Washburn - Nogi, Storia Di Un Eroe Giapponese [Ita Guerra Bushido Giappone Saggi - Byfanatico 2013]

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STANLEY WASHBtJRN

N O G I

STORIA DJ UN'EROE GIAPPONESE

Traduo:ione di BARTOLOMEO BALBI

Co .. una prefazione di ROMOLO MOLINELLI

DÈ CARLO EDITORE -- ROMA CONSORZIO I,DITORIALE ITALIANO- S. A.

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PREFAZIONE

Pubblicare un libro di autore americano mentre du­ra un gigantesco e sanguinoso confl�tto in cui l'America volle entrare nostra nemica non provocata e fuor d'ogni suo palese interesse, può sembrare, a tutta prima, cosa azzardata se non anche sconveniente; ma se ci si sofjer­ma per poco a meglio esaminare nei suoi elementi essen­ziali e nelle sue caratteristiche peculiari quest'opera che l'editore De Carlo offre alla curiosità del lettore intelli­gente ed attento, Cii si avvede facilmente che momento più tempestivo ed opportuno non poteva essere scelto per una riesumazione intesa, innanzi tutto, a glorificare le virtù militari e civili di un nostro grande alleato : il Giappone.

Il libro tu ·scritto molti anni or sono quando ancora era vivo e palpitante il ricordo di quella guerra russo­giapponese che aveva appassionato il mondo intero e nel­la quale si era rivelata quasi improvvisa, appena antici­pata dieci anni prima dal breve conflitto contro la Cina, la nuova potenza militare del Giappone, e il W ashburn, che lo scrisse, vantava allora una rara competenza in ma-

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feria per essere stato addetto allo Stato Maggiore di una tra le più gloriose armate giapponesi, nella sua qualità di corrispondente di guerra di un giornale americano.

Ora, dopo trentasett'anni da quando i piccoli uomini dell'Impero del Sol Levante ebbero scritto col sangue più puro pagine di sublime grandezza nell'epico assalto di Porto Arturo, il giudizio di un testimone oculare sul va­lore e sul genio militare di uno tra i pizì famosi con­dottieri nipponici acquista un sapore particolare di fra­grante primizia, appunto perchè tale testimone apparte­neva a quella nazione che or non è un anno sorgeva in armi contro il Giappone, sicura di fiaccarne la potenza in breve lasso di tempo.

Sapore e fragranza di fruttOl primaticcio anche per quel tanto di beffarda ironia che balza vivace dal con­tronto spontaneo tra due epoche non molto lontane tra esse e pur tanto diverse nei loro aspetti esteriori ed in­trinsechi : Allora, quando il libro fu scritto ed il Giap­pone era da poco uscito da una guerra vittoriosa e cruen­ta contro un nemico formidabile, parvero dimenticati,

o si finse dJi dimenticare, al di là dell'Atlantico, i pochi colpi di cannone con i quali il commodoro Perry aveva forzato, nel lontano 1854, l'orgoglioso isolamento in cui si era rinchiuso il Giappone, e si levarono osanna al valore dei piccofd demoni del Sol Levante. Oggi, quan­do IJUlla può giustificare un così repentino quanto grot­tesco mutamento di giudizio, si riaJccarezza il facile gesto di un tempo e si levano le armi contro un popolo ma­turo, ormai, ai suoi destini imperiali.

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Follìa, incoscienza o pur ,anche fellonia non sappia­mo; certo è che il. Washburn, in questa sua ammirata biografia del Nogi, non si. limita a dipingere con tratti magistrali l'epica figura del grande generale, ma scrivé

pagine preziose ed eloquenti sul valore insuperato del­l' esercito giapponese. E il Washburn è un autentico ame­ricano del Nord. Il suo giudizio, appunto perchè espres­so da bocca americana, non può certo essere sospettato di insincerità 6 di cortigianeria.

Tuttavia, altri pregi sono racchiusi in questo libro che non siano quelli di un'onesta biografia intessuta di de­duzioni e di considerazioni psicologiche piuttosto che di aridi dati e di scheletriche elencazioni di avvenimenti.

Oltre all'entusiastica, vivace narrazione del Washburn, ammiratore appassionato e amico devoto e sincero del gran Nogi, narrazione che avvince e commuove quando non stupisce per tutto ciò che di misterioso e di sublime è racchiuso nello spirito cavalleresco ed eroico della gente giapponese, piace e si fa leggere giocondame.nte la bella traduzione di Bartolomeo Balbi, fedele all'originale e

pure perfetta di lingua e di stile. Bartolomeo Balbi è un valoroso combattente dell'ul­

tima nostra guerra di .redenzione, conoscitore di molte lingue straniere, studioso appassionato e profondo della

complessa, mistica, affascinante anima giapponese. Egli sa trarre magistnalmente quanto di essenziale al nostro

sentire è racchiuso nella filosofia orientale, anche se ta­ciuto o altrimenti espresso in una lingua che non ha certo la chiarezza e l'armoniosa risonanza della nostra,

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Così è che in questo libro la gigantesca figura di No­gi, le cui gesta colpirono, or son molti anni, le nostre giovani menti, romantiche già aperte agli eventi che si andavano maturando a comporre altre epopee onde la Patria nostra ebbe gloria e prestigio, questa nobile figura di soldato cui parve lieve cosa il sacrificio volontario della vita per un alto ideale di devozione al monarca e di amore sublime verso il prossimo suo, si stacca nitida e precisa dal suggestivo scenario dJi un conflitto, in cui l'eroi­smo toccò vette altissime non mai prima raggiunte; fi­gura e scenario resi con tratti di maestro e dall'autore e dal traduttore, entrambi trascinati dall'entusiasmo per un

popolo senza dubbio ammirevole. Libro adunque interessantissimo, questo, perfetta­

mente adeguato alle ore eccezionali che stiamo vivendo in comunione di spirito e di opere con gli amici d'Oriente.

E bene ha tatto, secondo il nostro modestissimo pa­rere, l'editore De Carlo a ridare alle stampe un'opera che giovi a farci meglio conoscere il Giappone e ad acco­stare queste due magnifiche stirpi, l'italiana e la nippo­nica, in un tutto superbo per cui le più eccelse virtù, onde l'umanità si nobilita e si redime, sono erette a si­stema di vita quotidiana.

Nella guerra che si combatte oggi nel mondo il Giap­pone, con la sua grande potenza, si è schierato risoluta­mente dalla parte della ragione, della giustizia, della ve­rità; esso sta riscattando superbamente antiche e recenti umiliazion• con brillanti lezioni di stile ai falsi maestri di ieri ed è nostro compagno d'arme.

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Quando si marcia di conserva verso una stessa mèta che già si annunzia prossima e radiosa, occorre cono­scere da vicino il compagno che divide con noi i sacrifizi e le fatiche del viaggio.

Questo libr� serve mirabilmente allo scopo.

ROMOLO MOLINELLI. Roma, aiosto XX.

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CAPITOLO I

In tutto il mondo, e sop�attutto in Giappone, Nogi è conosciuto ed ammirato come il Generale che si impa:­dronì di Porto Arturo e che aggirò la destra dei Russi a Mukden, ponendo così fine alla terribile battaglia in cui Kuropatkin fu sconfitto. Per gli studiosi èii cose militari , Nogi e le sue gesta costituiscono . inoltre un superbo capi­tolo di scienza e di arte della guerra, mentre in Giappone egli è già assunto a qualche cosa di più alto di un sem­plice eroe rriazional,e, essendo div�enuto già un simbolo che vivrà nella storia del Giappone a lungo, anche quan­do ogni episodio delle sue gesta sia tliventato vago e indi­stinto come un lontano ricordo melle menti degli uomini del suo paese. E questo avverrà' non perchè egli abbia pianto così amaramente il suo Imperatore da decidere di non sopravvivere a lui, ma perchè, con questo speciale atto di devozione, egli veniva ad esaltare l ' abito morale di un tempo jn cui era bello cancellare se stessi per raggiun­gere, al disopra di ogni conflitto egoistico, l'altezza di un ideale.

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La vita di Nogi fu infatti un esempio palpitante di quello strano, sottile e indefinito istin�o che, come tnfluoo­za, è però così definito e così potente per il carattere giap­ponese : l ' istinto che toode a sommergere l'io personale nell'onda azzurra dell 'ideale sublime.

Nogi fu, in realtà, la sostanza concreta di quella idea della religione buddhista che guida ogni anima a pregare per l 'estremo assorbimento nel Nirvana, l ' Intangibile Di­vino, ed ogni segno del suo carattere personale ed ogni atto della sua vita intera furono di quella idea un esempio tangibile, mentre la sua morte fu una rivendicazione di essa lanciata a tutta la nazione perchè potesse vedere ed a sua volta imitare.

Pochi vecchi uomini come Nogi, Oyama, I to e altri loro contemporanei, furono capaci di creare da soli il moderno Giappone riuscendo, puri come erano da ogni personale ambizione, a fondere e ad armonizzare le qua­lità spartane caratterizzanti la natura del Giapponese, la sua semplicità', la sua adorazione quasi fanatica degli ideali nazionali che scaturiscono dai-lontani tempi del feu­dalismo, con tutto quanto offrono le arti e le scienze del mondo occidentale moderno . Naturalmente la fusione del­la maggior parte dei migliori elementi di due civiltà d iver­se fu difficile a compiersi .

Per l 'armata, ad esempio, si trattava di riunire tutte le semplici caratteristiche che fecero invincibili gli antichi Greci con le cognizioni acquisite nella pratica più recente e con i più moderni portati dell'arte della guerra.

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Poiohè Nogi, tanto nella sua vita come nella sua morte, campeggia e campeggerà probabilmente per sem­

pre, come tipo degli uomini che contribuirono a formare la grandezza del Nuovo Giappone, egli è ben degno che la sua imponente figura sia tracciata e lumeggiata il più nitidamente possibile .

Io non tenterò tuttavia, nemmeno in una forma rapi­da, di scrivere una vera biografia di lui, e tanto meno scriverò di lui in modo tale che si possa pensar'e che io desideri portare qualche contributo alla storia militare . L'unico mio desiderio è questo : dipingere il meglio che possa la sua figura di uomo sullo sfondo di una

· grande

guerra, sfondo che è necessario perchè solo fermandosi, sia pure brevemente, a considerare la grande guerra, è possibile conoscere ed apprezzare Nogi, seguire il lavoro della sua mente e l'esprimersi del suo carattere, se pure si possa pretendere di conoscere il vero animo e il vero carattere di un Giapponese. 1

Non parlerò nè della giovinezza di Nogi, nè del mo­do come la visse, nè delle azioni di lui durante la guerra cinese o d i qualsiasi fatto che sia antecedente al 1904 , perchè a questo proposito io non conosco che quanto scrittori e storici più abili di me hanno. già detto ; parlerò invece di lui quale Io vidi durante la immane lotta russo­giapponese poichè in quel tempo io ebbi il privilegio di essere addetto al suo Stato Maggiore quale corrisponden­te di guerra per un giornaJ,e americano , prima a Porto Ar­turo e poi nel nord, quando la sua armata fu trasferita

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alla frontiera della Mongolia verso l 'estrema sinistra del­l 'esercito giapponese .

Il contegno e le azioni di Nogi; mi ispirarono l ' ammi­tazione più ardente per il suo carattere e per il suo genio . I o ho visto in lui i l più concreto idealista che mai potessi immaginare, mentre non vi è bisogno di dire al mondo che sa come egli fosse il più grande soldato. Ma ciò che di lui non è conosciuto che poco e per� ben poco ammi­rato in Inghilterra come in America, sono le sue qualità intime e personali : quella dolce e semplice gentilezza e quella affascinante bontà che mella loro espressione rag­giungevano vera squisitezza femminile.

Per conoscere un uomo come Nogi compiutamente, bisogna averlo osservato sotto due aspetti : come soldato di acciaio e come amico gentile; e pochi stranieri ebbero, come io ebbi, la fortuna di poter avere di lui una tale conoscenza compiuta.

Parìando del Generale, devo anzitutto soffermarmi a parlare almeno un poco di Porto Arturo e della Manciu­ria perchè è proprio in grazia di questi luoghi e degli eventi che vi si svolsero che io ho potuto conoscere Nogi.

Per Nogi , Porto Arturo fu una cicatrice e 1\tlukden fLI una ferita riaperta. Con �o svol.gersi della guerra, il ca-­

rattere di lui si svolge ·e si esprime, mentre la tragedia ed il (( pathos n che segnarono i giorni crudeli di sacrificio e di sangue, ci insegnano a conoscere il lavorìo dell'ani­ma che lo determipò ad agire come agì il giorno j,n cui il suo Imperatore lasciò la vita t·errena.

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CAPITOLO I I

. Quando. parecchi anni prima della campagna contro la Russia, il grande piano di essa fu tracciato negli uffici dello Stato Maggiore di Tokyo, il prospetto delle operà­zioni militari si presentava diviso in due grandi parti : l ' una riguardava Porto Arturo , l ' altra le azioni da svol" gersi in Korea e nella Manciuria del nord. La ·seconda; benchè nel programma apparisse divisa in due, costi tu i in realtà una campagna sola poichè la strategia che si im­pose a Liao Yang le fuse in un unico sforzo.

Porto Arturo rappresentava per i Giapponesi una fe­rita rodente , profonda e tormentosa per il loro orgoglio nazionale. Essi Io avevano conquistato nella breve ed esauriente guerra del 1 894 contro i Cinesi e subito dopo, mentr·e il fumo della battaglia non era ancora dUeguato lontano per l 'orizzonte, avevano visti i frutti della vittoria ing�iottiti dall'intrigo russo.

Pochi anni dopo i Russi entrarono in Porto Arturo : era una occupazione temporanea, come essi dichiararono da principio, ma dal giorno in cui questa ebbe luogo, ·la

. guerra russo-giapponese diventò un fatto inevitabile. E

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da allora, per quasi dieci anni, il Giappone tese tutti i suoi nervi e tutte le sue forte verso un unico scopo : pre­parare la guerra che doveva rivendicare e calmare il do­lore provato quando la Russia , senza bisogno di sparare nemmeno un colpo, si era fatta avanti per appropriarsi del premio che esso si era meritato nel 1895.

Riprendere Porto Arturo , voleva dire affrontare diffi­coltà enormi , e questo ben sapevano gli esperti ufficiali di Tokyo che lavoravano assidui giorno e notte, a luce di sole ed a luce di lampada, per tracciare e organizzare il piano della campagna, mentre un esercito di spie , lan­ciate attraverso tutta la Manciuria, vegliava attentissimo a :constatare che cosa andassero facendo gli odiati Russi alla estremità della penisola del Liao Tung. ln realtà Por­to Arturo per i Giapponesi era,, dopo Gibilterra, la for­tezza più formidabile e inespugnabile che abile attività di uomini avesse mai potuto erigere per difendersi dall 'as­salto di un audac·e nemico, e questo non ignoravano da gran tempo, ancora prima che s i accingessero a tentare di risolvere il problema che i migliori ingegneri europei ave­vano dichiarato essere un enigma senza altra risposta che morre e rovina per il nemico che avesse osato assalire le vette spaventose di cui era irto .

Ma le ditficoltà enormi non disanimavano i Giappo­nesi e, secorndo quanto si dice, ogni particolare del piano di investimento e di attacco fu studiato e completato an­cora parecchi anni prima dell ' inizio della guerra, mentre era già scelto il capo cui sarebbe stato affidato I' alto com­pito della rivendicazione deii ' onore nazionale compro-

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messo con la usurpazione di Porto Arturo da parte dei Russi .

Questo capo era Nogi . Il compito al quale egli era preposto non ha paralleli

nella storia moderna e molti e molti mesi prima che l a lotta tragica e immane s i svolgesse, egli ben sapeva che cosa gli preparasse l ' avvenire.

Nogi aveva avuto il comando di una brigata nel 1904 quando la fortezza di Porto Arturo era stata presa ai Ci­nesi e nessuno più, di lui conosceva le difficoltà, già enor­mi un tempo ed ora cento volte accresciute dall'aggiunta di nuove difese che lo attendevano in Manciuria.

Egli non si atterrì per ciò, ma quando partì dal Giap­pone per assumersi l ' immensa responsabilità del compito che gli era stato assegnato, si spogliò solo semplicemente di ogni pensiero della propria vita e dei propri interessi personali, nello stesso modo naturale di uno che si tolga dalle spalle un mantello.

Ricordo che circa diciotto mesi dopo, da quando egli aveva lasciata la sua patria , io presi una rara e bella fo­tografia del vecchio Generale montato sul magnifico ca­vallo bianco che all;l sospirata resa di Porto Arturo gli era stato offerto dal Generale Stoessel prigioniero . Il ri­tratto era riuscito rassomigliantç più di ogni altro che io avessi visto e perciò pensai di inviar.lo ad un mio incari­cato in Giappone perchè provvedesse a ingrandirlo , a miniarlo e poi, postolo in una degna cornice, lo presen­tasse alla baronessa Nogi che viveva allora mella massi­ma semplicità' nella sua piccola casa di Tòkyo.

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Quando la baronessa vide il ritratto, lo contemplò in­tensamente guardandolo alla distanza del suo braccio teso poi, quasi a giustificare le lacrime che le rigavano il vol­to , le lacrime così rare su un volto giapponese, disse : (( Questo è ii primo segno diretto che mi giunge sino ad qggi. Quando mi .lasciò, tanti e tanti mesi or sono per recarsi alla fronte, mi dichiarò che egli come marito sa­rebbe stato morto per me fin che la guerra nC!n avessè avuta la sua fine gloriosa e che pertanto io non avrei ri­cevute le sue notizie mai qè avrei dovuto dargli le mie prima di allora poichè la sua vita, il suo tempo e i suoi stessi pensieri appartenevano solo e completamente al Sovrano ed alla Patria e nulla di personale doveva sor- . gere a frapporsi al suo dovere. Egli ha mantenuta la sua parola, ad eccezione di un biglietto per chiedermi degli speroni e qualche altra cosa di necessario per la sua uni­forme ; io non ho ricevuto mai nulla da lui )) . .

Con tale animo, dunque, Nogi era partito per la fron­te dove andava a risolvere il difficile enigma che proprio a lui era stato posto, nè ancora era sbarcato sulle coste desolate, che dovevano significare per lui tanta tristezza, quando gli veniva comunicata la notizia che uno dei suoi due giovani figli, entrambi ufficiali dell 'esercito, era ca­duto sui colli di Nanzan, colpito da proiettile russo. Così, sino da l ' inizio, il suo compito amaro diventava amaris­simo.

La conceziooe giapponese di Porto Arturo, come pro­blema militare, è sempre parsa , a me uno sbaglio crudele, un errore di analisi che è costato la vita di diecina di mi-

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gliaia di giovani ed ha spezzato il cuore di fer-ro del vec­chio guerriero cui la soluzione del problema era affidata , e credo utile soffermarmi un poco a parlarne, non per tentare di porgere un contributo qualsiasi alla storia mi­litare dell 'assedio sanguinoso, ma perchè dalla descri­zione di esso sorge in qualche misura la spiegazione del peso spaventoso che di giorno in giorno andava pre­mendo sempre più grave su Nogi . Ogni comandante che abbia senso di responsabilità· e sia conscio della gra­vità delle decisioni con le quali spinge a morte interi reg­gimenti di uomini, deve piangere le perdite che l 'esecu­zione dei suoi ordini comporta. La guerra produce tut­tavia necessità· tali in cui gli uomini riconoscono giusti i sacrifici che fruttino il successo, ma quando essi siano compiuti nell'esecuzione di un piano sbagliato per un er- · rore di calcolo del problema che si deve risolvere, allora il cuore dell 'uomo che i sacrifici abbia ordinati, si spezza ed è ·per lui troppo lieve conforto il pensiero che egli è stato, come fu Nogi, solo il semplice strumento dell'ese­cuzione di un programma che lo Stato Maggiore ha trac­ciato nei propri uffici .

Per dieci anni, prima dello scoppio della guerra russo­giapponese, gli scrittori militari , insistendo sul!' accresciu­ta potenza distruttiva dei mezzi moderni di guerra, ave·­vano dichiarato che l 'uso della baionetta ed il combatti­mento) a file serrate·

sarebbero ormai stati impossibili e un Russo a nome Bloch, sulla fine del 1890, pubblicò una opera in sei volumi per: dimostrare che la guerra era ormai una impossibilità tanto sotto il punto di vista della

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economia come della potenza di distruzione. L 'opera, in­titolata « Il futuro della guerra », appariva così convin­cente che al Bloch fu aggiudicato iJ premio Nobel, men­tre l 'opera stessa avrebbe ispirato lo Czar ad indire il primo congresso per la pace all ' Aja .

Vane parole ! I Giapponesi non avevano ancora scor­dato come in un solo giorno nel 1894 fossero riusciti a prendere ai Cinesi Porto Arturo . Era stato alla baionetta, in una serie di spettacolosi assalti, che. essi avevano con­quistato il forte principale facendo cadere tutte le posi­zioni non altrimenti che se fossero state un castello di carta e, memori di quei loro sforzi felici quanto valorosi , nel 1904 affrontarono fidenti sullo stesso campo i Russi benchè le difese di Porto Arturo fossero state ricostruite quasi completamente sotto la direzione dei più abili inge­gneri del mond o .

· I l piano tracciato dai Giapponesi s i fondava sulla teo­ria vecchia di secoli che considerava gli uomini superiori agli strumenti anche più moderni e secondo la quale, co­

me era sempre avvenuto, « il freddo acciaio » avrebbe dovuto spezzare ogni ostacolo innalzato da abilità1 di in­gegneri ad arrestare l 'impeto di un assalto nemico.

La prima azione della campagna di Porto Arturo, sul-·

le alture di Nanzan, avrebbe dovuto far subito consci i Giapponesi del loro errore. Qui, lungo una stretta stri­scia di terr•eno, i Russi avevano costruite efficaci fortifi­cazioni da campo e qui i1 Giapponesi avrebbero dovuto imparare la: loro lezione. Subito il primo giorno es�i com­pirooo assalti in grandi forze su un'area limitata e, in

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meno di tre ore, perdettero circa 3000 uomini, tra i quali era anche il figlio maggiore di Nogi . Per nulla scoraggi�­ti, ripeterono il secondo giorno il loro sforzo e questa volta, non incontrando che debole resistenza, riuscirono nell ' intento che si erano proposti, affermandosi cosi nel­le menti degli ufficiali comafldooti la:. teoria che le b aionet­te giapponesi fossero irresistibili . Essi trascuravano però un punto che, come elemento di giudizio , era di impor­tanza capitale.

Durante la notte che aveva seguito il primo attacco, piccole cannoniere della marina giapponese avevano quie­tamente preso posizione e, mentre le colonne di fanteria assalivano i Russi di fronte, i proiettili della flotta scop­piavano assidui battendoli di fiooco e di dietro; soprat­tutto per ciò la posizione per i Russi era diventata inso­stenibile, tanto che essi avevano dovuto cedere sul finire del giorno agli assalti della fanteria giapponese.

Da quella vittoria fiorì il grande errore che originò la tragedia di Porto Arturo .. Mentre gli ufficiali di marina avanzar·ono timidamente la convinzione di avere coopera­to con efficacia alle azioni della giornata contribuendo al­l ' esito lieto dell 'assalto contro N anzan, l 'esercito si beffò della strana idea, sostenendo che il successo era d ovuto esclusivamente ai propri impetuosi assalti e che l 'aiuto della flotta non costituiva che un dettaglio .

Fu così che Nogi e la sua splendida armata giunsero sino davanti Porto Arturo stesso con la convinzione pro­fonda che la forza dell'arma bianca fosse irresistibile.

Io non ho mai conosciuto nessuno, nè tra i Giappo-

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nesi nè tra gli Europei, che pretendesse sapere che cosa r·ealmoo.te pensasse Nogi di Porto Arturo; soltanto i suoi

11 atti, e non i suoi pensieri, sono noti a tutti. /

Dopo il fuoco dell'artiglieria, egli ordinò un assalto 1\ alla baionetta contro la linea dei forti che, freddi e im­placabili, si elevavano verso il cielo, benchè per compiere questo assalto, la fanteria dovesse avanzare senza prote­zione allo scoperto attraverso la vallata, percorren do una distanza di un miglio e mezzo circa. Tale era il piano che gli era stato ordinato di eseguire e d egli , sema un tremi� to, trasmetteva l 'ordine d i eseguirlo anche se esso voles-se significare l ' impossibile.

E per quasi una settimana, giorno e natie, senza tre­gÙa, battaglioni, reggimenti ei brigate si scagliarono in uno sforzo esasperato e fuori di ogni speranza contro la linea dei forti invincibili.

Mitragliatrici, shrapnels, granate e fucilate a raffiche falciavano senza posa le truppe audaci : altre truppe le sostituivano e avanti sempre, ancora ancora e ancora, sempre avanti. In un sol giorno, un battaglione ebbe ri­dotto il suo effettivo, di 1200 uomini, a 17 soldati e ad un solo ufficiale!

La convinzione di riuscire ad ottenere la vittoria con un mezzo unico, si era radicata nella mente dei Giappo­nesi dieci anni prima nello stesso Porto Arturo ; da poche settimane si era rafforzata a N anzan e perciò essi sdegna­vano di sottomettersi all' inevitabile e, durante la spaven­tosa settimana degli assalti furibondi quanto vani , non vi fu un momento di esitazione e non vi fu un istante di

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dubbio nè da parte dei soldati nè da parte degli ufficiali. Quali e quante perdite i Giapponesi abbiano avuto in quei giorni tremendi, nessuno può dire con precisione : 25.000 uomini caddero certamente, che potrebbero essere anche 40.000. E d il risultato preciso della tragedia orrenda fu questo : l 'occupazione alla fine della settimana di una sola posizione la quale noo aveva neanche un grande valore strategico.

Così cominciava a calare su Nogi il primo peso im­mane.

Egli aveva posto in atto il programma che gli aveva­no ordinato di eseguire ed il risultato era : da una parte, un'armata spezzata e sanguinante, dall 'altra Porto Arturo ancora amaramente intatto . .

Intanto, da settimane e settimane, erano stati v,enduti in Yokohama ed a T6kyo i biglietti per le grandi feste che d i Porto Arturo dovevano celebrare la caduta, men­tre speciali avvisi erano stati sparsi largamente ovunque per segnalare al popolo giapponese il grande evento, l a data del quale era preventivamente fissata. I preparativi potevano in certo qual modo paragonarsi a quelli fatti da qualcuno dei nostri grandi giornali per annunciare l 'esito delle elezioni . Ma gli attacchi dell 'agosto mis,eramente fallivano, i biglietti venivano ritirati, le decorazioni levate ed il Giappone, da festante che era , si faceva pensieroso e meravigliato ; con stupore, ma senza il minimo scorag­giamento, esso si preparava ad attendere gli eventi dello sviluppo ulteriore dell 'assedio .

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CAPITOLO I I I

Durante questo periodo, N ogi viveva, quietamente in una piccola capanna fatta di fango e di pietre che era stata vuotata dai Cinesi, dai maiali, dai polli e dagli altri esseri promiscui che formano abitualmente una famiglia della Manduria. La capanna sorgeva in un piccolo villaggio costituito da una ventina , o poco più, di abitazioni simili ed era a tiro dei cannoni russi che avrebbero potuto di­struggerla immediatamente solo che avessero saputo qua­le ospite la onorava.

Molte e molte volte le loro grosse granate scoppia­rono a urn miglio dietro la casa del Comandante. e una volta un grosso proiettile da l O pollici cadde non oltre qualche centinaio di metri dalla casa stessa, proiettando uomini e cavalli tutto intorno come frammenti lievi di urn uovo frantumato.

Durante i giorni degli assalti infruttuosi e terribili, a noi Nogi non parve mutato : era sempre lo stesso uomo quieto, calmo e chiuso .

Esteticamente egli era forse, per un Giapponese, un poco troppo alto, aveva il capo rasato e portava una bar-

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ba scura che nei giorni di sangue e di caos si fece imper­cettibilmente grigia. I lunghi anni della campagna vissuti c<_m le sue truppe e la vita sempre all 'aria aperta , avevano resa la sua pelle simile a una pergamena di color bruno scuro, i suoi occhi erano profondi, impenetrabili e mute­voli come le emozioni che di volta in volta dovevano espri­mere. Quando egli parlava con noi, essi erano miti , cor­tesi e indifferenti ; quando dava ordini al suo Stato Mag­giore o ai suoi sottoposti, le pupille gli si contraevano sino a farsi un solo punto di acciaio, mentre l 'aspetto del suo volto diventava esclusivamente quello di un soldato, cioè

. di una semplice macchina da guerra, senza personalità e

senza emozioni . Un momento dopo egli poteva rivolgersi a noi con un

mutamento rapidissimo e con voce armoniosa , e con la dolce cortesia consueta di un ospite, poteva riprendere i l punto della conversazione comune in cui era prima im­pegnato .

A Porto Arturo però noi non potemmo conoscere molto il lato gentile, cortese e quasi paterno del suo ca­rattere e fu solo nell 'anno seguente nella Manduria· del Nord che rnoi avemmo campo di conoscere questo lato profondamente. Prima, egli era troppo occupato gior­no e notte a studiare il grande problema che gli era stato posto e ogni tentativo d i' soluzioq·e del quale sem­brava dare corrie unico risultato uomini morti, moribon­di e mutilati. A Porto Arturo, nessuno l 'udì mai par­lare delle perdite tremende, ma non vi ha dubbio che la lista giornaliera dei caduti e dei feriti, che gli veniva co-

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municata ogni mattino, non lo colpisse ogni giorno sem­pre più profondamente.

• Col passare dei giorni terribili che diventarono setti­mane e settimane e poi mesi e mesi, Nogi mutò il suo aspetto sensibillssimamente ; preoccupazioni, fatiche e pe­ne scavarono il suo volto di rughe profonde che nelle rare ore di riposo si accentuavano così da parere mor­denti cicatrici . Molti Giapponesi, specialmente i giovani di educazione più moderna, poco si commovevano per i morti e per i feriti, ma io sono convinto che per Nogi non fosse affatto così. Qu!llndo egli era ancora giovane gene­rale, la nona divisione era stata organizzata da lui e si di­ceva che egli se ne fosse occupato in modo tale da cono­scere per nome tutti gli ufficiali delle sue file : perciò quella divisione rappresentava per lui come un fanciullo che egli avesse creato e allevato e che per molti anni avesse poi anche diretto. Essa costituiva il centro dell ' ar­mata di Porto Arturo e partecipò al più difficile e aspro combattimento a cui abbia mai partecipato qualsiasi divi- · sione durante tutta la guerra. Mi fu detto da uno degli ufficiali che vi appartenevano che fu necessario riorga­nizzarla completamente due volte e una terza a metà, men­tre di tutti gli ufficiali che ne formavano parte all 'inizio della guerra, solo una dozzina rimasero a prestare ser­vizio sino alla sua fine. Pareva urna fatalità! Ogni volta che un aspro combattimento aveva luogo, la nona divi­sione vi subiva quasi senza eccezione perdite più rile­vanti d'ogni altra e così, in ,ogni lista che rif·eriva le per­dite, Nogi poteva leggere i nomi noti ·e cari di amici che

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qualeèomandante aveva educati e disciplinati a tanto còm­pito. E poichè Nogi era tale che sentiva la perdita anche del più umile soldato come una sventura personale, la campagna d i Porto Arturo dovè dargli amarezza più gran­de di ogni dire.

Durante la triste settimana del primo assalto generale dell'agosto, Nogi era sempre alla·« fronte 11 su un' altura o su un 'altra ad osservare i suoi battaglioni , i suoi reggi­menti e le sue brigate che si sciogHevano sotto il fuoco russo come si scioglie la nebbia al dardeggiare del sole.

Un giorno seguiva uguale ali' altro e ogni giorno se­gnava un disastro : Nogi vedeva, osservava e manteneva l 'ordine di continuare l 'assalto.

Il piano non era suo, ma sua era la responsabilità as­sunta di eseguirlo e però, con uno stoicismo che non tro­va l 'uguale in un millennio di storia del passato , egli get­tava alle fauci voraci della guerra il fior fiore degli uomi­ni del Giappone, mentre gli uomini stessi che erano chia­mati a dare volenterosamente la loro vita, accettavano il loro destin9 con il medesimo stoicismo del capo che a quel destino li dirigeva, non discutendo neppure, io cre­do, mai neppure con una parola o con un pensiero, i co­mandi dell'uomo silenzioso sotto gli ordini del quale essi si sacrificavano sull'altare del dovere e della patria .

Pareva che tra Nogi e i suoi uomini esistesse una ra­ra fusione di amore, d i rispetto e di venerazione che ecci­

. tava in questi una volontà di sacrificio così ardente da ra­sentare il fanatismo. Quando egli passava tra essi , ognu­no si irrigidiva nella sua rispettosa posizione di attenti,

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e • il rispetto appariva così 'profondo che solo il moto degli occhi di tutti che lo seguivano fissamente come gli occhi di un cane seguono il padrone, li distingueva d�lle statue scolpite. Quando usciva con ufficiali del suo Stato Mag­giore, sempre una certa distanza correva fra lui e loro : egli era sempre davanti non volontariamente, credo, ma perchè essi si tenevano naturalmente dietro lui, come dietro quegli che era diverso e superiore a tutti e, se par­lavano in sua presenz�. parlavano sottovoce come chi sia nella stanza di un ammalato o si trovi in faccia alla morte.

Spessissimo io ho visto Nogi lasciare il mattino l ' umi­le capanna di fango che era il suo quartiere generale per cavalcare verso il fronte o ve si recava ad ispezionare quai­che nuova fase dell' assedio progressivo e se io richiamo l ' immagine di lui che partiva per quel compito consueto, sempre essa si presenta al mio spirito nello stesso aspetto e nello stesso atteggiamento .

Egli non aveva nulla di quella pompa e d i quell 'osten­tazione di ornamenti militari che distinguono gli ufficiali di alto grado negli eserciti stranieri.

La sua uniforme era sempre la stessa : 'Calzava alti stivali sopra calzoni di fustagno bianco che, man mano che l 'assedio si prolungava, si facevano di giorno in gior­no più e più grigi e vestiva una scura tunica di un blu

l quasi nem con sulla manica le tre stelle e le tr·e striscie che indicavano il suo grado. Usciva dalla sua casupola camminando adagio come perduto in gravi pensieri , men­tre i suoi speroni risuonavano metallicamente sul pendio dell 'acciottolato e la sua sciabola si trascinava rum0rosa-

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mente al suo fianco. Un passo o due dietro lui seguivano i suoi qui·eti e docili aiutanti . Al cancello di cinta , la sen­tinella, rigida come se l'avessero fusa nell' acciaio .. presen"

---__ tava le armi e il Generale lentamente e silenziosamente montava il suo cavallo e via cavalcava verso le prime linee.

Di tanto in tanto, egli invitava i corrispondenti a pren­dere the o rinfr·eschi al suo quartiere generale e in queste occasioni noi potevamo trovarlo nel tardo meriggio seduto sotto bn albero, a capo di una rozza tavola, con distesi davanti a sè i piani di guerra che egli esaminava attra­verso una grossa lente la quale ingrandiva ogni dettaglio finemente tracciato del terreno su cui un grave enigma doveva essere risolto a colpi di migliaia di cannoni ed a gemiti spezzati di migliaia di morenti. Minuziosamente, centimetro per oentimetro, egli muoveva la lente lungo i piani, fermandola talvolta! per parecchi minuti sullo stesso punto a scrutare ogni particolare di una trincea presa di recente o di una posizione che si stesse per prendere d'assalto. Quando noi comparivamo, l 'attenzione intensa dello studio, il tormento angoscioso del successo che tan­to tardava, l 'ansia della vittoria che pareva perdersi in una nebulosa lontanama indefinita, tutto scompariva subito dal volto del Generale ed egli ci accoglieva con la stessa calma cortesia con la quale avrebbe potuto �ccoglierci in un ricevimento nella sua casa di Tokyo . A una sua parola recisa come un ordine, J.e carte sparivano e the o sake ( 1 )

• (l) Sake è una bevanda giapponese somigliante per il sapore al

vino di Xeres.

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veniva .. servito ; per una mezza ora egli chiacchierava con noi indifferente come se dietro la maschera d i ferro che si era imposta sul volto non si celasse il piano di un as" salto che forse subito l ' indomani stesso avrebbe costato innumerevoli vittime, falciandole anche tra quelli che ac­covacciati là giù nelle trincee vicine si tenevano pronti a lanciarsi in esso.

Con i suoi uomini e con i suoi ufficiali, Nogi era sem­pre cortese e conciliante, ma mai , in nessuna occasione, appariva famiJi.are ; quando parlava con loro, parlava con­cisamente ed essi agivano immediatamente secondo le sue parole ; se vi fosse stato da parte loro un ista,nte di indu­gio, subito uno sguardo acuto e bruciante come fiamma che baleni alta e improvvisa da un fuoco coperto, li fa­ceva balzare in piedi con il volto rosso per il tumuJ.to del sangue sferzato .

In realtà, io non ho mai visto o,cchi come'isuoi che

potessero un istante esprimere la gravità della morte . per mostrare l ' istante appresso la calma indifferenza di chi non abbia altri pensieri al mondo oltre quello di passare il tempo nel modo più usuale e piacevole.

Sia a Porto Arturo che altrove, noi abbiamo conosciu­to intimamente molti degli aiutanti di Nogi : mai, per quanto abbiamo potuto sentire da loro, quaJ.unque fatica egli sostenesse e qualunque dolore lo colpisse, mai egli pronunciava un lamento per quella parte di sofferenza che durante l 'assedio di Porto Arturo lo avesse toccato perso-nalmente.

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Egli considerava se st,esso non altrimenti di un sem­plice strumento e di fronte alle sue miserie, alle sue an­goscie. e alle sue ansie individuali si spogliava d� ogni per­sonalità, non altrimenti di ciò che faceva per quanto ri­guardava i suoi uomini , la cui vita sacrificava come se stesso senza esitar'e quando il suo ponderato giudizio sti­masse il sacrificio necessario .

E forse in quella parte più profonda,· sensibile e mi­

steriosa che gli veniva per ereditarietà di secoli dagli avi Samurai, egli quasi gioiva di ogni peso che.si facesse più grave per lui e di ogni dolore che cpntro di lui più infie­·risse, quasi fossero il meritato ricambio delle sofferenze che coi suoi ordini elargiva agli altri. La stessa rigidezza con la quale spingeva le sue truppe ali ' estremo limite del coraggio e della resistenza� egli usava contro di sè ; ma nessuno poteva vedere il suo volto senza sentire come egli portasse chiuso nel suo cuore, attraverso tutto l 'assedio, una miseria anche più grande di quella dei soldati che cadevano sotto i proiettili russi o che per essi languivano tristamente negli ospedali della Manduria, lontani · dalla dolce quiete delle loro semplici piccole case giapponesi.

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CAPITOLO IV

Gli assalti del l 'agosto, contro le oupe alture della for­tezza russa, erano dunque falliti e col 'loro fallimento, do­loroso in sè, veniva anche la ·delusione amara sul metodo che non si era mostrato, come avre�be dovuto, infallibile il giorno in cui si trattasse di prendere Porto Arturo ai nemici che superbi e saldi stavano dietro le colline coro­nate delle più solide costruzioni e tutte irte delle più mi- • cidiali e recenti invenzioni' fatte dagli uomini per la distru­zione dei loro simili .

Ma dove l ' impeto, il coraggio e il sacrificio umano avevano fallito, rimaneva• l ' abile scienza degli ingegneri , mentre i l soldato paziente, laborioso e tenace, abbando­nato lo splendore delle spade e delle baionette balenanti, prendeva il piccone e la pala, armi più umili ma in realtà più potenti di esse .

La selvaggina si era intaoata nel . suolo e il cacciatore attraverso il suolo doveva stanarla. E così, quasi con lo stesso entusiasmo col quale nell 'agosto si _ erano lanciati aiJ!'assalto lungo i pendii !Scoperti battuti dai proiettili russi,

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i soldati giapponesi si accingevano ora a scavare sotto i forti nemici sentieri tortuosi !

Il piani di assalto non erano abbandonati ma, col nuo­vo programma, essi dovevano compiersi attraverso di­stanze ridotte al minimo.

\ Le trincee dovevano venire scavate fin quasi sotto il

punto che s i volesse attaccare e solo quando poche cen­tinaia di metri rimanessero ancora allo scoperto, i Giap­ponesi ne sarebbero sciamati fuori e sotto la protezione del fuoco deUe artiglierie avrebbero cacciati i Russi dalle loro posizioni . Quando coi lavori giungevano nei punti più difficili dove forti di acciaio e solidissime costruzioni si levavano a sbarrare loro iJ passo , allora scavavano gal­lerie sotto e, attraverso le opere poderose, facevano bril­lare mine ; poi, dalla prima breccia aperta, si lanciavano all'attacco .

Ma non è mia intenzione descrivere . qui i cento par­ticolari che si svolsero durante l ' intero assedio, ciascuno dei quali costituisce da solo una battaglia campale.

Era raro il giorno che tramontasse il sole senza che in un punto d'investimento o in un altro, dove i minatori si erano spinti sin presso un forte, una trincea o una ridot­ta, non si svolgesse qualche sanguinoso combattimento. A volte era un solo battaglione che veniva impegnato , a volte era un reggimento, a volte una brigata, e così il tempo passando segnava un'avanzata che sarebbe dive­nuta generale quando in un movimento simultaneo tutta l 'armata avesse potuto balzare fuori dalle sue trincee. In questo modo passavano i mesi e ciasouno segnava per-

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dite sempre e sempre più gravi, ma in compenso di esse i Giapponesi potevano segnare man mano sulle loro carte un progresso delle loro linee che, avanzando di centime­tro in centimetro, lavoravano alla lenta ma fatale rovina della fortezza russa, non altrimenti di un enorme tumore maligno che avviticchiato a un corpo, coi suoi tentacol i e succhiando con ogni sua fibra, andasse divorandone i vivi tessuti .

E contemporaneamente a ogni progresso importante delle Jinee di trincee e alla presa d i qualche posizione, si compiva l 'avanzata dei grossi pezzi il cui fuoco e la cui perfezione di tiro di mese in mese andava facendosi sem­pre più micidiale, mentre ogni posizione avanzata presa voleva dire un buon punto di osservazione conquistato , donde i soldati osservatori dell ',artiglieria pesante, distesi a terra o accovacciati in trincee poco profonde, potevano vedere con precisione dove compissero la loro opera di morte le granate sparate dai cannoni collocati a due o a tre miglia di distanza.

Il telefono da campo seguiva strisciando o�ni avanza­ta. II posto che un'ora prima era nascosto dal denso fumo dei proiettili scoppianti e disseminato di morti e di mori­bondi, diventava nell 'ora seguente una stazione telefòni­ca giapponese : i so�dati portabarella che trasportavano i ferid incontravano immancabilmente i soldati telegrafisti che avanzavano strisciando e svolgendosi dietro quel ner­vo vitale del, cervello degli eserciti che è il telefono da campo .

Ecco che, non appena i l collegamento era compiuto,

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l ' uomo accovacciato nel fango molle di qualche fosso spruzzato di sangue, con i morti del combattimento re­cente ancora aggruppati intonno e intatti nelle fantastiche posizioni in cui i proiettili micidiali li avevano colti e ab­battuti, ecco che egli poteva, attravers.o il suo telefono por-

, tatile, parlare tranquillamente col comandante di qual­che grossa batteria a miglia e a miglia di distanza, per­

, mettendo che ogni colpo in partenza fosse _controllato con precisioll1e nella corsa verso il suo destino .

Gli uomini che sparavano i grandi cannoni dalla ter­ra o dal mare erano separati dal bersaglio da due linee di colline, ma i111 grazia del controllo paziente degli osser­vatori !delle trincee avanzate, essi potevano gradualmente e sicuramente, di centimetro in centimetro, perfezionare la loro mira sinchè gli enormi proiettili, l 'esplosione dei quali apriva buche così grandi da potervi fondare piccole case, cadevano proprio in pieno sulle navi da guerra che riposavano nel porto a quattro miglia di distanza.

Ad ogni sorgere di nuovi posti di osservazione, la flotta russa tormentata d oveva cercare un nuovo rifugio e di giorno in giorno e di settimana in settimana i pu111ti sicuri del p6rto )diminuivano, ma finalmente essa era riu­scita a trovare un punto ben nascosto agli acuti occhi .scrutatori degli osservatori e là stava tranquilla. Per . . qualche tempo i Giapponesi rimasero delusi, non una d�le molte posizioni conquistate permetteva di scoprire dove fossero corse a riparars� le grandi e vecchie navi grigie della flotta nemica.

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, Intanto , prpprio in quel tempo, giungeva fresca dal Giappone una divisione nuova fiammante : la settima .

_ Essa non aveva · ancora preso parte a nessuna azioiÌle della guerra � giungeva ora dalla patria dove aveva atteso ardentemente per mesi e mesi l 'istante di partire per la fronte a partecipare alle gesta di valore e di gloria dei fratelli che l 'avevano preceduta nelle altre divisioni . Era­no da 1 5 a 20 mila uomini che arrivavano forti, vibranti di ardore e di coraggio . Marciando da Dalny coi loro fu­cili nuovissimi avvolti in Q1Ussolina gialla, coi . visi fiam­manti dello spirito patriottico e quasi del fanatismo che li faceva ansiosi del sacrificio , essi si avviavano alle trin­cee verso la destra giapponese . Mentre la bella divisione arrivava e mentre la flotta russa che era riuscita a rifu­giarsi nell 'ultimo angolo del porto vi si cullava al riparo dei proiettili che prima attraverso tutti i punti d i esso l 'avevano seguita con l 'esasperante assiduità di un fato vendicatore , al Quartiere generale di Nogi si teneva un consiglio di guerra e il parere predominante era che si dovesse compiere un nuovo assalto generale. Per ore e ore tra i generali , induriti ad dgni fatica e sudici di fango, chè per lunghi mesi avevano divisa la vita delle loro truppe nei rifugi e nelle trincee, la discussione si pro­trasse.

Nogi ascoltava tutti e tutto attento e paziente, ma la sua mente non si staccava dalla flotta russa ; questa, sin­chè rimaneva a galla, costituiva una potente minaccia per la più/ grande strate�ia dell 'intera campagna giap­ponese.

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Poichè la flotta di Vladivostok era sempre forte e cor­revano voci che nella primavera quella del Bal tico sa­rebbe uscita, le navi che erano a Porto Arturo costitui­yano un punto vitale degno della considerazione giappo­. nese quanto forse Porto Arturo stesso.

Si dice che quando tutti i generali componenti il con­siglio di guerra ebbero finito di parlare, Nogi abbia ag­giunto alle loro, queste parole : << Signori, vi è un punto solo dal quale noi possiamo ':Vedere il rifugio della flotta russa e questo punto è la cima della collina dei 203 metri . Di là coi nostri binocoli noi potremo individuare la flotta e d istruggerla in due giorni . La posizione è una delle più difficili. d a prendere e il prenderla ci costerà caro, ma come punto di osservazione è preziosa ed è degna del sacrificio di una divisione : ora abbiamo appunto la set­tima che è nuova e possiamo lanciar la contro la collina n .

E detto questo , in quel modo tranquillo e per così dire impersonale che era proprio, egli tracciò il piano ge­neraJ,e d i attacco e designò il giorno in cui l ' impresa avrebbe dovuto compiersi. I suoi ufficiali ascoltarono : poi, senza una parola di commento, ciascuno tornò al suo posto per curare quanto era necessario il nuovo compito che gli era stato affidato.

Tale la decisione di Nogi . Ora chi può dire che cosa sia costato a lui personalmente il prenderla e il comuni­carla ai suoi ufficiali ? Chi può descrivere l ' intima ango­scia del suo cuore, mentre in tono tranquillo e indiffe­rente impartiva gli ordini concernenti quella decisione ? il perchè ili tanta intima angoscia ? E' semplice ! Nella

Al\

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prima linea delle trincee occupate dalla settima, divisione era, quale ufficiale subalterno di fanteria, l ' unico figlio superstite del Generale e quando l 'ordine di avanzare fosse corso e sussurrato piano tra le file, il suo destino sarebbe stato solo quello di lanciarsi avanti tra i primi .

Molti e molti assalti simili aveva prima di questo già ordinati Nogi e molte e molte volte il mattino seguente a ciascun assalto egli aveva con dolore letta la lista dei ca­duti che rappresentavano il prezzo dei parapetti scalati e dei forti espugnati e però bene egli

·sapeva che cosa vo­

lesse dire dare la scalata alla collina perpendicolare alta 203 metri la cui cima era dominata da tre grandi forti russi ; in tutta la linea nemica non esisteva in realtà noce , più dura a schiacciare !

Eppure egli aveva dato i suoi ordini per l ' impresa terribile così quietamente come se avesse ordinato a uno dei suoi attendenti di sellargli il cavallo per l ' indomani.

E il risultato di ciò ? Fu quale non poteva a meno di essere : quasi ancora prima che i Giapponesi avessero cominciato il loro disperato combattimento per la presa del tragico colle, il giovane Nogi , l 'ultimo rainpollo della nobile razza dalla quale discendeva il vecchio Generale , giaceva morto a pochi passi dalla trincea dalla quale l ' as­salto era stato lanciato.

Non è necessario che io entri nei particolari della bat­taglia : essa durò molti giorni e probabilmente mai lotta più amara e più crudele infierì tra uomini .

Colonne avanzavano d i continuo e di continuo co­lonne erano ricacciate indietro e spaventose, ampie distese

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di morti rimanevano ogni giorno sul campo a raccontare al Cielo l 'audace intento giapponese di dàr la scalata al colle per guadagnare il punto di osservazione necessario a scorgere la flotta già condannata.

Di giorno in giorno l 'aureola fiammante delle gra­nate che esplodevano segnava il punto sempre più alto dove la battaglia infuriava e alla fine, un giorno, i R�Jssi ostinati cedettero/ e quel giorno cantò alta per i Gipponesi la vittoria. 1_1 prezzo ? Nessurno che non sia giapponese lo conosce : chi parla di 10.000 uomini perduti, chi parla di 20.000 . Nogi aveva detto che la posizione va)eva una divisione e vi è poco dubbio che egli abbia errato di trop­po nel ca:Jcolo sulle perdite del l ' impresa terribile intera­mente compiuta a rintocchi funebri .

In quanto a Nogi, per lui il prezzo dell ' impresa fu questo : la morte del figlio che gli spezzò certo il cuore anche se, dopo avere ricevuta la prima amara notizia, a quella morte, come mi assicurarono ,i suoi aiutanti, egli non abbia mai neppure vagamente accennato .

Urna settimana 'dopo, la flotta russa giaceva immota in fondo al mare nel porto e la condanna di Porto Arturo, benchè 'questo resistesse ancora , era inesorabilmente se­

gnata. Il dicembre, seguerndo il suo corso. finiva e il pri­mo gennaio Stoessel si arrendeva. E quando Porto Ar­turo fu caduto ed a migliaia ne uscirono i prigionieri ed a tonnellate si trasportarono le spoglie e il bottirno di guerra, tutti gli occhi da ogni parte del mondo si alzarono verso Nogi e ogni rnazione civile gli fece omaggio della sua ammirazione . I giornali stamparono i suoi ritratti e

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furono pieni di episodi e di aneddoti dellla sua vita ; l ' Im­peratore di Germania gli telegrafò le sue congratulazioni e l 'onorò, di una decorazione : il suo Imperatore gli ac­cordò la ricompensa più grande ,che mai sino allora fosse stata accordata ad un uomo in guerra ; il Giappone si in­fiammava di entusiasmo al solp pronunciare il suo nome : egli era un eroe nazionale, egli era un semidio e tele­grammi su telegrammi piovevano e continuavano a pio­vere al suo quartiere _generale che era una piccola casa di fango.

E Nogi, come riceveva ogni espressione di onore e

di lode ? Si compiaceva di tanta esaltazione che poteva dirsi il compimento di o'gni ambizione di soldato ? Parte­cipava alla gioia vivace dei suoi uomini ? A tutte queste domande la risposta migliore è data dalle parole di uno dei suoi aiutanti che mi disse :

- Quando Porto Arturo capitolò, mentre tutti noi dello Stato Maggiore eravamo esaltati di gioia, ci accor­gemmo che il Generale non era più tra noi. Volli ve­derlo ; lo trovai nella ,sua casa tutto solo col viso nascosto tra le mani e tracce di pianto bagnavano il suo viso . Scor­gendomi, mi disse : « questa non è occasione di gioia, la vittoria è costata troppo cara a tutti )) .

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CAPITOLO V

Nulla poteva essere più intempestivo per le sorti della Russia della caduta di Porto Arturo e della conseguente libertà di mosse d i Nogi e della sua gloriosa armata di veterani . Ora che sono passati quasi dieci anni, si può dire com certezza che l ' impresa di Nogi fu il punto deci­sivo della guerra poichè essa costituì la circostanza che rese possibile ai Giapponesi la vittoria di Mukdern. Le cose sarebbero andate ben altrimenti se Stoessel fosse stato dello stesso stampo del Generale che notte e giorno . assiduamente per molti e molti mesi aveva diretti gli as­salti contro lui e le sue truppe.

Il comandante russo, da lungo tempo infastidito della difesa che gli era stata affidata , non aveva saputo votarsi corpo ed anima ad essa e alla fine aveva capitolato con la scusa che ogni risorsa era esaurita e che non era possi­bile resistere più a lungo. La scusa fu generalmente ac­cettata e per pochi e rapidi mesi Stoessel potè riscaldarsi dolcemen:te ai caldi raggi degli applausi del mondo come l 'uomo che aveva resistito sino all'estremo e che aveva alla fine ceduto solo perchè resistere ancora era assolu-

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tamente impossibile. Ma caduto quello che era rappre­sentato come il povero esausto Porto Arturo, la verità scoprì un altro lato della storia che lo riguardava e que­sto lato fu tale che condusse al processo di Stoessel e alla sua condanna a morte, condanna che fu poi com­mutata in un 'altra a vita . Secondo il calcolo fatto dai Giapponesi sul bottino catturato, sembra che nonostante lo scandaloso sciupìo, viveri e munizioni fossero in Porto Arturo ancora in quantità1 sufficioot,e da bastare, ove se ne fosse usato con una certa eoònomia, per settimane e settimane a venire .

A questo proposito , io mi ricordo di aver interrogato insistentemente durante · un pranzo qualche mese dopo nella Manduria del , Nord un generale che era in caso di potermi rispondere : volevo sapere di preciso quanto la fortezza avrebbe potuto resistere ancora .

Egli esitò a lungo a parlare perchè dai Giapponesi non è considerato di puon gusto criticare i nemici, ma alla fine, vinto dalla mia insistenza, disse : ' « Io non pos­so precisare quanto i Russi avrebbero potuto resistere ancora, in realtà essi si difesero veramente da valorosi e noi li ammiriamo molto . Ma se Porto Arturo fosse sta­to occupato dai Giapponesi , oh ! allora . . . ebbene sì, cre­do che le cose sarebbero andate diversamente. Noi avremmo avuto cibo e munizioni almeno per altri due mesi ! . . ma io non intendo con ciò criticare i Russi n .

Due soli mesi ! Ma questi avrebbero portato u n gran" de mutamento nell 'esito 9ella guerra ! Come ? Abbastanc za semplicemente ! Nogi mosse q'uasi subito da Porto

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Arturo verso il Nord dove Oyama stava con le sue quat­tro grmdi armate contro le divisioni di Kuropatkin e la grande battaglia di Mukden non fu inizi-ata che dopo l 'ar-rivo ·di Nogi, durando poi quasi un intero mese.

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l • Furono Nogi e la sua terza armata che, venendo da

Porto Arturo, aggirarono il fianco dei Russi obbligandoli a ritirarsi, furono Nogi e i suoi uomini che resero pÒssi­bile il conseguimento della vittoria. E la battaglia era a mala appena finita che la primavera fioriva e lo sgelo cominciava , bagnando il suolo ,e rendendo impossibili le strade.

Se Stoessel avesse resistito mcora due mesi o anche un mese solo, la battaglia sarebbe stata procrastinata for­se fino al giugno o se pure fosse stata combattuta pri­ma, nella primavera fangosa, il fatto dell'aggiramento del fimco russo sarebbe andato ben altrimenti .

Poichè è assai diverso muovere truppe, artiglierie , munizioni e trasporti su un terreno ghiacciato o su un terreno molle di fango untuoso .

Una battaglia combattuta' in giugno avrebbe inoltre vi­sta l 'armata russa forte di forse altri 100.000 uomini e anche più. E allora quale avrebbe potuto essere l 'esito di essa ? Ma è inutile perdersi ora in wnsiderazioni di tale natura e ciò esorbita del resto dai limiti di questo schizzo.

Appena compiute le formalità, della resa e appena inviati i prigionieri in Qiappone, ecco gli uomini della terza armata liberi di raggiungere alla fine i loro fratelli nel Nord, e con essi infatti Nogi raggiunse la retroguardia

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delle armate unite di Oyama verso la metà del febbraio : ·la battaglia di Mukden cominciò allora quasi subito . Essa non fu in realtà una battaglia unica, ma migliaia di çom­battimenti e di scaramucce la costituirono, continuando sino circa alla metà del marzo quando gli ultimi frammen­ti delle divisioni russe frantumate si trascinarono penosa­mente attraverso il passo di Tie.

Io non potei trovarmi con l ' armata a Mukden perchè, caduto ammalato sulla fine del precedente autunno, ero dovuto tornare in Giappone e per i commenti su Mukden ricorro ali ' autorità di Frederik Mc Cormick che è forse il più abile dei corrispondenti di guerra che furono in Oriente dove egli rappresentava l 'associazione della stam­pa . Io lo incontrai in Giappone subito dopo la guerra e da lui potei sentire qualche cosa di ciò che i Russi pen­sassero su Nogi e su i suoi uomini . Secondo Mc Cormik. i Russi sapevano che Nogi era in marcia, ma solo dopo parecchi giorni dall ' inizio della battaglia seppero con pre­cisione dove le sue mosse tendessero. Egli intanto costi­tuiva il terrore dell'intera armata da un fianco all ' altro ; tutti erano s icuri che Nogi avesse raggiunto Oyama, ma

dove egli avrebbe combattuto nessuno poteva dire, e per i cosacchi della Siberia come per i contadini delle valla­te del Volga e della lontana Neva, Nogi appariva come il demone incarnato della · guerra, mentre i suoi uomini, nei racconti paurosi che si tenevano la notte presso i fuochi del campo, venivano dipinti come diavoli di sangue e di fiamma che nulla arrestava, avidi anche di morte pur di

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giungere coi loro sforzi a tremendi corpo a corpo coi nemici .

Le gesta degli attacchi di Porto Arturo, benchè fosse­ro nella loro realtà così terribili da non poter essere esa­gerate dalla fantasia, erano tuttavia ingrandite tanto da far credere a tutla l 'armata russa che Nogi e i suoi uomini foss�ro creature sovrumane, diguazzanti nel sangue e li­vide dell 'odio più cupo, soldati che non temevano· la mor­te e che una volta lanciati all'assalto vi persistevano fin­chè l 'ultimo uomo non cadesse ucciso .

E l ' azione contro la collina dei 203 metri, dove i Giap­ponesi sacrificarono per un posto di osservazione almeno 15.000 uomini, veniva narrata, ripetuta e esagerata con­tinuamente tra le file russe dove ciascuno poteva udire come la fanteria giapponese, falciata in un assalto e esau­rite le muni.zioni, avesse tuttavia ricusato di ritirarsi rima­nendo a lanciare pietre sui nemici finchè l ' ultimo uomo non era stramazzato colpito a morte.

Si può dire con sicurezza che mai nessun generale e mai nessuna armata furono oggetto di tanto terrore come erano Nogi e i suoi uomini a Mukden , e dall 'inizio della battaglia in ogni teatro di operazione russa, la paura era una sola : trovarsi di fronte Nogi stesso . Almeno dodici volte, in dodici luoghi diversi, false voci corsero dell ' ar­rivo imminente di questo superdemonio e ogni volta le voci risultarono vane chiacchiere infondate. Ma poi alla fine Nogi vibrò il suo colpo e allora ·1a verità corse rapida come una fiamma veemente e selvaggia attraverso l ' inte­ro esercito russo a recare a tutti la novella che la famosa

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terza armata aveva già' aggirata la loro destra e batteva a grande velocità la loro linea di ritirata e quando l ' attacco fu run fatto compiuto, nessuno . potè avere più dubbi sul dove fosse e sul come combattesse Nogi .

Subito al primo contatto con il fianco russo, i vete­rani di Porto Arturo che, dopo le aspre fatiche sostenute contro le terribili alture dell 'agguerrita fortezza, conside­ravano come un facile gioco il combattere all 'aperto, com­parsi all' improvviso e, come pare, inaspettati davanti ai Russi, tanto alla retroguardia che al fianco esterno, ne ruppero sin dai primi assalti la resistenza con tanta pron­tezza come se essa fosse costituita non da uomini e da strumenti micidiali ma da giocattoli di carta . Essi avan­zavano- lanciando il loro grido di guerra « Banzai ! >> e in­framettendo a questo le parole : cc Noi siamo gli uomini di N ogi che furono a Porto Arturo » , parole che avevano imparato a pronunciare in russo ma cui davano l ' acuto suono caratteristico d'ogni voce giapponese.

E dal momento che queste grida risuonarono al fianco russo , destando come un'eco di profondo terrore, la bat­taglia per i Russi fu perduta .

Il coraggio che dà la speranza dileguò con rapido volo e irn suo luogo, con la velocità del fuoco, si propagò e di­lagò il timore e in breve tutto l 'esercito fu in ritirata. For­se non era quella la confusa ritirata prodotta dalla paura, ma era comunque la ritirata infrenabile di uomini para­lizzati dalla certezza che la vittoria era impossibile . Quan­do il movimento di fianco toccò presso Tieling il suo api­ce, Nogi da occidente potè vedere la linea della ritirata

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russa fluire attraverso quel collo di bottiglia che la gui­dava verso il nord, e mentre da occidente le sue artiglie­rie piovevano proiettili e morte sulla strada . prihcipale, Kuroki da oriente batteva coi suoi colpi contro lo stesso bersaglio. In quel momento, anche una sola divisione di fanteria montata o anche meno, comandata da Nogi o da Kuroki, avrebbe potuto spezzare la linea di ritirata avver­saria e la battaglia avrebbe potuto finire di colpo con la cattura di tutto l 'esercito russo .

Ma tanto l 'esercito di Nogi che quello di Kuroki, en­trambi meravigliosi di slancio e di resistenza, avevano compiuto il loro sforzo supremo al passo di Tieling nè potevano più , come sarebbe stato possibile se fossero sta­ti più freschi, spezzare la linea russa chiudendole ogni via di scampo . Essi avevano marciato per giorni e gior­ni quasi senza nutrirsi e però mancavano dell 'ultima oncia di vigore necessaria a dare il colpo decisivo, non potendo assolutamente riuscire nei deboli sforzi che, pure essendo così affranti, ebbero il coraggio di tentare.

Dopo la guerra, uno dei medici giapponesi più auto­revoli mi disse che i soldati del l 'armata di Nogi , negli ulti­mi giorni del movimento di fianco, avevano camminato più veloci delle loro provviste tanto che gran parte di essi da parecchi giorni non aveva preso cibo, ed a con-·

·,

fermare la sua asserzione aggiunse che centinaia di sol­dati che avevano avuto perforato l ' intestino erano guari­ti rapidamente perchè questo era talmente vuoto di cibo da essere in molti casi addirittura piatto ed asciutto, per­mettendo così alle ferite di cicatrizzare prontamente senza

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i! pericolo dell ' infezione che accompagna di solito le fe­rite addominali .

Anche a Mukden Nogi, benchè i l suo successo agli occhi del mondo apparisse grande e pieno, non si abban­donò alla gioia della soddisfazione raggiunta, le sue l� gioni erano state ancora ·troppo decimate e non poteva fiorire confortante letizia dove vi era coscienza che il sa­crificio di tanti uomini non veniva compensato dal com­pleto successo .

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CAPITOLO VI

Dileguato il fumo della battaglia di Mukden e data sepoltura ai suoi morti, un lungo periodo di quiete v·en­ne per le due armate avversarie : quiete che, tranne po­che interruzioni date da combattimenti di lieve importan­za, durò sino all'avvento della pace che si compì nell ' au­tunno seguente . l Russi, come ebbero raccolte le loro file, separate e spaventosamente decimate dalla sconfitta, si distesero in una lunga linea attraverso la Manduria, po­nendo a loro eentro la ferrovia situata un poco a Nord del passo di Ti e, occupandosi per · un mese circa a siste­marsi formando nuove linee di opposizione , mentre i Giapponesi, posto Mukden come grande quartiere gene­rale di Oyama, distendevano le loro cinque grandi armate in una larga cintura che occupava, dalla frontiera della vecchia Mongolia nell 'estremo ovest, ai colli di Korea sul­la destra, una distanza complessiva di circa 180 miglia.

A Nogi e alle sue I, VII e IX divisioni che erano ve­nute con lui da Porto Arturo, era stato lasciato il posto d 'onore sul fianco sinistro giapponese e di là, durante la fine del marzo ed i primi de11 ' aprile, egli aveva caricate

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davanti a sè le ultime e disordinate forze della resistenza russa.

Verso la fine di aprile , occupò come suo quartiere generale la piccola città cinese di Fakumen , mentre spin­geva a 30 miglia verso il nord e l 'ovest la settima divisio­ne, gloria di Porto Arturo, e ad est di essa mandava la nona, che a Porto Arturo costituiva il centro , e mentre alla prima faceva prendere posizione alla retroguardia fra le altre due.

Subito cominciarono i lavori di trinceramento e i pre­parativi delle posizioni per i cannoni, così da rendere la linea occupata capace di respingere ogni eventuak tenta­tivo che i Russi avessero fatto per riguadagnare il terre­no perduto nel marzo.

Ai primi di maggio, tutte le posizioni stabilite erano occupate e in esse le truppe rimasero sino alla fine della guerra mentre pareva che dovessero solo sistemarvisi in attesa che la primavera passasse e che avessero tregua le piogge portatrici di fango rovinoso per le strade.

Questa almeno era la ragione data a giustificare il lun­go indugio nella ripresa delle operazioni, nè era ragione insostenibile : io credo tuttavia che un'altra più potente di questa esistesse a rendere necessario il lungo indugio .

E' quasi certo che a Mukden i Giapponesi avevano creduto di sparare il loro ultimo colpo . Non intendo dire con ciò che essi non potessero fate di più, ma per noi che eravamo con l ' armata, molti segni esistevano a farci vedere che i piani giapponesi di azioni ulteriori a quelle ' di Mukden non erano stati preparati con quella assai pro-

l! A

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\ \ \ficua, scrupolosa e minuziosa precisione dei minimi par-tìcolari che distingue ogni piano giapponese .

l Senza dubbio lo Stato Maggiore aveva preveduto e tracciato con la massima cura ogni azione strategica sino alla battaglia di Mukden e qui aveva pensato dovesse fi­nire la guerra con la cattura del l 'esercito di Kuropatkin o almeno con la sua completa sconfitta morale. In realtà, i Giapponesi avevano assestato ai Russi un gran colpo, ma subito , · un mese dopo, se l i ritrovavano davanti d i nuovo in nuove posizioni e . ancora forti, e dovevano per­ciò affrontare il problema di un'altra battaglia anche più grande di quella di Mukden.

Per ciò che riguardava truppe, viveri e munizioni, i Giapponesi, non appena le strade fossero state praticabili , avrebbero potuto avanzare ancora, ma è quasi certo che carte e piani precisi per una ulteriore avanzata facevano difetto e senza di questi i Giapponesi non si muovo­no mai . '

Così , mentre il mondo attendeva ansioso l 'estate che portasse notizie dalla fronte, i Giapponesi lavoravano con ansia giorno e _notte a tracciare piani ed a preparare ogni più minuto particolare per la battaglia futura, con la stes­sa scrupolosa perfezione con la quale avevano preparati i piani delle battaglie già combattute. .

Proprio in quel tempo, Richard Barry, che era allo­ra corrispondente' del Collier's Weekly, ed io raggiungem­mo la terza armata. Nessuno di noi due era stato presente alle azioni di Mukden e però non av,evamo più visto Nogi dagli ultimi giorni di Porto Arturo .

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A Porto Arturo la tensione degli animi era somma d Stato Maggiore ed esercito , benchè esteriormente calrqi, cortesi e gentili, erano divorati dall' ansia, cupi e talvo.Ita disperati e sebbene tutti cercassero di nascondere dietro la maschera sottile, sotto la quale abilmente si cela il ca­rattere giapponese, il loro vero aspetto di uomini ango­sciati dal l 'attesa febbrile e disperata, noi sentivamo come fosse crudele la fi&'Tlma esasperante dell 'ambizione con­trastata che covava sotto ogni viso che sempre ci acco­glieva e ci salutava placido, indifferente e cortese. Così a Porto Arturo, ma nel nord tutto era altrimertti .

Per il momento la tensione terribile era cessata e noi avemmo per la prima volta campo di conoscere un poco più a fondo gli uomini dell 'esercito giapponese.

A Porto Arturo saremo stati una v,entina di corrispon­denti di guerra venuti dai quattro angoli del mondo, e cia­scuno di noi non rappresentava, per lo stato maggiore al quale eravamo stati addetti dal Ministero della guerra in Giappone, che una semplice unità impersonale : ciascuno aveva avute le proprie credenziali, poi era stato imbar­cato per la fronte e trattato con quella scrupolosa atten­zione che norme e regole stabilite dal Ministero della gu-erra nei riguardi dei corrispondenti imponevano . Non altro ! In quanto a Nogi, solo Richard Barry e Frederik Villiers che era il disegnatore di episodi . guerreschi per I' Illustrate d Londa n N ews ed il più vecchio di noi, era­no i suoi favoriti mentre tutti gli altri non dovevano te­nere nel suo pensiero il minimo posto . Nel nord, come già dissi, le cose andavano altrimenti . Del centinaio di

i

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\ corrispo�denti che all ' inizio delle ostilità erano in Tòkyo , \ma dozzina soltanto rimaneva ormai sparsa per tutta la V.asta armata e i venti circa che erano stati con Nogi a . Porto Arturo, si riducevano ora a tre, avendo il solo cor­rispondente del Times di Londra, oltre Barry e me, rag­giunta la terza armata.

Io non so se fosse perchè Nogi associasse Barry e me al ricordo dei giorni dolorosi vissuti nel sud o perchè cosa altro, ma questo è certo che egli, dal giorno in cui lo raggiungemmo in Fakumen, dopo aver percorse circa 40 miglia a cavallo dalla stazione più vicina di Tieling sino al momento nel quale parecchi mesi dopo ci dividem­mo da lui, ci trattò sempre con l 'intimità di un vecchio amico, permettendeci così di poter conoscere quale uomo egli fosse in realtà, meglio di quanto abbia potuto cono­scerlo qualsiasi altro straniero durante la guerra .

Fakumen era una città indigena della Mll!nciuria d i 50.000 abitanti circa : un vero dedalo d i strade, d i vicoli e di sentieri chiusi tristamente e confusamente fra quat­tro mura ; ad occidente, si profilava cupa e lontana la li­nea dei colli e dei monti del Khin Ghan oltre i quali si stende il grande deserto del Gobi ; a est, altre colline tra le quali , attraverso una vera gola, passa la strada per Tieling e Mukden che abbiamo battuta per giungere. Fra questa .gola ,e i monti che si profilano vagamente in distan­za, sta una molto ricca e fertile vallata ed al centro di que­sta, bizzarra, primitiva ed estremamente pittoresca nel suo stil� 1orientale, sorge Fakumen . L'unico anello che la uni­va al secolo ventesimo erano le manifestazioni svariate

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l

di un esercito modenno i cui segni ci salutavano ad ogni / passo. Presso Un vecchio tempio éinese, che per secoli f secoli aveva vissuto solitario in disparte, tutto chiuso ne}­l 'aureola della sua mistica atmosfera orientale, ecco in­fatti che si poteva inciampare in una batteria giapponese in riposo, mentre fasci è fasci di fucili dalle lucide lunghe canne crudeli ci guardavano indifferenti dalle ombre pro­fonde delle sue porte, dietro le quali sacerdoti arcigni sta­vano bruciando incenso e mdrmorando · le orazioni del loro officio divino.

In tutta la città, come nei villaggi intorno, ogni muro era crivellato dai fori preparati per i fucili e per i canno­ni e noi non potevamo mùovere un passo fuori dalla no­stra abitazione senza incontrare soldati e lunghe file di

· trasporti militari e senza vedere qua e là nei cortili ele­ganti e ordinati, piramidi di fucili giapponesi ultimo mo­dello .

I l muro che chiudeva la città a nord costituiva un tem­po il confine della vecchia Mongolia e al suo centro si apriva un'enorme porta di pi,etra, antica di secoli e secoli . Quante volte io mi sono fermato all 'ombra del suo gran­de architrave arcuato ad osservare il flusso e riflusso di civiltà separate fra loro da mille anni almeno !

Vedevo un momento passare una fila di coolies cinesi reggenti sulle spalle lunghe pertiche dalle quali pendeva­no cesti di verdura e di altri prodotti e subito dopo am­miravo la balda figura di un cavaliere che fra i Cinesi indifferenti e passivi si apriva a spron battuto la via, men­tre una lunga linea di barche da pontoni, caricate su carri,

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passava strepitando e rombando per la stessa porta. Poi giungeva un carro cinese con le sue ruote primitive di le­gno , uguali certo a quelle del tempo in cui Colombo sco­prì l 'America e subito dietro seguiva forse il corpo dei telegrafisti giapponesi coi loro rotoli di filo di rame avvolti sui rocchetti, e carri trottavano colmi di pali di bambù e di isolatori di vetro. E come me, chiunque non faceva un passo senza essere colpito da tali strani contrasti .

Qui, in questa ,città di Fakumoo. , in una piccola via latérale perduta tra vicoli tortuosi, dentro un recfnto co­struito di pietra e di terra, viveva Nogi , semplice, quieto e modesto come se egli non fosse stato un generale ma uno dei suoi attendenti .

Una sentinella alla porta, pochi ufficiali indugianti nel cortile, un pugno di attendenti e 9i servi, ciascuno dei quali intento al proprio dovere ed era tutto ciò che distin­gueva H quartiere generale di Nogi !da una dozzina di al­tre abitazioni similì nella città .

Quando noi incontravamo per caso il Generale lungo la via , egli ci salutava semplicemente cortese con un lieve sorriso amichevole , ma quando lo visitavamo nel suo quartiere generale o soo.z'altro nella sua piccola stanza da lavoro, dove in un angolo era anche il suo rozzo letto ci­nese , · egli ci riceveva con tanta cordialità che noi poteva­mo credere di essere negli alloggi degli addetti militari o dei nostri confratelli corrispondenti del Times di Londra . Eravamo trattati come se fossimo in casa nostra e ci ve­nivano offerti the, focacce e dolci con quella bella sem­plicità che distingue l 'ospitalità giapponese.

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Nogi era molto mutato da quando l 'avevamo visto l ' ul­tima volta in Porto Arturo . I suoi capelli erano ora scre­ziati di grigio e la tragedia e il dolore stavano tracciati a linee profonde sul suo volto. Quando egli sorrideva e

una piccola scintilla si accendeva nei suoi profondi occhi neri, il suo viso si illuminava, ma era un momento, su­bito dopo esso riprendeva la compostezza abituale e l 'om­bra di Porto Arturo - fatta di figli perduti per sempre, fatta di amici caduti a ventine - tornava a stendere il suo mantello grave di malinconia sulla sua fronte .

Qui il Generale ,era più accurato · nel vestire . Benchè egli non fosse mai sfarzoso, tuttavia ogni particolare della sua uniforme veniva tenuto con perfezione a:;;soluta . Così i suoi, alti stivali di cuoio verniciato apparivano sempre di una lucentezza splendente, i semplici distintivi del suo grado erano sempre lucidati d i fresco ; il suo lungo scuro soprabito militare , su una delle cui maniche brillavano le tre stene d 'oro con le tre striscie di uso, sembrava però sempre lo stesso .

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CAPITOLO VII

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Un pomeriggio del maggio 1 905 Barry ed io eravamo andati dal Generale a prendere una tazza di the ed a fare quelle che gli ufficiali del suo Stato Maggiore, nei brevi inviti che ci inviavano in tali occasioni, erano soliti chia­mare : « chiacchiere familiari >> . Quel giorno il Generale stava raggomitolatd in una grande seggiola a bracciuoli, non calzava i soliti alti stivaloni militari di cuoio e teneva i piedi piegati sotto di sè. Ci aveva ricevuti con gentile intimità!, tralasciando persino la formalità. di alzarsi al nostro arrivo e per quasi tre quarti d 'ora il tempo volò lieve e rapido sorseggiando the, fumando sigarette e par­lando piacevolmente della vita di Fakumen e del come si viveva in attesa dell 'avanzata che si preparava . Mai come in quel giorno il Generale ci era parso indifferente e, per così dire, libero dal grave senso d i responsabilità che gli veniva dalla grande armata della quale egli era il dittatore assoluto. D 'un tratto il suo viso si fece pensieroso, la sua espressione diventò decisa e con un piccolo sorriso di rammarico e con un gesto mezzo di dispiacere e mezzo di scusa : « Ora dovete perdonarmi, disse, ma questo po-

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meriggio io sono un poco occupato perchè i Russi coman­dati da Mischenko stanno facendo una irruzione per ta­gliarci le comunicazioni » .

In realtà, i Giapponesi sono veramente strani . Par­lare oziosamente e indifferentemente di cose lievi e pia­cevoli quasi per un'ora e poi offrirei d 'un tratto come cosa di minima importanza l 'unico briciolo di notizia gra­ve che fosse fiorita in sei settimane di inazione dell 'armata .

N o n vi è bisogno di dire che noi ci ritirammo imme­diatamente senza cercare di ottenere ulteriori spiegaziooi su ciò che stava compiendosi ; e se del resto avessimo an­che tentato di attenerle, Nogi avrebbe certamente rispo­sto a ogni nostra dom!llnda con piccoli sorrisi e con inchi­ni cortesi e evasivi, proprio come· se si fosse trattato di divertirci scambievolmente in qualche piacevole gioco.

Ripensando ora a quel lontano giomo di maggio, io credo che esso abbia dato a Nogi una delle preoccupazio­ni più gravi di tutto quell'estate trascorso in Manciuria, poichè proprio quel giorno, come potemmo sapere ben presto, tutta la città, compresa la base della terza armata , Nogi e l ' intero suo Stato Maggiore, stavano per essere inghiottiti come un solo boccone dai Russi che fallirono nella facile impresa solo per la loro ottusità o per man­canza di iniziativa.

Come ho detto più su, noi eravamo alla estremità della sinistra giapponese ed a 40 miglia da noi vi era il generale Mischenko che con una divisione di Cavalleria cosacca formava l 'estrema destra russa. Orbene, con otto o dieci mila soldati di cavalleria e con una batteria o due

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di ,artiglieria leggera, l ' intraprendente comandante aveva completamente circondata l 'estremità della sinistr-a giappo­nese, mentre il quartiere generale aveva avuto avviso di questq solo quando una colonna volarite russa aveva mar· ciato sulla strada maestra che univa Nogi alle sue divisio­ni avanzate, abbattendo un ospedale da campo e sbara­gliando qualcuno dei nostri trasporti . Nello stesso tempo . circa 2000 Russi comparivano sulle colline a poche miglia da Fakumen .

Benchè Nogi avesse al suo comando almeno 100 .000 uomini, egli era tuttavia così indietro sulla retroguardia della linea dell ' armata che nella città costituente il suo quartiere generale disponeva a mala pena di una intera compagnia di fanteria. Con tutto ciò i Russi, per quella caratteristica ignoranza e mancanza di iniziativa che li di­stingue, non avevano mai fatto alcun tentativo per entrare in città ben c h è le loro truppe fossero rispetto . la nostra piccola guarnigione in ragione di dkci almeno contro uno. Siccome le loro sorgenti di informazioni erano quasi sem­pre scarse e imperfette, può anche darsi però che essi ignorassero probabilmente come il vincitore di Porto Ar­turo fosse una preda a portata di mano. Vicino a noi non vi era nessun corpo numeroso di truppe poichè le nostre forze erano sparse largamente ovunque per miglia e mi­glia nei villaggi, in ogni direzione e così erano sparse an­che le batterie di artiglieria : più di una o · di due al mas­simo non si trovavano nello stesso posto. Tutto era però ben collegato al quartier generale dal telefono . I cavalli erano custoditi sotto piccole tettoie fatte di stuoia, col

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muso sporgente all 'infuori e pronti come i cavalli dei di­partimenti d 'incendio deHe città americane, coi finimenti appesi a gand vicini così che quando venisse ordine di attaccarli, tirar fuori una intera batteria, sarebbe stata questione soltanto di pochi minuti .

Quel pomeriggio, subito dopo aver lasciato Nogi e

mentre la notizia del tentativo di Mischenko ci ronzava assi

'dua negli orecchi , abbiamo avuto uno splendido esem­

piò di ciò che fosse mobilitazione giapponese. Accadde precisamente ciò che avviene in una delle nostre città quando qualcuno corre all ' angolo di via più vicino e dà l 'allarme d ' incendio da uno dei nostri avvisatori rossi . L'allarme era partito dal quartiere di Nogi non appena il nemico era inaspettatamente apparso, cioè subito dopo il mezzogiorno, e la risposta veniva immediata mentre noi discutevamo le probabilità della situazicne difficile : in r,ealtà, essa era tale da confortare ogni cuor,e incredulo o dubbioso.

La batteria più vicina a noi aveva da compiere per raggiungerei forse sei miglia : ebbene, essa arrivò con una rapidità meravigliosa, attraversando fragorosamente la grande porta mongolica, i cavalli al galoppo , col collo teso nel massimo sforzo attraverso il collare-, in tiri a sei , volando sulla strada mentre i cannoni saltavano e sobbal­zavano dietro di essi e gli uomini per non cadere dove­vano tenersi aggrappati ai loro sedili. Tutto, dal primo cavallo all 'ultimo uomo e a ogni bocca di cannone, era coperto di terra e di fango. Quando la batteria entrò in Fakumen, i cavalli furono posti al trotto e l ' al t fu dato al

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oontro della città fra strepito di catene e tintinnio di scia­bole. Allora le povere bestie apparvero spumanti di sudo­re, con le rosse narici sanguinanti dilatate e col capo pen­dente nell 'ansito del respiro affrettato dall ' impeto della lunga corsa.

Non erano passati dieci minuti dall'arrivo di questa batteria éhe da est ne giungeva una seconda completa e esausta come la prima e, forse trenta minuti dopo, ecco uno squadrone di cavalleria giungere sudato e ansimante, galoppando dal nord sulla strada principale di Kharbin. Il tramonto non era ancora caduto che le strade erano pie-ne di soldati bivaccanti di tre armi diverse.

·

Fakumen, che a mezzogiorno avrebbe potuto cadere facile preda di uno squadrone di cavalleria cosacca , alle sei della stessa giornata avrebbe potuto sostenere impu­nemente anche la minaccia di una intera divisione. E mentre tutto questo si stava preparando per ordine di Nogi, noi seduti intorno a lui sorseggiavamo tranquilla­mente il nostro the !

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CAPITOLO VIII

L'umiltà nella vittoria è limpida prova della squisitez­za di carattere di un uomo. non altrimenti della for.z;a n�l sopportare la sventura di tutti e la propria quando l 'ora della: sconfitta giunga facendo crollare un piano ambizioso di gloria .

Nogi aveva guadagnata la nostra ammirazione peren­ne per il modo col quale aveva accettata la disgrazia co­mune di Porto Arturo e quella parte della disgrazia che personalmente lo toccava . Finite le ore angosciose di Porto Arturo, noi potemmo ammirarlo nel nord sotto un altro aspetto, e questo ci fu offerto il giorno seguente a quello in cui Tògo, con la sua flotta poderosa , aveva cosi poten­temente colpita la flotta russa del Baltico, nella battaglia sul Mare del Giappone. Già da due giorni, per qualche indizio fomitoci dallo Stato Maggiore, avevamo intuito che cosa stava accadendo e però nessuna meraviglia ci colse quando un addetto venne da noi e, nel suo inglese esitante, ci informò su ogni particolare della grande vitto­ria navale, aggiungendo che era desiderio di Nogi averci al suo quartiere generale quella sera alle sette per brifl,..

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dare in onore del Nelson giapponese che, con la sua ulti­ma impresa, aveva completamente distrutta qualsiasi spe­ranza russa di supremazia navale.

E fu così che quella sera Barry, il corrispondente del Times di Londra, e io ci recammo nella lunga stanza ci­nese dove Nogi e il suo Stato Maggiore solevano riunirsi per tenere i loro consigli .

Quando giungemmo, cinquanta ufficiali e anche più, fra quelli di stato maggiore e fra comandanti delle briga­te o dei reggimenti più vicini , vi erano già raccolti . Al centro correva una lunga tavola coperta da una candida tovaglia, intorno non vi erano seggiole e su essa, a bre­vissime regolari distanze, erano disposte tante di quelle tazze di stagno che i Giapponesi usano per bere al campo.

La stanza ronzava di voci e di risa degli ufficiali ecci­tati dalla grande notizia venuta dal mare. Improvvisamen­te si fece un silenzio profondo : allora si potè udire di fuori il suono familiare di una nota sciabola che si trasci­nava e il tintinnìo di un paio di speroni risuonanti sulle pietre del lastricato . La porta fu spalancata e il Capo en­trò coi suoi alti stivaloni i cu i margini battevano contro le ginocchia ; aveva H cappotto militare aperto e sotto appa­riva la semplice uniforme di generale giapponese ; lo se­

guiva a qualche passo il suo Stato Maggiore . Al passag� gio del Generale , ogni ufficiaJ,e si pose sull 'attenti e ogni occhio lo seguì con uno sguardo di profondo e reverente rispetto , mentre · egli avanzava sino alla estremità della lunga stanza e prendeva il suo posto a capo tavol a .

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Nessuno di noi scorderà: mai il quadro che allora ci si offriva e la lunga camera bianca, con quella figura tran­quilla e imponente che si ergeva silenziosa e isolata al suo fqndo, non si cancellerà facilmente dalla nostra · memoria.

Alla destra di Nogi sta il vecchio Ichinoe, suo capo di Stato Maggiore già comandante della VI brigata che non, molti mesi or sono ha guidato in persona il riuscito as­salto finale alla famosa ridotta P del forte Est di Keikwan a Porto Arturo, una delle posizioni più difficili della intera linea. Subito presso, in una uniforme piuttosto sciupata , è il colonnello del genio, i congegni e le invenzioni del quale costituirono un così importante fattore di vittoria nelle operazioni contro ·la formidabile fortezza del sud . Poi, da ogni parte, una folla di visi ardenti : generali e ufficiali che godono della confidenza del Comandante e che combatterono con lui passo a passo durante i lunghi mesi precedenti , pieni di tristezza e di angosciosa tensio­ne, passati all 'estremità: della penisola del Liaotung.

Ecco il vecchio e buon generale del commissariato, le cui incessanti cure hanno donato ogni possibile conforto ai soldati anche sulla li!11ea di fuoco ; ecco il viso tranquil­lo e impassibile dell ' Ispettore generale del corpo dei me­dici, alla infaticabile energia e scienza del quale migliaia e migliaia di feriti giapponesi devono se sono tuttora al mondo ; ecco il comanda!l1te dell ' artiglieria da poco fatto tenente generale per la sua brillante condotta a Porto Ar­turo e presso lui, con le mostre gialle che spiccano sulla sua uniforme,. i l coma!l1dante generale della cavalleria del­l 'armata di occidente che oggi ha cavalcato per be!l1 40

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miglia per giungere qui dalla estremità, del fronte ; la sua uniforme è spiegazzata e polverosa per la lunga cavalcata, ma il suo viso è raggiante.

Un poco più in giù e vestito di una uniforme affatto diversa, vi è l 'ufficiale del genio, cui è ora affidato l ' inca­rico della linea di trincee di d ifesa che si stanno costruen­do sul lontano fronte dell' armata.

Ogni ramo del servizio militare in Manciuria è rap­presentato da ufficiali di fanteria in divisa kahki con i di­stintivi d ' oro dello Stato Maggiore, da ufficiali d i arti­glieria con mostre rosse, da soldati del commissariato, della croce rossa, dei trasporti , da telegrafisti e pontieri . Tutti quanti insomma, lavorano e contribuiscono al suc­cesso e alla vittoria di un' armata, sono riuniti qui oggi a onorare il loro capo diretto e ad onorare in lui Tògo, l ' Imperatore e il Giappone stesso. Ai Corrispondenti è fatto posto alla sinistra del Generale e presso noi abbia­mo Yamaguchi , l ' interprete della I I I armata, che parla una dozzina di lingue così correntemente da umiliare quel­li che ne conoscono a mala pena una.

Alla fine tutti sono presenti e la camera rigurgita sino alle porte di uomini in uniforme. N ogi parla sottovoce con noi della stampa e un brusio di conversazioni som­messe ha ripreso ovunque, ma il Comandante ora alza la sua tazza colma di champagne e il silenzio ricade profon­do e improvviso. Egli parla rapidamente in giapponese tenendo la tazza sempre in alto ; quando ha finito, dà a questa una piccola scossa e grida l 'unica parola che noi riusciamo a comprendere : << Banzai l » . Subito, come uno

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scoppio di artiglierie a salve, da ogni bocca di uomo che si trovi tra le quattro mura la risposta risuona : « Ban­zai l )) . E il grido si ripete e torna a ripetersi : l 'amato grido di guerra che fa fremere e infiamma il sangue di chiunque l ' abbia già, udito lanciare alla fronte e correre attraverso il campo di battaglia, unendo la sua alta voce al coro profondo dei colpi sonori e micidiali del fuoco . Tutta la stanza risuona sino al soffitto, tutta l ' aria intorno tre­ma vibrando del grido elettrizzante. Nogi si guarda intor­no e un sorriso lievemente lieto gli illumina il volto , ma presto il sorriso scompare e una espressione tra severa e mesta prende il suo posto ; egli alza la mano destra e nella stanza il silenzio torma a ripiombare, mentre ogni uomo si protende verso il Generale a raccoglienne devotamente ogni parola che gli stia per uscire di bocca.

Ciò che egli dice e che ci viene tradotto , è presso a poco questo :

1 « E ' giusto brindare alla flotta, è giusto brindare ai

nostri valorosi marinai e al nostro ammiraglio Tògo. In grazia delle virtù celesti di Sua Maestà! l ' Imperatore essi hanno riportata una grande vittoria . Ma noi dobbiamo ri­cordare tuttavia sempre che il nostro nemico ha avuto contro di sè una grande sfortuna e però, mentre brindia­mo alla nostra vittoria, non dobbiamo scordarci del ne­

mico che attraversa l ' ora della sventura. Noi dobbiamo riconoscere che esso è un nemico degno e che ha incon­trato la morte per una causa cui fu ingiustamente forzato. Beviamo dunque con reverenza ai nostri eroi, ma bevia­mo anche com rispettosa simpatia al nemico vinto )) .

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I n queste parole, bene si rivela il carattere di Nogi . Quando ha finito di parlare, egli si ;olge a noi e, chia­mandoci uno per ciascuno per farci un piccolo discorso, attende poi in piedi con volto luminoso e sorridente che gli siano tradotte le parole che ciascuno di noi gli ri­sponde.

Fraser. del Times gli riempie la tazza di nuovo e gli porge un brindisi in nome de li ' Inghilterra. Il Generale ne è evidentemente lieto e quando Fraser ha finito , Nogi gira lungo il fianco della tavola in cerca di una bottiglia che non sia ancora completamente vuotata poi, ridendo come un fanciullo , torna indietro recandocene una ancora mez­za piena e con aria di grande gravità distribuisce fra noi lo champagne in parti scrupolosamente uguali . Quando abbiamo bevuto, ci stringe la mano ed esce nel recinto che circonda la casa . Scambiata qualche parola con gli uffi­ciali, auguriamo loro la buona notte e usciamo a nostra volta mentre la notte cala. Sono le otto passate e fuorf ci accoglie l 'ultimo crepuscolo che muore nella oscurità in­vadente.

Mentre attraversiamo il cortile, noto un uomo dagli alti stivaloni e dal lungo cappotto scuro fermo sotto l 'om­bra di un ·tetto, presso una rozza mangiatoia : egli acca­rezza il collo e il muso di un grande cavallo baio, poi tira il capo del bell 'animale da guerra sul suo petto e con la mano che ha libera gli preme contro la rosea bocca golosa un dolce giapponese.

Ora esce dall'ombra e l 'ultima luce del crepuscolo morente gli cade sul volto sereno.

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Egli è Nogi : l 'uomo che a Porto Arturo ha mandato ' a morte 100 .000 uomini, perchè così doveva fare per eseguire l ' ordine che veniva dall ' Imperatore, e gli uomini del Giappone davano volenterosamente la loro vita, ac­çettando il loro destino con il medesimo stoicismo del Capo qhe a quel destino li dirigeva.

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CAPITOLO IX

Nogi , non differendo in ciò da altri grandi, aveva an­

che lui un Jato debole , la sua specie di tallone di Achille . Mai , dùrarnte tutte le nostre numerose conversazioni

dell 'estate, mi era riuscito di sorprendere nemmeno una parola dalla quale arguire che egli fosse orgoglioso sia per i fatti di Porto Arturo che per la campagna di Mukden ; mai, nearnche il minimo segno, aveva tradito che egli fosse superbo o anche semplicemente conscio di aver compiuto grandi cose. Egli era quello che può dirsi un soldato nato, nutrito e allevato e nulla più.

Una lunga Jirnea di antenati samurai aveva per secoli e secoli combattuto conducendo alle sorti sanguinose della guerra migliaia di uomini, verso la vittoria o verso la di­sfatta come volesse il ,destino : egli era il discendente d i questi Samurai ed . a lui, per quegli strani, indefiniti ideali che gli antichi Giapponesi avevano così a cuore, doveva appç�rire la cosa più naturale del morndo che gli uomini compissero il loro dovere sino al limite sup

.remo che chie­

de anche il sacrificio della vita.

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Se egli avesse fallito nella sua impresa sarebbe morto di dolore ; che l ' impresa fosse riuscita gli appariva un fat­to naturale . La sua professione era quella di combattere e d i vincere : quanto dunque aveva compiuto non costitui­va che una parte del· lavoro abituale di ogni giorno . La sua posizione personale, io credo che poco o nulla con­tasse per lui , e in quanto alle lodi che verso di lui si le­vavano e all'adorazione che quasi ad eroe il Giappone gli offriva, egli sembrava ad esse insensibile, accettandole con indifferenza e senza dubbio quasi anzi con una ombra di noia come si accetta qualche cosa che sia affatto super­flua. Egli si considerava' semplicemente come uno stru­men_to atto a raggiungere fini determinati, nè teneva _ad essere esaltato dagli altri più di quello che non si esaltasse egli stesso :

-cosa questa· che non faceva assolutamente mai .

Noi potevamo parlare con lui delle sue campagne, pa­ragonarlo a Cesare, a Napoleone, a Grant o a qualsiasi altro nome celebre della storia senza riuscire ad ottenere da lui che un piccolo segno di noia : « Voi Americani sie­te dei grandi adulatori ! >> , dopo di che egli cambiava rapi­damente argomento.

Ma Barry che, come ho detto già·, godeva più d i tutti noi le simpatie di Nogi , scoprì che l ' anima del vecchio generale aveva un punto aperto alle dolci blandizie della lode. La sua poesia ! Sì , perchè egli di tanto in tanto si abbandonava alla dolcezza di comporre versi .

Di poesia giapponese io non m ' intendevo affatto, ma Barry qualche cosa ne capiva e come nell' ·estate inoltrato scoprì che Nogi. durante le sue ore di ozio componeva .,_

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strofe, subito pregò l ' intèrprete Yamaguchi di volergliele tradurre. Così i versi giapponesi furono tradotti in una specie di inglese e consegnati a Barry al più presto. Que­sti fu profondamente colpito dalle idee e dalle squisìte sfu­mature di espressione della poesia del vecchio generale e per una settimana almeno fu addirittura assorto in una estasi di entusiasmo per farne una traduzione non inde­gna in convenienti versi inglesi .

E quante volte egli si recò poi da N ogi proprio per in­trattenersi con lui su questo gradito argomento ! Di solito io lo accompagnavo, ma credo di non essere mai stato com la mia presenza troppo gradito a nessuno dei due : ero come un testimonio al conv·egno di due innamorati. Men­tre Barry parlava, Nogi sedeva abitualmente sulla sua seggiola, con i piedi ripiegati sotto di sè, con l 'orecchio teso avidamente ad ogni lode e gli occhi semichiusi in atti­tudine e in espressione rapita .

Egli, che avevamo trovato sempre così insensibile a ogni richiamo di vanità•, àppariva ora realmente colpito da ogni parola lusinghiera che esaltasse la sua poesia. Barry ne aveva fatta una traduzione e anche buona per verità, e gli andava spiegando le difficoltà incontrate e su­perate per esprimere in un metro adatto J.e idee conte­mute nei versi . Era stato un probl·ema difficile, come egli diceva, decidere se fossero più adatti perciò i metri di Shakespeare o quelli di Swinburne.

Barry era sincero nelle sue lodi . - con tutti infatti non cessava di esaltare l ' abilità poetica di Nogi - e poi­chè la sua sincerità traspariva chiaramente, questi mo-

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strava di compiacersi di ogni lode con la semplicità e la franchezza di un vero fanciullo .

I o npn s o d i preciso quanti colloqui vi siano stati su questo argomento, ma credo di non sbagliarmì se dico che furono moltissimi.

La piccola casa in cui abitavamo era proprio nella via dì fronte al cortile maggiore dell 'abitazione dì Nogì e così, man mano che l 'estate avanzava, le nostre visite di sera al Generale, per scambiare quattro chiacchiere alla buo­na, sì facevano sempre più frequenti e la nostra cono­scenza dell 'uomo, in opposizione al semplice soldato che avevamo conosciuto a Porto Arturo, sì faceva ogni gior­no sempre più profonda . Ora egli prendeva al nostro be­nessere un 'interesse assai più vivo di prima e la sua pri­ma domanda, subito dopo scambiati i convenevoli d ' uso, era per informarsi come stavam o . Avevamo avuta carne fresca ? No ? Bene ! egli avrebbe tosto date istruzioni al commissariato per farcene avere l ' indomani mattina pre- · sto . Il nostro caffè ci bastava ? Egli ne aveva proprio ap­pena ricevuto di veramente squisito dal Giappone e se noi eravamo senza, una sua ordinanza avrebbe potuto portarcene una scatola o due a casa subito dopo che noi vi fossimo tornati .

Poi cominciò anche a ìnterrogarcì individualmente con maggiore intimità. Erano vecchi i nostri genitori ? Vive­vano tutti e due ancora ? e dove ? Erano contenti dì aver­ci così lontani ? E 91tre a queste, cento e oento altre do­mande che, mentre mostravano interesse personale per ciascuno dì noi, rivelavano il sentimento semplice , pro-

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fondo e malinconico di oo padre che la sorte aveva pri­vato dei figl i .

Di tanto in tanto, se l 'occasione si presentava, noi tentavamo di tirare la conversazione sull'argomento im­portante del grande problema che ci stava dinanzi in Manciuria e, col maggior tatto possibile, cercavamo di scoprire quando si sarebbero riprese le operazioni di avanzata. Ma sempre, con un tatto anche maggiore del nostro, Nogi sviava l 'argomento che ci interessava e sul quale era raro che si fermasse a discutere.

Una volta o due gli sfuggirono poche parole che ci diedero una idea della sua opinione sui Russi e su qual­cuno dei loro generali .

« Il Generale dice - ci tradusse un giorno l ' interpre­te - che egli è veramente addolorato per i Russi . Sono buona gente questi soldati e ora p assano un brutto mo­mento. Questo gli dispiace molto » .

U n altro giorno i n cui parlavamo della rimozione d i Kuropatkin e della successione del generale Linevitch al 1

comando supremo , Nogi disse : « 'I Giapponesi sono mol-to grati allo Czar di Russia per la cortesia che usa al no­stro esercito rimandando in Europa il generale Kuropa­tkin. Egli è davvero uno splendido soldato e noi siamo proprio felici di vederlo allontanare dalla guerra. Nessu-no avrebbe potuto far meglio di lui al suo posto >> . E detto ciò, ci condusse subito a parlare di altro che fosse d 'in­teresse meno vitale della guerra.

Durante il giugno di quell 'estate vi fu qualche piccolo combattimento sulla nostra fronte occidentale e, una o due

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volte, il rombo distante dei cannoni. in azione giunse sino

a noi. · ' Ricordo di essermi allora recato con Barry da Nogi a

pregarlo di !asciarci andare alla fronte per vedere che cosa stesse accadendo. Gli dicemmo come il tempo co­lasse per noi lento e tedioso e come avessimo troppo po­che notizie da telegrafare al giornale . Egli ascoltò con la più grande attenzione e con apparente interesse le nostre lamentele poi ci rispose : << Ciò che sta accadendo sulla nostra fronte è cosa di importama minima, mentre però offrirebbe pochissime notizie a voi , potrebbe creare un grande imbarazzo a me )) . Ci guardò qualche momento in silenzio e continuò sempre a mezzo dell'interprete : « Ve­dete, amici miei , voi siete qui come o spiti del Giappone, del Ministero della guerra e di me stesso . Ora, se io vi permettessi di inoltrarvi sino alle lirnee avanzate, vi sa­rebbe una vera disgrazia per me che sarei vivamente rim­proverato dal Ministero della guerra per avere permesso ai Russi di colpire i nostri ospiti >> . Altra interruzione di qualche istante e poi : « Vedete, ora nessun avvenimento

l di una certa importanza si compie in Manduria e · perciò ogni piccola cosa è molto ingrandita . Se voi foste uccisi, i vostri giornali farebbero grandi articoli sulla vostra morte e ciascuno criticherebbe il generale N ogi. Aspettate che s i abbia una grossa battaglia e allora

' vedrete quanta libertà

vi concederò di andare e venire liberamente dove vogliate. Durante la grossa battaglia, vi saranno molte notizie im­portanti e se voi sarete uccisi sarà cosa di poco conto : nella confusione del combattimento forse la vostra mòrte

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non sarà neppure avvertita n . Noi comprendemmo il suo punto di vista nè pensammo ad insistere oltre .

In quell 'estate Nogi ci pareva sempre sereno e piut­tosto lieto , ma i suoi aiutanti ci dissero che quando egli era solo traspariva chiaro che era molto infelice e che· piangeva amaramente la perdita dei figl i . Verso la fine del giugno, quando la stagione divenne ardente, il vec­chio generale fece costruire dai suoi attendenti una spe­cie di scala a piuoli per salire sul tetto della sua casetta a un piano, poi a mezzo di funi fece portare su una vec­chia poltrona a dondolo e ogni sera, proprio al tramonto , prese l 'abitudime di salire e di sedersi lassù dove, stando sulla no�tra porta di casa, in faccia al cortile della sua abi­tazione, potevamo vederlo noi stessi mentre egli non ci vedeva pere h è rimanevamo n eH ' ombra . E così ogni sera, Barry ed io, sduti sui gradini di pietra davanti il mulino che ci servi va di casa, accarezzavamo com gli occhi la fi­gura silenziosa di Nogi che spiccava sul tetto al pallido Iyme della luna.

Sempre egli si toglieva gli alti stivali e com l ' insepara­bile sciabola abbandonata sulle ginocchia si cullava dolce· mente sulla p�ltrona mentre fissava lontano la linea di­stante delle colline del Khin Ghan . Ogni sera noi resta­vamo a lungo immobili fumando le nostre pipe e conver­sando piano come in un sussurro finchè la vecchia silen­ziosa figura non si levasse lentamente dalla sua poltrona per scendere passo a passo la scala a piuoli e sparire giù oltre il nostro sguardo, e ogni sera noi · potevamo convin-

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cerci sempre più che la figura che avevamo visto cullarsi al pallido lume della luna. con lo sguardo perduto lontano oltre i colli degradanti dei Khin Ghan, era quella di un povero triste uomo il cui cuore certamente era spezzato per sempre.

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CAPITOLO X

Avendo Barry ed io ricevute tante cortesie da Nogi e dal suo Stato Maggiore , decidemmo di vedere di ricam­biarle il meglio che ci fosse possibile e così, fatte le op­portune considerazioni e prese le necessarie disposizioni , stendemmo un invito formale a Nogi e ad una parte dei suoi ufficiali, chiedendo l 'onore della loro presenza a un pranzo offerto da noi e dal maggiore Joseph E . Kuhn, addetto militare dell 'esercito degli Stati· Uniti ; pranzo che veniva fissato per la sera del 4 luglio . Subito il gior­no seguente, ecco arrivare da noi un aiutante che, dopo molti saluti e molti è profondi inchini, ci presentò il bi­glietto che in questo momento ho davanti agli occhi e che trascrivo .

Signori !

Poichè il 4 luglio è la vostra· festa nazionaJ,e, costi­tuendo una occasione di grande gioia per il vostro paese, e poichè fra l 'America e il Giappone corrono ora senti­menti di profonda cordialità ed amicizia , desidero espri­mervi la stima che la mia nazione ha per la vostra e che

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io , quale comandante della terza armata, ho personal­mente per voi che rappresentate qui l 'America, o ffren­dovi una cassa di champag111e che mando con questa let­tera perchè n�lla fausta occasio111e prossima voi possiate brindare in nome del Giappone alla vostra indipendenza.

Cordialmente vostro Generale Barone M. Nogi )) .

E 111on avevamo ancora finito di leggere il biglietto che ad un segno dell 'aiutante, si fece avanti una ordi111anza con una cassa di champagne .la quale, come ci fu detto poi, faceva parte di un deposito che Kuropatki111 aveva lasciato nelle sue ca111tine a Mukden quando, durante gli ultimi giorni della battaglia, salito (nella sua carrozza pri­vata, era partito per il Nord.

Essendo Ionta111i , come eravamo , da una base di ri­fornimenti , pr·eparare un pranzo conveniente era una specie di problema , ma inviando il nostro servo giappo­nese a Newchang riuscimmo tuttavia a raccogliere una certa varietà di cibi e di bevande per l 'occasio111e .

Nogi prese molto interesse a i nostri preparativi ·e man­dò il generale Ichinoe, suo capo di Stato Maggiore, a con­ferire com noi e ad offrirei tutto quell'aiuto che fosse in suo potere e Ichinoe si gettò 111ei nostri preparativi con quello stesso entusiasmo col quale aveva condotto la sua brigata contro la ridotta P a Porto Arturo, offrendoci an­che i servigi della banda militare di Osaka coi suoi qua­ranta bizzarri strumenti perchè allietasse di musica tutta

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la durata del pranzo : naturalmente la sua offerta fu ac­cettata con grande riconoscenza .

Subito dopo lui v,ernne u n ufficiale cortesissimo del commissariato e pose a mostra disposizione ouochi, ca­merieri e pro,vviste del suo deposito .

Urna cosa che più di ogni altra preoccupava Ichinoe era il luogo dove noi avremmo potuto dare il nostro pran­zo poichè il mulino in cui abitavamo, oltre essere alcun­chè di estremamente primitivo , era anche estremamente piccolo : lo costituivano infatti solo urna minuscola came­ra quadrata irn cui dormivamo e la stanza della macina che noi avevamo_ adibita a cucirna. Questo era dunque in real­tà un altro problema e rnon facile, ma il capo di Stato Maggiore finì coll 'aiutarci a risolverlo ordinando ad un plotone di soldati di costruire una cinta nel nostro cqrtile , dentro la quale avremmo potuto pranzare senza vedere H reggimento di maiali, di polli , di asini e degli abitanti di ogni specie che abitualmente si raccoglievano davanti la nostra porta guardando dentr:o dalla finestra per assi­stere ai nostri pasti.

Il giorno del pranzo, parecchi soldati furono mandati almeno dieci miglia lontano a tagliare rami frondosi e con ­questi nel mezzo del nostro cortile fangoso sorse una vera pergola fresca e verde. Fuori, su seggiole prese a presti­to come ogni altra cosa, sedeva la banda militare nelle sue uniformi di gala, e ali' ora fissata ecco giungere pun­tualmente Nogi e il suo Stato Maggiore, anche loro in alta uniforme .

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Il maggiore Kuhn inizfò i brindisi e Nogi fu il primo a risponder·e all 'evviva levato al Mikado, al R:e e al Pre­sidente.

Il tenente generale Burnet, splendido campione di vecchio ufficiale che aveva vissuta tutta la spa vita in In- . dia ed era in Manciuria quale addetto inglese, rispose brindando all ' Irnghilterra e al Giappone, e come ebbe fi­nito di parlare, la musica intonò il « Go d Save the King >> .

Ci eravamo seduti a tavola alle sette e la mezzanotte era già scoccata da lungo t·empo che ancora il nostro ospite illustre non si era alzato per prendere congedo .

Quel pranzo f u in complesso uno degli episodii più lieti dell'estate.

Quando io, durante esso, osservavo Nogi col suo ca­po appena rasato e la barba tagliata con cura , mi pareva impossibile che si fosse nel tempo di una grande ed ama­ra guerra e che l ' uomo che sedeva tranquillo a capo ta­vola, scherzando giocondamente con noi e con i suoi uf­ficiali , fosse di questa guerra proprio uno dei princip'ali attori .

Mi pareva incredibile che quel volto sorridente, li-­bero in apparenza di ogni cura e di ogni responsabilità , fosse lo stesso volto che a Porto Arturo eravamo soliti vedere rigido e scavato dalle preoccupazioni e dal dolore, e anche più impossibile mi pareva che la voce che ora scherzava con noi con facile arguzia , fosse la stessa che in frasi fredde e recise, dalle quali ogni traccia di uma­nità e di sentimento sembrava scomparsa , aveva pronun-

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ciato gli ordini destinati a scagliare verso la loro condanna di morte uomini a diecine ed a diecine di migliaia.

In realtà1, per qualche aspetto, la sera appariva stra­na. Noi eravamo lieti, sotto la nostra pergola verde, di udire la banda militare che suonava l 'ultima canzone in voga di Susa e i nostri diversi inni nazionali : ogni preoc­cupazione era stata gettata al vooto e anche il solo pen­siero della guerra appariva fuori di posto come un ritmo di tararntella ad un funerale . Eppure intorno a noi , in si­lenziosa formidabile potenza , due grandi eserciti, uno di fronte all'altro, attendevano il momento di rilanciarsi in una lotta di vita o di morte e oltre un milione di uomini, istruiti all ' unico scopo di distruggere uomini, erano in armi , pronti , a una parola che giungesse da Mukden o da Pietroburgo, ·a riscagliarsi quali tori furiosi, gli uni con­tro gli altri in un nuovo conflitto più grande e più mici­diale di quanti lo avessero sino allora preceduto . E quan­do l 'ordine di avanzare fosse d ato, quegli stessi uomini che nella quieta e dolce notte parlavano e ridevano lieta­mente com noi, sarebbero ridiventati d ' un tratto i denti della scorrevole, precisa e spietata macchina da guerra che già· avevamo potuto ammirare in azione ! E se la grande avanzata coo i suoi combattimenti inevitabili si f·osse compiuta , quanti di questi uorriini ora raccolti com noi, avrebbero potuto riapparire a un pranzo offerto. fra un paio di mesi ?

Con noi era anche il povero Yamaoka, il nostro com­pagno ed amico di Porto Arturo. Egli fu irn seguito colpito dallo scoppio di una granata e una palla gli attraversò il - .

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capo, recidendogli di colpo tutti due i nervi ottici . Men­tre noi, che partecipammo con lui al fraterno banchetto , possiamo rid·ere e 'Scherzare come in quella memorabile sera lontana, egli giace nella sua casa nel distante Giap­pone, tris.tamente cieco per tutta la · vita.

Ma tale è la guerra ! Nè la notte del 4 luglio la mag­gior parte di noi donava alle sue tristezze troppi pensieri . E quando la banda intonò come ultimo numero cc Auld Lang Syne » e Nogi e il suo Stato Maggiore se ne fu­rono andati, noi guardandoci con soddisfazione, fummo d 'accordo nel constatare che la nostra s·erata av·eva avuto un grande successo .

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CAPITOLO XI

Sia in patria che all 'estero i Giapponesi amano 11101t9 le feste e così ,.essi hanno un giorno di festa per le fan­ciulle, uno per i ragazzi e innumerevoli giorni solenni in cui i fatti storici più importanti sono celebrati . In realtà, es�i si compensano della mancanza della domenica pren­dendosi a intervalli frequenti un giorno di vacanza in cui festeggiare questo o quell 'evento e se esso sia importan­te, bene ! e se non sia, bene ugualmente ! la festa non sarà celebrata con minore entusiasmo per ciò . Così fu quell'estate in Manciuria : si pensava a divertirsi pure nell'attesa ansiosa di udire a che cosa avrebbero ·appro­dato i çegoziati di pace che sapevamo iniziati in Ameri­ca e che erano l 'argomento più importante di ogni nostro discorso .

Già l a prima armata, che si trovava alla ·nostra destra sotto gli ordini di Kuroki , aveva celebrato lietamente il prim9 anniversario della battaglia del Yalu , poi fu la vol­ta della ·seconda .armata, che era vicina alla nostra, di fe­ste\ggiare solennemente il 26 maggio quale anniversario della prima battaglia .veramente importante di terra, bat-

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taglia in oui sui sanguinosi pendii del Nanshan tanti Giap­ponesi erano caduti sotto il fuoco dei fucili e · sotto lo scoppio delle granate russe . E ora finalmente toccava a noi di scegliere un giorno di gioia e di festa . A quel tem� po, un anno prima, nulla di realmente importante o in­teressante era accaduto per l 'armata di Nogi , ma la festa non poteva tuttavia mancare ai nostri uomini e però, do­po mature riflessioni, essi decisero di scegliere la data in cui l ' anno avanti si erano impadroniti della prima linea di colline che formavano la difesa di Porto Arturo. La data, nella quale la grande e vecchia nona divisiooe del­l ' esercito giapponese aveva occupato e tenuto saldamente Le posizioni sul primo grande colle c!le si levava fra l ' avan­zata giapponese e la linea principale della difesa russa, era quella del 30 giugno 1 904 e però fu questo il giorno scelto a celebrare con gioia e con onore il primo anni­versario di un sanguinoso evento .

Quando il giorno giunse, la stagione delle piogge non era tuttavia ancora finita in Manciuria e allora fu deciso che l 'es,ercito avrebbe trattenuto Io sfogo del suo entu­siasmo sino al l o agosto.

Il trattenimento principale della festa sarebbero state gare di lotta poichè per queste, pi4 che per ogni altro genere di gare sportive, i Giapponesi sembrano appas­sionati . Parecchie settimane prima del giorno stabilito, da ogni divisione furono scelti i migliori lottatori e qual­che centinaio di essi venne al nostro quartiere generaie per le prove preliminari, così che nel pomeriggio del giorno solenne erano a lottare dinami a noi gli uomini

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più adatti , scelti da un esercito di circa cento mila uomini e ciascuno era più o meno bene all�nato alla prova. I l pçsto per il trattenimento fu preparato in un grande re­cinto dentro il quale uno spazioso quadrato fu ricoperto con stuoie : in mezzo a questo fu innalzato un altro largo quadrato di terreno soffice e su un lato di esso furono postì sedili per gli Ufficiali membri dello Stato Maggiore e ospiti invitati, mentre su ogni altro lato potevano affol­larsi i soldati che av,evano avuto il permesso di assistere al trattenimento ed erano migliaia e migliaia, accovacciati a terra nelle loro uniformi logorate color khaki e in viva attesa dei giochi che destano sempre la loro profonda a'll­

mirazione. Alle due e mezzo del pomeriggio tutti erano a posto

meno il Comandante. Sugli scanni davanti stavano i ge­nerali fra i quali era il tenente generale Bumet dell 'e­sercito inglese ed il maggior generale Pertey Pasha dello Stato Maggiore turco. D ' un tratto tra la folla corsero co­me un fremito e un fruscio ; con un movimento simulta­neo tutti gli astanti furono in piedi e ogni mano si levò a salutare : attraverso il piccolo sentiero che era stato la� sciato libero per lui, si avanzava il Generale.

Egli prese il suo posto fra gli addetti inglesi e subito le gare di lotta incominciarono . Queste, a parere di noi

. occidentali , non erano intèressanti nè come pugilato nè come ga�a , tutto ciò che si richiede dal lottatore giappo­nese riducendosi a questo : che l 'avversario sia gettato a terra o spinto fuori del campo di lotta, e le singole prove

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quindi non potevano d'urare che un minuto e spesso an­che soli pochi secondi .

I due campioni tutti nudi, con una sola fascia ai lom­bi, entravano nel quadrato, salutavano la tribuna princi­pale poi si ponevano di fronte. Quando l 'arbitro pronun­ciava il suo comando, essi si serravano l 'uno all 'altro con le mosse agili dei gatti, per un momento rimanevano co­me un unico corpo immobile , poi i due piccoli corpi si bilanciavano avanti e indietro sinchè alla fine uno dei due era rovesciato . Talvolta, se i campioni erano di forza pa­ri, passava oltre un minuto prima che uno cadesse, tal­volta uno dei due, subito al primo lanciarsi , afferrava l 'al­tro così che poteva sollevarlo e portar'lo di peso fuori oltre il recinto .

Lo spettacolo di lotta :durò più di un'ora, poi il pro­gramma variò : .vi fu una danza. Entrò una dozzin� di soldati coperti di un solo grembiule quale l 'avevano po­tuto trovare e formare al campo ; per uno esso era costi­tuito da una 'Coperta da letto decorata da fiori di carta, per un altro da un pezzo di tappeto in cui scintillavano inca­strati piccoli specchi a mano.

I ballerini si presero per mano e cominciarono una serie di evoluzioni abbastanza graziose, ma non interes­santi. Le 1.!-ltime gare finirono prima delle sei e gli atleti vincitori furono premiati fra i. rallegramenti degli astanti . Durante tutto il trattenimento, il Generale aveva guarda­to i suoi soldati con quell ' ardente tenerezza che si può scorgere negli occhi di un padre che assista agli esercizi sportivi dei suoi figlioli:

·

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Gli occhi di Nogi brillavano di gioia quando la lott!l o appariva sostenuta con abilità ed egli rideva lieto come

un fanciullo quando uno dei lottatori volgeva improvvisa­mente la sua sconfitta in decisa vittoria. Una volta , dopo che, durante un'aspra prova in cui erano state tre cadute, i due campioni finirono per cadere insieme, egli fermò il giuoco e ordinò all 'arbitro di premiare tutti e due i lotta­tori che apparivano di forza uguale. Alle sei fu servito il pranzo a tutti gli ufficiali che erano venuti dalle diverse divisioni dell 'esercito. Un largo quadrilatero era stato li­vellato e coperto di stuoie a questo scopo su un' altura, oltre le mura della vecchia città cinese . Al centro, erano state poste tre grandi tavole e all'estremità di esse ne era stata posta una trasversalmente : tutte erano coperte di vivande fredde e di leccornie giapponesi e ovunque erano sparsi a miriadi minuscoli fiori di carta sbocciati dalle abili mani dei soldati neJie ioro ore di ozio : dietro un paravento' la banda della terza armata suonava . Al centro della tavola, posta trasversalmente all'estremità delle al­tre, stava Nogi fra i generali che erano venuti dai loro div,ersi comandi, fra gli addetti stranieri e i corrisponden­ti di guerra . Quale indimenticabile scena ! Il sole tramon­tava a occidente piovendo obliqui i suoi ultimi raggi rossi sui colii intorno, mentre le montagne lontane si lanciava­no aspre e ardite verso l 'azzurro purissimo del cielo.

Ai nostri piedi, dentro una piccola valle, scrosciava un torrente che le incessanti piogge della settimana prima avevano straordinariamente gonfiato. Centinaia di Cinesi nelle loro bluse blu , in piedi oltre il nostro sacro recinto,

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guardavano la scen� gaudiosa con occhi meravigliati ed a bocca aperta.

Cinquecento ufficiali nelle loro uniformi di gala si af­follavano intorno alle tavole, bev,evano alla salute gli uni degli altri e divoravano montagne di carne fredda mentre i boccali di birra e di sake giapponese andavano rapida­mente vuotandosi . Vi erano anche dei bomboni russi av­volti in carta su cui era stampata la marca di fabbrica di una ditta della lontana Odessa : così i Russi provvedeva­no i loro piccoli e intraprendenti nemici non solo nelle cose grandi o necessarie, ma anche nelle piccole ghiotto­nerie superflue . E così ovunque ! A Dalny, noi avevamo visto a disposizione dei soldati de li ' Impero delle l sol� una intera città russa con le sue case e le sue banchine, men­tre a Porto Arturo i Giapponesi vivevano quasi esclusiva­mente di provviste tolte al nemico.

Dai bomboni , che erano un lusso della nostra festa, ai grandi carri da trasporto, sui lati dei quali erano scara­bocchiati caratteri russi , e ai grandi cannoni d 'assedio, ovunque e ovunque noi potevamo vedere adoperato dai Giapponesi ciò che i Russi nella loro ritirata avevano ab­bandonato .

Dopo av,er bevuto alla salute degli ospiti stranieri , Nogi percorse la linea delle tavole fermandosi a parlare coi suoi ufficiali e trovando per ciascuno una parola e un sorriso cortese .

Osservando il vecchio Generale tra quelli che pare­vano i suoi figli, la nostra mente risaliva a dodici brevi mesi prima e vedeva un' altra scena cui molti degli uomi-

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ni raccolti alla 'festa attuale ·erano anche allora presenti. Ma allora non vi erano uniformi brillanti, nè segni di festa o di gioia , nè un vecchio generale paterno sorrideva mentre dolci russi e sake giapponese passavano in giro . Allora le grandi coliine di Porto Arturo apparivano per la prima volta formidabili e sinistre alla vista di questi stessi uomini ora festanti, mentre il loro Generale, ora sorridente e lieto, stava allora misurando la gravità del • compito enorme che gli era stato assegnato .

' Rievocando la scena lontana, un, sospiro represso ci gonfiava il cuore ; pensavamo ai molti ufficiali e ai nume­rosi amici che soltanto un anno prima erano nostri ospiti e nostri compagni cordiali e che ora, uccisi dai fucili russi o straziati daUe granate, giacevano tristamente nelle tom­be della Manciuria . . .

Così l a terza Armata celebrò la sua festa solenne. L 'alba del mattino seguente vide le strade affollate di uffi­ciali che cavalcavano V·erso le loro divisioni · e verso gli avamposti .

La festa era finita e la nostra · anima tornava inelutta­bilmente al problema che sempre ci preoccupava : Sa­rebbe continuata la guerra irnesorabile e feroce ? o si stava segnando a Portsmouth il trattato che porterebbe pace agli eserciti della lontana Manduria ?

.

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CAPITOLO XII

Con l 'avanzare dell 'agosto, i segni che dalle chiacchié· re amichevoli di Portsmouth la pace sarebbe fiorita, si fecero sempre e sempre più promettenti .

Di preciso, noi che eravamo alla fronte non sapeva­mo nulla perchè, mentre si svolgevano le ultime parti del­J,e trattative , i nosJri corrieri erano ritardati o addiritlura trattenuti con i giornali in Giappone, e tanto a noi che al resto dell 'esercito, prima giungevano raramente e poi non giunsero più senz'altro.

L 'esercito era in condizioni splendide e avido di nuo­vi combattimenti e io oserei dire che se tanto si tenevano nas::oste le probabilità di pace, era perciò che le poten­ze impegnate nella guerra t,emevano che sul morale delle . truppe le possibilità di una pace vicina annunciate prema­turamente, esercitassero un'azione depressiva.

Verso la metà di agosto , gli indizi di pace sembravano comunque così profondi che Barry ed io pensavamo qua­si di lasciare l 'esercito e di tornare in Giappone come avevano già fatto quasi tutti i pochi corrispondenti rima­sti quell 'estate alla fronte . A ogni modo decidemmo di

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scendere a Mukden per vedere se fosse possibile farci qualche idea sul come procedessero di preciso i negoziati di America.

Quando nel maggio precedente avevamo lasciata la linea ferroviaria, la campagna era tutta scura e brulla con solo qualche raro filo di erba verde che interrompeva e ravvivava la sua aridità. Ma tre mesi erano passati du­rante i quali il sole e la pioggia avevano compiuto la loro opera sulla superficie della terra, mutandola in un vero paradiso .

Per chilotp,etri e chilometri ora si piegava e' si cullava alla dolce brezza estiva l ' alto korian, o miglio, e pareva, la sua, l 'alterna vicenda delle onde del mare ; per chilo­metri e chilometri fioriva il rosso brillante dei papaveri e ovunque cipolle e legumi crescevano rigogliosi ; qua e là piccoli pezzi d i legno punteggiavano i l piano ed erano i villaggi cinesi annidati nell'ombra.

Il miglio raggiungeva l 'altezza di tre o quattro metri e in parecchi luoghi . dove noi prendevamo scorciatoie attraversando gli stretti sentieri che giravano tra esso, ci pareva di cavalcare tra foreste in miniatura che mormo­rando piovevano sui nostri abiti il fine polline delle loro piante.

Man mano che ci si avvicinava alla linea ferroviaria, i segni di una grande attività si facevano più manif,esti e quei segni erano di guerra e allontanavano dall 'anima nostra ogni incerta idea di pace. Se il paese tre mesi pri­ma ci era parso attivo, ora vi sentivamo ronzare l ' assi­dua vita industriale e intensa di un grande alveare . Dal

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sud, i treni giungevano senza interruzione a intervallo di un'ora uno dall 'altro e ciascuno era della massima lun­ghezza e carico sino ai traguardi del terribile materiale da guerra . A Tieling, i cortili del la ferrovia erano colmi di lunghe linee di carri, attorno ai quali si1 affaccendavano ronzando e sussurrando i soldati facchini . Si vedevano carri dietro carri coperti di tela cerata di uno scuro color grigio piombo, sotto la quale erano protette innumerevoli file di casse contenenti munizioni da fucili e da mitraglia­trici, mentre filze di vagoni colmi di viveri- e di materiale per la Croce Rossa venivano ogni ora vuotati del loro contenuto. Regolarmente un treno dopo l ' altro giungeva sbuffando. Il primo che vedemmo fu un tr·eno di artiglie­ria con diwanti carri aperti colmi di fucili àppena arrivati dal Giappone, mentre dietro erano vagoni chiusi con i soldati ed i cavalli . << Il presidente Roosev·elt e le tratta­tive di pace di Portsmouth non devono aver approdato a nulla » pensavamo noi, mentre prendevamo posto sul treno diretto a Mukden verso il grande quarHere gene-. rale, perchè in realtà mai in diciotto mesi di vita in co­mune e di peregrinazioni con l 'esercito, noi avevamo visti segni così evidenti di preparazione per una grande bat­taglia .

In una stazione del nostro viaggio verso il sud, in­contrammo un ufficiale giapponese che conoscevamo e che dopo i saluti d 'uso ci chiese il nostro pensiero su quanto si preparava : « Pace o guerra ? » . Naturalmente a noi, che non sapevamo nulla, non fu possibile rispon-

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dere che rivolgendo a lui l ' identica domanda : « Paoe o guerra ? n . Che cosa pensava egli ?

« Ah ! , rispose l 'ufficiale stringendosi nelle spalle, i soldati non pensano nulla, essi non possono che obbe­dire. Noi sappiamo solo che i due eserciti sono pro111ti per la battaglia più grande di tutta la guerra. Dal canto nostro abbiamo un movimento di truppe come non mai : gli uomini giungo111o a migliaia o�ni giorno e sappiamo che altre migliaia in numero anche maggiore attendono a loro volta nelle città< del mare interno i piroscafi per im­barcarsi . Certo, 111oi soldati preferiamo combattere perchè questa è la professione nostra, ma può anche darsi che stia per venire la pace n . E l 'ufficiale sospirò profonda­mente .

A Mukden noi passammo tre giorni come ospiti di Oyama , di Kodama e degli ufficiali dello Stato Maggiore, ma in quanto a informazioni no111 riuscimmo a raccoglie­re che strette di spa!le e frasi di questo genere : « Ah ! noi non sappiamD nulla, ma se date ascolto a noi fareste be111e a ritornare alla fronte subito >> . Kodama stesso , il capo di Stato Maggiore che durante le prime azioni della guerra aveva usata di tutta la sua influenza per trattenere i corrispondenti alla retroguardia, ci spingeva più degli altri a tornare indietro senz'altro .

« Noi non desideriamo che lasciate la fronte, egli ri­peteva. Nei primi mesi della guerra abbiamo commessi molti errori nel nostro contegno verso i corrispondenti ; ora sappiamo quanto essi in una guerra siano utili . Dire se stia per fiorire la pace o meno 111on ci è possibile, ma

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tuttavia la nostra opinione è che andandovene non fareste cosa saggia )) .

E Oyama, fra molti « oh )) ed << ah )) e molti piccoli cortesi inchini e piccoli piacevoli sorrisi, era dello stesso parere .

Tutto del resto contribuiva a non farci credere in una pace imminente e così noi ritornammo senz' altro al no­stro quartiere generale di Fakumen e una volta là ce ne stemmo quieti per una settimana a osservare l ' attività che sorgeva e palpitava sempre più forte e viva intorno a noi. I giorni delle semplici esercitazioni erano passati, noi non vedevamo più Nogi sedere tranquillamente nel suo cortile o cullare la spada sulle sue ginocchia come prima, quando egli scorreva le sue serate tutto solo sul tetto della casa, guardando le montagne profilarsi lontane sotto il lume della luna. Nè vi erano più inviti a the, a pranzi o alle (( quattro chiacchiere familiari )) di un tem­po. Ora, passando davanti al suo cortile, noi vedevamo soltanto file di cavalli che le ordinanze facevano passeg­giare in su e in giù , mentre era difficile che un giorno finisse senza che il Comandante avesse la visita di un generale o: dell 'altro delle divisioni e delle brigate del fronte estremo, dove si diceva che i soidati stessero lavo­rando come demoni a costruire linee e posti avanzati per i cannoni . Vedevamo Nogi ogni giorno e generalmente a cavallo col suo Stato Maggiore ; egli ci salutava sempre con gentilezza, ma ora era tornato il Nogi di Porto Artu­ro, non era più il comandante bonario che sorrideva e scherzava con noi al nostro pranzo del 4 luglio.

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Intanto il cambiamento che subisce un esercito pas­sando dallo stato di quiete al lavoro intenso di prepara­zione per una grande battaglia, si avvertiva profondo in ogni città e in ogni villaggio che noi andassimo visitando.

Pochi giorni dopo il nostro ritorno da Mukden, co­minciammo a veder giungere di lontano, Sl)l nostro fian­co occidentale, truppe della retroguardia e le prime fu­rono quelle dell ' l l a divisione di 25 .000 uomini calco­lando le riserve ; noi però non sapemmo del loro arrivo prima d'aver veduto il loro generale e il suo Stato Mag­giore, che conoscevamo, entrare un giorno a cavallo in città.

Da allora ogni giorno, per una settimana, noi ci met­temmo a sedere sul mar'gine della strada maestra oltre Fakumen e mentre i nostri cavalli pascolavano Hetamen­te l 'erba, noi guardavamo l 'arrivo delle truppe dell ' l P divisione c'he passavano ininterrottamente , un reggimento dietro l 'altro, giungendo dal nord. Poi cominciò ad arri­vare l 'artiglieria che, fra grandi strepiti e tintinnii sonori, attraversava a batterie e batterie la nostra pic�ola città di­rigendosi alla fronte, mentre ogni strada si faceva visi­bile per miglia e miglia lontano in grazia della densa nu­be di polvere. che migliaia di piedi in marcia e centinaia di ruote di carri da trasporto e di zoccoli di cavalli fati­canti sotto il peso deHe artiglierie sollevavano fino al cielo .

A Fakumen alla fine di agosto, nessun dubbio poteva . sussistere più che i negoziati di pace non fossero fallit i . Non si vedevano infatti crescere di giorno in giorno signi­ficanti preparativi di guerra ?

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Alla fine arrivò una notizia che fece la nostra certez­za anche maggiore : la t sa divisione nuova e . appena giunta dal Giappone era in via , diretta alla nostra volta .

Questa notizia ci cancellò dall'animo o�ni ombra di perpJ,essità e Barry ed io decidemmo allora senz'altro d i fare un ultimo giro lungo il fronte per vedere come fosse il paese prima che la bufera infuriasse travolgente. Sel­lati i nostri cavalli e seguiti da urn servo soltanto, caval­cammo verso il fronte alla nostra sinistra dove era la settima divisione che aveva raccolto così luminosa fama nelle azioni della collina dei 203 metri . Se un barlume d i dubbio fosse stato ancora in noi sull'avvicinarsi d i una grande battaglia, ora sarebbe svanito completamente.

La prima sera ci fu offerto un banchetto dal generale Osaka che della settima divisione era il comandante ; con noi sedevano a tavola circa trenta ufficiali del suo co­mando e io non posso ricordare di aver mai assistito ad un pranzo simile dove gli ospiti fossero così esaltati dal­l 'ootusiamo e dal desiderio ardente della battaglia.

GH occhi fiammeggiavano, le voci si levavano alte ed eccitaf,e mentre i brindisi :seguivano ai brindisi inneggian­do tutti ai combattimenti vicini . E tutti ci invitavano a par� tecipare con loro della settima divisione ai prossimi eventi .

Quando lasciafllmO la tavola ospitale per recarci al nostro quartiere, la notte ,era già alta , ma amebe nelle tenebre dell 'ora tarda incontrammo un reggimento di ca­valleria (il XIX corpo) che quel giorno aveva fatto 40 mi­glia e andava ad accamparsi .

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Barry ed io eravamo già coricati da un pezzo che ancora non finivamo di padare e parlare, tracciando pia­ni per J.e settimane seguenti che immaginavamo avremmo passate interamente a cavallo.

Il mattino dopo, presto , ci spingemmo anche più in là sulla fronte a ovest, dove la colazione ci fu offerta dal comandante la cavaHeria e dove, con nostra sorpresa, udimmo che quasi tutta la cavalleria dell ' intera armata di Manduria era già opportunamente spiegata . Quasi 15 .000 uomini , ci dissero, erano sull 'estremo fianco sinistro pron­ti per il grande movimooto avvolgente che Nogi pareva stesse preparando.

La colazione che ci offrì il comandante fu accompa­gnata dallo stesso entusiasmo cui avevamo assistito du­rante il pranzo della sera precedente . Anche qui i brin­disi di guerra seguirono ai brindisi mentre su noi pio­vevano insistenti gli inviti di partecipare con gli ospiti alla ·battaglia e mentre udivamo anche che già all 'ultima estre­mità del fianco orientale, a circa 180 miglia da noi , la divisione delle guardie imperiali stava avanzando e che già tra gli avamposti erano state scambiate le prime fuci­late o , come si espresse un giovane ufficiale : « Sì sì ! le nostre guardie imperiali stanno già menando colpi agli avamposti russi ! >> .

Ciascuno pareva senfir,e con gran sicurezza che fra due giorni al massimo il movimento generale sarebbe stato brillantemente iniziato . Era nella nostra intenzione di trattenerci di più alia fronte, ma ora, fatti sicuri del-

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l ' imminenza dell 'azione, decidemmo di tornare subito a Fakumen a farvi i nostri preparativi per la battaglia.

Per giungere al nostro quartiere generale avevamo da compiere 40 miglia circa, ma noi cavalcavamo allegra­mente attraverso la polvere densa, deviando ogni istante per dar passo alle batterie e alle file dei trasporti che avanzavano verso la fronte e mai prima di allora io ave­vo visto un passare così assiduo ·e ininterrotto di cannoni, di cavalli , di soldati e di munizioni quale lo vidi quel giorno sulla strada di Fakumen.

I nostri cuori cantavano esaltati di ·gioia : dopo quat­tro mesi di attesa era bello avere di muovo finalmente l ' azione. E cavalcando noi parlavamo e discutevamo sui nostri progetti per il prossimo mese. Barry sosteneva l 'opportunità di andare con la IX divisione, io propende­vo irnvece fortemente per l ' idea di stare con l ' artiglieria la quale, essendo piazzata alla base dove le linee di infor­mazioni dovevano convergere, norn si sarebbe avanzata sinchè il punto strat·egico delle operazioni non fosse stato raggiunto . Entravamo dall 'antica porta della frontiera mongolica in Fakumen e ancora norn avevamo finito di discutere. Eravamo stanchi , coperti da un centimetro di polvere almeno e ci fu caro rivedere alla fine la facciata del nostro mulino e rientrare nel vecchio cortile che ormai ci era familiare.

Mentre gettavo la briglia a uno dei nostri servi, urn attendente giapponese uscì dal i ' ombra e mi porse un te­legramma. Lo lacerai e lo lessi : era del mio agente in

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Giappone e conteneva una sola parola, ma essa bastava. La parola era : << Pace )) . Porsi il telegramma a Barry, egli lo lesse a sua volta poi ci guardammo l 'un l 'altro in muto profondo stupore.

La guerra era finita !

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CAPITOLO XII I

Così, proprio alla vigilia d i quella che avrebbe potu­to essere la battaglia più stupenda della storia, nel settem­bre 1905, la pace piombò sulla Manciuria . Piombò ! Per­chè, per quanto possa sembrare strano , essa fu sentita come un colpo crudele da tutto l 'esercito giapponese. In­fatti, ogni soldato e 'ogni ufficiale col quale noi avevamo parlato, ardeva dal desiderio di partecipare ad un con­flitto che pareva dovesse finalmente cancellare , per mezzo secolo a venire, ogni speranza di supremazia russa nel­l 'estremo oriente e nessuno pareva far calcolo dell ' ine­vitabile dispendio di vite e di danaro ; ciascuno era sol­tanto avido · di compiere il sacrificio, fosse il suo prezzo anche il più grande. A noi che sapevamo l 'ardore di tutti e av,evamo negli occhi e nel cuore la visione palpitante degliì immensi preparativi di guerra cui da giorni e giorni avevamo assistito, la notizia di pace che giungeva così a l 'improvviso, sulle prime parve incredibile. Ma più tardi, quella stessa rnotte, venne da noi il corrispondente del « Times » e in marno teneva un telegramma giuntogli ·da Londra col quale gli si ordinava di lasciare la fronte. Poi

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Interrogammo lo Stato Maggiore, e gli ufficiali , con vtst

cupi e arcigni , ammisero che la notizia era purtroppo ve­ra. Avremmo voluto sapere d i più , ma ai nostri tentativi per conoscere le condizioni di pace essi non risposero, e solo i loro volti bui ci permisero di leggere chiaramente che si trattava di una profonda ed amara delusione.

Un giovane ufficiale , in un impeto dì rabbia, si lasciò sfuggire con una bestemmia un commento sorprendente : egli sperava che Komura fosse assassinato durante il suo ritorno in Giappone ! Quel commento, sfuggito a chi non aveva mai espressa dinanzi a noi una opinione precisa, era estremamente significa111te .

Il giorno dopo, qualche cosa delle condizioni di pace cominciò a trapelare . Nessuna indennità e soltanto metà dell ' isola di Sakalin ! Questi due punti soprattutto erano per i Giapponesi assai difficili da inghiottire .

Ricordo di avere annunciate queste condizioni ·a un sergente di cavaHeria che incontrai per istrada . Prima deHa guerra egli aveva vissuto in S. Francisco e però parlava correntemente l ' inglese. Quando gli dissi tutto ciò che sapevo sul risultato dei 111egoziati, egli rimase per quasi un minuto immobile e silenzioso in profondo stu­pore, poi d 'un tratto si strappò il berretto dal capo, lo gettò con violenza a terra e proruppe in giapponese in un torrente di invettive ; alla fine disse in inglese : « Se ciò che dite è vero, noi siamo stati traditi e i nostri valo­rosi soldati sono stati venduti . Ma noi che siamo qui alla fronte. non permetteremo questo ; un tale trattato noi non

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lo riconosceremo mai , combatteremo e vinceremo la Rus­sia, pace o non pace >> .

In quanto a Nogi , appariva anch'egli amaramente de­luso. Si era ritirato nella sua casa nè volle vedere nessu­no e Io Stato Maggiore riferiva che si era improvvisa­mente ammalato . Noi insistemmo per informazioni più precise, esprimendo il desiderio di visitarlo, ma ci fu ri­sposto Iaconicamrnete che egli non era visibile : soffriva di un grave disturbo agli occhi . Forse era così realmente e nessuno avrebbe potuto affermare il contrario, ma l 'o­pinione che corse subito fra noi fu che Nogi, il quale aveva sopportato senza la minima debolezza tutti i sacri­fici e le disgrazie imposti e portati da11a guerra, non avesse ora la forza di sostenere I' amarezza di avere tanto sacrificato per quel quasi invano che il trattato di pace segnava. Credo che in tutto l 'esercito non si sarebbe in­fatti . trovato sino al giorno prima un solo uomo capace di sognare che non vi sarebbe stata indennità di sorta o che anche un solo palmo dell' isola , appooa occupata, di SakaHn si dovess,e restituire.

N o i pensavamo di metterei in viaggio per il nostro ri­torno in Giappone subito il giorno dopo, ma un aiutante venne col suo viso mesto a portarci un biglietto dal quar­tiere generale e nel biglietto si diceva che Nogi , benchè non potess,e assistervi personalmente, desiderava tuttavia che noi partecipassimo a un banchetto d'addio che il suo capo di Stato Maggiore intendeva offrirei prima della · no­

stra partenza .

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Il pranzo ebbe infatti luogo presieduto da Ichinoe e fu veramente urn pranzo perfetto e molto fine : nume­rose portate e varie specie di vini furono serviti mentre \

la banda di Osaka , appena fuori della stanza da pranzo, suonava le sue arie più vivaci.

Parecchi ufficiali dello Stato Maggiore pronunciarono piccoli rigidi discorsi e Ichinoe stesso disse brevi esitanti parole di addio . Come era diverso però estremamente diverso questo pranzo da · quello offertoci una settimana prima al quartiere generale della settima divisione !

Qui non correvano fremiti d 'eccitamento a stento trat­tenuti, qui nessuno ci rivolgeva inviti ardenti di parteci­pare all ' azione vicina . La battaglia era già stata combat­tuta a Portsmouth e secondo il modo di sentire dei Giap­ponesi là· era stata disperatamente perduta, mentre quelli che alla fronte ardevano di versare il sangue generoso del loro cuore, dovevano ora accontentarsi in un'amara acquiescenza, adattandosi come meglio potessero alla tri­stezza che li aveva colpiti . Tutti mangiavano e bevevano stupidamente, scambiando con noi o fra loro rare insi­gnificanti parole, mentre per noi era non piccolo sforzo sostenere -con quegli ospiti malinconici anche una par­venza di conversazione.

Il pranzo volgeva alla fine e già erano stati serviti le frutta ed i liquori, quando d' improvviso fu spalancata la porta . Per un istante nessuno si mosse, ma poi in un lam­po tutti furono in piedi nella più rigida posizione di at­tenti : sulla porta , con gli occhi socchiusi come se la luce

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troppo viva li ferisse e l:On sul volto una espression� di tristezza quale non potrò scordare mai , stava Nogi .

Egli era senza i soliti alti stivaloni e senza sciabola ; aveva i piedi infilati in pianeHe giapponesi e l 'oscuro abito militare aperto alla gola ; non portava colletto e i due pri­mi bottoni della candida camicia slacciati , lasciavano in­travedere i muscoli vigorosi del suo collo bruno . Egli non tentò nemmeno l 'ombra di un sorriso, si avanzò Ienta- , mente sino alla estremità' della tavola dove erano i nostri posti e ci strinse la mano . Poi parlò concisamente a un'or­dinanza e gli fu portato un bicchiere di champagne. Al­lora si volse di nuovo a noi e con uno sguardo gentile negli occhi - poveri occhi così tristi, così tristi ! - disse press'a poco queste parole : « I o non sono stato bene e temevo di non poter assistere, come non ho assistito, a questo pranzo. Ma mentre me ne stavo solo nelle mie stanze, mi è sembrato doveroso venire a dire almeno po­che parole, a voi della stampa, prima che ci lasciate. Voi , signori - e si rivolse a Barry, a Ricarlton che ci aveva appena raggiunti e a me - siete stati col mio esercito a Porto Arturo che nessuno di noi potrà mai scordare e perciò non posso laseiarvi partire senza una parola di addio ; ma no, i l nostro non sarà un addio.

« Pensiamo che la nostra amicizia sia in quest'ora si­mile alle stelle che impallidiscO!no ali ' alba, che sfuggono alla vista e che tuttavia nessuno pensa non siano presen­ti . Forse noi non vi vedr,emo più nè voi più ci vedrete, ma ciascuno di noi saprà ugualmente che l 'altro in qual­che luogo vive e di là a noi pensa >> .

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Gome finì di parlare , alzò il bicchiere e lo vuotò in silenzio. Poi Nogi si volse a l suo Stato Maggiore e , ritro­vando un poco dell 'antico fuoco gridò : « barnzai ! )) , Il vecchio noto grido risuonò tre volte, i J . generale ci strin­se la mano di nuovo e quietamente come; era venuto si avviò verso la porta. Là si arrestò un istante guardan­doci, con un lieve sorriso portò la mano alla fronte per un saluto militare, si voltò bruscamente e già era sparito ! E ' questa l 'ultima visione che noi serbiamo del vecchio e caro Nogi .

Volevamo partire per la nostra lunga cavalcata alla volta di Tieling il mattino dopo all 'alba, ma mentre sta­va..'Tlo montando in sella una ordinanza ci pregò di essere alle sette al quartiere generale. Cavalcammo per un 'ora nei dintorni della città e alle sette precise eravamo ali 'ap­puntamento fissatoci . Ci attendevano a cavallo i l vecchio lchinoe e sei ufficiali dello Stato Maggiore. lchinoe ci salutò militarmente poi , a mezzo dell ' interprete, ci disse : « Noi vi accompagnamo per una parte del vostro viag­gio verso est )) .

Nell ' aria pungente e fredda del primo mattino, la pic­cola cavalcata si avviò lungo le strade tortuose della vec­chia Fakumen, verso la porta orientàle .

Pareva un giorno di settembre nella Dakota del Nord o nella valle del Danubio . La notte era stata gelida di brina e i primi raggi del sole di un vivo rosso rame sali­vano dietro le catene dei colli e o�ni filo di erba si sten­deva avido al primo sole, mentre il gelo che lo faceva ri­gido si scioglieva rapidamente in piccole gocce d 'acqua

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splendenti come puri diamanti . Quando noi attraversam­mo il vecchio ponte, le note di Susa The Stars and the Stripes si levarono alte spandendosi sonore per l 'aria. Era la banda di Osaka che nascosta sino allora alla nostra vista e preparata dietro la porta, dava fiato con tutto l ' ar­dore ai suoi quaranta strumooti, nè io credo di averla udita mai suonare con tanta maestria. Continuammo a cavalcare per un miglio sinchè fummo ai confini della città ; qui Ichinoe si fermò e tutta la piccola cavalcata si fermò a sua volta. ·

(( I Giapponesi, disse Ichinoe, oon amano dire ad­dio ai loro amici e cosi noi non vi diremo addio. Io ri­marrò qui fermo sul mio cavallo, tra i miei ufficiali , men­tre voi proseguirete sino alla curva della via ; quando l 'avrete raggiunta, volgetevi a guardare verso me, io vi saluterò con le mani e voi con le mani saluterete : sarà questo il nostro ultimo addio )) .

Cosi fu . Proseguimmo · la nostra via cavalcando con il cuore gonfio di emozione e con gli occhi che non erano perfettamente asciutti : avevamo preso ad amare i vec­chi soldati coi quali avevamo vissuto per tanti mesi .

Un miglio almeno ci separava dal punto dove la stra­da da Fakumen per Miukden devia nello stretto sentiero che volge verso est. In quel punto sostammo e come ci era stato detto ci volgemmo indietro a guardare : lonta­no. appena visibile per la distanza, si scorgeva un grup­

po dì cavalieri . Agitammo in alto le mani : da una figura

montata su un grande cavallo nero qualche cosa di bian-

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co Cl nspose fluttuando nell 'aria : lchinoe sventolava il suo fazzoletto .

Così, dopo mesi e mesi di vita in comune, noi pren­demmo congedo dalla" terza armata imperiale giapponese.

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CAPITOLO XIV

Poco io dirò di Nogi dopo la guerra. Finita questa, , egli tornò in Giappone a ricevere tutti gli onori che il suo

Imperatore e urna nazione riconoscente potevano tributar­gli : nè di questi è necessario parlare, basterà dire sol­tantò che dopo la guerra nessun uomo, neppure lo stesso Oyama, fu COSÌ altamente onorato .

Morto l ' Imperatore del Giappone, Nogi spiccava tra quanti gli rendevano gli omaggi estremi , ma nessuno fra le migliaia e migliaia di quelli che osservavano il viso im­mobile col quale egli assisteva alle numerose cerimonie della . circostanza solenne, poteva sognare .che cosa an­dasse maturando dietro quella immobilità e quale deter­minazione terribile si celasse sotto quella grave e compo-sta apparen�a. .

Era stato deciso che quando Jl corpo del Mikado, ca­ricato sul treno speciale , avesse lasciato Tòkyo per esser� portato al suo luogo di sepoltura, salve di artiglieria ne avrebbero dato l 'annuncio .

Nogi si era ritirato nella sua casa, il primo colpo .di cannone rimbombava ed eglf con piena tranquilla' coscien.:.

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za compiva l 'harakiri (1), lasciando che lo Spirito dell 'ul­timo di una lunga discendooza di Samurai partisse a rag­giungere: quello del suo Signore che l ' aveva preceduto.

Questo atto, nell ' Inghilterra e nell 'America lontane, è potuto sembrare a tutti terribile, ma a quanti cooobbero

l Nogi e compresero anche in piccola parte i suoi ideali e la semplice ardente adorazione che egli aveva votata al suo Imperatore. l 'atto non solo non sembra terribile o strano, ma sembra quasi naturale. Non vi ha dubbio che in Nogi ogni attaccamento alla vita fosse caduto con il cadere dei suoi due figli sacrificati sull'ara votiva della nazione, uno a Nanzan, l 'altro a Porto Arturo, e che egli tooesse agli onori persooali di che tutti lo ricolmavano, nessuno che lo abbia conosciuto può credere nemmeno per un istante . La sua vita intera era semplicemente l ' in­carnazione dei doveri che i suoi ideali gli imponevano : davanti a questi doveri mai, nè in guerra nè in pace, egli ha esitato .

Finita la guerra, ebbe l ' incarico di compiere alte e de­terminate funzioni nell'esercito e nello Stato ed egli le compì pazientemente e fedelmente. La sua fedeltà> era dovuta soprattutto al suo Imperatore e quando questi ven­ne a morire . Nogi non sentì più l 'obbligo di vivere e pe­rò senza tremare si tagliò il ventre, si recise la gola e a sua volta morì .

( l ) Chi volesse avere una chiara idea su l" harakiri, legga il ca pitolo XII di Bushido di I. Nitobe, traduzione dj B. Balbi, Colle­zione « Prestigio » del Consorzio Editoriale Italiano.

1 I L

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Certo, anche, egli sentì nel profondo del suo cuore che con la sua morte poteva ravvivare in Giappone la fulgida fiamma dell'idealismo un po' offuscata dal contat-to delle civiltà occidentali. •

La vita di Nogi si presenta in ogni evento come quel­la di -un uomo che non ha mai indietreggiato davanti . alla fatica, -al pericolo · e al dolore. Tutto egli accettava senza lagnarsi , non valutando la propria esistenza se non in quanto doveva servire lo scopo nel quale egli aveva ac­centrato tutta la sua lealtà e ogni suo dovere.

Per Nogi, l ' Imperatore era la personificazione del 'Giappone perciò, dando la sua vita per l ' Imperatore, egli la dava per il Giappone stesso .

La sua opera appariva compiuta ed egli . poteva cerca­re quella pace e quella quiete che da !un'go tempo meri­tava e cui da lungo tempo agognava.

Certo sorprende quanti di noi sono abituati alla vita del mondo occidentale che un uomo tale e con tali ideali abbia potuto vivere in questi giorrii e fra le generazioni presenti . Da noi si vedono grandi uomini sorgere, rag­giungere alti uffici, toccare le vette supreme di ogni am­bizione, ma sempre in qualche punto si cela presso loro nell'ombra l'idea personale ed egoistica. Noi assistiamo anche a vividi esempi di grande patriottismo, ma chi nelle ultime generazioni può essere pari per devozione, per disinteresse e per idealismo a questo vecchio Samu­rai giapponese ? Leggiamo che uomini simili a lui vissero negli .antichi giorni di -grandezza della Grecia, ma essi vissero io un ambiente affatto diverso da quello attuale .

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Nogi passò l 'ultima partè dd suoi anni fra il tumulto di unà grande nazione industriale moderna, eppure io esso e attraverso esso egli rimase lo stesso antico Spar­tano. Egli accettò di servirsi di tutto il meglio che la ci� viltà gli offrisse, ma inè gloria nazion'ale, oè ambizione petsònale deviarono il suo cuore di ferro 'dai pfincipii cari all'antiCa cavalleria chel aveva ereditati dai suoi padri. S·empre, nei più profondi penetrali del suo cuore, arde

· senza oscillare un istante la fiamma del più puro ideali c smo dell ' antico Giappone.

Costante, fedele e sincero, egli non aveva che un unico ideale : il suo davere verso l ' Imperatore e verso il Giappone e morendo, verso quell ' ideale rimase costante, fedele e sincero, lasciando· una lezione che non dovrebbe essere caduta in sterile suolo.

. E noi Occidentali, ·pure nella corsa tumultuosa per il raggiungimento della ricchezza, della posizione e della fa­ma, fermiamoci anche noi un istante a considerare che cosa rappresenti di preciso un uomo come Nogi.

Per il Giappone egli è la rivendicazione dell ' ideale nazionale ; per il resto del mondo egli è un esempio· che mostra come possano ancora vivere uomini capaci di get­tare da sè ogni manto di egoistica personalità, volgendo ogni sforzo allo scopo di raggiungere un bene che sia oltre loro stessi , un bene che 'possa essere tale per una intera nazione, capaci, dopo di averlo raggiunto, di morire vo­lontariamente, lietamente e semplicemente.

L'Occidente non può forse simpatizzare molto con lo spirito che induce un uomo · al suicidio, ma noi dobbiamo

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giudicare il grande generale giapponese non secondo il nostro punto di vista , ma secondo quello della sua reli­gione e delle sue tradizioni .

E allora nel nostro cuore dobbiamo accordargli un

posto unico e ben alto, non come al vincitore di Porto Arturo, nè come all 'eroe di Mukden, ma come a un semplice uomo che visse soltanto per compiere il proprio dovere e per raggiungere . gli alti ideali ereditati da un passato di secoli e di secoli.

Nogi, fu questo semplice uomo .