Vol xi pag 1 320

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LA REGIONE NELLA NAZIONE (1949)

O P E R A O M N I A D I

L U I G I S T U R Z O

P R I M A S E R I E

OPERE

L U I G I S T U R Z O

LA REGIONE NELLA NAZIONE

(1949)

ZANICHELLI BOLOGNA

L ~ E D I T O R E A1)EMPIUTI I DOVERI

ESERCITERÀ I DIRITTI SANCITI DALLA LEGGE

Finito di stampare a Bologna nel settembre 1974 dalla Poligrafici Luigi Parma S.p.A., via Collauiarini 23 - Bologna per conto della N. Zanichelli Editore S.p.A. via Irnerio 34, Bologna

PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO

PRIMA SERIE: OPERE

v-VI VI1 VI11 IX X XI XJI

- L'Italia e il fascismo (1926). - La comiinità internazinnale e il diritto di guerra (1928). - La società: sua natura e leggi ( 1935). - Politica e morale (1936). - Coscienza e politica. - Note e sug-

gerimenti d i politica pratica (1952). - Chiesa e Stato (1939). - La Vera vita - Sociologia (le1 soprannaturale (1943). - L'Italia e l'orcline internazionale (1944). - Problemi spirituali del nostro tempo (1945). - Nazionalismo e intemazionalismo (1946). - La Regione nella Nazione (1949). - Del metodo sociologico (19s0). - Studi e polemiche di sociolo-

gia (1933-1958).

SECONDA SERIE: SAGGI - DISCORSI - ARTICOLI

I - L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni - Sintesi sociali (1900-1906).

I1 - Saggi storico-politici (1925-1959). I11 - I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). - Riforma

statale e indirizzi politici (1920-1922). IV - I1 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). V - Il partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). -

La libertà in Italia (1925). - Scritti critici e bibliografici (1923- 1926).

VI - Miscellanea lonclinese (1926-1940). VI1 - Miscellanea americana (1940-1945). VI11 - La mia battaglia da New York (1943-1946). IX-XV - Politica (li questi anni. - Consensi e critiche (1946-1959).

T E R Z A SERIE: SCRITTI VARI CL

I - I1 ciclo della creazione (poen~o drcrrnmatico in quattro azioni). - Versi. - Scritti d i letteratiira e di arte.

I1 - Scritti religiosi e morali. I11 - Scritti giuridici. IV - Epistolario scelto. V - Bibliografia. - Inclici.

A V V E R T E N Z A

E noto l'interesse costante d i Luigi Sturzo per i problemi concernenti la vita degli enti locali. I n ogni periodo de'lla sua attività troviamo scritti che trattano d i tali argomenti. I l presente volume perciò n o n comprende ovviamente tutto quanto Sturzo ha scritto a proposito delle autonomie locali, e che invete è stato via v ia raccolto i n altri volumi dell'opera O'mnia. S i vedano ad esempio i volumi I1 Partito Popolare Italiano, Sintesi Sociali, Politica di questi anni. Articoli in difesa delle autonomie locali sono pure compresi nei volumi di Miscellanea londinese; mentre nelle opere di carattere sociologico ( L a società sua natura e leggi, Del metodo sociologico) troviamo la giustificazione teoretica delle posizioni pratiche d i Sturzo sull'argomt?nto.

Nel presente volume sono compresi quegli scritti che pii6 esplicitamente trattano il tema, e cioè:

- il saggio La regione nella nazione: scritto per illustrare la posizione d i questo nuovo istituto nella costituzione italiana, e pubblicato rr Roma nel 1949 dall'editore Capriott i;

- il testo del Programma municipale proposto da Sturzo al I convegno dei consiglieri cattolici siciliani riuniti a Caltanissetta nel 1902, e che costituisce i l primo documento programmatico

\sul tema delle autonomie locali. Di tale relazione riproduciamo i l testo pz~bblicato nel 1952 i n opuscolo da offrire ai delegati del consiglio dei comuni europei, costituitosi l'anno prima a Ginevra ;

- gli articoli e le relazioni che testimoniano l'attività d i Sturzo nell'ambito deEl'Associazione dei comuni italiani, negli anni dal -2904 al 1918 ;

- una serie d i articoli per la maggior parte apparsi su La

Croce di Costantino » a Caltagirone negli anni 1897-1917 e firnzati a volte il Zuavo », « i l crociato « loico n;

- alcuni brevi scritti che sull'argonzento sono stati reSatti in anni più recenti (1950) e che non sono stati ancora ricompresi in altri volumi dell'Opera Omnia.

La ricerca e la collazione dei testi è stata curata da Maria Teresa Garutti Bellenzier.

LA REGIONE NELLA NAZIONE (1949)

A Vincenzo Mangano

s&iliano e autononsista le cui ossa esultano nel sepolcro

per la realizzazione d i quel che sembrava un sogno

mezzo secolo addietro

I

PREMESSE STORICHE

I. - La regione in Italia è un fatto geografico, etnografico,. economico e storico, che nessuno potrà mai negare. L'Italia è lunga e stretta; si allarga al nord lungo la catena alpina che la protegge e l'incorona; si sviluppa nelle colline e pianure padane fino al17Adriatico; 'si stende verso il sud con la dorsale appen- ninica che la divide in zone adriatiche e tirrene, si va a bagnare nello Jonio, arriva con la Sicilia al mare africano, e con la Sar- degna fronteggia a distanza le Baleari.

La storia ci ha plasmati in mille modi, dando a ciascuna zona la sua caratteristica, la sua personalità, una e multipla allo stesso tempo.

Nel formarsi la lingua letteraria e comune, il dialetto regio- nale si è adattato e sviluppato in lingua popolare e in vitale fermento di atteggiamenti e intonazioni di arte.

La nazione italiana, modernamente concepita, si è formata non tanto sulle divisioni politiche di stati diversi, quanto sulla esistenza (li un complesso uno e variato a carattere culturale.

Gioberti poteva scrivere del primato d'Italia prima ancora del-

l'effettiva unificazione politica.

Questa fu fatta di elementi culturali innestati ad esigenze

economiche, ma fu principalmente basata sulle aspirazioni alla indipendenza dallo straniero e alla libertà degli ordinamenti

politici. E su considerazioni strettamente politiche fu fatta la scelta del sistema unitario invece del federale: non si poteva avere la libertà costituzionale con la coesistenza di re e principi legati al17Austria; il problema di Roma papale rendeva difficile

una soluzione nazionale largamente costituzionale e laica, sia pure nel senso onesto della parola.

Ma se la soluzione unitaria fu politica, non poteva cancellare né cancellò mai la regione italiana, come non cambiò l'indole e l e caratteristiche delle singole popolazioni, plasmate da secoli d i civiltà con varietà notevoli d i fattori geofisici e ambientali indistruttibili.

I1 problema che contemporaneamente all'unificazione ita- liana si doveva risolvere, e non fu risolto, era quello di inserire politicamente e amministrativamente la regione nella nazione. Si credette di poter negare il problema stesso, per timore che risorgessero i legittimismi Iocali o che si formassero dei nuclei di interessi contrastanti con quelli nazionali. L'unificazione che si attuò fu rigida e centralizzata.

Non -è il caso di ripigliare la polemica del tempo, né d i esporre le idee degli uni e degli altri. A quasi un secolo di di- stanza si possono ripetere oggi i motivi teorici agitati durante i l periodo del risorgimento e dell'unificazione, ma la prospettiva politica, economica e amministrativa del 1948 è ben diversa d s quella del 1848.

I1 fatto notevole che dobbiamo registrare è che la regione, dopo un secolo di unitarismo, uniformismo e burocratismo sta- tale, è tornata a riprendere di colpo i l posto che le fu negato a l momento di creare lo stato italiano.

Questo è il punto che merita u n attento esame.

2. - Durante il primo tempo dell'assestamento nazionale, la questione regionale fu sentita attraverso problemi locali acu- iizzati dalle crisi morali, finanziarie, economiche e sociali ; dalle difficoltà psicologiche di intesa fra il Piemonte vincitore ed ege- rnonico e le altre regioni, mano a mano che dal nord si arrivava al sud; dal peso dell'uniformità legislativa e della mancanza di provvidenze equilihratrici fra regioni ricche e regioni povere.

Era naturale che la prima a risentirsi fosse la Sicilia, che la prima a presentare le sue piaghe fosse Napoli, che la tacita CC-

nerentola del regno fosse la Sardegna, che la penultima arrivata, i l Veneto, esigesse molte cure anche per la vicinanza dei terri- tori irredenti d i Trento e di Trieste.

A parte yiialche isolato e impenitente regionalista, l'opinione generale si volgeva allo stato per domandare provvedimenti e leggi speciali p e r località e regioni; fu questo i l metodo accetto, che avrebbe dovuto rimediare alle deficienze che si accusavano ora con agitazioni popolari, ora con inchieste parlamentari.

La industrializzazione del nord si andava, in quel periodo, inserenclo nella vita economica del paese; il governo, e giusta- mente, la favoriva. Si sviluppano le marine militari e mercantili, si costituiscono reti ferroviarie, si iniziano i lavori cli bonifica, si intensificano i traffici.

Come nel primo periodo dopo l'unificazione, gli erari d i Napoli e poi di Roma (che erano in migliori condizioni) coprono i deficit degli altri stati; come le burocrazie del nord prendono in mano la direzione dei dicasteri e degli ordinamenti mili tari; come aumentano le spese per i lavori pubblici e l a differenza fra norcl e sud si accentua a danno del mezzogiorno e delle isole; così anche i n materia economica, sia per iniziative locali sia per interventi statali, si vanno creando delle sfere nettamente distinte, che marcano i l disequilibrio nazionale.

I1 periodo che precede la fine del secolo potrà chiamarsi quello della clepauperazione meridionale ; è il periodo dell'emi- grazione transoceanica di contadini ed operai, il periodo dei

fasci )I e il conseguente stat'o d'assedio della Sicilia posta poi a regime commissariale, il periodo delle rivolte locali al grido eli : pane e lavoro.

La classe dirigente liberale, che si reggeva sul sistema elet- torale ristretto e uninominale con l'aperto appoggio delle pre- fetture e con gli interventi diretti del potere politico sulle ammi- nistrazioni locali, ricorrendo a metodi reazionari alla Crispi O

alla Pelloux, venne a crollare. Fu il fallimento di u n sistema unitario, paternalista e rigiclo che si volle imporre all'Italia.

Da allora ritornarono a fermentare l'idea delle libertà co- munali, quella dell'autonomia regionale e la più netta afferma- zione del sistema elettivo proporzionale a suffragio universale.

Se l'unione di queste tre aspirazioni ebbe nascita in Sicilia, ' non ,separate e distinte o estranee l'una dall'altra, ma come unica idea-forza, ciò si deve al fatto che proprio la Sicilia era

stata la regione più incompresa, più martoriata e quella che reclamava a gran voce libertà e autonomia.

3. - I siciliani avevano cominciato a sperare nella loro indipendenza dal giorno che il re di Napoli, sotto l'ispirazione e la pressione inglese, concesse nel 1812 il ripristino del parla- mento dando una nuova costituzione. Ma questa non ebbe fortuna. Al congresso di Vienna non fu né riconosciuta né abolita. Gl'in- glesi che avevano dato una specie di garanzia diplomatica, secon- darono fra irre e orre la politica antiautonomista di Napoli e così di seguito, fino a che nel gennaio 1848 i siciliani si diedero essi stessi la costituzione e si dichiararono indipendenti: ne seguì la guerra.

Questa fase del risorgimento tutta siciliana e tutta « autono- mista » e indipendentista » si può a uii secolo di distanza ricordare, senza alcuna riserva, in tutta la sua caratteristica iso- lana, da noi unitari e italiani, perché nel quadro di allora essa s i innestava al moto nazionale per l'indipendenza e per la libertà, allo stesso titolo della guerra del Piemonte all'Austria, delle cinque giornate di Milano, della resistenza di Venezia.

I moti e l e guerre del 1848 ebbero un epilogo catastrofico; ma l'idea nazionale maturò assai più nei giorni di sconforto che in quelli della baldoria di piazza. Merito del Piemonte che man- tenne i l sistema costituzionale, e dei patrioti di ogni parte d'Ita- l ia che conobbero il carcere e l'esilio.

I n tale maturazione, i siciliani si resero conto della necessità dell'unificazione .nazionale., pur volendo conservare quel tanto di autonomia che la tradizione isolana, l e diffidenze storiche e la incomprensione continentale rendevano necessaria.

Questa convinzione di uomini di alto sentire, quali i patrioti siciliani del risorgimento, alimentata dalle promesse fatte dal Garihaldi dello sbarco a Marsala, generale e dittatore, rimase viva nel cuore siciliano, attraverso gli anni delle disillusioni( ( l ) .

È vero che si formò in Sicilia fin da allora un'altra corrente, che per ragioni politiche e per paura del horb~nismo e del cleri-

( l ) Vedi: Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (Fran- chetti-Sonnino) n. 102.

calismo, abbandonò ogni idea autonomista. Di costoro molti lasciarono l'isola e andarono a Torino, Firenze e Roma, pren- dendo l 'aria del continente »; si occiiparono del paese natale in periodo elettorale; sollecitarono lavori, accettando le hriciole del banchetto nazionale; non mancarono di far dare posti e favori ai clienti elettorali, che allora per ogni collegio non arri- vavano al migliaio.

L'ondata regionalista riprese in Sicilia nel periodo delle repressioni, dello stato d'assedio e dell'amministrazione commis- sariale affidata a Codronchi. Non è i l caso di discutere se e fino a qual punto provvedimenti speciali fossero necessari. Ma la sospensione delle libertà costituzionali, l'uso di leggi eccezionali,

'

l e repressioni a tipo coloniale resero jnviso i l governo del tempo. La Sicilia fu per qualche anno tutta istintivamente autonomista.

In quel tempo, chi scrive era preso dai suoi studi filosofici e storici e i rumori esterni non arrivavano a interessarlo; però nel fondo del suo animo fermentava l'idea autonomista che si agitava sui giornali e nelle riunioni pubbliche e private. La storia della Sicilia lo appassionava come filologia, cultura e arte, non come politica; ma l'ondata autonomista, che allora veniva qualificata regionalista », lo prese in pieno. Da allora egli fu un regionalista di sentimento ; con l'esperienza della vita puh- blica divenne regionalista convinto.

Questa convinzione fu rafforzata dagli studi e dalla comunanza di idee e di attività con l'avv. Vincenzo Mangano di Palermo, coscienza retta, ingegno forte e di ~ r o f o n d a cultura, cui l a so- ciet.à negò i l riconoscimento che meritava.

Da allora, nel movimento di azione cattolica, i n quello specificamente democratico cristiano, in quello amministrativo, fu data in Sicilia l'impronta regionale, al punto da comunicarla anche ad altri aggruppamenti e partiti.

L'azione cattolica nazionale ave-va inquadrato l a organiz- zazione diocesana nelle circoscrizioni regionali. Quel regiona- lismo non aveva reale carattere strutturale; però si era andata diffondendo presso i cattolici la convinzione dell'opportunità del decentramento regionale. Questa idea era alimentata dal fatto che attraverso le elezioni regionali (come attraverso quelle provinciali e municipali) i cattolici italiani, vincolati al non expe-

clit che impediva loro la partecipazione alla vita politica del

paese, avrebbero potuto far valere i loro ideali e i l loro apporlo numerico. (2iiesto f u un regionalismo piuttosto retorico, e se

ebbe efficacia nel pensiero italiano fu solo come correttivo del centralismo statale, c h i si andava consolidando a danno delle autonomie locali e si andava estendendo nell'anibito della vita

economica e sociale, mentre nel campo culturale niinava la scuo- la locale al punto da preparare il passaggio allo stato delle scuole elementari allora di carattere municipale ( l ) .

4. - In quel periodo F. S. Nitti aveva rimesso in primo piano

la questione meridionale con il noto libro ,Nord e Sud: libro che ini appassionò molto e mi confermò nel mio regionalismo. Però il'rnezzogiorno continentale non sentiva la regione come orga-

nismo autonomo: per quanto Calabria, Puglie, Basilicata, Cam- pania, Abruzzo e Molise fossero ben distinti e avessero un'anima propria, pure non avevano aspirazioni precise ad amministrarsi da sé come regioni. La provincia meridionale aveva una notevole antipatia per Napoli, e tra Napoli e Roma preferiva Roma.

Però, la questione meridionale una volta riproposta, con l'autorità di Giustino Fortunato e di F. S.. Nitti, non poteva

rimanere senza risposta. I provvedimenti speciali per le va- rie regioni ebbero utili effetti; l'acquedotto pugliese ne fu l'opera più significativa e più vanlaggiosa. Altre opere, sia nel

continente clie nelle isole, vennero iniziate, altre furono dovute a disastri locali, come quelle per i terremoti di Calabria, di Mes- sina e Reggio, d i Avezzano. Purtroppo molti provvedimenti re- starono sulla carta, altri furono insufficienti, altri mancarono di

seguito; dopo quaranta anni dal terremoto di Messina, ci sono ancora in Sicilia e in Calabria impegni di leggi non eseguiti e popolazioni clie vivono nelle baracche.

Colpa di leggi complicate, di esecuzioni burocratiche, di inerzie locali, d i dilazioni ingiustificate; colpa degli uomini e

(l) Ciò fu fatto prinia per i piccoli coniuni; poscia sotto il fascismo per tutti i comuni. I cattolici, che per mezzo secolo avevano iniperniata la lotta srille autononiie scolastiche, dovettero cedere all'invadenza statale accettan- do. sotto il fascisn~o: certi compensi in sede di concordato (N.d.A.) .

delle cose. La questione meridionale si trascina da più di ot- tant'anni come un peso morto per la vita del paese.

L'impostazione data alla questione meridionale, a base di interventi statali integrativi, portava anzitutto ad aumentare la inferiorità politica del mezzogiorno; a legare quella rappresen- tanza parlamentare al governo che si serviva dei favori per creare e mantenere la sua maggioranza e per togliere qualsiasi spinta all'inizìativa locale.

Con la destra al governo il mezzogiorno, e la Sicilia davano il più largo contingente all'opposizione parlamentare; venuta su la sinistra. mezzogiorno e isole divennero in maggioranza ministeriali, sfruttati e oppressi dai Depretis e dai Giolitti con i favori, le ingerenze politiche e gli abusi elettorali.

La prima reazione contro la sinistra - che alimentò le con- sorterie del sud appoggiandosi alle coalizioni di interesse locale, alla classe proprietaria retriva e ai gruppi massonici di provincia - fu fatta dal socialismo nascente e dalla democrazia cristiana dell.'epoca leoniana. Questa ultima aveva poca presa nel mezzo- giorno continentale tranne in Campania, ma sviluppava insieme all'azione cattolica, casse rurali e cooperative operaie che cer- cavano di redimere le classi lavoratrici dalle grinfie dell'usura.

Tale movimento, di carattere localistico, faceva presa nel- l'àmbito della provincia dentro i quadri diocesani, anziché per regione. Le difficoltà di comunicazioni interprovinciali e le gelo- sie fra i capiluoghi di provincia, rendevano più difficile nel mezzogiorno continentale la figurazione regionale.

La Sardegna era di sua natura regionalista; la sua ultima storia era fatta di autonomie, e benché la dipendenza da Torino la tenesse legata a un governo non proprio, aveva avuto sempre modo di riaffermare le sue caratteristiche e i suoi bisogni. Con 1'unit.à d'Italia, divenne la cenerentola delle regioni, forse supe- . rata solo dalla Lucania e dal Molise. Di tanto in tanto i sardi fecero sentire la loro voce; però dato il distacco dal continente per lungo tratto di mare e le difficoltà di comunicazione, mai accentuarono una tendenza esageratamente autonomista.

Nel resto del continente, la regione fu pensata come organo - di decentramento amministrativo. La campagna per le autonomie

locali fu fatta principalmente dall'associazione nazionale dei

comuni italiani sorta nel 1901, alla quale fin dall'inizio parteci- parono anche i comuni in mano a cattolici, e ne furono esponenti (oltre chi scrive che ne fu consigliere e vice-presidelite fino al 1924), Giuseppe Micheli, Filippo Meda, Angelo Mauri e Giulio Rodinò. I socialisti vi ebbero nel consiglio Ivanoe Bonomi, Caldara di Milano, Zanardi d i Bologna e altri che ne uscirono nel 1916 per i l neutralismo di guerra ; ne furono presidenti Mussio, Mariotti, Greppi, Lucca e Teofilo Rossi.

Faceva riscontro a questa associazione quella delle provincie, che anch'essa sosteneva, nel suo àmbito, i principii di autonomia amministrativa.

La campagna era serrata contro I'acce'ntramento burocratico e contro l'ingerenza politica nella vita amministrativa locale. Tutti i partiti, compresì i liberali, partecipavano alla campagna dei comuni e delle provincie. Ma mentre i partiti socialisti e democristiani fiancheggiavano nella campagna autonomista i loro rappresentanti dei comuni e delle provincie, i liberali, deputati, senatori e governo, si mantenevano discretamente riser- vati. Solo durante la prima guerra mondiale si ottenne la nomina d i una commissione per la riforma amministrativa e finanziaria degli enti locali della quale facevano parte i l prof. Einaudi oggi presidente della repubblica, il prof. Gilardoni quale segretario e anima dell'unione delle provincie (recentemente deceduto)

e chi scrive in rappresentanza dell'associazione dei comuni. I lavori furono portati alle lunghe. I1 governo non era molto

favorevole ad affrontare tali problemi durante la guerra. Della

regione non si volle parlare trattandosi di problema assai com-

plesso, e si rimase sulle proposte di una riforma amministrativa

e finanziaria che non ebbe attuazione.

5. - I1 18 gennaio 1919 fu pubblicato l'appello « ai liberi e

forti del partito popolare italiano. Nell'annesso programma al

n. VI era scritto: Libertà ed autonomia degli enti pubblici

locali, riconoscimento delle funzioni proprie del comune, della

provincia e della regione in relazione alle tradizioni della na-

zione e alle necessità di sviluppo della vita locale. Riforma della

burocrazia. Largo decentramento amministrativo ottenuto anche

a niezzo clella collaborazione degli organismi industriali. agri- coli e commerciali del capitale e del lavoro ».

Fino a quel giorno solo i repubblicani di tradizione ortodossa favorivano i l regionalismo più per fedeltà a l passato che per una valutazione politica di attualità. All'inizio del 1919 u n nuovo partito, il popolare, ne faceva un caposaldo del suo programma.

La cosa non fece molto rumore: interessava più il fatto che

. cattolici come tali si presentassero come partito politico (prean- nunziarrdo così il ritiro del non expedit che avvenne nel novem- bre siiccessivo), e come un partito democratico ardito, anziché l e varie affermazioni del programma. che potevano sembrare di scarsa attualità come quella sulla regione, sulla proporzionale e sul voto alle donne.

Delle tre, ia proporzionale venne prima alla còrsa e vinse il traguardo; i l voto alle donne ebbe l'onore di due proposte di legge d'iniziativa parlamentare, affogate nelle spire delle com- missioni; la regione fu ampiamente discussa al 3. congresso nazionale del partito popolare tenuto a Venezia nel settembre 1921 ( l ) .

In quel congresso venne a galla la diversità di vedute che i regionalisti (popolari o no) affermavano circa l'istituto della regione. Chi scrive ne era il relatore e sostenne l'autonomia finanziaria e legislativa delle regioni; l'on. Filippo Meda, più cauto per temperamento e già ministro due volte, rappresentò la corrente di coloro che volevano fare della regione un organo di decentramento amministrativo senza poteri legislativi. I1 con- gresso, con un ordine del giorno approvato da' tutt i , accettò la tesi regionalista base per la successiva battaglia parlamentare, senza soffermarsi sulla questione dibattuta fra Sturzo e Meda con la intesa che questa non si reputasse chiusa, né il suo prin- cipio compromesso.

Già in quel periodo si delineava abbastanza grave i l pericolo fascista ; gli urti locali aumentavano; incendi, imboscate, assalti alle cooperative, invasioni di municipi si moltiplicavano nell'Emi- lia e Romagna, nella Va1 Padana e in Toscana.

( l ) Vedi Lcrcr STURZO, Riforme stuiali e indirizzi politici: in I l Partito popolare ittiliann. vol. I , Bologna, Zanichelli 1956.

Sopravvennero. a breve scadenza le dimissioni di Bonomi, il veto a Giolitti, i l primo ministero Facta, la discussione della riforma agraria, detta legge sulla colonizzazione interna (appro- vata dalla camera nel luglio 1922), e subito dopo la seconda crisi Facta e infine la marcia su Roma. I1 problema della regione non era più di attualità.

Però risorse nella coscienza degl'italiani durante i l regime fascista, che portò l'accentramento statale fino all'eccesso ; gl'in- teressi locali furono subordinati a quelli della dittatura; furono soppresse perfino le voci umane delle associazioni regionalistiche che tenevano in Roma affiatati e in contatto artistico, e culinario, i nativi delle varie regioni d'Italia. Non parliamo della spere- quazione economica che fu accentuata fra regioni industriali e regioni agricole, fra nord e sud, né del tipo di colonialismo che fu creato dai ras )) fascisti.

In questo clima la regione fu concepita come liberazione dal- l'oppressione centrale, rivendicazione di libertà, rinvigorimento delle energie locali, ringiovanimento della struttura dello stato.

I partiti emersi dalla caduta del fascismo furono, quale più quale meno, tutti regionalisti e si impegnarono a portare il pro- blema della regione all'assemblea costituente.

La Sicilia, anche questa volta come un secolo prima, fu al- l'avanguardia con il suo problema isolano: regione o stato se- parato?

I1 separatismo fermentato negli uliimi mesi del fascismo, si manifestò apertamente durante l'occupazione alleata. C i furono reali promesse inglesi? Ci furono intese con Londra? La cosa preoccupò chi scrive; egli si interessò a che il Dipartimento d i stato d i Washington avesse chiarito la sua pos'izione circa l'av- venire della Sicilia, e fu lieto quando potè scrivere e potè par- lare alla radio di New York: autonomia si, sepuratisnto no. I1 merito di questa posizione va dato alla democrazia cristiana d i Sicilia, che dal congresso di Caltanisetta in poi (1944) di- stinse la sua posizione da quella dei separatisti, affermando che l'autonomia doveva essere veramente tale senza equivoci nè attenuazioni.

Nominato l'on. Aldisio alto commissario la Sicilia nel 1945, fu dalla consulta siciliana redatto uno statuto che il con-

siglio dei ministri approvò con decreto legislativo del 15 maggio 1946.

11 20 aprile 1947 f u eletta a sistema proporzionale l'assem- blea regionale composta di 90 membri; il primo governo regio- nale fu nominato nel maggio successivo; lo statuto fu introdotto nella costituzione il 31 gennaio 1948.

Nello stesso periodo erano stati costituiti come autorità re- gionali i l consiglio provvisorio della Valle d'Aosta e l'Alto com- missariato della Sardegna. F u anche riconosciuto il diritto di t

speciale regione al Trentino-Alto Adige, da parte del governo, il cui impegno ebbe anche rilievo a Parigi, durante l a discus- sione del trattato di pace (1946).

Così l a questione regionale, dopo un secolo dalle prime impo- stazioni, la siciliana e la nazionale, veniva rimessa i n esistenza con le due caratteristiche: l a speciale e la nazionale.

LA REGIONE NELLA COSTITUZIONE

6. - I1 passaggio dall'idea al fatto è sempre penoso: la rea- lizzazione nel concreto; sia pure quella di formulare una legge, è una creazione. Dopo un secolo i l tentativo è stato fatto. Era naturale che non mancassero le discussioni, le opposizioni, le critiche, le vedute diverse; nessuna meraviglia se attraverso un tale vaglio, la regione che ci presenta . la costituzione non sia quella che i regionalisti hanno vagheggiato e voluto da sì lungo tempo, e neppure quella che statisti, legislatori, uomini politici e giuristi credevano e credono dovesse essere introdotta nella nuova struttura dell'Italia una.

Vari e complessi i problemi affrontati, ma il primo e il più grave da risolvere era quello politico: se e come far entrare la regione nella costituzione senza togliere allo stato italiano il suo carattere unitario e senza attenuarne la solidità politica, nè indebolirne la struttura amministrativa.

Mentre nelle costituzioni di altri paesi europei, e in quelle delle Americhe e del170ceania si trovano strutture statali a tipo federativo, non vi si trovano regioni con autonomie speciali; nè regioni possono dirsi i vari ex-regni nella Gran Bretagna che hanno mantenuto istituti propri per quello spirito di tradizione e quell'adattamento istintivo, che è di quel popolo, uno e vario, individualista e gregario, libero e disciplinato. Andando a vi- sitare a Londra la chiesa di Santa Etheldreda, seppi che in quel- la zona non poteva entrare la polizia, non vi avevano poteri la città e la contea; lo stato stesso ( m i correggo: in Inghilterra non c'è lo stato, tranne che per fissare i rapporti con la chiesa:

ci sono il parlamento, il re e il governo) bene, i l parlamento, il governo e il re non esercitano poteri su santa Etheldreda. Resto di medio evo nel secolo XX, che rivela due cose: il rispetto del- la tradizione nelle minime cose e il senso di libertà. Ci sono in Inghilterra le contee che potrebbero essere prese per regioni, come ci sono nellYAmerica del Nord i local Governments ; tutti i corpi autarchici sono chiamati local Governments; i loro diritti tradizionali sono rispettati; ed essi non invadono i diritti del centra1 Government, del governo centrale. Anche le delibera- zioni normative dei corpi locali in Gran Bretagna si chiamano leggi: municipal laws, county laws e così via. In un paese. in cui non esiste costituzione scritta, la tradizione si mantiene sal- da, si adatta alla storia, e viene meno con moto spontaneo e con dinamismo interno, senza bisogno di rivedere gli statuti e rifarli da capo a fondo.

Nei paesi dove la tradizione non vincola e la stessa legge fa- cilmente si viola, si tende alle formule rigide e complicate, al punto che la legge stessa non si esegue se non c'è (com'è i n Italia) un regolamento di esecuzione, e il regolamento stesso non fa testo se non arrivano per circolari gli ordini del potere amministrativo e ministeriale.

Altro esempio di regionalismo di eccezione ci venne dalla repubblica spagnola del 1931, quando fu concessa una certa autonomia ai catalani e ai baschi. I1 tentativo fu contrastato fortemente; fu attuato a Barcellona che per difendersi prese verso Madrid un'aria antagonista; i baschi tentarono di ripren- dere i vecchi privilegi. Ma le rivolte e la guerra civile annulla- rono quelle autonomie, e Guernica, la città sacra dei baschi, f u bombardata dagli aeroplani di Hitler, che vi fecero il primo saggio dei nuovi metodi di guerra (l). La Spagna non avrà pace se non riconosce l'autonomia di questi-due nuclei etnici. Ma il problema spagnolo non è'paragonabile a quello italiano, nep- pure nei riguardi dei nuclei allogeni: il tedesco dell'Alto Adige e l'italianissimo (con parlata francese) della Valle di Aosta, per

(l) Si sostenne che Guernica f0ss.e stata bombardata dai rossi* ma fu dimostrato che era una voce fatta correre per nascondere la verità dei fatti (N.d.A.).

non parlare dei ~ o c h i sloveni di Gorizia, dopo che 171stria ci Ri tolta.

La Repubblica tedesca di Weimar riconfermò la struttura pluristatale del caauto impero, ma con l'estromissione delle vecchie dinastie volle attenuare ancora di più l'autonomia degli stati per unificarli nel Reich. L'opposizione della Baviera arrivò . al punto che i cattolici si divisero formando un partito popo- lare bavarese distinto dal partito del centro che mantenne in Baviera per qualche tempo una propria organizzazione. CO- munque, il regime di Weimar per quanto attenuato restò sempre federale, e gli stati mantennero una benchè limitata sovranità.

L'Austria mantenne le diete locali a sistema decentrato; la Cecoslovacchia fu dualistica per via degli slovacchi, che dife- sero.fortemente le loro autonomie. Ma qui come nel Belgio (au- tonomia dei fiamminghi) si trattava di differenze etnico-lingui- stiche, più o meno accentuate da contrasti politici.

I n sostanza, il paese che potrebbe essere preso come esempio di un regime strutturale regionalistico non è altro che la Sviz- zera con i suoi cantoni. Questi nacquero liberi, difesero e riven- dicarono la loro libertà unendosi insieme, combattendosi fra di loro, fin che, attraverso una Storia tenace, forte e gloriosa di sei secoli,-formarono non solo uno stato federale ma una nazione a tre lingue (oggi a quattro): la nazione svizzera.

I1 cantone non è uno stato, ma si sente libero e sovrano co- me uno stato; si è autolimitato confederandosi, ma rimane il fattore efficace, la matrice della confederazione; non ha pre- giudizi linguistici e comunica in tutte le lingue; non manca di divisioni politiche in partiti, ma nessun partito viola i diritti del cantone.

La regione come concepita dai regionalGti, sarebbe qualche cosa di più delle contee inglesi, qualche cosa di meno dei can- toni svizzeri. Dovrebbe rispondere alle esigenze dell'autonomia locale e dovrebbe inserirsi nello stato unitario senza alterare lo spirito e la struttura.

, Questo il problema affidato all'assemblea costituente.

7. - Lo stato di fatto già creato con i ~rovvedimenti adot- tati per la Valle di Aosta, con la creazione degli alti commis-

sariati per la Sicilia e per la Sardegna, e gli impegni presi per il Trentino- Aldo Adige, indussero i membri della sottocommis- sione e poi la costituente stessa a fare una distinzione f ra regioni a statuto speciale e regioni a sistema normale. Alle pri- me quattro fu titolarmente aggiunto i l Friuli-Venezia Giulia, con una sospensiva transitoria per ragioni di opportunità politi- ca (l). Questa distinzione f u dettata assai più dal timore che estendendo alle altre quindici regioni (sedici col Friuli Venezia Giulia) il diritto di statuti speciali si potesse compromettere la saldezza unitazia dello stato, mentre limitandola a quattro re- gioni, due periferiche e due isolane, tutte in condizioni d i evi- denti particolarità, il complesso strutturale dello stato sarebbe rimasto saldo.

La decisione suddetta, che potrebbe deporre a favore di una discreta prudenza nell'evitare il cosiddetto «. salto nel buio D, in sostanza derivava da un altro stato d'animo, quello di voler mantenere intiero e intatto il potere legislativo statale anche in materia locale, e i l timore che dandolo alle regioni potesse ve- nir meno quella uniformità di leggi che non solo a i bigotti e agli ignoranti, ma a molte persone illuminate sembra dover es- sere uno dei caratteri dell'unità nazionale.

Questa fissazione, antica e recente, che la regione possa intac- care l'unità della patria, non solo ha resa in sul nascere assai contrastata la istituzione della regione, ma l'ha fatta nascere con tali deficienze e con tante restrizioni, che, come vedremo, ci vorrà della pena a caratterizzarla e renderla vitale.

Notiamo ciò non perchè non approviamo la varietà dei t ipi e

degli statuti, noi che ammiriamo la varietà degli statuti canto- nali della Svizzera, ma perché avremmo amato che la costitu- zione si fosse limitata a fissare i cardini de117istituto regionale, lasciando a ciascuna regione, isola o continente, del nord o del centro O del sud, di darsi il proprio statuto.

È vero che chi legge il titolo V della parte seconda della no-

(') (( Alla regione del Friuli-Venezia Giulia di cui all'articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del titolo V della parte se- conda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l'articolo 6 n (Disposizioni transitorie e finali della costituzione).

stra costituzione può' avere l'impressione che sia stato fatto pro- prio così, ma nella sostanza le sedici regioni a règime ... ordinario (come chiamarle?) hanno poco da mettere nei loro statuti che potrebbero chiamarsi senz'altro regolamenti.

I1 primo punto che caratterizza la regione autonoma è la po- testà legislativa per materie di propria competenza e dentro i l proprio territorio.

Così precisò il relatore on. Ambrosini i termini della discus- sione avvenuta alla sotto-commissione: La divergenza di vedu- te, che si era avuta riguardo all'articolo 2 del progetto del rela- tore (l), continuò e si manifestò più concretamente riguardo agli articoli 3 e 4, che si riferiscono alla potestà legislativa della regione, al punto cioè maggiormente controverso.

L'articolo 3 tratta di una potestà legislativa diretta attri- buita per determinate materie alla regione, coi limiti e le cau- tele di cui faremo presto cenno.

L'articolo 4 tratta di una potestà legislativa di integra- zione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello stato ».

I1 progetto dell'on. Lami Starnuti, siccome si è detto, rico- nosceva alla regione soltanto la potestà normativa per l'attua- zione delle leggi dello stato ».

Nel sistema proposto dall'on. Grieco si ammetteva anche la potestà legislativa di « integrazione 1). L'articolo da lui for- mulato in proposito corrisponde sostanzialmente all'articolo 4 del progetto del relatore. Esso infatti dice: C La regione ha po- testà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dallo stato per le materie di sua competenza ed ogni volta ciò sia espressamente dichiarato nelle leggi dello stato M.

L'on. Zuccarini d'altra parte proponeva nel suo progetto . ( n . 29) che all'assemblea della regione si attribuisse la legi-

slazione esclusiva su tutte le materie che la legge costituzionale non abbia riservato all'amministrazione generale dello stato ».

(C Esaminando i suddetti vari sistemi, il relatore notò che po- teva farsi pregiudizialmente una differenziazione fondamentale

( l ) 11 relatore, detto impersonalmenie, è lo stesso on. Ambrosini

fra quello, di più spinto regionalismo, proposto dall'on. Zuccarini ed assecondato in generale dall'on. Lussu, e gli altri tre sistemi rispettivamente proposti dagli on. Ambrosini, Lami Starnuti e Grieco.

L'articolo 3 infatti diceva tassativamente che la regione h a nelle materie determinate la potestà legislativa diretta in ar- monia coi principii della costituzione e delle leggi fondamentali dello stato e nel rispetto degli interessi nazionali », formula alla quale lo stesso relatore propose, per rendere più chiara la disposizione e per differenziarla nel contempo più decisamente da quella dell'articolo P , la seguente variante: ... in armonia .

con la costituzione e coi principi fondamentali dell'orientamento giuridico dello stato e nel rispetto degli interessi delle altre re- gioni e dello stato )) (').

Non ostante gli accorgimenti della maggioranza della secon- da sotto-commissione, la costituente approvando l'art. 117 sta- bilì che « La regione emana per le seguenti materie norme legi- slative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, semprechè le norme stesse non s ianoin contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni ».

Si ebbe cura i n questo articolo di evitare 1a.parola legge e si sostituì con quella di a norme legislative »; ma negli arti- coli successivi si parla di « leggi ». Comunque, queste norme o leggi dovranno restare dentro i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato M. P e r un mediocre filosofo è arduo am- mettere che le leggi dello stato) (( stabiliscono principi £ondamen- tali D. Le leggi sono o debbono essere poggiate su principi fon- damentali etici, politici, economici o sociali; questi principi debbono essere validi per tutti, abbiano o no avuta una qualsiasi applicazione legislativa, sia dello stato, sia della regione.

Nel caso presente, a parte l'infelice formula di principi fon- damentali stabiliti dalle leggi Sello stato, il proponente inten. deva dire che le regioni non potranno porre nella loro legisla- zione altri principi generali che quelli supposti o enunciati in ogni singola legge dello stato. La parola (C singola fu tolta, per evitare una precisazione inopportuna, potendo la materia di-

(') Relazione tlell'on. Ambrosini - Atti dell'assemhlea costituente.

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pendere da varie leggi, spesso da una moltiplicità di leggi (data la ... inflazione legislativa che svaluta i nostri ordinamenti), sì che a ripescare i vari principi generali (non sempre armonici nè coerenti) che sono sottintesi, inclusi o annunziati in ogni singola legge, ci vorrà un lavoro selettivo da affidarsi agli uffici legislativi dello stato e della regione.

Secondo la più stretta interpretazione, data da coloro che di- scussero a lungo questa tormentata disposizione, le leggi dello stato hanno vigore nelle regioni senza alcuna restrizione. Le assemblee regionali potranno emanare leggi locali di adattamen- to e di esecuzione. E poiché, aggiungo io, ad ogni disposizione particolare delle leggi dello stato si può trovare un principio generale, come un chiodo cui appenderla, così la legislazione regionale si potrà ridurre a pura regolamentazione con qualche ritocco più o meno felice.

Ci fu chi aggiunse che lo stato può, cambiare principi ge-

nerali a piacimento; e le regioni subito a C legiferarne » gli adattamenti. Una specie di tela d i Penelope, affidata alle mani ... poco delicate dei componenti i l parlamento e i consigli regio- nali. Si ritenne che anche i regolamenti dello stato avessero vi- gore nelle materie devolute alle regioni fino a che i consigli re- gionali delibereranno in merito. Ciò può valere in via transito- ria *èr una specie di continuità legislativa che nell'ordinamento italiano esige il regolamento come elemento indispensabile di attuazione. Tra parentesi, ci sono regolamenti che alterano lo spirito delle leggi; ci sono regolamenti atti a ritardare l'esegui- bilità delle leggi; ci sono regolamenti che rendono ineseguibili le leggi: si tratta di una selva densa di regolamenti che servono in primo luogo a far aumentare il numero degli impiegati di ogni dicastero, e non si può negare così che una delle finalità delle regolamentazioni è presto raggiunta. Se lo spirito legisla- tivo e regolamentare dello stato italiano invaderà le regioni ( e , la cosa sarà facile per il previsto e non evitabile passaggio del personale dello stato alle singole regioni) noi regionalisti avrem-

6 mo di che lamentarci per lungo tempo!

Quali i limiti imposti ai varii organi legislativi dello stato dal famoso articolo 117 della costituzione? Dovrà lo stato, nelle materie attribuite alle regioni, limitarsi a legiferare per prin-

tipi generali? L'on. Ambrosini fu tassativo quando disse che la costituzione, per le materie elencate nell'articolo, pone de-

terminati limiti alla potestà legislativa della regione, ma ne po- ne anche uno allo stato, i l quale, per le materie stesse, dovaà limitare la sua legiferazione all'approvazione di principi fon- damentali; oltrepassando questo limite, lo stato invaderebbe la sfera riservata alla potestà legislativa delle regioni ».

L'affermazione di Ambrosini è logica e giuridica, ma biso- gna portarla avanti nelle sue conseguenze: primo, che una legge per principi non sarà mai eseguibile se non si avrà la corrispon- dente legge regionale di attuazione; secondo, che se il parla- mento emette, nelle materie indicate dall'art. 117, una legge det- tagliata con l'ordine di eseguibilità, le regioni potranno oppu- gnarla avanti la corte costituzionale.

La questione potrà essere sollevata a proposito del disegno di legge Segni sui patti agrari, dato che l'agricoltura è inclusa nell'elenco dell'art. 117 ( l ) . Forse per i l fatto che ancora le re- gioni a tipo ordinario non hanno avuto inizio, i l ministro ha presentato un disegno di legge dettagliato ed esecutivo. Ma dato che per legge è stato fissato al 30 ottobre 1949 l'ultimo termine delle elezioni regionali, la futura legge sui patti agrari non po- trebbe avere che efficacia transitoria, fino a che le regioni non delibereranno jure proprio; osservando solo i principi generali della legge. Potrà anche avvenire che una simile legge, inva- dendo il campo della regione, possa essere impugnata avanti la corte costituzionale. In questo e in simili casi sarebbe da pre- ferire che il parlamento legiferi scheletricamente per principi (l).

A proposito, nel disegno di legge n. 211,,« costituzione e fun- zionamento degli organi regionali » è stato proposto un articolo, il 38, che suona così: Le leggi della repubblica che stabili-

(l) La Sicilia ha in materia agraria la legislazione esclusiva, limitata solo (C tlalle riforme agrarie e industriali deliberate dalla costituente (arti- colo 148).

( 2 ) Sembra che si vada insinuando l'idea di stabilire che le regioni noh potranno legiferare nelle materie proprie se il parlamento non abbia prima approvate le leggi scheletriche. Ecco nn bel modo di paralizzare le regioni in SUI nascere ovvero di produrre una selva di leggi inutili fuori tempo e fuori tono (N.d.A.) .

scono principi fondamentali nelle materie indicate nell'artico- lo 117 della costituzione entreranno immediatamente in vigore

' nelle regioni. I consigli regionali dovranno apportare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni 1). Dal fatto che la legge per principi, o scheletrica, entri in vigore, non ne con- segue che sia eseguibile, solo importa la -facoltà data a.i consi- gli regionali di formulare le leggi di applicazione entro un lasso di tempo discretamente regolare per preparare il disegno di leg- ge, passarlo alla competente commissione consiliare, farlo di- scutere e approvare dal consiglio e pubblicarlo (dopo le prati- che di rito) sul Bollettino Ufficiale. Sarà bene soppdmere quel- l'« immediatamente », proposto secondo il perfetto stile buro- cratico, non essendo la legge schematica che il primo atto di una nuova procedura legislativa. I consigli regionali non possono essere. obbligati dall'alto a legiferare essendo organi autonomi ed elettivi. Essi' rispondono dei loro atti al proprio corpo elet- torale, i l quale potrà servirsi della petizione o del referendum.

Un secondo limite^ imposto dal suddetto articolo 117 è i l sé- guente: « sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni ». « L'interesse nazionale » al singolare può denotare un interesse politico, men- tre l'interesse di altre regioni non può essere che quello deri- vante dal fatto territoriale per questioni di carattere economico o amministrativo. I1 primo è troppo elastico e può dar luogo a conflitti di vaLutazione fra assemblee regionali e parlamento, dato che per l'articolo 127 della costituzione i contrasti di inte- ressi verranno decisi dalle camere ». ,

Lo spirito di questa disposizione è chiaro: si è voluto subor- dinare la potestà legislativa delle regioni a quella del parlamen- to. I1 criterio giuridico è assai discutibile; quello politico, se di interesse politico si può parlare, non avrebbe base seria. In u n reale conflitto politico fra potere centrale e potere regionale, il governo può ricorrere ailo scioglimento del consiglio. Per le violazioni di legge o per gli eccessi di potere, vi sono i rimedi normali fissati nella costituzione. I1 conflitto di interessi, se de- rivante da diritti, va espletato avanti le magistrature. In ogni caso l'intervento politico, se è questo i l senso della frase, sarebbe eccessivo e disturbante.

Se la prima parte dell'articolo 117 è discutibile e dimostra le perplessità a concedere alla regione veri poteri legislativi, l'elenco delle materie attribuite alla competenza regionale di- mostra le titubanze di una maggioranza poco convinta dell'isti- tuto stesso che essa faceva nascere.

' A 'complicare la matassa, fu aggiunta alla costituzione una di- sposizione transitoria, I'VIII, dove si stabilì che ic leggi della

repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministra- zione i l passaggio delle funzioni statali attribuite alle regioni ». Secondo gli umori del governo e delle due camere, queste leggi saranno larghe o più strette, fino a l punto di ridurre le

competenze della regione, siano amministrative che legislative. É vero che tali leggi potranno essere impugnate avanti la corte costituzionale, ma è anche vero che la stessa corte nell'interpre-

tare la costituzione potrà essere larga o stretta secondo le cor- renti che vi prevalgono.

La costituzione, all'art. 126, prevede anche un altro organo, quello di una commissione di deputati e senatori che dovrà es-

sere « costituita per le questioni regionali con legge 'della re- pubblica ('). La legge d0vr.à ancora venire e si ignora quali com-

petenze saranno devolute alla detta commissione, oltre quella, fissata dalla stessa costituzione, di dare il suo parere nel caso di proposto scioglimento del consiglio regionale. Nel tipo di

stato costituzionale quale è l'italiano le commissioni parlamen- tari non hanno diritto di interferenza nell'amministrazione go- vernativa nè di controllo diretto sugli enti locali. Probabilmente

si volle escludere il parere del consiglio di stato circa lo scio- glimento dei consigli regionali e si preferì un organo parlamen- tare per avere un correttivo più efficace ai possibili arbitri del

governo. Poiché non abbiamo ancora la legge, c'è 'da augurare che non si venga. con inopportune disposizioni, a creare un altro

(1) Nel citato disegno di legge n. 112 i: stato proposto un ,articolo (i l 28) col quale si precisa il numero di otto deputati e otto senatori eletti dalle rispettive camere quali componenti la commissione «per le questioni regionali D. La commissione elegge nel proprio seno il presidente e il segre- tario (N.d.A.).

organo di tutela che imponga una dipendenza parlamentare ai corpi regionali eletti con suffragio universale.

Purtroppo, non sono solo questi gli indici della diffidenza legislativa verso la regione; avremo agio di riparlarne quando toccheremo della struttura amministrativa. Ciò non ostante i re- giornalisti debbono ringraziare la maggioranza dell'ass~mblea costituente se, attraverso strappi e storture, poté arrivare a dare vita alla nuova creatura. Starà ai regionalisti che saranno messi alla prova, formare un ambiente di fiducia attorno alla regione fin dalla sua prima attuazione.

8. - La potestà legislativa diretta che fu negata 'alle regioni ordinarie, fu invece concessa alla regione siciliana in virtù del- l'articolo 1 4 dello statuto dove è scritto: « L'assemblea, nel- l'àmbito della regione e nei limiti delle leggi costituzionali del- lo stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla 'costituente del popolo italiano, ha la legisla- zione esclusiva sulle seguenti materie ... N.

Fra'le materie indicate in questo articolo le più notevoli SO-

no: agricoltura e foreste, bonifiche, industria e commercio, urba- nistica, lavori pubblici, regime degli enti locali, istruzione ele- mentare, musei e biblioteche.

Nello stesso statuto c'è una limitazione che a prima vista sembra identica, ma non lo è, a quella dell'articolo 117 della costituzione; per alcune materie quali igiene e sanità, assisten- za sanitaria, disciplina del credito, legislazione sociale, istru- zione media e universitaga, e simili. Anzitutto la regione ha fa- coltà, e non dovere, di assumere tali servizi; se l i assume, la legislazione dovrà essere dentro « i limiti dei principi ed inte- ressi generali cui s'informa la legislazione dello stato 1) (art. 17). La formulazione dei limiti qui è molto più chiara e logicamente più esatta di quella dell'articolo 117 della costituzione. Nel pri- mo ,si parla a di principi e interessi cui si informa la legislazio- ne dello stato N; nel secondo si parla di « principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato 1); nel primo si parla di interessi cui si informa la stessa legislazione, nel secondo si fa riferimento al possibile contrasto con l'interesse nazionale 1).

I due tipi di legislazione ammessi dallo statuto siciliano .so-

gliono essere classificati come legislazione esclusiva (art. 14) e concorrente o , integrativa (art. 17); ovvero primaria (art . 14) e secondaria (art . 17). Ma per essere esatti nei due casi si deve parlare di legislazione « autonoma » limi.tata solo per l'art. 14 dalle leggi costituzionali e per l'art. 17 dai principi e interessi generali cui si informa la legislazione dello stato. Sicché, nel primo caso, in tutto ciò che non è stato approvato con proce- dura costituzionale (come la costituzione dello stato e gli sta- tuti speciali) la regione p0tr.à .per le materie dell'art. 14 e nel- I'àmbito proprio adottare principi generali diversi da quelli adot- tati dalle leggi ordinarie dello stato; mentre per le materie indicate dall'articolo 17, non può oltrepassare i limiti derivanti oltre che dalla costituzione anche dai principi e interessi gene- rali dello stato.

Poiché nel primo caso abbiamo disposizioni concretate in for- mule (leggi costituzionali) e nel secondo abbiamo solo elementi etico-giuridici (principi generali) o dati di apprezzamento (in- teressi generalik così la legislazione emanata in base all'art. 17 dello statuto siciliano lascia margini di discussione e di contro- versia assai larghi nell'individuare quei principi e quegli inte- ressi che eventualmente potrebbero essere violati da leggi re- gionali (').

Dove la dicitura vaga dei testi costituzionali non darà gran- de appoggio, saranno la giurisprudenza e la pratica che guide- ranno, con più o meno sicurezza, lo svolgersi dell'attività legi- slativa della regione.

Un punto è stato affermato dall'alta corte per la regione si- ciliana che, in questo inizio legislativo, merita rilievo, cioè che le leggi dello stato non abbiano bisogno di essere recepite dalla regione per essere valide. La regione siciliana ha due diritti da far valere se si sentirà lesa: o ricorrere all'alta corte per inco- stituzionalità, ovvero modificare la legge statale adattandola'ai bisogni regionali (2).

Gli altri tre statuti speciali annessi alla costituzione, leggi

( l ) Tra i nove ricorsi discussi e decisi dall'alta corte siciliana tre ri- guardavano l'applicazione dell'art. 1'7.

(2) L'assemblea regionale della Sicilia fin dai primi atti introdusse U

costituzionali anch'essi, precisano la potestà legislativa delle sin- gole regioni più o meno sulla falsariga dello statuto. siciliano, ma con un giro di parole forse più cauto. Gli effetti pratici sa- ranno probabilmente gli stessi.

Ecco le tre formule: Sardegna (articolo 3) e Valle d'Aosta (articolo 2): « In armonia .con la costituzione e i principi ilel- l'ordinamento giuridico dello stato e nel rispetto degli obbligi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della repubblica, la regione ha p0test.à legislativa nelle seguenti materie ... N.

L'articolo 4 dello statuto del Trentino-Alto Adige è identico in tutto alla disposizione riportata, meno che nella chiusa dove invece di C( potestà legislativa » è scritto: « ha la potestà di ema- nare norme legislative D.

Se ' l e parole usate non sono il frutto del gusto giuridico del compilatore, si dovrebbe dedurre che nei primi due statuti si tratti d i « legislazione esclusiva » come per la Sicilia; mentre che nel caso del Trentino-Alto Adige la facoltà è solo concor- rente e integrativa. La differenza fra i tre e lo statuto siciliano sarebbe solo nell'avere introdotto in questi ultimi « i principi dell'ordinamento giuridico come termine con il quale mante- nere armonia. La cosa potrà avere più o meno importanza se- condo l'interpretazione pratica e cogente che sarà data alle pa- role di ordinamento giuridico dello stato N.

Ma poiché gli stessi statuti nel distinguere le materie che ri- cadono sotto la potestà legislativa delle tre regioni, creano 'per le seconde elencate altri limiti, è da conchiudere che con le di- citure sopra riportate si sia data alle-tre regioni, con limiti più o meno precisi e larghi, una vera legislazione primaria.

Gli altri limiti sono così formulati: Sardegna (articolo 4) e , I'rentino-Alto Adige (articolo 5): Nei limiti del precedente

articolo e dei principi'stabiliti dalle leggi dello stato la regione emana norme legislative sulle seguenti materie ... ». Valle d i Ao-

nelle sue leggi l'istituto della recezione delle leggi dello stato. L'alta corte, nel caso deciso, qualificò questa formalità come irrilevante. Si trattava del- l'applicazione di leggi finanziarie in rapporto all'interpretazione dell'arti- colo 36 dello statuto. (N.d.A.).

>r

sta (articolo 3): La regione ha la potestà di emanare norme le- gislative di integrazione e di attuazione delle leggi della repub- blica, entro i limiti indicati nell'articolo precedente, per adattarle alle condizioni regionali, nelle seguenti materie.. . D .

Le due formulazioni rendono un suono diverso per quanto l'idea direttiva sia la stessa. I n ambo i casi si tratta di legisla- zione integrativa e secondaria per la quale è permessa anche la modifica delle leggi dello stato per adattarle alle condizioni regionali.

Non so fino a qual punto il parlamento italiano sia disposto a legiferare con norme generali. I compilatori dei disegni di leggi soffriranno parecchio a scrivere pochi articoli sopprimendo quel- la precisazione soffocante che è nel loro stile. Gli stessi com- missari parlamentari avranno difficoltà a limitare il loro desi- derio di introdurre emendamenti 1). Le leggi scheletriche sa- ranno una bella novità per l'Italia.

Dall'altro lato, le assemblee regionali dovranno fare bene attenzione per non violare quelli che sono « i principi dell'or- dinamento giuridico dello stato 1) e per differenziarli da quelli che sono i principi stabiliti dalle leggi dello stato 1) e che logi- camente non debbono essere confusi con i principi di ordina- mento giuridico.

Se poi i l parlamento, invece di limitarsi « ai principi vor- rà legiferare sulle norme d i esecuzione 11, allora le quattro re- gioni a statuto speciale potranno eccepire l'eccesso d i potere o la incompetenza del parlamento, e le altre sedici regioni avranno ben motivo di far lo stesso in base all'art. 117 della costituzione, che p0tr.a essere interpretato in maniera diversa dall'opinione personale espressa da coloro che lo formularono.

9. - La potestà legislativa, sia esclusiva sia concorrente, at- tribuita alle regioni è limitata alle materie fissate nella costitu- zione o negli statuti speciali. La discriminazione tra regi?ni e regioni fu dovuta al fatto che gli statuti speciali furono proposti dalle consulte locali e poi elaborati al centro, mentre le dispo- sizioni inserite nella costituzione furono elaborate dalle varie commissioni dell'assemblea costituente che poi le approvò in maniera transattiva fra regionalisti e antiregionalisti, i quali

ultimi ricorsero alle votazioni segrete per sabotarle. Non so se possa darsi cosa più irragionevole dell'abuso che i gruppi della costituente fecero della votazione segreta, nella speranza di attrarre così qualche palla in più, da ... « con- vittori » che temevano l'occhio indiscreto del « prefettino ». Così avvenne che per pochi voti furono sottratte alle regioni al- fabeticamente e industrialmente più progredite, quali il Piemon- te, la Lombardia, la Liguria, il Veneto, materie come quelle dell'industria e commercio, che, invece, furono lasciate alla Si- cilia, alla Sardegna e alla Valle d'Aosta. Non si può mettere in dubbio che le camere di commercio abbiano carattere locale (così fu che il Trentino-Alto Adige le rivendicò a sè) e non si comprende la resistenza fatta dal ministero dell'industria e com- mercio per volerle sotto la sua competenza.

,

Coloro che si sono opposti a che l'industria e i l commercio fossero date alle regioni, a tutte le regioni, ubbidivano a idee di pianificazione, di monopoli statali, di fav0ritism.i statali. Se c'è un settore nel quale governi e'camere si siano mostrati, in più di mezzo secolo, impari a dirigere e regolare l'economia del paese, è stato proprio in quello industriale. Le crisi che sono cadute sulle spalle del cittadino italiano partono proprio dal centro governativo, che in tale materia ha sempre seguito una politica dannosa e a lunga scadenza irrimediabile.

I regionalisti hanno ragione a voler sottrarre allo stato quel- la parte delle industrie e dei commerci che ha carattere regio- nale. Anzitutto le regioni non hanno nè la zecca, nè il torchio; non hanno diritto a regolare 1: tariffe doganali; non possono addossarsi nessuna Ansaldo nè buttare i denari che non hanno in nessuna Cogne; le creazioni tipo IRI mancherebbero di base nelle regioni.

È vero che le regioni interessate all'dnsaldo, alla Cagne, al- 171RI potranno rivolgersi a Roma e sollecitarne i provvedimenti ; ma se tali provvedimenti incidessero sulle altre regioni, ci sa- rebbe per lo meno una discussione o un conflitto di interessi, che servirebbe a far evitare i decreti affrettati tipo FIM, o gl'impe- gni di integrazione dei costi come nelle commesse delle navi estere.

Scrivendo questo, non nego che lo stat.0 debba intervenire e .

debba anche affrontare i problemi della nazionalizzazione o sta- talizzazione, come l'Italia liberale fece a suo tempo con le fer- rovie e con l'istituto delle assicurazioni, senza attendere le de- magogie pianificatrici rosse o gialle. Basta guardare gli Stati Uniti divisi in quarantotto stati, (sta- t i e non regioni), e la Svizzera divisa in ventidue cantoni (can- toni e non regioni), per non parlare del Regno Unito, del Canadà, dell'Australia e della Nuova Zelanda, per accorgersi che l'eco- nomia del paese non è turbata, ma resa più potente dal con-

'

corso e dalla vigilanza di singoli stati o cantoni sugli atti del potere centrale. Altra materia attribuita alle quattro regioni a statuto speciale, ma sottratta alle regioni di diritto comune, è stata quella della istruzione. La Sicilia ha la legislazione esclusiva sull'istruzione elementare, i musei, le biblioteche e le accademie, e a sua fa- coltà può avere la legislazione limitata dai principi generali sull'istruzione media e universitaria. La Sardegna ha la legisla- zione di integrazione e attuazione in tutta la materia scolastica. La Valle d'Aosta ha la istruzione tecnico-professionale e le bi- blioteche e musei di enti locali, come legislazione primaria; la istruzione elementare e media come legislazione secondaria. Nello statuto del Trentino-Alto Adige la istruzione postelemen- tare e di avviamento professionale è stata attribuita alle provin- cie, mentre circa l'ordinamento scolastico vi sono disposizioni rispondenti alla situazione mista di popolazioni italiane e allo-

gene.

Milanesi e pavesi, fiorentini e pisani, torinesi e genovesi,

veneziani e padovani, romani e napoletani si domanderanno per

quale ragione di inferiorità non potranno le loro regioni avere

voce in capitolo nell'ordinamento della istruzione elementare e

media, nei musei e nelle accademie e perfino nelle loro gloriose

università, più gloriose nel tempo antico che non sotto l'unifi-

cazione e l'uniformismo del fu regno d'Italia. Ma no: la repub-i

blica nega. loro il diritto di occuparsi della istruzione (tranne

l'artigiana e la professionale) perchè il mastodontico ministero

della P.I. deve mantenere statizzati e regimentati i maestri e le

maestre: i professori e. gl'insegnanti, occupandosi ~ e r f i n o dei

trasferimenti, permessi e coricorsi e pensionamenti di tutto i l personale scolastico compresi bidelli e uscieri.

Quanto un tale accentramento sia dannoso per l'istruzione italiana, non c'è persona con la testa sulle spalle che non lo af- fermi; ma tra i l vecchio pregiudizio liberale » contro la scuola libera e contro la scuola dipendente dagli enti locali, e il nuovo sindacalismo scolastico, che crede di garantire il maestro solo se ha la marca di impiegato statale, coloro che domandano a gran voce libertà per la scuola, non hanno che i l conforto di rileggere gli articoli 33 e 34 della costituzione e sperare nel futuro ordi- namento, nel quale l'insegnamento dell'arte e della scienza sa- rà « libero », e nel quale le istituzioni di alta cultura avraniio ordinamenti autonomi, quanto « i limiti delle leggi dello stato » con l'aria che tira, saranno assai più stretti di quelli che derivano dai « principi giuridici N o dai « generali » o dallY« interesse nazionale » che formano i limiti dell'attività nor- mativa delle regioni !

Altra materia sottratta alle regioni ordinarie è stata quella del credito e del risparmio, mentre molto opportunamente si trova elencata negli statuti speciali nelle seguenti posizioni: Sicilia fra le materie facoltative e a legislazione concorrente: « disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio 1)

(ar t . 17); Sardegna con potestà secondaria: limitatamente alle istituzioni e ordinamenti degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali. dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di credito di carat- tere regionale ; relative autorizzazioni » (art . 46) ; Valle d'dosta con potestà integrativa e di attuazione sulla istituzione di enti d i credito di carattere locale (ar t . 3); Trentino-Alto Adige con potestà secondaria sull'« ordinamento degli enti di credito fon- diario, d i credito agrario, casse di risparmio e casse rurali non- ché delle aziende di credito a carattere regionale » (articolo 5).

I1 problema che più ha interessato,Valle d7Aosta e Trentino- Alto Adige è stato quello delle acque e della energia elettrica. Le soluzioni fissate dagli statuti sono state u n compromesso lun- gamente discusso fra i rappresentanti delle rispettive regioni C

i rappresentanti dello stato. Era necessario che ciò avvenisse per legge costituzioiiale allo scopo di ben precisare i diritti recipro-

ci. Le clisposizioni adottate per la Sicilia e la Sardegna circa l e

acque non diedero motivo a discussioni trattandosi di isole. Tutte le altre materie attribuite in più alle regioni a sta-

tuto speciale, che non si trovano elencate nell'articolo 117 della costituzione, non danno luogo a seri rilievi.

Quel che ha dato una certa preoccupazione ai tecnici spe- cializzati è stato i l passaggio delle foreste sotto la competenza della regione, di tutte le regioni. Si ha paura che l e regioni siano meno gelose della conservazione e 'tutela delle foreste che non sia lo stato, e che il corpo forestale venga a perdere di au-

torità, sì che l'avvenire del regime forestale del paese ne sia

,Non nego la giustezza di simili preoccupazioni; ma a essere sinceri, se le foreste italiane sono state massacrate, se l e condi- zioni delle nostre montagne, specie nel mezzogiorno, sono pes- sime, grave è la responsabilità che pesa su tutti i governi pas- sati, proprio in questo ramo, misconosciuto, abbandonato, rovi- nato.

Non credo che le regioni saranno finanziariamente in grado di ovviarvi. C'era una grande occasione per iniziare la boni-

' fica forestale, quella del piano ERP: il governo fin oggi l'ha deplorevolmente trascurata, e non si vede i l segno di una mi- nima resipiscenza. I quattro o cinque miliardi sul fondo-lire messi a disposizione del ministero dell'agricoltura e dieci mi- liardi più o meno sciupati per i cosiddetti cantieri di rimboschi- mento, saranno cerotti sopra una gamba di legno, se non sa ra i - no denari buttati a l vento.

Domani i l governo sarà spinto dalle regioni a fare quel che non avrà fatto fin oggi, o le regioni saranno spinte e guidate dal governo a fare quel che i l governo non avrà potuto e sa- puto fare.

Nego che l'istituto della regione tolga al governo ogni re- sponsabilità in materia forestale. Posso e debbo credere, nel- l'interesse del nostro paese, che sarà questa una nuova occasione per fissare u n programma in grande per la sistemazione idrau- lico-forestale in tutte le regioni, da u n capo all'altro d'Italia,

, . perché più o meno tutte le montagne debbono essere considerate come « zone depresse! n.

Se Serpieri ha attaccato la competenza regionale per le fore- ste, Jandolo l'ha attaccata per l'agricoltura. Pur essendo essi tecnici di primo ordine e di grande esperienza, mostrano di ave- re in materia d i agricoltura e d i foreste una fiducia verso i l go- verno centrale che questo non ha mai meritato dacché l'Italia è stata unita. Tanto più che essi non ignorano quali i progressi fatti da tutti gli altri paesi civili in materia di politica agraria e forestale, .mentre l'Italia è rimasta indietro di mezzo secolo. Ho già parlato delle foreste; limitandomi all'agricoltura haste- .

rà guardare lo stato in cui si trovano le stazioni sperimentali: basterà constatare a che siano ridotti gli istituti di credito agra; rio e quale carenza di provvedimenti adatti ne abbia impoverito la stessa inadeguata potenzialità del passato; basterà ricordare la battaglia del grano e i danni che recò al regolare sviluppo produttivo della nostra agricoltura ; ' basterà osservare l'econo- mia armentizia del mezzogiorno e le isole per restarne rattri- stati ; basterà informarsi dell'opinione degli americani dell'ERP circa i nostri sistemi di bonifica agraria per convincersi ancora di più che in materia di agricoltura l'Italia è una reale zona depressa.

Non dico che le regioni faranno meglio; è possibile che ci siano quelle che faranno bene e altre che faranno male; i l mi- nistero potrà spingere, coordinare, integrare le iniziative locali, proporre leggi schematiche, fissare principi generali sui quali le regioni saranno chiamate a legiferare, mandare ispezioni e mis- sioni tecniche da per tutto. E se, come è oggi per il piano ERP, il ministero dell'agricoltura avrà miliardi a disposizione, nel- l'assegnarli potrà mettere quelle condizioni che riterrà più tecnicamente opportune. Saranno anche le regioni che con leggi locali potranno rendere più utile o meno dannosa (secondo le località) la legge sui patti agrari che è davanti al parlamento,

Non metto in dubbio i poteri di emergenza, specie in ma- teria di alimentazione, che ha lo stato, sia esso unitario o con- federale. Agitare questo tema contro le regioni ( o contro i can- toni in Svizzera o contro gli stati in America) dimostrerebbe passionalità o superficialità.

Sarà bene che il prof. Serpieri e i l prof. Jandolo facciano un confronto fra l'agricoltura e la silvicoltura svizzera e la no-

stra. Essi sono bene informati che la politica agraria è compe- tenza assoluta dei cantoni, mentre la Confederazione ha solo diritto di alta vigilanza sulla polizia delle opere idrauliche e delle foreste (art. 24). Niente di più, ma questo basta. È da au- gurare che l'Italia possa arrivare, in queste e in altre materie,

'

al livello della Svizzera.

10. - La direttiva di cooperazione fra regione e stato do- vrebbe essere la politica del futuro.

I3 chiaro che si deve giuridicamente precisare il campo di azione degli organi del nuovo istituto che viene a inserirsi nella struttura dello stato nazionale. Ma è anche ovvio che i rapporti debbono basarsi sulla reciproca fiducia. Vedremo più in là per- chè nell'esperimento siciliano sia in parte mancata simile fidu- cia. e quale danno abbia recato all'isola che ne ha subito le conseguenze.

Se il più discusso è stato il problema della natura e dei li- miti della potestà legislativa della regione - potestà che ha destato le opposizioni degli antiregionalisti e le riserve di certi regionalisti - i l più favorito è stato quello del decentramento per regioni. anche da coloro che temono che l'autonomia possa scompaginare la struttura statale.

In materia di decentramento di servizi di stato, l'Italia non ha mai mancato di fame larga esperienza. La istituzione di tri- bunali e di corti di appello locali è un decentramento dell'am- ministrazione della giustizia; un tempo c'erano anche le cassa- zioni largamente regionali, che per amor di unificazione quasi dispotica furono purtroppo soppresse.

Le intendenze di finanza sono+molto localizzate, hanno gi,à qualche potere delegato,. che potrebbe essere anche più largo; bene o male funzionano da organi decentrati. Organi decentrati sono i compartimenti ferroviari, i provveditorati per le opere pubbliche, gli uffici distaccati di un certo numero di enti statali (strade, foreste, ecc.) che localmente adempiono, bene o male, i loro compiti. Non parliamo dei provveditori agli studi, degli uffici sanitari ~rovinciali , degli uffici del lavoro, dei circoli po- stali e telegrafici, degli organi locali dell'industria e commercio, degli ispettorati agrari e forestali. Non c'è ministero che non si

sia installato i n tutte le regioni e in moltissime provincie, in distretti, circondari, comuni, si clie sarà difficile sopprimere un numero sempre crescente di uffici locali dello stato, ora che, sorta la regione, questa dovrebbe subentrare in un'eredità per tanta parte fallimentare od oherata di grosse ipoteche.

Breve, decentramento dei servizi statali esiste e ha dato buoni e cattivi frutti, come tutte le cose di questo mondo. È

mancata e manca una cosa sola a tanta folla di burocrazia lo- cale: l'opera del libero cittadino eletto da liberi cittadini che cura gli interessi delle comunità locali di liberi cittadini. Vi è i l funzionario della periferia che,ubbidisce. al funzionario dei centri ministeriali dai quali dipende, e che vede i problemi lo- cali attraverso altri occhi che non sono quelli locali. Portati pe r virtù di carriera da un punto all'altro del paese, secondo i l pas- saggio di grado e di funzione, i funzionari vivono in luogo una vita precaria in attesa del posto definitivo.

La parola burocrazia viene dalla Francia e significa dominio del burò, cioè degli impiegati degli enti pubblici, clie tendono a creare un sistema uniforme per tutto i l paese per potere den- tro i l sistema regolare le attività pubbliche.

Non si mette in dubbio nè la necessità dell.'organizzazionc burocratica dello stato nè i l vantaggio dei rapporti normali fra centro ~ e r i f e r i a per l'andamento regolare dei servizi, nè la benemerenza della classe impiegatizia, che invece di burocrazia (termine critico) dovrebbe chiamarsi, come in Inghilterra, « ci- vi1 service » : servizio civile.

Ma non si può nè si deve sostituire i l potere libero col potere burocratico; ognuno al suo posto. Dove lo stato deve funzionare da solo, a l centro o alla perlferia, siano organi statali a disim- pegnare i servizi; quando lo stato può chiamare i cittadini a portare il loro contributo libero e cooperatore, se li associ; quan- do i l cittadino deve curare gl'interessi del natio luogo, munici- pio o' provincia o regione, sia il cittadino del luogo ad amminj- strare e dirigere gli enti locali.

La regione ha tre funzioni: quella di amministrazione auto- noma degl'interessi propri; quella di cooperazione con lo stato per gli interessi comuni quello di decentramento per gl'interessi centrali sul posto.

I1 vantaggio notevole che se ne avrà sarà anzitutto quello di dissipare la mentalità già formatasi per via della centralizza- zione statale, poi accentuata dalla perversione dittatoriale, che a tutto debba provvedere lo stato. Siamo arrivati a l punto che senza interventi statali nulla regge più in Italia, nè economia privata, nè amministrazione pubblica di comuni, provincie e opere di beneficenza, nè qualsiasi iniziativa di interesse comune.

Lo stato non interviene senza ingerirsi e senza far pagare il suo intervento con la perdita della libertà, dell'ente favorito. Si soffoca i l paese con gli enti statali; non ce n'è uno che non ab- bia da cinque a dieci funzionari statali come amministratori e sindaci di azienda. Anche se dovessero andare bene, è impossi- ,

bile che non vadano male, con tanti controlli e vincoli dentro i quali si infilano gli intrighi e gl'interessi privati.

Bisogna cominciare a rifare l'autonomia finanziaria degli enti pubblici locali e generali. Ogni ente abbia l e sue entrate, se l e amministri da sé, con propria responsabilità e senza pre-

tendere nulla dallo stato. Se lo stato (parlamento e governo) vorrà perseguire speciali

fini di interesse pubblico, nazionale o locale, assegni suoi fondi a tale scopo, li gestisca possibilmente a mezzo dei suoi organi normali o li affidi agli enti locali. purché la gestione sia sem- plice, a scopo fisso e a termine dato.

La costituzione ha giustamente stabilito che le « regioni han- no autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della repubblica, che la coordinano con la finanza dello stato, delle provincie e dei comuni n (art . 119). Chiaro: senzà autonomia finanziaria la regione, anche dotata di larga potestà legislativa, sarebbe un ente senza reale autonomia, ridotto pari a qualsiasi altro ente che dipenda dallo stato.

I l governo non ha ancora presentata alcuna legge sulla finan- za regionale, ma ne sono in corso gli studi. Le disposizioni finan- ziarie per le quattro regioni a statuto speciale, sono state un tentativo di approssimazione, che dovrà essere verificato dai risultati.

Nello statuto siciliano fu data alla regione il diritto di deli- berare tributi riservando allo stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto. I1 gettito rispet-

tivo è stato nel primo anno del 61 per cento circa alla regione e del 39 per cento allo stato. Essendo sorte varie contestazioni cir- ca l'estensione e la portata dell'art. 36 dello statuto, con decreto- legge fu stabilito un regolamento provvisorio fra stato e regione, che è quello che vige. Per esso l a regione riscuote, paga i suoi servizi e rimborsa lo stato dell'ammontare delle spese che que- sto fa per i servizi non ancora passati alla regione.

Diverso è stato i l sistema adottato per le altre tre regioni a statuto speciale: per principio è stata fissata una percentuale sul gettito delle entrate principali dello stato e sono state devo- lute certe entrate particolari, ovvero a carattere locale. Per la Sardegna le entrate e le percentuali sono state fissate nello sta- tuto (articolo 3); per la Valle di Aosta, le percentuali saranno fissate dallo stato sentito il consiglio della Valle (articolo 12); per i l Trentino-Alto Adige la determinazione-sarà fatta ogni anno « d'accordo fra il governo e il presidente della giunta regionale 1)

(art . 60). Non si può a priori portare un giudizio su questi vari metodi,

pur essendo legittimi nella loro stessa varietà. Si dovrà vedere se e quanto possano essere sufficienti ai servizi regionali, te- nuto conto del naturale sviluppo e dei semizi e delle entrate.

Quel che importa sia per le regioni speciali sia per l e altre è che le entrate siano discretamente sufficienti; né troppo larghe né troppo strette; che i servizi si conducano con la più scru- polosa economia, senza esagerare nelle spese; che la regione sorta senza debiti debba tenersi lontana dal fare debiti' per le gestioni ordinarie, ma solo, in casi specialissimi per opere non solo di utilità generale, ma sostanzialmente redditizie, sì da pro- durre almeno quanto possa bastare per redimere i debiti.

Se si incomincia così e si persevera così, la regione avrà un avvenire; altrimenti sarà catalogata fra gli invalidi di diritto pubblico, parassita dello stato, come tutti gli enti autonomi, autarchici, statali, parastatali, commissariali che han pullulato e pullulano ancora sul bel suolo d'Italia..

I1 coordinamento delle finanze della regione con quelle dello stato, le provincie e i comuni, voluto dalla costituzione, è saggio, legittimo e da perseguire con ogni sforzo. Però, la materia è molto complessa, e dovrà essere inquadrata in quella riforma

che abbiano speciali bisogni cui provvedere o eccezionali ini- ziative da sostenere. Fra queste la stessa costituzione sottolinea « la valorizzazione del mezzogiorno e delle isole »'. La cosiddetta q e s t i o n e meridionale è una catena al piede del nostro paese, semp;e presente? sempre discussa, mai affrontata in pieno. Oggi è all'ordine del giorno. Errori, incomprensioni, egoismi, dissi- pazione di forze sono stati i fattori umani, oltre quelli naturali, che hanno reso cronica per più di ottant'anni la crisi meridionale. Che la costituente abbia sentito i l dovere di porre il problema sul piano nazionale, è da reputarsi grande merito. Ai propositi così solennetilente affermati debbono seguire i fatt i ; e il go- verno attuale ha promesso di utilizzare i fondi ERP anche a questo scopo. A proposito del quale, così scrivevo .di recente su vari giornali: « É venuto i1,momento per un risorgimento meri- dionale completo nel quadro del più largo risorgimento nazionale.

C< I canoni di questo risorgimento sono tre:

1. « che l'economia nazionale è una e solidale; non vi è un'economia del nord ( l a preferita) e un'economia del sud ( l a trascurata); dalle Al'pi al Lilibeo (Sardegna compresa) la eco- nomia è unitaria. Le differenze naturali e storiche a danno del sud debbono essere attenuate non abbassando il livello del nord ma elevando il livello del sud;

2. (( che un sud agricolo di fronte a un nord industriale è uno « slogan >) che non ha senso. Nell'economia moderna agri- coltura e industria si dànno la mano; moltissime industrie uti- lizzano in parte o in tutto i prodotti agricoli; ogni giorno,più

I le' due economie si completano perché la popolazione delle indu- strie meccaniche non potrà mai vestirsi di acciaio e mangiare ghisa, e la popolazione delle produzioni agricoleanon può farsi l e case di paglia e l e pentole di granturco.

« Ma se un'economia agricola povera fosse il destino del mezzogiorno, questo non sarebbe mai posto in condizione di poter assorbire la merce prodotta dalle imprese del nord, siano Ansaldo, Breda, Fiat, Caproni, anche se dovesse pagarla con moneta già svalutata dal gettito di miliardi che sono andati e che andranno ad Ansaldo, Breda, Fiat e Caproni. Né il mezzo-

giorno potrebbe utilizzare le navi mercantili del la ' Finmare ( i l cui costo sarà stato pagato anche dai « terroni 1)) non avendo *

prodotti da poter spedire a Biienos Aires, New York e Calcutta;

3. che si aboliscano, infine, l e protezioni invisibili ( e perciò arbitrarie) attraverso permessi di importazione e concessioni di valute; che si sopprimano i monopoli diretti e quelli indiretti fatt i di privilegi dati a enti e società formati con denaro dello stato; che cessi l'afflusso di denaro pubblico ad aziende defici- tarie e insanabili. È un passivo che pesando sulla nazione incide di più sulla economia povera e contratta del mezzogiorno e delle isole.

« Conclusione: il risanamento dell'economia nazionale e la rivalorizzazione dell'economia meridionale devono essere alla base di un'azione concorde fra tutti gli italiani ( l ) .

A questo stesso criterio di ricostruzione nazionale, e non certo particolaristico, come qualcuno sussurra spesso a proposito di questione meridionale, sono state inspirate certe disposizioni che si trovano negli statuti speciali delle quattro regioni.

Nello statuto siciliano è stato previsto che C< Lo stato verserà annualmente alla regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell'ese- cuzione di lavori pubblici D. Quest'obbligo è stato inizialmente e parzialmente riconosciuto nel decreto legislativo del 5 marzo 1948 n. 121 e nella legge del 29 dicembre 1948 n. 1522 sui lavori pubblici per la disoccupazione invernale.

Nello statuto sardo all'art. 8 sono indicati contributi straor- dinari dello stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie; e all'art 13 è detto che « lo stato col concorso della regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'isola n.

Nello statuto valdostano sta scritto all'art. 1 2 che « Per prov- vedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo stato assegna alla stessa, per legge, con- tributi speciali 11.

( l ) Vedi Il Mercantile di Napoli, 16 ottobre 1948, Siciliu clel Popolo di Palermo, 16 ottobre 1948.

La regione tridentina alto atesina ha avuto assegnato tale sistema tributario oltre le fonti patrimoniali, da presumersi che basti da sé anche per la soluzione d i problemi speciali. In questo i compilatori dello statuto han dato prova di preferire (come avrebbe fatto chi scrive) l'auto-sufficienza finanziaria piuttosto che invocare ogni quarto d'ora i concorsi statali.

È da sperare che anche le regioni meridionali e isolane arri- veranno, con sana amm-inistrazione, con serie iniziative e. con vigile attività a divenire autosufficienti,. I1 che renderà un gran servizio anche al carattere dei nostri uomini politici, del centro e della periferia, perché i rapporti fra stato, enti locali e popo- lazioni vengano mantenuti nella linea della. più rigida- ammi- nistrazione e -della più schietta dignità.

LA REGIONE NELLA COSTITUZIONE

11. - La costituzione agli articoli 118 e seguenti fissa la struttura politica e amministrativa della regione a base elettiva e democratica. La costituzione demanda a una legge ordinaria « i l sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità » e stabilisce che « nessuno può appartenere contemporaneamente ad un consiglio regionale e a una delle camere del parlamento, o a un altro consiglio regionale ». I l divieto è stato opportuno per evitare non solo il cumulo delle cariche (come è purtroppo uso per i consigli comunali e ben altri consigli d i enti statali e para-statali) ma anche per la diversità e in certi casi opposizione di responsabilità e per i l buon andamento dei corpi elettivi, non avendo gli onorevoli il privilegio della « bilocazione 1).

È prevalso il sistema elettorale diretto segreto e a rappre- sentanza proporzionale, così per la Sicilia nelle elezioni delf'a- prile 1947, per il Trentino-Alto Adige in quelle del dicembre 1948. Così sarà per la Sardegna secondo l'art. 16 dello statuto. I n quello della Valle di Aosta (art . 16) è detto solo che i trenta- cinque consiglieri saranno eletti « a suffragio universale, uguale, diretto e segreto, secondo le norme stabilite con legge dello stato sentita la regione » (l). È già avanti la camera il disegno di legge governativo del 10 dicembre 1948 n. 212 dove è previsto il si- stema proporzionale per le elezioni delle altre regioni, sistema

( l ) Le elezioni per la Valle d'Aosta, a sistema maggioritario, sono state

V' fissate per il 24 aprile 1949: quelle della Sardegna per 1'8 maggio 1949.

del resto adottato oltre che per la elezione dei deputati alla camera, anche per la elezione dei consiglieri dei comuni al disopra di 30 mila abitanti. Ad evitare l'inconveniente di mag-

.gioranze composite e deboli, Sèmbra che verrà applicato i l metodo D'Hont. Ma più che i metodi elettorali, dovrebbe cor- reggersi l a mentalità elettoralistica di partiti improvvisati, for- mati da gruppi pe.rsonalistici e locali, che servono a far disperdere voti e sminuzzare la rappresentanza elettiva.

L'educazione politica occorre con qualsiasi sistema; educa- zione che non si è mai potuta fare in Italia sia perché i l suffragio universale fu adottato per l a prima volta nelle elezioni del 1913 e la proporzionale in quelle del 1919-e del 1921, sia per la triste parentesi fascista del 1922-1943, nonché per la guerra e il dopo-

'. guerra. Le elezioni ripresero con quelle municipali del 1945,

' poi quelle per la costituente de1.1946, e via di anno in anno con prove continue, locali e generali; così il pubblico si abituer.à, forse, all'esercizio del voto come un dovere, una responsabilità e un rischio. È da sperarlo.

Gli organi della regione sono più o meno calcati su quelli degli enti locali: consiglio, giunta, presidente regionale. I1 consiglio regionale avrà una sua presidenza, come l'aveva i l vecchio consiglio provinciale.

La costituzione all'art. 121 delinea la figura d i tali organi e rimanda ai singoli statuti regionali la precisa~ione delle compe- tenze e delle funzioni, secondo lo sviluppo che prenderà l'ammi- nistrazione regionale. Negli statuti speciali ci sono alcune dispo- sizioni caratteristiche di poco rilievo. Si tratta di materia soggetta all'esperienza; ogni precisazione a priori può guastare (l) .

L'impostazione costituzionale e statutaria, organica e funzio- nale, dà alla regione carattere prevalentemente amministra- tivo, pe r quanto il sistema elettorale possa impegnarvi troppo i partiti. Una certa fisionomia politica è data alle regioni da due disposizioni costituzionali: la prima, all'articolo 57, dove

( 1 ) All'art. 38 dello statuto sardo è stabilito che u i mernbri della giunta hanno diritto di assistere alle sedute del consiglio anche se non ne facciano parte D. È così ammesso il diritto di nominare nella giunta membri estranei al consiglio (N.d.A.) .

."-%

è detto che il senato è eletto a base regionale, un senatore ogni

duecentomila abitanti o frazioni da centomila in s u ; e dentro i limiti (eccezion fatta per la Valle di Aosta) di non meno di sei

senatori per regione. Si voleva dai regionalisti creare un colle- gamento istituzionale fra regione e senato; per maldestrezza di commissari e incertezza di partiti, si finì col ridurre i l colle-

gamento a una leggera sfumatura elettorale. La battaglia f u

perduta in pieno e nella costituzione ne rimasero solo le traccie. Più fortuna ebbe la regione per la nomina del presidente

della repubblica. alla quale partecipano tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio regionale in modo che sia assicu-

rata la rappresentanza delle minoranze D. La Valle dlAosta ha

un solo delegato (ar t . 83).

Per la prima elezione del presidente della repubblica, avve- nuta nel maggio 1948, la disposizione transitoria I1 sospese indi-

rettamente l'intervento della rappresentanza regionale della Si-

cilia (l'unica già costituita), perché non erano costituiti (( tutti i consigli regionali n.

La partecipazione dei consigli regionali alla elezione del

presidente della repubblica con cinquantotto elettori (se il

Molise farà regione a sé), dà alla regione una certa caratteristica organica istituzionale che nella costituzione rimase appena

accennata.

Invece che elementi strutturali di politica organica e costriit- tiva si teme che le regioni divengano focolai di infezione poli-

tica. I paesi latini quando fanno politica, la portano fino alla esagerazione. In questa ripresa democratica, dopo che il nostro

paese ha subito dure esperienze dittatoriali, è stato dato un

aspetto così esageratamente politico a tutta la vita pubblica (compresa quella amministrativa dei piccoli comunelli) che

sarà difficile riportarla a più sano orientamento.

Purtroppo, i l primo debutto regionale siciliano è stato infi- ciato da tale politica. Le sinistre, volendo ricreare a Palermo

quel tripurtito che a Roma andava in frantumi, forti del nu-

mero dei seggi e manovrando sui piccoli partiti, hanno costretto

l'assemblea a fare discussioni politiche quasi in ogni seduta; hanno proposto una ventina di voti di sfiducia e non ci sono

riusciti per quei due o tre o cinque voti che, come si dice, « hanno salvato la situazione 1).

Anche i due rami del parlamento eletti il 18 aprile 1948 sono attaccati dalla filòssera politicodemagogica per la posi- zione presa dal comunismo di servirsi degli istituti parlamentari a fini extra-legislativi. In questo clima ogni ente amministrativo si trasforma in politico o si infetta di politica a scopo di parte. Nessuna meraviglia se la politica, la falsa politica, abbia infe- stato tutte le pubbliche amministrazioni.

Non si tratta di malattia nuova per l'Italia, si tratta di riacii- tizzazione dovuta alla situazione difficile di questo dopo guerra.

, Occorre curarla con una dieta rigida, almeno negli enti locali dove la logorrea politica dovrebbe essere bandita, a vantaggio del metodo amministrativo. Ogni sforzo in questo senso sarà proficuo, specialmente per mantenere alle regioni, fin dal loro inizio, il proprio carattere.

Uno dei motivi delle riserve che si vanno insinuando contro le regioni è dato dalla domanda che si rivolge in tono di rimpro- vero ai regionalisti: « cosa succederà se una regione cadrà in mano ai comunisti? » Si parla principalmente delle regioni della « linea gotica ». Debbo dire la verità che la domanda non mi preoccupa più di quell'altra: « cosa accadrà se i comuni di Torino, Genova e Milano (il triangolo famoso) cadranno in mano ai comunisti? » I primi due ci sono già da due anni circa: Milano h a qualche tinta più sbiadita ma mostrò la sua vera faccia quando si trattò della rimozione del prefetto Troilo. Posizioni scontate queste, come saranno fra un anno scontate l e posizioni regionali di ' Toscana ed Emilia - Romagna se « ca- dranno » in mano comunista (l).

Le rivolte, se mature, si possono tentare senza avere in mano l'amministrazione delle- regioni; se non sono mature, non si possono tentare nemmeno se si avranno in mano le ammini- strazioni delle regioni.

Se poi i futuri consiglieri regionali rossi violeranno l e leggi,

(l) Per i comunisti valgono assai di più le roccheforti delle Ansaldo, delle Breda e delle Cogne che tutti i comuni e le provincie e le regioni in mano loro (N.d.A.).

si arrogheranno poteri che non avranno, trasformeranno le re- gioni in ... roccheforti, ci saranno di sicuro i commissari del governo a fare il loro dovere, e la commissione parlamentare a dare il parere per lo scioglimento di siffatti consigli regionali.

Le situazioni sono quelle che sono: l'ambiente nazionale è contrario alle avventure; ma è anche contrario ad aver paura delle avventure, che è quella debolezza che fa cadere nelle trap- pole. La forza di una maggioranza è quella di essere e sentirsi tale in ogni evenienza; il giorno che cede all'impulso della paura, si frantuma.

A meglio classificare i l carattere amministrativo della regione, la costituzione ha previsto la figura del commissario del go- verno (nel decreto che approva le norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige c'è anche un vice commissario che risiederebbe a Bolzano). I1 commissario « sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo stato e le coordina con quelle esercitate dalla regione (art . 124).

La formula dell'articolo non è felice, e tradisce le perplessiti politiche e le incoerenze giuridiche che tormentarono i nostri costituenti.

Quali saranno queste funzioni amministrative esercitate dallo stato? Non quelle amplissime che hanno oggi i prefetti su pro-

'

vincìe, comuni e opere pie. Se a qualche cosa serviranno le regioni, sarà proprio a tutelare le autonomie locali e a vigilare sulle amministrazioni della regione. Ciò risulta dall'articolo 130 della costituzione e dagli statuti speciali, con norme diversa- mente formulate ma aventi tutte lo stesso scopo: statuto siciliano articoli 14, 15 e 16 ; statuto sardo articolo 46; statuto valdostano articolo 43 ; statuto trentino-alto atesino articoli 5 e 54.

Nella costituzione è detto anche che la regione può delegare le sue funzioni alle provincie e ai comuni o ad altri enti locali valendosi dei loro uffici (art . 118). Lo stesso risulta dagli statuti speciali.

Stando all'indagine a cui ci obbliga l'interpretazione dell'art. 124 della costituzione, dobbiamo pertanto escludere che tra le funzioni amministrative esercitate dallo stato e affidate al com- missario del governo ci siano quelle di vigilanza e di controllo sugli enti locali. Forse sovraintenderà costui ai geni civili per

i compiti statali: porti, strade nazionali, edifici deIIo stato e simili? E che ci starà a fare il provveditore regionale alle OO.PP.? Forse avrà ingerenza sugli intendenti di finanza? Sui medici provinciali? Sui provveditori? Sugli stessi prefetti, se e in quanto i prefetti resteranno nel quadro dell'amministrazione civile?

Nel decreto per le norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige del 12 dicembre 1948 n. 1414 c'è già ingrandita la figura di questo commissario del governo (arti- coli 16-22), con uffici, personale e competenze tali da obbligare ad abolire i prefetti, passando anche la polizia ai nuovi venuti ; .così quel che un giorno si chiamava (C prefetto da ora in poi si chiamerà, nel Trentino, commissario del governo ».

Per un anno e mezzo hastava a Palermo il prefetto a farla anche da commissario del governo; ora ci saranno in Italia

altri venti funzionari con sede propria, indennità, uffici bene attrezzati, e ciò per un modesto lavoro di coordinamento, che si

ha l'impressione ingrosserà per strada, a beneficio della carriera civile e del fiinzionarismo statale.

Qualche cosa di più si trova nel disegno di legge n. 211 . Costituzione e funzionamento degli organi regionali D. Nel

costruire quell'organo di controllo sulle regioni, del quale si parla all'art. 125 della costituzione, è proposto i l commissario del governo quale presidente mentre sarebbe stato giusto che vi fosse proposto un funzionario della corte dei conti o del consiglio di stato o chiunque altro non'abbia veste politica.

La lotta ingaggiata fin dal 1901 dall'associazione dei comuni e dall'unione delle provincie contro l'ingerenza amministrativa

dei prefetti, quali presidenti dei consigli d i prefettura e delle giunte provinciali amministrative, dovrà forse essere iniziata da ora in poi contro questa ibrida figura del commissario del governo. Ciò sarebbe assai strano oggi in regime repubblicano

per enti quali le regioni, mentre poteva essere non dico giusti- ficato ma inquadrato, i n regime monarcliico e per enti locali d i minore importanza. Bisogna ritornare ai principii: l'auto- nomia amministrativa ha per hase la distinzione netta fra poli- tica e amministrazione; l'ingerenza politica nelle pubbliche

an~ministrazioni locali è stata uno degli errori più gravi com-

messi in Italia dal risorgimento ad oggi. 11 controllo di legittimità e casualmente di merito, quale

fissato negli statuti speciali, è più o meno sulle linee schematiche

della costituzione, con l'aggiunta di garanzie contro l'ingerenza politica che possono reputarsi soddisfacenti. In quello sardo è stabilito che C( un rappresentante del governo ( è tolta l'antipatica

denominazione di commissario) (C sovraintende alle funzioni am- ministrative dello stato non delegate e le coordina con quelle

esercitate dalla regione n. La formula assomiglia con lieve va- riante all'articolo 124 della costituzione. L'articolo 33 è rical- cato sull'articolo 127 della costituzione, ma vi è stata omessa la parola (C commissario del governo n, sostituita con governo della

repubblica D; vi è stata introdotta la condizione che per 1,a dichiarazione di urgenza occorra la maggioranza assoluta » ( i l

legislatore sembra abbia dimenticato che le elezioni del consiglio regionale vengono fatte col sistema proporzionale). Nello stesso

statuto non c'è parola circa i l relativo organo; l'omissione fu voluta, per evitare ogni ingerenza prefettizia o commissariale.

Nello statuto valdostano, all'art. 45, si parla di «. èommissione di coordinamento 1) ( i l nome soddisfa meglio gli autonomisti).

composta di un rappresentante del ministero dell'interno, uno del ministero delle finanze e uno designato dal consiglio della

Valle; a tale commissione sono demandati (ar t . 46) il controllo cli legittimità e il diritto di richiesta di riesame.

Nello statuto del Trentino-Alto Adige (articoli 76-77) il titolo

è C( commissario del governo n, i l quale oltre a coordinare e

vigilare lo svolgimento delle attribuzioni dello stato ( t ranne giu- stizia, difesa e ferrovie) vigila sull'esercizio delle funzioni dele-

gate dallo stato a (C regione, provincia e comuni ( è naturale) e

compie gli atti demandati dalle leggi al prefetto in quanto non siano affidati ad organi locali. Circa il controllo sulla legislazione

regionale ( e provinciale) è applicato per intiero il testo dell'arti- colo 127 clella costituzione con fraseggio leggermente modificato.

Lo statuto siciliano prevede il commissario del governo solo

per promuovere, se del caso, l'impugnazione delle leggi regionali avanti l'alta corte per la regione siciliana e per proporre lo

scioglimento dell'assemblea regionale (art . 8, 27 e 28).

I1 controllo sugli atti della regione è esercitato per statuto dalle sezioni del consiglio di stato e della corte dei conti (ar t . 23). Di questa speciale legislazione parleremo più avanti.

In conclusione, i l regime speciale delle quattro regioni è inspirato a criteri di più larga autonomia; non ci sono motivi perché, con i giusti adattamenti, tali criteri non debbano essere applicati alle altre regioni.

12. - Data l'istituzione della regione, fu messa in dubbio la coesistenza della provincia, come ente autonomo, pur rite- nendola utile come organo d i decentramento sia statale che re- gionale. La questione fu dibattuta anzitutto sopra il terreno aspro dell'esclusione dell'uno o dell'altro istituto; poscia si convenne in sede costituzionale, di lasciare la provincia sia come ente autonomo sia come organo di decentramento. Le disposi- zioni relative sono contenute negli articoli 128 e 129 della.costi- tuzione c o i un rimando a leggi generali della repubblica, per determinarne le funzioni.

Quella qualifica di leggi ((generali lascia perplessi. Si è voluto, interpretando frasi staccate e dichiarazioni affrettate di membri della commissione della costituente, vederci la inten- zione di leggi uniformi per tutte le provincie ( e i comuni), il che è assai discutibile, data la esistenza di statuti regionali speciali.

Intanto nel disegno di legge per le elezioni dei consigli regionali è stato introdotto un titolo riferentesi alla nomina delle deputazioni provinciali a carattere provvisorio fino alla modificazione del testo unico della legge comunale e provinciale.

La provincia, nel vecchio ordinamento, non era solamente un ente amministrativo per certi determinati servizi locali, ma era un organo politico-amministrativo locale nel quale gli eletti

per i consigli provinciali cooperavano in via subordinata con le aut0rit.à statali per i servizi a carattere misto. 11 prefetto era

non solo il capo dei servizi statali nella provincia e il presidente degli organi di tutela, sì bene anche il capo dell'amministrazione provinciale. 1 consigli erano convocati contemporaneamente in sessione ordinaria in tutte le provincie del regno e in tale occa-

sione i cittadini facevano i rilievi politici e amministrativi sia di carattere locale che generale.

In seguito, al prefetto fu tolta la presidenza dell'amministra- zione provinciale (deputazione), ma egii interveniva nelle sedute del consiglio e apriva la sessione a nome del re. Ricordo che nella sessione ordinaria dell'agosto 1905, intervenendo per la prima volta quale consigliere provinciale di Catania, feci l e più ampie affermazioni di autonomia, augurando che mai più si vedesse un prefetto aprire le sessioni in nome del re ed assistervi quale autorità, cosa che repugnava ad i n consesso libero eletto da liberi cittadini.

Nell'ambiente d i Catania, dove allora dominava il socialismo semi-ministeriale di De Felice Giuffrida, il mio discorso sembrò più a sinistra dei rossi, e l'on. De Felice dovette intervenire appog- g;ando i . miei. voti con .un certo mal celato disappunto. I1 pre- a

fetto in carica, pur essendo mio amico personale, dovette pro- testare contro gli apprezzamenti che si riferivano al governo e *

all'autorità dello stato. Allora la lotta per le autonomie comunali e provinciali era

generale in Italia e i congressi nazionali si succedevano annual- mente con un crescendo di consensi anche da parte radicale e liberale ( l ) . Chi scrive ne fece parte fin dalla fondazione e ne fu per ventiquattro anni consigliere e vice presidente.

Ho accennato a questo episodio per i bigotti di oggi, ricor- dando fatti d i oltre quarant'anni fa, per mettere in evidenza che non si tratta nè di improvvisazione, nè di reazione antifascista, sì bene di una dottrina, che può essere contraddetta, mai trattata come una montatura nè come un tradimento alla nazione.

La provincia ebbe un colpo secco dal fascismo quando fu soppresso i l vecchio ordinamento, e venne a cessare l'unica voce delle popolazioni locali. Del resto chi avrebbe avuto il coraggio di protestare contro Mussolini, come si faceva ai bei

, tempi contro Crispi o contro Giolitti? Allora la provincia con-

(') Fecero parte del consiglio dell'Associazione dei comuni e ne furono presidenti i liberali senatori Greppi, Lucca e Teofilo Rossi; ne furono consiglieri i sindaci d i Roma, Borghese e Nathan, l'assessore Rossi Doria e altri (1V.d.A.).

correva con i rappresentanti dello stato alla tutela di merito dei comuni e delle opere pie, aveva rappresentanza in vari corpi statali amministrativi e finanziari, fissava regolamenti e tute- lava iniziative cooperando così in certo modo, con lo stato, per quel poco che uno stato accentratore e uniforme poteva permettere.

Purtroppo, in Italia l'indirizzo amministrativo è andato peg- giorando, per avere dato vita a enti centrali e periferici per ogni servizio, senza mai più utilizzare l'ente provincia (come nel primo tempo della unificazione) e sottraendo alla sua coni- petenza servizi tradizionalmente ad essa attribuiti.

La finanza provinciale in genere regge poco per provvedere ai servizi attuali. Si è presa l'abitudine di dare concorsi inte- grativi dello stato, invece di rinsaldarne la finanza con prov- vide leggi. Così le provincie sono andate ad accrescere gli enti parassiti, che piatiscono ai ministeri qualche briciola delle lire fatte in serie dal torchio. Attendiamo, perciò, con una certa diffidenza la riforma della finanza locale - che dovrebbe essere come vuole la costituzione coordinata tra comuni, provincie, re- gioni e stato - perché fin oggi si va in un circolo vizioso: non si potrà fissare il fabbisogno delle provincie (limitandoci a queste, per i l tema in esame) fino a che non saranno precisati tutti i servizi ad essa spettanti; nè si potranno troppo ampliare tali servizi senza una congrua finanza.

Dall'altro lato, se non si rinsangua, la vita provinciale minac-

cia di rimanere anemica e sterile. La grande riforma ammini-

strativa che si attende, dovrebbe dare alle provincie tutti i

compiti assistenziali periferici, quali essi siano, regionali e sta-

tali o parastatali. Oggi ogni ministero ha la mania d i creare

propri organi periferici: la moltiplicazione di centinaia d i enti

per cento provincie ci darebbe un'elefantiasi funzionale senza

precedenti.

Naturalmente, quale burocrazia centrale non desidera avere

i propri dipendenti sul posto da potere trasferire a piacimento?

ogni ministero è oggi un regno chiuso che svolge tutte le sue

funzioni da sé; questa idea è talmente radicata nella mente del nostro funzionario che sarà pressoché impossibile modificarla 3

\ del resto i primi ad opporvisi sono i ministri che arrivati a quel posto credono di doveici stare per tutta la vita.

\ La provincia organo\\di decentramento statale e regionale '\ , sarà avversata aiiclie perche la pioviriciti è e deve iestaie oigaiìu \

elettivo; i burocrati di Roma odiano gli organi elettivi, al punto che si pensa (spero che sia un falso allarme) di riordinare le camere di commercio con presidenti nominati per decreto dal ministro dell'industria. Mentalità fascista che perdura ! Per giunta non si ha il coraggio di ridurre al giusto numero il personale reclutato negli uffici periferici dei ministeri e degli enti statali e parastatali. I n Italia un qualsiasi avventizio chiamato per pochi giorni in una pubblica amministrazione, diviene ina- movibile.

L'assemblea e lo stesso governo regionale siciliano (l) sern- brano affetti di mimetismo in materia di creazione di enti cen- trali e periferici, e tendono anch'essi a fare degli assessorati u n regno chiuso e incomunicabile. Fin ora si tratta di sintomi; ma se saranno accettate le proposte di leggi di iniziativa. parla- mentare )) per creazione di enti di diritto pubblico, ne nascerebbe tale rete di uffici, tale folla di impiegati intrecciantisi con c~uelli dello stato, da venirne fuori una spesa senza pari e uno sminuz- zamento di servizi che per ciò stesso porterebbero sia all'infla- zione del personale come pure alla paralisi funzionale.

Purtroppo la mentalità formatasi in Italia sotto il fascismo non è cambiata; chi h a avuto il torto-di essere stato all'estero durante quei tristi anni si sente spaesato e perde la pazienza al solo vedere questa folla di enti parassiti, di uffici inutili, di specializzazioni senza competenze, di complicazioni di servizi senza che il cittadino ne sia veramente servito.

Se la provincia verrà rifatta su basi salde, anche come ente di clecentramento statale e regionale, avremo risolto uno dei più gravi problemi della pubblica amministrazione.

Secondo noi è stata buona idea, quella di evitare pel momento la ricostruzione dei consigli provinciali e lasciar la questione

( l ) A l centro c'è stata una critica piccina sul titolo di governo regio- nule, titolo che è nello statuto e che risponde all'antico modo di nominare le ninministrazioni locali. modo rimasto in uso in Inghilterra (N.d.A.).

i /

impregiudicata per l'avvenire ( l ) . Se il cittadino eletto ha desi- /

derio di sfogarsi con lunghi discorsi, pazienza, ci saranno parla- /

mentini 1) in tutta Italia (oltre il parlamento nazionale) dove poter fare il giorno notte e parlare ciaLcuno per due o tre ore di seguito. Averne altri cento, uno per ogni provincia, sarebbe un'inflazione alquanto esagerata. I1 lettore non creda che nel dir ciò, abbia intenzione di svalutare l'istituto parlamentare che non solo io rispetto ma che reputo al disopra di qualsiasi istituto pubblico, essendo di per sé indice di libertà ed espres- sione della volontà popolare. Ma non posso non mostrare il rincrescimento degli amici veri della libertà, per l'abuso che si fa del parlamento e delle assemblee degli enti pubblici (compresi i consigli comunali) rendendone difficile il funzio- namento e alterandone il carattere prevalentemente deliberativo. I troppi discorsi potrebbero essere anche utili se impedissero la fabbrica affrettata delle leggi, ma al contrario spesso la lungag- gine dei discorsi dà motivo a d accelerare l'approvazione degli articoli dei disegni di legge.

Ad un organo strettamente amministrativo e prevalentemente di decentramento statale e regionale, come è concepita la nuova provincia, basterebbe un nucleo ristretto di persone che debbono intendersi, organizzare, realizzare. Nel disegno di legge n. 212 è stabilito che le deputazioni provinciali saranno composte da otto a quattordici membri, secondo la popolaz<one di ogni provincia (art. 20): preferirei il numero dispari. É stata proposta per tale corpo la elezione di secondo grado. Essi sarebbero scelti per metà dai sindaci della provincia; l'art. 26 vi mette dentro i commissari per i comuni che non hanno sindaci, ma è da preferire che i commissari siano tenuti in disparte non potendo essi rappresentare democraticamente un comune. L'altra metà verrebbe nominata dai consiglieri regionali eletti nella provin- cia relativa. La proposta è troppo localistica e toglie alla nomina i l carattere d i solidarietà e di ~orres~onsabil i tà regionale. Forse i compilatori si saranno preoccupati dei colpi di maggioranza

( l ) Non mancano i favorevoli alla ricostituzione immediata dei consigli ~rovinciali: l'unione delle provincie si è pronunciata in questo senso e anche non pochi deputati (N.d.A.).

',t\ di un consiglio regioqale che non tenga conto dell'orientamento politico della provincia,,cosa purtroppo non improbabile in que- sto clima arroventato di politica di partito.

La proposta disposizione è di carattere transeunte, vaievoie solo per la prima ricostituzione delle deputazioni provinciali, con rimando alla riforma degli enti locali, comunali e provin-

ciali, in corso di elaborazione. Pertanto, l'esperimento gioverà a farne constatare i vantaggi e gli inconvenienti.

Lo stesso disegno di legge precisa per i deputati provinciali e per il presidente della deputazione, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità. Sarà bene estendere la incompatibilità a tutti i sindaci e a tutti i deputati provinciali della regione, che

per ragioni amministrative possano essere elettori nella provin- cia, e ciò sia per il dovere della residenza personale sia per evitare il cumulo di cariche e di responsabilità.

Negli statuti speciali, le provincie hanno avuto diversa sorte. Quello siciliano è radicale: all'articolo 15 è scritto che (C Le cir-

coscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne deri- vano sono soppressi nell'àmbito della regione siciliana.

« L'ordinamento degli enti locali si basa nella regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autdnomia amministrativa e finanziaria.

cc Nel quadro di tali principi generali spetta alla regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circo- scrizione, ordinamento e controllo degli enti locali ».

Nel fatto, l'assemblea regionale, pur chiamata dall'art. 16 dello statuto a dare corpo al nuovo ordinamento amministrativo,

fin oggi non ha preso alcuna decisione. In ciò è stata prudente sia perché l'esperienza ha potuto servire a far comprendere la

necessità di mantenere la provincia amministrativa (non parlo

di quella politica) come ente autonomo e come organo di decen- tramento, sia perché anche l'esperienza del primo periodo di

amministrazione servirà meglio alla scelta dei servizi che si

dovranno decentrare e del modo di attribuirli alla provincia. Lo statuto sardo all'articolo 43 stabilisce che « Le provincie

di Cagliari, Nuoro e Sassari conservano l'attuale struttura di enti territoriali » e all'art. 44 che (5 La regione esercita normal-

mente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici D.

i

La regione valdostana ha ovviamente assorbito in sé la pro- vincia trattandosi di regione uniprovjnciale a tipo proprio. I1 Trentino-Alto Adige ha invece conservato e regolato le due provincie, .Trenta e Bolzano, con caratteristiche proprie. date le condizioni speciali delle zone a! popolazione allogena.

Ogni regione pertanto avrà un buon margine di iniziative per poter regolare i problemi che derivano dall'ordinamento pro- vinciale, per attuare il proprio decentramento e coordinarlo, d'accordo con gli organi dello stato, con u n decentramento statale che semplifichi i servizi e che, senza esagerata sopra- struttura, risponda meglio ai bisogni locali.

13. - La parte più importante dell'oydinamento locale ri- siede-,negli organi di controllo della legittimità e in certi casi del mèrito. Da 'mezzo secolo a oggi piovihcie e comuni si 'sono

' agitati per scuotere il giogo del controllo politico, formato dalle giunte provinciali amministrative, dai consigli di prefetture, dai prefetti investiti d i poteri larghissimi e dal ministero dell'in- terno in cede di ricorso. L'unico organo che è rimasto quasi immune dagli attacchi degli autonomisti è stato il consiglio di stato, nel doppio carattere di organo consultivo e di organo giurisdizionale. Ora, finalmente, è giunto il momento della rea- lizzazione di una riforma radicale quale auspicata dagli auto- nomisti, come pure da giiiristi disimpegnati da preoccupazioni politiche e burocratiche.

L'articolo 130 della costituzione fissa le linee di questo nuovo ordinamento: « Un organo della regione, costituito nei modi stabiliti da legge della repubblica, esercita, anche in forma decentrata, i l controllo di legittimità sugli atti delle pro- vincié, dei comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito nella forma d i richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare l a loro deliberazione n.

Nell'attesa di simile legge, sarà bene indicare i criteri clie dovrebbero essere tenuti presenti. Evitare anzitutto di reintro- durre in tale organo il prefetto o di darvi posto al commissario

'i i

del governo nominat? per l e regioni. Bisogna farla finita con l'ingerenza politica nègli organi di controllo; se abbiamo seve- ramente biasimata la pioposta di mettere i l commissario del governo a presidente della commissione diL controiio per l a regione, sarebbe addirittura contro lo spirito della costituzione introdurla in quel che è chiamato « organo della regione ».

In secondo luogo, ammettiamo che ci siano dei tecnici dell'am- ministrazione statale come membri referendari, che partecipino con voto consultivo alle sedute di tali organi in sede consultiva; mentre con l'intervento d i due legali a voto deliberativo nomi- nati da organi dello stato su cinque componenti (gli altri tre nominati dalla regione) sarebbe da istituire l'organo di primo grado di giustizia amministrativa.

I quattro statuti speciali hanno alcune disposizioni che meri- tano di essere messe in rilievo. Lascio per ultimo l'ordinamento siciliano che nel complesso ha preso un aspetto interessante, da meritare u n esame particolare e accurato. Lo statuto sardo (arti- colo 46) e quello valdostano (articolo 43) rimandano a legge re- gionale. armonizzata con i principi delle leggi dello stato, quel che la costituzione rimanda a leggi della repubblica. Lo statuto del Trentino-Alto Adige ha una serie di disposizioni particolari che regolano le competenze della regione e delle provincie, e all'art. 78 stabilisce che nella regione vengano isti- tuiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l'ordinamento che sarà fatto con legge della repubblica. I1 valore della disposizione di questo articolo risiede nellit- seconda ,parte: Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione D. Così resta soddisfatto i l desiderio della pro- vincia di Bolzano.

Lo statuto siciliano all'articolo 23 stabilisce che Gli organi giurisdizionali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione.

« Le sezioni 'del consiglio di stato e della corte dei conti svolgeranno al t res i%le funzioni, rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile.

« I magistrati della corte dei conti sono nominati, d i accordo, da i governi dello stato e della regione.

« I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria

I

contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presi- dente regionale, sentite le sezioni regionali 'del consiglio di stato D.

I1 problema che rese perplesso i l consiglio dei ministri fu principalmente quello di istituire in Sicilia due sezioni del con- siglio di stato, la consultiva e la giurisdizionale; si cercava una formula per salvare lo spirito del citato articolo, creando u n organo locale con funzioni pari a quelle del consiglio di stato e con eccezioni che non ferissero le disposizioni statutarie. Dopo lunga elaborazione e lo studio di vari schemi, si arrivò al decreto legislativo del 6 maggio 1948 n. 654 dal titolo Norme per l'eser- cizio nella regione siciliana delle funzioni spettanti a l consiglio di stato (Gazzetta Ufficiale n. 135-15 giugno 1948). I1 nuovo organo è stato chiamato: Consiglio d i giustizia amntinistrativo p e r l a regione siciliana, e ad esso spettano le funzioni indicate dall'art. 23 dello statuto.

11 consiglio è presieduto da un presidente di sezione del con- siglio di stato; in sede consultiva è composto da due maiistrati del consiglio di stato, un prefetto e quattr6 esperti; in sede giurisdizionale da due magistrati del consiglio di stato e due giuristi professori di diritto delle università o avvocati abili- tati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Solo il. prefetto è designato dal ministero dell'interno; presidente e magistrati sono designati dal presidente del consiglio di stato, espérti e giuristi sono proposti dalla giunta regionale.

La combinazione è risultata tecnico-giuridica e non politica ; i l primo inizio ha avuto un largo consenso di stima per merito delle persone scelte a posti così delicati.

Quel che interessa notare è che mentre i l predetto consiglio regionale esercita le attribuzioni devolute dalla legge a l consi- glio di stato in sede giurisdizionale nei riguardi degli atti e prov- vedimenti definitivi dell'amministrazione regionale e delle altre autorità amministrative aventi sede nel territorio della regione, esercita anche in grado di appello l e funzioni attribuite a l con- siglio di stato, in sede giurisdizionale, sulle decisioni della giunta provinciale amministrativa o altri organi che potranno essere istituiti (art . 5).

, Nello 'stesso articolo 5 sono previsti i casi di ricorso al consi-

kì glio di stato a sez i~ni~r iun i te , nelle quali partecipano di diritto

\ due magistrati del consiglio regionale.

> I

Mentre per le due sezioni del consiglio di stato f u adottata la nuova soluzione, per la corte dei conti si credette meglio istituire a Palermo le due sezioni, quella di controllo e quella giurisdizionale volute dall'articolo 23. Alla prima sezione sono sottoposti gli atti del governo .e dell'amministrazione regionale e il rendiconto .generale della regione, nonché tutti gli atti degli. organi locali dello stato che per le leggi vigenti sono sottoposti a tale controllo. Alla competenza della sezione giurisdizionale vanno soggetti i giudizi sui conti dei tesorieri ed agenti contabili della regione, i giudizi di responsabilità, i giudizi sui ricorsi e sulle istanze concernenti il trattamento di quiescenza degl'im- piegati, i giudizi in grado di appello delle decisioni dei consigli di prefettura. Nei casi ammessi per l'appello, questo va alle sezioni riunite della corte dei conti.

La soluzione adottata per la corte dei conti, che gi.à aveva un precedente iniziale durante l'alto commissariato, è risultata soddisfacente e utilissima all'organizzazione amministrativa della regione. P

Le sezioni di altri organi giurisdizionali centrali che sono previste dal citato articolo dello statuto (fra le quali una sezione della cassazione) non sono state finora istituite, non ostante le reiterate richieste del presidente regionale. Solo venne ad essere costituita l'alta corte per la regione siciliana regolata dagli articoli dal 24 al 30 dello statuto e dal decreto legislativo del 15 settembre 1947 n. 942. I giudici.sono sei, nominati tre dalle due camere riunite insieme (per la prima volta dall'assemblea costituente) e tre dall'assemblea regionale con l'aggiunta di un supplente per parte. I sei nominano i l presidente e il procuratore generale (l).

( l ) Per la prima nomina furono eletti dall'assemblea costituente il presidente della corte dei conti, A. Ortona, i l prof. Bracci dell'università di Siena e l'on. Umberto Merlin; dell'assemblea regionale l'on. V. E. Orlan- do, il prof. don Luigi Sturzo e I'avv. Giovanni Selvaggi. I sei elessero presi- dente l'on. I. Bonomi e procuratore generale il magistrato G. Messina i quali per vari motivi declinarono la nomina e furono rispettivamente sosti- tuiti dall'ex-avvocato generale G. Scavonetti e dal magistrato E. Eula (N.d.A.).

Due sono i compiti dell'alta corte: giudicare sulla costitu- zionalità delle leggi emanate dall'asseniblea regionale e delle leggi e regolamenti dello stato rispetto allo statuto siciliano, e giudicare dei reati compiuti dal presidente e dagli assessori regionali nell'esercizio delle loro funzioni dietro accusa dell'as- semblea regionale o del commissario del governo. I ricorsi contro l e leggi regionali sono promossi da u n commissario nominato dal governo dello stato, e dal presidente della regione o anche dal commissario del governo .contro le leggi e i regolamenti dello stato.

Una disposizione è conte-nuta negli articoli succitati che a prima vista può sembrare giuridicamente discutibile, ma clie pur in una forma non chiara dimostra i l fine legittimo cui tende. L'art. 29 prescrive: cc 1'alta"corte decide sulle impugnazioni entro venti giorni dalla ricevuta delle me'desime ». I1 comma seguente dà la chiave di questa prescrizione così inusitata: «Decorsi otto giorni, senza che al presidente regionale sia pervenuta copia dell'impugnazione, ovvero scorsi trenta giorni dalla impugnazione, senza che al presidente regionale sia per- venuta da parte dell'alta corte sentenza di annullamento, le leggi sono promulgate ed immediatamente pubblicate nella Gaz- zetta U#iciale della regione 1).

In sostanza, l'articolo non può imporre all'alta corte un termine perentorio, oltrepassato il quale possa ritenersi deca- duta ogni azione giudiziaria. La corte, se vi sarà u n motivo le- gittimo, potrà far passare i termini segnati; i l solo effetto del ritardo al di là del termine sarà quello di dare alla regione (trattandosi di legge regionale) i l diritto di pubblicarla sulla propria Gazzetta Ufiiciale e darvi esecuzione. Se poi l'alta corte si pronunzierà per l'annullamento della legge, tutti gli att i eseguiti i n forza della stessa cadranno nel nulla.

Non sarebbe forse anche questa la sorte delle leggi e dei regolamenti dello stato, impugnati dalla-regione, nel caso che l a decisione dell'alta corte fosse per l'annullamento? cadrebbero in non essere anche tutti gli effetti ~ r o d o t t i dalla esecuzione di tali leggi o regolamenti, dato che leggi e regolamenti statali sono esecutivi entro u n termine a par t i re dalla data 'della pubblica- zione nella Gazzetta uBiciaLe; non essendo soggette (come sono

le leggi regionali) alla conoscenza preventiva di alcuna autorità, L'

nè potendo la loro pubblicazione essere sospesa per l'impu- \t .

gnazione che ne facciano le regioni. Lo scopo dei termini fissati dall'articolo 29 dello statuto sici-

liano è ben chiaro; si è voluto evitare che l'impugnazione di incostituzionalità fatta dal commissario del governo avesse l'ef- fetto di una sospensiva a tempo indeterminato, potendosi i l pro- cedimento legale presso l'alta corte protrarre per mesi ed anni. Onde, se ciò avvenisse al di là dei trenta giorni prescritti, le leggi regionali potranno essere senz'altro promulgate e pubblicate.

I1 caso è avvenuto nel settembre 1948, quando l'alta corte, pur convocata per i l 3 settembre, sospese l'esame dell'impugna- zione del commissario Vittorelli, contro la legge sul riparto dei prodotti agrari. Passati i termini, il presidente regionale non pubblicò la legge in attesa di un amichevole componimento che era in corso. Ma il commissario privatamente fece rilevare che la disposizione dello statuto era tassativa e quindi la non pub- blicazione creava un'incertezza legale che poteva essere lesiva del diritto dei terzi. La regione però attese i l promesso ritiro del ricorso, i l che avvenne prima che la legge fosse pubblicata e avesse quindi vigore legale. A parte il caso in parola, l'alta corte ha avuto fin oggi cura di emettere le sue decisioni dentro i termini fissati dall'articolo 29.

Sia nel periodo delle discussioni per il coordinamento dello statuto da parte della costituente, sia durante l'esame da parte clella commissione senatoriale del disegno di legge previsto dal comma dell'articolo 137 circa le norme per la costituzione e i l funzionamento della corte costituzionale, si è affacciato il pro- posito della soppressione dell'alta corte per la regione siciliana. I1 ministro Grassi portò al consiglio dei ministri del 5 gennaio 1948 i l disegno di legge riguardante tale soppressione, ma il consiglio ritenne che in base alla norma VI1 delle disposizioni finali e transitorie della costituzione, l'alta corte debba conti- nuare le sue attribuzioni fino all'entrata in funzione della corte costituzionale della repubblica 1) (comunicato ufficiale).

Essendo però gli statuti speciali dichiarati legge costitu- zionale, ed essendo stata pronunziata la incostituzionalità della disposizione di legge che autorizzava per clue anni la procedura

ordinaria per le modifiche dello statuto siciliano, qualsiasi atto che riguarderà l'alta corte per la regione siciliana dovrà essere approvato con la fissata dall'articolo 138 della costituzione ( l ) .

Qualcuno si è domandato come mai la consulta siciliana abbia avuto l'idea di una corte costituzionale esclusivamente per la Sicilia. La ragione è una sola: il siciliano è diffidente per istinto e per esperienza ; in politica non ha mai dato credito alle promesse dei governi centrali, fossero stati un tempo quelli d i Napoli o di Madrid e sotto il periodo unitario, quelli d i To- rino, Firenze e Roma. L'ultima fase, la fascista, colmò la misura. Anche la Roma antifascista portava il peso del passato. Fidarsi è belie,non fidarsi è meglio. Ecco la vera origine dell'idea di un'alta corte, a tipo paritetico esclusivamente per la Sicilia.

I1 fatto che sia stata costituita la corte costituzionale non diminuisce le diffidenze isolane verso la legislazione statale, proprio per uno stato d'animo che direi storico; anzi le accresce per la canea giornalistica e politica che si è scatenata contro la Sicilia, per l'atteggiamento tenuto dalla stessa ,costituente circa il coordinamento nell'approvare il famoso emendamento Persico-Dominedò, per la stessa fretta che si dimostra nel volere abolire l'alta corte, per tutto l'armeggio d i uomini e di partiti che dimostrano come labili siano le memorie di un pas- sato assai vicino, quello del separatismo, e come vivace sia la reazione contro la Sicilia che in sostanza non domanda che il rispetto della sua autonomia promessa e concessa in giorni assai fortunosi per l'isola e per la patria.

I n sei mesi di funzionamento dellialta corte sono state rice- vute venti impugnazioni, delle quali dieci ritirate dalle parti in seguito ad accordo; dieci decise con nove sentenze essendo

(1) In questo senso si è pronunziato il senato, il 4 febbraio 1949, appro- vando l'ordine del giorno Azara che suona così:

I1 senato, considerato che la questione concernente l'alta corte per la Sicilia deve essere risoluta nel quadro della costituzione con legge costi- tuzionale, che detti le opportune norme di zttuazione;

Invita il governo a presentare prontamente al parlamento il disegno .di legge costituzionale suindicata v.

\ state due cause riunite in una ; contro la regione vi sono avuti sei ricorsi del commis~ario del governo dei quali due rigettati

\ e quattro parzialmente accolti; contro lo stato, tre ricorsi del presidente della regione, 'due rigettati e uno accolto.

\ I criteri che derivano da tali decisioni sono accennati nel capitolo quinto. Quel che interessa notare si è che, a parte qualsiasi apprezzamento sul tipo dell'alta corte, questa è ser- vita a richi'amare le due amministrazioni, dello stato e della regione, al senso di limite necessario anche nel legiferare. In sostanza, un nuovo istituto, la regione, che è stato inserito nella struttura dello stato, con tante prevenzioni e tante avversioni, dovrà essere garantito fin che si arrivi alla mutua comprensione e cooperazione del centro con la periferia, e viceversa (*).

( l ) Per l'attività di Luigi Sturzo quale membro dell'alta corte siciliana, vedi il volume L. Stuno, Scritti di carattere giuridico, I1 sez. Bologna; Zanichelli, 1962.

FUNZIONI - SERVIZI - UFFICI - PERSONALE

14. - Tra le funzioni assegnate alle regioni, le più delicate sono quelle statali che sono state o che potranno essere delegate a organi regionali. La costituzione prevede che lo stato possa « con legge delegare alla regione l'esercizio di altre funzioni amministrative (art . 118). L'inciso « altre » è messo per distin- guere quelle delegate da quelle che la regione esercita jure pro-

prio per l e materie elencate nell'articolo 117. All'articolo 121 è

stabilito che « il presidente della giunta ... dirige le funzioni

amministrative delegate dallo stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo centrale ». Nel disegno di legge suc-

citato (n . 211) è ripetuto, all'articolo 8, quanto è disposto dall'ar-

ticolo 121 della costituzione.

Nei quattro statuti speciali esistono deleghe particolari. Per la Sicilia all'articolo 20 esiste una disposizione generica così for-

mulata: « I1 presidente e gli assessori regionali ... sulle altre non

comprese negli articoli 14, 15 e 17 svolgono un'attività ammini-

strativa secondo le direttive del governo dello stato. Essi sono

responsabili d i tutte le loro funzioni, rispettivamente, di fronte all'assemblea regionale e a l governo dello stato ». E l'art. 21 stabilisce che il presidente rappresenta altresì nella regione il governo dello stato, che può tuttavia inviare temporaneamente

propri commissari per la esplicazione di singole funzioni statali N.

L'art. 31 riguarda i servizi di polizia, e a parte l'ultimo comma dove è detto che « il governo regionale può organizzare corpi speciali di polizia amministrativa per la tutela di particolari servizi e interessi tutto l'articolo riguarda un servizio di stato

che è attribuito alla regione; non per questo cessa di essere u n servizio statale. t :

Lo statuto sardo, stabilisce che « il presidente della giunta regionale dirige le. funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo » (arti- colo 47); che « il governo della repubblica può delegare alla regione le funzioni di tutela dell'ordine pubblico ... » (ar t . 49).

In forza dello statuto valdostano i poteri dello stato riguardo la polizia e l'ordine pubblico e riguardo l'ordinamento degli uffici d i conciliazione sono delegati ope legis per il preciso di- sposto &gli articoli 41 e 44; non occorre quindi ulteriore de- lega. Per il resto è stabilito a l comma secondo dell'art. 44 che i l presidente della giunta regionale « dirige le funzioni ammi- nistrative delegate dallo stato alla regione. conformandosi alle istruzioni del gdverno, verso i l quale è responsabile n.

Identico disposto del comma citato contiene l'articolo 35 del- lo statuto del Trentino - Alto Adige; l'art. 79 prevede la delega riguardo l7ufEcio dei giudici conciliatori e vice conciliatori, e demanda la vigilanza sugli uffici d i conciliazione alle giunte provinciali (art . 80). I1 mantenimento dell'ordine pubblico è stato sottratto all'autorità regionale, affidandolo al commissario del governo (art . 77). All'art. 13 è detto che « lo stato può dele- gare con legge, alla regione, alla provincia e ad altri enti pub- blici locali funzioni proprie della sua amministrazione n.

Quali saranno le altre funzioni di stato che mano a mano potranno essere delegate alla regione oggi non è prevedibile. Se, come si spera, le amministrazioni regionali sapranno essere ri- gide nell'osserianza delle leggi e nell'uso del pubblico denaro e zelanti del bene delle regioni, conquistando così la fiducia delle popolazioni locali e quella della nazione, allora governo e par- lamento sapranno di avere cooperatori e non oppositori. Dal- l'altra parte, se governo e parlamento cesseranno di ispirarsi ad un accentramento burocratico e potestativo opprimente, susci- teranno sul'serio lo spirito di fiducia e di collaborazione fra il centro e la periferia.

Grave è i l problema per ambedue le parti, perchè soprat- tutto è grave il problema del funzionamento sul quale le diie parti debbono poggiare. Si sa e si ripete che lo stato è aggra-

vato da una massa enorme di funzionari.iHo sentito parlare di riforma burocratica fin dai primi passi, della mia attività am- ministrativa, che ebbe inizio nel 1899. Mezzo secolo: nel quale nè lo stato nè gli enti locali hanno saputo o potuto regolare questa branca vitale ed essenziale della vita pubblica. Fin da allora si parlava di funzionarismo e di pletora di impiegati. Non ho sott'occhio l e statistiche per fare un confronto; ma si sa che i l fascismo ingrossò la burocrazia sia per la creazione d i enti parastatali, sia per l'inflazione dei ruoli, sia per la moltiplica- zione di sine-cure per i propri adepti.

I1 sistema facile sotto una dittatura, è divenuto facilissiinp durante e dopo la guerra, quando hanno avuto mano libera l a esarchia e i l tripartito, ed è stata ordinaria la legislazione per de- creti nonché le riforme degli organici a tamburo battente pri- ma che entrasse a funzionare il parlamento. .

.Ora la burocrazia stata!e è ingorgata col blocco dei licenzia- menti; le esigenze di carriera, la necessità di smobilitare uffici e dicasteri, creati per il periodo di emergenza o mantenuti per triste eredità del passato regime, rendono difficile una riorganiz- zazione efficiente. In questo stato di cose si inserisce il proble- ma della creazione e-sistemazione degli uffici delle regioni.

La disposizione transitoria VI11 della costituzione stabilisce che « leggi della repubblica regolano il passaggio alle regioni di funzionari e dipendenti dello stato, anche delle amministra- zioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. P e r l a formazione dei loro uffici, le regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello stato e degli enti locali

Nel disegno di legge n. 211 sono state previste delle norme che regoleranno il passaggio alla regione dei funzionari statali e locali (ar t . 33,. 34, e 35), fra le quali è prescritto che con legge della regione saranno adottate le norme per l'inquadra- mento nel ruolo del personale delle amministrazioni dello stato e di quello degli enti locali che faccia domanda di passaggio alla regione n.

Fissato questo punto e stabilito che la regione potrà chie- derne l'assegnazione come « temporaneamente comandato », al- l'art. 34 è .disposto che la scelta di tale personale sarà fatta

« dalle amministrazioni di appartenenza ». La cosa è enorme: \

obbligare la regione ad accettare un personale « imposto dal- l'amministrazione dello stato, senza quell'accordo che in ogni caso sarebbe opportuno, non ha affatto senso. All'articolo 35 poi è stabilito che i l suddetto personale « avrà funzioni adeguate a quelle svolte presso le amministrazioni di appartenenza D. Questa disposizione è giusta in sé, ma non deve far parte di una legge generale, si bene delle condizioni di servizio che saranno fissate dalla regione, e che il funzionario prima di ricevere il comando dovrà conoscere ed accettare.

Non ostante le disposizioni suddette, il problema del passag- gio del personale statale alle regioni non è per nulla risolto. Esso è così grave che occorre uno studio adeguato a risolverlo.

La regione è ente autonomo e allo stesso tempo organo d i decentramento; per ambo i titoli essa sostituisce lo stato nelle funzioni che esercitava ed esercita tuttora sia dal centro sia a mezzo di uffici distaccati o di funzionari comandati. A rigore di termini, non dovrebbe avvenire, per tali servizi, nessun aumen- to globale di personale, perché quello locale, non solo è suffi- ciente ai servizi che già gestisce lo stato ma è talmente esube- rante, che il dippiù (con le dovute selezioni) potrebbe passare al centro regionale.

Si prevede anche un adeguato sfollamento dei ministeri. Do- vendo, com'è prescritto, passare alle tegioni lavori pubblici di carattere regionale e locale, agricoltura e foreste, servizi turistici, scuole, e così di seguito per tutto quanto è elencato nella costi- tuzione e negli statuti speciali, c'è da sperare che i ministeri si affrettino a far passare alle regioni quel personale che ( a parte l'ingombro attuale per l'inflazione impiegatizia) non avzà più ragione di rimanere al centro.

Si sa, questa è una nota che suona male. L'opposizione alla regione non è strettamente politica, essa è principalmente am- ministrativa. Che ci sia un personale centrale del ministero del- l'agricoltura che, a parte le proprie competenze, coordini sul piano nazionale quel che le regioni attuano sul piano regionale, è cosa ragionevole e necessaria. Ma non sarebbe nè legittimo nè serio, sia per l'andamento dei servizi sia per la spesa, che si mantenessero i vecchi uffici centrali senza mansioni efficienti,

sol per rispettare quadri, gradi e larghe possibilità di carriera. Quel che si dice per l'agricoltura, vale per tutti gli altri servizi passati alla regione.

I1 pr i~i io bilancio della regione siciliana è stato di quattordici miliardi; su tale base, a occhio e croce, la spesa delle regioni sarà di 150 miliardi all'anno, che andranno a diminuzione delle entrate dello stato. Si deve quindi rev vedere una corrispondente diminuzione delle spese di tesoro. Non c'è dubbio che le spese per quei servizi locali che passeranno alle regioni, andranno a diminuzione degli impegni del tesoro. Così è avvenuto i n Sici- lia. E se attualmente figurano ancora certi servizi a peso dello stato, è perché l'attuale gestione provvisoria, regolata dal decreto legislativo del 12 aprile 1948, fa rimando ad un provvedimento definitivo che regoli i rapporti tra stato e regione.

Supposto adunque che si tratti della cessione alle regioni del- le entrate statali pari, al gettito di oggi, d i 150 miliardi (c'è chi prevede senz'altro 200 miliardi), deve essere cura del tesoro; con il concorso dei vari ministeri, di sgravarsi del peso corri- spondente di personale e servizi. Occorre quindi avere il corag- gio d i fare u n taglio netto, d i diminuire i quadri del personale ministeriale almeno per la stessa somma che graverà sui bilanci della regione.

Questa operazione dovrebbe essere un preludio della riforma burocratica della quale (come ho detto) si parla da mezzo secolo. Giolitti nel 1921 la voleva affrontare ed esigeva di averne dal parlamento i pieni poteri. Gli umori dei due partiti più nume- rosi, socialisti e popolari, non erano favorevoli a una delega di poteri l'indomani delle elezioni generali volute da Giolitti pro- prio col proposito di diminuire l'efficienza di questi due partiti, i quali invece ritornarono alla camera il primo con pochi seggi di meno e i l secondo con otto seggi di più. Giolitti, del resto, aveva compreso di essere un tollerato dopo una campagna così male impostata, dalla quale emersero i 35 fascisti da lui favoriti, che portarono a Montecitorio il cavallo di Troia.

Cito l'episodio p e r riconoscere che Giolitti aveva ragione nell'impostare il problema della riforma e darvi l'importanza che meritava; non aveva ragione a chiedere i pieni poteri pro- prio lui che non poteva avere una maggioranza senza i popolari.

Potrebbe oggi chiederli De Gasperi, che ha una notevole mag- gioranza governativa e per di più una maggioranza effettiva del proprio parti to? Ovvero saprà fare a meno dei pieni poteri, por- tando l'affare al parlamento? È quel che si augura ogni onesto cittadino, che è pensoso delle sorti del paese e dei pubblici ser- vizi. Al posto di Quintino Sella c'è un altro biellese. Possiamo domandargli che imiti i l suo compaesano?

C'è u n compito nuovo per i ministri del 1949, quello di rii formare i servizi del proprio dicastero dandovi un'impronta moderna. Imitare gli uffici amministrativi delle grandi aziende - private, andando a studiarli ove si trovano, anche in America. Tre gli elementi fondamentali: primo, la responsabilità perso- nale ; secondo la sveltezza dell'ingranaggio ; terzo, l'adeguato stipendio e il rischio, per chi non fa i l proprio dovere, d i poter essere mandato via.

Mi diceva u n americano che gli impiegati italiani lavorano poco, fumano troppo, leggono troppi giornali, parlano troppo e hanno troppe carte sui tavoli. Egli si riferiva agl'impiegati pri- vati d i banca e di aziende industriali. Gli domandai se avesse visto un ufficio ministeriale. Mi disse di no.

Primo, responsabilità personale; nei ministeri ciò non esi- s te ; c'è u n sistema di scarica-barile assai sconcertante, dal se- gretario al capo-sezione e poi al capo-divisione e poi al diret- tore generale; se c'è un qualche appiglio, le carte passano per pareri e contro-pareri, ad altre divisioni o alle altre direzioni generali o peggio ai gabinetti, che hanno subito in questi ultimi tempi un7inflazione senza pari. E che dire delle ragionerie par- ticolari e generali? e di quella del tesoro che per mesi e mesi tiene decreti innocui dove non c'è ombra di spesa? Così si sbal- lottano gli affari da un'ufficio all'altro, da un ministero all7al- t ro ; pe r mesi intieri, ed anni anche. Se poi l'affare è caratte- rizzato come « politico n, allora tiitti i freni non funzionano-più e tutte le formalità sono superate.

In sostanza, la responsabilità reale è una sola, quella del mi- nistro; i l quale essendo uomo, limitato come tutti gli uomini, non ha il tempo di occuparsi di tutt i gli affari del suo dicastero, nè la possibilità di esaminarli, nè spesso la capacità tecnica di valutarli. Egli h a l a sua responsabilità politica e direttiva, a

grandi linee e nell'orbita della politica generale adottata dal governo in solido, approvata dal parlamento e consacrata nelle leggi. Per il resto, siano i direttori generali e i loro diretti di- pendenti a prendersi le responsabilità, senza scaricarle ad altri nè evitarle per se stessi.

Ma per far ciò, occorre anche snellire gli uffici, evitare i l car- teggio inutile; rendere rapido il passaggio delle pratiche, distri- buire bene l e competenze e con le competenze le responsabilità.

Non discuto su orario continuativo od orario diviso, ma sul- l'orario, orario effettivo e non nominale. Orario ordinario che rende, e non straordinario che serva a rimediare quel che non si è fatto durante l'orario ordinario.

Pagate bene, risponderà il milione di travets italiani. Vero; ma poiché si può fare meglio e più con mezzo milione d i i m - piegati, che non si fa con un milione e più, bisognerebbe cnr- rere i l rischio del licenziamento per mancanza di rendimento. Così chi sente i l pungolo del rischio ed ha in vista il peso della responsabilità, può dare al pubblico servizio i l suo effettivo la- voro ed esserne pagato bene. Altrimenti, sarà inutile parlare di riforma burocratica.

Un s i m i l ~ piano non si realizza in un giorno nè in u n anno, ma a lunga portata, perché la eliminazione del personale super- fluo avvenga senza gravi scosse e con una gradualità lungimi- rante e realistica.

Però ecco i l punto; ora che ci sono le'regioni da sistemare, occorre fare due passi importanti. Primo, sgravare l'amministra- zione dello stato del personale superfluo e non aumentare la spesa pubblica: cioè mantenere le diminuzioni dell'attivo e del passivo al medesimo livello. Secondo, dare precise istruzioni perché le regioni nell'impiantare i propri servizi, si ispirino ai seguenti criteri: responsabilità del funzionario, snellezza della struttura burocratica, rigore nell'andamento dei servizi.

So bene che mi si dirà che la regione siciliana iion ha ap- plicato questi criteri, ed ha cercato di imitare lo stato nel fissare ruoli, gradi e tabelle. Purtroppo, i burocrati sono tutti. gli, stessi, tanto a Roma che a Palermo. Idee moderne non penetrano facil- mente negli ambienti amministrativi. Ci vorrà ... una mezza ri- voluzione. Perfino servizi modernissimi e di pura contingenza,

quali i commissariati dell'alimentazione e dell'igiene e sanità e i l ministero del commercio estero, hanno avuto cura di orga- nizzarsi in sezioni, divisioni, direzioni generali con ruoli e tabelle come se dovessero durare in eterno e burocratizzando servizi che dovevano mantenersi nella linea della più svelta caratteristica di servizi commerciali e tecnici. Se non si tenta una via diversa, anche regioni, provincie e comuni saranno organizzati sullo stam- po dello stato, sì che le migliori energie e le migliori volontà si sentono impari allo sforzo che fanno per servire la nazione.

15. - I1 burocrate che legge queste pagine mi prenderà per un nemico, uno che non sa apprezzare il lavoro del travet ita- liano. Debbo dire che negli anni in cui avevo effettivi contatti con la burocrazia ministeriale, potei apprezzare fedeltà, compe- tenza, assiduità al lavoro e zelo. Oggi ho assai limitate occasioni a ciò, ma apprezzo moltissimo quei pochi funzionari che perso- nalmente conosco. Purtroppo, non posso apprezzare il sistema: se per esaminare e risolvere il piccolo e insignificante ricorso di una maestra, che si lagna di essere stata trasferita di scuola sen- za essere stata prima interpellata nè essere stata sottoposta a procedimento disciplinare, occorre un anno (dico un anno, e l'affare è passato per le mie mani) ciò vuol dire che c'è qualche cosa che non va. Se per dare un parere, quale esso sia, circa l'apertura o la chiusura di un mulino (cosa che dovrebbe essere lasciata al libero rischio industriale) ci vogliono cinque o sei' mesi di va e vieni, è. chiaro che qualche cosa non va. I1 piccolo affare del richiamo di un impiegato in servizio è stato rinviato per un anno e mezzo dal consiglio d i amministrazione che do- veva dare il parere, e ciò non per ulteriore (( istruzione » o per

mancanza di documenti o per ritardo della malfamata ragio- neria generale, ma solo perchè non si arrivò mai a quel numero dell'ordine del giorno. Per un anno e mezzo un impiegato di mia conoscenza ha avuto notizia che il suo procedimento discipli- nare era in corso, sempre in corso!

Cito questi piccoli fatti insignificanti per dare un'idea della velocità che prendono gli affari nei ministeri. Se si facesse una indagine di quante leggi non sono state applicate per mancanza di regolamenti o di disposizioni esecutive, ne verrebbero fuori

cifre sbalorditive. Per questo, io reputo che sia buon metodo applicare o sveccliiare le leggi esist-enti e non fare leggi nuove, tranne le leggi cardini e quelle di spese fuori bilancio.

Detto ciò, accenno ai motivi che rendono difficile i l passag- gio del personale statale alle regioni. Primo, la questione della carriera. Lo statale di ruolo vuole rimanere impiegato d i stato e ne ha diritto incontestabile. Passerà quindi alle regioni come comandato. A parte le difficoltà di alloggio in residenze di pro- vincia, nessuno o quasi si sposta di propria volontà tranne che non abbia in vista un miglioramento di carriera o motivi di particolare preferenza. Nel nostro caso poche speranze di mi- glioramento; timore (cosa avvenuta) che i consigli di ammini- strazione del personale ministeriale non tengano conto delle no- te di merito del personale delle regioni; formazione quindi di due ambienti: quello degli statali dei ministeri e quello degli statali delle regioni; per la carriera, la formazione di due am- bienti riesce assai dannosa. Dall'altro lato, se si inizia il sistema d i rotazione del personale dai ministeri alle regioni e viceversa, i servizi relativi ne risentiranno per mancanza di continuità, per i l senso del precario che impaccia e disvoglia.

Guardando il problema dal lato della regione, si avrà un per- sonale non proprio, errore iniziale che a lungo andare si scon- terà; un personale che desiderando miglioramenti di carriera non vede nei ruoli regionali ( a meno che non vengano fatti ruoli aperti) possibilità di promozioni; un personale che avrà diffi-

coltà a mantenere quell'intesa con gli am9iinistratori della re-

gione, dai quali effettivamente non si sente di dover dipendere.

E mi fermo a descrivere questa specie di mezzadricc perchi?

lascio supporre a chiunque.se una casa, un'impresa, u n ufficio

potrà mai andare avanti con un personale in prestito.

I1 primo interesse della regione è quello di avere u n perso-

nale proprio; dovrà quindi favorire la possibilità dei passaggi

dal ruolo statale a l ruolo regionale. Questo potrà farsi fissando

paglie e garanzie identiche (escludo paghe superiori per evitare

una specie di concorrenza inopportuna); limitando i-posti d i

ruolo, stabilendo ruoli aperti con la clausola, bene inteso, che l'amministrazione regionale sarà facoltata a introdurre nei pro-

pri regolamenti clisposizioni ispirate ai principii che saranno fissati per la riforma burocratica dello stato.

Se con questo sistema'i posti chiave saranno coperti, poca importanza avrebbe il passaggio a tempo determinato, dallo stato alle regioni, di personale subalterno o avventizio, e con la facoltà che le due amministrazioni possano prorogarne di anno in anno lo stato di fatto, finché si renderanno vuoti i posti da doversi coprire con nomine ordinarie secondo i regolamenti re- gionali.

I1 problema si ripresenta sotto altro aspetto per i l personale degli uffici e servizi locali che passeranno alle regioni. Due i casi: o tali uffici saranno mantenuti perché utili e necessari, oppure tali uffici saranno soppressi perché inutili o dannosi. Forse anche gli inutili resteranno perché non si avr.à il coraggio di sopprimerli. Purtroppo è così: il coraggio non è d i tutti. Par- liamo dei primi: per esempio i maestri delle .scuole elementari della Sicilia e della Valle d'Aosta saranno alla diretta dipen- denza della regione, la quale avrà diritto di assumerli, d i man- tenerne la disciplina, d i trasferirli, di promuoverli, d i metterli in pensione, tutto secondo le garanzie della relativa carriera. Gli insegnanti ingaggiati dallo stato, pur passando alla dipen- denza della rispettiva regione, avranno diritto all'osservanza del- le attuali condizioni di carriera. Così per il personale degli uffici locali dell'agricoltura e foreste, dei lavori pubblici e di ogni al- tro ministero che passerà propri servizi alle regioni con i l rela-

tivo personale.

Però, e questo è un punto che non potrà essere messo in di-

scussione, l'attuale personale statale potrà rifiutare l'opzione per

la regione e richiedere di rimanere statale con destinazione ad

altri servizi e dicasteri, oppure restare nei servizi locali alle

condizioni sopra indicate per ogni altro personale statale co-

mandato presso le regioni.

Tutto ciò sembrerà complicato; urterà l e suscettibiliti sin-

dacali degli statali; ci saranno forse minacce di sciopero se l a

cosa non è di gusto di partiti e di certi gruppi di punta; ma la ragionevolezza di tali criteri non potrà essere messa in dubbio.

Se la regione deve entrare nella struttura statale, come u n

ente che ha personalità e responsabilità propria, non potrà fare

a meno di personale proprio o discretamente appropriato. Passiamo al personale degli enti parastatali che hanno nelle

regioni uffici e organismi propri che interferiscono nelle compe- tenze delle regioni. Qui non parlo degli enti nazionali che sfuggono alla competenza della regione, tranne che per dire, an- cora una volta, di abolirli se si tratta, come è per molti, di enti parassiti dello stato, superflui alla vita pubblica, creati sotto lo stimolo autarchico o per ridurre la libertà industriale e commer- ciale del paese. Comprendo bene che ci sono di mezzo tanti impiegati che hanno la legittima aspirazione di non perdere l'impiego e che hanno il diritto a vivere. Ma non sono gli enti per gli impiegati, sono gl'impiegati per gli enti; se tali enti di- vengono inutili o peggio dannosi, sarà bene o trasformarli o sop- primerli.

I1 problema della disoccupazione impiegatizia si deve affron- tare nel suo complesso sociale, che è quello del ceto medio, pro- blema più impellente di quella di ogni altro ceto, meno i brac- cianti disoccupati; ma è anche problema a lunga portata. Non è qui il caso di esaminarlo nelle sue caratteristiche e nei suoi rimedi. Non si ingannino coloro che credono di risolverlo con l'inflazione impiegatizia; faranno la strada a tutte le più cervel- lotiche nazionalizzazioni, al socialismo di stato e al passaggio definitivo al comunismo, economico che per noi italiani creereb- be addirittura un vero impoverimento nazionale.

Lo stato farebbe bene ad assistere a mezzo di fondi di disoc- cupazione coloro che perderebbero impieghi di enti parassiti, e non ne troverebbero altri adatti, anziché mantenere gli enti che costano il doppio o il triplo. Da parte delle regioni, che per fortuna non hanno (almeno per ora) nè possibilità di bi- lancio, né debito pubblico , né enti parassiti a carico, è da augu- rare che i relativi amministratori ci pensino due volte ad accol- larsi enti deficitari ed inutili.

Ho paura che da questo orecchio poco ci sentiranno coloro che hanno la preoccupazione di guardare lo stato per poterlo imitare; di tale difetto non è stata immune fin oggi la regione siciliana, ma è in tempo a correggersi. I miei amici debbono es- sere convinti che l'amministrazione statale, quale è stata eredi-

tata dal fascismo e quale è stata ridotta, per necessità di emer- genza o per inesperienza di uomini, non è affatto degna d i essere imitata nelle sue deviazioni, sì bene nelle sue tradizioni di pri- ma dell'altra guerra, e con quelle modernizzazioni che sono ne- cessarie per rispondere al complesso dei bisogni presenti.

Quindi, niente enti parastatali, niente autarchia economica, niente interventi nell'attività privata del cittadino. Se la regione vuole ottenere un dato indirizzo pratico che crede il migliore, sentiti i tecnici, dia premi, stabilisca esenzioni, concorra se può a prepararne l'ambiente con l'istruzione adeguata, con istituti di sperimentazione e simili.

L'intervento nella industria, dando o negando permessi per impiantare nelle campagne un motorino elettrico o per aprire un mulino o per fabbricare del sapone, è cosa che ogni regione dovrebbe ritenere residuo fascista, o ferrovecchio di intementi- smo autarchico. I signori cittadini, industriali e commercianti, prendano le loro iniziative da sé, e assumano i rischi che com- portano. Bisogna finirla con gli interventi prefettizi o statali o regionali, tutte le volte che gl'industriali accusano un deficit o minacciano di chiudere bottega. Senza rischi non c'è economia sana, ma economia ammalata ed economicamente insanabile.

Certo che l'operaio deve essere difeso, ma con regolari casse e istituti d i disoccupazione, non col fare sussidiare dallo stato (domani dalle regioni) le industrie e gli impianti che non reg- gono, e con l'inventare enti nuovi che pretendono sussidi, favori e diritti di monopolio. Che lo stato, che oggi ha sulle spalle centinaia di enti, curi di sbarazzarsene se e come può; ma le regioni che vengono su libere da impegni stiano in guardia a non assumere certe eredità senza beneficio di inventario, e, so- prattutto, a non lasciarsi indurre in tentazione da tutti i pro- motori di enti che per prima domanda vi dicono: dateci i mi- lioni e i miliardi e li amministreremo noi. Presidenti, giunte, consiglieri debbono rispondere che i milioni e i miliardi propri deve ammnistrarseli la regione e non altri.

Mentre io sono contrario agli enti di diritto pubblico che fanno i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, gli impre- sari e simili, non solo non ho obiezioni ma sarei pronto a favo- rire i consorzi di privati o di associazioni, banche e istituti fi-

nanziari, che a loro rischio e pericolo, con qualche favore pub- blico assai limitato, p e n d a n o iniziative utili alle popolazioni locali e alle stesse regioni, col patto, che se riescono siano loro i vantaggi, e se non riescono siano p.ure loro le perdite. Nessun ente pubblico deve garantire al privato i rischi che corre; solo così può rinascere i l nostro paese. È vero che ancora esistono leggi fiscali di favore per enti d i diritto pubblico. È da sperare che i l ministero delle finanze abolisca questi privilegi e conservi solo quelli che potranno anche concedersi ai consorzi e società che non abbiano scopo di lucro.

Purtroppo, queste veri& lapalissiane cadono in un ambiente morfinizzato, che non dà segno di ripresa. Chi legge la Gazzetta Ujeiciale della repub'blica ( e anche un po' quella della regione siciliana) trova di tanto in tanto certi decreti, sian.0 o no legi- slativi, dove è detto, il tale knte (sia per esempio la mostra di oltre mare di Napoli) è amministrato da u n consiglio composto da un rappresentante del ministero A, e un'altro del ministero B, e così una filastrocca, compresi i sindaci presi fra i ragio- nieri dello stato. L'effetto è semplicemente assurdo. Questi si- gnori che tutt'altro sanno che di acciaio, di ghisa, di metano, di banane, di petroli, d i carbone, di prodotti chimici e farma- ceutici, e che per il loro ufficio sono impegnati a decifrare carte ed emarginare pratiche, trapiantati nei consigli di amministra- zione una volta ogni due o tre mesi, spesso anche nei comitati direttivi per due o tre volte al mese, vi portano una mentalità burocratica, ovvero si rimettono al presidente e a l direttore ge- nerale, avallano la gran parte delle iniziative o se fanno dei ri- lievi sono di carattere formale e regolamentare. I ministeri non vi sono di fatto nè rappresentati nè garantiti; i deficit si sovrap- pongono ai deficit; e il ricorso normale, con le relazioni favo- revoli dei sindaci, è alle casse dello stato. È vero che così certi burocrati, sia quelli meritevoli d i considerazione e specializ- zati, sia gli altri gros bonnets e intriganti, pigliano gettoni d i presenza e arrotondano lo stipendio; ma sanno essi dirci per quante ore rimanga deserto i l loro ufficio per .aver fatto buona collezione di tali nomine? e quanta benzina sciupano per muo- versi dall'ufiicio ?

Le regioni si guardino bene dall'imitare lo stato, e fissino fin

da oggi che non solo non debbono creare enti nuovi e debbono smobilitare gli enti parassiti che esistono, ma debbono evitare che i loro funzionari divengan? amministratori' di società pri- vate, danclo loro responsabilità e lavori che non competono. La rete eli cointeressi che si crea, anche se il funzionario sia spec- chio di onestà, è tale che gli enti saranno sostenuti e avvantag- giati dall'influsso della burocrazia sulla legislazione e sull'am- ministrazione della regione (com'è purtroppo oggi nello stato) sì che il parassitismo reale e funzionale trionfa e trionferà di ogni ragione di interesse pubblico e di qualsiasi valutazione economica pel bene del paese.

16. - I1 passaggio degli uffici e del personale dallo stato alla regione, dovrà farsi appena i corpi regionali saranno costi- tuiti, per evitare quei gravi inconvenienti che ha dovuto incon- trare fin oggi la regione siciliana.

Dall'altro lato, la regione deve essere ben preparata a dare u n esatto indirizzo ai servizi dei quali è così autorevolmente investita. Questo punto non mi pare che sia stato bene prospet- t a i ~ fin oggi dalle varie regioni a statuto speciale che vanno sorgendo. Le due di confine hanno viva la coscienza dei loro cliritti traclizionali, dato che si' tratta di nuclei relativamente emogerrei che non han perduto, non ostante la raffica fascista, il senso clella loro personalità.

Le due grandi isole, più che i riflessi tradizionali, sentono il disagio economico e la mancanza di servizi pubblici (strade, scuole, ospedali, acquedotti, fognature e simili). Lo stadio arre- trato della loro economia e la difficoltà di creare iniziative lo- cali cli larga portata, fa guardare la regione come un canale per i l cpale passino gli aiuti statali. Mentre è giusto che lo stato ripari i passati errori verso le isole (come verso il mezzogiorno continentale), sarebbe gravissimo errore mantenere tali regioni in condizione di pezzenti che domanclano l'elemosina o di clienti che guardano nelle mani dei patroni e benefattori, o, peggio, di litiganti che sperano di ottenere la quota di vecchia eredità in parte fallimentare.

Le regioni depresse esigono gli aiuti dello stato in forza di un preciso clisposto della costitiizione e clei propri statuti. Que-

sto titolo le mette a paro con tutte le altre regioni per doverosa solidarietà nazionale e sullo stesso piano dello stato, con il quale debbono cooperare per la s o l ~ ~ i o n e non facile di annosi pro- blemi.

Tutto ciò non solo non esonera le regioni e le relative popo- lazioni a prendere iniziative proprie - anche audaci purché bene studiate e bene ponderate, e occorrendo approvate per re- ferendum - per mettere in valore le energie esistenti, morali e materiali, ma le impegna ai sacrifici necessari per adeguare i servizi pubblici ai bisogni delle popolazioni (l).

La direttiva principale che deve tener presente la regione, a proposito di servizi pubblici, è la rispondenza ai reali bisogni regionali. Per intenderci, concretizzo la massima in un proble- ma di urgente attualità. Secondo l'art. 117 della costituzione l'istruzione artigiana e professionale spetta alle regioni. Intan- to è da ritenere che le così dette scuole di avviamento fanno parte del complesso artigiano e professionale e quindi passe- ranno alle regioni. Cosa fare di tali scuole? Ecco un problema grave e gravido di conseguenze. Ogni regione vedrà di metterle in armonia con le condizioni ambientali.

Secondo certi rilievi, non del tutto inesatti, tali scuole per i l novanta per cento producono degli spostati, non riescono a es- sere fine a se stesse, non creano artigiani e artigianelle, non piccoli agricoltori o piccoli lavoratori industriali. I1 ragazzo che ha finito il corso di avviamento si trova in condizioni d i inferiorità di fronte ai coetanei che, a scuole elementari finite, sono andati in una bottega o in un campo. Gli manca l'esercizio e la pratica del lavoro, gli manca la tecnica elementare e tradi- zionale del ciabattino, del falegname o del fabbroferraio; saprà meglio leggere e scrivere e spera, seguendo altri corsi, ottenere una carta qualsiasi, e divenire ... fattorino postale o telegrafico, usciere o bidello, guardia municipale o campestre, poliziotto o guardia carceraria, tutto, meno che divenire lavoratore di quel

(l) Non risponde a sano criterio amministrativo che lo stato e la regione si surroghioo nelle spese di spettanza dei comuni se questi non abbiano prima applicate tutte le tasse che le leggi consentono per gli enti locali (N.d.A.).

mestiere o quell'arte alla quale la scuola lo avrebbe dovuto av- viare. Tali sc.uole, dovrebbero essere fuse con quelle effettiva- mente professionali sì da ben servire alla popolazione operaia e agricola.

I1 vecchio orientamento di aprire scuole in ogni comune per la borghesia professionista, scuole classiche e tecniche trascu- rando quelle artigiane e professionali, deve cessare. I borgliesi possono mandare i loro figli nei centri provinciali e nelle altre città già fornite cli tali istituti; i borghesi possono sostenere le scuole private a pagamento per l'avvenire dei loro figli. Invece le popolazioni rurali e operaie hanno bisogno di scuole, non solo quelle elementari diurne e serali, ma scuole adatte per pre- parare i loro-figli al lavoro qualificato, che sarà una ricchezza per le rispettive famiglie e per i l paese.

La riforma scolastica adatta alla situazione sociale di ogni singola regione dovrebbe essere i l sogno di ogni buon regiona- lista, perchè dalla scuola dipende i n gran parte la sorte del pae- se. Ma non si creda che si possa riformare la scuola con i rego- lamenti, l e circolari, l e leggi formali, l e norme didattiche, la regimentazione dei maestri, e così via. Roba vecchia e rancida ,-.

dello statalismo scolastico italiano. Se vi saranno nel territorio regionale due o tre scuole industriali e agrarie mal messe, 'che le regioni vi spendano quanto loro è possibile, per metterle in piedi con attrezzature modernissime, officine e campi sperimen- tali, corsi pratici complementari, si da farne venir fuori dei tecnici di primo ordine. Quando il paese sa che quella scuola (quella, individuata) produce buoni tecnici, l i cerca. Che conta i l diploma? conta l'abilità: e la selezione la fa la vita. Ecco quello a cui debbono aspirare le regioni.

Se i l mezzogiorno e le isole non si svincolano dalla menta- lità impiegatizia p e r dare tutta l'importanza alla produzione economica a base a i tecnica, non potranno mai sorgere. Le scuo- lette di avviamento sono roba frusta da trasformare. I1 sistema

delle borse di studio dovrebbe essere larghissimo, perchè gli studenti di famiglie non abbienti possano, avendone la capacità, percorrere i corsi degli studi superiori.

Quel che si dice per i l ramo scuola, vale per tutti i rami del- l'attività regionale. Fra questi, in primo rango,. la sistemazione

montana, l e bonifiche integrali, i lavori pubblici, lo sviluppo industriale e commerciale. Non sostituirsi mai alle iniziative private, non comprimere, con enti burocratizzati e privilegiati, la iniziativa privata. Favorirla per quanto è possibile; inte- grarla e renderla efficiente, dove è mancl~evole.

Consigli consultivi, comitati tecnici, commissioni speciali so- no utili strumenti di una vasta amministrazione come la regio- nale; sarà bene non eccedere nel moltiplicare comitati e com- missioni, il troppo impaccia. Sul piano consultivo ci sarebbe da creare una reale cooperazione delle regioni fra di loro, e della regione con lo stato, sì da rinnovare gli indirizzi dell'ammini- strazione pubblica e renderla per quanto è possibile coerente. Col tempo e la esperienza si potrà arrivare ad una riforma tec- nico-amministrativa che sarà utilissima per tutto il paese.

All'inizio si avranno gli inconvenienti derivanti da poca espe- rienza amministrativa dei neo-eletti alle regioni, dallo spirito politico che vi si infiltrerà subito, dalla mancanza di personale esecutivo e burocratico adatto e da difficoltà d i articolazione organizzativa. Ciò è nella natura delle cose. I vantaggi, e note- voli, si avranno col tempo. Si andrà formando una nuova classe dirigente con capacità amministrative, si migliorerà I'organizea- zione dei servizi, si correggeranno gli errori e si svilupperanno le energie.

Se l'amministrazione centrale dello stato, invece di mostrare gelosia verso la nuova venuta, invece di usare diffidenza verso l e amministrazioni regionali, collaborerà fiduciosa, le cose an- dranno bene.

Bisogna, nel passaggio dei servizi, essere netti: quel che è della regione, alla regione; quel che è dello stato, allo stato.

Perciò, i vari decreti presidenziali e legislativi e l e leggi pre- viste dalla costituzione dovranno essere limpidi e netti. Bisogna vigilare a che non si insinuino nel fraseggio dispositivo, norme restrittive che non sono nella lettera e nello spirito della co- stituzione ( l ) .

(l) La conimissione della caniera dei deputati, che sta esaminaodo il disegno di legge 211 (costituzioiie e lunzionarneiito degli organi regionali) sembra che voglia precisare e regolare a priori tutte le competenze dclla

In coneli~sione, i l problema dell'organizzazione dei servizi regionali deve essere studiato e risolto con criteri adatti alla no- vità dell'istituzione, ai bisogni locali, ai fini pratici di piena efficienza.

regione, voglia dare nornie fisse per la compilazione degli statuti e arrivi a volere impedire la legiferazione regionale se non esistono leggi per principi generali (cnme se ogni legge esistente non sia fondata sii principi). Tutto ciò è fnitto di una preoccupazione che la polemica antiregionalista ingrandisce a scopi politici ovvero per secondare l'opposizione della biiro- crazia dei ministeri. Stiano attenti i singoli commissari e curino di non soffocare nelle fascie e a mezzo di fascie legali l'ente regionale (N.d.A.).

LO STATUTO SICILIANO E LA PRIMA ESPERIENZA REGIONALE

17. - L'istituzione della regione siciliana ebbe a l suo na- scere carattere prevalentemente politico. L'alto commissariato per la Sicilia e i l decreto luogotenenziale che lo istituì, nonché i vari provvedimenti alleati e governativi con i quali fu colle- gato, davano già l'idea di una larga autonomia con la quale si voleva, da uomini rev vi denti, riconoscere la speciale condizione dell'isola e le sue esigenze di rinascita, nonché la necessità di una pacificazione con le frazioni separatiste che l'agitavano.

Vari tipi di statuto erano stati redatti in quel periodo, che andavano da un'autonomia a tipo cantonale o federalista ad una autonomia moderata ma a tipo costituzionale e saldamente ga- rantita dai colpi d i maggioranze parlamentari ostili.

I1 testo preparato dalla consulta siciliana insieme all'alto commissario Aldisio incontrò non poche difficoltà alla consulta nazionale e al consiglio dei ministri, difficoltà che furono supe- rate sia per le insistenze di siciliani responsabili sia per l'inter- vento del presidente del consiglio, on. De Gasperi. Lo statuto fu approvato e sanzionato dal decreto legislativo luogotenenziale del 15 maggio 1946 con la sola clausola di dover essere sotto- posto all'assemblea costituente, per essere coordinato con la nuova costituzione dello stato ». I1 decreto fu registrato con ri- serva alla corte dei conti i l 9 giugno successivo.

Non si può mettere in dubbio che l'imminenza delle elezioni per l'assemblea costituente e dell'appello a l paese per i l refe- rendum sulla forma dello stato, abbiano anche influito a far approvare tale statuto. Ma queste e altre circostanze politiche

che favorirono i l nascere della speciale autonomia siciliana ne accrescono quel significato, che fu definito: atto di pacificazione.

Non mancarono critiche e allarmi e si insinuò in parecchi l'idea che lo statuto, così approvato, potesse essere rifatto e rim- pastato dalla costituente con atto unilaterale, sopprimendo que- gli istituti e modificando quelle disposizioni su cui i siciliani contavano di più per la loro reale autonomia ed efficiente ri- nascita.

Dall'altro lato si premeva a che fosse data esecuzione allo statuto; e per tanto fu nominata la commissione paritetica pre- vista da117art. 43 dello stesso con il compito di determinare « le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del perso- nale dello stato alla regione, nonché le norme per l'attuazione del presente statuto » ( l ) . Delle norme determinate dalla com- missione, il consiglio dei ministri diede corso a quelle riferentisi al funzionamento degli organi della regione (D. L. 25 marzo 1947 n. 214) e sul commissario dello stato (D. L. 10 maggio 1947 n. 307). Le elezioni furono indette pel 20 aprile 1947 e l'assem- blea regionale si insediò il 25 maggio successivo.

Ma avvenne, purtroppo, un primo intoppo che fin oggi è sta- to superato solo parzialmente. I1 governo non diede corso alle altre norme transitorie formulate dalla commissione paritetica per i l passaggio degli uffici e del personale dallo stato alla re- gione e quelle per l'attuazione dello statuto; solo per non ren- dere vane le nomine del presidente regionale e della giunta e per non impedire i l funzionamento di quei servizi già i n atto durante i tre anni del commissariato, emise un decreto legisla- tivo con il quale furono attribuiti al presidente regionale (=) tutti i poteri de117alto commissario. I1 fatto non rimediò alla situazione amministrativa che si veniva a creare; pertanto una serie di altri decreti dovettero essere emanati, secondo le esi-

( l ) A rappresentare lo stato furono chiamati i l prefetto G. Li Voti e il dott. V. Marcolini ispettore generale del tesoro; a rappresentare la re- gione l'on, avv. G. Guarino Amella e il consigliere di stato V. Uccellatore.

(2) Fu eletto presidente regionale, il 27 maggio 1947, I'avv. Giuseppe Alessi. Dimessosi nel gennaio 1949, dopo il voto del governo centrale circa l'alta corte per la Sicilia fu nominato il prof. Franco Restivo.

genze del caso e senza tener conto delle « determinazioni » della commissione paritetica.

Ho ripetuto più volte la parola « determina 1) clie si trova all'art. 43 dello statuto, perchè la suddetta commissione ritenne, con tre voti contro uno - e risulta dalla relazione premessa alle proprie decisioni - che i suoi fossero poteri delegati si che per la esecuzione dei propri deliberati non occorresse altro clie un decreto del presidente capo provvisorio dello stato. L'ufficio le- gislativo della presidenza del consiglio dei ministri, e forse lo stesso ufficio del capo provvisorio dello stato, ritennero che, non ostante la pariteticità della commissione e non ostante l'uso del- la parola inusitata « determina », ci volesse un atto formale di approvazione. I1 consiglio dei ministri non solo non ha appro- vato tutte le « determinazioni » della commissione paritetica, ma con atti a carattere unilaterale ha modificato quelle cui ha ritenuto dover dare corso, supplendo alla mancata pariteticità con l'eventuale intervento del presidente regionale alle sedute del consiglio dei ministri, giusta il disposto (non sempre osser- vato) del secondo comma dell'articolo 21 dello statuto siciliano.

Oltre i decreti riguardanti la elezione dei deputati regionali e degli organi della regione e del commissario del governo, i provvedimenti adottati con la suddetta procedura in forma di decreti legislativi sono stati quelli per l'alta corte, per la conti- nuazione dei poteri alto commissariali, per disciplinare provvi- soriamente i rapporti finanziari.fra stato e regione, per la isti- tuzione del consiglio regionale di giustizia amministrativa, per l'istituzione d i due sezioni della.corte. dei conti in Palermo, per i l passaggio dei servizi dell'agricoltura e delle foreste.

Tutta l'altra materia riguardante i servizi è stata fatta in ba- se ai poteri alto commissariali, ovvero per intese amichevoli fra ministeri e assessorati, o in via di fatto e senza sontrasto; spesso però i servizi sono rimasti paralizzati da una specie di ostru- zionismo tacito o aperto da parte degli organi centrali.

Così è avvenuto che da una parte l'amministrazione regio- nale, forte del suo diritto statutario: ha emesso provvedimenti come 'se i servizi fossero effettivamente nelle mani della regio- ne, mentre altre volte si è astenuta dal legiferare e dall'interve- nire, per evitare nuovi motivi di attrito. ~'a&ministrazione cen-

?

certe volte si è ricordata che esiste uno statuto che va rispettato ; altre volte è intervenuta in materie non più di com- 1 t petenza statale, con gravi inconvenienti non del tutto superati. \ I l motivo centrale che veniva ripetuto spesso durante i l pri-

mo semestre della gestione regionale autonoma era che lo sta- \ tut: non fosse stato ancora coordinato ai sensi del decreto legi-

slativo del 15 maggio 1946. Sembrava superfluo rispondere che il coordinamento doveva seguire e non precedere-la formulazione della costituzione, mancando altrimenti il testo con il quale lo statuto dovesse essere coordinato. Non bastava far rilevare il fat-

to della esecuzione data allo statuto circa le elezioni e l a costi- tuzione degli organi regionali, nonchè la precisa disposizione dell'art. 42 che fissava a tre mesi data ( a partire dal 15 mag- gio 1946) l'obbligo della convocazione dei comizi; i l legislatore prevedendo ciò non-poteva supporre che in tre mesi, sarebbe stata compilata e approvata la costituzione quando ' la stessa legge per la quale venne convocata l'assemblea costituente, as-

,segnava già otto mesi di tempo e prevedeva la proroga di altri quattro mesi. Purtroppo, erano questi i cavilli con i quali si ostacolò i l funzionamento regolare della regione e se ne ritardò, rendendolo difficile, l'esperimento.

Questo fu anche intralciato dal fatto che, salvo quei pochi funzionari statali che si trovavano sul posto per gli uffici alto- commissariali, il centro non favorì l'invio di funzionari che aves- sero cooperato con i nuovi responsabili della regione, ai quali non si poteva negare buona vo1ont.à e attività, ma dai quali non si poteva pretendere pratica nei pubblici affari. Era naturale che il funzionario statale non ambisse di scendere ,d i gradino per divenire funzionario regionale (perfino i maestri elementari e i segretari comunali inorridiscono al pensiero di non essere più qualificati come statali !); ma funzionari comandati alla perife- ria se ne trovano se sono garantiti nella carriera. Non dico che ci siano state rappresaglie contro i funzionari applicati alla re- gione, ma si può supporre da qualche indizio che non siano stati tenuti nel debito conto.

A rendere più difficile nell'opinione pubblica della capitale la situazione della regione siciliana contribuirono certi atteggia- menti e certi atti, che si sarebbero potuti evitare e certi altri o

ingranditi o svisati. Anzitutto urtò a Roma che si di 1 parlamento siciliano. I1 paragone corse naturale; Palermo h: un gran ricordo dei suoi parlamenti. Come non ricordare il 1812 e i l 1848? Se la Sicilia che fa parte della nazione italiana guar- da al parlamento nazionale come a presidio di libertà, la Sicilla autonomista guarda anche all'assemblea regionale ( i l suo par- lamento) come presidio dei diritti propri inalienabili.

Ai deputati regionali ( è lo statuto che li qualifica deputati) fu dato dell'onorevole; piccola vanità o conseguenza del nome statutario? Governo regionale ( è lo statuto che parla di governo regionale cioè la giunta più il presidente): la frase suonò strana a Roma. Peggio, le indennità ai deputati della regione furono fissate nella stessa misura d i quelle dei membri dell'assemblea costituente. Ci fu chi pretese all'immunità parlamentare, e l'af- fare venne a galla con l'arresto del deputato regionale Cortese di Caltanisetta (legalmente non vi è fondamento a simile privi- legio preteso dall'assemblea regionale). Anche il titolo di Gaz- zetta ufliciale della regione siciliana fece noia ( è così chiama. ta dallo statuto), sì che negli altri statuti speciali si parlò di Bollettino Ufliciale e non di Gazzetta, come si parlò di consiglieri e non di deputati.

La stessa organizzazione della presidente dell'assemblea re.. gionale, con la pubblicazione di resoconti stenografici e con un forte apparato impiegatizio, diedero motivo a critiche non del tutto ingiustificate. Anche in provincia si parlò (ed era naturale) delle esagerazioni di Palermo, per certi provvedimenti affrettati che diedero motivo a lamentele.

È un fatto constatato che tutte le riforme prima della rea- lizzazione prendono colore di avvenimenti desiderati e creano speranze esagerate; dopo la realizzazione destano disillusioni e danno motivo ad aspre critiche. Non fu così della stessa unifica- zione italiana? All'epopea del risorgimento non seguì « 1'Italiet- ta 1) dell'epoca umbertina? E che critiche e maledizioni di let- terati e di poeti, di deputati e di demagoghi, di popolazioni ano- nime che si sentivano abbandonate!

Coloro che ripetono che la regione non piace neppure ai ... regionalisti, non si illudano del preteso fallimento N dell'auto-

'

nomia siciliana e della pretesa « disaffezione » dei siciliani stessi.

Questi ultimi hanno l'abitudine ( e anche un poco la ragione) di criticare, ma se si toccano i loro diritti (reali o immaginari)

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allora gridano: di-qui-non-si-passa! Con questo stato d'animo l furono seguite dai siciliani le fasi del cordinamento dello sta- ! tutq durante gli ultimi tre mesi dell'assemblea costituente. In che dovesse consistere il coordinamento non era ben pre-

cisatb, perché a non pochi lo statuto siciliano sembrava troppo largo\,e come tale da non potersi inquadrare nella legislazione nazionale. Altri tendevano a conciliare l e esigenze isolane con i criteri direttivi della costituzione e limitavano la critica a po- chi punti, che desideravano fossero modificati: finanze, polizia, ordinamento provinciale, alta corte.

La tesi dei siciliani era radicale, anzitutto perché l'effettiva portata di un coordinamento è assai più limitata che non sia quella di modificazione e variazione. I1 coordinamento formale riguarda solo la formulazione degli articoli delle leggi per man- tenere la univocità degli istituti identici e i l fraseggio giuridico adatto, mentre il c~ordinamento sostanziale può essere appli- cato solo a quelle disposizioni statutarie che sarebbero in con- trasto con i principii costituzionali, non mai a quelle che per la natura di statuto speciale sono diverse e più larghe di quel dhe la costituzione avesse normalmente stabilito;

Questo criterio era stato più o meno seguito per gli altri t re statuti speciali i quali, però, essendo stati sottoposti all'assem- blea con le modifiche già concordate, non diedero luogo a grandi controversie e divennero rapidamente leggi costituzionali.

Lo statuto siciliano, invece, era già una legge costituzionale, se non formalmente certo sostanzialmente, in quanto modificatrice della struttura unitaria e uniforme dello stato e in quanto emessa da un organo che assommava in sé tutti. i poteri dello stato, quale c~uello che regolò i l paese dalla caduta del fascismo fino alla elezione della costituente. Lo stesso organo aveva deli- berato di modificare lo statuto del regno ed eventualmente l'istituto monarchico mediante la convocazione di un'assemblea costituente e di un referendum. Si trattava quindi di potere rivo- luzionario e completo che aveva concesso alla Sicilia un7auto- nomia speciale con la sola condizione del coordinamento dello statuto alla costituzione.

I La co,mmissione competente trovandosi di fronte a tesi con- i

trastahti fra la revisione per intiero dello statuto ( e il relatore ne fece una compilazione ex-novo) e il semplice coordinamento,

i ridottasi allo spirare dei poteri dell'assemblea costituente, pro- pose l'approvazione dello statuto coine legge costituzionale con la limitazione che fosse dato al parlamento il potere di moaifi- carlo, se la necessità se ne presentasse, d'intesa con l'assemblea regionale. Durante la discussione, quel d'intesa fu tramutata in

intesa », e fii assegnato i l termine di due anni alla facoltà di modifiche per legge ordinaria.

L'esito non contentò nessuno e non chiuse la partita. Da un lato la regione oppose l'impugnazione per incostituzionalità, dall'altro i 'vari minisieri, meno quello dell'agricoltura, non diedero corso al passaggio dei servizi.

18. - I1 5 luglio 1948 fu discusso in udienza pubblica dall'al- ta corte i l ricorso della regione contro la decisione dell'assem- blea costituente del 31 gennaio 1948 approvata nei termini se- guenti: « Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla costituzione, l e modifiche ritenute necessarie dallo stato

ore e dalla regione saranno non oltre due anni dalla entrata in \ ' g della presente legge approvate dal parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l'assemblea regionale della Sicilia 1).

La tesi della regione era che la clausola della procedura ordinaria per le modifiche allo statuto ritenute necessarie dallo stato e dalla regione, durante i primi due anni, fosse incosti- tuzionale, in quanto poteva rendere nulla la natura di legge costituzionale dello statuto e in quanto sotto il pretesto della necessità ( d i dubbio carattere giuridico) potevano essere an- nullati con colpi di maggioranza i diritti acquisiti della regione siciliana.

I1 rilievo più importante da farsi, a proposito di questo sin- golare giudizio, riguarda la competenza che l'alta corte ha affermato appartenerle, di valutare i l carattere della delibera- zione dell'assemblea costituente per poterne giudicare la costi- tuzionalità o meno. Ignoro se negli atti giudiziari degli altri paesi si trovino precedenti che possano somigliare a questo. Certo è interessante, dal punto di vista giuridico, il fatto che

npll3esercizio del suo potere l'alta corte abbia avuto occasioni. di, dover affrontare una questione di competenza così delicata e

' , d i averla risolta affermativamente.

\C irca l a competenza dell'alta corte ebbe a pronunziarsi favo-

revllmente lo stesso procuratore generale, dott. Eula (magistra- to di alto valore e di prudente discrezione); ; forse lo stesso avv.

1 Latour vi si oppose più per dovere di difesa che per stretta convinzione giuridica.

Più importante fu la decisione del merito della causa, in quanto l'alta corte trovò validi i motivi di incostituzionalità e l i applicò al caso, annullando i l valore limitativo del comma i n cliscussione circa la procedura di revisione, restaurando anche p e r i primi due anni la procedura costituzionale per qualsiasi modifica allo statuto siciliano.

Nel fatto, la costituente si trovava stretta dai termini che spiravano: o doveva confessare di non avere proceduto al coordi- namento dello statuto siciliano ovvero doveva inserirlo .nella costituzione come già coordinato ; trovò l'uscita di una revisione ordinaria entro due anni, per dare così al parlamento l'autorità d i fare il coordinamento senza però chiamarlo tale. Le modifiche allo statuto sarebbero derivate da una necessità sopravvenuta riconosciuta dal governo statale o da quello regionale che ne avrebbero fatta proposta. & .

I1 procuratore generale Eula, appoggiando la difesa dello stato, volle interpretare questa facoltà nei limiti d i modifiche non essenziali, cioè adattamento, aggiornamento, perfeziona- mento al fine di adeguare lo statuto alle esigenze della regione e dello stato. Questa non fu l'opinione dell'alta corte, nè poteva esserla, non derivando dal testo, nè da elementi che i l testo potesse fornire, una limitazione che non fosse quella di una eventuale necessità non altrimenti definita dal testo del deli- berato della costituente: « Le modifiche ritenute necessarie dallo stato e dalla regione n.

La procedura'delle modifiche eventuali degli altri tre statuti speciali è prevista negli stessi statuti. Lo statuto sardo, all'arti- colo 54 stabilisce: L'iniziativa di modificazione del presente statuto può essere esercitata dal consiglio regionale o da almeno ventimila elettori.

/ u I progetti di modificazione del presente statuto di iniziativa

governativa o parlamentare sono comunicati dal governo della repubblica al consiglio regionale, che esprime il suo parere entro un mese.

« Qualora un progetto di modifica sia stato approvato in prima deliberazione da una delle camere ed il parere del con- siglio regionale sia contrario, il presidente della giunta regionale può indire un referendum consultivo prima del compi- mento del termine previsto dalla costituzione per la seconda deliberazione.

« Le disposizioni del titolo I11 del presente statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della repubblica su pro- posta del governo o della regione, in ogni caso sentita la regione.

« Le disposizioni concernenti le materie indicate nell'arti- colo 123 della costituzione della repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo N. Dal suddetto articolo deriva che alla procedura costituzionale per lo statuto sardo, fatta eccezione del titolo 111: finanze, dema- nio e patrimonio e le disposizioni circa le norme per l'organiz- zazione interna della regione modificabile con procedura ordi- naria sentita la regione stessa, è stato aggiunto un referendum rehonale preventivo e consultivo che la costituzione non prevede.

Lo statuto valdostano all'art. 50 fissa la procedura costitu- zionale per tutto lo statuto ad eccezione degli articoli concernenti la organizzazione interna della regione. Per la parte finanziaria si procederà d'accordo con lo stato e la regione, i l che rende p iù . efficace l'intervento della regione valdostana, che non sia quello, della procedura costituzionale. .: Lo statuto del Trentino-Alto Adige, agli articoli 88 e 89, ripete 10,stesso di quel che è stabilito per la Valle d'Aosta. Per la materia finanziaria della regione e delle provincie, le modi- fiche, sia pur fatte con procedura ordinaria, debbono essere pre- cedute da « concorde richiesta del governo (centrale) e della regione » ; l a . stessa concorde richiesta occorrè per la materia degli art. 24 e 43 relativa al cambiamento biennale del presidente regionale e del presidente del consiglio ~rovinciale di Bolzapo.

Come si vede, la pretesa dell'emendamento Persico-Dominedò, che ebbe il voto della maggioranza dell'assexnblea costituente,

\I di, introdurre con procedura ordinaria nello statuto siciliano del- !

1eAmodifiche « udita l'assemblea regionale » ( e si battagliò fra d'?tesa e udita) era un'eccezione ( i tre statuti speciali erano @\stati approvati) che tradiva lo stato d'animo di diffidenza e i

di contrasto verso la regione siciliana. Non si può far torto alle nascenti regioni di esigere tante

garanzie per i loro statuti, diffidando degli umori delle'maggio- ranze parlamentari e delle disposizioni poco favorevoli della burocrazia dello stato.

Di questa diffidenza si sono avuti i segni nelle varie con- troversie portate dalle due parti avanti l'alta corte. Questa, nelle sue altre otto sentenze, ha avuto occasione di precisare certi punti che potevano essere poco chiari e nello statuto e negli adattamenti alla legislazione precedente.

Una delle leggi siciliane più biasimata dagli organi centrali è stata quella che rimette in vigore a determinati fini e per nuove società industriali l'istituto delle azioni al portatore. L'alta corte rigettò il ricorso dello stato perché la materia « industria e commercio » in forza dellyart. 14 dello statuto è di compe- tenza esclusiva della regione siciliana, e perché la clausola ivi contenuta « salva la disciplina dei rapporti privati 1) non poteva riguardare la questione dato che il codice civile prevede che le azioni delle società possono essere al portatore, pur avendone sospeso l'uso. per disposizione transitoria. La sentenza fece scandalo perché ( a parte la questione giuridica della compe- tenza esclusiva della' regione che non entra nelle abitudini mentali di certa gente) vi si vide un contrasto di interessi non tanto fra stato e regione, quanto fra economie favorite ed econo- mie trascurate, contrasto che si può rilevare in molte leggi dello stato. All'obiezione che i titoli al portatore emessi in Sici- lia potrebbero circolare nel resto del territorio nazionale, fu risposto che anche i titoli stranieri al portatore circolano in Italia senza seri inconvenienti. Fin oggi la pratica esecuzione della legge non ha dato motivi a gravi rilievi; ma il ministero delle finanze, nonostante la sentenza, mantiene la sua opposizione.

Un terzo ricorso riguardò i poteri della regione in materia finanziaria; perché l'assemblea regionale nel recepire il de- creto legislativo del 25 novembre 1947 n. 1283 circa l'esenzione

dell'l per cento in aggiunta alle aliquote vigenti in materia l i imposte generali sull'entrata: deliberò l'esenzione per gli eser- centi professioni arti e mestieri che corrispondono l'imposta in abbonamento e i redditi dei quali ai fini dell'imposta di ric- chezza mobile siano accertati e accertabili in categoria C. L'alta corte ritenne che le leggi finanziarie dello stato hanno effetto in tutto' i l territ,orio senza bisogno di leggi regionali d i rece- zione, ma che l'assemblea siciliana ha il diritto di modificarle adattandole alle esigenze locali. Con questa decisione è stata data una prima interpretazione della portata dell'articolo 36 dello statuto che riguarda i poteri finanziari della Sicilia e ne caratterizza l'autonomia.

I n connessione a questa sentenza-va l'altfa circa il D. C. 15 dicembre 1947 n. 1419 sul credi& alle medie e Piccole imprese industriali. La regione ricorse contro gli articoli 11 e 14 ultimo

- comma. Nel primo era omessa la statuizione che le modifiche ( e nel caso presente l'approvazione) dello statuto della relativa sezione speciale del Banco di Sicilia spettassero alla competente autorità regionale e non mai a l tesoro. L'alta corte ritenne che con tale omissione il legislatore non avesse inteso violare la competenza speciale della regione in quanto doveva ritenersi implicita nel congegno della legge. Con il ricorso contro l'art. 14 la regione si opponeva alla facoltà esercitata dallo stato a conce- dere esenzioni fiscali nell'àmbito della Sicilia. L'alta corte ritenne che lo stato ha una tale facoltà in quanto la legge è valida anche per la Sicilia. La regione dal canto-suo potrà, modifican- dola, adattarla alle esigenze locali.

Altro ricorso fu presentato dalla regione contro il decreto legislativo del 5 maggio 1948 n. 631 che carica sul bilancio sici- liano la maggiore spesa dei servizi sanitari nella Sicilia, violan- do il decreto 12 aprile 1948 n. 507 concernente la disciplina prov- visoria dei rapporti finanziari tra lo stato e la regione siciliana. L'alta corte respinse i l ricorso perché il ministero del tesoro dichiarò, prima della decisione, che la norma impegnata resterà inoperante qualora i servizi sanitari non saranno trasferiti alla regione ». Infatti si tratta di quei servizi che la regione, per l'articolo 17 dello statuto: ha la facoltà ma non il dovere di avo- care a sé e che nel fatto non ha fin oggi avocati. Inoltre nel sud-

L

detto .accordo provvisorio,-è prevista « un'operazione di conguaglio 1 i

finale dopo il passaggio dei servizi e del personale alla regione \ i

stessa D. #'Altri due recenti ricorsi avanzati dal commissario del governo

per pretesa incostituzionalità di due leggi regionali, hanno dato occasione all'alta corte di ribadire i criteri già adottati dell'in- terpretazione dell'articolo 36 dello statuto, ammettendo nel caso di esenzioni fiscali sia a favore delle nuove costruzioni in genere sia per l'ente regionale delle case operaie, il diritto dell'assem- blea regionale a decidere, e annullando alcune disposizioni non conformi ai limiti già fissati nella precedente sentenza.

Infine, due ricorsi riguardavano problemi dell'istruzione. 11 primo, la istituzione di due facoltà, una di agraria all'univer- sità di Catania, l'altra di economia e commercio all'università di Messina. L'alta corte, in base all'art. 17 dello statuto, ammise la competenza della regione a istituirle a carattere regionale e a carico degli enti che ne sono stati promotori e finanziatori. I1 secondo, la istituzione di un consiglio regionale dell'istruzione che l'alta corte dichiarò incostituzionale perché la legge regio- nale attribuiva al nuovo consiglio l e funzioni che in virtù delle vigenti reggi sono esercitate dai corpi consultivi del ministero della istruzione. La disposizione fu ritenuta lesiva delle posi- zioni del personale statale della istruzione circa la nomina, la carriera e la quiescenza.

Accennando rapidamente al lavoro dell'alta corte, vale la pena notare l'utilità che può derivare dalla formazione di una giurisprudenza di diritto regionalistico, nel guidare i primi rapporti fra stato e regione e nel far comprendere agli ammini- stratori e ai burocrati i limiti derivanti dalla retta interpreta- zione della costituzione, degli statuti regionali e delle leggi che vi si riferiscono.

19 - Una delle questioni la cui soluzione è stata fin oggi evitata, ma che dovrà essere al più presto affrontata, è quella derivante dall'interpretazione dell'art. 43 dello statuto siciliano. L'alta corte non ha avuto occasione di occuparsene, e non credo che se ne presenti l a necessità.

Fino alla data di funzionamento dell'attuale parlamento, il consiglio dei ministri aveva normali poteri legislativi, e ne usò

più volte, come abbiamo visto, per l'attuazione dello Statuto sici- I

liano e la formazione di organi giurisdizionali. Secondo il nostro avviso, per alcuni d i quei provvedimenti non occorrevano decreti legislativi essendo sufficienti i provvedimenti di competenza dei ministri o del consiglio dei ministri, specie per i l passaggio degli uffici (l). Lo stesso si può dire per tutta la materia normativa circa il passaggio dei servizi dello stato alla regione. Lo spirito e l a lettera dell'art. 43 dello statuto sono assai chiari e tende- vano alla rapida attuazione di tale passaggio, che si prevedeva dovesse avvenire anche prima delle elezioni generali per le due camere.

Infatti, fin dal marzo 1947 i lavori della commissione pari- tetica erano stati compiuti, e nello stesso mese, in base a taii lavori, fu convocato i l corpo elettorale della Sicilia per eleggere

- i consiglie~i dell'assemblea regionale. Sarebbe incongruo e anti- tetico supporre l'esistenza degli organi della regione senza alcun funzionamento: paralizzati per quasi due anni dall'attesa d i fu- ture leggi che dovevano essere discusse dal parlamento. Pur- troppo, parte del lavoro della suddetta commissione è rimasto negli archivi, e il consiglio dei ministri non è stato neppure chiamato a deliberare in merito.

Oggi si muovono varie questioni procedurali e di merito, che vale la pena esaminare.

La prima, se e fino a quale punto il consiglio dei ministri sia obbligato a tener conto dei lavori della commissione pari- tetica. E nel caso che, in parte o in tutto, non ne accetti le deci- sioni ( o determinazioni), se debba rimandare i'affare alla stessa commissione per . u n riesame o prendere. diretti accordi con i l governo regionale, ovvero possa decidere unilateralmente d'autorità.

Qualsiasi delle tre vie venga presa, rimane da risolvere se le

(l) All'art. 37 del disegno di legge 211 (costituzione e funzionamento degli organi regionali) l: previsto che « il passaggio dallo stato alla regione di uffici che attendono a compiti riflettenti le materie di cui all'art. 117 della costituzione sarà disposto con decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro competente, udito il consiglio regionale ». La disposizione è opportuna a distinguere la materia legislativa da quella esecutiva (N.d.A.).

i \ decisioni del consiglio dei ministri debbano rivestire il carattere

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dk!decreti legislativi (come è stato fatto dal marzo 1947 al mag- .gi\\l948), ovvero possano avere il carattere di decreti presiden- ziali, come è previsto all'art. 31 del disegno di legge n. 211 già

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citato in nota. C,'è chi opina che si debba applicare al caso della regione

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siciliana non più l'art. 43 dello statuto, sì bene la VI11 delle dispo- sizioni transitorie della costituzione, dove è disposto che leggi della repubblica regolano per ogni ramo della pubblica ammini- strazione il passaggio delle funzioni statali attribuite allc regioni N. Si è obiettato che tale disposizione non si applica alle regioni a statuto speciale, nel quale è previsto i l modo di 'pas- saggio di tali funzioni. Nello statuto sardo (art . 56) è stabilito che una commissione paritetica di quattro membri, nominati dal governo della repubblica e dall'alto commissario per la Sardegna, sentita l a consulta regionale proporrà le norme rela- tive al passaggio degli uffici e del personale dello stato alla re- gione, nonché le norme di attuazione del presente statuto. Tali norme saranno sottoposte al parere della consulta o del consiglio regionale e saranno emanate con decreto legislativo 1). Nello sta- t

tuto vuldostano nulla di specifico è detto, perché la gran parte dei servizi sono gi.à in mano alla regione (l). L'art. 95 dello statuto del Trentino-Alto Adige è più stringato e prevede un solo decreto legislativo con il quale saranno emanate le norme di attuazione della presente legge n. Norme di attuazione, non passaggio di funzioni; tali norme sono state emanate col decreto 1 dicembre 1948 n. 1414. Si fa riserva all'art. 29 di emanare altre norme con la stessa procedura indicata all'art. 95 dello statuto.

I n sostanza, per gli statuti speciali è i l consiglio dei ministri che provvede con decreto legislativo alle norme di attuazione, salvo per la Sardegna per cui tale decreto ( o più decreti) è pre- ceduto dal lavoro della commissione paritetica.

Nel caso della Sicilia non si può affatto applicare la dispo-

(1) Col disegno di legge n. 244 vengono precisate le attribuzioni della giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta; camera e senato l'hanno già approvato.

sizione VI11 della costituzione, essendo tuttora in vigore l'art. I

43. Se vi sono controversie, occorre adire di nuovo la commis- sione paritetica ; se invece si raggiunge l'accordo fra governo centrale e governo regionale, si potrà evitare (credo io) i l ritofno alla commissione paritetica. Nei due casi i l provvedimento deve essere adottato per decreto legislativo, come è previsto negli statuti succitati, solo per le materie di attuazione dello statuto che innovano le istituzioni vigenti (come è stato fatto in parte per le sezioni giurisdizionali previste dall'art. 23 dello statuto siciliano); mentre per il passaggio dei servizi e uffici, riguardante le materie indicate agli articoli 14, 15, 17 e 36 dello statuto, basterà un decreto presidenziale su proposta del ministro compe- tente, e nei termini precedentemente concordati fra stato e regione.

20. - Quale sia stato l'orientamento e lo sviluppo ammini- strativo della regione siciliana nei primi diciotto mesi di esistenza non è facile rilevare. La regione non è stata sostenuta da un'opi- nione pubblica coerente e fiduciosa. L'esito delle elezioni non fu propizio, sia per il razionamento dei partiti sì che nessuno ebbe la maggioranza dei seggi; sia per l'equivoco creato dal fatto che al partito più numeroso, il blocco del popolo, non f u data l'adesione di altri partiti per la formazione della maggio- ranza; fu invece data al partilo democristiano, il secondo di numero, in modo da lasciare allo stesso la responsabilità di mino- ranza che amministra con l'appoggio di una maggioranza fra- zionata. Alla prima crisi la giunta fu rifatta con l'introduzione di elementi d i altri partiti.

A parte le deficienze di u n organismo che nasce ex novo, senza attrezzatura amministrativa, senza burocrazia propria, sen- za tradizioni politiche - tranne i l sentimento della dell'isola mai voluta riconoscere in ottantasei anni di unitarismo uniforme e centralizzato - i primi inizi dànno elementi sicuri d i uno sviluppo efficiente.

Ciò non ostante, non c'è persona in Sicilia che non si lagni della regione; e non potrebbe essere diversamente. Mancava fin oggi uno schermo immediato, che fosse il primo bersaglio del malcontento sì che tutte le lamentele erano contro

Rorna ; ora c'è, è la regione, è Palermo ! tutti gli strali si appun- tano su Palermo. I partiti sono i primi; il blocco del popolo non manca di accusare la maggioranza, i democristiani, il pre- sidente e la giunta, perché naturalmente non si è adottato il suo programma nè si sono seguiti i suoi moniti. Continuano le cri- tiche dei ceti interessati, che prima avevano a Roma i loro canali, oggi debbono formare i nuovi canali a Palermo ; e ~ o i c h é molti affari non sono decisi a Palermo ma a Roma, e non si sa ancora l a esatta competenza della regione e dello stato, pe r colpa del ritardato passaggio dei servizi, così molti si sentono disorientati e annoiati incontrando nuove reqore a l sollecito disbrigo degli affari. Si sa, del resto, che le scarpe nuove danno assai più noia delle scarpe vecchie.

Ciascuno poi crede che la sua questione, la sua richiesta, la sua proposta dovrebbe avere corso immediatamente e secondo il proprio desiderio; sì che molti regionalisti convinti, si trovano nello stato d'animo di coloro che vedono cadute tutte le speranze di non si sa che brillante avvenire. ,

Vari siculo-americani, che hanno la convinzione che tutto possa farsi rapidamente, venendo a visitarmi dopo un giro in Si- cilia, si sono lagnati con me che in certi comuni manchi l'acque- dotto, in altri non ci sia la luce elettrica, in alcuni non ci siano alberghi clecenti, conclusione; ma che fa la regione? Questa domanda semplicista è ripetuta da quanti vogliono vedere in u n giorno risolti i problemi annosi della Sicilia.

Leggendo la Gazzetta Ufficiale della regione, i l resoconto del primo anno e i due bilanci preventivi, si può avere un'idea ap- prossimativa dell'andamento degli affari. Un punto è interessante sopra gli altri, che si sia proceduto a quel coordinamento regio- nale dei servizi e a l rilievo dei bisogni dell'isola che serviranno ad avviare piani e soluzioni integrali.

Ciò si sta facendo principalmente nei settori dove è stata -$ossibile l'intesa fra Roma e Palermo. Accenno al ramo « agri- coltura e foreste ». Da principio l'attività assessorale fu assorbita dall'applicazione del decreto Segni sulle terre incolte e dall'attua- zione di leggi regionali sulle ripartizioni dei prodotti e simili. Naturalmente le questioni erano scabrose e intanto si seguì, più o meno, la politica del centro e la prassi dell'alto commis-

sariato. Si comprese subito che questa politica di contingenza non risolveva i problemi e acuiva le situazioni, mentre era neces- sario dare maggiore spinta alla bonifica, attivare i consorzi, eseguire l e opere in corso. Vennero. in buon punto i finanzia- menti del centro sia con la legge del 5 marzo 1948, sia con gli aiuti AUSA, sia infine con il piano ERP in corso di approvazione.

L'esistenza della regione ha dato alla Sicilia tre vantaggi in questo campo: quello di una progettazione che abbraccia e coor- dina tutti gli interessi dell'isola; quello della cooperazione degl'interessati e la possibilità di progettazioni serie e concrete; quello di un organo rappresentativo presso l'amministrazione statale. A questa è stato richiesto il necessario finanziamento per la sistemazione montano-forestale, per la quale si sono iniziati studi e progettazioni.

I1 problema principale sul quale verte la cura della regione è quello della bonifica integrale della piana di Catania, che è legato alla formazione dei serbatoi e degli impianti idro-elettrici e della sistemazione montana del Salso-Simeto. Tutto un com- plesso di grande importanza a l quale è gi.à impegnato l'ente siciliano di elettricità.

Lo stesso risultato si è avuto nel campo dei lavori pubblici. I1 decentramento del servizio dei lavori pubblici per regioni rimonta a prima della istituzione dell'alto commissariato sici- liano. Mancava, però, come è stato fin oggi per tutti gli altri provveditorati esistenti, un centro elettivo e responsabile, da poter dare sistema e organicità alle varie proposte d i lavori pubblici d i interesse regionale. Per i l fatto poi dei danni di guerra, della disoccupazione stagionale e della mancanza d i pro. gettazione preventiva, essendo ogni regolare progettazione subor- dinata all'assegnazione legale dei fondi, i provveditorati erano sollecitati caso per caso, e obbligati alle improvvisazioni di lavori occasionali, quando non ricorrevano alle regie di malfa- mata memoria.

Poco a poco l'assessorato regionale della Sicilia ha potuto coordinare i lavori in corso, dare preferenza a quelli d i maggiore rilievo, distribuire l e spese tenendo conto dei bisogni delle sin- gole provincie ; e dopo una serie di riunioni d i sindaci e ammini- strazioni provinciali, fare piani regolari per tutto il campo

complesso di opere di interesse regionale e locale. Nel far ciò è stato favorito dalle assegnazioni statali del dicembre 1947, del marzo 1948 e recentemente dalla legge dei venti miliardi del piano ERP.

Pur mancando fin oggi i l passaggio regolare alla regione dei servizi dei LL. PP. e pur non avendo la regione propri uffici tecnici, si è stabilita fra assessorato e provveditorato buona intesa e collaborazione fiduciosa; sono stati anche utilizzati caso per caso gli uffici tecnici provinciali e comunali, sì da poter ottenere il più rapido e il migliore risultato possibile in un periodo di precarietà funzionale.

Nel campo dei trasporti si è avuto un reale successo per l'approvazione, in sede tecnico-consultiva, del piano regolatore delle ferrovie siciliane per i l completamento della rete. Ciò è avvenuto dopo più d i sei mesi di lavori sul posto di una sottocom- missione nominata su richiesta della regione e presieduta dal rappresentante regionale ( l ) , e poi approvata dalla commis- sione per lo studio del piano regolatore delle ferrovie, in data 9 aprile 1948, in seguito adottata dai ministeri dei lavori pub- blici e dei trasporti, che già avevano fissato le relative compe- tenze circa i nuovi lavori e la precedenza da darvi.

Allo stesso tempo veniva concordato con il ministero dei trasporti l'impianto di due centrali termo-elettriche, una a Pa- lermo in società fra le ferrovie, l'ente siciliano di elettricità e la società generale elettrica siciliana, l'altra a Messina di' pro- prietà e gestione delle ferrovie, per la elettrificazione delle linee Messina-Palermo e Messina-Siracusa.

La cooperazione regionale con lo stato ai vari problemi dei trasporti è stata abbastanza regolare, mentre l'assessorato .ai trasporti ha per suo conto preso iniziative e sviluppato attività =tili al miglioramento dei servizi locali.

Questo assessorato tiene anche la marina che purtroppo nor. rappresenta fin oggi un ramo così importante come dovrebbe essere per un'isola della lunghezza di coste e della posizione mediterranea quale la Sicilia. Ma questo è un motivo per affron- tare in un prossimo avvenire il problema nella sua complessità

( l ) L'avv. Gesualdo La Rosa fu Giacomo.

con soluzioni a lunga portata. Le questioni del cantiere d i Pa- lermo sono state continue e pressanti e l'opera regionale è stata apprezzata.

L'igiene e sanit.à non è ancora passata alla competenza re- gionale, ma la unificazione regionale dei servizi medico-provin- ciali fu fatta in Sicilia dagli alleati e. tuttora è in vigore e ha dato buoni risultati.

Con l'intervento degli aiuti AUSA, integrati dalla regione, si è provveduto a dei miglioramenti in vari ospedali dell'isola; ma molto di più si attende con il piano ERP. La visita dell'alto commissario Cotellessa è stata utile per il rilievo delle condizioni arretrate dell'isola in materia di assistenza sanitaria e in materia di risanamento igienico.

Superfluo accennare a tutti i servizi di carattere ordinario, a i quali nelle altre provincie provvedono medici provinciali e prefetti; in tali casi i l vantaggio di un cen,tro regionale è sostan- zialmente funzionale e limitato ai mez2i.e all'attrezzatura della quale si dispone. Sono gi.à in preparazione progetti d i sanatori e preventori antitubercolari, colonie antitracomatose, e altri istituti particolari d i interesse igienico ( l ) .

L'istruzione ha avuto un buon impulso con la istituzione di 600 scuole sussidiarie, 1130 scuole popolari, 1330 nuove classi. Inoltre la regione approvò una legge nel luglio 1948 per la ridu- zione del numero massimo~ di alunni delle scuole elementari; in base a tale legge occorrerà provvedere ad altre 863 nuove classi nel prossimo esercizio.

Sono state riconosciute legalmente 79 scuole medie già auto- rizzate ed è stata consentita l'apertura di 85 nuove. Sono state istituite le facoltà di agraria all'università di Catania e quella di economia e commercio all'università di Messina.

Oltre la maggiore regolarità e speditezza deì servizi locali, c'è da mettere i n conto una serie di provvedimenti e aiuti per

(l) E in corso di esame un progetto dell'assessore dott. Petrotta per dotare i piccoli comuni e i villaggi siciliani di ambulatori, posti di pronto soccorso. A questo scopo l'assessore si è messo in contatto con il ministro del lavoro e della previdenza sociale e con l'alto coiniiiissario per l'igiene e sanità (hl.d.A.).

gli asili infantili, per l'igiene degli alunni (essendo stata clecisa l'obbligatorietà della visita oftalmica) e per i patronati scolastici. - C'è molto da fare in Dopo un periodo di diffi- denze si va trovando presso il ministero della P. I. della com- prensione ; si sono già fissati utili accordi e si spera che presto si effettuerà i l passaggio completo dei servizi scolastici alla re- gione. Se la Sicilia saprà in questo ramo corrispondere alle esi- genze dell'istruzione pubblica, si dovrà ritenere vi,nta una prima battaglia per la libertà della scuola.

L'organizzazione turistica si va avvantaggiando di un pro- gramma importante già elaborato e presentato al commissario del turismo i n Roma. Si sono allacciati rapporti con centri esteri. Si spera di realizzare un centro turistico mondiale intorno all'E tna.

Industria e commercio : problemi seri. Perché l'amministra- zione centrale si sia mostrata diffidente e solo da p o c o abbia studiato i termini di passaggio dei servizi alla regione, rendendo difficile l'attività dell'assessorato, non si può spiegare. L'attivit.à normale dell'assessorato è stata quella di seguire le varie que- stioni e venire a Roma a sostenerle sia presso il commercio estero, sia presso l'industria e commercio. Largo è stato il ser- vizio cli permessi o decreti locali in materia di apertura o chiu- sura cli esercizi; la mia opinione in materia è per l'abolizione d i ogni intervento di autorità, tranne che per l'osservanza delle leggi di sicurezza e di igiene pubblica.

I1 campo più importante di attività assessoriale è stato quello minerario (zolfi), quello agrumario (camera agrumaria e deri- vati d i agrumi), quella del piano ERP per favorire nuovi impianti. I1 più discusso provvedimento è stato quello che con- sente i titoli a l portatore per le nuove aziende industriali. Sono in corso varie iniziative per favorire l'industrializzazionk del- l'isola, per quanto ancora in concreto non si siano fatti passi notevoli. Ma l'orientamento è stato preso e si svilupperà in u n prossimo avvenire. Di primaria importanza sarà la raffineria di petroli che si sta per impiantare ad Augusta.

L'assessorato del lavoro, per i l mancato passaggio dei ser- vizi, è tuttora u n ufficio di coordinamento e di smistamento, p iù che un centro di attività rispondente al17importanza che

merita. Le occasioni di vertenze han dato molto da fare all'asses- sore del ramo come pure l e questioni sorte per l'applicazione del D. L. sull'imponibile della mano d'opera nonché i ricorsi (circa mille) sui contributi unificati della previdenza. L'utilità dell'ufficio di statistica del lavoro è evidente ed è stato un bene istituirlo e attrezzarlo.

La sorveglianza della regione sui comuni e sugli enti morali è gi.à in funzione e procede con serietà e prudenza. Con l'istitu- zione del consiglio regionale di giustizia amministrativa e con le sezioni della corte dei conti il decentramento funziona rego- larmente. I1 suddetto consiglio iniziò il funzionamento i l 27 luglio e dentro l'anno 1948 la sezione consultiva ebbe 63 richie- ste di parere delle quali ebbero corso 58. Fra queste, 11 riguar- darono proposte d i scioglimento di consigli comunali. La se- zione giurisdizionale ebbe trasmessi dal consiglio di stato per competenza 163 ricorsi e altri 61 furono depositati dentro dicem- bre. Di questi furono date 43 decisioni definitive, 7 interlocutorie e 14 ordinanze su domanda di sospensione.

L'assessorato più importante e denso di lavoro è quello delle finanze. Gli accordi provvisori con i ministeri della finanza e del tesoro non hanno evitato controversie e ritardi. Ciò non ostante i servizi sono stati bene organizzati e i controlli tutti funzionanti.

A leggere i l bilancio 1948-49 vien fatto di osservare che la regione non potrà svilupparsi bene con un'entrata che arriva a circa 17 miliardi con i quali si coprono appena i servizi statali che son passati o in corso di passaggio alla regione.

P e r u n avvenire di riorganizzazione e di risorgimento sici- liano, ancora si dovrà preparare u n piano decennale organico e coraggioso.

Forse i l lettore poco esperto di amministrazione o molto tiepido di regionalismo dirà che quel che ha fatto la regione siciliana in u n anno e mezzo poteva essere fatto, e sarà stato fatto nelle altre regioni, da prefetti, provveditori per l e 00. PP., provveditori scolastici, medici provinciali e così via; sarebbe bastato un migliore o più vigile coordinamento a l centro. Chi pensa così mostra di non avere un'esatta idea di quel che sia la vita amministrativa locale, preferendo l'ordinamento burocra-

tico centralizzato a quello elettivo. Per giunta, non si rende conto del vantaggio della formazione di una classe dirigente che abbia esperienza amministrativa, nè dà la dovuta impor- tanza al coordinamento regionale dei servizi e al controllo regionale su quel che i ministeri vanno elaborando e attuando circa i problemi di carattere locale. La Sicilia va facendo la sua più importante esperienza.

L'UNITA' DELLA NAZIONE

21. - Questo mio scritto esce in un momento di perles- sità, dubbi, contrasti: avversioni, e forse alla vigilia di una forte battaglia parlamentare, dato che liberali, socialisti, indi- pendenti e frazioni di altri partiti si schierano contro la regione.

Se si dice che la regione rinsalda l'unità nazionale, costoro sogghignano o satireggiano, tanto sono convinti c.he l'Italia andrà in pezzi.

I francesi, dopo avere nel 1918 ricuperato l'Alsazia e la Lorena, che dal 1870 in poi erano state unite alla Prussia e facevano parte dell'impero germanico, volevano di colpo intro- durvi la legislazione e i l tipo dell'amministrazione dello stato centralizzata e uniforme. Alsaziani e lorenesi resistettero' minac- ciarono di rivoltarsi ogni volta che atti amministrativi o legi- slativi toccavano i Ioro ordinamenti, superarono parecchie crisi e non cedettero. Ma la Francia ebbe quelle popolazioni fedeli anche durante la seconda guerra e la conseguente occupazione e annessione, e più fedeli che i. ;ichyioti di Parigi e di Lione; quando cessò l'occupazione, furono felici e unanimi a ritornare alla Francia dopo i l secondo distacco.

Non sono le leggi proprie e i propri statuti che creano i distacchi dolorosi, come quello dell'Irlanda, sì bene i maltrat- tamenti che iii nome dello stato vengono inferti alle popolazioni, che per storia, per tradizione, per eventi eccezionali, credono di rivendicare una loro personalità e di volere rispettati i propri privilegi.

Se ai tempi di Gladstone si fosse approvato 1'Home Rule promesso all'Irlanda, non si sarebbero avute le rivolte succes- sive, nè la guerra civile durata cinque anni dal 1916 a l 1.921.

Se il fascismo non avesse usato i metodi drastici sulle popo- lazioni slovene del171stria, le pretese della Jugoslavia non avreb- bero avuto base presso gli alleati.

Se il fascismo non avesse urtato le tradizioni valdostane e ferita quella popolazione nell'attaccamento alla lingua propria, non si sarebbero avuti i momenti difficili della guerra e del dopoguerra, che alimentarono le pretese francesi sull'italianis- sima Valle d'Aosta. Non giustifico il separatismo siciliano: l o spiego. E spicgo i risentimenti non solo della Sicilia, ma della Sardegna e del mezzogiorno continentale, risentimenti che in ogni regione prendono propria fisionomia.

Per esserci un pericolo per l'unità della nazione, ci dovrebbe essere o un'attrazione verso altri centri politici diversi, ovvero il senso della propria sufficienza, sulla quale poggiare i l distacco e l'indipendenza. Nessuna delle regioni italibne sente attrazione verso i paesi di confine. È ridicolo, a non dire altro, supporre che il Piemonte e la Liguria aspirino a unirsi alla Francia, che il Trentino voglia ridivenire austriaco, che la Lombardia voglia unirsi alla Svizzera, suddividendosi in una decina di cantoni.

La Sicilia e l a Magna Grecia unirsi alla Grecia o all'Albania? La Sardegna alla Catalogna?

Gli antiregionalisti non sono così cretini da supporre che ci sia un lembo solo d'Italia che voglia perdere la indipendenza nazionale; essi si preoccupano di ben altro, che ogni regione pretenda di reggersi da sé e quindi attenui i l senso dell'unità nazionale. Questa preoccupazione è semplicemente infondata, sia dal punto di vista del sentimento nazionale che è vivo in tutti senza eccezione ; sia dal punto di vista degli interessi e della rete di interessi che legano le parti al tutto; sia dal punto di vista della stnittura dello stato, che mantenendo, attraverso i propri organi di legislazione generale, giustizia, difesa, polizia, finanza, dogane, politica estera, ha quanto occorre per dare indi- rizzo nazionale ed unitario al paese. Che se ciò è fatto, e ben fatto, in paesi confederati, cosa dire del nostro che mantiene la sovranità solo a l centro?

Il sociologo sa bene che l'unità di qualsiasi nucleo sociale parte da, e si perfeziona nella coscienza che i consociati hanno di tale unità, in quanto.& coscienza di vivere l'uno per l'altro.

Marito e moglie divisi di luogo e senza comunicazione fra di loro, per motivi di guerra, di prigionia, o altro motivo estrin- seco alla loro volontà, formano e sono una società vivente per la coscienza che hanno di essere uniti e uni. Ma se, al contrario, la loro vita materialmente unita è separata nelle loro coscienze per legami extraconiugali, la loro unità societaria è rotta pur essendo ancora efficiente di fronte alla legge e di fronte alla chiesa. Così è per una nazione. Le rotture che portano alle guer- re civili e al tentativo di secessione, come durante il secolo scorso negli Stati Uniti d i America fra il nord e il sud, in Svizzera fra i vari cantoni, sono causate anzitutto da rottura di coscienza unitaria. Così fu per noi l'avventura fascista, che divise la popo- lazione italiana e creò i motivi di fratture nelle zone periferi- che, le allogene dell'Alto Adige e della Venezia Giulia, la Valle d'Aosta e la Sicilia. Se la linea gotica fosse durata quattro o cin- que anni in più e la popolazione fosse stata passiva e non im- pegnata nella guerra, sarebbe stata più difficile una saldatura fra nord e sud quanto pie debole si fosse trovato lo stato italiano e quanto più indebolita fosse stata l'idea nazionale, compromes- sa dal fascismo e non animata dalla resistenza bellica. .

Al contrario, la resistenza volontaria tanto al nord che al cen- tro e aI sud, la insofferenza a subire anche l'occupazione alleata, i l risentimento per le mancate promesse, le speranze di un trat- tato di pace meno gravoso e meno ingiusto, rifecero d i colpo lo spirito nazionale, i l senso d i unità e la coscienza del nostro essere d i italiani. E se nel cacciare lo scorie fasciste si fosse stati più accorti a vedere in molti tra i fascisti quell'amor patrio, deviato ma vero, che li aveva legati all'avventura, e se si fossero pro- cessati solo coloro che avevano a loro carico reati comuni, siano stati o no coloriti da « scopi nazionali I), si sarebbe evitata una frattura spirituale che nè attenuazioni legali nè amnistia hanno fin oggi colmata.

Altra frattura ci han portato i comunisti, non per la loro ambizione a divenire maggioranza e a prendere le redini del potere; ma per la loro dipendenza dal cominform e per la loro aperta volontà di asservirci a Mosca. L'esperienza fatta dai paesi passati al di là del sipario di ferro, che han perduto la libertà e l'indipendenza, ci mostra chiaramente che i dirigenti comunisti

non han più coscienza unitaria italiana, e vanno formando nelle masse una coscienza imperiale comunista. Fortuna che l'innesto di tale coscienza è sociologicamente tanto più difficile quanto più radicata è nelle abitudini, negli affetti e negl'interessi del popolo italiano la coscienza nazionale. Per questo, tranne il ca- so di un colpo d i forza o di guerra, le masse non saranno tra- scinate mai ad aprire da sé le porte allo straniero. La frattura di coscienza unitaria può avvenire, ma le reazioni psicologiche a favore della nazione italiana anche nel campo comunista non mancheranno.

Le regioni non hanno nè motivi di coscienza, nè vantaggi economici, nè entusiasmi politici da eccitare nelle masse contro la madre patria. Non avranno neppure possibilità finanziarie di vivere indipendenti dal centro. Potranno avere dissensi col go- verno, avranno anche urti col parlamento, si sentiranno mal- trattati (come la Sicilia) e reagiranno sul terreno dell'opinione pubblica; faranno dimostrazioni d i piazza, se i motivi colpiran- no la fantasia popolare. Non ci furono forse un tempo i moti di Palermo, le ribellioni delle provincie meridionali, i fasci d i Si- cilia? Chi non ricorda le sommosse di Milano nel 1898? e la settimana rossa nel 1913? ... I1 governo, i governi facciano un esame delle loro colpe, e i partiti anche. Ma l'Italia dei Mille d i Garibaldi è onehe l'Italia del Grappa, è l'Italia nostra, di tutti ; non è l'Italia dei governi, nè l'Italia dei partiti, nè delle regioni: è l'Italia degli italiani veramente e sostanzialmente una ( l ) .

( l ) Fa meraviglia che i firmatari di un manifesto antiregionalista, fra

i quali si trovano nomi di studiosi e di scrittori che fanno onore alla patria. abbiano potuto sottoscrivere ad affermazioni come queste: « A questa Italia una. uscita dalle mani di Dio e degli uomini, già collaudata da quasi un secolo di sempre più visibili e rapidi avanzamenti di ogni sorta d i attività, si è fatto il processo e la condanna è pronunciata, anzi è in via di esec~izione. Già si coagulano gruppi dirigenti e interessi locali, che dalla logica stessa delle cose saranno portati ad approfondire sempre più i solchi entro la società nazionale. Non esisteva uno spirito regionalistico. Noi lo abbiamo attizzato. Noi lo stiamo creando. Ci dividiamo, creiamo i piccoli «stati regionali », veniamo con ciò a rendere anche più difficile e grave di incognite la nostra eventuale inserzione in un grande complesso di nazioni e di stati n.

La vita regionale è vita locale nello spirito unitario; la ri- presa di attività locali sarà a vantaggio di tutto il paese; l'edu- cazione sperimentale delle classi dirigenti creerà nuovi e mi- gliori amministratori; il dibattito fra centro e periferia farà più viva la stessa amministrazione.

Dopo ottantanove anni d i asfissiante uniformismo e di mo- nopolismo centralizzato, che l'Italia abbia, come tutti i paesi moderni e civili, una vita politica e amministrativa più artico- lata, u n controllo pubblico più efficiente, una giustizia distiibu- tiva più proporzionata: ecco gli scopi del sano e vero regiona- lismo ( l ) .

Roma, 6 gennaio 1949.

\ Rla dove vivono costoro che parlano di piccoli « stati regionali N, per

colpa dei p a l i ((veniamo a rendere difficile e grave di incognite la nostra eventuale inserzione in un grande complesso di nazioni e di stati » ? Roba da spaventapasseri. Certuni d i costoro avrebbero dovuto dir ciò sul serio a Mussolini e suoi collaboratori. Dovrebbero ripensare alle responsabilità di quanti in Italia cooperarono a scatenare la seconda guerra mondiale, non mai ai siciliani o ai valdostani o ai giuliani e trentini di dopo guerra, i cui pretesi « stati regionali » non impediscono nulla.

Circa i l processo storico al secolo di vita unitaria, gli storici del mani- iesto non hanno che a rileggere quanto gli stessi italiani, critici e ipercritici quali sono, hanno detto e scritto anno per anno e giorno per giorno dal 1848 a l 1948, con la sola eccezione del periodo fascista, quando chi volle parlare alto e franco dovette andare all'estero. (N.d.A.).

( 1 ) Sembra intenzione degli antiregiorialisti « attivi » di fare appello al popolo promuovendo un referendum per l'abolizione della regione. Ignorandosi i termini per il referendum: non può darsi una opinione in merito. Solo è da avvertire che non risponde agli interessi nazionali il tentativo di modificare la costituzione senza avervi dato esecuzione e senza averne consolidato lo spirito e la lettera.

Non sarà un fatto senza gravi conseguenze quello di accendere una disputa popolare sopra uno dei cardini della riforma statale sancita dalla costituzione e già in atto per le quattro regioni a statuto speciale.

Più gravi sarebbero le conseguenze se si tentasse di trasportare i l pro- hlenia regionale sul piano della lotta anticomunista. Naturalmente, non vi si presteranno i regianalisti convinti; ma quando si scatenano certe pas- sioni alimentate dalla paura, non si possono prevedere le conseguenze. La costituzione è d'ieri ed è ancora troppo fragile. I l tentativo di smantellarla può avere un seguito (Ai.d.A.).

PROGRAMMA MUNICIPALE (1902)

I.

PROGRAMMA MUNICIPALE

Egregi colleghi,

Non è un lavoro fac'ile quello addossatomi di redigere una relazione sufficiente, se non completa, sul Programma munici- pale (*), e disegnarne l e linee principali. Onde sento il bisogno di dichiarare in sul principio che, sia per l a diffico1t.à intrinseca del lavoro, sia per la non intiera preparazione di coltura ade- guata, sia pe r la brevi& del tempo e molteplicità di fatiche nel- l'organizzare il convegno, la presente relazione e l e proposte an- nesse non sono altro che un largo canovaccio, sul quale tutti i convenuti, discutendo e deliberando, lavoreranno alla forma- zione di u n programma che risponda al momento storico che attraversiamo, alle esigenze dell'attuale vita amministrativa, ai principi finanziari, economici, sociali e morali accertati come veri e come più rispondenti ai bisogni del popolo e alla fun- zione dei comuni.

Non è da oggi che i cattolici italiani, nella nuova attività di vita pubblica, hanno avuto di mira, anche dopo che si apparta- rono dalle lotte politiche, di portare nelle assemblee elettive dei comuni e delle provincie, almeno nei centri più evoluti, l a loro voce, diversa da quella degli uomini di altri partiti, soste- nendo qua e là non indegne lotte, qualche volta coronate da successi, anche clamorosi, e da forti affermazioni di principi di religiosità e fedeltà a l papa.

( 8 ) Relazione e proposte al l o convegno dei consiglieri cattolici siciliani tenuto a Caltanissetta il 6 e 7 novembre 1902.

TJn largo periodo di queste lotte, per lo più basate su com- promessi e alleanze con gli uomini di parte moderata, non so se furono l'inizio di un partito nuovo che si affacciava, benché lentamente, nella vita municipale italiana sotto l'insegna religio- sa, oppure lo sforzo degli elementi e dello spirito antico conser- vatore, i cui uomini, nello sconquasso di idee e di reggimenti, si afferravano alla affermazione religiosa come all'antitesi più vibrante di vitalità contro la cristianizzazione e la laicizzazione imperante nella pubblica attività dell'Italia, assurta a dignità nazionale..

Forse l'una e l'altra cosa insieme, indistinte, incomprese, e quindi localizzate nel movimento che mai divenne generale, e ristretto alla resistenza in nome della .religione e dell'onestà; resistenza generosa, in tempi più fortunosi e di maggiore intol- leranza che non sia oggi, e nella qiiale non rare volte si mostra- rono a sostenere essi soli, i cattolici, la stessa elementare onestà amministrativa, compromessa dagli uomini nuovi sopravvenuti nello sfasciarsi d i antichi regimi, con la pseudo-aureola di mar- tiri e la voracità di affamati.

Però, come durante il corso della parabola ascendente del liheralismo le attività dei cattolici, per ragioni complesse che non è i l caso di analizzare, si restrinsero in gran parte al con- cetto religioso della vita e a uri'opposizione negativa, e perfìno anche passiva, senza assimilare la vita moderna nei suoi elementi d i perenne civiltà e nella forza della sua realtà; così non potè maturare ed elaborarsi un vero programma municipale positivo, nè fissarsi l'azione dei consiglieri cattolici sopra una base elet- torale propria cosciente, nè stabilirsi un organismo nazionale popolare, nè generalizzarsi i l movimento ai numerosi comuni e alle provincie italiane.

Anzi la stessa attività municipale nei cattolici, tranne in po- chi centri, fra i quali da segnalarsi quasi unica la forte Berga- mo, cominciò a declinare e a perdere terreno, senza aver lasciato che solo il ricordo di una coscienziosa amministrazione, qua e là sperduto fra le troppo visibili concessioni e transazioni e ten- tennamenti e incertezze e paure. Onde al sopravvenire delle nuove democrazie sociali, nella rinascenza dell'idea municipale, d i vita autonoma, di funzioni complesse nel rapporto delle esi-

genze popolari, i cattolici si son trovati organicamente impre- parati.

Le nostre masse cattoliche, i nostri uomini di vita pubblica, pur nell'insito e intimo contrasto fra l'idea tradizionale e l'at- tuale vita dei comuni ridotte a funzione amministrativo-burocra- tica oppressa dal peso dello stato accentratore, pur nel visibile stacco tra la rappresentanza del popolo e i l popolo stesso, non avevano sentito i n tanti anni la forza viva delJe grandi idee e della reazione creata da tale anormale comprensione, l'impulso di una vitalità artatamente circoscritta ; è mancata la visuale del problema, e perciò in tanti anni è mancato ai cattolici i l pro- gramma e l'organizzazione municipale.

Intanto si elaborava fuori del nostro campo la nuova coscien- za popolare; e mentre i pochi uomini di studio di parte nostra ricercavano nelle gloriose storie dei comuni italiani l'idea ma- dre della libertà e della vita municipale, l e nuove correnti de- mocratiche, latenti nell'interno della coscienza cristiana di que- gli uomini che si erano staccati a tempo da un passato che nes- suno più dovrebbe rimpiangere, vivificavano gl'ideali, quasi spen- ti nel singulto dell'eterno Geremia.

Pochi anni sono bastati a modificare un ambiente e a svilup- pare presso i cattolici i germi di una azione positiva nella vita pubblica; e si è sentito subito il bisogno di mettere a base delle lotte elettorali non una negazione o una reazione, non la idea religiosa messa come insegna di lotte cittadine, non una o pii1 persone dall'etichetta di cattolici autorizzati dalle benedizioni dell'autorità ecclesiastica locale, non la condizione incosciente imposta da pochi e valutata dal valore numerico più che dal valore delle idee, ma u n programma ; cioè un.complesso di prin- cipi e di propositi che rispondano ai criteri amministrativi e sociali del comune e al grado di evoluzione e di cultura del cor- po elettorale.

I cattolici d i Torino per i primi diedero l'esempio, fissando un programma elettorale che resterà notevole negli atti della vita pubblica dei cattolici italiani, sia perchè fu il primo tenta- tivo della codificazione (passi l'analogia del termine) dei nostri ideali municipali, sia perchè preludiò il nuovo orientamento del- l'azione sociale dei comuni. Dopo Torino, in altre città d'Italia

i cattolici si sono affermati nelle elezioni municipali in base a programmi ben definiti; e in Sicilia noterò quelli di Palermo nel 1900, d i Caltagirone nel 1899 e nel 1902, di Girgenti e Sciac- ca nel 1901.

Vero è che, a esser sinceri analizzatori dei fatti e a coglierne il loro valore, tali programmi, per lo più elaborati da qualclie studioso di parte nostra e accedati dagli amici e dai comitati elettorali, non hanno avuto penetrazione non solo nella massa elettorale, ma neppure nella coscienza di qualclie eletto.

È stata sin oggi la riflessione del pensiero dei colti, che pro- jetta una luce che ancora in gran parte è invisibile all'occhio dell'elettorato cattolico; i l quale, tra l'altro, manca d i educa- zione specifica e sente ancora i problemi della vita pubblica mol- to elementarmente e semplicisticamente. Però le affermazioni, moltiplicate, rese solide dalla susseguente azione, penetrano nel- la coscienza del popolo e creano, o meglio, fanno sentire gli sti- moli di un bisogno nuovo, che è indice di un nuovo passo nel cammino della civiltà.

È perciò che solo ora, - dopo la formazione di un partito cattolico sociale positivo, e non semplicemente negativo, e fon- dato sulle condizioni e sullo svolgimento della psiche collettiva; oggi eminentemente democratica: - dopo i vari tentativi iso- iati, iniziali, e le affermazioni di idee prima sporadiche e poi più diffuse; - dopo la delineazione generale dei caratteri, delle finalità, della portata della democrazia cristiana; - solo ora è possibile la elaborazione collettiva, e non singolare, del nostro programma municipale, adatto alle esigenze di ogni singola regione; sin che a poco a poco, per movimento centripeto e po- polare, verrà a formarsi il programma e l'organizzazione nazio- nale del partito municipale democratico cristiano.

E noi siciliani oggi diamo il primo esempio di un tentativo audace, ma oramai maturo; tentativo al quale con benevolenza guardano i cattolici delle altre regioni italiane assai più di noi evolute nelle attività della vita municipale. Audace il tentativo, o egregi colleghi, perchè da quanto ha riferito il relatore (*) sul-

(*) Riporto alcuni tratti della relazione del consigliere comunale Gae- tano Colomba di Seordio, segretario del convegno, sullo stato del nostro

lo stato del nostro movimento municipale dell'isola, si vede ben chiaro come in Sicilia occorra un'azione vigorosa, energica, per- chè si superino ostacoli quasi insormontabili e si arrivi a costi- tuire un vero partito democratico cristiano, diverso dagli altri, che rompa i legami di partiti e d'interessi personali e familiari, che formi una coscienza ben chiara, netta, forte dell'elettorato cattolico, che diffonda le nostre idee municipali presso il po- polo e le sostenga nei consigli.

È perciò che se questo convegno rappresenta per ora una forza limitata. un elettorato pressochè amorfo, dei consiglieri cattolici per sentimento più che per posizione netta nella vita pubblica, esso però ha la forza insita dell'affermazione dei prin- cipi e la vitalità di un programma, che da oggi avrà l'impronta, non personale e particolare, ma collettiva e regionale.

Pertanto, sin dal primo nostro apparire in un campo di vita pubblica collettiva della regione, per quanto possano essere li- mitate le forze che rappresentiamo e ancora amorfo l'eletto- rato che ci sorregge, è necessario fare una dichiarazione preli-

movimento elettorale e in generale dell'elettorato d i sicilia. (Nota de217Autore).

. ... Lo stato dell'azione elettorale di parte nostra si può così riassumere: 1. Nessuna organizzazione del corpo elettorale, che è amorfo, inco-

sciente, sebbene in molti piccoli comuni senta l'influenza del clero. Però tale influenza non potrà considerarsi come un fattore elettorale cattolico, ma solo come una condizione d'animo sulla quale potrà contarsi in un dato momento, e sulla quale in altro momento non potrà contarsi;

2. Nessuna ediicazione elettorale cattolica di idee e di programmi, per cui l'elettorato sappia distinguere i l valore dei partiti e sappia discernere i criteri amministrativi secondo i quali debbono reggersi i comuni;

3. Nessuna, o quasi, indipendenza del corpo elettorale cattolico. cioè degli elettori appartenenti alle associazioni cattoliche, dai partiti locali, in modo che possa affrontarsi sul serio un'azione elettorale autonoma, e anche, se del caso, contraria ai partiti locali;

4. I comuni siciliani sono nella loro grande maggioranza schiavi dei partiti personali-politici, per cui la vita dei comuni è subordinata intiera- mente agli interessi politici, alle consorterie di sfruttamento. E coloro che sono militanti nelle nostre opere cattoliche, ma non partecipano in nome dei cattolici alla vita pubblica, per necesstà si trovano portati su da tali partiti, e devono sostenere i criteri delle maggioranze o delle minoranze

minare costituente, prima che i l programma stesso si forinuli : affermare, cioè, la nostra esistenza di partito bmunicipale deneo- cratico cristiano di Sicilia, autonomo, libero e indipendente da qualsiasi altro partito amministrativo, da qualsiasi interesse per- sonale, da qualsiasi combinazione partigiana, da ogni vincolo politico.

Sembrerà superflua tale dichiarazione di costituente di par- tito a coloro che non conoscono la nostra vita siciliana; e la parola partito purtroppo offenderà le pure orecchie di coloro che per ipocrito istinto cambiano i l nome partito con delle cir- conlocuzioni più o meno significative, o confondono i l carattere di una vitalità autonoma nella vita pubblica, informata a prin- cipi religiosi, con la stessa religione; essi conchiudono, logica- mente, che i l cattolicesimo non è u n partito. Noi consentiamo con coloro che nella vita pubblica escludono la religione dalle vedute di parte, e affermiamo la nostra vitalità di partito, non in nome della religione, ma in nome della democrazia cristiana,

a cui appartengono. Per cui non sono rari i casi che si trovino buoni cattolici e anche preti iscritti ai due partiti contrari che si contendono il potere in consiglio, combattendosi a vicenda; e tali cattolici, preti e laici spesso per ragioni di pmdenza o di opportunità si astengono dalle af-

fermazioni religiose, concedono qualche volta i1 loro voto per proposte non consone ai retti criteri amministrativi, e contrihuis~ono in generale alla vita- lità dei par t i t i politici-liberali.

5. Quasi i n nessun comune di Sicilia vi è un partito di idee e di pro- grammi, tranne in poche parti; e per i primi hanno mostrato di sentire il bisogno che alla vita amministrativa sia necessaria base un programma, quei cattolici che si sono organicamente ed efficacemente affermati da circa tre anni; e che oggi rappresentano il primo nucleo, le prime aspirazioni. il movimento iniziale delle nostre forze;

6. Non vi è nessun affiatamento 'fra eletti ed elettori, per cui i consi- glieri sono come arbitri delle sorti dei comuni, non riconoscendo negli elettori che solo i l dovere di dare il voto. Per cui l'elettorato è in gran parte incosciente e corrotto. La corruzione è in Sicilia portata ad un'eiiorme potenza, spesso è arbitra delle vittorie, e non rappresenta una forza isolata e individuale, ma collettiva e organica. Onde è necessario che l'operaio,

l'agricoltore, l'elettore bisognoso vengano emancipati, e condotti a un grado di educazione morale e civile elevata, per poter seriamente sostenere le nobili lotte di idee e di programmi I]...

come complesso di idealità popolari, ispirati alle verità reli- giose, in tutto l'ambito della civiltà cristiana.

Oggi che per ragioni superiori a noi è preclusa la via della vita politica parlamentare, e le nostre forze elettorali sono limi- tate, e le nostre stesse associazioni cattoliche per condizioni lo- cali, per coalizioni di famiglie, per cumulo di interessi perso- nali, per servitù di cleri a grossi borghesi e a signorotti feudali, l'esplicazione libera, autonoma delle attività municipali si rende estremamente difficile; oggi che in Sicilia da noi si comincia a balbettare qualche cosa di idealiti municipali, di doveri sociali dei comuni, di partito di idee e di programma, è necessaria una vasta organizzazione, che metta il corpo elettorale sul binario della vita maestra, che lo emancipi, lo istruisca, l'organizzi, lo rafforzi, lo slanci alle lotte, preparando così i l terreno alle gran- di e nazionaii affermazioni municip'ali e politiche, anche nel regime astensionista.

In Sicilia domina il partito affarista, alla cui base sta una coalizione di interessi personali, intesi a sfruttare i municipi; sulla cui vetta torreggia l'interesse politico, anch'esso personale, sfruttante tutte le energie paesane, incatenando e aggiogando i nostri comuni ai favori e ai soprusi dei ministeri. È un turpe mercato, senza idealità, che in una corsa e rincorsa al potere, sbalzata in vece alterna dalle maggioranze, alle minoranze, rovi- na i municipi, dissangua il popolo, oppresso. da tasse, e man- tiene il tenore della vita collettiva delle città in grado inferiore allo sviluppo della civiltà presente.

A destare gli entusiasmi di una nuova vitalità occorre che si avanzi un partito di idee, che risponda alle gravi condizioni presenti, che determini la reazione, crei la riscossa dal vile ser- saggio.

Non nascondo che in Sicilia 1a.lotta sarà difficilissima e a condizioni impari; ma solo il coraggio e l'audacia del bene può superare gli ostacoli che ci si parano avanti.

Con questi antecedenti storici e logici, con .questi criteri, con queste finalità e speranze affrontiamo lo studio della formazione del nostro Programma municipale.

A) Costituzione del comune

Come prima che-un'attiviti possa destarsi e svolgersi, è ne- cessario che essa sia costituita, anche elementarmente, nel suo organismo; così allo studio degli oggetti delle attività consiliari deve precedere quello costituzionale dei consigli stessi. Vero si è che non sta a noi stabilire le norme legali e regolamentari, che creano la figura giuridica dell'ente comune, come dell'ente provincia, e che stabiliscono i modi e i limiti della partecipa- zione popolare a tali amministrazioni. Però a noi spetta oggi un compito delicato e importante, preparare cioè l'ambiente a quelle riforme legislative che rispondano meglio alla natura dei comuni ed ai bisogni dei consociati; per cui è doveroso fissare in un programma - che non è solo una guida pratica immediata, ma un complesso di principi e di ideali da rivendicare - quan- to, secondo noi e nelle circostanze presenti, deve entrare nella costituzione del comune.

Io intendo parlare di quel gruppo di rivendicazioni e di istituti che vengono dette autonomia comunale, referendum po- polare e rappresentanza proporzionale; rivendicazioni che toc- cano il diritto costituzionale dei comuni stessi e che ne sono la base di ogni vera e reale attività.

Tutta la storia dei comuni nel secolo XIX è stata ora una lenta invadenza, ora una lotta aperta del potere centrale contro la vita municipale e contro quegli elementi tradizionali, misti di autonomia e d i feudalesimo, di disgregamento e di privilegio, di larghi poteri e d i servilismo regio, che caratterizzarono i comuni della fine del secolo decimottavo. Con la caduta del feu- dalesimo politico e terriero, si modificò molta parte di vita locale,

l e le agitazioni politiche resero a discrezione soggette le antiche municipalità, che poscia vigoreggiarono nel rinascimento pa- triottico, sinché il nuovo assetto nazionale con l'istituto del-

/ l'elettorato amministrativo mise il popolo i n condizione di par- tecipare alla vita locale, controbilanciando (si credeva) i poteri dello stato e l'elemento autoritativo.

Però questa partecipazione prima ristretta al censo ed agli uffici, poscia allargata e poi di nuovo in parte limitata, ebbe solo la parvenza d i una nuova vita locale che si ridestava: i l livellamento civile, che rendeva al popolo i suoi diritti,.riusciva a creare un corpo amorfo, inorganico, indeterminato, e la forza politica unificava artatamente le ragioni organiche della vita pubblica, assommata di diritto e di fatto in mano allo stato.

Questo immenso organismo moderno, che si chiama stato, è un'enorme piovra, che assorbe la vita comunale e la riduce a carattere politico: la prevalenza di tale elemento sovverte le ra- gioni municipali, paralizza le attività paesane o le travdge nel- l'agitarsi scomposto dei partiti. I comuni han perduto intiera- mente la loro autonodia, la loro personalità, livellati da una legge che riduce Roma, Napoli, Palermo alla stessa entità delle più piccole borgate, dei villaggi sperduti sulle montagne, che ancora non hanno che una via mulattiera di accesso.

Non v'ha comune che non sia soggetto, anzi oppresso, da in- fluenze, imposizioni, in forma più o meno legale, di autorità po- litiche, che guardano lo svolgersi della vita locale dall'angolo vi- suale del ministerialismo cui servono, del partito che sono ob- bligati a sorreggere, dell'interesse, anche illecito, che garanti- scono con i ripieghi burocratici e le armi legali di cui dispongono.

E il popolo, nell'esercizio della sua sovranità di un giorno, dimentica e non ha esatta visione delle condizioni municipali, e subisce per necessità, per fatalismo, un ambiente artefatto, vi- ziato, formato da mille compromessi, da losche consorterie, da turbolenti agitatori, da corruttori in guanti gialli preoccupati piu che altro della posizione politica.

Tutto ciò xiesce tanto più dannoso quanto non è dato ai mu- nicipi nessun mezzo idoneo di svincolarsi dall'opprimente cen- tralismo di stato, dai suoi ceppi legali, burocratici, politici, che ne violano i diritti e ne paralizzano e sovvertono la vita. È i l

concetto liberale che informa tutta la legislazione moderna; es- so, come scompose l e classi organate togliendo loro i l carattere giuridico e civile, e perfino (nella prima epoca del liberalismo classico) non riconobbe agli operai facoltà di consociarsi a scopi professionali; così, partendo dal principio che tutto deriva dal- lo stato, unico e assoluto detentore delle ragioni sociali dei po- poli, ridusse i comuni a enti amministrativi burocratici, con larvate funzioni proprie, che di fatto riescono a essere emana- zioni dei voleri e deglTindirizzi del potere politico, sia per l e molteplici limitazioni di leggi e regolamenti, sia per gl'impacci del controllo politico; sia per l'enorme ingerenza del potere ese- cutivo, che può senz'altro mandare a spasso l e stesse rappresen- tanze popolari, e ridurre all'impotenza un'amministrazione co- munale, con la quale entra in lotta; sia per l'imposizione di oneri d i stato addossati ai comuni, o per la sottrazione di com- petenze che spettano ad essi, in una violazione perpetua di di- ritti ingeniti, preesistenti, inalienabili.

Oggi una riviviscenza di idealità municipali si va £scendo strada nell'animo degli studiosi, e una viva reazione contro lo ingiusto centralismo di stato va destando delle correnti forti per le-,rivendicazione delle autonomie comunali, ed è sorta un'asso- ciazione d i comuni italiani a questo scopo, associazione clie si è gii affermata in un primo congresso nazionale, e clie fra giorni terqà-il secondo congresso nella nostra isola. Non ostante che tale associazione sia stata promossa e sia diretta da persone ap- partenenti ai partiti estremi, è doveroso da parte nostra parte- ciparvi e sostenerla, perchè l'ideale ch'essa prosiegue è i l no- stro ideale, prima che da essi, sostenuto da noi, che abbiamo al riguardo criteri più esatti, mire più obiettive e disinteressate, principi solidi, una gloriosa tradizione storica e, per quanto. platoniche in pratica, affermazioni non di ieri, dei diritti dei comuni contro la invadenza dello stato.

Noi partiamo da un principio fondamentale nell'etica socia- le e nella filosofia del diritto, che, cioè, la formazione specifica degli organismi naturali della società risponde a bisogni speci- fici coordinati fra loro, ma autonomi nella loro funzione essen- ziale. Così la famiglia, così la classe, così la tribù, la contea, i l borgo, il comune, secondo la diversità dei tempi. così infine l e

I ( lo stesso dicasi del borgo o della tribù o della contea o di altra accidentale configurazione territoriale dei popoli) è creato naturalmente dalla coesistenza in civico territorio d i famiglie e di classi, le quali convengono nel reciproco aiuto e nella comii- nanza di beni, di interessi, di vitalità economiche, morali, SO-

ciali, nel mutuo contatto continuo della vita quotidiana. Questa comunanza, più o meno ristretta, secondo lo svolgersi delle atti- vità individuali e collettive, secondo la sufficienza della località a soddisfare i bisogni di qualsiasi natura, ma principalmente economici, crea per necessaria esigenza le unità organiche, co- stituisce questi enti locali, i quali disseminati in territorio geo- graficamente e naturalmente uno per ragione di usi, costumi, lin- gua, tradizioni, formano nel progresso del vivere civile le na- zioni, possibilmente regolate da unicità di regime.

Non è perciò che lo stato deleghi i suoi diritti supremi alla famiglia, alla classe, al comu'ne; ma è lo stato che a tali diritti garantisce l'esercizio, per il ministero della legge, della giustizia e della forza, in epoche progredite affidate solo ad esso, che pex- ciò regola, tutela, coordina i diritti preesistenti, organici, natu- rali della famiglia, della classe, del comune.

E ' i diritti del comune, che sorgono dalla sua stessa funzione sono inalienabili ... in forza di quella comunione territoriale delle classi e delle famiglie, la quale geneticamente e specifica- tamente costituisce il comune nel suo essere giuridico, nella sua funzione collettiva, nel diritto di amministrare i beni comuni, di regolare le quote dei consociati per la soddisfazione dei bi- sogni collettivo-territoriali di diverso ordine, sia morale (come l'esplicazione delle attivit,à religiose, intellettive, di cultura'ed educazione), sia sociale (come il regolare i rapporti fra le classi, stabilire la loro rappresentanza professionale, coordinarne gli interessi, provvedere ai poveri, indigenti, ammalati, orfani), sia materiale (come strade, edifici pubblici, annona, polizia, illumi- nazione, acqua, ecc., ecc.), sia infine complementare, interve- nendo in ciò che l'iniziativa privata o non può fare o fa male: in generale il comune rappresenta tutti gli interessi che sorgono e si sviluppano nell'ambito e per le ragioni di comunanza ter- ritoriale locale e per i rapporti delle famiglie e delle classi.

cazioni municipali, poichè, secondo il punto d i vista da cui si I parte, pigliano valore la ragione e forza gli argomenti. Onde giustamente noi non vogliamo che i comuni siano alla mercè del potere centrale; noi vogliamo che essi possano svolgere sen-

l f

za inutili e dannosi impacci quelle attività intrinseche, che na- ?

stono dalla propria natura; che non siano obbligati a oneri, a regolamenti, a routine, che rendono impossibile lo svolgersi di un retto funzionamento, specialmente oggi che il comune, per le presenti evoluzioni sociali, assurge a un compito di notevolis- sima importanza, perchè nella mancanza di organizzazione pro- fessionale, non solo giuridicamente riconosciuta, ma reale e ar- monica, i l comune (l'unico ente che ha un organismo locale), ha i l compito straordinario, come vedremo, di surrogare la funzione collettiva della classe in quello a cui la classe non organizzata non può provvedere; e ciò oltre al compito ordina- rio, reso oggi di somma utilità, di coordinare l'interesse delle diverse classi esistenti ne117ambito comunale e di dare svolgi- mento alle giuste ed eque tendenze sociali innovatrici.

Però l'autonomia municipale che noi reclamiamo deve es- sere tale che:

: a) non disgreghi la compagine nazionale, che è costituita dalla cooperazione di tutti i comuni al fine degl'interessi collet- tivi generali :

b) non lacci ai consiglieri comunali tanta libertà senza li- miti e controllo da far pericolare la consistenza amministrativa dei comuni, e da renderli non rappresentanti, ma padroni asso- luti degli interessi di tutti ;

C ) che vi siano mezzi legali e sufficienti per colpire gli am- ministratori infedeli al loro mandato.

A soddisfare a tali condizioni è necessaria una serie d i prov- vedimenti, di triplice natura :

1) l'intervento dello stato nella funzione complessa dei co- muni fra d i loro, nella modificazione legislativa dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, nella vigilanza perchè sia osservata la legalità delle forme;

1 2) l'intervento del popolo nelle questioni più importanti del- la vita comunale e l'esercizio ordinato di un controllo pubblico razionale ;

3) l'intervento dei poteri giudiziari contro gli amministra- tori che violano la legge o malversano la pubblica finanza; in- tervento invocato o per deliberazione di consiglio, o per deci- sione di autorità governative, o per iniziativa del procuratore della legge, o per azione popolare.

Lo scopo è evidente: invece di avere un'imposizione anoni- ma autoritaria o un controllo fittizio e impotente o una respon- sabilità civile mascherata fra le clausole legislative, insomma, invece che la vita venga dall'alto al basso, e che perciò i consi- gli si adagino alla servilità dei soggetti, che temono da un mo- mento all'altro essere sbalzati giù dai seggi vellutati per arbi- trio governativo; venga dal basso all'alto, democraticamente e vigorosamente, come i ricordi solenni dei comuni italiani im- pongono a noi non degeneri del nome italiano e della vita de- mocratica. Lo stato così si limita alla tutela legislativa e al con- trollo procedurale, senza quell'intervento che paralizza la vita, che soffoca la libertà, che confonde l'amministrazione e l'atti- vità locale con la politica generale; per il resto il potere giudi- ziario, senza le agitazioni e i tornaconti del ministerialismo stra- potente, renderebbe difficile quel che oggi è facilissimo, la mal- versazione, lo sperpero, la mala amministrazione, il peculato; e il popolo entrerebbe esso, non pro forma ma effettivamente, ma sempre, nelle attività comunali ; ne avrebbe così migliorata l'educazione civile, resa più viva la coscienza degl'interessi co- muni, sollevata la personalità; mentre un nuovo fiotto di vita vera, vissuta pervaderebbe i comuni, rinati alle virtù dei liberi reggimenti.

È questa la precipua ragione per sostenere l'istituto del refe- rendum popolare. Non è solo un correttivo giuridico alla auto- nomia dei comuni, o meglio un limite razionale all'attività dei rappresentanti del popolo, limite consono alla natura del co- mune e rispondente ai principi di autonomia; non è solo un mezzo più sicuro di far prevalere il buon senso comune alle vedute personali o utopistiche o interessate o arbitrarie di po-

chi mandati al potere; è un'esplicazione legittima di vita col- lettiva, una efficace partecipazione del popolo alla vita pubblica nelle questioni più ardue, più gravi, di maggiore interesse mo- rale, sociale, economico, è la vera e reale manifestazione dei bisogni collettivi e dello spirito dell'ambiente, di cui i l voto po- polare è i l prodotto più rappresentativo e più sintetico.

I1 referendum popolare può essere consultivo o deliberativo, imposto dalla legge o invocato dai consigli; ma per la sua na-

. tura non può avere per oggetto che gli affari di maggiore inte- resse municipale, che riguardino la riforma dei sistemi tribu- tari, o forti spese che vincolino i bilanci per molti esercizi finanziari, o la trasformazione dei p b b l i c i servizi, o regola- menti che assumano carattere di norma di vita pubblica. Altri menti sovvertirebbe le funzioni amministrative dei consigli e degenererebbe in agitazioni personali e in divisioni faziose.

Molti han paura grande del popolo e del suo intervento -della vita pubblica, e come vogliono ristretto l'elettorato, così vogliono limitate le manifestazioni del pensiero e della vita popolare; quindi trattandosi di referendum, cioè di deliberati e di voti del popolo sopra questioni amministrative, che non riguardano, quindi, la designazione pura semplice assoluta dei candidati, a cui si dà mandato illimitato, temono che la gran massa, che ha pochi interessi da tutelare, possa sopraffare co- loro che rappresentano nel comune forti interessi economici; e ciò specialmente oggi che la lotta di classe è alimentata dallo odio e dalla propaganda di teorie sovversive. A questa aggiun- gono la difficoltà, di qualche peso specialmente nel mezzogior- no, della mancanza di un'educazione di vita pubblica del nostro popolo. E se le attuali lotte elettorali nei nostri centri, piccoli o grandi, trascendono e si tramutano in fazioni personali, in antagonismi d i £amiglie, in interessi di consorterie, che dire quando il popolo, ignaro delle più semplici questioni ammini- strative, è cliiamato a giudicare di una questione finanziaria O

d i un problema edilizio? Le due difficoltà, una di indole sociale l'altra di capacitg e

serenità morale, sono abbastanza gravi; non tali però da far ritenere l'istituto del referendum popolare come un'utopia pe- ricolosa e poco pratica; anzi al contrario, è a ritenersi che ogni

che nessuno potrà mai frenare, torna a vantaggio dell'intera so- cietà, alla quale le guise violente di rivoluzioni e di reazioni portano i più gravi e diuturni squilibri.

É da premettere che i l referendum popolare, come abbiam visto, è un istituto rispondente alla natura del comune e alle esigenze della vita collettiva; si tratta adunque di trovare come nella pratica possa funzionare senza quegl'inconvenienti, che potranno turbare l'andamento stesso della società. Sotto questo punto di vista non bisogna essere nè ottimisti nè pessimisti, ma è necessario tener presente che tutti gl'istituti umani hanno il loro lato manchevole. L'elettorato lascia la libertà delle nomine al popolo, ma può portare nei consigli uomini poco onesti; l e nomine autoritarie possono assicurare, se vuolsi, maggiore onestà, ma comprimono la libertà, creano i piccoli tiranni feu- dali ... e così di seguito. Lo stesso può dirsi delle monarchie e del- le repubbliche, dei regimi costituzionali e degli assoluti, del pro- tezionismo, del libero scambio ... all'infinito. Solo le epoche, l'edu- cazione dei popoli, lo svolgersi della civiltà, il grado di cultura, le ragioni economiche, tutto il complesso della vita fa prevalere una o altra forma, che nella tendenza al progresso cerca di con- cretizzare e render solide e durature quelle guise che più rispon- dono alla natura e ai bisogni della collettività e alla opportunità del momento storico che si attraversa. .

Oggi solo il misoneico può chiudere gli occhi allo svblgersi delle aspirazioni d i vita pubblica più intensa e all'istintivo bi- sogno di correggere i danni di una disgregazione antisociale, che ha rovinato la vita civile ed economica dei popoli; solo i l mi- soneico può aver paura del popolo regolarmente organato, men- tre tollera, non può far altro, il montare dei disordini di un popolo, che riunito caoticamente, sente più vivi gl'impulsi del- la violenza là dove non ha mezzi legali per far valere l e sue ra- gioni, costretto com'è a subire le pressioni politiche e ammini- strative dei pochi che comandano e sfruttano.

Manca l'etlucazione della nuova vita civile: è vero; per noi siciliani è verissimo ; occorre iniziare questa educazione ; e prov- vedervi razionalmente e progressivamente. E il referendum po- polare, applicato gradualmente, invocato nei più vivi interessi

comuni, che i l popolo discute, perchè lo toccano da vicino, an- che solo come parere, se non vuolsi avere per i primi momenti i l vincolo impegnativo di un voto non ancora maturo, è esso stesso un potente mezzo di educazione, meglio assai del vero elettorato per le nomine dei consiglieri. Poiché attraverso le persone si smarrisce l'idea degl'interessi comuni; nella conce- zione dell'utile individuale il bene collettivo perde la sua po- tenzia1it.à; e la indeterminatezza degl'interessi municipali non può avere efficacia positiva sulle decisioni, spesso passionali, del- l'elettore. Tutti questi inconvenienti per l'esercizio sereno del voto, che si riscontrano nella designazione dei candidati, sono eliminati o attenuati nel caso di una decisione collettiva degli elettori sopra un determinato e sentito oggetto di interesse cit- tadino. È perciò necessario che s'incominci; e nella pratica i consiglieri cattolici, oltre a sostenere con la parola e con la stam- pa e con gli altri mezzi consentiti dalle leggi che l'istituto del refererìdum popolare venga introdotto nella. nostra legislazione; debbono, quando è opportuno e quando credono che il corpo elettorale possa sostenerne la prova, invocare il parere degli elettori nelle questioni più complesse e importanti della vita municipale. Questi saggi e queste prove prepareranno il terreno alla sanzione legislativa, che non crea le leggi ma le co.glie dal- Io spirito e dai bisogni della società.

A completare però lo studio degli elementi costituzionali del comune e delle rivendicazioni civili, rese urgenti dal pre- sente squilibrio sociale, occorre aggiungere I'istituto della rap- presentanza proporzionale; esso si collega naturalmente alla autonomia comunale e al referendum popolare, perchè deriva da una identica concezione fondamentale, cioè che l'ente comu- ne è l'emanazione diretta delle famiglie e delle classi consociate e localizzate in unico territorio, alle quali spetta i l diritto e la responsabilità della vita locale.

Non posso entrare a discutere sulle diverse forme di rappre- sentanza proporzionale, andrei molto per le lunghe con poca utilità; reputo che noi oggi si debba affermare un piincipio, riconoscere l'esistenza di un diritto, per cooperare efficacemente alla elaborazione graduale di un istituto razionale e rispondente a natura. Tutte le forze vive sociali debbono essere giuridica-

mente rappresentate nei consigli della città, in modo che que- sti possano rappresentare il complesso della vita cittadina, nella proporzionalità delle diverse energie. É questo un principio che non può essere disconosciuto nella sua forza ingenita, nel- la sua stessa inalterabile evidenza: i l nodo della questione sta non nel principio ma nella sua ragione pratica. I1 liberalismo classico, livellando, assunse l'unità individuale del cittadino e la pose di fronte a tante altre unit,à, le quali con collegamenti numericamente più o meno estesi, creano le maggioranze e le minoranze costituzionali. I1 fatto non risponde alla teoria : mag- gioranze e minoranze non vengono dal numero, non rappresen- tano il numero; ma le ragioni preconcette, gli atteggiamenti di parte, i principi, le divergenze di vedute costituiscono nei con- sessi pubblici le maggioranze e le minoranze.

Tali fattori d i questa discriminazione elementare, sono ri- ducibili ad altri elementi extra-consiliari, come l'interesse, l'edu- cazione, le'ragioni di famiglia o di classe, le vedute politiche e così via. Non ha quindi valore il numero che si chiama elettore cittadino, nel suo assoluto disgregamento individuale; infatti esso-cerca un collegamento, sia pure fittizio, organico, per far valere un'idea, una tendenza, un interesse, un programma. Oc- corre scendere più giù nella scala degli organismi sociali e arrivare alla classe per avere un punto di appoggio all'esplicarsi di tante tendenze e allo svolgersi di tanti interessi; i quali, es- sendo per sè stessi disparati e anche contrari, debbono avere il mezzo naturale e legale di tutela, di rappresentanza, di manife- stazione. È urgente che la tirannia del numero, sia essa borghese o proletaria, non sopraffaccia i legittimi interessi della collet- tività. Questo concetto si va facendo strada, e nella pratica stessa, nell'amorfo cozzare degli elementi di vita, va cercando di soppiantare le consorterie insediatesi perpetuamente nei nostri comuni. È sopraggiunto il partito di idea a dare la scossa alla -coalizione delle cricche, - manca però la rappresentanza pro- porzionale di partito, quindi non tutte le idee possono aver voce, se non hanno un numero tale di aderenti, che controbi- lanci la forza degli altri partiti. Da questa rappresentanza, che potrebbe essere legalmente riconosciuta e regolata, potrebbe forse in principio aversi l'elemento iniziale alla rappresentanza

proporzionale degl'interessi collettivi, su cui necessariamente si eleva il partito di idee; e alla sua volta si potrebbe arrivare alla rappresentanza proporzionale di classe, su cui si basa l'inte- resse collettivo. Sa r i forse con tale processo e con altro, poco monta, preparato il terreno a quel riconoscimento giuridico con diritti civili e politici alle classi organate, che è la più salutare e necessaria rivendicazione del proletariato e della società per i l loro avvenire e progresso. In tal guisa il popolo più coscien- temente parteciperà alla vita municipale e contribuirà alla rina- scensa dei nostri comuni ritornati liberi e autonomi.

Queste aspirazioni, per quanto legittime, contrastano, è ve- ro, con le tendenze della politica odierna, con lo sfruttamento del potere centrale, con i principi di quel liberalismo che ha tolto la libertà ; quindi sono poco vicine ad essere rea1izzat.e. Esse non costituiscono neppure l'immediato oggetto delle sollecitudini di un consigliere comunale e sfuggono alla percezione, anche limi- tata, della maggior parte dei cittadini, educati in un ambiente contrario e senza sensibili tradizioni; anzi, perchè sostenute dai socialisti, per molti hanno un odore troppo sospetto, dimenti- cando che furono in altri tempi vera gloria italiana. Però noi consiglieri abbiamo il dovere di riportare il comune alla sua naturale funzione; è quindi opportuna e necessaria quell'agita- zio= legale e di pensiero che abbia questa mira ; è forza morale, se non legale l'unione di tutte, di molte rappresentanze civiche a questo fine; è l'educazione dell'elettore la lotta generosa per sì nobile ideale. Noi non siamo i legislatori, ma, lo ripeto, pre- pariamo il terreno alle leggi, ne formiamo lo spirito, ne solle- citiamo l'attuazione in nome di diritti violati, di bisogni sentiti, d i giustizia conculcata.

Uno dei mezzi adeguati 3 tale scopo e per sè anche un ohiet- tivo di agitazione legale, si è il mettere in evidenza, davanti al popolo e davanti a i rappresentanti della nazione, tutti gli incon- venienti di ordine amministrativo, finanziario, moralei derivanti dalle attuali leggi e regolamenti comunali e provinciali. La cri- tica degl'intendimenti è stata addirittura demolitrice per una legge cucita e ricucita le tante volte; ma specialmente per i re- golamenti, nei quali è manifesta la tendenza a restringere: a intralciare, contraddicendo anche alla legge, in modo che il

funzionamento amministrativo riesce aggrovigliato, formulistico, vincolato. Occorre regolare quel che riguarda i l visto dell'auto- rità tutoria, che spesso mette l'arena sull'inchiostro; liberare i comuni dalle spese di pertinenza dello stato; togliere a l sinda- co, capo del potere esecutivo, la presidenza delle assemblee con- siliari; a non parlare degl'inconvenienti derivanti dai rapporti dei comuni con il consiglio di prefettura e la giunta provin- ciale amministrativa, peggio poi del sistema tributario e di mil- le altri inconvenienti, pei quali urge una riforma, s'intende, in senso più razionale e in ordine ai fini e agli ideali di autono- mia. Anche questo è uno dei nobili scopi dell'Assodazione dei comuni italiani, a l cui conseguimento è dovere concorrere con tutta l'energia dei nostri ideali.

Per completare il quadro delle condizioni costituzionali dei co- muni e della vita locale, occorrerebbe parlare delle provincie, sia in sè stesse come ente amministrativo, sia nei rapporti con i comuni, come sede di organismi centrali, che influiscono po- tentemente sullo svolgersi delle attività municipali. Però l'ar- gomento è così vasto e l'ambiente nostro è pur troppo sì poco preparato, che ho stimato opportuno rimandare la trattazione ampia di questo argomento al 2" convegno, limitandomi per ora ad un accenno d i massima e all'affermazione di un disagio che si percepisce facilmente.

La questione, come è posta oggi da pochi convinti dei mol- teplici inconvenienti, è abbastanza brusca e radicale: cioè, « se la provincia debba o no esistere e quale possa essere il futuro ordinamento intercomunale N ; e sinceramente, chi h a un po' d i esperienza nella vita pubblica riconosce pur troppo come non possano essere diversi i termini del problema.

La provincia in tanto ha valore organico-territoriale in quan- to riunisce i comuni, vicini per ragioni topografiche, di viabi- lità, di interessi economici, per quelle funzioni amministrative, alle quali ogni comune da sè non basta e che pur non sono di pertinenza dello stato. Logica vuole che come i comuni rappre- sentano le classi e l e famiglie, le provincie alla loro volta rap- presentino i comuni e i loro interessi, in un concetto organico proporzionale: e come ai comuni rivendichiamo i diritti d i azctonomia e invochiamo per essi gl'istituti di referendum po-

polare e di rappresentanza proporzionale, lo stesso evidentemen-

te debba dirsi per le provincie, guardate come enti amministra-

tivi intercomunali.

E d è su questo carattere di intercomunalità clie bisogna in- sistere prima di tutto per la vera naturale rappresentanza ; in se-

condo luogo per le più opportune circoscrizioni territoriali; in

terzo luogo perché la provincia non invada i diritti dei singoli

comuni e non la si gravi di pesi di carattere statale; e infine

perché non si trasformi in organismo politico.

Se questo può dirsi per quel che riguarda l'ente ammini-

strativo, per quel che riguarda invece il congegno di tutela, di

vigilanza, bisogna dire tutto il male possibile: consigli d i pre-

fetture, giunte provinciali amministrative, consigli provinciali

scolastici, geni civili, prefetto con le sue funzioni, non solo

politiche ma amministrative, sono la forza del centralismo di

stato, il mezzo di soffocare le libere attività cittadine, il pas-

saporto delle sopraffazioni e delle illegalità. Nei riguardi pura-

mente amministrativi, si lia un'invadenza enorme che intralcia

un regolare svolgimento della vita locale per l'ingenito difetto

che la loro autorità, la quale arriva sino al più minuto fatto di

vita locale e livella le grandi città alle più piccole borgate, scen-

de dall'alto della politica ed è perciò sospetta.

Ho cercato di sintetizzare in poche linee i punti principali,

e le loro ragioni, del nostro programma riguardo la costituzione

dei comuni; sento che l'argomento mi trascinerebbe troppo

oltre. Invoco da voi egregi colleghi, tutta l'efficacia del vostro

zelo, perchè queste idee vengano rese comuni, perchè il corpo

elettorale le comprenda.

In Sicilia,è enorme la difficoltà alla esatta comprensione di

questi postulati; è purtroppo viva la tradizione di dipendenza

dal potere centrale, invocato in appoggio da tutti i partiti per-

sonali, che sollecitano le compiacenze del governo, che hanno

bisogno dell'appoggio dei prefetti, che per vincere nelle lotte

reclamano perfino lo scioglimento del consiglio e la nomina d i

regi commissari, che sono la più aperta violazione dei diritti

autonomi dei comuni e il mezzo più efficace per asservire que- sti alle mire politiche. Al nostro popolo, così male assue£atto, bisogna parlare di autonomia e di diritti dei comuni; e lo studio e la convinzione sono necessari per penetrare nel suo animo e £armarne la coscienza al nobile sentire degli ideali di libertà.

111.

B) Funzione del comune

Passando a parlare della funzione del comune, debbo inol- trarmi in un campo troppo complesso e tale che esigerebbe tem-

po e studio; per necessità, sarò compendioso e veloce: sono pochi e larghi tratti, che molto suppongono, che lasciano lacune

inevitabili in una semplice relazione, per quanto lunga; e que- sta già passa la misura.

Occorre sin da principio distinguere la funzione del comune in ordinaria e straordinaria, tanto per partire da un concetto

fondamentale; perchè, se la funzione scaturisce dalla natura dell'organismo e dalle sue finalità, l e quali nel caso nostro sono

l'esecuzione di beni morali e materiali determinati dalla con- vivenza in un stesso territorio di famiglie e di classi, nel quale

territorio si esplica la complessa vita cittadina di religione, di educazione, di civiltà, d i interessi economici, d i rivendicazioni

morali, di attivit.à, virtù, contatti sociali; è ovvio che tutto quanto da questo territorio dipende, a questo territorio ha lega-

me, alla vita in esso esplicantesi ha rapporto, nella sua guisa sintetica e collettiva, appartiene al comune. come sua fun-

zione ordinaria. La funzione straordinaria invece viene indicata dalle diverse

contingenze dei tempi, dallo svolgersi della civiltà, la quale non crea di botto organismi nuovi, non trasforma d'un tratto i vec-

chi secondo il manifestarsi novello di bisogni; ma spesso, per esigenza di natura, si serve di quanto esiste per colmare l e la-

cune, sicchè i l vecchio viene trasformato e il nuovo, maturato

attraverso l'esperienza, viene creato. Così un tempo i comuni

ebbero anche funzione statale, oggi i comuni suppliscono alla deficienza delle classi non giuridicamente esistenti.

La doppia funzione ordinaria e straordinaria dei comuni si moltiplica negli oggetti sui quali si esplica l'attività municipale. e si sviluppa in forme adeguate ai bisogni, adatta l'attività alla civiltà progrediente, determina un cumulo di energie sprigio- nantesi da tutta l'agitata vita moderna.

Però, coms abbiamo constatato che oggi l'organismo muni- cipale nella sua costituzione è stato violato dall'invadenza sta- tale, così dobbiamo constatare che lo stato ha anche ristretto le funzioni del comune, alcune delle quali sono le più rispondenti al carattere comunale.

Precipua tra le funzioni comunali è quella della istruzione ed ecliicazione della gioventu e del popolo. Benchè tale com- pito spetti per sè alla famiglia, nella quale l'intima autorità e compagine naturale determina l e ragioni educative della prole; pure, specialmente nella complessa vita moderna, i l comune e lo stato entrano come ausiliari del diritto delle famiglie conso- ciate per rendere agevole e per garantire a tutti la istruzione ed educazione collettiva. Ma i l comune, a preferenza dello stato, vi entra, ecl è naturale, i n modo più diretto; perché i padri d i famiglia che in certo modo delegano l'ente che essi stessi, come tali, costituiscono, a provvedere a quanto riguarda la parte collettiva dell'istruzione ed educazione di cultura ge- nerale, lasciando allo stato, in via sussidiaria e in un largo regime cli insegnamento libero, l'ordinamento universitario. Con ciò non intendo punto alludere al monopolio dell'in- segnamento nè da parte dello stato, nè da parte dei comuni, essendo un cliritto di natura la libertà d'insegnamento; ma solo considero la funzione comunale come un mezzo adeguato della esplicazione collettiva, come una emanazione del diritto pater- no, come un legittimo aiuto e completamento dell'istruzione ed educazione familiare senza menomare o costringere i santi diritti della libertà. Sotto questo punto di vista l'istruzione ed educazione della gioventù e del popolo, la formazione di una cultura generale nell'ambito comunale sono funzione munici- pale. Oggi per legge il comune ha solo la cura delle scuole ele- mentari, sopra le quali lo stato per mezzo del ministero della

istruzione pubblica, dei consigli provinciali, scolastici, dei prov- veditori e degli ispettori esercita non una giusta sorveglianza, ma una invadenza direttiva spesso sanzionata da leggi e regola- ment i ; sicchè ai comuni non resta altro che l'obbligo di pagare. E forse non è lontana la legge dell'avocazione delle scuole ele- mentari allo stato, ultima ferita alla invano invocata autonomia municipale.

Per quanto l'influenza del comune nella scuola sia limitata, per quanto un regime tirannico violi un sacro principio di li- bertà e sia enormemente impacciata l'iniziativa locale, il co- mune per rispondere al suo altissimo e delicatissimo compito dovrà metter tutta la sua cura al retto svolgersi della scuola, alla nomina degl'insegnanti e loro moralità, alla praticità edu- cativa dei metodi, alla disciplina scolastica, dando sussidio agli alunni poveri per libri, istituendo la refezione, promovendo gare, premiazioni, feste religiose e civili, sì che tutto l'ambiente scolastico educhi e nobiliti.

Ma non basta: occorrono scuole serali e festive, scuole di canto, d i disegno, scuole professionali, rurali . e complementari. P e r quanto siano limitate le risorse dei comuni, bisogna prov- vedere efficacemente all'insegnamento popolare; la giusta cul- tura dei veri rappresentanti del popolo, perchè si elevi il grado di educazione morale e tecnica dei comuni, specialmente in Si- cilia, dove l'analfabetismo è una piaga generale, con danni seri della nostra popolazione, sia per I'esplicazione ordinata e pa- cifica della vita civile e politica, sia per la crescente emigra- zione all'estero, sia per lo sviluppo professionale (specialmente agrario), sia per un più adeguato contatto con la civiltà presente.

È anche una funzione del comune sussidiaria e in senso rap- presentativo, in quanto che esso è l'ente che coglie in sintesi i bisogni e le aspirazioni e la vita del popolo, fin nelle più ele- vate manifestazioni, il concorrere alle esplicazioni del culto religioso.

I1 culto religioso è un vincolo esterno dell'intera fede di u n popolo, è la ragione artistica della religione, è il mezzo este- riore dell'interiore riforma dello spirito e dei costumi. Tutta la nostra vita comunale tradizionale è pervasa di questo alto con- cetto di unità esteriore della fede, a cui l'ente collettivo con-

tribuisce con la sua forza morale e con i suoi mezzi materiali; e si notano oggi gli avanzi di tale tradizione nei residui degli oneri di culto che si trovano in tutti i bilanci comunali, nei diritti di patronato laicale che molti comuni vantano per loro antiche generose largizioni alla chiesa, nell'intervento della mu- nicipalità alle solenni funzioni religiose.

La raffica violenta della rivoluzione molto spazzò, molto abbatté e distrusse ; non potè distruggere l'insita natura dell'ente rappresentativo, come non potè togliere dal cuore del popolo la fede avita, per quando attenuata e inquinata. Però coloro che per lo più salgono a sedere negli scranni vellutati dei con- sigli dimenticano spesso che rappresentano u n popolo credente, e muovono la guerra a quanto è rimasto ancora intatto, violando, rov i~ando , distruggendo.

È superfluo insistere per noi cattolici su questo argomento. I1 comune non invade nè deve invadere nessun campo; rappre- senta i l popolo anche nell'esplicazione collettiva della fede, e quindi è suo dovere concorrere in nome del popolo alla esplica- zione del culto, e con esso inchinarsi ad adorare Dio e a ricono- scerne i supremi diritti.

Una funzione assai più complessa è quella che oggi chiamia? ' mo sociale. Insita nella natura dell'organismo, sì esplica secon- do che l a società si sviluppa, si evolve, cammina. Non è di oggi, nè di ieri; ma oggi piglia u n aspetto diverso di quel che poteva essere in altri tempi, alla stessa guisa che la società tutta è mu- tata da quel che era.

I1 concetto fondamentale di questa funzione è sempre basato sul valore rappresentativo della collettività che ha il comune limitatamente al territorio e al soddisfacimento immediato dei bisogni della popolazione ivi riunita, quando a tali bisogni non possano effettivamente e completamente provvedere nè gl'indi- vidui per sè, nè le famiglie e le classi singolarmente e in forma autonoma, nè lo stato come tale, non trattandosi di cosa che riguardi l'ordinamento generale della nazione.

È qui che si apre u n vasto orizzonte alla funzione sociale del comune, oggi in cui son cessate le coartazioni e i privilegi d i casta delle famiglie, specialmente nella nobiltà, e le classi atomizzate mancano di figura e di vita giuridica, e tutto quanto riguarda l a

vita locale mette capo al municipio e in esso ha, per quanto amorfa, legale e morale rappresentanza.

I municipi possono anzi tutto esser considerati come grandi propr'ietari sia di beni rurali che di energie industriali. La ge- stione amministrativa di questi beni patrimoniali è per lo più sullo stampo dello sfruttamento borghese della proprietà non solo, ma per i l fatto che si tratta di bene di tutti e di nessuno, i l vantaggio precipuo suole essere degli speculatori, che con le coalizioni nelle aste, sotto il muso di compiacenti amministra- tori, prendono le terre in fitto a basso prezzo, per poi riconce- derle ad alti prezzi al popolo, il quale anche sui beni della col- lettività è costretto a sentire la enorme pressione capitalistica dello sfruttatore e dell'intermediario.

Riguardo alle energie industriali i municipi per lo più si limitano alle concessioni, spesso vantaggiose per i concessionari, quando non trascurano del tutto ( e avviene comunemente) ce- spiti notevolissimi di entrata e di ricchezza generale. Così, men. t re i l comune per i l primo dovrebbe gradatamente elevare la condizione della proprietà alla sua vera funzione sociale, deter- minare le più elevate produzioni, avviare la cultura agraria per una via razionale, tentare la socializzazione municipale di quelle industrie collettive, o che appartengono a l comune, o che i l co- mune può intraprendere perché a ciò non valgono i cittadini come potenzialità collettiva; invece i l comune, in mezzo a tanto pro- gresso, è peggio, diviene, i l pezzo fossile della civiltà presente.

I beni demaniali, poi, dei nostri comuni di Sicilia, e cori molti, hanno subito il più irrazionale metodo di utilizzazione, regolati come sono secondo la lettera della legge del 1841, ro- vinosa nelle sue conseguenze per i comuni stessi e per i poveri, ai quali si fa il dono di un pezzo di terra, non di rado minuscola (passando sopra alle disposizioni stesse della legge, per accon- tentare la folla) senza mezzi di produzione, e peggio gravati da oneri, che i comuni poscia a stento esigono. E avviene che ces- sato il vincolo ventennale della inalienabilità, i l quotista-pos- sessore cede Ir i terra all'usuraio, che gli ha prestato magri capi- tali ad altissimi interessi.

E passo avanti. - Una delle istituzioni municipali che do- vrebbero generalizzarsi, ma che pur troppo ha contro l'opposi-

zione e la resistenza della maggior parte dei consiglieri e anche delle autorità tutorie, è l'ufiicio municipale del Lavoro, da parecchio tempo funzionante all'estero, e in pochi comuni d'Ita- lia fondato specialmente per l'attività dei cattolici. L'ufficio municipale del lavoro ha per scopo la tutela delle classi lavora- trici nei bisogni collettivi, nella. disoccupazione, negli scioperi, ecc. ; per cui raccoglie i dati statistici delle condizioni del lavoro nella città e nei comuni vicini per le informazioni più esatte, agevola il collocamento degli operai, fornisce notizie autentiche sull'emigraxione, propaga i benefici della cassa di previdenza, agevola la formazione e lo sviluppo della cooperazione,-il miglio- ramento dell'agricoltura, lo sviluppo dell'istruzione professionale.

Non è possibile che tale ufficio possa esser costituito libera- mente, da operai organizzati, i quali, per le scissure d i partito, le diffidenze reciproche, la 0rganicit.à delle associazioni operaie, non potrebbero darvi vita o lo trasmuterebbero in arma d i lotta incomposta fra di loro.

E non basta: i l comune dovrebbe per i l primo introdurre negli appalti di lavoro le clausole sociali per i l minimo di sa- lario, i l massimo delle ore di lavoro, i l riposo festivo; perché esso è un grosso costruttore e proprietario, e insieme ente collet- tivo sociale, e riuscirebbe autorevole ed efficace esempio per un più vasto e umano trattamento della classe lavoratrice. Insistere sulla necessità e giustizia di tali clausole, avanti a un'assemblea di democratici cristiani è superfluo; però è doloroso che in Sici- lia sin oggi si sia avuto un solo tentativo di parte nostra ( è inu- tile pensare ad altri), tentativo che ancora non ha ottenuto un esito soddisfacente.

Potrei continuare su questo tono a lungo, ma fo punto; solo un breve accenno al piccolo comune rurale che in Sicilia è un tipo molto diffuso e rilevante. A parte la questione dell'entità amministrativa e organico-specifica del comune rurale, sulla quale riferirà l'avvocato Vincenzo Mangano, il comune rurale ha l'obbligo sociale d i entrare più direttamente e più immediata- mente nella vita agricola dei suoi abitanti; perché quanto meno sono i mezzi morali, educativi e materiali, di cui dispongono l e famiglie, tanto più necessaria è la funzione sociale del comune.

Come si vede, tale funzione è assai complessa ; e noi facciamo

opera doverosa ad affermarla nella sua più larga portata, met- terla come uno dei cardini del nostro programma municipale, far- cene propagatori e propugnatori dentro e fuori i consigli, formare, vincere gli ambienti refrattari, che respingono spesso a priori e senza discutere, il nuovo come tale, per una malattia misoneica incurabile.

Prima di passare alla parte finanziaria e amministrativa del programma, accennerò, tanto per completare le linee generali del programma, a una proposta nuova in parte e vitale per la Sicilia, lasciando che l'avv. Mangano entri nei dettagli; cioè che i comuni debbano partecipare all'agitazione regionalistica della Sicilia, come tali e come un'associazione organica, sia per interessi propriamente comunali (come la sistemazione dei ter- ritori); sia per gl'interessi regionali (specialmente in ordine alle enormi crisi dei vini, dei grani e degli agrumi); sia per le rivendicazioni contro lo stato, che ha misconosciuto i diritti del- l'isola nostra; sia finalmente per i1 decentramento regionale, che è per noi vera condizione di vita. I comuni, non platonica- mente, ma in forme efficaci e se vuolsi giustamente e legalmente rivoluzionarie, debbono far opera comune di salvezza; è questa certo una funzione straordinaria e se vuolsi politica, ma neces- saria ed urgente.

Per quanto riguarda la parte finanziaria e amministrativa bastano poche note esplicative delle proposte ; anzi la lettura di esse è sufficiente a mettere in g a d o ciascun consigliere qua intervenuto, di discutere e deliberare.

Mi fermerìb solamente su tre questioni dibattute e interes- santi, non per trattarle con una certa larghezza - sarebbe impos- sibile in questo primo tentativo di programma e di organizzazione - ma per affermare quei principi fondamentali, che dànno la chiave alla soluzione più adeguata. Nei convegni seguenti queste questioni formeranno oggetto di relazioni e discussioni speciali.

E primieramente sui metodi di tassazione. In Sicilia è con- dizione normale di quasi tutti i comuni la tassazione sul con- sumo, principalmente sui generi di prima necessità o di carat- tere popolare; le cui due forme principali di cinta daziaria nei comuni chiusi e di dazio sulla piccola rivendita, nei comuni aperti, sotto diversi aspetti gravano ingiustamente e in modo

sproporzionato sulle condizioni finanziarie del lavoratore. I1 dazio sulla piccola rivendita si traduce in un odioso privilegio del nostro produttore e proprietario, il quale costituisce i nove decimi della popolazione possidente di Sicilia; perché è solo il piccolo consumatore, il lavoratore, che non ha prodotti propri e compra a minuto, quegli che paga la tassa da cui è colpito il rivenditore. Le altre forme di tassazione che si usano nei nostri comuni sono spesso irrazionali, angarianti, fissate da chi ha in mano il potere, che non è certo il lavoratore, con senso egoistico e partigiano. Lo stesso foccrtico o tassa di famiglia, riesce nei nostri piccoli comuni, e forse anche nei grandi, una fortissima arma di partito e di basse vendette personali.

Stabifito come principio tributario che paghi più chi più ha. in un giusto sistema progressivo, ed escluse dalla tassazione le entità minime che servano al diretto mantenimento personale del lavoratore; in un regime finanziario equanime e razionale non debbono esser gravati da imposte i consumi popolari, e il lavoro non deve essere colpito. Queste idee generali possono tro- vare il correttivo dei fatti correnti e dei bisogni immediati delle popolazioni, ma stanno a guida e a limite dell'azione dei con- sigli ; i quali dovrebbero rivendicare dallo stato l'abolizione dei dazi di consumo e della piccola rivendita, o almeno modificar voci e tariffe comunali, sì da colpire di preferenza i generi di lusso e quelli che pur dando un gettito sufficiente, non alterano le condizioni del mercato interno sopra alla potenzialità generale.

È superfluo insistere in questi criterii che sono accolti da tutti coloro che guardano le finanze locali anche dal punto di vista dell'equità e della giustizia: solo è da rilevare che in Sicilia si segue un andazzo troppo superficiale o meglio preadamitico in materia di tassazione; gl'istituti borghesi e parassitari si sono sviluppati senza che voci libere si sian levate a vantaggio del popolo, che poi, in momenti di fanatismo e di furore, abbatte, incendia i casotti daziari e tumultua avanti i palazzi municipali. Queste forme patologiche periodiche della esplosione popolare indicano evidentemente il male, al quale sovente per la pressione della piazza si provvede con rimedi affrettati, impari e perfin rovinosi.

Un altro punto interessante in materia di finanza comunale

è la questione della municipalizzazione dei pubblici servizi. In generale da noi si è poco preparati a forme amministrative muni- cipalizzate: l'appalto, la concessione ha per molti meno incon- venienti e sopra tutto meno noie; e l'idea e il nome di munici- palizzazione, sostenuta dai socialisti, quasi quasi fa paura. Non di meno già da parecchi anni e in vari luoghi esistono dei servizi comunali municipalizzati, senza che la novità della parola sia venuta a confermare le paure dei nostri uomini; e la storia del passato ci mostra, benché in modo sporadico, come tale isti- tuto non sia una pretta novità.

In questo accenno io non intendo porre la questione sotto i l punto di vista sociale; ma solamente come mezzo di ricostitu- zione della finanza comunale, per i servizi pubblici produttivi (illuminazione, acqua potabile, tramvie elettriche, mulini, pani- fici); e come mezzo di miglioramento dello stesso servizio pub- blico. Così, pur ammettendo che la municipalizzazione dei pubblici servizi in linea di massima corrisponde alle esigenze sociali del comune, caso per caso si dovrà vedere se di fatto la mu- nicipalizzazione di un dato servizio tornerà più o meno a vantag- gio finanziario del comune, o se questo vantaggio dovrà subordi- narsi all'interesse sociale e al miglioramento del servizio stesso. Tale criterio abbastanza relativo, preserverà da timori infondati e da subitanee vaghezze; mentre l'esperienza c'insegnerà la migliore via da seguire.

I1 terzo problema, anch'esso di notevole importanza, è quello dei consorzi intercomunali, specialmente fra i piccoli comuni rurali vicini, per quelle opere o per quei servizi, che ad ogni singolo comune costerebbero troppo, e che invece, provveden- dovi con consorzi intercomunali (quando sono possibili) coste- rebbero assai meno e darebbero gli stessi vantaggi. Ciò spe- cialmente varrebbe per gli ospedali, i cimiteri, i l servizio d'igiene, e in non pochi casi per l'impianto della luce elettrica, il servizio dei tramwai, delle carrozze, e perfino delle bande musicali. Vero è che questa idea urta troppo, enormemente anzi, contro lo spi- rito campanilistico dei nostri comuni; ma sta proprio qua i l merito di un partito giovane e di una propaganda ben fatta : nello sviluppare, cioè, sempre meglio nell'anima del popolo il senso della civiltà.

E faccio punto: - raccomandare limitazione di spese super- flue, serietà e onestà amministrativa, oculatezza nella scelta del personale, son cose troppo comuni e troppo note, né vale la pena parlarne. I1 nostro partito, sia all'opposizione che al potere, deve portare intiera l'impronta di un partito impersonale, equili- brato, amante sul serio del bene del paese; così potrà acquistar fiducia e progredire.

Con queste idee, che rompono coalizioni interessate, tradi- zioni inveterate, disturbano orientamenti politici e servilità mini- steriali, noi affrontiamo una lotta difficile, odiosa, e sopra tutto impari alle nostre sole forze per ragioni politiche e per poca coesione interna. Eppure la fede nell'avvenire e il coraggio delle grandi imprese non ci manca. Per questo oggi, in questo solenne convegno affermiamo in modo categorico la nostra personalità e il nostro programma; augurando che questa data non resti dimenticata nell'ascensione del partito democratico cristiano d i Sicilia.

Deliberazione e dichiarazione .

del I convegno dei consiglieri cattolici siciliani in ordine al programma municipale

IL 1" CONVEGNO DEI CONSIGLIERI CATTOLICI SICILIANI

tenuto i n Caltanisetta il 5 , 6 , 7 , JVov. 1902 in assemblea generale,

dichiara

la compilazione di un programma municipale proprio, in ordine al quale

aflerma

come concetto fondamentale il principio della vitalità or- ganica del comune, come ente naturale e non artificiale, ante- riore allo stato nella sua genesi, avente

a ) funzione distinta e specificatamente diversa, cbnsdiritti inalienabili, sboccianti dalla natura stessa dell'ente e dai bisogni collettivi dei minori organismi (famiglie e classi) conviventi in unico territorio ;

b) carattere naturalmente e fondamentalmente democratico ; C) finalità etiche e sociali proprie, coordinate al lè finalità

etiche e sociali degli individui e della umana convivenza;

dichiara

che il partito municipale democratico cristiano siciliano è autonomo, libero ed indipendente da qualsiasi altro partito am- ministrativo, da qualsiasi interesse personale, da qualsiasi combi-

nazione partigiana, da ogni vincolo politico; ed ha propria per- sonalità distinta, basata sulle idee informative del programma:

stabilisce ed approva

come base della vita e dell'attività cittadina municipale dei cattolici siciliani il seguente

PROGRAMMA SOCIALE

A) Costituzione del comune.

AUTONOMIA. - 1. Sostenere nei modi legali i diritti dei co- muni riguardo l'autonomia ed il decentramento, contro lo stato assorbente ed accentratore e la burocrazia inceppante ogni sana iniziativa; autonomia e decentramento resi sicuri e vantaggiosi :

a) dai limiti naturali dell'intemento dello stato, per la san- zione giuridica dei diritti inviolabili dei comuni e per la inte- grazione degl'interessi degli stessi nell'armonia degli interessi reali della nazione ;

b) dalla sorveglianza delle autorità giudiziarie, per l'osser- vanza della legge e della procedura legale negli atti ammini- strativi ;

C) dal controllo popolare del referendum nelle questioni di maggior importanza ed interesse;

d) dalle responsabilità civili e penali degli amministratori senza inceppamenti legali, e rendendo attuabile l'istituto della azione popolare,; affinché il comune ritorni nella sua naturale funzione ed abbia intero e garantito l'uso delle sue libertà.

REFERENDUM - 2. Sostenere il diritto popolare del referen- dum generale, sia consultivo che deliberativo, in forma orga- nica, come funzione normale e obbligatoria di vita amministra- tiva, che verta sopra oggetti e deliberazioni di grave Interesse comunale, che riguardino la riforma dei sistemi tributari o forti spese che vincolino i bilanci per molti esercizi; e che sia

limitato alla relativa classe quando si tratti d i interessi ~ r o f e s - sionali specifici.

Proporre nei consigli comunali, l'applicazione del referendum quando per le circostanze locali, per la sufficiente preparazione del corpo elettorale, per la importanza della deliberazione che debba prendersi, possa ritenersi che il referendum possa rap- presentare .un valore pratico ed un mezzo educativo del popolo.

RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE - 3. P r o p u p a r e che venga dal lekislatore introdotta nei consigli comunali la rappresentanza proporzionale nelle forme più possibili, e che indichino un passo vero, certo e sicuro verso la rappresentanza proporzionale di classe.

PROVINCIA - 4. Propugnare, l'abolizione dell'attuale congegno provinciale, le cui funzioni di amministrazione, di interessi inter- comunali e di tutela finanziaria, scolastica e politica sui comuni nei suoi istituti di deputazione provinciale, giunta provinciale amministrativa, consiglio provinciale scolastico, consiglio di pre- fettura e prefetto, non corrispondono alle esigenze della vita e dei rapporti dei comuni fra di loro, intralciano e soffocano lo sviluppo delle attività democratiche, e sono la forza del centra- lismo di stato; - e sostenere quelle relative proposte, che eli- minano tali inconvenienti in modo da far risultare organica e vitale l'azione amministrativa intercomunale, (con razionali cir- coscrizioni territoriali) e libera dalle inframmettenze politiche.

LEGGE E REGOLAMENTO PROVINCIALE E COMUNAiLE - 5. Insistere perché il parlamento urgentemente riveda la legge comunale e provinciale per iniziare le riforme reclamate dalla coscienza dei diritti e delle libertà comunali, dalle esigenze sociali presenti e da un criterio più adeguato di amministrazione, e anche per ovviare a degl'inconvenienti che dall'attuale legge comunale e provinciale sorgono per la vita amministrativa e sociale del co- mune e per la giusta libertà di azione dei corpi consiliari.

Chiedere urgentemente la modificazione del regolamento della legge comunale e provinciale, perché vengano tolte le . disposi-. zioni che, interpretando troppo restrittivamente la legge, meno-

mano le libert,à comunali e intralciano il regolare funzionamento delle amministrazioni.

B) Funzione del comune.

RELIGIONE E MORALE - 6. Concorrere alla educazione reli- giosa, morale e sociale del popolo con le forze di cui dispone l'ente organico collettivo, integrante, specialmente in ciò, il di- ritto familiare; - per cui, riguardo a ciò, non solo non emettere alcun deliberato che violi la sana morale e offenda la religione cattolica; ma nell'ambito dell'azione consiliare e nei rapporti con le autorità ecclesiastiche osservare e continuare le gloriose tradizioni comunali cattoliche dei nostri antenati, allo scopo di promuovere sempre meglio lo sviluppo del senso morale e dello spirito religioso dei membri del comune, secondo le alte finalità etiche del comune.

I n modo speciale, mantenere tutti gli oneri di culto anche facoltativi; fare impartire da persone idonee nelle scuole comu- nali l'insegnamento religioso; - imporre ai dipendenti e appal- tatori dei lavori comunali l'obbligo dell'osservanza del riposo festivo ; - non concedere i teatri comunali per rappresentazione di opere immorali ed oscene ; - non aderire a nessuna pubblica affermazione contraria alla chiesa e al papa, né prestare all'uopo edifici pubblici ; - astenersi dalle votazioni che implichino anche indirettamente il riconoscimento amministrativo di leggi con- trarie a i diritti dei soppressi enti ecclesiastici, o se del caso, ottenere la necessaria autorizzazione; - curare rigorosamente la onestà e religiosità degli insegnanti comunali.

ISTRUZIONE - 7. Dare largo svolgimento alla funzione scola- stica elementare sia per estendere la prima istruzione a tutte le classi sociali; sia per rendere più proficuo l'insegnamento; sia per elevare il grado dell'istruzione tecnica e sociale degli abi- tanti; sia perché davvero la scuola educhi e divenga valido coefficiente di benessere pubblico e formi le coscienze dell'elet- torato oneste e adamantine, capaci di comprendere la portata degli interessi pubblici.

All'uopo combattere l'analfabetismo, specialmente delle no- stre campagne, con scuole sussidiarie, o aprire scuole per adulti;' istituire la refezione scolastica pei fanciulli poveri; - elevare la istruzione tecnico-professionale, concorrendo alle spese o prendendo l'iniziativa per l'apertura di scuole di arti e mestieri e' per l'istituzione di cattedre ambulanti di agricoltura.

Combattere, per rispetto al diritto di famiglia, per la giusta libertà d'insegnamento, per ragioni morali di primissimo ordine, il progetto di avocazione delle scuole elementari allo stato. .

FUNZIONE S O C I ~ E - 8. Sostenere il dovere e il diritto del comune di intervenire come ente organico nel dibattito sulla questione sociale, sia per la funzione sociale che ad esso compete in quanto tale, sia per la funzione di complemento delle classi riunite in uno stesso territorio, sia per la funzione straordinaria che nell'attuale disgregamento delle classi, a cui manca il ricono- scimento giuridico e la ragione di ente, deve esercitare, sosti- tuendo in parte le funzioni giuridico-amministrative delle classi professionali.

Per cui:

a) far sì che i beni rurali demaniali e patrimoniali avvan- taggino sul serio le classi agricole più povere, m~nic i~al izzando dove è possibile le culture e l'acpuisto degli attrezzi agricoli, aiutando la formazione delle cooperative e l'istituto della pic- cola proprietà inalienabile e sostenuta da coefficienti necessari alla produzione ;

b) utilizzare i demani industriali con la municipalizzazione e con altri metodi ritenuti più opportuni al caso, perché diano sviluppo alle industrie ed al lavoro cittadino;

c ) istituire un ufiicio del lavoro secondo i migliori criteii moderni, distinto per classe e con rappresentanze proporzionali, che abbia i l compito di tutela delle classi lavoratrici nella disoc- cupazione, negli scioperi ; promuova il miglioramento dell'indu- stria e dell'agricoltura; appoggi il movimento cooperativo delle classi artigiane e rurali, la istituzione dei magazzini di depositi e lo sviluppo del credito agrario ; raccolga le notizie interessanti sul movimento del lavoro nelle città e nel circondario e dia il

suo parere nella proposta d i nuove tasse o nella modifica di antiche da discutersi in consiglio;

d ) introdurre nelle clausole contrattuali dei lavori pubblici i l minimo di salario ed il massimo delle ore di lavoro ; e cercare negli appalti comunali di limitare per quanto possibile i tristi effetti di una sfrenata concorrenza dannosa ai lavoratori e. spesso rovinosa per i l comune, i cui lavori vengono necessariamente eseguiti male; e fare che tutto il-personale di servizio del co- mune abbia eque rimunerazioni e regolare pensione d i riposo.

COMUNE RURALE - 9. Sostenere il concetto della funzione organica specifica del comune rurale, come ente che ha carattere e natura propria i n rapporto ai problemi e alla educazione agri- cola della popolazione, avviandolo agli scopi naturali e logici di esso, come proprietario di terre e come regolatore dei patti agrari, con la funzione di classe professionale agricola e di arti- gianato agricolo.

I IIVTERESSI SICILIANI - 10. Sostenere e difendere i giusti inte- ressi siciliani materiali e morali, in modo organico, promovendo le giuste rivendicazioni regionali delle nostre popolazioni, lun- gamente ed ingiustamente dimenticate o posposte dal potere centrale, ed iniziando agitazioni legali permanenti in tutta l'isola,

t

in modo da far pressione sul governo e sul parlamento.

C) Criteri d i finanza e amministrazione.

FINANZA - 11. Curare con metodi rigorosi e con ampi criteri sociali moderni l'a finanza comunale; per cui si propongono le seguenti norme e indirizzi generali :

wll'attivo

a) consolidare, per quanto è possibile, nell'amministrazione dei beni patrimoniali rurali le entrate, sì che da una parte si accerti quello che spetta alla funzione del fattore terra, secondo il concetto cristiano della proprietà; e dall'altra si combattano i monopoli dei grandi affittuari terrieri, che sogliono essere i

parassiti dei comuni e sogliono tener bassi i prezzi di fitto; e rivendicare con tutti i mezzi i tradizionali usurpi dei beni rura- l i comunali;

b) tenere nella tassazione fisse le seguenti norme: che paghi più chi ha, con un concetto razionalmente progressivo, esclu- dendo le quote minime che servono a1 giusto mantenimento personale e familiare ; - che non siano gravati i consumi popo- lari e necessari, e che non sia colpito il lavoro in quanto tale; - che si abbia di mira la razionale e graduale abolizione dei dazi di consumo, e che le attuali voci e tariffe siano tali da gra- vare di più i generi di lusso e i manufatti che fanno concorrenza al lavoro cittadino; - che nei comuni aperti venga urgente- mente sostituita la tassa della piccola rivendita che colpisce il commercio minuto ed il consumo popolare, lasciando immuni i grossi produttori e rivenditori, con un'altra più equa e gene- rale sulla produzione cittadina;

c) respingere in linea di massima ogni prestito nuovo che non sia impiegato per opere continuamente rimunerative per la cittadinanza o per l'ente, o che urgentissimi e gravissimi biso- gni non richiedano;

d) sostenere la municipalizzazione dei pubblici esercizi non solo in ordine a criteri sociali e amministrativi, ma anche in ordine a criteri finanziari, per potere trarre dai servizi muni- cipalizzati remunerativi quegli utili che o sostituiranno le tasse più gravose e più fiscali, o torneranno come rifluimento econo- mico agli appartenenti al comune sotto forma di minore tassa per l'uso personale o collettivo dell'oggetto del servizio pubblico, o saranno destinati a nuove opere pubbliche di notevole utilità ;

nel passivo

a) spese obbligatorie: restringere nei limiti del possibile gli stanziamenti d i spese imposte per legge, quando non corrispon- . dano ad effettiva utilità comune;

b) spese facoltative: restringere a1 limite minimo le spese di lusso, e quelle che non riguardano oggetti di interesse popolare; estendere per quanto è possibile le spese per oggetti di indole sociale e di beneficienza pubblica quali uffici di lavoro, ospe- dali, ricoveri per inabili al lavoro, case operaie, ecc.;

c ) migliorare i servizi pubblici, adottando la municipalizza- zione di essi con la formazione autonoma di corpi amministra- tivi speciali e indipendenti dall'influenza dei partiti locali e della politica ;

d) promuovere e costituire dei consorzi intercomunali, spe- cialmente fra i piccoli comuni rurali vicini, per quelle opere e quei servizi pubblici che potranno a forze riunite riuscire di minore spesa per ogni singolo bilancio e di maggiore utilità comune, come ospedali, strade, cimiteri, servizio di igiene, ecc.

AMMINISTRAZIONE - 12. Stabilire come rigorosi criteri amministrativi :

a) osservare le norme e le procedure amministrative, i rego- lamenti particolari, senza transigere né tentennare; e controllare attivamente l'operato delle giunte amministrative, delle ammi- nistrazioni dei servizi municipalizzati, delle congregazioni di carità, degli enti pii comunali e che in qualsiasi modo dipendono o vengono sussidiati dal comune;

b) curare che nella nomina agli uffici amministrativi si osservi il criterio di votare per persone di provata onestà e fiducia, e fare tutte le nomine degli impiegati per concorso, affinché si abbia personale abile, si tolga il favoritismo e si premi il merito ;

C ) fare rigorosa revisione dei bilanci consuntivi, e formare i bilanci preventivi su dati certi e sicuri e non su cifre fittizie che nascondono molte falle ; d) curare la scrupolosa ed esatta regolarizzazione dei residui

attivi e passivi che ingombrano i bilanci; e) stabilire che gli appalti per lavori comunali si facciano a

schede segrete, onde evitare la sfrenata concorrenza che dan- neggia il comune ed il lavorante; e che nei lavori divisibili si faccia al concessionario l'obbligo di piccoli scandagli, sia per un saggio criterio amministrativo, sia per agevolare il piccolo lavoratore ;

f ) impedire che la vita amministrativa divenga o si mantenga piattaforma elettorale politica o esplicazione di favoritismi per- sonali e di vendette di famiglia, e combattere con tutti i mezzi qualsiasi infiltrazione di influsso politico o qualunque servilismo ai prefetti e sottoprefetti e deputati spadroneggianti nei municipi.

In rapporto a questo programma municipale

I L l" CONVEGNO CONSIGLIERI CATTOLICI S I C I L I A N I

delibera :

1" di far larga propaganda dei principi informatori e delle diverse disposizioni di questo programma, per rendere edotto e cosciente l'elettorato ;

2" di aderire a tutti quei movimenti legali, iniziati anche da altri partiti, che riguardino le autonomie e le libertà comunali; e specificatamente d i aderire all'Associazione dei comuni Italiani ;

3" di iniziare i lavori per promuovere !a Lega dei comuni sici- liani per la difesa e tutela degli interessi regionali;

4" di promuovere nei consigli comunali voti e deliberazioni rivendicanti le libertà e le autonomie comunali, da trasmet- tersi al potere centrale, e di adesione all'Associazione dei co- muni d'Italia, nella quale è necessario affermare le nostre idea- lità in norme del partito democratico cristiano e concorrere alla rivendicazione di diritti così importanti e necessari per la vita municipale ;

5" di promuovere un'inchiesta fra gli studiosi sia riguardo alle condizioni attuali delle provincie, sia riguardo alle proposte possibili di riforma, per portare al 2" convegno dei consiglieri cattolici siciliani un materiale sufficiente a intraprendere una

. ampia discussione sull'argomento. 6" di promuovere un'inchiesta sulle condizioni finanziarie,

amministrative e sociali dei comuni, e principalmente sui sistemi d'imposte e sulle condizioni dei comuni rurali.

SCRITTI RELATIVI ALL'ASSOCIAZIONE

DEI COMUNI ITALIANI (1904 - 1918)

SULLA PARTECIPAZIONE AL IV CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE COMUNI ITALIANI (*)

I giornali danno la notizia, u n po' laconicamente, della data del congresso dei comuni italiani, che avrà luogo in Napoli il 17, 18 e 19 del dicembre presente mese, e temo che anche i l IV con- gresso non sia stato preparato, per la semplice ragione che non si è provveduto i n tempo a far aderire i comuni all'Associazione nazionale, né le minoranze hanno affermato i l loro diritto di rap-

presentanza (secondo l'ultimo deliberato di Roma); né oggi si

pensa di aderire al congresso e di intemenirvi; anche perché, come al solito, sono sconosciute le date, le agevolazioni, e più che altro è trascurato il dovere di concorrere con le nostre forze al vantaggio dei nostri comuni, e di rappresentare e affermare i l . partito cattolico.

Sento dunque i l dovere di richiamare l'attenzione dei col- leghi sopra un fatto importante nella vita civile dei nostri co-

muni , .per la rivendicazione di quelle autonomie, che sono la

base delle nostre attività sociali e amministrative degli enti locali,

per quella giusta lotta contro lo stato invasore e accentratore,

che ha aduggiato col suo solo intervento ogni più sana e libera

iniziativa municipale.

Ricordo ai consiglieri comunali cattolici siciliani che è loro compito urgente, in nome nei nostri principji e dei nostri deli- berati

1. promuovere le adesioni dei consigli comunali all'Associa-

(*) Circolare ai consiglieri comunali cattolici di Sicilia.

zione nazionale dei comuni italiani, o almeno al I V congresso che sarà tenuto a Napoli il 17, 18 e 19 dicembre c.m.

2. qualora la maggioranza consiliare neghi l'adesione, pro- muovere l'adesione della minoranza e delegare il rappresentante ;

3. fare conoscere a quanti è possibile l'importanza del pros- simo congresso e fare propaganda per l'autonomia comunale.

Infine prego tutti a dare dettagliato rapporto della loro azione sul riguardo a questo centro direttivo.

Con ogni stima.

Caltagirone, lo dicembre 1904. I1 presidente Luigi Sturzo

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 4 dicembre 1904)

IL CONGRESSO DI NAPOLI E L'AUTONOMIA COMUNALE DEL MEZZOGIORNO

In carattere testino e senza tanti rumori è stato annunziato dai giornali che il IV congresso dell'Associazione dei comuni italiani sarà tenuto a Napoli i l 17, 18 e 19 dicembre. La tattica è simile a quella dell'anno scorso : la cosa va assumendo l'aspetto quasi settario: gli adepti, o meglio, coloro che hanno monopo- lizzato l'Associazione sono e promotori e organizzatori e oratori e votanti ed eletti. E la bella iniziativa, per istinto settario, si va riducendo a una chiesuola, nella quale si soddisfano le ten- denze di parte e le ambizioncelle personali, senza che nulla di reale si produca nella vita.

La bandiera per l'autonomia comunale da nessun'altra asso- ciazione nazionale era stata assunta, tranne parecchi voti pla- tonici dei congressi cattolici di un tempo ; perciò la novella Asso- ciàzione, benché promossa da radicali e socialisti, aveva avanti a sé un avvenire Importante, si da pesare nella vita della na- zione. Vero è che non mancarono gravi diffidenze, proprio per L'origine d i partito, che l'Associazione ebbe come una specie

di peccato originale; e certo gli uomini messi a capo all'istitu- zione, non diedero mostra di quella equanimità e di quell'equi- librio che dovea servire a conciliare uomini di tendenze opposte e contrarie, che rappresentano tutti i comuni italiani.

Dall'altra parte la stessa bandiera dell'autonomia, intesa in diversi sensi, e l'antipatia del governo verso l'Associazione, hanno reso titubanti molti consigli comunali ad aderirvi, e l'apa- tia normale della nostra razza, la poca propaganda, la poca coscienza hanno fatto i l resto: L'Associazione non ha progredito ; o meglio, non ha avuto vero sviluppo.

Se questa è la diagnosi della malattia interna dell'Associa- zione, c'è di peggio se si guarda alla sua opera esterna e alla sua influenza nella vita parlamentare. I comuni e lo stato sono due organismi che si combattono, e non da ora, sul terreno della propria competenza: però sotto lo stato moderno la lotta è dive- nuta impari; una legge può rompere tradizioni inveterate; una circolare ministeriale scombussola amministrazioni ; un capriccio del prefetto rovina splendide iniziative. I1 comune è impari a resistere ;.subisce; ed ha subito per tanti anni, anche perché la concezione panstatale ha informato la vita pubblica per più di

., mezzo secolo come un dogma immutabile. Quando si pensò alla riscossa dei comuni, si credette maturo

il tempo delle rivendicazioni comunali; e la concordia di uomini di diversa parte nel programma dell'autonomia fece per lo meno concepire la speranza che tali idee dovessero trovare tosto un terreno fecondo.

In quattro anni però non sembra che l'idea abbia percorso un vero cammino in avanti: il parlamento ha votato leggi come quella dei sanitari, della municipalizzazione, delle pensioni deg17impiegati di segreteria, senza che vi si noti un accenno, un segno, una qualsiasi accidentale modifica dello spirito riforma- tore delle leggi a favore del programma autonomista. La stessa legge della municipalizzaziom, se vuo17essere un'affermazione del diritto comunale di gestire direttamente le aziende proprie (cosa del resto non nuova nella vita dei comuni) riesce nella pratica piena di così noiosi impacci e vincoli, che quasi si desi- dera che non fosse mai stata votata.

In tutta questa continua invasione del potere centrale nelle

ragioni dei comuni, l'Associazione si è fatta poco viva a formare un pensiero e a destare un'agitazione legale valida nella naziong e l e proposte dei congressi sono state dimenticate anche dagli stessi proponenti.

Certo che il voto proposto lo scorso anno di cancellare aucto- ritate propria da parte dei consigli, dai bilanci comunali del 1905 le spese di indole governativa che gravano sulle smunte aziende municipali ogni volta che i l governo non avesse provve- duto con una legge, poteva sembrare, anzi sembrò addirittura radicale e rivoluzionario; ma restò voto, con l'aggravante che non si crederà più alle affermazioni solenni di un congresso. Ma non c'è solo questo di cui lamentarsi;. nessuno dei deputati e senatori che fan parte dell'Associazione ha per conto suo preso I'iniziativa di proposte di legge rispondenti ai voti dei con- gressi e a i bisogni dei comuni. Sarà stato ciò per inerzia o per vigliaccheria, certo non è lodevole.

Con questi precedenti arriviamo al IV congresso che sarà tenuto a Napoli.

Ricordo che nel congresso di Roma dello scorso anno si battagliò a lungo sulla sede del futuro congresso: i socialisti vo- levano Bologna a tutti i costi e pour cause: Bologna allora era nelle mani dei radicali ed era per loro un punto strategie0 per avere molti rappresentanti dell'estrema municipale. Prevalse invece la proposta di Napoli, sostenuta dai liberali e dai cattolici con argomenti che non ammettevano replica: il dovere di far propaganda nel sud, ancora così servilmente governativo, così poco interessato alle rivendicazioni dell'autonomia comunale. E fu scelta Napoli.

Io non so quanta preparazione vi sia perché il sud-Italia partecipi e s'interessi del congresso; e ho creduto mio dovere (come presidente dell'Associazione dei consiglieri cattolici sici- liani) di fare appello ai miei colleghi perché inducano i comuni, dei quali sono consiglieri, ad aderire all'Associazione dei co- muni italiani e a mandare un rappresentante al congresso di Napoli. E se la mia umile parola può trovare eco da queste co- lonne dell'ora, ripeto i l mio pensiero, che credo debba rispon- dere a l pensiero di quanti s'interessano dei problemi più vitali della nostra vita nazionale.

Io penso che un'Associazione dei comuni italiani per la rivendicazione dei propri diritti contro le invadenze dello stato sia opportuna e necessaria; tale associazione però, perché possa vantare il diritto a esistere, non deve assumere un carattere po- litico ma deve far convergere le energie di tutti i partiti nel programma eminentemente municipale.

È quindi necessario che vi possano trovar posto tutti i par- titi (perché tutti i partiti sono nelle amministrazioni comunali d'Italia, dal moderato, al cattolico, al radicale, al socialista) aderendo al programma delle autonomie comunali e accettan- done i mezzi pratici e idonei di rivendicazione.

È perciò necessario che anche i liberali e i cattolici entrino a far parte dell'Associazione e vi portino il loro contingente di.

idee e di forze, e contribuiscabo a render popolare un pro- gramma di vita per i nostri comuni. Tutti si è d'accordo . . quando si censurano i ceppi che lo stato ha messo ai comuni, ma non si ha il coraggio di insorgere e di - rivendicare quelle libertà che ci sono necessarie, e che sono un diritto, pur con quelle garanzie che rendono opportuno e duraturo l'esercizio stesso delle libertà comunali.

I1 male principale di questo stato di cose che autorizza qual- siasi sopraffazione, si è che i. nostri comuni sono spesso la piat- taforma politica dei nostri deputati; i quali sfruttano a vantag- gio loro e del governo centrale quello stato di servitù nel quale sono costretti i municipi in forza di leggi e di organismi che premono su tutte le condizioni delle amministrazioni locali, ridotti, quasi, a semplici enti burocratici. La irresponsabilità degli amministratori, le cricche e le maggioranze sfruttatrici si adagiano bene all'ombra delle casse dei comuni, ripetendo quel che avviene nei ministeri e negli uffici governativi, con vantag- gio di tutti i succhioni di questo mondo, sicuri dell'impunità.

Ci sarebbe da scoraggiarsi nella lotta per l'onestà e la since- rità nella vita comunale, se di tanto in tanto non s'incontrasse della gente onesta e leale, e se l'ideale delle rivendicazioni non sorreggesse gli sforzi dei generosi.

E perciò urgente che si ripigli nella sua portata il program- ma delle autonomie comunali, che si pervada l'Associazione dei comuni, portandovi un po' di energie nuove e sincere, e che si

inizi sul serio la lotta contro lo stato, che sembra non voglia ascoltare la voce. di coloro che rappresentano le vit t ime di u n ordinamento impossibile e oltremodo gravoso e inghsto .

Noi siciliani, facili a destarci nell'entusiasmo delle grandi idee , dobbiamo essere i primi a partecipare al congresso e ad af fermare i nostri diritti e la nostra forza.

(L'Ora, Palermo, 11 dicembre 1904).

I L IV CONGRESSO DEI COMUNI ITALIANI A NAPOLI

11 17, 18, 19, c.m. è stato tenuto a Napoli i l IV congresso dei comuni italiani, con l'intervento d i molti rappresentanti, e l'ade- sione d i circa tremila comuni. I l nostro comune d i Caltagirone veniva rappresentato dal sac. Luigi s tur i0 i n forza della delega avuta per i congressi d i Messina e Roma, essendovi attualmente i l regio commissario, le cui funzioni non sono riconosciute dal- I'Associazione dei comuni.

Altri sei democratici cristiani han partecipato al congresso, cioè il dr . Itlicheli, dort M . Sclafani, don ComonceWi, Cappelli, D9Addurio e Milano.

La lotta fra l'antica maggioranza d i socialisti e repubblicani e l'elemento liberale si manifestò subito sin dalle prime discus- s ioni; però arbitri della situazione furono i democratici cristiani e i radicali, che trascinarono con sé liberali moderati, swnfig- g e d socialisti e repubblicani.

Ta le vittoria portò sino al trionfo della lista concorciata, nella quale furolno eletti il sac. L . Sturzo e i l dr. Micheli d.c., e il comm. P. Niccolini clerico-moderato.

Sul riguardo ripubblichiamo il seguente articolo del sac. Luigi Sturzo pubblicato sull'0ra d i Palermo d i ieri, che può dirsi u n vero studio sullo spirito del congresso.

Alcune considerazioni postume sul I V congresso dei comuni italiani, ora chiuso a Napoli, forse non sono fuori luogo, come è

parso alla generalità dei giornali italiani che si sono occupati, con qualche telegramma di accenno, del congresso.

Bisogna confessare che la nessuna preparazione del con- gresso ha fatto sì che pochi si siano accorti di questa annuale

riunione dei rappresentanti dei municipi d'Italia, consociati al nobile scopo della conquista delle autonomie comunali. Quasi quasi, neppure se ne è accorta Napoli stessa che ci ha ospitati;

tale ambiente di indifferenza è stato formato attorno alla vita d i una delle più nobili associazioni esistenti in Italia.

La cosa non è del tutto inspiegabile, dati alcuni coefficienti

specifici, ai quali io accennavo in un mio precedente articolo sull'ora; cioè la diffidenza di molti comuni a entrare in un'as- sociazione promossa e diretta da radicali e socialisti; la paura

di una lotta contro lo stato violatore dei diritti dei comuni; la sfiducia d i pratici risultati, mentre il governo continua la sua via di oppressione della vita comunale, sia amministrativa-

mente, sia finanziariamente. A ciò si aggiunga, che, proprio nei giorni nei quali a Napoli

si è tenuto il congresso per le autonomie comunali, a Roma, in

parlamento, si discuteva (strana coincidenza) la legge sull'au- mento degli agenti di pubblica sicurezza, che graverà per parecchi milioni sulle esauste finanze comunali, mentre si tratta di ser-

vizi pubblici inerenti alla funzione dello stato. Perciò il governo non voleva tanto rumore; la agenzia Ste-

fani ha fatto il servizio peggiore possibile; i giornali di Napoli

hanno impastato resoconti indecifrabili; la stampa liberale è stata poco rappresentata al congresso; solo giornali cattolici e socialisti hanno avuto un servizio più discreto.

Così avviene che la nazione non sa quel che si sia fatto al

congresso dei comuni, e quale eco debba avere questo congresso nella vita nazionale e comunale del paese.

É perciò che, invitato da codesta redazione dell'ora, mi sono persuaso a mandar questo articolo, quantunque in parte riguardi l'opera mia e dei miei amici.

Accennata ai congressi di Parma e Messina e assai di più al congresso di Roma, è tornata, a Napoli, la questione dell'indi-

rizzo dell'Associazione dei comuni italiani, a proposito della rela- zione morale e finanziaria del consiglio direttivo.

Liberali, costituzionali e democratici cristiani hanno rilevato come la diffidenza di molti comuni a entrare nell'associazione sia nata dal fatto che questa è stata promossa o diretta in maggio- ranza dai partiti estremi, i quali nei congressi precedenti han preso un atteggiamento politico, se non nei deliberati, certo nella discussione e nello spirito che l'ha animata. La qual cosa è tornata a danno dell'Associazione stessa, che non ha potuto fin oggi spiegare una vera vita né estendere la sua attività, né ha potuto impedire o attenuare l'atteggiamento del governo, che continua nel sistema di oppressione e di servitù dei comuni.

Su questo importante e vitale argomento si svolse la discus- sione del primo giorno del congresso, nel seno del quale si formarono subito due correnti : una sostenuta efficacemente dai democratici cristiani per i l carattere apolitico dell'Associazione, l'altra dai socialisti (con a capo gli onorevoli Dugoni e Gaudenzi), p e r u n atteggiamento politico orientato verso l'estrema sinistra.

È la stessa questione sorta pure nei congressi degli insegnanti secondari e dei maestri delle scuole elementari.

I socialisti dicono: volete l'autonomia comunale? volete lo sgravio dei bilanci comunali dalle spese di pertinenza dello stato? Bisogna premere sulla vita politica. Ora nessun partito che non siano i partiti estremi ha questo programma: dunque è sui par- titi estremi che bisogna contare. A questi bisogna appoggiare l'Associazione dei comuni.

I1 ragionamento ha un lato di verità che risulta dal fatto che pochi sono i deputati di parte liberale che siano favorevoli e. che accettino il programma delle autonomie comunali.

Però, bisogna aggiungere che non vi è sufficiente prepara- zione nello spirito pubblico per una compenetrazione delle libertà comunali; per cui non si sono ancora rimossi molti pre- giudizi che il liberalismo sistematico ha accumulato sulla libertà della vita locale.

Ma ciò non obbliga a dare all'Associazione dei comuni un c'olore politico d i partito, cosa che allontana la gran maggio- ranza dei comuni dall'entrare nella presente agitazione. Solo rende necessaria la propaganda presso tutti i partiti, perché

tutti si interessino delle urgenti rivendicazioni della vita cittadina. Sicché, tolto l'ostacolo delle diffidenze di partito, i l congresso

ha tentato di trovare una formula nella quale tutti dovesséro convenire.

La formula sostenuta dai liberali, dai democratici cristiani e dai radicali, fu che l'Associazione dei comuni italiani esclude da sé qualsiasi tendenza di speciale partito politico; appoggia però quei deputati che accettano di sostenere il programma delle autonomie comunali. Sembrò per un momento che anche i so- cialisti e i repubblicani accettassero tale ordine di idee, però, al momento della votazione, si astennero.

Per chi sa quanti sforzi ci sian voluti in tre anni di vita di questa associazione per arrivare a questo voto, e per chi com- preiide come si trattasse addirittura di vita o di morte di tale nobile associazione, dovrà esser lieto di questo primo risultato del congresso di Napoli, che, al riguardo ha preso u n atteg- giamento diverso dai congressi precedenti, ed ha tolto ogni motivo di diffidenza e di ostilità.

La seconda questione di gravissima importanza era sull'atteg- giamento da assumere da parte dei comuni italiani d i fronte a l governo, che, sin oggi, non solo non ha sgravato i bilanci comu- nali delle spese pertinenti allo stato, ma, anzi, ha aggiunto il resto con l'ultima legge sull'aumento del personale di pubblica sicurezza.

Premetto che nel congresso di Roma si era deliberato che se i l governo non avesse entro i l 1904 sgravati i comuni delle spese giudiziarie e di pubblica sicurezza, i consigli dei comuni consociati avrebbero dovuto cancellare dai bilanci tali spese ingaggiando la lotta contro l e giunte provinciali amministrative.

Difatti circa 20 comuni hanno eseguito il deliberato di Roma ; gli altri non ancora. Ciò premesso, i l congresso di Napoli doveva pronunziarsi sull'atteggiamento da prendersi da parte dei co- muni d'Italia in questa lotta contro lo stato.

Socialisti e repubblicani furono subito per le dimissioni in massa dei consigli comunali ogni volta che le giunte provin- ciali amministrative (come è da prevedersi) inserivano di ufficio le spese di pertinenza dello stato nei bilanci comunali dai quali sono state tolte; e di fare obbligo agli altri comuni che non lo

avessero fatto, di radiare tosto tali spese e essere solidali nelle lotte e nelle dimissioni generali.

I rappresentanti di parte liberale invece non solo si mostra- vano contrari alle dimissioni dei consigli comunali, ma anche in parte contrari alla cancellazione tout court di tali spese.

Radicali e democratici cristiani tentarono una via intermedia. Riconoscendo che prima di questa specie di sciopero di comuni sia opportuno sperimentare tutte le vie legali, si propose che sia formulata una petizione al parlamento affinché i comuni siano sgravati di tali spese ; che tale petizione sia votata da tuttti i consigli comunali e da questi passata ai deputati del collegio cui appartengono, con l'impegno di sostenerla al parlamento; che i comuni che hanno radiata la spesa continuino la lotta, alla quale l'Associazione dà il suo plauso e i l suo appoggio, e che per i provvedimenti definitivi venga indetto un congresso a Firenze, entro aprile, invitandovi tutti i comuni italiani, iscritti o no all'associazione. .

I liberali, dopo lunga discussione, accettarono quest'ordine di idee, sostenuto anche dal consiglio direttivo, del quale eran- presenti oltre due radicali, un repubblicano e un socialista; ma socialisti e repubblicani presentarono un altro ordine del giorno che deliberava le dimissioni in massa; ordine del giorno che fu respinto con 36 voti contro 25; e fu invece approvato quello accettato dal consiglio direttivo con 33 voti, 22 astenuti e 1 contrario.

Con questa seconda votazione, gli umori del congresso e della maggioranza di esso eran palesi; e l'ultima lotta per la nomina del consiglio direttivo, non ostante gli sforzi dei socialisti, diede esito favorevole ai liberali, uniti ai democratici cristiani e ai radicali, entrando i repubblicani e i socialisti in minoranza, mentre dalla fondazione dell'Associazione, fino a ieri, erano stati in maggioranza.

Così il nuovo consiglio è formato da una maggioranza di quattro liberali, tre radicali, due democratici cristiani e uno cle- rico-moderato; e da una minoranza di tre socialisti e due repubblicani.

In esso, adunque, tutti i partiti sono rappresentati, in una razionale contemperanza; affinché tutti i comuni facciano parte

di questa Associazione, che ha il nobile ideale di rivendicare le libertà comunali, che rappresentano la più bella storia e le più gloriose tradizioni della nostra Italia.

I1 congresso di Napoli, trascurato dalla stampa del paese, avrà reso il miglior servizio all'avvenire di questa agitazione, se arriverà, per i suoi deliberati, a dissipare dalla mente di molti sindaci e consiglieri comunali d'Italia che non si tratta di opera di partito, di un organismo affiliato ai partiti estremi, ma di un movimento nel quale tutti i partiti devono trovarsi d'ac- cordo, nella rigenerazione morale ed economica deila nostra vita municipale, inquinata da tutto un sistema di infiltrazioni politiche, di gravami statali, di irresponsabilità, di corruzione.

'

( L a Croce di Costmtino, Caltagirone, 25 dicembre 1904).

LE SPESE DEI COMUNI DI PERTINENZA DELLO STATO

In questo momento in cui la stampa è preoccupata della crisi ministeriale, della guerra russo-giapponese e del processo Murri, l'avviso di convocazione di un congresso dei comuni ita- liani può passare sotto silenzio. Del resto, non si sa perché, è la sorte riservata ai congressi dei comuni italiani, che si succe- dono da vari anni, i quali lasczano sempre indifferente la nostra stampa, di qualsiasi colore, tanto che il paese non si accorge affatto di un movimento che dovrebbe essere preso sul serio da quanti sentono il bisogno di un risanamento fondamentale nella vita delle amministradoni locali.

È perciò che richiamo l'attenzione della stampa, specialmen- te siciliana, perchè insista sull'importanza del prossimo con- gresso dei comuni italiani , che si terrà a Firenze i l 25-26 di questo mese, incitando i rappresentanti dei nostri comuni di Sicilia a prendervi parte con regolare rappresentanza, destando nel nostro ambiente quella fiducia e quell'ardore che sono ne- cessari per vincere cause nobili e per formare la coscienza dei diritti dell'autonomia comunale.

Non è da ora che i comuni italiani, così oberati da debiti,

così vincolati nei loro bilanci, assottigliati da un lento e progre- diente usurpo che lo stato ha perpetrato a danno della finanza locale, reclamano lo sgravio di quelle spese che o sono d i perti- nenza dello stato (come le spese giudiziarie o quelle di polizia) ed altre, che sommano a circa 20 milioni l'anno.

Dopo varie vicende parlamentari, che non vale la pena rife- rire, nel 1888, nella nuova legge comunale e provinciale, fu mes- so un articolo (79 della legge e 272 del testo unico, approvato con R. decreto del 10 febbraio del 1889) - col quale venivano esonerati i comuni di un gruppo di spese di pertinenza dello stato. L'articolo in parola diceva così:

art. 272 - Cessano di far parte delle spese poste a carico (C dei comuni e delle provincie dal lo gennaio 1893:

(C a) le spese del mobilio destinato all'uso degli uffici di pre- fettura e sottoprefettura, dei prefetti e sottoprefetti;

C( b) le spese ordinate dal R. decreto 6 dicembre 1865, n. 2628, sull'ordinamento giudiziario ;

C) le spese ordinate dalla legge 23 dicembre 1875, n. 3839: per le indennità d i alloggio ai pretori;

d) le spese ordinate dalla legge 20 marzo 1865, allegato B, sulla pubblica sicurezza, relativa al personale e casermaggio delle guardie di ~ u b b l i c a sicurezza, come pure le spese rela- tive alle guardie di pubblica sicurezza a cavallo, poste a carico

a dei comuni di Sicilia; « e) le spese di casermaggio dei reali carabinieri;

f) le spese relative alla ispezione delle scuole elementari; g) le spese delle pensioni, agli allievi e alle allieve delle

(C scuole normali, attualmente a carico della provincia in forza dell'art. 203, n. 13 M.

Questo articolo di legge veniva a riparare in parte l'ingiu- stizia -che i governi italiani avevano commesso a danno - dei co- muni e delle provincie, alle quali da una mano toglievano molti introiti, trasportandoli a vantaggio dello stato, come quello sulla ricchezza mobile, e sulle quali con l'altra mano facevano gravare oneri che di loro natura appartengono allo stato.

Però, quell'atto di giustizia fu un lieve moment.0 di respi-

scienza; le condizioni non liete dei bilanci dello stato (come se quelle dei comuni e delle provincie fossero state e fossero liete) fecero tornare i l governo sui passi fatti, e dopo molto tenten- nare, lo sgravio deliberato per legge organica dello stato, da incominciare i l lo gennaio 1893, fu il 3 luglio 1892 prorogato gradualmente per l'anno 1894 per quanto riguardava le spese scolastiche; nel 1895, per quanto riguardava le spese di mobilio e di alloggio delle prefetture, sottoprefetture, prefetti, sottopre- fetti e pretori ; nel 1896, per quanto riguardava le spese di caser- maggio dei reali carabinieri e delle guardie di pubblica sicu- rezza; per 1897, per quanto riguardava le spese per l'ordina- mento giudiziario.

Ma neppure questa dilazione bastò al governo; che il 21 febbraio 1894 proponeva una nuova proroga a tempo indeter- minato col seguente articolo, che nel luglio 1894 diveniva legge:

« L'esecuzione dell'art. 272 del testo unico della legge co- munale e provinciale del 10 febbraio 1889, n. 5921, è sospesa fino a nuova disposizione legislativa.

« La legge 3 luglio 1892, n. 322, presente la sostituzione de! presente articolo (sic) è abrogata 1).

Così fu messa la pietra sepolcrale ad un atto legislativo che, per caso forse, rendeva giustizia ai comuni.

Sono intanto passati circa undici anni ; le condizioni del bilancio dello stato sono notevolmente migliorate, tanto che nel bilancio consuntivo del 1902-03 si sono avuti 69 milioni di avanzo; e in quello 1903-04 si è arrivati a più dei 34 milion, circa previsti; le condizioni dei bilanci dei comuni invece sono peggiorate sensibilmente, tanto che i debiti dei comuni dal 1894 al 1900 sono saliti da 1.195.880.060 a 1.240.000.000; eppure la provvida legge è tuttavia sospesa, aspettando la nuova dispo- sizione legislativa, d i cui nella legge del 22 luglio 1894.

Questo lo stato della questione, sulla quale 1'Associazione dei comuni italiani, tanto benemerita dei diritti locali, ha richiamato l'attenzione dei consigli comunali, e di tutti i citta- dini italiani, perché si destino dal loro torpore, si facciano vivi .

presso il governo, perché, finalmente, ,quantunque tardi, la giu- stizia arrivi.

A Roma, nel novembre del 1903, il congresso dei comuni italiani stabilì un termine perentorio, entro il quale il governo doveva proporre la invocata disposizione legislativa per libe- rare di tali spese i bilanci comunali; dopo il quale termine, cioè l'anno 1904, i consigli comunali, se non si fosse provvedutr? dovevano cancellare, addirittura, tali spese dal bilancio, affret- tando la lotta contro il governo, fino ad arrivare alle dimissioni in massa.

Difatti, fino al novembre scorso, non ostante molte promesse, i l governo d'Italia non aveva fatto nulla, e quindi i comuni dovevano procedere oltre, ed affrontare la lotta. E un buon numero di comuni, come quello di Catania e di Ravenna, hanno nei bilanci del 1905 cancellato tali spese, che certo le giunte provinciali amministrative iscriveranno di ufficio nei bilanci dei comuni riottosi.

E venne il congresso di Napoli del dicembre ultimo scorso. Ivi dovevano pigliarsi delle deliberazioni decisive in ordine al contegno da tenere da parte dei comuni verso il governo, che non solo non accoglieva la petizione di sgravio, ma proprio in quei giorni continuava nel sistema di sfruttamento, facendo gravare sui comuni ancora di più le spese di polizia con la legge per l'aumento delle guardie di pubblica sicurezza e dei carabinieri.

A Napoli però non si credette opportuno affrontare il proble- ma, perché si era in troppo pochi a rappresentare i comuni d i Italia, nè vi era stata una preparazione sufficiente nella pubbli- ca opinione, da rendere accette le mosse ardue di una dimis- sione in massa dei consigli comunali, quante volte i l governo insistesse a mantenere la legge del 1894 a danno dei comuni.

Allora fu deliberato di tenere a breve distanza un altro con- gresso nazionale, a Firenze, al solo scopo di deliberare sui mezzi decisivi per ottenere i voluti sgravi, che rappresentano un di- ritto elementare di giustizia. E il congresso di Firenze fra pochi giorni avrà luogo. È necessario pertanto che tutti i comuni d'Ita- lia sentano la voce d i questa associazione, così benemerita di una causa santa, che partecipino al congresso, che ne accettino i deliberati e l i metta,no in pratica.

Molti sono scettici sulla praticità di simili congressi, e av-

vezzi a lamentare i mali, senza affrontare l'arduità dei rimedi, si mantengono estranei alla agitazione; e questo è un male, un gran male che corrode la fibra stanca della nostra borghesia liberale.

Con tale sistema e con tale pregiudizio nulla si ottiene, nul- la si può ottenere. Bisogna agitarsi e agitare, formare l'am- biente, costringere i deputati, fare impensierire il governo; e se occorre, per ottenere giustizia, scioperare, si scioperi pure; si dimettano le giunte in segno d i protesta e abbandonino il po- tere. Quando il governo d'un tratto vedrà che mille, duemila comuni si agitano i n quel modo, penserà che non vi sono solo i ferrovieri a mettere in crisi un ministero, ma anche i municipi, che con maggiore diritto reclamano per i propri am- ministrati. Questo. è i l significato e il valore del prossimo con- gresso di Firenze.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 19 marzo 1905).

IL CONGRESSO DEI COMUNI A FIRENZE -

È stato uno dei più solenni congressi che abbia avuto 1'Ita- lia da molti anni in qua, non solo per il numero degli inteme- nuti, ma anche per la forza morale che ha rappresentato e per i l carattere pratico assunto, come una forte eco della coscienza nazionale che si va risvegliando.

Non grandi e lunghi discorsi; anzi nessun discorso, tranne poche parole d'inaugurazione dette dal sindaco di Firenze, e pochi cenni del relatore sen. Mariotti sull'argomento che era all'ordine del giorno, cioè lo sgravio dai bilanci comunali delle spese di pertinenza dello stato. I1 resto, discussione, vivace, qual- che volta irrompente, nel cozzo delle diverse idee, insofferente delle lungaggini e degli spunti retorici, coperti da un vocio di riprovazione che faceva ammutolire i troppo ingenui oratori i quali volevano far suonare parole invece che agitare idee.

Le idee avevano il campo; e sopra tutte quella che è l'inse- gna nobile delle rivendicazioni comunali contro le invadenze

dello stato, l'autonomia e la libertà dei comuni, inceppata e violata in tutto il complesso della legislazione, della finanza e della politica statale.

Questo concetto, che aleggiava vivo, e che agli ottocento rap- presentanti dei comuni, raccolti nella gran sala del consiglio (detta dei duecento) nello storico palazzo della Signoria di Fi- renze, non era che il sostrato, l'anima che riuniva in un sol ideale tanti uomini, divisi per ragione di partiti politici e ammi- nistrativi e spesso, nel terreno delle lotte civili, forti e costanti avversari.

Tutta la sostanza della discussione si aggirò sui mezzi idonei a conseguire lo scopo particolare che formava l'oggetto del con- gresso ; cioè, se in vista al conteggio poco favorevole al governo, di concedere lo sgravio voluto rispondente ai diritti dei comuni, fosse conveniente una azione decisiva, una specie di pronuncia- mento dei comuni italiani, i cui consigli, a termine fisso, come alla scadenza di un ultimatum, dovessero abbandonare il posto e dimettersi in massa, ogni volta che il governo non ricono- scesse i supremi diritti dei comuni; oppure se invece non si credesse meglio attendere che il progetto di legge sull'oggetto in discussione, presentato al senato dagli onorevoli Mariotti, Nic- colini e Minucehi, dietro proposta del consiglio direttivo dei comuni italiani, venisse discusso, e che il nuovo gabinetto si pronunciasse sull'argomento pro o contro, prima di venire ai ferri corti.

I1 secondo parere, il più prudente, fu accettato da una gran- de maggioranza di 224 contro 75 e 1 astenuto; e ciò per varie ragioni.

Primo, perchè non si deve venire a estreme risoluzioni se non quando tutti i mezzi prudenti sono stati messi in opera, sia pure con risultato negativo ; e già un nuovo mezzo è stato propo- sto, quello del progetto di legge da pochi giorni presentato al senato.

Secondo, perchè nessun mezzo estremo ha efficacia vera se non quando l'oggetto che lo richiede abbia una vera importanza assoluta, e non relativa, quale è lo sgravio di spese sia pure per dieci o dodici milioni l'anno sopra i bilanci di ottomila comuni.

Terzo, perché ancora la pubblica opinione non è impressio-

nata e presa dall'argomento dell'autonomia comunale, tanto da concepire necessaria un'azione così violenta e radicale, quale è quella delle dimissioni in massa dei consigli comunali.

Quarto, finalmente, perchè gli stessi consigli comunali (al- meno la maggior parte) non sono in grado di buttarsi nell'inco- gnita delle dimissioni, anche per quello spirito così poco since- ro, così poco convinto, che pervade la nostra vita pubblica; da temere ragionevolmente che l e minoranze (nuovi krumiri) sfrut- terebbero a loro vantaggio l'alea di nuove votazioni; per cui, il pronunciamento votato da un congresso come ultima ratio del diritto dei comuni, diverrebbe la parodia di una forza che non si ha, e resterebbe solo i l bel gesto di una deliberazione mo- ralmente inadatta allo scopo.

Dall'altra parte: chi si può fidare dell'esito di un progetto di legge, d e l e promesse del governo, dell'interessamento dei depu- tati e dei senatori? Se un ministro o un capodivisione influente dicono d i no, i cento progetti del senatore Mar'iotti resteranno a impolverarsi negli archivi, senza neppure ... il conforto di una esumazione.

E i deputati? Ma chi crede alle loro promesse, le quali di fronte al ministerialismo di cattivo gusto, non restano che pa- role senza suono e senza significato?

Ecco che per un verso o per l'altro i due estremi concetti messi in discussioné al congresso di Firenze, pigliati nel loro estremo significato, erano condannati a rimanere privi di effi- cienza pratica; e alla speranza dei prudenti si contrapponeva legittimamente la diffidenza degli audaci.

Però, un elemento di forza e di efficacia non era per anco toccato, ed entrò ben poco nella discussione; un elemento che tutti sentivano e che penetrava le coscienze degli intervenuti: cioè la forza moraIe derivante dalla convinzione collettiva e dal- l'unanime percezione del diritto di autonomia dei comuni ita- liani.

La piccola battaglia sopra cui si esperimenta, nella vita pra- tica, per la prima volta questo diritto, dicevo più sopra: h a u n interesse relativo, certo non indifferente di fronte alle difficoltà molteplici della finanza comunale, oppressa da spese e intisichi- ta nelle entrate; ha maggiore interesse dal punto di vista di f a r

mantenere allo stato una parola data, un impegno assunto, qual è quello che deriva dall'art. 72 della legge comunale e provin- ciale; assurge però ad un interesse vitale, se si guarda il princi- pio e il fondamento del diritto, cioè che i comuni sono enti autonomi, con amministrazione e vita propria, autonomi nel loro carattere costituzionale, nella loro ragione politica, nel fonda- mento della finanza locale.

Così, la piccola battaglia combattuta ormai in tre congressi, quello di Roma, quello di Napoli e quello di Firenze, ha l'aspet- to d'elle grandi rivendicazioni morali della civiltà presente ed indica il risveglio di quel glorioso municipalismo, che rese gran- de l'Italia.

E noi notiamo come a Firenze la dimostrazione di questa convinzione, che si fa strada in tutti i partiti, è assurta ad una importanza di ordine generale; perchè a differenza dei congressi di Napoli e di Roma, dove la maggior parte o quasi dei congres- sisti rappresentavano, la estrema sinistra del parlamento e del paese, a Firenze invece il congresso rappresentava tutte le gra- dazioni della vita e del pensiero italiano, dalla estrema destra all'estrema sinistra, unanime nella forza di un grande diritto che si risveglia nella coscienza pubblica, il diritto dei comuni.

L'ordine del giorno votato dalla maggioranza è stata la ma- nifestazione di questo diritto e la ferma volontà di conseguirlo, non solo nel fatto particolare dello sgravioOdelle spese indicate nell'art. 272 della legge comunale e provinciale, ma nella sue molteplice estensione; volontà, che non deve indietreggiare nep- pure di fronte alle risoluzioni estreme, da pigliarsi. quando è matura la convinzione nazionale e quando il centralismo statale si vuole mantenere di contro alle legittime aspirazioni dei co- muni, sopraffacendo le ragioni di un diritto, che diviene sentito nella coscienza di tutti.

E a ciò sono valsi i congressi precedenti, 9 più che altro quel- lo di Firenze, e a ciò varranno la propaganda, la stampa, le conferenze, la affermazione, lo studio, il dibattito.

I socialisti hanno mostrato più fretta degli altri e il desiderio anzi la volontà di venire a risoluzioni estreme ; e ciò perchè quel- la tattica si confà alla ragione del loro partito e perchè già essi, prima dei conservatori, hanno agitato la bandiera delle autono-

mie comunali, per cui molti hanno creduto, per effetto d i allu- cinazione, che i l paese sia maturo ad una grande azione comu- nale contro l'oppressione e il centralismo di stato.

Questa visione parziale dello stato presente, l i ha resi corrivi nei loro propositi; per cui han minacciato perfino la' secessione dalla Associazione dei comuni, che secondo loro non corrisponde più alle aspirazioni nazionali. Essi hanno perciò disconosciuto l'importanza del congresso di Firenze, e i l fatto notevole che . i liberali moderati sono entrati fidenti nella lotta per le rivendica- zioni comunali, proprio a Firenze, unendosi in unico ideale anche con il partito democratico cristiano e con i partiti estremi.

Tutto ciò ha un grande significato; per cui oggi, dopo i l con- gresso di Firenze, si può credere sul serio a una rinascenza della vita del comune se si continua nel lavoro, nella propaganda, nel- la concordia; se i comuni mantengono fermi i propositi manife- stati; se i molti consigli comunali ancora estranei all'associa- zione vi aderiscono e si interessano di tutto il programma delle autonomie comunali.

Al lavoro alacre e concorde, adunque; io mi appello a tutti i partiti; che -ciascuno senta il dovere di sostenere i diritti co- munali, che sono la salute della patria e i l risanamento della vita pubblica locale.

- ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 2 aprile-1905).

IL CONGRESSO DEI COMUNI ITALIANI A TORINO

Egregi colleghi, Ho l'onore di communicarvi che nei giorni 11, 12, 13, e 14

maggio avrà luogo in Torino il congresso dei comuni italiani. con un importante ordine del giorno, che viene riportato in fondo alla presente circolare.

I1 programma dell'autonomia municipale è uno dei capisaldi della nostra azione nella vita municipale, ed è nostro dovere concorrere a tutte le affermazioni e manifestazioni che servono a mettere meglio in vista i diritti dei comuni, a farne conoscere

la portata, a farne sentire l'influenza, anche e specialmente pres- so i pubblici poteri dello stato.

E non è a trascurarsi la formazione della coscienza collettiva, i n ordine ai problemi municipali, alla loro origine e al loro sviluppo; perché come i l comune nel carattere della sua istitu- zione e funzione è più da vicino a contatto con il popolo, con la cittadinanza, con le classi, così trae maggiore vitalità e forza dal consenso dei più e dalla libera e forte partecipazione popo- lare e democratica allo sviluppo della vita municipale.

Questa vita è paralizzata dal burocratismo imperante, dalla politica infestante, dal servilismo governativo; i l municipio h a perduto la sua fisionomia naturale e originaria, quando ~ e r d e n d o la propria libertà, è divenuto pupillo, sotto tutela; la demo- crazia popolare, restando in larva, si è mutata in oligarchia bu- rocratica e in tirannide parassitaria.

Occorre scuotere un giogo di scudi; tornare alle gloriose tra- dizioni dei comuni italiani, e rivendicare diritti imprescrittibili e sacri.

È nota a tut t i - in questo campo l'azione dell'Associazione dei comuni italiani; e per quanto il governo abbia tergiversato di fronte a i diritti dei comuni e ad impegni assunti per legge; per quanto ancora si senta poco dalle amministrazioni comunali lo spirito d i libertà e di solidarietà che deve animare tutti da un capo all'altro d'Italia, pure si sono fatti dei passi notevoli nel campo delle affermazioni e delle idee, come nel campo della pratica. Non ultima la legge sullo scioglimento dei consigli co- munali, che divenuto arma insidiosa di governo, ora è invece regolato da disposizioni legislative, che mostrano maggiore ri- spetto verso le amministrazioni municipali e danno maggiori ga- ' ranzie contro illegittime intromettenze e ,arbitri d i parte.

Nel congresso di Torino molti importanti argomenti saranno discussi, fra i quali la riforma dei tributi locali, l'abolizione &- gl'istituti di tutela, e la riverulicazione integra del quarto di ren- di ta dei beni delle soppresse corporazioni.

È interesse supremo che tutti i comuni partecipino a questa nuova vita, che l i richiama alle origini e ai compiti nuovi di civiltà o di l ibertà; per cui mi rivolgo ai colleghi dell'Asso- ciazione, perchè insistano presso le rispettive giunte comunali,

affinchè aderiscano al congresso e vi mandino un rappresentante. Le facilitazioni ferroviarie, anche per l'esposizione di Mi,la-.

no, rendono meno oneroso l'intervento anche dei rappresentanti dei comuni siciliani a Torino, dove i ricordi di fasti e libertà nazionali chiamano d'ogni parte d'Italia a fecondare i nuovi ideali d i un rinnovamento nella vita della nostra patria.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 20 aprile 19.06).

I L CONGRESSO DEI COMUNI A TORINO PER LA RINNOVAZIONE DEI CONSIGLI (*)

'Molto opportuna viene al congresso dei comuni la trattazione delle proposte riguardanti la rinnovazione dei consigli comunali fatte nella riunione del consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni tenutasi nell'ottobre scorso, ora che il ministro Sonnino sotto la pressione degli effetti dannosi delle leggi del 1894 e 1904 si è deciso a presentare alla camera dei deputati il progetto della rinnovazione integrale dei consigli comunali ogni qua- driennio. I1 voto di questo congresso o darà maggior forza al go- verno per insistere sopra un provvedimento che non ha antece- denti nella nostra legislazione, o indichecà la via di una solu- zione meno azzardata e più congrua a l serio problema che dalle discussioni teoriche è passato d'un tratto nella vita vissuta.

I1 sistema della rinnovazione parziale dei consigli comunali (sia del quinto - legge 1865 - sia della metà - legge 1894 - sia del terzo - legge 1904), si basa sii due concetti fondamentali: l a continuità amministrativa della rappresentanza popolare e i l controllo periodico del corpo elettorale; si evitano così due effetti perniciosi al retto funzionamento della vita pubblica; la discontinuità amministrativa e la fossilizzazione delle maggio- ranze o negligenti o prepotenti.

Però la bontà delle idee e dei principi è venuta a cozzare

(*) Intervento al V congresso dell'Associazione dei comuni italiani: te- nuto a Torino nel maggio 1906.

con i risultati pratici della esperienza; a valutare i quali è duo- po fis-re un punto di partenza che è ammesso da tutti come una vera conquista democratica; cioè la rappresentanza della minoranza introdotta dalla legge del 1889 con la istituzione del voto limitato. Dopo diciassette anni di prova si è ormai con- cordi nell'ammettere che la rappresentanza della minoranza nei consigli comunali è un controllo efficace alle amministrazioni, uno sprone al lavoro, un elemento sicuro a tener desta la pub- blica opinione, almeno nei comuni di qualche importanza, e un mezzo di allenamento a partiti nuovi, che si affermano nel di- battito della vita pubblica locale. E non è inopportuna la pro- posta che questo istituto venga migliorato in modo che le mag- gioranze strapotenti non abbiano ad eliderne gli effetti con la tattica delle schede giranti; nè che una semplice disposizione di voti abbia a darvi vigore, come avviene in tanti piccoli comu- n i ; e che in fine sia il mezzo dell'affermarsi delle diverse ten- denze collettive dei corpi elettorali.

Però il principio della rappresentanza della minoranza adot- tato insieme al sistema della rinnovazione parziale dei consigli comunali, estese a due istituti diversi la ragione del controllo degli elettori, indebolendo la compagine delle maggioranze e spostando con troppa frequenza la base delle amministrazioni, anche con danno della sincerità della vita pubblica: vennero così elisi, almeno in parte, dall'uno i benefici effetti dell'altro istituto.

- A prima vista, sembra che non esista un tale rapporto fra l'istituto del voto limitato e quello della parziale rinnovazione dei consigli; perchè i l primo è un controllo che si riferisce piut- tosto al complesso degli indirizzi di amministrazione, non esclii- so il carattere politico della maggioranza; l'altro al modo con- creto di esercitare il mandato amministrativo sopra ogni singola questione; l'uno esterno e generale, l'altro interno e continuo.

Pure nel reciproco contatto della vita dei corpi elettivi, vi sono momenti di vera interferenza fra i due diversi controlli, nei quali momenti l'equilibrio amministrativo si rompe, o ren- dendo le maggioranze deboli di fronte a minoranze potenti; o facendo divenire le minoranze forti di ieri, maggioranze oscil- lanti e non sicure abbastanza da formare un'amrninistrazione ; o

in fine originando l'equivoco di maggioranze fittizie condannate in una forma non decisiva dal voto elettorale quando, cioè, que- . sto sia valso a esprimere fiducia nella minoranza senza che ab- bia potuto spostare di molto il carattere e la compagine della maggioranza. Così i l controllo elettorale inficia la forza e le ra- gioni delle minoranze, alle quali il rapido passaggio non dà la forza della lunga preparazione, mentre toglie alle maggioranze la consistenza e la possibilità di attuare un programma; e anzi, crea fin dai piimi momenti della formazione dei consigli, la preoccupazione di mantenere a tutti i costi le posizioni con- quistate.

Questi risultati sono più o meno rapidi, secondo che la rin- ,

novazione va per il quinto, o pel terzo, o per la metà; e l'ef- fetto catastrofico è quasi sempre lo scioglimento del consiglio o la paralisi amministrativa da una all'altra elezione.

La statistica degli scioglimenti dei consigli comunali da di- ciassette anni a questa parte, a cui ha dato luogo la impossibi- lità d i costituire una giunta che possa amministrare, si mantiene quasi immutata, con poche oscillazioni, di circa un centinaio al- l'anno. Vero si è che diverse ragioni di partiti locali e di intem- peranze elettorali politiche sono mascherate da questa e da altre ragioni che servono alle consuete motivazioni dei decreti di scio- glimento ; tuttavia nessuno può non convenire che gli effetti della simultaneità dei due istituti ( i l voto limitato e la rinnovazione parziale) han dato ragione alle successive riforme legislative, senza ancora trovare un sistema che contemperi l'esigenza del- l'intervento del corpo elettorale con la coincidenza della compa- gine amministrativa delle rappresentanze consiliari.

Di fronte al sistema delle rinnovazioni parziali, si propone quello della rinnovazione totale a periodo fisso; si cerca con esso di rendere più stabili le amministrazioni comunali, alle quali si dà un tempo congruo per attuare il programma, in base al quale hanno ottenuto il voto della maggior parte degli elet- tori, che sono perciò in grado di giudicare più equamente i loro rappresentanti; si precisa meglio il compito delle minoranze, e si sottrae in parte la vita amministrativa alle continue pres- sioni e agitazioni della vita politica, alle lotte personali e al- l'intervento, più o meno giustificato, del potere centrale. Que-

st'ultimo concetto è stato quello che h a indotto la commissione parlamentare che esaminava la legge sullo scioglimento dei con- sigli, a proporre che il ministero presentasse, come logica conse- guenza, quella sulla rinnovazione integrale delle rappresentanze elettorali.

Però, come tutte le cose umane, anche questo sistema ha i suoi lati deboli, e presenta qualche fianco scoperto alla critica; noto senz'altro due obiezioni, che credo riassumano tutto i l pen- siero di coloro che non sono favorevoli alla proposta della rin- .

novazione integrale, e che almeno hanno u n fondamento nella realtà della vita pubblica, quale si svolge da noi. La prima dif- ficoltà si è che una maggioranza consiliare e una giunta che ne è l'emanazione, avendo avanti a sè u n periodo piuttosto notevole dentro il quale rimarrà indisturbata al potere, non ha una spin- ta continua al lavoro amministrativo, nè alle prepotenze di parte ha come freno immediato o almeno più sensibile i l dover render conto a breve scadenza agli elettori.

L'altra difficoltà, certo di maggior peso, è che il corpo elet- torale, pe r u n periodo relativamente non breve, non h a mezzo di pronunciarsi efficacemente e qualche volta decisivamente sul complesso dei sistemi amministrativi della maggjoranza consi- l iare ; e da questa assenza, alla quale una notevole parte degli elettori si condannano da sè anche adesso col sistema della rin- novazione parziale, ne deriva un maggior disinteressamento ver- so la cosa pubblica, nocivo sopra ogni modo nei regimi popo- lari, e quella mancanza di allenamento che sviluppa i partiti, determina forze vive, trasforma intieri ambienti.

L'una e l'altra difficoltà rendono molti perplessi nell'accet- tare i l concetto della riforma testè proposta alla camera, che credono sia u n salto nel buio, anche perchè non si hanno quei precedenti d i fatto che possano far intravvedere la portata e gli effetti della riforma in parola.

È bene notare anzitutto che la rappresentanza della mino- ranza nel sistema che andiamo studiando acquista il suo vero carattere e u n compito molto preciso e grave di responsabilità, che non abbia nel sistema della rinnovazione parziale; poichè come è tolta la possibilità che la maggioranza s'indebolisca o divenga minoranza, così a questa è tolta la immediata aspirazione

a divenire d'un tratto maggioranza, e rifarsi dalle patite scon- fitte, con una vece alterna nel sobbalzo continuo nel potere a danno del comune. Così l'una e l'altra si rendono più coscienti del compito che loro assegnano gli elettori, e la visione più esat- ta dei compiti amministrativi crea la visione meno parziale delle responsabilità. Forse questo dato psicologico non sembra a tutti chiaro, ma chi vi pensi u n po' sopra, trova che esso è u n fat- tore importante nella vita amministrativa di qualsiasi ente col- lettivo. Ora pel fatto che le minoranze consiliari hanno un tempo più lungo per prepararsi l'avvento a l potere e una visione più esatta delle loro responsabilità, nella maggior parte dei casi si cletermina fra esse e i l corpo elettorale una serie di contatti ef- ficaci, e un'azione consiliare più serena e più viva.

Si dirà che in molti comuni non è una sola la frazione di rni- noranza; ve ne sono diverse, più o meno importanti, alle quali non è opportuno nè democratico precludere la via di far sentire la loro influenza di pensiero e di azione nell'ambito di u n co- mune. Questa osservazione risponde alla realtà delle cose, per quanto riguarda i grandi comuni. Più sopra ho accennato come l'istituto della rappresentanza della minoranza nei consigli non è bene regolato dalla legge; e io credo (quantunque questa idea non sia divisa da alcuni miei colleghi del consiglio direttivo) che non si possa affrontare sul serio il problema della rinnovazione integrale dei consigli senza regolare meglio la portata del voto limitato, e la rappresentanza delle minoranze che hanno una base reale nei corpi elettorali. Ma credo che siamo ancor lon- tani in Italia dalla rappresentanza proporzionale, che risponcle a un vero carattere delle moderne democrazie.

Un altro istituto dovrebbe essere introdotto nella nostra legi- slazione, non per accidens, come è avvenuto nella legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, ma come integrante le funzioni delle rappresentanze popolari e come controllo efficace e democratico, cioè l'istituto del referendum. E benché esso non si possa strettamente riferire alla riforma, di cui trattiamo, e venga a esser preso a sè, in tutta la sua portata, pure, negli ef- fetti, darebbe luogo a quella partecipazione vitale e a quei con- tatti continui degli elettori nei rapporti con la vita amministra- tiva di u n comune, da compensare i n molta parte l'inerzia a cui

si teme siano condannati i corpi elettorali per effetto della ri- forma nel sistema delle rinnovazioni dei consigli.

Fatti questi rilievi sul complesso di una riforma che non credo si debba guardare da un solo punto di vista, perchè le leggi analitiche, perfette in sè, spostano nel campo dell'attua- zione pratica molti punti di riferimento e quindi molti bisogni collettivi, pongo la questione che oggi si dibatte in questi termini: - La somma dei miglioramenti che reca il nuovo progetto

di legge compensa le deficienze che esso crea nella costituzione e nella vitalità dei corpi consiliari dei comuni? - E, in subordinato, l'istituto della minoranza (riformato e

migliorato) e quello .del referendum amministrativo valgono a

completare il sistema della vita elettorale dei comuni, miglio- randone tutto il complesso anche nei rapporti continui fra am- ministrati e amministratori?

Alla prima questione noi rispondiamo affermativamente; sia perchè abbiamo constatato che gli attuali sistemi non reggono nell'interesse degli enti che amministriamo, sia perchè si è si- curi che una vita amministrativa più stabile e meno fluttuante risponde a un bisogno sentito da tutti; benchè non ci nascon- diamo che la prova del fatto possa dare elementi di esperienza che pel momento ci sfuggono; per cui aderiamo al nuovo pro- getto di legge anche perchè si possa provare col fatto se i mi- glioramenti che si prevedono nella vita amministrativa rispon- dano ai concetti a cui clinformiamo nel reclamare la riforma in discussione.

Alla seconda questione per conto mio rispondo affermativa- mente, e repu'to che la riforma sulla rinnovazione dei consigli, col sistema integrale, non possa avere il suo vero e completo valore e non possa rispondere alle esigenze dello sviluppo della vita elettorale presente, senza che si migliori e si integri l'isti- tuto delle minoranze e senza che sia introdotto quello del re£e- rendum ; e mi auguro di trovare in quest'assembléa un'eco delle mie idee.

Resta a vedere quale debba essere il periodo delle rinnova- zioni. Esclusi i periodi troppo breve di due anni e troppo lungo

di cinque, resta a discutersi se debba preferirsi la rinnovazione integrale ogni tre oppure ogni quattro anni. I1 governo ha pro- posto il periodo quadriennale, e benchè la estimazione della lunghezza o brevità dei periodi si basi in parte su elementi rela- tivi e fin troppo soggettivi, pure credo che debba essere scelto il periodo di quattro anni perchè in tal modo possa darsi alle amministrazioni comunali un tempo sufficiente all'attuizione del programma, e in genere perchè si possano conseguire congrua- mente gli scopi della riforma, specialmente se si accolgono le proposte riguardanti la rappresentanza delle minoranze e il referendum.

Poco c'è da osservare sulle disposizioni transitorie del pro- getto Sonnino e sulle aggiunte della commissione parlamentare ; noto solo che non trovo ragione di rinnovare per la prima volta i consigli eletti prima del lo gennaio 1906, perchè la vita annua- le dei consigli comincia al lo settembre di ogni anno, quando hanno luogo le sessioni .autunnali nelle quali si compilano i bilanci comunali. Io crederei che si debba fissare i l 1" settem- bre 1906, o che ogni comune rinnovato integralmente nell'ulti- mo biennio attenda il compiersi del relativo quadriennio per la rinnovazione. Concludendo si propone :

1) che si adotti nella nostra legislazione comunale il sistema della rinnovazione integrale dei consigli per ogni quadriennio ;

2) che si migliori i l sistema delle rappresentanze delle mi- noranze; e che s'introduca nella legge comunale l'istituto del referendum popolare anche come integrazione dell'istituto della rinnovazione dei consigli, per la più intensa partecipazione del corpo elettorale alla vita amministrativa dei comuni.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 20 maggio 1906).

Fra lo sciopero generale da una parte e la caduta del mini- stero dall'altra, il quinto congresso dei comuni italiani è passato nella stampa e nella opinione pubblica, tanto agitata, in secon-

do e terzo ordine; e non ne resta che un'eco languida. Pure, f ra tutti i congressi precedenti è quello che; per serietà di discus- sione e importanza di deliberazioni; meglio rispeccliia il proce- dere progressivo di un'associazione che va affermando la sua importanza e la sua forza nella vita nazionale.

La storia di questa Associazione (ch i la conosce?) si lega con la storia 'di uno dei problemi più gravi dell'età nostra: l'auto- nomia comunale. È strano che l'abitudine mentale formata dalla tradizione liberale centralistica e lo stato di asservimento politico sia tale che l'idea di autonomia comunale trovi nelle coscienze dei più una resistenza passiva a divenire principio el- fettivo di azione, quale essa sia l'azione da svolgere; e che la forma concreta di istituti soverchiatori, d i sopraffazioni statali, d i interessi politici, impedisca la visione netta ed esatta del co- mune moderno, libero nella sua funzione specifica e unito a tutta la nazione nella sua vitalità civile e politica.

Tant'è, questa Associazione dei comuni italiani, sorta per la rivendicazione di un nobile e santo principio di libertà, clie è fonte di responsabilità individuale e di prosperità collettiva; ha dovuto in cinque anni di vita lottare per l'esistenza, fra i l riso mefistofelico degli uomini d i governo, la diffidenza dei conser-

.vatori, e l'eccessivo entusiasmo nei primi anni dei socialisti. ,

Forse, anzi certo, a paralizzare i l movimento di adesione, dc- stato fin da principio, contribuì il prevalente colore che i socia- listi, in maggioranza nel consiglio direttivo, diedero per i primi t re anni ; però dal 1904 al congresso di Napoli, si ottenne quella partecipazione proporzionale di tutti i partiti nel consiglio, che si è mantenuta quasi intatta in quello di Torino; per modo che

.oggi non mancano più le adesioni dei grandi comuni, da Torino a Venezia, a Roma, a Palermo; e nonostante alcune defezioni di comuni amministrati da socialisti, si hanno ben 1.600 comuni aderenti, fra i quali moltissimi capoluoghi di provincia e di cir- condario.

A essere sinceri, anche i più fervidi aderenti sono u n po' scettici sulla portata pratica dei congressi dell'Associazione, dei voti e deliberati. E questo stato d'animo è confermato dal fatto che dal 1901 ad oggi poca o nessuna strada si è fatta verso la rivendicazione concreta delle autonomie e libertà comunali.

È questa un'osservazione troppo esteriore di coloro che pen- sano che problemi così complessi possano avere delle soluzioni immediate. e che un7azione incipiente e sprovvista di forze le- gali possa dare risultati subitanei.

I n questo genere di movimenti, i l principale obiettivo imme- diato è quello di destare una coscienza latente con una serie di fatti esteriori legati alle còncezioni logiche che formano le con- vinzioni teoriche, e che l e riducano a principi pratici d i azione.

A tale scopo immediato E diretta soprattutto l'efficacia di un'associazione, che lega in un vincolo di solidarietà e di inte- ressi individui o enti, e che dà luogo alle affermazioni dei prin- cipi astratti come dei diritti concreti, sopra i quali si esercita la mente e si afferma la volontà che mira ai risultati pratici. E perchè questa. coscienza da individuale divenga collettiva, da semplice e istintiya arrivi ad essere complessa e riflessa, giovano tutti i mezzi di propaganda. stampa, congressi, conferenze, comizi.

Così si crea quella che diciamo pubblica opinione. che è la base delle rivendicazioni collettive, e che è il sustrato reale di ogni legge; la quale non è imposizione dall'alto al basso, ma espressione dei bisogni di molti in una ragione sociale.

Ora a preparare questa pubblica opinione, a renderla gene- rale, a elevarla a potenzialità effettiva mira, sopra tutto, l'Asso- ciazione dei comuni italiani, come potente organizzazione che non è basata sopra elementi fittizi, sopra categorie mentali d i pochi generosi, ma sopra elementi di carattere stabile, perma- nente, collettivo, e eminentemente rappresentativo di bisogni e di diritti, quali sono i comuni.

Possono, è vero, esservi a capo di questi enti, così complessi di vita, uomini non coscienti del loro compito, uomini che non comprendono come necessità di esistenza vera e reale dei comuni siano quelle libertà che s7invocarono per lo stato; nel carattere concreto de117elettorato amministrativo, dopo tant'anni di pres- sione centrale e di lotte personali sfibranti, può essere che il sen- so delle libertà comunali sia airofizzato; ma resta nel fondo del- l'anima collettiva quella scintilla che dà vita a un movimento fatale. come tutti i movimenti di emancipazione di popoli arri- vati a maturità di vita civile.

Oggi è necessario, al risanainento di tutta la vita nazionaie, che le forme organiche della vita civile, in una contemperanza di forze, riacquistino di fronte allo stato quelle libertà che i soli individui non possono far valere in una forma elementare di voto di nomina di rappresentanti; questa necessità di vita si sente nel contrasto fra le aspirazioni del viver civile e le maa- chevolezze dell'ordinamento presente, fra il bisogno di più in- tense guise di benessere collettivo e la limitazione delle manife- stazioni organiche della vita; per cui, nel contrasto; esplodono forze brute, che danno valore di protesta anche alla violenza.

Fissata così la base psicologica e la portata sociale della lega dei comuni italiani, viene ad essere come conseguenza logica il complesso delle finalità concrete che va assumendo il movimen- to autonomistico, in ordine alle rivendicazioni parziali dei di- ritti dei comuni.

Tali finalità possono dividersi in due grandi categorie: quel- le immediate e quelle piii larghe e generiche.

Le prime si riferiscono a quei provedimenti di ordine legi- slativo, che o per iniziativa dell'Associazione stessa o per inizia- tiva parlamentare o governativa, vengono poste nel dibattito del- la nazione, ed hanno inizio e completamento nei due rami del parlamento.

Uno di questi problemi è stato quello dello sgravio delle spe- se di pertinenza dello stato, cli cui in via transitoria furono ag- gravati i comuni; per esso non vi sono solo voti dei congressi, petizione dei comuni, anzi radiazione addirittura dai bilanci, vi è addirittura una legge davanti al senato di iniziativa dell'Asso- ciazione stessa presentata dai senatori Mariotti, Niccolini e Mi- nucchi. E benchè la resistenza del governo abbia fatto fin oggi tardare una decisione legittima e opportuna, pure si ha speran- za che la pressione della pubblica opinione faccia trionfare i diritti dei comuni.

E allo spirito diffuso dall'Associazione si deve la legge Son- nino sullo scioglimento dei consigli comunali, che speriamo non incontri al senato serie difficoltà, come la legge sulla municipa- lizzazione dei pubblici servizi con introduzione del referendum.

L'intervento preventivo dell'Associazione dei comuni nelle discussioni di leggi che si riferiscono direttamente alla vita mu-

nicipale è molto salutare, e contribuisce a rendere più effettiva l'influenza di un istituto che dovrà avere una grande funzione nella vita nazionale; e i deliberati del congresso, di Torino sul- l'avocazione delle scuole allo stato, a proposito dei ~rovvedimen- ti per i l mezzogiorno, e sulla rinnovazione dei consigli comunali, non resteranno privi d i efficacia e senza alcuna eco nei due rami del parlamento.

Alla su indicata categoria è da mettere l'azione iniziata pure al congresso di Torino sulla rivendicazione integrale del quarto di rendita delle corporazioni soppresse, devoluta ai comuni, e sulla istituzione di un consiglio superiore dei comuni, come i l consiglio superiore del lavoro e il consiglio superiore della P.I., con basi elettive. A tale scopo principalmente si è deliberato di formare due comitati parlamentari, uno di senatori e uno di deputati per la difesa dei diritti dei comuni.

La seconda categoria riguardà le affermazioni di principi ge- nerici, le riforme radicali, gli studi preparatori a tali riforme, le inchieste e quanto può servire a dare ragione delle riforme da propugnare e sostenere; come sugli istituti di tutela, sul refe- rendum, sulla riforma finanziaria e sociale.

A tali lavori si è dato ultimamente un notevole impulso, spe- cialmente con la relazione Greppi sulla finanza locale, a propo- sito del progetto Maiorana; e un questionario importante è stato trasmesso a tutti i comuni per una specie di referendum sulla materia; i l quale potrà riuscire importante, se non dal lato tec- nico, certo dal lato della espo.sizione dei bisogni e delle aspira- zioni dei comuni, principalmente in ordine alle tradizioni e alle condizioni delle diverse regioni d'Italia.

Se ancora la portata dell'azione benefica dell'Associazione non è più larga e il lavoro di assimilazione non è molto alacre, lo si deve alla ripugnanza nativa delle grandi e generose lotte da parte di organismi vecchi, falsati da leggi inadatte; o più che altro da quel cumulo di interessi personali che si legano ai par- titi che tengono i l potere amministrativo per servire di piatta- forma alla vita politica locale, fatta di dispettucci, di piccole truffe, di piccole vergogne, di piccoli favori, che i governi man- tengono come mezzo di dominio nel fluttuare delle vicende poli- tiche nazionaIi.

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A destare tutta una nuova personalità municipale ci vuole quel lavoro clie si fa dai partiti giovani, che tentano trasforniare l'attuale vita politica della nazione; e l'Associazione dei comuni sarà la macchina che elabora e produce i sentimenti latenti, i desideri inerti, ilbisogni impotenti in yn progresso di idealità,

- di propaganda, di solidarietà, di iavoro.

E il congresso di* Torino è ancora ,un passo avanti; è una nuova promessa per l'avvenire.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 24 maggio 1906).

SULLE DISPOSIZIONI INCOSTITUZIONALI CONTENUTE NEL REGOLAMENTO

ALLA LEGGE 25-2-1904 n. 51 APPROVATA CON REGIO DECRETO DEL 19-7-1906 n. 466 (*)

Onorevoli colleghi, Nel novembre scorso i l consiglio direttivo dell'Associazione

dei comuni, prendendo in esame alcune disposizioni del regola- mento generale sanitario 19-7-1906, col quale si aggravavano le disposizioni in vigore, ledenti i diritti dell'autonomia comunale, deliberava comunicare ai municipi la relazione sommaria da me fatta in quella riunione sulle disposizioni incostituzionali del ci- tato regolamento, per richiamarvi l'attenzione dei rappresentanti dei municipi e iniziare una opportuna agitazione; e rinviava a

più ampia discussione nel presente congresso, un tema abbastan- za complesso e grave.

Tutta la legislazione nostra riguardo l'assistenza igienica e sanitaria ha un carattere evidente di diffidenza verso l'ente co- .

mune, dalla cui dipendenza a poco a poco ha sottratto quasi per intero i l personale sanitario, perfino gli impiegati degli uffici di igiene. Questa tendenza è per alcuni giustificata, almeno in parte, dalle, resistenze passive di non pochi comuni (specialmente d i secondo e terzo ordine) che, o per ragioni finanziarie o per in-

(*) Relazione al VI congresso nazionale dell'Associazione dei coniuni

italiani, tenutosi a Bologna nel maggio 1907.

veterati pregiudizi, o per interessi locali, non hanno dato alla assistenza sanitaria ed igienica quell'impulso ed efficacia che è necessaria. \

Ma, a parte il fatto opposto che molti comuni si son messi sul serio alla testa del movimento igienico, certo si è che ad ottenere che il personale sanitario sia ben scelto e faccia il pro- prio dovere, basta circondarne la nomina e l e condizioni disci- plinari con serie garanzie (come si è fatto per i segretari comu- nali); non è affatto necessario invadere il campo dei diritti co- munali e ridurre i comuni alla semplice funzione d i registrare l'esito dei concorsi e di pagare mensilmente quello stipendio, che con un atto della giunta provinciale amministrativa può essere elevato anche per semplici considerazioni personali. -

L'ultimo regolamento del 1906 porta l e cose ad u n estremo a l quale prima non si era arrivati; e chi conosce quali influenze extra-parlamentari vi siano al riguardo, e come in fondo si faccia più una questione di classe anziché di vero e reale van- -

taggio collettivo, non troverà inopportuno che i l consiglio diret- tivo del17Associazione comuni italiani abbia richiamato l'atten- zione dei sindaci riuniti a congresso su questa continua mano- missione dei diritti comunali.

Limitata com'è la mia relazione a semplici rilievi di fatto sul punto della incostituzionalità di un regolamento in rapporto alla legge, a cui si riferisce e dalla quale trae origine, non posso entrare ad esaminare il carattere dell'attuale legislazione sani- taria nei rapporti con i comuni; né è i l caso di discutere fino a che punto possa il servizio igienico e sanitario dirsi servizio d i stato o semplicemente comunale. Però fin da oggi, dato che si è sollevata una questione che chiamerei esegetica, siamo co- stretti a tornare sull'argomento per affrontarlo in tutta la sua portata; perché non si tratta di un semplice fatto isolato o della critica a un solo regolamento, ma di tutto un ordinamento legi- slativo che è legato alle questioni più vitali della pubblica igiene e sanità, e che nelle incertezze di una legislazione che bal- betta le prime sillabe, sténta a trovare la via per cui lo stato, gli enti locali e i privati cooperino ciascuno con le forze di cui dispongono alla lotta civile e umanitaria contro tutti gli agenti che turbano la pubblica igiene e la sanità dei cittadini.

La questione sollevata oggi al congresso dei comuni ha anche importanza per i l punto di vista da cui viene considerata; e benché sembri una questione semplicemente giuridica, in cui le sottigliezze della casistica del diritto possono avere largo campo nel cercare il limite estremo oltre il quale una dispo- sizione regolamentare si possa dire incostituzionale, pure essa assurge ad una larga questione morale, ed arriva ad una portata pratica di non breve importanza.

Perché difatti, se un impulso di maggiore cura alla pubblica igiene e all'assistenza sanitaria dei poveri ne è venuta dagli orga- nismi curati con la legge del 1888, non è a credere che ciò sia avvenuto perché quegli organismi a poco a poco siano stati staccati dai comuni e avvicinati di più all'ingranaggio dello stato; ma per forza delle cose stesse, al cui sviluppo ha reso un cattivo servizio, di ritardo e di ostacolo, la diffidenza verso i comuni e lo spirito di sopraffazione portato in nome della sanità e dell'igiene da persone troppo pressate dei diritti pre- ponderanti dello stato e de~l'organizzazione della propria classe.

Veramente trovare la nota di incostituzionalità in un rego- lamento di stato per l'applicazione di qualsivoglia legge, in Ita- lia non -è cosa né rara né unica, perché è invalso un sistema abbastanza largo in materia; per cui facilmente il governo tra- visa o anche frustra con i suoi regolamenti le intenzioni e le espresse volontà del legislatore; impone oneri che la legge non contempla; crea impacci burocratici, esagerando la portata di quelli che le leggi stesse mantengono o accrescono, rendendo sempre più difficile, o quanto meno ritardando il rapido svol- gersi della vita collettiva nella nazione.

Però se molte volte l'eccesso del potere esecutivo, che invade il campo del legislativo, segna del suo marchio i regolamenti alle leggi, non è un caso frequente, anzi addirittura non esiste il caso in cui da enti pubblici o da cittadini sia promossa una dichiarazione legale di incostituzionalità; forse anche perché non si ha né la facilità di farlo, né la fiducia nell'esito d i una azione che ferisce il potere esecutivo, pur essendo in un regime costituz'ionale e libero.

I comuni, nel risveglio generale delle autonomie locali, hanno l'obbligo di sostenere i loro diritti contro la invadenza del po-

tere centrale, e di sollevare le questioni di incostituzionalità, specialmente quando la forma coinvolge la sostanza delle cose e il complesso degli interessi cittadini.

1. Degli uflicicrli sanitari t

Rilevo anzitutto che la figura dell'ufficiale sanitario presso un comune è giuridicamente ibrida: egli è nominato dal pre- fetto per concorso a titoli e ad esami; prima veniva presentato dal consiglio comunale. Ha i doveri tli ufficiale del governo; dipende dal prefetto e dal sindaco; è capo dell'ufficio di igiene municipale, dove questo ufficio esiste; è pagato dal comune, presso cui serve. Una recente giurisprudenza dice che non è impiegato comunale.

I1 regolamento generale sanitario ha aggiunto a tutto questo una specificazione che non pare appartenga alla natura d i ' un regolamento; cioè che l'ufficiale sanitario per le sue funzioni dipende dal sindaco in quanto questi è ufficiale del governo. Ora tutto quanto non è esplicativo della legge, nel senso di esecuti- vità, non può aver luogo in un regolamento. I? dunque evidente che quello che il governo non credette di far dire al parla- mento, perché forse non lo avrebbe detto, lo volle dire esso i n un regolamento.

La portata pratica di tale disposizione, perchè il regolamento 'non può avere portata giuridica ma solamente pratica, è questa: (C l'ufficiale sanitario per le sue funzioni non dipende dal sin- daco quale capo dell'amministrazione comunale ».

Ora bisogna risalire a una questione più alta; se cioè tutto quel che riguarda l'igiene pubblica sia affidato al sindaco quale ufficiale del governo oppure anche come capo dell'amministra- zione comunale.

La legge comunale e provinciale art. 150, dice che il sindaco quale ufficiale del governo è incaricato di provvedere agli atti che nell'interesse della pubblica igiene gli sono attribuiti o commessi in virtù delle leggi e dei regolamenti (qu i s'intende governativi); perché per l'art. 149 egli, quale capo dell'ammini-

strazione comunale, provvede all'osservanza dei regolamenti lo- cali fra i quali, per legge, vi deve essere il regolamento igienico.

Come esecutore delle leggi e dei regolamenti di stato è adunque ufficiale del governo, e come esecutore dei regolamenti e provvedimenti locali è capo del comune: e siccome per la legge del 1888 l'ufficiale sanitario ha l'obbligo d i assistere il sindaco per quanto riguarda l'igiene, questa assistenza e dipen- denza deve riferirsi tanto ai provvedimenti igienici emanati per via di legge e d i regolamento governativo, quanto in forza dei regolamenti comunali.

La limitazione del regolamento (art . 81) che dice per l'eser- cizio delle loro funzioni è equivoca: se I'ufKciale sanitario è an- che capo dell'ufficio di igiene, quindi ha una gerarchia burocratica (ordine di ufficio, orario, ecc.), SoAo queste fuizihni del17ufficiale sanitario? Credo di sì, ma non riguardano affatto ragioni gover- native, né si riferiscono al sindaco quale ufficiale del governo, ma quale capo dell'amministrazione.

È evidente adunque lo strappo fatto alla legge e l'incostitu- zionalità di una dicitura estranea alla legge, che pone limiti non consentiti dalla legislazione attuale e dalle mansioni dell'uf- ficiale sanitario.

Noto solo questa incongruità, perché per il resto del regola- mento non vi è nulla che sia oltre o in contraddizione alla leg- ge; è la legge stessa sugli ufficiali sanitari che meriterehbe seri ritocchi, nei rapporti tra i l comune e le mansioni d i questo mezzo funzionario governativo e mezzo impiegato comunale che potrà formare l'oggetto di uno studio particolare. %

2. Dei medici condotti

a) La legge 25-2-1904 ha avuto per scopo di regolarizzare la posizione dei medici condotti e del personale sanitario, renden- dola meno fluttuante e sottraendola agli arbitri degli ammini- stratori, e dall'altra parte ha voluto circondare della dovuta garanzia le- nomine di persone elevate a tale ufficio delicato, nell'interesse della puhblica assistenza, fissando e determinando i modi di nomina.

Ho detto che lo stato ha mostrato la missima diffidenza verso i

comuni, cosa certo che contribuisce a diminuire i l senso di responsabilità e a deprimere quella educazione politica che toglie i l valore alla libertà che sale dal popolo per subordinarla alla burocrazia politica imperante. Infatti ha investito il consi- glio provin6ale di sanità della nomina di tutti gli esaminatori dei concorsi al posto di sanitari, senza neppure dare una qual- siasi rappresentanza a l comune che deve poter tutelare non solo la bontà tecnica, ma anche, ed è di molro valore per medici, la bontà morale; oltre quel giusto titolo di rappresentanza di- retta di tutti gli interessi di una città. La stessa legge stabilisce una formula vaga per determinare il merito dei concorrenti per l'idoneità; dice i più meritevoli, senza né una indicazione di

. numero, né una precisazione che tolga o diminuisca i l possibile arbitrio -di un collegio di esaminatori che sono emanazione di una sola.autorità. Ciò nonostante era da augurarsi che il regola- mento non aggravasse tale -condizione -lesiva degli interessi del- l'autorità comunale. Specialmente se si nota che la legge del febbraio 1904 all'art. 4 stabilisce che il regolamento deve indi- care a riguardo i modi con cui la commissione sanitaria debba essere composta. Non così è avvenuto: l'art. 35 del regolamento dispone che la commissione formi la graduatoria soltanto dei concorrenti che avranno conseguito 27 su 30, indicandoli per ordine di merito. È evidente che tale disposizione, se poco o

nulla conferisce alla bontà della scelta, perché si sa che gli esami o i concorsi in materia così delicata e disparata poco indicano della praticità e attitudine di un medico, co- stringe invece i comuni a subire quel nome o quei nomi che ot- terranno i voluti 27 su 30, senza il diritto almeno di una tema come per i maestri e1ementari;al fine dl poter scegliere con una, certa larghezza. Così, nella maggior parte dei casi, si può rite- nere che il comune non elegge più, i l proprio medico condotto, ma resta alla mercé di interessi professionali, che si esplicano nel capoluogo di provincia e nella sede della prefettura.

b) Ma non è bastato che la nomina dei medici condotti fosse fatta in ultima analisi dagli esaminatori, emanazione di un con-

' siglio politico burocratico; il regolamento invade addirittura i l campo dei diritti del comune, e stabilisce agli art. 39 e sgg. che le pene disciplinari vengano inflitte al personale sanitario sola-

mente dal prefetto, dopo aver loro comunicato personalmente gli addebiti che o per denunzia del sindaco o del medico pro- vinciale crede di rilevare.

Nel regolamento del 1901 vi già stabilita per la prima volta la subordinazione dei medici condotti al prefetto ( il che non esiste nella legge del 1888 né in quella del 1904); però vi era un inizio importante all'art. 55: e senza pregiudizio dei rapporti fra comuni o consorzi e sanitari ». Era così una nuova autorità che s'imponeva ai medici, senza menomare quella comunale. Oggi nel regolamento del 1906 questa clausola è stata tolta senz'altro; e i l sindaco ha solo la funzione di comunicare con un verbale la denunzia al prefetto.

A parte la poco simpatica funzione di un sindaco che per fare osservare gli obblighi disciplinari deve denunziare al pre- fetto le mancanze del personale addetto all'assistenza sanitaria, cosa che credo nessun sindaco che abbia dignità sia disposto a fare; a parte la incongruenza evidente della posizione di un prefetto, che è costretto a invigilare sulla condotta di centinaia d i medici; l'infrazione della legge comunale e provinciale è evidente. Si tratta di impiegati del comune che sono messi fuori dell'orbita delle regolari dipendenze, i quali vengono così, nel- l'esercizio delle loro funzioni, subordinati di fatto ai medici pro- vinciali e agli ufficiali sanitari: una vera organizzazione che si interpone tra lo stato e il comune, e che acquista di fatto una autorità perniciosa al retto andamento del più delicato dei servizi pubblici.

3. Delle levatrici condotte .

La incostituzionalità di quanto riguarda le levatrici condotte è ancora più evidente. La legge del febbraio 1904 non parla affatto delle levatrici condotte; quindi per queste vige i l regime della legge 1888.

Invece nel regolamento del 1906 si parla insieme d i medici e levatrici; stabilisce norme di concorso e disciplinari identiche a quelle stabilite per medici condotti. È chiara l'esorbitanza del regolamento al riguardo che sottopone a norme di nomina a cui la legge non obbliga. Peggio, perché si parla di disciplina e di dipendenza.

4. Dei laboratori comunali e consorziali d i igiene

La prima violazione non a una disposizione tassativa di leg- ge, che manca addirittura, ma al senso e al valore della legge comunale e provincial; e a l carattere dell'ente locale, riguardo all'istitiizione di laboratori Sanitari comunali, fu data dal rego- lamento del 1901 al cap. VII, dove vengono stabilite le modalità per la commissione esaminatrice per le nomine del personale dei laboratori comunali e consorzia> d'igiene previsti dall'art. 3 della legge del 1888, che dice solo « con convenienti laboratori per l e analisi, ecc.

Evidentemente quel capitolo ha un carattere regolamentare e normativo, però manca di un fondamento legislativo e quindi di una forza giuridica; e alcune limitazioni di diritto non sono interamente legali e illegittima è la disposizione che il capo del laboratorio debba amministrare solo i n sfera indipendente dalla rappresentanza municipale. E se le nuove disposizioni si fossero limitate a quelle del 1901, poco male, nel senso di una restrittività non interamente ingiustificata né dall'altra parte inte- ramente lesiva dei diritti dei comuni, tranne per quel che riguarda la autonomia amministrativa dell'organismo, che non è stata più ripresa nel nuovo regolamento.

Però nel regolamento del 1906 la mancanza delle disposi- zioni legislative in materia riesce a dare più evidentemente i l senso dell'arbitrio quanto più le disposizioni sono lesive dei diritti dei comuni.

Infatti, il personale del laboratorio comunale è non solo a concorso per titoli e per esame, una forma imposta e non so se interamente rispondente alla scelta migliore che possa fare un comune, ma tale scelta è limitata a chi otterrà 45/50; alla commissione al solito è estraneo qualsiasi intervento comunale,

almeno nella scelta dei tecnici, che è demandata al consiglio superiore di sanità.

I consigli comunali per giunte di città grandi (perché nessun

piccolo comune si può concedere il lusso di un laboratorio igie-

nico, e neppure tutte l e città che hanno più di 20 mila abitanti

hanno il laboratorio) sono dichiarati insufficienti a scegliersi i

propri tecnici per il laboratorio. Nessuna meraviglia che col

tempo siano dichiarati insufficienti a scegliersi i propri inge- gneri, persone tecniche, e i propri avvocati, o almeno insufficienti a scegliere i membri della commissione esaminatrice.

Anche questo personale burocratico (non è altro) è sottratto dalla disciplina della rappresentanza municipale, anche questo personale non può essere licenziato dal comune ma dal pre- fetto; insomma u n laboratorio municipale d'igiene non è un organo del municipio ma un'istituzione a sé.

Anche i limiti della retribuzione degli impiegati dei labo- ratori è fissata dal regolamento, dove dice che le condizioni economiche non devono essere in nessun caso e per nessuna ragione inferiori al trattamento degli impiegati comunali. Irnpie- gati comunali si intende quelli di segreteria. Ora può essere clie tale disposizione riesca ingrata o onerosa; e intanto determina un obbligo e u n onere che non può essere stabilito per ' regolamento.

Credo opportuno accennare infine a una grave disposizione dell'art. 7' per la quale i l prefetto contro l'opposizione o i l rifiuto di tutti i comuni a costituire u n consorzio per i servizi sanitari, può costringerli con un semplice decreto, stabilendone anche il regolamento, e sostituendo addirittura nelle loro man- sioni tutti i consigli interessati.

Tutto ciò ha i l carattere di violenza. Contrario alla legge che all'art. 1 dice: « I comuni possono unirsi in consorzio, tranne per quel che riguarda l'art. 15 della legge 27 dicembre 1888 circa i medici condotti ». È da notarsi che i l caso di rifiuto d i tutti i comuni è così grave che non può risolversi con una invasione del potere politico; anche quando si tratta di impor- tanti interessi della collettività. >

Questi rilievi principali, e ce ne sarebbero molti altri, 110 creduto opportuno sottomettere alla discussione del congresso, perché l'opinione pubblica, rimasta inerte, insorga contro una continua violazione dei legittimi diritti comunali ; ed ho cre- duto opportuno riassumerli nel seguente voto :

« I1 congresso, constatato che il regolamento generale sani- tario del 19-7-1906 contiene disposizioni restrittive sulle libertà

L comunali, oltre a quelle sancite per legge, e tali che prevalente- mente sono di carattere legislativo, delibera:

- di domandare al governo la sollecita revisione del regola- mento generale sanitario, perché vengano tolte le disposizioni incostituzionali che esso contiene; - fa voti che l a legislazione sanitaria sia migliorata e che si tolgano le disposizioni lesive dei diritti dei comuni, la cui fun- zione non può essere ristretta ai soli doveri del pagamento degli oneri, ma dev'essere una collaborazione larga ed efficace al con- tinuo miglioramento di uno dei principali servizi pubblici; - protesta contro l a tendenza a formare del personale sanitario una nuova burocrazia di stato D.

LA NECESSITÀ ' D I UNA CLASSIFICA DEI COMUNI

ANCHE COME PREGIUDIZIALE A UNA RIFORMA TRIBUTARIA (*)

I. Discutendosi il bilancio degli interni, nello scorso marzo, l'on. Giolitti ebbe a dichiarare alla camera dei deputati che, per quanto il governo riconosca l'utilità di una classifica dei comuni, le difficoltà sono tali da distoglierlo dall'affrontare la soluzione dell'intricato problema.

La conseguenza nichilista, alla quale venne i l presidente del consiglio dei ministri, non può essere accolta da coloro che stu- diano con serenità il problema comunale, épiÙ ancora da coloro che lo vivono nel continuo lavoro di amministratori e sen- tono tutta la necessità e l'utgenza di una soluzione pratica ed efficace, sia nel campo amministrativoiche in quello finanziario.

Certamente, molte e di varia natura sono le difficoltà che si devono superare in un lavoro di classifica dei comuni, e non si potranno mai eliminare tutti gli inconvenienti che deriveranno da una simile legge; non potendosi mai raccogliere e specificare in categorie, che rappresentano per sé delle astrazioni giuri-

(*) Relazione al VI1 congresso nazionale dell'Associazione dei comiini italiani, tenutosi a Venezia il 26, 27 e 28 aprile 1908.

diche, tutti aspetti di enti concreti quali sono i comuni. Occorre perciò trovare quella somma di elementi reali e non fittizi, inte-

. grali e non unilaterali, e per di più rispondenti al fine della classifica, da costituire una solida base specifica.

All'uopo sono necessari quegli studi seri e sereni del pro- blema che forse mancano a non poche leggi su materie d'indole locale, spesso fatte sotto la pressante visione di un solo lato del- l'argomento e con la perenne diffidenza verso liberi regimi co- munali. Però, non ostante una sufficiente preparazione legisla- tiva, si noteranno sempre delle manclievolezze in una legge di classifica dei comuni, come in ogni legge che regola i fatti con- creti degli enti locali; onde è necessario vedere se la somma dei vantaggi, che si prevedono dover derivare da una simile legge, sia maggiore della somma degli inconvenienti a cui si andrà incontro, per adottare una decisione pratica, rispondente all'im- portanza di un problema, che non può, come crede l'on. Giolitti, rimanere insoluto.

I1 consiglio direttivo della nostra Associazione nel proporre al congresso la discussione di questo tema ha voluto richiamare l'attenzione dei comuni d'Italia e di quanti s'interessano dei problemi della vita comunale, e dare luogo a una discussione che porrà in vista tanto la necessiti della classifica, quanto l e difficoltà da superare. Onde la mia relazione non è una esposi- zione concreta di idee discusse, ma un semplice contributo al- l'esame della questione, che nelle affermazioni concrete contiene, in gran parte, vedute e criteri personali dai quali si può dissen- tire pur concordando nella necessità di una classifica dei co- muni anche come pregiudiziale alla riforma tributaria.

Le leggi rispondono al loro scopo se riescono ad esprimere uno stato d'animo collettivo; esse completano, regolano, san- zionano quello che la vita crea, determina, evolve. E la legge stessa ha una vita di svolgimento, alla quale non può sfuggire senza cadere nell'anacronismo e nella fossilizzazione; perchè anche la legge scritta e sanzionata si deve svolgere insieme ai bisogni della collettività, che crea opportuni istituti, che perfe- ziona e modifica i propri presidi, che sviluppa nuove energie.

Viene, pertanto, ovvia la domanda; è maturo il problema di una classifica dei com~ni , .da esigere che una legge lo risolva

in una riforma giuridica? Risponde a una necessità, non solo obiettiva, ma psicologica, sì da affrontare le difficoltà? Vi è tale sviluppo negli elementi del problema da ritenere l'intervento legislativo una soluzione ?

Dopo che la rivoluzione livellatrice di ogni classe e di ogni privilegio ruppe le antiche barriere e infranse i vecchi orga- 'nismi, e sulla eguaglianza sorse lo, stato moderno, era forse necessario che questo si consolidasse nelle nuove forme di accen- tramento per raggiungere i suoi fini storici. Però non poteva

'r far ciò che con sacrificio della vitali&, a cui rispondevano gli organismi assorbiti o attenuati, diminuendo perciò la poten- zialità di soddisfacimento dei bisogni peculiari, pel fatto stesso .

che se ne ampliava la estensione ; e costretto a creare un'organiz- zazione di stato che chiamiamo burocrazia, perché nel complesso funzionamento dello stato, alla responsabilità e libertà del cit- tadino si è dovuta sostituire la formula, la routine e la irrespon- sabilità del funzionario.

I1 ciclo della formula individualista del cittadino e centra- lista dello stato può dirsi ormai compiuto; e come i l disagio economico e l'evoluzione sociale van creando aggruppamenti di interessi e di classi che tendono, necessariamente, ad un ricono- scimento giuridico, dopo che il fluttuante moto di composizione si fermerà in una forma stabile e naturale; così i l sempre cre- scente squilibrio fra lo stato amministrativo e finanziario degli enti locali e la urgenza di soddisfare a un sempre crescente com- plesso di bisogni della collettività, determina una forte crisi d i carattere organico, e una vaga tendenza di raggruppamenti e di organizzazione; la quale, fra le molte incertezze naturali in ogni movimento psicologico-collettivo, 'si afferma nel primo stadio del riconoscimento di una necessità sentita.

E per quanto il comune non abbia mai perduto, per natu- rale sua congenita forza, i l carattere di organismo, pure le leggi ~arificatrici burocratizzanti i l comune, ridotto a pupillo, hanno forzato la natura del comune; la sua forza organica e la sua libertà è stata la prima aspirazione sintetica, rappresentativa di tutti i problemi comunali, in cui tutte le opinioni e le fedi politiche si sono trovate d'accordo.

Specificando questo programma e analizzando questa neces-

sità, per scendere al concreto della sua portata, fuori e oltre i problemi fondamentali e i diritti inalienabili di un comune

pari ad un altro, come in ogni uomo, si è parata avanti una diffi-

coltà sia pratica, sia amministrativa di parificare i comuni di fronte a leggi specifiche. La quale diffico1t.à si risolve in un pro- blema, che si può annunziare in questo modo: sono simili fra

di loro tutti gli organismi comunali, o non si differenziano nella loro struttura e nei portati pratici della loro funzione? E se si

differenziano, è possibile coglierne le differenze specifiche per

un pratico raggruppamento? Così i l problema della riorganizzazione autonoma dei co-

muni si risolve preliminarmente nel problema di classifica. Tale

problema è sentito da tutti, perché derivante dalla natura stessa e dalla funzione -dei comuni: si proietta in molta parte della vita collettiva, anche fuori dell'ambito comunale; e come più vivo si è affermato oggi il problema principale della organizza- zione autonoma municipale e si tende ad una larga riforma legi-

slativa, così il problema della classifica dei comuni può dirsi entrato nella fase della discussione pratica e della preparazione vissuta.

L'organismo del comune non è uno, tipico, assoluto ; è invece concreto, multiforme, relativo al suo sviluppo, alle crescenti

esigenze dei cittadini, al moltiplicarsi delle funzioni col molti- plicarsi dei bisogni.

Nessuno disconosce quanta diversità di funzioni vi sia fra

una grande ci t t i e un piccolo comune rurale; e come, in tutti

i rami della attività municipale, un cumulo di caratteri speci- ficlii e diversifichi l'azione di questi due enti; e non è possibile, se non per una deleteria funzione legale, parificarli amministra-

tivamente e finanziarmente, supponendo identiche le condizioni morali ed economiche dell'uno e dell'altro comune.

rlnzitutto, un elemento storico di. grandissimo valore eleva moralmente su tutte le città italiane quelle gloriose che u n tempo ebbero funzioni e caratteri politici, accumularono tesori

di sapienza e d'arte e che oggi, anche nel nuovo stato civile

del regno unificato, devono irradiare in tutta la nazione la

loro azione morale, della quale i municipi sono i più legittimi

e i più gloriosi depositari. E per quanto quésta considerazione

possa sembrare di un valore sentimentale, pure risponde, se- condo me, alla coscienza nazionale: alla quale ripugna vedere Roma o Venezia o Firenze soggette a un qualsiasi funzionario di prefettura, aver riveduti i propri atti e. dover chiedere quasi l a legalizzazione della propria missione.

Ma se l'elemento storico e l'elemento di cultura possono deter- minare un campo specifico a poche città, per cui i loro municipi, rappresentandone legittimamente l e tradizioni, devono secon- darne lo svolgimento, presidiarne l e forze e sono l'esponente di una vita che sfugge alle semplici consiclerazioni burocratiche e alla fissità amministrativa, e che si solleva a compiti speciali che non possono essere assorbiti dallo stato e per i quali devono pure avere i mezzi sufficienti; accanto a tali elementi vi sono quelli più complessi, più estesi e più caratteristici per la vita dei grandi comuni densi di popolazione. Centri di commerci e d i industrie, di movimento di capitali e di collegamenti d i interessi, d i agitazioni politiche e di iniziative amministrative; ove l 'istn~zione è più svolta, il controllo della stampa perenne; ove si aggruppano e si riportano molti interessi dei comuni dei dintorni, la vita è più celere, le comunicazioni sono più rapide, gli scambi divengono vertiginosi, i nuovi ritrovati della scienza applicati all'industria incalzano; le miserie a cui' soccorrere sono maggiori, come sono maggiori i bisogni collettivi, centupli- cati dalla coesistenza simultanea di forze che si svolgono e coz- zano e si trasformano; le grandi popolose città hanno una fun- zione amministrativa e organica così complessa, da non potere essere regolate con le identiche norme e con la medesima finanza e con lo stesso controllo con cui vanno regolati i piccoli comuni ove l a vita collettiva è limitata a poche esigenze elementari, ove è scarso u n controllo efficace nella pubblica opinione, e mancano spesso i mezzi adatti a uno svolgimento congmo della vita amministrativa.

Questa classifica è così fondamentale e così sentita, che la legge vigente deve fare degli enormi adattamenti per regressi, nel contrasto della parola scritta col fatto vissuto.

La difficoltà di classificare i comuni medi, che sono molti, e che rappresentano i due quinti della popolazione del regno, dipende dal coordinare i diversi elementi che influiscono nella

vita di un paese e che creano i l carattere specifico, che avvicina o verso la grande città o verso i l piccolo comune rurale. I1 con- cetto fondamentale è quello che le funzioni di un comune de- vono corrispondere alla complessità della sua vita e alle esi- genze della collettività locale; a cui devono corrispondere i mezzi finanziarib e i presidi amministrativi; donde sorge la necessità obiettiva, che oggi è anche divenuta una necessità psi- cologica collettiva, della classifica dei comuni, che si basa nelle sue più larghe linee nei comuni grandi, medi e piccoli, non per semplice fatto numerico di popolazione, ma per lo specifico carattere della loro vita.

11. Quantunque sia implicita negli argomenti da me toccati, è opportuno insistere un poco sulla seconda parte del tema, cioè che la classifica dei comuni è necessaria, anche come pre- giudiziale alla riforma tributaria. La urgenza della riforma dei tributi locali è pari alla necessità, che nessuno può disconoscere, incalzando ogni giorno i problemi della finanza locale con u n rapido crescendo. E tanto più è imposta dai fatti una vera ri- forma radicale, escludendo qualsiasi rimaneggiamento del vecchio bagaglio tributario locale, quanto più è profonda la crisi e diffi- cile la soluzione. L'argomento spaventa i legislatori, i diversi tentativi sono venuti meno prima d i affrontare i l fuoco della discussione; e dopo iI progetto Maiorana, è stato preannunziato u n progetto dell'attuale ministro Lacava, che pare, se non erro, abbia accennato a una classifica dei comuni .prima che Giolitti facesse le note dichiarazioni alla camera.

È generale i l convincimento, basato sulla esperienza del fatto, in materia di legislazione locale, che una legge d i indole generale mal si adatti alle condizioni specifiche e diverse d i città o regioni; perché non vi è legge che, col volere reggimen- tare, regolarizzare, coordinare il fatto locale con uniforme siste- ma per tutt i i casi, non crei u n cumulo d'inconvenienti e d i sperequazioni in un'apparente uniformità formale. Che se ciò avviene spesso in un campo di carattere amministrativo e morale, cosa bisogna dire quando si tratti di materia tributaria e finan- ziaria, ove lo spostamento di interessi legittimi, che crea una reale sperequazione o a-danno dei comuni o a danno dei citta-

dini, è più immediatamente e più intensamente sentita? Che, per quanto si voglia supporre che i progetti d i legge siano elabo-

, rati dopo lungo studio del problema nella forma poliedrica in cui si presenta, e che il legislatore in materia così delicata cerchi di prevedere e di eliminare le difficoltà che vengono dalla gran- de differenza di interessi rappresentati dai diversi comuni, non con accomodamenti legislativi o regolamentari, come si usa, ma con un provvedimento efficace e intrinsecamente evolutivo.

Sorge, così, dalla natura stessa del probJema finanziario locale, la necessità di una classifica dei comuni, sotto lo speci- fico punto di vista delle condizioni della popolazione dei singoli comuni e delle singole regioni.

I n una forma rudimentale, parziale e illogica, esiste una classifica, o meglio una distinzione; la quale, specialmente

agli effetti finanziari, non è reale, o è, per lo meno, semplicistica,

non essendo basata sulle vere e complesse condizioni econo- miche. La supposizione, per esempio, che un piccolo comune

abbia ricchezza media inferiore a un comune più grande, che

la circolazione del denaro sia inferiore e quindi abbia meno

valore rappresentativo, può avere un valore di realtà se si met- tono in paragone due comuni rurali d i diversa grandezza; non

mai se si paragonano un comune rurale con uno industriale.

Così, il limite delle imposte di carattere personale stabilito sul

numero degli abitanti d i un comune crea una sperequazione; che diviene sensibilissima, se, come capita nelle regioni ove

l'industria è prevalente, nei piccoli comuni disseminati attorno alle grandi città industriali sorgono i grandi opifici capitalistici,

a cui vantaggio cede il limite massimo imposto dalla legge al

comune classificato sul semplice criterio della popolazione.

E come poter fare u n paragone sui caratteri finanziari di

un grosso comune industriale dell'alta Italia e un grosso comune

agricolo del mezzogiorno, ove per lo più sono delle vere agglo-

merazioni urbane della classe agricola, che non abita sui lati- fondi deserti e nelle campagne distanti dalle città tre o quattro

ore di cammino? Come molti compiti diversi ha un comune

industriale e deve soddisfare a un cumulo di bisogni creati dallo svolgersi rapido e vertiginoso dell'industria e dei com-

nierci, così baserà la sua finanza su cespiti diversi da quelli del comune agricolo. Per accennare a una sperequazione tipica: nel mezzogiorno, l'agglomerazione urbana dei contadini fa gra- vare i l peso della imposta erariale e quindi delle sovrimposte locali sulle abitazioni degli agricoltori, vere case rurali e colo- niche ; mentre nei centri industriali, ove la popolazione agricola è sparsa per le campagne; si può facilmente e più opportunn- mente ricorrere all'inasprimento di questa imposta, che risponde all'incremento del valore dei fabbricati urbani. Però, la colle- ganza della sovrimposta dei fabbricati con quella dei terreni fa sì che un comune rurale del mezzogiorno, ove i terreni sono in aumento di valore e sono u n cespite fondamentale e naturale per i l crescente incremento agricolo, se vuole aumentare il con- tributo del proprietario terriero, deve colpire anche il pro. prietario urbano, che nella gran maggioranza rappresenta la casa di abitazione del contadino.

Nei centri industriali avviene il contrario: le sperequazioni divengono così sensibili, anzi, insopportabili. La legge sul mezzo- giorno ha voluto troncare la testa al toro impedendo di sovrim- porre oltre la media quinquennale e promettendo ai contadini l'esenzione dall'imposta fondiaria urbana. Questa promessa è stata concretizzata in un irrisorio progetto, che potrà beneficare qualche centinaio non di contadini, ma di miserabili: ma la disposizione generale di non poter sovrimporre ha colpito eguaI- mente il comune che ha sovrimposto 51 centesimi, come quello che è arrivato a 90 centesimi; quello che ha un vasto territorio, come quello che ne ha uno piccolo, quello che ha esaurito tutte l e risorse tributarie, come quello che non ne ha sperimentato che poche, creando una irrazionalità di stato di fatto, per avere generalizzato delle disposizioni legali, parificando i comuni, come faceva Procuste coi passeggeri.

Continuo nel florilegio: la legge sul dazio di consumo vieta ai comuni di introdurre nuove voci o di inasprire le tariffe delle voci esistenti, se non vi corrisponda la identica diminuzione sui generi d i prima necessità; la disposizione ha tutta la parvenza di voler garantire i cittadini contro nuovi aggravi locali: tale disposizione legislativa rimonta' se mal non ricordo, al 1892.

Quanti comuni si siano sviluppati e trasformati d'allora a

oggi, aumentando le esigenze colletive alle quali si deve soddi- sfare, per un sempre crescente sviluppo e incremento cittadino, non si può precisare, ma sono in gran numero.

E certo tali comuni nel 1892 non avevano tassato alcuni generi trasformabili dall'industria, pel fatto che mancava la industria stessa, alla quale il comune deve pur dare molte age- volazioni, moltiplicando i mezzi di comunicazione interna, crean- do nuove vie interurbane e rurali, accelerando gli scambi, esten- dendo la pubblica illuminazione e simili; e invece di far contri- buire l'industria, dovrà ricorrere, per esempio, alla tassa di fami- glia, che colpisce tanto l'industriale che l'agricoltore, o alla tassa bestiame, di semplice carattere agrario, o all'aumento di sovrim- posta che colpisce la proprietà fondiaria.

Così, la disposizione del 1892 sul dazio di consumo dà forse un utile risultato nel comune agricolo, ma sperequa gli interessi d i un comune industriale.

Su questo tenore potrei continuare per un pezzo, rilevando a ogni pie' sospinto l e difficoltà che crea una legge sui tributi locali identica per tutti i comuni; ma lo credo inutile, perché ogni persona, un po' pratica di amministrazione, le rileva da sé.

È impossibile una sana ed efficace riforma dei tributi locali che non si basi sopra una razionale classifica dei comuni in rap- porto alle loro condizioni economiche attuali, e che consenta allo svolgimento tributario una sufficiente elasticità e una rela- tiva libertà.

Questa affermazione è in. perfetta antitesi con l 'attuale sistema di uniformità e di fissità assoluta; e ad alcuni può sembrare audace, temendo che possa nascondere in sé delle dannose sor- prese. Però, a parte lo studio dei presidi necessari perché u n organismo finanziario tributario regga bene, a parte la forza di controllo pubblico che, in materia di interessi, è efficace e po- tente, i l criterio esposto ha l a sua forza nel modo di considerare l'ente locale formato sulle basi dell'autonomia, che è necessa- riamente autonomia di finanza, distinta e separata da quella dello stato e da u n continuo intervento statale che toglie e dà a i comuni, alterando e modificando gli elementi finanziari, o servendosi dei comuni a scopi finanziari di stato, come è l'ab- bonamento del dazio di consumo governativo. La classifica dei

comuni, sotto i l punto di vista finanziario, è perciò fondamentale per la libertà stessa del comune.

Da questo rapido esame, derivano le seguenti affermazioni: a) che è necessaria una classifica dei comuni nel campo am-

ministrativo, e che essa deve differenziare i comuni grandi, dai medi e dai piccoli, in rapporto ai diversi elementi che costi- tuiscono il carattere e le funzioni de'i comuni;

b) che la classifica dei comuni s'impone come pregiudiziale a una seria riforma tributaria; e che tale classifica si .deve basare sugli elementi economici specifici e prevalenti dei comuni, in un largo campo di attività e di sviluppo;

C) che quindi le due classifiche non possono avere elementi identici, ma partono da diversi criteri ed hanno differente portata.

Per completare la presente relazione, credo opportuno aggiun- gere un esempio di classifica, tanto per tentare un argomento difficile, dando a ciò un semplice valore deduttivo ed esplicativo dei criteri suesposti.

Amministrativamente, la classifica dovrebbe avere come scopo precipuo quello di allargare il campo delle competenze ammini- strative e diminuire quello delle ingerenze governative: sì che il comune esca gradatamente daIie condizioni di pupiiio per divenire libero dei suoi. atti, compire coscientemente tutte le funzioni che gli spettano in rapporto alle esigenze della vita municipale e ai bisogni della collettività. Quindi, elementi inte- granti della classifica sono il complesso degli interessi rappre- sentato dal numero di popolazione e dalla forza finanziaria dei relativi bilanci comunali; il livello di cultura, d i cui sono in- dice gli istituti di istruzione, la percentuale dell'analfabetismo, che differenzia il centro urbano da quello rurale, la maggiore possibilità di controllo pubblico e la maggiore intensificazione di vita politica, di cui è esponente la stampa, e ne sono un indice gli uffici pubblici che hanno sede in un comune e che rappresentano anche un raggio di influenza di ogni genere sui comuni circostanti, e perciò una prevalenza e una influenza notevole nella formazione della pubblica coscienza e del mag- giore senso della responsabilità.

Così potrebbe aversi questo tentativo di classifica:

I classe. Grandi comuni superiori a un Certo numero di abi- tanti o sedi principali di regioni, o sedi di istituti superiori di istruzione.

I1 classe. I capoluoghi d i provincia non compresi nella pre- cedente classe, i comuni sedi di uffici superiori governativi, di istruzione secondaria, licei e istituti tecnici, qualunque ne sia la popolazione; o che abbiano una determinata popolazione e una percentuale minima di analfabeti.

111 classe. I capoluoghi di circondari non compresi nelle pre- cedenti classi e le città che abbiano altri istituti d i istruzione superiore alla elementare qualunque ne sia la popolazione; oppure una determinata popolazione e una determinata percen- tuale di analfabeti.

ZV classe. Tutti gli altri comuni.

Finanziariamente, la classifica non sarebbe esclusiva, sì da potere un comune per diverse cause appartenere a diverse clas- si. Gli elementi van dati dalle condizioni economiche locali e dal criterio della riforma tributaria, dovendo la riforma e la classifica compenetrarsi e completarsi.

Però nessuno di~conoscer~à che, in qualsiasi progetto di ri- forma tributaria, si dovrebbero tenere presenti le seguenti note classificative :

a) piccolo comune rurale, b) grosso comune rurale o agglomerazione rurale, C) comune urbano con prevalenza rurale, d) comune urbano con prevalenza industriale, e) grande comune industriale e commerciale.

Ripeto che questa classifica è semplicemente esemplificativa dei criteri della relazione, e quindi esce fuori da qualsiasi discus- sione e da qualsiasi critica.

Un'obiezione si sarà affacciata alla mente di molti contro una cpalsiasi classifica amministrativa ; cioè che tale classifica tende o almeno avrà per effetto d i lasciare il piccolo comune in balia

della politica governativa, sotto la pressione della vigilanza e della tutela politica, e creerebbe cosi quella divisione dei co- muni che invece l'Associazione tende a unire contro la invasione della burocrazia statale; la difficoltà sarebbe forte, se non le stesse di contro tutta l'azione, l'opera e la finalità dell'Associa- zione stessa, che tende a far penetrare nella vita e nella coscien- za del paese, come nella legislazione, i l principio del sacro di- ritto delle libertà comunali. Questo principio non può nè deve essere compromesso dalla portata della classifica; la quale, in- vece, contribuisce ad agevolare le conquiste dell'autonomia co- munale, rendendola meno difficile; altrimenti, pel fatto stesso di volere a un tratto l'intiera autonomia, dovrebbe essere re- spinto dal congresso il progetto del consiglio superio,re dei co- muni, che involge certi adattamenti necessari coll'attuale inge- renza governativa, e si renderebbe anche vana tutta l'opera nostra.

Inoltre, nessuno disconverrà che' se è necessaria la 1iberx.à ai comuni, questa, dopo uno stato di depressione e di irresponsa- bilità, deve essere gradualmente conquistata in rapporto alla maggior suflicienza di amministrare liberamente e alla maggiore efficacia del pubblico controllo. Da ciò la grande utilità di una classifica ; e come nessuno ha mai trovato illogico che un comune piccolo abbia venti consiglieri e che uno grande ne abbia ottan- ta, cosi nessuno potrà protestare se; per esempio, alla giunta d i un comune che amministra 20 mila lire all'anno sia consen- tito di deliberare le spese a calcolo entro lire 500, mentre alla giunta di un comuke che amministra 20 o 10 milioni sia aumen- tata la cifra di sua competenza. Per quanto poi riguarda la por- tata dell'ingerenza amministrativa delle prefetture, occorrerà far notare che la vigilanza di uffici tecnici, quali quello del genio civile o del consiglio di prefettura, sarà superflua per i comuni dove esiste un ufficio tecnico o un ufficio del contenzioso e contratti, non così per i piccoli comuni che non hanno tali ufficij i quali, a parte qualsiasi criterio amministrativo, sono di vera garanzia agli interessi del municipio. Ho voluto notare queste differenze evidenti che portano a una diversa concezione del problema di classifica; ma nessuno dedurrà che non si deh- ba escludere anche pel piccolo comune quella ingerenza politi-

ca che ferisce le più sacre libertà comunali ; e la classifica perciò

non deve certo essere fatta per sanzionare uno stato di oppres-

sione politica, contro la quale tutti i comuni debbono lottare.

Come semplice affermazione di massima, che sorga dalla pre- sente relazione la quale vuole rimanere un semplice contributo

a l grave problema, propongo il seguente ordine del giorno: I1 VI1 congresso della Associazione dei comuni italiani:

« I) afferma la necessità di una classifica dei comuni sia dal (C punto cli vista amministrativo che finanziario;

(( 11) riconosce che riuscirebbe difettosa e inefficace e turbe- « rebbe molti interessi una riforma dei tributi locali che non

« avesse come base una classifica dei comuni rispondente alle

« loro reali condizioni economiche; « 111) fa voti che il governo affronti con larghezza di criteri

« il problema della classifica dei comuni, secondandone le legit- (C time aspirazioni nel riconoscere i diritti dell'autonomia co- « munale n.

Venezia, 25 aprile 1908.

LA CLASSIFICA DEI COMUNI (*)

I. Al congresso nazionale dell'Associazione dei comuni ita-

liani tenuto a Venezia lo scorso anno, presentai una relazione

sulla necessità di una classifica dei comuni, anche come pregiu- diziale a una riforma tributaria. L'importanza dell'argomento e la ristrettezza del tempo consigliarono il rinvio della discus- sione a Genova.

Ma perché l'anno di ritardo non trascorresse infruttoso, men- tre al maturar dei problemi collettivi così agitata e veloce in- calza la vita, e oltre all'affermazione di alcune conseguenze di inclole generale, si aprisse il campo a pratiche discussioni che

(*) Relazione all'VIII congresso dell'Associazione dei com~ini italiani, tenutosi a Genova nel maggio del 1909.

meglio rilevano lo stato del pensiero di m o l t i ; il consiglio diret- t ivo ha creduto opportuno che nel congresso d i Genova si entras- se nel merito del tema, discutendo i criteri pratici di una clas- sifica rispondente alle attuali condizioni dei comuni.

Dimostrando così che nella condizione generale del pensiero moderno può dirsi risoluta i n senso favorevole la pregiudiziale della necessità della classifica, che fin dal 1867 nei lavori della commissione parlamentare per la riforma della legge comunale e provinciale apparve matura, e che molte volte si tentò di in- trodurre nella legislazione italiana con disegni d i legge che sfor- tunamente si arenarono nelle sirti della preparazione parla- mentare.

Nella relazione presentata al congresso di Venezia venivo alle seguenti affermazioni :

« a ) che è necessaria una classifica dei comuni nel campo amministrativo, e che essa deve diferenziare i comuni grandi dai medi e dai piccoli in rapporto ai diversi e l e m e d i che costi- tuiscono il carattere e le funzioni dei comuni;

b ) che la classifica dei comuni s ' impom come pregiudiziale a una seria riforma tributaria; e che tale classifica si deve basare sugli elementi economici specifici e prevalenti dei comuni, in u n largo campo d i attività e d i sviluppo;

c j che quindi le due classifiche non possono avere elenlenti identici, m a partono da diversi criteri ed hanno diflerente por- tata ».

E da queste affermazioni facevo scaturire l'ordine del giorno che proposi al congresso nei seguenti termini :

« I l congresso ecc. I . afferma la necessità d i una classifica dei comuni sia dal

« punto d i vista amministrativo che finanziario; « I l . riconosce che riuscerebbe difettosa e: inefficace e turbe-

« rebbe molti interessi una riforma dei tributi locali che non « avesse come base una classifica dei comuni rispondente alle loro

reali condizioni economiche ; N ZII . fa voti che il governo affronti con larghezza cli criteri

« i l problema della classifica dei comuni, secondandone le legit-

time aspirazioni nel riconoscere i diritti dell'outonomia co- « munale D.

Queste affermazioni e questo voto, che rispondono anche oggi allo stato della questione, mi danno i l punto di partenza per una seconda relazione, che nell'esame dei criteri pratici, su cui la classifica dei comuni deve essere basata, include anche (cosa non facile) un vero tentativo di classifica.

Per riuscire, poi, semplice e quindi per rendere più specifi- ca la discussione, escludo dalla presente relazione quanto ri- guarda l a classifica dei comuni in armonia e agli effetti di una riforma tributaria; anche perché tale classifica è così intrinse- camente connessa con la stessa riforma tributaria, da non po- terne stabilire gli elementi completi e concreti se non si preci- sano i criteri della riforma della finanza locale.

Del resto la classifica generale di ordine amministrativo e costituzionale è come base e fondamento alla quale si riferisco- no, con gli elementi specifici, tutte le leggi d i carattere speciale, e in particolar modo le leggi finanziarie e tributarie.

Infine, perchè lo studio abbia u n punto pratico d i riferimen- to, in modo che il pensiero divenga più concreto e più chiaro attraverso le linee di elementi prestabiliti in mancanza di u n disegno di legge posto oggi sul tappeto della discusione parla- mentare, mi riferirò ad uno dei tentativi meno amorfi, al pro- getto Di Rudinì presentato nel 1897, che ha criteri non disprez- zabili e fornisce utili insegnamenti per una discussione pratica.

11. I1 primo e il fattore di una classifica dei co- muni è dato dal numero degli abitanti. Esso è il più semplice e il più evidente, e quindi su di esso sono fondate le diverse dispo- sizioni legislative in vigore, come quasi tutti i progetti di clas- sifica presentati al parlamento.

Però, siccome la popolazione è u n dato estrinseco e rappre- sentativo, perchè non si cada nell'arbitrario occorre segnare quel che intrinsecamente vi dà valore e costituisce la differenziazione dei diversi numeri.

Nella relazione dello scorso anno così sintetizzavo gli ele- menti veri e reali d i una classifica dei comuni:

« Amministrativamente lo classifica dovrebbe avere come sco-

po precipuo quello d i allargare i l campo delle competenze am- ministrative e diminuire quello delle ingerenze governative ; si che i l comune esca grudatamente dalle condizioni di pupillo per divenire libero dei suoi atti, compire coscientemente tutte le funzioni che' gli spettano in rapporto alle esigenze della vita municipale e a i bisogni della collettività.

Quindi elementi integranti della classifica sono il complesso degli interessi rappresentato dal numero di popolazione e dalla forza finanziaria dei relativi bilanci comunali; il livello d i cul- tura, d i cui sono indice gli istituti d i istruzione, la percentuale dell'analfabetismo, che differenzia il centro urbano da quello ru- rale', la maggiore possibilità di controllo pubblico e la maggiore intensificazione d i vita politica, d i cui è esponente la stampa e ne sono un indice gli uffici pubblici che hanno sede in un comune e che rappresentano anche un raggio d i influenza d i ogni genere sui comuni circostanti, e perciò una prevalenza e un'influenza notevole nella formazione della pubblica coscienza a del nrag- giore senso della responsabilità D.

È evidente che la somma di questi elementi si trova nei co- muni che hanno una popolazione numerosa, e che sono insieme centri di pensiero e di vita nelle diverse e molteplici attività so- .

ciali; e che van man mano (attenuandosi e digradando, come va diminuendo il numero degli abitanti, che forma il complesso di forze, di interessi, di scambi, di attriti necessari all'evolversi e al progredire di una città. E non v'ha dubbio che la vita comu- nale, nel movimento veloce della civiltà presente, ne è uno dei fattori più vitali e uno degli organi più espressivi; per cui il comune ha funzioni più complesse, secondo che più complessa è la vita creatavi attorno al numero sempre crescente di abitanti

e allo sviluppo notevole di tutte le forme delle attività cittadine. È conseguenza logica, adunque, che nello stabilire la popo-

lazione come base di una classifica dei comuni non si può dare

al numero degli abitanti un valore assoluto, automatico. per sè

stante; creando una vera e propria classe numerica, come po-

trebbe dirsi che siano attualmente le disposizioni della legge

comunale e provinciale rispetto al numero dei consiglieri comu-

nali e delle leggi speciali dei tributi locali, ove sono regolati la

misura e i limiti delle facoltà tributarie. Ma, invece, vi si dà u n valore rappresentativo e relativo, come espressione di altri fat- tori; e quindi viene circondato di elementi che ne correggono la portata, sì da avvicinarla alla realtà delle cose espresse e con- tenute.

L'on. Di Rudinì non tenne conto nel suo progetto dell'ele- mento della popolazione e quindi divise i comuni in due classi: nella prima pose i capoluoghi di provincia e di circondario ; gli altri nella seconda.

Però, seguendo il concetto dei fattori derivanti dalla natura del comune, portò una distinzione fondamentale fra comuni a popolazione riunita e comuni rurali a popolazione sparsa, ten- tando di C( costituire, in alcune determinate condizioni, dei comu- ni agricoli speciali, ai quali la legge chiede il minimo degli ob- blighi che la civiltà attuale consente, accordando loro, in pari tempo, le facilitazioni nei pubblici pesi, che il principio della eguaglianza tributaria può consentire n; una specie di CC colo- nie agricole interne » ( relazione ministeriale).

Inoltre, introdusse una disposizione, che la commissione cen- trale del senato propose di abolire, ma che racchiudeva u n sano principio dinamico, benchè la dizione fosse abbastanza infelice; cioè che- il governo avesse facoltà di passare con decreto reale dalla seconda alla prima classe quei comuni composti in pre- valenza di elemento civile, in cui i servizi e le finanze risultano regolarmente tenuti e sistemati (ar t . 1). Ed è .opportuno tener conto di tale disposizione o di una simile, per togliere alle classi la rigida fissità di ordini prestabiliti, e dare il mezzo a più ra- pidi sviluppi.

Un altro elemento degno di nota e rispondente allo sviluppo della vita comunale, contemplò in modo speciale i l ministro pro- ponente, cioè il consorzio intercomunale, a cui attribuiva la fi- gura di ente morale, non solo per i servizi obbligatori, ma anche se liberamente costituiti <( per provvedere insieme a pubblici servizi n.

La commissione del senato applicò. a tali. consorzi la classifica stabilita per i comuni.

Il difetto principale deI progetto Di Rudinì è nella divisione dei comuni in due classi fondamentali, il cui solo fattore è la

designazione politica, in parecchi casi arbitraria e inadatta, di capoluoghi, di circondari e di provincie; onde il senato cercò di migliorare e rendere più complessa la ragione di classe, intro- ducendovi timidamente il fattore della popolazione e comple- tandolo con un altro elemento anch'esso estrinseco, i l manda- mento.

Per non cadere in un semplicismo esagerato, dal quale sfug- gono gli elementi veri e reali di una classifica, e per evitare il difetto di un condensamento di note specifiche, che rendono complicate e poco pratiche le leggi che vogliono ridurre i fatti a un'astrazione metodica, è necessità seguire un sistema legger- mente eclettico; e tenendo il fattore popolazione come base e fondamento di una razionale classifica dei comuni, occorre cir- condarlo di elementi integrativi e correttivi, che servano a ri- durlo alla più sincera espressione della realtà.

a) Seguendo questi concetti, anzitutto è necessità storica e sn- ciale porre in una classe distinta i grandi comuni storici, le grandi sedi, ove pulsa impetuosamente la vita, che pervade le nostre regioni, e che hanno in tutto il complesso dello sviluppo cittadino la forza e l'elemento perenne del rinnovarsi e progre- dire della vita comunale.

Mantenere ancora Roma, .Napoli e le altre grandi città nelle identiche condizioni di un capoluogo di circondario, come è nel progetto Di Rudinì, o pari alle città che hanno 8.000 abitanti anche sparsi nelle campagne, come nel progetto Nicotera; o an- che pari alle città che hanno 4.000 abitanti agglomerati, come nel progetto della commissione parlamentare istituita dallo stesso Nicotera, non risponde ai sani criteri di una classifica oggettiva e realistica.

" h) Così riesce più facile formare degli altri grandi comuni una classe seconda; e non sarebbe irragionevole se venisse fis- sata come base di classe una popolazione di 20.000 ovvero 25.000 abitanti, mettendo per elemento completivo la qualità di capo- luogo di provincia o di circondario, quand'anclie i l numero de- gli abitanti sia inferiore ai 20 o ai 25 mila.

C) La terza classe viene da sè; vi avranno posto i coniuni che ahhiano una popolazione agglomerata non inferiore a 4.000 o

a 5.000 abitanti, o che siano capoluoghi di collegi o di manda- menti.

d) Infine, gli altri comuni apparterrebbero alla quarta clas- se. I n questa classe non si comprendono i comuni rurali a popo- lazione sparsa per la campagna, per i quali si dovrebbe mante- nere il criterio del ministro Di Rudinì, creando nella nostra legislazione questo tipo di comune, che necessariamente ha una grande diversità nella vita collettiva, e quindi ,nella funzione comunale.

A questi elementi di classificazione è opportuno aggiungere un altro, da me indicato l'anno scorso, del quale, in certo modo, ho trovato traccia nella relazione parlamentare Merzario al pro- getto Nicotera, ove si parla del numero degli elettori come uno dei criteri di classifica. Io avevo accennato alla percentuale. de- gli analfabeti, come mezzo correttivo della classifica; questa do- lorosa condizione di fatto è una caratteristica dei grandi comuni del mezzogiorno e delle isole; nei quali, per diverse cause sto- riche ed economiche, la popolazione rurale si è accentrata, ple- tora di abitanti, senza che si abbiano i mezzi per provvedere ai bisogni collettivi, e mancando di quelle speciali condizioni che possano mettere tali agglomerazioni rurali alla pari delle città di uguale o anche di minor numero d i cittadini.

Ora, una percentuale minima di elettori, che è effetto preci- puo dell'analfabetismo e segno di poca preparazione politica, può bene servire come correttivo alla classe precisata dal nu- mero degli abitanti o dalla qualità d i capoluogo, in modo che una percentuale di elettori, sotto il limite prestabilito, dovrebbe far passare il comune dalla classe propria alla classe immedia- tamente inferiore.

Si dà così una spinta maggiore ad aumentare il numero degli elettori e quindi.a combattere l'analfabetismo, e si crea attorno al comune un raggio sempre più largo di interessamento e di controllo.

Infine, non è da trascurare la disposizione rudiniana del pas- saggio dei comuni di una classe inferiore ad una classe siipe- riore per decreto reale, se date circostanze di fatto vi concorro- no, in modo da corrispondere al vero progresso della città ; come

pure, per ragioni sopra esposte, è da tener conto del consorzio intercomunale e includerlo nella classifica.

Riassumendo si avrebbero i seguenti criteri fondamentaIi:

1) che l'elemento principale della classifica è dato dalla po- polazione ;

2) che va fatta distinzione fra comune rurale a popolazione riunita e comune rurale a popolazione sparsa;

3) che le grandi città storiche, che tuttora sono centri della vita nazionale, vanno messe in una classe diversa;

4) che la qualità di capoluogo delle circoscrizioni politiche è un elemento correttivo della popolazione; per cui un comune passa dalla classe inferiore a quella immediatamente superiore;

5) che la percentuale degli elettori, se inferiore a un dato limite, è anch'esso un correttivo in senso inverso, e fa passare un comune dalla classe superiore a quella immediatamente in- feriore ;

6) che deve risiedere nel governo, sentito un corpo consultivo indipendente, la faco1t.à di poter assegnare un comune ad una classe superiore alla propria, se risponde a certe condizioni che ne manifestino la regolarità, l'incremento e la potenzialità ad una vita più libera e più evoluta ; O

7) che i consorzi intercomunali, anche se liberamente stabi- liti, seguano la classe rispondente al numero di popolazione rappresentata dai comuni consorziati e ne abbiano identiche condizioni di libertà.

111. La classifica dei comuni non è certo uno schema senzx contenuto, ha una finalità e una coesistenza intrinseca con l'or- dinamento amministrativo e il naturale sviluppo di esso. E pro- prio nello stabilirne la portata e gli effetti, i diversi disegni di legge presentati al parlamento risentono della diffidenza che, in tutta la nostra legislazione e nel convincimento di molti, vi è nei confronti del comune; e quindi mentre si cerca di intro-

durre qualche disposizione liberale, se ne trova un'altra più restrittiva, se ne inceppa il cammino con nuovi pesi e nuove catene burocratiche.

L'on. Di Rudini, seguendo il metodo della maggiore sempli-

cità, ridusse a due le disposizioni liberali, segnate agli articoli 2 e 5: « Per i comuni della prima classe non saranno più sotto- « poste all'approvazione della giunta provinciale amministrativa « l e deliberazioni per le materie indicate negli articoli 166 e 167

della vigente legge comunale e provinciale, eccettuate quelle « che importano contrazioni di prestiti o spese che vincolano « i bilanci oltre cinque anni » (art . 2).

I1 valore dei contratti e l'ammontare delle spese per opere, « lavori ed acquisti, di cui agli articoli 157 e 259 della legge co- « munale e sono rispettivamente elevati a L. 3000 « per i comuni di prima classe e a L. 1000 per i comuni di se- « conda classe II (ar t . 5).

A queste disposizioni di carattere liberale, ne aggiunse subito altre restrittive per i 'comuni di seconda classe, sottoponendoli a maggiore tutela, attribuendo alla giunta provinciale ammini- strativa perfino l'esame di deliberazioni di spese che vincolano i bilanci oltre tre anni e qualsiasi autorizzazione a lite e svin: colo di cauzione; dando facoltà, per i comuni di prima classe, al ricorso di u n quinto di consiglieri alla giunta provinciale am- ministrativa con l'effetto di sospendere per sessanta giorni la ese- cuzione della deliberazione, cosa che avrebbe ridotto u n comu- ne alla mercè di una minoranza turbolenta, danneggiandone an- che seriamente gli interessi. E, infine, volendo togliere l'obbligo di trasmettere al prefetto le deliberazioni in copia, propose la trasmissione dell'elenco degli oggetti trattati, segnando termini e formalità che non solo attenuano, ma distruggono gli effetti voluti.

I1 referendum proposto dal Di Rudinì come semplice facol- tà dei comuni, nei casi di nuove tasse o di spese oltre i l sessen- nio, perdeva i l suo valore amministrativo e -la sua efficacia di controllo; del resto, è questo un istituto che va trattato a parte.

Noi che lottiamo per la libertà e le autonomie comunali, pur rendendoci conto della mentalità dell'ambiente parlamentare a riguardo, non possiamo concepire una classifica dei comuni per cosi povero contenuto e per così timide ed incerte disposizioni; noi domandiamo che si affronti vigorosamente i l problema delle libertà corniinali, e si segua un criterio largo e pratico nell'ana- lisi delle singole disposizioni legislative e regolamentari.

La classifica, anzitutto, deve essere riguardata come un auvia- mento pratico e graduale verso più larghe e complete forme di libertà amministrativa, e questa concezione risponde a un prin- cipio fondamentale di educazione collettiva, per cui, ad ogni elevazione, occorre una corrispondente preparazione. È dovero- so riconoscere che, nella vita amministrativa dei comuni, vi so- no troppe lacune e notevoli deficienze, alle quali fa d'uopo prov- vedere con elementi collettivi e integrativi. Tali elementi pos- sono trovarsi, specialmente per i piccoli comuni, nel raggruppa- mento in consorzio, onde provvedere agli uffici e agli elementi tecnici, per i lavori pubblici, l'igiene, la sanità, l'istruzione, la ispezione finanziaria e simili; ma è necessità che non manchi una elementare vigilanza governativa, che senza violare il prin. cipio di libertà riesca di controllo e di aiuto.

Fermo tenendo, come base, la identità della natura giuri- dica dei diversi comuni e la eguaglianza costituzionale dell'ente autoarca, è chiaro che, salendo attraverso l e classi, si vada sem- pre più acquistando maggiore l ibertà; e questa graduale ascen- sione deve rispondere, da una parte, a una maggiore sufficienza di mezzi morali e materiali, onde provvedere ai bisogni della cittadinanza, alla più viva efficacia del controllo che attenua quello governativo; e dall'altra parte, a maggiori oneri che ven- gono imposti non solo dalla più complessa vita cittadina, ma dal maggior contributo civico ( lo chiamo così) che un comune deve dare alla nazione sia nel campo della cultura, che in quello del- l'arte, che nello sviluppo dei commerci interni, nonchè in quelle funzioni statali demandate ai comuni per giusto criterio di de- centramento di poteri e di agibilità di funzioni.

Si suole ripetere che, con questi criteri, si fanno gli interessi dei grandi comuni e si lasciano i piccoli comuni alla mercè del potere centrale, che continuerà a loro danno il sistema dell'op- pressione politica.

Nella relazione presentata a Venezia così rispondevo alla obiezione :

K La difficoltà sarebbe forte se non Le stesse di contro tutta l'azione: l'opera e la finalità dell'Associazione stessa, che tende a fare penetrare nella vita e nella coscienza del paese, come nella

legislazione, il principio del sacro diritto delle libertà comunali. Questo principio non può, nè deve essere compromesso dalla portata della classifica; la quale, invece, contribuisce ad agevo- lare le conquiste dell'autonomia comunale, rencÈendola meno dif f ici le; altirimeati, pel fatto stesso di volere a u n tratto l'intiera autonomia, dovrebbe essere respinto dal congresso i l progetto del consiglio superiore dei comuni, che involge certi adattamenti necessari coll'attuale ingerenza governativa, e si renderebbe va- na anche tutta l'opera nostra.

Inoltre, nessuno disconverrà che se è necessaria la libertà ai comuni, questa, dopo uno stato d i depressione e d i irresponsa- bilità, deve essere gradualmente conquistata in rapporto alla maggior sufficienza d i amministrare liberamente e alla maggiore efficacia del pubblico controllo. Da ciò la grande utilità d i una classifica; e colme nessuno ha mai trovato illogico che u n comu- n e piccolo abbia vent i consiglieri e che uno grande ne abbia ot- tanta, cosi nessuno potrà protestare se, per esempio, alla giunta d i u n comune che amministra 20 mila lire all'anno, sia consen- tito d i deliberare le spese a calcolo entro lire 500, mentre4 alla giunta d i u n comune che amministra 20 o 10 milioni sia aumen- tata la cifra d i sua competenza. Per quanto poi riguarda la por- tata dell'ingerenza amministrativa delle preletture, occorrerà far notare che la vigilanza d i uffici tecnici, quali quello del ge- nio civile o del consiglio d i prefettura sarà superfluo per i comuni dove esiste un ufficio tecnico o u n ufficio del contenzioso e con- tratti, non cosi per i piccoli comuni che non hanno tali uffici, i quali, a parte qualsiasi criterio amministrativo, sono d i vera ga- ranzia agli interessi del municipio.

Ho voluto notare qu-te differenze evidenti che portano a una d i v e ~ s a concezione del d i classifica; m a nessuno dedurrà che non si debba escludere anche pel piccolo comune quella ingerenza politica che ferisce le più sacre libertà comu- nali; e la classifica perciò non deve certo essere fatta per san- zionare uno stato1 d i oppressione politica, contro la quale tu t t i i comuni debbono lottare n.

A me sembra che sia ormai superata la difficoltà che si avanza a nome dei piccoli comuni, pel fatto stesso che con la

classifica non viene toccato il principio delle libertà comunali, m a solo è stabilita una graduatoria, secondo la potenzialiti ef- fettiva e reale di ogni comune.

A questo concetto rispondono tre criteri ventilati nella pre- sente relazione, ai quali si deve informare un sano progetto di classifica; cioè: 1) la facoltà del passaggio alla classe immedia- tamente superiore, se il complesso del funzionamento corilunale risponde al progredire e alle esigenze della vita cittadina ; 2) l a facoltà di creare liberamente i consorzi intercomunali, che avreb- bero una classifica derivante dal totale degli abitanti dei comuni consorziati; 3) l'obbligo che si fa ai comuni di corrispondere alla conquista delle libertà comunali con maggiori oneri sociali rispondenti ai bisogni collettivi.

Riassumendo :

a) la classifica dei comuni ha una portata amministrativa ri- spondente alle graduali rivendicazioni delle libertà e,autonomie comunali ;

b) tale gradazione ha, come punto di partenza, la parifica- zione costituzionale dei comuni e la uguaglianza nelle libertà fondamentali degli enti autonomi; e va fino alla più larga indi- pendenza amministrativa, nella quale rimane solo il controllo contabile degli organi governativi ;

C) al più libero funzionamento dei comuni corrisponde u n numero maggiore di funzioni e un maggiore sviluppo di servizi, in rapporto ai bisogni della popolazione e al progredire delle attivit.à cittadine.

Come esemplificazione dei criteri seguiti nella presente rela- zione, volendo tentare di concretizzare le disposizioni di tutela e vigilanza governative applicate alle quattro classi sopra indi- cate, si potrebbe stabilire :

Prima classe

a) controllo contabile del consiglio di prefettura ai conti consuntivi annuali ;

b) diritto di annullamento da parte del ministero competen- te delle disposizioni dei regolamenti d i polizia urbana e rurale e d i edilizia vincolative della libertà individuale.

Seconda classe

a) e b) come sopra; C) approvazione tutoria dei mutui superiori al quarto delle

entrate ordinarie ; d) approvazione tutoria dell'alienazione di capitale superiore

a L. 50.000. Terza classe

a), b, C) e d) come sopra; e) visto del prefetto ai regolamenti organici comunali; f) visto del prefetto ai contratti attivi e passivi superiori a

L. 25.000 ; g) approvazione tutoria per spese che vincolano i l bilancio

oltre 9 anni. Quarta classe

a), h), C), 4, e), f ) e g) come sopra; h) visto del prefetto a i bilanci preventivi; i) visto alle deliberazioni di classifica scolastica elementare.

N. B. Contro una determinata deliberazione non soggetta a tutela o vigilanza governativa, può i l quinto dei consiglieri fare regolare reclamo al prefetto, notificato al sindaco; e i l prefetto può richiamare gli atti e infra quindici giorni emettere u n de- creto di annullamento, contro i l quale è dato il ricorso nelle forme di legge.

In questo esempio o tipo di classifica (che è così chiaro da lasciar fuori ogni commento), ho conservato quzl tanto di con- trollo governativo che ~ u ò riuscire tuttora giovevole, fino a che la vita dei comuni non si evolva completamente, e fino a che non si trasformi tutto il complesso ordinamento amministrativo degli enti locali.

Non insisto sulle singole disposizioni, nè su di esse è possi- bile una discussione. Ciò può solo servire come punto di riferi- mento ad un'analisi qualsiasi, e come una delle tante manifesta- zioni concrete di un pensiero che si agita e si s v i l u ~ p a .

I1 congresso è un'assemblea in cui solo le idee complesse e sintetiche possono formare oggetto di affermazione collettiva, e quindi solo i risultati ultimi possono accettarsi come espressione

di u n volere comune. Onde è che in merito a l presente tema io credo che il congresso non possa che votare u n ordine del giorno di indole generale, che pur compendiando le idee svolte, si mantenga sopra a i dettagli particolari, che possoiio anche es- sere oggetto di critica e di studio. Per cui, pur tenendo ferme le idee svolte e i criteri seguiti, credo di riprodurre il pensiero comune i n questo ordine del giorno:

« L'VI11 congresso nazionale del17Associazione dei contuni italiani riunito a Genova

affermando l'urgente necessità di una legge che classifichi i comuni perchè l'ordinamento amministrativo risponda alla real- tà della vita comunale e alle sue molteplici esigenze;

riconoscendo che la classifica deve avere lo scopo precipuo di ridurre gradualmente al minimo consentito dalla natura dei comuni liberi e autonomi, l'ingerenza e la sorveglianza degli uffici governativi ;

prende atto

dei criteri esposti nella relazione in ordine alla classifica co- me rispondenti, nel complesso, alla somma delle aspirazioni comuni.;

delibera

J i dare mandato al consiglio direttiva dell'Associazione dei co- muni di farsi promotore di u n progetto di legge di classifica dei comuni, agitando in questo senso la pubblica opinione.

Genova, 19 maggio 1909. -

I L PROBLEMA DELLA VIABILITÀ COMUNALE t SPECIALMENTE NEL MEZZOGIORNO (*)

Restringo il tema, troppo vasto, a quanto deve interessare i comuni n&i'iiguardi della Liabilità; e tengo presente, nella trat-

(*) Relazione al IX congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a: P-dlermo nel maggio 1910.

tazione, le condizioni del mezzogiorno, perché hanno una im- portanza e richiedono provvedimenti d i carattere specifico.

Ad agevolare i l mio compito credo opportuno fare presente al congresso lo stato della legislazione sulle strade ordinarie.

La legge fondamentale, che codifica il diritto stradale, è quella sui lavori pubblici, allegato f, 3 marzo 1865 n. 2248. Le altre lèggi riguardano i provvedimenti di carattere amministra- tivo e finanziario, circa l'esecuzione delle linee stradali.

Così f u dallo stato ampliata e condotta a termine l a rete del- le strade nazionali, che fin dal 1862 era stata iniziata nel mez- zogiorno; e venne formata ed ampliata la rete delle strade ro- tabili provinciali. Le leggi che si riferiscono a queste grandi ar- terie, dopo quella del 1865, sono quelle del 27 giugno 1869 n. 5147, 30 maggio 1875 n. 2521 (che autorizzò la spesa d i 225 milioni per opere stradali e idrauliche); e poscia quelle del 28 luglio 1881 n. 333, del 12 luglio 1894 n. 367, del 30 giugno 1896 n. 226, del 31 luglio 1902 n. 297, del 30 giugno 1904 n. 239, e

del 31 marzo 1904 a favore della Basilicata; con le quali si provvide a nuovi elenchi o ai mezzi necessari per dare sfogo agli impegni assunti con le leggi precedenti.

Non tutti i provvedimenti adottati sono stati eseguiti, pe r rag i~n i~f inanz ia r ie e burocratiche; e purtroppo, anche se adot- tati, non avrebbero risolto interamente il problema della viabi- lità nazionale e provinciale; mentre s'impone la risoluzione di nuovi problemi creati dallo sviluppo dei traffici e dalla diffu- sione di nuovi mezzi di comunicazione, quali la tranvia e l'auto- mobile; per cui sono necessarie vie larghe e ben mantenute coi sistemi più rispondenti.

L'on. Sonnino nel 1894 riferiva alla camera che per vie na- zionali e provinciali si erano spesi e impegnati 209 milioni da parte dello stato e 83 milioni da parte delle provincie; e che a compiere la rete deliberata occorrevano ancora L25 milioni da parte dello stato e 112 milioni da parte delle provincie.

I1 movimento che contrassegnò i l primo periodo dei lavori stradali, fu seguito da un attardamento spiegabile solo per l a difficoltà che attraversò la finanza italiana ma che pregiudicò di molto l e condizioni deficienti del mezzogiorno; al quale poco rimediò fin oggi l a legge del 1904 sulla Basilicata.

Le leggi di carattere comunale, delle quali specialmente mi occupo, sono quella del 30 agosto 1868 n. 4612, sospesa in gran parte dalla legge del 7 luglio 1894 n. 317, e alcune speciali: cioè la legge de11'8 luglio 1903 n. 312 sulle vie di accesso alle sta- zioni ferroviarie, e quella del 15 luglio 1906 sui comuni isolati, inserita fra i provvedimenti per i l mezzogiorno e poi estesa oppor- tunamente-a tutto il regno; legge che è stata integrata dalla leg- gina Sonnino, fatta nel presente anno, per quanto riguarda al- cuni provvedimenti finanziari.

Le leggine semestrali sui danni alluvionali delle strade pro- vinciali e comunali, a cui fu dato valore di continuiti nel di- cembre 1904, e quella sulle frane delle strade provinciali e co- munali e degli abitati del giugno 1904, riguardano la manu- tenzione straordinaria e sono provvide certamente; basta averle notate nel non breve elenco.aelle leggi iige*nti in materia.

Non esistono leggi fatte dal nostro parlamento riguardo le antiche vie regie, le trazzere e mulattiere comunali; solo ulti- mamente si ebbero dei provvedimenti sui tratturi delle Puglie.

Nel tema proposto si è fatto un riguardo speciale al mezzo- giorno perchè in esso le condizioni di viabilità sono più difficili: e ciò anzitutto per la natura montuosa del suolo che rende di- spendiose le vie rotabili.

Questa grande parte della patria comune è formata da lun- ghe catene di montagne e di colli, da terreni accidentali e fra- nosi, solcati da grossi torrenti. Le popolazioni rurali, per un complesso di ragioni, che è fuori argomento indagare e discu- tere, anzichè abitare in campagna, nei cascinali, nei piccoli po- deri, nei villaggi e nelle borgate create dalla proprietà frazio- nata, che forma da sè una fitta rete di vie agrarie che mettono capo alla grande rete stradale, vive agglomerata nelle grandi e numerose città rurali, sorte spesso sulle cime dei monti, distanti l'una dall'altra molti chilometri di strade e di campagne.

I1 latifondo forma la zona che direi neutra: essa per lo più è indifesa: sarà toccata dalle strade nazionali o ~rovinciali , per- chè le esigenze dei progetti lo avranno richiesto; ma è un fatto estraneo. I1 latifondo per sè non ha strade: è campagna nuda, che è attraversata da muli, per lunghi e malagevoli viottoli O

addirittura sul terreno dissodato per i servizi campestri; avrà per gli armenti l'avanzo di vecchie trazzere, e sarà congiunto alla mulattiera o anche a qualche rotabile più o meno vicina.

Vi sono zone di latifondi di ben dieci o quindici mila ettari di terreno senza alcuna strada rotabile; e in alcune parti oc- corre fare perfino venti chilometri per raggiungere una via rotabile.

Queste tre cause, cioè le condizioni del suolo, le agglomera- zioni urbane e i latifondi, hanno reso di carattere speciale il problema della viabilità, non solo per le forti spese a cui si va incontro, ma anche per l a natura della viabilità dal punto di vista agrario.

La legge fondamentale del 1865 diede il carattere agrario esclusivamente alle strade vicinali, soggette a pubbliche servitù, e alle private, che non ricadono sotto il regime di leggi speciali.

Senza entrare in u n argomento riservato ad altra relazione, noto solo che la via vicinale si sviluppa in località dove la pro- prietà rurale è frazionata, dove per i bisogni di molti utenti sorge una chiesa, si costruisce un mulino, vi è una sorgiva di acqua; dove le vie comunali sono poco lontane, e vi si può arri- vare con brevi percorsi d i strade; poco costose a costituire e a mantenere.

Dove, invece, fra una strada e l'altra, provinciale o comu- nale, occorre traversare decine di chilometri, per sterminati lati- fondi, senza normale abitazione, tranne del campaio o del ribat- tiere (*), non si può arrivare a parlare di vie vicinali ; occorrono strade per lunghezza, larghezza e opere d'arte, importanza di territori, ragioni di lavoro, di carattere comunale agrario.

Sembrerà strana quest'affermazione: anzi, qualcuno dirà che la natura di tali strade è perfettamente privata, e quindi di nes- sun interesse comunale.

Non è così: gabellotti, fittavoli di pascoli, operai a gior- nata, a migliaia vivono in questi latifondi e su questi latifondi, ove impiegano la loro attività, la loro energia, i loro capitali. Essi subiscono i l rincaro delle terre, senza poterne trarre i van- taggi che derivano dalla facilità dei commerci e dalla comodità

( e ) Guardie campestri.

dei mezzi di trasporto; essi espongono la vita ad attraversare, d'inverno, torrentacci furiosi; essi arrivano ad arrischiare i loro capitali, se sono bloccati dalle intemperie. E sono molti, la mag- gioranza dei lavoratori della terra, che partono la mattina al- l'una, alle due dopo mezzanotte, per fare tre o quattro ore di cammino a cavallo o a piedi e trovarsi sul far del giorno sul posto di lavoro; e ripartire la sera per rifare la medesima via.

I1 proprietario latifondista può perfino ignorare l'esistenza d i tale stato di cose: egli sa che ha una rendita normale, varia- bile come i valori di borsa, che gli viene dalla terra, sconosce i pesi che gli sono imposti dalla natura della sua proprietà.

Ho voluto insistere su questo punto, perchè non lo trovo accennato, neppure lontanamente, in nessun criterio della legi- slazione italiana; e bisogna rimontare alle mulattiere comunali, antiche arterie agrarie di carattere collettivo, che riunivano le antiche trazzere regie, attraversanti per ogni lato sia l'agro bo- nificato, sia, benchè in minor numero, i l latifondo.

Le leggi italiane considerano le vie comunali come semplici comunicazioni fra piccole e grandi città, o le frazioni dei co- muni, o fra il centro abitato e un punto di utilità o servizio col- lettivo, come il bosco demaniale, la chiesa parrocchiale, la fonte comunale, i l cimitero, la stazione, il porto. È escluso il carat- tere agrario, che invece sorge prepotente dalle specifiche condi- zioni del mezzogiorno, e fu concretizzato nella storia e nellà natura delle sue vecchie strade.

Così oggi poniamo il problema della viabilità comunale nel mezzogiorno : cioè viabilità comunale interurbana, quale risulta dalle leggi vigenti; e viabilità comunale agraria, quale risulta dall'antica consuetudine.

Primo : viabilità comunale interurbana. Comprendo in que- sta categoria tutto quanto per strade comunali è inteso nelle nostre leggi italiane, e specialmente in quella fondamentale del 1865 e in quella speciale delle strade obbligatorie del 1868, con i susseguenti provvedimenti legislativi.

All'art. 16 della legge del 1865 e all'art. 1 della legge del 1868 sono chiaramente indicate le strade che si intendono per comunali. Cioè :

' a ) quelle necessarie per porre in comunicazione il maggior

centro di popolazione di una comunità col capoluogo del ri- spettivo circondario e con quello dei comuni contigui;

b) quelle che sono nell'interno dei luoghi abitati; C) quelle che dai maggiori centri di popolazione di un co-

mune conclucono alle rispettive chiese parrocchiali e ai cimiteri, o mettono capo a ferrovie o porti, sia direttamente sia collegan- dosi ad altre strade esistenti;

d) quelle che servono a riunire fra loro l e più importanti

frazioni di un comune. E poichè occorrevano seri provvedimenti a dotare i comuni

di molte strade comunali, così, con la legge del 1868, si avvisa- rono i mezzi acconci a ciò, sia con l'istituzione di speciale so- vrimposta sulle tasse dirette, sia con una tassa sugli utenti, sia con la prestazione d'opera degli abitanti, sia con l a istituzione d i pedaggi temporanei, sia con i concorsi dello stato e delle provincie.

I1 provvedimento fu anche imposto d'ufficio ai comuni riot- tosi o negligenti: furono classificate 43.000 chilometri di strade obbligatorie, e si diede alacremente mano all'opera.

Però, dopo appena aver compiuto 13.000 chilometri d i stra- de e averne in corso di preparazione circa 5.000 chilometri, at- traverso a un ingranaggio o deficiente o scorretto, i l governo, preoccupato dell'onere del concorso alla spesa, che sorpassò le previsioni, e che nelle deficienze dei bilanci dei LL.PP. creò imbarazzi allo stato o ai comuni, con un colpo, che allora sem- brò coraggioso, nel luglio 1894 sospese la legge nei riguardi del- l'obbligatorietà delle costruzioni e del sussidio del governo e delle provincie, meno che per le costruzioni in corso.

Altro che i 120 mila chilometri che Quintino Sella, nella re- lazione della legge del 1868, aveva detto fossero necessari per rimettere l'Italia i n condizioni d i viabilità discrete!

La legge passò con una dichiarazione del ministro Saracco, che mi piace riportare, per far notare come è facile ai governi distruggere e ricostruire, promettere e attendere, specialmente quando si tratta degli interessi dei comuni: « Non è esatto, co- <( me supponeva l'on. Diligenti, che il governo intenda con que- « sta legge sopprimere quella del 1868. Niente di ciò. È una « semplice sosta, che si impone ai comuni per pochi anni : p iù

« tardi, quando lo stato sia in grado di poter pagare effetiiva- « mente i sussidi, la legge del 1868 riprenderà tutto i l suo impe- « ro D (Atti parlamentari, 6 luglio 1894).

E mi piace pure accennare alla risposta dell'on. Diligenti, uno dei pochi che parlò e votò contro la legge del 7 luglio 1894: « On. ministro, i vantaggi di questa legge li vedrete tra molti

anni, se vantaggio saranno. i danni dei miseri comuni. Ma se « voi proverete il dolore, il danno sarà tutto delle nostre pro- (( vince del mezzogiorno! )) (ibidem).

La sospensione temporanea, accordata con la legge del 1894, dura tutt'ora, dopo sedici anni; nè si nota qualche lontano indi- zio che il governo studi il problema nella sua larghezza, e ripri- stini la legge 1868, con quelle opportune modifiche che la ren- dano, dopo più di quarant'anni, rispondente agli attuali bisogni e alle aggravate condizioni finanziarie dei comuni.

Perchè, ed è bene notarlo, i difetti della legge del 1868, sia nell'ingranaggio burocratico reso molto pesante dal regolamento del 1874, sia nella forma delle prestazioni personali (che se po- co urtano con le condizioni ambientali dei piccoli villaggi e solo per lavori di poca importanza, riescono difficili e onerose per grandi masse e per grandi lavori organici), ne resero facile i l seppellimento sotto il pretesto delle economie, senza che i co- muni protestassero e le popolazioni interessate se ne risentissero.

Dopo la legge di sospensione del 1894 sopra citata, si sentì i l bisogno di speciali provvedimenti che non lasciassero intera- mente in abbandono specialmente i piccoli comuni.

Così venne proposta e votata la legge de11'8 luglio 1903, n. 312, sulle vie di accesso alle stazioni ferroviarie e all'approdo dei piroscafi; i cui artt. 3 e 4 ripristinavano la legge del 30 agosto 1868, per quanto riguarda le strade rimaste incomplete.

.Non ho potuto avere dati esatti sull'applicazione d i questa legge, e sull'uso che ne hanno fatto i comuni.

Un interessante parere del consiglio di stato, adottato dal ministero dei LL.PP., ha esteso i benefici della legge del 1903 anche ad una seconda strada di accesso alla stazione ferroviaria, quando la prima è insufficiente al traffico, per forti pendenze o perché a sezioni ristrette.

Per quanto ne sappia,.poco è stata l'applicazione, nei riguar- d i del completamento delle vie obbligatorie, anche perchè i l sus- sidio del quarto è parso poco rispondente ai bisogni dei comuni, specialmente in località come le nostre ove occorrono molte spe- se per opere d'arte. È da notare che la legge è temporanea, e i termini utili scadono per l e vie indicate all'art. 1, il 7 luglio 1911, e per q e l l e indicate all'art. 3, il 7 luglio 1913.

Per chi sa quali formalità occorrono, come sono pesanti le burocrazie dei geni civili e del ministero dei LL.PP, e per chi conpsce che i fondi non sono sufficienti alle richieste dei comuni,

i quali incontrano anche al riguardo le ostilità delle provincie interessate, può comprendere bene che alla scadenza della leg-

ge molti ancora saranno i comuni e le frazioni dei comuni che

non avranno potuto ottenere i benefici della legge, che forse tut- tora ignorano.

Un altro provvedimento necessario e atteso fu quello del

1906 sui comuni isolati, facendo gravare la spesa delle strade di

allacciamento per quattro sesti allo stato, per un sesto alle pro

vincie e per un sesto ai comuni. La legges però, si incagliò subito nelle formalità burocrati-

che. P e r avere gli elenchi definiti delle strade da costruirsi ci

son voluti tre anni. Tirate le somme, i l governo si avvide che,

con mezzo milione di stanziamento all'anno nel bilancio dei LL.PP., ci volevano cento anni per completare 312 strade elen-

cate, per le quali occorreranno di sicuro cinquanta milioni a

carico dello stato. Nei suoi secondi cento giorni, Sonnino fece approvare una

leggina suppletiva, che provvedesse sul serio alla spesa: ma sia-

mo ancora troppo distanti dalla realtà; e occorrerà insistere a

che ci siano i fondi necessari, e a che si proceda con la dovuta

sollecitudine, trattandosi di problemi così gravi, così urgenti, che, con un senso di meraviglia, si arriva a sapere com'è che in

Italia, nel 1910, vi siano più di trecento comuni isolati. La legge non riguarda l e frazioni dei comuni, così h a deciso

il consiglio d i stato, e il ministero ne h a seguito il parere. Occorre perciò provvedere a che anche le frazioni dei co-

muni non siano più isolate, e che vi si estendano i benefici della legge del 16 luglio 1906. .

Passiamo al problema della viabilità coiilunale agraria. Essa interessa specialmente il mezzogiorno: e limito questa parte al problema delle trazzere e mulattiere ex-regie e comunali.

Come dissi, in tutta la legislazione italiana non si ha parola di tali antiche strade, che prima della costruzione delle rotabili servirono per le comunicazioni fra le città e per gli usi agrari delle nostre regioni. Ad esse si può indirettamente riferire solo l'ultimo comma dell'art. 16 della legge del 1865 riguardo gli elenchi comunali, in quanto che tali strade furono segnate ne- gli elenchi precedenti, fatti dai comuni e approvati dall'autorità politica del tempo. Diversi comuni inclusero anche in tali elen- chi le trazzere regie.

Tali strade servivano al doppio uso: per i passeggeri in let- tiga o a cavallo, e per il passaggio delle greggi e degli armenti. La normale larghezza di circa 60 metri delle trazzere regie e d i 16 di quelle comunali, non solo serviva per i l regolare regime delle acque e per vincere aspre pendenze, ma specialmente per l'uso di pascolo temporaneo agli animali di passaggio per lo svernamento dalle regioni montuose alle pianure. I1 centro d i tali trazzere era fatto a grandi selci, le cui tracce tuttora ancora esistono per uso mulattiero e per gli scoli di acqua.

Col regime del 1865, lo stato si disinteressò delle trazzere regie, sostituite con le strade nazionali; delle quali un certo nu- mero seguì, fin dove le pendenze lo permettevano, il vecchio tracciato ; consentendo la concessione, a prezzo, dei tronchi relitti.

L'ingordigia dei proprietari limitrofi fece di più: l'usurpo lento, graduale o rapido, garantito da facili compiacenze, e, più che altro, dall'abbandono giuridico delle strade, compì in molte parti-la distruzione; rimanendo solo delle tracce strette, perfinc di tre o quattro metri, per uso dei trasporti a dorso di mula.

La mancata manutenzione delle trazzere non usurpate .da quelle comunali, più facili a conservare per l'interessamento degli abitanti del luogo, fece distruggere l e selciate, riducendo le strade in torrentacci e in corsi d'acqua incerti e franosi.

E l'incertezza della. competenza di intervento per la conser-

vazione e la polizia stradale paralizzò ogni azione, con I'aggiun- ta che nè la giustizia amministrativa nè quella del magistrato ordinario si è resa esatto conto delle condizioni giuridiche di tali strade.

Queste trazzere oggi non servono pii1 per le comunicazioni fra le città, restano però a prestare gran servizio per le nostre campagne, per le abbreviazioni dei lunghi percorsi delle rota- bili nelle regioni montuose, per le comunicazioni fra i latifondi,

per una infinità di vantaggi agrari dei piccoli e dei grandi col-

tivatori e della pastorizia.

Da qui nasce la necessità di porre avanti i l problema della

esistenza, conservazione e rivendicazione di tali vie importan-

tissime, di un vero, demanio collettivo trascurato e in parte

perduto.

Anzitutto occorre precisare la natura giuridica di tali strade

e le corrispondenti competenze. A me sembra evidente che aven-

do le ex-trazzere regie perduto il carattere di strade nazionali,

e servendo oggi solo a scopo agrario, come è stato detto, che interessa la quasi totalità degli abitanti dei territori attraversati,

tali strade hanno, di fatto,assunto il carattere di strade comu-

nali-agrarie, come quelle della stessa natura che erano le anti- che mulattiere comunali.

Ora è necessario e urgente, se si vuole salvare questo gran-

de demanio nell'interesse del mezzogiorno, &e una legge dello

stato ne riconosca la natura, ne precisi le competenze, e ne af-

fidi ai comuni, rispettivamente ai territori, la rivendicazione, la manutenzione e la polizia, semplificando le procedure di ri-

vendicazione, e applicando a tali strade le disposizioni della

legge del 30 agosto 1868; riferibili anche, ove occorra: a i con- sorzi intercomunali obbligatori.

Insisto sulla proposta della obbligatorietà dei consorzi inter-

comunali, perchè spesso avviene che una strada perde parte del-

le sue funzioni se non è messa in condizione di poter essere

usata in tutto il suo percorso; e perchè si può trovare qualche amministrazione che, per interessi privati, non sia sollecita a curare le rivendiche delle zone usurpate.

i1 problema della trazzere è di carattere urgente e di vero interesse comunale.

Resta a toccare la questione finanziaria riguardo a i comuni; sia per la costruzione o ricostruzione delle strade previste nelle leggi del 1903 e del 1906, sia per quelle previste nella legge del 1868, se tornasse in vigore ; sia per i l ripristino e la sistemazione delle trazzere e mulattiere.

I concorsi dello stato e delle provincie per le leggi del 1903 e 1906 sono tali da non dover richiedere dell'altro: occorre solo che i l governo affretti i provvedimenti finanziari necessari.

Per i l ripristino della legge del 1868 non solo per i l comple- tamento delle strade in corso, come fece con la legge del 1903 (ar t . 3); ma per tutta la rete delle ordinarie comunali, facendo oggi una revisione dei vecchi elenchi, certo non basta il concorso del quarto, e occorre che lo stato abbia il coraggio di affrontare i l problema finanziario, come fece nel 1875, e di risolverlo op- portunamente, portando il contributo alla metà.

Per quanto riguarda le spese a gravare sui comuni, credo .che il ripristino delle disposizioni del 1868, cioè l'aumento di cent. 5 di sovrimposta sulle tasse dirette e la tassa speciale sui princi- pali utenti può dar mezzo ad affrontare le spese, ottenendo le necessarie agevolazioni della cassa depositi e prestiti per mutui occorrenti a pagar le spese. Per tali mutui si debbono poter vin- colare i due cespiti speciali sopraindicati. Le ragioni d i utilità - agraria danno forza a scegliere tali cespiti d'entrata onde co- prire l e spese; e i vantaggi economici saranno tali anche per gli utenti, che non risentiranno molto dei nuovi aggravi. Non mi sembra che i l diritto di pedaggi e la prestazione d'opera corri- sponda a l carattere di provvedimenti adatti ai tempi. Mi hasta questo cenno riguardo alla natura dei mezzi, non potendo nella

. presente relazione fare una divagazione sul tema dei tributi lo- cali. ' ' '

Concludendo, presento all'assemblea i l seguente voto, che

riassume le considerazioni che in forma breve ho voluto espor-

re, come un semplice cenno di un problema che va trattato con uno studio ben più ponderoso e profondo, meritando tutto l'in- teressamento dei comuni e delle popolazioni del mezzo,' giorno.

(( IL ZX congresso dei comuni italiani

per le considerazioni esposte della relazione di cui prende atto,

riconoscendo in modo speciale i bisogni vivi e pressanti del mezzogiorno per u n razionale sviluppo e regime delle strade òrdinarie, mentre fa voto che venga completata al più presto la rete stradale derivante dalle vigenti leggi, e siano estesi i prov- vedimenti adottati per la Basilicata a tutto il mezzogiorno con-

e tinentale e alle isole;

delibera

che siano promossi dal consiglio direttivo dell'Associazione i provvedimenti necessari :

a) perchè sia ripristinata la legge del 30 agosto 1868, sospesa con la legge del 7 luglio 1894 e in parte rimessa i n vigore con quella de11'8 luglio 1903, apportandovi le necessarie modifiche, in modo da poter completare la rete delle strade ordinarie. co- munali ;

b) perchè siano prorogate le scadenze stabilite dalla legge 7 luglio 1903;

C) perché sia estesa la legge del 15 luglio 1906 alle frazioni dei comuni;

d) perché siano dichiarate comunali obbligatorie le ex-traz- zere regie e le antiche mulattiere comunali, rifacendone gli elen- chi e provvedendo alla reintegra e al ripristino di tali strade di comune interesse agrario;

e) perché sia provvisto ai mezzi necessari per la viabilità co- munale, non solo con i concorsi dello stato, in misura congrua e rispondente ai bisogni, ma anche ridando ai comuni l e facoltà dell'art. 2 a) e b) della legge 30 agosto 1868, e stabilendo i con- sorzi obbligatori intercomunali per l e strade che attraversano più territori comunali n.

Palermo, 4 maggio 1910.

PER LE STRADE COMUNALI QUESTIONI PICCOLE E QUESTIONI GROSSE (*)

I1 nostro amico sacerdote Sturzo, prosindaco di Caltagirone, è noto come uno dei più appassionati agitatori d i questioni am- ministrative, e da molti anni nei congressi dei comuni italiani figura come relatore trattando svariati argomenti; e sono note le sue relazioni sulla CLassifica dei comuni (Venezia e Genova) e sulla viabilità (Palermo). Lo stesso argomento della viabi- lità comunale egli tratterà al prossimo congresso dell'dssocia- zione dei comuni, onde abbiamo voluto interrogarlo sui criteri informativi della sua relazione.

La questione della viabilità comunale, egli ci ha detto, è una delle più complesse che vi siano in Italia ; e anche delle più Irascurate.

La legge più moderna e più audace rimane sempre quella del 1868, sulle vie obbligatorie ; che sfrondata delle- difficoltà pra- tiche, che si ebbero a riscontrare allora, e di parecchie gravezze, che oggi possono essere attenuate o anche tolte, potrebbe essere una legge veramente moderna e applicabile in tutta la sua estensione.

Di 43.000 chilometri a cui si provvedeva con quella legge appena 13.000 furono eseguiti; e 500 erano in corso di esecu- zione quando nel 1894 i l governo, preoccupato dell'onere del concorso alla spesa, che in certi posti fu persino il doppio del preventivo, creando così imbarazzi allo stato e ai comuni, con u n colpo di testa sospese la legge del 1868. Conseguenza fatale fu che molte strade rimasero incomplete, altre neppure appal- tate ; alcune gi.à eseguite, non furono mantenute ; e molti milioni e molto lavoro personale furono buttati al vento.

D'allora si è andati avanti con leggine speciali e con piccoli provvedimenti, quali quelli della legge del 1903 sulle vie di ac- cesso alle stazioni ferroviarie, quelli del 1906 per l'allaccia- mento dei comuni isolati.

( e ) Intervista rilasciata al Corriere d'Italia.

P e r la legge del 1903 lo stato fin dal 1907 aveva pagato oltre mezzo milione di sussidi, sopra u n impegno preso di quattro milioni e mezzo.

Con la legge del 1905 per l'allacciamento dei comuni isolati, dal preventivo fu stabilito che si sarebbe provveduto a 439 stra- de, delle quali 371 rotabili, 68 mulattiere, per la complessiva lun- ghezza approssimativa di 1306 chilometri.

I1 nostro interlocutore nel citare questi dati, più o meno in via approssimativa, ricordava come Quintino Sella nella rela- zione alla legge del 1868 aveva detto che per mettere I'ltalia in condizioni d i viabilità discreta occorrevano 120 mila chilometri d i nuove strade, e concludeva che in 43 anni non se n'erano costruiti che 25.000 chilometri.

Continuando ad esporre lo stato della legislazione presente, egli soggiungeva che quando nel 1894 fu sospesa la legge del 1868, l'on. Saracco, allora ministro, dichiarava alla camera che non si trattava d i abolire l'impero di quella legge, ma solo d i sospenderne per breve sosta la portata finanziaria, i n modo che quando lo stato sarebbe stato in grado di pagare effettivamente i concorsi dovuti, la legge avrebbe ripreso tutto i l suo impero.

Sono passati diciassette anni, e tranne le dispoiizioni inclu- se nella legge del 1903 per il completamento delle strade già incominciate (chilometri 5.000 dei quali pochi hanno avuto di fatto la concessione del sussidio) nessuna legge è venuta a ri- mettere in vigore quella del 1868, o meglio a rifarla adattandola alle esigenze presenti.

Abbiamo osservato che lo stato ha avuto inoltre l'onere derivante dalle leggi pe r le strade provinciali. È vero, ci ha risposto i l sac. Sturzo, per le leggi del 1869, 1875 e 1881 sulle strade provinciali lo stato ha avuto degli oneri, ma essi nel complesso non hanno superato, fino al 1907, i sei milioni. Si tratta di una rete principale, quale è quella provinciale, che è distinta per funzioni e caratteri da quella comunale, che non può essere confusa né trascurata con l'altra.

Del resto la esigua cifra di sei milioni in .quarant'anni circa, non dimostra affatto i sacrifici fatti dallo stato.

- I1 ritorno all'impero della legge del 1868, sia pure modi- ficata e adatta alle esigenze presenti, avvantaggerebbe le condi- zioni del mezzogiorno?

Abbiamo rivolto questa domanda al sacerdote Sturzo, il quale nella relazione fatta al congresso di Palermo aveva trat- tata a parte la questione delle trazzere siciliane.

Egli ci h a risposto che le condizioni di viabilità del mezzo- giorno sono ben diverse da quelle dell'alta e media Italia, ove l'abitante rurale è sparso nella campagna, così densa di villaggi, borgate, frazioni, comunelli autonomi anche di 500 abitanti;

, per cui il concetto dell'art. 16 della legge fondamentale sulle vie del 1865 risponde alle condizioni di fatto di quella clie è la viabilità comunale.

Tutte le leggi successive hanno mantenuto come cardine quel criterio. Ora di fatto, essendo nel mezzogiorno la popolazione agglomerata nei centri, bastano poche arterie di vie per lo più provinciali, e mettere in comunicazione i comuni fra di loro, o l e frazioni di comuni, ove esistono. Così avviene il caso strano che un territorio vastissimo quale quello del mezzogiorno e Sici- lia è solcato da poche strade.

Quando fu fatta la legge sul mezzogiorno, si volle provvedere alla viabilità con le disposizioni riguardo i comuni isolati. Per l'agitazione fatta da molti deputati- tali disposizioni furono este- se a tutto il regno. Si ebbe questo strano risultato, che delle vie classificate nel relativo piano regolatore in forza di tale legge 342 appartengono all'Italia settentrionale, 42 alla centrale, 67 alla meridionale, 40 alla Sardegna e 9 alla Sicilia.

Lo stesso quasi è a dirsi dell'esito della legge del 1903 sulle vie di accesso alle stazioni ferroviarie. Siccome la rete stradale nel mezzogiorno è inferiore alle altre reti stradali, e la legge si riferisce ai comuni che non distano oltre 25 chilometri dalla stazione; così nel mezzogiorno e nella Sicilia si è avuto un risultato inferiore alle previsioni.

Fino a l 1907 l'Italia settentrionale aveva avuto assegnati circa 3 milioni di sussidi; l'Italia centrale oltre 410 mila l ire; l'Italia meridionale 900 mila lire e la Sicilia 167 mila lire. - Qual'è adunque i l concetto che predomina nel mezzo-

giorno riguardo le strade?

- Un'idea concreta e geniale manca, perché manca la vi- sione esatta dei problemi locali, almeno nelle sfere politiche del mezzogiorno, essendo i deputati occupati pur troppo d i altri affari.

Però le popolazioni sentono i l disagio della mancanza delle strade. Dall'inchiesta sul mezzogiorno risulta che il problema più grave da noi è quello delle strade. Le vecchie trazzere sono abbandonate e usurpate; ed il sac. Sturzo ricordava l'eco vivis- sima avuta in Sicilia l'anno scorso per la sua relazione al con- gresso di Palermo. La sicurezza delle campagne, la possibilità del funzionamento della propriet.à, lo sviluppo del commercio agra- rio, tutto dipende dalle strade.

Perciò l'idea che si sostiene da molti, e che egli tornerà a trattare nel congresso, oltre al ripristino con le dovute modifiche della legge del 1868 e la tutela e rivendica delle trazzere comu- nali, si è che si dia ai comuni la facoltà dei consorzi obbligatori per le vie agrarie che attraversino un datomterritorio, con il ca- rattere di vie comunali, e con tutte le condizioni derivanti dalla legge del 1868, compreso il sussidio di stato.

Tale facoltà dovrà essere circondata da tutte le garanzie, ma non deve mancare se si vuole i l risorgimento del mezzo- giorno agrario. - Un'ultima domanda: i l consiglio dell'Associazione dei co-

muni è d'accordo in tale ordine di idee? I1 sac. Sturzo ha accolto anche quest'ultima domanda: e ci

ha risposto così: - L'anno scorso accettò la mia relazione, ove in parte erano

sostenute tali idee. I1 voto ebbe un buon esito riguardo la do- manda di proroga dei termini assegnati dalla legge 1903 per l e vie di accesso alla stazione. E con la legge del 21 luglio 1910 sulle ferrovie della Basilicata e Calabria, fu abrogata ogni limitazione d i tempo.

Nell'ultima seduta tenuta giorni fa fu accolta l a petizione del comune di Caltagirone per la proroga degli altri termini indicati dalla legge del 1903, e Meda fu pregato di presentare analogo progetto di legge.

In quella seduta esposi per sommi capi le idee principali della mia relazione, idee che sono state in massima accettate.

Io confido che la questione delle strade comunali finirà per imporsi.

Noi abbiamo augurato al nostro amico che la sua campagna, sostenuta con tanta convinzione di efficacia, abbia ad avere buon esito, nell'interesse del maggiore sviluppo della vita nazionale.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 28 maggio 1911).

14.

SULLA V I A B I L I T À COMUNALE (*)

Piu che una relazione sulla viabilità comunale, la presente è una semplice comunicaiione; perché ad un anno di distanza, non avrei che ripetere i n gran parte quel che esposi al I X con- gresso dell'Associazione dei comuni tenuto a Palermo nel mag- gio del 1910.

I1 voto allora emesso fu il seguente:

Il IX congresso dei comuni italiani

per le considerazioni esposte nella relazione d i cui prende atto,

riconascendo in modo speciale i bisogni vivi e pressanti del mezzogiorno per un razionale sviluppo e regime delle strade ordinarie, mentre fa voto che venga completata al più presto la rete stradale derivante datle vigenti leggi, e siano estesi i prov- vedimenti adottati per la Basilkata a tutto il mezzogiorno conti- nentale e alle isole;

delibera

che siano promossi dal consiglio direttivo dell'Associazione i provvedimenti necessarii:

a ) perché sia ripristinata la legge del 30 agosto 1868, sospe- sa con la legge del 7 luglio 1894 e in parte rimessa in vigore con quella de11'8 luglio 1903, apportandovi le necessarie modifiche,

(*) Relazione al X congresso nazionale deli'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a Roma nel giugno 1911.

i n modo d a poter completare l a rete delle strade ordinarie co- munali ;

b) perché siano prorogate le scadenze stabilite da l l a legge 7 luglio 1903 ;

C) perché sia estesa la legge del 15 luglio 1906 alle frazioni dei co,muni;

d) perché siano' dichiarate comunali obbtìgatorie le ex-traz- zsre regie e le antiche mulattiere comunali, rifacendone gli elen- ch i e provvedendo alla reintegra e al ripristino di tali strade d i comune interesse agrario ;

e) perché sia provvisto ai mezzi necessarii pe r la viabilità comunale, non solo con i concorsi dello stato, in misura congrua e rispondente a i bisogni, ma anche ridando a i comuni le facoltà dell'art. 2 a) e h) della legge 30 agosto 1868, e stabibndo i con- sorzi obbligatori intercomunali pe r le strade che attraversano più territori comunali.

Oggi tale voto si ~ u ò tornare ad emettere per intero, ~ o i c h é purtroppo la soluzione del grave problema non ha progredito di un sol passo, mentre i voti dei congressi e dei comuni, l e relazioni d'inchiesta sul mezzogiorno e la Sicilia hanno rilevato ancora una volta che i l problema della viabilità è il problema più urgente che esiste in Italia.

Una sola disposizione messa, come per equivoco, nella legge sulle ferrovie della Basilicata e Calabria del 21 luglio 1910 ( a due mesi di distanza del congresso di Palermo) teneva conto del voto della nostra Associazione, e abrogava i termini dell'ar- ticolo 1 clella legge 8 luglio 1903, n. 312, con la seguente dispo- sizione segnata all'articolo 17 :

In tutte le provincie del regno è abrogata la disposizione dell'art. 1 della legge 8 luglio 1903 n. 312 relativa al termine prefisso ai comuni per l a costruzione delle strade di accesso alle stazioni ferroviarie e all'approdo dei piroscafi postali D.

Come l'assemblea ricorderà, tali termini sarebbero scaduti a Otto anni dalla legge, cioè 1'8 luglio del presente anno; così invece rimane permanente l'onere dello stato a sostenere la metà clella spesa, e della provincia i l quarto, gravando solo per

un quarto i comuni interessati, per le vie di accesso alle stazioni ferroviarie e agli approdi dei piroscafi.

A ,nessuno sfuggirà l'importanza di tale disposizione d i leg- ge, che rende un notevole servizio al movimento e al traffico dei comuni, che siano infra la zona di 25 chilomerti dalle strade ferrate o dagli approdi marittimi e lacunali.

Giova far conoscere a proposito di questa legge, che oramai è norma seguita dal ministero, in base ai responsi dei corpi consultivi, che le stesse disposizioni di legge si applicano quando un comune voglia costruire una seconda stradai se la prima sia insufficiente al traffico o per acclività o per altre ragioni speci- fiche; o se la seconda strada all.acci i l comune ad una stazione ferroviaria o -ad un approdo più vicino; come pure la legge viene applicata se si tratta di rettificare o migliorare le strade esistenti, o di prolungarle per allacciare i maggiori .centri di traffico e di popolazione.

Però una disposizione di questa legge per quanto riguarda le vie di accesso alle stazioni o agli approdi per la sua forma restrit- tiva, merita d i essere rilevata e corretta. Si tratta del terzo capo- verso dell'articolo 1 ove è stabilito: « Uguale trattamento verrà fatto ai comuni « che procederanno all'ultimazione di strade rimaste in sospeso per la legge del 19 luglio 1894, n. 338, e destinate a raccordate frazioni o borgate con la stazione cen- trale ferroviaria dello stesso comune N.

Non risulta che tale disposizione sia stata fin oggi applicata, tranne forse in qualche caso isolato.

Pertanto le frazioni dei comuni sono messe in condizioni di inferiorità rispetto al17allacciamento alle reti ferroviafie: è da notare che dal 1868 ad oggi delle frazioni nuove son sorte, altre hanno acquistato importanza per numero di abitanti e per opifici industriali ivi edificati; e per molti casi sotto l'impero della legge del 1868 o non si arrivò a costruire le strade di congiungimento, o non si inclusero tali strade neppure nell'elen- co; è conseguenza illogica purtroppo, che tali frazioni debbano essere escluse dal beneficio della legge del 1903.

Se i termini dell'art. 1 della legge de11'8 luglio 1903 sono stati abrogati, sono però rimasti in vigore quelli dell'art.,, 3 riguardo le vie obbligatorie previste dalla legge del 30 agosto

. 1868. iniziate e non completate per effetto della legge del 19

luglio 1894, n. 338; tali termini scadranno 1'8 luglio 1913. E poiché questa disposizione legislativa non ha avuto larga

applicazione, forse per la limitazione del sussidio dello stato al quarto della spesa, occorre prorogare i termini e stabilire degl'in- coraggiamenti ai comuni, in modo che completino la rete iniziata ; affinché putroppo la enorme spesa già sostenuta non vada, come spesso avviene, intieramente perduta. E l'incoraggiamento più rispondente al complesso del servizio sarebbe quello di stabilire dei concorsi per un periodo di tempo, che potrebbe essere di un decennio, per le spese di manutenzione, sia pure nella misura del quarto; perché in molti casi i comuni non affrontano la spesa della costruzione perché non hanno i mezzi per la manu- tenzione stradale.

Dalla statistica ministeriale del 1907 risulta che fino al 30 giugno di quell'anno. in eseciizione alla legge del 1903, erano state presentate 304 domande, di cui 149 in istruttoria, 117 ac- colte, 38 respinte per un totale di sussidi assegnati e concessi di L. 610.325,97; di cui pagate L. 534.598,2.

La classifica per regioni va da u n massimo di 85 domande e d i L. 1.105.284,07 di sussidii per il Piemonte, a un minimo di 3 domande e di L. 6357 di sussidio per la Sardegna: la Basilicata e le Calabrie fin allora non aveano avanzata nessuna domanda, e solo 5 domande la Sicilia per L. 167.580 di sussidi.

Dal 1908 ad oggi non si hanno statistiche, e quindi non si può rilevare quanto sviluppo abbia dato la legge che esaminiamo alla viabilità comunale che più interessa al traffico. Però i l fatto che molte regioni hanno ben poco profittato dei benefici d i tale legge, quali i l Lazio, l'Umbria, le Marche, le Puglie, oltre quelle su citate. dà a d argomentare che ancora molto cammino si deve fornire per avere una completa rete stradale, che leghi la strada ferrata e' i littorali alle città e ai villaggi d'Italia.

Per quanto riguarda la legge del 13 luglio 1906 n. 383 sulle strade di allacciamento dei comuni isolati alla esistente rete stradale, non ho che insistere sulla proposta fatta lo scorso anno, cioè che quelle disposizioni siano estese alle frazioni dei comuni. Non è civile mantenere migliaia di cittadini isolati dal consorzio umano, sol perché l'abitato in cui vivono non è un

comune nel senso amministrativo della parola, ma solo una frazione. E dire che non son poche le frazioni che toccano i quattro mila abitanti.

La distinzione giuridica fra un comune e una frazione ri- guarda le ragioni dell'ente amministrato e non le condizioni topografiche dell'abitato e i mezzi di viabilità. - Altrimenti si arriva a questa ingiustizia patente che due centri di 1000 abi- tanti, ed egualmente isolati, sol perché il primo è comune auto- nomo ha diritto alla strada e l'altro perché è frazione non ne ha diritto.

Del resto in via normale, tranne poche eccezioni, le frazioni non sono molto lontane dai relativi centri, con i quali è logico e morale siano messi in comunicazione stradale.

Inoltre è da richiedere che si consenta una revisione di elen- chi o la formazione di elenchi supplettivi, ammettendo nuove domande di quei comuni, che per incuria o ignoranza d i ammi- nistratori o d'impiegati, non seppero nei termini voluti appro- fittare delle disposizioni di legge a loro riguardo.

Ho insistito sopra alcuni ritocchi necessari a far sì che dalle vigenti leggi del 1903 e 1906 si tragga il maggiore van- taggio possibile, senza modificare l'economia e la struttura giu- ridica ed economica delle disposizioni in vigore.

Però resta sempre la grande lacuna di una legge organica che disciplini i l regime delle strade comunali obbligatorie, che ne sviluppi la rete, e che risponda ai più moderni criteri d i viabilità.

E tale bisogno è sentito maggiormente nelle regioni mon- tuose, ove la viabilità è più difficile e più necessaria ; nelle zone del latifondo, nelle provincie del mezzogiorno, ove la grande distanza dei centri abitati ha solo creato le arterie principali della rete stradale, senza dar luogo, come è avvenuto nei paesi disseminati di villaggi e città, a quella fitta rete stradale, che rende meno pressante il bisogno relativo per un maggiore svi- luppo alla viabilità comunale.

Rifacendomi in proposito a quanto ebbi a svolgere nella pre- cedente relazione, credo opportuno proporre anzitutto che all'art.

16 della legge del 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F, sulla clas- sifica delle strade comunali siano apportate le seguenti riiodifiche ed aggiunte:

1) Riconoscere come comunali tutte l e strade che congiungano le frazioni di un comune fra di loro, e non le più importanti come è scritto alla lettera d);

La ragione è evidente: i l carattere di comunale dato ad una strada comprende le ragioni di un vero servizio per la com- munità degli abitanti: e non è la importanza cli una frazione, ma la esistenza di essa, che crea rapporti di vero carattere comu- nale col resto de117abitato.

2) Aggiungere all'elenco come strade comunali, quelle che attraversano il territorio rurale del comune, pe r il servizio agra- rio degli abitanti del comune, congiungendo una larga zona ru- rale con i punti d i maggiore traffico.

Accennai l'anno scorso alla grave questione delle vie agra- rie, che attraversano lunghe estensioni di terre, perfino di 20 e 30 chilometri, senza incontrare u n abitato, senza attraversare una strada provinciale o nazionale. Tali arterie principali alla viabilità agraria non possono confondersi con le vie vicinali; esse sono di natura essenzialmente comunali, a servizio della generalità degli abitanti; i quali vivono riuniti nelle grandi agglomerazioni rurali che sono i comuni del mezzogiorno, della Sicilia e di alcune parti dell'alta e media Italia, e ogni giorno si recano a l lavoro dei campi, percorrendo per ore ed ore vasti territori inabitati.

Però sarebbe inutile provvedere alle modifiche delle disposi- zioni organiche e di classifica, che regolano la materia delle strade comunali, se rimarr,à insoluto i l problema dei mezzi per potere creare la rete stradale comunale che manca.

È necessario che i comuni siano messi in grado di affrontare le spese di costruzione e manutenzione delle strade comunali. L'anno scorso si fece voto che oltre al concorso dello stato, venissero ripristinate le disposizioni a) e b) dell'art. 2 della legge del 30 agosto 1868, n. 4613, cioè:

« a) una sovrimposta sulle tasse dirette non eccedente i l 5 per cento delle tasse erariali;

b) una tassa speciale sui principali utenti n.

I1 criterio è rispondente al carattere e qualità di servizio che rendono le strade comunali.

Però è necessario stabilire che i comuni siano facultati a servirsi di tali entrate anche per la manutenzione delle strade comunali ; per evitare quel che accade sovente, che molte strade costruite sotto l'impero della legge del 1868 rimangono i n totale abbandono per mancanza d i mezzi.

E d è urgente pel mezzogiorno che, indipendentemente da ogni altro provvedimento legislativo, almeno per la manuten- zione stradale sia tolto i l divieto di sovriinporre stabilito con la legge del 15 luglio 1906, rendendo così un vero servizio all'agri- coltura, a cui vantaggio si volle adottare quella disposizione.

E oggi che i sussidii dello stato per le strade indicate alle lettere a) e C) dell'art. 1 della legge del 1868 sono quasi cessati, ( l a 30" ripartizione approvata nel 1906 portava la spesa di sole L. 204.309) si può e si deve sciogliere Ia riserva da parte del governo per i l ritorno, con le dovute modifiche, alla legge del 1868, perché la sospensione fatta con la legge del 1894 era sola- mente temporanea e transitoria.

' Insisto ancora sulla proposta di .obbligatorietà dei consorzi intercomunali per la costruzione e manutenzione delle strade comunali, che attraversano più territori, per arrivare a uno sbocco commerciale o al ricongiungimento con la rete stradale provinciale o nazionale, perché le divergenze fra comuni spesso creano veri stati d i abbandono di strade costruite con enormi sacrifici.

Infine credo opportuno, per le ragioni esposte nella prece- dente relazione, che si ripeta il voto sulle trazzere di Sicilia, perché siano dichiarate comunali e come tali classificate e riven- dicate.

I1 loro ripristino interessa vivamente tanto l'agricoltura che la pastorizia dell'intera regione.

Per le considerazioni suesposte, propongo che il congresso emetta i l seguente voto che riassume le modifiche necessarie alle leggi vigenti sulla viabilità comunale:

I l X congresso dei comuni italiani

pe r le considerazioni esposte nella relazione di cui prende atto,

1. rinnova il deliberato emesso nel IX congresso tenuto a

Palermo nel maggio 1910 s i~l la viabilità comunale; 2. propone che a modifica dell'art. 16 della legge 20 marzo

1865 allegato F: siano dichiarate comunali tutte le Strade che congiungano le frazioni di rLn comune fra d i loro, o con le sta- zioni ferroviarie o scali di porti e laghi, e quelle che attraver- sando estese zone del territorio agrario d i un comune lo, allac- ciano alla rete stradale principale o agli sbocchi commerciali;

3) propone che i sussidi governativi e le entrate indicate alle lettere a) e b) rlell'articolo 2 della legge 30 agosto 1868; n. 4613, si estendano alla manutenzione delle strade comunali; e che ooe occorre s i rendano obbligatori i consorzi intercomunali anche per la manutenzione d i quelle strade che attraversano pii1 territori comunali; e che si tolga a tale oggetto per i comunil del mezzogiorno i l divieto d i sovrimporre contenuto nella legge del 15 luglio 1906, n. 383.

Roma, 6 giugno 1911

IL CONGRESSO DEI SINDACI A ROMA

Importante oltre ogni dire è riuscito il X0 congresso dell'Asso- ciazione dei comuni italiani tenuto a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno; non tanto per la solennità e concomitanza di feste, rice- vimenti, garden parties, inaugurazioni che costituirono un con- torno vario, attraente, e non meno faticoso, quanto per l'impor- tanza delle affermazioni, e dello spirito di esse.

La seduta inaugurale e solenne dei sindaci d'Italia fu il 5 giugno al Corea, ove in pii1 di cinquemila, in un'affermazione solenne si votò l'ordine del giorno sulle libertà ed autonomie co- munali. Questa grande e generosa bandiera, veramente italiana, fu l'àncora della libertà medioevale, fra i soprusi degl'impera- tori, il dominio dei baroni e le fazioni di Guelfi e Ghibellini; e questa bandiera oggi, nella completa dedizione e vigliaccheria politica che incombe in Italia, sarà il risveglio di una coscienza collettiva e individuale, che è stata assorbita da un falso parla- mentarismo trasformista, che vive di adattamenti, condiscen- denze, soprusi, accentramenti, che violano ogni senso di libertà.

Ma se dieci anni di lavoro delllAssociazione dei comuni hanno a poco a poco ridestata la coscienza addormentata dei rappresentanti degli enti locali,-ed hanno fatto invocare le san- te libertà contro la tirannide burocratica e politica; manca tut- tora in molti, specialmente anzi soprattutto nel mezzogiorno, la coscienza dell'ente locale, trascinato com'è in tutti i pettego- lezzi di partiti primitivi e personali, anche sotto i pomposi nomi d i partiti politici, in un ambiente fatto di astii, di dispetti, di vigliaccherie, d i tornaconti ...

Solo la libertà., quest'aria salubre e rigeneratrice, unita alla maggiore responsabilità, potrà salvare l'ente locale dallo sfacelo.

Questo nobile ideale, che avvince tutti i promotori dell'Asso; ciazione dei comuni, si traduce ogni anno in una serie di studi e di vivaci discussioni, su diversi argomenti d'indole ammini- strativa e tecnica.

Quest'anno l'on. Meda di Milano riferì sul nuovo regolamento della legge comunale e provinciale che ribadisce le vecchie ca- tene, e ne crea d i nuove alla vita comunale e provinciale.

I l comm. Orefice di Brescia riferì su alcune questioni sani- tarie, che sollevarono un vivace conflitto nell'assemblea riguardo la questione del boicottaggio medico clie si esercita dall1Asso- ciazione nazionale dei medici condotti.

La'questione pel primo fu affrontata dal nostro sac. Sturzo nel 1907 al congresso di Bologna, dal quale uscì la nota propo- sta di arbitrato, accettata dall'Associazione dei medici. Nel fatto ancora, non ostante molti lodevoli tentativi, non è arrivato a fare incamminare la lotta fra comuni e medici sopra un binario più. .. civile.

I1 nostro sac. Sturzo riferì questo anno sulla viabilità comu- nale, sul quale oggetto aveva riferito a Palermo nel 1910.

Nel numero scorso riportammo la relazione apprezzata per la sua tecnicità e sobrietà, ed approvata all'unanimità, dopo esauriente discussione sulle trazzere siciliane.

L'on. Pietro Niccolini riferì sulle vie vicinali, anche lui ri- pigliando il tema del precedente anno.

I l problema della viabilità è, dopo quello della istruzione,

il più grave problema del mezzogiorno e della Sicilia; e noi siamo orgogliosi che il nostro sindaco dal congresso di Palermo a quello di Catania a quello di Roma, porti alta e forte questa nota, e sostenga così valorosamente i nostri più vitali interessi.

I1 comm. Bocca di Asti sul quarto di rendita delle corpo- razioni soppresse, che l a legge diede ai comuni e la mala amministrazione dell'ente toglie e contrasta.

Infine fu rieletto il consiglio direttivo; la maggioranza fu presa dai liberali, moderati e cattolici, e la minoranza dai radi- cal-socialisti : il consiglio restò così composto :

Greppi - presidente Bocca, Orefici - Vice presidenti Meda - Cassiere Caldara - Segretario Franco, Rodinò, Sturzo, Niccolini, Serragli, Campodonico,

Tonari, Bonomi, Custini, Sighel, Finzi - Consiglieri.

Quest'anno i comuni associati hanno superato i due mila, fra cui quasi tutti i capoluoghi di provincia e di circondario.

È la marcia in avanti u n po' stentata, ma sicura, delle libertà comunali.

Loico

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 30 giugno 1911).

SULLA POLIZIA RURALE (*) ( a proposito della proposta di legge « Sui conkorzi rurali per la custodia dei campi nel mezzogiorno e nella Sicilia D, dell'on. P. Caso)

Intendo limitare il soggetto di questa relazione a poche os- servazioni sulla questione generale della sorveglianza di poli- zia rurale spettante ai comuni, e della tutela delle proprietà

(*) Relazione al XI congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani? tenutosi in Ancona ne1 giugno 1912.

e dei frutti delle campagne, e all'esame della proposta di legge d i iniziativa parlamentare sui consorzi rurali per la custodia dei campi nel mezzogiorno e nella Sicilia N.

I1 mio compito è facilitato dal fatto che nel marzo testé scor- so la camera dei deputati ha approvato la suddetta proposta, con quelle modifiche che erano state da me caldeggiate fin dall'anno scorso e accennate nella riunione del consiglio diret- tivo della nostra associazione tenuta a Torino il 22 ottobre 1911.

Non riesce ~ e r ò inopportuno il contributo che v i potrà dare il congresso dell'Associazione dei comuni italiani ; perché doven- do la proposta esser discussa dal senato del regno, presso la cui commissione di esame ha incontrato non lievi difficoltà. i l voto favorevole di questo congresso insieme ai voti del15Associazione nazionale degli agricoltori italiani e dell'Associazione della cattedre ambulanti, emessi nell'aprile ultimo, potrà rappresen- tare l'autorevole espressione dei due principali interessati: i comuni e gli agricoltori.

Risulta chiaramente dalla legge comunale e provinciale, fin dal primo inizio del regno d'Italia, la facoltà data ai comuni d i provvedere ai regolamenti di polizia rurale; i cu j te rmin i sono stati quasi normalmente precisati dall'art. 110 (già 63 del rego- lamento alla legge comunale e provinciale) e riguardano princi- palmente la comunione dei pascoli sui beni privati, la custodia degli animali, la tutela dal furto campestre, la manutenzione e pulizia delle vie vicinali, i consorzi delle acque, la distruzione degli animali nocivi all'agricoltura e simili.

Ma quel che nelle disposizioni della polizia rurale ha sempre presentato non lievi difficoltà giuridiche e pratiche, è stata la custodia dei campi dai danneggiamenti, dai furti e dal pascolo abusivo.

Questa materia naturalmente è regolata dal codice penale come repressione di reati: però non può sfuggire, per la natura della cosa, dalla vigilanza di corpi speciali di carattere locale, come ordinamento di prevenzione e di tutela dei cittadini, anche per l e difficoltà gravi della repressione, specialmente in determinate condizioni di luoghi, come nel mezzogiorno e nelle isole.

Sono quindi naturalmente sorte da tempi remoti in forza

di usi e di tradizioni, e sotto diversi ordinamenti, istituzioni lo- cali create dai bisogni collettivi, intese a prevenire e a reprimere tali reati e a tutelare gli interessi agricoli delle popolazioni; ordinamenti e istituzioni che hanno subito l e vicissitudini e l e incertezze di un diritto mai ' interamente affermatosi e spesso confusosi con le stesse prerogative regie, o con abusi feudali o con le consuetudini municipali.

Quello che naturalmente ne veniva come conseguenza del bisogno, era la creazione di corpi di custodia, per lo più dette guardie campestri, sia per conto di privati proprietari o di con- sorzi privati o di es t i locali, che avessero insieme i l diritto e la forza per reprimere i reati e per tutelare i limiti delle proprietà, i frutti, le piante, le acque, i pascoli, le strade, e fare rispettare anche gli usi collettivi.

In Piemonte l'istituzione dei campari per la custodia dei frutti e dei possedimenti rimonta al decreto del 19 giugno 1430; ne era fatto obbligo ai balivi e ai castellani. E poscia nell'antica legge di P.S. ( 8 luglio 1854) del Piemonte, era stabilita la facoltà ai comuni di consorziarsi per la istituzione dei campari e guar- die campestri; e nella legge 13 novembre 1859 si dava la facoltà ai consigli provinciali di disciplinare tale materia.

I n Sardegna le compagnie dei barracelli rimontano al secolo XIII; esse furono regolate con la legge 22 maggio 1853; e poi col R. decreto del 14 luglio 1898; tali compagnie sono vere so- cietà mutue di assicurazione, le compagnie d'armi, che col 1860 furono dette compagnie d i militi a cavallo, che col 1881 furono sostituite con le guardie di P.S. a cavallo e poi nel 1892 abolite. Lo sc'opo precipuo era la tutela della proprietà rurale.

Nel nuovo ordinamento del regno non si hanno delle dispo- sizioni legislative speciali né per i regolamenti d i polizia locale, né per la costituzione dei corpi di guardie campestri ; solo pochi elementi incerti si possono riassumere, come appresso:

A) Per i regolamenti d i polizia rurale, oltre quel laconico e incompleto accenno della legge comunale e provinciale all'art. 126, cioè (( il consiglio comunale delibera intorno ... 6 O . . . come

pure ai regolamenti di polizia locale attribuita dalla legge ai comuni e l'altro all'art. 192 (già 175) che dice: K sono obbli-

gatorie le spese ... per la polizia locale D, nonché al citato arti- colo 110 del regolamento alla stessa legge, si ha una notevole circolare del ministro dell'agricoltura Torelli, del 25 aprile 1865, dove vengono date opportune norme per la compilazione dei regolamenti di polizia rurale. In essa al paragrafo VI è detto che tali regolamenti devono provvedere alla conservazione dei frutti delle campagne e di ogni prodotto agricolo .col preve- nire i furti D.

Per quanto riguarda i pascoli, nella circolare si fa solo cenno dei regolamenti per i pascoli in comunione e non mai del .pa- scolo abusivo.

Altre circolari furono emanate dal ministro dell'agricoltura il 30 novembre 1881 e 1'8 aprile 1885.

Meglio e più che le circolari ministeriali la giurisprudenza amministrativa ebbe occasione di trattare della questione del pascolo abusivo nei riguardi dei regolamenti di polizia rurale, specialmente dal 1866 al 1875, perché in quel periodo quasi tutti i comuni o codificarono antichi usi locali, o rividero prece- denti regolamenti nei quali si stabilivano misure restrittive al pascolo, specialmente caprino, confondendo spesso quel clie è competenza dell'autorità giudiziaria o perseguibile per quere- la di parte, da quel che è punibile per regolamento municipale.

I1 criterio che prevalse in quel tempo fu sintetizzato dalla seguente massima del consiglio d i stato (22 maggio 1869): « Vi possono però essere dei fatti, i quali .se per al-cuni casi sono colpiti dal codice penale, possono per altri casi non preve- duti da questo, e sotto altri rapporti essere regolati dai rego- lamenti municipali. Così quantunque il codice penale punisca nell'art 674 il reato di pascolo abusivo e nell'art. 672 n. 2 il danno recato col pascolo, nondimeno il regolamento di polizia rurale può disporre sul divieto dei pascoli inconciliabili col- l'interesse generale del comune (art . 98 legge P.S.). I n que- sti casi, la contravvenzione consiste nella violazione dell'ordine « municipale, e quindi essa ricade nell'applicazione degli art. 146 e sgg. della legge comunale D.

Però anche allora furono date molte decisioni perché i co- muni nei loro regolamenti non eccedessero nelle disposizioni restrittive contrarie a i crlteri d i libertà d i industria, spesso

ispirate a u n vero sistema proibitivo; e si dovettero d'altro canto ammettere molte disposizioni, pur esse gravi, che rendes- sero sempre più limitato e regolato l'uso del pascolo; fra cui l e disposizioni delle dichiarazioni scritte dei .luoghi di pascoli, il permesso pel transito nelle strade, i l divieto di pascolare sulle scarpate stradali, l e norme come condurre e tenere gli animali, i numeri dei custodi del gregge e simili. Dal 1886 ad oggi l a giurisprudenza si è andata volgendo sempre verso maggiore li- bertà e larghezza, e per cause diverse, che vedremo più avanti, ne ha prodotto l'abuso; e si è arrivati fino a contestàre ai regola- menti d i polizia rurale i l diritto di infliggere pene per fatti che la legge non contempla come reati, ma che per sé turbano l'ordinamento di polizia e di tutela affidata ai comuni e ciò a proposito della grave questione del passaggio abusivo sui fondi aperti, affermando perfino che l'art. 63 (oggi 110) del regola- mento alla legge comunale e provinciale che dà simile facoltiì a i comuni è incostituzionale ( C . S. sezioni riunite 18 ottobre 1907).

Ma uri'innovazione radicale e profonda doveva venire con la riforma del codice penale; e mentre il pascolo abusivo nel vec- chio codice era un reato di azione pubblica, divenne reato d i azione privata, e le stesse facoltà sancite negli antichi regola- menti di polizia rurale nelle revisioni successive subirono note- voli modifiche. L'effetto principale fu che la denunzia e il verbale delle guardie e degli agenti non costituiscono p iù ele- mento di procedimento penale, occorrendo invece la querela d i parte (ar t . 426 C.C.); al quale rimedio spesso nel mezzogiorno e nelle isole nessun ricorre per paura di una classe troppo peri- colosa, che non di rado arriva a i danneggiamenti d i vendetta e di rappresaglia. ,

B ) Corpi d i guardie campestri

L'abolizione dei militi a cavallo e i l decadimento dei barra- celli prima del 1898 sono gli ultimi fatti dello sfasciarsi d i vec- chie istituzioni; mentre le guardie private, per l a poca disci- plina, la nessuna autorità, la facile occasione all'abuso, i l nessun controllo politico rendevano l'opera loro tante volte inutile o dannosa.

Nella legislazione italiana non esiste nessuna disposizione \6~11a natura, istituzione e funzione delle guardie campestri, che possono essere corpi pubblici, se creati dai comuni come corpi di polizia rurale; possono anche essere confusi con le semplici guardie municipali, dislocate a servizio rurale.

Invano nella legge comunale e provinciale e nel regolamento alla legge si cerca qualche disposizione specifica, tranne u n accenno di sfuggita con la parola generica- di agenti, ( a r t . 91 del regolamento vigente, gi,à 65, ove anche si. faceva menzione delle divise o distintivi).

I1 ministro dell'agricoltura con circolare del 15 settembre 1873 raccomandava l'istituzione delle guardie campestri per l a polizia rurale e per la tutela della proprietà; e prima con nota del ministro dell'interno del novembre 1870 si. dichiarava che le deputazioni provinciali potessero obbligare i comuni a istituire tali servizi, e questo ribadiva i l 30 n o v e d r e 1881 i l ministro dell'agricoltura Simonelli, il quale pur riconoscendo'che la spesa per tali corpi non fosse categorizzata fra le obbligatorie, se il comune bisogno lo esigesse riteneva potersi obbligare i municipi a farlo, procedendo nelle forme di legge agli stanziamenti d i ufficio.

Però i l consiglio di stato si era pronunziato fin dal 1866 che la spesa non fòsse obbligatoria; e che non potesse gravare alla sola contribuzione fondiaria con centesimi addizionali ( 5 maggio 1866); e che anzi se la custodia si limitasse per ragioni speciali a parte del territorio, si dovesse procedere con la costituzione di consorzi volontari degli interessati e con le spese a loro carico (18 ottobre 1866); e infine che. i comuni potessero provvedere ai servizi d i polizia urbana e rurale con unico corpo di !guardie municipali ( 1 maggio 1891).

Sotto l'influenza di queste circolari e disposizioni, con diffi- coltà e incertezze, sorsero o si ricostituirono in un certo numero di comuni tali corpi di guardie campestri o privati o munici- pal i ; per lo più male organizzati e mal pagati. E seguendo una antica tradizione, a preyenire i danni campestri, ai quali forse non di rado potevano contribuire le stesse guardie, ché in alcuni posti divennero i naturali e occulti alleati degli abigeatari e dei briganti di campagna, i comuni spesso posero a loro carico i l

rifacimento dei danni con la costituzione di un fondo speciale. P1 ministro dell'interno fin dal 10 agosto 1870 reputava che

ciò fosse lecito ai comuni, stabilendo nei regolamenti d i polizia municipale l'obbligo per le guardie campestri d'indennizzare i danni e i furti che avvenissero nelle campagne affidate alla loro sorveglianza, facendo delle ritenute mensili sul loro sti- pendio per formare i l fondo onde sopperire all'indennizzo.

Però in seguito anche tale forma di assicurazione fu com- battuta ed i l ministro dell'agricoltura i l 12 dicembre 1901 ordi- -

nava di doversi dal regolamento di polizia rurale eliminare l e disposizioni sulla responsabilità delle guardie per danni veri- ficati nelle campagne e conseguentemente anche quelle che sta- biliscono speciali norme per procedere all'accertamento dei dan- n i e alla relativa liquidazione.

Purtroppo, mentre le vecchie istituzioni politiche speciali cadono o sono abolite, e quelle comunali e private sono scosse e per lo più languono, i regolamenti sono confusi e discordanti, l a giurisprudenza ingarbugliata, ingigantisce nel mezzogiorno e nelle isole la baldanza dei caprai, degli abigeatari, dei ladri di campagna ; per cui un grido comune si solleva da tutt i quelli che vedono così colpito - e non è esagerazione - il cespite delle vere attività economiche, cioè l'agricoltura.

Raccolse l'eco di questo grido i l ministro siciliano Di Rudinì i l quale con un disegno di legge del 30 novembre 1896 e modi- ficato poscia dallo stesso il 13 aprile 1897 propose l'istituzione di un corpo d i guardie campestri in Sicilia. Si trattava della isti- tuzione di u n corpo armato alla dipendenza del prefetto. con vere funzioni di pubblica sicurezza e per reprimere l'abigeato. La proposta cadde, perché in sostanza si creava un altro corpo d i pubblica sicurezza-di stato, quantunque con carattere speci- fico che però avrebbe avuto dei naturali contrasti con l7ordina- mento statale, senza i vantaggi veri e tradizionali degli ordina- menti municipali e locali.

Però lo stesso Di Rudinì fu più fortunato con la Sardegna che con la sua natia Sicilia; ed il suo disegno di legge sui provvedi- menti della Sardegna del 12 dicembre 1896 n. 362, poté arrivare ad essere approvato con due disposizioni fondamentali, cioè:

a) la ricostituzione delle compagnie dei barracelli, che sono

tuttora regolate col R. decreto del 14 luglio 1898 emanato in forza della seguente disposizione di legge : art. 48: È data facoltà al governo del re di provvedere con speciali regolamenti ... (omis- sis) ... alla ricostituzione delle compagnie dei barracelli ... Alla repressione dell'abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggia- menti alle private' proprietà, con facoltà di comminare sia la confisca degli.animali trovati in contravvenzione, sia le pene sta- bilite dagli articoli 423 e 425 del codice penale »;

b) l'altra, veramente modificativa del vigente codice penale, che dice (art. 80 del T.U. 10 novembre 1897 n. 894): N fino a nuova disposizione il pascolo abusivo e i danneggiamenti sa- '

ica ». ranno considerati come reati di azione pubbl' Così giustificava la proposta l'on. Di Rudinì nella relazione

fatta al parlamento: (C Fra le cause che concorrono alla deca- denza dell'agricoltura in Sardegna, sono da annoverarsi il fre- quente ed impunito danneggiamento delle proprietà private per spirito di vendetta o per odii personali, i furti di bestiame, non- ché il pascolo abusivo, che specialmente nelle vaste regioni disa- bitate dell'isola, difficilmente può essere constatato nel momento nel quale avviene e quindi represso. Ad aumentare le difficoltà dello scoprimento degli autori si aggiunge l'obbligo posto dal codice penale alle parti che subiscono il danno di dare querela contro l'aiitore del medesimo, mentre date le speciali condizioni del luogo, non è sempre possibile ad esse avere gli elementi necessari per bene accertare l'autore e gli autori dei danni e per non esporsi quindi ad una controquerela ed alle conseguenze di un procedimento penale.

In caso di danneggiamento fatto per odii personali o per vendètta, costringere il proprietario che subisce il danno a dare querela, può aggravare gli odii e portare gli interessati a mag- giori eccessi, cioè alle violenze personali. Trattandosi poi di mu- picipi e di enti morali che subiscono il danno, è ben difficile tro- vare sindaci e presidenti disposti a tutelare gli interessi ad essi affidati, in caso di danneggiamento, con un'azione vigorosa e cioè con l'autorità giudiziaria, la quale l i esporrebbe agli odii e alle rappresaglie dell'altra parte.

a L'autorità giudiziaria dovrebbe pure in certi casi d'inte- resse generale poter agire d'ufficio in base a denuncia. Ad essa

infatti non mancano, con l'autorità di pubblica sicurezza, modo d'investigare e di raccogliere le prove tanto del danneggiamento quanto degli autori del medesimo, e questa istruttoria, che non può fare il privato, condurrebbe certo all'utile risultato di re- primere il reato, che tanta estensione ha preso in Sardegna, con pregiudizio della pubblica e privata proprietà M.

Se le parole dell'on. Di Rudinì si possono applicare quasi per intero al me:zogiorno e alla Sicilia, e in parte anche ad altre regioni dell'Italia nostra, lo dica chi è giornalmente costretto ad occuparsi di tale servizio, lo dicano i sindaci, lo dicano anche gli agricoltori, che purtroppo subiscono continui danni per pa- scolo abusivo, che sono soggetti agli abigeatari di professione; e non è raro il caso di dover contare anche i danneggiamenti per rappresaglie e vendetta.

Dall'altro lato è doveroso constatare che dalla ricostituzione delle compagnie barracellari in Sardegna si è ottenuto, a testi- monianza di molti, il massimo risultato possibile sia per la poli- zia rurale che per la repressione dei reati.

I1 carattere prevalente di mutua assicurazione di tali com- pagnie, che risponde a una tradizione quasi sei volte secolare, la possibilità di circoscriverle in ambienti agricoli ristretti e poco trasformati da una attività di scambi e dallo sviluppo d i altri interessi prevalenti, rende possibile questa forma di tutela che per forza di leggi e di costumi vive e prospera nel suo na- turale ambiente. Mentre la provvida disposizione dell'art. 80 del T.U. riguardo la natura del reato del pascolo abusivo e dei danneggiamenti ha dato la necessaria forza e valore a questo corpo di guardie, la cui opera sarebbe stata vana, se non si fosse potuto colpire in forza di una legge che avesse affermato l a ragione collettiva, oltre che il diritto del privato, al procedi- mento penale.

Dal 1896 al 1910 passarono ben quattordici anni, senza che nessun provvedimento legislativo si fosse tentato per il mezzo- giorno e la Sicilia sulla questione sempre per noi ardente e sempre di attualità della tutela delle campagne.

Le inchieste sul mezzogiorno, i voti di pubbliche ammini- strazioni e di privati cittadini sulla vexata quaestio non fecero fare alcun passo avanti; e i provvedimenti pel mezzogiorno di sonniniana memoria, rifatti e travisati anche nella incompleta legge del 15 luglio 1906, si occuparono di molte altre cose ( f ra l e quali qualcuna inutile e dannosa), ma non si occuparono af- fatto delle gravi questioni della custodia e tutela dei campi, del pascolo abusivo, del furto campestre, del danneggiamento e dell'abigeato; come cosa che riguardasse solo l'ordinamento della polizia giudiziaria e del codice penale. Invece si trattava di una nuova legge di carattere sociale ed economico, d i notevole importanza, rispondente a seri e impellenti bisogni locali.

La proposta di legge d'iniziativa parlamentare, presentata e svolta alla camera il 2 luglio 1910 dall'on. P. Caso sulla costitu- zione dei consorzi d i custodia rurale nel mezzogiorno e nella Sicilia ha segnato un progresso nella soluzione del grave pro- blema; o meglio è servita ... a imterrompere la prescrizione!

L'on Caso è partito da un dato di fatto e da un concetto di prevalente natura economica dei comuni; e l'ha prospettata

a. come la soluzione di un problema di gravissimo interesse, mà di carattere privato.

Egli ha proposto la costituzione di consorzi obbligatori fra privati, con l'intervento del comune solo nel caso che sia possessore d i beni, per la costituzione di corpi di guardie cam- pestri, che abbiano funzioni di guardie private e di agenti pub- blici. Le spese di tale consorzio si sarebbero dovute ripartire cc in ragione diretta dell'ammontare della rendita catastale dei terreni posseduti nel comune e inversa .della distanza di essi dal centro ». Un allegato alla legge dimostra approssimativamente quanto i comuni del mezzogiorno spendono per tale custodia, gravando l'importo sui magri ,bilanci, mentre spesso della istituzione di tali guardie si avvantaggiano proprietari e signori, che vivendo nelle città (specialmente i latifondisti) e perfino all'estero, non contribuiscono al comune sotto altre forme tranne che con la sola sovrimposta fondiaria, che poi per la legge del 15 luglio 1906 rimase fissa e inalterabile per i comuni del mezzogiorno. L t l t i m a leggina Giolitti discussa in questi giorni, toglie que-

sta anormale disposizione; ma non risolve affatto il problema di cui discutiamo dal punto di vista finanziario, e forse in qual- che modo l'aggrava.

Inoltre la proposta Caso stabiliva in forza di legge (benché con altre forme) i l criterio animatore delle compagnie dei barra- celli di Sardegna, cioè la responsabi1it.à del corpo delle guardie campestri al risarcimento dei danni.

A questo organismo però mancavano due elementi d i note- vole importanza: a) la disposizione che il pascolo abusivo e il ' danneggiamento si dovessero considerare come reati d i azione pubbliza, b) l a municipalità del corpo delle guardie, come ema- nazione dell'ente pubblico naturale che ha l a vigilanza e la responsabilità della polizia rurale, le cui ragioni sono molto più estese della sola custodia dei campi per la tutela contro i danni e i furti campestri.

Ciò rilevai io stesso al proponente, a diversi membri della commissione parlamentare e al consiglio direttivo della Asso- ciazione dei comuni.

La commissione parlamentare (*), il 7 aprile 1911, accettò invece il criterio fondamentale della legge del consorzio obbli- gatorio fra privati indipendente dal comune, solo aggiunse l'ar- ticolo sul pascolo abusivo e sui danneggiamenti togliendolo di peso dalla legge sopracitata sui provvedimenti per la Sardegna.

Sopprimeva però la responsabilità solidale del corpo del- l e guardie campestri se l'autore del danno non fosse scoperto. Inoltre semplificava la proposta di legge per la parte contabile e amministrativa del consorzio, che opportunamente rimetteva ' ai regolamenti locali, e che doveva essere approvata dalla giunta provinciale amministrativa.

La proposta fu trattata dalla camera dei deputati 1'11 marzo scorso; e l'assemblea legislativa, riformando i criteri del propo- nente e della commissione, aggiunse che i l corpo di guardie cam- pestri dovrà essere alla dipendenza del comune, riportandolo al suo naturale organismo, quale esiste per legge e per tradizioni

(*) La commissione parlamentare era coniposta dai deputati Aprile, Cascino, Pellegrini, Casolini, Chimienti, Valeri, Berenga, Berlingieri e Caso.

in Italia; ed approvò nel resto, con pochi ritocchi, la proposta d i legge, secondo la relazione della commissione nel seguente testo :

Art. .l

Nei .comuni del mezzogiorno e della Sicilia alla custodia delle proprietà rustiche e private, dei beni demaniali, comuml2 e d i uso pubblico, all'osservanza delle disposizioni di polizia rurale ed alla vigilanza delle case rurali e degli armenti può; essere provveduto mediante un. corpo d i guardie campestri alla dipendenza del comune e a spese d i un consorzio f ra tutti i proprietari dei fondi rustici esistenti nel territorio comunale compresol f ra essi i l conune quando possieda proprietà d i tale natura.

Al superiore testo si dovrebbe aggiungere l'art. 4 della legge sulla Sardegna, citato nel corpo di questa relazione, e la facoltà d'introdurre nei regolamenti locali la responsabilità solidale delle guardie per i danni e i furti in cui autori non vengano scoperti.

Dato il testo della proposta di legge, non sembra che occorra . l a dichiarazione che i comuni sono sgravati dalle spese che sop- portano per le guardie campestri, potendo solo contribuire per una quota facoltativa al maggior sviluppo del servizio, o anche se non integrativa secondo i criteri di opportunità, ai quali si possono ispirare i consigli comunali.

Questa proposta di legge ha riscosso il plauso di tutto il mezzogiorno e della Sicilia, invocanti che sollecitamente fosse approvata dal senato. Però con vivo rincrescimento si è appreso che al senato tale proposta ha incontrato agli uffici nella com- missione (*) di esame serie opposizioni.

La presidenza del consiglio direttivo dell'Associazione dei - comuni, con nota del 18 aprile ultimo scorso, comunicò alla presidenza del senato il voto emesso nella seduta del 15 aprile;

(*) Essa è composta dai senatori Melodia, Borraco, Mele, Ragano, Gra-

maschelli e Sandrello.

e l'Associazione degli agricoltori italiani e il congresso delle cattedre ambulanti, tenuto in quei giorni a Roma, su relazione del sottoscritto, fecero lo stesso ; così come molti consigli comu- nali e provinciali del mezzogiorno manifestarono l'unanime consenso formatosi attorno alla proposta dei consorzi rurali pe r la custodia dei campi, e sollecitarono la presidenza del senato per la approvazione.

Sembra che l'opposizione senatoriale al disegno di legge si basi su cinque punti principali:

1 ) non sembra opportuno che la minoranza dei proprietari obblighi la maggioranza a costituirsi in consorzio. A questa obie- zione si risponde che se il consorzio si dovesse costituire solo con l'adesione della maggioranza cesserebbe quasi la ragione della obbligatorietà. La proposta di legge esige tre elementi: i l voto del quar* dei proprietari, i l voto dei 213 del consiglio co- munale e il decreto del prefetto; e ciò perché siano garantiti i n tutti i modi gli interessi dei possibili dissenzienti; i quali anche possono ricorrere contro i l decreto del prefetto alla I11 sezione del consiglio di stato.

Se per formare i l consorzio si dovesse raccogliere la maggio- ranza dei proprietari con le forme volute dall'art. 2 della pro- posta di legge, i n ben pochi comuni, e forse in nessuno, dato specialmente lo spirito individualista del mezzogiorno, si arri- verebbe a formarlo.

2) Non sembra opportuno obbligare i proprietari che ten- gono i loro custodi, a pagare anche i custodi del consorzio.

Questa difficoltà sorge dalla forma e ragione ordinaria data alla proposta di legge dell'on. Caso, cioè di corpo di custodia privato; mentre dalla opportuna modifica della camera si è trasformata in corpo di guardie municipali campestri, che han- no non solo l a custodia dei campi ma la vigilanza della polizia rurale. Sotto questo aspetto cade la difficoltà che si è affacciata alla commissione senatoriale e si chiarisce meglio l'obbligo del contribuente a corrispondere la quota per il vantaggio che ne risente sia direttamente che indirettamente.

Per questo lato si dovrebbe fissare anche una quota di contri- buto da parte del comune per servizio generale; ma la forma

accennata nel corso della presente relazione mi sembra più ri- spondente alle condizioni locali.

Ma inoltre c'è una ragione specifica che milita contro que- sta obiezione, che coloro che tengono i propri custodi sono i grandi proprietari e latifondisti, i quali per ragione della loro ricchezza hanno doveri sociali maggiori degli altri, anche nei rapporti degli altri piccoli e medi comproprietari, con i quali formano un tutto agrario inscindibile nel contatto delle grandi e piccole energie economiche.

Del resto se la loro custodia privata è superflua possono abolirla; se non è superflua, renderà loro ben altri e diversi vantaggi che debbono quindi entrare nelle spese dalle quali non possono esimersi indipendentemente dalla costituzione dei cor- p i di custodia.

3) A tali corpi di custodia debbono provvedere i comuni. Quest'asserzione è vera; quando però i comuni sono messi in grado di potervi fa r fronte, e non sono costretti, dalle magre risorse delle tasse e dall'aumentare dei servizi pubblici, a lot-

. tare con le più gravi difficoltà finanziarie. ! '

Oltre a ciò c'è da rilevare che, nelle specificazioni delle classi e delle industrie, nel differenziarsi dei centri urbani dai rurali, non è giusto colpire il consumatore non proprietario con tasse indirette o l'operaio e il cittadino con tasse di reddito urbano e industriale, per un servizio eminentemente, agrario.

Se a i comuni si desse la facoltà di aumentare dei centesimi addizionali sui terreni, per devolverne il ricavato alla costitu- zione di tali corpi di guardie, la questione del consorzio o di altro ente potrebbe avere solo un valore morale e politico di prevalente carattere locale, e non mai un valore economico e di servizio pubblico.

P ) ~ i c h i a r a r e il pascolo abusivo e i l danneggian~errto come reato di azione pubblica .non corrisponde a i nostri principi cli diritto Una forte risposta che ha i l valore di un fatto compiuto, è il testo di legge per la Sardegna dal quale è stato riprodotto l'art. d i legge in discussione. Allora, di fronte ai provvedimenti urgenti della Sardegna, non si ebbe alcuna di%- coltà, non sorse neppure discussione su tale proposta nè. alla

camera dei deputati nè a quella dei senatori, ed era la prima volta che si discuteva su ciò e a poca distanza di anni dal nuovo codice penale.

Sarà una legge eccezionale; anzi è una legge di carattere eccezionale affermata nelle parole del legislatore: « fino a nuova disposizione ... )I. Si deve perciò vedere anzitutto se tale legge di eccezione ha portato inconvenienti e quali in Sardegna, in quin- dici anni da che fu applicata. Un coro di voci risponde che è una legge che h a ridato la tranquillità turbata a quelle ca'mpa- gne, -ed ha contribuito a meglio educare lo spirito pubblico al rispetto della proprietà rurale.

Sorge dopo ciò naturale la domanda, se il mezzogiorno e la Sicilia si trovino in condizioni eccezionali da aver bisogno di tale legge.

Chi è cieco e non vede dirà di n o ; ma chi conosce le condi- zioni del mezzogiorno e della Sicilia, e forse anche di altre regioni, dirà che i l provvedimento è in ritardo di molti e molti anni.

La distanza enorme da una città all'altra, e la forte agglome- razione rurale nel mezzogiorno e nella Sicilia rende in gran parte disabitati i campi, anche quelli coltivati intensamente. I1 frazionamento poi dei demani quotizzati e delle terre censite ha moltiplicato la piccola proprietà dove non di rado manca la casetta per u n colono. Non è poi raro il caso che i l latifondo arrivi sino alla porta di un comune, e segreghi dall'abitato la proprietà frazionata dei suoi abitanti; e per giunta avviene qualche volta che molti proprietari che abitano in un comune abbiano le loro proprietà rurali migliorate nel territorio di u n comune limitrofo. I lavoratori vanno la mattina al campo e tor- nano la sera nel comune, e in generale la custodia privata dei fondi non esiste che in qualche parte del territorio di u n co- mune. La mancanza d'acqua, la malaria, la viabilità scarsa e difficile fanno spesso allontanare l e famiglie dalla permanenza sui campi. La popolazione sparsa in rapporto all'agglomerato è in molti luoghi addirittura insignificante. Queste condizioni so- no aggravate dal fatto che, nel mezzogiorno e nella Sicilia. l'in- dustria delle capre da latte per l'uso comune è estesa in modo straordinario, anche perché mancano latterie di vacche, e per-

chè quasi tutti preferiscono, certo per abitudine, i l latte di capra.

Condizioni economiche poi e tradizioni invincibili contribui- scono al fatto normale che tali capre sono mantenute col pascolo nelle trazzere, sui margini dei fiumi, sulle scarpate delle strade e col pascolo abusivo.

Per giunta a tutto ciò, forse per atavismo e per la segrega- zione di classe dal resto della vita cittadina, molti caprai, quasi dappertutto, formano una parte non indifferente dell'elemento di fondo della malavita, della mafia, della prepotenza locale; appartengono spesso a vaste associazioni offensive e difensive, e si mettono in relazione con gli abigeatari e i ladri delle cam- pagne. I1 contadino, l'agricoltore e il proprietario ne hanno paura; essi in certi paesi non vanno mai a deporre in pretura come testimoni, nè pensano affatto a querelarsi contro i caprai: temono che al danno del pascolo abusivo si aggiunga il danneg- giamento per vendetta e rappresaglia; e non è timore infondato.

Questo stato di cose è generale - almeno in Sicilia - e giu- stifica il provvedimento sia pure di natura eccezionale. Ciò dico

senza voler discutere sulle ragioni giuridiche della disposizione

del codice penale vigente, e senza volerne alterare le linee e i contorni; benchè in questo tema molto ci sarebbe da discutere,

che esula dal compito della presente relazione. Certo si è che

la prova del fatto che nessun inconveniente di alcuna natura è stato mai segnalato nell'applicazione di tale disposizione in

Sardegna, è un valido argomento a sostegno della nostra tesi. E credano che la Sardegna è proprio in Italia; come la Sicilia e

il mezzogiorno continentale.

I

5) Infine restringere la legge a l solo mezzogiorno e alla Sici-

lia non è rispondente ai giusti criteri di legislazione nazionale.

Che sia opportuno che la proposta di legge si estenda a tutto

il regno fu rilevato da alcuni nella discussione del tema fatta

dal consiglio direttiva dell'Associazione dei comuni. Si com-

prende bene che una legge vantaggiosa per tutta la collettività non si deve restringere a parte della nazione. Dare la facoltà ad altri comuni del regno a poter creare tali consorzi se le condi-

zioni locali lo chiedano, è un atto di dovere e d i sapiente apprezzamento politico.

Benchè a prima vista non sembri che questa legge possa trovare pratica applicazione dappertutto, per le diverse condi- zioni ed esigenze locali, pure in casi determinati potrà essere utile per quanto riguarda i corpi di custodia e i relativi consorzi.

Non sembra che possa dirsi lo stesso per l'articolo che carat- terizza il pascolo abusivo e il danneggiamento come reati d i azione pubblica, poichè tale disposizione è basata su condizioni specifiche che forse mancano a gran parte del resto del conti- nente; e quindi dubito della opportunità di estendere questa disposizione a tutto il regno. Ad ogni modo non ho argomenti a l riguardo per potere discutere la convenienza e mi rimetto all'altrui opinione.

Riassumendo: i criteri e le disposizioni della proposta del- l'on. Caso sui consorzi di custodia rurale, come nel testo appro- vato dalla camera dei deputati, sono tali, che pur essendo mi- gliorabili in qualche dettaglio, possono e debbono approvarsi, perché l'agricoltura del mezzogiorno e della Sicilia sia meglio tutelata; e perchè i comuni possano senza aggravi, anzi con sgravi di spesa, meglio provvedere con corpi organici alla po- lizia rurale.

Onde è da augurarsi che il senato, superando le difficoltà avanzate e secondando i yoti del paese unanimi e concordi, ap- provi la presente proposta di legge che ha formato oggetto di questa sommaria relazione.

Presento quindi i l seguente

ordine del giorno:

« L'XI congresso dell'Associazione dei comuni italiani, « - riconosciuto i l vantaggio notevole che porterà all'ordi-

« namento comunale sulla polizia rurale e all'agricoltura locale « la proposta di legge sui consorzi rurali per la custodia dei « campi nel mezzogiorno e nella Sicilia d'iniziativa parlamen- « tare approvata dalla camera dei deputati 1'11-3-1912, « - riconosciuto che risponde a sani ed equi criteri d i finanze « locali gravare le spese di tale consorzio sulla proprietà fon- « diaria rurale, con opportuna distribuzione di oneri, in rappor-

to ai vantaggi, alleviando così i bilanci comunali troppo oberati ;

(C - riconosciuto che il voto del quarto dei proprietari e dei 213 del consiglio comunale, perchè il consorzio sia costituito,

C( contempera opportunamente i diversi interessi e le varie cor- C( renti locali, e garantisce l a società della istituzione delle guar-

die campestri ; -riconosciuto infine che per condizioni speciali del mez-

a zogiorno e della Sicilia, formate da antiche tradizioni e da C( ragioni economiche e sociali diverse, sia da estendere a quelle

regioni l'art. 80 del T. U. della legge 27-3-1907 sui provvedi- - -

(C menti pe r la Sardegna che riguardano il pascolo abusivo e i danneggiamenti come reato di azione pubblica; - riconosciuto che sia da estendere anche ad altre regio-

« n i i l provvedimento sui consorzi rurali secondo le esigenze e i bisogno locali;

C( - visto il testo del disegno di legge, inteso il relatore, se- « condando i voti unanimi delle popolazioni interessate

fa voto

(C clie i l senato della repubblica approvi sollecitamente l a pro- « posta di legge sui consorzi rurali informata a veri e 'alti inte- C( ressi civici ed economici del mezzogiorno e della Sicilia n.

Ancona, giugno 1912.

INTORNO ALL'APPLICAZIONE DELLA LEGGE DANEO-CREDARO

NELL'ISTRUZIONE PRIMARIA E POPOLARE (*)

Non è mio compito far della critica alla legge 4 giugno 1911 comunemente detta Daneo-Credaro, sull'istruzione primaria e

(*) Relazione al XII congresso nazionale dell'Associazione dei coniuni italiani, tenutosi a Milano nell'aprile 1913.

popolare; critica che del resto si baserebbe tuttora O su criteri aprioristici o su elementi incompleti, non essendosene fatto quel- l'esperimento che è necessario perchè una vera critica riesca utile ed abbia caratteri pratici e costruttivi.

Ammettiamo, adunque, la legge per quella che è; rilevere- mo solo quelle diffico1t.à pratiche e quelle interpretazioni e de- formazioni, che, nella costituzione e nel funzionamento delle amministrazioni provinciali, nei rapporti coi comuni, nello svol- gimento dell'attività scolastica, portano degli inconvenienti che giova fare oggetto di qualche discussione.

Come si vede, è un compito molto modesto il mio, e VUOI essere u n contributo pratico ad u n problema importantissimo, l a scuola, che l'Italia ha coraggiosamente affrontato e sostan- zialmente, se non nella forma, avviato a soluzione.

L'amministrazione scolastica provinciale e i suoi organi

Una prima questione si presenta a chi studia l'attuazione del- l a legge 4 giugno 1911, se cioè l'amministrazione scolastica pro- vinciale sia un ente giuridico autarchico oppure u n organo di amministrazione statale. La questione a prima vista può sem- brare superflua, per quanto elegante; ma ha una portata pratica che è bene mettere in rilievo, e che influisce su molti provvedi- menti da adottarsi e sullo spirito dei regolamenti generali che

le norme di attuazione della legge stessa. Al ministero della P.I. prevale la seconda ipotesi, cioè che si

tratt i nè più nè meno che di un organo speciale e decentrato d i amministrazione statale. A questa concezione si arriva attraver- so i vari stadi di elaborazione della legge, nel cui ultimo rifa- cimento fii tolta la frase e il concetto di consorzio fra i comuni della provincia, con i l carattere autonomo; e sembra si sia vo- luto investire il vecchio consiglio provinciale scolastico, trasfor- mato e riorganizzato, d i funzioni amministrative, oltre a quelle di controllo.

I1 direttore generale della istruzione primaria e popolare, comm. Corradini, nella sua relazione sull'applicazione della leg-

ge 4 giugno 1911, partendo da tale premessa, asserisce clie « la « amministrazione scolastica è u n organo di stato, che in una « determinata zona di territorio esercita i l servizio pubblico non « più in nome proprio, non avendo personalità giuridica, ma in

nome appunto dello stato, di cui rappresenta una nranus e « pel quale esercita quel servizio. Per cui l'attuale organizzazione (( provinciale non è altro che un decentramento burocratico 1)

(vol. IV). Sta di fatto che il parlamento escluse dal disegno d i legge

quei termini che indicassero la costituzione di u n consorzio tra i comuni con carattere autarchico; non ne deriva però che si sia voluto creare u n organo statale, che operi in nome di esso.

Questo concetto non è espresso da nessuna frase della legge, e ripugna anzitutto al carattere fondamentale e tradizionale del- l a scuola primaria e popolare, che è una scuola comunale. I comuni sono rimasti radicalmente anche con la legge presente, i legittimi amministratori e rappresentanti diretti o indiretti del- la scuola, o perchè ne mantengono l'amministrazione, o perchè, pur non avendola, ne mantengono gli oneri sulla finanza pro- pria, ne nominano i rappresentanti al consiglio provinciale sco- lastico, provvedono agli edifici, agli arredi, all'assistenza.

Nè la legge ha assunto i l carattere di conquista di parte dei patrimoni e dei redditi comunali, rappresentati dai fabbricati, arredi e capitale dei contributi annuali consolidati, per passarli allo stato, a mezzo di organi decentrati; ma è, invece, una legge di cooperazione e d'integrazione per la parte finanziaria, e, dal punto di vista funzionale, di specializzazione e di raggruppa- mento di servizi.

Così, mentre si è ritenuto che molti (non tutti i comuni) fos- sero impari a sostenere l e spese della istruzione primaria e po- polare, onde lo stato ne ha integrato i mézzi; si è pure ritenuto ( a torto o a ragione non importa) che molti organi comunali non fossero amministrativamente e tecnicamente sufficienti a curare l a pronta e migliore attuazione di tali provvedimenti legislativi ; ' onde la funzione di essi è stata demandata ad u n organismo pro- vinciale specifico e rappresentativo dei diversi interessi conver- genti nella scuola.

Dalla legge e dagli stessi precedenti parlamentari, 15ammi-

nistrazione provinciale scolastica viene fuori come un organo che amministra le somme che pagano i comuni o che comunque sono destinate alla scuola (art . 6 e 7), integrate da quelle dello stato (art . 20 e 21). In forza di quale disposizione si vuole dedurre o arguire che essa rappresenti lo stato in tale amministrazione? Sarebbe più logico affermare che amministra in nome di quei comuni che eccezionalmente sono dichiarati interdetti per insa- pacità, in confronto agli altri che sono riconosciuti capaci.

Che possa essere questa una conseguenza giuridica (se non voluta) della legge, o almeno che non sia conseguenza della leg- ge l'opinione manifestata dal Corradini, si arguisce chiaramente dalla creazione (nella stessa legge) di un organo governativo di controllo di determinati, anzi dei più importanti atti ammini- strativi quali i bilanci e le relative variazioni, l'assegnazione di somme per gli edifici scolastici e simili; e dagli atti parlamen- tari si rileva chiaramente trattarsi di un organo statale ( la dele- gazione governativa) vicino a quello che il legislatore reputava non poter essere organo statale ( i l consiglio provinciale sco- lastico).

E se così non fosse, ne verrebbe di conseguenza che, per de- terminati atti di carattere governativo, quali nomina di maestri, approvazione di bilanci e variazioni simili, i l consiglio scola- stico avrebbe una vera delegazione dei poteri ministeriali e par- lamentari, i l che è contrario a ogni sano principio di diritto amministrativo e pubblico.

Insistendo sui rapporti giuridici con i maestri, rapporti che si creeranno subito e la cui discussione è già sul tappeto, si do- manda: i maestri elementari che passeranno con le scuole al- l'amministrazione provinciale scolastica, con quale ente legano i loro rapporti economico-giuridici di contratto di servizio? Con l'amministrazione provinciale, con i comuni o con lo stato?

I1 direttore generale dell'istruzione primaria risponde sen- z'altro: con lo stato ; e vuole rafforzare la sua tesi col fatto che i maestri saranno pagati con ruoli di spese fisse dalle tesorerie provinciali di stato. Sta di contro che i maestri vengono nomi- nati dal consiglio scolastico provinciale, e non per decreto mi- nisteriale: e che gli atti del consiglio sono definitivi, soggetti so- lo a ricorso ai sensi dell'art. 52 della legge. Sta d i contro la

teoria che non è ammessa la delegazione dei poteri; non può quindi crearsi nel maestro la figura di impiegato di stato ; il qua- l e ultimo debha rispondere anche giudizialmente di fatti non propri, come in cause di danni per riconosciuto ingiusto licenzia- mento o per aItro che sorga nei rapporti di contratto col maestro elementare. Non è più logico che risponda l'ente amministrazione provinciale scolastica, con i propri bilanci e le responsabilità dei suoi att i?

Un'ultima obiezione: la legge lia conservato, ricostruendolo, i l vecchio consiglio scolastico provinciale, con prevalenti fun- zioni tutorie; la gestione di fondi è secondaria e formale.

Anzitutto, non è nuovo nella legge u n organo amministrativo che abbia funzione tutoria; prima della istituzione delle giunte provinciali amministrative, la tutela dei comuni era affidata alle deputazioni provinciali, che sono organi amministrativi. Inoltre la legge non distingue le funzioni in principali e accessorie; e a dire i l vero la funzione tutoria, col passaggio allo stato della maggior parte delle scuole, si riduce di molto, restando princi- palmente quella amministrativa.

Ad ogni modo, le due funzioni non sono antinomiche, e pos- sono coesistere anche in enti giuridici ; e se non risulta che l'am- ministrazione provinciale scolastica sia un ente giuridico si han- no forti argomenti contro la figura di u n organo statale; se fu escluso che rappresenti il consorzio dei comuni della provincia, non si può escludere che non ne abbia la legittima rappresen- tanza amministrativa; e se lo stato finanziariamente integra l'azione dei comuni che amministrano la scuola direttamente, lo stesso può affermarsi che faccia per quei comuni che, ritenuti inadatti, sono amministrati da un organo speciale; nel quale sono rappresentati da elementi che ne sono emanazione diretta.

La legge ha creato, è vero, un organo ibrido; la giurispru- denza, i regolamenti, la coscienza del paese, il diritto fonda- mentale dei comuni lo rimetteranno sul binario di una figura giuridica determinata, cioè di un ente amministrativo di inte- ressi collettivi specifici, come la congregazione di carità nel ramo della heneficienza; con diritto a possedere, ereditare, svi- luppare le proprie energie e svolgere le proprie attività pe r forza interna e non per esterna e burocratica rappresentanza.

Questo dovrebbe essere lo spirito di quei provvedimenti che si vanno attuando, attorno al nuovo ente e organo che dir si voglia, e che implicano diversi e non lievi problemi pratici.

Dalla questione generale, passo ad alcuni rilievi pratici sulla costituzione e il funzionamento del consiglio scolastico provin- ciale.

a) Nella elezione dei rappresentanti dei comuni a l consiglio scolastico provinciale, è stata dal ministero della P.I. stabilita la simultaneità della nomina; e quindi è stata dichiarata nulla l'elezione rimandata in seconda convocazione, o fatta d'urgenza dalla giunta municipale.

A parte il criterio che ha indotto il ministero a prescrivere la simultaneità, non imposta dalla legge, si è violato i l diritto dei comuni, quando si è voluto i l numero legale della prima convocazione o si è privata la giunta municipale di surrogare il consiglio in via d'urgenza, nel caso di mancato intervento; men- tre i due istituti sono in correlazione nel funzionamento comu- nale. Quindi a molti comuni è stato reso impossibile l'esercizio del diritto di concorrere alla nomina dei membri elettivi co- munali del consiglio scolastico provinciale. Le leggi elettorali, quando impongono la simultaneità riducono i l numero valido alle elezioni; e l a legge comunale e provinciale, con la facoltà alla giunta municipale di assumere d'urgenza le funzioni del consiglio, provvede ai casi nei quali u n comune perderebbe co- munque un diritto da esercitare o u n interesse da tutelare. I1 ministero della P.I. non fece nè l'uno nè l'altro, ispirandosi a concetti giuridici che non hanno precedenti nella nostra legi- slazione.

b) Si discusse fin da principio se il consiglio scolastico pro- vinciale dovesse tenere le sedute pubbliche tranne per gli argo- menti personali, come i consigli comunali e provinciali. Parec- chi consigli scolastici ritennero questa tesi e la adottarono. Però, i l ministero della P.I., sentito i l consiglio di stato, fu di opposto avviso; e tutte le sedute si tengono a porte chiuse. È logica con- seguenza questa dell'opinione dei dirigenti la istruzione popo- lare che i consigli scolastici sono organi statali? Intanto si to- glie i l controllo immediato dei cittadini, che assistendo ai pub-

blici dibattiti degli enti amministrati, possono meglio interessar- si e partecipare a quella vita e attività che è sempre civica e collettiva. Forse, si vuole arrivare alla conseguenza d i negare l'azione popolare nei riguardi delle spese e dei bilanci che il consiglio scolastico discute e delibera; forse non si vuol ricono- scere i l diritto dei cittadini a sapere perchè un progetto di edi- ficio scolastico non venga approvato; o a rilevare gli atteggia- menti che assumono i rappresentanti dei corpi elettivi, per giu- dicare se meritano oppur no la conferma della fiducia cittadina. Sono criteri questi non solo di ordine morale, ma anche di or- dine giuridico; contro i quali si aderge la tendenza ministeriale di ridurre il consiglio scolastico a un organo burocratico.

C) Infine un problema d'ordine funzionale dovrebbe essere risoluto dal ministero, prima che si effettui il passaggio delle scuole all'amministrazione scolastica ; cioè il problema dell'ispet- torato nei .rapporti con la deputazione e il consiglio scolastico. Fino a che i comuni ritengono l'amministrazione della scuola, i capi-servizio, i direttori, i capi-gruppo rispondono verso i l co- mune dell'andamento del servizio stesso, della disciplina, del- l'osservanza degli orari, nonchè dei rapporti di inconvenienti O

altro che nella scuola possa accadere. Col passaggio della scuola all'amministrazione scolastica, i

consigli e le deputazioni scolastiche non hanno funzionari pro- pri direttivi e ispettivi; anzi gli stessi direttori esistenti, se ne hanno i requisiti, passeranno o son già passati a vice-ispettori alla dipendenza dello stato (art. 81). Ciò può confermare l'opi- nione da me espressa che il consiglio sco.lastico provinciale non è organo dello stato; però toglie a questo nuovo organismo ogni contatto con la scuola e ogni esercizio di controllo sul funziona- mento- di essa; e tende a irrigidirne le funzioni, a menomarne ogni iniziativa creando una sovrapposizione, irresponsabile nei rapporti con ,gli organi scolastici provinciali, degli elementi tec- nici e dei funzionari statali. È naturale quindi che nel provve- ditore prevalga l'impiegato sul presidente del consiglio e ammi- nistratore insieme; e che l'ispettorato resti estraneo alla nuova vitalità provinciale, che nei promotori voleva essere l'organo di contatto tra la scuola, gli enti locali e le popolazioni. Forse la questione non si prospetta nella sua chiarezza e realtà, perché

le scuole sono ancora in mano ai comuni; però nel primo anno d i funzionamento dei nuovi organi qua e là si è potuto rilevare qualche inconveniente pratico, che resta indice di un male pro- fondo ; i probabile conflitti metteranno a nudo il grande incon- veniente; tranne che i consigli non si adagino nello svolgimento d i funzioni automatiche, mostrando solo attività e autorità verso quei comuni ( e saranno i migliori) che avranno mantenuto, o per obbligo legale o per facoltà, l'amministrazione della scuola primaria e popolare.

Riassumendo questo primo punto, è da augurare che il rego- lamento definitivo sulle amministrazioni scolastiche provinciali, sui suoi organi e sul suo funzionamento sia fatto in modo che:

.l) non si abbia la preoccupazione di restringerne 1'attivit.à o renderla automatica, burocratica, sterile;

2) che si chiariscano i rapporti patrimoniali e giuridici del- l'ente specialmente intorno al contratto di servizio con i mae- stri ;

3) che nelle elezioni dei rappresentanti comunali si ammetta, per la validità, i l numero di seconda convocazione dopo un'ora; o la facoltà alla giunta municipale, nel solo caso di mancato intervento, di sostituire il consiglio ai sensi dell'art. 316 della legge comunale e provinciale;

4) che le sedute dei consigli scolastici siano pubbliche. ai sensi della legge comunale e provinciale;

5) che non si sottraggano i vice-ispettori i quali dirigono le scuole nei comuni, alla dipendenza dell'amministraziane gro- vinciale, e che possa l'azione ispettoriale essere in coordinazione . all'attività e all'indirizzo degli organi provinciali, consiglio e deputazione scolastica, in modo da escludere il dualismo o l'in- dipendenza.

Rapporti con i comuni

Molto ci sarebbe da dire su questo argomento: credo però più opportuno limitarmi alle osservazioni più urgenti.

a) Vi è una categoria di comuni ai quali è lasciata la facoltà

di ritenere l'amministrazione delle scuole o incondizionatamente (art . 12) o sotto date condizioni (art . 16). Dalle informazioni avute, dalla tendenza abbastanza nota della Minerva, gli organi governativi insistono per ottenere che tali comuni rinunzino alla facoltà avuta, o non ne ottengano l'autorizzazione. E nella mag- gior parte dei casi ci riescono, con l'argomento persuasivo delle maggiori spese che andranno a carico dei comuni stessi.

A parte ogni preoccupazione teorica, a volere esaminare la cosa da un punto di vista pratico e strumentale, i l ministro della P.I. dovrebbe spingere i comuni suddetti a mantenere l'ammini- strazione delle scuole, per avere elementi concreti e non aprio- ristici per un razionale esperimento e un confronto concreto tra i nuovi organi provinciali e i comuni, ,che la legge stessa ha rite- nuto atti a continuare la direzione e amministrazione delle scuole.

Tanto più che fin oggi non si è effettuato il passaggio delle scuole degli altri comuni all'amministrazione provinciale, nè si prevede che passeranno tosto. E quindi non si è avuto agio a rilevarne i vantaggi e gli svantaggi; sì da potere i comuni di- ciamo così privilegiati decidersi, con dati di fatto e razional- mente, sulla via da seguire.

P e r giunta oggi i l ministero della P.I. non ha presentato i l disegno di legge sulle agevolazioni da dare ai comuni che man- tengono l'amministrazione della scuola, ai sensi dell'art. 21 ul- timo comma della legge. Vero è che i termini stabiliti dalla stessa legge scadono col 1915; però sarebbe atto di oculato go- verno proporre fin da ora le agevolazioni da accordare, in modo che i comuni sappiano in che cosa si concretizzi il loro diritto; e si apra quella discussione pubblica che sempre prepara il ter- reno alle leggi e indirettamente vi collabora. D'altro lato, ben- chè il problema della scuola comunale per molti sia u n sacro principio di libertà, nessuno può rifiutarsi d i esaminario nella sua portata finanziaria, non solo nei riguardi del comune, ma anche nei riguardi stessi della scuola, che non può rimanere intristita nella sua vitaliti e nel suo svolgimento per mancanza di mezzi sufficienti.

P e r questa stessa ragione, oltre che per le ragioni suddette tra cui principalmente i l fatto che fin oggi le scuole sono rima-

ste in mano ai comuni, si dovrebbe prorogare il termine di tre anni prescritti agli articoli 15 e 16 della legge, perchè i co- muni, che ne hanno la facoltà, possano o rinunziare all'ammi- nistrazione della scuola (art . 15): ovvero chiedere l'autorizza- zione a continuarla (art . 16).

b) Passando a esaminare i rapporti con l'altra categoria d i comuni, cioè quelli che perderanno l'amministrazione delle scuoIe, è giusto farsi eco di un vivo malcontento che serpeggia i n ordine alla questione delle spese. Queste furono dalla legge consolidate alle maggiori somme iscritte nei relativi bilanci co- munali negli esercizi finanziari del 1910 e del 1911 (ar t . 17). Ora è avvenuto che i consigli provinciali scolastici o i provveditori o gli ispettori abbiano obbligato o indotto non pochi comuni ad aprire nuove scuole, a sdoppiare quelle esistenti, a caricare i bilanci dei sessenni che si sono maturati nel 1912. Qualche co- mune si è rifiutato; qualche altro ha ceduto protestando; e vi è stato qualche altro che, ignorando la legge, si è sobbarcato in silenzio alla nuova spesa.

Tutto ciò è illegale; e i comuni dovrebbero avere azione di rivalsa verso l e amministrazioni provinciali scolastiche per i maggiori oneri d i quelli che la legge prescrive. In praposito i l ministero, che h a emanato tante circolari da due anni ad oggi, avrebbe dovuto dare norme tassative e per i consigli scolastici e pe r i comuni, e rompere il silenzio in cui si è chiuso, forse non senza premeditazione; per cui non si possono neppure ac- cordare l e attenuanti.

Urge però che tale stato caotico sia superato; che si prov- veda al passaggio delle scuole; e che non si aggravino illegal- mente i comuni, né si danneggi la scuola con ritardi ingiustifi- cati nei provvedimenti urgenti, riguardo l'apertura di nuove scuole.

Riassumendo occorre : I ) agevolare i comuni, che ne hanno per legge la facoltà, a

mantenere la direzione e amministrazione delle scuole; proro- gando i termini di tre anni in vista anche del mancato passaggio delle altre scuole all'amministrazione provinciale; e presen- tando subito il disegno di legge sulle agevolazioni per i comuni, d i cui all'art. 21 della legge 4 giugno 1911;

2) che siano rimborsati i comuni che non manterranno la di- rezione e amministrazione della scuola, dei maggiori oneri di cui all'art. 17 della legge, imposti e comunque sopportati dal 1911-12 in poi per esigenze scolastiche, in preparazione del pas- saggio all'ente provinciale.

Riordinamento delle scuole

Su questo argomento poco c'è da dire; poichè è anzitutto necessario attendere che si operi i1 p,assaggio delle scuoie al- l'amministrazione provinciale, specialmente per potersi effet- tuare l'aumento delle scuole secondo i bisogni della popolazione scolastica. A questo problema è legato indissolubilmente quello del numero ( e anche della qualità) dei maestri e quello del nume- ro ( e anche qualità) delle aule scolastiche. Non bisogna però avere fretta illogica ; perché a fare è meglio far bene. .

Intanto è stato iniziato il riordinamento della scuola rurale unica, ai sensi degli articoli 33 e seguenti; nel 1911-12 se ne so- no riordinate 1781 e si prosegue nel 1912-13 ai sensi dell'art. 35. È in corso lo studio del regolamento per le scuole reggimentali per i militari analfabeti, che hanno grande importanza nella lotta contro l'analfabetismo. Le scuole serali e festive dovreb- bero essere vere e proprie scuole per adulti analfabeti, senza la pedanteria dell'applicazione dell'aggettivo serali o festive; do- vrebbero comprendere un numero determinato di lezioni, un programma regolare e adatto; e si dovrebbe lasciare agli orga- nismi locali la determinazione dei periodi scolastici, degli orari e delle forme di organizzazione pih rispondenti ai bisogni del- l'ambiente, perchè la lotta divenga efficace.

La sventura dell'Italia è il regolamento in ogni atto di vita collettiva, con la soppressione di ogni iniziativa e di ogni crite- rio locale : così l'inesperienza della burocrazia centrale trionfa sulle piccole e pratiche esperienze; e la boriosa ignoranza, insi- gnita del titolo di capo di qualsiasi servizio ministeriale, ha la prevalenza sugli studiosi modesti ma sinceri dei problemi di vita locale.

Infine sulla scuola privata, di cui all'art. 70 della legge: i l ministero ha diramato una circolare chiaritiva, il 18 maggio 1912; e non vi è che da fare un augurio che verso le scuole pri- vate si mantenga quel rispetto alla libertà (da non confondersi certo col rispetto all'ignoranza), che serva insieme al maggiore svolgimento dell'iniziativa privata e del pubblico insegnamento. Però non è difficile che, sotto il pretesto di poco buoni risultati agli esami, in base al vago disposto della legge, si cerchi di ren- dere difficile la vita e lo svolgimento di tali scuole, che rispon- dono a determinate esigenze e a veri interessi collettivi.

Maestri elementari

E passiamo ad alcune questioni che riguardano i maestri elementari, i l cui reclutamento non può non interessare anche quei comuni che perderanno l'amministrazione e direzione del- le scuole, perchè soprattutto interessa i genitori.

Ho accennato sopra alla questione dei rapporti di contratto del maestro assunto in servizio dall'amministrazione provinciale ; e qui ne faccio un semplice richiamo.

a) La questione più grave è quella dei concorsi. I1 ministe- ro, con la circolare del 23 agosto 1912 n. 56, credette opportuno di proporre, a titolo di prova e senza obbligo di esecuzione, al- cune norme fisse di valutazione di titoli, anzi stabilì una specie di tariffazione di meriti, un vero tassamento applicato ai con- correnti al posto di maestro elementare. È vero che ciò è stabi- lito dalla legge (art . 46); ma è bene stare nella giusta misura e non eccedere.

Si ha purtroppo la preoccupazione dell'autonomismo, seguen- do la falsa opinione che, al di £uori della sapienza della Miner- va, non ne esista altra, e che la bontà del metodo consista nella più rigida uniformit,à. Purtroppo in tutta la nazione si ha una opinione diversa, che non è del tutto ingiustificata. Occorre in- vece stabilire le norme di garanzia per la scelta delle commis- sioni esaminatrici; e si dovrebbero descrivere delle norme fon- damentali sullo svolgimento del concorso, che non può appog-

giarsi sul semplice diploma di maestro, come lia proposto il mi- nistero della P.I. dandovi i l maggiore peso su tutti gli altri titoli.

Per la scelta degli impiegati dello stato, il titolo accademico o le licenze non sono che titoli preelettivi per l'ammissione a i concorsi, non mai titoli efficaci di idoneità e peggio, poi, pre- ponderanti per la scelta.

Tanto più che secondo l'art. 45 della legge le commissioni esaminatrici devono solo classificare un numero di concorrenti pari al numero dei posti messi a concorso, i consigli scolastici provinciali devono nominare solo i classificati. Una specie di sabbia da passare sull'inchiostro.

Non sarebbe il caso di rendere i concorsi misti, cioè per ti- toli e per esami? Si tratta di ripristinare una vecchia facoltà dei comuni, che sarebbe maggiore garanzia per tutti, anche per i maestri che passeranno all'amministrazione provinciale, i quali non avranno, come i loro colleghi dei comuni, due stadi d i con- trollo ( i l consiglio provinciale scolastico e i l ministero), ma uno solo, i l ministero, per far valere le loro ragioni.

b) Un'altra questione è stata sollevata, che ha agitato la clas- se magistrale. I1 ministero, nella proposta di regolamento. sta- biliva le seguenti disposizioni illogiche e antilegali, cioè: che le maestre elementari dovessero preferirsi nella prima e secon, da maschili delle scuole amministrate dai comuni, e invece non avessero diritto a concorrere per l e maschili inferiori delle scuole passate all'amministrazione provinciale. Ci è sfuggito il senso recondito del provvedimento, che i l consiglio di stato ha ritenuto illegale; e da quanto se ne è scritto sui giornali, si sa che i l provvedimento è stato modificato nel senso che per le scuole maschili inferiori si faranno due ruoli, uno dei maestri e uno delle maestre; le quali ultime saranno nominate solo per i posti che rimarranno eventualmente scoperti.

I provvedimenti proposti rispondono ai migliori criteri pe- dagogici e professionali; ed è da augurarsi che siano integral- mente adottati.

C) Infine, i l ministro ha disposto la formazione dei ruoli dei maestri che passeranno all'amministrazione scolastica pro- vinciale. I criteri proposti sembrano rispondenti a legalità; e si spera che riguardo alle promozioni di classe, in rapporto alle

scuole, si mantenga l'osservanza rigorosa degli articoli 47 e 48 della legge; che dalle discussioni fatte riguardo ai ruoli sem- brava venisse alterata con disposizioni regolamentari. I comuni hanno il diritto d i manifestare i loro desideri e per l'assegna- zione e per i traslochi dei maestri e l a questione del ruolo do- vrebbe essere solo agli effetti dello stipendio e non mai della loiblità ove ha sede la scuola.

Edifici Scolastici

I1 servizio per gli edifici scolastici procede alacramente. Si è fatto il primo reparto dei venti milioni stabilito dalla legge 1911, oltre le previsioni del milione stabilito dalla legge 15 giugno 1906; si sono date delle norme al riguardo, e i comuni secon- dano con slancio questa opera di vero risanamento e riorganiz- zazione scolasti'ca.

Però, la burocrazia è incombente e soffocante. Perchè u n comune possa arrivare a bandire le aste per l'ese-

cuzione di u n progetto di edificio scolastico, deve fare una stra- da troppo lunga e Con moltissime stazioni.

S'incomincia col parere clel genio civile; però quest'organi- smo non ha funzionari speciali, nè specializzati; il medico pro- vinciale deve dare il suo parere, e non basta, il consiglio pro- vinciale scolastico deve deliberare; la delegazione governativa approvare; e agli effetti della legge comunale e provinciale, per il mutuo devono intervenire anche la giunta provinciale ammini- strativa e il consiglio di prefettura per il capitolato. Dopo di ciò, resta i l ministero della P.I. per il riesame del progetto e la rela- tiva approvazione; la cassa depositi e prestiti per l'assegno del mutuo; e quindi, di nuovo, il consiglio comunale per l'accetta- zione clel mutuo, e d i nuovo l'autorità tutoria per il visto della deliberazione del consiglio comunale che accetta il mutuo.

Tutto ciò è presto detto; se nelle stazioni succede un falso scambio, non si arriva più e si torna indietro. Provare per credere !

I1 guaio. poi. è nella esecuzione. I pagamenti parziali del

mutuo debbono essere ordinati dal prefetto. su parere del genio civile, che vista gli stati di avanzamento; se è fatta anche la concessione del sussidio del terzo. come per la legge del 1906, i decreti e i mandati, sempre sui certificati vistati dal genio ci- vile, sono emessi dal ministero della P.I.. sono registrati alla corte dei conti, e passano mesi e mesi di attesa; nei quali si stanca la pazienza dei comuni e degli appaltatori, che spmso sospendono i lavori, ed è grazia se non intentano liti per danni.

È proprio il sofisma pratico del quis custodit custodem. CI* incombe nel nostro regime amministrativo come la camicia d i Nesso. Forse per questo si evitano gli scandali del Palazzo di giustizia ?

Data la enorme mole di lavoro, il grande rifacimento e in gran parte la creazione della cassa della scuola, occorre che ogni consiglio scolastico provinciale abbia un tecnico dislocato dal genio civile; è necessità che si semplifichi la prpcedura di ap- provazioni e pareri, bastando, come prima, i l parere del prov- veditore e l'approvazione della giunta provinciale amministrativa agli effetti amministrativi e contrattuali con lo stato; e per i pagamenti. deciso il mutuo e accordati i sussidi, si potrebbe met- ter la somma a disposizione dei ~rovveditori o dei ~ r e f e t t i . Non c'è poi ragione di mandare i progetti alla revisione del ministero, che è addirittura superflua.

Con questa o altra forma di procedura, insieme alle tassa- tive disposizioni di responsabilità civile e penale per gli uffici locali, si otterrebbe un risultato insperato nella rapidità e nel miglioramento del servizio. Poco c'è da osservare sulla distribuzione ai comuni delle somme che, sui 20 milioni annui stabiliti per legge, il governo assegna alle provincie. Solo si era rivelato piu vantaggioso fare ogni anno degli assegni rateali per i progetti di maggior costo, in mo- (io che, simultaneamente. provvedessero agli edifici scolastici in maggior numero possibile di comuni. Qkesto voto è stato con- cretato in un disegno di legge che faculta l'assegnazione di som- me fino a quattro anni ratealmente.

Per i comuni e per la scuola, la questione degli edifici scola- stici razionali. areati. ben tenuti. rispondenti alle esigenze e allo s,iluppo dell'ambiente. è i l problema più grave e più ur-

gente, sul quale si deve richiamare l'attenzione e l'entusiasmo dei consigli comunali e delle popolazioni.

VI.

Assistenza scolastica

Si attende da circa un anno il regolamento per la creazione dei patronati scolastici. Non si comprende la ragione, né si sente il bisogno di un regolamento al riguardo; ma che cosa esiste in Italia senza il regolamento generale di stato?

Ed è venuto fuori, clandestinamente perché ancora non è stato registrato dalla corte dei conti, u n regolamento che aggra- va le condizioni pratiche dei nuovi enti morali; nei quali l a legge opportunamente volle riunire in forma autonoma e legale tutti i presidi pubblici destinati all'assistenza scolastiba ; ma pur- troppo, come vizio originario, affogò la vita di tali enti in una specie di parlamento detto consiglio di amministrazione (ar t . 72).

Ora, per giunta, nel proposto regolamento si prescrivono nor- me per le elezioni delle cariche, periodi di nomina, con cita- zioni di deereti e regolamenti; e quantunque ciò potrebbe esser lasciato al libero apprezzamento dei promotori, poco male. Però vi è l'aggravante di un'autorità tutoria che la legge non prevede, e che non risponde alla natura di simili ent i ; e l'autorità tuto- ria è la delegazione scolastica, organo incompetente per la sua origine e funzione estranea a svolgimenti amministrativi. È fat- ta grazia della trattativa privata entro le 1000 lire (meno male, c'è u n progresso tra un simile ente e un comune come Milano che non può disporre di pii1 di L. 500 senza le aste); ma si sono volute le formalità delle aste e le altre regole di contabilità di stato; non manca la previsione dei commissari regi e dello scio- glimento delle amministrazioni dei patronati (come u n comu- nello qualsiasi!). E finalmente, dulcis in fundo, una disposizione transitoria autorizza il provveditore a nominare d'ufficio le am- ministrazioni provvisorie.

Contro questa disposizione si è levata la corte dei conti. che giustamente l'ha trovata incostitiizionale. La Minerva si è giu- stificata col pretesto. molto comodo, di dover far presto e di non

potere perder più tempo; coiiie se non si dovesse addebitare al governo e alla mania regolamentatrice il ritardo della creazione di tali enti, dal 4 giugno 1911 ad oggi; e come se uno o due mesi ancora a costituire le amministrazioni definitive del patro- nato facessero andar a monte ogni cosa. Ma non occorre insistere a cercare i reconditi pensieri della Rlinerva; solo è da protestare contro una esagerata invadenza e contro un regolamento inco- stituzionale, che si vuole sovrapporre alla legge.

Forse l e case popolari, le mutue scolastiche e simili, erette in ente morale, hanno bisogno dell'autorità tutoria e dell'inter- vento coattivo? Bastano le responsabilit,à sancite dalle leggi comuni.

Basta che gli statuti, basati sulla legge, siano approvati con decreto reale. I1 resto è bene sia lasciato alla iniziativa locale e ai criteri pratici, che differiscono da regione a regione e da co- mune a comune.

I1 controllo si può sempre esercitare col deposito dei bilanci presso i tribunali, presso i comuni e i consigli provinciali sco- lastici.

Non occorreranno così troppi impiegati ( e i l regolamento ministeriale accenna addirittura ai ruoli degli impiegati del- l'assistenza scolastica, per enti che, nella maggior parte dei casi, non arriveranno a mettere insieme duemila lire!); e saran- no dannosi quegli intralci nei quali gode l'anima burocratica dei ministeri italiani.

Allora solo, quando i l rispetto alla libertà e all'individualità locale sarà divenuto convinzione e fiducia, si potrà cooperare da tutti con slancio vitale agli sforzi dello stato e dei comuni per l'incremento della scuola e per la lotta contro l'analfabetismo.

Concludo, riassumendo il pensiero della relazione in un solo concetto: « nell'attuazione graduale, paziente e razionale della legge 4 luglio 1911' n. 487 sulla istruzione primaria e popolare, che resta come i l maggiore sforzo economico che si sia fatto a vantaggio della scuola ( e anche come i l risultato più palese del- l'ibridismo amministrativo e didattico), i l governo dovrebbe ispi- rarsi a maggiori sensi di fiducia verso gli enti locali e di rispetto all'iniziativa privata ; che dovrebbero corrispondere con attività. razionalità, entusiasmo, al lavoro per l'incremento della scuola.

Sotto questo punto di vista il governo deve correggere le disposizioni che comprimono; semplificare le forme complesse, dare agilità a l movimento scolastico, e affermare, sempre più, le responsabilità personali e collettive degli organi e dei fun- zionari locali D.

Sembrano parole generiche; ma riferite alle osservazioni e ai rilievi fatti nel corso della relazione, le parole acquistano la luce della realtà e la forma del concreto.

'Con questi intendimenti propongo il seguente ordine del giorno :

« Il XZI congresso nazionale dell'dssociazione dei comuni italiani in Milano,

preso atto della relazione, accettandone i criteri e riafferman- done i principi

delibera

presentare a l ministro della P.I. un memoriale che illustri i rilievi e l e osservazioni fatte e le proposte discusse, affinchè sia- no tenuti nel dovuto conto nella compilazione dei regolamenti e delle norme di esecuzione della legge 4 giugno 1911, n. 487 D.

milan no: 3 aprile 1913.

Sul17importante congresso dei comuni italiani tenuto a Mila- no nei giorni scorsi abbiamo creduto opportuno intervistare don Luigi Sturzo, che vi prese parte. Egli si può dire uno dei fondatori, e dei più caldi propagatori dell'Associazione dei co- muni ; da nove anni è membro del consiglio direttivo, ed ha rife- rito in tutti i congressi dei comuni dal 1906 (Torino) a quello tenuto a Milano (1913).

cc I l congresso di Milano - egli ha detto - voleva essere

(*) Intervista ron clon Luigi Sturzo.

nell'idea dei proponenti una vigorosa affermazione nazionale del problema della riforma dei tributi locali alla vigilia delle elezioni politiche; perché divenisse come il caposaldo del pro-

l gramma della prossima camera eletta col suffragio allargato.

Questo risultato politico non si è certo raggiunto; perchè è mancata una adeguata preparazione, e perché la stampa non si è fatta eco viva e forte di tale, ~ rob l ema . 9

- Sarà forse, ~ e r c h é la nazione ancora non sente la urgen- za e l'importanza del problema stesso.

I n materia finanziaria ogni problema non può essere sen- tito dalla popolazione che con ripercussione indiretta, e quindi non può tramutarsi in manifestazione collettiva se non attra- verso un fine immediato e concreto da raggiungere. È perciò che del problema delle finanze comunali se ne fa una questione tec- nica e amministrativa e non mai una vera questione politica.

Però quando nello sviluppo delle energie locali, nel crescere dei bisogni collettivi e dei relativi servizi, i comuni divengono sempre più impotenti a seconda il miglioramento collettivo, al- lora si correrà ai ripari; come è avvenuto per la scuola popolare di cui lo stato ha preso su di sè l'onere che i comuni non avreb- bero potuto sopportare, di 40 milioni l'anno D. - In tema d i scuola, ella ha riferito sull'applicazione della

legge Daneo-Credaro. C( Per l'appunto: è stata la mia una critica obbiettiva all'in-

dirizzo adottato dal ministero della P.I. nell'applicazione della legge Daneo-Credaro, indirizzo restrittivo, monopolizzatore, che rende quasi automatiche e staccate dalla vita e dalla scuola le funzioni del consiglio provinciale scolastico. A proposito del quale sollevai la questione che il consiglio provinciale scola- stico sia un ente a sè oppure un organo burocratico di stato. Quest'opinione è quella sostenuta dal ministero della P.I., con-

tro ogni evidente principio giuridico. Vero è che la legge è ibrida e confusa ; e non si sa quel che il

parlamento voleva fare. Non si può parlare di organo burocra- tico di stato, che amministra i denari dei comuni, sotto il con- trollo della delegazione governativa, istituita come organo di vigilanza sopra un ente, che non è emanazione burocratica e statale.

Si arriverebbe a questo assurdo: che il ministero sarebbe responsabile civile di tutti gli sbagli che faranno i 69 consigli provinciali scolastici di fronte ai terzi, senza che il ministero ne conosca gli atti. E i maestri elementari nominati dal consiglio scolastico, per questa interpretazione diverrebbero impiegati governativi.

Io però non mi sono direttamente occupato di ciò nella mia relazione, ma principalmente delle questioni sollevate con i re- golamenti sui patronati scolastici, sugli edifici, sulle nomine dei maestri, sulle sedute dei consigli scolastici, sui rapporti econo- mici con i comuni e simili; poichè ritenevo e ritengo che oggi una critica della legge, senza l'esperimento del fatto sarebbe aprioristica e inopportuna.

Nel congresso fu in proposito sollevata la questione generale se la scuola debba essere statale o comunale; e si combatte da alcuni la scuola privata, che fu difesa calorosamente da altri, come principio di libertà.

I1 congresso convenne sulla critica del dettaglio, ed approvò

la presentazione di un memoriale al ministero della P.I. espri- mendo le osservazioni e i rilievi fatti. La presidenza dell'Asso-

ciazione ha affidato l'incarico di redigere il memoriale al rela-

tore Sturzo e a l segretario Caldara n.

- E quale altro tema si discusse a l congresso?

« Oltre la discussione sulla scuola, che appassionò tutto

l'ambiente, un'altra appassionò l'assemblea; i l voto alla donna,

la propaganda e l'estensione del voto agli analfabeti da 21 ai

30 anni.

I1 congresso fu contrario al voto alle donne per soli 10 voti,

essendosi dichiarati 73 favorevoli contro 83. Veramente il voto non fu preparato, e venne durante la di-

scussione del disegno di legge sul coordinamento della legge

politica alla legge amministrativa.

Al riguardo il governo ha adottato tutti i criteri e le propo-

ste dell'Associazione dei comuni, concretate ad Asti nella riu-

nione del 21 novembre, tra cui anche la rinnovazione totale ogni

quattro anni dei consigli comunali. Solo non ha ammesso la eleggibilità degli analfabeti.

È strano che un analfabeta, mentre per legge è eleggibile a f deputato, non possa essere eletto consigliere provinciale. l

I1 congresso h a insistito nella tesi della eleggibilità? poichè è cardine che l'elettore sia eleggibile; lasciando al buon senso pratico del popolo la scelta o meno di un analfabeta a consi- gliere comunale.

Su questo proposito l'on Sichel propose u n ordine del gior- no pel voto alle donne. La discussione si allargò oltre misura, e il risultato del voto dimostrò che l'idea fra gli uomini si fa strada.

Ciò non ostante è ancora immaturo l'ambiente, come lo è per la proporzionale anche per i grandi comuni.

Certo sarebbe da tentare una elezione politica a largo scru- tinio di lista con rappresentanza della minoranza, prima di arrivare a u n istituto, la proporzionale, che ammette maggiore conviqzione, serietà e caratteristica dei partiti politici d'Italia.

Fui contrario al voto agli analfabeti da I I a 30 anni ; perché, i n sede di coordinamento, il governo non sposta le basi del- l'elettorato politico, ma di fatto non avrebbe portato che poco guadagno e, poco danno.

I1 lavoro principale del congresso è stato quello sulla finan- za comunale. Cinque relazioni interessanti han prospettato il problema in una luce nuova.

La questione sempre viva è quella della distinzione delle spe- se di stato da quelle dei comuni.

In proposito si è deliberata la compilazione di una statistica che rilevi quanto i comuni spendono per le elezioni politiche, i servizi postali, la leva e simili, per poi dimostrare che se tali spese gravassero sui bilanci di stato, non si potrebbe parlare di finanza florida e d i avanzo.

La finanza dello stato è florida quando, comprese tutte le spese inerenti ai servizi governativi, resta del margine n.

Sulle condizioni economiche dei piccoli comuni, riferì lo egregio avv. Serragli; e i l consiglio direttivo ha creato una com- missione speciale per i piccoli comuni composta da Serragli d i Firenze, Franco di Livorno e il nostro intervistato don Luigi Sturzo.

Dell'opera del quale, anche sulle strade comunali, vicinali

e ferroviarie, al congresso e £uori, ci siamo occupati nel numero passato.

l L'attività del nostro sindaco nel campo municipale, dentro

e fuori Caltagirone è nota ormai a tutt i ; e ben merita quella considerazione che h a sempre in tutti i congressi dei comuni e in tutto i l continuo contatto di affari e di studi con coloro che sentono la vita comunale in Italia.

I1 sentimento municipale, u n tempo glorioso in Italia, e ban- diera di libertà, oggi dovrebbe svilupparsi, secondo le esigenze dell'epoca; perché le poche libertà locali rimaste, non si ridu- cano a norme senza sostanza anche pel fatto che i bilanci dei comuni hanno perduto ogni elasticità e competenza.

E veramente è grave compito della prossima legislatura, co- me ebbe a dire Giolitti, quello della riforma dei tributi locali.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 4 maggio 1913).

L'OPERA DELL'ASSOCIAZIONE DEI COMUNI PER LA DISOCCUPAZIONE

E L'APPROVVIGIONAMENTO DEL GRANO (*)

Nel difficile momento che attraversa la nazione per gli ef- fetti della guerra europea, i l compito del comune è di una im- portanza eccezionale ; avendo i l comune l'immediata percezione dei bisogni collettivi e la diretta responsabilità di provvedervi, sia o no aiutato dai poteri centrali; nel senso che tutt i i prov- vedimenti che nelle energie comunali e civiche possono trovare base e sviluppo debbono essere preparati e adottati. Però nel vivo e multiplo contatto della vita nazionale, spesso le energie locali non sono sufficienti o non possono svilupparsi se non viene lo stato con la sua forza, i suoi mezzi e le sue leggi a integrarle o trasformarle.

(*) Relazione di don Sturzo e comm. Franco al XIII congresso nazio- nale dell'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a Roma nel febbraio 1915.

L'Associazione dei comuni meglio di qualsiasi altro organo e come funzione propria, anche per gli eccezionali bisogni de- rivanti da uno stato eccezionale di cose, può e deve rappresen- tare la somma dei bisogni dei comuni presso i poteri centrali, e può e deve contribuire a svilupparne ed integrarne le parziali iniziative, ed assistere i comuni nello svolgimento delle loro particolari attività.

Due problemi si presentarono forkidabili appena scoppiata la guerra: quello della disoccupazione e quello dell'approvvi- gionamento del grano; e i voti di comuni e di popolazioni. d i associazioni politiche e di cooperative economiche furono fin dai primi giorni insistenti e vivaci presso il governo.

Non possiamo in questa breve relazione riassumere quanto su tali argomenti si sia scritto e polemizzato in Italia. Ci limi- tiamo a riassumere la modesta e persistente opera della nostra Associazione, (opera in parte conosciuta attraverso i giornali e le circolari) e a prospettare i problemi nell'azione futura.

I . - Provvedimenti riguardo la disoccupazione.

Al principio della guerra sembrò che la disoccupazione fosse un fenomeno acuto e transitorio, determinato (specialmente nel- l'Alta Italia) dal ritorno improvviso dei nostri operai, che pe- riodicamente vanno a lavorare all'estero in alcune stagioni del- l'anno.

Difatti fu quello i l 'pr imo manifestarsi della disoccupazione operaia; vi erano però insieme altre cause latenti e generali di disoccupazione: l'inaridimento di molte sorgenti di lavoro, la stasi dei commerci, la diminuzione dei capitali circolanti, la cri- si dell'emigrazione transoceanica, importante fenomeno special- mente nel mezzogiorno e nella Sicilia.

Al primo agitarsi delle masse senza lavoro, il governo cre- dette di intervenire con provvedimenti momentanei, che risul- tarono ineficaci, quali i l sussidio di tre milioni, e il decreto leg- le 1 settembre 1914 sulla riduzione delle cauzioni dei LL. PP. a l 5 per cento e l'estensione della competenza della giunta mu- nicipale alle spese di lavori per cinque mila lire da potersi dare a trattativa privata.

In seguito, premendo i bisogni e l'opinione pubblica in forma anche vivace, vennero fuori i decreti legge del 22 settembre, n. 1026 e 1028, sui lavori pubblici e poi quello del 29 settembre sulle opere igieniche, e infine quello del 6 ottobre sugli edifici scolastici.

L'Associazione dei comuni per mezzo dei suoi rappresentanti aveva fatto dei passi presso il governo per provvedimenti di ca- rattere straordinario relativi alla disoccupazione ; e nella seduta del consiglio direttivo del 27 settembre avea emesso i l seguente ordine del giorno :

I1 consiglio dell'Associazione dei comuni, raccogliendo i C( voti espressi per provvedimenti atti a fronteggiare la disoccu-

pazione locale chiede :

a) che si accordino dei prestiti straordinari ai comuni con interesse ridotto e per almeno cento milioni, destinati alle co-

(C struzioni e sistemazioni stradali, oltre, fino al limite d i tale somma, il sussidio del quarto sulla spesa;

b) che si dia sollecito corso alle pratiche per mutui già iniziate dai diversi comuni per lavori sanitari, scolastici, d i

« bonifiche e di viabilità;

C) che si provveda alla liquidazione e ai saldi delle somme dovute dallo stato ai comuni per recedenti impegni e prece-

(C denti concessioni D.

Quel giorno il residente del consiglio dei ministri, riceveva la rappresentanza dell'Associazione che illustrava e caldeggiava l'ordine del giorno.

Nel sollecitare vivamente il governo ad intervenire, mostrò so- lerzia e attività i l comitato parlamentare della Lega dello coo- perative presieduto dall'attuale guardasigilli, on. V. E. Orlando ; e l'iniziativa presa dalla Lega stessa, di assistere il comune nello svolgimento delle pratiche presso il governo per l'applicazione dei diversi decreti legge, d'accordo fra i dirigenti della Lega e il nostro consiglio direttivo, divenne un'opera comune alle due associazioni, che integrarono così, in un momento difficile per la vita comunale e la vita operaia, le loro attività e le loro forze ; mentre al comitato parlamentare per i LL. PP. parteciparono i parlamentari del nostro consiglio, oltre i due sottoscritti rela-

tori, quali consiglieri delegati per lo svolgimento della nuova attività della nostra Associazione in Roma.

Sorsero così i due uffici, uno per i lavori pubblici dei comuni, insieme alla Lega delle cooperative, in Corso Umberto I ; l'altro con il carattere di segreteria dell'Associazione, in via dei Barbieri.

I1 presidente diede comunicazione di tali iniziative a tutti i comuni con circolare del novembre scorso, precisando i compiti e le fina1it.à dei due uffici.

I n questa relazione sorvoliamo sul secondo ufficio, soffer- mandoci sull'opera nostra insieme alla Lega delle cooperative per i lavori pubblici ed altri provvedimenti atti a combattere la disoccupazione.

La prima finalità, quella di assistere- i comuni che ne faces- sero richiesta, presso gli uffici governativi pel sollecito disbrigo delle pratiche, fu tosto raggiunta; e molte sono state e sono tuttora le pratiche cui si è data pronta e valida assistenza. Dal rapporto del 3 febbraio fatto dall'on. Giovanni Merloni risulta che fino a quel giorno erano stati assistiti 110 comuni, e il nu- mero delle corrispondenze ascendeva a 248.

Da quel giorno non abbiamo dati precisi, ma è da credere che l'assistenza sia continuata con il medesimo sistema, date le ri- chieste di molti comuni per dar corso alle loro pratiche presso i l ministero e la cassa depositi e prestiti.

Diverse richieste sono anche pervenute all'ufficio segreteria dell'Associazione.

I1 contatto tra l'Associazione dei comuni e la Lega delle coo- perative è certamente utile anche per le organizzazioni operaie.

Ma l'opera più interessante, in cui sono stati uniti gli sforzi dei due enti rappresentativi, è stata quella spiegata presso il governo; opera assidua e concorde, che per lo meno è servita a tener viva l'idea che in momenti difficili della vita nazionale è doveroso che tutte le forze vive operino e si agitino senza ba- dare al successo e senza attendere, passive, dal governo i prov- vedimenti e le soluzioni dei problemi.

Nella seduta del comitato parlamentare tenuta il 28 ottobre, riguardo i lavori pubblici furono emessi i seguenti voti:

1) che siano rinnovate precise disposizioni alle prefetture ed agli uffici locali perché abbandonino abitudini di inutili for-

malismi e indugi di cui si hanno ancor oggi deplorevoli esempi; 2) che i l fondo di 100 milioni per mutui non previsti da leggi

speciali serva effettivamente per lavori da compiersi nel periodo di crisi e non venga impiegato a finanziare e regolarizzare opere eseguite o a mantenere impegni già presi, per i quali è urgente invece provvedere coi 200 milioni accordati ad irrobustire l'ordi- naria gestione della cassa depositi e prestiti;

3) che ad evitare che rimangano senza effettiva disponibilità gli altri mutui p e r opere contemplate da leggi speciali (opere igieniche, edifici scolastici, strade di allacciamento per comuni isolati) siano ancor di più aumentati ed appositamente forniti i fondi occorrenti in rispondenza al gran numero di progetti già pronti ;

4) che siano istituiti temporaneamente una sezione autonoma della cassa depositi e prestiti e un comitato di delegati dei mi- nisteri competenti p e r gestire i fondi diretti a fronteggiare l'odier- na crisi con criteri rispondenti all'eccezionalità del momento e con equo reparto fra i bisogni delle varie regioni;

5) che l'azione del governo per agevolare i lavori degli enti locali venga fiancheggiata dall'esecuzione immediata e diretta di opere di stato i n quei luoghi, specialmente nel mezzogiorno e nelle isole, ove mancano le iniziative degli enti locali ed anche in quelle plaghe ove ogni attività degli enti stessi sia insufficiente di fronte alla gravità dei bisogni delle popolazioni;

6) che oltre alle ulteriori opere stradali cui quasi esclusiva- mente provvede l'aumento della spesa consolidata dei pubblici lavori, si agevolino ed eseguano anche quelle opere di bonifica che rappresentano proficui investimenti del pubblico denaro N.

Tali voti furono illustrati e sostenuti personalmente dai com- ponenti del comitato presso i vari ministeri.

Altri voti furono formulati in seguito nella riunione del 24 novembre, riguardo la proroga dei termini dei decreti legge 1 e 22 settembre sul LL. PP., riguardo la riforma della legge sulle strade di accesso alle stazioni e agli scali e quella sui comuni isolati ; insistendo ancora per il sollecito disbrigo nella conces- sione dei mutui, specialmente per gli edifici scolastici.

Sia nelle circostanze delle riunioni plenarie, sia i n altre oc- casioni, i rappresentanti della nostra Associazione non han man-

cato di sollecitare provvedimenti, che spesso sono riusciti di vero giovamento ai comuni, quali i pagamenti degli acconti dei concorsi dello stato per le diverse leggi scolastiche, per i quali fu molto proficua l'opera personale del nostro presidente ono- revole Greppi.

Le circolari fatte ai prefetti e ai geni civili per sollecitare le approvazioni dei lavori pubblici deliberati in seguito al de- creto legge 22 settembre 1914, sono dovute alle nostre insistenze, e non è a tacere come nei provvedimenti emessi i l governo abbia cercato di secondare i desideri espressi dai nostri rappresentanti.

Benché non si sia ottenuto che una parte soltanto delle ri- chieste avanzate, non è da credere che l'opera nostra sia stata vana o superflua. Essa assurge al valore morale di rappresentare in un dato momento i bisogni collettivi dei comuni e d i esserne la più genuina e qualche volta anche vivace e insistente espressione.

Oggi, dopo sei mesi di attività in questo campo, ben pos- siamo notare le nostre deficienze, e siamo i primi a convenire, essendoci mancata e la prontezza dell'inizio e i mezzi sufficienti ad una migliore organizzazione del nostro 'lavoro. Ma data la modestia delle nostre risorse abbiamo fatto quanto era in noi per riuscire utili a i comuni in momenti trepidi e difficili.

Con la .stessa franchezza dobbiamo notare le deficienze del governo in materia di lavori pubblici.

Anzitutto nel decreto legge del 22 settembre 1914 portò al 40 per cento il limite dei sussidi governativi, per opere per le quali non vi fossero leggi speciali di favore. Ma il fondo fu ap- pena aumentato di quattro milioni per i sussidi di opere stra- dal i ; e nel fatto i sussidi assegnati dal ministero dei lavori pub- blici sono stati molto limitati, non han raggiunto che in casi eccezionalissimi il 40 per cento, e si sono ridotti perfino al 10 e al 12 per cento, e spesso sono stati negativi per deficienza di fondi.

Ciò fu fatto da noi notare fin dal primo momento; e si spe- rava in successivi provvedimenti, che fin oggi non son venuti e che al fatto non verranno, almeno per le opere dei cento milioni del citato decreto legge; il cui riporto è stato quasi per intero eseguito, mentre le richieste (non sempre opportune) sono arri-

vate ad una cifra enorme. Non abbiamo i dati esatti, che la cassa DD. e PP. non ha creduto di darci (come risulta dalla nostra corrispondenza), ma le informazioni avute corrispondono a quan- to affermiamo.

Fu da noi richiamata l'attenzione del ministro sui provvedi- menti per le leggi sulle strade di accesso alle stazioni e per i comuni isolati.

Le riforme proposte dal ministero dei LL. PP. passarono al 'ministero del tesoro, dove fino a un mese fa erano allo studio, senza che si vedesse la speranza di un provvedimento immediato.

Pur se opere pubbliche necessarie allo sviluppo interno. op- portune per fronteggiare la disoccupazione operaia ce ne fos- sero, queste erano e sono le più adatte e le più urgenti.

Si raccomandò inoltre al ministro della P. I. i l sollecito svolgimento delle pratiche riguardanti gli edifici scolastici, e la semplificazione delle formalità, che incombono come una vera camicia di Nesso.

Che se ne sappia, oggi si procede col passo di formica, attra- verso il labirinto creato dalla legge e reso più intralciato dalle burocrazie provinciali e statali.

Anche per la concessione dei mutui per i cento milioni, non ostante che la commissione mista di esame proceda sollecita- mente, poscia fra le approvazioni del consiglio di amministra- zione della cassa depositi e prestiti, la registrazione degli atti alla corte dei conti, le corrispondenze e burocrazie, si perde un tempo prezioso, mentre nei cbmuni gli operai soffrono la fame.

Sono inconvenienti per eliminare i quali è i l momento di insistere, perché in Italia i pubblici poteri si accorgano, sen- tano, sotto la pressione della pubblica opinione, che sono troppi gli'impacci formalistici, e che sono esagerati i meccanismi di controllo, che attenuano le responsabilità e aumentano le formalità.

E l'avvenire ? I mutui concessi o in corso di concessione per lavori pubblici

potranno attenuare la disoccupazione dell'oggi, e far passare con più O meno difficoltà, secondo i posti, la primavera e l'estate; ma al prossimo autunno, quando gran parte dei lavori saranno eseguiti e il periodo del raccolto agricolo sarà cessato, risor-

ger.à più terribile lo spettro della disoccupazione. E se in quel periodo sarà cessata la guerra, o comunque saranno licenziati molti dei richiamati sotto le armi, i1 fenomeno si farà più grave ancora, anche sotto la pressione dell'aumento del costo dei generi alimentari.

Occorre che i comuni e le provincie, con le risorse che avranno (quelli che ne avranno) e con gli aiuti del governo, provvedano in tempo ora per l'avvenire a nuovi lavori e a nuove attività.

Essi possono essere principalmente edifici scolastici, strade di accesso alle stazioni ed agli scali, strade dei comuni isolati e opere igieniche.

Con qualche ritocco alle leggi vigenti in materia, e con ne- cessari provvedimenti finanziari, si potran dare ai comuni per circa mezzo miliardo di lavori utili e necessari, che si debbono fare, e che ora si affrettano, dati i difficili momenti della nostra mano d'opera.

Questo deve essere il programma della nostra Associazione per i lavori pubblici; e a tali idee far seguire una migliore organizzazione dei nostri uffici ( p e r cui nei riguardi dei LL. PP. vi sarà apposita discussione sul tema svolto dagli on. Meda e Ruini) e una agitazione seria e operosa, perché dal governo si ottenga oggi in tempo quel che domani può riuscire tardivo e meno rispondente alla gravità del bisogno.

Però se sacrifici s'impongono oggi a tutti, i comuni debbono . sentire che anch'essi sono obbligati con provvedimenti ecce-

zionali a rispondere all'eccezionalità del momento, e non preten- dere che l'opera del governo sia l'unica, ma solo di integrazione e di completamente anche nei provvedimenti che si riferiscono ai LL. PP. e alla disoccupaz';one operaia.

11. - Approvvigionumento del grano.

La situazione comunale si presentava fin dal principio della guerra ben più grave e difficile per l~approvvigionamento del

grano. I comuni di Roma e Milano fra i primi compresero l a gravità

della situazione e comprarono grano. Dove non vi erano calmieri

municipali sulle paste e sul pane, cominciarono ad essere intro- dotti. Da ogni parte si segnalava al ministero l'urgenza di prov- vedere con mezzi adeguati 1.à dove non poteva arrivare l'iniziativa locale.

I1 problema granario interessa i comuni, sia perché ad essi spetta direttamente la polizia annonaria delle città, sia perché i municipi sentono e conoscono da vicino, nel contatto quoti- diano col popolo, la somma dei bisogni collettivi della comunità.

Però il problema granario, posto in Italia dalla situazione internazionale, è u n problema eminentemente statale.

Due gli aspetti iniziali del problema:

a) La mancanza della quantità di grano necessaria a l fabbi- sogno nazionale fino a l nuovo raccolto; mancanza resa più grave dalla siccità che ridusse la resa della produzione indigena;

6) i l rincaro del grano in parte dovuto alla impossibilità del commercio granario con la Russia, alla altezza dei noli marit- timi, alla concorrenza negli acquisti, e in parte alla speculazione.

Privati, comuni, cooperative, giornali, parlamentari, organi tecnici e politici, fin dal primo momento ritennero necessario l'intervento del governo; e la Lega delle cooperative e l'Asso- ciazione dei comuni rilevarono subito la necessità che il go- verno acquistasse grano all'estero per metterlo sul mercato interno a disposizione dei comuni.

Si sopperiva così a l fabbisogno nazionale e si operava rapi- damente da calmiere.

Nella seduta del 28 ottobre furono formulati i voti del comi- tato parlamentare dell'Associazione dei comuni e della Lega delle cooperative, come il risultato concreto delle diverse tendenze.

Essi furono i seguenti :

1. Si stabilisca i l divieto d'esportazione per il riso, le patate, ed altri consumi essenziali.

2. Provveda direttamente lo stato all'acquisto di grosse par- tite di grano dall'estero, come l'Associazione dei comuni e la Lega delle cooperative hanno da tempo invocato.

3. Siano anche i comuni autorizzati a eseguire simili accluisti agevolandone il funzionamento.

4. Acquisti da parte dello stato e dei comuni vengano ese- guiti in franchigia per meglio esercitare azione di calmiere.

5. Dove la necessità delle sussistenze lo richieda, possa il go- verno imporre un prezzo limite dei cereali per tutta Italia e re- quisire i depositi esistenti presso i privati.

A molti sembrò azzardata la requisizione del grano e il prez- zo limite delle vendite; temendosi in conseguenza un arresto delle libere iniziative private, senza che potesse in tal caso prov- vedervi lo stato, privo com'è di organizzazioni adatte, rapide e sicure, impigliato invece dalle leggi di sospetto e stretto dalle spire burocratiche; ne fa fede la lettera dell'ex ministero Ru- bini, che non ebbe il coraggio di comprare grano a un prezzo di poco più elevato di quello del mercato corrente, perdendo pur- troppo una buona occasione per l'economia nazionale e per la previdenza di stato.

Dal 28 ottobre al 20 dicembre (data del decreto legge sui consorzi granari) passarono due mesi quasi, nei quali i sotto- scritti, quali consiglieri delegati del consiglio direttivo, si reca- rono più volte dai ministri a sollecitare i provvedimenti per la crisi granaria. Essi sostennero con insistenza la necessità di auto- rizzare gli istituti di emissione a fare anticipi su fedi di depo- sito per l'acquisto del grano; acquisto che essi sostenevano do- vesse farsi dai comuni, che hanno organismi sviluppati e adatti a disimpegnare tali servizi.

Costituiti invece i consorzi granari provinciali, i sottoscritti fecero rilevare la difficoltà in cui si trovavano e si trovano molti comuni a far fronte al primo acquisto di grano, che al consorzio deve pagarsi in contanti. E con l'istanza del 20 gennaio proposero l'emissione di cambiali garantite sul dazio di consumo.

Fin oggi si sono costituiti e funzionano 42 consorzi granari provinciali; e gl'inconvenienti inevitabili per la novità dell'or- ganismo e del servizio, e le difficoltà del funzionamento si vanno eliminando o attenuando secondo i casi e le possibilità; e i l nostro ufficio ha cercato di dare informazioni, istruzioni. ele- menti pratici a quanti si sono rivolti a noi.

Di quest'opera minuta, assidua, persistente fanno fede i nostri bollettini e quanto è stato pubblicato in modo sommario sui giornali.

Opera modesta, non solo non inutile, ma certo vantaggiosa là dove potea arrivare una proposta, un voto, un consiglio, una protesta.

Avremmo anche dovuto esamihare quella somma di pic- coli provvedimenti locali, cui han dato luogo le agitazioni e le preoccupazioni cittadine contro l'incetta dei grani, gli aumenti delle assise, la ripercussione annonaria del problema granario.

E ciò perché la nostra Associazione deve prevenire, seguire, consigliare, incoraggiare i comuni in quella via che risponde alle forme più evolute di attività cittadina, specialmente nei momenti di maggiore difficoltà.

Però è mancato spesso il tempo e quell'affiatamento che in tempi normali è difficile, più ancora riusciva difficile in mo- menti in cui ciascuno è stato preso e oppresso dalle preoccu- pazioni locali.

Ciò non ostante, anche riguardo al problema granario la nostra Associazione ha cercato di corrispondere al suo compito e alla importanza del momento, seguendone lo svolgersi delle questioni, e prevedendone le soluzioni, nella fiducia che esse fossero adeguate e adatte ai bisogni.

Però la questione granaria è tuttora grave e viva e urgente, sia che si guardi i l periodo da oggi al prossimo raccolto dei ce- reali; sia che si guardi i l periodo susseguente cioè dall'agosto 1915 al giugno-luglio 1916.

Non è i l caso di discutere oggi, con elementi insufficienti, se i provvedimenti adottati fin oggi dal governo siano stati pronti e adatti oppur no ; né è il caso di lamentare la pesantezza e diffi- coltà con cui si mosse il governo, da settembre a dicembre: per statuire il 20 dicembre i consorzi granari, e darne a fine gen- naio le istruzioni pel funzionamento.

Oggi riesce inutile tale critica, e per di più mancano tutti gli elementi del giudizio, né sembra che in questa sede si possa ripetere una discussione avvenuta in questi giorni alla camera dei deputati.

Occorre invece che noi precisiamo il compito futuro della nostra Associazione riguardo il problema granario, in rapporto sia all'opera del governo, che a quella dei consorzi e dei comuni.

L'opera governativa futura ha tre precisi compiti d i carat- tere generale :

a) Acquistare grano all'estero e metterlo in tempo: e con normali rifornimenti, a disposizione dei consorzi ; e ciò sia prima che dopo il raccolto; perché i l raccolto indigeno non basta ai bisogni della nazione, e per dippiù nel luglio 1915 non vi sa- ranno le riserve del raccolto dell'anno precedente.

Dal luglio 1913 al gennaio 1914 furono importati quint. 6.227.190 di grano ; mentre dal luglio 1914 al gennaio 1915 sono stati importati 2.724.620. Sono circa 3.500.000 quintali in meno, che rendono più difficili i consumi.

b ) Impedire l'uscita dei grani, risi, granoni e simili e rego- lare i transiti, in modo che l'Italia resti sufficientemente fornita dei generi alimentari d i prima necessità.

C ) Impedire i rialzi fittizi nei mercati generali con adeguati provvedimenti.

Ma oltre a tali compiti ne occorrono altri più peculiari, che servono a prevenire le future difficoltà annonarie, ed hanno rife- rimento preciso alla politica annonaria dei comuni.

Ess'i sono: a) Dare un funzionamento più agile e completo ai consorzi

granari provinciali per il servizio speciale di intermediari fra lo stato e i comuni.

b ) Facilitare gli acquisti di grano da parte dei comuni. spe- cialmente nel prossimo periodo di raccolto, con opportuni e congrui provvedimenti finanziari; in modo che nell'inverno 1915-16 non si abbia un temuto maggiore rialzo di prezzi per la pressione della speculazione interna.

C ) Potere imporre (ove sia necessario) un tipo di pane nor- male, e impedire lo sperpero di farine per la panificazione d i lusso.

d) Rendere più sicura e garantita l'opera dei comuni nel mo- derare i prezzi dei generi annonari e facilitare opportunamente la istituzione dei calmieri.

P e r questa ultima parte dovrà esser cura dell'Associazione di illustrare con pubblicazioni e discussioni le facoltà comunali in materia di requisizione, di divieto di esportazione, d i assise annonaria e simili, per preparare l'opinione puhblica e dare l e

norme più opportune da seguirsi cla giunte municipali e da sindaci.

L'Associazione dei comuni deve in questo difficile momento che si attraversa rappresentare legittimamente gl'interessi vitali dei comuni, aiutarli nello svolgimento delle loro attività, essere sentinella vigile e autorevole, perché ai pubblici poteri arrivi la voce dei bisogni collettivi, non attraverso partiti o interessi politici, ma attraverso l'organo naturale proprio di integrazione e di sintesi.

Non crediamo pertanto concretizzare oggi tutti i desiderata i n un ordine del giorno; il congresso deve dare ampio man- dato a l nuovo consiglio direttivo, perché delle due questioni (quella granaria e quella dei LL. PP.) faccia capisaldi di un'azione valida e persistente, seguendo lo svolgimento delle iniziative, prevenendo bisogni, assistendo nel lavoro e nelle attività, rendendo 1'Associazione centro vitale e forte nell'agitarsi della vita comunale italiana.

( L a Croce di Costantino. Caltagirone, 3 aprile 1915).

LA POLITICA AGRARIA E L'ASSOCIAZIONE DEI COMUNI

La questione della politica agraria dell'oggi e del domani, & niessa all'ordine del giorno dai fatti, anche senza che il governo ne senta tutta l'importanza e l'urgenza.

L'agricoltura per un popolo come i l nostro è la sorgente vera d i ricchezza, è la base di ogni elemento di trasformazione, è la sicurezza della vita. Mai come oggi si è compreso, con la riprova dei fatti perturbatori dell'equilibrio delle produzioni e degli scambi, come l'agricoltura debba essere fortemente sorretta e largamente trasformata, domandando ai campi il maggiore e più costante rendimento, e al commercio i più sicuri sbocchi.

La preoccupazione immediata durante i l periodo della guerra è i l mantenimento normale della cultura dei campi, per cui la mano d'opera a tempo opportuno non deve mancare e l'introdu- zione delle macchine deve essere sostenuta con ogni mezzo. E

oggi che vi è il rincaro e la scarsezza delle macchine, l'opera integratrice del governo non deve essere limitata a piccole misure di bilancio o a provvedimenti ispirati a timorosi riguardi regolamentari; ma deve vibrare forte insieme all'iniziativa pri- vata fino alla esibizione e alla imposizione là dove non si con- cepisce l'azione e si ode i l lamento sulle tristi sorti della agricoltura.

Per la mano d'opera agricola, voti d i consigli provinciali e di comitati agrari, interpellanze di deputati hanno messo i n luce più le difficoltà militari d i tali provvedimenti, che le diffi- coltà politiche.

I1 problema è grave, anclie se si insiste, come molti comitati han fatto, a rendere possibile la mano d'opera femminile nei lavori agrari meno pesanti, pur circondata da garanzie giuridiche e morali in modo che non' si risolva in sfruttamento oggi e in concorrenza domani.

Un altro lato del problema, essenzialmente meridionale, è la custodia dei campi migliorati. Se in tempo di pace, e con la vita normale che si svolge nei campi, il pascolo abusivo e il danneggiamento sono continui, oggi che la gioventù valida e coraggiosa manca, chiamata dal dovere alle armi, i campi mi- gliorati sono alla mercé delle dannose capre che infestano i territori del mezzogiorno e della Sicilia.

Invano da cinque anni s'invoca l'applicazione dell'art. 4: della legge sulla Sardegna che dichiarò il danneggiamento dei campi e i l pascolo abusivo reati d i azione pubblica. Non si tratta di pregiudizio giuridico, oramai sorpassato dalla citata legge sulla Sardegna; ma di mancanza di visione del problema stesso che sembra piccolo e meschino, e pure è grave. Se si po- tesse ridurre in cifre i l danno delle capre, non solo materiale, ma morale, poiché dà luogo ad abbandono di campi, svoglia dalle migliorie, crea litigi, impone soggezioni: si vedrebbe che il tardare oggi più che mai nei provvedimenti invocati è u n delitto di lesa agricoltura.

E non basta; mancano le strade agrarie, si grida da gran tempo; e le esistenti sono abbandonate!

Per varare una legge importante e di carattere tecnico, il nostro parlamentarismo ha ruote così pesanti, che non c'è da

meravigliarsi, se si pensa ai lunghi anni di preparazione e ai così detti lunghi studi per una riforma sulle strade vicinali.

Ci era sembrato che, in un momento di chiara visione del problema, i l ministero dei LL.PP. - secondando un'iniziativa dell'Associazione dei comuni - avesse portato avanti un decreto

legge per le vie vicinali, come un provvedimento preparatorio e come un richiamo importante alla realtà; ma pare che le difficoltà frapposte fin oggi siano più forti.

Comunque è ingenuo pensare ad una politica agraria. che dopo la guerra deve essere la forte base di un7azione generale di governi, di enti e di popolazioni, senza che sia resa possibile la intensificazione del lavoro e della produzione, non con i piccoli premi e con le minuscole agevolazioni sui bilanci dello. stato, ma con le iniziative larghe, che rispondano ai bisogni della generalità.

Così s7impone i l problema dei corsi di acqua in campagna collegato col problema della malaria e del latifondo. Sino a che nel mezzogiorno il nostro contadino non vive sui campi ma nei centri urbani - e ciò avviene per mancanza di strade e di corsi di acqua, per la malaria - la politica agraria sarà una parola vuota d i senso.

Come indice del problema posto e affermato autorevolmente, mi piace riassumere queste brevi note con l'ordine del giorno votato a Milano il 21 febbraio dal consiglio direttivo dell7Asso- ciazione dei comuni; e trasmesso con lettera al ministro dell'a- gricoltura e da diversi deputati.

Ecco l'ordine del giorno:

« IL consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni italiani:

riconoscendo che è dovere urgente. del governo affrontare e risolvere i problemi di politica agraria che incombono nel pre- sente momento per ottenere una migliore e maggiore produ- zione dei campi, onde si alimenta la vita della nazione, anche per potersi tollerare e vincere la pressione tributaria recente sulla proprietà rurale

nella convinzione che i comuni debbano cooperare con ogni sforzo a tale politica agraria, intensificando anche la tu-

tela della proprietà migliorata dove essa è soggetta al danneg- giamento e al pascolo abusivo come nel mezzogiorno e nella Sicilia ;

f a voti: ( censura) ( *)

b) Che sia esteso al mezzogiorno e alla Sicilia l'art. 4 della legge sulla Sardegna, per il quale il pascolo abusivo e i l danneg- giamento dei campi sono dichiarati reati di azione pubblica specialmente in questo periodo nel quale molti campi sono senza custodia o sono custoditi da vecchi e da donne; e sia agevolata l'azione dei comuni che provvedono con guardie campestri alla polizia rurale ;

C) che siano promosse 'opere di miglioramento agrario, spe- cialmente per la viabilità e lo sfogo di corsi d'acqua, e sia inten- sificata la lotta contro la malaria D.

In tale ordine del giorno tre criteri sono affermati: (censura) che oggi si affermi la tutela dei campi come cosa

sacra; e se ne prepari la trasformazione con le strade e i corsi di acqua.

È i l programma minimo che prepara il programma massimo della politica agraria.

A minimo incipe ... (Avvenire d'Italia, Bologna, 7 marzo 1916).

21.

GRANO E FARINA

A tutti è nota l'opera sagace e solerte che il nostro prosindaco ha spiegato e va spiegando in seno alL'Associazione dei comuni, - dove i suoi meriti indiscutibili sono altamente apprezzati - pe r i provvedimenti granari; e nella nostra città sono pari- menti noti i suoi decreti pel: divieto d'esportazione del grano

(*) Si tratta della censura cui era sottoposta la stampa in periodo bellico.

fuori del territorio nostro; e pe r i l prezzo limite delle farine prodotte nei mulini del territorio medesimo.

Ed è notevole che questi decreti hanno precorso sempre quelli del governo, i l quale non poco s'è giovato degli studi, delle relazioni e delle pubblicazioni che i l nostro Sac. Sturzo è venuto facendo d a u n anno in qua sulla questione granaria.

Noi ci congratuliamo vivamente con lui e siamo lieti d i pub- blicare nel nostro giornale i l seguente articolo la cui importanza non sfuggirà certamente a nessuno.

I1 decreto del prezzo-limite del grano e delle farine, benché un po' tardivamente, è venuto ancora opportuno per frenare l a speculazione, per equilibrare il commercio, parzialmente alte- rato dalla requisizione militare a prezzi determinati, senza che tale fattore di grave portata fosse stato integrato dall'altro, che è venuto oggi, e che colma una gravissima lacuna della legi- slazione annonaria pel tempo di guerra.

I1 provvedimento odierno doveva venire contemporaneamente a quelli del censimento e della requisizione militare; e solo una visione parziale del problema e una preoccupazione teorica, oramai sorpassata, lo ha fatto tardare di circa due mesi.

L'Associazione dei comuni italiani aveva visto e studiato i l problema e discusso ampiamente fin dai primi del 1915, e nel congresso di Roma (febbraio 1915) io ebbi l'onore di essere i l relatore del problema granario, e di sostenere la tesi della neces- sità di fissare con norme di legge il prezzo limite del grano.

Tale tesi sostenni inoltre nella riunione del 9 agosto tenuta in Campidoglio per invito del sindaco di Roma, alla quale parte- ciparono i sindaci della città capoluoghi di regione; essi furono consenzienti in linea di massima alla tesi, che poi mi fu com- battuta, con mia grande sorpresa, dal consiglio provinciale di Catania.

Ripresa la questione in ottobre dal consiglio direttivo del- l'Associazione dei comuni, riunito a Modena, insieme al collega comm. Franco portai al ministro dell'agricoltura il voto emesso allora, che insisteva per l a requisizione e i l prezzo limite del grano.

Ricordo che l'on. V. E. Orlando, prima di esser ministro, in

una riunione tenuta tra i l comitato parlamentare delle coopera- tive e la presidenza del17Associazione dei comuni, nell'ottobre del 1914, pur ritenendo azzardata la tesi del prezzo-limite del gra- no, riconosceva la bontà degli argomenti addotti tanto da me quanto dal Vergnanini, segretario della Lega delle cooperative.

I1 ministro Cavasola non nascose mai alle commissioni deI- l'Associazione dei comuni le sue riserve per così grave provvedi- mento, e la sua convinzione che il gioco delle libere forze com- merciali dovesse da sé e senza imposizioni superare la crisi incombente.

Ma se le tesi dell'orlando e del Cavasola avevano valore (per me discutibile) prima del decreto del censimento e della requi- sizione militare, lo perdettero dopo che tali provvedimenti ven- nero adottati, per grave necessità di stato ed esigenza di ser- vizio pubblico.

Era naturale che, pubblicati i decreti del censimento e della requisizione, i l prezzo del grano subisse un ribasso; contempo- raneamente i grandi incettatori e i mulini, che producono se- mola e farine, acquistarono più facilmente, perché molti prefe- rivano la vendita in contanti alle lunghe pratiche per la liqui- dazione dei prezzi del grano requisito dalle autorità militari.

E poiché tale requisizione non fu e non poteva essere né generale, né contemporanea, per la limitazione della offerta, dopo il censimento, si ebbe di nuovo un rialzo rapido dei prezzi del grano, e quindi una successiva oscillazione del mercato, se- condo che l'azione dei consorzi granari, di intesa con le com- missioni militari, poté influire più o meno sui prezzi della libera contrattazione. Pertanto, per i l facile monopolio che si determina fra i grandi mulini, specialmente nel mezzogiorno ed in Sici- lia i prezzi delle farine e delle semole si mantennero alti, anche quando il prezzo del grano discese di sei o sette lire, con grave danno dei consumatori, costretti a pagare il pane e la pasta a prezzi superiori a quelli medi del grano, nonché degli agricol- tori i quali o coattivamente per la requisizione, o per i giochi del mercato alterati dal censimento e dalla requisizione militare, vendettero a prezzi minori d i quanto costasse sulla piazza il grano estero e le farine.

Tale l'effetto della non completa visione del complesso pro-

blema cla parte del governo, i l quale volle adottare i l regime coattivo soltanto per metà, lasciando la porta aperta alla spe- culazione privata, a danno della popolazione civile.

Questo inconveniente fu subito avvertito dall'Associazione dei comuni italiani, a cui nome, con lettera del 28 gennaio ultimo, così scrivevo a l ministero dell'agricoltura :

... Un altro voto però quest'Associazione presenta a l mini- stro di agricoltura: quello di fissare per decreto il prezzo li- mite delle farine. Così solo si eviterà la facile manovra degli incettatori, che sfuggono agli effetti della requisizione militare; la quale in via indiretta potrebbe anche avvantaggiare la for- nitura dei consorzi provinciali. Oramai i passi fatti, danno diritto a richiedere i l compimento dei provvedimenti annonari ».

E poiché tali provvedimenti annonari tardavano ancora, i l 20 febbraio tornai a scrivere al ministro con queste parole:

« A nome dell'Associazione dei comuni, sento il dovere di insistere di nuovo, perché siano fissati i prezzi-limite del grano e delle farine.

« I1 fatto rilevato da molti è che nelle oscillazioni del mercato, dovute al censimento e alla requisizione del grano, chi ne ha approfittato sono specialmente i grossi mulini, che han comprato grani nei momenti di depressione dei prezzi, ed han mantenuto quasi sempre fermi e alti i prezzi degli sfarinati e delle paste.

« I1 prezzo limite varrà ed integrare i cavi provvedimenti adottati con la requisizione militare, resa vantaggiosa dalla ces- sione del grano requisito ai consorzi e ai comuni.

Questa Associazione confida nell'opera del governo, che saprà impedire la illecita e indebita speculazione a danno del popolo 1).

Infine, il consiglio direttivo dell'Associazione, riunito a Mi- lano il 21 e 22 febbraio, emetteva il voto di insistere ancora una volta pe r ottenersi il decreto del prezzo limite del grano e delle farine, e il voto fu pubblicato dalla stampa di ogni colore; e d io ebbi incarico di trasmetterlo al governo, i l che feci con lettera del 26 febbraio al ministro dell'agricoltura e altra del 9 febbraio al presidente del consiglio dei ministri.

I1 voto del consiglio direttivo era i l seguente: I1 consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni italiani,

riunito a Milano il 21 febbraio 1916, riferendosi ai propri voti e all'azione spiegata dall'Associazione riguardo alla questione granaria, rilevando ancora una volta che dai fatti stessi si è avuta la riprova della necessità della tesi sostenuta fin dal tre- dicesimo congresso di Roma del 1915; anche perché gli oppor- tuni provvedimenti da ultimo adottati dal governo, e cioè i l cen- simento e l a requisizione militare riescano giovevoli alla popo- lazione civile e si eviti la grave e facile speculazione degli iiicet- tatori d i grano e produttori di sfarinati;

fa voti che con opportuni e congrui provvedimenti sia stabi- lito il prezzo-limite deI grano e deìie farine n.

Certo il ritardo di due mesi ha dato la riprova di fatto; ma proprio non occorreva.

Oggi il decreto mette un punto; la corsa al rialzo dei grani, e la speculazione dei mulini erano fenomeni troppo costosi pel popolo; per cui l'atto energico del governo, anche tardivo, va applaudito.

I1 decreto ha attribuito ai prefetti la facoltà di fissare il prez- zo della farine e delle paste; e ai comuni quello del pane.

Ciò fa ricordare una delle più interessanti questioni che si dibattono in proposito nel diritto amministrativo, quella del calmiere, che in certi paesi del mezzogiorno è conosciuto col nome di assise annonaria.

I comuni hanno i l diritto, riconosciuto dalla tradizione, dalle consuetudini, dalle leggi e dalla giurisprudenza, di imporre i calmieri o assise annonarie sui generi di prima necessità; a tali calmieri sono soggetti gli esercizi del territorio comunale con le sanzioni penali della legge comunale e provinciale per contrav- ventori ai regolamenti locali. Dalla giurisprudenza non sono stati considerati esercenti soggetti alla osservanza dei calmieri i mulini produttori d i farine e di semole, perché venditori all'in- grosso. E siccome tali mulini forniscono i generi agli esercenti, ne deriva l'incongruo risultato che i municipi sono costretti a fissare l'assise o calmiere sui listini dei mulini, che esercitano u n vero monopolio nelle farine, ed a trascurare i prezzi del grano che dovrebbero essere invece l'indice più naturale e di- retto della fissazione del prezzo. Per sfuggire a tale conseguenza onerosa per i cittadini, diversi comuni hanno tentato d i istituire

mulini e forni rnunicipali, incontrando le difficoltà pratiche a

tutti ben note. I1 sottoscritto, con decreto sindacale del 3 febbraio ha sotto-

posto i mulini d i Caltagirone all'assise annonaria per le farine,

semole e paste; e il decreto fino ad oggi non è stato impugnato ; anzi è stato lodato dalla stampa di ogni colore.

Oggi la competenza è stata data a i prefetti, e se si fosse

affrontato in tempo e con criteri obiettivi legali, oltre che di opportunità, il problema generale del diritto di calmiere muni- cipale, quale fu prospettato dall'Associazione dei comuni fin

dal 9 agosto 1915 nella riunione tenuta in Campidoglio, non si sarebbero sottratti fino ad oggi molti milioni ai consumatori ed

agli agricoltori. Comunque sia stato risolto oggi il problema del diritto a

imporre il calmiere sulle farine e paste vendute dai mulini, con grande soddisfazione viene appreso il provvedimento che mette fine ad un periodo di incertezze e oneri per la nostra popolazione.

Certo, nel decreto vi sono dei lati manchevoli; e l'espe- rienza detterà qualche modifica pratica, che l'Associazione dei comuni, vigile esponente dei bisogni comunali, non mancherà di segnalare, ma la portata complessiva risponde alle più natu- rali esigenze della vita nazionale.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 26 marzo 1916).

I COMUNI E LA QUESTIONE DAZIARIA

Un memoriale dell'Associazione dei comuni

Abbiamo il piacere d i poter pubblicare i l Memoriale mandato il 3 C. dall'Associazione dei comuni italiani a l ministro delle

finanze sulla questione daziaria. I l nostro don Luigi Sturzo - vice presidente - f u da l con-

siglio direttivo riunito a Genova il 21 maggio incaricato di redi- gerlo e presentarlo a l ministro; prospettando le diverse impor-

tanti questioni ivi ventilate. Certo i problemi finanziari oggi si moltiplicano e si complicano in maniera eccezionale. Però la questione dei canoni daziari è una questione antica e annosa, che l'on. Sonnino nel 1906 tentava risolvere di un colpo, abolen- doli a favore dei comuni.

Oggi tale questione, allo scadere del decennio di. abbona- mento risorge; e gli avvenimenti finanziari del momenta ne fan- no sentire tutta l'attualità; non si può d i sicuro continuare in un regime ibrido e d ingiusto insieme, e l'Associazione dei co- muni ha fatto bene a ripigliare la questione nel suo carattere fondamentale e nella soluzione radicale.

« La temperanza dei criteri e la visione reale della questione (come dice Il Corriere d'Italia) dà a l Memoriale una importanza che è degna di essere messa iic rilievo, non solo per i comuni ma per quanti (e dovrebbero essere molti) s'interessab a questi problemi, che rappresentano un lato notevole della nostra vita economica e amministrativa n.

Questo consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni, riu- nito a Genova i1 21 c.m., si è vivamente preoccupato del pro- blema della rinnovazione dei canoni daziari governativi e delle diverse questioni che tale problema contiene.

E preliminarmente a qualsiasi- esame di merito, si ritiene equo che, prima che siano approvate dal governo le nuove norme o comunque siano presi dei provvedimenti rinnovando quelle del decennio precedente riguardz la statuizione del ca- none, venga sentita l'Associazione dei comuni italiani come l'ente rappresentativo degli interessi di tutti i comuni d'Italia.

Né tale richiesta può ritenersi lesiva dei diritti dello stato o esagerata ed inopportuna; e ciò sia per i l principio - testé anche proclamato alla camera dall'onorevole presidente del consiglio - che il governo non rifiuta il parere e la colla- borazione dei competenti e degli interessati, pur rimanendo arbitro delle sue decisioni; sia più che altro per i l fatto che nel caso della percezione daziaria i l comune è un contraente col governo, un contraente forzato dalla legge, un cointeressato per le quote di partecipazione ma sempre un contraente, non mai un organo dipendente e funzionale della finanza dello stato.

È pertanto legittima la richiesta di poter conoscere preven- tivamente i criteri ministeriali, per avanzare quelle osserva- zioni e suggerire quelle proposte sulle quali poi decide sempre il governo con i suoi poteri sovrani.

Mentre così si dà modo ai comuni di far sentire la loro voce, in regime di libertà non si alterano i rapporti giuridici esistenti.

Passando dalla pregiudiziale al merito, l'Associazione dei comuni ritiene :

lo - Che sia tolta la sperequazione e riparata l'ingiustizia - della legge 23 gennaio 1907 n. 25 in quanto esclude (fu con- cesso solo parzialmente) dal sussidio governativo quei comuni che, democraticamente prevedendo i criteri governativi, avevano già abolito il dazio sulle farine e sul pane. L'atto di previdenza comunale fu risoluto in un danno, che è stato risentito per oltre quindici anni.

2" - Che sia modificata la legge, 6 luglio 1905 n. 323 circa la determinazione del canone governativo per i l passaggio di

classe dei comuni, ~ e r c h é si tenga calcolo nella determinazione dei canoni, della reale ~ e r d i t a derivante per il passaggio alla classe inferiore.

30 - Che in ogni caso e nell'applicazione delle diverse dispo- sizioni legislative e regolamentari siano esattamente valutate le spese reali d i riscossioni di ogni singolo comune non con semplice criterio d i approvazione o di percentuali.

4" - Che siano accordate maggiori facilitazioni ai comuni, che per sistemare l e loro finanze intendono ~ r o c e d e r e all'allar- gamento delle cinte daziarie con la rinuncia (almeno pei u n determinato periodo di tempo) all'aumento del canone gover- nativo.

Infine l'Associazione dei comuni fa rilevare che mentre l'appli- cazione dell'ultimo decreto legge 31 ottobre 1915 n. 1549 sulla riduzione dei canoni daziari si è risolta solo a vantaggio di po- chissimi casi, che si possono dire di vera eccezionalità e che non arrivano a 500 su oltre 8.000 comuni, gli altri tutti soffrono di una diminuzione più o meno sensibile nella percezione dazia- ria, mentre per i comuni che hanno la gestione diretta, le spese sono aumentate per il richiamo sotto le armi di una notevole parte del personale, a l quale si deve corrispondere lo stipendio

o salario, e sono necessarie le supplenze per i posti relativi. che non possono lasciarsi scoperti.

Ora i l provvedimento di riduzione di canone, legittimo nel suo principio. dovrebbe continuare ad applicarsi per tutto il periodo di guerra e per la proporzionalità dei mancati introiti sulle voci o tariffe governative.

Tale provvedimento eviterebbe anche sperequazioni ed ag- gravi che verranno di sicuro nella rinnovazione dei canoni da- ziari, rinnovazione che allo stato presente si reputa essere inop- portuna; potendosi invece continuare nella proroga dei canoni precedenti ; con congrue riduzioni ed aumenti perequativi.

Per molte ragioni si crede inopportuno che codesto onorevole ministero affronti oggi la questione della rinnovazione decen- nale dei canoni daziari; poiché anzitutto con l'enorme sposta- mento della economia nazionale non regge più il concetto tradi- zionale del riparto dei canoni; si dovrebbe oggi affermare un principio veramente moderno, quello del rapporto reale del

canone daziario con la percezione netta dei dazi governativi

da ripartirsi in equa percentuale a tutti i comuni: entro l'attuale consolidato complessivo netto a favore dello stato. Questo cri-

terio di sicuro contrasterebbe con molti interessi comunali:

troverebbe obiezioni e difficoltà nei diversi regimi daziari - comune aperto e chiuso - classifica - diversità di voci e tariffe-ab-

honamenti locali fatti con esercenti e simili - e solleverebbe un notevole contrasto fra i comuni, molti dei quali per favorevoli

eventi e per assidua cura amministrativa, lianno enormemente

migliorato i l gettito iniziale del dazio governativo, tutto a pro-

prio vantaggio.

Di fronte a tali difficoltà, che pur troppo non sono facil- mente sormontabili, una soluzione si affaccia molto più radicale,

prospettata spesso da comuni e da economisti: non sarebbe pro-

prio venuto il momento della rinuncia da parte del governo al

canone daziario, da lasciarsi a intero vantaggio dei comuni?

Certo la risposta non può essere immediata; ma mentre il governo studia i mezzi per far fronte agli oneri presenti e futuri

d i carattere permanente, non può non coniprendere in una serie

d i provvedimenti anche i comuni; per i quali la soppressione

del canone claziario, oltre che un vantaggio di trenta milioni l'anno, rappresenterebbe una legge di perequazione e cli equità. Si tornerebbe al vecchio disegno Sonnino con ben altre ragioni a favore e a riprova della bontà della tesi.

Posta oggi così la cliiestione è logica necessità: 1" la sospensione della immediata rinnovazione decennale

clei canoni daziari, con proroga degli attuali per i l 1917: 2" l'applicazione al 1916 del decreto 31 ottobre 1915 n. 1349

per la riduzione e per le proroghe dei canoni daziari, modifi- cato però nel senso detto sopra.

3" lo studio de117abolizione del canone daziario governativo.

Roma, 29 maggio 1916.

(La Croce di Co~tantino~ Caltagirone, 4 giugno 1916).

GLI STIPENDI AGLI IMPIEGATI COMUNALI (*)

Diamo l a relazione di don Sturzo a l convegno dei sindaci in Campidoglio, sull'importante argo~mento degli stipendi degli im- piegati comunali.

Dopo scoppiata la guerra, non pochi comuni, per i disagi sempre crescenti del rincaro della vita, spontaneamente provvi- clero a congrui aumenti d i stipendio, ovvero con indennità tem- poranee, a favore del personale impiegato e salariato.

Quando i l governo concesse sul tesoro dello stato l'indennità caroviveri ai maestri elementari delle scuole amministrate dai consigli provinciali scolastici, fu fatta rilevare dall'Associazione dei comuni l'ingiustizia del diverso trattamento usato per i mae- stri dei comuni autonomi, contrariamente allo spirito e al17indi- rizzo costante della legislazione i n materia. In seguito al D. L. 26 luglio 1917 n. 1181, moltissimi comuni provvidero con mutui

(*) Relazione al convegno [lei sindaci, teniitnsi a Roma nel marzo 1918.

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presso la cassa depositi e prestiti o presso altri enti per avere i mezzi necessari a corrispondere l'indennità caroviveri resa obbli- gatoria. L'Associazione dei comuni, nell'adunanza del consiglio del 17 settembre 1917, mantenne i suoi voti del 5 maggio prece- dente, e invocò ancora una volta l'applicazione dell'art. 21 della legge 4 giugno 1911, n. 487 nei riguardi dell'onere dell'insegna- mento elementare per i comuni autonomi.

Perdurando, non solo, ma aumentando sensibilmente il di- sagio economico, il governo col D. L. 10 febbraio 1918, n. 107, mentre ha stabilito a favore dei propri impiegati un aumento di stipendio, comprendendovi i maestri elementari iscritti nei ruoli dei consigli provinciali scolastici, ha dato agevolezze ai comuni e alle provincie perché, entro i limiti delle percentuali fissate dall'art. 1 del decreto, possano anch'essi provvedere allo aumento di stipendio del personale dipendente (impiegati, agen- ti, salariati).

Già qualche comune dei più importanti si è affrettato a deli- berare al riguardo; moltissimi invece hanno rilevato le difficili condizioni finanziare in cui versano e che non consentono loro di sopportare il nuovo aggravi0 che moralmente è imposto. più che da leggi, dalla pressione della pubblica economia, la quale fa diminuire il valore della moneta e rialza i costi dei generi di qualsiasi natura.

Anche questa volta i l governo ha voluto mantenere la ingiu- stificata differenza tra maestri elementari dipendenti dai con- sigli provinciali scolastici e maestri elementari dipendenti dai comuni autonomi.

Le agevolazioni finanziarie indicate all'articolo 8 del decreto in esame non sono sufficienti né adatte allo scopo.

Anzitutto non si comprende che cosa voglia significare l'ac- cenno all'aumento di sovrimposta entro il limite legale, poiché anche per le spese facoltative i comuni possono aumentare la sovrimposta entro quel limite, e perciò non occorre alcuna legge speciale. Sembra invece che il legislatore abbia voluto impe- dire, con questa forma sibillina, l'aumento della sovrimposta oltre i1 limite legale, tranne che per garantire i mutui, i quali potranno essere contratti solo dopo che saranno applicate (indi- pendentemente dalle altre disposizioni di legge) la tassa di eser-

cizio e rivendita, al limite massimo consentito durante il periodo bellico, la tassa sui pianoforti e bigliardi, e l'aumento del 20 per cento sul dazio di consumo governativo e addizionale comu- nale sulle bevande vinose.

Così deve intendersi la parola gradualmente messa al quarto comma dell'art. 8 del decreto, la quale altrimenti non avrebbe significato, e così difatti la intende il ministro dell'interno con la circolare 16.900/3. Ma poiché tali tasse o sono state già ap- plicate in non pochi comuni o non potranno dare u n gran get- tito, specialmente nei piccoli comuni e comunque sia, neppure l'aumento del 20 per cento di dazio sulle bevande vinose nei grandi centri potrà coprire la spesa alla quale si andrà incontro per gli aumenti d i stipendi e salari, non resta ai comuni che far ricorso a nuovi mutui, a lunghe dilazioni da 20 a 35 anni. con relativo aumento di sovrimposta, da dare in garanzia, sia pure

dopo aver messe quelle tasse suindicate, che daranno solo l a

sensazione di inasprimenti e non mai un vero reddito compen-

sativo.

Occorre, inoltre, tener presente che mentre il ministro del

tesoro si augura e confida di poter diminuire i l numero degli

impiegati dello stato per far fronte con le relative economie

ai nuovi aggravi derivanti dagli aumenti di stipendio ora con-

cessi, i comuni non hanno queste rosee speranze, né in ogni caso,

essi sono in grado di diminuire oggi i l loro personale, quando

invece hanno dovuto ricorrere all'assunzione di numerosi impie-

gati avventixi e straordinari per provvedere al moltiplicarsi dei servizi pubblici, dai sussidi alle famiglie dei militari, a i fre-

quenti censimenti, ai tesseramenti e simili e senza aver potuto

semplificare neppure i l servizio inutile della compilazione delle

liste elettorali.

I1 rimedio dei mutui per far fronte alle spese di esercizio per stipendi e salari - le quali già raggiungono l'aumento

medio complessivo del 50 per cento - è irragionevole, illegale

e preoccupante. La vita comunale resterà soffocata se non si equilibra col ritmo della vita generale. Occorre elevare fin d'ora il gettito delle entrate; mentre le sovrimposte e le tasse comunali sono sature, nella maggior parte dei casi, e non è pos-

sibile, dove non è applicata, ricorrere oggi alla tassa di famiglia per evidenti motivi di ordine politico.

Occorre quindi dare ai comuni la possibilità di partecipare alle tasse che nel regime di guerra vengono facilmente imposte dallo stato e con migliore disposizione d'animo sopportate dai contribuenti.

P e r queste considerazioni il consiglio direttivo dell'Asso- ciazione dei comuni ha deliberato, nella sua ultima riunione del 3 marzo, di indire una propria speciale adunanza, con l'in- tervento dei rappresentanti comunali diretti e dei parlamentari che partecipano al consiglio stesso, per studiare la grave que- stione e prospettarla al governo nel suo complesso, che-abbracci gli interessi dei piccoli e grandi comuni e non metta i n facile contrasto funzionari e amministrazioni comunali, per poi, non resistendo i l governo alle pubbliche pressioni delle organiz- zazioni di classe e dei partiti politici, giungere alla ohbliga- torietà di provvedimenti, che oggi sono solamente facoltativi, derivando da ciò evidente danno alla stessa vita comunale.

Le amministrazioni comunali non possono non rendersi esat- to conto delle ragioni che giustificano le richieste del proprio personale e quindi sanno bene che la ricerca dei mezzi per fronteggiare le maggiori spese costituisce per loro un dovere. Però, avendo un meccanismo tributario insufficiente e vecchio, esse devono per forza di cose invocare dal governo provvedi- menti che diano ad essi mezzi più cospicui di quelli che possono ricavarsi dalla tassa sui pianoforti e bigliardi o dall'aumento del 20 per cento del dazio sulle bevande vinose.

I provvedimenti possono essere molti, ne propongo qualcuno:

1. Partecipazione dei comuni alla tassa sui sopraprofitti d i guerra ;

2. partecipazione dei comuni alla tassa sul contributo di guerra ;

3. partecipazione alla tassa di R. M.;

4. parificazione dei maestri elementari, agli effetti degli au- menti d i stipendio e di indennità, sia dipendenti dai consigli provinciali scolastici che dai comuni che hanno conservata l'am-

ministrazione delle scuole, come fu fatto con le leggi del 1886, 1904, 1906, e 1911.

Si dirà che con questi provvedimenti si obbligherebbe lo stato, già oberato delle spese di guerra e degli aumenti generali, a pagare pure gli aumenti degli stipendi e salari del personale comunale.

A parte la questione degli insegnanti elementari, che ha altra figura e tradizione legislativa, come considerazione preli- minare importante è da rilevare che i comuni, durante il pe- riodo bellico, sono stati gravati di servizi di carattere indubbia- mente statale, eccezionali, quali quello della leva, del pagamento dei sussidi militari, dei censimenti, requisizioni e simili, che rappresentano una spesa di notevole entità, che dovrebbe essere loro rimborsata.

Ma, indipendentemente da tale considerazione, si compren- derebbe una finanza comunale autonoma e distinta da quella dello stato, qualora la larghezza tributaria comunale fosse ta- le da poter consentire di tener presente nell'applicazione tutta la diversità di condizioni e di interessi economici locali. Ma quando le tasse comunali sono sature tutte o quasi tutte, non c'è più libertà di apprezzamento e di scelta, e la distinzione fra gli organi tassatori, stato o comune, diventa puramente nomi- nale e non ha altro effetto che quello di aumentare il disqui- librio esistente in materia di imposte e di acuire le condizioni di molte categorie di contribuenti, che nel periodo della guerra hanno dovuto sopportare i pesi senza alcun compenso.

Per giunta, è molto più difficile che il comune oggi possa ele- re le proprie tasse, mentre lo stato nell'aumentare le proprie ha una giustificazione di interesse nazionale, che rende sopportabile qualsiasi onere; lo stato d'animo generale, specialmente nelle campagne, è che i comuni dovrebbero arrestarsi, se non attenua- re, la corsa agli aumenti di imposte e tasse, mentre lo stato esige ed esigerà da tutti gravissimi altri sacrifici.

Ecco perchè dal punto di vista politico, psicologico e tribu- tario, è da augurarsi che il governo si convinca della necessità che nel periodo bellico sia unico l'organo di tassazione, con la equa e razionale partecipazione dei comuni ai redditi delle imposte.

Ai comuni è solo da imporre la più rigida economia di spe- se superflue, perchè essi possano far meglio fronte all'aumento delle spese necessarie, fra le quali devono indubbiamente rite- nersi quelle relative alla concessione di congrui aumenti degli stipendi e dei salari al loro personale.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 7 giugno 1918).

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