Volte in muratura - uniroma2.it · Volte in muratura Molto vasta, come si è già potuto...

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Volte in muratura Molto vasta, come si è già potuto intravedere dal precedente breve excursus storico, è la tipologia delle volte in muratura. La geometria delle volte si presenta più o meno complessa, nelle varie forme che esse possono assumere, e quella dello stesso guscio può presentarsi a singola o a doppia calotta, collegata da costoloni radiali ecc. Altrettanto varia è la composizione della struttura interna della relativa muratura, a concrezione con inerti di diversa densità, oppure in laterizio, od ancora a concrezione con nervature interne in laterizio, ecc. Si comprende pertanto come molto complesso sia in generale il problema dell’analisi statica di tali strutture, ben più complesso di quello relativo alle strutture riconducibili ad assemblaggi di elementi monodimensionali costituiti da pilastri ed archi. Nello studio di tali sistemi strutturali si è dovuta riprendere una discussione delle ipotesi a base del comportamento della muratura, in particolare quella relativa all’ammessa non resistenza a trazione. L’esperienza storica acquisita sul comportamento di tante di queste strutture voltate ci dice infatti che queste, pur esibendo il tipico comportamento condizionato dalla bassa resistenza a trazione della muratura, presentano, di regola, il fenomeno della fessurazione in modo più dilazionato nel tempo. Facendo riferimento alle costruzioni più rilevanti, per le quali la documentazione storica è più facilmente disponibile, risulta infatti che, ad esempio, la cupola di S. Pietro cominciò a fessurarsi almeno cinquant’anni dopo il completamento della sua costruzione; analogamente, ma ancora dopo un tempo maggiore, era accaduto per la cupola di S. Maria del Fiore a Firenze. Ci sono ragioni obiettive che possono spiegare tale comportamento. Mentre per le strutture monodimensionali, ad esempio per gli archi, l’attrito non contrasta l’aprirsi delle fessure tra i giunti, di regola accade il contrario per la muratura delle strutture voltate. La Fig. 4 ricorda infatti come in un arco la fessurazione sopraggiunga col prodursi di una rotazione relativa tra due sezioni dell’arco, quelle disposte a cavallo della lesione: attraverso la sezione fessurata continua pertanto a trasmettersi lo sforzo assiale e di conseguenza permane la resistenza allo scorrimento a taglio.

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Volte in muratura Molto vasta, come si è già potuto intravedere dal precedente breve

excursus storico, è la tipologia delle volte in muratura. La geometria delle volte si presenta più o meno complessa, nelle varie forme che esse possono assumere, e quella dello stesso guscio può presentarsi a singola o a doppia calotta, collegata da costoloni radiali ecc. Altrettanto varia è la composizione della struttura interna della relativa muratura, a concrezione con inerti di diversa densità, oppure in laterizio, od ancora a concrezione con nervature interne in laterizio, ecc. Si comprende pertanto come molto complesso sia in generale il problema dell’analisi statica di tali strutture, ben più complesso di quello relativo alle strutture riconducibili ad assemblaggi di elementi monodimensionali costituiti da pilastri ed archi.

Nello studio di tali sistemi strutturali si è dovuta riprendere una discussione delle ipotesi a base del comportamento della muratura, in particolare quella relativa all’ammessa non resistenza a trazione. L’esperienza storica acquisita sul comportamento di tante di queste strutture voltate ci dice infatti che queste, pur esibendo il tipico comportamento condizionato dalla bassa resistenza a trazione della muratura, presentano, di regola, il fenomeno della fessurazione in modo più dilazionato nel tempo. Facendo riferimento alle costruzioni più rilevanti, per le quali la documentazione storica è più facilmente disponibile, risulta infatti che, ad esempio, la cupola di S. Pietro cominciò a fessurarsi almeno cinquant’anni dopo il completamento della sua costruzione; analogamente, ma ancora dopo un tempo maggiore, era accaduto per la cupola di S. Maria del Fiore a Firenze.

Ci sono ragioni obiettive che possono spiegare tale comportamento. Mentre per le strutture monodimensionali, ad esempio per gli archi, l’attrito non contrasta l’aprirsi delle fessure tra i giunti, di regola accade il contrario per la muratura delle strutture voltate. La Fig. 4 ricorda infatti come in un arco la fessurazione sopraggiunga col prodursi di una rotazione relativa tra due sezioni dell’arco, quelle disposte a cavallo della lesione: attraverso la sezione fessurata continua pertanto a trasmettersi lo sforzo assiale e di conseguenza permane la resistenza allo scorrimento a taglio.

Figura 4 – L’aprirsi di una lesione tra due sezioni di un arco conserva la resistenza allo slittamento.

Nel caso di una struttura voltata la fessurazione si presenta invece

con aspetti molto diversi. Se facciamo riferimento ad esempio ad una cupola, ma la situazione è analoga in tante altre strutture voltate, la fessurazione si presenta con il comparire di fratture verticali: queste, come vedremo, sono conseguenti al superamento della resistenza a trazione da parte delle sollecitazioni di cerchiamento agenti lungo i paralleli nella zona inferiore della cupola. All’atto della fessurazione le file dei laterizi devono slittare una rispetto all’altra (Fig. 5). Tale scorrimento è contrastato dalla resistenza ad attrito che si sviluppa sui letti orizzontali soggetti alla compressione meridiana. Ciò implica il prodursi di una resistenza a trazione che non è dipendente né da una resistenza di adesione tra malta e laterizi, o blocchi, né dalla resistenza a trazione della malta.

Figura 5 – La compressione meridiana contrasta, a causa dell’attrito tra le file di laterizi, la fessurazione verticale.

La fessurazione potrà allora avvenire solamente quando tale

resistenza d’attrito viene vinta: ciò accade, di regola, a causa del propagarsi dell’umidità all’interno del corpo murario – che riduce gradualmente la resistenza d’attrito nella muratura ed impoverisce le

malte – o anche col sopraggiungere di improvvise azioni dinamiche. Le sollecitazioni nelle volte sono inoltre molto contenute. Tutto ciò spiega come nelle strutture voltate la fessurazione si verifichi di regola solo dopo tempi più o meno lunghi e solo con il permanere nel tempo della sollecitazione di trazione. Tali considerazioni implicano che in una prima fase, che può durare anche diverse decine di anni, le volte in muratura si comportano come solidi più o meno monolitici, costituiti da materiale elastico, in grado di sostenere sollecitazioni sia di compressione che di trazione. C’è quindi, per tali strutture, un regime transitorio linearmente elastico, condizionato da una fessurazione latente a cui segue un regime statico definitivo, regolato dalla non resistenza a trazione. Solo quest’ultimo comportamento caratterizza le reali capacità resistenti della copertura e rivela se questa, unitamente alle sue strutture di sostegno, è in grado o non, di sostenere i propri carichi. I quadri fessurativi indotti dalle sollecitazioni di trazione presenti nello stato iniziale possono quindi fornire utili indicazioni sui caratteri dei modelli resistenti definitivi delle volte.

La struttura voltata su cui le precedenti considerazioni trovano immediato riscontro è la cupola ma, come si vedrà più avanti, ad essa si rifanno i comportamenti di tante altre tipologie di volte quali, ad esempio, la volta a botte, la volta a crociera e quella a padiglione.

Lo stato di sollecitazione definitivo si sviluppa col venir meno della resistenza a trazione della muratura e quindi appena si attiva la prima fessurazione. In una cupola, ad esempio, appena si verifica la prima frattura meridiana, si azzerano le sollecitazioni di cerchiamento lungo l’intero sviluppo dei paralleli attraversati dalla linea di frattura.

Nello stato iniziale una struttura voltata che si eleva innalzandosi verticalmente dalle sue strutture di sostegno, non spinge su queste. Al contrario, il passaggio dallo stato di sollecitazione iniziale a quello finale comporta la mobilitazione della spinta. È questa che impegna le strutture di sostegno della volta, che devono quindi essere in grado di sostenerla.

Il mobilitarsi della spinta col prodursi della fessurazione della volta comporta certamente la deformazione ed anche l’eventuale fessurazione delle strutture di sostegno della volta e quindi la conseguente ulteriore deformazione della volta stessa. Quest’ultima

può essere descritta, come precedentemente analizzato, mediante meccanismi di cedimento che comportano l’attivarsi dello stato di minima spinta, secondo quanto si è detto al cap. II.

La volta segue, deformandosi con un meccanismo, tali movimenti, pur conservando il proprio stato di equilibrio e mobilitando la minima spinta sulle sue strutture di sostegno. Non c’ è quindi nessuna perdita di equilibrio nella volta con il prodursi del cedimento dei suoi vincoli.

Tale condizione di minima spinta è tipica in tante altre strutture ed in particolare nei muri di sostegno: questi, a causa della loro stessa deformazione indotta dalla spinta del terreno, attivano in questo il cosiddetto stato attivo di sollecitazione, caratterizzato dal mobilitarsi della minima spinta.

Da tali considerazioni cominciano ad emergere le linee centrali del metodo con cui viene qui affrontato lo studio del comportamento statico delle volte in muratura sotto l’azione dei carichi permanenti, costituenti certamente la loro condizione principale di carico.

È lo stato di sollecitazione iniziale che segna la geometria del quadro fessurativo di partenza e che caratterizza il modello resistente della volta nel suo assetto statico definitivo.

Il regime statico iniziale, che prevede la presenza di sollecitazioni di trazione nella muratura, può essere studiato attraverso l’analisi del semplice stato di sollecitazione di membrana. Ciò consente di semplificare notevolmente la ricerca dello stato di equilibrio interno nella volta nel suo primo assetto statico. Come si vedrà più avanti, i modelli resistenti delle strutture voltate che potranno così individuarsi presentano una loro coerenza statica e sono in grado di interpretare gli aspetti meccanici essenziali del problema.

Le varie Sezioni di questo capitolo trattano delle volte sferiche, di quelle a botte, a crociera ed a padiglione. In tali Sezioni verranno premesse valutazioni degli stati di sollecitazione membranale e dei conseguenti possibili quadri fessurativi: questi ultimi consentiranno di dare delle utili indicazioni sulla definizione dei modelli resistenti definitivi delle varie tipologie di volta. Di regola in tutte le volte con direttrice a tutto sesto il verificarsi della fessurazione della volta comporta il prodursi della spinta. Questa induce una deformazione addizionale delle strutture di imposta della volta ed una conseguente deformazione della volta stessa che si adatta, anche con deformazioni

quasi impercettibili, mobilitando idonei meccanismi, al movimento delle sue imposte. Ciò comporta l’instaurarsi di stati di minima spinta nella volta. 2. Statica del guscio di rivoluzione. Equilibri membranali.

Lo studio della statica della cupola in muratura richiede un’analisi

preliminare degli equilibri membranali che rappresentano lo stato tensionale iniziale della volta. Questi, per il caso di volte sferiche sotto carichi anch’essi assialsimmetrici, chiamano in causa un comportamento strutturale caratterizzato da una grande rigidezza e resistenza, la cosiddetta resistenza di forma. Tale effetto è d’altra parte compromesso dalla bassissima resistenza a trazione della muratura: il venir meno di tale resistenza sconvolge lo stato di sollecitazione membranale e sviluppa al suo interno, in presenza di quadri fessurativi, stati tensionali puramente compressivi, mobilitando sistemi resistenti ad arco lungo i meridiani.

In una cupola sotto carichi a simmetria assiale lo stato di sollecitazione iniziale è sostanzialmente quello membranale. A causa della doppia curvatura la cupola sviluppa così inizialmente resistenza di forma, tipica dei gusci.

Con il termine guscio si vuole qui intendere un elemento strutturale a doppia curvatura gaussiana positiva, la cui caratteristica tipica è quella di presentare una geometria a calotta di rivoluzione e di essere costituito da materiale resistente anche a trazione. Si comprende quindi l’elevata rigidezza e resistenza di tale struttura.

Dal punto di vista geometrico una cupola o un guscio a calotta può essere immaginato costituito da una serie di archi o di spicchi, tutti identici, collegati da fasce di paralleli. Questi ultimi e particolarmente quelli alla base, costituiscono cerchiature che impediscono l’aprirsi della cupola. Ogni azione assialsimmetrica che tende a deformare la calotta, e quindi a produrre allargamento o contrazione degli anelli, è fortemente contrastata dagli anelli stessi. Questi ultimi devono uniformemente allargarsi o contrarsi e quindi esplicare la loro piena rigidità estensionale.

Figura 1 – La cupola costituita dall’assemblaggio di strisce disposte lungo i

meridiani e i paralleli: l’effetto frenante, in regime membranale, dei paralleli alla flessione delle strisce meridiane

Sotto l’azione dei carichi, come detto a simmetria assiale, la

deformazione della calotta tende a flettere gli spicchi meridiani, ma è frenata dalla deformazione degli anelli. Molto deboli devono quindi risultare le inflessioni degli spicchi meridiani. Di conseguenza esigue sono le azioni flettenti. Lo stato di sollecitazione dominante è quindi quello estensionale, caratterizzato dalla presenza di sollecitazioni sostanzialmente uniformi nello spessore del guscio. Si esamineranno pertanto i caratteri più significativi di questo particolare stato di sollecitazione.

In presenza di carichi assialsimmetrici, cioè simmetrici rispetto all’as-se di rivoluzione del guscio, lo stato di sollecitazione presente sulla superficie media del guscio è costituito solo dagli sforzi

, N Nφ θ (4)

costituenti le risultanti, lungo lo spessore del guscio e su una fascia di lunghezza unitaria delle tensioni φσ e θσ che si esercitano lungo le coordinate φ e θ , ovvero rispettivamente lungo le tangenti ai meridiani ed ai paralleli. Le dimensioni delle (4) sono quindi quelle di una forza per unità di lunghezza. Gli sforzi agenti sull’elemento di superficie di area dA sono indicati nella Fig. 3.

Q

Figura 3 – Sollecitazioni membranali sull’elemento di guscio sferico in

condizione di carico assialsimmetrica.

Gli sforzi Nφ sono variabili lungo i meridiani, mentre gli sforzi Nθ , a causa della simmetria assiale, sono costanti lungo lo stesso parallelo, ma variabili con φ. Le incognite interne sono quindi due e due sono le equazioni di equilibrio dell’elemento. Il problema della determinazione degli sforzi , N Nφ θ si presenta quindi isostatico.

Più semplice è ricavare direttamente gli sforzi Nφ attraverso la soluzione di una equazione di equilibrio globale, nella quale figura la sola Nφ , e che esprime l’equilibrio alla traslazione verticale della generica calotta del guscio di rivoluzione, così come rappresentato in Fig. 5.

Figura 5 – L’equilibrio alla traslazione verticale della generica calotta.

Q(φ)

Nφαφ

r

N rdφ ϑ

..N rdφ ϑ +φ

1r

1N r dθ φ

1dW srd r dγ θ φ=

Z

Y 2r

Il peso ( )Q φ che rappresenta la risultante di tutte le forze agenti sulla calotta individuata dall’angolo φ, è sostenuto dalle componenti verticali degli sforzi meridiani Nφ distribuiti lungo il parallelo alla colatitudine φ. Si ha allora l’equazione

( ) 2 sin 0Q N rφφ π φ− = (9)

da cui si ricava ( )

2 sinQNrφ

φπ φ

=

(10)

La soluzione membranale, ottenuta analiticamente per una cupola–

guscio di spessore costante e soggetta al solo peso proprio, può essere

Figura 6 – L’andamento degli sforzi Nθ nella sezione meridiana del guscio cupola

semisferico sotto peso proprio. analogamente ricavata per via grafica, come necessariamente dovrà

farsi nel caso più complesso di cupola a spessore variabile ed a superficie media non semisferica. In tal caso si considera uno spicchio di cupola, del tipo di quello descritto nella Fig. 7, che viene suddiviso in tanti conci di ognuno dei quali si valuta il peso e la posizione del relativo baricentro. Le forze peso dei singoli conci vengono così applicate nei relativi baricentri.

Figura 7 – Lo spicchio di cupola.

L’analisi inizia dalla sezione di chiave dello spicchio. Considerando quindi il primo concio a partire da tale sezione, si determina la componente orizzontale risultante delle azioni trasmesse dai paralleli sulle facce laterali dello spicchio superiore per il tratto interessato dal concio stesso: ciò in modo che la risultante tra questa forza orizzontale ed il peso del concio risulti diretta lungo la congiungente il baricentro del concio di chiave con il baricentro del concio successivo. Si opera poi sul secondo concio. Si determina così la risultante delle spinte esplicate dai paralleli interessati dal secondo concio in modo che la risultante delle azioni trasmesse dal primo concio, composta col peso del secondo concio e dalla suddetta risultante delle spinte dei cerchi paralleli, sia diretta lungo la congiungente dei baricentri del secondo e del terzo concio e così via (Fig. 8).

Figura 8 – Sforzi membranali ottenuti per via grafica mediante risultanti successive.

Nella parte superiore del guscio lo stato di sollecitazione agente lungo i conci dello spicchio meridiano risulta sempre di compressione e diretto lungo l’asse dello spicchio. Così come per la soluzione analitica, affinché la risultante delle forze sia ancora diretta lungo l’asse dello spicchio, ad un certo concio può accadere che la risultante delle azioni trasmesse dai cerchi paralleli debba risultare di trazione, così come rappresentato nella Fig. 8. Ciò non è possibile a causa dell’ammessa incapacità della muratura a sostenere sollecitazioni di trazione.

Solo nella parte superiore della calotta sia gli sforzi lungo i meridiani che quelli diretti lungo i paralleli sono di compressione. Ciò vale per ogni geometria della curva meridiana.

Tale situazione è quindi profondamente diversa da quella dell’arco per il quale è possibile una soluzione di compressione uniforme solo se, trascurando la deformazione estensionale dell’arco, la curva d’asse dell’arco ha una forma particolare, quella della funicolare dei carichi su di esso agenti.

Come abbiamo visto precedentemente un arco può essere intuitivamente considerato come un particolare filo che, inizialmente teso, viene rovesciato. Se immaginiamo infatti di congelare il filo e poi di

capovolgerlo, esso resterà in equilibrio sotto gli stessi carichi che prima agivano sul filo ora rovesciato. Poiché il filo cambia la sua forma a seconda del numero, dell’intensità e della posizione delle forze che lo sollecitano, esiste un’unica curva funicolare che il filo teso può assumere sotto un assegnato sistema di forze. Conseguentemente esisterà una sola forma dell’arco che risulta puramente compressa sotto un dato sistema di carichi. Mentre il filo è flessibile e può cambiare la sua forma quando i carichi agenti su di esso vengono modificati, l’arco è invece rigido e non può comportarsi nello stesso modo. Esso quindi, fin quando possibile, sosterrà ogni nuovo sistema di forze variando la sua curva delle pressioni mediante una sollecitazione composta di compressione e di flessione. Una più o meno elevata inflessione dell’arco si accompagna all’allontanarsi della curva delle pressioni dall’asse dell’arco per la sua ben più elevata deformabilità flessionale rispetto a quella estensionale.

È qui che il guscio presenta un vantaggio addizionale rispetto all’arco. Tale aspetto, che evidenzia la grande rigidità e resistenza di forma delle cupole guscio, trae origine dal fatto che le strisce lungo i paralleli sono in grado di funzionare come funicolari di un carico radiale uniforme di qualunque intensità. Queste strisce assumono una componente radiale del carico esterno di valore tale da lasciare alle strisce meridiane, qualunque sia la loro forma, quelle forze delle quali esse sono la funicolare. Ciò accade in generale in presenza di sollecitazioni lungo i paralleli di compressione e poi di trazione. Ciò spiega la grande rigidezza e resistenza delle strutture a guscio, sempre che il materiale di cui sono costituite sia in grado di assorbire anche sforzi di trazione. Tali considerazioni sono estrapolate da una lucida analisi sul comportamento dei gusci di O. Belluzzi (1955). 3. Fessurazione meridiana e statica delle cupole in muratura. 3.1 Dallo stato membranale a quello di pressoflessione meridiana

La cupola si fessura quando le sollecitazioni di trazione che si

esercitano lungo i suoi paralleli, disposti verso l’imposta, raggiungono intensità pari alla debole resistenza a trazione della muratura.

In assenza dell’azione di cerchiamento esplicata dai paralleli inferiori tesi, l’equilibrio membranale si perde e si formano lesioni lungo i meridiani: queste investono una fascia di cupola ben più alta di quella interessata dalle sollecitazioni di trazione relative all’equilibrio membranale. Le lesioni meridiane si propagano quindi in alto, molto al di sopra della colatitudine φ = 51°,8 che segna l’inversione di segno degli sforzi Nθ relativi alla soluzione (14) (Fig. 9). Queste lesioni possono essere di numero variabile: una sola è già sufficiente a rompere l’azione cerchiante degli anelli. Come andremo a vedere più avanti, solo quattro lesioni meridiane principali

sono, ad esempio, presenti

nella cupola del Brunelleschi, mentre nel Pantheon le lesioni meridiane sarebbero quattordici. Dello stesso numero sarebbero state quelle riscontrate nel Settecento nella cupola di S. Pietro.

Figura 9 –Lesioni tipiche lungo i meridiani della cupola muraria soggetta a peso

proprio. La cupola, fessurandosi, si dilata nella sua fascia inferiore per una larghezza di notevole ampiezza e si suddivide in tanti spicchi che si comportano, a due a due, come archi indipendenti. In buona parte della superficie della cupola vengono quindi meno gli sforzi Nθ ed i soli sforzi meridiani Nφ non riescono ad assicurare l’equilibrio se si mantengono ancora diretti lungo la linea media degli spicchi. La curva delle pressioni, lungo la quale agiscono gli sforzi Nφ , si inclina sull'orizzontale ed abbandona la superficie media della cupola. Al verificarsi della fessurazione meridiana si produce quindi un profondo

cambiamento nel regime statico della cupola. Gli spicchi di cupola, che tendono a divaricarsi, trasmettono ora una spinta al tamburo.

La Fig. 10 descrive schematicamente lo stato di sollecitazione che si attiva in una cupola sferica che, fessurandosi, si suddivide in spicchi. Nella figura si può vedere come la curva delle pressioni, abbandonando la linea media dello spicchio, alle imposte risulta inclinata rispetto alla verticale: la componente orizzontale dell’azione esercitata all’imposta e rapportata alla larghezza dello spicchio alla sua base costituisce la spinta S della cupola per unità di lunghezza della circonferenza di imposta.

Figura 10 – L’insorgere della spinta per il prodursi della fessurazione meridiana.

Proprio nel prodursi di una spinta alla base risiede la conseguenza

statica più rilevante della fessurazione meridiana della cupola muraria più tipica, quella a direttrice a tutto sesto. La spinta impegna più o meno intensamente le strutture di sostegno della cupola, costituite dal tamburo e dai sottostanti pilastri. Queste strutture, pertanto, non devono assorbire solo carichi verticali, ma anche spinte radiali. Sotto tali spinte esse si deformano allargandosi quindi radialmente. In definitiva, col fessurarsi della cupola lungo i meridiani, ogni spicchio di cupola riceverà solo in una piccola zona cerchiata di colmo l’azione spingente esercitata dagli altri spicchi e questa si trasmetterà fino alla sua base. In tali condizioni lo spicchio non è più frenato nella sua deformazione dai cerchi paralleli e si inflette sotto l’azione della pressoflessione meridiana. Se la cupola ed il relativo sottostante tamburo non fossero ben proporzionati nel loro spessore in relazione

S S

V V

alla distribuzione dei pesi, ad esempio per un eccessivo peso della lanterna, all’atto della fessurazione meridiana la cupola potrebbe andare anche al collasso.

Figura 11 – Meccanismi simmetrici di collasso per lo spicchio di cupola. Il primo comporta la pura traslazione verticale della zona centrale, il secondo la contemporanea rotazione.

La Fig. 11 mostra due diversi meccanismi di collasso per gli spicchi di cupola: il primo comporta l’abbassamento uniforme di tutta la parte centrale, il secondo l’abbassamento e la rotazione delle parti superiori dello spicchio: in questo secondo meccanismo non è stata considerato presente il cupolino. La Fig. 12 descrive invece il meccanismo con cui la cupola si adatta ad un lieve allargamento delle sue imposte. Questo comporta anch’esso lo sviluppo sia di lesioni meridiane passanti che di lesioni circumferenziali non passanti, situate queste ultime, superiormente, all’ intradosso e, inferiormente, all’ estradosso. Le lesioni all’estradosso non sono immediatamente riconoscibili in quanto l’estradosso della cupola è ricoperto, molto frequentemente, da un manto di piombo.

Figura 12 – Meccanismo simmetrico da cedimento delle imposte della cupola. Le lesioni circumferenziali all’intradosso possono comparire molto

in alto, frequentemente all’attacco della cupola con l’anello di chiusura, e possono quindi risultare di più difficile identificazione. Il meccanismo di Fig. 12, d’altra parte, può anche descrivere un meccanismo di collasso della cupola per sopravvenuto cedimento delle sue strutture di imposta.

Per esprimere un giudizio sul livello di sicurezza della cupola fessurata occorre considerare l’entità e la geometria del suo quadro fessurativo.

Se le lesioni meridiane sono sottili, quasi capillari, lo scarico elastico delle fasce dei paralleli nella zona inferiore della cupola, che si produce in seguito al prodursi della fessurazione meridiana, compensa l’allargamento dei cerchi paralleli dovuto all’aprirsi delle lesioni. Ciò può essere immediatamente riscontrato tenendo presente che, dalla (14), alla base della cupola, come già detto, lo sforzo Nθ è di trazione e vale γ sR. La tensione di trazione σθ è quindi γR. Allora, ad esempio, con R = 15 m, γ = 1,6 t/mc, risulta σθ = 2,4 kg/cmq. Allo scarico della σθ si produce una deformazione contrattiva εθ pari a σθ /Em, avendo indicato con Em il modulo di elasticità della muratura. Se assumiamo ragionevolmente Em = 50000 kg/cmq, risulta εθ = 2,4/50000, pari all’incirca a 0,5 x 10–4. La circonferenza alla base della cupola si restringerebbe, a causa dello scarico degli anelli tesi, della quantità complessiva di 0,5 x 10–4 x 2π x 15 m = 4,7 mm. Se allora compaiono quattro fratture meridiane, ciascuna di queste dovrà avere mediamente ampiezza di circa 4,7 /4 = 1,1 mm, in modo da recuperare la

contrazione degli anelli: in tal caso le lesioni sono appena percettibili. Se invece le lesioni meridiane sono in maggior numero o di

maggiore ampiezza, vuol dire che è intervenuto anche l’allargamento del tamburo di base a contribuire alla deformazione della cupola.

Il calcolo della spinta della cupola e la valutazione del livello di sicurezza che presentano le sue strutture di sostegno consentiranno di valutare effettivamente se l’assetto statico della cupola è o non è sufficientemente stabile. Nello studio di alcuni rilevanti esempi di cupole si vedrà come effettivamente la cupola di S. Pietro in Roma sia stata nel passato in precarie condizioni di sicurezza. 3.2. Verifica di stabilità della cupola

Il collasso della cupola sotto il proprio peso si attiva quando il

lavoro spingente, dovuto ai pesi della cupola distribuiti nella sua zona centrale, e quindi con incluso il peso della lanterna, eguaglia il lavoro resistente prodotto dai pesi della cupola distribuiti nella fascia di bordo. Se il meccanismo coinvolge anche il tamburo, nel lavoro resistente figurerà anche quello compiuto dal peso del tamburo.

Nella Fig. 13 è rappresentato schematicamente un meccanismo di collasso che coinvolge anche il tamburo; in questa figura la quota del peso della lanterna, relativa allo spicchio di cupola considerato, è indicato con QL ed è affetto dal moltiplicatore λ. Certamente il peso QL esplica una azione spingente ed è molto influente sullo stato di sicurezza della cupola.

Una verifica di sicurezza può allora essere effettuata facilmente determinando, ad esempio, quale sia il moltiplicatore del peso della lanterna che determina la condizione di collasso. Tale analisi si sviluppa applicando il teorema statico o il teorema cinematico dell’Analisi Limite. La verifica di sicurezza dovrà considerare tutti i possibili meccanismi, quelli che coinvolgono o quelli che non coinvolgono il tamburo, e quindi meccanismi del tipo di quelli descritti nella Fig. 13 o nella precedente Fig. 11.

Una volta effettuata tale verifica di sicurezza ed accertato che il moltiplicatore del peso della lanterna risulta sufficientemente maggiore dell’unità, può poi procedersi alla determinazione

dell’assetto statico attuale della cupola sotto la sua effettiva distribuzione dei pesi. Tale valutazione viene effettuata ipotizzando lo stato di minima spinta nella cupola.

Figura 13 – Meccanismo di collasso della cupola che coinvolge anche il tamburo.

3.3. Lo stato di minima spinta

La deformazione del tamburo prodotta dall’azione spingente della

cupola sovrastante determina un allargamento della base della cupola stessa. Tale movimento, nel contesto del modello di muratura rigido in compressione e non reagente a trazione, comporta lo sviluppo di un meccanismo che coinvolge tutti gli spicchi e consente alla cupola di adattarsi alla lieve deformazione della sua base. Ad ognuna delle curve delle pressioni, tutte contenute negli spicchi, corrisponderà una spinta esercitata alla base della cupola. Come si è precedentemente dimostrato, la curva delle pressioni che corrisponde allo stato di cedimento, che descrive quindi l’allargamento prodottosi alle imposte della cupola, è quella che determina la minima spinta tra tutte quelle contenute all’interno dello spicchio.

La minima spinta può essere determinata operando da un punto di vista statico o da un punto di vista cinematico. Dal punto di vista statico

O

A

B C

λQL

si tratta di costruire funicolari staticamente ammissibili dei carichi, cioè tutte contenute all’interno dello spicchio. È ragionevole in tal caso trascurare la piccola calotta cerchiata, che in effetti si realizza a causa della compressione dei cerchi paralleli prossimi allo zenit della cupola.

Lo spicchio si comporta come un arco che abbia subito un piccolo divaricamento alle imposte: la curva delle pressioni passa quindi in chiave all’estradosso dello spicchio. In presenza della lanterna, come detto, è presente sotto di essa un anello in muratura: l’attacco della spicchio avviene con tale anello all’estradosso dello spicchio stesso: in tal caso lo spicchio presenta due incernieramenti simmetrici all’estra-dosso, al contatto dello spicchio con l’anello superiore. Potremo allora costruire curve delle pressioni che partono da questo punto, o da questi punti, nella sezione terminale di colmo dello spicchio. Quella curva funicolare dei carichi che corre all’interno dello spicchio e che lambisce appena il suo intradosso, è la curva delle pressioni cercata.

Figura 14 – Il meccanismo di adattamento degli spicchi della cupola alla deformazione di allargamento del tamburo.

Il passaggio della curva delle pressioni, all’estradosso in chiave ed

all’intradosso verso le reni, comporta la presenza di due incernieramenti nello spicchio e quindi lo sviluppo del meccanismo che asseconda l’allargamento alle imposte. Tale curva delle pressioni è quindi ammissibile sia staticamente che cinematicamente. In tale situazione, come si è dimostrato precedentemente, la spinta corrispondente è la minima tra tutte quelle staticamente ammissibili.

Il discorso è duale dal punto di vista cinematico. Un semplice

z

O

K

μr

g

μr

K

schema di meccanismo di adattamento della cupola alla deformazione del tamburo è rappresentato nella Fig. 14. L’incognita è la posizione dell’incernieramento K. Sulla base dell’analisi svolta nella Sezione 2, la posizione della cerniera K, che corrisponde alla stato di minima spinta, può essere determinata col teorema cinematico della minima spinta, di cui al paragrafo 18.5 del Cap. 2, valutando il massimo tra tutti i valori assunti dal moltiplicatore cinematico di spinta

,( ),

g vvr v

λ < >= −

< > (15)

al variare del meccanismo v nell’insieme dei meccanismi da cedimento, cioè al massimo di λ(v) tra tutti i meccanismi v che comportano un allargamento delle imposte. Nella (15) la quantità

,g v< > esprime il lavoro dei carichi verticali per gli spostamenti verticali del meccanismo, lavoro certamente positivo, e la quantità

,r v< > il lavoro della spinta per il corrispondente spostamento orizzontale associato al meccanismo v, certamente negativo. Solo con la spinta max( ) ( )v vμ r la curva delle pressioni è tutta contenuta nello spicchio ed è tangente all’intradosso dello spicchio nel punto di incernieramento K. La ricerca del massimo della funzione ( )vλ al variare della posizione dell’incernieramento K conduce quindi alla determinazione della minima spinta richiesta. Di tale approccio si faranno numerose applicazioni più avanti. Calcolo della spinta minima con il teorema cinematico

È agevole l’applicazione del teorema cinematico della minima

spinta alla cupola spicchiata in muratura. I meccanismi da cedimento si sviluppano svincolando la cupola alle imposte, creando uno svincolo nella connessione cupola tamburo, in modo da consentire lo scorrimento orizzontale della sezione terminale di imposta. Vanno inoltre imposti incernieramenti:

– all’estradosso, lungo la circonferenza di connessione tra cupola

e cupolino, e quindi all’innesto della cupola con l’anello centrale di chiusura;

– – all’intradosso lungo una circonferenza verso le reni, come

indicato in Fig. 18. La posizione di quest’ultimo cerchio di incernieramento resta incognita e, nella Fig. 19, è indicata con l’angolo σ.

La minima spinta min Sμ è ottenuta come il massimo della funzione

min, ( )( )

g vS Max σμδ σ

< >=

(48)

al variare dell’angolo σ lungo l’intradosso della cupola. Nella (48) lo spostamento δ(σ) è assunto positivo.

Figura 19 – La ricerca della minima spinta nella cupola con il teorema cinematico.

Assumendo per l’intradosso un profilo a calotta sferica, risulta

( ) ( sin )h Rδ σ σ θ= − (49)

e la ricerca della spinta minima si incentra nella ricerca del massimo della funzione

δ(σ)

v(σ)

K

O

σ

δ

θ

v(σ)

R h

μr μr

min, ( )

( sin )g vS Max

h Rσμ

σ θ< >

=−

(48’)

. Il Pantheon

5. 2. Caratteristiche strutturali del tempio La grande cupola semisferica, di circa 43,30 m di diametro, alta

quindi 21,65 m, poggia su di un cilindro in muratura di pari altezza, sicché l’altezza interna complessiva della costruzione è di 43,30 m (Fig. 28) Il grande spessore del muro circolare, di circa 6,50 m, non consentiva di aprirvi delle finestre cosicché, per far penetrare l’aria e la luce del sole, si dispose, al sommo della cupola, un occhio, costituito da una apertura circolare di 9 m di diametro.

Il pronao, più grande di quello del Partenone di Atene, ha sedici colonne, otto di granito grigio verde ed otto di granito rosa,forse provenienti dall’Egitto, poste su tre file, che si elevano da un piano rialzato rispetto al livello della piazza e sostengono il timpano e la relativa copertura. Il diametro del fusto delle colonne, costituito da un singolo monolite che pesa oltre 50 t, è di circa 1,50 m. L’altezza del solo fusto, che presenta un’entasi, è di circa otto volte il diametro, cioè di 12 m. L’altezza complessiva delle colonne, compreso il capitello corinzio, è di circa 14 m. Le colonne d’angolo presentano, secondo le regole di Vitruvio, un diametro del fusto leggermente maggiore rispetto alle altre. Di tutte le parti costituenti la struttura del Pantheon, la Rotonda, con la relativa copertura, è quella più importante ed appare straordinaria.

Figura 28 – Sezione trasversale del Pantheon (de Fine Licht 1968). La fondazione della Rotonda è costituita da un anello continuo di

concreto, o calcestruzzo romano, della larghezza complessiva di 7,50 m e dello spessore di 4,50 m, dello stesso tipo quindi della fondazione del Colosseo. Tale anello è ricoperto da una cortina di semilateres, mattoni triangolari ottenuti dal taglio in due parti dei mattoni quadrati, i bessales, aventi lato di lunghezza pari ad un piede e mezzo romano, cioè circa 45 centimetri. In tal modo il rivestimento in mattoni risulta, attraverso la forma triangolare, incastrato nel nucleo interno e quindi molto difficilmente staccabile.

La parete cilindrica di perimetro e di sostegno della grande cupola è formata, fino alla prima cornice e per un’altezza di circa m. 12,50, da un nucleo in concreto, ottenuto quindi infiggendo scaglie di travertino e di tufo nei letti di malta, rivestito anch’esso da un paramento in semilateres. Con regolarità e alla distanza di ml. 1,20 vi sono ricorsi orizzontali di bipedales, i larghi mattoni quadrati romani di circa 60 cm di lato. Dalla prima cornice fino all’imposta della volta,

per un’altezza di circa 9,50 m, la muratura è analoga a quella dello strato inferiore, ma il nucleo in concreto è ottenuto usando come caementa frammenti di laterizio e di tufo.

La cupola in concreto presenta internamente la semplice geometria della semisfera: si può quindi immediatamente riconoscere il disegno simbolico di Archimede della sfera inscritta nel cilindro.

La definizione dell’effettiva lunghezza di questo diametro è dibattuta. La convessità del pavimento, i vani interni, le colonne sul perimetro interno, determinano infatti incertezze nella definizione del raggio della sfera. La misura riportata nella Fig. 28, di de Fine Licht, non è universalmente accettata. Un altro studioso, Mark Wilson Jones (2000), ha ricostruito l’idea geometrica di base del progetto: il quadra-to inscritto alla base della cupola, sugli assi delle colonne interne, ha lato eguale alla larghezza del portico anteriore del Pantheon, misurata tra gli assi delle colonne di estremità. Il diametro della sfera eguaglia quindi la larghezza del portico, di 150 piedi romani, pari a 150 x 0,297 = 44,55 m. La lunghezza di 44,55 m dovrebbe allora ritenersi la preci-sa misura del diametro del volume sferico interno del Pantheon e quindi fornisce l’effettiva misura del diametro della cupola.

Esternamente, invece, la forma della cupola è più complessa per ragioni strutturali. La parete cilindrica al di sopra dell’imposta, prosegue per un’altezza di circa 8 m ed esplica, con il suo peso, un’efficace azione di contenimento della spinta della cupola e di contrappeso sulla parte inferiore della parete. L’altezza totale della facciata della Rotonda risulta pari a m. 30,50. Esternamente, quindi, la cupola sembra cominciare al di sopra dell’ul-tima cornice a partire da un filo arretrato di circa 3 metri dal bordo esterno della parete. La parte inferiore dell’estradosso della cupola è terrazzata con sette gradoni; al disopra di essi l’estradosso della cupola corre parallelamente alla curva di intradosso; al centro vi è poi l’apertura circolare, l’ oculus della cupola. La volta, che si suppone essere stata costruita su di una centinatura semisferica, è costituita, dall’imposta fino all’altezza di 11,75 m, da un concreto ottenuto allettando laterizio minuto e malta con ricorsi di bipedales (Lugli, 1938).

Oltre tale livello e per un’altezza di ml. 2,25, l’ opus caementicium è realizzato con frammenti di tufo giallo e laterizio e ricorsi di

bipedales ravvicinati. Poi, fino all’anello di chiave della volta, il concreto è realizzato con frammenti di tufo e leggere scorie vulcaniche provenienti dalle aree vesuviane.

La distribuzione dei diversi materiali nella struttura della cupola è frutto di una cosciente e razionale scelta: i mattoni più pesanti ed il travertino, di maggiore densità e resistenza, sono disposti in basso; superiormente, seguono strati di materiali a densità via via decrescente come il tufo giallo, il cappellaccio, la pomice e le scorie vulcaniche. La Fig. 29 illustra la diversa composizione delle muratura della cupola.

Figura 29 – I diversi materiali di cui è composta la cupola (Lancaster, 2007). Lo spessore della cupola, di circa 6 metri alle imposte, si riduce a

1,50 m in prossimità dell’occhio, dove essa termina con un anello circolare che contiene l’apertura centrale. Questo anello, dello spessore di circa 180 cm in verticale, è costituito da due cerchi di bipedales disposti radialmente: nello spessore ognuno degli anelli è composto da tre file di mattoni posti uno sull’altro.

Tutto l’estradosso della cupola è ricoperto da semilateres disposti a taglio ed a spina di pesce e da un soprastante strato di opus signinum

— conglomerato fortemente costipato mediante battitura ed ottenuto da una miscela di piccoli frammenti di pietra e malta — che garantiva l’impermeabilità della copertura, sul quale poggiavano le tegole di bronzo dorato, oggi sostituite da una coperta di piombo.

Internamente la parte inferiore della volta è suddivisa in 28 lacunari disposti su 5 ordini, oltre i quali si trova l’ultima parte della volta con l’occhio centrale, il foro di luce. Il numero 28, caro ad Euclide, perché numero perfetto in quanto pari alla somma dei suoi divisori, va ricondotto ai giorni lunari.

Figura 30 – Gli archi di scarico presenti nella Rotonda (da Lancaster, 2007).

La divisione del cerchio in 28 parti era all’epoca un complesso problema di geometria. Il problema è ovviamente connesso a quello della divisione del cerchio in 7 parti di cui si era occupato Archimede (Martines, 1989).Le incavature quadrangolari dei lacunari assolvono anch’essi alla funzione di alleggerimento della volta. Sempre internamente, la parete cilindrica verticale sottostante la cupola è bipartita in un attico, originariamente scandito da 64 specchiature di marmi policromi incorniciate da paraste di porfido, e da un sottostante

ordine costituito da una sequenza di vani. L’anello cilindrico della parete, dello spessore di circa 6 metri, non è a struttura compatta, ma contiene cavità e camere ed è aperto verso l’interno con grandi nicchie. Vi sono otto larghe esedre, di cui due sull’asse principale, due sull’asse trasversale e le restanti quattro sugli assi diagonali. Le prime quattro hanno pianta semicircolare, eccetto quella posta nell’ingresso, mentre le altre quattro sono a pianta pressoché rettangolare. Colonne dall’interno delle esedre sostengono la trabeazione che corre al di sopra delle esedre.

Per ricavare tali vani nella parete muraria la tecnica dell’arco di scarico viene usata in modo sapiente. Archi di scarico sovrastanti i vani si intravedono infatti dall’esterno nella muratura della Rotonda ad intervalli regolari. Archi sono inoltre presenti nella muratura al di sopra delle esedre (Fig. 30).

Durante le ricerche compiute dalla Sovrintendenza ai Monumenti del Lazio, tra il 1929 ed il 1934, si poté riconoscere che la cupola non presenta costolature interne.

La cupola è quindi costruita in concreto a densità variabile, via via decrescente con l’altezza. La sua tenuta nel tempo è dovuta all’ottima fattura sia del rivestimento che del calcestruzzo e delle malte. La composizione del calcestruzzo romano, l’opus caementitium, ci è data da Vitruvio: structura ex caementis calce et harena: genus pulveris (pozzolana) mixtum cum calce et caementa.

La cupola, secondo quanto si riscontra in letteratura tecnica, sarebbe stata realizzata gettando il concreto su di una centina semisferica di legname contenente i risalti necessari per la realizzazione dei lacunari. Si può anche presumere che si sia operato con centinature anulari parziali. Si deve presumere che il getto del calcestruzzo, per tutta la parte più bassa della cupola, sia avvenuto per cerchi successivi e che il getto di un anello non venisse effettuato se quello sottostante non avesse acquisito sufficiente consistenza.

Il getto degli anelli più interni, quelli che delimitano l’oculus, avrebbe forse richiesto una centinatura più complessa. Durante alcuni lavori di manutenzione, negli anni 1881–82, vennero alla luce importanti fessurazioni nella facciata della Rotonda. Con le ricerche effettuate nel 1936 si poté approfondire lo studio dello stato di dissesto presente nelle murature del Pantheon.

Vennero così evidenziate, sia nel cilindro che nella cupola, lesioni

che erano state sottoposte ad antiche riparazioni. Le lesioni erano antiche e dovevano aver avuto origine subito dopo

il completamento della costruzione del tempio. Furono anche evidenziati antichi lavori di rinforzo delle fondazioni.

L’iscrizione di Settimio Severo posta sull’architrave del pronao, che ricorda i lavori di consolidamento del monumento “vetustate corruptum “, eseguiti nel 202 d. C, deve quindi alludere a lavori di consolidamento eseguiti sul monumento danneggiatosi poco dopo la sua costruzione. In vari punti dell’edificio i rinforzi alle pareti e agli archi vennero realizzati con mattoni che riportavano stampigliate date coincidenti con il periodo del regno di Settimio Severo e con la data dell’iscrizione. La Fig. 31 riporta le lesioni rilevate nel 1934 da Terenzio nello sviluppo della cupola.

Figura 31 – Le lesioni rilevate da Terenzio all’intradosso della cupola (de Fine Licht 1968).

5. 3. La spinta della cupola del Pantheon

Si passa ora a valutare la spinta esercitata dalla cupola del Pantheon

sul tamburo di base, ammettendo l’incapacità del conglomerato, di cui la cupola è costituita, di assorbire sollecitazioni di trazione. I quadri fessurativi, riportati nella precedente Fig. 31, testimoniano la mobilitazione della spinta, come rilevato da Terenzio.

Una volta prodottasi tale fessurazione, l’assetto statico della cupola

rimane costante e stabile nel tempo. In tale assetto, d’altra parte, la cupola esplica la sua minima spinta (Como, 2000). In quanto segue la valutazione della minima spinta della cupola del Pantheon è effettuata in linea con quella svolta dagli studenti Ferri A. e Pecci V. (1996–1997), considerando l’effettiva distribuzione dei pesi delle varie parti della cupola ed inoltre ipotizzando che si sia in essa instaurato lo stato di minima spinta So. Si è pertanto considerato uno spicchio di cupola avente un’ampiezza di 45°. Lo spicchio è stato suddiviso in 38 conci di ognuno dei quali, tenendo conto del peso specifico corrispondente del conglomerato alla relativa quota, è stato valutato il peso. La Fig. 32 riporta nella tabella allegata i pesi dei 38 conci. La somma dei pesi di tutti i conci dello spicchio considerato risulta pari a 2377,73 t: il peso W dell’intera cupola è quindi pari a W = 2377,73 x 8 = 19.021,85 t.

Figura 32 – La distribuzione dei carichi agenti sullo spicchio di cupola. È interessante inoltre osservare come il peso della cupola risulti

fortemente concentrato verso le imposte. Ciò ha conseguenze notevoli nei riguardi dell’entità della spinta esplicata dalla cupola.

Nelle Figg. 33 e 34 sono riportate le curve delle pressioni corrispondenti a diverse localizzazioni dei punti di partenza della

curva alle imposte e in chiave. La curva di minima spinta So è la curva C3. Da tali figure si nota come le curve delle pressioni non intercettino le forze peso più esterne. Esse possono infatti intercettarle solo al di sotto dell’imposta. È il peso dell’elevazione della parete muraria del tamburo, che si eleva sapientemente al di sopra dell’imposta, a deviare ulteriormente la curva delle pressioni all’interno della Rotonda al di sotto dell’imposta.

La curva delle pressioni corrispondente alla spinta minima Smin tra tutte quelle staticamente ammissibili, cioè contenute nello spessore della cupola, è quella che passa, all’estradosso, per il punto di attacco della cupola con l’anello centrale superiore e per il punto di tangenza all’intradosso, localizzato tra le reni e le imposte. La curva C3 risulta così tangente all’intradosso e all’estradosso della cupola, in modo da determinare la possibilità di una deformazione da meccanismo che asseconda il piccolo allargamento all’imposta, derivante dalla deformazione del tamburo.

Figura 33 – Curve delle pressioni C1, C2, C3.

Figura 34 – Curve delle pressioni D4, D5, D6.

Per lo spicchio considerato, pari ad 1/8 dell’intera cupola, dai

calcoli effettuati la spinta è pari a 186,22 t. Il valore calcolato di tale spinta è stato anche controllato utilizzando il metodo cinematico di minima spinta discusso al par. 5.5 della Sez. II. La spinta cercata può

infatti essere anche ottenuta anche come massima tra tutte le spinte cinematicamente ammissibili.

Figura 35 – Le successive risultanti delle forze agenti su di uno spicchio della

parete della rotonda. Considerando che il raggio medio della cupola Rm = 22,27 + 3,25 =

25,52 m, alla spinta So corrisponde una spinta per metro lineare di circonferenza media all’imposta pari a 186,22 x 8/(π x 2 x 25,52) = 9,29 t/ml. Tale spinta risulta circa tre volte più piccola della spinta per metro lineare esercitata dalla cupola di S. Pietro in Roma, che, come si vedrà più avanti, è pari ad oltre 30 t/ml. La ridotta spinta viene

trasmessa alla parete cilindrica della Rotonda: la presenza del sovralzo della parete al di sopra della quota di imposta della cupola, determina immediatamente la deviazione della reazione della cupola verso l’interno della parete.

Il forte peso della parete stessa, unitamente al suo notevole spessore determina una piccola eccentricità della risultante alla base con modesto impegno delle strutture di fondazione (Fig. 35). Una situazione sostanzialmente simile è stata riscontrata da altri Autori (Lancaster, 2007). In definitiva può dirsi che la spinta esercitata dalla cupola sul tamburo ha agito pertanto con mano leggera nei 1900 anni trascorsi. Ciò non è casuale. Il progettista del Pantheon era ben conscio degli effetti della spinta sul tamburo di base e sulle fondazioni.

La sapiente scelta dei materiali, a densità decrescente verso lo zenith, costituenti l’opus caementicium della cupola, il disegno dell’innesto della cupola nel tamburo, il sovralzo del tamburo al di sopra dell’imposta della cupola stessa, gli alleggerimenti nella cupola prodotti dai lacunari, sono tutte soluzioni progettuali tese a ridurre la spinta.

Analogamente, il prosieguo della parete cilindrica della Rotonda al di sopra dell’imposta della cupola e il grosso spessore della parete della Rotonda sono provvedimenti tesi a ridurre gli effetti della spinta sulle strutture di sostegno della cupola.

Come si vedrà più avanti, l’azione spingente della cupola del Pantheon sulle sue strutture di sostegno è di gran lunga più piccola rispetto a quella delle grandi cupole del Quattrocento o del Cinquecento: tra queste la cupola di Santa Maria del Fiore in Firenze e quella di San Pietro a Roma sono le più significative. La cupola barocca dell’Assunta di Gian Lorenzo Bernini 8.1. Descrizione della cupola

La cupola dell’Assunta, di Gian Lorenzo Bernini, costruita ad

Ariccia nei Castelli di Roma tra il 1662 e il 1664, è a pianta circolare ed a sesto leggermente rialzato, con un profilo estradossato, e poggia

direttamente su una “corona” di otto archi, sorretti da altrettanti pilastri costituenti il tamburo (Fig. 82).

Il diametro interno della calotta all’imposta è pari a 77 ½ palmi, circa 17,3 metri, l’altezza è di 31 palmi, circa 9,60 m. Lo spessore all’imposta della cupola è di 3,80 m. All’altezza del cornicione esterno, a circa 60 cm dall’imposta, lo spessore è di circa 1,50 m, mentre è di 0,40 m alla sommità. L’altezza della calotta, pari a 9,60 m, corrisponde a poco più del raggio della cupola, e ciò spiega il profilo leggermente rialzato della Rotonda. Il rapporto tra la luce e lo spessore alle reni della calotta è pari a circa 1/10, secondo le regole esposte da Carlo Fontana nel Templum Vaticanum.

Figura 82 – La sezione della cupola dell’Assunta.

Sicuramente consapevole dell’entità della spinta che il profilo della

calotta trasferisce sulle strutture sottostanti di sostegno, il Bernini progetta gli otto pilastri, sui quali si imposta direttamente la cupola, con uno spessore pari a circa 3,60 m (16 palmi), mettendosi in linea con le regole di sicurezza del tempo: in tal modo il rapporto tra lo spessore dei contrafforti e il diametro interno è 1 a 5. La lanterna si innesta nell’occhio della cupola a circa 10,30 m dalla linea di imposta della cupola, con uno spessore di circa 60 cm e ha un’altezza di 2,0 metri: il profilo del cupolino della lanterna, a differenza della più grande cupola, è esattamente semisferico. Il diametro del cupolino misura circa 4,00 m. Oltre all’artificio dei pilastri–contrafforti, il Bernini, per garantire maggiore sicurezza statica, inserisce ben quattro catene di ferro all’interno.

8.2. Analisi statica

Le lesioni presenti nella cupola sono quelle tradizionali, sottili in

spessore, che corrono lungo i meridiani e suddividono la cupola, nella sua parte inferiore, in otto spicchi La natura e la posizione di queste lesioni denunzia con chiarezza l’avvenuto allargamento dell’anello di base della cupola e delle relative strutture di sostegno. L’assetto statico della cupola è verosimilmente vicino a quello di minima spinta. La statica della Rotonda, sottoposta a carichi verticali, può essere analizzata secondo quanto precedentemente esposto, facendo ad esempio riferimento ad uno degli otto spicchi in cui la fessurazione meridiana prodottasi ha diviso la cupola. Il peso dei vari conci costituenti lo spicchio sono riportati nella tabella che segue.

Peso dei conci costituenti lo spicchio ed il peso delle corrispondente quote di lanterna, pilastro e fondazione

Figura 83 – Costruzione della curva delle pressioni di minima spinta su di uno

spicchio di ampiezza pari ad 1/8 di cupola.

Per la valutazione della spinta si è proceduto sia dal punto di vista statico che cinematico. Lo spicchio di cupola considerato è stato suddiviso in 14 conci, ognuno dotato di un suo volume e di un suo peso. Il peso dei singoli conci è indicato nella Tabella su riportata. I calcoli sono stati sviluppati con U. Limiti durante lo svolgimento della sua tesi di laurea (a.a. 2006–2007). Nella Fig. 83 è riportata la costruzione della curva funicolare dei carichi nello stato di minima spinta. La relativa curva delle pressioni parte dall’estradosso della sezione di chiave, al contatto con l’anello di base del cupolino e sfiora poi l’intradosso della cupola all’incirca a metà altezza.

Per effettuare poi il calcolo della spinta dal punto di vista cinematico, si è collocato all’imposta dello spicchio di cupola un carrello con piano di scorrimento orizzontale. Si sono poi disposte due cerniere interne: di queste la prima è stata posta all’estradosso della calotta, dove si innesta il lanternino, tra il concio 2 e il concio 3, come descritto nella Fig. 84. La posizione della seconda cerniera, all’intradosso, è invece incognita ed è definita dall’angolo σ compreso tra il raggio che congiunge la cerniera con l’orizzontale. Come già effettuato nell’analisi statica, si è diviso lo spicchio della cupola in 14 conci.

Figura 84 – Il meccanismo da cedimento con angolo σ = 47°. Il seguente tabulato sviluppa il calcolo dei vari lavori lungo il meccanismo di cedimento ,quello stabilizzante o resistente della spinta, e quello spingente o in stabilizzante dei carichi.

Imponendo di volta in volta un valore all’angolo σ, si è calcolata la μS. Si è potuto così costruire per punti la funzione μS(σ) come riportato in Fig. 85. Il valore più grande di μS, preso in modulo, corrisponde alla minima spinta della cupola. Si riportano in dettaglio i

calcoli dettagliati della spinta μS(σ) corrispondenti alla determinazione dell’angolo σ pari a 47° e poi pari a 52°.

Nella Fig. 85 è stata quindi costruita per punti la funzione μS(σ) costruita fissando diversi valori dell’angolo σ.

Dallo studio condotto, all’angolo σ pari a 47° corrisponde il più grande valore di μS, pari a 18878 kg, molto vicino al valore della minima spinta valutato con il teorema statico, attraverso la costruzione del relativo poligono funicolare. L’errore di calcolo del valore della minima spinta tra il metodo statico, prevalentemente grafico, e quello cinematico, di carattere analitico, si attesta infatti intorno all’1%. Il numero in ascissa di cui alla Fig. 85 indica il concio nel cui spigolosi colloca la cerniera. L’angolo di 47° corrisponde alla posizione della cerniera (posta tra il concio 6 e il concio 7) situata tra il carrello che svincola la struttura alla base e l’altra cerniera posta tra il concio 2 e il concio 3 ed è vicino al punto di tangenza della curva delle pressioni di Fig. 83 con l’intradosso della cupola.

Figura 85 – Diagramma dell’andamento della funzione μS rispetto alla posizione

della cerniera interna del meccanismo. Tenendo conto del peso della lanterna e del peso del concio dell’imposta, la minima spinta esercitata dallo spicchio considerato è risultata pari a circa 19000 kg, cui corrisponde una spinta per metro lineare di circonferenza media all’imposta, di diametro di 18,80 m, pari a circa 2,57 t/ml.

La volta a botte costituisce la forma più semplice di copertura non piana, utilizzata per coprire spazi di pianta rettangolare. Le murature al perimetro costituiscono le murature di appoggio della volta.

La sezione della volta con un piano ortogonale al suo asse costituisce la direttrice della volta. Si definisce inoltre piano di imposta della volta il piano, di norma orizzontale, che passa per i punti di appoggio della direttrice. Nel caso di direttrice ad arco circolare di centro C, la volta a botte si classifica nei tipi di “volta a tutto sesto” se C è situato sul piano di imposta della volta, “volta ribassata” se C si trova al di sotto del piano di imposta, “volta rialzata” se C si trova al di sopra del piano di imposta. Sono possibili inoltre volte costruite a partire da un arco a sesto acuto o da qualsiasi altra forma non circolare di arco.

In Architettura vi sono moltissimi esempi di volte a botte, alcune molto antiche e di estrema importanza architettonica. Diffusa è poi la volta a botte nell’Architettura romana (Lancaster, 2007). Fra i tanti esempi si ricorda la copertura della Cappella Sistina, forse la volta a botte più famosa. Nella Fig. 1 è riportata la volta a botte della basilica di San Saturnino, uno dei massimi esempi di architettura romanica inFrancia.

Figura 1 – La volta a botte della navata centrale della basilica di Saint–Sernin a

Tolosa (da Wikipedia).

Facciamo riferimento al caso più comune di volta a direttrice circolare a tutto sesto per individuare il passaggio dallo stato tensionale membranale a quello effettivo al verificarsi della fessurazione della muratura. Con la direttrice circolare a tutto sesto la volta si comporterebbe inizialmente quindi come una trave longitudinale e non come un arco trasversale in appoggio sui muri laterali.

Le sollecitazioni interne raggiungono però immediatamente la piccola resistenza a trazione della muratura. Ciò si verifica lungo le fasce di volta a contatto con i timpani e sui muri laterali che sono fessurati verticalmente dalle azioni tangenziali trasmesse dalla volta. Tale fessurazione comporta anche la rottura per trazione, con fratture verticali, della fascia di volta adiacente ai muri: tali fratture si approfondiscono nella volta e tendono a suddividerla trasversalmente in fasce di arco.

Si rompe così il contatto della volta con i timpani su cui va a scaricarsi il peso della volta stessa. Lo stato di sollecitazione membranale diventa immediatamente incompatibile: devono infatti annullarsi gli sforzi Nx ed Nxφ .Gli unici sforzi non nulli sono gli sforzi Nφ . La seconda delle equazioni (1) non può essere soddisfatta con i soli sforzi di membrana. Insorge un momento flettente Mφ nel piano della direttrice ed un conseguente taglio Tφ.

Figura 7 – La trasmissione degli sforzi dalla volta a botte ai muri di sostegno.

Α causa della presenza del momento Mφ gli sforzi assiali Nφ

devono abbandonare la linea media della sezione della volta, che è il

semicerchio, e, serpeggiando nello spessore della volta, prendono l’andamento della catenaria e vanno a scaricarsi sui muri laterali. In breve la volta a botte si suddivide in tanti archi semicircolari indipendenti che scaricano il peso della volta sui muri e, nel contempo, spingono su di essi.(Fig. 7). La volta deve perciò consentire, attraverso un suo idoneo spessore, che la curva delle pressioni possa essere contenuta al suo interno.

Ad esempio, così come si è visto per gli archi a tutto sesto in muratura, le volte a botte a direttrice semicircolare, se soggette al solo peso proprio, devono allora presentare notevole spessore, almeno pari a circa 1/10 del raggio, per essere stabili.

In definitiva, a causa della non resistenza a trazione, le volte a botte si comportano come tanti archi paralleli senza interazione tra loro e scaricano il proprio peso su tutta la lunghezza dei muri di sostegno. Questi, di conseguenza, non possono presentare ampie forature (Fig. 7).

Il calcolo di una volta a botte si esegue quindi suddividendo la volta in una sequenza di archi paralleli. Ognuno di questi archi ha comportamento statico indipendente dagli altri. L’analisi statica della volta a botte si riporta così automaticamente all’analisi dell’arco avente la stessa curva direttrice e lo stesso spessore.

Volte a crociera e a padiglione

1. Generazione geometrica della volta a crociera e della volta a padiglione Il comportamento statico della volta a crociera è, in un certo senso,

duale di quello della volta a padiglione. Già nella generazione geometrica di tali volte questa dualità è chiaramente riconoscibile.

Si considerino infatti due volte a botte, ad esempio su pianta quadrata ed a direttrice semicircolare. Si sezionino le volte con due piani diagonali verticali, come rappresentato in Fig. 1. Da tali intersezioni, per ognuna delle due volte sezionate, si formano due

coppie di fusi cilindrici. La coppia A di fusi cilindrici contrapposti che hanno la stessa sezione terminale della volta a botte si distingue dalla coppia B di fusi che hanno invece gli stessi bordi della volta a botte di partenza. Possiamo allora costruire, come illustrano le Fig. 2 e 3, la volta a crociera su pianta quadrata assemblando i quattro fusi A, ovvero la volta a padiglione su pianta quadrata, assemblando i quattro fusi B. Per la volta a crociera i fusi componenti vengono detti unghie o vele; per la volta a padiglione i fusi componenti conservano il nome di fusi.

Figura 1 – Le due coppie di volta cilindrica su pianta quadrata e le loro intersezioni diagonali.

La volta a crociera poggia sui quattro vertici ed ha le superfici laterali aperte, la volta a padiglione poggia sui quattro muri di perimetro ed è chiusa.

Dopo alcuni cenni storici sull’uso di queste volte se ne esaminerà approfonditamente il comportamento statico. 2.1. Volte a crociera

La volta a crociera presenta caratteri di grande efficienza funzionale e

statica. Le diagonali possono presentare delle costole che emergono dall’intradosso delle unghie, oppure solamente delle costole ideali che corrono internamente alla volta stessa. Il più semplice esempio di volta a

B A A B

crociera è quello che viene ottenuto dalla intersezione di due volte semicilindriche a direttrice circolare dello stesso diametro: la campata di conseguenza è a pianta quadrata. Tale volta si può appoggiare su punti che occorrerà, ovviamente, rinforzare in modo opportuno. Con tale tipologia di volta diventa così possibile praticare l’apertura di grandi finestre nei muri laterali. I muri perimetrali, se presenti, risultano infatti liberi su tutta la loro altezza e ciò permette di alzare le finestre fino alla sommità, come si ha di regola nelle grandi cattedrali gotiche.

Figura 2 – Generazione della volta

a crociera. Figura 3 – Generazione della volta

a padiglione. La Figura 4 illustra il diverso sistema di trasmissione degli sforzi,

rispetto a quello che si realizza nella volta a botte, esaminato precedentemente. In tale figura le frecce indicano la direzione delle forze prodotte dal peso della muratura.

Figura 4 – Il diverso funzionamento della volta a crociera rispetto alla volta a botte.

Esempi grandiosi di volte a crociera sono presenti già nell’architettura romana: tra questi, ad esempio, le volte a crociera delle Terme di Diocleziano in Roma, su pianta quadrata, di oltre 24 metri di luce, Statica della volta a crociera 3.1. Caratteri delle sollecitazioni di membrana nel guscio a crociera

Lo studio dello stato di sollecitazione di membrana nella volta a

crociera può iniziare dall’esame delle precedenti eq. (2) della Sez. 4.3, che descrivono lo stato membranale in un generico guscio cilindrico.

Possiamo analizzare questo stato di membrana per il caso più semplice di crociera su pianta quadrata con direttrice semicircolare di raggio R, rappresentata in Fig. 7. Lungo le diagonali possono o meno essere presenti le costole diagonali, emergenti rispetto alle unghie.

Figura 7 – Volta a crociera su pianta quadrata con direttrice semicircolare.

Ognuna della quattro unghie non è libera lungo il suo bordo, ma è

vincolata da un arco a tutto sesto, rappresentato nella Fig. 7 da una linea di maggiore spessore. Gli archi di bordo sono detti formeret. La Fig. 8 illustra la zona di intersezione tra due unghie contigue.

Figura 8 – La zona di intersezione tra due unghie adiacenti della crociera.

Se consideriamo una delle quattro unghie o vele, l’asse x giace

nella direzione rettilinea delle generatrici, la retta φ è la tangente alla direttrice semicircolare. Sulla base delle precedenti determinazioni svolte, ricordiamo che gli sforzi tangenziali Nxφ variano linearmente con x, mentre gli sforzi Nx variano con legge parabolica.

Figura 9 – La doppia unghia componente mezza volta a crociera.

La presenza di quadri fessurativi nella crociera indica l’avvenuto passaggio in essa dallo stato di sollecitazione del guscio a quello della volta incapace ad assorbire sollecitazioni di trazione. In tali condizioni il funzionamento statico della volta a crociera risulta allora essere analogo a quello della volta cilindrica che, sotto carichi verticali, deve comportarsi come una sequenza di archi indipendenti che si scaricano sui muri laterali. In ogni vela della crociera non ci può essere quindi trasmissione di sforzo nella direzione del suo asse.

Le fasce ad arco in cui le unghie della crociera possono essere idealmente suddivise si scaricano sulle diagonali. La Fig. 18 descrive la pianta ABCD di una volta a crociera su pianta quadrata. I lati AB, BC, CD e DA sono le proiezioni in pianta delle arcate “formeret” di bordo. Queste ultime possono avere sagoma variabile, ad esempio a tutto sesto o a sesto acuto.

x

y

A B

C D

O

A B

C D

Figura 18 – Le unghie della crociera assimilate ad una sequenza di archi di luce

variabile che scaricano sulle diagonali.

Figura 19 – Diagramma delle linee di compressione in una volta a crociera (da

L.C. Lancaster, 2007, p. 135).

È nel piano verticale passante per l’asse di ognuna di queste fasce ad arco che si trasmettono i loro sforzi. Questi, alle imposte di ogni fascia ad arco, vanno ad interagire con le azioni trasmesse dalla fascia ad arco ortogonale adiacente e, componendosi tra di loro, danno luogo ad una azione risultante agente nel piano diagonale lungo le costole. La diagonale è quindi sollecitata da forze verticali ed orizzontali (Fig. 20).

Sia che siano presenti o assenti i costoloni, gli sforzi della crociera si concentrano sempre lungo le diagonali. Queste, che sono le zone più sollecitate della crociera, trasmetteranno spinte e forze verticali sulle relative strutture di sostegno della volta.

Figura 20 – Le forze trasmesse sulle costole diagonali dagli archi in cui vengono

suddivise le unghie.

A C

Di regola, in conseguenza dell’insorgere della spinta, queste

strutture di sostegno subiscono piccoli spostamenti di assestamento realizzando un lieve allargamento della volta lungo le diagonali, con un conseguente piccolo allargamento alle imposte delle costole diagonali e delle unghie. Uno stato di minima spinta si attiverà pertanto anzitutto nelle costole diagonali. Stato di minima spinta nella volta a crociera 3.3.1. Geometria delle linee di frattura

La determinazione dell’assetto statico di una volta a crociera sotto i

propri carichi è un problema che ricorre spesso, più frequentemente di quello relativo alla valutazione della sua capacità portante. Tale ricerca potrà allora avvalersi delle considerazioni svolte nel capitolo II sullo stato di minima spinta negli archi e quindi si dovrà considerare la volta soggetta ad un più che probabile lieve cedimento alle imposte. L’analisi dello stato di minima spinta delle volte a crociera richiede dapprima la caratterizzazione della geometria dei relativi quadri fessurativi dei corrispondenti meccanismi da cedimento. Tale analisi farà riferimento in primo luogo alla impostazione statica di Heyman (1966) ed ai risultati di una approfondita ricerca di F. Fabiani nella sua tesi di dottorato (2007).

Si consideri anzitutto lo schema più semplice di volta a crociera, quello di volta a pianta quadrata con vele cilindriche ed a direttrice semicircolare. La volta abbia inoltre costole diagonali sottoposte alle vele. Quest’ultime si appoggiano pertanto sull’estradosso delle costole.

La deformazione della volta conseguente al piccolo cedimento laterale dei suoi vincoli sarà definita da opportuni meccanismi. Tra questi viene dapprima considerato il meccanismo per il quale tutti i quattro vertici del campo quadrato di volta subiscono un uguale piccolo allargamento δ in diagonale (Fig. 21). Le costole diagonali si sono quindi deformate secondo il meccanismo descritto in Fig. 22, che comporta lo sviluppo di un piccolo cedimento δ verso l’esterno.

Dallo studio del comportamento dell’arco ad asse circolare soggetto a cedimento alle imposte, sappiamo che in ognuna delle

costole della crociera dovranno essersi formati all’estradosso ed in chiave, l’incernieramento K (o, in alternativa, due incernieramenti vicini) ed inoltre due incernieramenti simmetrici E e G all’intradosso, più o meno in prossimità delle reni.

Figura 21 – Linee di frattura dall’intradosso.

Il centro assoluto di rotazione dei tratti AE e CG è il punto improprio della retta verticale, mentre i centri assoluti di rotazione dei tratti EK e GK sono rispettivamente costituiti dai punti V e Z ottenuti dall’intersezione delle verticali passanti per E e G con l’orizzontale passante per K. Gli spostamenti verticali ed orizzontali della costola sono quindi quelli indicati in figura. In particolare gli spostamenti orizzontali, verso l’esterno, saranno così costanti e pari a δ per tutto il tratto di costola che va dall’imposta fino all’incernieramento E, mentre si ridurranno poi con continuità da E fino alla sezione K in chiave.

Con riferimento a quanto prima analizzato, le quattro vele della volta possono essere considerate costituite da una sequenza di fasce ad arco, non interagenti tra di loro, che si innestano nelle costole. Queste fasce ad arco dovranno allargarsi ed eventualmente abbassarsi alle imposte, trascinate dalla deformazione da meccanismo delle costole. Anche tali fasce ad arco si deformeranno secondo meccanismi e in esse si produrranno sia un incernieramento in chiave all’estradosso che due incernieramenti all’intradosso: questi ultimi potranno presentare localizzazione differente a seconda del maggiore o minore ribassamento delle fasce stesse. Mentre per le fasce interne delle vele,

A B

C D

E F

GH

δ

K

H’ G’

G’

E’

E’ F’

F’

δ δ M

N

Linee di frattura all’intradosso

δ

quelle più ribassate, gli incernieramenti all’intradosso si formano alle loro imposte, per le fasce più esterne, quelle di maggior sviluppo, gli incernieramenti di intradosso si formeranno tra le reni e le imposte. Questi ultimi incernieramenti mantengono poi la loro posizione anche quando le fasce diventano ancora più esterne fino a raggiungere la configurazione semicircolare.

Figura 22 – Incernieramenti nella costola diagonale.

Si individuano pertanto due zone della crociera: un quadrato interno in cui sono presenti le fasce più ribassate che si incernierano alle imposte, più avanti indicate come fasce b, ed una cornice quadrata esterna dove invece si trovano le fasce, indicate come fasce a, che si incernierano in prossimità delle reni ad una distanza costante dai bordi della crociera.

Nelle costole e nelle vele le fessurazioni prodotte dagli incernieramenti in chiave si vedranno solo dal loro intradosso. Nella crociera all’intradosso le fratture avranno quindi la disposizione tipica a croce (Fig. 21).

All’estradosso della crociera saranno invece visibili le linee di frattura diagonali EG ed FH, che registrano gli incernieramenti alle imposte delle fasce ad arco ribassato ed ancora le linee di frattura EE’, FF’, GG’ ed HH’ descritte nel primo schema di Fig. 23. Queste riflettono la presenza degli incernieramenti all’intradosso, posti a distanza fissa dai lati della volta, che si formano verso le reni delle fasce ad arco a grande sviluppo. Se, invece, in relazione allo spessore, anche per le fasce più esterne gli incernieramenti all’intradosso si localizzano alle imposte, all’estradosso della volta le linee di frattura avranno l’andamento descritto nel secondo schema di Fig. 23, e quindi

A C

E G

K

α

V Z

continueranno a svilupparsi lungo la diagonale fino agli spigoli. Le fratture che si formano all’estradosso delle costole, verso le

imposte, produrranno di riflesso fratture nelle unghie chiaramente riconoscibili all’estradosso della volta.

a) b)

Figura 23 – Possibili linee di frattura all’estradosso a); all’estradosso b).

Con costole sottoposte alle unghie, gli incernieramenti localizzati

all’intradosso nelle sezioni E e G delle costole diagonali, di cui alla Fig. 24, determinano linee di completo distacco fra le fasce delle unghie. Più dettagliatamente, gli allargamenti Δ, che si producono in E in G all’estradosso delle costole, determinano necessariamente l’aprirsi di fratture a tutto spessore nell’unghia, come rappresentato in Fig. 24. Tali distacchi, passanti nelle vele, in letteratura sono indicati come fratture di Sabouret. In presenza quindi di costole sottoposte alle vele, passerà luce attraverso le fratture EH, HG, GF ed FE (Fig. 25).

In presenza di costole emergenti all’intradosso, le stesse fratture di Sabouret segnano la suddivisione della crociera nella zona quadrata interna, dove sono presenti le fasce b, e nella cornice esterna dove sono localizzate le fasce a. Nella Fig. 25, tratta dal libro di Heyman “The Stone Skeleton”, sono riportate le classiche lesioni visibili dall’intradosso di una tipica volta a crociera con costoloni. Questo disegno è stato ripreso dal lavoro di Abraham (1924) che descriveva le lesioni rilevabili nelle volte a crociera. In tale disegno, oltre alle lesioni in chiave, sono anche indicate lesioni tipo Sabouret, cioè passanti, parallele alle arcate laterali della volta.

A B

C D

E F

G H

δ

K

A B

C D

E F

G H

δ

K

H’ G’

G’

E’

E’ F’

F’

Fratture all’estradosso

Fratture di Sabouret

H’

Figura 24 – Fratture di Sabouret. Figura 25 – Lesioni nella crociera

(da Heyman, 1997). Analisi della crociera con il teorema statico della minima spinta

L’analisi della volta a crociera in condizione di minima spinta a

mezzo del teorema statico può svolgersi agevolmente attraverso i seguenti passi:

suddivisione delle vele della crociera in fasce d’arco e successiva

loro suddivisione in conci con la determinazione dei relativi pesi e baricentri;

costruzione per tentativi della funicolare dei carichi agenti sui conci

delle fasce d’arco in stato di minima spinta. Per le fasce più ribassate la funicolare deve passare per il bordo superiore della sezione di chiave e all’intradosso all’imposta. Nel caso di fascia d’arco di maggior sviluppo, la curva funicolare sarà tangente all’intradosso in una sezione della fascia posta tra le reni e l’imposta, come illustra la Fig. 32

determinazione dello scarico verticale e della spinta di ognuna delle

fasce d’arco, loro applicazione sulla costola diagonale (aggiungendo i pesi dei conci del costolone se emergente

Δ

costola

unghia

E

all’intradosso dalle vele) e costruzione della relativa curva funicolare di minima spinta, con gli stessi criteri utilizzati nella costruzione della funicolare delle fasce d’arco;

I carichi agenti sull’arco diagonale, costituiti oltre che da forze verticali anche da forze orizzontali, determinano una spinta variabile lungo l’asse del diagonale. C’è quindi una spinta in chiave minore di quella alle imposte, a differenza di quanto accade per gli archi soggetti a soli carichi verticali per i quali la spinta si mantiene invece costante. La condizione di minima spinta consente, di caso in caso, di rendere il problema staticamente determinato e quindi di costruire la curva delle pressioni di minima spinta e determinare la conseguente spinta in chiave e alle imposte.

Vale la pena di evidenziare che non è affatto detto che la spinta in chiave sia trascurabile, contrariamente a quanto talvolta viene erroneamente asserito.

Figura 32 – Esempio di applicazione del teorema statico per la determinazione

della spinta e dello scarico verticale nella costola diagonale. La prima funicolare è relativa ad una fascia d’arco, indicata come arco 17, e la seconda è relativa alla costola diagonale. Con S e V si indicano la spinta e la reazione verticale all’imposta della costola.

3.3.4. Analisi della crociera con il teorema cinematico della minima spinta

Si consideri il caso della volta a crociera di pianta quadrata, con

costoloni. Si ammette che la volta abbia subito un lieve cedimento alle imposte lungo le diagonali. Nei paragrafi precedenti è stata esaminata la cinematica della volta con le relative linee di frattura.

La Fig. 33 compendia il campo di spostamenti subito dalla volta in seguito al cedimento della crociera lungo le sue diagonali. Definiamo il generico moltiplicatore cinematico μ della spinta diagonale S alle imposte come quel moltiplicatore della spinta S che soddisfa la condizione di equilibrio lungo l’assegnato meccanismo ν e quindi tale da soddisfare la relazione

< , >S

μδ

=⋅

g v (45)

che più esplicitamente si traduce in

2 2 ( ) ( )pc puS L v L vμ δ⋅ ⋅ ⋅ = + (45’)

Figura 33 – Abbassamenti verticali nel cinematismo da cedimento nei vari nodo

della crociera e relativo lavoro delle spinte.

dove:

– Sμ è il valore della spinta alle imposte della crociera agente in direzione diagonale;

– ( )pcL v è il lavoro dei pesi dei conci della costola per gli spostamenti verticali per il cinematismo v scelto;

– ( )pvL v è il lavoro dei pesi dei conci in cui vengono suddivise le fasce d’arco costituenti le vele per il cinematismo v scelto.

La forza orizzontale . int( )Min Sp aSμ agente alle imposte della crociera

in condizioni di minima spinta corrisponde quindi al massimo valore che assume la funzione

Min.Spinta

( ) ( )( ) [ ] 2 2

pc puL v L vMAXS vμδ

+=

⋅ ⋅ (46)

al variare del meccanismo v nell’insieme M dei meccanismi da cedimento ammissibili secondo il teorema cinematico della minima spinta. Si osservi che nella (46) non compare il segno meno, come invece risulta nella (170’) del cap. 2, in quanto si è ora assunto S

ff

/ 2f δ μS

μS μS

μS

δ δ

δ

agente contro la direzione di δ. Di tale procedimento verranno sviluppate più avanti alcune applicazioni. Volta a crociera su pianta rettangolare con cedimento parallelo ad uno

dei bordi Si fa riferimento alla Fig. 37. La situazione è analoga a quella del

caso precedente relativo alla crociera su pianta quadrata. Tale situazione si incontra frequentemente nelle volte a crociera a copertura delle navate delle chiese, come ad esempio nelle cattedrali gotiche (Fig. 38). Le costole diagonali andranno in minima spinta così come, per le vele, le strisce ad arco parallele alla direzione del cedimento. Le fasce corte dirette lungo y non sono in stato di minima spinta: d’altra parte, la risultante delle spinte sulla diagonale, trasmesse da entrambe le due sequenze di fasce d’arco, deve anch’essa essere diretta lungo la diagonale. Figura 37 – Crociera su pianta rettangolare con cedimento parallelo ad uno dei

suoi bordi.

A B

CD

δ

K

Figura 38 – L’attuale crociera esapartita di Beauvais.

Di conseguenza la spinta Sy esplicata da ognuna di esse viene ottenuta in modo che la risultante Sdiag sia diretta lungo la diagonale (Fig. 39). Le spinte delle fasce d’arco dirette lungo y saranno quindi comprese tra la minima e la massima spinta.

Figura 39 – Determinazione della spinta Sdiag in modo che la risultante sia

diretta lungo la diagonale. 3.3.7. Un esempio

In Fig. 40 è riportato uno schema 3D della volta a crociera a sesto

ribassato, oggetto di analisi statica, a copertura di un ambiente di un edificio in muratura. L’esempio riportato ha costituito un esercizio degli studenti Ciampa, Di Carlo e Vaccaro nel corso Problemi strutturali dei Monumenti e dell’Edilizia Storica, a.a. 2007–2008,

Sx,min

Sy Sdiag

Facoltà di Ingegneria dell’Università di Tor Vergata, tenuto da chi scrive.

Figura 40 – Vista in 3D della volta a crociera a sesto ribassato.

Nella Fig. 41 è inoltre riportata la pianta dell’ambiente voltato dove

sono anche indicate le dimensioni del campo di volta, con l’individuazione degli archi paralleli in cui vengono suddivise le unghie della volta. Nella Fig. 42 sono riportate le sezioni della volta nelle due direzioni x ed y. Nella Fig. 43 sono rappresentate le fasce d’arco con le relative dimensioni delle varie grandezze geometriche, rispettivamente dirette lungo x ed y, in cui vengono suddivise le unghie della volta a crociera.

PIANTA PIANO TERRA

5.8

4.6

A A

B

B

Y

X

Figura 41 – Il campo di volta a crociera con le indicazioni delle strisce di arco nelle vele.

SEZIONE A-A

0.3

0.5

2.9

2.3

0.6

5.81.13 1.0

SEZIONE B-B

0.3

0.5

2.9

2.3

0.6

4.61.1 1.0

Figura 42 – Le sezioni A – A e B – B della volta.

6.10.1

5.80.4

1.1

R7.3

Arco x

5.00.1

4.60.4 R4.7

1.1

Arco y

Figura 43 – Gli archi delle vele nelle due sezioni parallele ad x o ad y. Nella Tab. 1 sono riportati i pesi dei vari conci in cui vengono

suddivisi gli archi diretti lungo x e lungo y, tenendo conto delle quote dovute al peso dei laterizi e del riempimento.

Nella Fig. 44 sono riportate le costruzioni della curva delle pressioni di minima spinta sia in una fascia d’arco delle unghie, quella di maggiore luce, lungo la quale si attiva la minima spinta, che nell’arco diagonale.

Si può notare che è riportata solo la costruzione della curva delle pressioni in una fascia d’arco diretta lungo la direzione x: per la direzione y la spinta delle fasce d’arco non può essere quella minima, ma è valutata direttamente tramite la spinta dell’adiacente fascia d’arco diretta lungo x, in modo che la spinta risultante agente sull’arco diagonale abbia la direzione dell’arco stesso. Un’azione spingente

ortogonale al piano dell’arco non sarebbe infatti compatibile. Si riconosce come la spinta cresca dalla sezione di chiave a quella

di imposta lungo la diagonale per la presenza delle risultanti delle spinte trasmesse dalle strisce d’arco dirette lungo x ed y.

Tabella 1.

AR E A  AR E E   P E S O   PE S I  T OT AL E

MAT T ONE  [m2] R IEMP IME NT I [m2] MAT T ONE [kg ] R IEMP IME NT I[kg ] R IS UL T ANT I [kg ]1 0,22 0,26 131 146 277

AR C O   2 0,22 0,19 131 107 238N.1 X 3 0,22 0,13 131 73 204 1065

4 0,22 0,09 131 50 1815 0,22 0,06 131 34 1651 0,185 0,17 110 95 205

AR C O   2 0,185 0,12 110 67 177N.2 X 3 0,185 0,09 110 50 160 824

4 0,185 0,06 110 34 1445 0,185 0,05 110 28 1381 0,15 0,11 89 62 151

AR C O   2 0,15 0,08 89 45 134N.3 X 3 0,15 0,06 89 34 123 636

4 0,15 0,05 89 28 1175 0,15 0,04 89 22 1111 0,12 0,06 71 34 105

AR C O   2 0,12 0,05 71 28 99N.4 X 3 0,12 0,04 71 22 93 473

4 0,12 0,03 71 17 885 0,12 0,03 71 17 881 0,09 0,04 53 22 75

AR C O   2 0,09 0,03 53 17 70N.5 X 3 0,09 0,03 53 17 70 343

4 0,09 0,02 53 11 645 0,09 0,02 53 11 641 0,09 0,025 53 14 67

AR C O   2 0,09 0,022 53 12 65 197N.6 X 3 0,09 0,021 53 12 65

1 0,03 0,01 18 6 24AR C O   2 0,03 0,01 18 6 24 72N.7 X 3 0,03 0,01 18 6 24

P E S O   P E S O   P E S O P E S OMAT T ONE [kg ] R IE MP IME NT O [kg ] T OT AL E  [kg ] ME T A' AR C O  [kg ]

1 1306 753 2059 1029,52 1092 523 1615 807,53 886 355 1241 620,54 686 230 916 4585 487 139 626 3136 295 77 372 1867 96 21 117 58,5

VOL T A A C ROC IE RA

AR C HI Y

AR C H I X R IS UL T ANT I [kg ]S T R IS C E

Arco n.1

6800

12799

7083

Arco diagonale

1787

209427

53

Arco n.1x

1936

1535

2470

1936

1472

Composizionedelle spinteorizzontali

Figura 44 – Costruzione della curva delle pressioni di minima spinta in una fascia

d’arco delle unghie e nell’arco diagonale.