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1Essere, tempo, esistenza. Intervista a Franco Volpi prima parte In occasione della nuova edizione di "Essere e Tempo" a cura del prof. Franco Volpi per i tipi di Longanesi, siamo andati a trovare il professore di filosofia dell'universit di Padova, gi ospite delle Vacances de l'Esprit 2005, per addentrarci nel pensiero di uno dei pi grandi esponenti della filosofia occidentale del novecento. Parte 1 - parte 2 Domanda: Ritiene che sussista un interesse della societ per la riflessione filosofica? E la filosofia, da parte sua, pu effettivamente svolgere un ruolo sociale rilevante? Risposta: La filosofia un sapere particolare che, come tale, sembra occuparsi di problemi astratti e non avere nessuna utilit sociale immediata. Tuttavia, se intesa in un certo modo, ossia come esercizio libero dellintelligenza, come argomentazione razionale e capacit di sollevare interrogativi, essa insegna ad affrontare i problemi dell'uomo, e del suo essere nel mondo e nella storia, con maggiore consapevolezza critica. In questo senso anchessa pu dire la sua parola e contribuire al grande dialogo dell'umanit e alla crescita spirituale della nostra realt. Da sempre la filosofia non soltanto l'edificazione di un palazzo di concetti astratti, ma anche una maniera di pensare e una forma di vita. Come tale, scaturendo dalla vita, essa si ripercuote sulla vita orientandola verso la sua forma riuscita. Dunque la filosofia pu diventare un lume che accompagna l'esistenza dell'uomo e lo guida verso la propria realizzazione. Ci vale soprattutto per quel che riguarda l'aspetto spirituale, etico e morale dell'esistenza, nella cui conduzione la filosofia pu avere un ruolo importante. Ma pi che intervenendo direttamente nel contesto sociale, essa lo fa indirettamente: trasformando le coscienze, educandole ad esercitare la loro capacit di ragionare, a sviluppare la loro sensibilit simbolica, spirituale e morale. In questo senso, dunque, la filosofia d un contributo decisivo alla formazione di una societ migliore.

Domanda: Nella sua interpretazione di Essere e tempo presente lidea di una filosofia pratica. Ci potrebbe tratteggiare brevemente i punti salienti di questa sua lettura?Risposta: Essere e tempo un titolo magico, che combina in modo intrigante due concetti chiave della tradizione occidentale. Insieme al Tractatus di Wittgenstein, lopera che maggiormente ha segnato la riflessione filosofica contemporanea. Quando fu pubblicata nel 1927 si ebbe subito la sensazione che un nuovo astro fosse sorto nel firmamento della filosofia. Da anni Heidegger aveva richiamato a Friburgo un folto gruppo di allievi e ascoltatori, ma con lapparizione del suo capolavoro fu chiaro a tutti che egli era davvero uno sciamano del pensiero, un pensatore capace di fare filosofia in grande stile. Linesauribile fascino della sua opera sta nel fatto che essa non una semplice teoria filosofica tra le altre, ma il tentativo di ripensare a fondo la filosofia occidentale, nella sua struttura, nella sua storia e nel suo significato odierno, per trovare una via di uscita dalla crisi di senso in cui versa luomo contemporaneo. Come riesce Heidegger in questo compito? Riprendendo innanzitutto il problema primo della filosofia occidentale, la questione dell'essere, ma facendo confluire in esso le inquietudini di fondo che caratterizzano la nostra epoca: la morte di Dio, la crisi dei valori e delle ideologie, il diffondersi del nichilismo, lo stridente contrasto tra una macchina moderna sempre pi complessa e un uomo sempre pi elementare. Heidegger ricomprende tutte queste domande nellorizzonte del problema dell'essere, affrontato per da una prospettiva nuova: quella dell'analisi dellesistenza umana, che si distingue per la capacit di porsi problemi, e che Heidegger intende cogliere nel suo movimento specifico, nella sua singolare capacit di modificarsi in modo tale da conoscere se stessa e da autogovernarsi. L'analisi dell'esistenza nasce dalla vita e si ripercuote sulla vita orientandola verso la sua riuscita, come se l'esistenza fosse un'opera d'arte a cui si tratta di dare una forma bella. In questo senso lo statuto di Essere e Tempo non quello di una teoria astratta indifferente alla vita, ma quello di una filosofia pratica che ricade sulla vita e la orienta. Per questo mi piace sostenere, con una tesi provocatoria, che Essere e Tempo una versione moderna dell'Etica Nicomachea di Aristotele, il primo trattato di filosofia pratica dellOccidente. Ci aiuta a capire meglio molti aspetti dellopera: per esempio, la tensione di autentico e inautentico che la attraversa per intero. Naturalmente, come tutti i grandi testi, Essere e Tempo pu essere visto da molte altre prospettive, cosa che di fatto avvenuta. Lo si interpretato come un capolavoro della fenomenologia, poi a lungo come la bibbia dellesistenzialismo, quindi come decostruzione dellontologia, poi ancora stato letto come una parabola gnostica o come una filosofia della religione nel senso che l'esistenza vi appare intrinsecamente connotata dalla tendenza a perdersi, cio a cadere e a peccare, ma anche come capace di riprendersi e riscattarsi. Domanda: Perch Essere e Tempo rimase incompiuto? Risposta: L' opera nacque da un'esigenza contingente: presentare un testo pubblicato ai fini di un avanzamento di carriera. Heidegger aspirava alla prima cattedra di filosofia a Marburgo, lasciata da Nicolai Hartmann che si era trasferito a Colonia. Invitato a esibire nuove pubblicazioni, raccolse e organizz i pensieri che aveva maturato nei suoi corsi universitari dal 1919 in poi. Il testo che ne risult fu pubblicato nella primavera del 1927 nello Jahrbuch

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2fr Philosophie und phnomenologische Forschung di Husserl con il titolo Essere e tempo, annunciato come prima parte di un'opera pi ampia, che non fu mai portata a termine. Il perch presto detto. Heidegger si rese conto che quella impostazione del problema dell'essere non resisteva a una interrogazione filosofica veramente radicale, e che quindi bisognava approfondirla e trasformarla. Si potrebbe addirittura sostenere che la svolta si annuncia gi alla fine di Essere e Tempo. Perch quando Heidegger, avendo esaminato a lungo il carattere autoprogettantesi dellesserci, si interroga circa la sua gettatezza e la sua fatticit, cio cerca di risalire allorigine della finitudine, entra in una dimensione, quella dellessere, che si sottrae alla presa concettuale. Ecco perch allora tenta un approccio diverso: tratta la questione dell'essere non pi partendo dalla centralit dell'esserci gettato autoprogettantesi, bens tentando di pensare quella dimensione in linea di principio sottratta all'esserci che dal 1936 in poi sar chiamata con il termine Ereignis, evento-appropriazione. Domanda: Ma anche dopo Essere e Tempo, per esempio in Che cos' metafisica? del 1929, Heidegger mantiene il legame tra la filosofia e la vita, mettendo al centro l'esperienza dell'angoscia (Angst), nella quale, egli dice, si mostra il "niente" o il "nienteggiare del niente". Ci suscit scandalo e gli cost una pioggia di critiche soprattutto da parte dei neopositivisti logici che lo etichettarono come filosofo del niente e tacciarono la sua filosofia di nichilismo. Ecco, possibile difendere Heidegger da questa accusa? E qual il ruolo del niente nella sua filosofia, se vero che una filosofia pratica? Risposta: Innanzitutto va detta una cosa: la vasta eco che quel breve testo ebbe in tutto il mondo filosofico di allora testimonia che Heidegger godeva gi allora di una grande celebrit. Certo che Che cos metafisica? suscit numerose reazioni critiche. La pi severa gli fu rivolta da Rudolf Carnap in un famoso saggio su Il superamento della metafisica mediante l'analisi logica del linguaggio. Ma non fu lunica. Il matematico David Hilbert afferm che il discorso di Heidegger racchiudeva tutte le violazioni possibili dei principi da lui stabiliti nella teoria degli assiomi. Reagirono con critiche anche gli allievi di Franz Brentano, in particolare Oskar Kraus, che scrisse una serie di obiezioni intitolandole Su tutto e nulla . Perfino Walter Benjamin pens di organizzare con Bertold Brecht un seminario per demolire le tesi sostenute da Heidegger. Sorprendentemente, tra coloro che ebbero invece una reazione positiva ci fu Ludwig Wittgenstein. In una annotazione, conservata da Friedrich Waismann ma purtroppo cassata dagli esecutori testamentari e riscoperta solo in seguito, Wittgenstein afferma di capire molto bene che cosa Heidegger intende dire quando parla di essere e di angoscia . dunque il caso di riflettere in maniera pi approfondita sulle ragioni di Heidegger e su quelle dei suoi critici neopositivisti. Si scontrano qui due diversi modi di intendere la filosofia: il neopositivismo logico attribuisce a questultima il compito di verificare le condizioni di validit del discorso razionale; Heidegger assegna invece alla filosofia un compito diverso: quello di operare aperture di senso, cercare nuove risorse simboliche, analogamente a quanto accade nella poesia, anche a costo di infrangere le regole del linguaggio. Unidea non troppo lontana da quel che afferma Wittgenstein quando dice che noi abitiamo sull'isola della descrivibilit logica, ma che quest'isola circondata da un vasto oceano, quello delle grandi questioni etiche, religiose e mistiche, in cui le regole della descrivibilit logica non bastano pi. Quando ci arrischiamo a navigare in quell'oceano, ci allontaniamo dalla sicurezza della logica e ci esponiamo allinstabilit del pensare. Il viaggio si fa s pi avventuroso e rischioso, ma anche pi promettente e interessante. E in quelle acque si pesca meglio con la rete del dubbio. Ecco perch egli afferma che la parte pi interessante della sua filosofia non quella di cui il Tractatus parla, bens quella di cui non parla, ossia quella che include le questioni etiche, mistiche e religiose. Argomenti che stanno al centro della sua celebre Lecture on Ethics. Tra quella lezione e Che cos' metafisica? ci sono interessanti punti di contatto. Da parte sua, infatti, Heidegger convinto che la filosofia non sia un'attivit meramente logica, un esercizio tecnico della ragione, ma assomigli piuttosto a una sorta di conversione che tocca gli stati d'animo fondamentali dellessere umano. Ecco da dove deriva la centralit dello stato d'animo fondamentale dell'angoscia. analizzato nella prolusione. Per Heidegger ci si converte alla filosofia, cio ci si comincia a interrogare circa il senso dellente nella sua totalit, quando quel senso il senso che le cose hanno quotidianamente viene meno per un mutamento umorale che accade in noi, magari senza preavviso, e che ci trasforma dalle radici: come quando insorge langoscia. Sospesi nel vuoto, cominciamo a dubitare di quel senso che ci appariva cos ovvio e consolidato. Basta un nulla, quel nulla che nellangoscia si insinua tra noi e il senso quotidiano delle cose, a farci dubitare di tutto. Il fatto che langoscia non produce soltanto un cambio di umore, ma anche uno scarto nel nostro modo di vedere le cose, e questa trasformazione penetra fin negli strati pi profondi del nostro essere. Ecco perch Heidegger insedia la motivazione originaria della filosofia non tanto a livello degli atti intellettivi razionali, bens in una dimensione umorale quale langoscia, che sorge in noi e ci trasforma anche indipendentemente da un nostro consapevole atto di volont. L'angoscia come stato d'animo fondamentale una delle fondamentali aperture del nostro stare nel mondo, quella che secondo Heidegger pu spingerci a porre domande filosofiche. Domanda: Nella celebre intervista televisiva del 1969 Heidegger si rif alla famosa prolusione "Che cos' metafisica?" anche per gettare uno sguardo critico sulla societ contemporanea, determinata a suo giudizio dal

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3principio della soggettivit moderna. Che cosa intende Heidegger per soggettivit? E come intende superarla? Risposta: L' intervista a Wisser interessante non solo perch una delle rare occasioni in cui Heidegger si lasciato riprendere dalle telecamere, ma anche perch l si vede come la questione dellessere non sia affatto per lui un problema astratto, ma sia connessa con problemi fondamentali delluomo contemporaneo. Il quadro profondamente mutato rispetto agli anni di Che cos' metafisica?, e tuttavia il fatto che Heidegger si rifaccia alla conferenza del 1929 segnala che egli intende pensare in continuit con quel testo. intervenuta la nuova attenzione per il fenomeno della tecnica moderna, che impone di modificare l'impianto trascendentale ancora troppo soggettivistico della prima filosofia heideggeriana. In fondo, sia in Essere e tempo sia in Che cos' metafisica?, tutto ruota attorno all'esserci quale punto archimedeo da cui generato e da cui dipende il senso delle cose. Gi nella prolusione, il concetto di angoscia e l'esposizione dellesserci al nulla mostrano come la generazione del senso da parte dell'esserci non stia del tutto a disposizione dell'esserci stesso, non provenga da un suo atto di consapevole e volontario conferimento, ma dipenda dalla situazione umorale in cui lesserci si trova. Per pensare in modo radicale questa gettatezza dellesserci, Heidegger costretto ad abbandonare il primato quasi trascendentale dellesserci e a compiere quel salto nell'essere e nella sua storia, che caratterizza la sua riflessione successiva. Da questa prospettiva, la tecnica, forma epocale del mondo moderno, gli appare come un destino assegnato alluomo dallessere. Rispetto a ci luomo crede di essere un soggetto sovrano, ma in realt non lo e non ha la possibilit di autosalvarsi. Ormai soltanto un Dio ci pu salvare, recita il titolo della celebre intervista concessa allo Spiegel e pubblicata alla sua morte. Chi oggi crede che l'uomo abbia nelle proprie mani la possibilit di salvarsi, non ha ancora capito la gravit della situazione. Pecca di pelagianesimo, se cos si pu dire, ossia di quellantica eresia che riteneva possibile salvarsi anche senza la grazia soprannaturale. In altri termini: non si rende conto che egli gi sempre calato in un mondo e in una storia di cui non dispone e a cui pu solo cercare di adeguarsi. Questo orizzonte in cui noi stiamo, e che si sottrae alla nostra presa, Heidegger lo nomina con il termine pi generale e indefinibile di tutti: lessere. Come comportarsi una volta riconosciutolo? C una virt allaltezza delle sfide poste dalla tecnica e dal destino epocale in cui ci troviamo? Per Heidegger la virt e la morale rimangono qualcosa di penultimo rispetto alle realt ultime che la tecnica smuove. Non ha senso spostare questa o quella pedina sulla scacchiera, quando lintero tavolo da gioco che stato ribaltato. Bisogna piuttosto fare un passo indietro e richiamare l'uomo ai limiti della sua finitudine: luomo un problema senza soluzione umana. Domanda: Ecco, questo fa tornare alla mente la questione della libert, che nell'esistenzialismo, sicuramente in Sartre, presente e fortemente avvertita. Sartre vede nella libert un carattere costitutivo dell'esistenza, mentre Heidegger sembra distaccarsi da ci. Afferma infatti che lungi dall'essere l'uomo a disporre della libert, la liberta a disporre dell'uomo. Risposta: Il concetto di libert ha in Heidegger uno statuto particolare, perch un concetto metafisico su cui gravano tutte le precedenti stratificazioni semantiche, e che dunque va usato con molta cautela. Sicuramente Heidegger non condivide la tesi sartriana secondo cui l'uomo condannato alla libert. Per Sartre, luomo quello speciale essere in cui l'esistenza precede e determina l'essenza: ci significa che egli non ha una natura fissa, predefinita da una sua essenza, ma ci che decide di essere con la sua esistenza concreta. In questo senso, egli determina esistendo la propria natura e la propria essenza. Volendo, si pu far risalire questa tesi niente meno che a Pico della Mirandola. Nella sua celebre orazione sulla dignit dell'uomo, Pico afferma che luomo si distingue da tutte le altre creature perch a lui Dio non ha dato unessenza fissa, come a tutte le altre creature, ma lo ha lasciato libero di essere ci che vuole. Luomo perci un camaleonte della natura, capace di diventare ci che sceglie di essere, angelo o bestia. Alle soglie dellet contemporanea Nietzsche affermer che l'uomo un animale non ancora catturato, non ancora definito. Quando in Essere e tempo Heidegger parla dell'esserci come di un avere da essere, di un ente capace di progettarsi e di farsi carico del proprio poter essere, sembra sostenere qualcosa di analogo alla libert dellesserci. Ma, per evitare ricadute nella terminologia della tradizione, egli evita di usare tale concetto preferendo espressioni vergini come apertura o risolutezza o progetto. Un paio di anni dopo, nel saggio su L'essenza del fondamento, fa invece un tentativo di usare la parola libert con un valore positivo, intendendola non solo come libert da ma anche come libert per. In alcuni corsi degli anni trenta, in particolare in quello su Kant del 1930 e in quello su Schelling del 1936, egli indugia a lungo sul concetto di libert. E lo intende un fenomeno generato dalla coappartenenza di essere e uomo. Ossia: ci che l'uomo pu compiere nello spazio che gli destinato dall'essere, tutt'al pi un piccolo ratto nei confronti dalla Lethe, della latenza e della ascosit in cui l'essere gli si sottrae. Ma quanto pi crede di catturare, tanto pi l'essere gli si sottrae. In questo spazio tra la volont di catturare e linevitabile sottrazione, sta descritta e circoscritta la dimensione della libert umana. parte 1 - parte 2 A cura di Paolo Ferrante, Domenico Canzoniero, Fabio Negro. Redazione Centro Studi ASIA Associazione Spazio Interiore e Ambiente - Bologna

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E' il deserto che avanza Intervista a Franco Volpi 10 Giugno 2008 Dopo alcuni messaggi la riunione sarebbe stata nella citt della pioggia. La notte imponeva il suo furore. Il rum scorreva senza riserve mentre ci preparavamo allarrivo del nuovo portatore di Heidegger nel mondo. In una ombrosa casa nella zona Chapinero di Bogot un giovane scrittore cantava ci che stato denominato come rock espressivo e tratteggiavamo pennellate verbali al ritratto dellinsonne personaggio che stava per arrivare. Essere e Tempo stava nel mezzo del tavolo, lo avevamo messo l come talismano, data la laboriosa traduzione in italiano del libro capitale di Martin Heidegger condotta da Franco Volpi, il cui prestigio stato riconosciuto senza riserve a tutte le latitudini. A volte leggevamo frammenti della incomparabile Visita a Godenholm di Jnger e brindavamo per la sua narrativa cromatica, data lamicizia del nostro ospite col romanziere tedesco. Sapevamo che il nichilismo, questo deposito del sacro, come pensava la filosofa spagnola Maria Zambrano, sarebbe stato assediato durante la notte: Volpi era stato impegnato da un trattato sul tema negli ultimi due anni, mentre alternativamente dava lezioni di filosofia all'Universit di Padova, famosa per aver avuto professori come Copernico e Galileo Galilei. Volpi, conoscendo una dozzina di lingue, aveva appena terminato la grande Enciclopedia dei filosofi, pubblicata in inglese, italiano e spagnolo, e teneva conferenze in vari paesi latinoamericani. Al suo arrivo, e prima del suo primo bicchiere, gli dissi che pensavamo di invitare uno studente di filosofia che desiderava conoscerlo. Entusiasta, mi disse di chiamarlo e mi strapp il telefono per recitare (in tedesco) alla segreteria telefonica le prime due pagine di Umano, troppo umano, di Nietzsche, con stupore collettivo. "Bisogna difendersi dalle macchine", disse infine. Inutile aggiungere che il messaggio non stato ancora cancellato. In Europa gli avevano detto spesso che la Colombia pericolosa, ma aveva abbandonato tale visione: disse che era vittima della grande bellezza dei paesaggi e del fulgore femminile. La poesia, quella temeraria risposta alla domanda insistente della morte, tent la nostra memoria. Rimbaud e Celan illuminarono per istanti la nostra disperazione, ma reiteratamente tacemmo sotto la protezione dei presocratici. E quando Volpi recit in greco alcuni pensieri della filosofia sul nascere, seppi che Epicuro di Samo ci avrebbe guidato, e che questa conversazione, che prosegu per altri incontri necessari e fortunati, sarebbe stata il modo per celebrare la domanda, lindagine assassina che a partire da Talete pone lessere umano nel suo limite. Ci che intraprendiamo qui semplicemente un omaggio a tutte le domande, a quella formulazione omicida che ci cresce dentro, alla quale non possiamo corrispondere senza un colpo interiore, senza lassassinio degli dei colti alla sprovvista. Dal conosci te stesso scritto nel tempio di Apollo a Delfi, all'ironico so solo di non sapere niente di Socrate, passando attraverso la conoscenza rivelatrice del nulla, e per diversi bordi della nostra incompletezza, abbiamo indagato senza interruzioni - lo dico con perplessit -, affidandoci alle trappole del pensiero, senza timore dellangoscia. E importante aggiungere che eravamo esposti, che siamo esseri travagliati, senza rifugio metafisico. Che per metterci in salvo ci resta solo la parola, la domanda indagatrice, la stessa che ora si osserva nel suo specchio di carta. Ho rivisto Volpi in occasione dei suoi viaggi in Colombia in giornate trascorse nel delirio, e devo confessarlo sempre sorge, quando giungiamo alla soglia della disperazione, levocazione del saggio Epicuro nella sua Lettera a Meneceo: Il pi sconvolgente dei mali, la morte, non nulla per noi perch quando noi ci siamo la morte non presente e quando la morte presente, noi non ci siamo. Vera e necessaria trincea esistenziale. Ora evoco la sua voce che corre in diverse lingue sempre tinta di tenerezza. GMC: le stato assegnato il premio Nietzsche ed stato recentemente scelto per celebrare al lago di Silvaplana tanto caro al geniale filosofo tedesco - l'abbagliante evento della filosofia noto come l'Eterno Ritorno delluguale.

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5FV: Nietzsche uno scrittore e pensatore senza precedenti. Non solo per la qualit estetica e la profondit teorica della sua opera, ma perch ha registrato, come un sismografo sensibile, le convulsioni del nostro tempo. La crisi dei valori, l'esaurimento degli ideali della tradizione vetero-europea e la morte di Dio. La ricerca di nuovi mezzi simbolici e altri fenomeni culturali, trovano nei suoi scritti una prima analisi. per questo che Nietzsche ha proiettato la sua ombra sulla cultura contemporanea e non ha cessato di tormentare l'auto-comprensione del nostro tempo, suscitando entusiasmo e attirando anatemi, ispirando atteggiamenti, stili e mode culturali, ma al contempo provocando reazioni e rifiuti radicali. Nietzsche uno di quei pochi pensatori di cui non possiamo dire che siano veri o falsi, ma che sono vivi o morti. A volte guardo la mia mano, scrive nel mezzo della sua esaltazione e credo di avere in mano il destino del genere umano: lo divido invisibilmente in due parti, prima di me, dopo di me. E stato un magnifico profeta, ed ancora vivo oggi, pi che mai. GMC: Maria Zambrano ha affermato che una cultura dipende dalla qualit dei suoi dei. Se evochiamo il lamento di Heidegger duemila anni senza un solo Dio, corretto affermare che questa desolazione non potr mai recuperare il suo tempo luminoso? FV: la peculiarit del pensiero di Nietzsche, corrosivo e dissolvente, che non stato una mera descrizione, ma ha contribuito ad accelerare lo stato di crisi che descriveva e, in quanto maestro del sospetto, ha reso difficile costruire nuove certezze dopo di lui. Il risultato noto: il deserto che avanza, la crescita dellombra che lui chiama nichilismo, l'era degli dei fuggiti e del nuovo dio che non si scorge allorizzonte. GMC: dal grido di Plutarco: Il grande Pan morto fino a ci che Leon Bloy definisce il ritiro di Dio, numerosi pensatori hanno descritto la perdita del divino. Quali momenti di quella immensa finitudine ritiene siano stati maggiormente determinanti? FV: il momento che mi sembra determinante il principio dellera moderna quando con la nuova cosmologia materialistica cambia la posizione dell uomo nell'universo. Una raggelante osservazione di Pascal misura questa profonda metamorfosi: affondato nella infinita immensit degli spazi che ignoro e che mi ignorano. Dice Pascal: ho orrore. Questo preoccupato lamento segnala lo sradicamento metafisico delluomo: nelluniverso meramente fisico non pu pi abitare e sentirsi a casa come nel cosmo antico e medievale. L'universo percepito ora come una stretta cella in cui l'anima si sente prigioniera, o anche come una infinit che la inquieta. Di fronte alleterno silenzio delle stelle e agli spazi infiniti che gli restano indifferenti, l'uomo solo con se stesso. Non ha patria. Certo, Pascal oppone resistenza a questa nuova condizione: dietro la naturale necessit crede ancora che ci sia un dio nascosto che la governa. L'uomo , s, un nulla schiacciato dalle forze cosmiche, ma pu, in quanto pensa e crede, sottrarsi ai condizionamenti delle leggi della natura, proclamandosi cittadino di un altro mondo, quello dello spirito. Presto anche Dio si eclisser. E quando Dio si ritira, quando la trascendenza perde la sua forza vincolante, l'uomo abbandonato a se stesso reclama la sua libert. Il problema che questa libert una libert disperata e infonde pi disperata angoscia che pienezza dell'essere. E l'uomo moderno deve conviverci. GMC: Hegel, Nietzsche, Foucault e Derrida hanno presagito la fine dell'uomo come soggetto filosofico. Dato che il superuomo non si intravede da nessuna parte, siamo forse destinati a un mondo di subuomini come pensava Camus? FV: quando Dio muore, l'uomo si animalizza. Il problema appare nel Divino Marchese de Sade con tutta la sua crudezza. La sua dissoluta opera rappresenta la pi coerente antropologia negativa, ossia il pi drastico tentativo di immaginare un mondo completamente privo di Dio. Il mondo della estrema finitezza. Abbandoniamo le illusioni: l'uomo un animale che a volte immagina di essere uomo. GMC: lo sterminio del sacro ci lascer pi svuotati di ogni deicidio? Siamo in grado di resistere a questo deserto interiore? FV: il problema trovare nuove risorse simboliche condivise in grado di colmare il vuoto imperante. Per esempio: come si pu oggi restituire significato della parola Dio o alla parola sacro senza compromettere la nostra reputazione filosofica? E necessario sforzarsi per trovare una risposta soddisfacente, ma di fronte a questo problema siamo soli e abbandonati al nostro nudo destino. Come Ernst Jnger immagina in un appunto scritto nel corso della guerra, che una immagine della vita: Se chiudo gli occhi, scorgo a volte un tetro paesaggio, ai margini dellinfinito, con rocce, scogliere e montagne. Sulla riva di un mare nero, mi scorgo, una minuscola figura, quasi abbozzata nel gesso.

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6Questo il mio avanzare, prossimo al nulla: l sotto, nellabisso, da solo conduco il fragore della mia lotta. GMC: riconosciuta la sua prossimit a quello straordinario, poetico e profondo scrittore tedesco FV: ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Nei suoi Diari lui stesso racconta come ci siamo incontrati. Traducendo il suo saggio Oltre la linea, avevo incontrato alcuni errori di stampa e gli scrissi affinch mi chiarisse il significato di alcune frasi problematiche. Mi invit a Wilflingen, dove viveva in una pensione e parlammo di tutto. Anche di Schopenhauer. Allepoca avevo inventato un piccolo testo inedito del vecchio Schopenhauer, che, per scherzo, pubblicai come autentico con il titolo Il difficile momento di Schopenhauer, nel quale l'antico filosofo si pente del suo pessimismo metafisico e si converte allottimismo. Pensavo che i tedeschi avrebbero individuato lo scherzo, invece no, presero sul serio il mio testo e presto anche i giornali parlarono della eccezionale scoperta: un inedito che documenta la conversione di Schopenhauer. Anche Jnger ci aveva creduto fino a quando, nel corso della conversazione, gli rivelai che si trattava di uno scherzo e che lautore del testo ero io. Da quel momento mi onor della sua amicizia, poi mi invit allEscorial quando per i suoi cento anni -, lUniversit Complutense di Madrid gli confer la laurea honoris causa. Andai diverse volte a casa sua e mi concesse la sua ultima intervista (che ho pubblicato con Antonio Gnoli, il mio amico giornalista di La Repubblica, con il titolo: Los titanes venideros. Ideario ltimo (Pennsula, ora in edizione tascabile: Quinteto 2007). GMC: lei ha conosciuto anche il lucido e istrionico Jacques Lacan? Ricorda qualche aneddoto che esemplifichi la sua straordinaria personalit? FV: non sono stato onorato dal suo affetto, ma ho assistito a una sua conferenza: parlava ponendo molta enfasi sulle parole chiave, ripetendole pi volte e insistendo reiteratamente sulla sua tesi. Un vero attore, e pi: un istrione. Per esempio, ricordo che parlando della morte, ripeteva molte volte, con diverse tonalit, con voce bassa e alta, fino a quasi gridare, la stessa e ossessiva domanda: Qu'est-ce la mort? Qu'est-ce la mort? GMC: e Michel Foucault, comera quellessere antidiluviano? FV: la sua forza era costituita, piuttosto che dalla teatralit, dalla lucidit e chiarezza cartesiana con cui presentava i suoi argomenti. Anche se si scherniva quando lo chiamavano filosofo, stato un vero matre--penser. Ascoltarlo era come assistere ad una festa del pensiero: acuto, preciso, implacabile. GMC: ha conosciuto Derrida? Potrebbe farcene un breve ritratto FV: Derrida era un gran signore. Una figura nobile. Lo conobbi piuttosto bene durante la festa dei suoi sessanta anni nel castello di Cerisy-la-Salle. Mi aveva invitato per parlare delle traduzioni di Heidegger. Iniziammo una lunga conversazione e mi resi conto di qualcosa che nei suoi scritti non si percepisce cos chiaramente come nella conversazione, vale a dire che era un lettore molto acuto e preciso, attento a tutte le sfumature e le pieghe di un testo. Da allora leggo i suoi scritti in modo completamente diverso. Lo sentii parlare per lultima volta a Nizza, dove allepoca insegnavo; ha tenuto una lezione magistrale su Husserl e le sue ben note conferenze di Vienna e Praga: La crisi della scienza europea. Con inimitabile sovranit mostr che l eroismo della ragione, rivendicato da Husserl nel gran finale delle sue conferenze quale mezzo per salvare l'Europa dalla crisi, si basa su un irrazionale. GMC: lei uno dei pi riconosciuti specialisti di Heidegger. Ha tradotto in italiano Essere e tempo, l'abbagliante Nietzsche e i difficili Contributi alla filosofia. Come pu spiegare il coinvolgimento del pi grande filosofo del ventesimo secolo con il nazionalsocialismo? FV: Heidegger stato il pi grande pensatore tedesco contemporaneo, e il nazional-socialismo il pi tragico totalitarismo del XX secolo. Questo il problema. Perch una intelligenza tanto acuta appoggi una ideologia tanto barbara? La coincidenza manifesta un assurdo incomprensibile e lostinato silenzio del maestro teutonico dopo la guerra risulta ancora pi problematico. Ancora: come ha potuto il nazional-socialismo attrarre nel suo vortice demoniaco una mente tanto sottile? E perch Heidegger ha dato spazio nei suoi discorsi a concetti come popolo e razza? E che a volte i pensieri astratti dei filosofi vengono in contatto con temi pericolosi, e si poggiano dove non dovrebbero. Il caso di Heidegger un esempio evidente di complicato incontro mistico fra filosofia e politica. Heidegger in quei turbolenti anni pens di illuminare la Germania e coltiv lillusione di portare la filosofia nel cuore stesso del potere, ma ottenne il contrario. Tuttavia, come dice Leo Strauss, filosofo della politica, ebreo emigrato negli Stati Uniti: Here is the great trouble: the only great thinker in our time is Heidegger(il vero problema che Heidegger l'unico grande pensatore del

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7nostro tempo). Vuol dire che la filosofia contemporanea in una grande miseria politica. Ed per questo che dobbiamo impostare la domanda: come possibile oggi conciliare filosofia e politica dopo che l'unico grande pensatore del nostro tempo le ha dissociate tanto traumaticamente? GMC: si potrebbe dire che Habermas, dopo aver abbandonato la sua origine intessuta di ribellione, vicino ad un positivismo che mira a resuscitare gli idoli? FV: confesso che preferisco il primo Habermas, quello critico e rabbioso degli anni settanta, a quello successivo, calmo e tranquillo come un borghese soddisfatto. Intendiamoci: un pensatore di classe, un maestro, ma il primo Habermas ha una grande forza innovatrice, mentre successivamente il suo stile di pensiero e di scrittura diventa troppo prolisso, accademico e universitario. Penso che il suo miglior libro rimane Strukturwandel der ffentlichkeit, che analizza l'esaurimento del ruolo critico della opinione pubblica e la sua trasformazione nella sede in cui il consenso viene manipolato. GMC: ha vissuto in diverse citt e ha viaggiato instancabilmente: Colonia, Lovaina, Parigi, Nizza, Vienna, Varsavia, Praga Ha mai provato a individuare le citt che pi ama? FV: tra le grandi capitali quella che maggiormente amo Parigi. Sono stato l per la prima volta quando avevo tredici anni ed stata un'esperienza che mi ha segnato. Sono tornato diverse volte, e ogni volta ho vissuto qualcosa di speciale. Dal primo grande amore fino alla prima conferenza internazionale importante. E stato alla Sorbona, presso il Centro Leon Robin, larena dei leoni, dove i filologi classici cercarono di squartarmi, ma credo di esserne uscito vittorioso. Mi piacciono anche le piccole citt europee dove in ogni angolo si respira storia e si pensa a ci che scrive Gomez Davila: "viaggiare per lEuropa come visitare una casa affinch i domestici ci mostrino le stanze vuote dove ci sono state feste meravigliose. Amo Leuven, ad esempio, una perla meravigliosa in Belgio, dove ho studiato per un anno. Allepoca ci fu un cambiamento linguistico inaspettato: si pass dal francese, fino ad allora lingua ufficiale, al fiammingo, e ho dovuto imparare questa lingua molto particolare. Estato un entrare in un altro mondo e vivere il potere dellimmaginario di un'altra lingua. GMC: recentemente stato pubblicato in spagnolo Larte di trattare le donne di Schopenhauer, antologia che lei ha realizzato a partire dallopera del filosofo tedesco. Nel suo divertente prologo lei riferisce che quasi tutti i grandi filosofi hanno fallito nelle vicinanze del femminile, a partire dal burrascoso matrimonio di Socrate con Santippe FV: sembra quasi una legge naturale, una legge nella quale non vorrei ricadere, ma in Colombia Quando uno parte per la Colombia sempre viene avvertito di tutti i rischi a cui va incontro, ma nessuno mette in guardia dal pericolo pi insidioso: le donne colombiane. Cos affascinanti e belle che gli europei inevitabilmente cadono nella trappola. Alcuni amici colombiani mi dicono che sembra che io non abbia letto il libretto di Schopenhauer sulle donne che ho compilato e introdotto GMC: dopo aver tradotto Gomez Davila e dopo vari viaggi in Colombia, che immagine ha di questo paese la cui bellezza fiorisce sempre ai piedi del precipizio? FV: un paese dove ci sono persone meravigliose, fantasia, umorismo, e una incredibile e inesauribile capacit di improvvisare e creare. Dove tutto accade e si vive in maniera intensa, estrema, sia nel bene che nel male. Un paese con potenzialit inutilizzate, ma anche con contraddizioni stridenti che chiedono una soluzione. GMC: in un articolo intitolato Pornosofa, pubblicato in un'importante rivista italiana, si fa riferimento alla pedofilia divulgata nellultimo romanzo di Garcia Marquez Memoria de mis putas tristes. Perch stato fatto silenzio a riguardo? Il bel romanzo di Kawabata, che lo ha preceduto (La casa delle belle dormienti), ha forse privato la critica della sua capacit di intervento sul piano dei valori? FV: leggendo lincipit del romanzo di Garcia Marquez appare chiaramente una contraddizione. Nel giorno dei suoi novanta anni il protagonista vuole regalarsi una notte di amore folle con una vergine adolescente, e grazie alla proprietaria di un bordello riesce a soddisfare il suo indecente desiderio. Pedofilia? Pornografia? Certamente no, se si tratta di un premio Nobel che scrive. Gabo inoltre aggiunge a un certo punto del romanzo un giudizio perentorio: il sesso la consolazione che resta quando siamo incapaci di amare. Il

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8sesso - potremmo aggiungere non risolve neanche i problemi sessuali. Perch permettiamo al grande scrittore di immaginare che un vecchio compri una vergine bambina? E un caso che il suo romanzo divulghi una finzione pedofilo-pornografica che tristemente la vita ripetutamente si prende cura di tradurre in realt? In quale schizofrenia vive una societ che da un lato pretende che si chiudano pagine oscene nella rete, ma dall'altra parte accetta che un potente moltiplicatore culturale come il romanzo di un Premio Nobel divulghi lo stesso? N prediche n moralismo, per favore, ma poniamo il problema, questo s. GMC: lei parla otto lingue, scrive correntemente in quattro di queste e legge in altre due. Steiner propone che la lingua madre quella che usiamo quando la morte ci assale e lo esemplifica con un incidente, certo del fatto che lesclamazione che si proferisce in un momento estremo rivela il linguaggio pi profondo di un essere umano. Pensa che ci siano pensieri o sentimenti che potrebbe esprimere solo nella sua lingua madre? FV: strano, ma non solo la lingua madre che occupa alcune esperienze con esclusivit, bens anche altre lingue in cui mi sono formato. Ci sono esperienze che potrei esprimere meglio in francese che in qualsiasi altra lingua, altre saprei dirle meglio in tedesco. Nei sogni lo stesso: a volte sogno in una lingua, a volte in unaltra. Riguardo alla Signora Morte, posso dire che sconosco la sua lingua legittima, nonostante gli indizi che giungono dal poetico. GMC: nel suo trattato sul nichilismo, di recente pubblicato in spagnolo da Siruela, segue le tracce della sua concezione filosofica. L'ospite inquietante come lo chiamava Nietzsche, o il solo cammino che conduce l'uomo a stabilirsi nella chimera come lo descriveva Jean Dubuffet, stato fondamento filosofico indiscutibile. Dobbiamo esplorare le forze generatrici del nichilismo, certi del radioso cammino che seguir questo tempo in cui i valori supremi sono scomparsi? FV: oggi si parla spesso di perdita del centro, devalorizzazione dei valori, crisi del senso; questa terminologia negativa che fiorita con il nichilismo indica che non disponiamo pi di un punto archimedeo n la religione, n il mito, n l'arte, neanche la scienza - su cui fare leva per ridare nome al mondo, alla totalit di ci che . Il nichilismo del nostro tempo ha generato una crisi di auto-descrizione. Avverte che stiamo navigando alla cieca negli arcipelaghi della vita, il mondo e la storia. Nel disincanto non c pi bussola n est, non ci sono pi rotte n traiettorie, n preesistenti misure utilizzabili, e neanche mete prestabilite a cui poter giungere. Il nichilismo ha tarlato le verit e indebolito le religioni, ma ha anche dissolto i dogmatismi e le ideologie, insegnandoci a mantenere la ragionevole prudenza del pensiero, quella attitudine che ci rende capaci di navigare fra gli scogli del mare della precariet, nelle traversie del divenire, nella transizione da una cultura allaltra, nei compromessi fra un gruppo di interessi e un altro. Dopo la caduta dellassoluto e lentrata della secolarizzazione nel mondo moderno, dopo la corrosione del regno della legittimit e la delegittimazione del territorio della convenzione, la mia filosofia una filosofia di Penelope, che disfa incessantemente la sua tela, perch non sa se Ulisse ritorner. Per gentile concessione di Gonzalo Marquez Cristo, direttore della rivista colombiana Comun presencia Traduzione a cura di Alessandra Vitale Centro Studi ASIA

Franco Volpi professore di filosofia presso l'Universit degli Studi di Padova e Visiting Professor permanente a Staffordshire (Inghilterra). Ha avuto anche la cattedra di filosofia presso l'Universit di Witten / Herdecke (1991-1998), e ha insegnato presso altre importanti universit europee e americane. Borsista della Fondazione Alexander von Humboldt, membro della Accademia Olimpica e dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti. Ha ricevuto i premi letterari Montecchio (1989), Capo Circeo (1997) e Nietzsche (2000). Scrive per i quotidiani Repubblica, Frankfurter Allgemeine Zeitung e il settimanale Panorama.

Franco Volpi Heidegger e il mondo moderno 13/12/1994 Documenti correlati

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9 - Professor Volpi, l'opera filosofica di Heidegger presenta a prima vista una certa paradossalit. Per un verso Heidegger richiama all'attenzione del pensiero filosofico temi e problemi estremamente rarefatti e astratti, per altro verso invece, nel nostro secolo, forse nessuno ha svolto una critica dell'epoca moderna pi radicale della sua. Da questo punto di vista il tempo storico entra prepotentemente nell'orizzonte della filosofia di Heidegger. Pu cercare di sciogliere questo paradosso? (1) - Riguardo al concetto di "sottrazione" dell'essere, c' un tema che troviamo sin dagli esordi del pensiero di Heidegger: l'idea, presente nei testi giovanili, secondo la quale la vita umana posseduta da una tendenza a "rovinare", a cadere fuori di s, a perdersi nel mondo delle cose e a non potersi quindi ritrovare se non in una forma, reificata. Pu parlarci di questo nucleo teorico, che Heidegger elabora negli anni Venti e che attraverso continui mutamenti sfocer nel concetto di storia della metafisica?(2) - Cartesio e Leibniz sono per Heidegger i pensatori nei quali possibile rintracciare i caratteri distintivi della modernit: l'affermazione della centralit del soggetto e della sua attivit rappresentativa, attivit che riduce tutti gli enti a oggetti disponibili per essere dominati da parte dell'uomo. In che senso quella che Heidegger chiama la "soggettit" costituisce la struttura chiave della metafisica e quindi della nostra stessa epoca? (3) - L'epoca moderna, come Lei ha appena detto, dai suoi esordi con Cartesio fino all'illuminismo di Nietzsche, intrattiene dunque profondi legami con il mondo greco. In che senso per Heidegger il platonismo e il nichilismo sono termini indissociabili? (4) - Il nichilismo moderno trova, secondo Heidegger, la sua pi compiuta realizzazione nell'organizzazione tecnicoscientifica del mondo, propria dell'epoca contemporanea. Potrebbe parlarci di una parola, di difficile traduzione, che Heidegger adopera, cio il Gestell, per caratterizzare il mondo contemporaneo? (5) - In quale misura l'atteggiamento di Heidegger nei confronti della tecnica un atteggiamento di critica - e quindi di negazione - e in quale misura invece un atteggiamento di accettazione, un dire s all'epoca della tecnica intesa come destino? (6) - Perch, soprattutto nella sua opera tarda, Heidegger assume una posizione fortemente critica nei confronti della scienza? Che senso dobbiamo attribuire alla sua nota espressione secondo la quale "la scienza non pensa"?(7) - Che rapporto ha questa posizione di Heidegger sulla scienza con posizioni di altri filosofi - pensiamo a Hegel o anche a Husserl - per i quali la filosofia ha un compito fondativo rispetto alla scienza, poich in un certo modo essa rappresenta l'autoconsapevolezza della totalit entro cui si inscrivono le scienze?(8) - Un'altra delle categorie della tradizione occidentale che Heidegger tenta di demolire quella dell'etica. Perch Heidegger asserisce l'impossibilit di un'etica nell'epoca moderna? (9) - Che rapporto intercorre tra la critica della modernit di Heidegger e le altre espressioni di quella che in Germania fu denominata la Kulturkritik, la "critica della civilt". C' continuit tra le posizioni di Heidegger con quelle, anch'esse estreme, di Spengler, di Scheler e dell'ultimo Husserl?(10) - Professor Volpi, la critica della modernit di Heidegger, per certi suoi aspetti essenziali, evoca quella che in un noto libro i padri della cosiddetta Scuola di Francoforte, Adorno e Horkheimer, chiamarono la "dialettica dell'Illuminismo". Che cosa unisce e che cosa invece separa, la teoria critica dei francofortesi dal pensiero heideggeriano? (11) - Perch Heidegger, nel 1946, rompendo un lungo silenzio con la famosa Lettera sullumanismo, sconfessa clamorosamente le interpretazioni esistenzialiste delle note analisi di Heidegger in Essere e tempo e rivendica il carattere antiumanistico del proprio pensiero? (12)

1. Professor Volpi, l'opera filosofica di Heidegger presenta a prima vista una certa paradossalit. Per un verso Heidegger richiama all'attenzione del pensiero filosofico temi e problemi estremamente rarefatti e astratti, per altro verso invece, nel nostro secolo, forse nessuno ha svolto una critica dell'epoca moderna pi radicale della sua. Da questo punto di vista il tempo storico entra prepotentemente nell'orizzonte della filosofia di Heidegger. Pu cercare di sciogliere questo paradosso? Il pensiero di Heidegger pu apparire, per la sua concentrazione sulla questione dell'essere, un pensiero estremamente astratto e lontano dai problemi pi concreti e pi immediati del mondo della vita. In realt dietro questa dedizione al problema ontologico, Heidegger manifesta una attenzione sensibilissima e capillare per quelli che sono gli sconvolgimenti radicali del mondo contemporaneo. Pensiamo a fenomeni come la svalutazione dei valori, la perdita del centro, le crisi di identit e a tutte quelle espressioni di una crisi profonda che lacerano il mondo contemporaneo e che hanno trovato in Heidegger un lettore, un interprete molto acuto e molto attento. Da questo punto di vista si pu dire dunque che in Heidegger vi sia, accanto all'attenzione per problema dell'essere, un'attenzione altrettanto forte e sensibile per le manifestazioni patologiche della contemporaneit, rispetto alle quali

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10egli si propone come un pensatore che intende farsi carico di queste patologie allo stesso modo in cui ci si fa carico di problemi da risolvere. Il collegamento che deve essere fatto il seguente: per Heidegger, una volta che noi abbiamo riconosciuto queste malattie del mondo contemporaneo, dobbiamo anche essere in grado di ritrovare le cause che le hanno provocate, per potere riparare, rimediare o evidentemente sanare ci che queste cause e questi motivi hanno prodotto. E pi radicale sar la ricerca di queste cause, pi in profondit andremo nella ricerca di ci che si prodotto a livello di superficie storica, tanto pi efficace sar la terapia. Noi non ovviamo ai problemi della tecnica e del nichilismo attraverso la ricerca di palliativi di superficie, andando di causa in causa, e impigliandoci sempre pi nella dinamica "diabolica", che il fenomeno della tecnica ha innescato - "diabolica" perch con le soluzioni dei problemi, ai quali noi ci troviamo di fronte, inneschiamo ulteriori problemi e, quindi, una catena infinita di rimandi. proprio per questo che Heidegger va alla ricerca di una causa profonda di questo malessere, di questo destino patologico della contemporaneit, e ritrova questa causa profonda, attraverso una serie di passaggi che potrebbero essere esplicati, in una sottrazione dell'essere stesso. Vi una dimensione profonda che Heidegger indica con un nome, l' "essere", la quale non pi presente all'uomo contemporaneo: una dimensione nella quale l'uomo contemporaneo avrebbe o maturerebbe una consapevolezza della sua impotenza, della sua finitudine, della sua limitatezza e quindi della precariet del suo progetto tecnico di padroneggiamento operativo e conoscitivo della realt. L'uomo contemporaneo ha rimosso tale dimensione per potere dedicare ed esplicare tutte le sue energie proprio a questa opera di impossessamento totale e capillare di tutto ci che . Dimenticando l'essere, l'uomo si pu concentrare sull'ente per dominarlo e padroneggiarlo. questa dimenticanza dell'essere, probabilmente, la causa pi profonda, la causa metafisica delle patologie del mondo contemporaneo. E dunque si capisce allora, anche se qui la mia esposizione estremamente sommaria e abbreviata, la connessione che Heidegger vede tra un problema cos astratto come la questione dell'essere e le questioni pi scottanti del mondo contemporaneo. 2. Riguardo al concetto di "sottrazione" dell'essere, c' un tema che troviamo sin dagli esordi del pensiero di Heidegger: l'idea, presente nei testi giovanili, secondo la quale la vita umana posseduta da una tendenza a "rovinare", a cadere fuori di s, a perdersi nel mondo delle cose e a non potersi quindi ritrovare se non in una forma, reificata. Pu parlarci di questo nucleo teorico, che Heidegger elabora negli anni Venti e che attraverso continui mutamenti sfocer nel concetto di storia della metafisica? Per Heidegger la storia della metafisica una vicenda, un destino che ha anch'esso delle radici profonde e di cui vanno ricercate le cause. Heidegger individua o segue fondamentalmente due cammini per arrivare a riconoscere queste cause. Un primo cammino appunto quello da lui messo in atto nella prima fase del suo pensiero, soprattutto nei corsi tenuti nell'Universit di Friburgo, nei primi anni Venti, e poi successivamente, tra il 1923 e il 1928, a Marburgo. Nel corso di questo suo cammino speculativo Heidegger cerca di mostrare come la metafisica e ci che essa rappresenta non sia per l'uomo occidentale un evento casuale, ritenendo che essa sia il frutto di una dinamica insita in quel movimento particolarissimo che la vita stessa dell'uomo. La vita dell'uomo ha in s un movimento che orienta e indirizza la vita, innanzi tutto e per lo pi, verso delle modalit di attuazione, che sono per lo pi inautentiche. Questo perch la scelta autentica sempre pi difficile e pi faticosa di quella inautentica. Quando noi ci prefiggiamo di centrare un bersaglio, il colpire il centro sempre la cosa pi difficile che riesce in un modo e in un modo soltanto, mentre, per lo pi, noi, in maniera anche abbastanza facile, noi riusciamo ad avvicinarci, a centrare il bersaglio, ma il centro, appunto, uno e uno soltanto. Dal che risulta la facilit di sbagliare e la difficolt di centrare. Ebbene, per Heidegger la vita umana un qualcosa di analogo, un progetto, la cui riuscita pu avvenire in un modo, e in un modo soltanto, e che invece pu andar male e fallire in molteplici modi. Il fallimento dell'esistenza sempre pi facile, sta sempre l in agguato, mentre invece la sua riuscita pi difficile. Quindi c' nella vita questa tendenza a rovinare, cio a trovare, a cadere in attuazioni, che non sono all'altezza di una scelta autentica. La metafisica con ci che di negativo essa rappresenta agli occhi di Heidegger - cio il progetto della soggettivit umana nella sua pretesa di padroneggiare tutto l'ente, in quanto ente che l presente davanti, disponibile, come un materiale da sfruttare -, il rispecchiamento a livello filosofico-teorico di questa tendenza connaturata alla specie umana a fallire piuttosto che a riuscire. Proprio perch l'esistenza richiede ognora di essere progettata, essa rappresenta un peso, una difficolt da gestire e da amministrare, rispetto alla quale, appunto, noi rischiamo sempre di cadere in errore. E la metafisica stata per Heidegger un destino, un errore, nel quale la storia umana caduto. In questo errore metafisico si rispecchia dunque su un piano destinale, complessivo, quella tendenza che noi possiamo constatare in ciascuno di noi, quando ci troviamo di fronte al dover scegliere tra l'autentico e l'inautentico e verifichiamo la facilit con cui cadiamo nell'inautentico e la difficolt di scegliere invece la forma di vita autentica. Nella prospettiva di Heidegger, una dinamica simile si verifica nella storia del pensiero e nella storia della civilt occidentale.

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113. Cartesio e Leibniz sono per Heidegger i pensatori nei quali possibile rintracciare i caratteri distintivi della modernit: l'affermazione della centralit del soggetto e della sua attivit rappresentativa, attivit che riduce tutti gli enti a oggetti disponibili per essere dominati da parte dell'uomo. In che senso quella che Heidegger chiama la "soggettit" costituisce la struttura chiave della metafisica e quindi della nostra stessa epoca? Per Heidegger necessario distinguere tra soggettivit e soggettit. La soggettivit una forma pi radicale e pi pervicace di "soggettit", che inizia, appunto, in epoca moderna. Ma poich per Heidegger l'esigenza dell'uomo di affermarsi come figura principesca che domina tutto l'ente non presente solo nel mondo moderno, ma anche nel pensiero greco antico, a cominciare da Platone, egli deve introdurre questa differenziazione e usare il concetto di soggettit per indicare proprio questo atteggiamento gi presente nei Greci, che trova poi in Descartes, in Leibniz e nella metafisica moderna un suo potenziamento nella soggettivit moderna. Ecco dunque che allora per Heidegger si pu configurare una matrice unitaria di tutta la storia occidentale, come storia della metafisica, in cui verrebbe ad affermarsi l'uomo come soggetto di conoscenza e azione nei rapporti con il mondo e con gli enti, e quindi un successivo potenziamento di questo progetto con il pensiero moderno, in cui tutto viene visto alla luce di questo principio, che diventa il principio della soggettivit. Secondo Heidegger, con il pensiero nietzschiano della volont di potenza viene portato alle estreme conseguenze il concetto metafisico della soggettit, la quale nasce con Platone in forma ancora debole - forma che Heidegger designa appunto come soggettit -, e si potenzia nella soggettivit moderna, trovando infine la sua espressione massima ed estrema nella concezione di Nietzsche, secondo la quale tutto "ci che ", uomo o natura che sia, espressione di una volont di potenza, di una forza, di una energia concepita in termini di volont, intesa come determinazione propria di un soggetto. 4. L'epoca moderna, come Lei ha appena detto, dai suoi esordi con Cartesio fino all'illuminismo di Nietzsche, intrattiene dunque profondi legami con il mondo greco. In che senso per Heidegger il platonismo e il nichilismo sono termini indissociabili? Platonismo e nichilismo sono termini indissociabili perch, secondo Heidegger, il nichilismo non altro che una forma rovesciata di platonismo o meglio la conseguenza estrema a cui il platonismo ha portato se si considera quest'ultimo come quella forma di pensiero caratterizzata dalla dottrina dei due mondi. Con il platonismo, infatti, matura la convinzione che il mondo cos com', cio il mondo sensibile cos come ce lo attestano i sensi, non un mondo vero, ma solo un'illusione, un'apparenza, la quale ci rimanda inevitabilmente a un qualcosa d'altro, a un essere che non sia solo apparenza ma abbia i caratteri della stabilit e della verit. Si distingue cos tra un mondo vero, che non a noi disponibile o da noi raggiungibile immediatamente e un mondo apparente che il mondo nel quale noi ci troviamo. Ma in questo modo, cio attribuendo i caratteri di verit a un mondo che a noi non accessibile, noi poniamo una frattura, una dicotomia, che risulta, nell'interpretazione che d Heidegger della storia occidentale, decisiva per questa storia stessa e che d avvio a una dinamica che si concluder solo con il nichilismo. In che senso? Nel senso che, una volta che si distinto radicalmente tra mondo vero e mondo apparente, tra mondo sensibile e mondo ideale, e si concepita questa distinzione come una frattura, si al tempo stesso dichiarato che quel mondo, che noi poniamo come mondo vero, un qualcosa che noi non possediamo, ma questa irraggiungibilit significa allo stesso tempo una svalutazione del carattere d'essere di quel mondo che pure noi poniamo come mondo vero. Progressivamente questo carattere di idealit, in origine forse ancora accessibile ai pochi, ai sapienti, viene sempre pi svanendo e sminuendo, fino a consumarsi nel fenomeno della svalutazione dell'ideale, nella consunzione dei valori che sono posti come ideali e che dovrebbero, in principio, orientare il mondo sensibile. Alla fine di questo percorso di svalutazione dell'ideale, noi abbiamo la consunzione, l'appiattimento su un mondo che solo sensibile, ma che, essendo solo sensibile, privo di una stella polare di orientamento, diventato un mondo senza senso, privo di significato, in cui tutto si riduce al nulla: il mondo del nichilismo. 5. Il nichilismo moderno trova, secondo Heidegger, la sua pi compiuta realizzazione nell'organizzazione tecnicoscientifica del mondo, propria dell'epoca contemporanea. Potrebbe parlarci di una parola, di difficile traduzione, che Heidegger adopera, cio il Gestell, per caratterizzare il mondo contemporaneo? Questo termine, Gestell, un termine particolare perch esso di uso comune nella lingua tedesca, dalla quale Heidegger lo riprende, caricandolo per di un significato filosofico ed elevandolo a concetto chiave per indicare quella forma planetaria che contrassegna l'epoca contemporanea, e cio la forma della tecnica. Gestell significa, nel linguaggio comune, un qualcosa di costruito e di artefatto, significa propriamente una "montatura di occhiali", per esempio; significa, per, anche un "cavalletto", significa anche un "telaio". Brillen-gestell "montatura di occhiali", Fahrrad-gestell, il "telaio di una bicicletta", Gestell "il trespolo di un artigiano". Dunque indica una struttura, un impianto, che ha il carattere particolare di essere un qualcosa di costruito dall'uomo, un

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12artefatto, che tiene assieme, funge da struttura portante di un qualcosa. un termine allora che per Heidegger pu adattarsi a indicare ci che la tecnica rappresenta rispetto alla natura. La tecnica rappresenta rispetto alla natura ci che artefatto, costruito, prodotto, mentre la natura ci che cresce spontaneamente, ha in se stesso il principio della propria genesi e del proprio movimento, il principio della propria nascita e del proprio perire, mentre l'artefatto un qualcosa di morto, di freddo. Ebbene, Heidegger si serve di questo concetto per indicare quell'atteggiamento che nel mondo contemporaneo diventato predominante e ha soffocato la spontaneit della crescita delle cose che sono per natura. Per illustrare questo concetto Heidegger ricorre alla Fisica di Aristotele, e precisamente a un celeberrimo passo in cui si dice che: "mentre da un albero nasce un albero, da un letto non nasce un letto". Entrambi sono legno, ma uno legno vivente, che ha in s il principio della propria nascita, della propria crescita e della propria morte, cio il proprio ciclo vitale, naturale, l'altro invece un legno morto, un impianto ovvero una struttura. Gestell dunque il termine che sta a significare questo secondo elemento. Ma c' di pi, perch la parola si compone in tedesco di una radice, che "-stell", la quale significa il "porre". Il "porre" per Heidegger una modalit tipica del mondo della tecnica. Noi poniamo un qualcosa, lo costruiamo e non lo lasciamo essere secondo la sua modalit naturale. In tedesco vi sono alcuni verbi composti con questa radice, "er-stellen", "vor-stellen", "be-stellen", che significano rispettivamente: "pro-durre", "ra-(p)presentare", "ordinare", che sono tutte modalit che concorrono a formare il mondo della tecnica. La produzione, l'ordinazione, la rappresentazione sono tutte disposizioni proprie del mondo della tecnica. E dunque la parola "Ge-stell", che esprime attraverso il suffisso "ge" qualcosa di collettivo, che serve a raccogliere, a indicare, oltre all'impianto, l'insieme delle modalit del "porre", che costituiscono e rappresentano gli atteggiamenti fondamentali dell'uomo dominato dalla tecnica. Per queste due ragioni, dunque, "Gestell" viene scelto da Heidegger come termine chiave, come parola e concetto fondamentale per esprimere l'essenza della tecnica. 6. In quale misura l'atteggiamento di Heidegger nei confronti della tecnica un atteggiamento di critica - e quindi di negazione - e in quale misura invece un atteggiamento di accettazione, un dire s all'epoca della tecnica intesa come destino? L'atteggiamento di Heidegger unisce in s entrambe le cose, in apparenza contraddittorie, proprio perch Heidegger convinto che, per poter andare oltre il destino della tecnica, sia indispensabile vivere fino in fondo questo destino. E' necessario bere il calice fino in fondo per poter cominciare a cedere a un nuovo inizio. Per Heidegger, in sostanza, non si va oltre la tecnica assumendo degli atteggiamenti di reazione rispetto ad essa. Nel vortice del nichilismo della tecnica l'uomo non deve assumere, come dire, degli atteggiamenti semplicemente di ritorno, di battaglia, di conservazione del pretecnico, perch la tecnica consumerebbe e roderebbe qualsiasi tentativo di reagire. Proprio perch per Heidegger essa una potenza epocale non pu essere riscattata attraverso degli atteggiamenti di semplice reazione o di conservazione. Per oltrepassare la tecnica indispensabile lasciare che la tecnica si dispieghi in tutte le sue potenzialit. L'unico atteggiamento possibile che Heidegger vede in questo dispiegarsi della tecnica consiste nell'aiutare la tecnica a sviluppare tutte le sue possibilit fino all'estremo, e dunque un atteggiamento che, come dire, raccolga le risorse ancora integre, per poter mantenere l'equilibrio nel vortice che la mobilitazione totale della tecnica ha scatenato. 7. Perch, soprattutto nella sua opera tarda, Heidegger assume una posizione fortemente critica nei confronti della scienza? Che senso dobbiamo attribuire alla sua nota espressione secondo la quale "la scienza non pensa"? Quando Heidegger dice che la scienza non pensa, non fa una critica alla scienza, ma intende soltanto indicare qual il suo ambito, e quindi indicare e riconoscere quei confini che la scienza stessa si impone. La scienza non pensa nel senso che essa indaga intorno a un qualcosa che essa assume come oggetto senza metterlo in questione come tale. La fisica, per esempio, analizza quell'oggetto, che essa assume come dato e che l'insieme dei fenomeni fisici, l'insieme dei movimenti naturali. Ma la tecnica non pensa mai a che cosa la natura, la physis, come tale. Dunque dice che la fisica non pensa la physis, significa semplicemente riconoscere ci che la fisica di fatto pratica e fa e dice che c' qualcosa che eccede questo studio e che precisamente quel qualcosa da cui tutto questo studio dipende, cio la definizione della fisica stessa. Che cos' la fisica? Non ce lo dice la fisica. Che cos' la matematica? Non ce lo dice la matematica, ma ogni volta la fisica e la matematica presuppongono questo loro ambito d'oggetto e d'indagine proprio, per poter lavorare con esso. Ebbene, per Heidegger il compito del pensiero appunto quello di andare al di l di una disciplina particolare e interrogarsi intorno a tutto ci che, nelle discipline particolari, viene presupposto come ovvio e dato come scontato. Questo per Heidegger il compito pi proprio del pensiero. 8. Che rapporto ha questa posizione di Heidegger sulla scienza con posizioni di altri filosofi - pensiamo a Hegel o anche a Husserl - per i quali la filosofia ha un compito fondativo rispetto alla scienza, poich in un certo modo essa rappresenta l'autoconsapevolezza della totalit entro cui si inscrivono le scienze?

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13Credo che, a prima vista, l'atteggiamento di Heidegger, soprattutto per l'effetto paradossale che la sua affermazione produce, quando egli ci dice che la scienza non pensa, induca a credere che il suo atteggiamento nei confronti della scienza sia un atteggiamento escludente, cio che cassi la scienza dall'ambito della riflessione filosofica per poter partire verso una direzione nella quale la scienza non ha pi nulla da dire. Questo per un certo verso anche vero nel senso che ci che ad Heidegger interessa non fare una epistemologia, una teoria filosofica che rifletta su ci che fa la scienza. Ma non vero nel senso che per Heidegger questo suo relegare la scienza entro il proprio confine non significa ignorare ci che la scienza, e soprattutto la sua realizzazione nella tecnica, ha rappresentato. Dunque dietro una apparente espunzione della scienza dall'ambito delle questioni filosoficamente rilevanti, nel senso che la filosofia comincia l dove cessa il sapere scientifico, in realt una operazione che Heidegger compie per poter poi ritirare in ballo la scienza e la tecnica in maniera molto pi generale e onnipervasiva di quella che pu essere invece messa in atto da un'epistemologia, che sempre un pensiero ancillare al servizio di una pratica scientifica determinata. Dunque Heidegger, in realt, nel provocare la scienza con questa sua affermazione, richiama in ballo la scienza e la tecnica come un destino epocale, invitando a riflettere pi profondamente su ci che esse sono e rappresentano per l'uomo contemporaneo. 9. Un'altra delle categorie della tradizione occidentale che Heidegger tenta di demolire quella dell'etica. Perch Heidegger asserisce l'impossibilit di un'etica nell'epoca moderna? Poco dopo la pubblicazione di Essere e tempo un amico chiese ad Heidegger quando egli avrebbe scritto un opera di etica. Heidegger ha dato una spiegazione molto convincente, a mio avviso, delle ragioni per le quali nel suo pensiero manchi un'etica, cos come essa stata tradizionalmente intesa. Per Heidegger risulta impossibile dedicarsi alla riflessione etica, alla compilazione di un trattato di etica, dopo che egli giunto alla sua diagnosi del mondo moderno, come mondo pervaso dall'atteggiamento tecnico di dominio. Se la diagnosi che Heidegger d del mondo contemporaneo - e cio un mondo determinato dall'essenza della tecnica-, pertinente, tutti i tentativi di catturare la tecnica entro delle forme di etica o di morale, tutti gli sforzi di regolare quel comportamento e quell'agire dell'uomo, che si sono scatenati secondo delle modalit tecniche, risultano dei tentativi vani. Nel mondo della tecnica ogni etica e ogni virt diventata impossibile. Non c' pi spazio per un regolamento morale dell'agire dell'uomo, perch tutto gi regolato secondo i ritmi e gli ordini della tecnica. Questa la convinzione di Heidegger e, se questa convinzione pertinente, risulta allora chiaro che l dove noi constatiamo il deserto che cresce, ogni tentativo di recuperare delle oasi di felicit attraverso l'etica, rimane un tentativo destinato al fallimento. Se quella macroazione, che lo sviluppo dell'umanit secondo i ritmi della tecnica, ha una inesorabilit che pari alla inesorabilit dei movimenti geologici, ebbene, l'etica e la virt in questo mondo hanno ormai soltanto la bellezza dei fossili. 10. Che rapporto intercorre tra la critica della modernit di Heidegger e le altre espressioni di quella che in Germania fu denominata la Kulturkritik, la "critica della civilt". C' continuit tra le posizioni di Heidegger con quelle, anch'esse estreme, di Spengler, di Scheler e dell'ultimo Husserl? Va detto innanzitutto che certamente Heidegger viene profondamente influenzato dal clima che ingenerato dalla Kulturkritik tedesca dei primi decenni del Novecento e che una riflessione che si sviluppa a ridosso della crisi pi generale della Repubblica di Weimar e che combiner con la grande crisi del 1929. Non per caso che gran parte dell'intelligenza critica di quel tempo cominci a riflettere sul mondo contemporaneo e sulla crisi che caratterizza questo mondo. Quindi c' una connessione, in tutti questi pensatori o perlomeno nelle motivazioni che hanno portato questi pensatori a concentrarsi su una diagnosi del presente. Dopo la fine della Prima guerra mondiale, si ingenera una crisi che avvertita un po' ovunque, si ingenera un sentimento che la "belle poque" sia veramente terminata e che qualcosa di nuovo sia sopraggiunto. Un equilibrio si rotto e si tratta di trovare nuove misurazioni, nuovi orientamenti. Vi dunque il senso diffuso di un tramonto della civilt occidentale, che soprattutto Spengler nella sua opera Il tramonto dell'Occidente, porter ad un'espressione molto radicale e di grande successo. Rispetto tuttavia a Spengler e a tutti coloro, che si accompagnano in piccolo o in grande a questa critica della civilt, Heidegger si differenzia nella radicalit dell'impostazione del problema. Per Heidegger non si tratta di fermarsi alle manifestazioni di superficie della crisi n di arrestarsi a una ricerca di corto respiro delle cause che l'hanno ingenerata, ma si tratta di effettuare una ricerca, un'anamnesi profonda, radicale, che risalga fin alle origini della civilt occidentale, fino a trovare le vere motivazioni, le motivazioni pi profonde che hanno portato a questa critica. E dunque c' un rapporto di superficie con tutti costoro, ma c' uno scarto radicale, nella radicalit dell'approccio che Heidegger rivendica come proprio. 11. Professor Volpi, la critica della modernit di Heidegger, per certi suoi aspetti essenziali, evoca quella che in un noto libro i padri della cosiddetta Scuola di Francoforte, Adorno e Horkheimer, chiamarono la "dialettica

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14dell'Illuminismo". Che cosa unisce e che cosa invece separa, la teoria critica dei francofortesi dal pensiero heideggeriano? Le due scuole, quella heideggeriana e quella francofortese, stanno naturalmente agli antipodi, sono due aree culturali, che, per ragioni filosofiche e politiche, si sono sempre combattute su due fronti opposti, estremamente opposti. Anzi, tra Adorno e Heidegger ci furono parecchie occasioni di polemica e Adorno scrisse anche un "pamphlet" per combattere il linguaggio, il pensiero e la terminologia usata da Heidegger. Quindi in apparenza le due posizioni sono radicalmente contrastanti: da una parte la posizione dei francofortesi, allineata su una interpretazione ispirata al marxismo del mondo contemporaneo e quindi su una critica di questo tipo, dall'altra la posizione heideggeriana associata piuttosto a una dimensione di pensiero conservatrice. Tuttavia ad un'analisi pi attenta delle articolazioni interne di queste due posizioni, possibile rintracciare delle assonanze, anzi dei paralleli molto forti, che, in qualche critico, sono stati messi in luci come dei paralleli sotterranei che finiscono per allineare le due posizioni su una quasi comune interpretazione della dinamica della civilt occidentale. Da che cosa dipende per Heidegger questa dinamica? Abbiamo gi detto che in lui gli esiti del mondo contemporaneo dipendono da un certo modo di interpretare l'epistme e il lgos greci. Ebbene, che cosa fanno Adorno e Horkheimer in Dialettica dell'Illuminismo? Interpretano, da un punto di vista marxista, esattamente lo stesso fenomeno che Heidegger ha interpretato in questo modo, e cio l'alienazione che caratterizza la civilt contemporanea. Non solo, ma che cosa fanno pi propriamente Adorno e Horkheimer rispetto alla tradizione marxista alla quale dichiarano di richiamarsi? Operano un allargamento, uno sfondamento che finisce per portarli alle stesse tesi che Heidegger ha sostenuto anche se da un punto di vista naturalmente diverso. Adorno e Horkheimer non spiegano pi l'alienazione del mondo contemporaneo, riportandola in termini marxisti alle condizioni di produzione capitalistica, cio non riportano le cause dell'alienazione al mondo moderno e al modo in cui in esso l'organizzazione della produzione stata messa in atto, attraverso le forme capitalistiche di produzione, ma dicono che l'alienazione del mondo contemporaneo ha radici pi lontane, che sono riconducibili a quel progetto che loro vedono simboleggiato nella figura di Odisseo, di Ulisse, l'astuzia della ragione dell'astuto Odisseo, che si eleva a dominare tutte le avversit della natura e del destino. si eleva come soggetto-padrone di tutto ci che . con questa razionalit strumentale, padrona e dominatrice di tutto, delle cose e della tyche, che nasce quel progetto che porta fino alla perversione dell'Illuminismo nel suo contrario. L'Illuminismo, che un progetto di emancipazione, e quindi di utilizzazione in funzione emancipatrice della razionalit, sbocca in un rovesciamento dell'emancipazione nell'alienazione. Ma questo progetto non , come dicevo, ricondotto a una causa, marxisticamente identificata nelle condizioni capitalistiche di produzione, ma ricondotto al progetto stesso di dominio razionale della realt, cio all'inizio della civilt occidentale con i Greci, a quel progetto che Heidegger stesso considera come l'innescamento del destino metafisico dell'Occidente. Dunque, nonostante le divergenze e le diversit effettivamente sussistenti tra le due posizioni, si pu parlare di una convergenza sulla diagnosi della filosofia della storia dell'Occidente. 12. Perch Heidegger, nel 1946, rompendo un lungo silenzio con la famosa Lettera sullumanismo, sconfessa clamorosamente le interpretazioni esistenzialiste delle note analisi di Heidegger in Essere e tempo e rivendica il carattere antiumanistico del proprio pensiero? Heidegger precisa la sua posizione, che non era mai stata esistenzialistica, in relazione a numerosi fraintendimenti in cui essa era stata ridotta o costretta o semplicemente recepita. Questo perch, fin dagli inizi, Heidegger imposta il problema dell'esistenza umana non in termini di un attaccamento razionalistico alle dinamiche pi proprie dell'esistenza stessa, ma imposta il problema in una prospettiva fortemente ontologica - come la citazione da Platone che sta in Essere e tempo sta a dimostrare. Qui si parla del problema dell'essere ed tale problema ci che interessa primariamente Heidegger. per arrivare al problema dell'essere che Heidegger pone la questione di quale sia quell'ente privilegiato in grado di porsi quel problema. E poich questo ente privilegiato l'uomo, l'esistenza umana, ovvero l'"Esserci" secondo l'espressione di Heidegger, necessario, per arrivare a quel problema, produrre un'analisi di questo ente particolare e individuare la ragione per la quale esso si distingue, ossia proprio per la sua capacit di porre il problema dell'essere. Se ora noi riducessimo questo sforzo che Heidegger produce di arrivare al problema dell'essere attraverso un'analisi dell'esistenza al semplice risultato di averci fornito delle categorie per lumeggiare l'esistenza umana, dimenticheremmo probabilmente quello che il punto finale a cui Heidegger intende arrivare. E dunque ci occluderemmo lo sguardo su una parte considerevole del suo pensiero, presente certo fin dagli inizi, anche se sfocata - perch agli inizi si tratta di trovare l'accesso a quel problema -, ma poi seguita come un filo conduttore unitario fino alla fine del suo cammino speculativo. Una seconda ragione per la quale l'interpretazione esistenzialistica di Heidegger riduttiva, il fatto che essa non

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15vede come l'interpretazione heideggeriana delle categorie dell'esistenza non sia svolta a partire dalle analisi di pensatori esistenzialistici come Kierkegaard, ma viene fatta utilizzando, in riferimento all'ontologia, determinazioni che risalgono al pensiero greco, in particolare ad Aristotele. Ci che ad Heidegger interessa dunque mettere in luce qual il modo d'essere proprio dell'esistenza umana. E con questo naturalmente finisce per fornire degli strumenti preziosissimi anche per l'analisi dell'esistenza, ma non questo il fine ultimo al quale Heidegger pensa di dover arrivare.

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Fabio Mazzocchio Il pensiero dell'essere come etica originaria in Martin Heidegger

1. Heidegger e l'eticaHeidegger e l'etica

2. La prassi originariaLa prassi originaria 3. Etica e pensieroEtica e pensiero 4. Bibliografia Negli ultimi anni si delineata una manifesta tendenza critica, in virt della quale il pensiero di Martin Heidegger stato sempre pi posto in relazione con le problematiche della filosofia pratica. Riteniamo che tale interesse non sia stato mosso primieramente da esigenze filologico-interpretative, le quali seguendo un ideale di completezza ermeneutica, dopo aver indagato sul momento esistenzialista e su quello ontologico, si siano soffermate sulla valenza della componente pratica della speculazione heideggeriana, ma dal tentativo di discernere la vicinanza tra le sue scelte etico-politiche e le sue posizioni filosofiche. Esplicita testimonianza ne sono il moltiplicarsi di saggi, convegni e quant'altro sulla spinosissima questione del suo rapporto con il nazismo11 e le sue matrici culturali. Nella consapevolezza che Heidegger, pur essendo, forse, il pi noto e studiato tra i filosofi contemporanei, rimane per molti versi difficilmente comprensibile, spesso enigmatico, riteniamo che si possa porre la questione della presenza di un'etica nella sua opera; di questo egli non parler esplicitamente o, meglio, sistematicamente ma si trova quasi filigrana di problematiche ad esso care e fondamentali: l'essenza della tecnica, il nichilismo, l'umanismo ed ultimativamente la quaestio sull'essere. Il problema dell'essere, infatti, avvolge e alimenta da cima a fondo ogni passo del cammino, meglio, del sentiero (troppo spesso interrotto) del pensatore tedesco.

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16Stando, poi, alla distinzione hegeliana tra eticit e moralit, si potrebbe affermare che la riflessione filosofica sull'agire si svilupperebbe nei momenti di crisi della eticit ovvero quando un intero mondo di valori si incrina, viene superato o addirittura capovolto: questo scenario, ci pare, sia manifesto anche, in questo nostro tempo contemporaneo; contemporaneit in cui Heidegger ha vissuto e di cui Nietzsche aveva profeticamente e violentemente annunciato le sorti: il tempo del Requiem aeternam Deo. 1. Heidegger e l'etica 1.1 Vi un'etica in Heidegger? Questo sicuramente uno dei nodi pi complessi del pensiero heideggeriano; basterebbe scorrere alcune delle posizioni degli studiosi per rendersene conto.2 Siamo convinti che sia possibile rintracciarvi un'etica, forse irriconoscibile dato il suo status post-metafisico,33 un'etica anteriore all'etica canonica che la storia del pensiero occidentale ci ha consegnato sotto le spoglie di una sorta di metafisica specialis44 o di disciplina ricavata dalle distinzioni scolastiche avutesi gi con i platonici e cristallizzatesi con Aristotele: ogni conoscenza razionale o pratica o poietica o teoretica55 . Heidegger ricorda che la divisione fra theoria e praxis cosi come la partizione del pensiero in discipline non originaria ma appartiene a quel destino decadente del pensiero aurorale con la conseguente affermazione impositiva della metafisica: nomi come logica, etica, fisica, compaiono quando il pensiero originario volge alla fine,66 una interpretazione tecnica del pensiero i cui inizi risalgono fino a Platone e Aristotele; l'esito funesto, l'essere, come elemento del pensiero, abbandonato.77 Queste disciplinarizzazioni risultano, al Nostro, fortemente estrinseche e non adeguate alla cosa stessa del pensiero che tale quando all'essere appartiene.88 Prima di questo tempo i pensatori non conoscevano n una logica, n un'etica [...] eppure il loro pensiero non n illogico n immorale.99 Non esiste, quindi, in Heidegger una meditazione sull'agire che diventa studio sistematico della condotta dell'uomo, dei criteri di giudizio sui comportamenti e le scelte in riferimento ha orizzonti valoriali:1010 voler trovare un'etica siffatta riteniamo sia un artificio ermeneutico, una forzatura e una patente incapacit di lettura dei suoi scritti. Vi un'etica, in qualche modo, prima dell'etica;1111 prima del dogmatico irrigidimento disciplinare, prima della divisione dei compiti della filosofia,1212 prima dell'erranza metafisica, prima della grande dimendicanza: quella dell'essere e della sua verit. Guadagnato questo piano secondo cui una morale stricto sensu non si manifesti e non possa necessariamente esservi nel Nostro, vogliamo, continuando questo sentiero, far emergere un'etica originaria proprio riproponendo la questione radicale, forse l'unica realmente fondamentale, quella dell'essere1313 e di un pensiero adeguato al suo appello. Un'etica non umanistica, distinta e distante da quella disciplina umana troppo umana che ha posto il soggetto e la sua volont come contrappunto alla responsabilit nell'agire.1414 La ricaduta potrebbe essere una morale antiumana o disumana non cos, giungiamo invece ad un'ethos del pensiro che ridefinendo l'essenza dell'uomo, lo assegna all'ascolto della parola o del linguaggio dell'essere,1515 lo consegna al suo limite; interpellato da questo Altro, egli (il Dasein) diviene pastore dell'essere1616 nell'e(k)-statico stare-dentro nella verit dell'essere:1717 una nuova ritrovata autenticit, un nuovo essenziale radicamento nella radura (Lichtung) dell'essere.1818 In tale con-vocazione dell'uomo al rapporto fondante con l'essere nell'ascolto memorante1919 del suo linguaggio, riteniamo la speculazione heideggeriana profondamente etica: se con questo nome si pensa il soggiorno dell'uomo, allora il pensiero che pensa la verit dell' essere come elemento iniziale dell'uomo in quando e(k)-sistente gi in s l'etica originaria.20 Il suggestivo detto eracliteo ethos anthropo daimon2121 viene cos tradotto da Heidegger con il soggiorno (solito) per l'uomo l' ambito aperto per il presentarsi del dio (dell'insolito):2222 rispetto a questo soggiornare ed a questa apertura un' etica originaria viene fondata ed in questa fondazione (termine heideggerianamente infelice) trova la sua vincolatezza nella virt suprema, quella di un pensiero che pensa (fa memoria di) ci che essenzialmente da pensare, l'essere ovvero del cercato.23 Se rimanessimo ancorati al giudizio comune dell'assenza di un prospettiva propriamente etica e se sostenessimo con

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17Heidegger che la dottrina di un pensatore e ci che (in questa) rimane non detto2424 la conclusione, ci pare, sarebbe affermare la presenza di un ethos che anima dal profondo (una profondit spesso inattingibile) la sua ricerca instancabile sul senso dell'essere, insomma una sorta di spina nella carne. Tuttavia si rimarr sempre perplessi rispetto ad affermazioni come queste: le tragedie di Sofocle nascondono nel loro dire l'ethos in modo pi iniziale delle lezioni di Aristotele sull'etica;2525 tale giudizio ci pare sbrigativo rispetto a quelle lezioni che risulteranno essere l'apice della filosofia pratica classica e uno dei monumenti della storia del pensiero occidentale.2626 Peraltro alla speculazione aristotelica Heidegger non manc di attingere a piene mani,2727 testimonianza ne sono i corsi tenuti a Friburgo (1919-23) e a Marburgo2828 (1923-28). , poi, sorprendente notare come a tali corsi parteciparono alcuni tra coloro che daranno vita, tra gli anni Sessanta e Settanta in Germania, a quel fenomeno culturale che Karl-Heinz Ilting defin Riabilitazione della filosofia pratica2929 ovvero quell'ampio dibattito intorno ai problemi della prassi,3030 nato come reazione alla incapacit delle scienze umane di fornire un fondamento razionale all'etica ed alla politica.31 Ci riferiamo a H. G. Gadamer, Hannah Arendt, Joachim Ritter, Hans Jonas; indiscussi protagonisti di questo dibattito, sono stati annoverati con intento marcatamente critico al cos detto neo-aristotelismo; esso indubbiamente rappresenta una forte presenza del pensiero dello Stagirita nel nostro secolo. La riscoperta e la riproposizione della filosofia pratica aristotelica da parte del giovane Heidegger pu, quindi, esser letta come l'origine3232 lontana della Riabilitazione o quantomeno una forte influenza;3333 ed pur vero che la messa a frutto dell'insegnamento heideggeriano va nei suoi allievi in una direzione diversa rispetto a quella da lui originariamente intesa. Egli nell'appropriarsi delle categorie fondamentali della pratica dello Stagirita le ontologizza neutralizzandone la rilevanza strettamente morale, facendone, fin da Essere e tempo, determinazioni costitutive dell'essere del Dasein.34 1.2 Etica, Metafisica, Umanismo La disciplina che Aristotele chiam etica rimanendo chiusa nel circolo della metafisica ne subisce lo stesso rifiuto; un rifiuto pesante, frutto del giudizio complessivo e senza appelli che Heidegger da allo sviluppo della filosofia in occidente: essa , da Platone fino al compimento nietzscheiano, storia dell'oblio dell'essere3535 e della sua verit,3636 del privilegiamento della dimensione temporale della presenza,3737 della riduzione dell'essere ad ente,3838 della posizione dell'uomo a fundamentum inconcussum veritatis3939 attraverso una ragione rappresentativa e calcolante che si muove verso l'assicurazione dominante del mondo.40 L'etica viene considerata una disciplina umanistica4141 ed in quanto tale metafisica: ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se stesso a fondamento di una metafisica.4242 L'umanismo pone, secondo Heidegger, la domanda sull'essenza dell'uomo tradizionalmente, esso presuppone gi, sia consapevolmente sia inconsapevolmente, l'interpretazione dell'ente, senza porre la questione della verit dell'essere.4343 L'umanismo rimane imbrigliato nello strutturarsi della metafisica occidentale come onto-teo-logia,4444 ne condivide questi tre errori: essere onto, cio rappresentando l'essere lo rende disponibile al soggetto (tale disponibilit si sostanzia nell'era atomica nello sfruttamento tecnico/cibernetico4545 ); teo, perch dalla ricerca dei fondamenti e delle giustificazioni principiali si passa a quella del fondamento primo, al Super ente,4646 a Dio; logica perch il pensare ragionare e il pensiero non distinto dalla ratio.4747 Ci si muove nella notte dove l'essere obliato e con esso il fondamentale rapporto che lo lega all'uomo nella sua e(k)-sistenza;4848 esiliato dalla verit dell'essere ovunque l'uomo gira attorno a se stesso come animale razionale4949 . La filosofia finitistica ed immanentistica che l'umanismo rappresenta non va oltre questo piano meramente antropologico, esso non pone l'humanitas dell'uomo a un livello abbastanza elevato.5050 Dunque, quale concezione avere di tale humanitas? La lettera del Beaufret5151 propone la questione, in un tempo storico in cui i disastri della guerra e gli orrori di Auschwitz impongono una decisa domanda di senso, una meditazione della vita offesa;5252 diventa per Heidegger la necessit di salvare l'essenza dell'uomo tenendo desto il pensiero, oltre l'impoverimento, lo svanimento5353 ed il disorientamento contemporaneo, nella consapevolezza che morali e virt sarebbero oramai inadeguate all'agire

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18planetario dell'umanit.5454 La domanda che fare? cede il posto alla radicalit necessaria, in questo tempo preoccupante, della domanda sul pensare e della sua adeguatezza rispetto all'eventuarsi dell'essere; prima della questione che "prima facie" la pi prossima ed la sola ad apparire pressante, ovvero "cosa dobbiamo fare? ", ci chiediamo: "come dobbiamo necessariamente pensare?.5555 evidente come la prospettiva ontologica sovrasti in maniera travolgente quella pratica fin da Essere e tempo. L'umanismo non domanda della verit dell'essere e meno ancora dell'appartenenza a questa dell'esserci; l'uomo ridotto ad un ente tra gli altri, definitivamente cacciato nell'ambito essenziale dell'animalitas;5656 posto come categoria nella padronanza dell'ente, perde il riferimento autentico della sua humanitas ovvero lo stare nell'aperto dell'essere. Questo pensare metafisico non coglie nella situativit ("ci") dell'esserci la fondamentale apertura che lo rende custode e pastore dell'essere. L'appello dell'essere alla sua custodia diventa un richiamo all'autenticit della risposta; qui, forse, vi sono i margini per una problematizzazione della scelta: Heidegger non andr oltre preoccupandosi di non cadere nella riduzione dell'essere a valore:5757 errore tipico di ogni prospettiva morale. Rispetto alla definizione classica della humanitas centrata sulla specificazione data dalla ragione, l'umilt del pastore risulta essere un plus, la cui dignit consiste nell'esser chiamato dall'essere stesso a custodia della sua verit;5858 una convocazione co-essenziale alla gettatezza del progetto che l'esser-ci risulta essere.5959 Affiora la fondante relazione ontologica che lega l'uomo all'essere e l'essere all'uomo: L'uomo, nella sua essenza secondo la storia dell'essere, quell'ente il cui essere, in quanto e-sistenza, consiste nell'abitare nella vicinanza dell'essere.60 Nella traduzione heideggeriana del frammento eracliteo (Ethos anthropo daimon), il soggiorno dell'uomo apertura per la manifesta vicinanza all'insolito, ma non forse l'essere ci che pi vicino all'uomo di qualunque ente [...] eppure questa vicinanza resta per l'uomo ci che pi lontano.6161 Un ethos del soggiornare, ci pare, sia in qualche modo tracciato, non una morale ordinaria ne un'etica tout court, queste subirebbero il destino nichilistico della metafisica in quanto ad essa coappartenenti. Emerge qui come altrove l'esigenza dello Heidegger maturo di considerare queste questioni tentando un nuovo inizio, ripercorrendo l'arcaicit del principio, ridefinendo i compiti della filosofia stessa, nella certezza che il corrispondere iniziale, compiuto propriamente, il pensiero,6262 infatti solo se l'uomo attende alla verit dell'essere come pastore dell'essere, pu attendere un avvento del destino dell'essere senza scadere nella mera volont di sapere.63 La nostra, gi dichiarata, prospettiva con la quale riteniamo di dover trattare la questione dell'etica in Heidegger e dei suoi rapporti con la prassi, ci ha portato a sostenere la presenza di un'etica sui generis, originaria, consistente nel pensiero stesso dell'essere, un pensiero che pensa essenzialmente la verit dell'essere. Indubbiamente, questa lettura risulta sbilanciata verso la produzione heideggeriana post-Kehre, la quale ci pare pi che un capovolgimento uno svolgimento e una radicalizzazione, su un piano differente, delle posizioni precedenti manifestate dal Nostro.64 Un piano in cui non c'e' immediatamente e prevalentemente l'esserci ma innanzitutto l'e