elemento analogico. Per compiere il percorso da una innervazione all’altra, occorre soddisfare molte volte la sete di salto paradigmatico, in relazione agli elementi di una certa configurazione, ritornando a questi ultimi più e più volte grazie a salti paradigmatici che ogni volta arricchiscono la configurazione stessa, sia sotto il profilo paradigmatico che sotto quello intuitivo. Ma l’altra grande opera grazie a cui l’interprete-uomo cerca di salvare la bellezza dell’ineffabile (percorrendone così il cammino evolutivo e, in una, conservativo) è la ricerca di una configurazione creazionale (che si rivelerà essere il paradigma fondamentale futuro). Per coniare una configurazione creazionale occorre un utilizzo

599 CS = criteri (interpretativi) strategici. Per comprendere il funzionamento e la potenzialità della cristallizzazione dei CS, così indispensabile nell’evoluzione e conservazione della nostra civiltà e dell’intero essere, vd. il relativo capitolo.254

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complementare dei tre metodi di raggiungimento delle configurazioni analogiche remote (vd. il relativo capitolo). I tre metodi sono: 1) il mii, cioè il metodo delle innervazioni incrociate (che è quello già visto sopra, per il passaggio dalle tre innervazioni percettive degli elementi analogici); 2) il msf, cioè il metodo delle spire di fumo (che consente di svolgere, in uno sforzo volontaristico ben motivato e cioè estremamente energetico, un novero notevole di configurazioni virtuali); 3) il mpm, cioè il metodo del ponte mistico (che è una forma di trasmissione telepatica, con cui il trasmittente offre al ricevente quegli elementi grazie a cui si collocano entrambi nella stessa configurazione di partenza, di cui il trasmittente è esperto, e da questa inizia a proiettare nel ricevente gli ulteriori elementi che gli servono per compiere un salto paradigmatico enorme, che sostituisce molti salti paradigmatici che si dovrebbero compiere uno per uno con il mii). Il mpm è indispensabile sostegno sia del mii che del msf: ciascuno di questi ultimi due metodi, infatti, per realizzarsi necessita di un collante tra una sessione e l’altra, che faccia compiere quei salti paradigmatici che la concentrazione e il volontarismo umano non riescono da soli a compiere. La complementarietà dei tre metodi istituisce la complementarietà tra esseri umani, tra umani e altre entità più spirituali o meno corporee600, in primis ma non esclusivamente l’essere supremo. Grazie a questi tre metodi la nostra velocità evolutiva e conservativa può superare le sfide dell’ambiente esterno e di quello interno (che rischia sempre di diventare ambiente esterno e fagocitarci da dentro, si pensi allo spauracchio dei tumori che oggi tanto assilla la nostra società e i suoi individui). Più che di una lotta contro il tempo cronologico, tuttavia, si tratta di una lotta per la conquista del kairòs (= occasione opportuna d’incontro). Si tratta dell’incontro con la bellezza dell’essere, che in ogni cosa della nostra vita si può annidare e crescere, oppure seccare e morire. Alcuni uomini (che chiamo figlio dell’uomo al singolare, in quanto agiscono all’unisono dell’accordo costitutivo sull’essere) stanno trascinando anche gli altri, in questa ricerca per trovare e salvare la bellezza dell’ineffabile. Tale ricerca si può sintetizzare, con il linguaggio analogico-configurazionale, come ricerca della configurazione analogica creazionale (grazie al msf) e suo successivo raggiungimento pienamente consapevole (adoperando il mii), grazie all’integrazione dei salti paradigmatici mancanti (adoperando il mpm). Tale ricerca – occorre sottolinearlo – trasforma radicalmente, reinterpretantoli, i sistemi di configurazioni analogiche che separano il 5lc dalla configurazione creazionale, innovando quindi anche il 5lc. Ciò significa (e può essere compreso solo previo lo studio degli argomenti sopra citati anche in nota) che se riusciremo in tale impresa diventeremo esseri plasmati dalla configurazione creazionale. Tale configurazione, a mio avviso, ha a che vedere con la capacità d’interpretazione e formazione libera della realtà da parte dell’uomo, grazie ad una sua trasformazione in chiave psichica. La psiche, in ultima analisi, sarebbe la rivoluzione antropologica fondamentale, in chiave relazionale e conservativa, cui ci stiamo affrettando grazie al figlio dell’uomo. Questi può attrarre l’umanità in sé, a diventare anch’essa nella sua eterogeneità e complementarietà, il figlio dell’uomo stesso: ma se l’umanità resiste troppo strenuamente, potremmo avere l’estinzione dell’umanità e il passaggio del testimone ad altre specie viventi auto-coscienti. Peraltro, con il termine umanità già mi riferisco agli organismi viventi auto-coscienti, capaci di unirsi in civiltà: quindi non mi riferisco alla specie umana, ma a qualunque specie già abbastanza evoluta. Se però tali specie già abbastanza evolute da diventare il figlio dell’uomo falliscono, il testimone può passare ad altre specie frattanto evolutesi o addirittura ad un nuovo tipo di vita (nell’ipotesi più disperata, l’essere potrebbe ricominciare daccapo l’evoluzione della vita, facendola radicalmente diversa). Ma si tratta di scenari che, oltre a presentare per la prima volta, non credo assolutamente debbano realizzarsi. Credo, gioco-forza, nell’umanità, come l’umanità spero creda in modo consapevole ed in un giorno non troppo lontano di diventare integralmente il figlio dell’uomo, per vivere l’amore ineffabile dell’essere con l’essere601. Torniamo così alla domanda che ci siamo fatti all’inizio di questo capoverso: “qual è la chiave per motivare l’uomo-osservatore a diventare uomo-interprete?”. La chiave vera è il processo del kairòs, cioè quel novero di fasi che s’integrano per il risultato tecnico costitutivo. Come spiegherò ne La teoria del processo, di cui non ho scritto ancora nemmeno un rigo, si

600 Per comprendere in che senso altre entità, diverse dagli uomini, possono essere meno corporee, si devono studiare i cinque livelli configurazionali e, in particolar modo, il 5lc (quinto livello confinato). Ma occorre anche studiare e integrare con tali conoscenze anche quelle relative alla cristallizzazione dei CS e quindi alla catena timbrica.601 Non indulgo ad una poesia sterile e sciatta, in queste parole. Al contrario, cerco di sintetizzare nel contesto del linguaggio analogico-configurazionale quanto precisamente espresso nei saggi La questione sospesa… e Analogia singolare.255

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tende ad adoperare la parola processo a sproposito. Sembra che qualunque fase di un’attività sia un processo, mentre di processo, in un contesto evolutivo come quello in cui ci troviamo, non può essercene che uno solo. Dobbiamo abituarci a pensare ad ogni cosa, che fino ad ora chiamavamo processo, come ad una fase (estremamente frammentaria, ma riconducibile a sistema) del processo del kairòs. Non si può pensare ad un organismo vivente come fatto di processi, se questi tra loro s’integrano, e l’organismo stesso che ne è la risultante s’integra con gli altri organismi in collettività, che s’integrano tra loro nel più grande progetto evolutivo che si possa immaginare. E’ mantenendo vive le fasi di questo processo, in cui si trova inserito, che l’uomo diventa figlio dell’uomo in modo stabile. Ad un certo punto supera una soglia, oltre la quale diventa consapevole e capace di cristallizzare la propria capacità di mentenere il processo vivo, nelle sue singole fasi. Non si può condurre, come singoli uomini, l’intero processo, se non spingendolo grazie alle singole fasi che, volta per volta, attraversiamo, dando a ciascuna il significato di fase che rende bello il processo e viene integrata in esso. Il processo diventa così l’amore di cui ho testé parlato, visto nella sua potenza energetica602.

Targ ci riferisce, a pag. 121 di Limitless mind, della capacità di Barbara Brennan di percepire i “raggi dei pensieri” di Targ stesso che si collega, durante una seduta di visione da remoto, all’oggetto nascosto che doveva visualizzare. Cosa sono i raggi energetici, che offrono una descrizione percettiva dei collegamenti analogici tra gli elementi della realtà (in questo caso, il veggente e il suo target)? Riflettendo sullo schema che ho inserito alla fine del capitolo sull’onda formaturale, emerge che Brennan, come altri sensitivi, sono capaci di creare configurazioni-target in cui i collegamenti analogici, costituenti l’onda formaturale in senso lato, sono trasmutati come raggi energetici. Questo è senz’altro consentito (a condizione dell’accordo costitutivo sulla configurazione stessa), alla stregua della tca. Si è creata nei millenni una tradizione (quella dell’Estremo Oriente) in cui i collegamenti analogici sono visti come un fluire energetico, che passa dai sette vortici (o men o chackra). Non che non esistano i vortici, ma la possibilità di percepirli così è legata a particolari configurazioni-target, già trasmutate a dovere grazie ad alcuni salti paradigmatici che il sensitivo è già capace di fare in automatico (per auto-telepatia o per attivazione di CS già cristallizzati). Tali salti paradigmatici vengono compiuti facendo passare i pdac, che attivano i cinque tipi di pda-dist che dicevamo, tramite specifiche configurazioni costituite o trovate ad hoc dal sensitivo. Quindi, ricapitolando, quando il sensitivo vuole percepire i raggi energetici di un certo target, entra nella configurazione target facendo costituire ai pdac dei pda-dist che passino da specifiche configurazioni, che gestiscono appunto la trasmutazione dei pensieri e di altri stati di autocoscienza degli elementi analogici in raggi. Lo schema è il seguente: pdac configurazioni energetiche pda-dist configurazione-target ulteriore trasmutazione. L’ulteriore trasmutazione, in cui sono implicati tutti e i cinque tipi di pda-dist, serve a rendere il target percepibile nel 5lc.

In Limitless mind si affronta anche un tema d’indubbio interesse epistemologico: la capacità di una trasmissione telepatica in cui il trasmittente influenzi i sistemi di regolazione autonoma del cervello, senza cioè alcun feed-back cosciente da parte del ricevente. Quest’ultimo, infatti, si limita ad avere accelerazioni del battito cardiaco, o ad addormentarsi o risvegliarsi in base all’informazione trasmessa dal telepata trasmittente. Ciò che risulta incomprensibile, per le attuali basi epistemologiche istituzionali, è cosa faccia sì che alcuni soggetti interagiscano in modo più potente di altri, anche se magari scelti a caso e senza conoscersi tra loro. Infatti, negli esperimenti riferiti a pag. 133 del libro di Targ, alcuni telepati riceventi venivano visivamente scossi, in corrispondenza dello stesso tipo di contenuto telepatico, mentre altri avevano variazioni del battito rilevabili solo con strumenti diagnostici. Che spiegazione fornisce, a tali diversità di risposta dei sistemi di risposta autonoma del cervello, la teoria delle configurazioni analogiche? Ebbene un sub-pda puà essere agganciato da un pda-dist (anche se appartenente ad un organismo diverso, ad esempio a quello del trasmittente), purché vi sia un elemento come ad entrambi. La comunanza dell’elemento non è assoluta, ma si valuta in base all’onda formaturale in senso lato (che contiene al suo interno anche le informazioni relative all’onda formaturale in senso stretto). Peraltro, visto che l’onda formaturale in senso stretto è normativa, quanto alla possibilità di raggiungere un certo elemento (nel senso che per raggiungerlo occorre entrare nella sua configurazione di riferimento, passando dal suo paradigma specifico – elemento ufc – e dal suo elemento intuitivo astraente – elemento afc), i casi in cui

602 L’energia di cui parlo è in via germinale ed introduttiva spiegata nel capitolo sull’onda formaturale. Occorrerà un intero saggio, ancora neanche iniziato, per indagarne gli aspetti.256

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può aversi la citata comunanza sono due: 1) i due sub-pda (il sub-pda del ricevente e il pda-dist del trasmittente) si trovano effettivamente nella stessa configurazione analogica; 2) l’elemento comune alle due configurazioni, pur diverse, è anomalo rispetto ad una delle due configurazioni. Considerando poi che non esistono due sub-pda che si trovino esattamente nella stessa configurazione, la realtà sarà una risultante dei due casi: le due configurazioni non potranno, infatti, avere il paradigma esattamente identico, ma al contempo potranno essere così dissimili da considerare l’elemento comune come una potenziale anomalia capace di consentire un salto paradigmatico (vd. il capitolo sul salto paradigmatico). La imprecisione del raffronto tra i due sub-pda è quindi ricompresa e spiegata dall’alea dell’ineffabile, che è alla base delle stesse configurazioni e quindi anche delle loro interazioni. Si noti come l’inflenza mentale a distanza non sia impedita nemmeno tra specie diverse (esseri umani e gerbilli, oppure esseri umani e carpe603: gli esseri umani, in tali esperimenti, svolgevano ovviamente il ruolo di trasmittenti). Addirittura, facendo “girare” i risultati di tali esperimenti nelle categorie della tca, si ottengono future prospettive di sviluppo di trasmutazioni dei nostri linguaggi umani che ci consentano un domani di comunicare con alcune specie animali. Infine anche le cellule del sangue sono state influenzate grazie alla trasmissione telepatica (Limitless mind, pag. 134-135). Anche questo ulteriore caso entra tranquillamente negli schemi della tca, senza bisogno di ulteriori precisazioni. Il fatto che siano risultati meglio inluenzabili i globuli rossi del proprio sangur rispetto a quelli del sangue altrui è conferente con la categoria di onda formaturale, sia in senso stretto che in senso lato, visto il suo carattere finalistico collegato alla coerenza informazionale. La tca ci fa inoltre capire in quali modi e con qual caratteristiche nascoste i nostri organismi, che sembrano quasi del tutto identici nelle parti microscopiche e negli aspetti funzionali, possano invece diversificarsi profondamente e con quali modalità, per essere più immuni o soggetti a specifiche malattie o a specifici stati mentali e situazioni sociali. Grazie alla tca gli studi psicanalitici, le teorie fisiche, mediche, giuridiche, religiose, sociologiche e filosofiche trovano punti di contatto e spiegazioni reciprocamente conferenti, che fanno pensare alla scoperta di un uovo di Colombo, ma questa volta con un potere ermeneutico tuttora impareggiabile e decisivo.

Sono tuttavia in disaccordo con Targ quando afferma che non si deve aver paura della stregoneria. L’importante, a mio avviso, non è certo avere paure irragionevoli, verso fenomeni vaghi e imprecisati. Tuttavia se l’uomo riuscirà a varcare nuovamente i confini entro cui la psiche è stata finora rinchiusa, dovrà nuovamente porsi (e su basi molto più civili, dal nostro punto di vista) dell’influsso psichico altrui sulla salute fisica e mentale e sul comportamento umano. Fenomeni di tale influenza sono sempre stati presenti nella storia umana, solo che le rotaie culturali imposte dall’attuale civiltà li hanno enormemente ridotti e resi più residuali. Ciò non significa che frattanto siano del tutto scomparsi, o che non possano avere grande importanza in situazioni specificamente caratterizzate (come la violenza in ambito domestico, nella quale non sono solo le percosse il problema, ma la vera e propria riduzione in schiavitù di un essere umano ad opera di un altro).

La messa in crisi del modello della psicocinesi biologica – modello che è basato sul principio causalistico - è avvenuta a seguito di un esperimento (citato da Targ a pag. 138 di Limitless mind) in cui si permetteva all’influenzatore a distanza di guardare in tempo reale i risultati della sua influenza, a livello di misurazioni diagnostiche, affinchè imparasse ad influenzare sempre meglio il risultato. Ma il modello della tca non viene messo in crisi: infatti la possibilità di controllare il proprio operato, grazie a dei feedback continui, può ben ridurre le possibilità concrete di raggiungimento delle configurazioni-target e della loro adeguata trasmutazione. Infatti la focalizzazione dell’attenzione sul feedback impedisce di concentrarsi sul vero obiettivo, che è la messa a punto di un’adeguata onda formaturale (in senso lato). La questione poi dell’interazione tra influenzato ed influenzatore a distanza, proposta da Braud e ripresa da Targ, ci riporta al principio di coerenza ed è perfettamente conferente con la necessità di raggiungere l’accordo costitutivo sull’essere con l’essere stesso. L’uomo non può soggiogare psichicamente un altro uomo, se non nel contesto dell’accordo citato. E’ tale accordo che consente i salti paradigmatici che introducono l’influenzatore nella configurazione dell’influenzato o agganciano quest’ultimo affinché, per telepatia, sia trapiantato nella configurazione in cui si trova l’influenzatore, che ne domina la struttura e può veicolarlo a piacere, finchè questi non ne prende consapevolezza e si ribella (magari recedendo da un contratto concluso “fuori dai locali commerciali”). Ciò è anche conferente con le tradizioni sapienziali delle religioni

603 R. Targ, Limitless mind, pag. 133-134.257

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istituzionali, che nei loro testi sacri parlano dell’intimità e della confidenza tra l’essere supremo (o sue manifestazioni) e il credente, che ottiene così espressioni potenti di giustizia a proprio favore. Il dominio che il credente ottiene sull’empio (cioè su chi è estraneo al rapporto con l’essere supremo) è anche psicologico, non solo fisico, come si vede nei sogni e nelle visioni che terrorizzano ed uccidono gli empi, o mettono in guardia il credente o il profeta, dandogli istruzioni operative per salvarsi e per portare avanti il messaggio dell’essere supremo stesso. Una nuvola a forma di mano diventa per Elia un segno chiaro di tempesta devastante in arrivo. Un fiore che sboccia su una particolare pianta offre a Geremia una interpretazione escatologica potente, che ottiene un feedback da parte dell’essere supremo. Gesù parla di segni, ma rifiuta un segno dall’alto (cioè un segno che elimini la necessità di un rapporto personale tra essere e credente, in quanto lo soverchi e lo inibisca con la propria espressività eccessiva). Se quindi una rivoluzione psichica consentirà ad alcuni di prevalere culturalmente su altri, non si tratterà di un segno dall’alto (già fallito in occasione dell’exploit di Elia sul Monte Carmelo), ma di un appuntamento escatologico profondamente accolto e sentito, nonché estremamente evolutivo in chiave relazionale e non dispotica.

Anche la piegatura di metalli per via “psichica” può spiegarsi con l’aggancio di un corpo metalli con un pda-dist appositamente performato per condurre il pda del corpo stesso in una configurazione analogica che permetta una regola di piegatura inspiegabile con le attuali teorie fisiche neopositiviste.

Il pregio di Limitless mind è anche quello di presentare le esperienze di molti esoteristi, cercando di offrire, per ciascuno di loro, un distillato di formula vincente. A partire dal racconto relativo a Patricia Sun (pag. 144 e ss.), ho provato a immaginare cosa avessero in comune i cammini di formazione che hanno condotto persone come lei a scoprire se stesse. Facendo girare tali percorsi (come appunto dei pda) nella teoria delle configurazioni analogiche, mi è saltata all’occhio la distinzione proposta da Targ tra coloro che compiono (ad esempio) guarigioni con una tecnica da loro stessi condotta e coloro che compiono guarigioni sintonizzandosi sul canale di qualche entità superiore. Questi ultimi affermano, in genere, di non aver compiuto loro stessi la guarigione, ma di essere stati un canale con l’entità superiore, grazie a cui il paziente stesso si è guarito o ha ottenuto guarigione. I primi, al contrario, affermano di compiere la guarigione grazie ad una propria tecnica. Entrambe le categorie di esoteristi, tuttavia, hanno dovuto compiere un cammino personale, finché ad un certo punto della loro formazione non è avvenuta un’illuminazione ( insight). Se dovessi scrivere un saggio sull’autocostruzione di un esoterista, spiegando come diventare io stesso (leggi: il lettore stesso) esoterista dotato di una certa specifica capacità utile agli altri, il saggio avrebbe la lunghezza delle seguenti righe del presente capoverso. Basterebbe, infatti, precisare che ciascuno ha un proprio 5lc, costruito grazie al mii. Non appena tale 5lc diventa abbastanza ampio, in certe direzioni strategiche per l’individuo in formazione, si aprono due possibilità di sviluppo in campo esoterico, che corrispondono alle due categorie di esoteristi di cui ho testé parlato. La prima categoria, che sviluppa una propria tecnica personale, raggiunge una configurazione analogica remota (CRA), per la prima volta, grazie al msf: da questa CRA costruisce (in genere in alcuni anni) il percorso a ritroso, fino a tornare al 5lc da cui aveva preso la spinta iniziale, ma accorciando comunque il tragitto per alcuni tratti, grazie al mpm; avendo a questo punto a disposizione un sentiero tappezzato di ponti mistici, impara a far attraversare i ponti mistici anche agli altri, ma aggiungendo ponti mistici ulteriori, al fine di non dover far compiere ogni volta ai suoi beneficiari quei lunghi tratti che egli ha ben perlustrato con il mii. La seconda categoria, che si offre come canale per un’entità superiore (poniamo: l’essere supremo; ma funzionerebbe anche se si trattasse di un’altra entità, pur molto meno dotata), impara ad abbandonarsi al ponte mistico dell’entità superiore, per essere condotto nella CRA insieme a chi si affida a loro: dovrà quindi soltanto imparare a mettere anche gli altri nella disposizione giusta per attraversare il ponte mistico, grazie ad un apposita espansione del 5lc, che avviene grazie al mii; una volta giunto con il beneficiario nella CRA, l’esoterista si lascia guidare dall’entità superiore, che compie quanto occorre (e che essa stessa ha preordinato o decide sul momento, in base al contesto, di compiere) per integrare i pda e sub-pda mancanti nel beneficario stesso. In entrambi i tipi di esoterismi, se il beneficiario (magari con più tentativi) impara da solo ad abbandonarsi al ponte mistico, i benefici acquisiti permangono a tempo indefinito; se invece non vi riesce, accade ciò che dice Gesù sul ritorno ancor più dannoso de “l’immondo pnéuma” (si pensi, ad esempio, alle recidive delle malattie gravi, tra cui svettano per importanza, oggi giorno, i tumori). L’accordo costitutivo sull’essere, da stringersi con l’essere stesso, è ingrediente indispensabile sia per i “tecnici” che per i “mistici” (qualunque sia l’entità che

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funga da guida, in quanto il canale del ponte mistico è comunque soggetto al coordinamento più alto della tecnica costitutiva). E’ molto significativo l’accenno che T. Palamidessi (fondatore degli archeosofi) fa al guardiano (minore) della soglia, che è l’uomo stesso nella sua versione occulta. Quando proviamo ad immergerci nella percezione a distanza o in altre attività ESP, l’ostacolo iniziale e più difficile da superare siamo noi stessi. L’osservatore-uomo, per diventare interprete, deve motivare se stesso con un finalismo specifico, che si adatti al compito che razionalmente abbia scelto di assolvere. Ma entrati in questa sorta di occulto che è il superamento dei nostri limiti, il nostro sostanziale disinteresse per il compito razionalmente assunto deve essere superato, grazie alla costruzione opportuna del 5lc. Ciò non può avvenire, però, per un compito etero-assegnato: devo imparare a comprendere la vera natura del mio desiderio, che è un anelito molto specifico, le cui basi vanno gettate al fine di renderlo più consapevole possibile. A quel punto si sbloccano le illuminazioni che guidano il percorso tecnico-volontaristico e mistico. Finché non entro nella configurazione remota che costituisce la mia passione, non posso iniziare il lavoro nascosto di ricongiungimento al 5lc; finché poi non ho raggiunto il 5lc, non posso avere l’illuminazione che mi guida ad aiutare gli altri a percorrere in direzione opposta il mio stesso cammino.

Un posto importante tra le attività ESP sembra essere occupato dai cd. sensitivi. Nel libro Second sight di Judith Orloff, viene descritta la prima esperienza matura di visione a distanza dell’autrice, alle pagine da 25 a 31. Tale esperienza si differenzia dalla visione a distanza descritta da Targ, poiché è più vivida e simile alla realtà cui siamo abituati. In tale esperienza Orloff dichiara di aver visto la casa di una ricercatrice in ambito ESP, la Dott.ssa Moss, dal momento in cui questa le ha dato da prendere in mano un mazzo di chiavi (che da subito la Orloff ha capito essere le chiavi di casa della ricercatrice). Il lungo capitolo precedente, che s’intitola Iniziazione, parla del vissuto dell’autrice: è grazie a tale capitolo che si può capire cosa significasse per Orloff il gesto di Moss. Si trattava di un gesto per entrare in relazione, pur mantenendo la professionalità di una ricercatrice che godeva della stima indiretta dei genitori dell’adolescente Orloff. Viene quindi da pensare che se la situazione in cui i due soggetti si fossero incontrati o il gesto di Moss fossero stati diversi, non sarebbe scattata la visione, che per il resto ha una sorta d’innesco inconscio. Orloff non decise – a quanto narra – di percepire alcunché di preciso, ma il suo finalismo in quella situazione così specifica era stato preparato fin dall’infanzia da decine di episodi. In tale situazione si era caricato l’anelito di vita della Orloff, ma non vi era una predisposizione cosciente delle regole del gioco, come nella visione a distanza di R. Targ. Premesse diverse, esiti diversi. Facendo girare queste informazioni nella tca604, si può supporre che l’esperienza sensoriale così vivida e così inaspettata (e quindi inconscia nel suo emergere) sia giustificata dall’esercizio del mpm605. Il mpm può attivarsi per etero-telepatia o per auto-telepatia. La prima è quella situazione configurazionale in cui un soggetto trasmittente diverso dal ricevente tira quest’ultimo, guidandolo dove desidera. La seconda è la situazione in cui il mio io di una vita biologica precedente, tuttora attivo in altri cd. regni dell’aldilà, trova una situazione in cui esercitare in me i CS cristallizzati. Non è infatti stata la Orloff, coscientemente, a ripristinare i CS cristallizzati in una vita precedente, ma quello che altri chiamano “guardiano (minore) della soglia”, e che io chiamo “onda-timbro dell’essere di una cd. precedente vita biologica”. Per riattivare dei CS cristallizzati occorre sapere di averli a disposizione e di quali cose siano capaci a livello ermeneutico: senza queste informazioni (almeno inconsce), un CS non può essere richiamato. Dagli io delle nostre precedenti vite biologiche non possiamo tuttavia recuperare queste memorie se non con ipnosi regressiva o altre modalità equivalenti: non si tratta di memorie immediatamente disponibili: esse non fanno parte del nostro organismo. E’ quindi opera della mia onda-timbro di una precedente vita se rispolvero all’occorrenza e senza un mio impegno consapevole delle capacità sepolte nella vita precedente.

A pag. 37 dell’opera di Orloff emerge in modo chiaro come il contesto relazionale (in cui le facoltà ESP emergono) ne faciliti enormemente l’espressione; emerge anche come l’ansia da prestazione possa impedirle. Inoltre sembra che la percezione sensitivistica colleghi sempre a qualche immagine, la quale è direttamente o mediatamente in collegamento con il finalismo del soggetto con cui il sensitivo è collegato. Il mittente può inviare il nome di una persona, o la sua identità, o sketch di vita vissuta o in costruzione, purché ognuna di queste informazioni siano molto sentite interiormente dal mittente. La rivoluzione della psiche richiede, insomma, di far leva su un interesse forte dell’uomo: ma l’uomo si scontra

604 Tca = teoria delle configurazioni analogiche.605 Mpm = metodo del ponte mistico.259

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quotidianamente, ad ogni istante, con il proprio disinteresse per il suo stesso destino, figurarsi per ciò che può ribaltarlo in positivo. Chi prende a cuore la propria stessa causa, invece, non ha limiti precostituiti che non si sciolgano come neve al sole: basta corroborare il proprio interesse con l’applicazione fedele, confidente, quella che in ambito confessionale viene chiamata “fede”. Una fede cieca può portare a risultati di piccolo momento, il confidente invece abbatte ogni proprio limite che ritenga odioso e che porti a percezioni esecrate (vd. le nostre tesi sul sentimento, nel capitolo sul salto paradigmatico ed in quello sulla cristallizzazione dei CS). Ciò spiega anche come l’uomo, pur dotato di facoltà psichiche, tenda a strumentalizzarle non per coltivare il proprio vero interesse, sentito con forza, ma per autoglorificarsi in modo fatuo, come può essere successo al controversissimo Uri Geller (che molti dicono di aver visto e controllato nell’autenticità delle sue performance, ma che potrebbe – come sembra dai video collezionati da James Randi – aver fatto anche dell’illusionismo in contesti algidi (e quindi poco interessanti per la psiche umana) come quelli televisivi). La ritrosia dei sensitivi e di chi pratica l’ESP verso manifestazioni televisive o troppo “verificazioniste” e quindi scettiche è testimoniata sia da Targ che da Orloff. Entrambi offrono, nelle opere finora citate, ottimi spunti su come non disperdere la propria “vena” psichica o energetica con simili scempiaggini, ma coltivarla in modo più responsabile e proficuo606. Soggetti come loro devono aver incontrato le maggiori difficoltà per l’incapacità dell’opinione pubblica di entrare nel vivo dei temi più profondi e per il cattivo esempio che altri del loro settore non hanno mancato di dare. Ben venga che l’uomo si autoglorifichi (questa può essere la vera glorificazione anche per l’essere supremo: vd. La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà), ma ciò non significa che ogni autoglorificazione sia glorificazione dell’essere. Il motivo per cui ancora la rivoluzione della psiche non è decollata, a livello collettivo ed istituzionale, è che viene approcciata con un armamentario logico e con un finalismo vecchi. Si pensa di convincere i neopositivisti riduzionisti (cioè la stragrande maggioranza dell’umanità, anche se nessuno è neopositivista al 100%) adattando la rivoluzione psichica all’armamentario logico neopositivista, anche se questo, pur non potendole negare, non può che congelare nel freezer le innovazioni in campo psichico. Inoltre si pensa di poter convincere le collettività a potenziare la psiche, quando invece si scelgono rigagnoli di sapienza che vanno seccandosi: la vera rivoluzione psichica riguarda l’io individuale che diventa io comunitario, trascinandosi dietro l’io collettivo quasi come un danno collaterale. L’io individuale che, avendo gustato la purezza dell’io comunitario, cercasse d’introdurvi l’io collettivo, diverrebbe esso stesso io collettivo e niente altro. Se voglio la rivoluzione relazionale della psiche, essa deve riguardare me come io individuale che diventa io comunitario: nell’io comunitario troveranno poi riposo gli uccelli del cielo (cioè gli altri idealisti che hanno tentato inutilmente di convincere l’io collettivo della bontà dell’io comunitario). E con questi ultimi idealisti, in assenza di altri idealismi disponibili, verranno trascinati anche gli altri io collettivi che erano privi ab origine d’idealismo.

Raramente la guarigione (anche l’autoguarigione) può essere plateale. A pag. 55 di Second sight si dice chiaramente: “presto scoprii che la guarigione non funziona in questo modo”. Orloff si riferisce a guarigioni eclatanti come “inversione del cancro”. L’inversione del cancro, in particolare, fu citata in un’occasione da mio fratello (medico specializzando in igiene) come prova necessaria per farlo credere nelle capacità di guarigione alternative alla medicina occidentale. Non dico che non possano avvenire o che non siano avvenute guarigioni così eclatanti, ma che non costituiscono l’aspetto proprio e più potente della guarigione “psichica”. Dobbiamo considerare che l’auto-guarigione, come anche l’auto-ringiovanimento, si esprimono di continuo (a livello del linguaggio analogico-configurazionale) nel nostro organismo, ma con un trend positivo o negativo. Con l’accumulo di errori analogico-configurazionali, poi, il trend si stabilizza come negativo in sempre più pda607, finché non si arriva ai primi micro-effetti domino, che compromettono singole nostre funzioni e apparati (c’è anche chi sta bene, finché non ha un effetto domino completo, morendo magari per un’influenza da cui molti hanno davvero poco di cui dolersi). Non accorgendoci

606 A ripensarci, la pagina di Limitless mind in cui Targ racconta della cena improvvisata con alcuni amici che praticavano l’ESP, tra cui la sensitiva Orloff, è davvero significativa. La interessenza tra di loro, in quel momento conviviale ma anche elettrizzante, ha potenziato e reso complementari le loro specifiche capacità, senza che la presenza altrui inibisse, anzi facendo sì che potenziasse enormemente la capacità espressiva dei loro poteri percettivi. Addirittura mentre Targ praticava la visione a distanza, Orloff ha dichiarato di vedere un raggio energetico che partiva dalla sua mente e arrivava fino al bagno (in cui doveva essere visualizzato l’oggetto a distanza).607 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.260

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dell’auto-guarigione né dell’auto-ringiovanimento, non ne beneficiamo che il minimo indispensabile per vivere male e, a volte, morire anche peggio. La guarigione di un altro è rinvigorire l’onda formaturale che guida all’evoluzione (e quindi alla conservazione) i suoi pda, tra i cui elementi analogici ci sono anche gli elementi che siamo abituati a percepire (fattezze, organi e finanche cellule del corpo umano). Sentirsi amati fa ringiovanire la pelle (almeno così mi pare), invece non sentirsi amati affatto sembra farla invecchiare. Ma grazie alla (sacra) scrittura e alla sua interpretazione profonda possiamo precisare questi e molti altri elementi, arrivando ad una sapienza che possa colmare il dislivello con gli obiettivi psichici più ardui, tra cui il ringiovanimento e la guarigione perenni. Ciò non esclude né il collasso improvviso dell’organismo umano, né la possibilità (in casi particolari) di una guarigione miracolosa ed eclatante. Entrambi i tipi di episodi sono descritti nella Bibbia greca. Gesù fa diverse eclatanti guarigioni, ma dove c’è poca fiducia ne fa pochi. Paolo di Tarso vede che un uomo paralitico è pronto per la guarigione, così lo invita ad alzarsi e questo guarisce istantaneamente: è lo stesso Paolo, però, a vedere questa potenzialità non in se stesso ma in chi sta per guarire. I suoi pda, appartenenti al sistema configurazionale della locomozione, erano pronti a ricevere quei pochi collegamenti mancanti che avrebbero riattivato l’intero sistema. Ciò non era evidente, ma era il frutto di un’attività di auto-guarigione potente che il “miracolato” aveva intrapreso forse da decenni e che era culminata nel kairòs (occasione opportuna d’incontro) preordinata dall’essere supremo e colta da Paolo come suo apostolo (= equipaggiato al modo della nascita608). I malati si stendono a terra davanti a Pietro cercando di essere sfiorati dai lembi della sua veste, per essere guariti. Non si dice che venissero guariti, ma solo che avessero questa intenzionalità. E’ grazie a tale intenzionalità che qualcuno di loro poteva auto-guarirsi, fissando nelle onde formaturali dei propri pda quegli elementi percettivi, intuitivi e intellettuali mancanti, che lo sfioramento della veste di Pietro poteva aggiungere. L’auto-guarigione funziona con lo stesso feed-back di cui parlo nel contesto dei linguaggi non-trasmutati. Come già specificato il nostro “futuro” già scritto altro non è che quel novero di sub-pda vergati nei linguaggi non trasmutati. Si tratta di quei collegamenti analogici che non rientrano tra le categorie logiche tipiche del nostro 5lc609 e di cui pertanto non riusciamo ad accorgerci. Tuttavia tali collegamenti, più avanzati nel pda, sono in continua vibrazione logico-strutturale610 con i linguaggi trasmutati (cioè con i collegamenti analogici di cui siamo in grado di accorgerci). Il feer-back tra linguaggi non trasmutati e linguaggi trasmutati (o, detto ancor meglio, tra sub-pda non trasmutati e sub-pda trasmutati, collegati tra loro per incrocio o in sequenza) ci consente di aggiustarne reciprocamente il tiro. Se infatti intuisco che qualcosa non va nel mio “futuro”, rispetto alle aspettative che mi sono fatto nel presente, posso fare qualcosa per cambiarlo; allo stesso modo, se mi sento in trappola nel presente, il “futuro” – se da me opportunamente alterato - può regalarmi (grazie all’intuizione che diventa comprensione intellettiva) le categorie logiche per salvarmi. Mi capita spesso di cercare di ricordare un sogno, molto vivido, che ormai è svanito. Posso concentrarmi su di esso, sapere che mi sto riferendo ad esso, magari non mi ricordo nessun particolare di esso e nemmeno se l’ho sognato quella stessa notte o quella precedente, ma so che mi sto riferendo proprio a quel sogno. Passano pochi secondi e non so più a quale sogno mi sto riferendo, o meglio, lo sento meno vivido: so che tra qualche ora non saprò più a quale sogno mi riferisco (nonostante già ora, che lo sento vivido e so di rifermi ad esso, non ne riesca ad articolare logicamente nemmeno un particolare). Siamo pieni di collegamenti coscienti a sub-pda che ormai non hanno più alcun riferimento a categorie logiche trasmutate! Ovviamente sopprimiamo presto questi collegamenti, poiché troppo impalpabili, ma costituiscono ciò che ci rende vivi interiormente e, in senso mediato, anche esteriormente. Il nostro equilibrio psico-fisico è interamente legato al nostro sapere e non sapere, esprimere e non esprimere, in ogni cosa che facciamo, questi collegamenti. Tali collegamenti possono assurgere a feed-back, cioè ottenere un riscontro evolutivo, nel “futuro”. I sub-pda a cui ci colleghiamo, infatti, possono cambiare e cambiarci nei modi evolutivamente più opportuni, non appena diamo loro il nome giusto. Il nome è il nome al di sopra di ogni altro nome, di cui parla la scrittura. Un nome con un’immensità di sfumature, che lo fanno riconoscere pur in modo irrazionale, anzi, in modo da trasformare la nostra razionalità. Ma la trasformazione, come la conformazione, è vicendevole. Se trovo

608 Il modo peculiare in cui traduco le parole scritturistiche viene spiegato in vari saggi, tra cui in particolare ne Il testo-ricerca, disponibile sul sito www.bridge4will.net. 609 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.610 Mi riferisco alla percezione logico-strutturale, che collega gli elementi sc con gli altri elementi sc a valle. Vd. i capitoli relativi all’elemento analogico e allo sfrangiamento.261

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il nome, lo trasformo con ciò che sono, ed esso trasforma me facendomi diventare ciò che davvero sono. Ciò che sono e ciò che davvero sono non rappresentano la stessa identica cosa, ma un’immagine riflessa in uno specchio. Per lo studio del rapporto speculare, potete far riferimento a due saggi che ho pubblicato (ancora incompleti) sul medesimo sito su cui è pubblicato questo saggio: La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà e Trinità o funzioni conoscitive?.

Il sensitivo può percepire anche le anime dei morti? Secondo Orloff è possibile percepirle anche in correlazione a luoghi specifici, come entità reali quanto gli esseri viventi che vi si trovano in quel momento. Ciò è perfettamente conferente con la nostra teoria, in base alla quale si comprende perché la stragrande maggioranza degli esseri umani non riesce a percepire tali anime: la loro percezione appartiene a configurazioni esterne al 5lc (= “quinto livello configurazionale confinato”: vd. il relativo capitolo). Per percepirle, si può partire dalla riattivazione di un CS, di cui si è preso consapevolezza per autotelepatia, o affidarsi ad un ponte mistico. Entrambi i sistemi sono descritti nei relativi capitoli (il secondo intitolato I metodi per il raggiungimento delle configurazioni analogiche remote). Con molta dedizione si possono seguire anche gli altri due metodi (msf e mii), preferenzialmente aiutandosi con i ponti mistici scritturistici. Seguono tale strada coloro che cercano un contatto con i cari defunti ascoltando i nastri registrati su musicassette.

Il sensitivo può perdere le proprie capacità: anzi, per acquisirne di nuove, deve spesso sminuire l’effettività di altre. Ciò avviene in particolare nel caso in cui metta in gioco il finalismo di conformazione ad una certa configurazione. La conformazione si esprime in senso finalistico quando l’osservatore si arrende desideroso ad un ponte mistico o ad una prima anomalia. Il ponte mistico viene spiegato nel capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote; la prima anomalia è spiegata nel capitolo sul salto paradigmatico. Entrambi generano un salto paradigmatico inconscio: il primo è in grado di trasportare in una configurazione remota come in una adiacente, il secondo solo in una configurazione adiacente. La conformazione basata sul ponte mistico è più potente nel destrutturare ciò che è con essa incompatibile; la conformazione basata sulla prima anomalia, invece, non è molto potente nell’opera di destrutturazione. Quest’ultima è infatti una modalità adoperatissima, per ogni nostra operazione quotidiana: è una forma che si esprime alternativamente come continua auto-telepatia, basata su sub-pda già costruiti che non si sono ancora destrutturati o sulla riattivazione di sub-pda del 5lc, oppure, se questi ultimi sono già destrutturati o mai costruiti nell’organismo dell’osservatore, come frequente eterotelepatia da parte dei professionisti di aree del 5lc non dominate direttamente dall’osservatore. Il finalismo che accompagna la prima anomalia è infatti poco intenso: si accompagna quindi ad un’onda formaturale poco forte e quindi anche poco destrutturante altri percorsi. Il finalismo che accompagna il ponte mistico, invece, è pervadente: è affidamento senza compromessi: quindi la sua onda formaturale è pervedente molti ambiti che non siano conformi a ciò cui ci si conforma.

Il sensitivo può percepire qualcosa di particolare nel momento in cui qualcun altro muore. Ce lo riferisce Orloff a pag. 77 di Second sight, con queste parole: “Era un silenzio che superava ogni suono, penetrando in ogni poro del mio essere, come se il silenzio lo sapesse bene di essere in realtà parte della mia sostanza. La sensazione non era da brividi o fredda; era calda, rilassante e gentile, irradiava pace. Psichicamente la mia impressione fu che si fosse verificata una reazione alchemica: il corpo morì, riapparve il silenzio e rientro e dopo una pausa di secondi o addirittura minuti, la sua essenza si trasformò in amore. Ho sempre sentito che ero sulla soglia di un grande mistero, il punto in cui la vita come la conosciamo è completata e lo spirito prende piede”. Non possiamo esimerci dal commentare e far girare queste parole nella tca, per scoprire come interpretarle. Ciò non significa né sminuirle, né tanto meno profanarne il senso di mistero. La spiegazione che proporrò, invece che eliminare il mistero, ne sposterà l’attenzione su qualcosa di ancor più profondo e misterioso, nonché soprattutto di più venusto. La scrittura biblica ci dice che vi è un solo mistero: quello dello pnèuma (= vento, soffio, respiro nella sua percettività) e della ekklesìa (= assemblea). La scrittura stessa cerca di spostare sempre più avanti il confine conoscitivo rappresentato da questo mistero, senza per niente volerlo sondare del tutto, ma volendolo approfondire. Prendendo le parole della Orloff e interpretandole, voglio proprio fare questo. Essa ci parla di sensazioni ineffabili, che prova e descrivere a parole. Ma nessuno di noi sa razionalmente cosa significhino espressioni come “riapparve il silenzio”, se non riferite ad elementi percettivi consueti come i suoni e i rumori, misurabili in decibel e ipoteticamente riportabili in funzioni d’onda. Ma il nostro limite, come ormai sappiamo, è quello del 5lc,

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cioè del quinto livello configurazionale confinato, in cui sono ospitate le configurazioni analogiche tra cui siamo in grado di muoverci con scioltezza (sia logica che intuitiva). Orloff ci sta parlando di altre configurazioni, esterne al 5lc, rispetto alle quali può darci descrizioni solo tendenziali, che ci paiono troppo soggettive (per quanto per alcuni senz’altro belle). L’imprecisione di queste descrizioni è quindi in parte imputabile al limite dell’attuale 5lc, non ad un limite dell’osservatore-uomo in quanto tale, né tanto meno della prosa della Orloff. Ma il limite è ben più grande di un limite transeunte, attribuibile esclusivamente al 5lc. Ci troviamo, infatti, dinanzi ad un tentativo di costruire una descrizione dell’ineffabile puro. Ce ne accorgiamo perché Orloff usa espressioni-segnale del tipo: “un silenzio che superava ogni suono, penetrando in ogni poro del mio essere”. Espressioni così mirabolanti, rispetto ad una qualunque possibilità descrittiva, c’indicano chiaramente che ci troviamo nel campo dell’ineffabile puro, cioè di un ineffabile che non solo non può essere esaurito con delle descrizioni, ma che si sottrae a qualunque percorso prestabilito per avvicinarlo. Non potremo sentire lo stesso ineffabile che ha sentito Orloff, grazie alle sue parole, se non sarà l’ineffabile puro a lasciarsi avvicinare grazie a quelle parole. Siamo poi sicuri che, se anche l’ineffabile puro avrà voluto lasciarsi trovare una volta grazie a tali parole, non ci permetterà di avvicinarci ad libitum a lui, grazie ad esse. Occorreranno sempre nuove parole, o le stesse ma vissute diversamente, per avvicinarci di nuovo all’ineffabile puro, e non potremo mai stabilire se esso si stia esprimendo alla stessa maniera sol perché adoperiamo le stesse parole per avvicinarlo: potrebbe esprimersi ogni volta in modo radicalmente diverso, anche tramite le stesse parole, oppure non esprimersi affatto, anche se considerassimo ciò un atteggiamento capriccioso. Questa particolare qualità d’ineffabile, che nella scrittura greca viene chiamato pnèuma (cioè “respiro” nella sua componente percettiva), è appunto lo stesso respiro del vivente. L’organismo non può esistere, se non in relazione a quest’anelito che ci fa svegliare la mattina e ci dà la forza di muovere ad evoluzione i nostri pda. In ogni elemento analogico di ogni pda vi è quindi insito un castello di elementi collegati grazie all’ineffabile puro. Esso cioè (come spiegato nel capitolo sull’analogia singolare grafèica di analogica singolare grafèica, d’ora in poi “collegamento ASg-ASg”) ci rende accessibili, in modo talmente intuitivo da non essere razionalizzabile in alcun modo in maniera stabile, molte configurazioni analogiche con i loro elementi. Riconosciamo, in maniera provvisoria, quali siano le configurazioni e gli elementi toccati da tale collegamento ASg-ASg, solo perché costruendo una ipotesi espressiva (come ha fatto la Orloff) possiamo ottenere un fatuo, quanto venusto, feed-back, che per quanto fatuo non è inutile, anzi costruisce la nostra relazionalità e le nostre convinzioni evolutivo-conservative. Tali feed-back possono a loro volta essere costruiti, grazie alla tca, come increspature delle onde formaturali di pda che incrociano le configurazioni-target (quelle toccate dal collegamento ASg-ASg). Tali increspature sono percepibili studiando con dei pdac611 consci questi ultimi pda. Come avvenga questo studio è possibile scorpirlo studiando il capitolo sullo schema configurazionale, in cui si spiegano i due moduli della percezione intuitiva e della percezione logico-strutturale, nel loro alternarsi e congiungersi per darci l’impressione illusoria della realtà. Tale illusione è tutt’altro che fatua (anche se è proprio questo il suo primo modo di porsi, al di là delle apparenze), purché resti sigillata all’ineffabile puro, grazie alle altre forme d’ineffabile che ho chiamato analogie singolari sefèriche. Rimando per la complessa spiegazione all’opera Analogia singolare612, oltre che al capitolo relativo al collegamento ASg-ASg di questo saggio.

Orloff, parlando della sua esperienza di medico di guardia in un hospice, ci regala un’altra perla da analizzare. Essa confessa di non aver voluto confidare ai suoi colleghi le proprie percezioni e riflessioni sulla morte, cui ogni giorno assisteva nella struttura in cui prestava servizio. Ma nonostante la sua reticenza, la porpria riflessione interiore era continuata anche in quegli anni. “Ancora viva, la mia spiritualità era in un posto segreto che nessun altro poteva toccare” (Second sight, pag. 78). Anche questa espressione, rispondente alle proprie parole dell’autrice, può essere fatta girare nella tca, rivelando significati inattesi ed illuminanti. Com’è possibile che una persona, nella sua formazione di medico (soprattutto negli anni ’70 del secolo scorso), mantenesse vive le proprie convinzioni spirituali, nonostante i relativi pda fossero continuamente esposti allo sfrangiamento? Ebbene vi sono alcuni pda, o interi sistemi configurazionali, che possono essere privati di significativi collegamenti con gli altri pda o sistemi, al fine di rimanere in un limbo da cui possano essere ripresi. Se infatti un pda o sistema di pda mantiene il suo finalismo, ma viene privato della “gemma apicale” grazie ai pda-dist che l’hanno aggredito, può ad un certo punto rimanere al riparo

611 Pdac = pda di controllo. La spiegazione dei pda di controllo è contenuta nel relativo capitolo.612 Analogia singolare è scaricabile gratuitamente dal sito riportato nell’epigrafe di questo e-book.263

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dai pda-dist proprio perché smette di evolvere, se non magari raramente. Rimane al riparo anche per un altro motivo: che è una parte molto avanzata dell’organismo, che attecchisce in configurazioni abbastanza remote rispetto al 5lc613, in cui continuamente ci troviamo inseriti. Non subendo più, quindi, gli agganci dei pda-dist (che contribuirebbero a decretarne lo sfrangiamento, depredandone il finalismo) e mantenendo il proprio finalismo intatto, per il suo trovarsi al confine con l’ignoto, il sistema rimane tuttavia sospeso per assenza della “gemma apicale”, cioè per mancanza della qualità di “gemma apicale” nell’ultimo elemento dei pda che lo compongono. La “gemma apicale” è quell’elemento analogico del pda che si trova in ultima posizione nel suo schema: è grazie alla gemma apicale che si riesce a collegarsi ad altri elementi successivi, che diventano volta per volta la nuova gemma apicale. Non vi è più gemma apicale nel sub-pda a valle, non appena viene incrociato da un pda-dist. Tuttavia può restare indenne allo sfrangiamento se ancora vibrante di finalismo. E’ necessario, tuttavia, che ogni tanto un pda ne incroci gli elementi, in qualità di pda recessivo, o che un pdac conscio torni a visitare i suoi elementi. In quei momenti si riaccende il finalismo e possono aversi nuove gemme apicali, finché un pda-dist lo spoglia nuovamente della gemma apicale (ma ancora una volta senza poterne annullare del tutto il finalismo, che rimane a giacere vivo sotto le ceneri). Si può in ultima analisi attribuire questa capacità di conservarsi del finalismo ai pdac inconsci, che nel secondo livello configurazionale continuano ad irraggiarsi fino ai suoi elementi, tenendolo indenne dallo sfrangiamento. I pdac consci e i pda recessivi che ne incrocino gli elementi ripristinerebbero e renderebbero sempre più potenti i pdac inconsci, operando ogni tanto, se capita, qualche cristallizzazione dei CS (che è tuttavia rara, in questo contesto spirituale). Una conferma magnifica della spiegazione che abbiamo proposto si ottiene leggendo il seguito del racconto di Orloff, in cui spiega la sua situazione interiore quando, terminato il tirocinio all’hospice, si è messa in proprio ad esercitare l’arte medica: “Sono stata programmata per pensare più che per sentire, e questa è diventata un’abitudine quando mi sono rassegnata alla perdita [del mio collegamento con il mondo spirituale (NdR)] e mi sono concentrata sul presente. Ma c’era un prezzo: vaga malinconia, un senso di assenza, un vuoto assillante, il tutto coperto dalla pressione incessante e dal movimento della mia pratica [medica (NdR)]” (op. cit., pag. 81). La “vaga malinconia” cui accenna ben si attaglia all’idea di un sistema configurazionale (o comunque di un novero in qualche modo collegato di pda) che sono tenuti vibranti da pdac inconsci, che ne ravvivano il finalismo manutendone la strutturazione. Tale sistema emetteva, ogni tanto, un campanello di allarme (sotto forma d’increspatura dell’onda formaturale dei pdac consci della Orloff, che andava a deviare i pdac stessi verso il medesimo sistema). Poi, dopo poco, interviva un pda-dist (appartenente ad uno dei sistemi configurazionali implicati dalla pratica medica), che toglieva nuovamente la “gemma apicale” al pda del sistema che si stava riattivando. Questo taglia e cuci indiscriminato e selvaggio andava ad acuire il senso di disagio e di sofferenza della Orloff, in quanto consentiva di costruire tragitti sempre più penetranti sia in direzione del sistema dimanticato, sia in direzione dei sistemi implicati nella pratica medica. Immaginate di venire sbalzati decine di volte, per meccanismi in parte coscienti e in parte inconsci, in una zona dimenticata della vostra coscienza, che non è compatibile con l’attività che siete consapevoli di dover svolgere per vivere e per sentirvi realizzati nell’immediato: una simile situazione comporta altrettanti sbalzi in direzione opposta, per ritornare nel solco di quei percorsi di coscienza che è necessario gestire nell’immediato. Ognuno di questi passaggi, in avanti e indietro, comporta un ulteriore effetto collaterale: il pda che rimane alla fine trascurato viene manutenuto da un pdac inconscio formato sul pdac conscio che lo aveva riattivato, proprio per il repentino scivolamento nell’inconscio che non ha permesso di esaurire il finalismo del pdac conscio. E’ così che il pdac inconscio ripete un pda interrotto, dall’elemento di aggancio all’elemento d’interruzione, manutenendolo nel suo finalismo sofferto. Tale finalismo sofferto è una sorta di grido di dolore dell’ineffabile puro di cui parlavamo, che va ad increspare le onde formaturali di altri pda, consci e inconsci. Quando increspa le onde formaturali dei pda inconsci, le sensazioni sono vissure come dolenti e interiori, nel loro essere imprecisabili. Il continuo pericolo d’incrocio di questi pda inconsci dalle onde formaturali increspate con pda inconsci: ciò può comportare malattie gravi, a lungo andare, o (se le increspature hanno un portato configurazionale troppo forte) anche dal decorso rapido.

Poteri psichici speciali sono appannaggio degli psicoanalisti, che non prendono quasi mai la parola con il paziente, lasciando che sia egli stesso a prendere consapevolezza (grazie a poche chiavi interpretative fornite di tanto in tanto dal terapeuta) della propria situazione e delle strade per uscirne. Ma di quali poteri

613 5lc = quinto livello (configurazionale) confinato. Vd. il relativo capitolo.264

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psichici si tratta? Parlare dinanzi ad un altro che rimane in silenzio, espone i pda consci e inconsci del paziente ai continui incroci inconsci con i pda inespressi del terapeuta. Questi non solo con il linguaggio del corpo (che in molti casi viene escluso, dal momento che il terapeuta si dispone dietro il lettino o comunque laddove il paziente non possa scorgerlo), ma anche con il proprio fluire di pda inconsci, va a modificare con incroci recessivi o con veri e propri pda-dist (per quanto inespressi, cioè a dire veri e propri interventi telepatici614) i pda incrociati e a stimolare le onde formaturali di quelli a loro volta incrociati da questi ultimi. Se il paziente riesce a razionalizzare, con appositi pdac consci, il portato configurazionale di questi maquillages, è in grado di potenziarne l’efficacia, fino a veri e propri salti paradigmatici consci. Ci vogliono, naturalmente, diversi anni per arrivare a questi risultati, che s’incrementano immensamente quando il silenzioso terapeuta fornisce una rara perla di sapienza, cioè un criterio interpretativo (che andrà ad impattare con frequenti pdac consci del paziente su interi sistemi configurazionali, proprio per il finalismo intensificato dal pagamento di una parcella abbastanza elevata in cambio di pochi spiragli di conoscenza espressa). La psicoanalisi ha quindi potenzialmente una grande efficacia, se s’instaura un rapporto di venerazione nei confronti del terapeuta, ma richiede tempo. L’immedesimazione del terapeuta con figure parentali di riferimento (padre o madre) potrebbe quindi risultare funzionale all’efficacia della psicoanalisi, purché il rapporto con tali figure riesca a configurarsi come qualcosa di stimolante e rivoluzionario, nel gioco di incroci recessivi e sostitutivi dei pda più strategici per i singoli sistemi configurazionali. Ciò che però sembra più rilevante da raggiungere o mantenere, in una relazione tra terapeuta e paziente, è la distanza del terapeuta. Questi deve poter essere neutrale, non coinvolto. Ma cosa comporta questo atteggiamento a livello configurazionale? Il paziente viene portato ad esporre continuamente i suoi pda ad un vaglio draconiano, in quanto essi vengono espressi a parole a voce alta, in un flusso di coscienza che mette continuamente a nudo i paradigmi specifici dei suoi racconti. Infatti, i paradigmi rimangono ben al riparo dal vaglio razionale, finché il flusso di coscienza non deve essere formalizzato a parole rivolte ad un interlocutore persona fisica. Proviamo ad analizzare questa situazione di protezione dei paradigmi del flusso di coscienza intimo. Esso si articola in pda che hanno frequenti incroci recessivi con altri pda: tali incroci sono spesso recessivi, e quindi non interrompono il pda attivo, poiché l’esigenza di appositi pdac è poco frequente, non essendovi quasi mai finalismi che ci richiedano di mettere alla prova i nostri pda mentre fluiscono in via per buona parte inconscia. In questo modo se una strutturazione logica è ormai sfrangiata, l’osservatore può collegarsi ad un elemento concreto e risalire immediatamente gli altri elementi concreti a monte, fino a trovare un elemento logico (collegato all’elemento concreto di approdo) che supporti a valle un’idonea strutturazione, oppure accontentarsi della catena intuitiva a monte senza indugiare in alcuna razionalizzazione (che richiede comunque l’attivazione di un pdac conscio). Se però l’osservatore è invitato, in qualità di paziente, ad esprimere in forma conscia il suo flusso di coscienza davanti al terapeuta, gli elementi mancanti d’idonea struttura logica non potranno più condurre alle configurazioni di arrivo, grazie ad un rimando agli elementi concreti e ai loro collegamenti con elementi strutturali che conducano, a valle, a configurazioni di arrivo diverse da quelle target. Il paziente, infatti, avendo un finalismo più arroventato tenderà ad attivare molti pdac consci, che vadano a corroborare la struttura logica mancante: ma non potendo corroborarla, saranno vittima di pda-dist che condurranno ad altre configurazioni di arrivo (incappando spesso in prime anomalie). Quest’ultimo passaggio ci suggerisce che il linguaggio analogico-configurazionale (che corrisponde in ultima istanza, grazie alle onde formaturali, all’organismo vivente) del paziente diventi inizialmente più misero, per la perdita di molte configurazioni (ormai deficitarie di alcuni elementi che ne componevano il relativo paradigma specifico di riferimento), che vanno così sfrangiandosi. I pda, rimasti monchi di tali configurazioni (che nell’inconscio riuscivano a mantenersi nonostante lo sfrangiamento, grazie ai pdac consci che le andavano a ripristinare in modo parziale, senza troppe pretese di rigore logico, grazie all’escamotage sopra descritto, che consentiva comunque di collegarsi agli elementi concreti della configurazione rimasti in piedi o di abbracciare le sole strutture logiche rimaste intatte), vengono quindi dirottati dai pda-dist su altre configurazioni meglio manutenute o s’interrompono bruscamente. Ma la maggiore manutenzione delle configurazioni che prevalgono non dice niente di positivo sulla loro qualità interpretativa, in quanto ciò che rimane in genere più attivo nell’organismo dell’individuo sono le configurazioni appartenenti al 5lc, non quelle più originali

614 Mi riferisco qui al mpm, cioè al metodo del ponte mistico, che è spiegato nel capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote.265

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che l’individuo può aver coniato per proprio conto o sulla spinta di ponti mistici più coraggiosi. Saranno i numerosi pdac del paziente e i pochi criteri interpretativi forniti dal terapeuta ad arricchire nuovamente il linguaggio del paziente e a renderlo più saldo, per l’abitudine di cristallizzare i nuovi CS acquisiti. In questo modo l’organismo del paziente, se supera il trauma iniziale della perdita delle configurazioni parzialmente sfrangiate, si riarricchisce e ripotenzia in modo nuovo, che potrebbe rispondere meglio (oppure peggio, ma comunque in modo più caparbio e potente) alle sfide evolutive che da solo non riusciva ad affrontare. Il terapeuta, purtroppo, non ha altri parametri per valutare l’efficacia in positivo o negativo della terapia, se non le proprie teorie precostituite. Proprio in considerazione di come tali teorie possano essere soggettive o, per quanto ricomprese nel 5lc delle collettività culturali di riferimento a livello istituzionale, involutive, il terapeuta deve essere parco nel dare suggerimenti, o addirittura non darne e limitarsi a fare le domande. Ovviamente anche le domande, tuttavia, inseriscono un ampio repertorio di configurazioni accreditate dal terapeuta, che vanno ad influire sul flusso di coscienza molto più del suo silenzio (che per molti terapeuti è dunque considerato d’oro). Cosa comporterebbe, in questo contesto, un maggior coinvolgimento emotivo del terapeuta? Orloff si pone il problema a pag. 82 di Second sight: “Continuavo a cercare di recitare un ruolo [quello del terapeuta neutrale], ma i dettagli della vita mi stavano insegnando qualcosa di completamente diverso, mostrandomi la distanza tra la teoria e la complessa realtà delle vite umane”. Tali dettagli erano rappresentati dal fatto che, vivendo a stretto contatto con i suoi pazienti (che vivevano negli stessi comprensori), non riuscisse di fatto a non far emergere il proprio volto umano. Come viene ciò razionalizzato dalla Orloff? Essa dice: “Mentre continuavo la mia pratica [terapeutica], ho scoperto che attiravo il tipo di paziente che insisteva sull’intimità”. Ogni tecnica, per quanto raffinata, ha un preciso risultato desiderato (o esecrato): il terapeuta, per quanto venga formato al raggiungimento di tale risultato desiderato ed armato, a tal fine, di una tecnica specifica, non può ridursi ad un ingranaggio di tale tecnica. L’uomo è molto di più di un ingranaggio. Non appena un terapeuta psicanalista e psichiatra, come la Orloff, se n’è (almeno inconsciamente) accorta, non ha potuto che rimettere in discussione i principi della propria professione. Ciò è molto sano e decisamente evolutivo.

Tuttavia la Dott.ssa Orloff, per raggiungere il proprio anelito di trasformazione interiore in essere psichico, ha dovuto attraversare una fase di rifiuto. Non si è mai consapevoli di cosa significhi e su come si articoli la trasformazione interiore di cui abbiamo bisogno per evolverci in chiave relazionale. Orloff dichiara che tale trasformazione, pur essendo da lei osteggiata, è avvenuta “a dispetto di lei”. Come può una trasformazione interiore bypassare colui che la sta attraversando, per catapultarlo nell’uomo nuovo? Ebbene grazie al salto paradigmatico. Esso può avvenire con la consapevole cooperazione dell’osservatore (che in tal caso è interprete accreditato dall’essere, che nella scrittura viene chiamato figlio dell’uomo), oppure avviene con una collaborazione inconscia. Tale collaborazione inconscia avviene a livello percettivo e intuitivo, non razionale (se non per opposizione). L’osservatore si oppone con la ragione finché riesce, poi si abbandona come Giona sotto l’albero di ricino, in attesa della morte. Ma la morte che sopraggiunge è una rinascita. Ciò è possibile grazie a molti interventi altrui, che inseriscono dei pda-dist ad agganciare e dirottare i pda dell’osservatore (che potremmo chiamare, a questo punto, catecumeno): i pda d’interi sistemi configurazionali, guidati alla deriva dai pda-dist in parola, non sono fermati più dal 5lc, poiché il catecumeno lo ha messo troppo in discussione. Tuttavia per telepatia l’essere supremo proietta configurazioni-cuscinetto che salvano il catecumeno stesso, dandogli la possibilità di vedere le cose sotto una diversa luce. Le contraddizioni logiche accumulate per decenni nel 5lc si condensano, attratte per coordinamento da tali configurazioni-cuscinetto, fino a portare il soggetto con un salto paradigmatico conscio nella configurazione-target, da cui iniziare la propria costruzione, come se fosse da zero (anche se da zero non è, in quanto per trattarsi di un salto paradigmatico consapevole occorre che il salto in parola costituisca come l’ultimo gradino di un’intera scalinata già percorsa. Ma prima di aver superato tale gradino, non si vede dove finisce il tunnel.

In Second sight (pag. 95) si parla anche di “amore incondizionato”. Esso sarebbe una forma di compassione, che mette a servizio del bisognoso/paziente ogni risorsa ed energia del medico come del sensitivo, permettendo anche ad un medico di praticare la propria arte come sensitivo. L’amore incondizionato, secondo Orloff, sarebbe “privo di costrutto intellettuale”. Questa espressione può nascondere un fondo di verità, ma è molto scorretta. Il costrutto intellettuale è inevitabile in qualunque nostra attività: quindi al di fuori dell’espressione umana dell’ineffabile puro (che pur può ben aversi

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nell’amore incondizionato), l’amore incondizionato è fatto di costrutti intellettuali, che solo devono andare nella direzione dell’evoluzione in chiave relazionale (altrimenti non sono più amore incondizionato). Prendendo cioè per amore incondizionato il progetto dell’essere supremo su ciascuno di noi e sulle collettività, si può considerare amore incondizionato da parte di un uomo quella stessa forma di amore liberante che realizza (e al contempo contratta) il progetto in parola. I costrutti intellettuali, nell’amore incondizionato, ci sono ma rimangono provvisori, subordinati al completamento della relazionalità: “non sono venuto ad abolire la legge, ma a portarla a compimento. In verità vi dico, non passerà uno iota o un apice dalla legge senza che ogni cosa sia compiuta”, dice Gesù. L’importanza della legge, del costrutto intellettuale corretto, anche se provvisorio, non va minimamente sottovalutata, pena la perdita dell’amore incondizionato. Bisogna evitare di dare scandalo a colui che è spiritualmente debole! Ma che significa questa indispensabilità di evitare di dare scandalo (indispensabilità per evitare danni immensi)? Molti mi hanno detto che con il mio pensiero libero avrei potuto recare scandalo ai deboli, a coloro che avevano una fede tradizionale e le restavano attaccati con le unghie e con i denti. Ma mi sono reso conto che davvero “il mondo è pieno di scandali”, ma che dal momento che avevo inziato a pensare in modo libero, avevo smesso di arrecarne. Un tempo scandalizzavo gli altri, ora ho smesso del tutto: prima di arrecare uno scandalo, davvero me ne renderei conto e preferirei mettermi una macina da mulino intorno al collo. Lo scandalo però è inevitabile, in coloro che non sono consapevoli dell’importanza del costrutto intellettuale (e, in ultima analisi, della legge). La legge spirituale è certo qualcosa di diverso dalla legge profana: non parlo di religione in senso proprio, ma di qualcosa che è trasversale ad ogni materia del sapere umano. Il costrutto intellettuale che assurge a legge spirituale è l’accordo con l’essere supremo sull’essere stesso, sulle strade intellettuali cioè per focalizzarsi sul finalismo relazionale. Le chiavi interpretative che aprono tali strade possono trovarsi in ogni parte dello scibile umano, ma vanno distinte dalle altre, che recano scandalo se assolutizzate. Così, per esempio, chi condanna senza appello l’egoismo, come se fosse il male assoluto, reca scandalo: egoismo e protagonismo dell’essere sono infatti indistinguibili, per quanto l’essere sia amore relazionale. Esso si chiama infatti “io sono colui che sono”: quale più grande esaltazione dell’io? Le parole spiritualeggianti, quando troppo imprecise, tendono tuttavia a sconfinare nel riferimento alla propria assolutizzazione: lo scandalo è dietro l’angolo, poiché chi intendesse tali parole come assolute, si taglierebbe fuori dalla relazionalità. Relazionalità vuol dire conformazione reciproca accompagnata dalla trasformazione reciproca degli amanti. L’essere che ama l’uomo non si limita a conformarlo, ma si lascia anche conformare da esso; non si limita a trasformare l’uomo, ma si lascia anche trasformare da esso. Ciò si esprime grazie ad un accordo che costituisce i momenti di conformazione e di trasformazione, interpretandole come reciproche. Anche l’idea che ci sia qualcuno più avanti di me nel cammino spirituale e che io, al contrario di lui, sia solo all’inizio, è scandalosa: significa ammettere che il vero cammino, per me, non è ancora iniziato ma posso permettermi di fingere a me stesso che è invero iniziato. L’atteggiamento di accoglienza del mistero e della spiegazione, che sospinge sempre più avanti il confine del mistero stesso, è ciò che l’essere cerca: una volta trovato questo tesoro in un essere umano, quest’ultimo diventa il figlio dell’uomo, cioè l’interprete accreditato, in alternanza complementare con altri che sono parimenti il figlio dell’uomo in modo stabile. Quindi fin dal principio del cammino del credente, quest’ultimo (che non è semplicemente uno che “ha fede”), si ha la trasformazione dell’uomo in figlio dell’uomo615. Anche l’egocentrismo può recare scandalo, se assolutizzato come tendenza a far prevalere la propria opinione a discapito di qualunque altra opinione, appiattendo così la realtà a qualcosa di anti-relazionale.

615 La dottrina sul figlio dell’uomo è ben spiegata in La questione sospesa dellìosservazione della realtà e in Analogia singolare. Si può comunque tradurre tale espressione come uomo-interprete, (stabilmente) capace quindi di uscire dal vicolo cieco interpretativo in cui l’uomo è chiuso.267

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17. Le dottrine del cd. aldilà e della cd. reincarnazione[i]L’argomento relativo al cd. aldilà (per noi, le sezioni di schemi analogico-configurazionali successivi

all’effetto domino che pone fine al bìos, cioè alla durata dell’organismo nei linguaggi trasmutati) può essere affrontato secondo molte e tra loro diversissime dottrine, senza incontrare alcuna contraddizione con la tca, che anzi sembra trovare la quadratura del cerchio sufficiente a rendere tali dottrine (mirabile dictu) tra loro conferenti. L’unica cosa che davvero non sembra tollerata dalla tca è l’assolutizzazione di una dottrina a discapito delle altre. Quindi, anche se la cd. reincarnazione sembra avere la maggiore considerazione nella tca, essa non esclude la dottrina dei regni dell’aldilà (paradiso, purgatorio ed inferno, oltre al limbo), la teoria degli universi paralleli, le dottrine pagane, la dottrina induista, quella sul nirvana, le teorie sugli alieni, ecc…, purché nessuna di esse assolutizzi i propri assunti né i propri portati. I loro assunti e portati, rivisitati dalla tca, potranno coesistere.

Le vite precedenti, di cui parlano le dottrine sulla reincarnazione, sono da alcuni chiamate “vite fisiche” (frase attribuita da B. Weiss ad un maestro del cd. aldilà, nella sua opera “Molte vite, molti maestri” a pag. 72). Che significa “vita fisica”? E perché le vite del cd. aldilà non dovrebbero essere fisiche? Ce lo spiega il greco antico, in cui la parola fùsis significa lo “sbocciare del fiore”, cioè qualcosa che l’uomo può constatare senza fermare, senza provocare: qualcosa di spontaneo che accade “che l’uomo vegli o dorma”. Le regole scientifiche sono per questo le autentiche fùseis, che l’uomo non può controllare, finché è fisico. Ma quando l’illusione della realtà diventa troppo esile, l’essere autocosciente riesce a muoversi più liberamente in base al proprio finalismo.

Il primo argomento da trattare è in cosa consista la cd. morte e in cosa la cd. reincarnazione. La morte biologica è a nostro avviso un disfacimento del groviglio d’incroci tra pda e di sequenze di sub-pda che costituiscono l’organismo, in collegamento ad un effetto-domino che decreta il venir meno di alcuni elementi analogici che sostengono i sistemi configurazionali dell’organismo sia internamente che nei rapporti di collegamento tra i sistemi stessi. Il novero di elementi che vengono meno può essere più o meno esteso: si va dal minimo di elementi, che comporta quell’eccesso di bilirubina nel sangue che arresta il cuore e il cervello, all’annientamento di buona parte dei tessuti del corpo in corrispondenza d’incidenti di estrema gravità (es. stritolamento sotto un corpo estremamente pesante ed esteso). Il disfacimento del groviglio dei collegamenti analogici indiretti che lega tra loro le sequenze di sub-pda e gl’incroci tra pda può essere più o meno lungo, ma in genere richiede addirittura anni: la cd. coscienza, tuttavia, si libera quasi subito dal corpo. Almeno così riferisce un nugolo di testimonianze, anche recenti. In questo saggio aderiamo alla teoria cd. dei corpi sottili, in base a cui l’uomo ha più di un corpo: il primo, di cui abbiamo immediata contezza, è il cd. corpo fisico; vi sono poi vari altri corpi, già compresenti al corpo fisico, di cui tuttavia acquisiamo coscienza in buona parte solo dopo la morte, in corrispondenza di autentiche riespansioni della nostra consapevolezza, o a seguito di periodi di limbo, o semplicemente a seguito della morte biologica (anche non definitiva, come nei cd. casi di morte apparente). Si tratta di corpi simili al corpo fisico, avvinti anch’essi da qualche fùsis (ma meno stringente), che sono capaci di fluttuare e spostarsi ovunque, se abbastanza consapevoli (cioè se hanno superato la fase del cd. limbo, o non l’hanno proprio attraversata per i particolari pda residui o per gli speciali CS – criteri interpretativi strategici – dell’organismo) e se spinti da un idoneo finalismo. Il finalismo, ancora una volta, non deve essere per forza consapevole ed è indistinguibile dall’energia di attivazione di cui sopra abbiamo discorso in un apposito capitolo. La cd. reincarnazione, o ritorno in un corpo cd. fisico, non elimina il groviglio di pda e sub-pda in disfacimento del corpo cd. precedente, ma inizializza un corpo fisico nuovo a partire da un singolo pda o sub-pda del corpo fisico o di un corpo sottile, che sono attratti in un atto di concepimento. Immaginiamo che un elemento ufc di un sub-pda dallo schema complesso, che gestisce il concepimento, si colleghi per analogia singolare (gestita da apposita zip- e racc-fùsis) ad un elemento afc di un sub-pda di un uomo deceduto, rendendo i due elementi appartenenti al medesimo sub-pda e trasmettendo a valle l’informazione analogico-configurazionale (grazie alla zip- e racc-fùsis suddetta) del concepimento. Ebbene l’organismo risultante avrà la catena timbrica del precedente corpo fisico defunto, ma non toglierà l’esistenza agli altri pda e sub-pda in disfacimento né agli eventuali corpi sottili risvegliati. Vi potrà essere, allora, una versione dell’uomo defunto che raduna il proprio groviglio corporeo sottile e una versione dello stesso uomo defunto che riprende vita nel concepimento.

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Cosa succede alle due versioni dell’uomo defunto che riprendono vita, l’una nel corpo sottile e l’altra nel nuovo corpo fisico? Entrambe coesisteranno, ma in situazioni configurazionali complesse ben diverse, con pochi collegamenti che, nel prosieguo delle due situazioni (vita biologica ed ex-vita biologica) si andranno intensificando per auto-telepatia. Avendo, infatti, sostanzialmente la medesima catena timbrica, entrambi gli organismi avranno un’immensa affinità telepatica, che permetterà all’organismo ex-vivente di mandare messaggi prima sporadici ed elementari e poi sempre più continuativi e complessi all’organismo vivente, ottenendone risposte più o meno consapevoli (in genere molto inconsapevoli, salva la presa di coscienza favorita da aspetti culturali e scientifico-religiosi). Dalla descrizione di una connessione tra i due organismi citata da B. Weiss nella sua opera Molte vite, molti maestri a pag. 66, ho appreso che un organismo vivente può reincarnarsi da un organismo ex-vivente anche a distanza di millenni all’indietro (>sic!!<). Un simile esito (che va comunque verificato) è senz’altro possibile alla stregua della tca (teoria delle configurazioni analogiche), in base alla quale il tempo cronologico è un’illusione retta da un particolare collettore, che trasmuta i linguaggi dell’essere in linguaggi della realtà cd. oggettiva (in sostanza, il 5lc). Potendovi essere molti 5lc, uno addirittura per ogni cultura, non solo per ogni civiltà, nulla vieta che la reincarnazione avvenga in un 5lc ben distante, a livello configurazionale, da quello dell’organismo ex-vivente. Ma la distana configurazionale non equivale ad una pari distanza cronologica, ma semmai ad un qualcosa d’incommensurabile alla stregua dei collettori. Anche il collettore che gestisce il tempo cronologico non fa eccezione. Potremmo quindi avere una reincarnazione a distanza di due secondi in avanti nel tempo, senza alcuna differenza tra i due 5lc, oppure avere una reincarnazione che non solo comporta una trasmutazione dei linguaggi dell’essere che dà l’illusione di millenni in avanti o indietro nella retta del chrònos, ma che costituisce due chrònos tra loro quasi del tutto privi di collegamenti analogici (specie di dimensioni parallele, la cui apparenza è di civiltà molto distanti nel tempo ma la cui sostanza è proprio di civiltà appartenenti a mondi completamente diversi). Il collegamento telepatico tra i due organismi umani è però altrettanto forte, che se si trovassero nello stesso mondo, con l’unica particolarità che alcuni CS, più specializzati per il 5lc di partenza, potrebbero stentare a decollare per mancanza di appigli analogici nel 5lc di arrivo. Chiamo 5lc di partenza quello cui appartiene l’uomo ex-vivente e 5lc di arrivo quello cui appartiene l’uomo vivente (o reincarnato). La coerenza tra i due mondi è comunque assicurata dall’autotelepatia tra i due uomini che hanno quasi la stessa catena timbrica, grazie alla trasduzione, al drenaggio e alle varie tipologie di zip- e racc-fùseis che interessano le vicende dell’uomo reincarnato. E’ come se quei due mondi fossero collegati da singoli loro organismi viventi ed ex-viventi, non da una continuità cronologica o spaziale vera e propria (che, d’altro canto, sono solo illusioni, valutabili esclusivamente con i pdac consci di coloro che abitano il singolo 5lc).

Molti si chiedono come si possa entrare in contatto con le nostre vite precedenti e con gl’interregni tra una vita e l’altra. La risposta che in genere si dà a questa domanda è: “con l’ipnosi regressiva”. Occorre reimpostare sia la domanda che la risposta, in base ai nuovi portati della tca. La domanda può essere così riformulata: “come può un organismo autocosciente entrare in auto-telepatia con un io individuale appartenente ad un diverso 5lc?”. La risposta, d’altro canto, può essere così riformulata: “proponendosi come soggetto ricettore nella comunicazione telepatica”. Viste queste riformulazioni, ciò su cui occorre fare il focus è l’idea di auto-telepatia, l’idea di soggetto ricettore, l’idea di telepatia. L’idea di telepatia è presto spiegata con il semplice riferimento al metodo del ponte mistico, che viene spiegato nel capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni remote. L’auto-telepatia è quella telepatia in cui il soggetto ricettore (o destinatario) della comunicazione telepatica ha una catena timbrica in buona parte coincidente con quella del soggetto trasmittente (o mittente). Ma per essere più precisi, la catena timbrica è “in buona parte coincidente” quando un io individuale di un altro 5lc (nella specie, il mittente) trova nel destinatario il proprio intero corredo, o quasi, di criteri interpretativi strategici (CS). Una ricostruzione sefèrica (cioè narrativa e ad oggi convincente) di questa quasi-coincidenza di catene timbriche è reperibile nella dottrina della reincarnazione, secondo la quale ogni essere si reincarna da una vita all’altra. Reincarnandosi, infatti, l’io acquisisce una nuova possibilità di affinarsi con nuove conoscenze, secondo il proprio destino, per arrivare a liberarsi dall’illusione dello spazio, del tempo cronologico e del ciclo delle vite. Nella riformulazione della teoria della reincarnazione, che qui proponiamo, vi è un io ex-vivente che si trova in un cd. interregno, cioè tra una vita e un’altra, mentre un suo pda riprende vita come organismo vivente autocosciente (anche se potrebbe reincarnarsi perfino in un corpo inerte: ma noi prendiamo l’opzione più

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favorevole all’io in questione, che è anche quella preferita in genere dall’essere; inoltre potrebbe reincarnarsi più volte, dando vita a più rami che hanno una catena timbrica in parte comune). Nella nuova vita l’io acquisirà sempre nuovi CS, ma l’io rimasto nell’interregno non ha la stessa velocità di trasformazione: anzi, è quasi fermo, in confronto all’io vivente. Ciò per la ridotta complessità che si trova nei cd. regni dell’aldilà. L’io dell’interregno cercherà allora di trasmettere la propria conoscenza, tuttora consapevole, dei CS acquisiti nella vita e dei pochi CS acquisiti nell’interregno: il suo fine escatologico – che secondo B. Weiss è fatto proprio dai cd. Maestri che si trovano negl’interregni – è a nostro avviso ben peculiare, cioè ottenere di diventare egli stesso l’io vivente, arrivando alla completa trasmissione dei propri CS e dei propri ricordi all’io vivente. Ma ciò non sarà immediatamente possibile. Non solo l’io vivente è spesso inconsapevole delle proprie vite cd. precedenti, ma è anche del tutto inconsapevole della relazionalità che i propri io degl’interregni vogliono instaurare con lui. Farà quindi molto prima a morire egli stesso e a diventare un io degl’interregni, finché non giunga un io salvatore, che giunga alla consapevolezza necessaria nella propria vita biologica e riesca a superare i tre scogli su cui dibattiamo nell’intera nostra opera: l’infelicità, l’invecchiamento-mortalità, l’anti-relazionalità. Il primo che riuscirà a superare questi tre scogli, farà da esempio agli organismi autocoscienti delle generazioni successive, affinché anch’essi facciano propria la missione di salvare i loro io imprigionati negl’interregni (habitat privi della complessità più venusta e trasformante dell’essere). Noi viventi di oggi potremmo scoprire perfino di non trovarci nell’habitat più complesso, ma semmai in un interregno. Dubito di ciò, in quanto qui non ci sono maestri dell’interregno, anche se è pur vero che potrebbero formarsene. La verifica andrebbe invece condotta su un'altra materia: se un organismo autocosciente appartenente a questo habitat possa collegarsi per autotelepatia ad un altro proprio io più distratto, poiché avvolto in una realtà più trasformante e venusta della nostra. Ciò non è impossibile e può essere fatto oggetto di apposita ricerca. Se risultasse, ahimé (ma anche per fortuna), che vi è un habitat più venusto e complesso di questo, dovremmo allora suscitare i giusti maestri per assecondare l’auto-telapatia. Attualmente i maestri sarebbero in massima parte inadeguati al compito, quanto meno per la loro inconsapevolezza dello stesso. Se invece ci troviamo nell’habitat migliore, dobbiamo superare i tre scogli evolutivi e volgerci con amore ai nostri io prigionieri, al fine di riassumerli in noi. Ecco il grande progetto dell’essere, che per gl’induisti si chiama (e si caratterizza) come saṃsāra, che in sanscrito dovrebbe significare “scorrere insieme” e che è la “dottrina inerente il ciclo di vita, morte e rinascita” [fonte Wikipedia].

Con la riformulazione da noi proposta, sia della domanda che della risposta sopra riportate, in base alla tca, otteniamo spiegazione di alcune particolarità riscontrate da B. Weiss nell’ipnosi regressiva. Perché i soggetti ipnotizzati, per arrivare a comunicare con un interregno, devono percorrere (anche se più o meno rapidamente o per sommi capi) la vita che lo precede? La risposta è semplice: perché l’io vivente, in qualità di soggetto ricettore, deve essere agganciato da un io trasmittente, ma quest’io trasmittente sarà quasi sempre un proprio io di una vita cd. precedente. Sappiamo infatti da coloro che attuano pratiche medianiche, nonché (immagino) da alcune dottrine tradizionali sulla reincarnazione (come quella sui registri akashici), che veniamo molto segnati dalle nostre vite precedenti e dai maestri che ci parlano dagl’interregni. Ciò si spiega agevolmente, se pensiamo ad una trasmissione telepatica tra io distinti, che però hanno una grande affinità di destino e di caratteristiche interiori (CS), trovandosi in habitat configurazionali abbastanza distanti (cioè 5lc tra loro diversi). Si spiega inoltre perché i cd. maestri siano voci che il soggetto ricevente (nell’ipnosi regressiva) recita come un discorso alla prima persona, come se stesse istruendo se stesso. La risposta è che siamo di fronte ad un’ipotesi di etero-telepatia, con cui il mittente-maestro (grazie all’aggancio reso possibile dall’io dell’interregno) comunica all’io vivente. Lo stesso io dell’interregno, probabilmente, può comunicare con il maestro solo per etero-telepatia, poiché la telepatia diffusa (td) risulta estremamente leggera e semplice, non come nel nostro habitat, in cui invece la td è pervadente e impone miriadi di miriadi di zip- e racc-fùseis che ci avvolgono vorticosamente nell’illusione della realtà oggettiva.

Nell’analisi delle materie scelte in questo capitolo (il cd. aldilà e la cd. reincarnazione), ci troviamo a combattere la battaglia argomentativa su di un duplice fronte: quello del convincimento su aldilà e reincarnazione; quello del convincimento sulla nostra specifica versione di aldilà e di reincarnazione. Inoltre non intendo convincere solo gli altri, ma in primo luogo me stesso; né solo convincere, ma anche cambiare il mio e l’altrui convincimento, ogni volta che emergano nuovi argomenti a vantaggio di uno dei due

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schieramenti o, addirittura, emergano nuovi schieramenti. Quindi più che di battaglia campale, sembra potersi parlare di una guerra di trincea contro schieramenti nemici in larga parte ignoti ed in continua emersione. Le due questioni più stringenti sembrano allora la conoscenza degli avversari (quelli che la pensano diversamente da me) e la individuazione e lo studio di quegli elementi che possano forzare l’uscita strategica dalla trincea per la conquista del territorio616 (il sapere stesso). Non voglio minimizzare l’importanza dell’autocritica, come versante fondamentale della battaglia per la conoscenza, ma mi trovo costretto a darla un po’ per scontata, visto il mio passato cattolico che mi ha insegnato a fare un’autocritica feroce verso le mie idee innovative e a dare il mio plauso “sfegatato” alla dottrina istituzionale. Una volta che mi sono ravveduto, mi sono reso conto delle immense praterie di sapere che mi restavano da conquistare, a partire dalla piccola caverna scintillante di riverberi in cui mi ero fino ad allora recluso. Continuerò, quindi, ad attuare il metodo della critica ad alcuni autori più istituzionali, ma pur tuttavia brillanti sotto alcuni aspetti, e agli autori più famosi e stimati negli ambienti meno schierati con le dottrine occidentali classiche (finora ho commentato, quanto al primo tipo di autori, entrambi neurologi italiani, F. Benedetti e L. Maffei, quanto al secondo tipo, R. Targ, M.L. Schulz, J. Orloff, B. Weiss e, più tangenzialmente, il R.G. Hamer e L. Hay). Ne aggiungerò sicuramente altri, ma questo primo campione di autori ha alcune caratteristiche significative. Si tratta di autori che hanno detto almeno alcune cose coraggiose, rispetto alla massa di autori istituzionali; alcuni sono più esemplificativi e sembrano parlare “a cuore aperto” (Orloff, Weiss e Hay), pur avendo una professione medica e psicoterapeutica alle spalle; altri sembrano ricercatori ben iniziati al metodo evidence based, ma soprattutto hanno basi epistemologiche di maggior rilievo ma non comunque eccelse (Targ, in particolare, ma sospetto che anche Hay, Schulz e Orloff – pur sottacendo tali aspetti – non li ignorino affatto; non avendo ancora letto niente di Hamer, suppongo che abbia basi abbastanza solide, ma dovrò appurarlo in futuro). Ho commentato anche l’opera di vari epistemologi e filosofi dagl’interessi più vari: mi riferisco soprattuto a T. Kuhn, P. Feyerabend, E. Morin e A.-T. Tymieniecka, ma sono abbastanza rilevanti nel mio pensiero anche molti altri autori, naturalmente, che ho citato e commentato in un apposito capitolo (in cui confronto la tca con varie altre teorie). L’autore più significativo, per questo capitolo, è attualmente B. Weiss, ma ne sto aggiungendo altri.

Weiss elenca, ad un certo punto, gli argomenti a favore della reincarnazione. Nel suffragare, infatti, la validità di ciò che aveva scoperto con la paziente Catherine nella prima ipnosi regressiva sconfinata nel cd. aldilà e nelle vite precedenti, esce con questo elenco di argomenti a suo favore: “Le migliaia di casi ricordati nella letteratura scientifica, specialmente quelli di bambini che parlano lingue straniere che non hanno mai udito, che hanno segni di nascita nel punto di precedenti ferite mortali, o che conoscono dove sono stati conservati o sepolti a migliaia di chilometri di distanza, decenni o secoli prima, tutto faceva eco al messaggio di Catherine” (op. cit., pag. 74). Prenderò ciascuno di questi argomenti, per analizzarli alla luce della tca. Purtroppo, per motivi di tempo, non sarò anche in grado di analizzarli, in questa sede, nella loro “oggettiva” rilevanza, attendibilità e credibilità. Lascio il compito ad altri autori. Faccio cioè la scelta di dare per scontata la validità di tali argomenti (rinunciando ad uno dei fronti di battaglia), per concentrarmi sul fronte interno delle teorie sulla cd. reincarnazione. Il lettore potrà apprezzare la coerenza che emerge da

616 E’ un fatto che in ogni epoca alcune argomentazioni vanno per la maggiore, in primo luogo perché consentono di uscire dalle paludi stigie della tradizione, a vantaggio di nuove teorie. Sembra quindi che le argomentazioni da cercare siano, al contempo, le più attraenti ma anche quelle che allontanano dalle attuali tradizioni istituzionali del sapere. E’ così che ricadiamo nel paradosso espresso da Kuhn nella sua teoria delle rivoluzioni scientifiche: la rivoluzione successiva non importerebbe una crescita della qualità del sapere, ma solo un diverso gusto in campo conoscitivo. Ogni nuova teoria scientifica risolve alcune questioni irrisolte di quella attuale, ma potrebbe un domani essere nuovamente soppiantata da quest’ultima, in presenza di nuove argomentazioni a suo sostegno. Noi abbiamo superato questo paradosso (pur accogliendolo), grazie all’introduzione di un’ulteriore categoria, idonea a far emergere teorie sempre più adeguate all’evoluzione (e non semplicemtne più rispondenti al gusto attuale). La categoria in parola è la rivoluzione antropologica fondamentale (RAF) in chiave evolutiva, conservativa e, al contempo, relazionale. Se una RAF risponde a tutte e tre queste caratteristiche, tra loro integrate (in quanto evoluzione e conservazione altro non sono che i due poli della relazionalità), l’uomo seguendola si trasformerà perdendo la possibilità d’interpretare in modo originariamente precedente alla teoria stessa. Essa diverrà, cioè, un grimaldello interpretativo ineliminabile, che illuminerà la scelta delle argomentazioni (le quali, così, finiranno per non essere solo le più rispondenti al gusto attuale, ma anche le più evolutive per una certa RAF, ammesso e non concesso che sia proprio tale RAF ad affermarsi in modo più ampio nel cammino dell’umanità e di ogni altra forma di auto-coscienza).271

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questo quadro pur incompleto e, se lo desidera, aiutarmi (lo spero) ad integrarlo (lasciando dei commenti sul sito www.bridge4will.net, in un qualunque spazio dedicato ai commenti). Leggerò tali commenti e tenterò di dare una risposta valida, di seguirne le suggestioni e di fare tesoro di ogni aiuto che vorrete darmi nel compito che mi sono assunto.

Il primo argomento di Weiss è quello dei “bambini che parlano lingue straniere che non hanno mai udito”. Immagino che questi bambini fossero sotto ipnosi, magari addirittura ipnosi regressiva (fino ad arrivare a parlare delle proprie vite precedenti). Abbiamo già proposto, a spiegazione di questi eventi, la forma di trasmissione d’informazioni che chiamo “auto-telepatia”, cioè quel tipo di telepatia in cui il destinatario, in atteggiamento passivo e ricettivo, riceve un messaggio da un mittente che altri non è che un suo io appartenente ad una “precedente” vita (o meglio, ad un altro 5lc). Si noti come la nostra spiegazione a-cronologica, cioè che non parla di vita precedente in senso strettamente cronologico, ma solo in chiave di coerenza e di mera tendenzialità, non rinnegando la possibilità di vite vissute in cd. altre dimensioni, quasi del tutto parallele alla nostra, ci offre finalmente i messaggi che attendevamo dalle altre dimensioni. Invece che aspettare miliardi di anni, o miliardi di miliardi di anni, chissà quante civiltà, chissà quanti universi persi nel nulla, possiamo già adesso comunicare con queste dimensioni, che non sono così distanti né irraggiungibili dalla nostra. Quel che è più incredibile, con questo approccio non neghiamo validità né ai tre regni dell’aldilà, di cui parlano i cristiani, né al Valhalla, né a molte altre credenze che nelle varie epoche si sono affermate (come quelle degli egizi, degli ebrei, degl’induisti, dei buddisti, ecc…). Alcune tradizioni, infatti, puntano di più sulla reincarnazione (induismo, buddismo), altre di più sugl’interregni tra una vita e l’altra (cristianesimo, Islam, ebraismo, paganesimo nordico, animismo), nei quali comunque permane almeno un io di un altro 5lc. Sono purtroppo costretto a ragionare con la mannaia, poiché a parte il cristianesimo, delle altre religioni e filosofie so ben poco di anche solo lontanamente completo. Ma immaginate che disastro, se un solo uomo potesse conoscere un simile novero di credenze: l’evoluzione verrebbe sacrificata del tutto, sull’altare della tradizione (cosa contro cui l’essere supremo si è schierato ripetutamente e risolutamente, sia nella Bibbia ebraica che in quella greca, quando si accanisce contro le tradizioni dei padri, che gli empi avrebbero sostituito alla sua parola).

A livello sistematico, possiamo a mio avviso distinguere tra uno o più universi opachi e molti universi sottili. Gli universi opachi sono così complessi da impedire ai loro individui autocoscienti, riuniti in collettività più ampie che chiamiamo società, informate ad una stretta permanenza nel proprio 5lc, di percepire ed entrare in stretto contatto con gli altri universi. In questi universi opachi la complessità è, in un certo senso, originaria, mentre l’incapacità di percepire gli altri universi e di entrarvi in contatto è progressivamente acquisita per l’evoluzione della società. Gli universi sottili, non certo meno belli per definizione (da molti considerati anzi più belli), sono molto meno complessi di quelli opachi. La minore complessità comporta una maggiore difficoltà a pervenire alla bellezza venusta, tipico carattere di punta degli universi opachi. Non rinuncio per principio all’idea che vi sia un unico universo opaco e molti universi sottili: tuttavia future scoperte potrebbero rendere ridicola tale idea. In ogni caso, mi pare evidente che gli abitanti degli universi sottili tendano a voler entrare in contatto, istruire, educare e aiutare (o al contrario vessare e possedere) coloro che abitano gli universi opachi e probabilmente alcuni anche tornare a far parte degli universi opachi, da cui si sono distaccati con la morte biologica (o con il suo equivalente, negli altri universi opachi). D’altronde gli universi opachi detengono e dischiudono il senso stesso della bellezza venusta (che si nutre d’ignoranza e consapevolezza, di sofferenza e di guarigione, di odio e di amore viscerali, di tentativi e di scoperte-invenzioni), insieme ad un bisogno sconfinato dell’amore incondizionato. Nell’universo opaco si può generare un nuovo universo opaco per differenziazione, grazie alla parola scritturistica ηνεγκα (Mc 9,17) o altre simili, che esprimono una svolta archetipica radicale, capace appunto di andare a toccare profondamente un universo, in accordo tra figlio dell’uomo ed essere supremo, alterandone irreversibilmente un elemento o sistema del “passato”. Tale alterazione rientra quasi subito, ricompattando i due universi in uno solo: ciò è quello che può essere costruito, in senso sefèrico (sefèr = conto, racconto, discorso che convince), in ordine ad un’eventuale morte (universo opaco originario) e al risveglio (universo opaco di gemmazione dal primo) di un Gesù storico. Ma ciò potrebbe essere costruito come successo molte volte.

Noto tuttavia che l’ipnosi (regressiva o meno) non è in grado di giustificare l’intero novero di eventi “inter-dimensionali” che l’umanità registra nel campo delle lingue. La Bibbia narra che nelle prime

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comunità cristine si praticasse la glossolalìa617 (cioè il cantilenare con parole e fonemi assonanti con lingue a loro ignote, al punto che – come negli Atti degli apostoli – si possa trarre un qualche senso, anche in una ventina di lingue in contemporanea, da un discorso condotto a braccio da più uomini, che parlavano solo aramaico e un po’ di ebraico); altri sono in grado, sotto quella che viene chiamata in ambito cristiano “possessione”, di parlare fluentemente in sanscrito o in aramaico (lingue ormai morte e adoperate solo ai fini liturgici e rituali rispettivamente presso indiani ed ebrei); altri ancora (sempre sotto possessione) in lingue moderne ma a loro del tutto ignote. La cd. possessione, spesso chiamata a sproposito “demoniaca”, senza una chiara cognizione di cosa ciò significhi, può essere fatta rientrare nell’auto-telepatia come nell’etero-telepatia. Si tratta infatti di forme di telepatia (secondo me su base ipnotica), che sono praticate da osservatori-trasmittenti che si trovano vincolati ad altri 5lc diversi dal nostro. Alcuni di questi soggetti, molto affini e/o potenti in certi ambiti culturali e/o fisiologici che riguardano anche il nostro 5lc, riescono a praticare un ponte mistico a carico di uomini meno equipaggiati per resistervi (per le loro particolari vicissitudini, fragilità e/o propensioni, luoghi frequentati, case, famiglie di origine), come degli ipnotisti esperti che invece che di parole espresse adoperano (per catturare i destinatari nella loro rete intuitiva) le parole implicite che continuamente ci dicono la natura e la società. L’ipnotista riesce a cambiare i confini intuitivi del paziente, proiettandolo in configurazioni che egli non conosce e che quindi non è in grado d’interpretare, guidandovelo dentro alla scoperta di nuove cose. Se le configurazioni cui il paziente accede gli erano del tutto ignote, non ricorderà nulla dei sub-pda che vi ha strutturato dentro; se invece viene aiutato a compiere salti paradigmatici consapevoli (a fronte di alcuni salti inconsci che li rendono possibili), avrà un ricordo dei sub-pda in questione. Si parla, in quest’ultimo caso, d’ipnosi cosciente. Chiamare demoniaca un’ipnosi che è praticata da osservatori-mittenti che appartengono ad altri 5lc (probabilmente meno complessi di questo, oppure solo diversi e non dotati delle attrattive di questo), è il mero risultato della paura dell’ignoto (che si è scientemente e tradizionalmente deciso di non studiare, perché costituente un sapere blasfemo). Se a ciò si aggiunge la dottrina cristiana dei tre regni (paradiso, purgatorio ed inferno), si capisce come molti cristiani siano convinti che tutto ciò che è paranormale sia legato o ai santi o ai diavoli (o, se preferiamo l’opzione monoteista, a Dio o al Diavolo). Certo, anche una volta fuoriuscito dal seno cristiano, ho evitato di partecipare alle sedute spiritiche per un motivo molto semplice: si tratta di finestre su mondi per noi ancora estremamente ignoti (almeno per chi non li pratica con assiduità). Quindi chi si trova ad affrontarli sulle prime (che sia con esperienze medianiche, oppure addirittura con pratiche di apnea come gli archeosofi), sa come vi entra ma non sa come ve ne esce: è come trovarsi in trincea e sapere che metà dei combattenti, nell’arco di un anno, sarà passata all’altro mondo sotto i colpi (più o meno convenzionali) del nemico o sotto i ferri dei chirurghi da campo. Come ogni campo del sapere avrà bisogno dei suoi pionieri e dei suoi “martiri”, ma l’umanità non deve precluderselo. Quindi, finché è possibile, ci si può basare sui resoconti altrui, cercando di coglierne delle linee di tendenza comuni, che chiameremo fùseis.

Il secondo argomento di Weiss a sostegno della reincarnazione è rappresentato da “i segni di nascita nei punti di precedenti ferite mortali”. Si può trattare di voglie, ma anche di malformazioni, che il neonato avrebbe in punti corrispondenti alle ferite mortali subite in altre vite. Qui la parola chiave è “mortali”: non qualunque ferita potrebbe far conseguire simili segni, ma solo una ferita mortale, cioè non risarcita prima della morte biologica. La spiegazione che la tca offre di tali formazioni, fisiologiche o patologiche che siano, s’incentra sui CS (criteri strategici), che sono l’unica parte dell’identità dell’osservatore che può passare da

617 Ciò sarebbe quindi avvenuto almeno anticamente, ma c’è chi continua a fare dei tentativi nell’ambito della pratica religiosa cristiana, come le Sentinelle del mattino di Pasqua di Resurrezione e – suppongo anche - Jeunesse Lumière, da cui il primo movimento è nato. Questi tentativi più recenti (cui una volta ho assistito, ma che almeno in quell’occasione non sembravano corrispondere ad alcuna tecnica vera e propria) si rifanno alle pagina degli Atti degli apostoli in cui, appunto, si narra che i discepoli riuniti nel cenacolo dopo la “resurrezione” di Gesù ne sarebbero usciti parlando altre lingue, al punto da essere capiti dai fedeli ebrei di molte nazioni, accorsi a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Tale tecnica è forse richiamata dal termine “glossolalìa”, adoperato in una lettera paolina che elenca i doni dello pnèuma. Che tale tecnica fosse quindi una lalìa, cioè un “chiacchiericcio”, fatto in varie lingue, è una supposizione che forse può aver avuto nei secoli una qualche tradizione (che non ho cercato e che quindi ignoro). Ovviamente è poco ipotizzabile che si sia mantenuta una tradizione di glossolalìa dai primi discepoli che hanno conosciuto un ipotetico Gesù storico fino ad oggi. Tuttavia non mi sento di escludere la glossolalìa dalle tecniche ed eventi configurazionali oggetto di studio in questo capitolo, per la sua particolarità e perché ha più di una fonte biblica.273

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una vita all’altra. I CS sono criteri interpretativi, cioè chiavi che permettono di superare vicoli ciechi intuitivi, permettendo (ogni volta che vengono riattivati) uno specifico salto paradigmatico ma in condizioni configurazionali gioco-forza sempre diverse (anche se almeno conferenti, se non proprio affini, con le condizioni ipoteticamente originarie). I CS possono restare attivi e ben funzionanti, finché non interviene lo sfrangiamento: ma anche una volta sfrangiati, possono rivitalizzarsi in pochi istanti (o pochissimi minuti), se si configura una situazione scatenante in corrispondenza della ricerca finalistica dell’interprete e purché l’elemento ufc che precede il sub-pda di riattivazione sia già configurato. La situazione scatenante, quando l’osservatore è poco più che un embrione, è legata alla grande vulcanicità evolutiva del corpo umano che si ha in queste primissime fasi dello sviluppo. Sappiamo che a tale età gestazionale le cd. cellule staminali (che per noi sono pluralità di elementi analogici, siti in uno o più sub-pda, siti nella stessa sequenza o in uno o più incroci) sono ancora molto attive. Ma ciò non significa, per sé solo, che vi sia una coscienza all’opera. Senza la coscienza, non si può rivitalizzare il CS dimenticato (cioè sfrangiato). Questa constatazione, unita alla testimonianza dell’ipnosi regressiva, che dovrebbe portare l’osservatore alla spiegazione della genesi di una risorsa o deficit innato in una ferita mortale ricevuta in una precedente vita, mi fa pensare che la coscienza sia attiva anche in fase embrionale, ma che non si preservi in seguito il ricordo di tal fase per l’assenza di una strutturazione abbastanza complessa da dare coerenza alla ri-costruzione dei sub-pda sfrangiati. Quindi i sub-pda sfrangiati dell’età embrionale non andrebbero persi (infatti con l’ipnosi regressiva si arriva ad età molto precedenti ai primi ricordi dell’infanzia), ma non risultano accessibili a pdac consci, per la loro dissimiglianza e semplicità, se confrontati con il grado di coerenza logica richiesto per considerare attendibile un ricordo. La situazione scatenante per la riattivazione del CS sarebbe dunque la vulcanicità delle staminali. Tale suggestione va meglio chiarita ed analizzata, anche nelle sue implicazioni. Si noti, in primo luogo, che per avere la riattivazione del CS vi è anche un secondo requisito (già sopra accennato): deve configurarsi un ufc che, per coerenza inversa, vada a collegarsi al suo equivalente, presente nella configurazione di raccordo (CAracc). Il collegamento ASg-ASg che lega l’ufc in formazione e l’elemento corrispondente della CAracc va infatti a reinnescare le operazioni ulteriori di coerenza inversa che riformano, tramite le sette operazioni, il sub-pda originario (nella sua forma costruita ex novo, ma in modo attendibile). Ma come può un ufc, che si era configurato in presenza di una ferita mortale, ripresentarsi in presenza dello sviluppo dell’embrione o del feto? Consideriamo che vi è una certa variabilità consentita tra l’ufc originario e quello d’innesco per la riattivazione di uno specifico CS. Ebbene un tessuto o organo lacerato in modo irreparabile può essere considerato simile ad un tessuto o organo che si sta costituendo ex novo, se non sotto un profilo morfologico almeno sotto un profilo funzionale, considerando che le fasi intermedie di costituzione (in assenza del tempo cronologico, che è un mero portato della trasmutazione) possono ben attivare gli stessi ufc che il CS aveva a sua base. Il CS originario non era riuscito a risarcire la ferita mortale, ma una volta riattivato grazie all’ufc immediatamente precedente, non produce il medesimo esito che aveva avuto nella vita precedente (cioè la morte biologica), ma un esito meno grave (anche se del pari non fisiologico in senso stretto). Il CS va cioè ad alterare lo sviluppo fisiologico dell’embrione e/o del feto, portando alla formazione di una voglia o ad una malformazione di qualche tipo alla parte dell’organismo interessata.

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18. Linee operative per una rivoluzione antropologica fondamentale (RAF) in chiave relazionale.[i]Più sopra abbiamo notato che la gente, una volta che sono crollati i suoi ideali, si sente perduta. Questo

è solo il modo che l’essere ha trovato per rieducare l’uomo-osservatore a riattaccarsi all’albero della vita.Come condurre, dunque, tale condizione di arroccamento sui pda sfrangiati a vantaggio dell’uomo-

osservatore? La risposta è: diventare consapevoli di quanto sta scritto nel capitolo sullo sfrangiamento, alla luce di quanto sta scritto nei saggi che compongono questo cammino esoterico. Grazie a tale consapevolezza potremo evitare, iniziando ad adoperare un’apposita bussola sensoriale (di cui l’essere ci dota), i pdac che cercano di riunire pda ormai residui, nonché dirottare i pda per noi distruttivi, nati dall’incontro tra i pdac consci e i pda di disturbo. Sulla prima sfida in cui ci assiste la bussola sensoriale non c’è altro da chiarire. Sulla seconda sfida (dirottare i pda distruttivi), dobbiamo in primo luogo considerare che il nostro organismo è un intreccio quasi indistricabile ma al contempo ordinatissimo di pda. Se ad un simile intreccio si aggiungono o tolgono troppi collegamenti, si può creare uno squilibrio anche fatale. Lo squilibrio potrebbe essere collegato a pda di disturbo che intercettano pdac inconsci: in tal caso il rimedio più opportuno è quello che richiede un approccio essoterico, cioè un confronto tra l’organismo umano ed il suo ambiente esterno618. Ma se lo squilibrio è collegato a pda di disturbo che intercettano pdac consci, occorre un rimedio esoterico, in quanto l’organismo umano deve confrontarsi con l’ambiente interno o coscienza. Ciò è vero a maggior ragione quando tali pdac scivolano nel secondo livello configurazionale, quello dell’inconscio, in cui l’effetto di dirottamento collegato ai pda di disturbo può moltiplicarsi a dismisura, secondo una progressione algoritmica. E’ questo il caso dei tumori. Ho spiegato nell’ultima nota sopra riportata al testo, che comunque la supremazia dell’approccio esoterico in questo campo è condizionata alla disponibilità di teorie esoteriche all’altezza (condizione che sarà accessibile alle masse forse solo tra millenni). Fatto sta che l’accelerazione innescata dall’era digitale e dal contesto del villaggio globale potrebbe accorciare i tempi a ciò necessari in pochi secoli. Ciò non toglie che singoli pionieri, con i loro eventuali seguaci, possano brillare come autentici fari per l’umanità già al presente, ponendo le basi per la rivoluzione antropologica che qui si propone. Pur nell’asservimento tendenziale ai vecchi paradigmi, già oggi vedo alcuni di tali fari, come Louise Hay o R.G. Hamer, che propongono rispettivamente di guarire con i pensieri e con gli approcci relazionali. Si tratta di sperimentazioni con luci ed ombre, che ci fanno comunque aspirare (come umanità nel suo complesso) alla luce. E’ ovvio che alcuni saranno rimasti delusi e saranno anche morti nel tentativo di guarire con i loro metodi (ad ogni paziente, occorre la sua medicina!); né posso dire di aver fatto le dovute verifiche su questi ultimi, ma solo di averli assaggiati e trovati buoni per me. Grazie alle idee introdotte da tali pionieri, sono riuscito a colmare alcune lacune nell’elaborazione delle mie teorie. Di più non sono in grado di dire.

618 L’esempio classico che possiamo fare sono quelli dell’inquinamento e dell’avvelenamento. Per quanto l’approccio esoterico possa aiutare, quello che elimina il problema alla radice è quello essoterico. Quest’ultimo, infatti, facendoci confrontare con l’ambiente esterno all’organismo, ci suggerisce di tenere quest’ultimo fuori dalla portata degli agenti inquinanti e dei veleni. Quanto agli agenti patogeni, un approccio esoterico può forse rivaleggiare con l’approccio essoterico, ma comunque non è per niente sbagliato (anzi è ben raccomandabile) tenersi alla larga anche da tali agenti, considerandoli un ambiente esterno al proprio corpo. Ma con i tumori il discorso cambia: l’approccio esoterico può aiutare ad evitarli del tutto o a curarli quando essi siano incurabili con l’approccio essoterico. Si deve inoltre considerare che, facendo affidamento sul proprio cammino esoterico, il singolo individuo può preferire non sottoporsi ad esami medici e risolversi ogni disagio e dolore da solo. I rischi sono enormi, qualunque approccio si scelga. La selezione delle teorie esoteriche migliori farà sì che ad un certo punto l’approccio esoterico, per i tumori, diventi indiscutibilmente il migliore per ciascuno: ma potrebbero volerci anche millenni!275

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19. Lo schema analogico-configurazionale delle altre specie viventi dotate di auto-coscienza[i]Possiamo ora chiederci in cosa differisca lo schema analogico-configurazionale delle altre specie animali

che abbiano già sviluppato una forma di coscienza.

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20. I livelli configurazionali. Il quinto livello confinato (d’ora in poi: “il 5lc”)[i]Nel movimento del pda (percorso di autocoscienza) tra le configurazioni analogiche, le limitazioni

all’accesso da una configurazione all’altra cambiano secondo cinque diversi schemi. Chiamo questi schemi di accessibilità delle configurazioni con il nome di “livelli configurazionali”. Ad ognuno di questi livelli corrisponde un tipo di situazione cognitiva, che siamo in grado di riconoscere con un pdac619 conscio.

Il primo livello configurazionale (d’ora in poi anche: “1l”) consente di stare in una sola configurazione analogica. Tuttavia grazie ai salti paradigmatici già cristallizzati620, si può agevolmente passare da una configurazione all’altra anche nell’1l. La situazione “fisiologica” dell’1l, arrivati al nostro livello di evoluzione biologica, è il flusso di coscienza standard, in cui ci troviamo comunemente immersi. In tale flusso ci troviamo a saltare continuamente da una configurazione all’altra, senza sosta e senza nemmeno rendercene conto. Per spostare lo sguardo da una bottiglia di vino ad uno smartphone, per esempio, devo cambiare almeno una (o più probabilmente molte) configurazioni, in quanto percepisco inconsciamente la differenza che c’è tra i due oggetti, implicante il ruolo degli elettroni e il loro peculiare comportamento. E’ molto importante, per memorizzare al meglio la distinzione del primo livello dai successivi, visualizzare lo schema grafico che segue, dal quale emerge chiaramente che nell’1l ci si può muovere in una configurazione alla volta, ma con continui salti paradigmatici. Molti dei salti paradigmatici dell’1l sono ammortizzati nei collegamenti ASg di ASg (e pertanto non li riporto nello schema sottostante), ma alcuni non lo sono e pertanto richiedono una formalizzazione a livello dell’onda formaturale (in senso lato). Nell’esempio precedente, passando lo sguardo dalla bottiglia di vino allo smartphone, compio decine, se non centinaia o migliaia, di salti paradigmatici inconsci grazie ai collegamenti ASg di ASg621, ma pochi salti a livello di schema configurazionale (in cui si accumula l’onda formaturale). Questi ultimi salti, poi, rendono possibile quell’unico salto, che si realizza nel pda conscio di riferimento. Ma la sintesi in un unico salto non deve farci dimenticare che il nostro organismo è fatto da miliardi (o miliardi di miliardi, o non so nemmeno quanti) pda paralleli che s’intrecciano variamente tra loro. Quindi quello che avvertiamo come un unico salto paradigmatico è la risultante dell’intreccio di molti pda inconsci, che fanno ciascuno i suoi salti paradigmatici, per rendere possibile l’unico salto paradigmatico alla volta che ci sembra di fare a livello conscio. Quindi oltre alle centinaia di elementi fsc (siti all’interno di ogni elemento analogico del nostro sub-pda di riferimento), in ognuno dei quali si srotolano decine se non centinaia/migliaia/milioni… di collegamenti ASg di ASg (del tutto inconsci) a configurazioni diverse, il singolo sub-pda dell’1l si collega ad altro sub-pda (incluso in un’altra configurazione) grazie ad un salto paradigmatico (spesso altrettanto inconscio) che è reso possibile da tanti altri salti paradigmatici compiuti in altri pda del nostro organismo o (anche se esterni al nostro organismo) abbastanza strettamente collegati con esso. Ma nell’1l, grazie ad un pdac conscio, possiamo renderci conto di aver fatto solo un salto paradigmatico (invece dei miliardi o miliardi di miliardi di salti paradigmatici che in realtà potrebbero nascondersi dietro il cambiamento di configurazione di riferimento). Quindi la caratteristica distintiva dell’1l è proprio la limitazione della capacità interpretativa dell’uomo-osservatore, che può arrivare alla consapevolezza di un salto

619 Pdac = percorso di autocoscienza di controllo. Per capire cosa sia un pdac conscio, vd. il capitolo sui pdac. Si tratta comunque di un sub-percorso che torna ad elementi precedenti del percorso di autocoscienza, per poi cercare di ritornare ad un elemento successivo (già attraversato o che si attraversa per la prima volta, formandolo ad hoc), di cui si cerca di comprendere la struttura logica.620 Vd. il capitolo sulla cristallizzazione dei CS (= “criteri (interpretativi) strategici”). L’uomo-osservatore è in grado di cristallizzare e poi recuperare rapidamente i paradigmi specifici delle configurazioni analogiche che ha già inserito nel suo 5lc (quinto livello (configurazionale) confinato). Si rimanda, in proposito, al capitolo sul 5lc, che tuttavia diventa comprensibile solo dopo lo studio del presente capitolo.621 Vd. il relativo capitolo. Si tratta comunque dei collegamenti tra due elementi analogici che avvengono per giustapposizione tra i due elementi. Tale giustapposizione è operata da un’analogia singolare grafèica, cioè ineffabile pura (= ineffabile non solo nella forma analogica, ma anche nel percorso per raggiungere tale forma, che è pertanto un senso ineffabile di coerenza impossibile da razionalizzare una volta per tutte). I collegamenti ASg-ASg non vengono graficizzati nella figura relativa al primo livello configurazionale, poiché si esprimono a livello dello schema analogico, non a livello dello schema configurazionale (di cui qui trattasi). Come si può notare nel capitolo relativo, lo schema analogico avvolge e fa da fondamento allo schema configurazionale, che a sua volta avvolge e fa da fondamento al primo. Ci troviamo quindi nel contesto della teoria della complessità.278

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paradigmatico per ogni nuova configurazione in cui il pda entra, e solo grazie all’intervento di un pdac conscio.

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Il secondo livello configurazionale (d’ora in poi anche: “2l”) è quello dell’incoscio vero e proprio, in cui l’osservatore-uomo non ha consapevolezza di alcun tipo sulla configurazione in cui si trova né su quali salti paradigmatici stia compiendo o abbia compiuto. In questo livello, infatti, non sono ammessi pdac consci. Tuttavia, una volta tornati nell’1l, ci si rende conto che qualcosa è successo grazie ad appositi pdac consci. Si può anche tentare di “ricostruire” cosa sia successo nel 2l, anche se in ogni caso si tratta di una costruzione originaria, che può incontrare o meno un feed-back favorevole dalla realtà in movimento622. Il 2l potrebbe anche non esistere affatto, ma l’approccio epistemologico corretto ci fa riformulare l’affermazione appena espressa: non si può dire che il 2l potrebbe non esistere affatto, bensì esiste nella forma per la quale ci accordiamo con l’essere. L’accordo costitutivo del 2l sarà dunque una costruzione teorica, con grande impatto sulla nostra vita: quindi dobbiamo accordarci con l’essere in modo vantaggioso (e già accordarsi sarebbe qualcosa che ha tutte le premesse per essere considerato vantaggioso, vista la fiducia e l’amore che ci lega a lui623). Possiamo costruire il 2l come un livello nel quale non vi siano limiti ai salti paradigmatici e, conseguentemente, agli elementi analogici raggiungibili. Possiamo quindi ipotizzare che nel 2l l’osservatore possa muoversi di elemento in elemento, compiendo in corrispondenza di ogni elemento ogni salto paradigmatico disponibile. Ma possiamo anche ipotizzare che alcuni dei salti disponibili avvengano in modo più energetico, in quanto se si passa ai livelli successivi, si nota che sono emersi dei 622 In altro capitolo si spiega che questa realtà in movimento è l’essere stesso, nella funzione personificata dell’elemento grafèico puro (o pnéuma-percipiente). Il grafèico puro è quel non-so-che, che intuiamo senza poterlo razionalizzare nella sua forma analogica né nel percorso con cui raggiungiamo tale forma.623 Considerazioni sul rapporto speculare e amoroso che ci lega all’essere sono compiute nel modo più analitico e rigoroso per me possibile nei saggi La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà, Analogia singolare e Il testo-ricerca, scaricabili gratuitamente da www.bridge4will.net. 279

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contenuti configurazionali specifici e nuovi alla coscienza. Possiamo allora ulteriormente ipotizzare che nel 2l vi sia un’energia di fondo624, che attiva ogni collegamento disponibile, e un livello energetico superiore625 e variabile, che attiva alcune configurazioni ed elementi in particolare, in modo sostanzialmente randomizzato (dal punto di vista dell’osservatore dell’1l) ma anche finalistico (dal punto di vista del suo portato a posteriori), con un’emersione che si può valutare solo alla luce dei risultati raggiunti nei livelli configurazionali superiori (cioè nel terzo, quarto e quinto livello analogico). S’immagini, allora, che nel 2l si possono attivare in modo più energetico singoli elementi random, nonché più elementi in sequenza appartenenti alla stessa configurazione, nonché infine si possono attivare elementi collegati da salti paradigmatici. Il 2l diventa così il grande mare dell’essere, che rende possibile qualunque cosa, finché non si verifica il suo effettivo portato nella vita dell’osservatore. L’immersione nel 2l è quindi l’immersione nell’inconscio, per poter innovare i propri costrutti personali626. L’unico limite del 2l è che rende accessibili le sole configurazioni già disponibili nella rete analogica delle cose esistenti: non può crearne di nuove. Per creare configurazioni creazionali, infatti, occorre adoperare il msf (cioè il “metodo delle spire di fumo”, che è uno dei tre metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote: vd. il relativo capitolo).

Si noti che l’emersione dal 2l all’1l avviene grazie a dei campanelli di allarme, che “risvegliano” l’osservatore assopito nel 2l (=inconscio). Tali campanelli di allarme sono quasi tutti frutto di zip- e racc-fùseis del tipo 0 (vd. il relativo capitolo), cioè leggi scientifiche che governano il passaggio da una configurazione analogica all’altra627. Ma l’1l potrà chiamarsi “coscienza” (e svilupparsi così nel terzo, quarto e quinto livello configurazionale) solo a condizione che si formi ciò che chiamiamo coscienza nel relativo capitolo di questo saggio, cui rimandiamo a pié pari. Riportiamo qui di seguito la graficizzazione del 2l. [Torna indietro al capitolo sulla materia]

624 La parola energia è spesso usata in modo troppo vago. Parlando di “energia di fondo” mi riferisco a qualcosa di radicalmente diverso dall’energia (enèrgheia in greco) che è attivata consapevolmente dall’uomo. Si tratta di un’energia che ha due componenti: a) un finalismo radicalmente inconscio, che subisce rivoluzioni altrettanto inconsce, in primis, grazie all’emergere della coscienza individuale e, secondariamente, grazie all’emergere della consapevolezza logicamente strutturata in modo specifico del singolo individuo; b) un’efficacia di collegamento analogico tra elementi analogici che esprime progettualità specifiche (fino a conferire alla realtà in movimento, in unione con le coerenze della coscienza individuale, un progetto integrale cioè inscindibile dell’essere). Le altre energie vedono invece la preponderanza (non assoluta, ma tendenziale) della componente b). Parlo di tali energie nel saggio Teoria dell’energia, scaricabile attualmente da www.bridge4will.net e un domani da www.freenterpretation.net (sito in via di preparazione). 625 In modo speculare rispetto a quanto vissuto nell’1l, come anche e soprattutto nel quarto e quinto livello analogico, nel 2l si configurano alcuni salti paradigmatici capaci più degli altri d’ingenerare un cambiamento evolutivo nel soggetto. Il 2l ha quindi una peculiare missione, rispetto agli altri livelli: farsi ispirare in qualche modo dalle strutturazioni logiche dell’osservatore, elaborando e facendo emergere (negli altri livelli configurazionali) dei collegamenti analogici finalisticamente ed evolutivamente conferenti con tali strutturazioni e prevalenti rispetto agli altri collegamenti analogici nell’imprimere l’evoluzione del pensiero e di ogni altro stato di autocoscienza più spesso (cioè sensazioni, emozioni, sentimenti e leggi scientifiche).626 Il riferimento è alla teoria dei costrutti personali di G. Kelly, per quanto le basi epistemologiche da noi adottate siano in buona parte diverse dalle sue.627 Le zip- e racc-fùseis del tipo 0 sono reciprocamente avvolte, coordinate e disorganizzate (per raggiungere livelli di organizzazione sempre più complessi) grazie alle zip- e racc-fùseis degli altri tipi. Ciò sarà comprensibile nella lettura combinata del capitolo relativo alle fùseis e del capitolo sullo sfrangiamento.280

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Il terzo livello configurazionale (d’ora in poi anche: “3l”) è il livello che descrive il sogno che emerge alla coscienza. Un sogno che non emerge alla coscienza è come se non fosse, o meglio, è come se fosse appartenente al secondo livello: ed infatti possiamo costruire che rimanga confinato nell’inconscio, lasciando un senso ineffabile e impalpabile di sé nell’1l. Un sogno vero e proprio è invece solo quello che emerge alla coscienza: tale sogno altro non è che un percorso di autocoscienza che si muove tra più configurazioni, con una sua coerenza (ma meno palpabile per l’osservatore), senza il limite di dover compiere salti paradigmatici consci per spostarsi da una configurazione all’altra. Il pda del 3l si configura come poco interconnesso con gli altri pda dell’organismo: ciò si nota, però, solo se si considerano i collegamenti ASg di ASg e le onde formaturali, entrambi molto esigui. Il 3l si configura quindi come un 2l più razionale e coerente e immensamente meno vasto (in quanto si sostanzia in un singolo pda che si muove tra una configurazione e l’altra senza bisogno di caricare il salto paradigmatico, né i pdac e i pda-dist che gli sono propedeutici. La funzione del 3l è consentire all’osservatore, grazie all’interpretazione del sogno (che è il pda di cui sopra), ad acquisire nuovi salti paradigmatici. Tale interpretazione avviene, però, nei due livelli superiori (il quarto e/o il quinto). Quindi nel 3l vi è un tranquillo svolgimento del pda, che senza bisogno di un autentico caricamento dell’onda formaturale (né più di tanto degli ASg di ASg) riesce a compiere salti paradigmatici inspiegabili, che fanno da traccia su cui s’innesta la successiva interpretazione (fatta di pdac e di pda-dist). Pensiamo infatti a come il sogno riesca ad unire elementi apparentemente inconferenti, finché non si trovano le chiavi interpretative che consentono di disvelare il suo significato. Ebbene questo significato si traduce in altrettanti salti paradigmatici correttamente caricati e quindi replicabili (previa cristallizzazione nel 5lc) all’interno dell’1l. Segue la graficizzazione del terzo livello configurazionale. [Torna indietro al capitolo sulla materia]

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Il quarto livello configurazionale (d’ora in poi anche: “4l”) è il primo livello in cui si realizza l’interpretazione. Grazie a tale interpretazione si estrinseca la tecnica non costitutiva (in cui si coordina il relativo livello di campo: vd. la teoria dell’interprete della traccia scritturistica, nel saggio Teoria dell’osservatore di futura pubblicazione nel sito www.bridge4will.net). Ma come si svolge quest’interpretazione? Grazie ad un ritorno dal 3l all’1l: nell’1l, infatti, si possono istituire pdac consci, che si lasciano intercettare dai pda-dist e/o li performano. I pda-dist, correttamente performati, riportano la configurazione-target nell’ambito delle configurazioni note, arricchendola di elementi informati dai collettori sulle cui categorie si conforma il pensiero e la percezione umana. Per comprendere meglio come sia questo funzionamento del 4l, prendiamo a riferimento il salto paradigmatico tra l’elemento analogico B1 e l’elemento analogico C6, che abbiamo riportato nello schema grafico del terzo livello configurazionale. Tale salto paradigmatico (come spiegato anche in legenda) è onirico, non contempla cioè un effettivo caricamento dell’onda formaturale (in senso lato) che sarebbe necessaria a rendere replicabile il salto stesso. Mettiamo che l’elemento B1 sia mia nonna, che nel sogno di mia moglie viene collegata all’elemento C6 (la casa di mia nonna, completamente svuotata e ridotta ad un open space asettico, tipo camera di una residenza sanitaria assistenziale). Il collegamento tra i due elementi nasconde un salto paradigmatico inconscio, che può divenire conscio solo a partire dai pdac consci dell’1l. Tali pdac cominciano a ripercorrere a ritroso i pda che incrociano i due elementi in parola, finché non sono intercettati da alcuni pda-dist, che iniziano ad ampliare l’onda formaturale. Quest’ultima, grazie alla tecnica per il compimento del salto paradigmatico conscio, diventa (potremmo dire) il fattore determinante del salto paradigmatico stesso: consente infatti di cogliere intuitivamente (nel ciclo delle quattro mediazioni) quali elementi collegare tra loro al fine di performare i pda-dist, affinchè conducano ad arricchire gli elementi della configurazione-target (che attualmente è quella dell’elemento B1) affinché si colleghino agli elementi della configurazione-target trasformata (che contiene l’elemento C6). Gli ulteriori pdac consci, che

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s’innestano nel sub-pda considerato dopo l’azione dei pda-dist, ci dicono se è avvenuto il salto paradigmatico (che diventa così conscio) e, se si arriva fino alla cristallizzazione del CS, come replicarlo. Dal momento della cristallizzazione del CS, si ha anche l’annessione della configurazione target trasformata nel 5lc (vd. il relativo capitolo). [Torna indietro al capitolo sulla materia]

Giova notare, dallo schema sopra esteso, che il pda-dist ivi graficizzato riesce a collegare anche elementi analogici appartenenti a configurazioni diverse. Ciò è possibile, in quanto tra le due configurazioni sia già stato istituito un salto paradigmatico diretto e già cristallizzato o quanto meno attivo628: in tal modo l’osservatore si può muovere liberamente tra una configurazione e l’altra. Lo stesso dicasi per il pdac, che si muove liberamente tra configurazioni diverse, alla medesima condizione. L’onda formaturale (in senso stretto) che si carica grazie a tali salti paradigmatici impliciti e già cristallizzati, grazie alla danza incrociata di pdac e pda-dist, riesce a formare (grazie alle quattro mediazioni) il salto paradigmatico mancante tra B1 e C6. Sappiamo che tale salto è costituito da un elemento analogico di tipo ufc. Dopo la formazione di tale elemento ufc, affinchè il salto sia effettivo, occorre anche che si carichi il successivo elemento di tipo afc. Per farlo occorre il caricamento dell’onda formaturale in senso lato, che si carica con il medesimo sistema (cioè con l’aggancio di uno o più pdac da parte di uno o più pda-dist). Non appena l’operazione di costruzione del 4l si è completata (relativamente al collegamento B1-C6), lo schema risultante può essere graficizzato come segue.

628 Un salto paradigmatico già cristallizzato è un salto paradigmatico che può essere rapidamente rievocato, anche se si fosse frattanto sfrangiato, grazie al CS (criterio interpretativo strategico) che si è formato nella configurazione timbrica dell’osservatore. Un salto paradigmatico attivo è una salto paradigmatico che non ha subito sfrangiamento.283

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Il 4l già costruito è senz’altro più complesso di quello in costruzione, poiché uno schema grafico simile a quello soprastante deve essere ripetuto per ogni collegamento ex-onirico e collegato con gli altri schemi, in corrispondenza di tutti gli elementi effettivamente collegati. E’ inutile tentare di rendere in un grafico la complessità del 4l effettivo: ho pertanto preferito renderlo in modo parziale ma ben leggibile.

Si noti che il quarto livello configurazionale, se l’osservatore non riesce ad elevarne le novità analogiche fino al quinto livello configurazionale, non risalda con la cristallizzazione i suoi salti paradigmatici nuovi e pertanto li perde in occasione dei successivi sfrangiamenti. D’altronde il 4l offre la possibilità di ampliare il 1l: quando, infatti, nell’1l l’osservatore opera un salto paradigmatico inconscio, lo prende proprio tra quelli attivi nel 4l oppure lo replica seduta stante tra quelli cristallizzati grazie al 5l. I salti paradigmatici disponibili nel 4l sono quelli attivi, che sono cioè presenti nell’organismo senza aver subito lo sfrangiamento (che li avrebbe resi indisponibili nella sotto-rete dei collegamenti analogici dell’organismo). I salti paradigmatici dell’1l potrebbero essere recepiti anche dal 5l, purché ancora attivi, oppure essere riattivati grazie alla c-fcfs-t (la catena timbrica, che viene ampliata grazie alla cristallizzazione dei CS che avviene nel 5l).

Il quinto livello configurazionale (d’ora in poi anche: “5lc”) è un’ulteriore complessificazione del 4l, in cui il collegamento ex-onirico viene raggiunto molte volte in sequenza, in una con il passaggio dall’innervazione della sensazione a quella dell’emozione e, infine, da quella dell’emozione a quella del sentimento. Stiamo facendo riferimento all’applicazione del mii (metodo delle innervazioni intrecciate), spiegato nel capitolo relativo ai metodi di raggiungimento delle configurazioni remote. Una volta superata anche l’innervazione del sentimento, si ha la cristallizzazione del CS (criterio interpretativo strategico), come spiegata nel relativo capitolo. Tra breve spiegheremo cosa succede, quando gl’individui di una intera civiltà umana si accordano (anche se inconsciamente) sui criteri strategici da adottare a livello collettivo, cioè da parte di ogni componente adulto. Si forma così il 5lc (quinto livello configurazionale confinato), cioè l’orizzonte intuitivo comune dell’intera civiltà umana, che ci dice cosa sia oggettivo per ogni uomo che oggi calca la terra (o che la calcava in un certo periodo del passato). Invero si può avere un 5lc in parte diverso per ogni uomo, per ogni tipo di professione, per ogni cultura e, infine, per ogni civiltà. Segue lo schema

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approssimativo del 5l in costruzione (non si propone alcuno schema di 5l costruito, per la sua eccessiva complessità grafica).

Nel 5l il vantaggio è che, grazie alla cristallizzazione dei CS, si possono replicare a piacimento e molto rapidamente i salti paradigmatici cristallizzati, costituendo un 4l molto allargato che va a supportare più efficientemente l’1l. Un professionista può avere attivi dei salti paradigmatici (siti pertanto nel 4l), ma se questi si sfrangiano, può recuperarli facilmente solo se il relativo criterio strategico è cristallizzato (e quindi appartenente al 5l). Il 5l è quindi la potenziale costruzione dell’1l, al di sopra delle potenzialità normalmente attive nel 4l (che diventa così un 4l potenziato: d’ora in poi “4lp”). Il 4lp, non appena un suo salto paradigmatico si sfrangia, può ricostituirlo se richiesto nell’1l, purché tale salto sia stato cristallizzato grazie al 5l. In genere, i salti paradigmatici più frequentemente utilizzabili, sono sempre già presenti nel 4lp, grazie ad un contesto di coerenza tipico dell’io collettivo che chiamiamo “quinto livello (configurazionale) confinato”.

Il quinto livello configurazionale confinato (5lc) è quel settore del 5l che accomuna un’intera cultura, o un’intera civiltà629 di un intero periodo storico, anche passato, e che trova una sua rilevanza rispetto al 5l tout court, in quanto diventando, per il destino impresso dall’essere, un settore del quinto livello molto esteso e condiviso da vastissime collettività umane, esso gioca un ruolo estremamente rilevante. Gioca tale ruolo estremamente rilevante soprattutto grazie al fatto che riesce a mantenere attivo il 4lp (anch’esso estremamente esteso). Ricordiamo che nel 5l l’uomo ha a disposizione i criteri strategici (CS), grazie ai quali

629 Il 5lc è in funzione anche per i corpi inorganici, le cui civiltà vanno lette in maniera un po’ diversa da come siamo abituati. L’attuale civiltà dei corpi inorganici è rappresentata da ciò che oggi chiamiamo materia, che però in una precedente civiltà, prima che vincesse il bosone di Higgs, era anti-materia. L’anti-materia quindi permane, come ex-versione dell’attuale materia, e può interagire con essa, allo stesso modo in cui i corpi ex-viventi possono interagire con i corpi viventi, costituendo civiltà precedenti ma anche attuali rispetto ai corpi viventi.285

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può riprodurre a piacimento e rapidamente i salti paradigmatici cristallizzati nella propria configurazione della catena timbrica (c-fcfs-t). Così grazie al 5l si può continuamente riattivare il 4l. Una volta dato in mano il 5l alle collettività umane, succede che grazie ad una notevole varietà e quantità di ponti mistici, gli esseri umani riescono a tenere estremamente attivo ed ampio il 4l (che chiamiamo così 4lp) e a renderlo sostanzialmente coincidente per tutti gli esseri umani viventi adulti. Non è detto che ogni configurazione del 5lc sia cristallizzata in un apposito CS per ciascun umano di oggi: possono esserci anzi molte configurazioni non cristallizzate che tuttavia sono suscettibili di ponte mistico630, grazie alla telepatia diffusa (espressa nelle zip-fùseis631). Il 5lc è quindi un’eccezione, nel panorama del 5l. Si ha così una percezione condivisa, o meglio un tipo di percezione condivisa da tutti gli esseri umani, che introduce un’idea di oggettività della percezione stessa. La percezione diventa tendenzialmente oggettiva, anche se non lo è realmente. Ciò frena, ça va sans dire, la capacità evolutiva dell’uomo a livello collettivo. Ma inibisce anche la capacità evolutiva dell’uomo a livello individuale. Solo rilanciando la diversità e il pionierismo dell’individuo nel 5l, l’uomo può riscattarsi dal 5lc. Tuttavia è proprio in quest’ultimo che si svolge e può aver luogo la complementarietà degli opposti quali essere e non-essere (l’essere caratterizzato da un’espansione pionieristica, sulla base dell’io individuale e di quello comunitario, nel 5l; il non-essere caratterizzato dall’appiattimento sul 5lc e sul 4lp).

[Torna indietro al capitolo sul confronto con la teoria della complessità]: prima citazione[Torna indietro al capitolo sul confronto con la teoria della complessità]: seconda citazione (potenzialità disorganizzatrice)[Torna indietro al capitolo sulla materia]

630 Il ponte mistico è il salto paradigmatico inconscio. Vd. il capitolo relativo alla configurazione analogica.631 Vd. il capitolo relativo alle fùseis di aggiornamento.286

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21. I criteri strategici (d’ora in poi: “i CS”) e la loro cristallizzazione[i]Ogni organismo vivente ha una caratteristica peculiare, che lo accompagna anche dopo la morte

biologica, fino all’incarnazione successiva. Tale caratteristica ha a che fare con il salto paradigmatico. Dopo l’incarnazione successiva alla prima, peraltro, si hanno due differenti caratteristiche peculiari: l’una accompagna il nuovo organismo vivente, l’altra rimane con l’organismo non più vivente. Quando in precedenza ho detto che la caratteristica peculiare dell’organismo vivente è la capacità del salto paradigmatico, avrei dovuto essere più preciso e specificare che tale capacità comprende anche quella di reiterare un salto paradigmatico ormai sfrangiato, grazie ad una idonea capacità di memorizzazione, che è l’oggetto di questo capitolo. Adesso ho rimediato a tale imprecisione. Senza tale capacità di memorizzazione, lo sfrangiamento potrebbe mettere la parola fine all’organismo vivente (sia come individuo, sia come tipologia di corpo)632.

Qual è dunque questa caratteristica così peculiare? E’ uno specifico sistema di configurazioni analogiche, non collegate con la configurazione dell’onda formaturale (al pari del sistema della matematica assiomatico-deduttiva), ma collegate con un’ulteriore configurazione che chiamerò configurazione della “catena timbrica”, poiché rende possibile l’espressione del timbro speciale che il singolo organismo (vivente o ex-vivente) rappresenta nella sinfonia della rete analogica delle cose esistenti.

Chiamerò anche il sistema di configurazioni analogiche, collegato a tale configurazione, con il nome di sistema configurazionale della “catena timbrica”, con la necessaria precisazione che ogni organismo (vivente o ex-vivente, d’ora in poi generalmente chiamato “ve-v”) ha un proprio sistema della catena timbrica, diverso da quello di qualunque altro degli altri organismi ve-v, ma la configurazione della catena timbrica è sempre la stessa per ognuno di loro.

Nel sistema della catena timbrica, le configurazioni sono quindi uno specifico novero e sono disposte in una qualunque sequenza. Ciò che conta, insomma, è il novero di configurazioni che si trovano nel sistema, non la loro disposizione (che non è specificabile). Per averne un’idea plastica, immaginiamo che le configurazioni si dispongano in una sequenza lineare lunghissima, come un’autostrada. Ogni configurazione rappresenta un tratto longitudinale di autostrada. Ognuno di questi tratti è direttamente collegato con la configurazione della catena timbrica (che quindi è come un’autostrada parallela, con un camminamento che la collega ad ogni tratto della prima autostrada). Tale configurazione (o autostrada parallela) si collega, a sua volta, con ogni ulteriore configurazione dell’organismo ve-v. Quest’ultimo collegamento è assicurato tramite un’ulteriore configurazione, che fa da raccordo tra la configurazione timbrica e lo specifico sistema cui si collega. Il collegamento tra la configurazione timbrica e tale configurazione di raccordo è dunque diretto, mentre è indiretto il collegamento con le configurazioni dell’organismo ve-v che non costituiscono il sistema timbrico. Ogni organismo ve-v ha quindi un proprio sistema della catena timbrica, che ho appena rassomigliato ad un’autostrada collegata direttamente alla configurazione della catena timbrica e, indirettamente, per il tramite di quest’ultima e della configurazione di raccordo, alle ulteriori configurazioni dell’organismo stesso.

La funzione del sistema della catena timbrica è collegata alle sue tre caratteristiche principali: l’assenza di collegamenti con la configurazione dell’onda formaturale; il collegamento diretto con la configurazione della catena timbrica; il collegamento indiretto (per il tramite della configurazione della catena timbrica e la

632 Anche l’organismo non vivente, peraltro, è capace del salto paradigmatico, in entrambe le modalità testé descritte: ma detta capacità può essere estremamente ridotta o settorializzata rispetto all’organismo vivente. In ogni caso, senza tale capacità, anche l’organismo non vivente (che mantiene versioni di vita semplificate, che in Oriente sono chiamate “corpi sottili”, e che coesistono con il corpo vivente anche durante la vita biologica) si estinguerebbe. Si può inoltre distinguere tra organismo ex-vivente e corpo ancora-non-vivente: quest’ultimo tipo di corpo, che nemmeno può essere chiamato organismo, ha comunque una flebile potenzialità evolutiva, che può esprimersi in salti paradigmatici estremamente rari e ormai quasi sempre ricollegabili a relazioni con organismi viventi o ex-viventi. Si pensi ai casi di pratiche esoteriche (ad es. il voodoo, ma si può pensare anche alla pratica religiosa – non altrettanto efficace - dei “santini”) volte a conferire a specifici oggetti una funzione particolare in relazione ad una certa persona (funzione tradizionalmente ricondotta al campo della cd. magia). Ci sono tre differenze tra organismi ex-viventi e corpi ancora non viventi: 1) l’organismo ex-vivente ha una memoria (ulteriore ai criteri strategici), che disegna una storia individuale, corrispondente alla vita biologica vissuta; 2) l’organismo ex-vivente, come quello vivente, ha la memoria di alcuni dei salti paradigmatici, mentre il corpo ancora-non-vivente non ce l’ha.287

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configurazione di raccordo) con le restanti configurazioni dell’organismo. Come spiegheremo più in là, tali caratteristiche permettono di rendere il sistema in parola a prova di sfrangiamento633, legato ad uno specifico intrico di percorsi di autocoscienza (che chiamiamo “persona” o “ individuo”), capace di evocare tale intrico una volta che si sia dissolto nella morte del corpo stesso, idoneo ad assestare strutturalmente ed a memorizzare i salti paradigmatici, nonché a reiterarli. Grazie al sistema della catena timbrica, l’essere supremo (o sé archetipico) assicura la permanenza dell’organismo ve-v all’interno della rete analogica delle cose esistenti.

All’interno del sistema della catena timbrica si possono aggiungere configurazioni, ma non si possono togliere. Manca lo sfrangiamento. I pdac (pda634 di controllo), infatti, vengono eseguiti alla perfezione, senza rimodulazioni diversificate dei percorsi. Il finalismo dell’ipotetico percorso di autocoscienza (l’autostrada dell’esempio di cui sopra) che costituisce il sistema in parola è, insomma, incrollabile quanto l’essere. Ciò in quanto ogni configurazione del sistema è, in realtà, una configurazione dormiente. Vi è solo un pda, che scorre lungo tutta l’autostrada-sistema, a velocità immediata: tale pda è di tipo peculiare e viene configurato, in tale modo peculiare, dalla configurazione della catena timbrica. Studiamo adesso la conformazione di tale pda. Esso è composto da soli due elementi analogici per ogni configurazione. Il primo elemento corrisponde al primo elemento635 di un’analogia singolare, che si ritrova anche negli altri sistemi dell’organismo ve-v; il secondo elemento è il secondo elemento636 di tale analogia singolare. Da notarsi che un’analogia singolare può collegare due configurazioni analogiche, corrispondenti ciascuna ad uno dei suoi elementi. Però non c’è una corrispondenza univoca tra le analogie singolari e le configurazioni analogiche. In primo luogo, vi è una qualche corrispondenza (non univoca) solo tra le analogie singolari sefèriche637 e le configurazioni analogiche, mentre le analogie singolari grafèiche638 non hanno detta corrispondenza. Può dunque esservi una sola coppia di configurazioni analogiche che corrispondono ad una specifica analogia singolare sefèrica, ma potrebbero anche esservi molte coppie di configurazioni analogiche che corrispondono a tale analogia, se vi sono molti pda che conducono a tale coppia di configurazioni. L’onda formaturale639 delle due configurazioni sarà infatti sempre diversa, con il variare dei pda, ma l’analogia singolare rimarrà la stessa. Quindi anche se la coppia di configurazioni sembra sempre la stessa, anche se collocata su più di un pda, è in realtà sempre diversa. L’analogia singolare, invece, non subisce modificazioni a secondo del pda in cui si attiva. Inoltre molte configurazioni potrebbero essere in grado di sviluppare il paradigma di una singola configurazione: in tal caso, vi sarebbero tante analogie singolari quanti siano tali possibili collegamenti. Senza sperderci, però, in tali considerazioni che sembrano una pagina di logica matematica, manteniamo l’attenzione puntata sul tipo di pda che costituisce il sistema della catena timbrica. Tale pda non ha dunque incroci con altri pda640 ed è un assemblaggio di configurazioni, poste in

633 Per il significato di sfrangiamento, si veda il relativo capitolo. Si tratta comunque della perdita d’informazione all’interno dei pda, tale che un tratto di pda s’incista (mantenendo solo alcune delle sue caratteristiche, in attesa di una sua ricostruzione reinterpretativa).634 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo per la spiegazione.635 Nel capitolo sullo sfrangiamento, tale elemento è chiamato ufc (= “universalizzante – falso concretante”).636 Nel capitolo sullo sfrangiamento, tale elemento è chiamato afc (= “astraente falso - concretante”). [Torna sotto.]637 L’analogia singolare è un’analogia ineffabile tra due elementi analogici. Tale analogia singolare è sefèrica quando nessuno dei due elementi analogici è ineffabile, è invece grafèica quando uno dei due elementi è ineffabile. Giova precisare che gli elementi analogici di un’analogia singolare vengono presi da due configurazioni diverse: quella di partenza (per il primo elemento) e quella di arrivo (per il secondo elemento). La selezione del primo elemento avviene per rotazione non casuale, ma volontaristica, degli elementi della configurazione di partenza. La selezione del secondo elemento avviene per rotazione non casuale, ma volontaristica, degli elementi della configurazione di arrivo. Tali rotazioni hanno una loro qualche sostanza, nel senso che comportano uno specifico senso di “caricamento” dell’elemento analogico grazie allo scorrimento delle analogie indirette che lo collegano agli altri elementi analogici della configurazione di appartenenza.638 Vd. nota prec.639 Come sempre, quando non viene specificato, qui s’intende l’onda formaturale in senso lato. Si veda il relativo capitolo.640 Si noti, quindi, che si tratta di un pda dalla complessità molto ridotta (quanto a conformazione, ma non quanto all’attività che gli vedremo tra breve svolgere) e, al contempo, dalla coerenza estrema. Il binomio “poca complessità – molta coerenza” ci fa capire che siamo di fronte ad una semplificazione estrema, voluta dall’essere per realizzarsi in qualcosa di polarmente opposto e complementare a sé: l’altro dal sé, l’uomo (inteso come essere autocosciente e 288

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sequenza lineare. Ogni configurazione di tale sequenza è staccata da quella precedente e da quella successiva, nel senso che non è possibile collegarle con i salti paradigmatici. Non vi è infatti alcuna onda formaturale, in tutto il sistema considerato.

Ciò detto, sorge una domanda: come si può considerare questa sequenza giustapposta di configurazioni alla stregua di un vero pda641? Occorre spiegarne la genesi. Quando il salto paradigmatico, che collega una configurazione di partenza a quella di arrivo642, si assesta strutturalmente, si costituisce un criterio strategico (CS) all’interno del sistema della catena timbrica. Trattasi di un criterio interpretativo, in quanto grazie a tale CS (che costituisce un sub-pda della catena timbrica643 di un particolare organismo) il corpo vivente può rigenerare644 in qualunque momento successivo645 un sub-pda (costituito dall’analogia singolare o salto paradigmatico in parola) che si sia sfrangiato646. Nel linguaggio analogico-configurazionale, tale attività, composta da ben tre operazioni collegate647, è abbastanza complessa. Il suo schema è riportato nel diagramma che segue.

Dobbiamo anche chiederci cosa inneschi la cristallizzazione del CS. L’innesco parte dall’ifscβ dell’afc (se il sub-pda di riferimento è inconscio), cioè dall’innervazione dell’elemento intuitivo del salto paradigmatico che gestisce la percezione immediata (o sfocata), o dall’unica innervazione della gp (se il sub-pda di riferimento è conscio). In tale innervazione emerge la seconda anomalia percettiva che stimola il salto paradigmatico. Ma per innescare la cristallizzazione del CS non basta una semplice anomalia percettiva. La seconda anomalia deve ripetersi più volte, coinvolgendo ogni volta una bde648 differente negli fsc dell’ifscβ dell’afc649 (o negli fsc della gp). La prima bde che viene coinvolta è quella della sensazione: tale bde è quindi la CAac. Sappiamo che grazie al salto paradigmatico, che si verifica nell’innervazione della sensazione (appartenente, indifferentemente, alla ifscβ dell’afc o alla gp), si passa all’innervazione del sentimento. Nello schema analogico dell’afc e della gp non si fa distinzione grafica, che segnali questo passaggio, per

limitato).641 Pda = percorso di autocoscienza.642 Ogni pda solca varie configurazioni, ma per passare da una configurazione all’altra ha bisogno di compiere un salto paradigmatico. Il pda si articola così in sezioni, ciascuna delle quali si trova situata tra un salto paradigmatico e quello successivo. Chiamo tali sezioni con l’acronimo di “sub-pda”. Nel seguito del capitolo adopererò in modo interscambiabile i termini “sub-pda” e “configurazione di partenza/arrivo”, anche se si tratta di cose diverse, poiché in questo specifico contesto si riferiscono sempre al sub-pda che solca la configurazione di partenza o la configurazione di arrivo, o (in alcuni casi) la configurazione precedente a quella di partenza.643 Con il termine “catena timbrica” mi riferisco al sistema della catena timbrica collegato ad uno specifico organismo. Si tratta di una sorta di DNA configurazionale, che ci dice le caratteristiche stabili di quell’organismo, che potranno ripristinarsi all’occorrenza in caso di sfrangiamento, anche dopo la morte biologica ed il disfacimento del cadavere, e cioè anche nel caso di reincarnazione.644 Ciò che viene rigenerato non è il sub-pda originario (che neanche esiste), ma una sua versione successiva, in cui rimane invariato (rispetto all’inesistente modello originario) solo l’elemento ufc finale, che detta il paradigma della configurazione di arrivo. Il primo elemento (afc) ed i successivi elementi fino al penultimo variano quanto a struttura logica, ma non quanto a confini intuitivi (che sono dettati dall’elemento ufc del sub-pda precedente).645 L’espressione “momento successivo” non va intesa in senso strettamente cronologico, in quanto la genesi del CS e lo stesso sfrangiamento del sub-pda che esso è deputato a rigenerare costituiscono ricordi soggetti all’oblìo definitivo, in quanto non salvati a loro volta da ulteriori CS. La cronologia tra genesi del CS e rigenerazione del sub-pda può quindi mantenersi (in maniera comunque soggettiva) solo finché i relativi ricordi non sprofondino nell’oblìo.646 Lo sfrangiamento è la corruzione irreversibile dell’informazione analogico-configurazionale di un elemento analogico o di un intero sub-pda. Quando alcuni sub-pda strategici si sfrangiano, si ha l’effetto domino che fa sfrangiare l’intero organismo vivente. Ma se si sfrangiano solo alcuni dei sub-pda strategici, si possono avere micro-effetti domino, che impediscono singole funzionalità dell’organismo. Per un’analisi puntuale dello sfrangiamento, si veda il relativo capitolo.647 Si tratta delle operazioni di: assestamento logico-strutturale del sub-pda di riferimento; genesi del CS; rigenerazione del sub-pda di riferimento.648 Per comprendere i termini come “bde”, “CAac”, “CAas” e “CAau”, che seguono nel corpo di questo capoverso, occorre riferirsi al presente link, che rimanda ad una nota del capitolo sullo sfrangiamento. L’ifscβ dell’afc e la gp hanno tre bde alternative: la CAac (configurazione analogica dell’astraente-concretante), la CAas (configurazione analogica dell’astraente-strutturante) e la CAau (configurazione analogica dell’astraente-universalizzante). Tutte e tre tali configurazioni esprimono un assoluto originario tra i dodici configurabili (vd. il capitolo relativo agli assoluti).649 Vd. nota prec.289

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non complicare la rappresentazione: si parla quindi sempre e solo di un’unica innervazione (che sia l’ifscβ dell’afc o l’ifscα della gp) che sostituisce, nel seguito dello schema, l’originaria bde specializzata nello stato di autocoscienza della sensazione (e cioè la CAac) con la successiva bde specializzata nello stato di autocoscienza dell’emozione (e cioè la CAas). Reiterando molte volte lo stato di autocoscienza dell’emozione (grazie al raggiungimento di sempre nuove percezioni desiderate) si arriva ad un ulteriore passaggio: dalla bde che gestisce l’emozione (e cioè la CAas) si apssa alla bde che gestisce il sentimento (e cioè la CAau). E’ quando si ha quest’ultimo passaggio che s’innesca la cristallizzazione del CS. Per fare il primo esempio che viene a mente, se penso a quando ipoteticamente rivedrò una mia ex-ragazza tra una decina di anni, se tra me e lei ci fosse stata solo dell’emozione, so già che a rivederla di qualche decennio più vecchia di quando l’ho vista l’ultima volta non proverei nessuna emozione; se invece tra me e lei ci fosse stato del sentimento (anche se nuovamente degradato a mera emozione), so che al rivederla le sensazioni e le emozioni correrebbero abbastanza veloci, almeno per qualche secondo, anche se non come ai tempi del primo innamoramento. Poi è probabile che, dopo pochi secondi, il mio pensiero riprenderebbe il sopravvento, forzandomi a sedare le emozioni (quanto meno per non fare brutta figura davanti a lei). Il sentimento, anche se non coltivato, può portare alla cristallizzazione dei CS e quindi riemergere, in una situazione conferente, nell’arco di poche frazioni di secondo o al massimo in pochissimi minuti. La condizione che il sentimento (presente, come terza mediazione, in ogni salto paradigmatico) deve soddisfare per innescare con sicurezza la cristallizzazione dei CS è quella di essersi espresso con la sostituzione della bde dell’emozione (CAas) ad opera della bde del sentimento (CAau). Nel soddisfare tale condizione, il sentimento assurge alla comprensione profonda del salto paradigmatico che conduce nella configurazione di arrivo, che viene raggiunta grazie a molti salti paradigmatici simili ma differenti, che arricchiscono i confini intuitivi della configurazione stessa e quindi ne potenziano il risultato tecnico650, evitando incroci con elementi comuni presenti nei pda-dist651. Il ruolo dei sentimenti è noto anche nell’ambito della retrocausalità652.

650 Vd. in proposito il nostro saggio La realizzazione tecnica, attualmente disponibile su www.bridge4will.net e in futuro sul sito www.freenterpretation.net. 651 Pda-dist = “pda di disturbo”. Vd. il relativo capitolo.652 Nell’opera Retrocausalità: esprimenti e teoria, di A. Vannini e U. Di Corpo, si dedica un capitolo al “ruolo dei sentimenti”. In tale capitolo si cita A. Damasio: “i sentimenti permettono di operare scelte vantaggiose, senza dover produrre valutazioni vantaggiose”. Infatti, anche se quando seguiamo i sentimenti ci sembra di non ragionare, seguiamo spesso una logica più impeccabile di qualunque nostro ragionamento, che ci trae fuori d’impaccio. Secondo Vannini e Di Corpo il sentimento consente all’uomo di accedere a “l’effetto retrocausale”. Immagino che ricercatori in campo neurologico come quelli citati si riferiscano ai sentimenti come a specifici tipi di percorsi nervosi, identificabili per le aree del sistema nervoso (e/o i neuropeptidi) interessati e per la sequenza con cui tali aree (o tipologie di neuropeptidi) vengono attraversate. Per noi invece sentimento è uno stato di autocoscienza che punta ad evitare una percezione esecrata, con più gradazioni di efficacia: quella della tecnica non costitutiva (salto paradigmatico conscio) e quella della tecnica costitutiva (salto paradigmatico cristallizzato in un CS). Ognuno, accedendo a questa seconda gradazione del sentimento, incarna il figlio dell’uomo (cioè l’interprete-uomo) quanto a quel CS che ha cristallizzato, che ormai è divenuto grazie a lui patrimonio (raccolto o diffuso) a vantaggio dell’essere. Riguardo al cd. effetto retrocausale, non vi è dubbio che aggiungendo una nuova tecnica, addirittura cristallizzandola (con il collegato approfondimento che ciò comporta), si va a ridurre la rilevanza dei collettori nella costituzione dell’illusione del tempo cronologico. Ma c’è di più: il figlio dell’uomo (cioè l’interprete-uomo, colui che supera il vicolo cieco intuitivo che confina l’uomo dietro agli scogli evolutivi) è l’unico osservatore-uomo che (grazie al msf) ha accesso ai linguaggi non trasmutati, cioè al pda in versione priva (del tutto o quasi) dei sub-pda nascosti (s.nas) dei collettori. Unendo più pda, incrociati tra loro e appartenenti ai linguaggi non trasmutati, si ottiene di bypassare i linguaggi trasmutati: tuttavia non appena si adopera un pdac (percorso di autocoscienza di controllo) per acquisire coscienza dei pda non trasmutati, li si trasmuta. Ciò è inevitabile, perché altrimenti cadrebbe l’illusione della realtà e non vi sarebbe più complementarietà tra essere e uomo. A livello cosciente il figlio dell’uomo (cioè l’interprete-uomo) non può quindi evitare di trasmutare i sub-pda inconsci (con il drenaggio dell’afc), ma può comunque costruire nuovi pda che costruiscono in modo nuovo i pda trasmutati, ottenendo il feed-back dell’essere che sancisce la trasformazione dei collettori. Quindi di cristallizzazione in cristallizzazione i pda trasmutati non solo cambiano, ma anche i collettori cambiano nella direzione evolutiva intrapresa dall’interprete. Quindi è confermato che il cd. effetto retrocausale (nella versione di cui parla anche R. Targ, da noi citato nel capitolo sull’ESP) si collega alla cristallizzazione dei CS e quindi al grado tecnicamente più evoluto dei sentimenti.290

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Segue lo schema delle sette sub-operazioni o collegamenti implicati nella cristallizzazione del CS e nella eventuale riattivazione del relativo sub-pda di origine, una volta che quest’ultimo si sia sfrangiato.

Dall’op. cit. di Vannini e Di Corpo, apprendo che l’argomento principe di Damasio per sostenere il ruolo dei sentimenti nel ragionamento (ma egli intende riferirsi, con il termine “sentimenti”, anche alle emozioni) è l’incapacità di prendere decisioni vantaggiose da parte di soggetti che abbiano lesioni alla corteccia prefrontale (che collega i percorsi decisionali del cervello agli stimoli provenienti da cuore, muscoli, polmoni e intestino). Mancando quindi la capacità di elaborare le sensazioni che a tali stimoli si accompagnano, verrebbe secondo lui a mancare l’interessamento di una seconda rete neurale, più arcaica, che consente di costituire il ragionamento a partire da tali sensazioni. Il soggetto colpito da tale lesione, pur restando capace di fare l’analisi di cosa sia un cerchio o di quanto misuri una certa distanza (sarebbe cioè capace di analizzare la realtà come chiunque altro), non sarebbe in grado di trovare quelle strategie più evolute per prendere decisioni vantaggiose per se stesso. Proprio alla base di tale incapacità, vi sarebbe l’ulteriore e collegata incapacità d’interiorizzare i contenuti appresi e di decidere, quindi, in modo adeguato e tempestivo. Il soggetto in parola, d’altro canto, si perderebbe in futili e ripetitivi ragionamenti, poiché non riesce ad avere il controllo completo del proprio percorso decisionale. Ciò che evidentemente manca a tale soggetto è la capacità di fare quei salti paradigmatici che richiedono di attivare certe sensazioni, che evidentemente sono strategiche per far vivere la persona in armonia con l’odierna società. Un’area strategica della rete analogica (nella specie, una certa area del 5lc) le sarebbe preclusa e dovrebbe accontentarsi di percorrere quell’area che richiede quasi solo pensieri e sogni-eventi per attivare i salti paradigmatici. Si noti che tale soggetto riesce difficilmente ad imparare in modo stabile i salti paradigmatici, poiché raramente può cristallizzare i relativi CS (difettando nella possibilità di passare, nelle gp, dall’innervazione delle sensazioni a quella delle emozioni). Un simile deficit evolutivo dell’organismo si può avere, anche in assenza di lesioni alla corteccia prefrontale, per via “pneumatica”. E’ il caso del “muto e ottuso pnèuma” che Gesù scaccia dal giovane epilettico (Mc 9,25). La parola che qui è significativa, ai nostri fini, è kofòn, che vuol dire “ottuso, sordo”, ma anche àlalon, che vuol dire “senza chiacchiera, muto”. L’ottusità, che impedisce di prendere decisioni vantaggiose per sé, e l’ammutolimento che impedisce di agire con tempestività nella sfera sociale, sono caratteristiche attribuite allo pnèuma (cioè al grafèico puro), poiché è per l’assenza (nell’ifscβ dell’afc e nell’ifscα della gp: cioè nella sfera della percezione immeidata) dei collegamenti ASg-ASg ai sub-pda nascosti strategici (cioè quelli delle sensazioni suindicate) che impedisce di cogliere quelle seconde anomalie che avrebbero consentito i salti paradigmatici necessari al percorso decisionale ottimale e alla sua tempestiva attuazione. Ma sempre per via pneumàtica tali collegamenti possono essere ripristinati, anche in presenza di lesioni alla corteccia prefrontale.291

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CAp CAr[ufc sc – afc cs – sc – cs – sc - …… - ufc sc – afc cs]

(ASg di ASg) (ASg di ASg)

CAracc CAracc [fsc] [fsc]

(ASg di ASg) (ASg di ASg)

CAct CAct [fsc] [fsc]

(ASg di ASg) (ASg)

c-fcfs-t(d)[fc] [fs]

(ASg)

Detto schema ha un preciso significato analogico-configurazionale, articolabile in sette collegamenti raffigurati da frecce (la cui tipologia è segnata tra parentesi tonde). Tali collegamenti intercorrono tra gli elementi analogici (segnati tra parentesi quadre) sopra acronimati, appartenenti alle configurazioni che nello schema risultano segnate fuori dalle parentesi (CAp = configurazione analogica di partenza; CAr = configurazione analogica di arrivo; CAracc = configurazione analogica di raccordo; CAct = configurazione analogica della catena timbrica). Lo schema in parola rende possibili tre operazioni: l’assestamento logico-strutturale della configurazione di partenza; la cristallizzazione del criterio (interpretativo) strategico capace di ripristinare, in caso di sfrangiamento, la configurazione653 di partenza; il ripristino della configurazione654 di partenza. Tuttavia nel presente schema sono descritte solo le prime due operazioni; la terza verrà analizzata tra breve, nel contesto dell’analisi del settimo collegamento.

La prima operazione resa possibile dallo schema di formazione di un criterio (interpretativo) strategico (CS) è dunque l’assestamento logico-strutturale del sub-pda655. Si tratta di una semplificazione dell’informazione analogico-configurazionale insita nel sub-pda, tale per cui l’elemento ufc (che è l’ultimo elemento del precedente sub-pda) e l’elemento afc (che è il primo elemento del sub-pda di riferimento) si svuotano delle informazioni relative agli elementi successivi del sub-pda di riferimento in favore di questi ultimi, che ne divengono gli unici depositari: l’ufc diventa così un semplice sc e l’afc diventa un semplice cs, compattandosi con il cs successivo. La “semplificazione” dell’informazione testè descritta è puntualmente analizzata nel capitolo sullo sfrangiamento del pda.

La seconda e la terza operazione vengono descritte nel seguito, in occasione dell’analisi dei sette collegamenti anzidetti.

Segue una spiegazione puntuale del significato di ciascuno dei sette collegamenti:

653 Come altrove specificato in nota, adopero qui il termine configurazione come semplificazione del termine sub-pda, a cui dovrei più correttamente riferirmi. La configurazione analogica, infatti, può essere solcata da molti pda di molti corpi diversi, invece il sub-pda appartiene ad uno specifico pda, che appartiene a sua volta ad uno specifico corpo. Occorre inoltre precisare che qui si parla solo di corpi viventi (organismi, quindi), poiché i corpi non viventi sono incapaci di cristallizzazione dei CS e di rigenerazione dei sub-pda sfrangiati.654 Vd. nota prec.655 Il sub-pda è una sezione del percorso di autocoscienza (pda), che è compresa tra due salti paradigmatici. Tale sezione si trova quindi situata all’interno di una sola configurazione analogica.292

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1) Il primo collegamento è quello tra l’elemento656 afc657 della configurazione658 di partenza659 (CAp), che automaticamente - nel frangente dell’assestamento logico-strutturale - si sta trasformando in un elemento cs660, e un elemento analogico della configurazione di raccordo (CAracc): questo primo collegamento è un ASg di ASg (analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica661), in cui l’afc si collega al grafèico puro, che a sua volta si collega all’elemento della configurazione analogica di raccordo662. Qual è la funzione dell’elemento analogico della configurazione di raccordo? La sua funzione (che è anche è quella della sua configurazione di appartenenza) è mantenere l’informazione su come sia conformato l’afc, nonché a quale ufc663 precedente sia collegato e a quale ufc successivo, grazie al tramite degli elementi del sub-pda, sia parimenti collegato664. L’informazione sugli elementi intermedi665 del sub-pda non si mantiene all’interno di questo schema (ma solo nella configurazione di partenza, finché il relativo sub-pda non si sfrangi666). Per precisione bisogna considerare che durante questa operazione ogni

656 Ogni volta che, in questo saggio, si riporta la parola “elemento”, ci si riferisce (salvo rare eccezioni) ad un elemento analogico appartenente ad un percorso di autocoscienza e situato in una configurazione analogica. Ogni volta che si riporta la parola configurazione, ci si riferisce ad una configurazione analogica.657 Afc = astraente – falso concretante. Si tratta di un elemento appartenente alla configurazione dell’assoluto originario dell’astraente-concretante. Tale elemento è a sua volta una schematizzazione del modo di agire che si attribuisce all’elemento grafèico puro nell’operazione di focalizzazione dell’intuito ai fini del salto paradigmatico. L’elemento grafèico puro è il nostro sé, il nostro io, ogni istanza ineffabile non solo quanto al suo significato e funzionamento, ma anche quanto alla sua evocazione. Ineffabile non significa qualcosa di cui non si può dire nulla, ma qualcosa di cui non si può affermare nulla con certezza. Il grafèico puro è quindi, in accordo con le altre tre figure escatologiche di cui al saggio Trinità o funzioni conoscitive?, alla base dell’ineffabile nelle realtà che viviamo. L’elemento afc va a sigillare, nello schema del pda, quel passaggio intuitivo che ci consente di passare da una configurazione a quella successiva: è pertanto il primo elemento del sub-pda retto dal paradigma della configurazione di riferimento.658 Quando in questo saggio si riporta la parola “configurazione”, ci si riferisce ad una configurazione analogica.659 I termini “configurazione di partenza” e “configurazione di arrivo” servono a descrivere il modo di procedere dei percorsi di autocoscienza (pda), che solcano le configurazioni analogiche passando spesso, grazie al salto paradigmatico, da una configurazione a quella successiva. La configurazione di partenza è dunque quella che prepara il salto paradigmatico, la configurazione di arrivo è quella in cui porta il salto in parola.660 Cs = concretante-strutturante. L’elemento cs è un elemento concreto, cioè qualcosa su cui si poggia l’attenzione dell’osservatore. La sua componente predominante è intuitiva, non intellettiva. Esso viene spiegato analiticamente nei capitoli precedenti, in particolare in quelli relativi agli assoluti originari, all’elemento analogico, al pda e allo sfrangiamento.661 Vd. il relativo capitolo.662 Lo schema completo di questo primo collegamento ASg di ASg è: afc grafèico puro elemento analogico della configurazione di raccordo. Chiamo tale collegamento ASg di ASg in quanto si suddivide in due collegamenti: il primo tra l’afc e il grafèico puro (che è l’elemento analogico ineffabile sia quanto al suo significato sia quanto alla sua evocazione: si tratta del sé e dell’io dell’uomo, nonché di ogni altra cosa nell’uomo abbia tali due caratteristiche d’ineffabilità); il secondo tra il grafèico puro e l’elemento della configurazione di raccordo. Entrambi i collegamenti costituiscono un’analogia singolare grafèica (ASg), pertanto collegando tra loro i due collegamenti si ottiene lo schema dell’ASg di ASg.663 Ufc = universalizzante falso-concretante. L’elemento ufc (situato come ultimo elemento del sub-pda) contiene l’informazione sul paradigma di riferimento della configurazione di arrivo. Svolge quindi la funzione di costituire un confine intuitivo agli elementi della configurazione in parola, dettando quali elementi possono entrarne a far parte e quali no. L’elemento ufc è analizzato nei capitoli precedenti di questo saggio. 664 L’elemento analogico della configurazione di raccordo raccoglie così l’informazione che risulterà strategica, al momento della rigenerazione del sub-pda che si sia frattanto sfrangiato. In sintesi, l’informazione che viene veicolata grazie alla configurazione di raccordo riguarda tre elementi: l’ultimo elemento (ufc) del sub-pda precedente a quello di riferimento; il primo elemento (afc) del sub-pda di riferimento; l’ultimo elemento (ufc) del sub-pda di riferimento. Ciò che viene memorizzato nel nostro “DNA configurazionale” (catena timbrica) è quindi il confine intuitivo della configurazione di partenza (rappresentato dal primo ufc) e quello della configurazione di arrivo (rappresentato dal secondo ufc), nonché una scansione virtuale di elementi analogici del sub-pda di riferimento (rappresentata dall’afc).665 Gli elementi intermedi sono quegli elementi sc, cs e gp successivi all’elemento afc e precedenti al successivo elemento ufc. Per la spiegazione dei relativi acronimi, vedi i capitoli precedenti del presente saggio.293

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sequenza667 che collega, all’interno dell’afc, un elemento fsc al successivo elemento fsc668, viene interrotta e al posto del collegamento ASg di ASg tra l’ultima configurazione analogica della sequenza e il successivo fsc si ha il collegamento ASg di ASg con l’elemento analogico della configurazione di raccordo. Quindi l’elemento analogico della configurazione di raccordo è quello che si colloca al termine della singola sequenza “fsc-fsc”, che viene interrotta, e che quindi invece che secondo lo schema “fsc-configurazioni varie-fsc” si configurerà come “fsc-configurazioni varie-EA(CAracc)”, cioè come “collegamento analogico (intermediato dagli elementi di varie configurazioni, unite grazie a vari collegamenti ASg di ASg) tra il fsc e l’elemento analogico della configurazione di raccordo”: è quindi fondamentale che tale elemento analogico raccolga l’informazione su quale sia l’elemento fsc di arrivo, che si collegava al primo fsc prima dell’assestamento logico-strutturale, e quali siano l’ufc precedente e quello successivo. Lo schema di tale primo tipo di collegamento si reitera per ogni fsc dell’afc originario: vi è quindi un intero fascio di questi collegamenti ASg di ASg tra gli fsc dell’afc e gli elementi analogici della configurazione di raccordo. Anche altri successivi tipi di collegamento (il secondo, il terzo e il quinto) si reiterano allo stesso modo, come spiegherò a breve, permettendo di veicolare per intero l’informazione sull’afc669.

2) Il secondo collegamento è quello fra l’elemento analogico (fsc) della configurazione di raccordo e un elemento analogico (fsc) della configurazione della catena timbrica (CAct). Anche qui il collegamento è costituito da un’ASg di ASg. L’elemento analogico della configurazione della catena timbrica deve elaborare670 e trattenere l’informazione su quale sia l’organismo vivente o ex-

666 L’essere appare dunque come un grande tritacarne, in cui si mantiene la forma delle singole configurazioni analogiche e della sequenza in cui l’organismo le ha raggiunte all’interno dei singoli pda. E’ quindi possibile ricostruire i pda dell’organismo, anche in occasione di successive incarnazioni, ma non è possibile ricostruire (se non per indizi e in maniera provvisoria) il tragitto esatto del pda all’interno di ciascuna configurazione. Quando riacquisiamo un ricordo può infatti accadere che lo ricostruiamo in modo nuovo, condizionato dai percorsi di autocoscienza (pda) che abbiamo in atto. In un successivo momento può capitare di confrontare tale ricordo con altri ricordi più sicuri e rendersi conto che abbiamo fatto degl’innesti e delle correzioni arbitrarie. Da queste situazioni possiamo renderci conto che, in caso di sfrangiamento, non è possibile ricostruire in modo esatto il ricordo, ma solo in modo riadattato.667 Nell’elemento afc, come in ogni altro elemento analogico, hanno luogo delle sequenze di collegamenti analogici tra ulteriori elementi appartenenti a varie configurazioni. L’afc è l’elemento più complesso, quanto a tali sequenze di collegamenti, dovendo costituire la prima e più imponente sede dell’intuito umano. L’analisi di tali sequenze è stata svolta nel capitolo sullo sfrangiamento del pda.668 Ogni sequenza di ogni elemento analogico segue un modello unico di schema, che può essere reso nel modo seguente: fsc (= elemento analogico del “falso strutturante – concretante”, che in questo caso corrisponde al primo elemento successivo all’afc) configurazioni varie fsc successivo. Più specificamente, s’ipotizza che: il primo elemento fsc si colleghi, con un’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica (ASg di ASg), ad uno o più elementi di una configurazione intermedia; dall’ultimo di questi elementi parta un’ulteriore ASg di ASg che collega ad un’ulteriore configurazione intermedia; quest’ultimo passaggio si ripete per varie volte, finché non si è accumulata l’informazione necessaria a gestire il passaggio da un elemento all’altro del sub-pda; a quel punto si torna a collegarsi (per ASg di ASg) all’elemento fsc successivo (che rappresenta il secondo elemento analogico del sub-pda di riferimento.669 Si tratta pur sempre di un afc modificato, addirittura virtuale, visto che l’afc originario non esiste in senso oggettivo ma subisce frequenti modifiche.670 L’elaborazione dell’informazione sull’identità dell’organismo ve-v avviene (all’interno di un apposito fsc della CAct) grazie a raggi d’increspatura inversi rispetto a quelli dell’ifscα e a quelli dell’ifscβ dell’afc di partenza. Visto che l’ ifscα contiene gli ASs d’incoerenza e i rdi di coerenza, il fsc della CAct avrà in corrispondenza ad essi gli ASs di coerenza e i rdi d’incoerenza; visto che l’ ifscβ contiene gli ASs di coerenza e i rdi d’incoerenza, il fsc della CAct avrà in corrispondenza ad essi gli ASs d’incoerenza e i rdi di coerenza. Per la forza virtualizzante e virtualizzata del grafèico puro, questo enorme fsc potrà comunque essere un unico fsc, poiché i collegamenti che ciascun sequenza ha con ogni fsc dell’afc di partenza risultano solo virtuali. Ma l’analisi di questo mega-fsc non è per niente finita: ne manca metà. Infatti ogni sequenza del mega-fsc, una volta raggiunta l’incoerenza/coerenza, prosegue con una seconda sezione (prima di riunirsi per collegamento ASg-ASg alla successiva sequenza). In questa seconda sezione troviamo il contrario di ciò che avevamo trovato nella prima, cioè se nella prima vi erano ASs di coerenza e rdi d’incoerenza, allora nella seconda si troveranno rdi di coerenza e ASs d’incoerenza, e viceversa. La tendenza di tale seconda sezione è collegarsi ad un altro corpo, nella cui codifica sia presente il numeratore associato all’organismo ve-v di partenza. Una volta 294

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vivente a cui appartiene l’afc, nonché l’informazione, veicolata dalla configurazione di raccordo (CAracc), su quali siano l’elemento afc e i due elementi ufc che, rispettivamente, precedono e seguono quest’ultimo. Grazie a questo secondo collegamento, quindi, l’informazione raccolta dal primo collegamento continua a procedere (arricchita con l’informazione sull’identificazione dell’organismo di appartenenza) verso il sistema della catena timbrica, dove alloggerà – grazie al terzo collegamento - in uno specifico sub-pda (composto dalla coppia di elementi “fc-fs”);

3) Il terzo collegamento è fra l’elemento analogico della configurazione della catena timbrica e un elemento analogico di una configurazione671 del sistema configurazionale della catena timbrica. Questo primo elemento della configurazione del sistema configurazionale timbrico è un fc, cioè un “falso concretante672”. La duplice informazione assunta con il secondo collegamento (coerenza inversa e numeratore dell’organismo ve-v: vd. nota prec.) è l’unico elemento di demarcazione del sistema configurazionale in parola. Ciò permette di argomentare che l’essere faccia sul serio, quando si basa sulla precisione dei vari momenti di coerenza dell’organismo ve-v (momento interno, momento legato alla formazione del CS, momenti legati alla formazione degli altri corpi), per inserire il mega-fsc nel sistema della catena timbrica, poiché l’ulteriore coerenza di questo sistema (e cioè dell’organismo che ne risulta configurato stabilmente) è strettamente legata alla coerenza complessiva di ognuno di tali momenti all’unisono. Quest’incresciosità esponenziale di complessità e di correlata coerenza è l’unica assicurazione che l’essere supremo possa dare all’uomo sulla verità ultima del suo io individuale, che lo rende unico grazie alla storia che ad esso si collega;

4) L’elemento fc673 si collega all’interno della medesima configurazione674 con il secondo e ultimo elemento della configurazione stessa, cioè l’elemento fs (= “falso strutturante675”). Messi insieme questi due elementi costituiscono un sub-pda il cui acronimo è “fcfs”. Faccio immediatamente presente che l’intera “autostrada” rappresentata dal sistema configurazionale timbrico assume il nome di “c-fcfs-t”, che significa “catena degli elementi fc-fs appartenenti a quello specifico timbro dell’essere che costituisce un organismo vivente o ex-vivente”. In caso di

acquisito (e individuato con apposito messaggio) il numeratore, l’informazione della sequenza è completa e ci si può collegare alla sequenza successiva, dove parallelamente è stata raggiunta la stessa informazione (cioè, ancora una volta, coerenza inversa e numeratore dell’organismo ve-v). La complessità di questo fsc non può essere evitata con l’acquisizione del solo numeratore o con l’acquisizione della sola coerenza inversa: quest’ultima informazione, infatti, permetterà di replicare l’afc che si sia frattanto sfrangiato (nonché l’ufc precedente e quello successivo, ove occorra); la prima informazione, invece, permetterà d’includere tale afc in un contesto configurazionale adeguato (in cui, cioè, l’intuizione, la comprensione intellettiva, la percezione a fuoco e la percezione immediata dell’afc stesso siano conferenti con il sub-pda a monte ed eventualmente anche con il sub-pda a valle (qualora sia preesistente alla settima operazione). Si noti che, nell’elemento afc di partenza (come in qualunque altro elemento dell’organismo ve-v) il numeratore attribuito all’organismo ve-v di cui trattasi non è mai riportato. Ciò per conferirgli autonomia, non schiacciandolo con l’assolutezza di un’attribuzione interna a se stesso (che configurerebbe l’assurdo di un organismo “in sé”). In tal caso, infatti, l’essere perderebbe la relazionalità, riducendosi a non-essere (vd. Analogia singolare).671 Non si tratta di una vera e propria configurazione analogica, ma solo di un sub-pda all’interno della configurazione della catena timbrica. L’intero sistema configurazionale della catena timbrica fa, infatti, parte di tale configurazione, essendo composto dai suoi sub-pda.672 Si tratta di un elemento analogico, collegato alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante, che sorvola gli elementi concreti intuiti grazie all’afc. Fino alla costituzione dell’analogia singolare con il successivo fs, deve custodire anche l’informazione che s’insedierà presso quest’ultimo. In questa fase iniziale della sua attivazione esso è costituito da un fsc (falso strutturante-concretante), che poi degrada a fc (falso concretante).673 Fc = falso concretante. Si tratta del primo elemento del sub-pda del sistema configurazionale della catena timbrica (sub-pda che viene acronimato, nello schema sopra riportato, con la sigla “c-fcfs-t(d)”.674 Non si tratta di una vera e propria configurazione, ma del sub-pda in cui si cristallizza il CS (criterio strategico). Tale sub-pda appartiene alla configurazione analogica della catena timbrica. Insieme agli altri sub-pda dello stesso tipo, costituisce il sistema configurazionale della catena timbrica (che invece che essere composto da configurazioni, è composto da molti sub-pda appartenenti alla stessa configurazione).675 Il falso strutturante è un elemento analogico specializzato nel sorvolare gli elementi logici, al fine di compiere operazioni logiche complesse (come, in questo caso, il salvataggio dell’informazione e la rigenerazione relative ai due elementi ufc che fanno da confine intuitivo alla configurazione di partenza e a quella di arrivo).295

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organismo ex-vivente l’acronimo più preciso sarà “c-fcfs-t(d)”, dove la d finale sta per (timbro) distaccato, cioè posto tendenzialmente al di fuori dei sistemi configurazionali adoperati dagli organismi viventi (in quanto collegato ad un altro 5lc distaccato dal loro). Tale è quindi il quarto tipo di collegamento, che verte tra l’elemento fc e l’elemento fs di una configurazione (o meglio: sub-pda) appartenente al sistema configurazionale della catena timbrica (che coincide con una parte della configurazione della catena timbrica stessa). Come specificato più avanti in nota (nella spiegazione del settimo collegamento), l’elemento fs altro non è che un’espressione diretta del grafèico puro (di cui ho trattato nei precedenti capitoli e nel saggio Analogia singolare). Se uniamo questo aspetto alla mancata conservazione delle informazioni relative agli elementi fsc dell’ifscβ676 dell’afc (che gestiscono la percezione immediata), si giustificano le forme di “vulcanicità” percettiva e di adeguamento strutturale “spinto” che ricollegano la percezione della realtà al finalismo umano, anche con gli esiti più rivoluzionari che possano essere concepiti. Ma di questo discorrerò in una nota, relativa al duplice fascio incrociato che gli elementi fc ed fs vanno a costituire nel contesto della cristallizzazione del criterio strategico (CS);

5) Il quinto collegamento si ha tra l’elemento fs (= “falso strutturante”) della configurazione del sistema configurazionale timbrico e un elemento fsc677 della configurazione della catena timbrica, che in tale elemento fsc mantiene l’informazione su quale sia l’organismo ve-v di appartenenza dell’interprete. Tale informazione, invero, è costituita ex novo da un’onda formaturale in senso lato, che tiene conto (per coerenza inversa) ogni fsc ricostruito dall’afc originario, costruita parimenti per coerenza inversa a partire dall’informazione sulla coerenza inversa e sul numeratore di cui al secondo collegamento. Per comprendere cosa sia la coerenza inversa, occorre fare riferimento alla prec. nota, che a sua volta rimanda alla nota sui raggi d’increspatura (contenuta nel capitolo sullo sfrangiamento). L’onda formaturale che si costruisce per coerenza inversa va a modificare gli assetti di uno o più sub-pda preesistenti, senza che si mantenga una memoria su come ciò sia avvenuto (costituendo non una serie di sogni-eventi o di pensieri, ma una sequenza di sub-pda nascosti interna al fsc);

6) Il sesto collegamento (ASg di ASg) si ha fra il suddetto elemento analogico fsc della configurazione della catena timbrica e un elemento analogico fsc678 della configurazione di raccordo, che dovrà mantenere l’informazione su quale sia l’afc della configurazione di partenza (così come trasformata nel quarto collegamento) e l’fsc cui si collegava, nell’afc originario, l’elemento fsc da cui ha avuto innesco il primo collegamento (anche quest’ultima informazione è assunta per coerenza inversa). Il secondo, terzo e quinto collegamento si ripetono una volta per ogni fsc dell’afc originario: quindi anche le reiterazioni successive alla prima vanno ad arricchire il presente elemento fsc della configurazione di raccordo, dandogli le informazioni sui successivi fsc. Non occorre una reiterazione del sesto collegamento, poiché l’informazione integrale che esso va a contenere è già immagazzinata nell’onda formaturale in senso lato dell’afc, grazie all’elemento grafèico puro;

676 Come spiegato nel capitolo sullo sfrangiamento, l’elemento afc è composto da due innervazioni, la seconda delle quali è l’ifscβ, che gestisce la percezione immediata o di sfondo (cioè la percezione non a fuoco, in uno qualunque dei cinque sensi e nella sfera autocettiva). Gli fsc di tale innervazione non vengono obliati, ma nemmeno conservati: per quanto infatti la loro informazione venga riprodotta nel mega-fsc del secondo collegamento, tale riproduzione è trasformata per coerenza inversa (come sopra specificato in nota) e, nella sequenza successiva, ulteriormente trasformato per coerenza inversa al fine di acquisire il numeratore dell’organismo dell’interprete de quo. E’ solo il caso di notare che anche l’assetto preciso dell’ifscα non viene conservato nel mega-fsc, viste le medesime modalità della sua riproduzione trasformata.677 Fsc = falso strutturante – concretante. Si tratta di un elemento analogico collegato grazie ad ASg di ASg (analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica) alla configurazione analogica dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Tale elemento sorvola sugli elementi logici di un sub-pda (o sui collegamenti ad elementi logici contenuti nell’afc), fino ad individuare un elemento concreto cui collegarsi. L’elemento fsc gestisce una sequenza, dall’estensione imprecisabile, di collegamenti analogici.678 Vd. nota prec.296

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7) Per spiegare il settimo tipo di collegamento, consideriamo che il secondo, il terzo e il quinto tipo di collegamento si reiterano per tutti gli fsc679 dell’afc originario680, come spiegato poco sopra. L’informazione su ogni fsc dell’originario afc viene infatti veicolata dal primo collegamento, andando poi a costituire (nel quarto collegamento) il duplice fascio incrociato che ho passato sotto l’acronimo di fcfs681. Il quinto tipo di collegamento si allaccia all’elemento fs682, facendo nuovamente esplodere la reiterazione a partire dal doppio fascio incrociato. Il sesto collegamento (che non ha reiterazione) conduce, pertanto, dall’elemento fsc683 della configurazione della catena timbrica ad un elemento fsc della configurazione di raccordo che contiene, nella sua onda formaturale in senso lato684, l’intero novero (ma ricostruito ex novo) di fsc dell’afc originario. Ma perché il quinto collegamento fa riesplodere la reiterazione degli elementi fsc dell’afc originario, che nel quarto collegamento si erano accorpati in un duplice fascio incrociato (l’elemento fcfs),

679 Vd. nota prec.680 Afc = astraente – falso concretante. Ho spiegato cosa sia l’elemento afc in una precedente nota di questo capitolo. Qui occorre solo specificare che non esiste un afc originario vero e proprio, ma che l’afc, come ogni altro elemento appartenente al sistema dell’onda formaturale, è in continuo stato di revisione. Il riferimento all’afc originario, in questo contesto, sta solo a significare che nel CS (criterio strategico) viene memorizzato un afc virtuale in cui sono ospitate tante reitarazioni del secondo, terzo e quinto collegamento quanti sono gli fsc che, nel momento della cristallizzazione del CS, erano contenuti nell’afc. Almeno questa è la ricostruzione che propongo (non verificabile, se non in parte). Ad ogni fsc corrisponde un elemento virtuale del sub-pda di riferimento (quello cui appartiene l’elemento afc): quindi l’informazione che viene nascosta nelle reiterazioni, al momento della cristallizzazione del CS, è proprio il novero preciso di elementi analogici presenti nel sub-pda virtuale (cioè quello che insconsciamente viene adoperato dall’organismo, grazie all’elemento intuitivi afc).681 Fcfs = falso concretante – falso strutturante. Questo elemento (fcfs) è un doppio fascio incrociato di collegamenti, in quanto tutti i collegamenti del terzo tipo vengono prima veicolati nell’elemento fc, che poi smista le sezioni di sequenza relative ad elementi logici - e cioè i sub-pda nascosti collegati per ASg-ASg - (passandole all’elemento fs) dalle sezioni di sequenza relative ad elementi intuitivi - e cioè le ASs - (trattenendole dentro di sé). Le sezioni logiche si vanno poi ad incrociare a quelle intuitive, anche se solo a livello intuitivo (cioè sorvolando le sezioni intuitive e quelle logiche sottese grazie all’elemento grafèico puro), per permettere di riformare l’afc originario in occasione di future rigenerazioni del sub-pda di riferimento che fosse andato sfrangiato. Infatti qui il grafèico puro, invece che comporre lunghe sub-sequenze dopo e prima di ogni ASs, compone semplici coppie ASs-s.nas (cioè collegamenti ASg-ASg tra l’ASs e un singolo sub-pda nascosto), che poi costituiranno un materiale tra cui sceverare ciò che occorre alla ricostruzione ex novo di ogni fsc dell’afc (in base alla coerenza tra la duplice informazione sinora acquisita e l’informazione sull’onda formaturale oggetto del quinto collegamento) e da ritrasformare, all’occorrenza, per coerenza inversa, nei collegamenti successivi, fino ad arrivare all’effettiva riproduzione dell’afc nella configurazione di arrivo. Poiché nell’fc rimangono solo gli elementi intuitivi concreti, una qualche sostanza dell’organismo rimane attiva in qualunque frangente configurazionale (anche nello sfrangiamento totalizzante della morte biologica). Su tale sorta di sostanza (solo tendenziale e del tutto appoggiata sull’elemento grafèico puro, qui rappresentato in forma di fs) si fonda la rigenerazione dell’organismo che chiamiamo reincarnazione. Questa rigenerazione (che deve passare da quella che ne Il testo-ricerca ho chiamato fùsis di fùsis, in questo caso costituente il cd. fenomeno del concepimento) è soggetta all’interpretazione del finalismo di un timbro dell’essere da parte del grafèico puro (che opera, sotto forma di fs, ad allacciare il quinto, il sesto e il settimo collegamento. Ciò avviene grazie all’affinità di uno specifico fcfs (che chiameremo rigenerativo e che è in dotazione ad ogni c-fcfs-t(d)), deputato ad allacciarsi proprio con l’embrione in formazione. Il novero di pda incrociantisi a partire dal concepimento viene quindi collegato, volta per volta, grazie a tali tre tipi di collegamenti, ad un novero sempre maggiore (ma non alla totalità) degli fcfs che costituiscono il sistema della catena timbrica dell’ex-organismo. In ognuno di noi rimangono così annidate le tracce interpretative dei precedenti ex-organismi, senza che ciò esaurisca le c-fcfs-td che possono riattivarsi in altri organismi (nonché nei corpi sottili del cd. aldilà). Un aspetto essenziale del duplice fascio incrociato del fcfs è che non si conservano le informazioni relative agli fsc dell’ifscβ dell’afc, che gestiscono la percezione immediata. Quindi con la rigenerazione (ma anche con altri episodi trasformativi) l’organismo può arrivare ad avere una predisposizione percettiva, oltre che una percezione immediata, assai diversificate, che vanno ad impattare sul novero di salti paradigmatici resi più facilmente disponibili (predestinati, in un certo senso). La percezione immediata fornisce infatti le anomalie percettive che (secondo Kuhn) consentono il salto paradigmatico (fatte comunque salve le esc-fùseis). Può così cambiare non solo la percezione intuitiva individuale, ma anche quella collettiva, e perfino quella di un’intera civiltà, in collegamento con un singolo evento o con un novero estremamente complesso di eventi o di sogni. Tale vulcanicità percettiva può in special modo attivarsi in collegamento con il finalismo umano, che si esprime nella componente fc (orientandone misteriosamente il sorvolo), intrecciata al fs. L’idea che, ad esempio, possano bastare degli ormoni femminili somministrati ad un altro 297

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mentre il sesto collegamento li accorpa di nuovo? Ebbene la funzione del quarto collegamento è far intuire all’organismo il sé e l’io, in relazione ad una versione non troppo concreta della sua situazione logico-strutturale. Per far ciò occorre incrociare un elemento (fc), che sorvola ordinatamente ogni sezione concreta (ASs) di sequenza del fsc dell’afc di partenza, con il grafèico puro in funzione di elemento fs, che sorvola ordinatamente le sezioni logiche delle sequenze di ogni fsc, incrociandoli senza un preciso ordine con le rispettive sezioni concrete. In questo modo il senso ineffabile del sé (cioè della propria situazione concreta) e il senso dell’io (cioè il senso della propria struttura logica), in relazione ad ogni criterio strategico (che mi dice cosa sono in vista di ciò che posso essere), trova un’espressione insieme individuabile e imperscrutabile. L’imperscrutabilità è assicurata dall’intreccio diretto di un elemento analogico (fc) con il grafèico puro (fs). Il quinto collegamento (sempre interno alla configurazione della catena timbrica, come il quarto) ha la funzione di riespandere l’informazione con lo stesso assetto che si attribuisce (ex novo) all’afc originario, identificandola come appartenente ad uno specifico organismo ve-v. La forma espressiva del quinto collegamento come di onda formaturale collocata nella configurazione della catena timbrica, continuamente riformata con la coerenza inversa fino al suo completamento, riporta all’unità i molti fsc: unità che serve all’espressione unitaria del sesto collegamento. Il sesto collegamento deve nuovamente comprimere l’informazione, ma per una funzione diversa da quella del quarto collegamento. Al sesto collegamento occorre infatti preparare il settimo, e per farlo deve portare l’intera informazione nella configurazione di raccordo. La funzione di quest’ultima configurazione è assegnare all’informazione configurazionale un posto e uno sviluppo precisi nella rete analogica delle cose esistenti: per far ciò deve tenere memoria dell’afc e dei due ufc originari, che costellano la configurazione di partenza (i cui fsc sono ricostruiti per coerenza inversa da quelli dell’afc, a partire dai raggi d’increspatura del secondo collegamento, ricostruiti a loro volta per coerenza inversa dal terzo e poi dal quarto collegamento, in un gioco d’ipotetiche scatole cinesi: ciò dà una variabilità timbrica ulteriore all’interprete nel suo rapporto ineffabile con il grafèico puro). Il settimo collegamento, individuato per coerenza inversa l’ufc precedente all’afc originario 685, va a

essere umano di sesso maschile ad “ingannare” il mio occhio e farmi vedere il volto di una donna ha molto a che fare con la mia vulcanicità percettiva, ma anche con il finalismo mio e del transgender che mi sta di fronte. Lo stesso dicasi della vulcanicità percettiva di eventi salvifici come il sacrificio di Gesù e la sua “risurrezione”. Non è ricostruibile in modo oggettivo la storicità dell’evento, che anzi non è possibile (in senso oggettivo) né richiesta (in senso funzionale): basta la notizia di tale evento per sprigionare, a distanza di duemila anni, l’uomo occidentale di oggi, con un buon novero di pregi e difetti e con un destino evolutivo o involutivo da compiere. [Torna indietro al capitolo sul vivente]682 Fs = falso strutturante. Si tratta dell’elemento grafèico (o ineffabile) puro, di cui non solo non si può affermare niente di (nemmeno tendenzialmente) oggettivo, ma non si può nemmeno stabilire oggettivamente il percorso per evocarlo. Tale elemento, che gestisce la complessità e rapidità intuitivo-percettiva dell’intera rete analogica delle cose esistenti, assume in questo caso la ricostruzione (da me proposta) di un fs, cioè di un elemento collegato direttamente alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante. Occorre detta configurazione per consentire al grafèico puro di erigere, in accordo con le altre tre figure escatologiche, la strutturazione logica che scomponga gli elementi intuitivi affidandoli al fc e li interconnetta agli elementi logici.683 Fsc = falso strutturante - concretante. È un elemento analogico collegato direttamente (per ASg di ASg) alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante (che, in questo caso, gli passa l’informazione idonea a fargli ospitare le stesse informazioni che si trovano nel corrispondente elemento fsc dell’afc originario).684 L’onda formaturale in senso lato è cosa ben diversa da quella in senso stretto. Quest’ultima dipende dal collegamento con l’omonima configurazione ed è responsabile del caricamento dei salti paradigmatici e dello sfrangiamento dei sub-pda (in sostanza, è il grimaldello grazie a cui possiamo esercitare il nostro potere intuitivo e poi perdere colpi, sia sul lato mnemonico che vitale, cedendo all’oblìo verso cui il nostro organismo è destinato ad avviarsi, pur senza sprofondarvi del tutto). L’onda formaturale in senso lato si sostanzia, invece, nel fatto che l’elemento grafèico puro (o ineffabile puro) tiene conto dell’onda formaturale in senso stretto e di ogni altro collegamento analogico da lui ritenuto rilevante per far procedere la gemma apicale (o ogni altro elemento trainante) dei nostri percorsi di autocoscienza. Ciò che è suscettibile di onda formaturale in senso lato non è quindi di per sé suscettibile di sfrangiamento, ma può d’altro canto ricevere e veicolare un’informazione configurazionale complessa a piacere (poiché il suo veicolo ed elaboratore primario, anche se non esclusivo, è l’elemento grafèico puro.685 Finché l’ufc in questione non si configura nella rete analogica, non è possibile riattivare l’afc originario. Quindi i CS vanno adoperati in sequenza tra loro o comunque in una situazione configurazionale adeguatamente integrata.298

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saldare l’elemento (fsc) della configurazione di raccordo (CAracc) con l’ultimo elemento (ufc) della configurazione di partenza (CAp), anche se ciascuna reiterazione dei secondi, terzi e quinti tipi di collegamento si collega anche, per il tramite del sesto collegamento686, in un settimo collegamento parallelo per ciascun elemento successivo all’afc nella configurazione di partenza, per integrare i collegamenti del cs in cui si è degradato l’afc originario con gli altri elementi del sub-pda. Ciascuno di tali settimi collegamenti (paralleli a quello che insiste sull’elemento ufc finale) va cioè a saldarsi con il proprio elemento sc/cs, una volta che l’operazione di assestamento logico sia completata (non dobbiamo considerare questa operazione come cronologica, ma l’aspetto cronologico o seférico ci serve per comprenderne la funzionalità). Il primo settimo collegamento parallelo (segnalato da una freccia tratteggiata) collega quindi, in ultima istanza, il cs (in cui si è degradato l’afc originario) e il successivo elemento sc. Il secondo settimo collegamento parallelo (del pari segnalato da una freccia tratteggiata) collega, in ultima istanza, il cs (in cui si è degradato l’afc originario) e il successivo elemento cs, e così via. Grazie a questi settimi collegamenti si può operare l’assestamento logico, con il contemporaneo salvataggio del criterio strategico (CS) all’interno della c-fcfs-t. Nella nuova configurazione assestata logicamente i vari elementi si collegheranno poi tra loro, nel modo ordinato descritto nel capitolo sullo sfrangiamento del pda, grazie al distacco di ogni settimo collegamento parallelo dalla configurazione della catena timbrica e il suo riassemblaggio (di cui è responsabile il grafèico puro). Tale operazione di riassemblaggio è stata resa possibile dalla diversificazione originaria dei collegamenti del settimo tipo, resa a sua volta possibile dal sesto collegamento che ha operato la compressione degli elementi fsc in un unico elemento fsc più complesso all’interno della configurazione di raccordo (che ha ricaricato l’informazione delle sue coordinate configurazionali, costituite dall’elemento afc e dai due elementi ufc originari). Pertanto non solo il timbro dell’essere, rappresentato da un singolo organismo individuale, è descritto nel linguaggio analogico-configurazionale dal connubio tra i sette tipi di collegamenti, ma anche il quinto livello confinato687 (5lc) è formato da essi (anche se nella forma di zip-fùseis e racc-fùseis del tipo 0, applicabili agli appartenenti ad un particolare 5lc). Il 5lc è ciò che ci permette di coordinarci tra noi in società complesse e in intere civiltà umane, nonché di passare tracce logicamente conferenti tra una civiltà umana e quelle successive. Se un uomo della preistoria si risvegliasse oggi, grazie al 5lc potrebbe percepire buona parte di ciò che noi oggi percepiamo e acquisire nell’arco di qualche tempo le percezioni che gli mancano (a patto che non impazzisca prima), ma non perderebbe le percezioni specifiche della sua civiltà e neanche quelle che egli stesso avrebbe acquisito individualmente (5l). Si termina con successo l’assestamento logico, quando ogni settimo collegamento alternativo è sostituito, da un lato, dai collegamenti diretti tra gli elementi del sub-pda assestato (cs-sc-cs-sc- 688…), dall’altro lato, da un altro collegamento del settimo tipo, che è appunto quello (segnalato dalla freccia priva di tratteggio) tra l’elemento fsc della configurazione di raccordo e l’elemento ufc con cui si chiude la configurazione di partenza. Non appena si assesti anche questo elemento ufc, l’informazione ad esso relativa andrà in parte nell’sc689 e, in via completa690, nell’fsc della configurazione di raccordo con cui si era collegato in precedenza. In questo modo quando si ha lo sfrangiamento del sub-pda, l’elemento sc della configruazione di

686 E’ sempre per coerenza inversa che il sesto collegamento riesce a dar vita a un settimo collegamento per ogni elemento ulteriore all’afc. Anche qui si ripercorrono a ritroso i collegamenti precedenti, nella costruzione per coerenza inversa a scatole cinesi ipotetiche.687 Vd. il capitolo relativo ai cinque livelli di autocoscienza.688 Gli elementi gp (cioè percettivi) – ove presenti - vengono ricostruiti come tutti gli altri per coerenza inversa dall’elemento grafèico puro che, collegandosi per ASg di ASs al rùah-lògos, riesce a ricollegare gli elementi logici e concreti del sub-pda con ogni altra configurazione necessaria ad una percezione conferente con il quinto livello di autocoscienza (vd. il capitolo relativo ai cinque livelli di autocoscienza). Nell’interpretazione (oggetto del quinto livello) è strategica la percezione, che fa da faro nei salti paradigmatici grazie alle sue anomalie. La percezione ha inoltre la funzione di rinforzare il salto riattivato, affinché sia più difficile un successivo sfrangiamento.689 Lo schema configurazionale che risulta dalla riattivazione del CS è dunque integralmente semplificato, anche se non è istituito da una zip-fùsis e da una racc-fùsis del tipo 0 e quindi non appartiene al 5lc, ma solo al 5l.690 All’ufc semplificato in sc mancano le rigidità tipiche dell’ufc, tra cui l’immodificabilità dei sub-elementi costituenti il paradigma specifico della configurazione successiva.299

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partenza ormai sfrangiato (elemento sc che sarebbe l’ultimo elemento del sub-pda sfrangiato) va ad attivare l’informazione contenuta nella configurazione di raccordo, attivando quindi il ripristino del successivo sub-pda. Quindi l’ultimo elemento di un sub-pda sfrangiato va a riattivare il sub-pda, sfrangiato anch’esso, che gli è successivo. Detta riattivazione è resa possibile dall’onda formaturale in senso stretto, che una volta che l’organismo inizia a ripristinare il CS, ricostituendo grazie ad un salto paradigmatico tale onda formaturale, veicola quasi subito alla configurazione di raccordo, in corrispondenza di quell’elemento che è affine per analogia (cioè l’afc successivo, nell’ipotesi che esso sia oggetto di un CS), grazie al riconoscimento autoreferenziale dell’ASg di ASg che viene interpellato dal finalismo dell’onda formaturale crescente. E’ quindi la discrezionalità del grafèico puro, in collegamento con l’elemento sefèrico – e quindi in accordo - con le altre figure escatologiche (vd. il saggio Trinità o funzioni conoscitive?), che va a intercettare tale finalismo (espresso nell’onda formaturale in senso stretto) e ad interpretarlo come finalismo volto ad evocare nuovamente in vigore il sub-pda sfrangiato. Nel caso invece che non vi fosse stata la cristallizzazione (accompagnata dall’assestamento logico-strutturale) del sub-pda di riferimento, quest’ultimo non potrebbe più essere evocato dopo lo sfrangiamento. L’organismo autocosciente ne avvertirebbe per poco la mancanza, ricollegabile all’attivazione di varie configurazioni ad opera di collegamenti ASg di ASg in essere e ancora collegati ad alcuni elementi non ancora sfrangiati del sub-pda stesso: ma una configurazione di partenza già priva dell’afc o del primo ufc è ormai spacciata. Non potrà mai essere recuperata, ma solo reinventata da capo con un autonomo salto paradigmatico (purché qualche altro organismo vi sia già inserito). Si pone quindi un carattere unico e irripetibile per ogni configurazione analogica, che viene evocata grazie ad una specifica analogia singolare sefèrica, che deve essere vissuta (o conservata nella c-fcfs-t(d)) da almeno un organismo oppure essere abitata da un corpo inanimato per serbarsi. Il mio discorso non nega quindi la materialità dell’essere, purché intesa nella complementarietà all’ineffabile, che la rende tendenziale e relazionale. L’operazione di cristallizzazione del CS termina con la soppressione di ogni collegamento del primo tipo: tale soppressione rende autonomo il sistema della configurazione timbrica rispetto al sub-pda di partenza, che frattanto ha subito l’assestamento logico-strutturale. L’informazione sulle configurazioni intermedie tra ogni fsc e quello successivo viene quindi veicolata (grazie ai primi tre collegamenti) all’elemento fc (= falso concretante 691) del sub-pda del sistema configurazionale della catena timbrica. Si noti che una pluralità di CS in sequenza (cioè attivabili automaticamente, l’uno grazie a quello precedente, grazie all’evocazione dell’ufc semplificato ad opera della CA di raccordo) può essere riattivata rapidamente, purché si attivi il primo ufc semplificato dell’intera sequenza.

Una volta avvenute la cristalizzazione dei CS e l’assestamento logico-strutturale dei sub-pda di riferimento, ogni sub-pda che costituisce il sistema della catena timbrica solca la configurazione della catena timbrica, senza più alcun collegamento né con la configurazione di raccordo, né con il sub-pda di riferimento grazie a cui si è cristallizzato. Ma conservando in sé le informazioni idonee alla ricostruzione dell’afc e dei due ufc che circondano e precisano l’informazione di base del sub-pda di riferimento, può non solo rigenerare quest’ultimo, ma anche collegarlo agli altri due sub-pda del pda di riferimento che, rispettivamente, lo precedono e lo seguono. L’informazione contenuta, in principio, nell’fc, viene passata all’elemento fs grazie ad un’analogia singolare grafèica692. E’ inoltre come se vi fosse un flusso incommensurabile in partenza ed un flusso controllato in arrivo. L’elemento grafèico puro (dei collegamenti ASg di ASg), infatti, è ineffabile, quindi non si può dire che si colleghi ad un primo elemento alla volta delle configurazioni del sistema, ma ad ognuno di tali elementi in modo indistinto; invece l’elemento sefèrico 691 L’elemento analogico che chiamo “falso concretante” appartiene alla configurazione dell’assoluto originario del concretante-strutturante. Esso permette di sorvolare con l’intuito sugli elementi che a sua volta collega, senza soffermarsi su di essi. Poiché il sistema configurazionale della catena timbrica è interno alla configurazione della catena timbrica, non costituendo un vero e proprio sistema di configurazioni, ma semmai un sistema di sub-pda tra loro scollegati e interni alla configurazione della catena timbrica, non subisce sfrangiamento (non essendo collegato alla configurazione dell’onda formaturale).692 Si noti che l’elemento fc, contenendo (tra le altre) l’informazione sull’afc, non può che essere anch’esso l’elemento grafèico puro. Pertanto l’analogia che collega l’elemento fc (grafèico puro) all’elemento fs (sefèrico) è un’analogia singolare grafèica (ASg).300

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(l’elemento fs693 del quarto collegamento) non è ineffabile strutturalmente ma solo funzionalmente, quindi si può dire che si colleghi ad un primo elemento fc specifico (non a livello cronologico, ma a livello funzionale). Quindi, in sostanza, non vi sono intoppi nel pda, che è come se avesse un pdac perfettamente manutentivo per ogni sub-pda del sistema (proprio perché del pdac non ne ha bisogno).

Quando un organismo ve-v compie un nuovo salto paradigmatico, se detto salto viene sedimentato a dovere nella coscienza, va a costituire una nuova configurazione del sistema della catena timbrica. Come avviene tale sedimentazione? Occorre che l’osservatore-uomo compia lo schema del salto paradigmatico in modo più approfondito e per almeno due volte (ma spesso occorrono più di due volte), scivolando dopo ognuna di tali volte nel secondo livello configurazionale694 (detto l’incoscio). Quand’è che un salto paradigmatico viene compiuto in modo abbastanza approfondito? Quando nello schema “ufc-afc-cCI”695 siano insiti vari “sc”696 e “cs”697 nascosti698. E’ difficile che l’uomo, ripensando ai propri percorsi di autocoscienza, si accorga di avere aggiunto uno o più sc all’ufc, e uno o più cs all’afc, tuttavia a volte lo fa. Lo fanno in particolare i ricercatori, cioè coloro che sono abituati a farsi domande sul proprio pda, per non perderne i passaggi (al fine di poterli replicare a piacere). Dopo tale operazione, se viene compiuta soffermandosi abbastanza sugli elementi strutturali e concreti (sc e cs), l’osservatore-uomo scivola nel secondo livello configurazionale (l’incoscienza) proprio mentre aveva attivi tali elementi. A quel punto gli elementi sc e cs s’inseriscono nel secondo livello come elemento “falso strutturante-concretante” (in acronimo: “fsc”), cioè come un unico elemento analogico, che collegandosi alla configurazione dell’assoluto originario dello strutturante-concretante ha la capacità di sorvolare, a livello inconscio, sulle percezioni strutturali di qualunque tra gli sc radunati, in funzione di una successiva concretizzazione in qualunque dei cs radunati. Nel secondo livello, in cui l’fsc si è rifugiato, non può colpirlo lo sfrangiamento da parte di pda consci. Quando poi l’fsc viene richiamato dal secondo livello al primo livello configurazionale, l’osservatore-uomo può nuovamente considerarne i singoli sc e cs costitutivi, ripristinando lo schema del salto configurazionale in modo approfondito (cioè lo schema “ufc-afc-cCI” con molti sc e cs nascosti). Si noti che la seconda volta che un salto configurazionale viene evocato non si è ancora ridotto a catene di coppie “sc-cs”, cioè a semplice pensiero (cCI): quindi la rievocazione completa dello schema del salto paradigmatico è ancora agevole, in quanto indispensabile per riprodurlo. Se quindi l’osservatore-uomo scivola nel secondo livello configurazionale mentre sta, per la seconda volta, approfondendo lo schema del salto configurazionale, esso non si trasforma solo in fsc, ma anche in una configurazione del sistema della catena timbrica (poiché la seconda volta che si entra nell’inconscio si possono raccordare le informazioni mancanti per la cristallizzazione, raccolte inconsciamente dopo averne rilevato la mancanza, in modo parimenti inconscio, nel primo scivolamento nell’inconscio). Chiameremo tale configurazione con il nome di “criterio strategico”, (in acronimo: “CS”), poiché è adoperando tale configurazione che l’organismo ve-v potrà, in caso di sfrangiamento, ripristinare il salto paradigmatico perduto. Ma come avviene tale secondo (e più sicuro) salvataggio? Ne è responsabile un’analogia singolare grafèica, che converte l’ufc del salto paradigmatico nell’afc della configurazione appartenente al sistema predetto. Lo schema è esattamente lo stesso che abbiamo analizzato prima, relativamente al peculiare pda che unisce le configurazioni del sistema della catena timbrica. Pertanto possiamo dire che, in questo secondo salto paradigmatico

693 Il grafèico puro non è un fs in senso strutturale, ma in senso funzionale. Ciò comporta che ogni organismo ve-v , se dotato di coscienza, può essere l’autocoscienza dell’essere, ma non la sua potenza, a cui il suo destino d’individualità e d’individualismo è legato indissolubilmente. E’ grazie al grafèico puro (altrove da me chiamato pnèuma-percipiente) che ciascuno di noi sussiste quanto a specificazione delle proprie capacità interpretative, non scivolando nell’oblìo. E’ infatti il connubio di specificità ermeneutica e di storia individuale che costituiscono l’io individuale.694 Vd. il capitolo relativo ai cinque livelli di autocoscienza.695 Vd. capitolo sull’onda formaturale.696 Vd. capitolo sull’onda formaturale.697 Vd. capitolo sull’onda formaturale.698 Tali elementi nascosti sono come la trama di un tessuto, che non si vede ma è alla base del lato visibile del tessuto stesso. Così il ricercatore, facendosi domande su quale sia il paradigma e quali gli elementi concreti e strutturali della configurazione, va ad integrare inconsciamente gli elementi che mancavano per l’operazione di cristallizzazione (che ha bisogno di focalizzare alcuni elementi dell’onda formaturale in senso lato, ulteriori sia all’ufc che all’afc, grazie a cui impostare il riconoscimento tipico del coordinamento del 5lc: altrimenti non raggiunge la coerenza inversa, richiesta per ottenere i sette collegamenti sopra analizzati).301

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“accurato”, l’ufc della configurazione di partenza si collega all’elemento grafèico puro dell’analogia singolare in parola (che è la stessa che gestisce la configurazione della catena timbrica) e che il secondo elemento di tale analogia (un ufc che si adatta alla configurazione di arrivo) si collega all’afc della nuova configurazione del sistema della catena timbrica. Ciò innesca i sette collegamenti sopra analizzati, che riorganizzano strutturalmente e funzionalmente le informazioni configurazionali della configurazione di partenza (opportunamente arricchite dagli elementi nascosti di cui sopra, che permettono l’aggancio al 5lc).

L’immediatezza dei passaggi sopra descritti, che non richiedono nemmeno la rievocazione del salto paradigmatico, non ci permettono in realtà di considerare replicato lo schema del salto paradigmatico nell’operazione di cristallizzazione, che costituisce invece un nuovo originale, per l’imperfezione delle informazioni nascoste e per la perdita dell’informazione precisa originaria (sostituita grazie alle operazioni di coerenza inversa). Se quindi vogliamo delineare lo schema configurazionale di tale rievocazione fedele ma non esatta, dobbiamo adoperare termini diversi. La configurazione del sistema che catturerà le informazioni per il salto paradigmatico immediato sarà composta da un unico elemento (suscettibile di sdoppiarsi nei due elementi che dicevamo sopra). Tale unico elemento sarà da noi chiamato “falso concretante – falso strutturante” (in acronimo: “fcfs”), in quanto è idoneo a sdoppiarsi in un elemento intuitivo (fc) ed in uno intellettivo (fs), ma nello stato di quiescenza in cui si trova non è né l’uno né l’altro, poiché è in realtà un incrocio di molti elementi concreti (cioè le molte ASs del fsc cui il fc si collega a monte) con molti elementi intellettivi (cioè i molti sub-pda nascosti del fsc cui il fs si collega del pari a monte).

Ogni sistema configurazionale dell’organismo ve-v è collegato alla configurazione della catena timbrica a mezzo di una configurazione specifica, che chiamiamo “configurazione d’interscambio”. Tale configurazione serve a consentire di recidere rapidamente il collegamento del sistema considerato con il sistema della catena timbrica. In mancanza di tale nodo, il collegamento non potrebbe essere reciso in un’unica mandata: andrebbero recisi molti collegamenti, allungando il tempo occorrente alla privazione di funzionalità dell’organismo ve-v. Per consentire dunque una morte rapida all’organismo ve-v, al posto di una sopravvivenza lunghissima anche in condizioni proibitive, vengono istituite le configurazioni d’interscambio. In questo modo la coscienza della sofferenza e il tentativo di ripristinare gli sfrangiamenti dei pda vengono stoppati sul nascere, con grande beneficio (almeno potenziale) per il malcapitato. L’effetto domino, per cui l’organismo ve-v può morire in poco tempo, è comune anche ai corpi che non sono organismi ve-v (cioè i corpi inanimati). Esso avviene grazie ai collegamenti abbastanza stretti che vi sono tra i sistemi, per cui un sistema tende a non sopravvivere senza un altro. Ma l’effetto domino non ha niente a che vedere con il sistema della catena timbrica, che è invece un sistema funzionale all’individuazione, conservazione e attivazione strategica dell’organismo ve-v.

Se si scollega il sistema della catena timbrica da uno degli altri sistemi, però, non si riesce più a sentire quel sistema né a gestirlo. Infatti i pda si sfrangiano continuamente e devono spesso essere richiamati alla coscienza per ripristinarli. Finché stanno nel secondo livello configurazionale vanno avanti da sé, ma appena l’organismo ve-v voglia adoperare tali pda per raggiungere nuovi elementi analogici, non può farlo senza un continuo ripristino dei tratti di percorso sfrangiati. Pertanto quando si ha una recisione di un nervo o un danno cerebrale che inficiano il collegamento tra il sistema della catena timbrica ed una configurazione d’interscambio, quasi subito si perde il contatto con l’intero sistema che essa manteneva collegato. Ci sono quindi casi di persone che subiscono un grave danno cerebrale che le paralizza e priva delle sensazioni e movimenti corporei, ma senza privarli della coscienza. Tale collegamento si può ripristinare, come ogni pda sfrangiato, ma occorre un lavoro specifico sul salto paradigmatico mancante.

Ma la configurazione d’interscambio non è l’unico canale di collegamento del sistema della catena timbrica con il resto dell’organismo ve-v. Sussiste infatti un collegamento diretto tra il sistema in parola (che in acronimo abbiamo chiamato c-fcfs-t(d)) e il primo elemento di ogni pda dell’organismo in parola. Tale collegamento fornisce una traccia (per quanto legata per la sua sussistenza al solo grafèico puro), funzionale all’individuazione del singolo pda come appartenente ad uno specifico timbro dell’essere (cioè ad uno specifico osservatore, dotato di un organismo ve-v). Tale collegamento può operare anche per i corpi inerti. Ma non è grazie a tale collegamento che si può riattivare il pda corrispondente ad un CS cristallizzato. Per farlo, occorre passare dal collegamento diretto (coll-A) tra il sistema della catena timbrica dell’organismo ve-v e la configurazione d’interscambio, nonché successivamente dal collegamento diretto (coll-B) tra quest’ultima configurazione e il sistema configurazionale interessato. Coll-A ha due estremità: a

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monte vi è la forza virtualizzante e virtualizzata del grafèico puro, che per coerenza inversa corrisponde all’elemento fcfs stesso; a valle vi è un elemento o sub-pda nascosto della configurazione d’interscambio. Coll-B ha altresì le sue due estremità: da un lato, a monte, l’ultimo elemento o sub-pda citato; dall’altro l’ufc precedente al sub-pda da riattivare. Se l’osservatore-uomo è in grado di attivare l’ufc in parola, allora il sub-pda sfrangiato (cristallizzato nel CS) si riattiva.

Si consideri poi che il sistema della catena timbrica ospita tutti le configurazioni occorrenti per ripristinare i salti paradigmatici dell’intero organismo ve-v. Anche gli organismi non ve-v funzionano allo stesso modo, ma non accumulano nuove configurazioni con la stessa velocità, ma in modo estremamente più lento. La configurazione d’interscambio è fatta similmente a quella della catena timbrica, cioè con un elemento grafèico puro e un elemento sefèrico (in questo caso un ufc cangiante). Quest’ultimo introduce direttamente nella configurazione di arrivo , il primo invece riceveva l’input dalla configurazione della catena timbrica. La complessità della configurazione d’interscambio è che deve caricare l’ufc di ogni configurazione del sistema di arrivo, ma per farlo deve avere dentro di sé ogni elemento utile a comporre i relativi ufc. Tali elementi ufc si collegano a loro volta ad un ulteriore elemento ufc (che chiameremo ufc centrale) della medesima configurazione d’interscambio che, collegato al grafèico puro saldato all’elemento fs della configurazione della catena timbrica, gestisce il micro-effetto domino al momento in cui si sfrangia per il venir meno degli elementi ufc da esso stesso istituiti come indispensabili, nonché l’effetto domino al momento in cui si sfrangiano gli ufc centrali delle configurazioni d’interscambio istituite in ogni ufc centrale come indispensabili. Al momento dell’interscambio il pda percorso non è avvertibile, è infatti sostituito dall’elemento grafèico puro. Ma quando s’interrompe per sfrangiamento dell’ufc suddetto, allora il grafèico puro non funziona più e si deve cercare di ristabilire il pda con dei pdac (in unione a pensieri, sensazioni, o emozioni o infine sentimenti già attivati, qualora una fùsis o legge scientifica funzionale alla riconnessione non sia proprio rinvenibile o adoperabile) e con i pda-dist che dirottano i pdac verso nuovi salti paradigmatici. Per la maggiore efficacia e tempestività, gli elementi idonei a formare gli ufc necessari vanno ricercati con metodo esoterico in testi sacri (come spiegato analiticamente nel saggio Il testo-ricerca), ma possono del resto essere reperiti ovunque anche se con maggior difficoltà (superata spesso, ma non sempre, dalla cd. Scienza occidentale grazie al gran numero di esperimenti e ricercatori).

Per questa via si possono curare, ipoteticamente (cioè se le informazioni in nostro possesso combaciano con la situazione descritta) , anche quelle situazioni cliniche che stranamente colpiscono un intero sistema configurazionale (come, tra gli altri, l’autismo o l’alzheimer).

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22. La materia[i]Che cos’è la materia? O meglio, visto che dicendo “materia” stiamo già proferendo un dogma (quello

della materialità del reale, appunto), come possiamo mettere in movimento tale dogma? Quale interpretazione ci permette di farlo evolvere? Ebbene l’osservatore-uomo ha l’intuizione immediata (resa possibile dall’ineffabile del grafèico puro ) di essere costituito e circondato da corpi aventi una loro propria continuità e assemblabili e disgregabili in maniera altrettanto continua. Questa intuizione si radica ed è resa possibile dall’ifsc β dell’afc nonché, nel primo, quarto e quinto livello configurazionale, dalla gp. Dobbiamo distinguere i due casi di materialità:

a) la materialità in fieri dell’ifscβ dell’afc (d’ora in poi: “mbeta”);b) la materialità già interpretata e resa coerente della gp (d’ora in poi: “mgp”).La mbeta sorge come coerenza inversa che si accorda con la coerenza dell’ifscα dell’afc grazie all’ASs di

trasduzione o alla zip- e racc-fùsis di trasduzione. Tale accordo è una vera e propria coerenza della coerenza (in quanto fa coerenza tra i due sub-procedimenti di coerenza e di coerenza inversa), giocata per intero al livello dello schema analogico. Nell’ifscβ si può spingere l’acceleratore sulla potenza virtualizzante e virtualizzata dell’elemento grafèico puro, ottenendo la rivoluzione scientifica di cui parla T. Kuhn e, in prospettiva, la rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale di cui parliamo noi.

La mgp non può spingere l’acceleratore suddetto, poiché è stato già spinto o (da un certo punto di vista) l’osservatore non è in grado di spingerlo (poiché limitato dalla zip- e racc- fùsis che nel secondo livello configurazionale aveva già speso ogni discrezionalità interpretativa, rimettendola all’essere invece che all’interprete). Qui la coerenza si è ormai spostata dal livello dello schema analogico a quello dello schema configurazionale.

Nel terzo livello configurazionale si ha la compresenza di mbeta e di mgp. I pdac, cioè, che assieme ai pda-dist aspirano a portare l’osservatore nel quarto livello, collegano le gp ai corrispondenti afc, costituendosi come movimenti circolari negli schemi configurazionali dei vari sub-pda attraversati.

La mgp che è ormai impostata come coerente con il sub-pda di riferimento e con ogni sub-pda abitualmente incrociato, nonché si colloca come già trasmutata, è quello che comunemente chiamiamo materia (in qualità di uomini della strada).

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23. Il vivente[i]Il mistero della vita sembra affondare le sue radici nella notte dei tempi dell’umanità. Mi riferisco al

mistero definitorio: cos’è la vita? Come si distingue il vivente dal corpo inerte?J. Monod risponde in modo originale a questa domanda, facendo notare che non si può far leva sull’idea

di progetto: la vita non ha un progetto, più di quanto non l’abbia un corpo inerte. Egli ipotizza, ne Il caso e la necessità, che se un alieno (la cui vita non fosse a base di carbonio) capitasse sulla Terra e cercasse d’individuare le forme di vita autoctone, basandosi sul presupposto che la vita sia l’unica forma di materia informata ad un progetto, riscontrerebbe la presenza della vita anche nei diamanti e nei fiocchi di neve (le cui strutture sembrano davvero rispecchiare un progetto).

Sono state avanzate varie ipotesi ricostruttive sulla questione definitoria della vita biologica, oltre quella che mette a base della vita il progetto di un essere superiore. Provo a raggrupparle così:

1) ipotesi che mette, alla base della vita, la cellula;2) ipotesi che mette, alla base della vita, il DNA;3) ipotesi che mette, alla base della vita, il funzionamento tipico della cellula (omeostasi, metabolismo,

riproduzione, evoluzione);4) ipotesi che mette, alla base della vita, lo stato energetico di disequilibrio stazionario (rispetto al

secondo principio della termodinamica o entropia) e una serie di reazioni chimiche che portano alla sintesi di se stesso.

La cellula è un paradigma che si confonde con il dogma. La cellula è una struttura chiusa ma non isolata - fatta da una pluralità di molecole (tra cui svetta la molecola di DNA, al centro, e quella di RNA, ma sono indispensabili anche proteine, carboidrati e lipidi), separate in sub-strutture tra loro interagenti - che vive finché riesce ad ospitare un novero notevole di reazioni chimiche, organizzate per assicurare la propria sintesi e il proprio equilibrio interno rispetto all’ambiente esterno (nelle funzioni di omeostasi e di metabolismo) nonché per assicurare la possibilità dell’evoluzione della struttura stessa e la possibilità della riproduzione di altre entità dotate delle stesse caratteristiche, a loro volta in grado di evolversi e di riprodursi. L’aspetto dogmatico del paradigma della cellula è ravvisabile nell’incapacità del modello cellulare di spiegare le relazioni profonde tra fisica, chimica e sfera psichica, che nella vita biologica sono ormai innegabili, nonché nell’incapacità di esprimere in modo razionale e internamente coerente il proprio funzionamento e le proprie caratteristiche. Per fare degli esempi, come si spiegano i casi di telepatia, di guarigione a distanza, di guarigione per omeopatia, di rabdomanzia, ecc… che avvengono tra organismi che avrebbero alla loro base strutturale le cellule ed il loro funzionamento fisico-chimico, o tra tali organismi ed entità inorganiche, apparentemente non dotate della complessità informazionale della cellula? Come si classifica un organismo non più in grado di riprodursi, o addirittura una singola cellula non più in grado di riprodursi? Come si classifica una cellula che non subisse alcuna evoluzione? Come si classificano entità che sono programmate per interagire con specifiche forme di esseri viventi a base cellulare, come i virus? Come si classifica un oggetto magico? Come si giustifica un’isteria di massa, in cui una pluralità di persone hanno le stesse percezioni, inspiegabili sulla base della Scienza dualista, riduzionista e neopositivista? Ecc…

La complessità abissale della cellula sembra essere troppo pesante, ai fini della definizione della vita. Si registrano, cioè, forme di vita che non necessitano di una struttura così complessa, o che ne hanno una così complessa (come la biosfera, o un ecosistema, o un intero pianeta – vd. Maturana e Varela) da far impallidire la stessa cellula e da impedirci di considerarla la base della vita. Questo approccio c’impedirebbe di considerare il DNA o il RNA come base della vita (base che, nella fattispecie, ci permetterebbe di annoverare tra le forme di vita i virus e altre formazioni simili, che hanno un’intelligenza d’interazione notevole con gli organismi viventi anche macroscopici). Ma proprio in virtù della preferenza che vari studiosi assegnano alla complessità organizzativa, soprattutto quella che viola il secondo principio della termodinamica, come base della vita, i virus et similia rimarrebbero esclusi tra le categorie di viventi. Lo stesso dicasi dell’approccio che guarda solo al funzionamento della cellula, cercando di generalizzare come essenziali alla vita non la cellula stessa, ma l’omeostasi e il metabolismo (oltre, forse, alla riproduzione e all’evoluzione). Anche questo approccio lascia fuori troppo (i virus, ma anche i corpi ormai morti o sterili o che non si siano evoluti rispetto al modello genetico), o troppo poco (non permetterebbe di escludere la biosfera o gli ecosistemi come forme di vita autonoma).

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Ognuna delle ipotesi sopra descritte, inoltre, non riesce a spiegare come l’essere umano, ad occhio nudo e nel livello macroscopico, sia in grado di distinguere le forme di vita dai corpi inerti (almeno nel livello macroscopico). Vi sono casi speciali, come l’insetto-stecco, in cui un organismo vivente si mimetizza al punto da ingannare lo sguardo umano, che non riesce a distinguerlo finché non si muove, oppure insetti che potrebbero essere riprodotti in modo molto convincente in laboratorio, come i coleotteri. Ciò non toglie la finezza dell’intuizione percettiva che ci fa classificare la materia vivente in maniera immediata, anche quando si abbia di fronte un cadavere (non più vivo), e che ci permette quasi sempre di distinguere anche solo la materia organica da organismi sintetici e da corpi inerti. Sarà stato senz’altro fatto più di uno studio, forse autentici fiumi d’inchiostro, sulla nostra capacità di distinguere una pianta da un paletto. Ma che rapporto dobbiamo istituire tra questa nostra capacità percettiva della vita (senz’altro in evoluzione con noi) e la definizione di vita. Le due cose sembrano andare su binari completamente paralleli, privi di ogni trait d’union che non sia la mera utilità evoluzionistica della specie umana, che aveva bisogno di sapere di cosa cibarsi e da quali pericoli stare lontana. Ma che utilità evoluzionistica potrebbe esserci nella classificazione percettiva della vita? Ad un cavernicolo interessa tanto evitare una frana, una sabbia mobile, quanto evitare una pantera o un calabrone. Quali caratteristiche distintive dovrebbero avvicinare, ai fini evoluzionistici, un leone e un insetto-stecco? O un albero e un calabrone? Perché nell’età della pietra saremmo stati interessati non dico a capire, ma a percepire che una vespa, come un fungo, come un albero privo di frutti commestibili sono in grado di riprodursi, mentre una pietra no? Eppure noi abbiamo una percezione intuitiva che, in presenza di forme di vita, ci fa conoscere immediatamente i collegamenti analogici strettissimi tra gl’individui di una colonia, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Il passaggio d’informazioni intuitive e logico-strutturali che con uno sguardo a fuoco possiamo trarre dalle forme di vita che ci circondano è inimmaginabile. Che relazione ha tutto questo con la vita, intesa in chiave definitoria? Perché siamo convinti, senza nemmeno sapere perché (cioè prima di aver studiato l’argomento), che le forme di vita hanno qualcosa di radicalmente diverso dalla materia inerte? Quando una forma di vita torna materia inerte (ad es., una liana morta che giaccia su una formazione rocciosa), smettiamo di percepirla come viva e possiamo anche confonderla con la materia “originariamente” inerte. In una mummia cogliamo cogliamo con lo sguardo la forma umana, ma non la vita. La percezione della vita non sembra, cioè, avere basi culturali specifiche, né esigenze di sopravvivenza alle spalle. Pur tuttavia questa stranezza (della capacità di percepire la vita) si trova in ogni essere umano che abbia avuto uno sviluppo cognitivo e sensoriale completo.

Dobbiamo quindi concludere che il vivente non può essere distinto dal corpo inerte? Che l’aspetto definitorio della vita non può essere legato in alcun modo all’aspetto percettivo della vita?

Grazie alle chiavi interpretative fornite dalla teoria analogico-configurazionale, la soluzione ad entrambi i problemi si può esprimere in pochissime righe, e con una spiegazione verificabile quanto inconfutabile. Dovrò fare uno sforzo per renderla il più lunga possibile, giusto per darle un po’ di tono.

Il vivente può essere spiegato, in chiave definitoria, come un sistema configurazionale in cui ogni pda si trova collegato per ASg-ASg, all’altezza del suo primo elemento, con la stessa c-fcfs-t(d).

A livello di percezione (sia quella a fuoco, sia quella sfocata o immediata), il vivente può essere distinto dal corpo inerte grazie ad un s.cod specifico. La percezione a fuoco è gestita dagli s.cod dell’ifsc α dell’afc 699 (o, nel caso di afc drenato, dagli elementi cs e sc), la percezione sfocata o immediata è gestita dagli s.cod dell’ifscβ dell’afc (o, nel caso di afc drenato, dalla gp).

La verificabilità dei due capoversi precedenti è garantita (in questa fase evolutiva dell’essere), rispettivamente, dalla conferenza con gli esiti delle principali teorie fisiche del momento (relatività e quantistica), che occupano la scena da oltre un secolo (la prima) o quasi un secolo (la seconda), e con gli esiti delle principali teorie di ogni altra disciplina (anche delle dottrine religiose). L’inconfutabilità, come

699 Una funzione fondamentale dei s.cod di tale innervazione è consentire alla configurazione del pdac di gestire l’identità tra gli elementi analogici dello schema configurazionale. Quindi se un elemento analogico di un pdac, a livello del proprio schema analogico, ha un proprio s.cod nell’innervazione corrispondente all’ifscα dell’afc precedente che corrisponde (per coerenza con la propria on.for in senso lato) con il s.cod di un altro elemento analogico di un pda-dist, allora i due pda hanno tale elemento in comune (almeno finché non cambi l’on.for di uno dei due). Ma ormai non è più a tempo a cambiare, poiché il pda-dist, dotato di un finalismo più esuberante per i motivi che abbiamo detto nella sede dedicata di questo saggio priva il pda del pdac della gemma apicale e ne dirotta pertanto il cammino.306

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precisato altrove, è constatabile portando in contraddizione qualunque obiezione a tali capoversi, grazie a salti paradigmatici che prendano come configurazione di partenza una di quelle percorse dalle obiezioni stesse.

Resta da risolvere un problema che la Scienza odierna spesso non considera tale, ma che ha arrovellato in tempi antichi l’umanità: l’immagine del vivente (o la proprietà, qualità del vivente). Tale carattere (immagine, proprietà o qualità che sia) è espresso dalla parola greca ζωη (leggesi zoé) e può in parte essere affrontato come il secondo argomento di questo capitolo, cioè la percezione del vivente da parte dell’osservatore umano. La nostra soluzione era stata tutto sommato semplice, quanto aderente alla realtà che osserviamo: si tratta infatti di un carattere completamente giustapposto al corpo percepito, che ce lo fa percepire come vivente, nonché di un carattere soggetto ad evoluzione: il che può realizzarsi solo grazie ad un s.cod, insito in entrambe le innervazioni dell’afc. Si tratterebbe, quindi, in un’illusione generata ad arte dall’essere, nella sua componente speculare all’umanità (cioè inteso come accordo tra le tre funzioni conoscitive personificate d’intelletto, intuito-memoria e intuito-percezione: vd. Trinità o funzioni conoscitive?). Ciò detto rimane da chiedersi a quale tipo di conservazione e di evoluzione vada incontro tale carattere giustapposto ad alcuni corpi (quelli percepiti come viventi), che può essere distinto dal carattere di vivente vero e proprio, come sopra definito. Ebbene è nell’accordo delle tre funzioni succitate con il figlio dell’uomo che si spiega il movimento di conservazione e di evoluzione dell’immagine del vivente (immagine che va intesa come relazione analogica complessa tra s.cod specifico, sue varianti evolutive e zip- e racc-fùseis del quarto e del quinto tipo che si collegano direttamente agli s.cod, ASs di trasmutazione e ogni ulteriore livello di zip- e racc-fùseis, che interrelazionandosi tutti quanti tra loro in vari schemi e forme possono spingere la ricerca umana sul vivente a partire dalla sua percezione a fuoco e immediata). L’argomento potrebbe essere approfondito ad libitum, per un arco di tempo ad libitum, in quanto si perde nelle potenzialità immense della potenza virtualizzante e virtualizzata dell’elemento grafèico puro , dischiusa nella percezione immediata e resa coerente con ogni altra istanza conoscitiva, quindi direi di fermarci qui, per questo capitolo.

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24. La formazione della coscienza[i]Cos’è la coscienza? Questa è la prima domanda.Dopo aver fatto una proposta di risposta (cioè elaborato una tesi), dovremo verificarla ciascuno nel

proprio intimo. Il campo di verifica sulla coscienza (a volte chiamata impropriamente anche anima o sé) è, in ultima analisi, il laboratorio intimo di ciascun osservatore-uomo. Ma ancora prima di poter arrivare alla verifica in tale laboratorio, occorre chiarire le caratteristiche logico-intuitive (o semantiche) che attribuiamo alla parola “coscienza”. Chiameremo questi due campi di verifica “i due laboratori”, quello linguistico e quello intimo. Vista la varietà di esiti delle verifiche condotte in questi campi, in cui è ammesso il salto paradigmatico da una configurazione analogica all’altra, per raggiungere un accordo sul significato di coscienza si richiede l’intervento di un essere supremo, che vinca ogni resistenza rispetto all’accordo stesso. Non si può parlare di coscienza, capendoci tra noi, senza un essere supremo che ci metta in riga. Ipotizzando (con convinzione) che l’essere supremo farà vincere il significato che sto per esporre, mi sento di proporre la definizione che segue. Tale definizione avrà quindi da vincere la verifica di tre laboratori: il mio laboratorio linguistico, il mio laboratorio intimo, il laboratorio dell’essere supremo (che con potenza si accorda con l’umanità, rimettendo quest’ultima in riga e riportandola ad una certa docilità, che non sia imbellità – che escluderebbe l’accordo e la relazionalità, cui tuttavia l’essere supremo aspira – affinché la mia definizione vinca). Ma anche allora essa non sarà la definizione unica, ma la definizione evolutivo-conservativa e relazionale. Potrei anche non ottenere alcun plauso, potrei perfino dover correggere la mia definizione, ma se alla fine arrivo ad una “mia” definizione (prodotta da me insieme ad altri, o anche prodotta solo da altri) che insemina e fa crescere l’umanità in una direzione convergente e con essa conferente, la definizione avrà il carattere vincente. L’assenza di ricerca del successo mondano, nelle sacre scritture, ha proprio questo significato di vittoria più profonda.

La definizione di coscienza che propongo adopera intensivamente le categorie del saggio Analogia singolare…, scaricabile da www.bridge4will.net. Essa è la seguente: “la coscienza è il senso del sé, che permette di percepire un certo novero di percorsi di autocoscienza come ambiente interno all’osservatore-uomo, grazie a cui quest’ultimo può studiare l’ambiente esterno, replicandolo, e trasformarlo”. Il significato di “senso del sé” è l’analogia singolare grafèica che collega un primo elemento sefèrico, consistente nell’idea di “io”, all’elemento grafèico puro. L’idea di “io” non potrà quindi essere definita, in quanto diventa indistinguibile dall’elemento grafèico puro (che è l’ineffabile che, in più, non può essere nemmeno evocato da particolari elementi analogici). L’elemento sefèrico che chiamo idea di io, pur essendo analogico, finisce in qualche modo per non essere comprensibile in alcun modo, ogni volta che venga attratto dal grafèico puro; quando invece non viene attratto dal grafèico puro, può essere compreso intellettivamente (ad esempio, quando dico che l’io è l’agente di un’azione che pensa a se stesso). Ma quando provo a capire cosa sia il “se stesso” a cui l’agente pensa, rimango in un vicolo cieco interpretativo: quando lo supero, faccio un salto nell’ineffabile e non riesco più a spiegare cosa sia l’idea di io, né l’idea di se stesso.

La formazione della coscienza può essere raccontata secondo il paradigma fondamentale del sefèr 700(= conto, racconto, discorso che convince). Possiamo cioè approntare un’ipotesi ricostruttiva della formazione della coscienza, in forma di racconto, purché le nostre basi epistemologiche siano così solide, da non permetterci di lasciare lacune. Il compito dell’interprete, che voglia per la prima volta nella storia dell’umanità spiegare la formazione della coscienza, è insomma evitare le lacune701. Solo dopo aver assolto a questo compito (che può sempre risultare incompleto, al modificarsi della sensibilità dell’io collettivo: è 700 Si tratta di un paradigma fondamentale attivo già dall’antichità, all’interno di ogni civiltà umana. La logica di questo paradigma è che la realtà è quella che può essere raccontata dall’osservatore-uomo, in modo da convincere la collettività. I paradigmi fondamentali sono quei paradigmi che, oltre a governare una configurazione analogica specifica, grazie alle molte ramificazioni dei pda all’interno di tale configurazione finiscono per governare (in linea tendenziale più o meno ampia) ogni altra configurazione. La Scienza occidentale fa un vastissimo e capillare riferimento a questo paradigma in ogni sua ricerca. Tale riferimento può essere (indifferentemente) più o meno specifico.701 Cosa intendo qui per “lacune”? Qualcosa di tendenzialmente oggettivo. Le lacune sono tali in relazione alle aspettative dell’interlocutore (in questo caso l’io collettivo della matrice culturale di questa civiltà). Sono appunto lacune valutate tali secondo il paradigma del sefèr.308

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quindi un compito completabile solo provvisoriamente, finché non sorgano nuove esigenze di completezza o di conferenza logica), si possono cercare le verifiche basate sull’osservazione della realtà. Tali verifiche non saranno mai del tutto conferenti con alcuna teoria, almeno finché le basi epistemologiche non siano abbastanza solide. Il livello di solidità cui ci portano le basi qui proposte è quello dell’inconfutabilità della tesi. Tale inconfutabilità consiste nella possibilità di controbattere, ad ogni obiezione conferente con il tema di studio, un’altra obiezione conferente con l’obiezione stessa, allo scopo di farne emergere l’inattendibilità logica all’interno del suo stesso percorso702. L’inattendibilità logica di un’affermazione all’interno del suo stesso percorso può emergere grazie ad un salto paradigmatico, che venga fatto sorgere nel contesto di un percorso di controllo che insista su un elemento del percorso originario. Il salto paradigmatico permette di far vedere gli elementi del percorso, interpretati dall’interlocutore sotto l’ègida di un primo paradigma, dal punto di vista di un secondo paradigma, che ne fa emergere nuove regole, da applicarsi agli elementi stessi in via alternativa rispetto alle regole che sorgono nel contesto del primo paradigma. Ogni paradigma regge infatti una configurazione, in cui valgono certe regole. Nella configurazione di arrivo, retta dal secondo paradigma, tali regole non valgono più. Pertanto l’interlocutore, che professava il rispetto di tali regole, rimane confutato. Se pone un’altra obiezione alla mia obiezione, posso ancora obiettare un’ulteriore obiezione pertinente. Ma sarà difficile per l’interlocutore obiettare in modo pertinente anche solo una prima volta, senza basi epistemologiche serie. L’obiezione potrebbe anche riguardare l’uso del paradigma del sefèr nella ricostruzione della formazione della coscienza. Il paradigma del sefèr è assai ramificato in ogni configurazione dello scibile umano: pertanto l’esistenza di configurazioni prive di contatto con il sefèr sarebbe un’eccezione abbastanza difficile da trovare. Se però l’interlocutore si riferisse, nella sua obiezione, proprio ad una di tali configurazioni, non vi sarebbe alcun problema. Si potrebbe infatti riportare l’interlocutore fuori da tale configurazione, grazie (ancora una volta) ad un salto paradigmatico. Si noti che i salti paradigmatici sono resi possibili da un altro paradigma fondamentale, che soccorre in aiuto del sefèr: la grafè.

Esporrò la tesi sulla formazione della coscienza adoperando in maniera intensiva il linguaggio spiegato nei miei saggi: Rivelazione o ricerca?, Analogia singolare, Il testo-ricerca, un saggio sulla teoria dell’energia (con approccio esoterico) e il presente saggio. Poiché solo uno di tali saggi è attualmente pubblicato, chiunque entrasse in contatto con questo paragrafo, può chiedere di accedere ai testi nella loro interezza, facendomene richiesta sul sito www.bridge4will.net (adoperando la funzione “commenta”). Gli risponderò via e-mail, mandando i testi richiesti, nello stato attuale in cui si troveranno.

La tesi è dunque la seguente:

702 Non chiamo ancora tale percorso con il nome di percorso di autocoscienza (pda), per evitare l’obiezione di voler dimostrare la mia teoria con la stessa teoria. Più in là espliciterò tale coincidenza, che peraltro non ha niente di problematico, visto che una definizione inconfutabile di percorso di coscienza non esiste. C’è semmai una concorrenza, in campo epistemologico, tra diverse idee di percorso di coscienza. Oltre all’idea di pda, da me proposta, ne abbiamo almeno altre due: il percorso neuronale e il percorso psicosomatico (ancora da rendere comprensibile all’uomo della strada, come anche al ricercatore non neurologo). Queste due idee hanno il difetto imperdonabile (in questo contesto) di appoggiarsi alle idee di assoluto. Pertanto non ho alcun problema a basarmi sull’idea di pda.309

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“La coscienza si è formata, a livello di modello operativo dell’evoluzione della realtà703, grazie al collegamento analogico704 - in qualche modo (ineffabilmente) programmato grazie al finalismo dell’uomo-osservatore705 - di un percorso di autocoscienza706 inattivato707 (del tipo della sensazione o del pdac708) ad un percorso di autocoscienza attivato709 (caratterizzato dallo stato del pensiero o da un altro stato di autocoscienza)710. Tale collegamento si è reso possibile grazie ad un’onda formaturale che ha caricato energeticamente711 l’elemento di partenza (cioè un elemento analogico del pda712 inattivato) facendone scaturire l’elemento di arrivo (cioè un elemento analogico del pda attivato)713: si è così iniziato a sviluppare un ambiente interno all’organismo (inteso, quest’ultimo, come intreccio quasi indistricabile di percorsi di autocoscienza), che grazie al finalismo dell’essere714 si è reso sempre più complesso e preciso nel riprodurre e innovare l’ambiente esterno715”. [Torna indietro al capitolo sul futuro] [Torna indietro al passo sull’auto-guarigione, nel capitolo sul futuro]

703 L’idea che propongo è che la coscienza si formi nell’evoluzione della realtà. Ma la realtà non è realtà in sé, è la realtà su cui si appunta la conoscenza dell’osservatore-uomo. Non quindi una realtà assoluta, ma una realtà effettiva e putativa. Tale realtà è in evoluzione continua, in quanto l’uomo rivoluzionando la sua conoscenza su di essa acquisisce la possibilità di raggiungere i propri obiettivi. Senza uno specifico finalismo (gli obiettivi, appunto) non può darsi evoluzione della realtà. Quindi per non ridurre la realtà a qualcosa di caotico, di frastornante e di inutile per l’uomo, occorre attribuirle il carattere evolutivo, cioè un qualche finalismo, da definire di volta in volta nell’attività conoscitiva. Riteniamo però che alcuni finalismi, integrandosi tra loro, tendano a prevalere su qualunque altro finalismo. Gli argomenti a supporto di tale convinzione sono forti. Li ho esposti in precedenza. Qui basti considerare che se la realtà è evolutiva, si può cercare di ricostruire (o meglio di costruire tout court) un modello operativo di tale evoluzione. Tale modello operativo è uno degli elementi che, più di tutti, contribuiscono all’integrazione dei finalismi prevalenti dianzi accennati. E’ importante indicare che la formazione della coscienza risponde ad un modello operativo dell’evoluzione della realtà, per far comprendere che essa non riguarda una specifica specie vivente, né le sole cose viventi. Essa è una potenzialità che può sorgere in qualunque corpo reale, inteso come intreccio inestricabile di pda osservabile dall’uomo (inteso anch’esso nel senso più ampio possibile di essere autocosciente). Tale modello operativo è però opinabile: esso si giustifica solo se si guarda all’organismo umano come dotato di un ambiente interno (chiamato coscienza), che imita l’ambiente esterno e cerca di modificarlo. Lo stesso ambiente interno, se interpretato come ambiente esterno, non è più coscienza ma assurdo di materia. L’assurdo dell’ambiente esterno (o materia) può essere però reinterpretato come ambiente interno disfunzionale. Questo secondo approccio consente d’implementare nella realtà una tendenza a ripristinare l’ambiente interno (anche se non dà la garanzia che tale tendenza vinca nell’immediato, né che il singolo organismo autocosciente possa sopravvivere abbastanza da vedere tale vittoria). E’ tutto un grande “come se”, nel quale però (grazie alla consapevolezza strutturata da teorie esoteriche adeguate al loro compito) possiamo fare la differenza.704 Il collegamento analogico in parola implica la congiunzione dei pda (o dei sub-pda) cui sto per riferirmi. Si tratta di un collegamento del tipo ASg-ASg (vd. il relativo capitolo) tra un elemento di un sub-pda inattivato e un elemento di un sub-pda attivato.705 La programmazione finalistica e quindi ineffabile del collegamento analogico in parola è elemento costitutivo ineliminabile di questa tesi. L’ineffabilità di qualcosa non impedisce d’inserire questo qualcosa in una tesi scientifica, dal momento che in Analogia singolare… (saggio pubblicato su www.bridge4will.net) ho analiticamente spiegato il funzionamento dell’elemento ineffabile della realtà.706 Per la definizione di “percorso di autocoscienza” o “pda”, vd. il relativo capitolo.707 Il termine “inattivato”, appartenente al glossario della teoria delle configurazioni analogiche, può essere tradotto a titolo di prima approssimazione: “inconsapevole”.708 Il “pdac” è un tratto di percorso di autocoscienza (pda) deputato al controllo (cioè alla rivisitazione rimodulata) degli elementi analogici precedenti nella catena del pda stesso. Nei pdac si annida ogni tipo di variante configurazionale, anche estranea alla finalità di controllo, grazie al carattere analogico dei pda e dei loro elementi costitutivi che possono alterare il pdac collegandovi dei sub-pda di disturbo. Il pdac, pur non costituendo un autonomo stato di autocoscienza come la sensazione, ma essendo esso stesso costituito da uno o più stati di autocoscienza, può tuttavia scivolare nello stato d’inattivazione quando si configura come sensazione (che comunque altro non è che una modulazione più complessa degli stati di autocoscienza più sottili, cioè di sogni-eventi e pensieri). Un pensiero o un’emozione o un sentimento non potrebbero proseguire nello stato d’inattivazione: se vi scivolano, rimangono sospesi sull’ultimo elemento attivato della loro catena. Ma se un pensiero o un’emozione o un sentimento gemma un pdac, quest’ultimo può scivolarvi (quando si configura, appunto, come sensazione) proseguendo il suo percorso. Il pdac inizia (come una gemmazione dal sub-pda attivato) nello stato di autocoscienza della sensazione, per riallacciarsi ad altri stati di autocoscienza, configurati in elementi analogici attivati o meno, mantenendo almeno in parte l’aspetto del proprio finalismo originario grazie all’onda formaturale. Può reiterarsi sempre uguale o sempre diverso da se 310

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La verifica dell’importanza conoscitiva di ognuna delle espressioni adoperate nella tesi emerge dagli scritti succitati. Adoperando la funzione “cerca” o “trova” nei files .pdf di tali scritti, potrete verificare la solidità delle basi epistemologiche e, più in generale, teoriche e sperimentali che ho apportato.

Gli aspetti dell’attivazione, inattivazione e caricamento energetico dell’onda formaturale sono già delineati, ma in modo ancora germinale, in tali saggi. La coerenza delle linee già gettate d’impronta con le restanti basi epistemologiche è tuttavia notevole. Le lacune saranno colmate nei prossimi mesi o anni, ma in buona parte sono ormai colmate nel capitolo sui livelli configurazionali. Ovviamente molti hanno teorizzato sulla coscienza: ma non sono riusciti ad arrivare al livello di persuasione dell’inconfutabilità. Ciò riveste un aspetto decisivo per l’evoluzione umana, nel tentativo di condurre l’umanità su una strada tendenzialmente unica nelle sue strutturazioni di fondo (senza togliere la ricchezza della creazionalità, ma proprio per permetterne l’esercizio). D’altronde siamo già conformati al pensiero unico, nel villaggio globale. Qui, invece che proporre una mera conformazione, si propone un’alternanza di conformazione e trasformazione reciproca degli elementi analogici implicati, ancorata alle strutturazioni suddette (che potranno essere cambiate, quando non siano più all’altezza del loro compito).

I primi elementi di verifica della tesi sopra proposta sono tratti da due saggi di neurologia. Ne riporto alcuni brevi estratti, rimandando alle relative pubblicazioni per gli approfondimenti.

stesso, o con schemi misti che comportano reiterazioni più complesse. Il pdac svolge quindi la funzione di permettere la prosecuzione in stato d’inattivazione a questi tre stati di autocoscienza: pensiero, emozione e sentimento. Il pdac ha infatti un finalismo di rivisitazione rimodulata, che può essere più o meno preciso, che gli consente di proseguire anche nello stato d’inattivazione (in quanto il finalismo è una componente ineffabile della conoscenza umana, che può quindi adattare la logica della configurazione in cui si genera e alterarne i confini intuitivi, facendo accedere inconsciamente l’osservatore ad altri sub-pda). Ciò comporta anche che, se il finalismo è meno preciso, il pdac è più soggetto ai sub-pda di disturbo, che vi si potrebbero innestare alterando detto finalismo anche in modo differente dalla sua impostazione iniziale.709 Il termine “attivato”, appartenente al glossario della teoria delle configurazioni analogiche, può essere tradotto a titolo di prima approssimazione: “consapevole”.710 Più specificamente, il collegamento può riguardare, a secondo dei casi: 1) due pda distinti, esistenti in via autonoma tra loro, il primo dei quali (quello inattivato) va a caricare l’onda formaturale di un elemento analogico del secondo (quello attivato); 2) due sub-pda, cioè due tratti dello stesso pda, il primo dei quali (quello inattivato) carica l’onda formaturale di uno dei suoi elementi analogici, in modo tale che l’elemento analogico successivo, appartenente al secondo sub-pda, inizi il tratto attivato del pda; 3) tre pda, il primo dei quali (quello inattivato), caricato energeticamente in uno dei suoi elementi analogici grazie all’intreccio con un altro pda (attivato o meno che sia), va a collegarsi ad un elemento analogico di un terzo pda (attivato). Si noti che il collegamento di un pda ad un altro pda comporta l’arricchimento di quest’ultimo con l’onda formaturale del primo.711 Il termine “energetico”, appartenente al glossario della nostra teoria delle configurazioni analogiche e della nostra teoria dell’energia, può essere tradotto a titolo di prima approssimazione: “intuitivo”. “Energeticamente” può quindi essere inteso anche come “intuitivamente.712 Pda = percorso di autocoscienza.713 Quanto detto in questo periodo deve essere adattato alle tre ipotesi indicate in nota 187, che riguardano anche i casi in cui non si congiungano due pda, ma due sub-pda, o il caso in cui la congiunzione dei due pda sia resa possibile dall’incrocio del pda di partenza con un terzo pda.714 L’essere è la forza e movimento evolutivo della realtà. Poiché l’essere (in qualità di sé archetipico dell’uomo) esprime un progetto sulla realtà, può essere personificato dall’uomo-osservatore che “si specchia” in tale sé archetipico. La spiegazione di tale rapporto speculare sarà offerta in un saggio di futura pubblicazione sul sito www.bridge4will.net, dal titolo Trinità o funzioni conoscitive?.715 Dobbiamo intendere l’organismo come una realtà, cioè come qualcosa su cui l’uomo-osservatore esercita la propria conoscenza. Non esiste la realtà in sé, ma la conoscenza sulla realtà. Quindi anche il riferimento ad un ambiente interno e ad un ambiente esterno all’organismo è riferimento al punto di vista specifico che l’uomo-osservatore applica nella sua conoscenza. Tale punto di vista ha insito un finalismo che va ad alterare l’oggetto di visione. Se quindi guardo, ad esempio, ad un tumore come ad ambiente esterno, esso inizia a comportarsi da ambiente esterno (finendo completamente fuori dal controllo della coscienza); se lo guardo come ambiente interno, esso inizia a comportarsi da ambiente interno (rientrando, un po’ per volta, ma non è detto abbastanza a tempo – perché non venga attivata una fùsis esiziale -, sotto il controllo della coscienza). L’ambiente interno e l’ambiente esterno sono entrambi opinabili, ma funzionano.311

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Da F. Benedetti, Il cervello del paziente, pag. 10, 12 e 15 (una ricostruzione che, a mio parere, tratta di uno degli esordi biologici della coscienza):

“Mentre i riflessi di grattamento e di allontanamento sono scatenati da stimoli cutanei, come il morso di un insetto, un comportamento motorio ben diverso è emerso nel corso dell’evoluzione per consentire la cura del proprio corpo. Lo spulciamento è un comportamento rivolto verso di sé, che rappresenta una funzione biologica tesa a prendersi cura della superficie del proprio corpo (Spruijt et al. 1992). Esso […] è caratterizzato da un repertorio comportamentale complesso, che comprende gli atti del grattarsi, lisciarsi, strofinarsi, mordicchiarsi, rotolarsi, e anche crogiolarsi nella polvere, nella sabbia e nel fango. Anche gli insetti mostrano una qualche forma di semplice spulciamento, come lo sfregamento delle ali. […]”

“Benché lo spulciamento riguardi la cura della superficie del corpo, vi sono prove sperimentali convincenti del fatto che, al contrario del grattamento e dell’allontanamento, esso non sia innescato da stimoli cutanei, ma sia generato a livello centrale, nel cervello. Infatti lo spulciamento non è di solito associato a una stimolazione particolare della cute, bensì a un dato stato dell’animale. Quindi l’avvio e la strutturazione dei periodi di spulciamento non sembrano dipendere da un qualche stimolo in particolare (Spruijt et al. 1992). Inoltre la deafferentazione periferica, come la sezione del nervo trigemino nei topi, non abolisce il comportamento di spulciamento, il che suggerisce che gli atti si spulciamento siano generati centralmente (Berridge e Fentress 1987) […]”.

Grazie alle evidenze scientifiche di cui parla Benedetti, potremmo proporre di “datare” il sorgere della coscienza alla prima introduzione, nel mondo degli animali, della pratica dello spulciamento (con possibilità di retrodatarla, un domani, alla prima pratica di spulciamento del mondo degl’insetti). Ma ciò che conta, qui, non è offrire una ipotetica datazione. Occorre verificare che lo spulciamento (pratica presente anche in animali che a noi sembrano privi di coscienza) abbia una sua continuità in chiave evolutiva con quello che noi oggi consideriamo coscienza. Una verifica positiva in tal senso, ci darebbe due acquisizioni conoscitive d’importanza radicale: 1) permetterci di verificare la tesi sulla formazione della coscienza, sopra esposta, dal punto di vista del funzionamento di base della coscienza nella sua fase germinale; 2) farci comprendere che la coscienza è un fenomeno estremamente diffuso in natura, al punto da supportare l’ulteriore tesi (da me espressa nel capitolo sul percorso di autocoscienza) che anche i corpi inorganici abbiano una coscienza in nuce (cioè una coscienza in via di formazione, che solo provvisoriamente non ha ancora il funzionamento della coscienza). Il secondo punto da acquisire ci permetterebbe anche di dire che la coscienza è evoluzione naturale della cd. materia (che tuttavia va intesa non al modo occidentale, ma come intreccio di pda716 non ancora dotato di quello che sopra abbiamo definito “ambiente interno”).

La continuità della pratica dello spulciamento con l’odierno sviluppo della coscienza nel bambino, alla luce del testo di Benedetti, non mi sembra particolarmente problematica. Ciò ad una condizione: applicare al suo discorso la teoria delle configurazioni analogiche. Cosa dice Benedetti? Egli ci spiega che alcune attività, riconducibili ad una pratica complessa di cura del proprio corpo (lo spulciamento), siano generate dal cervello senza l’intervento di stimoli esterni. Non implicando tale pratica, tuttavia, alcuna attività di pensiero, non sembra avvicinarsi alla nostra idea attuale di coscienza. Ma se iniziamo a considerare il pensiero come qualcosa di non ineffabile (anche se, come ogni cosa, si regge in qualche modo sull’ineffabile), possiamo parificarlo ad altri stati coscienti come la sensazione, l’emozione, il sentimento, gli eventi basati su regole scientifiche (che in quest’opera chiamo fùsis, al singolare, fùseis, al plurale). L’intuizione da cui in genere partiamo, in Occidente, è considerare tali stati coscienti solo in quanto accompagnati dal pensiero. In realtà il pensiero è uno di tali stati. Anche se non ripenso all’emozione che sto vivendo, se la vivo intensamente è cosciente. Se la vivo in modo sordo, inarrivabile al pensiero, è incosciente. Ma ciò non implica il pensiero effettivo sull’emozione, bensì solo la sua potenzialità. Quando richiamo, anche a distanza di ore, i ricordi di un certo stato emotivo, mi rendo conto che era uno stato cosciente: ma lo era già in origine. Di fatto, durante una qualunque attività o stato di coscienza i pensieri si affastellano tra loro e si collegano ai vari elementi di tali attività o stati: pertanto il pensiero svolge il compito di attivare tali percorsi nella coscienza. A questo punto, però, il caos interpretativo sta prendendo il sopravvento, poiché non stiamo applicando la teoria configurazionale. Come annotato nella tesi sulla formazione della coscienza, sono i pdac (sub-percorsi di autocoscienza) che rendono cosciente un certo tratto di percorso di autocoscienza (per ipotesi coincidente con un certo stato mentale), non il pensiero. Il

716 Pda = percorso/i di autocoscienza.312

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pensiero, secondo questa teoria, non è altro che una sequenza a-cronologica di coppie di elementi analogici: un elemento della coppia è collegato con l’assoluto originario del concretante-strutturante; l’altro elemento della coppia è collegato con l’assoluto originario dello strutturante-concretante. Per spiegarlo in soldoni (e rimandare al capitolo sugli assoluti e a quello sugli stati di autocoscienza per una disamina più attenta), il primo è un elemento concreto, il secondo è un elemento intellettivo. Il pensiero sarebbe quindi quello stato di autocoscienza in cui ci concentriamo, in modo ordinato a coppie, sugli aspetti concreti e sugli aspetti intellettivi della realtà. Altra cosa sono le sensazioni, le emozioni, i sentimenti e le fùseis, che seguono schemi diversi da quello del pensiero. Anche il pensiero ha però la loro stessa potenzialità di consapevolezza, che viene verificata grazie ad un successivo pdac. Senza un successivo pdac non sapremo mai se il pensiero era consapevole o meno. Questa distorsione ha una qualche continuità con gli esperimenti di quantistica, in cui il punto di vista specificamente adottato dal ricercatore nell’esperimento condizionava l’esito di quest’ultimo. Allo stesso modo, il pdac successivo, cioè la disposizione d’animo di verificare come si è articolato un certo pda717, rimodulandolo allo scopo di conoscerlo, rende cosciente tale pda, ma nel mentre stesso che lo verifica lo modifica.

Non è quindi il pensiero a rendere cosciente uno stato di autocoscienza, ma qualcos’altro. Questo qualcosa, per non essere un qualcosa di talmente ineffabile da non avere alcun funzionamento né alcun collegamento con la realtà (che non sia del tutto autoreferenziale anche in chiave evolutiva), deve in qualche modo potersi esprimere a parole sotto qualche rispetto, magari diverso dalla sua definizione (eventualmente impossibile). Insomma, non si può non sondare cosa sia ciò che attiva (rendendoli poi718 accessibili al pdac) i nostri stati di autocoscienza.

Questo qualcosa, secondo me, è una programmazione finalistica. Un pda719 inconscio verrebbe cioè programmato, grazie al finalismo dell’uomo-osservatore, ad emergere nella consapevolezza dell’uomo stesso. Tale emersione (che avverrebbe secondo uno dei tre schemi sopra proposti in nota) non sarebbe ancora il pdac, ma lo renderebbe possibile. Pertanto, sia il finalismo programmante l’emersione nella consapevolezza sia l’emersione stessa sarebbero qualcosa d’ineffabile, ma che riusciamo a riconoscere con il nostro senso e a cui riusciamo ad attribuire un funzionamento. Come più volte spiegato in Analogia singolare720, tutto ciò che riguarda l’organismo autocosciente o la realtà da esso osservata è un grande “come se”.

A questo punto, non vedo grandi difficoltà a integrare il testo di Benedetti, nella parte in cui non spiega cosa attivi la pratica complessa dello spulciamento. La mancanza di uno stimolo esterno, va spiegata come presenza di uno stimolo interno. Questo stimolo interno è la programmazione funzionale dell’emersione di

717 Pda = percorso di autocoscienza.718 Espressioni cronologiche come questo “poi” non devono ingannare. I percorsi di autocoscienza sono a-cronologici. Tuttavia si possono ricostruire in chiave cronologica, al fine di potervi imbastire un racconto esplicativo. In ogni configurazione della realtà in cui ci possiamo trovare, nel nostro ragionamento, siamo attratti dal paradigma fondamentale del sefèr, che c’impone di articolare le nostre spiegazioni come racconti convincenti. I racconti parlano di fatti, disposti su un’ipotetica retta del tempo. Anche se tale retta non esiste, per comprendere tali fatti ne abbiamo spesso bisogno (ogni volta che il nostro pda va ad inserirsi nella configurazione analogica del sefèr). Non è solo una questione di semplificazione del discorso: il sefèr è indispensabile per il ragionamento poiché, per evitarlo, si dovrebbe compiere ogni volta un salto paradigmatico verso una delle pochissime configurazioni (per noi raggiungibili) che non abbiano percorsi che puntano alla configurazione del sefèr. Ma anche così una minima carica intuitiva di tipo sefèrico rimane nel discorso, poiché il pda di partenza ha comunque intrecciato in precedenza altri pda che provenivano dal sefèr. Più che di scorrevolezza del discorso, si dovrebbe quindi parlare di possibilità configurazionale del discorso. Ciò che ci salva dall’influsso negativo del sefèr (che rende inattendibile ogni cosa che diciamo, perché riferita ad una componente anche solo latamente cronologica) è un altro paradigma fondamentale: la grafé. Quest’ultimo paradigma ci dice che ogni cosa esiste solo come intreccio di somiglianze e differenze con altre cose. Quindi anche un pda che fosse invischiato con pda che conducono alla configurazione del sefèr non è del tutto sbagliato, ma ha un fondamento di correttezza in quanto analogo ad altri pda che hanno meno a che fare (o non hanno, per ipotesi, niente a che fare) con il sefèr. Un pda (che è in quanto tale a-cronologico) può quindi essere precedente, in senso a-cronologico, quindi solo logico, ad un altro pda. Gli elementi dell’uno, cioè, sono implicati logicamente dagli elementi dell’altro pda, come se si trattasse di due pda legati cronologicamente, anche se non lo sono.719 Pda = percorso di autocoscienza.720 Testo scaricabile dal sito www.bridge4will.net. 313

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un pda721 a consapevolezza. Per quanto la spiegazione sulla formazione della coscienza che propongo richieda di adoperare ben due elementi ineffabili, ciò non significa (ripeto) che qui si eviti di fornire un’indicazione chiara ed analitica sul funzionamento di tale formazione. Tale spiegazione è anzi così complessa e precisa, che nel fornirla poche pagine sopra ho dovuto annotarvi molti riferimenti ad altri capitoli di questo saggio e ad altri testi (redatti o in via di redazione). Ho anche spiegato sopra le modalità per accedere gratuitamente a questi ultimi testi. Tale funzionamento ci consente d’interpretare la coscienza in modo compatibile con ogni altro campo del sapere, purché letto alla luce delle teorie proposte nel contesto di questo percorso esoterico. Finora non era stato possibile far quadrare lo studio sulla coscienza con quello relativo alle micro-particelle, più in generale a fisica, chimica e biologia, nonché alle scienze sociali, alla psicologia, ad alcune acquisizioni comuni delle religioni (idea di assoluto, dogmatica, cosmogonia, genesi, parola creatrice). Ovviamente tale quadratura esclude moltissime teorie, che qui non vengono accolte, ma in ogni campo del sapere rinviene anche molte teorie accettabili ed integrabili a sistema, mantenendo la coerenza con quegli assunti che sono oggi ormai sostanzialmente indiscutibili (l’inesistenza della materia come concepita dal neopositivismo, cioè dalla dottrina scientifica attualmente dominante nelle istituzioni scientifiche; la collegata falsità di alcuni falsi assoluti quali l’idea di spazio euclideo, quella di tempo cronologico e i principi tradizionali della logica). Potremmo dire che questa tesi sulla formazione della coscienza vanta un pedigree epistemologico, se intendiamo l’epistemologia in chiave evolutiva (con tutto ciò che ne deriva, nel bene e nel male, per gli uomini di oggi). Le applicazioni di una simile tesi sarebbero d’immenso valore per l’evoluzione umana, come da più parti emerge in questo eBook. Continuiamo però a cogliere, dalle successive parole di Benedetti, le analogie tra la pratica dello spulciamento e la tesi qui proposta.

“Gli animali non si limitano a grattare, strofinare e leccare se stessi, ma grattano e strofinano anche i loro compagni, dedicando fino al 20% del loro tempo diurno a questa singola attività, a seconda della specie. Questo spulciamento sociale, o reciproco, rappresenta un passaggio importante nell’evoluzione del comportamento sociale ed è presente in molti mammiferi […], ma è soprattutto tipico dei primati (Spruijt et al. 1992)”.

“Nello spulciamento sociale ci sono almeno due attori: colui che viene spulciato e colui che spulcia. Mentre il primo ottiene beneficio in molti modi, come il piacere indotto dall’essere toccato, il rilassamento e l’igiene, è meno chiaro quali siano i benefici per il secondo. In realtà, non vi sono benefici immediati per lo spulciatore, perché egli impiega tempo ed energia a vantaggio di altri. L’atto di spulciare può quindi essere considerato un comportamento altruistico”.

Da tale brano si ricava, in sintesi, la conferma che l’innesco di alcuni meccanismi complessi (come lo spulciamento) siano collegati a quelli che, nella nostra teoria, si chiamano percorsi di autocoscienza inattivati (cioè privi dell’attenzione dell’osservatore, quindi inconsci). Il collegamento tra tali percorsi inconsci e quelli attivati (e quindi consci) ha così la sua evidenza sperimentale nel caso in questione (lo spulciamento). La complessità del comportamento è conferente con l’idea di un intreccio complesso di percorsi di autocoscienza, alcuni inattivati ed altri attivati. Lo spulciamento ci fa vedere come tale metodo di collegamento allarghi la coscienza alle competenze sociali, fino al comportamento altruistico. Non manca quindi alcuno degli ingredienti principali che i settori della spiritualità, della letteratura, della filosofia laica come della teologia hanno finora attribuito alla coscienza.

Da L. Maffei, Elogio della lentezza, pag. 38-39 (una verifica del fatto che l’ambiente interno (o coscienza) del nostro organismo auto-alimenta la propria complessità strutturale, aumentando la precisione di risposta anche agli inputs esterni):

“Il cervello è una macchina che ha la proprietà di modulare il proprio funzionamento in relazione ad alcuni fattori, il più importante dei quali è la sua attività. Ogni stimolo sensoriale o cognitivo di origine endogena, insieme all’attività motoria di tipo riflesso o volontario, induce un aumento dell’attività elettrica in termini di impulsi nervosi; questi, a loro volta, innescano l’attivazione di catene molecolari con produzione di mediatori neurochimici, fattori neurotrofici come NGF, BDNF IGF-1 per nominare quelli più noti, che sono basilari per modulare, mantenere e aumentare la plasticità cerebrale. Essi variano e aumentano le connessioni sinaptiche soprattutto a livello delle sinapsi dendritiche, e modulano la trasmissione sinaptica in termini di efficienza nella trasmissione del messaggio. Posso assicurare che

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osservare direttamente al microscopio a due fotoni la dinamicità delle sinapsi dendritiche e i cambiamenti di connessione per stimolazione sensoriale, per esempio visiva, è esperienza emozionante e indimenticabile, anche perché si è portati a immaginare il nostro stesso cervello in continuo cambiamento strutturale. Dopo queste premesse risulta ovvio che il problema dell’adeguata stimolazione del sistema nervoso diventa basilare per la salute del cervello, particolarmente per rallentare il suo invecchiamento e allontanare il dramma della demenza senile”.

Da tale brano si ricava come sia sufficiente, nell’esempio evolutivo del cervello umano, una situazione di complessità germinale della coscienza (intesa come ambiente intuitivo interno) per attivare una sua crescita successiva, in linea con i feedback che provengono dall’ambiente esterno. E’ chiaro che senza il cervello umano già strutturato, non avremmo verifica della possibilità di una iniziale capacità degli organismi animali di crescere in complessità solo in base alla situazione di partenza di cui alla tesi da me proposta. Ma il completamento della verifica può essere ritenuto di scarso interesse, finché non si hanno evidenze opposte. Dai due brani sopra riportati, infatti, emerge la presenza di uno stato germinale (o livello 1) della coscienza, nel meccanismo dello spulciamento – che però già porta la coscienza alla strutturazione di comportamento complesso, capace di fondare situazioni sociali ed altruistiche) ed uno stato maturo (o livello 2) della coscienza, nella capacità di auto-strutturazione del cervello umano e di auto-incrementazione della sua precisione d’interazione dell’ambiente intuitivo interno con quello esterno. Gli eventuali gradi intermedi (che ad oggi potrebbero non essere verificabili, qualora la coscienza si fosse sviluppata solo nell’uomo, se non nello sviluppo cognitivo dei neonati e dei bambini) possono quindi attualmente essere espunti dall’oggetto della verifica. Ho comunque appreso da un intervento on line (su youtube) di Antonio Damasio, neurologo di fama internazionale, che anche alcuni mammiferi come i primati (ma non tutti), i maiali ed i cani, hanno tre tipi di sé (cioè tre tipi di aree cerebrali che nell’uomo sono deputate al senso di autoconsapevolezza), uno dei quali è il sé autobiografico. In linea con il mio stile eclettico ed integrativo del sapere, mi asterrò da uno studio ulteriore dell’argomento, di cui non sono comunque uno specialista da pedigree.

In conclusione, ho dato due definizioni di coscienza: la coscienza come tratto distintivo (dell’essere auto-cosciente) e la coscienza nella sua formazione (e come funzionamento). Cerchiamo, adesso, di ricondurre a sistema queste due definizioni. La prima definizione mi dice che la coscienza è un’analogia singolare grafèica (ASg), in cui l’elemento sefèrico (cioè raccontabile) è l’io, inteso come elemento concreto, e l’altro elemento dell’analogia è il grafèico puro (cioè l’ineffabile puro, già analizzato nel relativo capitolo). Quest’ASg, che è il senso ineffabile dell’io, rimane sospesa, incapace di far seguire la successiva ASg, che colleghi il grafèico puro ad un elemento analogico ulteriore alla concretezza dell’io. Sappiamo che un pda sospeso rimane in attesa del successivo elemento analogico e che, quando il finalismo legato all’ultimo elemento finora configurato è molto forte, si reiterano i pdac che cercano di riprendere la configurazione del pda stesso a partire dagli elementi a monte, al fine di trovare il modo per proseguirlo. Il pda sospeso diventa così un pda di oppressione, poiché logora l’osservatore con una reiterazione, tendenzialmente all’infinito, del suo ultimo tratto. Il blocco intuitivo si esprime, in primo luogo, nello schema analogico dell’elemento che costituisce la gemma apicale: tale schema si conclude bruscamente con l’ASg suindicata (invece che proseguire tendenzialmente all’infinito con la potenza virtualizzante e virtualizzata dell’elemento grafèico puro). Lo schema configurazionale, con la sua reiterazione di un tratto del pda, è in questo caso il riverbero della sospensione dello schema analogico. Per risolvere tale impasse, il grafèico puro si sente come forzato ad attivare altri pda, attualmente inattivi, poiché nella nube di collegamenti che ne deriva si trovi un degno elemento cui collegare il grafèico stesso, nello schema analogico considerato. L’attivazione di un pda inattivo si configura come collegamento ASg-ASg (vd. il relativo capitolo) tra il suo elemento che funge da gemma apicale e un elemento che funge da gemma apicale in un pda attivo, integrando l’onda formaturale (in senso lato) di quest’ultimo. Si ha quindi l’innesco del funzionamento della coscienza: alcuni pda inattivi si collegano a pda attivi, per offrire al grafèico puro una nube di elementi tra cui scegliere quello con cui proseguire lo schema analogico sospeso722. Si costituisce così l’ambiente interno

722 Visto dal punto di vista dello schema configurazionale, in cui è avvenuta l’attivazione di un pda inattivo, la prosecuzione dello schema analogico sospeso può essere descritta così: “EAga(i)-ASg-ASg-EAga(a)-…-EAscelto-ASg-ASg-EAio”. Nello schema appena riportato, EAga(i) è la gemma apicale del pda inattivato (la cui attivazione segue immeidatamente grazie al collegamento ASg-ASg), EAga(a) è la gemma apicale del pda attivato, EAscelto è l’elemento analogico che viene 315

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all’organismo: ambiente interno che altro non è che uno stilema configurazionale che si ripete, in forma (potremmo dire) di “nube di probabilità configurazionale”, per la risoluzione di un’impasse analogica. Ogni volta, dunque, che un essere auto-cosciente (ad esempio un uomo) ha un senso d’insoddisfazione intuitiva, si tratta della coscienza che sta emergendo. La coscienza s’inquadra, quindi, nella teoria analogico-configurazionale, come uno stilema configurazionale diffusivo (attivato a livello dello schema analogico grazie ad un’impasse intuitiva), che può espandersi all’occorrenza in ogni sistema configurazionale dell’organismo.

L’elemento concreto dell’io, che costituisce la scintilla della coscienza (in unione con il grafèico puro), è la percezione intuitiva desiderata (che si produce in un elemento cs), che caratterizza l’apogeo della ricerca costituita dallo stato di autocoscienza dell’emozione. Anche nel sentimento si può arrivare all’elemento concreto dell’io in parola, che è parimenti la precezione desiderata costituente l’apogeo dell’emozione, che corona il successo del sentimento con un rinforzo percettivo che plasma come venustà appagante il sentimento stesso.

scelto dal grafèico puro per collegarlo all’elemento concreto dell’io (cioè all’elemento sospeso, che funge da scintilla della coscienza). Lo schema sopra riportato è quindi sia lo schema della coscienza (che unisce la sua scintilla con la sua formazione), sia lo schema dell’empatia (in cui, appunto, la scintilla della coscienza si unisce alla sua formazione). In particolare, si parlerà di schema dell’empatia, quando il pda attivato (cui si collega quello inattivato) sia parte di un sistema esterno all’organismo auto-cosciente. Chiameremo tale sistema esterno con il nome di individuo. [Torna indietro al capitolo sul confronto tra la teoria della complessità e quella analogico-configurazionale]. Sarà più facile riconoscere l’individuo in un sistema esterno all’organismo dell’osservatore autocosciente, quanto più tale sistema sarà complesso (cioè un sistema di sistemi di sistemi configurazionali, di grado n elevato a piacere, purché non coincidente, per ipotesi, con un’intera collettività). Ma l’unico discrimine tra individuo e collettività è proposto, invero, dallo stesso schema dell’empatia, che emerge tra gli schemi della coscienza per il solo fatto di essere il collegamento ad un pda attivato di un sistema esterno. Quindi quello che in un certo schema configurazionale può essere considerato un individuo (poiché sistema esterno, il cui pda attivato s’inserisce nello schema della coscienza), in un altro schema configurazionale può essere considerato come collettività (se percepito come pluralità di corpi, materiali o immateriali, a livello dell’ifscβ dell’afc o della gp) e non come individuo, poiché difetta lo schema della coscienza. L’io collettivo ha un carattere distintivo rispetto ad una qualunque collettività (come appena definita), poiché ha l’ulteriore caratteristica che è una pluralità di corpi entro il cui sistema (che corrisponde alla percezione immediata che si ha di tale pluralità di corpi a livello dell’ifscβ dell’afc o della gp) s’inserisce percettivamente l’organismo dell’osservatore auto-cosciente. L’io individuale è invece il movimento configurazionale che introduce nuovi salti paradigmatici consci nell’organismo dell’osservatore auto-cosciente. Per movimento intendo un fronte di evoluzione dei pda dell’organismo che abbia una qualche coerenza percettiva.316

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25. Libero arbitrio o libero accordo?[i]In data 24 luglio 2020, un amico conosciuto di recente di nome Sauro mi ha inviato il link ad un recente

articolo on line dal titolo “Neuroscienze e libero arbitrio: e se fosse tutto già deciso?”. Già dal titolo mi sentivo scaraventato sul set di The Discovery (La scoperta), film del 2017 in cui un Robert Redford nei panni dello scienziato riduzionista arrivava a dimostrare l’esistenza della vita dopo la morte, con grande fibrillazione e smarrimento dell’intera società globale. Ma quest’articolo appariva molto più terrorizzante e schiacciante per l’uomo di oggi: avrebbe dovuto incrinarne profondamente lo spirito, visto che faceva riferimento al risultato di un esperimento di neuroscienze secondo cui l’attività cerebrale collegata al compimento di un’azione si esplicherebbe poco prima della consapevolezza dell’azione stessa! Se non fosse che tale articolo fa riferimento ad una ricerca del 1983… Il ricercatore (scomparso nel 2007) è Benjamin Libet. Inserendo su un motore di ricerca le parole “esperimento libero arbitrio” compaiono numerosi esperimenti di neuroscienze, che vanno a sondare in chiave riduzionistica (ma anche con una certa propensione alla complessità e alla considerazione integrale dell’organismo umano) l’ipotesi del libero arbitrio. Non mancano, sul tema, le repliche di filosofi e religiosi, nonché le opinioni di numerosi bloggers non schierati ufficialmente. Dopo pochi minuti e alcune pagine web “sfogliate”, mi accorgo di come fermandosi alla notizia sensazionale (smentita da molte voci, compresa quella dello stesso Libet) un uomo della strada avrebbe potuto irretire per decenni il proprio cammino evolutivo: tuttavia l’identikit di tale uomo della strada avrebbe corrisposto – fatalmente – a quello di una persona (ahimé!) poco attenta, ma anche sfortunata. La sua sfortuna? Trovarsi inserito in un dibattito pubblico viziato da un dogmatismo ormai fine a se stesso!

La tendenza dei neurologi è quella riduzionista (che parifica la decisione umana ad un impulso neuronale insito nel cervello). Nonostante ciò Libet è riuscito a proporre un’interpretazione del risultato del proprio esperimento in linea con la teoria della complessità e con l’idea che il funzionamento dell’uomo sia un intero inscindibile nelle sue parti. Egli non ritiene che lo scarto cronologico tra la consapevolezza della decisione di muovere un muscolo e la precedente attivazione inconscia del corrispondente impulso neuronale arrivino a negare il libero arbitrio, in quanto l’effettiva decisione può collegarsi ad un più complesso “campo mentale conscio”. Oltre a questo neurologo (a quanto pare un’eccezione tra i suoi colleghi), sembra di capire che anche vari psicologi abbiano preferito un approccio complesso e non riduzionista alla questione del libero arbitrio, per quanto mai staccata dal contesto fisiologico, e i filosofi/teologi navighino addirittura in settori del sapere affatto distanti se non ormai separati dal campo biologico. Il nostro approccio al problema è annoverabile tra quelli distanti dal contesto biologico ufficiale, anche se d’altro canto ne tiene conto per confutarlo e (senza negarne le conquiste) reindirizzarlo a fini evolutivi in chiave relazionale.

Considereremo in primo luogo che la parola arbitrio e libertà sembrano scelte ad arte per fare scintille: sono state per l’appunto scelte in contesto teologico, per istituire una dialettica drammatica ed esiziale tra l’uomo e il suo creatore, decretando l’autonomia o addirittura indipendenza del primo (con il probabile esito del rogo, per chi imprimesse su carta un simile pensiero, almeno dopo il Concilio di Trento) oppure l’onnipotenza del secondo. In questo modo si assicurava, forse inconsciamente, un ruolo chiave all’istituzione religiosa, deputata a custodire la professione d’onnipotenza di Dio da parte dell’uomo. Ma arbitrio e decisione sono due cose diverse, solo in minima parte coincidenti ed in modo condizionale. Arbitrio723 è infatti un caso limite del discernimento, che per la sua anti-relazionalità è francamente da evitare, almeno nella nostra concezione democratica. Può essere considerato libero o servo (vd. il De servo arbitrio di Lutero): quindi, nella seconda accezione, può non avere niente a che vedere con la capacità decisionale dell’agente. Inoltre l’essere supremo, che dovrebbe per alcuni determinare il servo arbitrio,

723 La parola arbitrium, in latino, sembra significare in primo luogo “decisione” e, come uno degli ultimi significato, “arbitrio” (almeno stando al dizionario Olivetti). Tuttavia i termini della questione teologica, così come avvertita ai nostri giorni (che sono figli della Riforma e della Controriforma), sembra propendere proprio per il significato di “arbitrio”, cioè “capriccio, decisione del tutto autoreferenziale”. E’ stata probabilmente l’acredine dei dibattiti a portare a questa percezione odierna. Per onestà dobbiamo quindi ammettere che moltissimi nei secoli e a tutt’oggi hanno inteso il libero arbitrio come libertà decisionale dell’uomo, non in contrapposizione ma in parallelo alla proposta di Dio, nella prospettiva di un suo accoglimento o di un suo rifiuto.317

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difficilmente esprimerebbe al posto dell’uomo un libero arbitrio, essendo privo di coscienza (che non si addice ad un essere assoluto e quindi, a differenza dell’Elohìm del Genesi, non antropomorfizzabile). In questo il cd. Dio assoluto e il Fato della Scienza neopositivista-riduzionista coincidono. Se invece considerassimo: a) la coscienza come un ambiente interno (non in senso spaziale, ma cognitivo) all’organismo, che replica l’ambiente esterno e cerca di conformarlo e trasformarlo in una propria replica, per la conservazione evolutiva dell’organismo stesso; b) l’essere (inteso come essere supremo e/o movimento evolutivo della realtà) come complementare alla coscienza ed emergente da questa (certo nella migliore delle ipotesi: una sorta di caso limite opposto al servo arbitrio!): ebbene si potrebbe sostituire il libero arbitrio con il libero accordo tra queste due componenti (la coscienza e l’essere) dell’intero di uomo-essere. E’ questa ipotesi che discuteremo a breve, dopo aver fatto una carrellata delle idee scientifiche sul libero arbitrio in campo neurologico, giovandoci dell’analisi condotta da Alberto E. Panerai.

I tentativi della neurologia di astrarsi dallo sterile dibattito tra libero e servo arbitrio trovano comune apprezzamento non solo per la loro cd. base biologica (che rispecchia però solo la biologia ufficiale), ma anche perché si rivolgono ad un uomo della strada che ha subito per secoli lo sterile dibattito in parola e non ne può più. Se a questo si aggiunge la cieca (e inconsapevole) fede dell’uomo della strada nel riduzionismo e nel neopositivismo, si può agevolmente ricavare che ad oggi buona parte degli esseri umani ha due alternative: 1) accettare pronamente la prova su base biologica dell’inesistenza (o il dubbio sull’esistenza724) del libero arbitrio; 2) fregarsene dell’intera questione. Il solito difetto dei ricercatori odierni, sia in campo filosofico-teologico che in campo cd. scientifico, è non aver preso sul serio gli elementi evolutivi inseriti nella nostra stessa concezione della realtà dalla teoria quantistica, dalla teoria cosmologica, dalla scoperta dei neuropeptidi, dalla Gestalt, dalla teoria cognitivista post-razionalista, dalle teorie in campo para-psicologico (tra cui soprattutto la teoria dell’osservatore), dalla teoria della sincronicità, dalla teoria della sintropia o retrocausalità, dalla teoria della complessità e dalle teorie più marcatamente esoteriche dotate di una maggiore organicità e diffusione (come ad esempio la nuova medicina germanica di R.G. Hamer). Potrei aver dimenticato o ignorato qualche ulteriore teoria, che abbia inserito germi di una rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale, ma penso di averne dette anche abbastanza. Se facessimo davvero tesoro anche solo di una di queste teorie, non ci affanneremmo ancora dietro paradigmi che hanno un raggio di applicazione sempre più ridotto nell’interpretazione della realtà. La teoria analogico-configurazionale che propongo tiene conto nel modo più serio e radicale di alcune acquisizioni di ciascuna di queste teorie, rendendole conferenti non solo al loro interno e tra loro, ma anche con le teorie che ormai possono dirsi involutive (cioè quelle basate su matrici riduzioniste e neopositiviste). Ma iniziamo a considerare proprio le falle di queste ultime teorie, prima d’introdurre la pars instruens.

Sull’esperimento di Libet non c’è altro da aggiungere: Libet aveva così chiaro il proprio approccio riduzionista, che è arrivato ad ipotizzare la necessità di un approccio complesso al problema (introducendo l’idea di “campo mentale conscio”, che sarebbe alla base della possibilità di parlare di libero arbitrio).

Altri si sono limitati a introdurre esperimenti che demolissero l’esperimento di Libet, facendone cogliere gli aspetti d’imprecisione implicanti l’impossibilità di negare su basi neurologiche il libero arbitrio. Sembra che tali esperimenti abbiano il solo scopo (di politica della scienza) di ripristinare l’antica scissione tra campo dell’interiorità e quello della scienza. Contro tale surrettizio dualismo si pongono gli sforzi degli psicologi, che hanno in genere accolto con favore l’esperimento di Libet nella sua portata negatoria (per quanto contraria all’interpretazione stessa di Libet) del libero arbitrio. I successori di Libet (cioè quei ricercatori che hanno tentato ancora di arrivare ad una verifica in campo neurologico sulla precedenza o meno dell’impulso neuronale rispetto alla consapevolezza della decisione) elaborano concetti come:

1) “illusione di libero arbitrio725” (che dovrebbe sottendere ad un coordinamento tra un percorso neuronale del pensiero sull’azione e un percorso neuronale dell’azione, che sono tra loro separati e

724 Per onestà intellettuale, dall’articolo di Panerai (su cui mi baso per rappresentarmi uno stato dell’arte sulla questione del libero arbitrio in neurologia) sembra emergere l’apertura di alcuni neurologi alla dimostrazione del libero arbitrio, o almeno la possibilità d’interpretare in modo coordinato le loro acquisizioni secondo una tale chiave interpretativa. Quest’ultima è infatti l’interpretazione proposta dall’autore testé citato.725 L’esperimento è stato condotto da Wegner (A.E. Panerai, Le neuroscienze e la libertà del volere, pag. 10).318

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paralleli: il compito di coordinarli andrebbe così assegnato al cervello o a qualche altra entità – non riconosciuta, in genere, dai neurologici che sono spesso per definizione fanatici del cervello);

2) mismatch (cioè la presa di coscienza da parte [dell’osservatore] che la percezione da lui osservata non corrisponde alla propria azione ma a quella di un altro: tale presa di coscienza avverrebbe solo qualora egli sorpassi un certo limite fisiologico di scostamento percettivo tra la propria azione e quella molto similare compiuta da un altro soggetto726);

3) distinzione tra “valutazioni implicite”, (cioè “interne, inconsce e rapide”) e “valutazioni esplicite” (cioè “correlate, consce e lente”) del soggetto dell’esperimento neurologico727;

4) “presa di coscienza di un atto”, graduato “da subliminale senza alcun controllo, a subliminale con un primo livello di controllo, a preconscio e infine a conscio”, a secondo del “graduale coinvolgimento di sempre più numerose aree cerebrali e vie nervose che creano una rete d’informazioni che s’integrano in uno spazio virtuale (workplace): la rete dove avviene il lavoro d’integrazione finale”728;

5) “interocezione” (chiamata da alcune discipline olistiche con il nome di “autocezione”), intesa come funzione gestita da un’area specifica del cervello (l’insula), che collegherebbe gli stimoli provenienti dall’intero organismo (che darebbero la rappresentazione dello stato in cui si trova il corpo) con gli stimoli provenienti dalle aree che presiederebbero alle scelte di movimento: da qui si arriverebbe a “consolid[are]” una “rappresentazione interocettiva finale”729. Il mismatch si collegherebbe così alla sensazione che sia variata l’omeostasi del’organismo, per via di progressiva rappresentazione interocettiva730;

6) le “rappresentazioni” del nostro cervello ci permetterebbero di formulare delle previsioni, da verificare successivamente in altre situazioni; le emozioni avrebbero un ruolo importante, in quanto costituirebbero proprio il risultato informativo interocettivo del confronto tra mondo esterno e afferenze interne dell’organismo; inoltre in presenza di certe lesioni cerebrali, pur restando la capacità di prendere decisioni, ne cambierebbe la valenza morale (da qui un nuovo approccio possibile al tema del “dilemma morale”)731;

7) alterando poi la propria capacità di rappresentazione interna (o interocezione), certi malati psichiatrici avrebbero una variazione d’interpretazione dell’interocezione stessa che comporterebbe l’approdo ad una omeostasi diversificata, che a sua volta implicherebbe “alterazioni nella capacità di [tali] malati psichiatrici di prendere decisioni”732.

Quindi anche i neurologi sono passati da esperimenti che replicavano supinamente l’alternativa tra libero e servo arbitrio ad esperimenti che gradualmente introducevano elementi di teoria della complessità (cioè circolarità inscindibili, da cui emergono concetti-chiave nuovi non ricavabili per mero assemblamento delle parti di un sistema, ma solo dal sistema nel suo complesso), pur sempre rimanendo nell’ambito di studio di fenomeni semplici come lo spostamento di un dito. Tuttavia vi è una tendenza forte, nel settore neurologico, a fare una grande confusione epistemologica. Dopo aver introdotto, infatti, paradigmi che possono interagire tra loro solo nell’ambito della complessità (e cioè non nell’ambito del principio di causa-effetto ma in quello del principio di coerenza), finiscono per prendere la tangente e passare per semplice (cioè basato sul linguaggio binario di causa ed effetto) ciò che al contrario è e rimane complesso. Facendo leva sulle ricerche dei coniugi Damasio e su quelle di Paulis, ad esempio, l’opera qui più volte citata (A.E. Panerai, Le neuroscienze e la libertà del volere, edito on line da Riviste UNIMI) porta ad un approdo semplificatorio, introducendo in un unico contesto riduzionista l’idea di emozione e quella di lesione cerebrale. Infatti, secondo l’autore in parola (e il filone interpretativo che ha alle spalle nel campo neurologico), vi sarebbe un collegamento semplice (cioè di causa-effetto) tra la lesione di una determinata area cerebrale che gestisce certe emozioni e la rappresentazione dell’omeostasi che da tali emozioni sarebbe originata, con il conseguente “difetto” di valutazione di una certa azione da parte di chi avesse

726 L’esperimento è stato condotto da Jeannerod (op. cit., pag. cit.).727 L’esperimento è stato condotto da Cunningham (op. cit., pag. cit.).728 L’esperimento è stato condotto da Dehaene e Changeux nel 2007 (op. cit., pag. 11).729 L’esperimento è stato condotto da Craig nel 2002 (op. cit., pag. 12)730 Op. cit., pag. cit.731 L’esperimento è stato condotto dai coniugi Damasio e dai loro collaboratori (op. cit., pag. 13).732 L’esperimento è stato condotto da Paulus e collaboratori (op. cit., pag. 14).319

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subito tale lesione cerebrale rispetto alla generalità dei consociati. Ma l’emozione che verrebbe alterata da una lesione cerebrale non può essere colta con un linguaggio semplice, bensì solo con un linguaggio complesso, che introduca la circolarità fra la modulazione di sogni, pensieri e sensazioni e la percezione desiderata (vero nocciolo dell’emozione) che si concretizza solo grazie a tale modulazione (ma che è anche ciò che ne dà la coerenza, ne permette cioè l’interpretazione). L’emozione è infatti l’emersione di una ricerca di una percezione desiderata e che, anche una volta individuata, rimane ineffabile (per mantenere l’emozione, infatti, occorrono sempre nuove percezioni desiderate oppure di accontentarsi di percezioni surrogate: una certa percezione desiderata non può mai essere replicata, ai fini emotivi). Non potremmo distinguere nemmeno in un neonato o in un feto l’emozione come percezione desiderata dalla sua ricerca, che altro non è che un diverso approccio all’omeostati: le emozioni sono infatti uno dei principali carburanti dell’omeostasi, senza cui essa sarebbe incapace di mantenersi. L’unica volta che ho incontrato Sauro, gli ho proposto provocatoriamente di vivere tre settimane senza finalismo (un altro modo per escludere le percezioni desiderate), al fine di verificare se davvero possa essere escluso che il finalismo sia il motore fondamentale della vita biologica dell’osservatore della realtà (e quindi anche della realtà). Il rapporto tra emozione ed omeostasi è infatti complesso: senza il finalismo dell’emozione – cito un aberrante esperimento nazista – il neonato muore anche se accudito alla perfezione. Il mismatch (=accoppiamento sbagliato) che emerge dopo alcune centinaia di millisecondi, facendo sì che il soggetto si accorga che un’azione non è determinata dal proprio organismo ma da altro all’infuori di esso, può essere ricompreso nel più ampio campo dell’emersione della coscienza dall’autopoiesi (così come costruito nel pensiero di A.-T. Timieniecka e in quello di T. Luhman), cioè dal fluire inconscio della realtà. Chi ci dice se la realtà sia davvero solo neuronale e sinaptica o se l’aspetto neuronale e sinaptico non sia piuttosto un’espressione dell’emersione della coscienza da un’autopoiesi? Non può dircelo da sola la realtà neuronale e sinaptica vista con le lenti del riduzionismo e del neopositivismo: perché hanno una logica semplificata, binaria, del tipo causa-effetto e che evita il passaggio da una logica all’altra, per timore d’incorrere nella contraddizione logica (che è invece alla base della vita come dell’intera realtà); qui invece dobbiamo valutare sistemi e parti di sistemi tra loro coerenti o incoerenti e le ulteriori nidificazioni di livelli coerenti/incoerenti delle funzioni conoscitive dell’osservatore che possono unirli o dividerli, in chiave evolutiva e (auspicabilmente) relazionale. Di fronte ad ogni tentativo semplificatorio sulla libertà decisionale dell’uomo, la realtà in movimento ci fa scontrare con il nodo dell’ineffabile, nelle sue molte declinazioni, che vanno a confutare le proposte interpretative fin qui presentate (a meno che queste non si pongano in un ruolo ancillare rispetto al portato di complessità dell’interpretazione in materia, cioè come acquisizioni provvisorie e di mero spunto). Manca ad ognuna di tali ipotesi teoriche una strutturazione logica sufficientemente strategica per dare adito di creare un accordo con la realtà in movimento733. Ad oggi, infatti, ognuna di tali ipotesi risulta autocontraddittoria, poiché non riesce a risolvere uno o più nodi interpretativi che essa stessa introduce (a meno che, appunto, non ometta di pretendere l’attinenza logica alla realtà, offrendosi ad altra teoria (da individuarsi) come puro argomento logico ancora da disgrossare con le accette e le lime dell’epistemologia). Quindi la teoria che propongo in questo saggio non pretende di essere l’ultima parola sul tema della libertà di decisione (né su alcuno degli altri temi trattati), ma pretende di aver impostato una strutturazione logica sufficientemente complessa da permettere un accordo provvisorio (ma anche abbastanza stabile, dal nostro punto di vista umano) con l’essere, cioè con la realtà in movimento evolutivo. L’essere734 ci ha fatto la grazie di non rappresentare solo un movimento evolutivo, ma anche un movimento relazionale, che introduce l’idea di conformazione e trasformazione vicendevole tra pari (uomo ed essere stesso); se non troviamo una strutturazione capace di cogliere questa opportunità, non restiamo al passo con l’evoluzione e non cogliamo la grande chance relazionale. E’ tale la strutturazione che, quindi, proporrò nelle prossime righe.

Per comprendere tale strutturazione, occorre la lettura e comprensione dei capitoli precedenti di questo saggio. Per una comprensione più approfondita, occorre poi la lettura e comprensione dell’intero saggio e di quelli collegati. Il punto di partenza è quindi dare per scontata la conoscenza di quanto scritto nei capitoli

733 Almeno così mi sembra, visto che non ho potuto leggere opere dedicate specificamente a ciascuna di tali ipotesi.734 Come meglio analizzato in Trinità o funzioni conoscitive?, scaricabile da www.bridge4will.net alla pagina Teorie, una delle mie ipotesi fondamentali di partenza è che si possa far coincidere l’essere con l’essere supremo della rivelazione biblica (interpretata secondo le chiavi de Il testo-ricerca, anch’esso scaricabile sulla stessa pagina web).320

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precedenti. Da ciò si può introdurre l’ipotesi di partenza: cioè che la realtà si suddivida in più livelli configurazionali.

Ogni livello configurazionale della realtà può accogliere qualunque configurazione analogica (cioè qualunque stanza intuitiva si apra grazie ad un paradigma specifico della conoscenza), ma solo se l’osservatore è in grado in qualche modo di arrivarvi (da solo o, come più spesso avviene, con l’aiuto della natura e, in un certo senso, dell’intera società o di culture interne ad essa). Il particolare tipo di atteggiarsi del passaggio da una configurazione analogica all’altra ci dice in che livello configurazionale, in quel momento735, l’osservatore si trovi. Qui daremo una breve replica della spiegazione sui livelli configurazionali, che viene invece offerta nella sua versione più analitica nel relativo capitolo.

Avremo così un primo livello configurazionale, quello della realtà conscia ma incapace di salti paradigmatici consci (bensì solo di salti paradigmatici inconsci, preimpostati e/o etero-determinati). L’esempio classico di questo livello configurazionale è la situazione standard di quando l’osservatore guida la propria automobile in ossequio all’abitudine del solito tipo di guida e del solito tipo di percorso compiuto tutti i giorni, rendendosi però conto di guidarla. Il secondo livello configurazionale è invece quello dell’inconscio: come esempio possiamo prendere l’ipotesi del guidatore che, compiendo il solito percorso con il solito stile e situazioni di guida, non è consapevole di guidare e quando arriva a destinazione non sa come ci è arrivato. Si noti che in questo secondo livello alcuni salti paradigmatici divengono più “carichi” di una sorta di energia intuitiva, che poi permette di riattivarli nei livelli configurazionali superiori con particolari procedimenti in buona parte altrettanto inconsci: è così che affiorano le intuizioni e vengono interpretate. Entrambe le situazioni sono comunissime e trovano spiegazioni ed ipotesi logico-costruttive in quasi ogni campo del sapere, dalla neurologia, alla psicologia, alla filosofia (dottrina dell’autopoiesi da cui emerge la coscienza, ma anche dottrine dell’idealismo, in primis quella di Hegel), alla fisica, al diritto, ecc… Noi abbiamo scelto il campo epistemologico, che avvolge ogni altro campo del sapere, per studiare questi due livelli e capire se e a quali condizioni sia implicata la libertà decisionale dell’osservatore nella guida di un’automobile come in ogni altra situazione di vita. Per fare un’analisi completa, dobbiamo però accennare anche agli altri tre livelli configurazionali. Il terzo livello è quello del sogno-evento, in cui i salti paradigmatici si “mimetizzano” con i comuni collegamenti analogici di tipo indiretto (cioè con i collegamenti analogici che sono ulteriormente mediabili con altri collegamenti analogici, senza un novero predeterminato di collegamenti possibili): avvengono così nuovi salti paradigmatici, in modo imprevisto per l’osservatore, e da lui difficilmente riconoscibili. L’interpretazione dei sogni serve proprio a far emergere questi preziosi salti paradigmatici, che possono orientare e arricchire la vita dell’osservatore. Ma anche gli eventi, inscindibili a livello cognitivo dai sogni736, hanno una componente di tale livello configurazionale, nascondendo nelle proprie pieghe questi salti paradigmatici nascosti. Il quarto livello configurazionale è quello in cui l’osservatore, arricchendosi grazie a vari percorsi di autocoscienza paralleli, che a turno emergono alla coscienza (cioè nel primo livello configurazionale), riesce ad individuare e percorrere in modo conscio i salti paradigmatici nascosti nel terzo livello. Nel quarto livello si devono introdurre, accanto ai normali percorsi di autocoscienza del primo livello, i percorsi di autocoscienza di controllo (pdac), che creano delle reiterazioni dei primi percorsi (pda), grazie a cui si attivano gli elementi che costituiranno il nuovo paradigma e ne consentiranno la concretizzazione nel successivo flusso di coscienza. Il quinto livello

735 Adopereremo spesso e fatalmente espressioni di tipo cronologico, come “in quel momento”, ma non le intenderemo mai come veramente cronologiche, bensì come sefèriche (da sefèr, che in ebraico vuol dire “conto, racconto, discorso che convince, scrittura”). Faremo cioè tesoro, nel nostro cammino conoscitivo, di quegli elementi logico-strutturali di tipo sapienziale che si trovano nella cd. sacra scrittura, che altro non è che un racconto della conoscenza da noi raggiungibile, che ha il compito di convincerci di tale stessa strutturazione ai fini evolutivi. Così impareremo a dire “in quel momento” senza intendere fare alcun riferimento ad un punto (o a più punti) sulla ipotetica retta del tempo cronologico, ma intendendo semmai una versione “raccontata” del funzionamento della percezione, intuizione e intelletto dell’uomo, idonea a “convincerci” come collettività umana ai fini di un’evoluzione relazionale. Quindi dicendo “in quel momento” ci riferiamo esclusivamente ad una fase di un funzionamento più ampio, appartenente ad un procedimento che l’organismo adopera per proiettarsi come realtà più o meno soggettiva/oggettiva.736 La valenza cognitiva degli eventi è come quella dei sogni, che passano quasi tutti inosservati, incompresi, quasi sempre obliati, salvo in quelle rare occasioni in cui li recuperiamo e interpretiamo (riprendendo anche a distanza di anni l’interpretazione di un sogno-evento, come filo rosso che trasforma con la consapevolezza la nostra esistenza).321

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configurazionale (il più raro ad innescarsi, che in genere viene oggi attivato nell’acquisizione di una conoscenza di tipo professionale o di tipo accademico, ma di grado di approfondimento più alto di quanto richiesto a praticanti e studenti, che ad esso si approcciano progressivamente) è quello in cui l’osservatore, con un particolare procedimento737, riesce a ripercorrere in modo conscio e più volte, da punti di vista diversi, il medesimo salto paradigmatico fino a cristallizzarlo in quel novero di criteri interpretativi strategici che ha sempre a disposizione. In questo modo può poi recuperare a piacimento il salto paradigmatico, ogni volta che occorra, senza dover rientrare nel quarto livello e compiere daccapo il percorso interpretativo. Grazie al quinto livello non otteniamo solo il vantaggio di avere nelle nostre società professionisti o accademici ben formati, ma anche e soprattutto d’imprimere un’evoluzione complessiva alla specie umana, le cui future generazioni saranno dotate di una parte rilevante del loro bagaglio, senza dover fare lo sforzo di acquisirlo. Anche l’uomo della strada, infatti, entrando più volte in contatto con i professionisti/accademici (ma anche e soprattutto con uomini rivoluzionari, che hanno posto le basi del sapere di questi ultimi), finisce per cristallizzare i criteri interpretativi di cui ha necessità per relazionarsi con loro. Si pensi alla rivoluzione del satyagraha, profusa da Gandhi a milioni di suoi seguaci, che l’hanno fatta propria almeno quanto lui. Molti criteri strategici d’interpretazione, infine, sono per noi disponibili, anche se non li abbiamo cristallizzati personalmente, per la semplice appartenenza alla nostra specie (si tratta di criteri che abbiamo elaborato in altre vite o che abbiamo acquisito in età infantile, spinti dalla società adulta che ci circondava).

I procedimenti che regolano i cinque livelli e il passaggio dall’uno all’altro, come anche i loro diversificati risultati tecnici nella costruzione, manutenzione ed evoluzione dell’organismo umano sono in parte segnalabili e reperibili grazie ai collegamenti neuronali e sinaptici, ma questi ultimi non rappresentano l’ultima parola sull’argomento altrimenti ricadremmo nel riduzionismo, nella pedissequa sequela intuitiva dei dogmi (cioè dei paradigmi affermati come assoluti) della scienza ufficiale. Dobbiamo ormai accettare la svolta ermeneutica della complessità, sulla quale siamo anche decisamente in ritardo, visto che la stragrande maggioranza dei ricercatori della scienza ufficiale continua ad affannarsi per trovare versioni riduzioniste della complessità del reale738, negandone così il movimento, l’ineffabile, la circolarità. Il nostro approccio sarà quindi il più recettivo possibile verso la complessità dell’osservazione sulla realtà, cioè sarà un approccio cognitivo, che metterà su uno stesso piano le molecole, le cellule, le sinapsi, i neuroni, i pensieri, i sogni, le sensazioni, le emozioni, ecc... La struttura dello schema analogico-configurazionale (vd. il relativo capitolo) ci aiuta in questa nostra aspirazione a riconoscere pariteticità ad ogni elemento della cd. realtà. Tale schema è invero un duplice schema, uno analogico e l’altro configurazionale, che si avvolgono e determinano a vicenda (in una circolarità degna della teoria della complessità e di ogni approccio genuinamente esoterico, cioè in cui l’osservatore proietta e/o trasforma la realtà, senza porsi come esterno ad essa ma anzi venendo con essa reciprocamente implicato). La potenza di tale schema è appunto che c’impedisce i riduzionismi, i dogmatismi e gli assolutismi di ogni genere, pur non abolendo né le configurazioni riduzioniste (che anzi integra con le altre nell’organismo), né i dogmi (che anzi consente d’interpretare, reinserendoli nel moto evolutivo: vd. il nostro articolo Dogma e “sacra” scrittura nella coscienza del credente in www.bridge4will.net), né gli assoluti (dal cui novero consente anzi d’individuare quelli davvero originari - vd. il relativo capitolo -, facendo emergere il loro potere deformante ed evolutivo sulla cd. realtà), ma dà a ciascuno di essi un posto integrato nella più complessiva strutturazione logica della realtà in movimento. L’apprezzamento di questa potenza ermeneutica richiede la comprensione delle nostre opere sopra citate739, compreso soprattutto questo saggio sulle configurazioni analogiche.

737 Il capitolo in cui tale procedimento viene analizzato è quello sulla cristallizzazione dei criteri interpretativi strategici (CS).738 Ahimé, anche colui che considero per certi versi il padre della complessità (Edgar Morin), nelle pagine di La Natura della natura si limita ad escogitare una versione accettabile (in quanto semplificata ed edulcorata) della teoria della complessità. In questo modo ha potuto diffondere tale teoria negli ambienti che contano e a trasformare infine la mentalità dell’uomo della strada e quindi la società intera. Tale ambizioso scoglio è stato da lui (e da altri) raggiunto con una saggezza che ha molto a che vedere con una sorta di politica della scienza (che è tutt’altro che un’eccezione, come ben possiamo immaginare, nel campo della filosofia e ancor più in quello della scienza ufficiale). Ma quel pensiero che ci apre alla complessità, ce ne chiude poi l’accesso, se non sappiamo ridonargli lo slancio che si è dovuto negare per avvicinare le collettività umane.322

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Lo schema analogico-configurazionale pone quindi gli elementi analogici della realtà su più livelli di coerenza, alcuni dei quali sono i livelli configurazionali (cioè i veri e propri livelli di strutturazione reciproca tra gli elementi dello schema configurazionale). Ma non corriamo il rischio di ridurre ogni conoscenza e osservazione alla rigidità di soli cinque livelli, poiché vi sono poi i livelli analogici (che presiedono allo schema analogico sottostante e al contempo sovrastante quello configurazionale) - che in questo contributo abbiamo chiamato livelli di coerenza interni allo schema analogico- i quali dotano ogni elemento analogico della realtà di “strati” percettivi, intuitivi e intellettivi di vario tipo (chiamati altrove sub-elementi, sub-pda nascosti e sub-pda di codifica), collegati da salti paradigmatici inconsci (chiamati altrove anche analogie singolari). La strutturazione che proponiamo (e che abbiamo ricevuto per rivelazione) è davvero complessa, al punto da far vacillare l’intelletto del lettore in moltissimi passaggi, finché questo puntualmente non si rialza (ma solo dopo aver riportato a coerenza ognuno dei linguaggi e strati di senso implicati nel ragionamento proposto). Vieni e vedi!

Nel contesto conoscitivo implicato da questa strutturazione, la coscienza è un ambiente interno all’organismo (inteso come intreccio quasi o del tutto inestricabile di percorsi di autocoscienza intesi, a loro volta, come altrettanti schemi analogico-configurazionali). Tale ambiente interno ha la funzione di replicare e trasformare, a pro dell’organismo, l’ambiente esterno a quest’ultimo, restandone a sua volta conformato e trasformato. Quando l’ambiente esterno è a sua volta una coscienza, l’esplicazione della funzione anzidetta può essere chiamata comunicazione. La trasformazione vicendevole dei due ambienti si realizza grazie ai salti paradigmatici che si svolgono nei livelli configurazionali diversi dal secondo (l’inconscio), che però reperiscono grazie a quest’ultimo il “materiale” analogico-configurazionale più strategico a tal fine. In effetti la strutturazione in parola ci fa appunto pensare proprio che ogni innovazione proveniente dall’ambiente esterno emerga ugualmente, in origine, dall’inconscio (magari nel contesto di altri corpi o organismi diversi da quello dell’osservatore). Ricostruire l’origine di tali conformazioni e trasformazioni è invero una mera costruzione originaria, non una vera ricostruzione, poiché nello schema analogico-configurazionale non ci sono appigli oggettivi, reali in senso assoluto (gli assoluti originari, nel nostro sistema interpretativo, funzionano solo come moti interni e inafferrabili della realtà, il cui portato tendenzialmente oggettivo si esprime solo nella auto-confutazione – maieuticamente provocata - dei pensieri con essi discordanti). Ciò che dà validità ad un sistema costruito a tavolino, come il nostro, è solo il feedback della realtà in movimento: ma così è per qualunque altra teoria, che però se riduzionista pretende di appoggiarsi a dati oggettivi. Il primo feedback che otteniamo è dunque di tipo epistemologico, poiché abbiamo ricevuto la versione attualmente più attendibile della teoria della complessità, insieme alla versione più coerente di ogni altra teoria sopra citata (coerenza da valutarsi in base al complesso integrato di tali teorie). Scendendo dal livello epistemologico, possiamo agevolmente reinterpretare le teorie altrui (anche quelle riduzioniste) alla luce della nostra strutturazione, acquisendo le conoscenze che ci mancano per trattare il tema della libertà decisionale dell’osservatore, senza aver bisogno di fare ampio riferimento a nostre specifiche esperienze, se non a quelle verificabili da ciascuno nella propria coscienza.

Ciò che emerge dal nostro lavoro interpretativo è che non ci sono autentici assoluti di spazio e di tempo (le teorie succitate, con il loro aspetto circolare, ce lo impediscono, se siamo abbastanza franchi con noi stessi). Quindi non possiamo fondare su tali falsi assoluti alcuna sequenza riduzionistica di eventi sinaptici, pensieri e movimenti corporei. Ciò su cui possiamo fondarci è la qualità e il funzionamento dei collegamenti analogici, così come si strutturano pariteticamente e circolarmente negli schemi analogico-configurazionali740. Vi sono due qualità di analogia: quella indiretta (sopra definita come analogia tra due elementi che tende ad ammettere sempre ulteriori elementi di mediazione a spiegazione dell’analogia stessa) e quella diretta o singolare (cioè l’analogia ineffabile, che rende indistinguibili i due elementi, non 739 La questione sospesa dell’eterno nell’osservazione della realtà (saggio sui fondamenti epistemologici della verità), Analogia singolare (saggio sul fondamento analogico della realtà), Il testo-ricerca (saggio sul reperimento e l’interpretazione della tracce sapienziali scritturistiche, che permettono all’interprete di trovare in modo tempestivo le intuizioni che gli sono indispensabili per il superamento degli scogli evolutivi), Trinità o funzioni conoscitive? (che approccia l’essere – cioè la realtà in movimento - dal punto di vista cognitivo), La teoria dell’energia (che tratta specificamente dell’uso della parola energia in campo esoterico e del suo rapporto con l’energia intesa in campo essoterico-riduzionista).740 Parlo di tali schemi al plurale, poiché ogni percorso di autocoscienza può essere inteso come uno schema analogico-configurazionale a sé stante, purché coordinato con gli altri.323

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consentendo ulteriori analogie indirette a spiegazione della loro somiglianza). Nel contesto dell’analogia singolare, l’osservatore può diventare interprete che, secondo i due procedimenti del quarto e del quinto livello configurazionale, coopera nell’innovazione degli schemi analogico-configurazionali in modo preimpostato (cioè introducendo salti paradigmatici coerenti con i sistemi interessati) o in modo originale (cioè introducendo salti paradigmatici che introducono a configurazioni remote o addirittura creazionali, idonee a stravolgere i sistemi interessati). Se ciò sia libertà decisionale o no può essere materia di un dogma, da interpretare e quindi mettere in moto evolutivo. Attualmente abbiamo bisogno, a mio avviso, che il dogma della libertà decisionale ci culli ancora un po’, salvo considerare come futura chiave interpretativa per rimetterlo in moto la coerenza che certi assetti strutturali, quali quelli qui solo accennati, hanno con l’idea di libertà decisionale (condizionata, però, alla formazione di una configurazione creazionale). Mi devo fermare in questa trattazione specifica, perché per spiegare ulteriormente il suo significato dovrei riscrivere daccapo i saggi già pubblicati. Considerando tali saggi come ipertesti, potrete trovare le definizioni delle idee e concetti qui adoperati che vi risultassero oscuri o su cui vi piacesse fare un approfondimento. Sarà sufficiente adoperare la funzione “cerca” o “trova” e inserire la parola d’interesse, poi scorrere i vari passaggi de Le configurazioni analogiche che ne trattano, trovando così gli ulteriori riferimenti alle altre opere succitate.

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26. Anima, coscienza e psiche: una chiarificazione terminologica[i]

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27. Metodi per il raggiungimento di configurazioni remote di arrivo (d’ora in poi:”CRA”)[i]Il metodo delle innervazioni intrecciate (d’ora in poi: “mii”) è il metodo più lento, sicuro e duraturo per

acquisire una configurazione analogica (CA) al proprio organismo. Consiste nell’attivare gli elementi analogici (EA) che occorrono per configurare il salto paradigmatico conscio, il cui schema configurazionale è “ufc-afc-cs”, ma non una volta, bensì almeno tre volte (una per ogni innervazione che mi accingo a descrivere). Al termine di questo procedimento, lo schema “ufc-afc-cs” (cioè l’analogia singolare seférica – ASs) si cristallizzerà in un criterio interpretativo strategico (CS) della catena timbrica (cioè dell’anima) dell’osservatore. Come è ciò possibile? Qual è, cioè, il procedimento (espresso nel linguaggio analogico-configurazionale) per arrivare a cristallizzare un CS? Si tratta di un procedimento puntato sul caricamento, svolgimento e poi “intreccio741” delle ifscα di almeno tre afc. Si comincerà caricando, grazie ad alcuni intrecci di pda, un primo afc la cui ifscα stia caricando una sensazione (vd. il capitolo sugli stati di autocoscienza, per chiarire cosa sia una sensazione). Ove occorra, si possono anche caricare molti afc simili al primo (cioè la cui ifscα stia caricando una sensazione collegata, o meglio potenzialmente intrecciata a quelle prima, poiché il sub-pda che ne promanerebbe per drenaggio dell’afc andrebbe ad incrociarsi con i sub-pda promananti dalle altre). Ma mentre si caricano gli afc della sensazione, l’osservatore sta probabilmente caricando già degli afc dell’emozione (cioè degli afc le cui ifscα, grazie a dei pdac, stanno cercando di raggiungere percezioni desiderate). E’ infatti difficile mantenere a lungo la guida della bussola sensoriale, senza imbattersi nel desiderio della ricerca o in altri desideri da raggiungere percettivamente. Le ifscα dedicate alle sensazioni s’intrecciano presto, quindi, con le ifscα dedicate alle emozioni. Ma spieghiamo meglio in che senso le ifscα di vari afc possono intrecciarsi tra loro. Tale intreccio, come spiegato in nota, si realizza entro i CS, cioè nell’anima o catena timbrica, in cui si collezionano gli EA dalla forma fcfs. Ogni fcfs nasconde al suo interno la chiave per ricreare uno schema “ufc-afc-(cs)” specifico (cioè uno schema di salto paradigmatico conscio). Ho messo tra parentesi l’elemento cs, poiché ogni volta può e deve cambiare, per adattarsi alla situazione configurazionale in cui il salto paradigmatico va a realizzarsi. Dopo aver intrecciato almeno un ifscα di emozione ad un precedente ifscα di sensazione, si può intrecciare al primo un ifscα di sentimento. Anche qui è possibile far precedere molti ifscα di emozione, prima di configurare l’ifscα di sentimento. Peraltro è ben più probabile che si possano avere davvero molti ifscα di emozione prima d’intrecciare il primo ifscα di sentimento: l’osservatore, infatti, per sviluppare un nuovo sentimento deve reiterare molte emozioni (riguardanti spesso percezioni surrogate e, più raramente, nuove percezioni desiderate), per creare un sistema configurazionale provvisorio che sia dedicato ad un certo tipo di percezioni da manutenere con le emozioni. Una volta sviluppato tale sistema configurazionale provvisorio (d’ora in poi: “scp”), l’osservatore inizierà ad intuire i pericoli di sfrangiamento che gli giungono dagli altri sistemi configurazionali o dagli altri organismi. A quel punto, per difendere il scp, individuerà inconsciamente le percezioni esecrate da evitare: si costituisce così, spontaneamente, la prima ifscα di sentimento. Di ifscα di sentimento in ifscα di sentimento, l’osservatore (ormai divenuto sempre più a pieno titolo interprete) imparerà a spingere sempre più l’acceleratore dell’ifscβ dell’afc, che innovando la percezione immediata e riportandola poi a coerenza con l’ifscα (cioè con la percezione intuitiva e con quella intellettiva) ottiene sempre nuovi ASs di trasduzione, finché non riesce a conciliare gli opposti inconciliabili (cioè la percezione esecrata e la percezione desiderata) entro la configurazione più adatta. L’intreccio di ifscα ha così riguardato prima le ifscα di sensazione, poi le ifscα di emozione ed infine le ifscα di sentimento. A partire dalla prima ifscα di sentimento, si ha la cristallizzazione del primo CS: ad ogni nuova ifscα di sentimento si cristallizzerà un nuovo CS. Il scp non sarà così più provvisorio, poiché ha ottenuto vari CS a propria tutela. I CS, infatti, possono attivarsi in specifici salti paradigmatici consci ogni volta che l’osservatore-interprete lo voglia. Meditando più volte su una parola scritturistica specifica, l’interprete può agevolare immensamente la produzione dei relativi CS.

Il metodo del ponte mistico (d’ora in poi: “mpm”) è pura telepatia, in cui un trasmittente o mittente telepatico proietta nell’inconscio (ed in minima parte anche nella coscienza) del ricevente telepatico gli elementi idonei a configurare un salto paradigmatico specifico, che chiameremo così salto paradigmatico

741 Ovviamente non si possono intrecciare direttamente tra loro le ifscα degli afc, ma si possono intrecciare i sub-pda che ne derivano grazie al drenaggio degli afc stessi. Questo comporta che, una volta cristallizzato il CS, nell’anima è progettato un intreccio tra le ifscα di tali afc.326

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inconscio o ponte mistico (poiché i cd. mistici, storicamente, sono stati i rappresentanti più eclatanti di questo procedimento, peraltro adoperato o subito a 360° nella vita quotidiana di ogni essere umano). Perché il mpm funzioni, occorre che vi siano i presupposti e gli atteggiamenti richiesti per la telepatia: 1) il mittente deve conoscere a menadito il salto paradigmatico da produrre nel ricevente e l’intero percorso per collegare la propria configurazione di partenza con la configurazione di arrivo appartenente al ricevente da cui far leva nell’operazione; 2) il mittente deve essere brioso nell’esprimere (a partire da quest’ultima configurazione) gl’intrecci tra pda che occorrono per caricare nel ricevente il salto paradigmatico programmato742; 3) il ricevente deve essere in una situazione di passività configurazionale, quindi con pochissimi percorsi che si stanno attivando a turno nella coscienza e non in grado d’interferire (come pda-dist) con i percorsi caricati dal mittente; 4) se il ricevente è collaborativo, andrà a colpire i propri pda incompatibili con la costituzione del canale telepatico grazie ad appositi pda-dist. Si noti che la situazione più florida è avere un ricevente la cui coscienza non sia attivata (cioè che si trova in uno stato inconscio, durante il sonno o anche nella fase di veglia) o un ricevente collaborativo (ma purché sia in grado di collaborare, altrimenti non va che a peggiorare le possibilità di costituzione del canale). Se il ricevente è molto preparato, relativamente ai primi due punti dell’elenco suesteso, potrà più agevolmente costituire il canale verso riceventi inconsci; se il ricevente non è molto preparato o la distanza configurazionale è troppo elevata (come avviene nel caso della mistica), occorre che il ricevente sia collaborativo e nel modo più rispondente a quello specifico canale che va costituendosi. Per questo la canalizzazione può richiedere anni di preparazione anche per il ricevente: poiché deve sapere, almeno inconsciamente, quali sogni-eventi (o addirittura veri e propri archetipi), pensieri, sensazioni, emozioni e sentimenti neutralizzare volta per volta nella costituzione del canale. Alcune canalizzazioni sono peraltro semplici da ottenere (si pensi al caso del politico di turno che convince, da vero istrione, un pubblico di inerti e imbelli cittadini, facendo leva sui loro cd. bassi istinti, appioppando etichette di partito o ideologiche a canalizzazioni che si adattano piuttosto a chi si trovi in una certa situazione configurazionale e non a chi sia davvero incline ad una certa forma di pensiero).

Il metodo delle spire di fumo (d’ora in poi: “msf”) consiste nell’impegno dell’osservatore-interprete nel premere sul “pedale dell’acceleratore” dell’ifscβ dell’afc, stimolando così ASs di trasduzione sempre più in grado di raggiungere configurazioni che esprimano un certo suo finalismo (che può essere conosciuto solo grazie ai risultati stessi del presente procedimento: tale finalismo è infatti il non-so-che attribuito all’interprete). Ma analizziamo meglio le espressioni con cui ho testé descritto il msf. Esso consiste nel “premere sull’acceleratore” dell’ ifscβ dell’afc, ovverosia consiste nell’adoperare la potenza virtualizzante e virtualizzata dell’elemento grafèico puro (vd. il relativo capitolo). Le ASs di trasduzione, inoltre, hanno la funzione di rendere coerenti tra loro l’ifscα e l’ifscβ dell’afc, cioè la percezione intuitiva e intellettiva (ifscα) e la percezione immediata (ifscβ). Tale coerenza è la coerenza tra la coerenza dell’ifscα e la coerenza inversa dell’ifscβ: è quindi una coerenza tra coerenze. Una simile coerenza percettiva mette in moto, a livello meramente analogico, noveri notevoli di percorsi di autocoscienza (pda), che se dovessero essere attivati nella coscienza dell’osservatore per via configurazionale richiederebbero ore o forse giorni, invece che pochi secondi. Si creano così delle sorte di “spire di fumo”, cioè di collegamenti analogici sperimentati a livello solo percettivo, che attivano virtualmente molte configurazioni fino ad arrivare a configurare (sempre in modo virtuale) un salto paradigmatico target. Lo schema del salto paradigmatico virtuale è lo stesso del salto paradigmatico conscio o inconscio, ma avvenendo nel livello (o linguaggio) analogico e non in quello configurazionale non ha la possibilità di conservarsi nella memoria. Inoltre, invece che configurare uno schema “ufc-afc-cs-sc-cs-sc-… ecc…”, l’interprete si limita ad abbozzare a mero livello analogico lo schema “ufc-afc” e a far spuntare nella propria coscienza, come dal nulla, il primo elemento cs successivo all’elemento afc virtuale. In questo modo, a livello configurazionale si ha lo spuntare come dal nulla di un cs per ogni salto paradigmatico, nonché la possibilità, grazie a dei pdac, di attivare coscientemente gli sc corrispondenti agli ufc virtuali messi in gioco, ma solo negl’istanti immediatamente successivi alla loro attivazione virtuale. Senza mii, infatti, non si può portare a sistema (cioè fino al livello di scp) alcun contesto

742 L’obiettivo propedeutico minimo che il mittente deve raggiungere, per attivare il canale telepatico, è collegare direttamente i pda (inconsci o, in caso di collaborazione, consci) del ricevente con elementi ad hoc che corrispondano con quelli idonei a costituire il salto paradigmatico programmato, in primo luogo in quanto caricati con l’intera on.for in senso stretto di tali elementi.327

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configurazionale collegato alle emozioni (anch’esse virtuali) che l’interprete sta provando. Il msf è quindi un metodo eccezionale per arrivare rapidamente alla configurazione remota desiderata, senza nemmeno sapere (in precedenza) quale sarebbe stata tale configurazione. Tuttavia, non potendo memorizzare il salto paradigmatico, l’interprete grazie al msf sembra che non stia apparentemente facendo alcunché: ed invece sta coltivando dentro di sé il non-so-che. Lo pnèuma, infatti, o elemento grafèico puro, evolverà in collegamento con l’interprete, sviluppando dei “gusti” configurazionali che si esprimeranno in seguito, dando potenza al linguaggio analogico-configurazionale dell’interprete stesso. [Torna indietro al capitolo sulla cristallizzazione dei CS.]

Appare comunque evidente che un metodo senza gli altri due rimane claudicante. Infatti, per quanto l’interprete acquisti nuovi CS alla propria anima con il mii, non riuscirà a colmare grandi distanze configurazionali a tempo per superare scogli evolutivi veri e propri; per quanto l’osservatore si affidi a mittenti telepatici all’altezza del compito non potrà restare per sempre canalizzato con loro, né potrà canalizzarsi con i mittenti giusti al momento giusto per superare ogni scoglio evolutivo che gli si frapponga dinanzi; per quanto l’interprete faccia maturare il non-so-che in se stesso, grazie al msf, non potrà elaborare percorsi coscienti e stabili da adoperare quando non è centrato (situazione, quella della non-centratura, che in genere segue immediatamente al msf, riportando l’interprete nel suo “brodo” di problemi irrisolti). Spiegheremo, così, un metodo che integra i tre metodi sopra esplicitati. Grazie a tale metodo, è possibile superare qualunque scoglio evolutivo (a condizione, però, che si abbia l’apporto di molti interpreti, uniti in un super-organismo di super-organismi: ma questa è materia per un altro saggio). Già il msf è inapplicabile senza l’intervento del mpm, che permette di colmare la distanza configurazionale tra le stesse configurazioni adiacenti che vengono rese virtualmente: non è infatti possibile attivare virtualmente un salto paradigmatico, se non sono almeno virtualmente (e cioè percettivamente) attivati gli elementi analogici minimi per produrre lo schema “ufc-afc-cs”. Ma l’interprete potrebbe incontrare una carenza (cioè potrebbe mancargli anche solo un elemento indispensabile, anche solo a livello virtuale) e trovarsi così nell’impossibilità di adoperare ulteriormente il msf. Il mii, poi, diverrebbe impossibile da seguire se l’interprete non fosse aiutato nel suo compito da moltissimi ponti mistici, che costellano l’organismo di ciascuno. Noi siamo tenuti in vita e resi funzionali da moltissimi elementi, la cui configurazione è lasciata alla società e alla natura (e cioè a noveri immensi di elementi analogici già pronti, resi disponibili grazie al mpm).

Il metodo integrato dei tre metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote di arrivo (d’ora in poi: “mirCRA”) è graficizzato nell’immagine sottostante ed è un metodo fondamentalmente scritturistico, cioè basato sulla traccia scritturistica (senza la cui base di appoggio non si avrebbero gli stimoli analogici ad hoc per raggiungere i risultati attesi). Il metodo ha come primo passo quello d’individuare una singola e specifica parola scritturistica che riguarda uno scoglio evolutivo che si vuole superare, o una questione spinosa che si vuole affrontare. Il passo successivo è individuare la parola successiva, grazie ai criteri interpretativi scritturistici indicati nel nostro saggio Il testo-ricerca. Una volta individuato, quindi, il dittico scritturistico, rappresentato dalla parola d’interesse e da quella che, nel testo, le è immediatamente successiva, s’inseriscono tali due parole nello schema sottostante, al posto delle due parole greche che sono graficizzate al di sopra dei segna-posto “(1)” e “(2)”. I passaggi successivi del metodo sono qui di seguito elencati:

1) partendo dalla zona dello schema grafico che si trova a sinistra in basso, si confrontano i temi del capoverso scritturistico di riferimento con la prima parola del dittico, ottenendo così un’onda formaturale in senso lato; confrontando tale onda formaturale con la seconda parola del dittico, si ottiene il paradigma (ufc) virtuale della prima parola del dittico743; sin qui abbiamo applicato il msf integrato con il mpm, come risulta graficizzato in alto a sinistra dello schema;

2) partendo dal livello di campo della fùsis di tecnica (segnaposto “α”), si applica il mii ad uno o più dei tre numeri scritturistici744 ricavabili dalla prima parola del dittico, ottenendo così un’interpretazione;

3) grazie al mpm, non solo si integra il passaggio 2 sopra esteso, ma si continua nell’applicazione del mii, per fare il salto paradigmatico che aggancia l’interpretazione del livello di campo della fùsis di

743 Si noti che tale parola, completandosi in quella successiva, non può portare all’elaborazione di un paradigma virtuale se non grazie al confronto della propria onda formaturale con quest’ultima.744 Per calcolare tali numeri e sapere a quali caratteri della parola scritturistica si riferiscono, vd. Il testo-ricerca.328

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tecnica, appena formulata, all’interpretazione della parola scritturistica (appartenente al livello di campo della tecnica costitutiva). Quest’ultimo aggancio lo chiamo “attrazione” del livello di campo superiore (la tecnica costitutiva) nei confronti del livello di campo immediatamente inferiore (la fùsis di tecnica). Per compiere tale attrazione occorre confrontare l’interpretazione del livello inferiore con l’interpretazione del dittico scritturistico, operando cioè un confronto tra le numerologie appena studiate e il rapporto di completamento tra la prima e la seconda parola del dittico. Per una spiegazione dei livelli di campo e delle loro interazioni coordinative e di coerenza, vd. Il testo-ricerca;

4) nel passaggio 2 si era interpretato uno dei tre numeri scritturistici, mettendolo in relazione con uno o più caratteri alfabetici scritturistici corrispondenti; nel presente passaggio occorre interpretare, a prescindere dal significato attribuito nel passaggio 2, il/i carattere/i scritturistico/i in parola (segnaposto “β”); dopo di che occorre “attrarre” quel livello di campo appena interpretato (che è il terzo livello, quello della tecnica non costitutiva) al campo immediatamente superiore, cioè quello della fùsis di tecnica. Ciò è realizzato confrontando l’interpretazione del/i carattere/i scritturistico/i considerato/i con l’interpretazione di cui al passaggio 3;

5) si “attrae” l’interpretazione risultante dal complesso di operazioni descritte nel passaggio 4 (interpretazione appartenente al livello di campo della fùsis di tecnica) nel livello di campo immediatamente superiore (cioè quello della tecnica costitutiva). Tale attrazione si realizza grazie al confronto tra l’interpretazione risultante dal passaggio 4 e l’interpretazione del dittico scritturistico;

6) si realizza l’interpretazione del livello di campo della fùsis (segnaposto “γ”), e cioè delle dieci pietre, secondo le regole e il procedimento spiegato ne Il testo-ricerca; poi si “attrae” tale interpretazione nel livello di campo immediatamente superiore (cioè la tecnica non costitutiva), ottenendo un’ulteriore interpretazione che verrà “attratta” nel livello di campo immediatamente superiore (cioè la fùsis di tecnica), ottenendo un’ulteriore interpretazione che verrà “attratta” nel livello di campo immediatamente superiore (cioè la tecnica costitutiva);

7) con l’ulteriore ausilio del mpm (nel caso manchino elementi intermedi indispensabili), si passa a compiere i passaggi precedenti per il dittico scritturistico successivo, ove si voglia scoprire verso quale destino conduce la traccia scritturistica, e poi per il dittico scritturistico ancora successivo, e così via. In alternativa si può omettere questo settimo passaggio, quando si veda che sono state raccolte le informazioni sufficienti al superamento del vicolo cieco interpretativo in cui l’interprete era incappato.

Si noti che, nello schema sottostante, è spiegato per ognuno dei passaggi sopra indicati quali elementi configurazionali vadano a costituirsi volta per volta: se solo un elemento ufc o afc o se si configuri sia l’elemento ufc che quello afc. Qualora si configuri solo un elemento ufc, con il passaggio successivo si configurerà l’elemento afc (e almeno il primo elemento cs successivo); qualora si configuri solo un elemento afc, ciò significa che l’elemento ufc che ne costituisce il paradigma di riferimento si è costituito già con il passaggio precedente. Si noti, infine, che i primi elementi ufc e afc, a partire da sinistra, si trovano sotto l’egida del msf e sono quindi meramente virtuali; invece quelli ulteriori, che si trovano sotto l’egida del mii, sono espressi al livello configurazionale (cioè in pda immediatamente accessibili alla coscienza).

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L’essere raggiunge l’uomo per trasformarlo in interprete-uomo (o figlio dell’uomo) e condurlo alle CRA (configurazioni analogiche remote di arrivo). Per far ciò invia, ogni volta, un pda-dist (percorso di autocoscienza di disturbo) che con un suo elemento analogico va a coincidere con un elemento analogico di un pda dell’uomo prescelto (N.B. esso è prescelto in quanto ha prodotto un pdac - cioè un pda di controllo - promettente per le qualità potenziali emergenti nel proprio contesto configurazionale più allargato). Il pda in questione perde dunque la gemma apicale (cioè l’elemento deputato a gemmare un nuovo elemento del pda, che avrebbe ipoteticamente costituito la nuova gemma apicale) e il pda-dist lo dirotta verso nuovi salti paradigmatici. In questa fase la volontà dell’uomo viene stimolata dall’on.for dell’elemento comune, i cui collegamenti con gli elementi a monte riescono ad estendersi sempre più a monte, grazie al novero crescente di pdac e pda-dist specializzati che fioriscono (al livello della potenza virtualizzante e virtualizzata dell’elemento grafèico puro, e cioè nell’ifscβ dell’afc) nell’uomo stesso, che così è incentivato a proseguire (sempre al livello suddetto) i collegamenti a valle (intellettivi) per scavare sempre più in quelli a monte (intuitivi), in cui è nascosta la cangiante CRcr-CRcr (configurazione remota creazionale di configurazione remota creazionale: vd. capitolo relativo). Il pda-dist virtuale745 che opera l’aggancio originario sopra descritto ha cioè già a monte e raggiungibile progressivamente, a livello di ft (fùsis di tecnica o fùsis di fùsis: vd. Il testo-ricerca scaricabile dalla pagina Teorie del sito riportato in epigrafe di quest’opera), un elemento di un’ipotetica e cangiante CRcr-CRcr. Via via che il figlio dell’uomo (o interprete-uomo) cerca di risalire con l’intuizione gli elementi a monte, passa dall’errore di mira al desiderio di ottenimento, al desiderio di raggiungimento, alla brama e, infine, all’intimità significativa (che inizia l’ingresso nella CRcr-CRcr). Le fasi appena menzionate di questo avvicinamento alla CRcr-CRcr sono descritte in una tabella di conversione del linguaggio scritturistico nel linguaggio analogico-configurazionale, riportata ne Il testo-ricerca746.

745 Trovandoci nel contesto del msf, non vi sono pda-dist veri e propri, ma il loro equivalente analogico.746 vd. il relativo capitolo dal titolo “Analisi del testo-ricerca grazie al linguaggio analogico-configurazionale”.330

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28. Schemi configurazionali dell’analogia singolare (d’ora in poi: “AS”) e dell’AS creazionale[i]Lo schema “canonico” dell’analogia singolare, da cui si parte per costruire qualunque altro schema di

questo saggio, è il seguente: “ufc-afc-cs”. …Lo schema dell’AS creazionale è più complesso. Esso si compone come un collegamento diretto (ASg di

ASg) tra l’elemento ufc e l’elemento cs dello schema dell’analogia singolare. Nel linguaggio analogico-configurazionale, arricchito dalla teoria delle quattro figure escatologiche, dobbiamo però tenere conto anche del rapporto che l’ASg di ASg istituisce con i due poli del lògos. In versione sintetica, pertanto, si potrà scrivere lo schema dell’AS creazionale nel modo seguente: “ufc-ASg-ASg-cs”. Tuttavia, dovendo tenere conto dell’interazione tra la prima ASg con il polo universalizzante del lògos e dell’interazione tra la seconda ASg con il polo strutturante del lògos, lo schema analogico-configurazionale completo sarà:

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“ufc(polo universalizzante)-ASg747-ASg-ufc(polo strutturante)748-cs”749. Nel linguaggio de Il testo-ricerca, il polo universalizzante del lògos è intuizione significativamente intima all’intuizione insignificativamente intima ai tre assoluti originari750 dell’universalizzante. Nello schema, riportato nel saggio testé citato, all’interno del capitolo Analisi del testo-ricerca grazie al linguaggio analogico-configurazionale, alla voce τω ω e alla voce intimità significativa d’intimità non significativa, viene spiegato il significato del periodo precedente. Da tale spiegazione si può ricavare che il collegamento al polo universalizzante del lògos serve a raggiungere la percezione desiderata (operazione che richiede di attivare il metodo delle spire di fumo, cioè un potenziamento della ricerca di configurazioni analogiche remote, come analizzato nel presente saggio). Per mantenere intatta la funzione di ricerca della percezione desiderata (evitando di fermarsi alla percezione già trovata, che ormai non è più “la percezione desiderata”), occorre invece collegarsi al polo strutturante del lògos, che compie l’operazione opposta e complementare. Il polo strutturante è infatti

747 Questo primo pezzo di schema, che possiamo abbreviare con la sigla “ufc(pu)-ASg”, va inteso come un’analogia singolare sefèrica di analogia singolare grafèica (d’ora in poi “ASs di ASg”: vd. il saggio Analogia singolare…, disponibile su www.bridge4will.net, per il significato di tali espressioni). L’ASs in questione è l’analogia singolare tra figlio dell’uomo e lògos, nel suo polo universalizzante. Per la spiegazione di quest’ultimo periodo, si fa riferimento al saggio Trinità o funzioni conoscitive?, in via di redazione, che sarà in futuro disponibile su www.bridge4will.net. Il sub-schema “ufc(pu)-ASg” gestisce l’informazione analogico-configurazionale su quella fascinosità che tiene insieme e fa evolvere l’organismo vivente (rappresentato, invece, dal secondo pezzo di schema: “ufc(ps)-ASg”). L’integralità come anche l’integrità dell’organismo vivente non possono aversi senza il collegamento ASg di ASg tra i due poli dell’elemento ufc. Tale collegamento, che rende giustapposti i due poli dell’ufc, è ineffabile puro: non solo, cioè, non se ne può affermare niente di oggettivo ed immutabile, bensì solo qualcosa di provvisorio e tendenziale, ma nemmeno si può conoscere un sentiero in grado di evocarlo, in quanto esso si fa riconoscere nel nostro orizzonte intuitivo in modo sempre nuovo e inatteso. Capita non di rado di notare come le persone afflitte da gravi malattie sopravvivano, finché hanno una forte motivazione a farlo, mentre periscono in fretta quando tale motivazione viene meno. Detta motivazione altro non è che il collegamento “ufc(pu)-ASg” che collega in modo virtuale (cioè bypassando il più complesso elemento afc) il sub-pda a monte con il sub-pda a valle, rendendo così coesi interi sistemi configurazionali nell’organismo malato, che per sfrangiamento ne era stava divenendo monco. Il collegamento in parola, pertanto, evita quegli effetti-domino che priverebbero l’organismo di tali sistemi configurazionali, ma nel farlo esso emerge dal finalismo dell’organismo stesso. Se tale finalismo decade, viene meno anche il collegamento virtuale che teneva insieme tali sistemi, che nel loro crollo travolgono in un effetto-domino complessivo l’intero organismo. Nello schema analogico-configurazionale della “casa scritturistica”, il sub-schema “ufc(pu)-ASg” (espresso dalla parola scritturistica ουρανου, leggesi uranù = “di cielo”) è l’emersione del polo universalizzante del lògos (vd. Trinità o funzioni conoscitive?) dal finalismo dell’elemento grafèico puro (vd. il capitolo relativo a “l’analogia singolare grafèica di analogia singolare grafèica”, all’interno del presente saggio). Il collegamento “ufc(pu)-ASg” dà inoltre all’organismo quelle nuove funzionalità, ancora acerbe, che preludono all’evoluzione della specie umana (o di altre specie o entità in qualunque modo viventi o ex-viventi). Le chiamo acerbe, poiché tali funzionalità sono tenute insieme in modo virtuale (cioè bypassando, con lo schema in commento, l’elemento afc). Diverranno più stabili quando al loro posto l’organismo riuscirà a inserire l’elemento afc e, ancora più stabili a livello evolutivo, quando all’organismo riuscirà la cristallizzazione del criterio (interpretativo) strategico che ne è alla base (vd. il capitolo relativo alla cristallizzazione del criterio strategico). Invaderanno l’intera rete analogica delle cose esistenti, quando la configurazione creazionale che viene costituita dallo schema in commento, estesasi in un sistema configurazionale, si allargherà a macchia d’olio collegandosi e reinterpretando gli altri sistemi configurazionali. L’uomo nuovo, infatti, risulterà dal una rivoluzione antropologica fondamentale che farà leva sulla psiche (cioè, per l’appunto, sull’elemento ufc). Lo schema in commento è quindi la punta di diamante e la sottile trama che potenzia l’elemento ufc, nella sua massima espressione di efficacia evolutiva. E’ inoltre in questo senso e sulla base di questo schema che la Kabbalah e altre tradizioni esoteriche possono, secondo le teorie espresse in questi saggi, attribuire all’Adam Kadmon (insieme uomo ed essere supremo) la responsabilità della conservazione dell’intero cosmo. Per tenere insieme, difatti, la rete analogica delle cose esistenti, occorre che il sub-schema “ufc(pu)-ASg” incontri in un’immenso novero di configurazioni il successivo sub-schema “ASg-ufc(ps)”, che come vedremo nelle due note seguenti è responsabile della conservazione dell’organismo (e quindi dell’osservatore-uomo, e quindi del cosmo nel senso greco del termine) nella strutturazione dei linguaggi della realtà. L’ordinamento delle realtà o κοσμος (leggesi kòsmos) può sopravvivere, cioè, solo se tenuto in continuo fermento finalistico-evolutivo dall’essere. L’essere, nell’esercizio di tale funzione, si esprime nel linguaggio analogico-configurazionale con lo schema in commento (“ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)-cs”).748 Questo secondo pezzo di schema, che possiamo abbreviare con la sigla “ASg-ufc(ps)”, va inteso come un’analogia singolare grafèica di analogia singolare sefèrica (d’ora in poi “ASg di ASs”: vd. il saggio Analogia singolare…, disponibile su www.bridge4will.net, per il significato di tali espressioni). L’ASs in questione è l’analogia singolare tra lògos, nel suo 332

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intuizione insignificativamente intima all’intuizione significativamente intima ai tre assoluti originari dello strutturante.

Lo schema in commento (“ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)-cs”) offre una spiegazione della continuità del reale, sotto il profilo della conformità di modellatura sia dei corpi inerti che degli organismi viventi ed ex-viventi. Infatti, senza la tensione virtuale (cioè la sostituzione dell’elemento afc) mantenuta attiva da parte dello schema suddetto, quale forza potrebbe assicurare la conformità dei modelli naturali, che a tanti filosofi hanno fatto pensare agli archetipi, o alle essenze, a partire dalla filosofia platonica fino ad arrivare alla Scolastica medievale (che a tutt’oggi può considerarsi la dottrina filosofica ufficiale della Chiesa Cattolica, grazie alla pagine del Catechismo che ne parlano). Il DNA può fornire una spiegazione meramente fisico-biologica di stampo dualista e neopositivista per gli organismi viventi; il modello atomico attuale può fornire una spiegazione fisica, solo in parte del medesimo stampo, per i corpi inerti. Ma rimane inesplorato, alla

polo strutturante, e rùah. Per la spiegazione di quest’ultimo periodo, si fa riferimento al saggio Trinità o funzioni conoscitive?, in via di redazione, che sarà in futuro disponibile su www.bridge4will.net. I due pezzi di schema messi insieme (“ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)”) rappresentano il cuore e la mente dell’evoluzione dell’essere, unendo in un unico contesto analogico le quattro figure escatologiche (vd. il saggio Trinità o funzioni conoscitive?). La parola scritturistica che le esprime è εσμεν (leggesi èsmen = “siamo”), che spesso ho chiamato in questi saggi con il nome di “io comunitario” o di “accordo costitutivo sull’essere” (acse). La parola scritturistica che, invece, evoca l’èsmen da parte dell’interprete-uomo è ερχου (leggesi èrchu = “sopraggiungi (per sostituire)”). Mentre èsmen è il mediatore tra le quattro figure escatologiche (quello che la scrittura chiama messiah e cristo), èrchu è il mediatore che attiva la potenzialità intrpretatice dell’interprete-uomo (che nella scrittura è chiamato figlio dell’uomo). Grazie alla meditazione sulla posizione e sulla funzione complementarizzante che queste due parole scritturistiche rivestono nello schema (e nel linguaggio) analogico-configurazionale della “casa scritturistica”, si comprende come il linguaggio biblico rappresenti un’espressione profonda, archetipica, nonché la più potente sulla realtà psichica e quindi sulla realtà tout court, nella sua direzione evolutivo-conservativa o via dell’essere.749 Tale schema può essere ulteriormente abbraviato così: “ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)-cs”. Si noti che per reinnescare il metodo delle spire di fumo (msf), occorre far seguire a tale schema il metodo del ponte mistico, cui seguirà a sua volta il primo schema. Lo schema completo del msf è quindi: “ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)-cs-cCI-AS(inconscia)-cCI- ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)-cs x N”. La sezione in solo grassetto (x N) significa che l’intero schema va ripetuto n volte, per poter arrivare fino alla CRA (configurazione remota di arrivo) desiderata. La sezione in grassetto sottolineato rappresenta il ponte mistico, composta da una prima ed un’ultima sub-sezione (cCI), il cui significato è “catena di elementi in cui prevale la componente intellettiva”, anche se trattasi di elementi appartenenti a tre stati di autocoscienza: sogno-evento, pensiero e sensazione. La prima cCI serve a preparare l’affinità telepatica, che consente il salto paradigmatico inconscio (AS inconscia); la seconda cCI serve ad elaborare le ulteriori analogie indirette che occorrono a suscitare l’elemento ufc. Una volta raggiunta la CRA, si deve ramificarla, in quanto si tratta di configurazione creazionale. Il polo universalizzante del lògos-ufc ha la funzione d’intensificare l’energia alla base del msf, senza cui il msf stesso resterebbe inerte; il polo strutturante del lògos-ufc ha invece la funzione di mantenere l’energia nei binari del msf impostato, in maniera tale che non cessi per incoerenza, naufrangando nella morte intuitiva (cioè nella cessazione, anche solo temporanea, del lavoro intuitivo dell’uomo-osservatore). L’afc mancante nello schema testé proposto viene quindi in parte sostituito (nella parte indispensabile) dai due poli del lògos-ufc. E’ per tale motivo che si può parlare di AS di AS (analogia singolare di analogia singolare) che, nel linguaggio de Trinità o funzioni conoscitive?, abbraccia tutte e quattro le figure escatologiche. Lo schema analogico che viene descritto è quindi “AS(FdU-lògos-rùah)-ASg-ASg-AS(rùah-lògos-FdU)”, dove “FdU” sta per figlio dell’uomo (qui chiamato in genere “interprete-uomo”, cioè l’uomo che riesce ad accordarsi con l’essere supremo o elemento grafèico puro per l’interpretazione sull’essere). L’elemento ufc (espressione diretta dell’osservatore-uomo nel suo aspetto logico) funge da mediatore della guida del viaggio virtuale dell’essere alla ricerca delle CRA: se infatti non ha in sé l’intelligenza per guidare il ponte mistico (da cui è semmai guidato) né il msf (che è accordo tra le quattro figure escatologiche [vd. in proposito Trinità o funzioni conoscitive?]), tuttavia si accorda con queste ultime, favorendo certe direzioni e sfavorendone altre, pigiando il piede sull’acceleratore di un’evoluzione che scende a patti con l’uomo. L’ufc, nel contesto dello schema sopra riportato, è quindi il mediatore dell’attuale alleanza tra essere (cioè essere supremo) e non-essere (cioè esseri autocoscienti). Il collegamento ASg di ASg si può arricchire di ulteriori ASg di ASg, che vanno a collegare il primo ASg al secondo, attivando un novero a piacere di configurazioni. Suppongo che questa opzione viene adoperata dall’elemento grafèico puro per due motivi: 1) collegare l’ufc(pu) all’ufc(ps), qualora non fossero tra loro compatibili per divergenze nell’onda formaturale in senso lato; 2) arricchire l’afcv (acronimo che sta per: elemento afc virtuale). La mancanza dell’afc è infatti supplita da un afc virtuale, che è costituito dal collegamento ASg di ASg di cui allo schema sopra riportato. Se tale collegamento non si popolasse di ulteriori collegamenti ASg di ASg (limitandosi pertanto a collegare l’ufc(pu) all’ufc(ps)), l’interprete-uomo non avrebbe il sentore d’intuire qualcosa di nuovo, quando attuasse il msf + mpm. 333

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stregua di tali due teorie, il regno dei collegamenti tra psiche e corpo, spiegabili solo in minima parte grazie ad esse. Rimane poi del tutto priva di spiegazione la fascinosità crescente del cosmo in chiave evolutiva, che tende ad immettere sempre maggiore complessità in brandelli di cosmo così insignificanti come gli organismi viventi autocoscienti. Il nostro schema spiega come porre in relazione la crescente fascinosità delle realtà cosmiche con la continuità (comunque soggetta ad evoluzione) dei modelli che le popolano. Rende inoltre conto di come tale fascinosità assurga a vero e proprio motore evolutivo, in molti campi del nostro sapere, e come il novero di questi ultimi possa configurarsi in espansione o in contrazione, grazie ad una stretta connessione con l’evoluzione o involuzione operante nell’osservatore-uomo.

L’essere adopera sapientemente i suoi tre metodi, per il raggiungimento delle configurazioni analogiche remote (CRA). Ma non solo per tale scopo, bensì anche per dare continuità, coerenza, efficacia ed efficienza alle realtà, soprattutto a quelle corporee e, tra di esse, in modo ancor più rafforzato agli organismi (viventi ed ex-viventi) e, tra questi, in modo impareggiabile a quelli autocoscienti. Il metodo delle innervazioni intrecciate (mii), come specificato nel capitolo sul raggiungimento delle CRA, consente di costituire una base stabile per l’individuo e per la società, nonché per l’intera civiltà, su cui costruire il vivere collettivo e su cui accrescere la complessità del reale nella direzione evolutiva. Il metodo del ponte mistico (mpm) consente a ciascuno di trasmettere informazioni troppo complesse per l’interlocutore, grazie alla telepatia. La telepatia è più pervadente di quello che si pensa, in ogni atto e situazione della nostra vita, e addirittura nella coerenza e stabilità dell’intero cosmo e dell’evoluzione. Grazie al mpm, poi, l’essere supremo imposta quelle configurazioni di partenza su cui fa attecchire il metodo delle spire di fumo, il quale è in grado di far partecipare l’uomo (sotto forma d’interprete-uomo o figlio dell’uomo) alla formazione virtuale delle configurazioni di arrivo. Lo schema sintetico, adoperato dall’essere nella costruzione dei tre metodi anzidetti, può essere espresso così: “mii-(mpm-msf) x N…”. Il significato di questo schema è che dalla base rappresentata dal mii, su cui si costruisce la civiltà umana come ogni altro elemento della realtà per noi “tangibile”, s’innesta il mpm che conduce alla prima configurazione virtuale, gestita dal msf; dopo il primo salto paradigmatico virtuale, però, occorre nuovamente adoperare il mpm, per arrivare ad una nuova configurazione di partenza, cui segue un altro salto paradigmatico virtuale, gestito del pari dal msf, e così via ad libitum, finché l’interprete-uomo riesce a reggere la fatica della rivelazione. Si noti che ogni nuovo snodo “mpm-msf”, anche se aggiungerlo può costare fatica, non va disperso ma si conserva, in attesa di diventare la base forgiata dal mii, su cui costruire ulteriore evoluzione. Possiamo chiamare il mpm adoperato dall’essere supremo con il nome di “telepatia diffusa”, poiché in genere non si trasmette ad un solo organismo, ma ad ogni organismo senziente, costituendo la base stessa della base forgiata dal mii. Tale ruolo diffusivo del mpm, che abbiamo chiamato telepatia diffusa, è reso possibile dal msf, che grazie ai suoi collegamenti ASg di ASg si può collegare a configurazioni a piacere, mantenendo pur tuttavia in mano all’interprete-uomo (o figlio dell’uomo, o Adam Kadmon) il timone dell’evoluzione. Questa tesi colma di senso l’idea che il corpo del cristo sia l’ekklesìa, cioè l’assemblea degli eletti. Gli eletti sono scelti per l’evoluzione; il corpo di cui fanno parte, cioè il cristo, è unico, poiché unico è il timone, costituito dallo schema del msf (“ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)”). Questa costruzione, se da un lato toglie autonomia agl’individui e alle collettività di qualunque tipo, comprese quelle umane, dall’altro lato le vota (quale prima, quale dopo) all’evoluzione e alla presa di coscienza. Né una simile costruzione teorica spoglia l’individuo di un suo modo specifico di procedere nell’evoluzione che, pur non dimostrando in modo incontrovertibile l’azione del suo libero arbitrio, non ne fa dubitare (a mio avviso) oltre misura. Ma finché l’uomo non trova la sua strada per l’accordo evolutivo con l’essere, si trova a fungere da pedina, anche ai fini della propria stessa evoluzione. Diventa un vero e proprio ingranaggio ben oleato nel meccanismo che questa società fluida, insieme all’intero cosmo, va a rappresentare, nell’apogeo dell’involuzione digitale.

Inoltre il mpm può includere elementi a piacere nella sua onda formaturale in senso lato, cercando così d’indirizzare le future ricerche dell’ufc(pu) e i gusti intuitivi dell’ufc(ps). Ma se tali inputs non vengono recepiti dall’ufc (e cioè dall’interprete-uomo), non entrano a far parte dei linguaggi che uniscono l’uomo-interprete all’essere supremo. Se invece vengono recepiti, si attua la funzione di mediatore dell’interprete-uomo, che riesce così a trovare dei linguaggi intermedi tra quelli proposti dall’essere supremo e quelli recepibili dall’umanità, nell’intento di operare una rivoluzione antropologica fondamentale in chiave relazionale (nonché in chiave conservativa di almeno una parte dell’uomo, su cui ricostruire l’uomo stesso).750 Il termine “originari”, riferito agli assoluti, non ha alcuna connotazione specificamente cronologica. La spiegazione degli assoluti originari è presente in quasi tutti i miei saggi, tra cui anche in quello presente.334

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L’autore di questo meccanismo è lo stesso che sta cercando di trasformarlo in organismo autocosciente radicalmente nuovo e relazionale. Parliamo sempre dell’interprete-uomo, ormai indistinguibile dall’essere supremo per la circolarità e complessità del rapporto speculare che lo lega con esso, ben descritto dallo schema in commento. In questa propensione a plasmare il meccanismo involutivo a fini evolutivi, l’Adam Kadmon si pone come shi (leggesi she = “potenziale”), che nella cultura cinese è il complementare della configurazione o situazione (xing), nell’innesco di quell’efficacia che non è legge scientifica, ma previsione di dove ci condurrà il “torrente” dell’essere751. Come non vedere in questo shi lo schema “ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)”, oggetto di analisi in questo capitolo. E’ infatti questo schema, costituente il msf, a condurre dalla configurazione di partenza alla configurazione virtuale di arrivo. Proprio in quanto virtuale e non pienamente espressa (come invece lo sarebbe, se al posto del doppio collegamento ASg vi fosse l’elemento afc), ben si attaglia all’idea di “potenziale” che emerge da una “configurazione” analogica. Solo il genio, colui che ha vero talento, cioè l’interprete-uomo o Adam Kadmon, può prevedere752 e adoperare tale potenziale, che è egli stesso.

La parola uranòs, che meglio esprime il sub-schema “ufc(pu)-ASg”, ma nella forma genitiva di uranù, ha la possibile etimologia di “colui che manda la pioggia, colui che feconda”. Il suo significato principale, in greco antico, non è poi “cielo”, ma “la volta del cielo”, “il soggiorno degli dèi” (o meglio, dei theòi). Se colleghiamo l’idea di finalismo, di fecondazione, di nuova funzionalità che è insita in questi significati ed etimi della parola uranòs con uno dei due principali nomi ebraici dell’essere supremo, cioè elohìm, che vuole dire “le forze, gli dèi”, otteniamo una quadratura del cerchio eccezionale con l’idea di shi (potenziale). Il finalismo evolutivo dell’interprete-uomo fa davvero coincidere l’Adamo (uomo) con Kadmon (l’essere supremo). L’idea di fecondità e di finalismo che si accompagna a questa quadratura del cerchio ci ricorda quale sia il punto strategico del sub-schema citato: esso inserisce un’onda formaturale giustapposta, in sostituzione di quella che era propria del sub-pda753 seguente. Invece che distruggere i sub-pda a monte, si collega con i sub-pda a valle, spogliando di significato evolutivo i sub-pda a monte (che però non vengono condannati allo sfrangiamento, in quanto il collegamento ASg di ASg è libero di collegarsi a ciò che vuole, senza per questo interrompere i collegamenti preesistenti): fornisce così una nuova identità evolutiva a quei percorsi di autocoscienza che sembravano ormai già scritti, senza “spegne[re] uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3).

La scelta del figlio dell’uomo di considerare “fuffa” tutto ciò che non lo avvicina all’essere supremo (cioè alla conoscenza che ha il solo limite della relazionalità, nelle sue varie declinazioni), consacra in lui il messia. Egli diventa l’unico (εν) in cui l’essere supremo riesce ad esprimersi come relazionalità abbastanza complessa per riconoscere se stessa. Solo il figlio dell’uomo, infatti, è capace di condurre e insieme lasciarsi guidare abbastanza oltre nel “msf+mpm754”, da ricollegarsi nel punto giusto, ai fini della fascinosità 751 Vd. François Jullien, Trattato dell’efficacia, Giulio Einaudi Editore, 1998, pagg. 21-22.752 Si noti che l’idea di previsione o oracolo è uno dei due significati della parola ebraica torah, che generalmente viene tradotta con la parola “legge”, ma si attaglia molto di più alla “legge scientifica” e, in particolare, alla “legge scientifica” troppo alta per essere compresa dal solo uomo. Tale legge superiore emerge dall’autopoiesi (il “torrente” dell’immagine reperita da F. Jullien nella filosofia cinese) come essere autocosciente, cioè come interprete-uomo, che insieme prevede dove il torrente lo porterà ma che diventa il torrente stesso: in questo modo il significato di “previsione” si salda con l’altro significato di torah, cioè “istruzione”. Se l’uomo è questo torrente che può trascinare a volte perfino le pietre, nella sua impetuosità, è anche il letto virtuale del torrente, che va soggetto a modificazioni grazie ad azioni apposite (le “istruzioni”). C’è quindi una superiorità della toràh-torrente, rispetto al semplice torrente-autopoiesi, che finisce per farla prevalere e coincidere con quest’ultimo. Discorso analogo, mutatis mutandis, si dovrebbe fare con i due significati della parola nòmos, adoperata nel Nuovo Testamento: “legge consuetudinaria” e “legge di opportunità”. Ma la cosa ancor più interessante, in questo contesto, è che la legge di cui parla la scrittura biblica riesce a conciliare gli opposti inconciliabili della mètis aristotelica (l’astuzia che riesce, grazie alla pràxis-azione, a cambiare le carte in tavola della realtà a proprio favore) e dell’efficacia tipica della filosofia cinese (che astenendosi dall’azione, riesce a prevedere il momento in cui affidarsi al flusso del torrente, che come destino la condurrà a realizzarsi secondo la volontà del saggio). Facendo coincidere, in chiave escatologica (cioè di progetto condiviso tra uomo ed essere supremo), l’Adam Kadmon e la toràh-nòmos, l’autopoiesi virtuale e l’autopoiesi spontanea, si saldano pràxis (azione) e shi (potenziale).753 Sub-pda = sezione di un percorso di autocoscienza (pda).754 Msf+mpm = connubio del metodo delle spire di fumo (che si esprime nello schema in commento) e del metodo del ponte mistico (che consente di passare dalla configurazione virtuale in cui ci si è introdotti con il msf ad una nuova 335

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evolutivo-conservativa, dei pda755 del dispositivo biologico. Ogni volta che si attua lo schema in commento, infatti, il percorso del figlio dell’uomo va a costituire un’onda formaturale (sia in senso stretto che in senso lato) che risulterà strategica, non appena il mpm lo avrà collegato ad una nuova configurazione di partenza. Quest’ultima, corrispondente al sub-pda756 di molti corpi, ottiene un ampliamento esponenziale della propria onda formaturale, sia in senso stretto che in senso lato, che va a rendere molto meno rilevante l’onda formaturale acquisita prima di quel momento e a sbloccare quindi possibilità evolutivo-conservative inedite per quei corpi stessi. Ma questo risultato richiede la dedizione, la passione amorosa e quindi la precisione che solo il figlio dell’uomo riesce a mostrare all’essere supremo. Quest’ultimo, dunque, connubiandosi con i suoi pda, sospinge il novello messia in questo cammino evolutivo. Non vi è quindi un messia-individuo tra tanti messia-individui, ma un unico messia, che reciprocamente conduce i suoi individui a diventare messia. Ma più che messia e basta, dovremmo dire messia-cristo, in quanto l’idea del corpo unico è tipica della figura del cristo. Ogni corpo individuale è interessato da questa trasformazione nel cristo, che tuttavia per quasi ogni corpo individuale si attesta in fase meno che germinale, mentre solo in alcuni corpi assurge alla pienezza di cui poco sopra discorrevamo. Solo costoro, infatti, permettono all’essere supremo di esprimersi come quel qualcosa di unico che guida le realtà all’evoluzione in chiave conservativa e relazionale. Solo il θεος (leggesi theòs) fa sentire il figlio dell’uomo come vorrebbe essere; solo il cristo fa sentire il θεος come vorrebbe essere: ecco la scintilla dell’amore tra i due. I sistemi configurazionali che rimangono esclusi da questo amore (ai cui sub-pda, cioè, non arriva la linfa di vita nuova del “msf+mpm”), sono destinati allo sfrangiamento e al collasso (altrove da noi chiamato micro-effetto domino). Così oggi il sistema configurazionale della religione-istituzione sembra condannata, per la sua incapacità di attrarre il connubio amoroso tra cristo e θεος. “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo”(Amos 5,21-22, nella trad. C.E.I.). Applicando queste parole oggi alle riunioni religiose, rischieremmo di apparire come “una condanna dei [loro] sentimenti” (Sap 2,14, nella trad. C.E.I.): ma è appunto ciò che l’empio dice del giusto.

Il connubio “msf+mpm” sta alla base della crescita di complessità e di coerenza che vediamo nella società e, in special modo, in alcuni individui più intellettivamente dotati degli altri o che si trovano a vivere vicini (anche solo ideologicamente e/o affettivamente) a questi ultimi. La componente “ufc(pu)” di tale connubio, ponendosi in chiave iniziatica rispetto alla componente finalistico-percettiva “ASg-ASg”, funge da confine intuitivo rispetto a quest’ultima. In altre parola, la concreta strada di mediazione paradigmatica percorsa virtualmente dall’interprete-uomo va ad incidere (pur non predeterminandola in alcun modo) sull’evoluzione del suo stesso finalismo e sulla sua percezione immediata della realtà. Il confine intuitivo dell’interprete-uomo finisce per sospingere anche il confine intuitivo e la percezione immediata di coloro che egli riesce a raggiungere con i suoi ponti mistici (cioè con i salti paradigmatici inconsci). Essi si troveranno in grado di superare i propri più ristretti confini, ottenendo senza sforzo (ma anzi volentieri, sulla spinta di un finalismo per loro nuovo) vantaggi nel campo della salute, dell’impegno, dell’affettività e della concentrazione. Non si tratta ancora di vera relazionalità (che interessa solo l’interprete-uomo), in quanto i beneficiari del connubio anzidetto perdono ogni beneficio quando l’influenza dell’interprete-uomo svanisce. Su questi benefici, se resi stabili da una volontà di ferro dell’interprete-uomo, possono tuttavia costruirsi intere società. E’ probabile che coloro che hanno costruito il principio di legalità nel modo più concreto, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e anche altri martiri laici, esercitino tuttora l’influsso del connubio sulle società odierne. Tale influsso si giova, probabilmente, di alcuni “trasmettitori-umani”, cioè di persone più sensibili, che vengono più continuamente delle altre beneficiate (o colpite) dal ponte mistico che conduce virtualmente nella configurazione della legalità. L’autoreferenzialità di tale configurazione dipende anche dal fatto che, per accedervi, occorre un ponte mistico. Se ci si potesse

configurazione di partenza). Grazie a tale connubio, il figlio dell’uomo può (con un unico pda virtuale) collegarsi a vari sub-pda di molti corpi, ampliandone l’onda formaturale in senso stretto e l’onda formaturale in senso lato. Sblocca così molte situazioni involutive, rendendo meno rilevante l’onda formaturale precedente e quindi sostituendone i condizionamenti con nuovi condizionamenti autonomi.755 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.756 Sub-pda = sezione di un pda.336

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arrivare con un salto paradigmatico conscio (mii757), la musica sarebbe molto differente. Tuttavia, quando nelle nostre vite entra in gioco il principio di legalità, ci troviamo come sopra un alto trampolino su cui non ricordiamo come siamo saliti: la nostra sensazione (e spesso anche la nostra funzionalità) è di paralisi completa. In pochi allora si gettano da tale trampolino (con conseguenze talora disastrose), mentre i più gettano gli altri (con conseguenze non meno gravi). Se rimaniamo tutti in cima al trampolino, da un lato non ci facciamo male, dall’altro non ne facciamo agli altri. Si parla, nei casi di quest’ultimo esempio (che poi sono quelle della vita comune), di situazioni in cui si cerca di mettersi a posto con tale principio rispettando almeno alcune regole (ritenute le più gravi) e cercando di accordarsi con il restante consesso civile per l’aggiramento “tollerato” delle restanti regole. Il connubio “msf+mpm”, con la crescita esponenziale del volontarismo e della complessità del vivere civile, è ormai diventato una sovrastruttura irrinunciabile per la nostra conservazione ed evoluzione collettiva ed individuale, senza la quale l’umanità scadrebbe nella più nera disperazione e barbarie, fino ad una probabile estinzione. La constatazione della follia di una società liquida758, quale la nostra, che si arrampica sugli specchi di un progresso illusorio per evitare un effetto-domino in economia, finanza e in ogni altro campo della vita collettiva, nasconde una strategia evolutiva dell’essere supremo e dell’interprete-uomo. Facendo passare l’umanità dall’involuzione della società liquida, essi preparano quest’ultima a colmare sempre maggiori distanze configurazionali affidandosi al potenziale inconscio del connubio “msf+mpm”. Si ha così una corsa in ogni campo del sapere e del vivere, che si direziona dove la collettività non sa, ma dove intuisce il figlio dell’uomo. La società civile si prepara a crollare per lasciare il posto ad una nuova società, fondata su un connubio “msf+mpm” consapevole da parte di molti e alla sua trasformazione in mii759 (che ne consente una sorta di metabolizzazione, che potremmo chiamare “evoluzione in senso stretto”). Si può auspicare, certamente, che tale crollo sia il più dolce possibile, ma non si deve nemmeno dimenticare che rimandare tale crollo, pur evitando di gettare moltissimi in una cupa disperazione, aumenta e non diminuisce le sofferenze dell’umanità. L’ingiustizia e l’orrore avvertiti dai più in una società globale e liquida, che sta annaspando sotto una guida dall’alto che vuole ricavare in essa gli eletti per un nuovo scatto evolutivo, sono ormai alle stelle. Il riguardo che ancora permane, nel connubio in commento, nei confronti di ideologie ormai morte ma tenute in vita con i macchinari, non può certo durare per sempre. Il consumismo, il neopositivismo, la religione delle istituzioni sono ormai da tantissimo tempo ad un passo dal baratro, che viene loro evitato grazie a vari interventi, che si compendiano e giustificano con la regia complessiva del connubio “msf+mpm”, nella sua interazione con il mii760 (cioè con la componente ormai stabilizzata dei sistemi configurazionali).

La differenza di opzioni, in relazione al connubio “msf+mpm”, si divarica nel confronto tra intreprete-uomo (sopra chiamato anche “figlio dell’uomo” e “Adam Kadmon”) e altri esseri umani (o, più in generale, altri corpi). Il primo, infatti, una volta che, grazie al connubio, si trovi in una configurazione virtuale, può lasciarsi scivolare nel successivo ponte mistico (o salto paradigmatico inconscio761), oppure può operare un salto paradigmatico consapevole (eventualmente cristallizzandone il criterio strategico762), o infine può premere l’acceleratore del volontarismo e riattivare il connubio in parola, per approdare ad una nuova configurazione virtuale all’interno dello stesso pda763 o all’interno di un pda con lo stesso incrociato. Gli altri corpi (e tra questi svettano, per potenzialità, gli esseri umani e qualunque altro essere autocosciente), trovandosi in una configurazione virtuale, invece, hanno solo due opzioni: lasciarsi scivolare nel ponte

757 Il metodo delle innervazioni incrociate (mii) è stato spiegato nel capitolo sul salto paradigmatico. Grazie al mii, si può arrivare anche ad una cristallizzazione dei criteri interpretativi strategici (CS) che si trovano alla base dei salti paradigmatici stessi. Tale cristallizzazione, nella misura in cui è diffusa nella società, le fornisce una solida base ai fini evolutivi su cui costruire nelle successive generazioni ulteriori accrescimenti funzionali (sia di tipo percettivo, che di tipo intuitivo e intellettivo).758 Con il termine “società liquida” ci si riferisce alla celebre opera omonima di Z. Bauman. Si tratta della società in cui s’inseguono sempre nuovi criteri di azione, per non restare indietro nella corsa verso il progresso (cioè per non diventare degli emarginati), ma non vi è il tempo per stabilizzare tali criteri e farli diventare proprietà della persona umana.759 Vd. nota prec.760 Vd. nota prec.761 Vd. il capitolo relativo al salto paradigmatico.762 Vd. il capitolo relativo alla cristallizzazione dei criteri strategici.763 Pda = percorso di autocoscienza. Vd. il relativo capitolo.337

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mistico oppure elaborare un salto paradigmatico conscio (ma senza cristallizzarne il criterio strategico). E’ pur vero che l’interprete-uomo potrebbe raggiungerli nella configurazione virtuale e far loro subire un nuovo connubio, per farli approdare ad un’ulteriore configurazione virtuale. Ma essi potrebbero, più probabilmente, rifiutarsi o ancor più semplicemente distrarsi, in quanto non sono in grado di reggere molti connubi sullo stesso percorso. Per esperienza764 posso dire che lo stesso figlio dell’uomo appare attualmente in grado, nella sua vita quotidiana, di sommarne poche unità per pda nell’arco di un unico giorno. Può naturalmente forzarsi e raggiungerne di più, se sorretto da forte volontarismo del momento, ma ciò non avviene con regolarità. Per raggiungere una velocità evolutiva maggiore, occorrerà una più massiccia cristallizzazione di salti paradigmatici, nella direzione di creare una psiche molto più volontaristica. Il cambiamento stabile ed ormai metabolizzato nell’evoluzione dell’essere si può infatti raggiungere grazie al mii765.

Il connubio in commento consente all’interprete-uomo e all’essere supremo (il cui identikit viene proposto in Questione sospesa… e in Trinità o funzioni conoscitive?) di accordarsi sulla direzione evolutiva delle cose esistenti, equilibrando l’intera umanità e l’intero cosmo ai fini di un cambio radicale di paradigma. Il paradigma fondamentale attuale è l’analogia: il connubio ci porta verso il paradigma della libera interpretazione e costruzione della realtà. Il modo in cui le parti del nuovo corpo di transizione dal primo al secondo paradigma si equilibrano è quello sopra descritto: il collegamento “msf+mpm” ad ogni sistema configurazionale, strategico per la transizione, nei cui sub-pda (appartenenti ad ogni corpo interessato) si vanno ad inserire le onde formaturali nuove e finalizzate alla transizione stessa. Vi è quindi un primo corpo cristico, che sorregge e gestisce il paradigma fondamentale attuale; tale corpo si trasforma, diventando corpo di transizione verso il paradigma fondamentale futuro. Mentre nel corpo del paradigma attuale abbiamo ottenuto la cangianza delle configurazioni analogiche unita alla coerenza del corpo, per la quale le configurazioni stesse e i loro corpi di appartenenza si sacrificano, nel corpo del paradigma futuro stiamo ottenendo la complessità di tali configurazioni, in vista di una loro finalizzazione comune ad obiettivi concordati tra interprete-uomo ed essere supremo. La coerenza che il corpo cristico del paradigma attuale riesce a raggiungere è sotto gli occhi di tutti, nel momento in cui si può constatare che i molti finalismi centrifughi della società civile portano a riequilibrare gli squilibri di fondo da cui siamo afflitti, impedendo alla pentola di esplodere. Si pensi alle tensioni crescenti, ma comunque sufficientemente calmierate (e che pertanto portano ad una strisciante e subdola agonia), della forbice ricchi-poveri, della militarizzazione crescente degli Stati e dei popoli, della crisi familiare con i conseguenti traumi e altri problemi psicologici, l’incresciosità dei problemi cognitivi accompagnato all’abbrutimento culturale (diagnosticabile con la perdita di coerenza nella soluzione di problemi conoscitivi e relazionali), ecc… Che le spinte centrifughe dai nodi principali del problema collettivo portino a riequilibrare di fatto quest’ultimo è qualcosa d’inatteso e di decisivo, per permettere l’elaborazione del corpo di transizione. Le varie realtà che viviamo hanno lo strano potere di restare sospese, come un cantiere aperto che attende il ritorno degli operai affinché finiscano il lavoro. E ancor più incredibile è che questa sospensione sembra orientata verso il mantenimento di ciò che vi è di buono nella nostra società (lo Stato sociale, la tutela del diritto di difesa e dei diritti soggettivi, l’impegno civile, l’espressione non palesemente coartata della creatività, ecc…), anche al netto delle congiunture sfavorevoli che, un po’ da varie parti del mondo, inevitabilmente si presentano. Solo il lavoro sapiente e nascosto del connubio di cui sopra può ottenere, nonostante l’aumento di complessità dell’uomo sociale, un così imprevisto risultato. Siamo in un’epoca in cui si sta plasmando il finalismo dell’intero corpo cristico di transizione: un’epoca in cui niente è già scritto ed in cui ogni cosa si sta scrivendo. Il mistero di questa grande transizione, mirabile dictu, è che colui-ciò che ne regge i fili è una costruzione dei burattini, che da tali fili sono mossi. Il senso innato del sé, dell’io, del tu, del noi, grazie a cui i nostri fili sono mossi, sono riconoscibili solo da noi burattini. Solo dal feedback relativo a tale costruzione,

764 Chi scrive, ovviamente, ha compiuto il salto evolutivo che lo rende interprete-uomo, altrimenti non potrebbe redigere queste pagine.765 Il metodo delle innervazioni incrociate (mii) è stato spiegato nel capitolo sul salto paradigmatico. Grazie al mii, si può arrivare anche ad una cristallizzazione dei criteri interpretativi strategici (CS) che si trovano alla base dei salti paradigmatici stessi. Tale cristallizzazione, nella misura in cui è diffusa nella società, le fornisce una solida base ai fini evolutivi su cui costruire nelle successive generazioni ulteriori accrescimenti funzionali (sia di tipo percettivo, che di tipo intuitivo e intellettivo). 338

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possiamo verificare se abbiamo ben costruito il burattinaio. Questi non può essere ricostruito, come se da qualche parte esistesse un suo modello: anzi, l’idea stessa di complessità c’impedisce di pensare che un modello sia ipotizzabile se non come costruzione dell’uomo-osservatore. Ebbene, l’uomo-osservatore che ottiene la verifica positiva (come Elia sul Monte Carmelo e, in modo ancor più rispondente, come Gesù sul Golgota e nel suo svegliarsi dal cd. regno dei morti) diventa l’interprete-uomo, cioè il figlio dell’uomo e l’Adam Kadmon. Non a caso l’appellativo di “figlio dell’uomo” non è appannaggio esclusivo di Gesù o del Messia, nella Bibbia ebraico-cristiana, ma viene attribuito anche alla figura di Daniele, nel libro che porta il suo nome, e a quella di Giovanni nell’Apocalisse. Così quando leggiamo “figlio dell’uomo”, nella Bibbia, non dobbiamo attribuirlo in via esclusiva a nessuno, ma riferirlo all’uomo nuovo così come viene prefigurato nel corpo cristico di transizione. Il figlio dell’uomo può essere ciascuno di noi, se in grado di condurre quella trattativa con l’ineffabile puro che abbiamo in qualche modo dentro, ottenendone il feedback positivo (grazie all’evoluzione dei collettori766). Questi avrà dentro di sé il motore dell’evoluzione (il connubio msf+mii), agevolmente attivabile ogni volta che lo desidera grazie ad appositi ponti mistici, disseminati in configurazioni a ciò strategicamente dedicate.

Lo schema767 di cui abbiamo sinora discorso, che gestisce il metodo delle spire di fumo (msf), può essere chiamato anche “afc virtuale”. L’elemento afc è l’elemento intuitivo più strettamente collegato all’assoluto originario dell’astraente-concretante. Esso contiene al suo interno la potenzialità di collegare tra loro ogni elemento della configurazione analogica in cui inserisce il percorso di autocoscienza (pda): la sua funzione è, in sostanza, di apripista intuitivo ad ogni elemento che si possa configurare nel sub-pda di riferimento. Non si può distinguere l’afc da un afc virtuale, non perché non siano due cose diverse, ma perché non si può dire che uno specifico elemento intuitivo sia davvero un afc o un afc virtuale. Cos’è dunque l’afc virtuale? Esso è il novero di collegamenti che si nasconde nel sub-schema “ASg-ASg”, che sta al centro dello schema in commento. Infatti un collegamento “ASg di ASg” può nascondere un novero immenso di collegamenti ASg, sulla cui esatta identificazione l’uomo-osservatore non ha alcun potere. L’interprete-uomo può dunque attribuire infiniti collegamenti all’ASg-ASg (vel “ASg di ASg”, a secondo della notazione scelta, che è del tutto indifferente). Si tratta di un infinito potenziale o di un infinito attuale? Ebbene, né l’uno né l’altro, ma un ineffabile puro. Per restringere il campo dei collegamenti possibili, l’interprete-uomo valuta quali configurazioni gli sembrino “indirettamente” attivate dall’ASg-ASg. Per individuare tali configurazioni, va a sondare gli altri pda, fino a trovare alcuni pda emergenti come dal nulla, sotto forma di pdac (pda di controllo). Mi riferisco a quegli elementi che emergono quando si sta intuendo qualcosa di nuovo, che non si sa ancora cos’è. L’intuizione potrebbe anche arrivare dal nulla e non lasciare alcuna “scia” logica di alcun tipo, oppure potrebbe lasciare delle tracce logiche sconnesse e irripetibili con il linguaggio: concentrandosi su di esse, finisce per emergere qualche “mozzicone” logico, che permette anche d’individuare, con un ulteriore lavoro di tipo interpretativo, la configurazione analogica di appartenenza. L’ASg di ASg può quindi lasciare delle tracce logiche o non lasciarne affatto. In questo contesto conoscitivo è ovvio che non si possa distinguere tra un elemento afc (composto da vari elementi fsc, a loro volta costituiti da un notevole novero di ASg-ASg) ed un elemento afc virtuale (composto da uno o molti ASg-ASg). E’ quindi discrezionale costruirlo in un modo o nell’altro, ma non si può negare che ognuna delle due costruzioni non esclude per niente l’altra.

Quali funzioni possiamo attribuire all’afc virtuale? Una prima funzione è quella della docilità (espressa dalla parola scritturistica το αρνιον, leggesi tò arnìon, “l’agnellino”) rispetto al diàbolos che vuole mettere alla prova e sfrangiare il percorso di autocoscienza e, indirettamente, l’organismo intero. Il diàbolos è infatti quella funzione di verifica che controlla e stoppa ogni pda che contenga errori configurazionali, rispetto allo scopo che con il pda stesso il corpo si propone. E’ così che un sasso non può cadere verso l’alto, come anche un essere umano non può vivere per sempre. Superare la funzione del diàbolos richiede l’afc giusto. Ma poiché raggiungere l’afc giusto, se si trattasse di una operazione computazionale, richiederebbe una mole così ampia e strategica d’informazioni da essere praticamente impossibile per chiunque possa dirsi umano, interviene la docilità dell’afc, che ci consente di arrivare allo scopo grazie alla consapevolezza dello scopo stesso. Tale consapevolezza muove i gangli dell’intuito in modo tale da superare per complessità il diàbolos (impedendo alla sua “gramigna” della perdita di coerenza e del difetto d’integralità di confondersi

766 Vd. i capitoli relativi allo sfrangiamento, alla trasmutazione del linguaggio e agli assoluti derivati.767 Si tratta del seguente schema analogico-configurazionale: “ufc(pu)-ASg-ASg-ufc(ps)”.339

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con il lògos-raccolto buono). Il raccolto dell’integralità e della coerenza dell’organismo vivente autocosciente è dunque il lògos stesso, cioè la funzione intellettiva che assurge all’evoluzione conservativa e relazionale delle cose esistenti. Ecco la grande battaglia tra il cristo-lògos e il diàbolos. E’ insieme una battaglia conoscitiva e biologica.

L’alternativa tra afc ed afc virtuale (alternativa tra cui non è possibile che l’interprete-uomo scelga con certezza) ci dà la cifra della complessità di cui parla l’omonima teoria768. Infatti, secondo la prima alternativa (l’individuazione, cioè, di un elemento afc nel percorso di autocoscienza) l’uomo-osservatore viene considerato come esercente un ruolo ed una funzione iniziatica, invece nella seconda alternativa (l’individuazione, cioè, di un elemento afc virtuale, inserito nel percorso “msf+mpm”) l’uomo-osservatore ha il ruolo e la funzione del compimento. Nel primo caso, cioè, pensiamo all’osservatore come a colui che prepara il compimento, plasmandolo nella realtà, nel secondo caso come colui che viene preparato e plasmato per diventare il compimento delle cose esistenti. Ma, in linea con la teoria della complessità, anche l’iniziazione della realtà nuova viene plasmata da quest’ultima, che ne è il compimento. Non è possibile, infatti, stabilire una linea di demarcazione netta tra elemento intuitivo (afc) con cui l’uomo plasma la realtà ed il percorso nascosto ed interno al collegamento ASg di ASg (cioè l’afc virtuale), con cui l’uomo viene plasmato per essere il proiettore769 della realtà nuova. L’iniziazione e il compimento si plasmano, quindi, reciprocamente: non è pertanto possibile stabilire quale sia l’origine del cambiamento e della svolta paradigmatica che conduce ad una rivoluzione antropologica fondamentale, che diviene possibile grazie alla stessa circolarità dei ruoli e delle funzioni anzidette, in linea con i canoni della teoria della complessità.

Una parola scritturistica che esprime l’indistinguibilità tra afc ed afc virtuale, di cui abbiamo testé discorso, nonché la complessità che ne promana, è το αρνιον (leggesi tò arnìon = “l’agnellino”). Tale parola compare nell’Apocalisse ed esprime una figura di docilità “che sgozza fino in fondo”770. E’ infatti το αρνιον a compiere il sacrificio e non a subirlo (Gesù stesso dice nel Vangelo secondo Giovanni: “nessuno mi toglie la vita, ma sono io che la dono”). Nell’espressione το αρνιον s’incardina tuttavia l’idea della docilità, che è una rielaborazione del rapporto privilegiato tra pecore e pastore. Tale rapporto implica la sequela del pastore da parte delle pecore, che ne riconoscono la voce. Se intendiamo le pecore come l’umanità, che riconosce intuitivamente il proprio percorso evolutivo (innescato volontariamente dall’elemento afc) e non riesce a distinguerlo dall’evoluzione del proprio sé e delle altre intuizioni ineffabili pure che compongono l’essere supremo (afc virtuale), allora la sequela operata dall’umanità dietro all’essere supremo ripropone l’alternativa indistinguibile tra afc ed afc virtuale. L’afc/afc virtuale è ciò che va a rendere integrale e complesso l’essere (cioè il novero delle cose esistenti): l’essere diventa la sequela del lògos-cristo da parte dell’uomo-osservatore, che è indistinguibile dal legame tra lògos-cristo e l’ineffabile puro grazie a cui questi ottiene la sua eredità rivoluzionaria. Si noti soprattutto che il rapporto pecore-pastore nella Bibbia è autoreferenziale dal punto di vista della modalità. Solo la modalità del riconoscimento del pastore da parte

768 Mi riferisco alla teoria della complessità, creata da E. Morin negli anni ’80 del secolo scorso.769 Il riferimento è alle elaborazioni del pensiero di E. Husserl, ovviamente, il cui portato attuale ha ricevuto negli stessi anni ’80 del secolo scorso un’importantissima svolta ermeneutica con lo studio dell’emersione della realtà conscia dall’autopoiesi (vd. il pensiero di A.-T. Tymieniecka e quello di N. Luhmann).770 Propongo d’interpretare eσφαγμενον (leggesi esfagménon) nel senso opposto a quello della grammatica tradizionale: non “che è sgozzato fino in fondo” ma “che sgozza fino in fondo”, cioè fino ad esaurimento del sangue nel corpo dilaniato. Non si tratta, infatti, di una forma passiva, ma medio-passiva, che da me viene interpretate, all’interno del contesto scritturistico, con significato attivo, cui si aggiunge la sfumatura di significato “per me”, cioè “per (la rivoluzione) dell’io”. La rivoluzione dell’io è quella escatologica, cioè quella rivoluzione che coglie l’occasione opportuna d’incontro tra l’uomo e l’essere supremo. Se ci pensiamo bene, ogni martire del calibro di Gesù o di Gandhi si è portato dietro una rivoluzione antropologica, che ha dilaniato e dissanguato, banchettandoci avidamente, la cultura ad essa opposta e complementare che andava a trasformare irrimediabilmente. Così con Gesù l’istituzione religiosa, ma anche qualunque altra istituzione umana, è dovuta uscire dalla sua autarchia ed autoreferenzialità, per tentare di giustificarsi davvero sul metro dell’evoluzione relazionale e creazionale umana. Gesù si sarebbe lasciato condannare e uccidere come agnello sacrificale, perfettamente docile al suo destino infame, ma era davvero lui a posteriori quello che veniva dissanguato e su cui era incentrato il banchetto? Lo stesso dicasi per Gandhi (e il suo satyagraha) rispetto alla violenza e sfrontatezza del colonialismo e di ogni politica oppressiva della libertà di espressione di un popolo.340

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delle pecore, infatti, consente l’individuazione del rapporto stesso tra pecore e pastore, ma non può essere a sua volta individuata grazie ad un riferimento ad essa esterno. Quindi το αρνιον è docile al pastore, di cui il pastore stesso dice: “le mie pecore riconoscono la mia voce”. In το αρνιον, cioè nella docilità che dissangua le culture opposte, le pecore sono individuate grazie alla voce del pastore e la voce del pastore è individuata grazie alle sue pecore. Quest’immagine retorica individua precisamente il rapporto tra afc ed afc virtuale, che s’individuano e compongono a vicenda nella loro indistinguibilità, costituendo la trama impalpabile che guida l’uomo alla rivoluzione antropologica fondamentale di cui spesso abbiamo parlato nei nostri saggi. Il punto strategico dell’alternativa non-alternativa tra afc ed afc virtuale sta cioè proprio nella docilità reciproca che caratterizza l’emergere dell’uomo dalle sue intuizioni ineffabili, che lo guidano, e l’emergere delle intuizioni ineffabili stesse dall’uomo che si lascia coscientemente guidare.

L’indistinguibilità tra afc ed afc virtuale è anche alla base di varie aporie. Come si può, ad esempio, distinguere tra l’approccio occidentale e quello orientale (in special modo, quello cinese771) all’efficacia? Per gli occidentali è efficace la strategia di applicare regole predeterminabili alla realtà, per ottenere un certo risultato tecnico. Per la tradizione cinese il risultato può essere offerto solo dal fluire della torrente dell’essere, che noi uomini dobbiamo assecondare, cercando solo di volgerla a nostro vantaggio. La differenza pratica tra i due approcci è impercettibile, anzi nulla, a meno che non si consideri la categoria dell’afc/afc virtuale. Tale categoria è invero l’indistinguibilità di due categorie che, da un punto di vista più prettamente logico, dovrebbero essere ben contrapposte, mentre non dovrebbero esserlo da un punto di vista tendenzialmente più percettivo. Ma è proprio sul piano logico, invero, che le due anime (afc ed afc virtuale) di questa duplice categoria si pongono come radicalmente indistinguibili, eppure altrettanto indispensabili per una verifica ed un salto di qualità conoscitivo. Infatti è grazie a tale costruzione logica che attualmente si completa la sintonia o accordo tra l’interprete-uomo e l’ineffabile puro (che costituisce detto afc virtuale e non si può distinguere dall’assoluto originario dell’astraente-concretante772, che è invece espressione del salto paradigmatico operato direttamente dall’uomo). Quindi abbiamo un novero di salti paradigmatici virtuali, operati dalla parte ineffabile dell’uomo, ed un novero di salti paradigmatici operati consciamente e direttamente dall’uomo stesso, che non riescono a distinguersi nemmeno logicamente, eppure in tale indistinguibilità si spiegano e possono operare la rivoluzione antropologica summenzionata. Se infatti l’uomo si arrendesse alla sua velocità intuitiva, senza abbracciare la prospettiva di una velocità più smodata, che gli afferra la giacchetta e lo proietta in livello di efficacia ben diverso da quello da lui direttamente raggiungibile, non si potrebbe nemmeno scegliere di puntare consapevolmente sull’efficacia evolutiva cui l’uomo si sente chiamato incessantemente. In una chiave evolutiva di questo tipo è quindi comprensibile e proficua una distinzione (pur logicamente, ancor prima che percettivamente, impossibile) tra l’efficacia diretta della tecnica umana e l’efficacia che l’uomo ottiene dal potenziale dell’essere. La stessa idea di docilità di cui parlavamo poc’anzi ci dà il registro ermeneutico indispensabile per avvicinarci ad un livello di efficacia tecnica senza pari, che sfrutta il potenziale dell’essere senza che quest’ultimo possa distinguersi dall’intervento evolutivo diretto dell’uomo. Ben venga quindi l’alternativa impossibile tra tecnica e potenziale, cioè tra idea tradizionale occidentale di efficacia ed idea tradizionale cinese di efficacia, se è grazie alla loro indistinguibilità che si crea la sinergia che le fa vincere entrambe, in un’unica prospettiva evolutiva dell’uomo. L’idea di feed-back (che sta alla base anche della verifica evidence based dell’imperante neopositivismo) e quella di affinità elettiva (che sta alla base dell’altra anima, esoterica, del pensiero scientifico) s’incontrano proprio grazie alle loro false differenze, senza le quali il connubio tra uomo ed essere supremo non sarebbe ipotizzabile. Per farsi un’idea dell’efficacia che emerge da questo tipo di dialettica, che per molti sarà mera poesia nel senso più deteriore del termine, può essere saggiata nel nostro saggio Il testo-ricerca come anche nella saggistica di M. Heidegger e nella teoria della sincronicità di C.G. Jung, che rielaborano sia il portato della visione esoterica del testo biblico che il portato più avveniristico della teoria quantistica.

771 Di tale approccio ci parla F. Jullien in Trattato dell’efficacia.772 Tale assoluto originario viene analizzato nel capitolo sugli assoluti.341

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29. Confronto tra la teoria analogico-configurazionale e altre teorie epistemologiche[i]La teoria qui esposta, che si basa sull’idea di linguaggio analogico-configurazionale trasmutato, ha

addentellati in quasi ogni teoria di filosofia della scienza che mi sia stato offerto di studiare o anche solo sbirciare. Ma prendendo qualcosa da ciascuna, immancabilmente si differenzia da loro in qualche asse portante. Chiamerò tale teoria con l’acronimo di tca: teoria delle configurazioni analogiche. Tuttavia bisogna considerare che questa teoria ricava il suo spazio proprio fondandosi sulle altre teorie che espongo: la teoria dell’analogia singolare (tas), la teoria del testo-ricerca (ttr), la teoria delle funzioni conoscitive personificate o del rapporto speculare (trs), la teoria dell’interprete della traccia scritturistica (tits) o – per evitare il suo acronimo un po’ ridicolo in inglese - teoria dell’osservatore della realtà (tor), la teoria dell’energia (ten) e la teoria del processo (tp). Ritengo che l’elenco di teorie, che seguono l’onda dello studio del linguaggio analogico-configurazionale trasmutato, potrà crescere esponenzialmente a partire dai prossimi decenni.

La tca si differenzia radicalmente dalla teoria neopositivista, di cui contesta l’approccio dualistico e la mancanza di un’idea di materia. Si pone invece appieno nella scia della teoria della complessità, di cui abbraccia con vigore i presupposti e accoglie con entusiasmo gli esiti. Tuttavia ho una conoscenza a dir poco germinale di tale teoria, che ha avuto il suo iniziatore o principale esponente in Edgar Morin negli anni ’70, da non aver potuto ancora rilevare importanti differenze rispetto alla tca, se non per la diversità di alcuni rilevanti punti di partenza. Mutuando il linguaggio della complessità, mi verrebbe da dire che le due teorie tendono a convergere quanto ad esiti, ma con due percorsi a tratti molto diversi. Tratterò del confronto specifico con la teoria della complessità nel prossimo capitolo.

La tca, pur accogliendo i cd. fenomeni PSI come importanti chiavi di lettura, non condivide il dualismo delle teorie parapsicologiche, in particolare l’idea che lo psi sia uno sguardo su una realtà esterna all’uomo, il quale funge da terminale radio che riceve una comunicazione da un trasmettitore sconosciuto. Con le teorie osservazionali non condivide l’appiattimento sulla fisica quantistica, che è a mio avviso una chiave di lettura importantissima, oggigiorno, che però non offre un fondamento abbastanza ampio (essendo racchiudibile nell’orizzonte intuitivo di alcuni collettori come lo spazio-tempo e il campo quantistico), come invece è offerto dalle idee di configurazione analogica, di paradigma, di analogia singolare, di funzioni conoscitive personificate, di stati di autocoscienza, di livelli configurazionali e di livelli di coordinamento o di campo. La quantistica viene quindi soprattutto adoperata, nel contesto della tca, a fini esemplificativi e come argomento convincente, non come orizzonte conoscitivo. La nostra teoria accoglie solo in parte, conseguentemente, le teorie osservazionali. Queste ultime, pur avendo il pregio di considerare come fondamentale per la conoscenza della realtà fisica il ruolo dell’osservatore, si appiattiscono sulla meccanica quantistica (e sull’accoppiamento trans-temporale che essa rende ipotizzabile) come base della fisica stessa e delle sue deviazioni rispetto alla fisica classica. Apprezzabile però che le teorie osservazionali non cerchino la previsione del futuro, ma l’influsso che il futuro può avere sul passato o viceversa, lasciando la porta aperta all’idea che alla base dell’accoppiamento trans-temporale ci sia qualcosa d’ineffabile. In questo modo non c’impediscono di avvicinarci all’orizzonte dell’accordo tra uomo ed essere (supremo) e alla definizione di risultato tecnico come risultato (non previsto, ma) desiderato o, a seconda dei casi, come evitamento del risultato esecrato. Anche il ruolo di altre civiltà (umane e non umane) nell’edificazione dell’uomo nuovo diventa ipotizzabile, grazie all’idea (tipica delle teorie osservazionali) secondo cui vi sono più interlocutori possibili nel futuro o comunque in altre zone dello spazio-tempo. Tuttavia tali teorie non offrono (a differenza della nostra) una spiegazione che fondi l’accoppiamento trans-temporale in una con ogni altro aspetto della fisica. Noi reperiamo tale fondamento nell’idea di analogia singolare, che scandisce i percorsi di autocoscienza proiettandoli nei confini intuitivi delle configurazioni analogiche.

Rispetto all’idea di retro-causalità, secondo cui nel futuro vi sarebbe la causa del passato, la tca si differenzia radicalmente. Tuttavia non nega strenuamente la retro-causalità, bensì la relega come ipotesi laboriosa e dinamica esecrabile ma non del tutto impossibile. Per la tca, infatti, il futuro non è il futuro cronologico, ma la formazione delle configurazioni del 5lc grazie alla trasmutazione progressiva di configurazioni non pre-trasmutate. Quindi per la nostra teoria il futuro incide anche pesantemente sul passato, ma il passato può dal canto suo trasformare il futuro, in quanto entrambi sono compresenti l’uno all’altro. Pur non avendo ancora una conoscenza approfondita delle teorie osservazionali, penso che la tca

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possa integrare i tasselli esplicativi mancanti a queste ultime nel collegamento del passato e del futuro (anche se non intende questi ultimi come regioni spazio-temporali differenti). Ciò che sembra mancare alle teorie osservazionali, per operare spiegazioni complete, non è tanto l’idea d’ineffabile (che in esse è presente), ma le idee altrettanto basiche di rapporto speculare tra osservatore-uomo ed essere supremo (o sé archetipico) e di accordo costitutivo sull’essere. Grazie a queste idee basiche, si può relegare la quantistica a configurazioni (per l’appunto) più meccaniche di altre, ma pur sempre su di loro fondate. Riconosco agli studiosi osservazionalisti di aver preso sul serio le implicazioni della quantistica e i risultati delle attività ESP: essi hanno fatto più di Gamaliele rispetto al messaggio di Gesù, non sono infatti rimasti in panchina a vedere cosa sarebbe successo, ma hanno preso parte alla verifica senza gli sterili formalismi utili solo in campo neopositivista (un campo, quest’ultimo, che per quanto vasto si conferma come recessivo, involutivo ed autodistruttivo per l’uomo). Essi hanno così scoperto, e non hanno chiuso gli occhi sul fatto che la motivazione rende possibili le prestazioni nel campo dello PSI. A noi raccogliere le fila di tanto lungimiranti intuizioni, notando evangelicamente che i più grandi detrattori della quantistica (come Einstein e J.S. Bell) o di un allargamento a macchia d’olio di alcuni suoi principi (come E. Schrödinger) ci hanno regalato – contrariamente al loro volere – alcuni dei grimaldelli più potenti a vantaggio delle idee qui proposte. Nelle teorie osservazionali non viene tuttavia posto a base dell’esperimento (e quindi della tecnica) il finalismo, ma la probabilità. Le nostre teorie, invece, insegnano da vari punti di vista come il finalismo debba essere coltivato non tanto per ottenere il risultato tecnico, ma perché il risultato tecnico è solo il raggiungimento del risultato “effettivamente” desiderato o l’evitamento del risultato “effettivamente” esecrato. La parola “effettivamente” va poi correttamente intesa, in questo contesto finalistico, come il modo di atteggiarsi dell’accordo costituitivo sull’essere. Per evitare di parlare di un’effettività solo a posteriori, offriamo i metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote, che dettano appunto le condizioni per considerare effettivo un finalismo, non in base al suo risultato, ma in base all’atteggiarsi della realtà nella sua trasformazione e conformazione per raggiungerlo. L’appiattimento della tecnica e della legge scientifica sulla probabilità statistico-matematica viene evitato, grazie ad un’analitica spiegazione delle configurazioni della matematica assiomatico-deduttiva come configurazioni prive di onda formaturale (in senso stretto). In questo senso, la tca nega validità anche al tipo di spiegazione discreto e non probabilistico, offerto dalle teorie parapsicologiche che seguono la “ortodossia” di Rhine. Se infatti una previsione fallisce, secondo la tca non si deve accusare la invalidità della ipotesi posta alla sua base, ma bisogna più correttamente interpretare il finalismo dell’osservatore e porlo in relazione con eventuali finalismi prevalenti di altri osservatori, nonché (last but not least) con le carenze della sua formazione epistemologica e della sua preparazione nello specifico campo autoreferenziale di riferimento. E’ l’osservatore che può fallire, non la ipotesi dallo stesso formulata, poiché quest’ultima, di conformazione in conformazione e di trasformazione in trasformazione, può giungere a qualunque esito (anche all’uomo gravido!) se assistita da un finalismo dalla potenza intuitiva e logico-strutturale strategica. La tca, per tal motivo, non solo può negare con fondamento l’approccio discreto, ma può anche preferirlo nei casi opportuni (cioè quando l’osservatore si rende conto di non essere assistito da un finalismo strategico) in base ad un ragionamento perfettamente coerente. La tca permette cioè all’osservatore di dosare con sapienza quando occorra opporsi e quando, al contrario, occorra accettare l’aiuto delle altre teorie (anche di quelle di stampo rhineano o di stampo neopositivista).

Il probabilismo delle teorie osservazionali, nonché la necessità del feed-back nell’approccio parapsicologico (di Rhine), vengono insieme interpretate e completamente marginalizzate nella tca grazie all’enfasi posta sul finalismo (o volontarismo) e sull’accordo costitutivo sull’essere. Tali principi (probabilismo e necessità del feed-back, quali spiegazioni alternative dei fenomeni di PSI) risultano infatti alla stregua di casi particolari del funzionamento (non più generale, ma) più avvolgente ed escatologicamente vittorioso nella rete analogica delle cose esistenti. Vi possono infatti essere configurazioni che, in grazia di un particolare paradigma di riferimento, obbediscano ai principi della parapsicologia o delle teorie osservazionali, ma non è in direzione di tali principi che si sta muovendo la realtà, nel suo livello di coordinamento più alto. Tale portato non dipende solo né principalmente dalla tca, ma dalla teoria dell’interprete della traccia scritturistica (tits), che per l’appunto ho chiamato anche teoria dell’osservatore della realtà (tor), ma che non è da confondere con le teorie osservazionali. La tor postula infatti (e porta ad una qualche verifica a volo d’uccello sulla realtà che osserviamo) che vi siano campi

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concentrici di realtà, tali per cui ogni livello più ampio di campo coordina per attrazione gli elementi del campo più immediatamente interno, fino a quello più interno, producendo un coordinamento abbastanza capillare da portare avanti l’accordo costitutivo sull’essere, in base all’incontro-scontro del finalismo umano con la spinta evolutiva dell’essere. D’altronde gli esperimenti di “prestimolo” sensoriale sul corpo umano ci fanno capire come la risposta fisiologica preventiva allo stimolo futuro cambia con la conoscenza progressiva, da parte del soggetto umano dell’esperimento, riguardo allo stimolo stesso. Il soggetto umano, infatti, risponde in modo sempre meno intenso, a livello fisiologico ed anche interiore, agli stimoli futuri se ormai ne conosce l’entità. Le scosse elettriche, d’altronde, si sono dimostrate (a quanto riferisce Targ, in relazione agli esperimenti di Zoltàn Vassy) insuscettibili di un simile acquietamento del prestimolo, in quanto inaccettabili per l’organismo stesso del soggetto umano. L’osservatore-uomo influisce sul prestimolo con la propria assuefazione o con la propria incapacità di assuefazione: ma tali sfumature d’influenza prestimolo si possono giustificare anche in commistione inscindibile con il finalismo (conscio e inconscio) del soggetto e con l’accordo logico-strutturale ed intuitivo che questi riesca ad instaurare con certe realtà. Per la tca la realtà è collocata su più configurazioni analogiche, che si collegano tra loro per formare una sorta di opera plastica più o meno nitida, più o meno variabile, dal punto di vista del nostro modo di conoscere tendenzialmente oggettivo. La variabilità dell’opera plastica in sé (ad esempio del vaso) ci dice molto sul rapporto che il vaso ha con il vasaio, di come cioè una certa idea di vaso sia stimolata dal vaso in una delle sue tante configurazioni attualmente disponibili e di come quest’ultima configurazione si collochi diversamente, nella rete complessiva dei collegamenti analogici, a secondo di altre configurazioni che costituiscono le idee portanti del vasaio sulla realizzazione del vaso stesso. Ciò che non è permesso, nella tca, è considerare qualcosa come veramente oggettivo e per sempre. Ogni traccia, in quanto particolare atteggiarsi delle configurazioni nella costruzione di una delle molte realtà compresenti, è disponibile alla propria continua trasformazione.

Riguardo all’ipotesi dei “molti mondi”, secondo cui ogni evento quantistico aprirebbe un percorso autonomo, che si configurerebbe come un universo parallelo fra tanti universi tra loro non osservabili, abbiamo proposto appositi “anticorpi”, che la natura stessa delle cose adopera per evitare esiti così alienanti ed anti-relazionali. Si tratta dei pdac773, dei pda-dist774 e dello sfrangiamento775, ai cui rispettivi

773 Pdac = percorsi di autocoscienza di controllo. Nel relativo capitolo si distingue tra i pdac consci e quelli inconsci. Questi ultimi manutengono le sezioni configurazionali dei percorsi di autocoscienza (sub-pda) rispetto allo sfrangiamento. I primi, invece, rimescolano i connotati intellettivi dei sub-pda, innescando quel movimento complessivo di evoluzione delle cose che trova nei pda-dist (vd. nota seguente) la sua espressione compiuta.774 Pda-dist = percorso di autocoscienza (pda) di disturbo. I pda-dist intercettano i pdac consci, dirottando i loro pda di appartenenza verso elementi analogici e configurazioni analogiche diverse da quella di riferimento. In questo modo i pda-dist diventano il motore evolutivo dell’essere. Essi vengono più o meno consciamente confezionati dai corpi (sia da quelli viventi che da quelli non viventi, sia dai corpi autocoscienti che da quelli privi di coscienza), per realizzare dei finalismi. La performazione più alta (e senz’altro più rilevante, a livello evolutivo) dei pda-dist è quella operata dagli organismi autocoscienti, come gli esseri umani. I pda-dist, tuttavia, sono un’arma a doppio taglio dal punto di vista dell’io individuale: sono infatti all’origine di tumori ed altre malattie di ogni tipo (anche se tali squilibri assolvono ancor meglio al loro compito evolutivo). La tensione tra io individuale ed io collettivo vive così la sua stagione più drammatica, proprio in relazione ai pda-dist: entra in gioco il tema dell’errore evolutivo individuale che aspira a diventare scoperta trasformante l’io collettivo.775 Lo sfrangiamento è la degradazione dei collegamenti tra elementi analogici a meri collegamenti “ufc-afc” (in cui sia l’elemento ufc che l’elemento afc si riducono ad avere un solo sub-elemento fcs per ciascuna innervazione). Nella rete relazionale delle cose esistenti, ogni volta che viene meno o viene superato il finalismo di un collegamento tra elementi analogici, il collegamento stesso viene meno ed è sostituito da collegamenti di massima del tipo “ufc-afc”. Cosa siano gli elementi ufc e afc e cosa siano le loro innervazioni e il sub-elemento fcs viene spiegato nel capitolo relativo all’elemento analogico e, in modo più completo, in quello relativo allo sfrangiamento. Lo sfrangiamento non è irreversibile, ma rende irrealizzabile l’idea di una conservazione super-fedele dei percorsi di autocoscienza originari, che oltre a subire continue modifiche devono subire appunto lo sfrangiamento, che ne degrada l’informazione, pur non rendendone del tutto inattendibile la ricostruzione. In ultima analisi, lo sfrangiamento consente di graduare l’importanza di certi collegamenti analogici rispetto ad altri, ancorando la perpetuazione dell’essere alle analogie singolari e alla loro evoluzione, rendendo così ancor più impellente il raggiungimento dell’accordo costitutivo sull’essere che soddisfi sia l’uomo che l’essere supremo, istituendo tra loro un amore completo cui ogni altra cosa è destinata a cedere (“uno iota o un apice non possano passare dalla legge, fino a che ogni cosa possa accadere” – Mt 344

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capitoli rimando. Tali anticorpi non hanno niente di meccanico o autoreferenziale, poiché spiegano a meraviglia quei modi di comportarsi delle cose che sono sotto gli occhi di ciascuno. Grazie a tali anticorpi apprendiamo che la realtà è mera potenzialità, travestita d’illusione, ma che in tale illusione si prepara non solo l’evoluzione, ma anche un accordo con l’evoluzione che la riporti alla relazionalità dell’amore grazie alla conservazione evolutiva dell’amato. La realtà, anzi, le molte realtà non sono parallele, ma ciascuna s’immerge nel crogiuolo del confronto con le altre in funzione di quella che si afferma come vincente nell’illusione dell’unica realtà (tendenzialmente oggettiva). Nella tca l’idea che ci siano infinite realtà in crescita esponenziale non è ammessa poiché non serve semplicemente a nulla, non spiega niente, anzi entra in contraddizione insanabile con la tendenza relazionale dell’evoluzione della realtà, che dà senso ad ogni cosa.

Riguardo alla doppia natura di alcuni enti quantistici (cioè la natura di onda e particella), che si mantiene fino a che non vengano osservati (poiché a quel punto acquisterebbero una posizione come i corpi della fisica classica), si consideri che la doppia natura non appartiene alla percezione immediata, ma all’intelletto. Il fatto che la comprensione della doppia natura dell’elettrone emerga da informazioni percettive, non significa che l’elemento della doppia natura sia dunque percettivo (cioè una gp). Esso è al contrario uno sc, come lo è anche la natura esclusiva di corpuscolo, assunta a seguito dell’osservazione. Tale osservazione, infatti, non riguarda direttamente l’elettrone, ma l’ambiente ad esso esterno (cioè gli altri corpi, come lo schermo che si assume colpito dall’elettrone, nella loro percezione immediata e nella loro percezione a fuoco). La tca sostituisce all’idea di doppia natura dell’elettrone quella d’incrocio tra due (sub-)pda. Nel sub-pda alfa c’è un elemento sc che ci dice che l’elettrone ha la duplice natura di onda e di particella, nel sub-pda beta (che incrocia alfa proprio in corrispondenza dell’elettrone) c’è un altro sc che dice che esso ha la natura di corpuscolo collocato in una posizione definita. In entrambi i pda dobbiamo quindi distinguere un elemento cs, cioè intuitivo-concreto, che rappresenta l’elettrone, da un elemento sc, che ci dice la natura dell’elettrone: i due pda s’incrociano in corrispondenza dell’elemento cs (elettrone), poiché in entrambi tali pda l’elemento-elettrone ha la stessa onda formaturale (in senso lato). Infatti di entrambi gli elettroni (quello dell’esperimento della doppia fenditura senza schermo intermedio dietro ciascuna fenditura - esperimento che dimostra la natura di onda - e quello dell’esperimento della doppia fenditura con schermo intermedio ditro ciascuna fenditura - esperimento che dimostra la natura corpuscolare-) sappiamo che sono identici, cioè hanno potenzialmente percorso entrambi gli esperimenti, dando entrambi gli esiti sperimentali (duplice natura776 e natura corpuscolare esclusiva). L’ipotesi che l’elettrone sia in realtà un vero elettrone – in quanto corpuscolo - solo quando sia osservato (id est, quando sia collassata la sua funzione d’onda probabilistica, o funzione di Schrödinger) appartiene al prosieguo di uno dei due pda, ma non intacca minimamente la comunanza dell’elemento cs suindicato. La natura duplice dell’elettrone è poi il portato della trasmutazione, allorché essa subisce uno scostamento evolutivo (in accordo con l’essere) grazie all’esperimento della doppia fenditura. Nell’evoluzione dei linguaggi trasmutati, infatti, l’interprete-uomo individua un’anomalia percettiva, da cui fa sorgere una costruzione ex novo dei linguaggi non

5,18. Ma con un’interpretazione esoterica più profonda e ben motivata, tradurrei in un modo epistemologicamente più contestualizzato così: “uno <<iota>> o un <<apice>> non possano sostituirsi come nuova realtà nascendo ineffabilmente grazie alla legge scientifica, fino all’accordo in cui ogni cosa possa accadere”).776 Parlo di “duplice natura” poiché nella configurazione di partenza non parliamo di elettrone con natura esclusiva di onda, poiché a quel punto non parleremmo più di elettrone, ma di elettrone che funziona come onda o come particella (id est corpuscolo) a secondo della situazione in cui si trova. Sappiamo infatti che tale elettrone è lo stesso che, in un altro esperimento proposto da Einstein, è risultato essere una particella e che invece nell’esperimento della doppia fenditura appare comportarsi come un’onda. Se dico, ad esempio, “la crisalide diventa farfalla”, faccio riferimento ad un cambio di natura; se invece dico, Tizio fa il portantino di giorno e il ladro di notte, non c’è stata alcuna trasformazione. L’elettrone appartiene alla categoria di Tizio (cioè è dotato di duplice natura), non alla categoria della crisalide; ma, a certe condizioni, entra nella categoria della farfalla. Immagino che, non appena ne perdiamo le tracce, l’elettrone torni ad appartenere alla categoria di Tizio, ma solo perché frattanto io, in qualità di osservatore, sono tornato nella configurazione di partenza. Espressioni come “l’elettrone si presenta nell’una o nell’altra forma [di onda o di particella] in base a dove lo osserviamo” sono fuorvianti ed epistemologicamente arretrate. Nello studiare la quantistica si usano ancora le concezioni di spazio euclideo assoluto o di tempo cronologico. Questa profonda inadeguatezza (che si traduce in un evidente errore) viene superata a piè pari dalla tca (che in questo capitolo mi trovo costretto, di fatto, a reclamizzare >sic!<).345

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trasmutati (che secondo lui esprimono l’anomalia stessa): se egli ottiene il feed-back in ordine alla costruzione in parola, allora abbiamo l’evoluzione dei linguaggi trasmutati. D’altronde la scelta di percepire qualcosa che doveva essere ovvio (cioè l’esito dell’impatto su uno schermo da parte di un singolo corpuscolo che è prima passato da uno schermo intermedio, dotato di una doppia fenditura), imbastendo un complesso esperimento di fisica delle micro-particelle per arrivare a tale percezione, fa sì che tale percezione (già prima del suo registrarsi) apparisse non tanto ovvia al ricercatore. Possiamo considerare tale percezione il frutto di una esc-fùsis, che ha fornito un’anomalia a fini evolutivi (quant’è vero che da allora una parte non irrilevante della Scienza è diventata esoterica, perdendo così la sua “s” maiuscola, trasformando la restante Scienza essoterica in un carico pesante ed evolutivamente inutile, e pertanto in via di dismissione). L’accordo ineffabile tra ricercatore ed essere è indispensabile al fine di ottenere il feed-back evolutivo. La costruzione tendenzialmente oggettiva dell’elettrone (come pre-elettrone dalla duplice natura, che diventa elettrone vero e proprio solo con la sua osservazione localizzata, per quanto indiretta) non viene rifiutata dalla tca, anzi viene spiegata come accordo sulla costruzione dei linguaggi trasmutati che ha ottenuto il feed-back dell’elemento grafèico puro. Lo schema operativo, con cui i ricercatori sono arrivati dalla duplice natura dell’elettrone all’unica natura conseguente al collasso dell’onda di Schrödinger, è d’altronde proprio quello adoperato dalla tca per spiegare il salto paradigmatico: da una configurazione di partenza (in cui l’elettrone è sia un corpuscolo che un’onda) si collegano tra loro nuovi elementi, incrociati con dei pdac consci tramite altre configurazioni che esistono su percorsi di autocoscienza paralleli; non appena vengono portati alla coscienza gli elementi sufficienti a costituire l’elemento ufc (cioè il paradigma) della nuova configurazione e, in sequenza, viene compiuto quel lavoro intuitivo completamente ineffabile che chiamo elemento afc, si può entrare nella nuova configurazione grazie al suo primo elemento concreto-intuitivo (l’elemento cs). Da quel punto può iniziare il ragionamento e la percezione (sia a fuoco che sfocata) all’interno della nuova configurazione. Inoltre, per chi come me non fosse capace di capire bene cos’è l’orientamento di un’onda né cosa sia l’onda di Schrödinger, è possibile intuire e percepire ciò che vi è nella nuova configurazione, a patto di essere aiutato con un ponte mistico costituito da un trasmittente che sia in grado di capire tali due cose a me oscure. La realtà è quindi libera di configurarsi come molte realtà, entrando in ciascuna delle quali si compiono ragionamenti e si ottengono percezioni radicalmente differenti, che se viste dalla configurazione in cui eravamo precedentemente inseriti appaiono forzati ed autoreferenziali, in quanto totalmente assurdi. L’assurdità dell’elettrone che cambia la natura da duplice ad unica, solo perché in qualche modo “si accorge” che noi sappiamo da quale delle due fenditure è passato, è assurda solo se vista dalle configurazioni a cui siamo normalmente abituati nella realtà tendenzialmente oggettiva entro cui le nostre esistenze quotidiane sono confinate. La realtà oggettiva, pertanto, non esiste, ma semmai possiamo dire che la realtà si oggettiva in modo differenti e potenzialmente sempre nuovi. Ma tale realtà che è soggettività la chiamo non con il nome di realtà, bensì con il nome di “essere”, per indicare che solo in quanto si evolve e si relaziona con la realtà tendenzialmente oggettiva essa esiste. Esiste ciò che, evolvendosi, si relaziona con ciò che tende a conservarsi.

L’entanglement quantistico è poi la cartina di tornasole della dottrina della trasmutazione nella tca. Tale dottrina dice, in poche parole, che i pda entrano a contatto con la nostra conoscenza conscia solo dopo un’operazione che potremmo chiamare “trasmutazione”. Più precisamente, un pdac conscio può accedere solo ad elementi analogici già trasmutati, cioè filtrati dagli assoluti derivati o collettori. Il collettore del tempo cronologico, ad esempio, detta alcuni dei sub-pda nascosti nei sub-elementi fsc delle due innervazioni (ifscα e ifscβ) dell’elemento analogico, producendo la coerenza dell’elemento stesso con l’idea di tempo cronologico777. La cronologicità degli elementi reali è quindi puramente illusoria. Quando due 777 Tale coerenza è una forma di coordinamento che adopera (anche più volte di fila) una duplice sequenza. Potremmo chiamare le due sequenze con i nomi di “coerenza” e “coerenza inversa”. La coerenza è la giustapposizione di elementi (grazie a collegamenti ASg-ASg) cui segue un’analogia singolare sefèrica (ASs) - cioè un’analogia ineffabile che però non è ineffabile quanto al percorso che porta a viverla -, capace di portare la coerenza nel sistema. La coerenza inversa è un’ASs cui segue una giustapposizione di elementi (grazie a collegamenti ASg-ASg), capace di riportare l’incoerenza. La circolarità del linguaggio che adopero è perfettamente ammessa, nel settore esoterico, in quanto ci offre dei significati riconoscibili. La coerenza di cui parliamo è fatta da sequenze di coerenza e coerenza inversa, in genere ripetute più volte con esiti sempre nuovi, volti a ristabilire l’illusione della realtà ma anche a farla evolvere in modo nascosto. Ogni elemento che noi riconosciamo ineffabilmente come collocato nel tempo cronologico e nello spazio euclideo ha dietro di sé un’architettura di sequenze di coerenza e coerenza inversa, in cui l’ineffabile si esprime 346

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quanti entanglati, che si trovano a distanze siderali tra loro, collassano in contemporanea la propria funzione d’onda (diventando oggetti reali) solo perché se ne osserva uno dei due, ciò che invero sta succedendo non ha niente a che vedere con la cronologia, ma con il filtraggio dell’informazione operata dal collettore del tempo cronologico. In questo caso, infatti, abbiamo uno o più elementi analogici per i quali il filtraggio non funziona, poiché non si rientra nell’ambito di applicazione del collettore-tempo (e neanche nell’ambito di applicazione del collettore-spazio778). O meglio, il filtro funziona, ma portando all’idea (pur cronologica) di sincronia degli eventi. Nell’illusione impostata dai due collettori di spazio e di tempo, abbiamo quindi due eventi sincronici, collegati da una medesima logica, ma a notevolissima distanza spaziale tra loro. Ma vi sono alcuni elementi che sono del tutto sottratti dai collettori appena citati. Non ogni elemento analogico, infatti, è cronologico o spaziale. In un sogno, ad esempio, non riusciamo quasi mai a ricostruire spazialità e cronologia, se non per pochi e specifici particolari. Anche le caratteristiche fisiologiche o estetiche, come l’altezza, la bellezza, ecc… possono essere ricostuite a livello cronologico o spaziale solo a patto di moltiplicare i pdac (= pda di controllo). Quindi la cronologia e la spazialità classiche sono frutto di un lavoro di coerenza, che può essere autointuitivo (quando i sub-pda nascosti sono abbastanza presenti ed in posizioni strategiche, nelle sequenze di coerenza e coerenza inversa dei sub-elementi del pda) oppure costruito al costo di molti pdac (quando i sub-pda nascosti scarseggiano o non sono in posizioni strategiche o addirittura sono presenti solo in altri elementi collocati in altri pda, che devono quindi essere incrociati con il pda di riferimento). Uno di questi ultimi tre casi, riportati tra parentesi, è anche il caso dell’entanglement quantistico.

C’è un ulteriore “effetto” quantistico che va discusso: quello della retrocausalità. Nel condurre l’esperimento della doppia fenditura con fotoni o elettroni entangled, sparati in due direzioni diverse e rilevati in tempi diversi, con un circuito di coincidenza, si è infatti ottenuto un risultato che per la fisica classica è strabiliante: l’informazione sul quanto A, anche se raccolta precedentemente, dipendeva dall’informazione successiva sul quanto B, purché le due informazioni fossero rilevabili dall’osservatore solo in contemporanea (grazie al circuito di concidenza, che rendeva appunto disponibili entrambe le informazioni solo in modalità contemporanea). Sembra che il quanto A abbia corretto la propria informazione dopo la produzione dell’informazione sul quanto B, o che l’abbia prodotta solo nel momento in cui potevamo apprendere entrambe le informazioni. Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se ci fosse stato un altro osservatore che ci avesse preceduto: avrebbe colto solo lui l’informazione originaria, o quest’ultima non c’è mai stata e prevale quindi l’informazione integrata A-B? Se l’altro osservatore potesse accedere solo all’informazione A e mai, in nessun momento successivo, all’informazione B, allora potrebbe avere un’informazione diversa dalla nostra, che accediamo (ma in contemporanea) ad entrambe le informazioni? Le risposte a queste domande diventano agevoli con la tca. Ogni osservatore può avere informazioni diverse, purché non intervenga la telepatia diffusa a correggere il tiro con zip- e racc-fùseis del tipo 0 o del secondo tipo (visto che la nostra indagine rivestirebbe comunque il carattere di tecnica, eventualmente non costitutiva). Inoltre la spiegazione dell’effetto della conoscenza futura dell’osservatore sul passato è agevole, grazie alla categoria della trasmutazione. Ogni linguaggio dell’osservatore-uomo è filtrato, infatti, dagli assoluti derivati o collettori, tra cui quello del tempo cronologico e quello dello spazio euclideo. Pertanto una coppia di pda già costituiti (come quelli dell’esperimento sopra indicato) viene

in due gradazioni (la giustapposizione, che è ineffabile puro, cioè ineffabile anche quanto al percorso che ci fa vivere l’ineffabile stesso; l’analogia singolare sefèrica, che è ineffabile solo quanto a ciò che si vive, ma non quanto al percorso che ci permette di viverlo, che anzi può essere replicato con precisione) e si condisce in varie modalità con le soluzioni di continuità rapprentate dalle analogie indirette (cioè analogie non ineffabili, ma anzi ulteriormente analogizzabili). Questo gioco, che dalla complessità ci porta (grazie al coordinamento) fino alla coerenza e poi ci getta nuovamente nell’incoerenza, è anche il gioco d’illusione e disillusione su cui si esprime e si evolve la realtà cd. oggettiva. Ogni collettore inserisce i suoi sub-pda nascosti nelle sequenze di coerenza e coerenza inversa di alcuni sub-elementi fsc, all’interno di alcuni elementi analogici, facendo così rientrare questi ultimi nel suo ambito di applicazione (o, potremmo meglio dire, d’illusione). Negli elementi dell’esperimento dell’entanglement quantistico mancano sub-pda nascosti gestiti dai collettori di spazio e di tempo: o meglio, i sub-pda nascosti ci sono, ma sono coerenti con un’idea cronologica particolare: la sincronia. Non è quindi vero che due quanti (oppure, ormai, anche oggetti macroscopici) tra loro entanglati s’influenzano a vicenda al di fuori dello spazio e del tempo, ma semmai s’influenzano in spazi distanti ma a tempi sincroni.778 Mi riferisco allo spazio euclideo.347

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conosciuto solo grazie al filtraggio del tempo cronologico e dello spazio euclideo: noi non accediamo mai ai due pda non trasmutati, ma solo a quelli trasmutati, per i quali trova applicazione il procedimento di coerenza e di coerenza inversa insito nei sub-elementi fsc appartenenti alle due innervazioni dell’afc (quella logico-intuitiva e di percezione a fuoco e quella di percezione immediata) o alle innervazioni degli elementi del pda conscio (cs, sc e gp). Non esiste, quindi, un limite cronologico netto entro cui la cd. retrocausalità può operare, ma solo un limite da stabilire caso per caso, a secondo che il pda non trasmutato sia o meno venuto ad esistenza779.

Le teorie sull’autopoiesi (soprattutto quella di A.-T. Tymieniecka) sono state un’entusiasmante scoperta, che mi ha permesso di focalizzare dei tasselli intuitivi fondamentali che già mi “scorrevano” dentro. L’idea di flusso che si forma e si fonda da solo (autopoiesi, per l’appunto) e da cui emerge la coscienza e verso cui la coscienza si reimmerge continuamente è davvero irrinunciabile, per capire il flusso informativo dei percorsi di autocoscienza nella loro realtà “macro”, cioè nel loro formare effettivamente l’organismo autocosciente. Tali teorie sull’autopoiesi sono il regalo più bello dell’idealismo tedesco, degnissimi eredi di Husserl, ma comunque ammorbati dal suo stesso male: l’affezione per l’idea di assoluto. La dottrina che abbiamo ricevuto per rivelazione sugli assoluti è senz’altro ermeneuticamente più potente ed anche concretamente più utile ad ogni livello di qualunque tentativo di cui sia venuto a conoscenza, da Kant in poi, di fornire una spiegazione della dialettica tra assoluto e relazionale. Tuttavia prende spunto proprio da alcune geniali idee, offerteci da questi pensatori, di cui siamo immensamente debitori e a cui siamo sinceramente affezionati.

Ma forse più che ad ogni altro siamo debitori al grande C.G. Jung, di cui conosciamo più approfonditamente l’opera, anche se in modo senz’altro ancora molto parziale. Egli, pur non riuscendo ad abbandonare del tutto l’approccio dualista (che però mi sembra aver mantenuto quasi più come specchietto per le allodole, cioè per i suoi contemporanei, che come vera opzione di fondo), ha re-introdotto con potente analisi l’idea di archetipo e d’inconscio collettivo, che in questo saggio si sono trasformate nelle idee di paradigmi e di io collettivo. Grazie a lui abbiamo probabilmente potuto avvicinarci anche all’idea di analogia singolare, versione particolare ed infine assorbente dell’idea di archetipo o paradigma, di cui tuttavia abbiamo offerto una dottrina estremamente più potente sul piano ermeneutico ed ampia. Jung resta tuttora fonte quasi inesauribile d’ispirazione, per quanto mi separi da lui una distanza configurazionale enorme. Egli mi ha aiutato, anche sulla scia della quantistica, della relatività di Einstein e dell’aiuto fornitogli dal suo amico W. Pauli, a superare i collettori di spazio euclideo e di tempo cronologico. Un altro pensatore da cui sono, forse, altrettanto debitore è Thomas Kuhn, che nella sua Struttura delle rivoluzioni scientifiche offre l’idea di salto paradigmatico, su cui mi sono fondato avidamente e che ho sviluppato, anche qui, fino a distanze configurazionali immense rispetto agli esiti di questo grande epistemologo (a cui rimprovero l’idea che la scienza più matura debba ricalcare la matematica occidentale e che ogni rivoluzione scientifica equivalga alle altre sotto ogni altro profilo, rinnegando così qualunque idea di evoluzione che non ricada nell’idea di maturità testé citata). Kuhn collassa quindi in un’idea di relativismo per me inaccettabile, per quanto su di essa mi fondi per costruire il mio relazionalismo. Sono debitore anche di I. Lakatos, quanto a chiarezza di esposizione in campo epistemologico, e di Feyerabend, quanto a capacità dissacrante e lungimiranza nell’analisi dello stato in cui si trova la scienza di oggi, nonché nella critica dell’idea di esperienza (che tuttavia ho portato molto in avanti, rispetto al suo contributo).

L’idea vibrazionale, attiva in svariate frange del pensiero epistemologico che vanno dalla medicina orientale fino alle dottrine esoteriche che si rifanno alla quantistica, invadendo trasversalmente ogni disciplina olistica, in base al minimo comune denominatore rappresentato dall’energia, non è misconosciuta, anzi è esaltata oltre ogni misura dalla tca. Se infatti in tali discipline e ideologie la vibrazione energetica è camuffata come un fatto materiale, come un passaggio di qualcosa che può almeno trasformarsi da energia in materia, nella nostra teoria si accetta senza compromessi l’inesistenza di

779 Non si può riesumare la questione cronologica, rispetto a questa venuta ad esistenza del pda non trasmutato. Esso non viene, cioè, ad esistenza nel tempo cronologico. Infatti esso è generato dal linguaggio trasmutato che, per coerenza interna e grazie alla verifica offerta dal feed-back del grafèico puro, ottiene il pda non trasmutato. La generazione del linguaggio non trasmutato da parte del linguaggio trasmutato è la stessa generazione del figlio dal padre, di scritturistica memoria. Ne parlo in vari saggi, ma quello più specializzato in materia (e tuttora in via di redazione) è Trinità o funzioni conoscitive?.348

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qualunque assoluto, compresi gli assoluti derivati quali lo spazio euclideo, il tempo cronologico e perfino lo spazio-tempo relativistico, senza i quali la vibrazione come forma di energia perde ogni materialità, anche potenziale. Anche gli assoluti originari secondo noi non esistono, ma solo funzionano, permettendo l’esistenza delle rispettive configurazioni (che sono attratte, ma non costituite da tali assoluti). Al contempo l’idea di vibrazione, nella teoria analogico-configurazionale, pur andando a braccetto con quella di energia, non coincide affatto con quest’ultima. Le vibrazioni, di dodici tipi, coincidono infatti con i dodici assoluti originari. Ognuna è caratterizzata, pertanto, come un assoluto nella tas780, nella ttr781 e nella tfp782 (vd. Il testo-ricerca e Trinità o funzioni conoscitive?), e come un tassello di schema analogico-configurazionale nella tca. Acronimando gli assoluti per le rispettive iniziali, possiamo redigere una tabella di conversione tra tas e tca:

vibrazione Schema analogico-configurazionaleu-c ufc-afc-csu-a ufc-afcu-s ufc sc

(semplificazione di ufc in sc ad opera della telepatia diffusa)

s-c sc-cs(dallo stato di autocoscienza del pensiero)

s-a sc-gp(dallo stato di autocoscienza della sensazione e da quelli più spessi)

s-u sc ufc(complessificazione dello schema semplificato per presa di consapevolezza dell’interprete)

a-c afc-csiac

a-s iasa-u iauc-a cs afc

(complessificazione dello schema semplificato per presa di consapevolezza dell’interprete)

c-s cs-sc(dallo stato di autocoscienza del pensiero)

c-u cs-ufc(preparazione della comparsa e comparsa dell’ultimo elemento analogico del sub-pda, integrante il paradigma della configurazione di arrivo)

Come si può agevolmente notare, le dodici vibrazioni offrono alla tca l’intero set di elementi e sub-elementi e sub-sub-elementi che tale teoria adopera nella costruzione dello schema analogico-configurazionale, con l’unica (e più che ragionevole esclusione) dell’elemento grafèico puro che compare nei collegamenti ASg-ASg.

Una tecnica (forse esoterica) che è trasversale all’intero regno animale è la rigenerazione di parti del corpo asportate o gravemente compromesse. Si consideri che la stessa Scienza ufficiale ammette che un fanciullo, fino ai dodici anni, è in grado di rigenerare la punta di un dito tagliata, purché non troppo vicina all’attaccatura della prima falange, al punto da riformare per intero anche l’unghia. Ma mi sono stati riferiti due casi di diciottenni che hanno rigenerato metà dell’ultima falange (recisa di traverso per poco meno di

780 Teoria dell’analogia singolare.781 Teoria del testo-ricerca.782 Teoria delle funzioni (conoscitive) personificate.349

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un terzo) e il muscolo della prima falange, senza che si vedesse nessuna differenza rispetto alle altre dita. Per la comunità scientifica sono responsabili le cellule staminali, che in presenza delle condizioni giuste (sostanzialmente l’età infantile e ogni ulteriore condizione fisiologica che, in caso di perfetta salute, con essa si accompagna) si riformano e operano in perfetto coordinamento con tessuti, innervazioni, organuli, proteine specificamente dedicati, e chi più ne ha più ne metta. Stessa situazione negli anfibi, ma con rigenerazione d’interi arti e finanche di parti rilevanti del cuore e del cervello (nelle larve sottoposte ad asportazione di parti del cervello, si è arrivati in alcuni casi allo spuntare di una seconda testa più piccola al posto della ferita). La mattanza degli anfibi sembra senza fine, finché non verrà trovato il gene responsabile di tale capacità rigenerativa. Infine un gene è stato individuato in una specie (xenopus laevis) ormai presente quasi solo nei laboratori: con tale gene e tessuti presi da aree specifiche del suo corpo sono state sviluppate alcune componenti organiche per un nano-robot (delle dimensioni inferiori al millimetro), nel 2019. Tale robot dovrebbe occuparsi di riparazione dei vasi sanguigni. La scienza tecnologica pensa di essere sempre più vicina alla soluzione. Ciò che però renderebbe più complessa la cosa è che , a quanto ha rilevato un’ulteriore ricerca, l’evoluzione per sviluppare nuove funzionalità e organismi sempre più grandi e complessi, avrebbe superato la capacità di rigenerazione (che fino a 300 milioni di anni fa’ non sarebbe stato appannaggio degli anfibi, ma anche di molte altre specie. È quindi per permettere il sorgere di un adattamento migliore all’ambiente esterno che si sarebbe abbandonata progressivamente la capacità rigenerativa, che a questo punto richiede un’integrazione in tessuti, organi e innervazioni estremamente strutturate, che fanno da ostacolo allo sviluppo delle cellule staminali e al perfezionamento del loro lavoro di riparazione. Peraltro mancano ancora le stesse cellule da installare. Se ci volesse ancora molto tempo alla soluzione essoterica, ci sarebbe l’opportunità di svilupparne di esoteriche. Esse potrebbero metterei a loro base la teoria analogico- configurazionale, sfruttando gl’innumerevoli ponti mistici che già operano nell’uomo (oltre che, in versioni diversificate e più efficaci) negli anfibi. Come sempre andrebbero integrati con il msf e il mii.

Se ho dimenticato qualcuno o qualche idea fondamentale, chiedo scusa. Ma non era un elenco di ringraziamenti, bensì una scala per la costruzione dell’uomo nuovo, a cui senz’altro moltissimi altri hanno contribuito, anche se non li ho citati. Forse dovrò ingrandire nel tempo questo capitolo, per accogliere contributi altrettanto indispensabili. Frattanto, nel prossimo capitolo, effettuerò un confronto serrato tra questa teoria e quella della complessità.

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30. Confronto tra la teoria analogico-configurazionale e la teoria della complessità[i]Il principio di selezione naturale fisica783, proposto da Morin, è ad esempio abbastanza simile all’idea-

base della configurazione analogica (la deformazione dei confini intuitivi della realtà innescata dal paradigma). Ma mentre Morin parte dalla relazione fisica tra ordine e disordine, per approdare a quella di organizzazione che prevale spontaneamente sulla confusione, la tca parte dall’idea di analogia singolare che imprime energia e relazionalità nella rete della analogie indirette, tendenti di per sé alla deriva anti-relazionale. Entrambe le teorie, d’altro canto, arrivano a negare la possibilità di una conoscenza assoluta della realtà, reputandola un novero di sistemi complessi che acquistano una coerenza in movimento. Le due teorie si differenziano, pertanto, per alcune basi logiche e giungono ad esiti abbastanza conferenti (a parte, forse, le idee di scrittura, di attribuzione personificatrice dell’interprete e di progetto escatologico, che mi sembrano appartenere solo alle nostre teorie e riportano queste ultime molto vicine all’ambito della teologia cristiana e del pensiero cabbalistico784). Nella prima parte de La natura della natura, il grande Morin non adopera mai la parola progetto, ma semmai quelle più laiche di “gioco” e di “organizzazione”, che però fungono da grande sfida al meccanicismo e al materialismo della Scienza che pretende la s maiuscola. Potremmo dire che l’autore parigino785 non indulge a nessuna delle due grandi religioni istituzionali e tradizionali dell’Occidente. Ma vi è un abisso di differenza iniziale tra tca e teoria della complessità, laddove quest’ultima si fonda sull’idea d’interazioni (al plurale) tra elementi. Per Morin dal molteplice si arriva all’uno, inteso come coerenza (per cui ordine e disordine, coerenza e incoerenza sono due facce della stessa medaglia); per noi invece l’uno e il molteplice sono già due facce della stessa medaglia, senza bisogno di fondarsi su una molteplicità d’interazioni (che sono relegate ai linguaggi già trasmutati). Il rapporto stretto tra ordine e organizzazione, che l’autore parigino imposta come due fioriture tra loro indissolubilmente collegate che si alimentano a vicenda, grazie alla complementarietà con il disordine, si esprime secondo noi nel rapporto tra il caos degli stati di autocoscienza e la fùsis, tra la fùsis e la tecnica non costitutiva, tra la tecnica non costitutiva e la fùsis di fùsis (o fùsis di tecnica, che dir si voglia) e, infine, tra quest’ultima e la tecnica costitutiva. In una parola, il ciclo tetralogico che per Morin collega disordine, ordine e organizzazione grazie alle interazioni, si può secondo noi più propriamente esprimere nel gioco di scatole cinesi dei livelli di coordinamento della realtà, entro cui si gioca il rapporto tra le due vie (essere e non-essere; o anche: progettualità venusta e venustà della distruzione-dissoluzione). Tuttavia, già nella prima parte de La natura della natura, laddove l’autore parigino parla dell’entropia, si nota una parziale coincidenza (anche se con terminologia molto distante) tra l’idea di ordine delle cose, alla base della nostra teoria analogica, e quella alla base della teoria di Morin. Ciò che qui viene chiamato “rete analogica delle cose esistenti” e la tendenza “universalizzante” che in esso viene impressa grazie all’omonimo assoluto originario trovano un’espressione estremamente similare nello “apprendi-sistema

783 Secondo tale principio, partendo da elementi di un certo tipo che si trovino in una situazione di disordine, in cui viene impressa una dose sufficiente di energia ma entro condizioni precise di costrizione delle possibili interazioni, le interazioni casuali tra tali elementi portano alla formazione di un ordine stabile auto-perpetuante le proprie condizioni iniziali di disordine ed auto-alimentantesi come ordine, che assume quindi il carattere di organizzazione. Si crea così un ciclo triangolare stabile e tendenzialmente infinito così descrivibile: “disordine -> ordine -> organizzazione”. Uno dei pregi indiscutibili di questa teoria è la sua verificabilità, in quanto in fisica e in cosmologia gli esempi di questo specifico funzionamento della realtà sono estremamente significativi ed hanno portato alla nascita della materia e della vita che conosciamo. Vd. in proposito il paragrafo Le jeu des interactions in La Méthode, primo tomo La nature de la nature, di E. Morin. In tale paragrafo, l’autore riprende e rimette in una nuova veste teorica le idee di Von Foerster espresse nel suo principio order from noise.784 Ma si noti che, grazie alle idee d’illusione della realtà e di reincarnazione, le nostre teorie si avvicinano enormemente anche al pensiero buddista e, più in generale, a varie forme di pensiero dell’Estremo Oriente, a partire dalla matrice induista. Tuttavia m’intendo ancora così poco di tali filosofie, che mi astengo dal condurre ulteriormente i confronti, lasciandomi però plasmare dalla loro immensa sapienza antica (per non dire proprio, o più propriamente, arcaica).785 Chiedo venia al Prof. Morin se, talora, lo chiamo “autore parigino” o “autore francese”. Ciò non rende forse giustizia alla varietà dei luoghi di redazione della sua opera, che spaziano quanto meno dagli Stati Uniti all’Italia. In realtà, avendo deciso di commentare in modo integrale la sua opera, sono solo alla disperata ricerca di sinonimi per non ripetere troppe volte il suo nome.351

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che si sbriciola e si spezzetta nel movimento stesso in cui si costituisce”786. Questo cosmo, così descritto dal padre della complessità787, “è un processo che, attraverso i suoi avatar, prolifera in poli-sistemi e arcipelago-sistemi (le galassie, i sistemi solari), ma che da là si trova proprio snudato di ogni organizzazione sistemica d’insieme”. Come non trovare in tale descrizione l’eco dell’universalizzante, che fa tendere la realtà all’universale senza mai condurvela fino in fondo.

Approfondendo la differenza tra l’idea di “interazioni genesiche” (che per Morin avrebbero costituito l’ordine e l’organizzazione dal disordine, portando dal molteplice all’uno) e la nostra idea di un’iniziale788 schema analogico-configurazionale “ufc-afc-cs”, inteso come auto-intuizione dell’osservatore, da cui germinerebbe per differenziazione paradigmatico-configurazionale l’intera rete analogica delle cose esistenti, si scopre che si deve parlare più di analogia che di differenza. Riflettiamoci bene. Il padre della complessità789 ci suscita soltanto, ne La nature de la nature, un immaginario di micro-particelle/onde impazzite che, scontrandosi a livello probabilistico e/o materiale tra loro, avrebbero messo le basi dell’organizzazione della materia, fino ad arrivare alla formazione della vita e della vita cosciente. Egli non sostiene mai che le cose siano andate così, in senso spaziale790-cronologico791. Adopera, piuttosto, l’anzidetto immaginario per convincere del ciclo tetralogico (vd. infra), che rende complementari il disordine, l’ordine e l’organizzazione grazie alle interazioni. Non sostiene mai, d’altro canto, di poter immobilizzare la singola interazione significativa, se non con una costruzione della mente. Tale costruzione non può essere posticcia (a posteriori) in senso cronologico, né riferita ad una spazialità esatta, poiché gli assoluti di spazio e di tempo, per sua stessa ammissione (come dell’intera scienza occidentale), non esistono. L’idea d’interazioni, che s’incardina nel ciclo tetralogico, è quindi da un lato un espediente retorico, dall’altro lato un’indicazione che introduce le idee di caso, di avvenimento e di accidente nel contesto “genesico” dell’organizzazione. Adesso chiediamoci: Morin è davvero convinto della storiellina delle prime micro-particelle/onde che si scontrano per formare il nostro universo? O non la sta piuttosto raccontando per innescare in noi un salto paradigmatico inconscio? Ebbene, ogni pensatore, per introdurre gli altri nel proprio sistema di pensiero, ha la necessità d’innescare simili ponti mistici, altrimenti l’umanità – sic et simpliciter - si fermerebbe! C’è una velocità evolutiva da mantenere, nel pensiero umano, che richiede in modo stringente una simile prassi retorica. Quindi la storiellina della genesi dell’universo dalle interazioni non distanzia minimamente la teoria dell’autore francese dalla tca, ma è semmai il portato di tale espediente retorico che introduce le prime diversità ideologiche (cioè le idee di caso, avvenimento e accidente, che si possono comunque tradurre in termini di teoria analogico-configurazionale). Altra idea che germinano da quella d’interazione è quella di probabilità statistica (che, per formarsi, richiede per il vero l’intervento della meccanica quantistica), che trova come proprio opposto complementare quella di “probabilità di sopravvivenza” nonostante l’improbabilità statistica (op. cit., posiz. 1846, KE792). In relazione 786 E. Morin, La Nature de la nature, posizione 1564 dell’edizione Kindle.787 Chiedo venia al lettore se, a volte, me ne esco con espressioni altisonanti e semplicistiche come “padre della complessità”, misconoscendo (evidentemente) l’opera di molti altri che sull’argomento hanno preceduto e seguito Morin con contributi indispensabili. E’ evidente che ogni tanto ho più a cuore l’inserimento di un argomento retorico a mio favore, tanto da indulgere a simili espressioni, che tuttavia (in questo caso) nascondono più che un fondo di verità: basti leggere La methòde.788 La parola “iniziale” non va intesa in senso cronologico, ma di cominciamento creazionale (Gn 1,1).789 Immagino che Morin, se leggesse queste pagine, protesterebbe ad ogni nuovo riferimento al “padre della complessità”, in quanto già altri prima di lui nel Novecento hanno introdotto e trattato il grande tema della complessità, dandogli peraltro grandi appigli ermeneutici. Ma il lettore è già edotto della mia scorrettezza, nell’abusare di alcuni artifici retorici che servono, lo ripeto, solo a convincerlo a livello intuitivo (mentre a livello intellettivo sono d’accordo che il lettore non vada tenuto all’oscuro delle mie macchinazioni telepatiche nei suoi confronti). Ciò che voglio ottenere, con queste licenze poetiche (pur giustificate in parte per l’importanza che Morin ha assunto nel panorama epistemologico – e scientifico tout court, grazie al suo contributo all’accoglimento di teorie come quella cosmica dell’inflazione - mondiale), è agevolare il lettore nella sua interpretazione grazie a studiati ponti mistici, che gli rendano più agevole il percorso ermeneutico e più sicuro (a mio vantaggio) l’esito di quest’ultimo. Data la mia scorrettezza, ciascuno faccio un po’ i suoi conti in tasca!790 Mi riferisco alla spazialità dell’uomo della strada, quindi allo spazio euclideo, studiato con i tre assi cartesiani.791 Mi riferisco alla metafora della retta del tempo, che contiene infiniti punti di cui uno solo è il presente. Questa è anche l’idea di tempo dell’attuale uomo della strada.792 KE = Kindle edition.352

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a questa idea, vediamo come Morin risolve la contraddizione logica della storiella anzidetta, anche se in un contesto già diversificato ma abbastanza simile: “Bisogna dunque de-reificare l’opposizione assoluta tra le nozioni di probabilità e improbabilità. Questi concetti antitetici hanno, essi stessi, la loro comunicazione e la loro permutazione dialettica” (op. cit., posiz. cit.). Se quindi una differenza c’è, tra la teoria di Morin e la teoria analogico-configurazionale, si muove sul piano della dialettica, non delle basi epistemologiche più generali sulla realtà. Anche per Morin la realtà non è assoluta, ma in movimento dialettico, e non può essere ricostruita in modo certo, assoluto. Con il suo permesso, si potrebbe sostenere che egli intendesse costruirla con gli argomenti più solidi per l’intuizione umana e non arpionarla alle teorie materialiste e meccaniciste della cosmologia e della fisica ancor oggi contemporanea. Come ogni epistemologo contemporaneo, egli è costretto a muoversi tra tali teorie, ma le considera (a nostro avviso) provvisorie, non certo definitive. Considera invece definitiva l’acquisizione della complessità alle teorie scientifiche (ciò su cui mi trova davvero d’accordo, purché la definitività non sia intesa, ancora una volta, in chiave cronologica).

Un’idea fondamentale della teoria della complessità (che nasce soprattutto dal confronto con l’entropia) è quella di sistema aperto. Un sistema può essere isolato o aperto: in quest’ultimo caso, il suo destino ultimo non è scritto dall’entropia. Come infatti il movimento genesiaco che ha portato alla nascita del nostro universo contraddice l’entropia (in quanto nessun sistema si può nemmeno costituire, se soggetto all’entropia fin da suo primo movimento costitutivo), se un sistema rimane aperto all’ambiente esterno può quanto meno scaricare in esso la propria entropia, come anche trovare l’occasione di un’incresciosità organizzazionale che superi la “produzione” di entropia. L’universo, d’altronde, non sarebbe un sistema chiuso, ma un “apprendi-sistema” che, pur tendendo a diventare sistema, si frammenta immancabilmente prima di diventarlo. La considerazione che la tca può farsi dell’entropia è estremamente similare, direi sulla stessa linea d’onda ideologica, anche se partendo da premesse diverse. Nella realtà configurazionale, infatti, l’entropia si può spiegare come una serie di pda in cui prevalgono alcuni pda-dist, che disgregano l’organizzazione raggiunta in alcune configurazioni a vantaggio di altre non considerate dall’osservatore. A quest’ultimo sembra quindi che vi sia una dispersione, quando invece vi è una trasformazione con cui può stare o meno al passo. Ma se riesce a configurare dei pda-dist che neutralizzino i pda-dist per lui entropici, ecco superato il problema dell’entropia, che alla fin fine era solo un problema di tendenza solipsistica dell’osservatore (inteso come organismo vivente auto-cosciente, che tende a diventare invece che l’intera rete analogica delle cose esistenti un mero sistema di sistemi configurazionali, perdendo la propria complessità e coerenza per aver “perserverato” nella via del non-essere).

Il disordine, che ha tanta importanza nella teoria della complessità, mantiene in essa un carattere misterioso, per il suo legame con l’ordine e l’organizzazione. La tca, tuttavia, ne offre una spiegazione molto chiara in termini di sfrangiamento dei percorsi di auto-coscienza. Lo sfrangiamento, inoltre, si collega ai pda-dist (generati dagli osservatori o dalle zip- e racc-fùseis, che annichilano la volontà che sorregge i percorsi in parola). Questa chiarezza potrebbe quasi inquietare, o sembrare moneta falsa: però se ne può cogliere il valore considerando che essa non nega, anzi scruta l’ineffabile, grazie alla scrittura. Nei capoversi scritturistici infatti è nascosta la spiegazione così chiara delle situazioni di sfrangiamento, ma con linguaggi ineffabili e da interpretare.

Nell’analisi del disordine, Morin propone di considerarne l’ambivalenza (di disordine che genera ordine e viene dall’ordine generato, nel ciclo quaternario di disordine->interazioni->ordine->organizzazione->disordine->...), a partire dalla sua sorgente ignota (il prima del nostro universo, dal cui disordine quest’ultimo è sorto). Considera inoltre i suoi caratteri: caso, evento e accidente. Ma sia la sua ambivalenza che i suoi caratteri poggiano su basi logiche incomplete, che ci mantengono tra confini solo tendenziali, ancora privi di un funzionamento preciso, di una tecnica costitutiva dell’essere. Il disordine interpretato come sfrangiamento, che si costruisce con un novero notevole di collegamenti analogico-configurazionali su più livelli di significato (dal più puramente ineffabile al più strutturato), si colloca invece proprio in un contesto di tecnica costitutiva (il livello più elevato di coordinamento della realtà). Il caso diventa così il procedimento di coerenza inversa che si libra nella potenza virtualizzante e virtualizzata, grazie all’ASs di trasduzione. L’avvenimento è una nuova costruzione dei linguaggi trasmutati, che ottiene il feed-back del grafèico puro. L’accidente, infine, è il portato analogico-configurazionale della nuova trasmutazione che non è comprensibile con i vecchi linguaggi. Ma se anche l’approccio iniziale di Morin al disordine appare

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deficitario (al punto che invoca l’immanenza del disordine per mascherare l’assenza d’ipotesi sul suo funzionamento), non si perde d’animo e continua senza tentennamenti la ricerca. Ipotizza così che l’immanenza del disordine non sia assolutezza del disordine stesso, ma sua relazionalità. Per l’autore c’è un modo di procedere dal disordine all’ordine che si declina in tre fasi: materializzazione interazioni organizzazione (op. cit., pos. 1721 KE793). Questa è per noi una visione illusoria involutiva, salvo che per lo sviluppo che ha consentito nella teoria di Morin, grazie a percorsi particolarmente intriganti e venusti. Non avendo senso ripetere percorsi già percorsi, si propone l’illusione a nostro avviso più evolutiva, che ci consente spiegare: a) la materializzazione in termini di coerenza che l’ifscβ dell’afc (o la gp) assume nei confronti dell’ifscα dell’afc (o rispettivamente nei confronti degli elementi cs e sc del sub-pda di riferimento); b) le interazioni come relazioni configurazionali (con la rispettiva base analogica a sostenerle) tra sub-pda, pdac e pda-dist; c) l’organizzazione come ifscα dell’afc o come sub-pda del primo, quarto o quinto livello configurazionale, nonché come gl’incroci tra sub-pda resi possibili da tali figure configurazionali. Ma andando più a fondo nelle radici del rapporto tra ordine e disordine, notiamo che per Morin la singolarità sta all’origine dell’emergere dell’ordine dal disordine. La singolarità pone delle costrizioni di percorso al disordine, che diventa così ordine. Tale singolarità, per lui collocantesi (almeno quanto a cd. effetti) nel tempo cronologico, finisce poi per perdere la propria unità, per il fatto che si diversifica in una molteplicità estremamente variegata di ordini. Nel linguaggio analogico-configurazionale si spiega ognuno di tali ingredienti in modo molto più conferente, parlando di “analogia singolare” laddove Morin parla di “singolarità”, di schema analogico “ufc-afc-cs” laddove Morin parla di “uno”, di schema configurazionale (con i suoi molteplici sub-pda incrociati - corrispondenti ciascuno ad una configurazione - pdac e pda-dist) laddove l’autore francese parla di “molteplicità di ordini” (op. cit., pos. 1743, KE). Il pregio del linguaggio analogico-configurazionale è che spiega per filo e per segno la realtà cd. materiale, mentre Morin deve prendere atto con stupore che “l’ordine ha cessato di essere esterno alle cose: è ormai contestuale, inseparabile dalla materialità specifica degli elementi in interazioni e da queste interazioni stesse” (op. cit., pos. 1755, KE). Anche la circolarità dell’organizzazione, che nutre il disordine nell’ordine e viene a sua volta nutrita dal disordine dell’ordine, è agevomente spiegabile nelle molte relazioni circolari che abbiamo approfondito in questo saggio. Che in tali relazioni circolari vi sia stato l’aiuto di un operatore esterno alla realtà stessa, l’essere, cioè la spinta evolutiva intelligente e intuente della realtà, è corroborato dalla rapidità di sviluppo della vita sulla Terra, nonché la precisione estrema delle condizioni che consentono la vita (e ancor più la vita umana, così fragile eppure così potente e temibile) nella biosfera.

Nella teoria della complessità s’introduce, secondo le parole di F. Varela, un “principio di selezione che diminuisce le occorrenze possibili di disordine” (op. cit., pos. 1837, KE) per chiudere sempre di più l’organizzazione nel suo “chiostro” riparato dalla dispersione e disorganizzazione dell’ambiente esterno. Ciò non impedisce, però, anzi richiede, che il disordine sia integrato nell’organizzazione, facendo crescere quest’ultima. Nella tca il principio di selezione del disordine (per scartarlo) e quello d’integrazione del disordine (per nutrire l’organizzazione) sono corretti come limitazione imposta al sub-pda dai confini intuitivi del paradigma di riferimento (selezione del disordine) e come cammino di trasformazione del sub-pda grazie ai salti paradigmatici resi possibili dai pdac e dai pda-dist, nelle loro specifiche interazioni, ai fini dei successivi salti paradigmatici (integrazione del disordine). Mi sembra che questo correttivo sia molto in linea con il pensiero di Morin, che nel contesto di questi due principi (selezione e integrazione) parla in modo specifico di paradigma.

Studiando in modo più approfondito la relazione tra probabilità e improbabilità, notiamo che l’autore adopera queste precise parole: “così noi vediamo che ci sono, nell’improbabilità, dei buchi dove prendono stanza delle sfere di necessità, degli isolotti di probabilità”. Il discorso diventa più preciso e chiaro se tali termini di probabilità e improbabilità vengono sostituiti dall’idea d’incrocio tra sub-pda e pda-dist (e cioè tra percorsi, a secondo dei casi, che collaborano nella formazione del significato analogico – i sub-pda – o che arrivano a tale formazione per il loro antagonismo reciproco – i sub-pda e i pda-dist). Prosegue infatti Morin: “Questi concetti antitetici hanno, essi stessi, una loro comunicazione e una loro permutazione dialettica”. Ebbene l’idea di comunicazione, come quella di permutazione e quella di dialettica, non possono

793 Kindle edition. Si noti che la “posizione” che il lettore Kindle assume non può essere precisamente quantificata: ogni volta che cito la KE, quindi, riporterò la posizione che m’indica il device al momento della lettura. Sarà cura del lettore cercare, in prossimità di tale posizione, le citazioni tratte dalla KE.354

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che sembrarmi alludere alla costruzione dei salti paradigmatici. Questi ultimi, infatti, rendono più elementi comuni (“comunicazione”) a più configurazioni (sotto forma, ora di elementi regolari, ora di elementi anomali, rispetto al paradigma di riferimento), nonché capaci di mutare passando attraverso (“permutazione”) una nuova configurazione (nel gioco di sub-pda in sequenza o incrociati, di pdac consci e inconsci e di pda-dist) e infine si raccolgono diversamente grazie a differenziazioni di percorso (“dialettica”) quando entrano in collegamento analogico con elementi dalla logica paradigmatica differente. Dal tema dell’improbabilità (della materia, della vita, della coscienza) si passa poi, nella teoria della complessità, alla questione dell’incertezza: cosa prevarrà? L’organizzazione della materia, della vita e della coscienza o il disordine della dispersione (che spazza via tutti e tre i tipi di organizzazione in parola)? Il problema viene inizialmente impostato come vertente sulla prevalenza logica tra una di due alternative: è il disordine che fa parte dell’ordine, o viceversa? Ma la risposta di Morin è, in definitiva, il destino incerto dell’organizzazione, come di prevalenza o soccombenza rispetto al disordine. L’esito del problema, almeno nei primi capitoli del primo tomo de La mèthode, infatti, è la compresenza di entrambi i destini antitetici. Rispetto alla nostra teoria, la differenza è ancora una volta più terminologica e legata ai punti di partenza, che non agli esiti ultimi del discorso. Abolendo l’aspetto cronologico di quest’ultimo anche nella terminologia, nella teoria analogico-configurazionale è evidente che la battaglia tra i due esiti (evoluzione relazionale dell’essere o involuzione autoimplodente del non essere) è drammaticamente aperta. Infatti, anche se l’essere è immensamente più potente del non-essere, gli è complementare e vuole per amor suo trasformarlo in sé, senza annullarlo in sé (quindi senza mai finire di trasformarlo). E’ una battaglia vinta in partenza, poiché la vittoria è la battaglia stessa, ma è incerta poiché una delle due parti in lotta potrebbe perdere interesse alla battaglia o riuscire ad estraniarsene del tutto (solipsismo). Una vittoria definitiva dell’essere come un’estraniazione definitiva del non-essere dalla battaglia sarebbero altrettanto esiziali. Inoltre, poiché l’essere è misteriosamente il frutto dell’atto di autocoscienza del non-essere, non ha senso chiedersi se la priorità logica, in un mondo segnato dal finalismo e dalla sua ambivalenza patologia-salute, sia da tributare all’evoluzione della strutturazione del reale o alla sua involuzione. La questione s’impone come già impostata in via asseritamente irresolubile, salvo che per la vittoria escatologica (che è anch’essa a-cronologica). Sembra quindi che la tca contribuisca solo ad approfondire il destino incerto di cui parla l’autore parigino.

Ma anche l’idea d’illusione, attribuita dalla tradizione buddhista alla realtà, non è per niente lontana dalle pieghe del pensiero del padre della complessità. Egli, infatti, muovendo i primi passi di La mèthode, specifica in uno dei tanti ragionamenti circolari e autocontraddittori quanto illuminanti: “Non è la nascita [del cosmo] che è avvenimento, è l’Avvenimento [inteso come singolarità] che è nascita [...]” (op. cit., posiz. 1910, KE). La nostra idea di cronologia genesiaca (presente come estremo limite del primo istante dell’universo, ancora non raggiunto dalla conoscenza umana nella teoria del Big bang) diventa decisamente illusoria, se l’evento scatenante, il Big bang stesso, è complesso, cioè è indispensabile per far emergere l’interpretazione di sé. Esso, infatti, non può essere conosciuto grazie ad elementi cronologici e/o spaziali esterni a sé. Complesso diventa sinonimo d’illusorio, ogni volta che si provi a stringerlo nelle categorie della logica tradizionale794. “E questo carattere si ripercuote su ogni cosa organizzata, astro, atomo, essere vivente, che ha nella sua origine e nella sua fine qualche cosa di evenemenziale” (op. cit., posiz. cit.). La distanza che sembra prendere Morin dallo sviluppo cosmico di tipo “ascensionale” (posiz. 1934, KE) di T. de Chardin è anch’essa illusoria. Immagino che per l’autore laico la dottrina del gesuita sia troppo segnata da una terminologia cristiana, ma questi nel riconoscere in sostanza una natura provvidenziale all’evoluzione del cosmo ometteva solo d’introdurre alcune categorie (caso, probabilità, improbabilità e spreco – di anti-materia e, più in generale, d’interazioni), che in Morin appaiono sempre più pletoriche se opposte sterilmente a quelle nemmeno troppo provvidenziali introdotte dal primo. E’ lo studio della complessità, con l’incertezza del suo esito, che fa emergere il pensiero di Morin rispetto a quello simil-provvidenziale di T. de Chardin, non le categorie dianzi citate. Queste ultime possono essere ricongiunte dalla tca (grazie al sub-procedimento di coerenza inversa dell’elemento intuitivo puro o afc) all’aspetto osservazionale della

794 Ho spesso chiamato questo tipo di logica con l’appellativo di “aristotelica”, ma ho poi appreso di recente che Aristotele non era così indietro: è stata semmai la nostra logica tradizionale a semplificare il suo pensiero, che al contrario nell’idea d’immanenza aveva già introdotto un principio di complessità. Questa nota valga come richiesta di scuse al fisolofo di Stagira.355

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realtà. Se ci vogliono tanti spermatozoi per un concepimento umano, infatti, non vuol dire (in una realtà illusoria come sopra specificato) che gli spermatozoi in esubero siano dissipati, gettati via, ma solo che l’osservatore può avere una qualche percezione di vario tipo, in ordine a tale sperpero, grazie al sub-procedimento citato. Ogni menzione di spreco effettivo, viste le premesse epistemologiche di Morin, ha quanto meno un aspetto dogmatico (se non proprio autoreferenziale fino al solipsismo): egli stesso se ne astiene, esprimendo per De Chardin una sorta di cortese diniego estetico. Ma il fatto che lo spreco nel cosmo non sia effettivo, ma illusorio, non toglie nulla al suo significato nel contesto di una teoria della complessità. La nostra teoria analogico-configurazionale, che si fonda in questo sulla nostra precedente teoria espressa (in un ambito ideologico che potremmo definire epistemologico-sacrale) in Trinità o funzioni conoscitive, legge nello spreco d’interazioni (che genera materia, vita e coscienza) un messaggio, mentre Morin cercherebbe un termine non appartenente alla sfera religiosa: invece che messaggio, ad esempio, egli potrebbe designare il termine di significato complesso. Ma anche qui i termini non cambierebbero le cose radicalmente, solo agevolerebbero o meno i salti paradigmatici inconsci, occorrenti a persone dall’appartenenza ideologica laica, per arrivare a intuire la complessità.

Nel paragrafo Le temps complexe (il tempo complesso), che inizia alla posizione 1945 della Kindle Edition (KE) de La Nature de la nature, Morin chiosa la questione del tempo con il seguente periodo: “Così, fin dalla partenza, il nuovo universo fa sorgere, non soltanto il tempo irreversibile, ma il tempo complesso”. Il tempo complesso è quello sincretistico, cioè quel tempo che nei suoi cicli e grovigli interseca in modo irrazionalizzabile aspetti diversi, come la cristallizzazione dell’ordine, l’evenemenzialità, la dispersione, la stagionalità, il progresso, l’evoluzione della coscienza, la distruzione irreversibile, ecc... Quest’ultimo aspetto (la distruzione irreversibile, o dispersione), che viene chiamata “il tempo irreversibile”, costituisce dunque, per Morin, un aspetto d’importanza paritetica rispetto alla complessità in cui pur s’inserisce. Il mio sospetto è che in questa fase de La Méthode l’autore non prenda (o non prenda ancora) atto, fino in fondo, dell’illusorietà delle categorie di spazio e di tempo assoluti. Prendendo sul serio tale illusorietà (che altro non è che l’impossibilità di razionalizzare nelle categorie della logica tradizionale la complessità del reale), come si può anche solo ipotizzare una condanna a morte irreversibile del cosmo. Il fatto che, per la sua stessa complessità, la coscienza sia più grande dell’intero cosmo, che ne rappresenta una sorta di vestito, concede alla coscienza stessa di cambiarsi di abito (pur nella battaglia che a tale passaggio logico non può che accompagnarsi, vista la nostalgia che la nostra civiltà sembra manifestare per il vestito-cosmo dal tempo irreversibile). Come ci giriamo intorno, se li vogliamo vedere, troviamo solidi indizi di superamento del vestito vecchio: esperienze di cd. premorte o morte apparente (che è morte biologica a tutti gli effetti, da cui però si può tornare indietro e su cui si è studiato e si continua a studiare, più spesso fuori dai circoli ufficiali), medianismo, ipnosi regressiva, sdoppiamento dell’anima dal corpo o viaggio astrale, registri akashici, radioestesia, ESP, guarigione (di ogni tipo: a distanza, con le parole, con le relazioni, con l’imposizione delle mani, con la riattivazione dei punti di pressione del corpo grazie a varie tecniche, ecc…) e autoguarigione, e chi più ne ha più ne metta. Nel presente contributo cerchiamo di dedicare appositi capitoli collettanei a ciascuno di questi temi, partendo sempre dal presupposto (abbastanza scontato) che la condanna a morte del cosmo sia una grande bufala, se confrontata con l’ampiezza di possibilità che si aprono anche solo prendendo questi sentieri, già battuti da milioni di persone nell’arco di millenni (e solo di recente, cioè negli ultimi centocinquant’anni, riscoperti uno alla volta). La parentesi di determinismo dualista inaugurata da Galileo, Bacon e Newton, e salvata in corner da Carnap, si sta crettando da tutte le parti e prima o poi collasserà: noi non ci troveremo tra i nostalgici di un universo dal tempo irreversibile. Consideriamo Morin, tra le molte cose che può rappresentare nella sua genialità, anche un abile oratore che riesce a parlare a due mondi: uno che sta per finire e uno che sta per rinascere. Mi chiedo se oggi avrebbe (o abbia già avuto) il coraggio di voltare le spalle al tempo irreversibile, non per negarlo, ma per tornare appieno nei ranghi del tempo complesso e combattere il primo.

Nel settimo capitolo del primo tomo, finalmente Morin arriva a delineare (all’inizio in modo quasi impercettibile) quello che abbiamo chiamato in Trinità o funzioni conoscitive? (e anche in alcuni passaggi del presente contributo) con il nome di rapporto speculare. La centralità di tale rapporto è innegabile non solo nella nostra opera, ma anche nella direzione che sta prendendo la nostra civiltà quanto a moti evolutivi (escludendo, quindi, i moti involutivi come la deriva tecnologica, in particolare la rivoluzione digitale). Analizzando il passaggio dell’Occidente dall’idea della certezza dell’oggettività, resa possibile ed imperante

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dal pensiero dualista, all’idea dell’incertezza che fa indagare la soggettività dell’osservatore, l’autore francese esce con queste proprie parole: “[…] sotto l’effetto rivelatore, nel senso quasi fotografico del termine, dell’incertezza, il viso dell’osservatore/concettore si disegna in sovraimpressione sull’immagine infinita del cosmo che egli contempa”. Il dado, come disse Cesare, è tratto. “Il problema del soggetto che s’impone a noi non è un problema di “soggettività” […], è l’interrogazione fondamentale del sé su di sé, sulla realtà e sulla verità. E questa interrogazione fa sorgere non soltanto il problema della determinazione bio-antropologica della conoscenza, ma anche quello della determinazione socio-culturale” (op. cit., posiz. 2023, KE). Morin introduce (rimandandolo però al terzo tomo) una questione molto spinosa, quanto negletta oggigiorno: la ritualità della scienza occidentale, che avendo dovuto abbandonare il paradigma dell’ordine stazionario, si è lanciata in una corsa all’acquisizione di sempre nuovi paradigmi (purché frammetari e meno significativi possibile, rispetto all’idea stessa di sgretolamento dell’oggettività). Ma in che senso vi sarebbe, in tutto questo, della ritualità? L’autore propone il paragone con le civiltà del passato, che ricercavano nell’ordine cosmico quei modelli da ripetere nei riti sociali, al fine di rigenerare la società stessa, nel momento stesso in cui si andava a rigenerare con detti riti il cosmo stesso. La scienza umana si potrebbe, cioè, essere adeguata in modo occulto ad un modello che vede nel cosmo, incrinando la propria facoltà di soffermarsi su un paradigma specifico per costruirvi sopra un cammino collettivo di più ampio respiro. Ma la questione occulta rimane per ora in sospeso. Morin si concentra sulla singolarità di una scienza che entra in fermento e rappresenta così la punta dell’iceberg del disordine cosmico: cosa nascerà da una società ingravidata da una simile scienza? L’opportunità di un superamento degli scogli evolutivi inizia forse a farsi presentire, nelle parole del filosofo francese, che nel suo laicismo di accademico non si sente ancora di proporre un progetto all’umanità.

Ad un certo passaggio del primo tomo de La Méthode, Morin arriva a superare, almeno potenzialmente, la schiavitù ideologica del tempo irreversibile: “Non si sa se la diaspora cosmica sommergerà gli arcipelaghi organizzati o se questi avranno degli sviluppi superiori che permetteranno loro di sopravanzare la diaspora generalizzata” (op. cit., posiz. 2071, KE). Il tempo diventa così reversibile, poiché l’organizzazione può sopravanzarne il potere dispersivo. Se ci si pensa bene, l’organizzazione può addirittura rimettere indietro le lancette del tempo, almeno ipoteticamente, se partiamo dalla base teorica secondo cui la realtà è un tira-e-molla tra dispersione e organizzazione795. Come giustamente rileva l’autore, tanto l’origine quanto l’esito di una tale alternativa (tra dispersione e organizzazione) affondano nella complessità. Le alternative-chiave insolubili, che impediscono la comprensione del mistero sotteso alla complessità, sono affrontate dall’autore con l’approccio al metodo. Sarà il metodo che, secondo lui, deve far volgere a vantaggio della nostra conoscenza le alternative tra fùsis e società (quale delle due dipende dall’altra, se ciascuna è definita grazie all’altra?), tra cosmo e osservatore (è il cosmo a costruire l’osservatore o l’osservatore a permettere l’esistenza del cosmo?). Anche noi nel presente contributo siamo approdati, dopo attenta analisi teorica ai metodi per il raggiungimento delle configurazioni remote, riunendoli in un metodo integrato. Il nostro obiettivo è non accettare limiti precostituiti alla conoscenza, ma contrattarli con l’essere supremo o sé archetipico dell’uomo. Qualche obiettivo simile sembra avere anche Morin, quando si chiede: “Sapremo inglobare il conoscente nella conoscenza e afferrare quest’ultima nel suo radicamento multidimensionale?” (op. cit., posiz. 2108, KE). E’ quindi nel rapporto di auto-coscienza (da noi chiamato “rapporto speculare”) che si dischiuderebbero le basi del sapere più profonde e perspicaci, tali da formare l’orizzonte giusto per una ricerca che non accetta limiti precostituiti.

Una differenza apparentemente enorme tra la nostra teoria e quella del padre della complessità è la base che fa da innesco al discorso sull’organizzazione: l’idea d’interazione, per Morin, quella di collegamento analogico, per noi. Il collegamento analogico è in realtà una specie del genere interazione, limitata al campo logico, che aspira e pretende, però, di essere l’unico tipo d’interazione possibile, nelle due varianti (abissalmente differenti) di analogia indiretta e di analogia singolare (a sua volta declinabile in analogia singolare seférica e analogia singolare grafèica). Potrebbe quindi non esservi alcuna inconferenza

795 Giova ricordare che l’organizzazione, nel pensiero dell’autore de La méthode, è ordine che si auto-reitera e si accresce, grazie alla conversione di sempre nuovo disordine. Il disordine diventa così il carburante dell’organizzazione per la propria ricostruzione, nel mentre stesso che è proprio il disordine a richiederne la ricostruzione. Morin non parla di rimettere indietro le lancette del tempo, ma non si può escluderne la possibilità (che, dal mio punto di vista, è solo un argomento per rimarcare in modo ancora più chiaro che il tempo non è più irreversibile in modo assoluto).357

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tra le due teorie. Occorre verificare se anche l’interazione di Morin possa restringere il proprio campo di caratteristiche funzionali a quelle della logica (e, più specificamente, dell’analogia) e con quali declinazioni interne.

Morin cerca quindi di costruire l’idea di organizzazione, a partire dall’analisi della teoria antagonista: il cd. riduzionismo. L’organizzazione, infatti, in un contesto di unità semplici che, aggregandosi, rispecchiano le loro proprietà negli oggetti, ha un ruolo meramente accessorio. La complessità dell’organizzazione, infatti, non è ammessa. Analizzando la crisi del riduzionismo, Morin pone l’accento sull’impossibilità di trovare nelle particelle elementari (costituite in circa duecento tipi, ciascuno dei quali è comprensibile più a partire dalle interazioni di campo che non come corpuscolo vero e proprio) quei mattoncini che permettano di costruire l’oggetto che ne rispecchi leggi e caratteristiche. “Le particelle hanno le proprietà del sistema ben più che il sistema non abbia le proprietà delle particelle” (op. cit., posiz. 2204). Salta subito all’occhio, anche prima che Morin sottolinei il punto, che vi sono come due sub-procedimenti che si accordano tra loro: uno di coerenza (che segue la logica riduzionista) e uno di coerenza inversa (che segue la logica della complessità). Entrambi questi due sub-procedimenti (che noi abbiamo reso plasticamente nelle due innervazioni dell’elemento intuitivo puro o afc796) sono a loro volta uniti nella complessità del reale, a nostro avviso grazie ad un’analogia singolare sefèrica, sostituita o meno da una zip- e racc-fùsis (vd. il relativo capitolo). Il parallelo con il periodo appena citato, vergato dall’autore parigino, ci fa pensare che i rapporti sub-atomici siano regolati a livello del sub-procedimento di coerenza inversa (e cioè all’interno dell’ifscβ dell’afc o nella gp), mentre i rapporti tra atomi e, su su a salire, quelli sempre più macroscopici, siano regolati dal sub-procedimento di coerenza (e cioè all’interno dell’ifscα dell’afc o negli elementi analogici cs e sc). In effetti, le relazioni così ingarbugliate tra particelle (che hanno anche la natura di onda) trovano la loro incoerenza nella giustapposizione degli elementi analogici ad esse sottese e la loro coerenza grazie ai salti paradigmatici, mentre le relazioni tra cd. oggetti trovano, al contrario, la loro incoerenza nei salti paradigmatici e la loro coerenza grazie alle giustapposizioni degli elementi analogici. Due esempi, uno per ciascun sub-procedimento, ce lo chiariranno. Il primo esempio riguarderà l’osservazione degli oggetti, il secondo esempio riguarderà l’osservazione di elementi che non possono essere oggettivizzati. Consideriamo preliminarmente che il nostro modo di procedere per salti paradigmatici (chiamati anche “analogie singolari sefèriche”) e per giustapposizioni di elementi analogici (chiamate anche “analogie singolari grafèiche”) riguarda le funzioni dell’intuito, dell’intelletto e della percezione a fuoco (tutte e tre compendiate nel sub-procedimento di coerenza dell’ifscα dell’afc o negli elementi analogici cs e sc) – la percezione a fuoco si articola, poi, nelle sue due declinazioni di percezione intellettiva e di percezione intuitiva -, e la funzione della percezione di sfondo o non a fuoco (sub-procedimento di coerenza inversa, espresso nell’ifscβ dell’afc o nella gp). Il primo esempio riguarda la caduta delle mele dai rispettivi alberi. L’osservazione che riguarda la caduta della mela riguarda oggetti: la mela, l’albero, il terreno. Poniamo che la prima volta che Newton abbia visto cadere una mela, ciò sia accaduto in maniera puramente casuale. Newton passa accanto ad un melo e assiste alla caduta di una mela a terra. Newton considera la cosa perfettamente normale, anche se vi è una giustapposizione di elementi. Non vi è infatti una spiegazione apparente dell’accaduto: la mela cade quando è matura, certo, ma perché una mela matura cade e un uomo maturo non è destinato a cadere per forza. Un uomo, infatti, cade piuttosto quando è vecchio o quando inciampa, non quando è maturo. Tuttavia è perfettamente coerente che una mela cada quando è matura, poiché è questo che capita alle mele. Non occorre trovare una legge semplice, per giustificare un comportamento complesso in campo naturale, poiché l’importante è che le mele cadano sempre verso il basso. L’incoerenza si avrebbe solo se le mele cadessero verso l’alto. Newton, però, non si ferma a questa prima constatazione di coerenza: egli si fa una domanda che cambierà molte cose in campo scientifico797. Se per muovere una mela devo lanciarla, applicando una forza, quando la mela cade spontaneamente dall’albero non ci sarà forse una forza a spingerla? Da questa anomalia percettiva, o ambiguità della realtà (che pone alcuni movimenti come associati ad una spinta e altri movimenti non associati ad alcuna spinta) giunge alla formulazione della legge di gravitazione universale (che, introducendo un nuovo paradigma, postula l’esistenza di una forza anche quando non vi sia una spinta evidente di un corpo contro un altro

796 Vd. capitolo sullo sfrangiamento.797 Per mio difetto, non sono andato a verificare le cronache dell’accaduto né il Principia di Newton, quindi parlerò dell’ipotetico ragionamento che l’insigne scienziato potrebbe aver fatto.358

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corpo). Il nuovo paradigma introduce un salto paradigmatico che rende la realtà incoerente: una mela, se attratta da un corpo celeste il cui campo magnetico fosse più potente della terra, potrebbe cadere verso l’alto. L’incoerenza si risolve permanendo nella configurazione introdotta dal nuovo paradigma, che permette di aggiornare una buona fetta delle nostre conoscenze per renderle nuovamente coerenti (grazie a nuove giustapposizioni di elementi, come i moti celesti, le traiettorie paraboliche degli oggetti che vengono lanciati – di cui solo adesso si può spiegare in modo più coerente il tragitto che li riporta a terra - , ecc…). La giustapposizione (o randomizzazione) degli elementi nella nuova configurazione porta così ad una nuova e superiore coerenza, laddove vi erano sacche inapparenti d’incoerenza. Grazie alle legge di gravitazione universale, molti collegamenti “strani” tra gli elementi diventano più chiari, poiché si può applicare un confine intuitivo diverso che ne dava la spiegazione, ma solo a costo di giustapposizioni sempre più ampie di elementi: altrimenti, al primo ingresso nella nuova configurazione, si ottiene solo confusione: le mele possono cadere all’in su, gli alberi si reggono in piedi solo perché resistono alla forza di attrazione del pianeta Terra, i pianeti sono attratti dal sole e tra loro deformando le proprie traiettorie, ecc… Quindi la giustapposizione tra gli elementi analogici reintroduce la coerenza, che era stata spezzata dall’anomalia percettiva e dal salto paradigmatico che quest’ultima aveva introdotto. Il secondo esempio è l’esperimento della doppia fenditura, in campo quantistico: esso non riguarda la percezione diretta degli oggetti, ma l’inferenza di oggetti non osservabili grazie ad oggetti osservabili. Non si può infatti percepire un elettrone o un fotone in quanto corpuscolo, ma solo immaginarsi che tali corpuscoli esistano e siano molto piccoli, grazie alla raccolta di specifiche informazioni da una lastra e da un interferometro. In questo esempio abbiamo una giustapposizione di elementi che non torna, a livello della logica della Scienza riduzionista (il fotone o elettrone, infatti, si comporta come un’onda se non osserviamo da quale delle due fenditure passa; si comporta invece da particella, se osserviamo da quale delle due fenditure sia passato): risolviamo il nodo interpretativo con un salto paradigmatico (introducendo il nuovo paradigma che si può così esprimere: “il fotone o elettrone si comporta in modo diverso, a secondo delle caratteristiche dell’osservazione dell’osservatore”). Ma a livello percettivo cosa è cambiato, rispetto al primo esempio? E’ come se, passando accanto al melo, Newton avesse visto cadere la mela all’in su! Infatti, applicando a questi ipotetici oggetti (fotoni ed elettroni) le leggi che la fisica classica applica ai corpi, avremmo dovuto trovare le impressioni dei loro urti sulla lastra in corrispondenza delle due fenditure, invece abbiamo trovato una figura d’interferenza quale quella prodotta dalle onde. Ipotizzando dunque che si tratti di onde e non di corpuscoli, si cerca comunque di stabilire (a riprova della correttezza della nuova ipotesi) da quale delle due fenditure sia passato un ipotetico fotone-corpuscolo (o, in altro tipo di esperimento, un elettrone-corpuscolo): il risultato dovrebbe essere negativo, cioè non si dovrebbe poter scoprire il passaggio esclusivo da una sola fenditura, poiché un’onda si propagherebbe passando da entrambe le fenditure. Ma, inspiegabilmente, i fotoni/elettroni (sparati di continuo dalla fonte di luce impostata dal ricercatore) smette di comportarsi da onda ed inizia a comportarsi da corpuscolo, collocando i propri urti in corrispondenza delle due fenditure. Spiego questo comportamento assurdo grazie ad un salto paradigmatico, che introduce il paradigma del condizionamento degli oggetti quantistici a partire dal tipo di osservazione compiuto dall’osservatore. Di fatto, più mi avvicino ad una percezione diretta dell’oggetto (come nel primo esempio), più questo diviene coerente nella giustapposizione dei suoi elementi e incoerente nel successivo salto paradigmatico (stimolato, o meglio reso possibile, proprio da tale giustapposizione di elementi); più sono lontano da una percezione diretta dell’oggetto (cosa che avviene sia nella scala del molto piccolo – vd. la quantistica - sia nella scala del molto grande – vd. la cosmologia, non meno afflitta da correzioni di rotta nell’arco dell’ultimo secolo), più questo appare incoerente nella giustapposizione dei suoi elementi (inferenziali) e coerente nel successivo salto paradigmatico. Si risolve questa contrapposizione tra coerenza e coerenza inversa, cioè tra questi due sub-procedimenti, grazie all’analogia singolare di trasduzione, che va a rendere coerenti tra loro i due sub-procedimenti, impedendo così all’osservatore di rendersi conto della loro (pur tuttora vigente) contrapposizione. Tale analogia singolare di trasduzione è spesso costituita da una zip- e racc-fùsis, e quindi è preimpostata come legge scientifica. Ma ciò non toglie che l’uomo possa individuare ancora un’anomalia ulteriore a quelle sinora scoperte (come nell’esperimento della doppia fenditura), che vada a scombinare la coerenza tra i due sub-procedimenti, portando così ad una trasduzione non più preimpostata, che vada in controtendenza rispetto all’id quod plerumque accidit798. Una volta

798 Id quod plerumque accidit = “ciò che accade nella maggioranza dei casi”.359

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riportata la coerenza tra i due sub-procedimenti, ritorniamo ad essere vincolati (alla coerenza in parola) da una nuova zip- e racc-fùsis: ma individuando una ulteriore anomalia, si può scombinare la coerenza ancora e ancora, senza una fine a tale tira-e-molla evolutivo. Nel caso dell’esperimento della doppia fenditura, si è riusciti a trovare una nuova anomalia, anche rispetto al paradigma quantistico, inserendo nel novero delle particelle due fotoni entanglati. Si è così ottenuto il primo esperimento riuscito di retrocausalità (in cui l’informazione già raccolta, sul primo fotone, ma ancora del tutto illeggibile dall’osservatore, viene alterata – a livello statistico – dall’informazione raccolta successivamente sul secondo fotone). Qui la giustapposizione di elementi relativi solo indirettamente agli oggetti-fotoni, impostano l’incoerenza di un’informazione che dal futuro cambia un’informazione raccolta (ma illeggibile) nel passato. L’anomalia percettiva, che innesca secondo T. Kuhn il passaggio paradigmatico, va quindi raccolta nell’ifscβ dell’afc prima che possa essere riportata la coerenza (grazie all’analogia singolare sefèrica di trasduzione) con l’ifscα del medesimo afc.

Ma cos’è l’ASs (analogia singolare sefèrica) di trasduzione? O meglio, secondo quale modello o caratteristiche si forma? Essa è formata in modo simile al salto paradigmatico a valle, ma come se quest’ultimo fosse ancora in costruzione. Infatti, non appena l’ASs di trasduzione sia finita di costruire (e cioè sia riportata la coerenza tra l’anomalia percettiva e la configurazione di riferimento), ebbene nello schema configurazionale si sarebbe frattanto799 formato anche il salto paradigmatico successivo (dallo schema “ufc-afc-cs”), che introduce il sub-pda a valle. Nel ponte mistico ( o salto paradigmatico inconscio) l’ASs di trasduzione corrisponde già al salto paradigmatico a valle, senza bisogno di una costruzione autonoma da parte dell’osservatore (che riceve dal soggetto trasmittente come se fossero pappa scodellata, date solo alcune premesse di sintonizzazione, gli elementi analogici che occorrono per costituire il paradigma (ufc), l’elemento intuitivo puro (afc) e il primo elemento concreto (cs) del nuovo sub-pda).

Rimane un dubbio da chiarire, in ordine ai due sub-procedimenti (di coerenza e di coerenza inversa) che abbiamo esplicitato con i due esempi sopra riportati. In base a quale criterio si valuta la distanza dell’osservazione dal suo oggetto, ai fini dell’attrazione in uno dei due sub-procedimenti? Abbiamo infatti visto che la mela è un oggetto e che, in quanto tale, viene attratta nel sub-procedimento di coerenza; il fotone, invece, non è un oggetto (cioè non è obiettivizzabile, in quanto sfugge alle caratteristiche di un corpo classico), e pertanto è stato attratto nel sub-procedimento di coerenza inversa. Adesso vogliamo chiarire il discrimine tra i due elementi, che rende il primo un oggetto e il secondo un non-oggetto, ai meri fini dell’applicazione di uno specifico sub-procedimento tra i due che abbiamo spiegato. Ebbene, nel sub-procedimento di coerenza rientrano gli elementi chiamati direttamente per nome nelle azioni osservative; in quello di coerenza inversa rientrano gli elementi non chiamati direttamente per nome, ma per riferimento a qualcosa di ulteriore oltre al nome, nelle azioni osservative. La mela è chiamata come oggetto diretto dell’azione osservativa, il fotone no. Si noti che qui emerge uno dei motivi che, sibillinamente e misteriosamente (fino ad oggi), hanno giustificato la grande importanza attribuita al nome nella scrittura biblica. Il nome, con la sua attribuibilità diretta o mediata, fa da ago della bilancia per l’attrazione di un elemento analogico in uno dei due sub-procedimenti percettivi.

Morin arriva alla constatazione che “tutto ciò che era oggetto è divenuto sistema”. Noi non possiamo condividere tale constatazione, poiché andrebbe a sopprimere uno dei due sub-procedimenti, quello di coerenza, a vantaggio del solo sub-procedimento di coerenza inversa. Ma i due sub-procedimenti, nella realtà in cui ci moviamo, diventano a loro volta coerenti tra loro, grazie all’ASs di trasduzione. Prova ne sia che gli uomini riescono tuttora a conoscere gli oggetti, anche se si sono resi conto di poter conoscere anche i non-oggetti (cioè i sistemi, per adoperare il brillante termine scelto dall’autore de La méthode). Probabilmente la distanza tra noi e Morin, su questo punto (cioè la soppressione dell’oggettualità), è più che altro apparente, ancora legata alle terminologie più che alla sostanza del ragionamento. Tale terminologia, però, può irretire un certo campo d’indagine, per farne fiorire un altro, mentre nella tca si studiano entrambi con pari dedizione.

799 Questo avverbio temporale va depurato della sua componente cronologica: si noti infatti che la constatazione del nuovo salto paradigmatico a valle può essere acquisito solo grazie ad un pdac (pda di controllo), cioè grazie ad un pda già trasmutato dal collettore chrònos. Possiamo quindi costruire lo schema configurazionale del pda di riferimento (su cui s’innesta il pdac) come esente da trasmutazione e attribuire la trasmutazione cronologica al pdac.360

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Morin inizia così a studiare i sistemi e si rende conto che essi si collocano in un grande garbuglio, che chiamiamo Natura (op. cit., posiz. 2248, KE). Anch’egli ha dunque notato il carattere intrecciato dei sistemi, che per noi si giustifica in modo tutto sommato semplice, come incrocio multiplo di una pluralità di pda, che creano vari livelli di coerenza (la singola funzione conoscitiva, il singolo sistema biologico endo-organico, il singolo organo corporeo, il singolo corpo inerte, il singolo organismo, la singola collettività, il singolo eco-sistema, la singola biosfera, il singolo sistema solare, la singola galassia, ecc…) grazie alle analogie singolari. Sono queste ultime che danno la grande complessità e varietà concreta, strutturata, astraente e universalizzante a ciò che sarebbe soltanto un gioco d’incroci. La logica analogica della rete delle cose esistenti invade l’epistemologia della Natura, spiegandone in modo semplice – cioè con poche chiavi interpretative – l’intera complessità. Ma vista l’immensa, sconfinata poliedricità dell’analogia singolare, non si tratta di una semplificazione, ma solo di una semplicità votata alla relazionalità, alla non-dispersione del significato e della coerenza. La semplicità è nell’accordo che ci lega a questa base da costruzione che chiamiamo “analogia singolare”. Ma cosa dà la coerenza, ad esempio, ad un organismo o ad un corpo inerte, in modo tale da farcelo considerare un sistema di sistemi dotato di una coerenza ineffabile cui diamo nome di “corpo” o di “organismo”? In ogni percorso di auto-coscienza (pda) in cui entra in gioco tale elemento, gli diamo nome di “corpo” o di “organismo” grazie all’ineffabile coerenza, estrememente specifica, cui diamo tale nome, e che si produce grazie all’unione (nell’ASs di trasduzione) dei due sub-procedimenti interni all’elemento analogico de quo. Ci sono due livelli, quindi, che devono assicurare questa nostra capacità di dare un nome a tale sistema di sistemi (vero nodo gordiano, in origine, di scatole cinesi che chiamiamo sistemi): il livello dei pda che, incrociandosi con i loro schemi configurazionali, danno la base su cui costruire il singolo elemento analogico; il livello dello schema analogico del singolo elemento analogico (afc, gp, cs o sc), in cui si gioca la coerenza tra i due sub-procedimenti. Se trattasi di afc non ancora drenato, la coerenza sarà gestita da una vera e propria ASs di trasduzione; se trattasi di gp e cs/sc, derivanti dal drenaggio dell’afc, la coerenza è già cristallizzata grazie a tale drenaggio tra gli elementi risultanti appena citati. Ciascuno dei due livelli si legge grazie all’altro. Non solo. Visto che la trasmutazione si esprime solo grazie al livello dello schema analogico, vi è una complementarietà reciprocamente trasformante anche tra linguaggi trasmutati e linguaggi non trasmutati. Essi, infatti, si distribuiscono e differenziano tra i due livelli anzidetti, interpretandosi a vicenda grazie alle analogie singolari, che si trovano duplicemente percorse nei due livelli in parola e che trovano la coerenza nelle ASs di trasduzione. Il fatto che queste ultime operino solo in uno dei due livelli esprime e potenzia la nostra asimmetria rispetto all’essere, in una con la specularità simmetrica che a lui ci unisce. Grazie alle AS800 poesia e scienza si confondono e si saldano.

L’idea di sistema è ciò che – grazie alla forza di attrazione delle onde formaturali - fa da coagulante nello schema configurazionale. Parliamo così di sistema configurazionale (sis.con), di sistema configurazionale di sistemi configurazionali (sis.con-sis.con), di sis.con-sis.con-sis.con (sis.con3), di sis.conn, cioè di sistema configurazionale con livelli di nidificazione interna ad libitum. L’equivalente speculare di questo coagulante, nello schema analogico, è rappresentato dall’ASs di trasduzione: ma si noti che i sis.conn non sarebbero mai ciò che sono, nella realtà che osserviamo, senza la capacità dell’osservatore d’imporre le ASs di trasduzione (con cui fanno ingresso sulla scena configurazionale non solo i collettori, ma il senso ineffabile puro del sé, dell’io, del noi, dell’azione, del fatto, dell’evento, dell’oggetto, della relazione intersoggettiva, della relazione tra oggetti). Le categorizzazioni sono per intero una banda di frequenza dell’essere, resa possibile dall’accordo tra quest’ultimo e il suo osservatore. Accordo che affonda in un senso ineffabile puro, che può essere procedimentalistico, purché (secondo un veto conoscitivo auto-impostosi inconsciamente dall’osservatore-interprete) non sia possibile costruire tale procedimento che con pezzi da costruzione ineffabili (le analogie singolari sefèriche) e ineffabili puri (la analogie singolari grafèiche).

La differenziazione tra La Méthode e la teoria analogico-configurazionale diventa drammatica quando viene data da Morin la definizione di sistema. Non conoscendo ancora gli esiti che l’autore vorrà dare a tale definizione (sto infatti commentando in tempo reale la sua opera), noto quelli che chiamerei errori definitori, che mi appaiono tali in quanto m’impediscono quella visione e comprensione venusta ed efficace che si apre grazie alla teoria analogico-configurazionale. Per Morin il sistema integra tra loro tre elementi: la globalità (che andrebbe chiamata, invece, integralità), l’organizzazione (su cui non discuto: è sinonimo

800 AS = analogie singolari.361

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anche migliore di strutturazione, poiché lega quest’ultima in relazioni complesse con gli altri tre poli degli assoluti originari) e le interazioni (che vanno specificate con il termine più preciso di collegamenti analogici ). Nel primo errore (globalità) si subisce la mancanza di un approccio analitico di partenza che afferisca al campo logico (approccio che noi, invece, abbiamo adottato in Analogia singolare). Con un simile approccio, si sarebbe notato che il sistema non è una realtà muscolare e tentacolare che esercita un potere assoluto e immancabile (in una parola: globale), ma funge da principio di coerenza la cui applicazione può (a secondo dei casi e delle situazioni) espandersi a macchia d’olio o ritrarsi (assurgendo quindi, più che a globalità, a integralità in sé considerata). Nel secondo errore (interazioni) s’impedisce al lettore di distaccarsi a livello intuitivo profondo dal dualismo neopositivista e riduzionista (meccanicista e materialista, potrei aggiungere in uno sfogo quasi personale) della Scienza che si pavoneggia con la s maiuscola. Per lasciare la discarica maleodorante dei pavoni, occorre ben più dell’idea d’interazioni. Ma non ho dubbi che Morin non mancherà di stupirci... Si tratta solo di capire da quale siepe risbucherà nella via dell’essere.

Sembra che tale svolta non si lasci attendere, poiché poche pagine dopo l’autore parigino scrive: “Non ci sono principi sistemici anteriori ed esterni alle interazioni tra elementi. Al contrario ci sono delle condizioni fisiche di formazione in cui certi fenomeni d’interazioni, prendendo forma d’interrelazioni, divengono organizzazionali”(op. cit., posiz. 2330, KE). Dalle interazioni si arriva quindi alla sotto-forma delle (o meglio alla trasformazione in) interrelazioni, cioè a collegamenti reciproci, cioè a collegamenti che specificano due elementi, i quali altrimenti non sarebbero completamente conoscibili. Vista la negazione dell’oggetto come assoluto, a vantaggio dell’oggetto come sistema, l’interrelazione può qui essere intesa come qualcosa di radicale, da cui si deve passare irrinunciabilmente per ottenere la conoscenza dell’oggetto: ovverosia può essere intesa come collegamento analogico, idea che è stata presentato per la prima volta in Analogia singolare. Si può così sancire nuovamente il paradigma fondamentale dell’analogia, anche nella teoria della complessità, grazie all’aggancio offertoci dal suo principale sviluppatore.

E’ pur vero che Morin prosegue, subito dopo l’ultima citazione da noi prodotta, con la solita menzione delle interazioni genesiche, intese come base dell’intera organizzazione (in questo caso, del sistema). Egli dice infatti: “Se c’è un principio organizzatore, nasce dagl’incontri aleatori, nella copulazione del disordine e dell’ordine, in e attraverso la catastrofe (Thom, 1972) cioè il cambiamento di forma”. Ribadiamo che ogni riferimento (anche velato e indiretto, come questo) alla collisione tra le micro-particelle, che avrebbe seguito nell’immediato il Big bang, appare in Morin come una sorta di dogma, che noi possiamo e dobbiamo superare con un’interpretazione all’altezza degli archetipi coinvolti. La nostra interpretazione è che, al posto delle collisioni e del loro portato formazionale, dobbiamo considerare il carattere interrelazionale sussistente ab origine tra ogni elemento analogico e gli altri elementi analogici con esso collegati o collegabili, al punto da poter costruire un’intera rete analogica che rispecchi il significato che il singolo osservatore dà, nel singolo istante, all’intera realtà su cui si appunta la sua osservazione. Si può dunque superare l’idea delle collisioni genesiche, per trasformare la parola “interrelazioni” nella parola più specifica ed ermeneuticamente potente di “collegamenti analogici”.

Una svolta nella direzione da noi auspicata può essere vista nell’introduzione, immediatamente successiva nel testo in commento, del “concetto trinitario” (op. cit., posiz. 2341, KE). Si tratta del rapporto triangolare tra tre idee: organizzazione, sistema e interrelazioni. L’avvicinamento a quanto da noi teorizzato in Trinità o funzioni conoscitive? diventa quanto mai reale, anche se l’identificazione delle tre idee non coincide certamente (ma solo può essere considerata latamente somigliante) alle tre funzioni da noi teorizzate. Lo pnéuma-percipiente, studiato nella nostra opera come una delle tre funzioni conoscitive personificate, può assomigliare all’organizzazione (per la componente percettiva e di duplice coerenza (afferente, cioè, ai due sub-procedimenti di coerenza e di coerenza inversa) che caratterizza quest’ultima). Il lògos può assomigliare all’idea di sistema (che ha una duplice componente strutturante e universalizzante, tali per cui sfugge alla prima – pur avendo una strutturazione cangiante – e si lascia trasformare dalla seconda – pur non riducendosi ad un super-codice dal dominio assoluto sulla realtà). Il rùah può assomigliare alle interrelazioni (poiché queste tengono collegato in una tensione variabile ma unificante l’intera rete delle cose esistenti). Morin dà definizioni senz’altro differenti dei tre elementi del concetto trinitario, di modo che non dovrei potermene servire per il ravvicinamento da me auspicato tra le due teorie. Tuttavia egli scrive anche: “C’è dunque una reciprocità circolare tra questi tre termini: interrelazione, organizzazione, sistema. Questi tre termini, per quanto inseparabili, sono relativamente

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distinguibili” (op. cit., posiz. 2352, KE). Come non vedere, in queste righe, l’espressione del rapporto speculare, in cui l’interprete permette alle tre funzioni personificate di funzionare precisamente così, come il concetto trinitario vergato dalle parole di Morin appena citate. Le tre funzioni personificate sono infatti inseparabili, in quanto componenti complementari della conoscenza e dell’evoluzione della realtà, ma distinguibili grazie alla loro relazione con gli assoluti originari. Il fatto che Morin dia definizioni dei suoi tre elementi che non sono conferenti né con le tre funzioni personificate, né con la nostra teoria, non vuol dire che la direzione da lui intrapresa sia altrettanto incompatibile. Apprendo sempre di più, nella lettura di La méthode, come le questioni terminologiche nascondano più degli ammicchi a realtà inconferenti che non autentiche svolte epistemologiche. In ognuno di questi ammicchi, come ho già rilevato infra, si nascondono dei ponti mistici che Morin fa attraversare inconsciamente al lettore, per convincerlo della propria teoria. Non che un autore sia consapevole d’introdurre salti paradigmatici inconsci… E’ la stessa società umana che ne è così traboccante, che a chi scrive viene spontaneo aggiungerne di nuovi. A noi basterà intercettarli ed evitarli, per capire dove davvero ci stia conducendo l’autore. Ad esempio, per convincerci della sua definizione di organizzazione (“disposizione delle parti in, presso e attraverso un Tutto”) l’autore fa il caso degli isomeri, che si distinguono tra loro per la sola disposizione degli atomi nella molecola, nonostante siano composti dai medesimi atomi. Ma quello degl’isomeri non è un esempio di organizzazione più di quanto non lo sia d’interrelazione o di sistema. Il ponte mistico (= salto paradigmatico inconscio) in cui Morin ci sta tendendo un altrettanto inconscio trabocchetto è rappresentato dal paradigma dello spazio euclideo, per cui due oggetti che hanno le stesse parti ma disposte diversamente sono percepiti come diversi. Scivolando inconsciamente in tale paradigma, delineato dall’autore, veniamo condotti da quest’ultimo all’elemento “organizzazione”, di cui ravvisiamo subito l’analogia con la disposizione spaziale delle parti di un oggetto (che diventa un’organizzazione di disposizioni spaziali di parti – gli atomi - in un oggetto – la molecola isomerica). Se Morin avesse sostituito all’elemento “organizzazione” l’elemento “sistema”, avremmo visto l’analogia tra il sistema e l’oggetto fatto di parti che hanno una specifica disposizione spaziale (che sarebbe diventato un sistema di disposizioni spaziali di parti – gli atomi – in un oggetto – la molecola isomerica). Se invece Morin avesse sostituito all’elemento “organizzazione” l’elemento “interrelazioni”, avremmo visto l’analogia tra le interrelazioni e l’oggetto fatto di parti che hanno una specifica disposizione spaziale (che sarebbe diventato un novero d’interrelazioni tra le disposizioni spaziali di parti – gli atomi – in un oggetto – la predetta molecola). Ognuna delle tre parole citate dà una sottolineatura, un significato peculiare all’isomero, ma l’autore parigino non ce lo fa cogliere, grazie al ponte mistico che annulla le nostre capacità di reazione (finché non lo individuiamo e ri-analizziamo per reinterpretarlo per ciò che rappresenta: un ponte mistico). Ma il ponte mistico (di cui mi macchio molto spesso anch’io, lo ammetto) si annida anche nella definizione di organizzazione come “disposizione di parti”. Tali parole, infatti, ci fanno entrare inconsciamente in una configurazione retta dal paradigma secondo cui ogni cosa esistente è frutto di un’azione di disposizione delle sue parti all’interno di un intero. Ben più articolata ed ermeneuticamente penetrante è la definizione che ho dato del procedimento di coerenza (retto dall’ASs di trasduzione) nell’elemento intuitivo puro (afc). In tale definizione, che ha richiesto decine di pagine per essere forgiata, si compiono molti salti paradigmatici (chiaramente alcuni consapevoli, altri inconsci), che permettono di arrivare tra le altre cose ad una visione molto articolata di ciò che chiamiamo “organizzazione”.

Quando Morin inizia a spiegare il fondamento conoscitivo che vuole istituire, grazie al concetto trinitario, la sua teoria sembra realmente accordarsi in un’unica teoria con quella analogico-configurazionale. Facciamo parlare lo stesso Morin: “La costruzione di questo concetto trinitario può essere d’interesse primordiale, poiché concernerebbe la fùsis organizzata che noi conosciamo, dall’atomo alla stella, dal batterio alla società umana.

“Interesse primordiale o banalità primaria? Non si vede cosa si potrebbe tirar fuori di “comune” dal confronto empirico tra molecola, società, stella. Ma non è in questo senso che si deve condurre lo sforzo: è nel nostro modo di percepire, concepire e pensare in modo organizzazionale ciò che ci circonda, e che noi chiamiamo realtà” (posiz. 2364801).

801 D’ora in poi non farò più la citazione completa, ma indicherò solo la “posizione” del testo nell’edizione Kindle de La Nature de la nature, scritto da E. Morin. La posizione va intesa come meramente approssimativa, non essendovi la possibilità di puntare una parola del testo per conoscerne la posizione precisa.363

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In queste precise parole vedo rispecchiata la dinamica delle tre funzioni personificate802, nel contesto dell’analogia singolare di cui a due a due sono le componenti (secondo il duplice significato di εν, che può voler dire (a seconda, rispettivamente, che abbia l’accento o meno) sia intero che a modo di803 —> il modo di conoscere unifica infatti la conoscenza della realtà in un intero in movimento).

Nel cap. 2 della seconda parte del tomo I, si dà la definizione di sistema (al singolare!). Ripresa da Atlan, tale definizione si fonda sui caratteri di varietà e di ridondanza (= ripetizione di alternative di percorso per evitare di far saltare il sistema stesso) e sul compromesso o congiunzione del massimo di varietà con il massimo di ridondanza. Nella tca, invece, sollecitati da questa definizione, ne daremo un’altra simile. Per noi il sistema è un intreccio di pda che permette la circolarità, cioè di ripercorrere più volte un certo novero di sub-pda meglio collegati (grazie allo schema configurazionale “sub-pda pdac pda-dist” ripetibile ad libitum), ed è dotato, a livello della cognizione inconscia dell’osservatore, di un nome (in qualità di corpo materiale o immateriale) nell’ifscβ dell’afc o (una volta compiuto il drenaggio dell’afc9 nella gp di uno specifico sub-pda (in cui appunto assume, in modo più o meno stabile, il vigore di sistema). Il sistema è quindi una figura configurazionale e culturale. In quest’ultima definizione si ripete sia il carattere della varietà, sia quello della ridondanza, sia la loro congiunzione, ma con un approccio già evolutivo ed orientato al funzionamento del sistema, nonché un approccio classificatorio esaustivo per il censimento del novero dei sistemi in tempo reale, da ogni punto di vista (cioè dal punto di vista del singolo osservatore, nella singola situazione, cultura e civiltà di riferimento).

Si può notare – in relazione a quanto appena detto sulla definizione di sistema e sul confronto tra le due teorie in ordine a quest’ultima - che solo una teoria completa come quella espressa in La Méthode può stimolare l’interprete a sondare i molti settori e sotto-settori che costituiscono le grandi questioni conoscitive (tra cui la questione definitoria del sistema), ma che la teoria analogico-configurazionale riesce a replicarne le idee con un linguaggio senz’altro maturo per l’applicazione tecnica. Il vero confronto tra le due teorie potrà realizzarsi solo alla fine del percorso di lettura e interpretazione dell’opera in commento.

I caratteri ulteriori del sistema, descritti da Morin, sono l’unità nella molteplicità, l’unità originale ma non originaria, l’egemonia non omogenea (posiz. 2374). Ognuno di questi caratteri, a ben vedere, può essere interpretato agevolmente con la tca grazie all’idea d’incrocio di pda e di onda formaturale (sia in senso stretto che in senso lato), che può tradursi anche come energia di attivazione.

L’autore introduce poi l’idea di “emergenze”, che sembrano una pietra angolare dell’epistemologia contemporanea: esse infatti sono quelle caratteristiche che emergono dal sistema nella sua integralità e non dalle singole parti. Si tratta di uno dei principi fondamentali della Gestalt: “il tutto è più della somma delle sue parti”. Ma nonostante l’apparente centralità della distinzione (tra le caratteristiche ricostruibili a partire dalle componenti e le emergenze che divengono significative solo grazie al sistema nella sua integralità), essa appare vieppiù fuorviante se accogliamo la tca. In quest’ultima infatti ogni caratteristica diventa potenzialmente emergente, poiché trova la sua sede percettiva nell’ifscβ dell’afc, nel cui contesto diventa coerente con il resto dei corpi (materiali e immateriali), dopo di che (consequenzialità meramente logica) diventa coerente con l’ifscα dell’afc (grazie all’ASs di trasduzione), infine si raccorda con gli altri livelli di zip- e racc-fuseis e da ultimo con gli schemi configurazionali e i loro meandri e ripetizioni. Non esiste, quindi, una caratteristica che sia riferibile ad un solo oggetto, ma sempre e solo al/ai sistema/i nella sua complessità: pertanto ogni cosa emerge, in un modo o nell’altro, da tale complessità. Il punto dirimente

802 La parola “percepire” corrisponde ad una delle tre funzioni personificate (lo pnèuma-percipiente, cioè la funzione di percepire e al contempo intuire secondo il polo astraente, che si esprime nell’ifscβ dell’afc o nella gp), la parola “concepire” può corrispondere ad un’altra delle tre funzioni personificate (il rùah, cioè la funzione d’intuire secondo il polo concretante, che si esprime nell’ifscα dell’afc o negli elementi configurazionali diversi dall’ufc, dall’afc e dalla gp), la parola “pensare” sembra riferirsi all’intelletto, cioè alla funzione personificata del lògos-figlio dell’uomo (che tuttavia nella sua attività interpretativa non si limita certo a pensare. 803 I grammatici considerano, ovviamente, le due parole ἒν (= uno, nel senso di intero) e ἐν (= in, al modo di) come due parole distinte. Tuttavia nel testo biblico originale, mancando accentazione e spiriti, se interpretiamo alla maniera cabbalistica (cioè parola per parola e carattere alfabetico per carattere alfabetico), otteniamo la coincidenza delle due parole succitate in un’unica parola che fonde i due significati (con esclusione del solo significato di “in” – introduttivo del complemento di stato in luogo -, che in un testo sapienziale che tiene conto dell’inesistenza dei collettori o assoluti derivati, quale è il tempo cronologico, non trova spazio ermeneutico). Vd. Il testo-ricerca, per approfondire le motivazioni di una simile scelta interpretativa del cd. testo sacro.364

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per l’uomo di oggi è che alcune cose gli appaiono strutturalmente costruibili a partire dalle loro parti, altre gli appaiono emergenti dal sistema che esse contribuiscono a costituire. Una simile differenza (pur dotata di un’apparenza involutiva) si spiega agevolmente considerando che ogni livello di coerenza o coordinamento sopra identificato (ciascun sub-procedimento di coerenza o coerenza inversa, la coerenza tra i due sub-procedimenti resa possibile dall’ASs di trasduzione, i vari livelli ulteriori di zip- e racc-fùseis, l’incrocio tra schemi configurazionali dei sub-pda) può integrare un maggiore o minore groviglio, cioè circolarità tra i suoi elementi (s.cod, s.nas, sub-elementi analogici, elementi analogici, sub-pda). Se la circolarità si muove su un livello di coerenza-coordinamento molto profondo (s.cod o s.nas) sarà difficile da cogliere, a meno che l’interprete abbia le chiavi ermeneutiche giuste; se la circolarità si muove su un livello di coerenza-coordinamento più apparente, purché contemplante situazioni abbastanza comuni al genere umano, quasi chiunque potrà accorgersi della circolarità stessa. Una volta che l’osservatore si accorga sia della circolarità sia del sistema in cui tale circolarità s’integra, egli si può rendere conto dell’emergenza di una caratteristica dal sistema; se manca anche una sola di tali condizioni, sembra che la caratteristica appartenga ad un corpo (materiale o immateriale), cui automaticamente l’osservatore dà appunto un nome e delle caratteristiche.

Non possiamo quindi accettare la definizione di emergenza, data nella posiz. 2397: “Si possono chiamare emergenze le qualità o proprietà di un sistema che presentano un carattere di novità in rapporto alle qualità o proprietà dei componenti considerati isolatamente o disposti differentemente in un altro tipo di sistema”. I motivi per cui una simile definizione non ci sta bene sono stati esplicitati nel capoverso precedente, con l’unica aggiunta di un ulteriore errore: quello di distinguere tra loro i sistemi in base alla disposizione dei loro componenti. Non essendovi, infatti, oggetti ma solo sub-percorsi di autocoscienza (sub-pda), declinati secondo varie figure e incrociati o affiancati o in sequenza tra loro, grazie a cui emergono i sistemi, non ha senso parlare di disposizione di oggetti (poiché, anche se Morin non adopera il termine “oggetti”, di questo si tratterebbe in una simile ipotesi). Per passare da un sistema all’altro e sviluppare, così, nuove emergenze, è sufficiente compiere un salto paradigmatico ad uno dei livelli di coerenza-coordinamento dianzi citati.

Quando dalle emergenze l’autore si sposta a considerare la vita, l’idea pur così mal definita di emergenze permette un’incredibile scoperta: “Queste proprietà emergenti, di cui il fascio è precisamente chiamato vita, imbevono il tutto in quanto tutto e retroagiscono sulle parti in quanto parti” (posiz. 2420). L’idea che la vita sia un fascio di proprietà emergenti non è per niente errato, anzi ci consente di considerare la vita, in ciascun organismo, come un groviglio di pda. Per dare coerenza individuale o di specie a tale groviglio, occorre l’attribuzione immediata del nome a livello di ifscβ. Tale attribuzione richiede una coerenza tra s.cod, s.nas e ASs di coerenza, nonché la coerenza tra le due innervazioni (ifscα e ifscβ) dell’afc, assicurata dall’ASs di trasduzione. In ognuno di questi livelli di coerenza si deve poter costruire un ipotetico percorso (solo analogico, non configurazionale) di coerenza con il nome che conduca a ritroso dall’ASs di trasduzione fino al s.cod che codifica il nome. Parlo di questo ipotetico percorso (solo analogico) di coerenza per la prima volta, stimolato da La Nature de la nature, pertanto chiedo al lettore (forte dello studio di quanto precede in questo testo e in quelli che lo hanno preceduto nel nostro percorso esoterico) d’immaginarsi come esso potrebbe articolarsi concretamente. Per me il suo articolarsi è già abbastanza chiaro, a livello intuitivo: pertanto non m’imbarcherò adesso in una sua esplicitazione messa nero su bianco.

L’impressione che s’inizia a far strada, considerando il modo di ragionare di Morin a partire dalla sua definizione di emergenza, è che una definizione così irriflessa e adagiata sul ragionamento circolare (pur legittimo) finisca per dare una chance ulteriore a idee materialiste come quella di materia inteso “a livello di sistema atomico” (posiz. 2420), di vita intesa come “emanazione dell’organizzazione vivente” (posiz. cit.), di uomo inteso come “sistema cerebrale ipercomplesso” in opposizione alla Natura (posiz. 2342). La circolarità diventa, insomma, un alibi per non riflettere adeguatamente sul linguaggio e quindi non fare il tuffo evolutivo. La drammaticità di questa débacle si esprime nelle parole dello stesso autore: “Il senso, che i linguisti cercano a tentoni nelle profondità o negli anfratti del linguaggio, non è altro che l’emergenza stessa del discorso, che appariva nel dispiegamento delle unità globali, e retroagisce sulle unità di base che l’hanno fatto emergere” (posiz. 2420). E’ invece proprio negli anfratti del linguaggio che si deve cercare, finché non s’individui il paradigma fondamentale di analogia e ogni altra acquisizione che abbiamo esposto nella teoria analogico-configurazionale (cioè l’analogia singolare, nelle sue varie declinazioni, lo schema

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analogico e lo schema configurazionale, gl’incroci tra i vari tipi di pda, l’onda formaturale o energia di attivazione, i sub-procedimenti di coerenza, lo sfrangiamento, la scrittura, la rivoluzione antropoligica fondamentale). Voler fare senza il linguaggio equivale a privarsi di tutte e tre le funzioni conoscitive (che passano anche dal linguaggio cosciente e comunque passano regolarmente e ancor più dai linguaggi inconsci). Un osservatore senza funzioni conoscitive adeguate è appunto quello del materialismo dualista e riduzionista, che (una volta reinserito nella realtà) coglie solo oggetti ad esso esterni. Morin non ha fiducia nelle soprese del linguaggio, poiché le sue definizioni non sono abbastanza precise e lo conducono ad ogni passo a nuovi errori (da cui si rialza quasi magicamente). La partita è ancora aperta! La prova del nove sarà se egli riuscirà a portarci ad un’evoluzione della conoscenza tale da aprirci la prospettiva del superamento degli scogli evolutivi da noi umani esecrati.

L’integralità del sistema non fa sorgere solo le emergenze del sistema stesso, ma anche le emergenze delle parti di quest’ultimo. Un neutrone sito in un atomo, ad esempio, ha proprietà diverse da un neutrone isolato. Ora, però, il neutrone non è considerato da Morin come il sistema, ma come una parte del sistema-atomo: sarebbe quindi una scoperta appurare che anche una parte del sistema (e non solo il sistema stesso) possa avere delle emergenze (cioè dei caratteri che non si spiegano a partire dalla considerazione dell’elemento isolato, a sé stante, ma solo come parte di un sistema). A nostro avviso questa particolarità si può spiegare con la differente articolazione dell’onda formaturale che può riguardare il singolo elemento analogico (d’ora in poi, per semplicità, “l’elemento”). Un ipotetico elemento alfa sarebbe cioè dotato dello stesso nome, rispetto ad un elemento beta, e inoltre i due elementi avrebbero una parte consistente dello schema analogico in comune: il martello che sollevo da terra è lo stesso che scaglio contro il ferro tenuto stretto sull’incudine. L’unica differenza saliente tra il primo e il secondo martello (che sono da me percepiti come lo stesso oggetto) è quella di essere inseriti in pda (o sub-pda) tra loro distinti (e quindi di avere appunto un’onda formaturale ben diversa). Il martello, come il neutrone, assume caratteristiche emergenti grazie all’appartenenza ad un sistema: infatti, quale martello può essere adoperato per forgiare il ferro, se non quello che è inserito nel sistema “martello + incudine + pinze o altro sostegno per tenere fermo il ferro”? A ben vedere, però, è in genere andando a fondo nell’indagine dello schema analogico dell’elemento alfa che l’osservatore trova la differenza di onda formaturale rispetto a beta, cui si accompagna a quel punto una sostanziosa differenza di schema analogico. Per ottenere, infatti, il salto paradigmatico che consente di forgiare un corpo di ferro grazie ad un martello, bisogna che l’uomo-osservatore rilevi un’anomalia percettiva (nell’ifscβ dell’afc, quindi a livello dello schema analogico). Rilevata l’anomalia percettiva e grazie a quest’ultima, l’osservatore può collegare una serie di elementi che costituiscono il nuovo paradigma di arrivo (che è infatti dischiuso dall’onda formaturale in senso stretto, coincidente con tali elementi tra loro collegati). L’emergenza è quindi un carattere costante della tecnica, che altro non è che l’inserimento di un salto paradigmatico in una configurazione di partenza, tale da consentire il passaggio dalla configurazione di partenza a quella di arrivo, ottenendo un risultato desiderato (che chiamo, appunto, risultato tecnico). Ogni elemento analogico è passibile di emergenze, come anche ogni sistema: le distinzioni fatte da Morin, una volta sgrossate e sottoposte ad attenta analisi della tca, non reggono.

I caratteri distintivi dell’emergenza sono elencati alla posizione 2449: “qualità, prodotto, globalità e novità”. Nessuno di questi caratteri può essere accettato, viste le considerazioni sopra svolte. Ognuno di tali caratteri è o erroneo o attribuibile a qualunque risultato tecnico (che è appunto un’emergenza), entro i confini intuitivi con cui l’idea di risultato tecnico delimita tali caratteri. Quindi sono le categorie della tca sopra elencate che hanno una vera attitudine all’analisi dell’emergenza, non il semplice carattere di novità, di qualità o di prodotto804. Si deve anche contestare la successiva affermazione che l’emergenza, accanto a qualcosa di relativo (al sistema), abbia anche qualcosa di assoluto. Non di assoluto si deve parlare, ma d’ineffabile (cioè di analogia singolare). L’ineffabile è infatti relativo e relazionale, non assoluto, in quanto cede a sua volta all’ineffabile, in occasione del successivo salto paradigmatico. L’assoluto, invece, non è relazionale né relativo: conforma a sé ogni cosa con cui entra in contatto, senza lasciarsi conformare in alcun modo da essa. Abbiamo individuato, in Analogia singolare, ben dodici assoluti veri e propri (da noi soprannominati “originari”, in contrapposizione a quelli “derivati”, che non costituiscono veri assoluti). Tali assoluti originari sorgono come incrocio di quattro poli (astraente, concretante, universalizzante e

804 Il carattere di globalità va poi corretto con il termine “integralità”, per le notazioni sopra riportate.366

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strutturante), che si congiungono a due a due, con prevalenza di uno tra loro. Ebbene, nessuno di tali dodici assoluti è un’emergenza, ma semmai una deformazione etero-conformativa di ogni percorso di autocoscienza. Per ammissione dello stesso Morin, infatti, l’emergenza è relativa, cioè si conosce solo grazie ad altri elementi con cui entra in interrelazione: gli assoluti invece, come l’universalizzante-concretante, possono dettare la direzione di un elemento di un pda, nel suo farsi avvicendare dagli elementi a valle dello stesso pda e di altri pda incrociati con esso, ma l’elemento A (che pur segue la direzione dettata dall’universalizzante-concretante, contribuendo al salto paradigmatico a valle del suo pda) non contribuisce a dirci alcuna caratteristica dell’universalizzante-concretante (che è la configurazione nascosta su cui si forma il paradigma di arrivo, come da noi analizzato nello studio dello schema analogico dell’ufc). Alla posizione 2456 si esplicitano dei caratteri dell’emergenza che ne confermano il carattere ineffabile: il salto logico che la costituisce, l’irriducibilità e l’indeducibilità che accompagna tale salto.

Il confronto tra le due teorie diventa ancora più vivo quando si arriva ad affrontare, nel tomo I, il tema della coscienza. Viene affrontato en passant, come un esempio di emergenza. La coscienza sarebbe, insomma, una forma di emergenza. In particolare, Morin fa l’esempio della coscienza per suffragare l’affermazione che l’emergenza sia al contempo epifenomeno e fenomeno del sistema. Altra affermazione collegata a quest’ultima, e che intende dimostrare con l’esempio della coscienza, è che l’emergenza sia al contempo sovrastruttura e sub-struttura del sistema. In piena sincerità, una volta appurato che il termine emergenza è un sinonimo di analogia singolare sefèrica, il nostro interesse si volge piuttosto allo studio della coscienza che – si badi bene – non può essere ridotta ad una singola analogia singolare sefèrica. La coscienza, se volessimo rapportarla all’analogia singolare sefèrica, ne rappresenterebbe la massima complessificazione.

Ma vediamo in primo luogo il rapporto che Morin istituisce tra fenomeno ed epifenomeno e come riconduce entrambi nella definizione di emergenza. Con questi due termini abbiamo senz’altro molta ruggine, poiché ci siamo imposti di non adoperarli, al fine di non cadere in confusione. Ogni elemento analogico, difatti, è un fenomeno, cioè qualcosa che appare, qualcosa d’illusorio, la cui illusione può solo essere evolutiva o involutiva dal punto di vista di uno specifico interprete. L’epifenomeno viene in genere inteso come qualcosa di accessorio al fenomeno e che non può essere ricondotto all’interno di quest’ultimo. Se, per esempio, considerassi la frittata come un fenomeno, il prezzemolo che vi mettessi sopra a fine cottura sarebbe l’epifenomeno. Posso in ogni istante scrollare il prezzemolo dalla frittata e mangiare quest’ultima senza di esso: non cambierebbe nulla al sapore né alla consistenza della frittata. Quindi frittata e prezzemolo non possono in alcun modo costituire uno stesso fenomeno (nemmeno se li mangiassi insieme, poiché ne sentirei i sapori in modo distinto, non confuso o sintetico). Traducendo il rapporto tra fenomeno ed epifenomeno, intesi alla maniera tradizionale, nel linguaggio analogico-configurazionale, avrei due elementi analogici tra loro poco collegati, ma comunque collegati (probabilmente per un solo incrocio tra pda), tali per cui i relativi schemi analogici abbiano pochissimi s.nas805 in comune. Ma soprattutto, approfondendo le percezioni anomale che emergono nell’ifscβ dell’afc di uno dei due elementi, mi allontano dal collegamento con l’altro sia a livello di schema analogico che a livello di schema configurazionale. E’ chiaro che considerare l’emergenza un epifenomeno del sistema è quanto di più fuorviante e contraddittorio, a livello logico, possa dirsi in argomento. L’emergenza (anche se non è l’unica del sistema, e quindi potrebbe rimanere marginalizzata in certi contesti configurazionali che riguardano il sistema di riferimento) è infatti sempre più collegata agli elementi del sistema, quanto più si approfondisce l’anomalia percettiva che la collega ad esso, finché non ne scaturisce il salto paradigmatico che li lega ineffabilmente. Come vedremo tra poco, per noi la coscienza non è comunque una semplice emergenza, ma semmai una ritualità di emergenze che si attivano nel contesto dell’organismo (che può pertanto chiamarsi autocosciente). Qual è, inoltre, il rapporto tra sovra-struttura e sotto-struttura del sistema in relazione all’emergenza? Se ci pensiamo bene, qualunque sovra-struttura, pur determinata dalla sotto-struttura, va poi ad influenzare quest’ultima con una retro-azione. Prendiamo l’esempio il cittadino Tiziano, che vive in uno Stato in cui oltre sessant’anni fa’ furono costruite le autostrade, tuttora funzionanti. Tiziano adopera le autostrade come sotto-struttura che lo aiuta a spostarsi da un posto ad un altro. Egli, inoltre, ha elaborato delle sovra-strutture mentali (aspetti culturali) che adopera per esprimersi, come

805 S.nas = sub-pda nascosti. Per approfondire il ruolo dei s.nas, vd. nel capitolo sullo sfrangiamento la trattazione (spesso in nota) sui raggi d’increspatura e sull’ifsc β .367

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l’espressione “autostrade mentali”. Senza l’infra-struttura (o sotto-struttura) delle autostrade fisiche non avrebbe potuto elaborare la sovra-struttura della “autostrade mentali”. Tuttavia, egli sarà sempre favorevole alla manutenzione delle autostrade attuali, anche in virtù dell’appiglio intuitivo ed ermeneutico che gli offrono grazie all’adozione dell’espressione suddetta. Quindi nel suo foro interiore le autostrade materiali e le autostrade mentali sono legate ad un unico destino, che le aiuta a sopravvivere come in base ad uno sforzo conservativo comune. Il rapporto di emergenza e di reciproca implicazione tra autostrada fisica e autostrada mentale si può avere per ogni infrastruttura ed ogni sovrastruttura: anzi, vi è una tendenza a realizzare l’emergenza, a partire dall’accostamento tra due elementi che tra loro si polarizzino come infrastrutturale e sovrastrutturale. Anche qui risulta confermata la sinonimia (ma direi di più, la stessa coincidenza) tra emergenza e analogia singolare sefèrica. Vedremo quindi, nel prossimo capoverso, perché non si può accettare (alla luce della tca) di annoverare la coscienza nella categoria delle emergenze.

Riprendendo l’ultimo periodo del nostro capitolo sulla coscienza, notiamo quindi che “la coscienza s’inquadra, […] nella teoria analogico-configurazionale, come uno stilema configurazionale diffusivo (attivato a livello dello schema analogico grazie ad un’impasse intuitiva), che può espandersi all’occorrenza in ogni sistema configurazionale dell’organismo”. Con questo periodo, appena citato, intendo dire che nell’ifscβ di un afc (o in una gp) si ha ad un certo punto un’interruzione dello schema analogico, in corrispondenza di un’ASg (analogia singolare grafèica), che collega l’elemento concreto dell’io con l’elemento grafèico puro (cioè con l’elemento intuitivo ineffabile anche quanto al percorso per evocarlo): da ciò discende l’attivazione di molti pda inattivi, a formare un ambiente interno all’organismo che replica l’ambiente esterno, per trasformarlo e/o conformarlo a quello interno, finché non sia trovato un prosieguo all’ASg testè descritta. La coscienza è insomma quella forma strisciante di riorganizzazione dell’organismo e, facendo leva su questo, dell’ambiente esterno, a partire dal senso ineffabile dell’io concreto. E’ quindi uno stilema di attivazione delle emergenze (o analogie singolari sefèriche), non una di esse. La coscienza rappresenta un salto di qualità, a livello di complessità, nel panorama delle emergenze.

Mettendo sull’altro piatto della bilancia la definizione di coscienza data da Morin, la troviamo molto appesantita dai ponti mistici involutivi di cui è vittima anche la Scienza ufficiale. Ma il nocciolo di tale definizione non è viziato, soltanto definisce ancora poco l’oggetto di studio, poiché chiama la coscienza un “prodotto d’interazioni”. L’idea di prodotto è anzi brillante. Essa fa comprendere la difficoltà di rendere il “prodotto” finito ad arte ma anche riproducibile e collegabile con sistemi esterni su larga scala. La coscienza non è l’opera d’arte isolata, latrice di un solo messaggio, né l’artefatto artigianale che può adattarsi a contesti ampli e poco complessi. Al contrario la coscienza deve adattarsi a qualunque cultura, ma in un range fisico e biologico ben specifico (quello della biosfera terrestre). Inoltre deve potersi interfacciare ed aggiornare e trasmettere informazioni con le altre coscienze e con un ambiente esterno da conoscere in maniere sempre più specifiche (con l’avanzare dell’età) e sempre più deformanti ma coordinate in società (appunto per permettere l’emergere della cultura e della società, con le loro peculiarità diverse da contesto relazionale a contesto relazionale). Il riferimento alle interazioni (“prodotto d’interazioni”), come abbiamo visto, non è abbastanza preciso da cogliere nel segno, ma non è sbagliato. Avrebbe giovato di più una parola specifica come “interrelazioni” o meglio ancora “collegamenti analogici”: quest’ultima, in particolare, è quella su cui si fonda l’intera teoria analogico-configurazionale, la cui validità è suffragata dai capitoli di questo contributo, in cui si riescono a risolvere numerosi misteri avvolti in fitta nebbia almeno da millenni. I primi problemi nella definizione dell’autore parigino arrivano quando al “prodotto” si aggiunge l’aggettivo “globale” e alle “interazioni” si aggiunge l’aggettivo “cerebrali”. Per correggere il primo aggettivo, basta sostituirlo con “integrale”, in applicazione di quanto sopra considerato e argomentato. Prima di correggere l’aggettivo “cerebrali”, si può premettere una rapida spiegazione del perché lo consideriamo sbagliato. L’attuale neurologia istituzionale ci dice che (mettiamo) l’80% dell’elaborazione d’informazioni nel corpo umano è gestita dal cervello e dal sistema nervoso più in generale e (mettiamo) il 20% è gestita a livello localizzato e diffusivo in tutto il corpo, grazie alle sensazioni generate e gestite dai neuropeptidi (molecole cd. di emozioni, scoperte da Candace B. Pert negli anni ’80 del secolo scorso, se non erro). La rivoluzione introdotta in neurologia dalla Pert è stata accolta molto lentamente dagli ambienti ufficiali (diciamo negli anni ’90 del secolo scorso): non si poteva quindi pretendere che Morin l’avesse già integrata in La Nature de la nature. Ma anche la rivoluzione in parola, che ci dice che sensazioni ed emozioni, gestite a livello molecolare e periferico, integrano in modo indispensabile l’informazione di cui

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dispone l’organismo umano per vivere, è ancora piccola cosa rispetto alla rivoluzione della psiche che ci troviamo dinanzi. L’idea dell’organismo autocosciente come groviglio complesso di collegamenti analogici organizzati in percorsi di autocoscienza tra loro intrecciati o paralleli o in sequenza è quindi talmente basilare, per avvicinarsi a tale rivoluzione, che un qualunque riferimento al cervello che non serva ad ispirare ulteriormente la tca appare non solo illusorio (e in questo non vi sarebbe alcun male, in quanto ogni conoscenza umana è illusoria, puramente apparente, anche se funzionante), ma decisamente involutivo, in quanto ci de-responsabilizza rispetto al cammino d’invenzione-scoperta delle configurazioni remote che dovranno farci superare gli scogli evolutivi per noi umani così esecrati. Le innumerevoli verifiche della tca che ho proposto e continuerò a proporre in questo contributo non servirebbero a niente, se non ci orientassero finalisticamente al superamento di tali scogli (vecchiaia-morte, infelicità, anti-relazionalità). La libertà stupefacente e venusta che ci attende, al varcare le porte del tempio della psiche, è tale da deformare ogni nostro anelito corporeo, figurarsi la nostra attività teorica. E’ quindi fuori discussione ogni indulgenza all’idea meccanicistica dell’informazione corporea elaborata a livello di sistema nervoso (anche se non più solo centrale, ma anche periferico e diffusivo grazie ai neuropeptidi): i paradigmi della molecola, della cellula e della sinapsi non ci possono guidare alla rivoluzione anelata!

All’idea di “prodotto d’interazioni”, nella spiegazione della coscienza, Morin aggiunge quella di “prodotto d’interferenze”. La coscienza, cioè, non sarebbe solo il prodotto d’interazioni, ma anche il prodotto d’interferenze (omettendo, come sopra, l’aggettivo “cerebrali”, che tuttavia l’autore assegna anche alle interferenze). L’interferenza, a livello etimologico, viene dal latino inter + ferre = tra + portare. Con la parola interferenza si suggerisce quindi che qualcosa viene trasportato dal punto A al punto B, o dall’elemento A all’elemento B, oppure in maniera reciproca come scambio di cose, alcune delle quali vengono trasportate da A a B, altre da B ad A. Ma nell’accezione moderna del termine, interferenza non è (nonostante l’identica etimologia) un sinonimo preciso d’interrelazione, in quanto vi si annida anche l’idea di casualità o l’idea di destino non previsto (ma eventualmente anche prevedibile, con la dovuta accortezza e sapienza). L’acqua, ad esempio, non interagisce ma interferisce con un circuito elettrico. Se sono abbastanza istruito sui circuiti elettrici ed accorto nella situazione specifica, evito di far avvicinare l’acqua al circuito elettrico. L’interferenza è quindi un’interazione eventualmente anche prevedibile, ma senz’altro non pensata per tutelare o far funzionare correttamente uno dei due elementi in interazione. Quindi l’interferenza è importante, nel contesto della coscienza, per introdurre situazioni disfunzionali come la patologia mentale, ma anche la serendipia e l’evoluzione culturale e adattiva. Se la coscienza non fosse in grado di sbalordire se stessa, di schiacciare se stessa ma anche di superarsi restando in piedi, rimarrebbe miseramente ferma e si estinguerebbe nel momento stesso in cui non fosse più in grado d’interpretare l’ambiente esterno all’organismo o l’organismo stesso (che può trasformarsi in ambiente esterno, quando non è più in sintonia con la coscienza). Quindi l’autore ha avuto tre buone idee, nel definire la coscienza: l’idea di prodotto, quella d’interazione e quella d’interferenza. Ciò non toglie i limiti già enucleati in tale definizione. Ma non abbiamo ancora finito di analizzare la definizione in parola: essa diventa, nel seguito verbale, più complessa. Infatti le interazioni e le interferenze anzi dette sarebbero, secondo Morin, “inseparabili dalle interazioni e interferenze di una cultura su un individuo”. Molto correttamente, l’autore francese introduce la relazione, senz’altro problematica e fondamentale, tra io individuale e io collettivo, che si combatte dentro ciascuno di noi e, in versione macro, nell’intera società di riferimento. La coscienza non può in alcun modo astrarsi, rispetto a tale relazione. Sono convinto che ciò non sia possibile nemmeno dopo la morte biologica, quando la cd. anima o corpo sottile va nel suo interregno (o 5lc) di appartenenza (dopo essere passata da un’eventuale fase di limbo, in cui deve ricostituirsi). La coscienza subisce, insomma, i confini intuitivi imposti dal proprio 5lc di appartenenza. La coscienza individuale è comunque in grado (a condizioni specifiche indicate nel capitolo sui metodi di raggiungimento delle configurazioni remote) di alterare anche profondamente il 5lc proprio ed altrui. Quindi la definizione di Morin, pur non arrivando al livello di specificazione indispensabile a farci capire in modo preciso (cioè tecnico) cosa sia la coscienza, e pur avendo un paio di errori imprescindibilmente da correggere, è un ottimo inizio per la comprensione della coscienza stessa, poiché ne fa emergere alcune caratteristiche fondamentali (che, peraltro, pur essendo ricavabili dalla lettura complessiva di questo contributo, non erano state da noi inserite nel capitolo sulla formazione della coscienza).

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Un altro punto di distacco tra le due teorie (forse solo provvisorio ed apparente, ma comunque espresso con forza da Morin) viene trattato nella posizione 2490, in relazione alla “realtà fenomenica”. Per l’autore de La méthode “il reale è, non ciò che si lascia assorbire dal discorso logico, ma ciò che gli resiste”. Questa sferzata contro la logica e i “linguisti” (tra cui potremmo essere annoverati anche noi, in questo contesto) è giustificata, secondo Morin, dal carattere emergenziale della realtà. La realtà non sarebbe quella che viene parcellizzata tra le parti costitutive del sistema, ma quella che emerge proprio in quanto tali parti s’inseriscano e costituiscano il sistema (senza il quale le emergenze sparirebbero). A nostro avviso non si deve scindere la realtà tra quella emergenziale e quella isolata (che, a questo punto, non sarebbe più vera realtà), ma si deve considerare l’intera realtà come emergenziale (cosa su cui, rigirando la frittata, Morin stesso dovrebbe a questo punto convenire). L’emergenzialità della realtà andrebbe in qualche modo graduata, di modo che alcune realtà si configurerebbero come più emergenziali di altre, o meglio, non di quantità di emergenzialità si tratta (ovviamente), ma d’interconnessione analogica più o meno importante ad uno specifico sistema. Mettiamo, ad esempio, che un protone per qualche istante, a causa di un’esplosione atomica, finisse per non appartenere ad alcun nucleo: in quegl’istanti avrebbe perso l’emergenzialità tipica del protone nell’atomo, ma non altri tipi di emergenzialità che avrebbe comunque in relazione ad altri sistemi (che, per la mia ignoranza di fisica delle particelle, non vi starò a citare). E’anche altrettanto chiaro che, in relazione ad uno specifico paradigma e alla sua configurazione di riferimento, un singolo elemento analogico potrebbe risultare estraneo e quindi non riducibile alla logica del paradigma stesso e della sua configurazione: ma ciò non toglie che un percorso di auto-coscienza potrebbe unire tale elemento ad uno sito nella configurazione de quo. Quindi se anche vi può essere un’opposizione logica, essa non va intesa come antagonismo ma come accordo ancora da stringere. La logica dell’accordo costitutivo sull’essere è cioè più pregnante sulla realtà della notazione sull’opposizione logica che ancora vi si annida a livelli quasi infiniti. Il discorso logico è quindi una componente ineludibile della realtà, non la sua strenua oppositrice. Ne sia prova la tendenza universalizzante della realtà (da noi proposta e verificata nei sei assoluti originari che ospitano un polo universalizzante: vd. Analogia singolare, oltre agli altri saggi – ognuno dei quali tratta o comunque si riferisce a tale argomento, integrandolo - e al capitolo qui dedicato agli assoluti). Ma come già notato più volte, ogni argomento di contrapposizione tra le due teorie è più che altro terminologico, se non se ne saggia il portato teorico ulteriore. Qui il portato teorico sembra davvero comune, in quanto entrambe le teorie vedono una realtà che, dal punto di vista logico, è in movimento. Chiamo tale realtà in movimento con il nome di “essere”. Inoltre tale movimento fa tendere l’osservatore al ruolo d’interprete, muovendo anche la sua conoscenza fino a condurla ad una sintesi logica sempre nuova, in accordo rinnovato con la realtà. La tendenza universalizzante della realtà, come da me più volte ribadito, non giunge mai all’universale (come sembra far trasparire in questo passo, e ribadiva già in precedenza l’autore de La Méthode).

Nella posizione 2490 l’autore de La Nature de la nature ci dà la sua prima definizione di materia. Per lui la materia è costituita dalle “emergenze globali” che formano l’atomo e costruiscono i livelli architettonici superiori della realtà. Con questa definizione ci troviamo catapultati in un ponte mistico che è unisce i principi della Gestalt (il tutto è superiore alla somma delle parti) al dualismo neopositivista (che imposta l’architettura che dall’atomo arriva fino ai corpi macroscopici inerti o agli organismi viventi). Considerando che (ormai lo abbiamo capito) le “emergenze” di Morin equivalgono alle nostre “analogie singolari sefèriche”, la sintonia tra la sua e la nostra definizione di materia non è di poco conto. Tuttavia Morin sconta, forse, lo stato ancora germinale dell’idea di emergenza. E’ possibile che, approfondendo tale idea, spuntino fuori ulteriori declinazioni delle emergenze che consentano una definizione di materia dotata di un corredo logico più approfondito. Vista l’approssimazione di tale definizione di materia, rimandiamo al capitolo di questo contributo che tratta in modo specifico dell’argomento. Ivi si spiega che la materia può intendersi in due sensi, uno in movimento (ifscβ dell’afc) e uno statico (gp). In entrambe le definizioni, ciò che dà coerenza alla materia sono le ASs di coerenza - che si trovano negli schemi analogici citati (ifscβ dell’afc e gp) – e l’ASs di trasduzione (che rende coerente l’ ifscβ con l’ifscα dell’afc).

Nella stessa posizione della Kindle edition, s’introduce l’argomento dell’architettura della realtà. Anche qui l’autore francese si limita ad adoperare, in una modalità sincretica di costruttivismo e di dualismo neopositivista, le emergenze come mattoncini da costruzione. Ma noi sappiamo che le analogie singolari sefèriche (sinonimo di emergenze) si collocano all’interno di percorsi di auto-coscienza (pda), che tra loro

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s’incrociano a formare i sistemi configurazionali e i sistemi configurazionali di sistemi configurazionali, e così via, fino ad arrivare alla formazione dei corpi inerti e finanche dell’organismo vivente (fino a quello auto-cosciente). Ma l’architettura da noi proposta è, in realtà, ancora più stratificata, poiché si muove tra due schemi, uno racchiuso nell’altro: lo schema analogico, racchiuso nello schema configurazionale (che è quello che va poi ad incrociarsi, sotto forma di pda, con gli altri pda). In entrambi gli schemi c’è un pullulare di elementi analogici (che, nel caso dello schema analogico, ho chiamato sub-elementi analogici). Tale pullulare è organizzato e reso coerente grazie alle analogie singolari, sefèriche e grafèiche, poste su più livelli di analogie e suddivise tra analogie elaborate dall’interprete e analogie preimpostate dall’essere (per formare l’illusione della realtà). Ho chiamato queste ultime analogie con il nome di zip- e racc-fùseis. Abbiamo contato fino ad otto livelli di zip- e racc-fùseis (cui corrispondono anche le analogie elaborate dall’interprete, che possono prendere il posto delle prime). Tale fitta e complessa architettura copre quasi per intero, ai fini della sua trattazione, quest’opera. La domanda è quindi se Morin riuscirà a colmare le iniziali semplificazioni della propria architettura della realtà, nel prosieguo de La méthode. Il che è probabile, vista la lunghezza dell’opera ed il modo non sistematico (quanto inatteso e decisivo) di procedere dell’autore.

Morin si accorge perfettamente della necessità di una teorizzazione più spinta nel campo del sistema, che per lui (come per noi) è profondamente imperniato sulle emergenze. Sono infatti le ASs806 a dettare il modo di procedere di ogni percorso di autocoscienza e quindi a renderne più probabili gl’incroci. L’autore de La Méthode arriva presto all’idea che vi siano delle “costrizioni” che vincolano il tutto (correggi con: l’intero), di modo che sia meno della somma delle parti. La singola parte, infatti, se lasciata a se stessa (o meglio: in una configurazione diversa da quelle attraversate dal sistema considerato), non ha i vincoli che ha quando appartiene ad un certo sistema. Non che la parte, a nostro avviso, possa mai considerarsi svincolata da una configurazione, da un sistema e da un pda: ma può avere sempre una diversità di vincoli quando passa da una configurazione, sistema o pda all’altro. Quali sono le costrizioni che l’elemento analogico (come elemento di un pda) può incontrare? In primo luogo il vincolo intuitivo costituito dal paradigma di riferimento della configurazione in cui si muove. In secondo luogo, l’indirizzamento fornito dall’onda formaturale in senso lato. In terzo luogo, il finalismo che lo guida in qualità di gemma apicale. Infine, i pda-dist (che possono costituire elementi comuni con il pda di riferimento, in modo da agganciare e deragliare quest’ultimo). E’ grazie a queste costrizioni che l’organismo e i suoi sistemi si possono specializzare e raggiungere funzionalità particolari. E’ l’organizzazione stessa (precisa l’autore francese) che pone tali restrizioni e vincoli sulle nostre vite e sulla realtà.

Il rapporto emergenziale tra le parti e il tutto è in sé inammissibile per la teoria analogico-configurazionale. Non si accetta, cioè, l’idea che l’autore de La Méthode esprime, secondo cui nell’emergenza le parti apportano delle costrizioni alle altre parti e al tutto, così come il tutto apporta costrizioni alle parti (posiz. 2544). L’idea non è accettabile poiché mette le parti e il tutto (anche se in campo forse meramente logico) come elementi tra loro contrapposti nella relazione soggetto-oggetto. Se dico che le parti apportano costrizioni alle altre parti, metto alcune parti in posizione di soggetto agente e altre parti in posizione di oggetto dell’azione. Allo stesso modo, se dico che le parti apportano costrizioni al tutto, metto le parti in posizione di soggetto agente e il tutto in posizione di oggetto dell’azione. Infine, se dico che il tutto apporta costrizioni alle parti, metto il tutto in posizione di soggetto agente e le parti in posizione di oggetto dell’azione. Un esempio di quanto dice Morin è chiarissimo: il protone è parte del sistema atomo; alcune caratteristiche del protone condizioneranno l’atomo, imponendogli delle costrizioni; altre caratteristiche del protone condizioneranno gli altri protoni o i neutroni o gli elettroni, imponendo loro delle costrizioni; infine l’atomo imporrà delle costrizioni al protone che ne fa parte. Ma questo finto costruttivismo delle relazioni endo-atomiche, che si risolve in un riduzionismo neopositivista calmierato, non dà conto della grande libertà che si “respira” nei campi quantistici, in cui nessun elemento pone costrizioni all’altro, ma semmai si configura insieme all’altro entro un certo confine intuitivo chiamato paradigma. Nella singola configurazione analogica non c’è un elemento-parte e un elemento-tutto (o elemento-intero). Non si parla di sistema, all’interno della singola configurazione. Il sistema è il sistema di configurazioni analogiche, quindi è l’intreccio di molti pda che attraversano, incrociandosi tra loro, molte configurazioni analogiche. Il lettore può intuire quanto maggiore è la libertà della rete analogica, se è

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composta di sistemi di sistemi di sistemi (nidificati ad libitum) di configurazioni analogiche, i cui incroci tra pda e i cui agganci di pda-dist ai danni dei pdac giustificano, rispettivamente, da un lato le comunanze di elementi analogici tra i vari pda e sistemi configurazionali, dall’altro lato la prevalenza di alcuni tratti di pda rispetto ad altri tratti di pda. Invece l’idea di un novero immenso di parti e di tutto (o intero) costruibili logicamente e influenzanti (non si sa come) la fisica è ancora un’idea riduzionista, che dà pochi gradi di libertà alla realtà rispetto a quelli che effettivamente si prende di continuo. Se infatti una parte appartenesse (come di regola avviene) a più di un tutto, a quale tutto dovremmo attribuire certe costrizioni che più di uno di tali tutto impone, o quale tra più costrizioni alternative dovremmo applicare ad una parte, nel rapporto con un’altra parte o con un tutto, eppoi quando si avrebbe una situazione di alternativa tra costrizioni e a quali livelli di tutto (poiché le nidificazioni sono previste anche dall’autore parigino).

Affascinante è poi la questione delle “<<libertà>> dell’individuo nel sistema”, “su [cui] si fondano i progressi della complessità organizzazionale” (posiz. 2547). Per comprendere cosa sia questa libertà, dobbiamo cercare di arginare l’idea d’individuo, su cui è in un certo senso tarata. Ma subito ci accorgiamo che per dire che individuo sia l’organismo auto-cosciente, invece che l’organismo inconsciente, o che sia l’organismo vivente invece che il corpo inerte, o che sia la cellula o l’atomo invece che i loro componenti, o che sia il nucleo invece che gli elettroni e gli altri quanti, dobbiamo in contemporanea avere impostato una linea di demarcazione tra schiavitù e libertà. Per far ciò non possiamo che avere alcun altro punto di vista dell’osservatore auto-cosciente: non possiamo, infatti, metterci nei panni di un atomo o di una cellula, e nemmeno nei panni di una pianta o di un rospo (salvo che anche questi abbia una coscienza simile alla nostra). Abbiamo in precedenza individuato la coscienza nella sua scintilla (cioè il collegamento analogico tra elemento concreto dell’io ed elemento grafèico puro) e nella sua formazione (cioè nel collegamento analogico, del tipo ASg-ASg, tra l’elemento che funge da gemma apicale in un pda inattivato e l’elemento che funge da gemma apicale in un pda attivato), formazione che a quest’ultima scintilla si collega grazie ad un ulteriore collegamento ASg. Il punto di vista dell’organismo cosciente è quindi sempre una sospensione configurazionale dell’elemento analogico concreto dell’io (che può avere l’aspetto il più vario, in quanto si distingue solo per il collegamento, nello schema configurazionale, con l’elemento grafèico puro) che si soddisfa collegandosi ad uno schema complesso, in cui un pda inattivato si è collegato per ASg con un pda attivato. Per tale punto di vista, fondato sull’ineffabile che si soddisfa, cosa sarà libertà e cosa sarà schiavitù? La soddisfazione (espressa nel collegamento allo schema complesso dianzi detto) sarà libertà, l’insoddisfazione (espressa nella permanenza nello stato configurazionale di sospensione) sarà schiavitù. L’osservatore auto-cosciente, per provare tale soddisfazione in relazione ad un pda attivato relativo ad un sistema esterno al suo organismo (che chiamiamo individuo), deve empatizzare con tale sistema. L’empatia altro non è che il collegamento ASg-ASg tra l’elemento concreto dell’io e l’elemento scelto all’interno dello schema di formazione della coscienza per soddisfare quest’ultimo. Per schema di formazione della coscienza intendiamo lo schema configurazionale che collega, per ASg-ASg, il pda inattivato a quello attivato: nel capitolo sulla formazione della coscienza abbiamo visto che un elemento, scelto all’interno di tale schema, viene collegato per ASg allo schema della scintilla della coscienza (che a sua volta è composto dall’elemento concreto dell’io, collegato analogicamente all’elemento grafèico puro). Lo schema dell’empatia è quindi lo stesso schema della coscienza, che unisce la propria scintilla con la propria formazione, come riportato in una nota al relativo capitolo.

Vediamo, adesso, come Morin risolve il problema della libertà dell’individuo nel sistema. Egli intende l’insieme come fatto di parti, che possono essere assoggettate a costrizioni dal sistema stesso. Noi al contrario consideriamo le parti del sistema come sistemi a loro volta. Anche considerando, infatti, il singolo pda che appartiene ad un sistema configurazionale, si trova che il pda è in sé un sistema, che può deformare il sistema di altri pda in cui va a incrociarsi ma anche esserne deformato (cioè cambiato nella forma, secondo un giudizio ipotetico che lo inserisse in un altro tessuto di sistemi). Le qualità che il pda perde, per l’interconnessione in un certo sistema x, non sono vere qualità, ma possibilità di evoluzione configurazionale all’interno della stessa configurazione e verso altre configurazioni, che un pda simile avrebbe avuto in un sistema diverso. Le categorizzazioni che riusciamo a dare di tali possibilità mancate (o, al contrario, dischiuse) sono quelle che si esprimono nella percezione immediata dei corpi, all’interno dell’ifscβ dell’afc, che grazie alla trasduzione riescono ad esprimersi in termini di comprensione logica, intuizione, percezione logico-strutturale e percezione intuitiva all’interno dell’ifscα dell’afc. E’ così, dunque,

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che nascono nella nostra conoscenza le categorie di parti e di tutto, di sistemi e di sistemi di sistemi, ecc…, nonché le categorie di qualità della parte e di costrizione della parte nel sistema. Sono, cioè, a loro volta dei pda che ci fanno conoscere queste categorie, che quindi sono spurie (nel senso di non abbastanza evolutive per la costruzione dei linguaggi non trasmutati). Ma a questo punto, anche se non siamo d’accordo con la tendenza di Morin a categorizzare la realtà, affidandosi a linguaggi già trasmutati, restiamo tuttavia abbagliati dal suo principio di costrizione, che si accompagnerebbe a braccetto con il principio di emergenza ad ogni livello della realtà organizzata. Ma dovremo chiamarlo piuttosto (adoperando lo stesso linguaggio de La Méthode, in questo forse anticipando un successivo passaggio di tale opera) principio di coerenza, che si esprime a vari livelli, dallo schema analogico fino ai sistemi di sistemi di schemi configurazionali. Tali livelli di coerenza sono già stati da noi elencati poco sopra: grazie a tali livelli di coerenza, abbiamo la netta impressione che vi siano delle costrizioni, ma si tratta solo della prevalenza di un certo livello e forma di coerenza rispetto ad un’altra. La conoscenza, d’altronde, può ben essere descritta come una grande battaglia campale (con una qualche strategia, ma anche con una strisciante confusione) tra schemi che cercano, ciascuno, di affermare la propria coerenza. Qui per schemi non s’intendono solo lo schema analogico e quello configurazionale, ma anche i sistemi di pda e, con nidificazioni ad libitum, i sistemi di sistemi di pda. Fino ad un certo punto, in un certo settore della grande battaglia, si afferma un certo livello e forma di coerenza, che prevale (rendendoli coerenti) sugli altri livelli e forme di coerenza, mentre oltre un certo punto di rottura o in un altro settore si riaccende la zuffa tra i livelli e le forme di coerenza, senza che nell’immediato si sappia quale prevarrà, ripristinando la coerenza. Si noti la circolarità e la contraddittorietà logica di questo gioco di coerenze: da un lato, una forma e livello di coerenza è incoerente con altre forme e livelli di coerenza, finché non si riporta in questi la coerenza; dall’altro lato, c’è una coerenza che prevale su altre coerenze, come se ci fosse una coerenza della coerenza (con nidificazioni ad libitum): e così è. Quindi la coerenza di coerenza, se guardata dal punto di vista della coerenza succube, è costrizione; se guardata dal punto di vista della coerenza vincitrice, è coerenza. E la coerenza che prevale può essere una delle due a confronto (che è ciò che “succede”807 nello schema configurazionale), oppure una terza coerenza che emerge dalle due (che è ciò che “succede” nello schema analogico). L’enunciazione dei livelli di coerenza può essere desunta dal capitolo sullo sfrangiamento; l’enunciazione delle forme, invece, richiederebbe l’intero scibile, non solo quello umano, e non basterebbe, poiché si tratterebbe di catalogare ogni forma di coerenza che si affaccia in ogni livello di coerenza.

Alla posizione 2568 arriviamo al nocciolo del problema della libertà dell’individuo, e apprendiamo che l’autore francese dà per scontata la definizione d’individuo, come se fosse una conoscenza intuitiva innata dell’osservatore. Ebbene, per Morin solo a livello dell’individuo si può parlare di libertà e di oppressione, mentre a livelli di minore complessità (rispetto all’individuo) si può parlare di qualità e d’inibizione di tali qualità o possibilità di azione o di espressione. Non si considera, quindi, che l’intuizione su cosa sia l’individuo è strettamente inserita e plasmata dal 5lc di appartenenza dell’osservatore o dalla sua interpretazione personale (5l). Ma, nonostante la poca accuratezza del linguaggio, anche il presente passaggio de La Nature ci regala un’ulteriore perla: “Un sistema non è solo arricchimento, è anche impoverimento e l’impoverimento può essere più grande dell’arricchimento”. Morin arriva ad ipotizzare che si possano definire delle classi di sistemi e che, in una stessa classe, vi possano essere sistemi più tendenti ad arricchirsi di emergenze e sistemi più tendenti ad impoverirsi per le costrizioni. Non è ancora chiaro, in questo contesto, se si arricchiscano/impoveriscano i sistemi o le loro parti. Ma occorre dire, già adesso, la nostra visione sul punto. Prendiamo il sistema dell’organismo umano, che è un sistema auto-cosciente, facendo un esempio. Io posso indossare degli occhiali nuovi e vedere molto meglio i contorni delle case nella montagna di fronte a casa mia, mentre con i vecchi occhiali vedevo un ondeggiare confuso di linee. Se la mia nuova visione più nitida m’ispira pensieri, sensazioni, emozioni e sentimenti di libertà, avrò ottenuto libertà, come individuo, dal mio sistema corporeo; se, al contrario, la mia nuova visione più nitida inibisce la mia immaginazione e ogni stimolo di novità conoscitiva, avrò ottenuto oppressione o schiavitù, come individuo, dal mio sistema corporeo. Ciò che mi dice verso dove si stia dirigendo la battaglia delle coerenze nel sistema di riferimento, se verso un aumento del novero di schemi della coscienza (come sopra definiti) o verso una loro riduzione, se verso una più potente strategicità evolutiva di tale novero

807 Quando dico “succede” non mi riferisco, ovviamente, ad una cronologia di eventi, ma ad un procedimento che possiamo chiamare, a secondo dei casi, di configurazione o di analogizzazione.373

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(aumentato o diminuito) o verso una strategicità più stanca e con meno presa, me lo dice il livello di coordinamento della realtà più alto di ogni altro, quello dell’accordo costitutivo sull’essere, che l’interprete-uomo stringe con l’essere (ammesso e non concesso che tale livello vinca la battaglia escatologica della coerenza, di cui parlavamo sopra, peraltro senza stravincerla – altrimenti, perdendosi la complementarietà tra via dell’essere e via del non-essere, entrambe perderebbero il proprio senso).

Morin descrive il sistema come un tutto che prende forma nel mentre che le sue parti si trasformano (posiz. 2590). Sia che intendiamo le parti come altri sistemi, che costituiscono un sistema di sistemi di pda, sia che le intendiamo come i pda stessi di un sistema più o meno nidificato, la descrizione dell’autore si attaglia senza difficoltà al portato della nostra teoria. Se infatti intendiamo il sistema come un novero di molti pda (ogni elemento analogico dei quali ha un’onda formaturale in senso stretto ed una in senso lato, che rendono ogni elemento variamente interrelato agli altri per la costituzione del proprio significato e per la modulazione dei confini intuitivi degli altri, nella cadenziazione e plasmazione in parte sempre nuova dei salti paradigmatici) tra loro intrecciati in modo tale da dar vita ad un funzionamento analogico autoreferenziale ma non isolato, o come un novero di siffatti sistemi su più livelli di nidificazione, è inclusa nel pacchetto una plasmazione reciproca, nonché informata ai dodici assoluti originari, di ogni pezzo di questo grande puzzle che chiamiamo rete analogica delle cose esistenti. I limiti che, almeno per ora, forse per l’intera sua opera, impediscono di cogliere l’immensità autentica del complesso, cui tuttavia gira intorno, sono gl’innumerevoli ponti mistici che continuamente lo riportano nelle categorie involutive di spazio (euclideo?), di tempo cronologico, di universalità e più in generale di categorizzazione riduzionistica e dualistica della realtà. Per cui leggiamo, nelle righe immediatamente successive alla pur grande illuminazione che ho sopra accennato: “Si tratta certo di una morfogenesi” dice riferendosi alla formazione del tutto in contemporanea alla trasformazione delle sue parti, “giacché il sistema costituisce una realtà topologicamente, strutturalmente, qualitativamente nuova nello spazio e nel tempo. L’organizzazione trasforma una diversità discontinua di elementi in una forma globale”. Un rammarico ulteriore viene dall’accezione di trasformazione (idea effettivamente chiave per l’interpretazione) come semplice formazione contemporanea delle parti nella formazione del tutto. In questo modo tale parola viene legata ad un duplice/triplice errore logico (per il riferimento alle idee ormai confutate di “tutto”, “parte” e forse anche di “contemporaneità cronologica”) e viene spogliata del suo significato ulteriore rispetto alla mera formazione. Trasformazione fa infatti riferimento ad una speciale formazione, che travalica il contesto logico (o confine intuitivo) di partenza. La trasformazione imposta un rapporto complementare tra un elemento iniziatico (costituito dagli elementi analogici occorrenti a configurare il nuovo paradigma e la sua concretizzazione intuitiva) e un elemento di completamento (appunto il nuovo paradigma e la sua concretizzazione intuitiva). Non so cosa comporterà, ne La Nature de la nature, lo spreco di questa parola. Il padre della complessità sembra adesso diventato il figlio prodigo della celebre pagina evangelica. Si può anche notare, per colmare la misura, che per Morin “tutto ciò che forma trasforma”. Se lo intendiamo come una necessità logica, sembra proprio che per lui formazione e trasformazione sono un po’ la stessa cosa, che solo si realizza su livelli gerarchici tra loro distinti e (non si sa minimamente come) interdipendenti. Ma può darsi che il figlio stia già tornando alla casa del padre (la mia teoria? O quella che abbiamo elaborato in successione, prima Morin e poi, come impaziente e inconsapevole allievo, anche io? Lo scopriremo forse tra molte pagine), se egli avesse inteso piuttosto dire che la formazione nasconde la potenzialità, che talora emerge, di superare se stessa (con un salto paradigmatico?).

L’autore francese prosegue la sua analisi del sistema, notando che si possono prendere in considerazione sistemi più semplici (in cui vi è solo unità e molteplicità dei costituenti, in quanto questi ultimi sono tra loro identici) o sistemi più complessi (in cui si affaccia anche la diversità dei costituenti, in quanto questi ultimi sono tra loro diversi e vengono resi ulteriormente diversi dall’appartenenza al sistema). Il sistema arriverebbe a “singolarizzare” costituenti che sarebbero, fuori dal sistema, del tutto identici. L’esempio è quello degli elettroni, che inserendosi nel sistema-atomo devono rispettare il principio di esclusione di Pauli, diventando così ciascuno diverso dagli altri poiché occupa una posizione e possiede una caratteristica sue proprie. La tca, però, è chiara nell’ammonirci che la vera caratteristica, appena enunciata da Morin, non è la individualità dell’elettrone, ma appunto la sua singolarizzazione. Penso che lo stesso autore, in altri passi, lo espliciti chiaramente: non c’è un elettrone “Tizio” che possiamo distinguere dall’elettrone “Caio”, ma una costruzione di pensiero, verificabile grazie ad appositi esperimenti, che ci dice

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di singolarizzare l’idea di elettrone. Ciò è espresso plasticamente nell’elemento analogico, inserito nel (sub-)percorso di autocoscienza e dotato di un’onda formaturale in senso stretto e di una in senso lato. La singolarizzazione dell’elettrone è, cioè, il tipico campo di applicazione dello schema configurazionale.

La Nature arriva ad un punto di estrema importanza (posiz. 2617), quando si afferma che la reiteratività e lo sviluppo della varietà in un sistema sono tra loro antagonisti, si tarpano le ali a vicenda. La reiteratività impedirebbe, cioè, lo sviluppo della varietà; quest’ultima, invece, impedirebbe il mantenimento dell’unità del sistema, la sua sopravvivenza. Per sviluppare varietà e non perdere l’unità, il sistema deve aumentare la propria flessibilità e complessità grazie alla trasformazione: questo ci dice Morin. La sua soluzione, in questo passaggio, è estremamente sintetica quanto apparentemente (e anche effettivamente, in un certo senso) geniale. E’ geniale perché ci porta nella pace dei sensi, ci fa pensare di aver capito una grande cosa; ma è anche geniale perché ci aiuta ad entrare dentro a questa cosa. Tuttavia è anche una soluzione apparente al problema, poiché la terminologia adoperata (così piena di ponti mistici) non ci aiuta ad elaborare intellettivamente una soluzione vera e propria. E’ come se ci avesse venduto un prodotto fuori dai locali commerciali e, almeno in Europa, avessimo quattordici giorni di tempo per restituirglielo. Ma non glielo restituiremo del tutto, anzi cercheremo di aggiustarlo.

Come si raggiunge, dunque, “una più grande ricchezza nella diversità e una più grande ricchezza nell’unità” (per continuare la citazione di questo passaggio così emozionante). Egli aggiunge che “l’unità […] sarà per esempio fondata sull’inter-comunicazione e non sulla coercizione”. L’idea che, in questa materia, è alla base della teoria analogico-configurazionale, è l’accordo tra essere e interprete. E’ l’accordo, proposto, oggetto di trattativa e infine accettato, che sta alla base della complessità. Perfino un passerotto, uno in particolare, che un giorno ho trovato nel mio giardino, mi è sembrato in grado di questo accordo. Consapevole del mio stato meditativo (e poi, una volta che mi sono accorto di lui, della mia premura nei suoi confronti), si è lasciato avvicinare dal mio piede fino alla distanza di due centimetri per almeno quattro o cinque volte, al punto che pensavo fosse ferito e incapace di muoversi. Si è poi distaccato dal suolo ed è sparito istantaneamente alla mia vista, quando ho avvistato il mio gatto a venti metri (ma il passerotto non poteva vederlo) e mi sono detto: “ecco, povero passerotto, ora se lo mangia il gatto”. Si noti che lo sbattere di ali l’ho percepito solo nell’istante preciso in cui ho completato quel pensiero, non nell’istante precedente, in cui avevo avvistato l’animale. Senza pretesa di aggiungere una legge ornitologica al patrimonio dell’umanità, ritengo possibili (da quel giorno) i collegamenti telepatici tra uomini e animali (anche molto piccoli). Ma tali collegamenti telepatici altro non sono che tecniche per la trasmissione d’informazioni, che si basano (come ogni tecnica) su una forma di accordo tra essere e interprete. L’abbiamo lungamente spiegato in ogni nostra opera, ma una in particolare, abbastanza agevole nella lettura e che tratta proprio di questo argomento è La realizzazione tecnica (attualmente scaricabile dal sito www.bridge4will.net).

Che vantaggi epistemologici ci dà l’idea di un accordo speculare (cioè tra l’uomo e la sua componente intuitiva ineffabile, o sé archetipico) alla base della complessità? Esso fa entrare in gioco sia l’ineffabile che il nostro rapporto con l’ineffabile, che possiamo articolare in varie gradazioni che si chiamano apertura alla novità, finalismo, finanche volontarismo. L’osservatore, trasformato in interprete, si propone come un carico da novanta nella partita conoscitiva che si gioca tra reiterazione dell’ordine stabilito e sua innovazione, che lo rende più complesso ma anche (a livello ipotetico, e a volte effettivamente) più instabile. L’instabilità è un’espressione della trattativa, che potrebbe arenarsi (distruzione dell’unità del sistema) oppure coronarsi con l’accordo (integralità del sistema, per acquisizione di un grado ulteriore di varietà). E la flessibilità, di cui parla Morin? La flessibilità che dovrebbe assicurare l’unità nella complessità? Essa si gioca nella trattativa, nella fase d’instabilità, ma ad accordo raggiunto diventa un procedimento tecnico (che poi s’integra nella prassi dell’esistenza e della vita grazie ai ponti mistici e alle zip- e racc-fùseis di uno o più degli otto tipi analizzati nella tca). Le zip- e racc-fùseis nuove – che potremmo ipoteticamente considerare come sorte in una certa epoca e non ancora previste nelle epoche precedenti - rappresentano dei ponti mistici che sfuggono al controllo dell’umanità come entità collettiva, per assurgere ad umanità come entità comunitaria (cioè come entità universalizzante dell’accordo tra essere e interprete). La descrizione di come si possa arrivare, dall’interpretazione dell’interprete fino alla zip- e racc-fùsis del tipo 0 (passando dalle zip- e racc-fùseis del quarto e quinto tipo e da quella del tipo della trasduzione) è fornita nei capitoli precedenti. L’idea di accordo ci permette, quindi, di esplicitare (nel più ampio contesto della tca) il

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funzionamento della flessibilità che produce (nel caso standard) o crea (nel caso della configurazione creazionale di configurazione creazionale) la complessità.

La mancanza di quest’idea di accordo fondamentale e cangiante, che si articola in due vie (quella dell’essere, che è anche l’accordo stesso in parola, capace di rendere complessa la realtà, e quella del non-essere, che costituisce l’aspetto ripetitivo, insensato e sfrangiante della realtà), si avverte nell’istituzione di un rapporto riduttivo tra “identità comune” degli elementi costitutivi del sistema e loro tendenza all’individualità, alla diversificazione. Questo rapporto, nelle pagine de La Nature, non tiene ancora conto della singolarità che in esso vuole emergere. In primo luogo, per parlarsi d’identità comune tra le parti di un sistema occorre che un osservatore s’immedesimi nella parte, la consideri come se stesso e la confronti così con gli altri (cioè le altre parti del sistema), trovando già configurata (grazie ad un apposito salto paradigmatico) tale comunanza d’identità. Senza immedesimazione dell’osservatore con l’elemento analogico, questo non può assurgere all’identità, né tanto meno all’identità comune con altri elementi. Ma l’osservatore aspira segretamente a diventare interprete, a ideare, cioè a concordare la singolarità. La parola “ideare” viene dalla parola greca idèa, la cui etimologia richiame alla percezione tout court, alla forma percepita (non plasmata dall’osservatore né rielaborata). Non posso plasmare autonomamente la singolarità, ma per percepirla (secondo la nostra teoria) devo prima808 concordarla. La mediazione di base, per percepire qualcosa di nuovo, è il salto paradigmatico. Ma esso non è da solo sufficiente a percepire la singolarità (cioè quella nuova percezione che stravolge interi sistemi configurazionali e interi sistemi di sistemi di sistemi (con nidificazioni ad libitum) configurazionali). E’ solo nella complementarietà e integralità dell’interprete con le proprie funzioni conoscitive personificate che si può cogliere l’aspetto ineludibilmente escatologico della singolarità, che vuole emergere da ogni elemento analogico, per “rinnov[are] la faccia della terra” (Salmi 104,30).

L’importanza dell’aspetto escatologico dell’accordo, come base su cui si costruisce la singolarità, ci richiede una digressione. Essa verterà sull’ultima citazione biblica: “e rinnovi la faccia della terra” (Salmi 104,30). L’ipotesi è che l’interpretazione di questo passo ci fornirà alcuni elementi conoscitivi, per comprendere il ruolo della singolarità nell’osservazione della realtà, nonché il ruolo dell’accordo in tale singolarità. Adopereremo alcuni dei criteri interpretativi della traccia scritturistica, elaborati nell’opera (ancora incompiuta, ma già pubblicata) dal titolo Il testo-ricerca.

Il versetto biblico appena citato, nel testo originale, suona così: אדמה פני ותחדש יבראון רוחך תשלח(theshalàh ruhachà ibbare’ùn uthadésh pné ‘adamà); che si può tradurre, nel modo più letterale possibile: “mandi respiro di te, si creano e rinnovi facce di terra”. Il verbo שלח (shalàh) significa “inviare, incaricare”, ma nella forma pièl (intensiva) significa più specificamente: “inviare, rinviare, rinviare libero, congedare, ripudiare, scacciare809, lanciare, gettare, rigettare, spingere, tendere, stendere”. Nel solito polisensismo dei verbi ebraici, questo verbo può applicarsi ad oggetti costituiti da persone, animali o cose e indica, in nuce, l’allontanamento volontario, motivato da un qualche fine, di qualcosa/qualcuno da sé. In genere, se manca la indicazione di una meta, si traduce con “stendere”; se manca solo l’indicazione dell’oggetto che si allontana, ma non quella della meta, allora si tende a tradurlo con “mandare messaggeri o ambascerie”; se infine mancano sia l’oggetto che la meta, si tende a tradurlo con “mandare una salvezza o una missione salvifica”. Si consideri che, sia in ebraico che in greco (quindi in entrambi i cd. Testamenti), la parola salvezza – al di là delle sfumature religiose che si è voluto affibiarle nei millenni – significa “conservazione”. E’ quindi strettamente legata all’idea opposta della disgregazione della materia e della morte o menomazione della vita biologica. Sono tutto fuorché contrario ad applicarla anche alla conservazione della

808 L’accordo de quo non è cronologicamente determinato, ma ha degli addentellati cronologici, che esprimono un qualcosa in costruzione nelle pieghe di ogni esperienza dell’interprete. Trattandosi di un’interpretazione, infatti, non può essere racchiusa completamente in un orizzonte cronologico, ma da quest’ultimo trae apposite tracce per esprimersi in modo più consapevole (tracce che, però, immancabilmente, affondano le loro stesse tracce nel terreno della complessità). Così, visto che abbiamo abolito il tempo cronologico come assoluto, della mia interpretazione di oggi potranno ad esempio beneficiare anche coloro che sono vissuti nel secolo scorso, sia nella loro attuale forma di esistenza, che si attribuiscono da soli (in qualità di osservatori della realtà), sia nella forma di esistenza che io attribuisco loro nell’inesistenza del passato.809 I significati “rinviare libero, congedare, ripudiare e scacciare” sono indicati nel dizionario di ebraico antico, ma non nel Grande Lessico dell’Antico Testamento (che è un dizionario etimologico). Li prendo quindi con beneficio d’inventario.376

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coscienza, purché non si perda la linea di continuità evolutiva (che giustamente anche Morin mi sembra vedere) tra materia e coscienza, passando dalla vita biologica. Inoltre il verbo shalàh è coniugato al tempo imperfetto, il cui significato non è cronologicamente determinato, ma indica solo un aspetto continuativo dell’azione. L’azione di “inviare, (re)spingere, tendere” è seguita da un nome, che potrebbe essere sia l’oggetto (opzione più probabile) sia il soggetto dell’azione (opzione meno probabile, ma comunque da non scartare, in quanto l’ambiguità in un testo esoterico come la Bibbia non fa perdere, ma semmai guadagnare in informazioni ermeneutiche). Se il salmista avesse voluto indicare in modo incontrovertibile che ruhachà era l’oggetto dell’azione, avrebbe potuto farlo precedere dalla preposizione את (‘et), peraltro abbastanza frequente nella Bibbia: ma così non ha fatto. Quindi il testo può significare sia “invii/(re)spingi/(s)tendi (il) respiro di te”, sia “invii/(re)spingi/(s)tendi (in qualità di) respiro di te”. L’opzione preferibile è quindi non scartare il polisensismo: eviterò quindi di restringere il campo semantico al significato di “stendere” e il campo grammaticale all’azione riferita ad un oggetto. Manterrò solo il beneficio d’inventario sul significato (non comunemente accolto) di “respingere”. Il רוח (rùah) è sia il vento, sia il soffio, sia il respiro, intesi come forza di tali elementi. L’idea di energia, oggi così poliedrica, sembra ben adattarsi a questa situazione, con la sola ulteriore sfumatura di “energia sia fisica – il vento - che vitale – il respiro”, e con l’ulteriore notazione che vento e respiro, per quanto appartenenti a due regni diversi (la materia e la vita) sono indissolubilmente legati, in quanto senza vento non ci sarebbe nemmeno una biosfera funzionante e quindi non ci sarebbe la vita. Potremmo allora parlare di “respiro cosmico”, ma ce lo sconsiglia il complemento “di te”: siamo di fronte ad una entità personale, che rappresenta la forza sia della materia (nonché dell’energia, dell’anti-materia e dell’energia oscura) che della vita (e quindi di ogni accezione di organizzazione e di energia ulteriori a quelle attribuibili alla materia, quindi anche di energia nel senso culturalmente più ampio del termine). Si noti la complessità che affiora ad ogni passaggio di questa analisi grammaticale e semantica: abbiamo un soggetto-oggetto, che è sia forza materiale che vivente, la cui caratterizzazione può spaziare fino alla strutturazione più squisistamente culturale e ideologica dell’idea di energia, che viene inviata ma al contempo respinta, tesa a qualcuno ma al contempo stesa su qualcosa, un’entità (soprattutto) cui lo scrittore si rivolge come ad un “tu”, che quindi è coglibile solo in un contesto relazionale e solo grazie alle parole dell’osservatore auto-cosciente della realtà. Ognuno dei meandri di questa circolarità emerge o dalle scelte semantiche della lingua ebraica, o dalla sua grammatica, o infine dalle scelte grammaticali dello stesso scrittore: la circolarità emerge quindi da un contesto cognitivo inconscio, fino a imporsi alla coscienza dello scrittore. L’espressione “mandi il tuo vento/soffio/respiro” si sarebbe potuta rendere in modo sia grammaticalmente che semanticamente più chiara, con una diversa strutturazione grammaticale (esplicitando il complemento oggetto con la preposizione ‘et e scegliendo la forma qal – il cui significato è più semplice: “mandare, incaricare, stendere, portare la mano su una cosa” - invece che quella intensiva pièl, decisamente più poliedrica) e una diversa scelta delle parole (visto che vi sono almeno due sinonimi, in ebraico, della parola rùah, privi dell’idea di “forza”). Il contesto relazionale è rafforzato grazie all’aspetto continuativo di tutti e tre i verbi del versetto: in un contesto sia cosmico, che fisico, che biologico, che infine culturale, le azioni si sviluppano in modo continuativo, a sottolineare che si parla delle basi della relazionalità tra le cose. I tempi in ebraico non esistono, ma solo i due aspetti (perfetto e imperfetto), che indicano rispettivamente l’azione compiuta e quella continuativa. E’ quindi ancora più stupefacente la terza parola di questo versetto, poiché ha il soggetto sottinteso: non si dice “le cose si creano”, ma “si creano”. Se in una lingua in cui non ci sono i tempi del verbo, ometti anche il soggetto, il senso diventa (potremmo dire, con un’espressione un po’ atecnica) trascendentale. Non stiamo più parlando di fatti concreti, ma di un farsi delle cose che precede le cose stesse, ma che si sta tuttora facendo. Il verbo “creare”, qui adoperato, è barà’, lo stesso verbo che si trova nella seconda parola del Genesi: creare dal nulla, cioè senza un modello predisposto. “E’ verosimile che l’ebr. [bara’] abbia il significato fondamentale di ‘separare’. […] La radice […] potrebbe essere connessa con il suarab. […] ‘costruire’, ‘partorire’; il pun. br’ sembra designare uno scultore.” (Botterweck e Ringgren, a cura di, Grande Lessico dell’Antico Testamento). Proviamo a mettere insieme questi quattro significati: “separare, costruire, partorire, scolpire”. Solo uno di questi termini (partorire) fa riferimento ad un modello precostituito (una donna partorirà, infatti, un essere umano, non un gatto), ma comunque non un modello così significativo da dirmi cosa nascerà esattamente, anzi un modello così ampio che ciò che potrebbe derivare da quella nascita potrebbe cambiare (per la complessità del partorito) l’intera faccia del cosmo e molto oltre. Ogni nuovo partorito è un rebus di complessità tale,

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da contenere in potenza una rivoluzione fondamentale dell’intero essere (anche se non è ancora successo). Quindi il significato di “creare dal nulla”, cioè senza modello prestabilito, regge al confronto con l’etimologia della parola bara’. Purché si comprenda che non si tratta di un creare assoluto, cioè che conforma tutto senza lasciarsi conformare da alcunché: è piuttosto un creare che si lascia sopraffare dalla sua stessa creazione, che non può essere del tutto controllata, anzi, meno è controllata più è deflagrante e sublime per lo stesso creatore (che, peraltro, qui è decisamente assente, nella sua versione dottrinalmente sclerotizzata di demiurgo o di onnipotente creatore810). La forma del verbo è ni’phal, che può tradursi sia come azione rilessiva (si creano da se stessi), sia come azione reciproca (si creano tra loro, gli uni gli altri), sia come azione nell’interesse di chi la compie (creano per se stessi), sia infine (in tempi più recenti) come azione passiva (sono creati). Possiamo mantenere ognuno dei significati qui presentati: “si creano da se stessi, creano gli uni gli altri, si creano per se stessi, sono creati”. Ognuno di questi significati, infatti, non esclude l’altro, anzi arricchisce il nostro modo di vedere il fluire della creazione incessante, ad ogni livello di complessità (dal livello materiale, fino a quello culturale), poiché ad ogni livello valgono le stesse possibilità di creazione (auto-creazione, creazione reciproca, creazione fine a se stessa, etero-creazione). Ciò che conta è che il soggetto sia sottinteso, poiché anche nel caso dell’etero-creazione, non sappiamo chi crea chi, sappiamo solo che c’è un aspetto etero-creativo. Il salmista sta adoperando con sapienza l’arte del non dire, per non suggerire la chiusura intuitiva in una sola dottrina possibile, ma integrando ciascuna dottrina verificabile all’interno del suo contesto fisico-relazionale (“mandi-respingi-(s)tendi”), vitale (“vento-respiro di te”) e creazionale (“si creano-creano gli uni gli altri-creano per se stessi-sono creati”). Se ci vuole molta energia per dare coerenza alla materia, e ancor più per dare coerenza alla vita (le cui informazioni sono esponenziali, rispetto a quelle della materia), proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se l’energia (il rùah) fosse respinta, si allontanasse dalle cose così ben strutturate grazie ad essa. Ebbene, i modelli preimpostati salterebbero: nascerebbero nuovi modelli, che richiederebbero anch’essi molta energia (ed infatti l’energia, con la stessa azione con cui viene “respinta”, viene anche “inviata”). Dobbiamo quindi reintegrare a pieno titolo il significato di “respingere”, attribuito solo da alcuni alla parola shalàh. La fusione delle prime tre parole ci dà la soluzione che sintetizza un’incessante creazione ad ogni livello di complessità: il respingimento-invio dell’energia (inteso in senso più ampio come perdita di coerenza e suo riaccrescimento811) fa sì che si creino spontaneamente, reciprocamente, e al contempo siano create, fini a se stesse, quelle che chiamiamo solo dopo, con il senno di poi dell’osservatore, le cose. Ciò avviene sia nel livello materiale che in ogni altro livello di coerenza superiore (fino a quello culturale). L’osservatore vede formarsi, come su uno schermo, qualcosa che può comprendere senza avergli ancora dato nome, ma che egli coglie già nella sua complessità e nel suo pluralismo cangiante, nella sua relazionalità e nella sua intima

810 Anche in Gn 1,1, la prima parola ci dà il registro di significato della creazione per la Bibbia: bereshìt = “in/al modo di cominciamento”. La creazione genesiaca mette profondamente in discussione, in primo luogo, colui che è soggetto (ancora una volta pluralistico) della creazione: elohìm (= le forze, gli dèi). Anche se qui il rapporto soggetto-oggetto (stando alla grammatica ebraica) s’instaura senza ambiguità, il soggetto non è assoluto, ma sta solo cominciando qualcosa che si forma nel mentre stesso che egli la crea e fa iniziare la sua grande avventura relazionale e finalistica con l’oggetto cangiante della creazione.811 Accenno soltanto, in questa sede, all’ipotesi che il rùah inteso come energia di coerenza vada almeno in parte a coincidere con la parola cinese chi. Quest’ultima ha comunque molte accezioni che in rùah non possono ravvisarsi e non ha, al contrario, varie accezioni che in rùah trovano espressione. Ad un’eventuale obiezione sull’attribuzione del significato di energia alla parola rùah rispondo senza esitazione, facendo riferimento ad un’opera di futura pubblicazione, in cui esporrò l’idea di energia e soprattutto la sua attuale funzione evolutiva. Qui basti considerare che, nella definizione fisica di energia, si adopera l’idea di forza (l’energia sarebbe il lavoro che può essere compiuto da una forza): ebbene, il significato-chiave che contraddistingue la parola rùah è proprio quello di “forza del vento o del respiro”. Si consideri inoltre cosa sarebbero la vita e la coscienza senza il vento e il respiro: almeno nella nostra biosfera, senza tali elementi sarebbero ipoteticamente precluse (al mero stato delle nostre cononscenze istituzionali) sia la vita che la coscienza. Quindi l’idea del rùah come “energia di coerenza” mi sembra, oggigiorno, la più spendibile, anche se non va certo confinata negli angusti limiti della fisica classica (da cui, peraltro, tanto non si lascia limitare quanto non rifugge, se è vero quanto ci dice Morin nella sua teoria della complessità sul groviglio in cui entrano materia, vita, coscienza e società). Lungi dall’adoperare la teoria di Morin come confine conoscitivo, la adopero (qui e altrove) come trampolino di lancio per un nuovo modo di conoscere e d’interpretare la realtà. Mi considero, quindi, il figlio prodigo di Morin, in una inedita interpretazione del brano biblico del padre misericordioso che deve essere ancora scritta.378

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ineffabilità (al punto da darle del “tu”, dal coglierne la forza misteriosa, dal non distinguerne le relazioni interne o, meglio, dal coglierle solo nel loro complesso a-cronologico, a-spaziale, anti-tradizionale).

Si noti che il verbo חדש (hadàsh), in ebraico antico, vuol dire “rinnovare, reiterare (con qualcosa di nuovo), restaurare”. L’etimo di חדש (hadàsh) si riferisce a ciò che è nuovo in quanto non ne esiste un modello precedente. Vi è una incomparabilità, che nega l’analogia, perfino quella singolare. La singolarità non è l’unico motore finalistico della realtà, ma c’è anche l’annichilimento (kénosis), che non è distruzione e nemmeno attesa. Significa “svuotamento”. L’individuo-interprete introduce la singolarità, ma non può astenersi dallo svuotare il coordinamento (che è il portato della singolarità) dalla sua individualità. In poche parole, deve lanciare il sasso (pietra angolare) nello stagno (di acqua putrida dell’attuale paradigma fondamentale dell’analogia) e poi vedere come si ricoordina il rapporto tra essere e non-essere ad ogni livello. Solo in questo modo, permettendo ad ogni cosa di conservarsi nel paradigma fondamentale futuro (quello della libera interpretazione e della libera costruzione della realtà), può ottenere il superamento dello svuotamento stesso (ancora una volta per sua libera interpretazione), in quanto la kenosis è un’unica integralità con il paradigma dell’analogia (poiché un collegamento analogico può prevalere sull’altro, nel definire la realtà, solo se quest’ultimo si svuota). Analogia è infatti sinonimo di cangianza e quindi di sacrificio (svuotamento radicale, non semplice attesa, ma libera riconfigurazione originaria, quindi configurazione). La singolarità (potremmo dire nello stile che abbiamo appreso da Morin) si svuota ottenendo lo svuotamento dello svuotamento, che non abolisce il paradigma dell’analogia ma lo interpreta come configurazione originaria. Se pensiamo bene a cosa significhi “configurazione originaria”, in una realtà cangiante, ci manca il respiro per qualche istante. La teoria analogico-configurazionale interpreta se stessa come se stessa. Lo stare a vedere cosa succede (quando il sasso della singolarità viene lanciato nello stagno), e addirittura se si potrà ancora dire “sono stato a vedere cosa sarebbe successo”, o se ogni cosa scivolerà in un ammutolito oblio, è indispensabile perché l’essere possa avere la relazione di libertà con l’uomo. Ma non è meno indispensabile quel finalismo che esprime - un istante prima dello svuotamento - i desiderata da non perdere nell’evoluzione. Vi è quindi una parte di sasso che non deve colare a picco nello stagno, una parte della pietra angolare che deve restare a galla come la punta dell’iceberg dell’evoluzione: non deve trasformarsi, come un qualunque sasso che sprofonda in uno stagno, in onde e in onde di onde (con nidificazioni ad libitum o chissà quali altre innovazioni, e chissà se le chiameremo ancora complessità, e chissà se si conserveranno idee per noi irrinunciabili come individuo, io, sé, ..., è questo appunto il momento di esprimere i nostri desiderata).

La seconda persona singolare del verbo haddàsh al tempo imperfetto, coniugato nella forma Qal, “(tu) rinnovi”, si colloca (all’interno dello schema della casa scritturistica812) sul confine tra finalismo e strutturazione-concretizzazione; essa esprime la funzione personificata del rùah (che è la forza del vento, del soffio, del respiro: la forza vitale che mantiene nell’integralità ogni cosa, nelle apperenze della materia, della vita, della coscienza, dell’unità e del pluralismo, ed in qualunque altra apperenza che richieda una coerenza logica, intuitiva, di percezione logica e di percezione intuitiva (cioè gestita dall’ifscα dell’afc o dagli elementi cs ed sc)). Il finalismo è quindi un’alternativa complementare alla strutturazione-concretizzazione della realtà, che nella posizione del rùah (che si pone in una configurazione adiacente a quella dell’assoluto originario del concretante-strutturante) è particolarmente incline a trovare nuovi elementi concreti, cioè a far collegare l’afc (elemento intuitivo puro) ad un cs (elemento intuitivo concreto)813. Il finalismo che, in

812 Per una definizione dello schema della casa scritturistica, vd. Il testo-ricerca, scaricabile da www.bridge4will.net. 813 In Trinità o funzioni conoscitive? definisco il rùah come “significativamente intimo al polo concretante”. Ciò significa che il rùah si esprime in configurazioni che sono adiacenti (= collegabili grazie ad un solo salto paradigmatico) alle configurazioni degli assoluti che hanno come polo il concretante. Queste ultime sono, nello specifico, tre configurazioni: il concretante-strutturante, il concretante-universalizzante e il concretante-astraente. L’afc ha come base la configurazione dell’astraente-concretante, cioè di quell’assoluto che è polarmente complementare al concretante-strutturante. Se considero (come considero) che il rùah si esprime nell’ifscα dell’afc, allora le zip- e racc-fùseis del quarto tipo (sostituibili da parte dell’interprete con altrettante ASs) e i sub-pda nascosti (s.nas) costituiscono l’espressione del rùah e tale espressione diventa complementare con i sub-pda di codifica (s.cod) che si annidano, in loro corrispondenza, nella configurazione dell’astraente-concretante. Il sub-procedimento di coerenza (in cui si esprime lo rùah) è quindi tanto complementare al sub-procedimento di coerenza inversa (ifscβ) quanto complementare alla propria bde. Il sub-procedimento di coerenza inversa (in cui si esprime lo pnèuma-percipiente), invece, non è complementare ma “di pari segno” rispetto alla propria bde: i suoi s.nas, infatti, invece che portare alla 379

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modo ineffabile, spinge al rinnovamento dell’unità, non si concretizza in una reiterazione non stanca e (scusate il gioco di parole) ripetitiva, ma in una reiterazione di elementi concreti inediti per il sistema o il pda in cui s’inseriscono. Non vi è limite precostituito: si può arrivare fino ad elementi concreti appartenenti a configurazioni creazionali, cioè completamente inedite nel panorama della rete analogica delle cose esistenti. Questa tendenza alla singolarità non fa esplodere l’essere, né impedisce la complementarietà e il dialogo con il non-essere, al contrario “restaura” l’ordine nell’atto stesso di “rinnovarlo”. La traduzione “la faccia della terra”, che ho dato solo per far capire quale fosse il passo scritturistico citato, è corretta ma poco letterale. C’impedisce, quindi, di entrare nel senso profondo di quest’espressione. Una traduzione più letterale sarebbe invece: “e rinnovi volti di terra (adamà)”. La parola pné è una declinazione particolare della parola panìm, che ci segnala che la parola successiva è un complemento di specificazione. Nella Bibbia ebraica si trova centinaia di volte quest’espressione: “volti di …”, per indicare sia quelle cose che si volgono di qua e di là (come il volto del Faraone, che controllava dov’era Mosé nel tentativo di scovarlo e ucciderlo), sia le cose viste dal loro lato anteriore (faccia). Si tratta di un plurale tantum, cioè di una parola che si declina solo al plurale, mai al singolare (di cui non si ha alcuna traccia in alcun testo ebraico). C’è stata quindi una scelta, consapevole o inconscia, di non declinare mai questa parola al singolare: come dire che i volti o le facce sono sempre più di una. Il volto può secondo me essere considerato, nel linguaggio esoterico, l’atteggiamento conoscitivo, il punto di vista; la faccia può d’altro canto essere considerata il feeling o feed-back relazionale di una specifica persona con un’altra specifica persona. Quindi è naturale che la terra, una realtà che riguarda ciascuno, sia conosciuta e dia un feed-back (o costruisca un feeling) diverso con ciascuno di noi umani, in ciascun momento particolare. La “faccia” è non solo quella che si guarda frontalmente, ma anche quella che si volge (“volto”). In essa il rapporto speculare è con una faccia da guardare e con un volto che ti guarda. In accadico la parola panu (stessa radice) ha anche il significato di volontà. Inoltre il fatto che “i volti-facce” sia declinato al plurale è in linea con un carattere fondamentale del rùah (che qui ha un ruolo di primo piano), quello di occuparsi proprio di dare la integralità nel pluralismo. Si noti come la tca, fondata anche sul ruolo del rùah, sia assurta alla forma di complessità più alta che si fosse mai vista, dando integralità al pluralismo di teorie e ideologie umane (facendo, ad esempio, andare a braccetto l’idea della reincarnazione con quella dei tre regni di paradiso, inferno e purgatorio, e offrendo loro una veste spendibile anche presso la comunità scientifica, poiché ha una base sia logica che cognitiva e offre un’interpretazione dei cd. fenomeni fisici, ed anche di quelli ESP). Quindi ciò che viene portato a coerenza non sono entità assolute a sé stanti, ma approcci conoscitivi. La massima complessità (quella che porta a coerenza, nella biosfera, perfino gli approcci conoscitivi degli organismi auto-coscienti) ci rivela che anche la minima complessità non è diversa (poiché sempre di approcci conoscitivi si parla). Dire che l’elettrone cambia comportamento, quando s’inserisce nel sistema-atomo, vuol dire immedesimare l’osservatore prima nell’elemento analogico-elettrone e poi nell’elemento analogico-atomo e fare un confronto tra loro, operando così un salto paradigmatico che fa diventare l’elemento-atomo un vero e proprio sistema configurazionale. Ma con ulteriori salti paradigmatici potremmo far diventare un sistema anche l’elettrone: avremmo così portato ad una coerenza più alta un pluralismo di approcci conoscitivi,

coerenza con la bde, ne allontanano e vi sono riavvicinati solo grazie alle ASs di coerenza. Potremmo quindi dire che un’implosione (ifscα-bde) diventa complementare (grazie all’ASs di trasduzione) ad un’esplosione (ifscβ-bde): in questo modo la risposta alla domanda se sia l’implosione ad adattarsi all’esplosione o quest’ultima ad adattarsi all’implosione diventa complessa, parlandoci appunto di un procedimento complessivo di coerenza, che riporta a sistema due sub-procedimenti di segno opposto (comprensibili nel contesto semantico sopra riportato in riferimento al verbo shalàh = “respingere-inviare”; ma anche “stendere-tendere”). L’energia che dà coerenza e incoerenza, e riporta entrambe a sistema nel moto evolutivo-conservativo-relazionale, è quindi sia lo pnèuma (= materialità del vento, del respiro) che fa esplodere l’incoerenza (visto che la funzione personificata dello pnèuma-percipiente è significativamente intima agli assoluti che hanno il polo astraente), sia il rùah (= forza del vento, del respiro) che fa implodere nella coerenza (visto che la funzione personificata del rùah è significativamente intima agli assoluti che hanno il polo concretante). Si noti che, nel mentre stesso che compio questi ragionamenti, saldando tra loro religione, filosofia, fisica, biologia e antropo-sociologia, sto anche adoperando il modo di ragionare della (cd. sacra) scrittura greca – la scrittura dello pnéuma -, in cui si spiegano le azioni umane con le citazioni in greco dalla (cd. sacra) scrittura ebraica – la scrittura del rùah. L’umano si salda con lo spirituale, grazie ad un procedimento complesso di coerenza. L’ifscβ, caratterizzata dalla deflagrante materialità percettiva, si salda in un intero indistinguibile con l’ifscα, caratterizzata dalla limpidezza dei collegamenti analogici.380

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mostrando come anche il minimo livello di complessità (quello di un singolo elemento di un campo quantistico) possa essere fatto assurgere a quello massimo (cioè alla coerenza degli approcci conoscitivi). L’etimo della parola panìm ci porta a guardare ai suoi significati nelle lingue vicine all’ebraico, in cui oltre al significato di faccia o di volto significa anche: “volontà di (qualcosa), …”. Gli approcci conoscitivi sono poi definiti come “di terra”. La terra, in ebraico, si può esprimere con due parole: ‘adamà e ‘erés. La prima significa “terra” in ogni possibile accezione (anche quella di terra come “sostanza o materiale” – quali il terreno rossiccio, l’argilla per plasmare i vasi o perfino la polvere – o di “suolo”, di terriccio che copre il sangue dell’innocente che grida dal suolo, di “campagna”, di “terreno fertile”, di “humus”, di campagna che gioisce per i frutti e che è in lutto per la siccità, di terra per tutti i popoli ma anche di terra appartenente ad una specifica persona – fondo rustico, proprietà agraria, forse perfino l’intera sfera proprietaria -, di terra che offre la possibilità di abitare in un luogo fisso, di qualcosa di vicino all’idea di patria (intesa come base di esistenza del popolo, non come entità nazionale), di riferimento per benedizione e maledizione altrettanto radicali, di ambiente in cui vivono gli animali, di luogo in cui riposano i morti, di “mondo”); ma ciò che in essa spicca di più è che ha la stessa aspetto di ‘adàm, l’uomo. L’etimo di ‘adamà dovrebbe derivare dalla radice ‘dm, che ha il significato di “essere rosso” (la terra potrebbe essere rossa per la presenza di ferro o per il sangue, anche se non vi è alcun legame sicuro con questi due elementi), ma c’è chi sostiene che derivi dal verbo arabo per “congiungere, aggiungere”, di conseguenza con il possibile significato di “strato superficiale, coltre terrosa”814. Essa è in senso esoterico una specifica ispirazione (in quanto sostantivo femminile) dell’uomo, ciò che allettandolo e pacificandolo interiormente gli dà stabilità emotiva e lo spinge ad alterare a proprio vantaggio l’ambiente esterno (infatti, in quanto seconda mediazione del ciclo omicron815, rende possibile il salto paradigmatico conscio). Se la madre rappresenta la cultura in cui l’uomo si forma e verso cui sentirà sempre un richiamo innato, la terra è ciò che consente il fiorire e la crescita della cultura o che (se arida o maledetta) ne decreta il declino. ‘adamà è infatti, auspicabilmente, la terra come plasmazione voluttuosa dell’uomo, è una campagna che dà (o almeno che si desidera che dia) frutti succosi e luoghi ameni per godere della sua bellezza. Il legame tra strutturazione-concretizzazione e finalismo diventa coessenziale all’uomo, in quanto il finalismo dell’osservatore è coessenziale all’ambiente da lui osservato, interno o esterno che sia. La terra rispecchia l’interno dell’uomo (una canzone italiana degli anni ’80 diceva: “ti porto lontano, nei campi di grano che nascono dentro di me”: il successo di questa canzone è ancora notevole, forse anche fuori dall’Italia!). L’altare dei sacrifici, luogo in cui analogia e annichilimento trovano coerenza, deve essere fatto di ‘adamà, cioè zolle di terra (Es 20,24): è nella serenità psichica in cui germina la cultura umana che si consuma, d’altronde, come su un altare improvvisato, il grande sacrificio di cui parliamo nell’intera nostra opera. Su basi non più malferme, ma appena stabilizzate, può erigersi il superamento degli scogli evolutivi più ardui. La terra, d’altro canto, è la terra che appartiene ad ogni popolo, ma può anche essere qodesh (santa, cioè di proprietà di Yahwé). Solo la terra d’Israele, forse perché santa per Yahwé, viene adoperata per i sacrifici (2Re 5,17)816. All’essere supremo, d’altronde, si offre il frutto dei campi (Gen 4,3), per gratitudine (in quanto è sua la proprietà della terra e suo il dono dei frutti). Se dunque la terra è la serenità psicologica, il suo frutto è la madre, cioè la cultura in cui l’uomo nasce e si ritrova, finché la terra inaridisce, cioè la cultura decade e muore. C’è un ciclo in cui la serenità fa germogliare la cultura, ma nella fase discendente del ciclo, in cui la cultura muore, si deve salvare la donna (che non è più madre, è semmai peccatrice817, cananea, donna partoriente insidiata dal drago, ecc… cioè

814 Botterwech e Ringgren, a cura di, Grande lessico dell’Antico Testamento.815 Vd. il capitolo sulla configurazione analogica.816 Per ognuna di queste informazioni, relative al significato dei termini ebraici, mi riferisco quasi sempre a Grande Lessico dell’Antico Testamento, sopra citato, più raramente al solo dizionario di ebraico e aramaico.817 Amartolòs, in greco, è qualcuno che commette un errore (etimologicamente, un errore di mira). Se uniamo a questa considerazione che la parola ebraica toràh ha il significato etimologico d’istruzione e di previsione, non di insegnamento morale, possiamo spogliare anche la parola amartolòs dalla sua forte venatura religiosa, per riportarla nel campo dell’errore tecnico, cioè dell’errore nell’esecuzione del procedimento che consente di piegare la natura al proprio volere (grazie ad un salto paradigmatico nuovo o, a secondo dei casi, addirittura inedito). Il professionista che sbaglia nell’esecuzione della propria dottrina è amartolòs, ma se sa sfruttare il proprio errore diventa ricercatore e amplia la toràh stessa. Nel brano in cui Gesù salva la peccatrice (e se stesso), egli sta salvando invero l’umanità nella sua aspirazione alla ricerca del nuovo, grazie al salto paradigmatico che, in quanto tale, è costruito sull’errore (leggi: anomalia percettiva, come lo chiama T. Kuhn).381

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