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1 N51 Psicologia sociale 9 CFU – M-PSI/05 Prof. Francesca Romana Alparone A-DA Prof. Davide Pietroni DE-H Prof. Luca Iani I-PE Prof. Massimiliano Scopelliti PI-Z Programma del corso: Il corso è articolato in tre moduli. PRIMO MODULO Manuale e libro Ida Galli “ la teoria delle rappresentazioni sociali”. Il primo modulo, a carattere istituzionale, tratterà sinteticamente: - evoluzione storica della disciplina in riferimento agli orientamenti teorici principali, - ai metodi di ricerca e alle loro implicazioni. Verranno illustrate alcune aree tematiche di particolare rilevanza, come i processi di conoscenza sociale: -schemi, -euristiche, -processi automatici e controllati, -atteggiamenti - e rappresentazioni sociali. i processi di percezione interpersonale - formazione delle impressioni, - teorie implicite di personalità, - attribuzione causale. i processi di comprensione del Sé. SECONDO MODULO a carattere monografico Libro: “L’influenza sociale” di Angelica Mucchi Faina Il secondo modulo, a carattere monografico, illustrerà i processi di influenza sociale. A partire dalle: - caratteristiche principali, si approfondirà - il cambiamento degli atteggiamenti - e i processi di persuasione, - il conformismo, - l’obbedienza e i

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N51 Psicologia sociale 9 CFU – M-PSI/05 Prof. Francesca Romana Alparone A-DA Prof. Davide Pietroni DE-H Prof. Luca Iani I-PE Prof. Massimiliano Scopelliti PI-Z Programma del corso: Il corso è articolato in tre moduli. PRIMO MODULO Manuale e libro Ida Galli “ la teoria delle rappresentazioni sociali”. Il primo modulo, a carattere istituzionale, tratterà sinteticamente:

- evoluzione storica della disciplina in riferimento agli orientamenti teorici principali,

- ai metodi di ricerca e alle loro implicazioni. Verranno illustrate alcune aree tematiche di particolare rilevanza, come • i processi di conoscenza sociale: -schemi, -euristiche, -processi automatici e controllati, -atteggiamenti - e rappresentazioni sociali. • i processi di percezione interpersonale - formazione delle impressioni, - teorie implicite di personalità, - attribuzione causale. • i processi di comprensione del Sé.

SECONDO MODULO a carattere monografico Libro: “L’influenza sociale” di Angelica Mucchi Faina

Il secondo modulo, a carattere monografico, illustrerà

• i processi di influenza sociale. A partire dalle: - caratteristiche principali, si approfondirà - il cambiamento degli atteggiamenti - e i processi di persuasione, - il conformismo, - l’obbedienza e i

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- meccanismi propri dell’influenza prodotta dalla maggioranza e dalla minoranza.

Il terzo modulo, anch’esso a carattere monografico, approfondirà i processi psicosociali intra e intergruppi

- categorizzazione, - appartenenza, - identificazione, - stereotipi - e pregiudizi.

Modalità d’esame: L’esame consiste in una prova scritta: 31 domande a scelta multipla, di cui 10 di sbarramento, e 3 domande aperte. La prova orale, subordinata al superamento della prova scritta, è a discrezione del docente o su richiesta dello studente e può essere sostenuta esclusivamente alla data prevista per la verbalizzazione dell’esame stesso. La data per la verbalizzazione dell’esame verrà comunicata contestualmente alla prova scritta e pubblicata sul sito web. Gli studenti sono tenuti a verbalizzare l’esame nella data prevista; le richieste di posticipo della verbalizzazione saranno accettate eccezionalmente e in base alla plausibilità della motivazione. Per gli studenti frequentanti sono previsti accertamenti scritti intermedi e a fine corso. Libri di testo: ! E. Aronson, T.D. Wilson, R. M. Akert, Psicologia sociale. (2000) Bologna: Il Mulino, 2006 (pp. 319; € 25.00); ! A. Mucchi Faina, L’influenza sociale. (1996) Bologna: Il Mulino (pp. 204; € 12.39); ! A. Voci, Processi psicosociali nei gruppi (2003) (pp. 121; € 16.00); ! I. Galli, La teoria delle rappresentazioni sociali (2005). Bologna: Il Mulino (2000) (pp. 128; € 10.50); ! E. Aronson, T.D. Wilson, R. M. Akert. Psicologia sociale - Cap. II. Metodologia: Il processo di ricerca (pp.37-69). Bologna: Il Mulino, 1995. (una copia dell’edizione 1995 del Manuale di psicologia sociale di Aronson et al. è disponibile in Biblioteca; il capitolo è disponibile per le fotocopie anche presso la Copisteria “La scuola di Atene”). Nota: gli studenti che portano l’edizione vecchia del Manuale di Aronson et al. (1995; pp.475), non devono portare il libro di I. Galli sulle rappresentazioni sociali.

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PRIMO MODULO manuale Aronson e libro Ida Galli “ la teoria delle rappresentazioni sociali”.

• evoluzione storica della disciplina in riferimento agli orientamenti teorici principali.

CAPITOLO 1: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA SOCIALE PSICOLOGIA SOCIALE: • Studia le emozioni e i pensieri degli esseri umani. I nostri pensieri, sentimenti e comportamenti sono influenzati dagli altri. • E’ lo studio scientifico dei modi attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone vengono influenzati dalla presenza reale o immaginaria degli altri. • Si occupa dello studio delle modalità e delle motivazioni secondo cui i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti vengono modellati dal più generale ambiente sociale e di ciò che accade quando più fonti di influenzamento entrano in conflitto fra loro. • Insieme all’ANTROPOLOGIA studia il modo in cui le persone subiscono l’influenza dell’ambiente sociale. • Si interessa al modo in cui le persone vengono influenzate dalla loro interpretazione o costruzione dell’ambiente sociale. • La sua natura di scienza, sottopone a prova empirica le proprie ipotesi, intuizioni e idee sul comportamento sociale umano e non si affida alla saggezza popolare, al buon senso o alle opinioni e intuizioni di filosofi, romanzieri, politici saccenti, anziani e altri saggi dell’umanità. • Condivide l’interesse per il comportamento sociale con la SOCIOLOGIA, l’ECONOMIA e le SCIENZE POLITICHE. Tali materie si occupano dell’influenza dei fattori sociali sul comportamento umano. • Trova radicamento nell’interesse per gli individui umani, ponendo in rilievo i processi psicologici che hanno luogo nella loro mente e nel loro cuore. • Ha come scopo, l’identificazione delle proprietà universali della natura umana che rendono ciascuno di noi sensibile all’influenza sociale. Se si vuole comprendere come l’ambiente sociale influenza una persona, risulta importante capire prima come essa percepisca o interpreti tale ambiente. L’influenza sociale assume forme che sono differenti dal tentativo deliberato da parte degli altri di cambiare il nostro comportamento. Anche quando non ci troviamo in presenza fisica di altri, ne restiamo influenzati. FILOSOFIA E’ sempre stata fonte di profonde intuizioni riguardo la natura umana. Gli psicologi sociali tentano di rivolgere uno sguardo scientifico alle domande affrontate dai filosofi. Essi eseguono esperimenti per verificare ipotesi sulla natura del mondo sociale. Essi hanno il compito di ideare esperimenti complessi in modo da dimostrare in quali sia valida l’una o l’altra ipotesi. Da ciò segue un arricchimento della nostra comprensione della natura umana, che ci permette di

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compiere previsioni accurate una volta che conosciamo gli aspetti della situazione dominante. Altre scienze sociali si occupano dei generali fattori sociali, economici, politici e storici che influenzano il comportamento umano. SOCIOLOGIA Affronta questioni come le classi, le strutture e le istituzioni sociali. Dal momento che la società si compone di raggruppamenti di persone, una certa sovrapposizione fra i domini della sociologia e della psicologia sociale è inevitabile. Invece di concentrarsi sulla psicologia dell’individuo, inquadra la società nel suo complesso. Gli psicologi della personalità concentrano la loro attenzione sulle differenze individuali come spiegazioni del comportamento sociale. Gli psicologi sociali sono convinti che la spiegazione del comportamento in termini di fattori di personalità possa condurre a una sottostima del ruolo svolto dall’influenza sociale. SOCIOLOGIA PSICOLOGIA SOCIALE PSICOLOGIA DELLA PERSONALITA’ Fornisce leggi e teorie generali sulla società, NON sugli individui. Studia i processi psicologici che le persone condividono fra loro e che le rendono sensibili all’influenza sociale. Studia le caratteristiche che rendono ogni individuo unico e diverso dagli altri. La psicologia sociale con la SOCIOLOGIA condivide l’interesse per le influenze situazionali e sociali sul comportamento, concentrandosi sull’aspetto psicologico che rende le persone sensibili all’influenza sociale. Con la PSICOLOGIA DELLA PERSONALITA’ ha in comune il rilievo dato alla psicologia dell’individuo e sottolinea il processo psicologico che le rende sensibili all’influenza sociale. Lo psicologo sociale cerca di comprendere in che modo il nostro comportamento è influenzato dall’ambiente sociale. LEE ROSS Spiega che l’errore più frequente è quello di spiegare il comportamento umano in termini di tratti di personalità, sottostimando la forza dell’influenza sociale. La tendenza a sottostimare l’influenza sociale costituisce un condizionamento che potrebbe indurre in atteggiamenti e comportamenti non funzionali e che dovrebbe essere superato con ogni sforzo. Uno dei problemi collegati a esso è che produce una sensazione di falsa sicurezza. A forza di sottostimare il potere dell’influenza sociale rischiamo di esserne succubi. Evitando di considerare il potere della situazione, tendiamo a semplificare situazioni che sono complesse e ciò diminuisce la nostra comprensione delle cause di parte del comportamento umano. COMPETIZIONE e COOPERAZIONE sono le 2 strategie che le persone impiegano quando fanno un gioco. Aspetti apparentemente secondari della situazione sociale possono produrre effetti notevoli, mettendo in ombra le differenze delle singole personalità. Determinate situazioni sociali e ambientali sono così potenti da produrre effetti vistosi sulla totalità delle persone.

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COMPORTAMENTISMO Scuola di pensiero che ha dominato la psicologia statunitense per la prima metà del secolo scorso. Cercava di dimostrare che ogni apprendimento si verifica attraverso il rinforzo: si associano eventi positivi o negativi dell’ambiente a comportamenti specifici. WATSON e SKINNER Ipotizzarono che la spiegazione del comportamento umano potesse avvenire mediante l’esame delle ricompense e delle punizioni riservate dall’ambiente al soggetto e che non vi fosse bisogno di studiare pensieri e sentimenti. Consideravano termini e concetti come cognizione, pensiero e sentimento troppo generici e mentali e non collegati al comportamento osservabile. Gli psicologi sociali credono che l’approccio comportamentista sia troppo semplicistico per poter fornire una comprensione del comportamento sociale. Esso si può comprendere in pieno se osserviamo una situazione dal punto di vista delle persone che vi si trovano per capire come costruiscono il mondo che le circonda. Per COSTRUIRE intendiamo l’interpretazione che gli esseri umani danno di ciò che esiste. PSICOLOGIA DELLA GESTALT Studia il modo soggettivo in cui un oggetto appare alla mente delle persone. Secondo i gestaltisti non possiamo comprendere il modo in cui viene percepito un oggetto dallo studio degli elementi costitutivi della percezione. L’intero è diviso dalla somma delle sue parti. Dobbiamo concentrarci sul modo in cui un oggetto si presenta alle persone. L’approccio della Gestalt viene formulato in Germania da KOFFKA, KOHLER e WERTHEIMER. KURT LEWIN E’ il padre fondatore della moderna psicologia sociale e sperimentale. Vive l’intolleranza per la diversità culturale nella sua condizione di giovane professore ebreo nella Germania degli anni ’30. Questa esperienza produsse un influsso sul suo pensiero dopo l’emigrazione in America e contribuì a modellare la psicologia sociale statunitense, facendola crescere con un interesse per l’esplorazione delle cause e dei rimedi del pregiudizio e delle stereotipo etnico. Applica i principi della Gestalt alla percezione sociale, al modo in cui le persone percepiscono gli altri e alle loro motivazioni, intenzioni e comportamenti. Fu il primo a comprendere l’importanza di assumere la prospettiva della persona che si trova in una situazione sociale per vedere come costruisce l’ambiente sociale. Se è vero che sono le situazioni soggettive a influenzare le persone, ne segue che bisogna comprendere il modo in cui si arrivano a formulare le impressioni soggettive del mondo. Per comprendere gli effetti della situazione sociale sulle persone, occorre capire le leggi della natura umana che ci spiegano perché formiamo i nostri costrutti del mondo sociale. In ogni momento i nostri pensieri e il nostro comportamento sono sottesi da motivazioni sovrapposte. 2 di queste motivazioni sono le più importanti: 1. Il bisogno di essere quanto più possibile accurati, 2. Il bisogno di giustificare i nostri pensieri e le nostre azioni per poterci sentire a posto con la coscienza.

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L. FESTINGER Comprese che quando queste 2 motivazioni costringono l’individuo in direzioni opposte possiamo pervenire a intuizioni su come operi la nostra intelligenza e il nostro animo. E’ universale il bisogno di vederci come esseri decenti, competenti, affidabili e onorabili. La ragione sottostante alla nostra visione del mondo può essere rintracciata in un bisogno latente di mantenere una buona immagine di noi stessi: di conservare un alto senso di AUTOSTIMA. Posti di fronte alla scelta fra dare una visione distorta del mondo per poterci sentire bene con noi stessi e fornirne una rappresentazione accurata, scegliamo la prima possibilità. GIUSTIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO PRECEDENTE: E’ difficile confessare le proprie mancanze, anche se il prezzo da pagare è una visione imprecisa del mondo. La conseguenza di tale fraintendimento è che diminuiscono le probabilità di imparare dall’esperienza. SOFFERENZA E AUTOGIUSTIFICAZIONE Gli esseri umani avvertono il bisogno di giustificare il loro comportamento precedente, da cui seguono pensieri, sentimenti e comportamenti che non sempre si conciliano con le categorie del comportamentismo. Gli esseri umani possiedono una motivazione per mantenere un’immagine positiva di se stessi mediante la giustificazione del loro comportamento passato. In determinate condizioni ciò li spinge a commettere azioni che potrebbero apparire sorprendenti o paradossali, ovvero preferire le persone e le cose per cui ha sofferto, piuttosto che quelle associate con il benessere e con il piacere. Quando le persone alterano i fatti per apparire nella luce migliore, non per questo falsano la realtà. Gli esseri umani hanno raffinato la loro capacità di pensiero. Riflessione e deduzione. Uno dei nostri segni distintivi è la capacità di ragionare. SOCIAL COGNITION E’ l’approccio cognitivo alla psicologia sociale. Gli psicologi sociali all’atto di formulare le loro teorie sul comportamento sociale, esaminano il modo in cui gli esseri umani concepiscono il mondo. L’ipotesi di partenza posta dagli studiosi che cercano di comprendere il comportamento sociale secondo tale prospettiva, è che tutte le persone tentano di formulare una visione del mondo nel modo più accurato possibile. I ricercatori vedono gli esseri umani come investigatori dilettanti che fanno del loro meglio per capire e prevedere il mondo sociale. Non si tratta di un compito facile e immediato. Spesso ci imbattiamo in problemi derivanti dal fatto di non conoscere tutti gli elementi necessari per delineare il giudizio più accurato di una situazione. Spesso le nostre aspettative sul mondo sociale si frappongono alla nostra percezione di esso e ne modificano la natura. Istinti biologici come la fame e la sete possono essere fonti potenti di motivazione. A un livello più psicologico, possiamo essere motivati dalla paura o da una promessa di amore, di favori e altre ricompense che implicano lo scambio sociale.

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Le persone hanno l’esigenza di esercitare un controllo sul loro ambiente. Quando avvertono una perdita di controllo si hanno conseguenze importanti. La capacità di comprendere e spiegare il comportamento sociale contiene in sé una sfida al suo cambiamento. Esistono del COMPORTAMENTI DISFUNZIONALI in cui l’induzione di paura è in grado di motivare le persone ad assumere un comportamento razionale e appropriato per difendere la propria salute. Il processo di rifiuto si genera dal desiderio di conservare l’autostima. Se vogliamo modificare il nostro comportamento o quello altrui, dobbiamo comprenderne le cause fondamentali.

• i metodi di ricerca e alle loro implicazioni. CAPITOLO 2: IL PROCESSO DI RICERCA Le credenze personali e la saggezza popolare offrono una spiegazione insufficiente del comportamento umano. La saggezza popolare si basa sulle osservazioni accumulate nel tempo dalle persone di una cultura e queste credenze non vengono influenzate dalle esperienze o dalle credenze personali di un singolo individuo. L’apparente ovvietà di simili risultati è dovuta al fatto che A POSTERIORI gli esempi di comportamento umano sembrano assumere un senso e divenire prevedibili. La psicologia sociale è una scienza empirica che ha sviluppato una serie di metodi per rispondere alle domande riguardanti il comportamento sociale, suddivisibili in 3 tipi: 1. METODO DELL’OSSERVAZIONE, 2. METODO CORRELAZIONALE, 3. METODO SPERIMENTALE Ognuno di essi può essere impiegato per verificare una domanda di una ricerca. Svolgere ricerca creativa in psicologia sociale richiede la scelta di un metodo adeguato che possa massimizzare i punti di forza e minimizzare le debolezze. Il punto iniziale di una ricerca è un’ipotesi che il ricercatore vuole verificare. Si inizia trovando l’origine dell’ipotesi. La scienza è un processo cumulativo e le persone generano ipotesi sulla base delle loro precedenti teorie e ricerche. Festinger non soddisfatto dalla spiegazione comportamentista del cambiamento di atteggiamento, formulò la TEORIA DELLA DISSONANZA e compì previsioni sulle situazioni e sulle modalità con cui le persone intendevano cambiare i loro atteggiamenti. Gli psicologi sociali sono impegnati in un continuo processo di raffinamento della teoria. • Una teoria si sviluppa, vengono testate le ipotesi specifiche derivanti da tale teoria e, basandosi sui risultati ottenuti, viene rivista e nuove ipotesi vengono formulate. In psicologia sociale, una teoria non è il solo mezzo da cui trarre nuove ipotesi. I ricercatori costruiscono una teoria sul PERCHE’ un fenomeno si verifica e impostano uno studio per controllare le loro ipotesi.

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Lo scopo dei metodi osservativi è osservare le persone e vedere le loro azioni. L’osservazione non è esclusiva delle scienze sociali. Essa può avvenire attraverso una videocamera, messa in una posizione strategica, per registrare che cosa fanno le persone in determinate situazioni. Per quanto interessanti potessero risultare queste osservazioni, hanno un valore limitato per la comprensione del comportamento umano, dal momento che non sono condotte in maniera controllata e scientifica. OSSERVAZIONE SISTEMATICA Gli osservatori sono scienziati che si accingono a rispondere alle domande su un fenomeno sociale da osservare e codificare in accordo con un insieme predefinito di criteri. Questo metodo varia in base al grado di partecipazione attiva dell’osservatore alla scena. OSSERVAZIONE PARTECIPANTE L’osservatore interagisce con le persone che sta esaminando, badando a non alterare la situazione con la sua presenza. ANALISI DI ARCHIVIO Molte cose possono essere apprese sul comportamento umano dall’analisi di documenti conservati, di archivio di una cultura. E’ una variante preziosa della ricerca condotta con il metodo dell’osservazione in quanto ci permette di esaminare i cambiamenti di un comportamento sociale nel tempo e attraverso le diverse culture. VALIDITA’ FRA I GIUDICI Livello di accordo fra 2 o più persone che valutano il materiale. SMITH Fu uno dei primi studiosi a esaminare il contenuto della pornografia. Scelse per la sua indagine i posti lontani dai centri tipici della pornografia statunitense, essendo desideroso di studiare il tipo di pornografia che è disponibile in larga parte del territorio. Trovò che uno degli argomenti di maggiore importanza nelle storie pornografiche era l’aggressione contro le donne. DIETZ E EVANS Classificarono le fotografie apparse sulle copertine di riviste riservate a un pubblico adulto e vendute nei quartieri a luci rosse di New York. Nella pornografia la prevalenza di violenza sessuale nei confronti delle donne indica che queste immagini e le storie attraggono molti lettori. Il metodo osservativo è il più adatto se l’obiettivo del ricercatore è quello di spiegare il comportamento sociale. In altri casi può presentare diversi inconvenienti: • Certi tipi di comportamento sono difficile da osservare perché accadono raramente e perché investono la sfera privata delle persone. • E’ confinato a un particolare gruppo di persone, a un particolare contesto e un particolare tipo di attività. Gli psicologi sociali inseguono scopi più ambiziosi di una semplice descrizione del comportamento sociale. Un obiettivo della psicologia sociale è di comprendere le relazioni fra le variabili e di essere in grado di prevedere quando si verificano comportamenti sociali di diverso tipo. METODO CORRELAZIONALE Richiede la misura sistematica di 2 o più variabili e la verifica della loro relazione. VALUTAZIONE DEL GRADO DI CORRELAZIONE FRA 2

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VARIABILI (Meccanismo con il quale, conoscendo la posizione di un individuo su una variabile, si può predire la sua posizione anche su un’altra variabile) Il suo scopo è di verificare la relazione fra le variabili per testare le ipotesi su quando e perché si verificano certi comportamenti sociali. Nella ricerca correlazionale, il comportamento e gli atteggiamenti delle persone possono essere misurati in molti modi. Il metodo correlazionale usa i sondaggi di opinioni. Molti comportamenti sociali che interessano i ricercatori sono difficili da osservare. I ricercatori ricorrono ai sondaggi, con i quali intervistano le persone sulle loro credenze, i loro atteggiamenti e comportamenti. In questo modo si evidenzia la relazione fra le domande poste durante il sondaggio. L’osservazione di tali relazioni è condotta mediante la correlazione fra le diverse variabili. CORRELAZIONE POSITIVA Al crescere del valore di una variabile, è associato l’innalzamento del valore dell’altra variabile. CORRELAZIONE NEGATIVA Al crescere del valore di una variabile, decresce quello dell’altra. La correlazione è espressa da numeri che vanno da -1 a + 1: 1 vuol dire che 2 variabili sono correlate in una direzione positiva, -1 significa che 2 variabili sono correlate in una posizione negative e 0 significa che 2 variabili sono prive di relazioni. Le indagini campionarie hanno molti vantaggi, fra cui la capacità di operare un campionamento di porzioni rappresentative di popolazione. Le risposte a un sondaggio sono utili se riflettono quelle della gente in generale e non solo del campione di persone testato. I ricercatori, selezionano il campione sulla base di caratteristiche importanti che sono oggetto della ricerca. Gli studiosi fanno attenzione a compiere una SELEZIONE CASUALE degli individui della popolazione. Una volta che il campione è stato selezionato, possiamo assumere che le risposte sono simili a quelle dell’intera popolazione. Malgrado alcuni errori, le indagini campionarie sono migliorate negli anni e ci permettono di scorgere delle correlazioni fra variabili interessanti. Altro problema dei dati provenienti dai sondaggi è l’accuratezza delle risposte. Le domande semplici sono facili. Chiedere ai partecipanti di prevedere come si comporterebbero in alcune situazioni ipotetiche o di spiegare il perché del comportamento adottato in passato, è come invitarli a essere inesatti. NISBETT E WILSON Hanno dimostrato il fenomeno del DIRE PIU’ DI QUANTO SI SAPPIA in ricerche nelle quali le persone sono inesatte nel dire perché hanno risposto in quel modo. Gli studiosi che utilizzano i sondaggi devono stare attenti a non influenzare le risposte attraverso il loro modo di porre le domande. Il difetto maggiore del metodo correlazionale è che ci dice solo che 2 variabili sono in relazione, mentre l’obiettivo degli psicologi sociali è quello di identificare i processi psicologici che spiegano l’influenza sociale a cui le persone sono suscettibili.

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Quando si usa il metodo correlazionale è sbagliato arrivare alla conclusione che una variabile è causata dal verificarsi di un’altra: la correlazione non implica la casualità. Il solo modo per determinare le relazioni casuali è attraverso il METODO SPERIMENTALE in cui i ricercatori controllano l’evento, predisponendolo in maniera tale da farlo vivere ad alcuni soggetti in un determinato modo e ad altri in maniera diversa. Il metodo sperimentale è quello più usato nelle ricerche di psicologia sociale perché permette al ricercatore di fare affermazioni causali. Il metodo dell’osservazione è utile per aiutare a descrivere il comportamento sociale. Il metodo correlazionale ci aiuta a comprendere quali aspetti del comportamento sociale siano in relazione fra loro o si verifichino insieme. Solo il metodo sperimentale permette di trarre conclusioni circa le relazioni di causa ed effetto. Per questo è considerato il gioiello della ricerca psicosociale. VARIABILE INDIPENDENTE E’ sotto il controllo diretto dello sperimentatore ed è la variabile che viene manipolata e presentata in diversi modi. E’ quella che si ritiene esercitare un effetto causale sulla VARIABILE DIPENDENTE. VARIABILE DIPENDENTE E’ciò che lo sperimentatore vuole misurare per vedere se si verifica qualche effetto. Essa dipende dalla variabile indipendente. Data la complessità del comportamento sociale, di norma le cause di un comportamento sono numerose e variabili. Gli esperimenti includono più di una variabile indipendente alla volta. Siccome alcune combinazioni di variabili indipendenti hanno effetti potenti sul comportamento, possiamo far sì che tutte le diverse versioni delle variabili indipendenti co-occorrano l’una con l’altra. DISEGNO FATTORIALE Disegno sperimentale in cui: • C’è più di una variabile indipendente, • Ogni variabile indipendente ha più di un livello, • Tutte le possibili combinazioni di questi livelli si verificano in un esperimento. In questo modo il ricercatore può determinare il contributo distinto di più di una variabile indipendente e l’interazione di diverse combinazioni della variabile indipendente. VALIDITA’ INTERNA In un esperimento tutte le procedure sono le stesse nelle diverse condizioni dello studio, fatta eccezione per la variabile indipendente. ASSEGNAZIONE CASUALE ALLA CONDIZIONE Tecnica che è la parte più importante del metodo sperimentale e fa sì che ogni partecipante allo studio abbia le stesse possibilità di essere assegnato a una delle diverse condizioni dell’esperimento. Attraverso l’assegnazione casuale, i ricercatori possono essere certi che le differenze personali o il background dei partecipanti vengono distribuiti equamente fra le condizioni sperimentali. Dato che i soggetti sono stati assegnati casualmente, la teoria della probabilità ci dice che è improbabile che quelli che possiedono maggiori informazioni sull’epilessia capitino tutti in una stessa condizione. La conoscenza rispetto all’epilessia verrà dispersa casualmente fra le condizioni sperimentali. Anche con l’assegnazione casuale sussiste la possibilità che le diverse caratteristiche delle persone non siano distribuite equamente nelle varie condizioni.

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LIVELLO DI PROBABILITA’ (VALORE p) Livello usato nelle analisi statistiche che assicura che i risultati osservati si siano verificati per caso e non a causa delle variabili indipendenti. Nelle scienze per convenzione si considerano significativi i risultati qualora la possibilità che siano dovuti al caso, anziché alle variabili indipendenti studiate, sia inferiore al 50%. Il valore p ci dice quanto possiamo essere sicuri che la differenza sia dovuta al caso e non alla variabile indipendente. La capacità di controllare le variabili estranee che possono influenzare i risultati e quella di assegnare casualmente le persone alle condizioni sono le caratteristiche che distinguono il metodo sperimentale dal metodo osservativi e da quello correlazionale. I vantaggi del metodo sperimentale non nascondono alcuni inconvenienti. I vantaggi derivanti dal fatto di avere il controllo sulla situazione, di poter assegnare casualmente le persone alle diverse condizioni sperimentali fino all’annullamento degli effetti delle variabili estranee, possono rendere la situazione artificiale e lontana dalla realtà. Esistono diversi tipi di validità esterna o generalizzabilità degli esperimenti: 1. l’estensione dei risultati ottenuti da una situazione costruita in un esperimento, alle situazioni della vita reale, 2. l’estensione dei risultati da un campione di popolazione di un esperimento, alla popolazione in generale. GENERALIZZABILITA’ AD ALTRE SITUAZIONI La ricerca psicosociale è condotta in situazioni artificiali, la cui validità non può essere estesa per generalizzazione alla vita reale. Gli psicologi sociali tentano di aumentare la generalizzabilità dei loro risultati conducendo gli esperimenti nel modo più realistico possibile. REALISMO MONDANO Grado in cui i risultati di un esperimento riflettono le situazioni della vita reale REALISMO PSICOLOGICO Grado in cui un esperimento riesce a cogliere bene processi psicologici simili a quelli che si manifestano nella vita quotidiana. Aumenta se le persone si trovano coinvolte in un evento reale. Se esse vengono preavvisate, pianificano le loro risposte. Se si vuole condurre una ricerca psicologicamente reale è necessario raccontare ai soggetti una storia di copertura cioè una descrizione dello scopo della ricerca che è diverso da quello reale. GENERALIZZABILITA’ ALLA POPOLAZIONE Gli psicologi sociali studiano il odo in cui le persone sono sensibili all’influenza sociale. Il solo modo di essere certi che i risultati di un esperimento rappresentino il comportamento di una popolazione è assicurarsi che i partecipanti siano selezionati a caso nella popolazione. Il grado di generalizzabilità di un esperimento è una questione empirica, che si può verificare attraverso la replica dell’esperimento in diverse situazioni.

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LE REPLICHE DEGLI ESPERIMENTI Il test finale della validità esterna di un esperimento è la replica, la sua capacità di essere ripetuto più volte facendo variare i soggetti e i contesti. LE RICERCHE INTERCULTURALI Hanno principalmente 2 obiettivi: 1. Cercare di dimostrare che un processo psicologico o legge è universale, nel senso che opera nella stessa maniera in tutti gli esseri umani. Questo tipo di ricerca enfatizza ciò che gli esseri umani hanno in comune, indipendentemente dal loro background o cultura. La diversità di background è un potente fattore di condizionamento. 2. Esplorare le differenze fra gli esseri umani, esaminando come la cultura influenzi i processi psicosociali di base. Nella ricerca interculturale il ricercatore deve badare a non imporre il proprio punto di vista e le proprie definizioni, derivanti dalla propria cultura, a un’altra cultura con cui non abbia familiarità. Deve assicurarsi che le proprie variabili indipendenti e dipendenti possano essere comprese allo stesso modo in diverse culture. Uno dei modi migliori per aumentare la validità esterna è quello di condurre esperimenti sul campo. Negli studi sul campo, il comportamento delle persone viene studiato fuori dal laboratorio, nel suo ambiente naturale. Il ricercatore controlla il verificarsi si una variabile indipendente e assegna casualmente i soggetti alle diverse condizioni. Lo schema dell’esperimento sul campo è identico a quello di laboratorio. I soggetti degli studi sul campo sono inconsapevoli del fatto che gli eventi che stanno vivendo fanno parte di un esperimento. La validità esterna di un simile studio è alta, perché avviene nel mondo reale e con delle persone reali che presentano fra loro maggiore diversità rispetto al tipico campione di studenti universitari. Vi è una sorta di compromesso fra validità interna ed esterna, tra: • L’esercitare un sufficiente controllo sulla situazione per assicurarsi che non vi siano variabili estranee che influenzano i risultati, assegnando casualmente i soggetti alle condizioni sperimentali, • L’assicurarsi che i risultati possano essere generalizzati alla vita reale. La maggior parte degli psicologi sociali predilige la validità interna, conducendo gli esperimenti in laboratorio, dove le persone vengono assegnate casualmente alle diverse condizioni e dove vengono controllate tutte le variabili estranee; l’ambiguità rispetto alla causa è ridotta ai minimi termini. Altri psicologi sociali preferiscono controllare la validità esterna conducendo la maggior parte delle ricerche sul campo. Nel loro insieme questi 2 tipi di ricerca soddisfano le esigenze del perfetto esperimento. Attraverso la replica, un’ipotesi può essere verificata con il massimo di validità interna ed esterna. Si distinguono 2 tipi di ricerca, ognuna dagli scopi diversi: 1. RICERCA DI BASE Il suo scopo è quello di scoprire le ragioni del comportamento umano, per pura curiosità intellettuale. Nessuno sforzo viene fatto per risolvere uno specifico problema sociale o psicologico.

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2. RICERCA APPLICATA Il suo scopo è quello di risolvere un determinato problema e di trovare il modo di alleviare questioni quali il razzismo, la violenza sessuale o la diffusione dell’Aids. La differenza fra ricerca di base e applicata è resa evidente da esempi presi da altre scienze. Gli psicologi sono d’accordo nel ritenere che se si vuole risolvere un problema sociale, è necessario comprendere i processi psicologici che ne sono responsabili. Per risolvere questi problemi sociali complessi, bisogna prima comprendere le dinamiche psicologiche sottostanti la natura umana e l’interazione sociale. Nella creazione di situazioni realistiche, che catturino l’essenza del processo sottostante, gli psicologi sociali si imbattono in un dilemma etico. Per ovvie ragioni scientifiche, si cerca di far somigliare il più possibile gli esperimenti al mondo reale, rendendoli ragionevoli e controllati. Si cerca di evitare ai soggetti disagi eccessivi e inutili. Questi 2 obiettivi sono in costante tensione allorché il ricercatore procede a ideare e a condurre un esperimento. La salute e il benessere degli individui che partecipano agli esperimenti hanno primaria importanza agli occhi dei ricercatori, così come il processo di scoperta di informazioni importanti sul comportamento sociale dell’uomo. Molte di queste scoperte sono destinate ad arrecare beneficio alla società. Per riuscire a capire questi argomenti critici, i ricercatori devono creare delle situazioni chiare che risultino coinvolgenti per i partecipanti. Ciò che la scienza richiede può essere in contraddizione con ciò che l’etica prescrive. Il dilemma non si risolve illudendosi che i soggetti degli esperimenti non avvertano disagio o insistendo che tutto è permesso nella scienza. Il dilemma risulterebbe meno problematico se i ricercatori ottenessero il consenso informato dei soggetti prima della loro partecipazione. Se lo sperimentatore fornisce ai partecipanti una descrizione completa dei tipi di esperienze a cui verranno sottoposti e chiede loro se sono disposti a partecipare, il dilemma etico è risolto. ESPERIMENTO CON INGANNO L’evento che si manifesta è diverso da quello che i partecipanti erano stati indotti a credere che sarebbe avvenuto. L’AMERICAN PSYCHOLOGICAL ASSOCIATION ha pubblicato una lista di principi etici che regola la ricerca in psicologia. Le ricerche condotte dagli psicologi devono essere esaminate da una commissione etica. Ogni aspetto della procedura sperimentale che la commissione giudica stressante o sconvolgente deve essere cambiato o eliminato prima dell’inizio dello studio. Quando viene utilizzato l’inganno è necessario che si svolga un’intervista dopo l’esperimento chiamata DEBRIEFING. In essa i partecipanti vengono informati dell’inganno e delle ragioni per cui esso era necessario; se essi hanno provato qualche disagio, i ricercatori cercano di alleviarlo. Il DEBRIEFING è un’opportunità per informare i soggetti degli obiettivi della ricerca e ha una funzione educativa. I partecipanti comprendono e riconoscono la necessità dell’inganno, purchè si trovi il tempo per la seduta di spiegazione, nella quale vengono illustrati gli o obiettivi della ricerca e le ragioni per cui non si sono potute usare altre procedure. Le persone non si oppongono ai leggeri disagi e agli inganni che vengono usati nella ricerca

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psicosociale. La maggior parte delle persone che partecipano agli esperimenti con inganno dicono di aver imparato e di essersi divertiti più di quelli che partecipano ad esperimenti senza inganno.

• i processi di conoscenza sociale:

-schemi, -euristiche, -processi automatici e controllati, -atteggiamenti - e rappresentazioni sociali.

CAPITOLO 3: LA COGNIZIONE SOCIALE: COME PENSIAMO IL MONDO Se vogliamo comprendere il modo in cui pensiamo il mondo sociale, dobbiamo analizzare le procedure, le regole e le strategie che impieghiamo: posti di fronte alla sovrabbondanza di informazioni, di fatto ci affidiamo a una varietà di scorciatoie mentali. Le persone sanno essere pragmatiche e adottano procedure e regole diverse rispetto agli scopi e ai bisogni relativi a ciascuna situazione. Gli scienziati sviluppano teorie e ipotesi sul loro campo di studi e noi, nella nostra vita quotidiana, formuliamo teorie su noi stessi e sul mondo circostante, e ad esse gli psicologi sociali attribuiscono un ruolo significativo rispetto al modo di comprendere e interpretare noi stessi, gli altri e ogni interazione o contesto sociale in cui ci troviamo. SCHEMI Sono le nostre teorie sul mondo sociale che influenzano le informazioni che registriamo, su cui riflettiamo e che ricordiamo. Sono strutture cognitive che organizzano le informazioni su determinati temi o argomenti. Racchiudono le nostre conoscenze e impressioni fondamentali. Dal momento in cui formiamo uno schema, si producono effetti interessanti sul modo in cui elaboriamo e memorizziamo nuove informazioni. Esso agisce da filtro, rifiutando le informazioni che sono contraddittorie o incoerenti rispetto al tema prevalente. Notiamo e pensiamo i comportamenti che più si conciliano con i nostri preconcetti. Così facendo gli schemi si rafforzano e diventano più difficili da alterare nel tempo. La memoria umana è RICOSTRUTTIVA. Non ricordiamo con esattezza cosa accade in un determinato contesto. Ci ricordiamo solo di alcune delle informazioni presenti, quelle cioè che il nostro schema ci induce a notare e a considerare con attenzione e altre che non sono presenti ma che abbiamo aggiunto in seguito. Le ricostruzioni che avvengono in memoria tendono a essere coerenti con il nostro schema. SINDROME DI KORSAKOV Le persone che ne soffrono smarriscono la capacità di creare nuovi ricordi e devono affrontare ogni situazione come se fosse

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sempre la prima volta, pur avendola incontrata in altre occasioni. Il risultato può essere fonte di confusione e disperazione, da indurre questi malati a compiere gesti estremi pur di imporre un significato alle loro esperienze. Gli schemi assumono rilevanza perché riducono l’ambiguità che a volte incontriamo con informazioni suscettibili di più interpretazioni. E’ probabile che le persone impieghino gli schemi per completare le loro lacune informative allorché non sono del tutto sicure di ciò che stanno osservando. Determinanti culturali degli schemi Le culture presentano differenze cruciali fra gli schemi concepiti dalle persone riguardo a se stessi e al mondo sociale, producendo alcune conseguenze interessanti. Gli schemi impartitici dalla nostra cultura influenzano ciò che del mondo notiamo e memorizziamo. F. BARTLETT Osservò che culture diverse possiedono schemi di cose tra loro diversi, in funzione di ciò che è ritenuto importante in quella determinata cultura e che tali schemi influenzano ciò che le persone tenderanno a ricordare con più probabilità nelle rispettive culture. Il problema degli schemi: discorcono ciò che vediamo e che ricordiamo Gli schemi ci aiutano a ricordare le cose che riteniamo importanti. Qualche volta distorciamo le prove fino a renderle coerenti con essi, impedendo di registrare mentalmente qualsiasi informazione che sia in autentica contraddizione. A causa dell’influenza che gli schemi esercitano sul nostro modo di vedere, abbiamo la tendenza a vedere il mondo in termini assoluti, dove il bene e dalla nostra parte e il male da quella di chi non è con noi. Questa visione condizionata può indurre le persone a ogni titolo schierate a pensare che tutto il resto del mondo stia dando un’interpretazione scorretta della realtà. FENOMENO DELL’OSTILITA’ DEI MEDIA Gruppi di opposti schieramenti percepiscono ugualmente delle presentazioni neutrali ed equilibrate fatte dai media, come ostili alla loro parte in quanto non danno voce a quell’impostazione unilaterale che entrambi ritengono essere la verità. Le persone interpretano il mondo in modo coerente con il proprio senso di autostima. EFFETTO PRECEDENZA (PRIMACY) Ha dimostrato la frequente importanza delle prime impressioni per la loro capacità di influenzare l’interpretazioni delle informazioni successive. La ragione di questo effetto è che noi formiamo gli schemi in base alle prime informazioni ricevute e questi schemi influenzano la nostra interpretazione di quelle successive. Ci attacchiamo alle nostre prime impressioni e ignoriamo, trascuriamo o reinterpretiamo quelle che vi risultano in contraddizione. EFFETTO RECENZA (RECENCY) Le informazioni ricevute per ultime producono l’impatto maggiore. Gli schemi delle persone, una volta formatisi, assumono uno loro vita propria e influenzano in modo in cui le nuove informazioni vengono considerate, indipendentemente dall’interesse che le persone possono provare per quanto osservano. Gli schemi sembrano sopravvivere anche quando è andata distrutta ogni prova che li potesse sostenere.

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EFFETTO PERSISTENZA Le credenze dei soggetti persistono anche dopo che è stata confutata la prova inizialmente data per sostenerle. Come realizzare i nostri schemi: la PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE Quando incontriamo delle informazioni nuove o vediamo confutate quelle già acquisite, non tendiamo a rivedere i nostri schemi così come ci si potrebbe aspettare. Non sempre siamo ricettori passivi di informazioni. Spesso agiamo sui nostri schemi e in tal modo riusciamo a modificare il grado in cui li sosteniamo o li contraddiciamo. PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE Ci comportiamo in modo da creare inavvertitamente delle prove che sostengono il nostro schema. Quando le persone cercano di relazionarsi con gli altri in maniera imparziale e priva di condizionamenti, le loro aspettative si intromettono e modificano il comportamento, il quale modifica il comportamento della persona con cui stanno interagendo. SADKER & SADKER Ipotizzano che gli stereotipi collegati al ruolo sessuale, influenzano le percezioni e i comportamenti degli insegnanti in maniera inconsapevole. Ciascuno di noi possiede ogni genere di schemi relativi alle caratteristiche delle altre persone e ogni volta che agiamo sulla scorta di questi in modo da farli avverare, ne consegue una profezia che si autoadempie. Gli schemi possono opporre resistenza al cambiamento proprio perché rinveniamo una grande quantità di prove false a loro conferma. Quando compiamo delle scelte, utilizziamo delle strategie e delle scorciatoie mentali che facilitano la decisione, permettendoci di continuare a vivere senza dover trasformare ogni decisione in un esteso progetto di ricerca. Non è detto che queste scorciatoie ci portino sempre alla scelta migliore. Esse sono efficaci e conducono a sagge decisioni in un numero ragionevole di occasioni. Fra le scorciatoie impiegate dalle persone figura l’impiego di schemi per comprendere situazioni nuove. Piuttosto che iniziare l’esame delle possibili opzioni da zero, applichiamo le nostre conoscenze e i nostri schemi precedenti. Quando si tratta di generi particolari di giudizi e di decisioni, non possediamo sempre uno schema preconfezionato per l’uso. In altri casi ne abbiamo troppi che andrebbero bene e non sappiamo quale applicare. EURISTICA DEL GIUDIZIO Nel campo della social cognition l’euristica (= SCOPRIRE) si riferisce alle regole che gli individui seguono per formulare giudizi in maniera rapida ed efficace. Le euristiche non danno la garanzie di compiere inferenze precise sul mondo. Spesso sono inadeguate per il compito da affrontare o vengono impiegate male, conducendo a giudizi errati. EURISTICA DELLA DISPONIBILITA’ Si riferisce ai giudizi fondati sulla facilità con cui riconduciamo esempi alla mente. Un problema insito in essa è che qualche volta ciò che con più facilità viene ricondotto alla memoria non è caratteristico del quadro generale e ci conduce a conclusioni errate. Per formulare giudizi su se stessi e sugli altri, le persone impiegano l’euristica della disponibilità, cioè la facilità con cui ricordano esempi.

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La facilità con cui riusciamo a penare ad esempi del nostro comportamento è capace di influenzare la percezione di noi stessi. La facilità con cui ricostruiamo il passato è fondamentale per i nostri giudizi su di noi e sugli altri. PENSIERO CONTROFATTUALE Il ragionare su cosa sarebbe potuto succedere se le cose fossero andate diversamente. La facilità con cui le persone riescono ad annullare mentalmente il passato, pensando a esiti alternativi, può produrre un impatto notevole sul modo in cui queste si spiegano il passato e sulle emozioni ad esso collegate. Influenza le nostre reazioni emotive agli eventi. Più è facile annullare mentalmente un esito, più è forte la reazione emotiva ad esso. L’aspetto più interessante del pensiero controfattuale è che alcuni generi di esiti SEMBRANO facili da evitare o da modificare per la facilità con cui possiamo annullarli mentalmente. EURISTICA DELLA RAPPRESENTATIVITA’ Scorciatoia mentale che viene impiegata quando le persone cercano di categorizzare qualcosa di nuovo. Classifichiamo le cose in base alla loro somiglianza con il caso tipico. KAHNEMAN & TVERSKY Scoprirono che la media di base viene sottoutilizzata e viene riservata maggiore importanza al grado di rappresentatività delle informazioni riguardo alla persona particolare della categoria generale. EURISTICA DELL’ANCORAGGIO E DELL’ACCOMODAMENTO Scorciatoia mentale con cui le persone utilizzano un numero o un valore come punto di partenza e precisano la loro risposta rispetto ad esso. Le persone si attengono ai numeri iniziali anche quando sono del tutto arbitrari e non hanno pertinenza con il giudizio che si sta formulando. Quando formuliamo giudizi sul mondo, permettiamo di ancorare le nostre impressioni alle nostre esperienze ed osservazioni personali, anche quando siamo consapevoli che esse sono inconsuete. CAMPIONAMENTO TENDENZIOSO Le nostre esperienze fungono da ancoraggio per le nostre generalizzazioni e il nostro accomodamento, partendo da esse, rimane inadeguato anche quando sappiamo che le nostre esperienze sono atipiche o tendenziose. Esiste una relazione tra gli schemi e le euristiche del giudizio. Gli schemi sono conoscenze organizzate relative alle persone e alle situazioni simili. Quando compiamo dei giudizi circa il mondo sociale non ci è sempre chiaro quale sia lo schema più appropriato da usare. La sua scelta e il suo funzionamento dipendono dall’euristica del giudizio. Il pensiero sociale possiede una proprietà che facilita la nostra comprensione del mondo sociale: la capacità di elaborare informazioni in maniera rapida e inconscia. Il nostro modo di pensare può diventare automatico proprio come le nostre azioni. Quanto più ci siamo addestrati a pensare in un certo modo, tanto più naturale e automatico diventa quel genere di pensiero, fino a poterlo fare senza alcuno sforzo. Questa modalità di pensiero inconscia, non intenzionale, involontaria e priva di sforzi viene definita ELABORAZIONE AUTOMATICA.

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Essa si verifica senza che ne accorgiamo, rendendocela sconosciuta. Gli esseri umani sono programmati a categorizzare il mondo con velocità ed efficacia. Vi sono dei rischi nel categorizzare automaticamente un oggetto o una persona in maniera erronea. Una ragione della consequenzialità delle nostre aspettative è che esse funzionano automaticamente, senza deliberazione, rendendoci difficile sapere quando stiamo agendo in modo conforme ad esse. Non di rado le persone lasciano che siano gli schemi a prendere in sopravvento e compiono generalizzazioni imprudenti partendo da esperienze atipiche, perfino in presenza di informazioni contraddittorie. In qualche caso questi difetti dell’inferenza producono conseguenze infelici. ECONOMIZZATORI DI RISORSE COGNITIVE Persone con l’abilità di pensare e inferire così ristretta da adottare scorciatoie mentali ogni volta che possono. TATTICI MOTIVATI Persone che dispongono di un ampio arsenale di regole e strategie mentali da cui scelgono in base a determinati bisogni e obiettivi. PENSATORI SOCIALI FLESSIBILI Quando la posta in gioco è insignificante, si affidano a quelle scorciatoie mentali che garantiscono il minimo indispensabile. Quando affrontano decisioni più importanti adottano strategie diverse, più efficaci. Le persone compiono inferenze più complesse e accurate quando vengono loro richiesti compiti inferenziali più importanti. Una conseguenza del tipo di obiettivi che le persone hanno in mente è la contrapposizione fra la disponibilità ad affidarsi all’elaborazione automatica e il tentativo di adattarla o correggerla. ELABORAZIONE CONTROLLATA Pensiero consapevole, intenzionale, volontario e deliberato. Ha lo scopo di frenare e riequilibrare l’elaborazione automatica. Il pensiero controllato richiede motivazione e impegno. Dobbiamo desiderare di volerlo fare e dobbiamo potergli dedicare il tempo e l’energia che esso richiede. Le persone devono compiere lo sforzo di impegnarsi nell’elaborazione controllata per poter reagire agli stereotipi negativi che in maniera automatica una vengono loro in mente. CREDERE AUTOMATICAMENTE E NON CREDERE CONTROLLATO L’elaborazione controllata può impedire e riequilibrare quella automatica in diversi modi. Quando le persone impiegano l’euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento, ricorrono a dei punti di partenza nell’emettere giudizi, ma non riescono a compiere un accomodamento sufficiente. Una spiegazione è che utilizziamo automaticamente qualunque cosa incontriamo come un punto di partenza, senza accorgercene, e cerchiamo di fare un accomodamento mediante l’elaborazione controllata. SPINOZA “Quando le persone guardano, ascoltano o apprendono qualche cosa per la prima volta, l’assumono per il suo valore apparente e ipotizzano che si vera. Dopo aver accettato la veridicità di un fatto, le persone risalgono indietro nella loro mente e decidono sulla sua eventuale falsità. Di tanto in tanto ciò che vediamo e sentiamo

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non è vero: abbiamo bisogno di un riequilibramento che ci renda capaci di NON accettare ciò che avevamo inizialmente creduto” L’accettazione iniziale si verifica automaticamente, inconsapevolmente e senza impegno o intenzionalità. Il giudizio e la non accettazione sono il prodotto dell’elaborazione controllata, il che implica che le persone devono possedere l’energia e le motivazioni per farlo. La riduzione della capacità delle persone di concentrarsi dovrebbe interrompere l’elaborazione controllata, permettendo all’accettazione automatica di operare liberamente. ELABORAZIONE IRONICA E SOPPRESSIONE DEL PENSIERO Esiste una conseguenza interessante derivante dall’essere preoccupati e incapaci di procedere a buona elaborazione controllata, cioè la diminuzione della nostra capacità di impegnarci nella SOPPRESSIONE DEL PENSIERO: tentativo di evitare di pensare a qualcosa. WEGNER “Un’efficace soppressione del pensiero dipende dall’interazione fra 2 processi, il primo automatico, il secondo controllato. La parte automatica del processo (PROCESSO DI MONITORAGGIO) cerca delle prove che il pensiero indesiderato stia per intromettersi nella nostra coscienza. Una volta individuato questo pensiero, entra in gioco la seconda parte controllata, definita PROCESSO OPERATIVO. E’ il tentativo cosciente e deliberato di distrarre noi stessi trovando qualcos’altro a cui pensare. Questo sistema funziona finchè ciascuno dei 2 processi svolge il suo lavoro, il primo all’erta per cogliere possibili intrusioni e il secondo pronto ad allontanarle dalla coscienza. Quando a causa della stanchezza o della preoccupazione del soggetto il processo controllato è incapace di assolvere il suo compito, il processo di monitoraggio continua a rinvenire esempi del pensiero indesiderato, che si intromettono nella sua coscienza senza poter essere frenati dal sistema controllato e consapevole. Si origina uno stato di iperaccessibilità, in cui il pensiero indesiderato si presenta con un’alta frequenza. Se giudichiamo importante non esprimere pregiudizi nei nostri pensieri, quando siamo stanchi o preoccupati e sotto un carico cognitivo, a questi daremo sfogo incontrollato.” CONTAMINAZIONE MENTALE Condizionamenti sul nostro pensiero diffusi nella vita quotidiana. Sebbene gli esseri umani siano pensatori brillanti, spesso non colgono quelle verità che non si accordano con le loro teorie e trattano gli altri in maniera da poterle confermare. OSTACOLO DELLA FIDUCIA ECCESSIVA Si pensa di saper ragionare bene e di non dover porre alcun rimedio.

RAPRESENTAZIONI ( approfondimento libro “la teoria delle rappresentazioni sociali” di Ida Galli.

IDA GALLI, La teoria delle rappresentazioni sociali. ( DA PORTARE PER IL PRIMO MODULO)

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Riassunto Cap. 1 – Le origini della nozione di rappresentazione sociale. La paternità di una teoria vera e propria delle rappresentazioni sociali va attribuita, indubbiamente a Moscovici. Ma il primo a parlare di rappresentazione in merito agli oggetti e ai processi di conoscenza fu: Schopenauer (1819), la cui idea fondamentale era che le rappresentazioni sono il prodotto della volontà, alla quale sono subordinate sia le funzioni intellettuali che affettive ma anche le rappresentazioni intellettuali. Il valore e il limite del suo pensiero consistono nell’affermazione che ogni rappresentazione intellettuale è subordinata alla volontà. Quindi con Schopenhauer questo siscorso sulle rappresentazioni resta “segregato” all’ambito filosofico. Paragrafo 1 Durkheim e le rappresentazioni collettive Durkheim introdusse il concetto di rappresentazioni collettive, contrapposto a quello di rappresentazione individuale e applicato all’ambito delle scienze sociali. Tali rappresentazioni collettive avevano un carattere intracoscienziale ed un’esistenza autonoma rispetto alle rappresentazioni individuali. Le rappresentazioni, a loro volta (sia individuali che collettive) sono indipendenti dalle connessioni organiche: • le rappresentazioni individuali sono fatti mentali indipendenti dal cervello; • le rappresentazioni collettive sono il fatto sociale, indipendente dai singoli. Le rappresentazioni collettive per Durkheim dunque sono: • esterne alle coscienze individuali, • non sono ulteriormente scomponibili • hanno qualcosa in più della somma delle singole rappresentazioni individuali • sono alla base di tutti i giudizi umani • sono transgenerazionali • sono il risultato di una cooperazione (ogni individuo contribuisce al risultat comune) Unità di base sociologica per Durkheim è il gruppo sociale. Si definisce tale un gruppo di persone animato da una coscienza collettiva, un’istanza di controllo che possiede una vita propria eretta a sistema, con funzioni di unificazione e regolazione di idee, credenze e rappresentazioni. Scopo della coscienza collettiva è assicurare al gruppo sociale la sua continuità nel tempo. La coscienza collettiva produce rappresentazioni collettive, definite da Durkheim come forme mentali socializzate, che raggruppano miti, tradizioni, saperi comuni e opinioni e legittimano le istituzioni sociali, tra le quali egli annovera la religione, il linguaggio, la scienza. La teoria di Durkheim delle rappresentazioni collettive, contrapposte alle rappresentazioni individuali, si ferma all’assunzione della loro esistenza per spiegare i comportamenti umani; le considera inoltre statiche. Nonostante gli auspici formulati da Durkheim, il concetto di rappresentazione collettiva che nasce in ambito sociologico, troverà una collcazione in psicologia sociale solo dopo qualche decennio. Da Durkheim in poi, sociologi e psicologi

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concordano nel ritenere che ciò che distingue le rappresentazioni socialmente condivise da tutte le altre rappresentazioni è il loro carattere collettivo. Poi però esistono profonde differenze nel modo in cui ognuno intende questo concetto. Moscovici infatti: 1. sposta l’attenzione sulla struttura delle rappresentazioni sociali; 2. afferma la loro natura dinamica; 3. afferma la necessità non semplicemente di spiegare i comportamenti con le rappresentazioni, ma di spiegare le rappresentazioni stesse, ed è per questo che preferisce parlare di fenomeno delle rappresentazioni sociali invece che di concetto di rappresentazioni collettive come fa Durkheim: fenomeno perché è un processo, mediante il quale le persone rendono familiare il non familiare; sociali, perché secondo Moscovici non è da enfatizzare tanto il carattere collettivo delle rappresentazioni, quanto il fatto che esse sono il frutto dell’elaborazione di uno specifico gruppo sociale, dotato di particolari caratteristiche. 2 paragrafo: Levy-Bruhl e le rappresentazioni culturali Secondo Moscovici fu Lévy-Bruhl a riprendere e precisare meglio questo concetto: mentre per Durkheim esistevano solo differenze tra pensiero individuale e collettivo( e di questo Levy-Bruhl era d’accordo) per Lévy-Bruhl esistevano anche tra il pensiero collettivo di differenti gruppi sociali (ma su questo Durkheim non era d’accordo). In particolare Levy-Bruhl contrappose la logica del mondo civilizzato a quella dei popoli primitivi, affermando che mentre la prima era dominata dal principio di non contraddizione, la seconda obbediva alla legge di partecipazione. Il principio di non contraddizione ci dice che se due cose sono uguali non possono essere al tempo stesso diverse: le due opzioni si escludono a vicenda; secondo la legge di partecipazione invece questo è possibile. I popoli primitivi avrebbero un modo diverso di pensare, in cui coesistono concetti che noi normalmente consideriamo alternativi come ad esempio le credenze magiche che rese separatamente, appaiono assurde o stupide, ma inserite nel complesso delle altre proposizioni diventano significative e coerenti. Dunque le rappresentazioni collettive sono composite e comprendono sia categorie intellettive, sia categorie affettive compresa la categoria affettiva del soprannaturale che per Levy-Bruhl è la percezione del primitivo e conferisce un’esistenza reale a ciò che per noi non esiste. Infine per Levy Bruhl le rappresentazioni collettive sono paradigmatiche e quindi le rappresentazioni magiche sono impermeabili cioè non accolgono le esperienze concrete e i legami tra i concetti che le costituiscono, non vengono modificate dall’esperienza. Per Moscovici, tutte le rappresentazioni collettive, non solo quelle magiche, sono impermeabili alle informazioni che le disconfermano, mentre accolgono quelle che le confermano. Secondo Luria, con Levy-Bruhl per la prima volta, dunque, si metteva in discussione l’idea che fosse possibile più di un modo di pensare, che quest’ultimo non fosse dunque il frutto della mera evoluzione biologica e della selezione naturale ma di un processo di sviluppo storico.

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La differenza tra le diverse rappresentazioni sociali dunque non era da ricercare tra i differenti contesti empirici (religione, mito, scienza) come sosteneva Durkheim, ma tra i diversi gruppi sociali. Quindi con Levy Bruhl l’oggetto di studio diviene il rapporto società/rappresentazioni sue proprie e non più quello durkheniano individuo/società. Dice Moscovici che con Levy-Bruhl inizia quello “spostamento”, nello studio delle rappresentazioni sociali, che a, dall’aggettivo (sociale) al sostantivo(rappresentazioni) e fu così che il concetto di rappresentazione collettiva si è esteso alla psicologia e in particolare alla psicologia dell’età evolutiva. 3 paragrafo: Freud, Piaget, Vygotskij e le rappresentazioni mentali. Moscovici sosteneva che il concetto di rappresentazione è vicino, per alcuni aspetti, al concetto di inconscio teorizzato da Freud; le teorie sessuali dei bambini in particolare sono di origine sociale poiché attingono informazioni dall’ambiente sociale (libri, discorsi degli adulti…) e costituiscono delle rappresentazioni con funzione di spiegare fenomeni per loro misteriosi e complicati. Queste rappresentazioni successivamente spariscono nell’inconscio. L’inconscio è appunto formato da rappresentazione. Il concetto di rappresentazione come frutto della rielaborazione del sapere sociale è il più grande merito che Moscovici riconosce a Freud. Su come i bambini si formino queste rappresentazioni, invece, indagò Piaget, il quale proponeva lo stesso tipo di distinzione che c’era tra pensiero primitivo e pensiero civilizzato per distinguere il pensiero del bambino da quello dell’adulto. Dal piano della filogenesi si spostò a quello dell’ontogenesi. Secondo Piaget, il bambino e il primitivo manifestano, nel loro pensiero, animismo, artificialismo, realismo e altre fusioni non logiche tra l’ambiente esterno e i loro processi di pensiero. In particolare Piaget si interessò di come le rappresentazioni sociali dei bambini guidassero l’elaborazione di giudizi morali riguardo alle idee di: disciplina, regola, compito, mutuo rispetto e cooperazione. Piaget distingueva due forme di acquisizione della conoscenza sociale: una eteronoma, derivata dall’autorità, ed una derivante dalle relazioni autonome fra pari, frutto della rielaborazione e della negoziazione. Quest’ultima era naturalmente, secondo Piaget, la forma più evoluta e a comparsa più tardiva nel processo di sviluppo. Questa distinzione rimanda a quella di Moscovici tra rappresentazione comuni fondate sulle credenze (generalmente poco mutevoli e frutto dell’imposizione), e rappresentazioni fondate sulle conoscenze (più fluide, che lasciano spazio alla critica e sono falsificabili). Altrove M. parla di universi consensuali e reificati, con caratteristiche corrispondenti alle due categorie di rappresentazioni appena descritte. A Vygotskij si deve il merito di aver sottolineato l’importanza dell’interazione sociale nell’acquisizione della conoscenza. Come Piaget, anche V. riteneva che la sola autentica forma di conoscenza fosse quella prodotta da un’attività cognitiva costruttiva. Con il concetto di zona di sviluppo prossimale egli affermava inoltre che l’incremento delle competenze del bambino non è determinato dalla semplice maturazione biologica ma dalle opportunità che vengono offerte al bambino

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allorquando l’adulto lo aiuta a sistematizzare il proprio universo confuso e disorganizzato di concetti. Anche il linguaggio ha inizialmente una funzione sociale, per poi diventare anche strumento al servizio dell’intelletto (Pensiero e Linguaggio, 1934). A parere di Luria, le idee spontanee scaturite dal nostro spirito sono in realtà tutt’altro che spontanee ma la loro comparsa è determinata dalla nostra esperienza sociale preliminare. Differenze tra Piaget e Vygotskij: 1) Piaget ritiene che le rappresentazioni collettive si trasformino nel tempo, passando da una relazione di autorità a una di cooperazione; Vygotskij invece pone l’accento sul processo di interiorizzazione delle rappresentazioni, che inizialmente si trovano all’esterno e poi, attraverso la comunicazione, divengono la base delle rappresentazioni mentali interne. 2) Piaget si rifà a Durkheim per quanto riguarda il carattere continuo dell’evoluzione del bambino e delle rappresentazioni sociali; Vygotskij invece condivide l’idea di Lévy-Bruhl, secondo il quale entrambi i processi di evoluzione sono discontinui. Cap. 2 – La teoria delle rappresentazioni sociali di Serge Moscovici. 1 paragrafo: nascita della teoria Le intuizioni di Derkheim e Levy-Bruhl e le interpretazioni di Freud e Piaget, hanno costituito la piattaforma dalla quale partire per costruire una psicologia sciale delle rappresentazioni. Moscovici a partire dalla seconda metà del ‘900 si interrogava sulla natura dei fenomeni psicosociali, in particolare del senso comune che ha il pregio di possedere tutte le caratteristiche di un fenomeno psicosociale: 1. è definito indipendentemente dalla scienza (universo consensuale); 2. esiste e si trasmette in maniera collettiva; 3. non può essere modificato dagli individui se non servendosene. Secondo Moscovici si era venuta a creare una frattura tra scienza empirica e scienza popolare. Egli decise di indagare su come una teoria scientifica relativamente nuova e molto discussa che spiegava il comportamento umano: la psicoanalisi, potesse trasformarsi in qualcosa di familiare per la gente,entrando a far parte del senso comune, in altre parole come si potesse passare dalla teoria alla rappresentazione sociale, dall’universo reificato all’universo consensuale. L’universo reificato è basato sulla causalità scientifica, in cui l’effetto è spiegato in maniera retrospettiva, cioè si osserva un evento e poi si cerca di spiegarlo alla luce di modelli teorici condivisi dalla comunità scientifica. L’universo consensuale invece è basato sulla causalità sociale: si attribuiscono le cause dei fenomeni sempre in maniera retrospettiva, ma sulla base delle rappresentazioni sociali. In questo contesto ognuno agisce come scienziato naif e si sente competente alla pari degli altri. Il mezzo di accesso e di comprensione degli universi reificati è la scienza; il mezzo di accesso e di comprensione degli universi consensuali sono le rappresentazioni sociali.

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2 paragrafo: Definizioni del costrutto: la rappresentazione sociale è caratterizzata da: - vitalità (riesce a imporsi come concetto innovatore della psicologia sociale); - trasversalità (può interessare tutte le scienze umane); - complessità (veicola un gran numero di significati e i suoi contenuti – valori, nozioni, pratiche – sono organizzati in un sistema). Cos’è la rappresentazione sociale? è un sistema di riferimento, una griglia di lettura della realtà. Essa ci consente di affrontare le situazioni nuove, di classificare gli stimoli poco familiari, di prendere decisioni e di regolare la comunicazione. Dove si trova? Per Moscovici ovunque: delle rappresentazioni sociali sono impregnate le nostre relazioni, le nostre conoscenze, i prodotti del nostro lavoro. Per Jodelet le rappresentazioni sociali intervengono in tutti i tipi di interazione: interiorizzazione delle esperienze, delle norme, diffusione delle conoscenze, appartenenza di gruppo… Ciò che qualifica una rappresentazione come “sociale” è la negoziazione (Codol e Leyens 1982) e il fatto che sono state prodotte collettivamente (Moliner 2001). La realtà attraverso la rappresentazione sociale è ri-costruita (Moscovici 1976). Si parte sempre da un fenomeno percepito come rilevante, che è stato già elaborato in altra sede, mai dai dati grezzi. La rappresentazione sociale è assimilabile alla rappresentazione teatrale, per la sua funzione di rendere più vicino, meno minaccioso ciò che viene percepito come sfuggente, come invisibile (es. la morte, la gelosia, il dolore…). Doise mette in guardia sul fatto che una rappresentazione sociale non è definibile solo in termini di consenso, poiché non sempre è espressione di un unico punto di vista condiviso da tutti (lo è solo quando diventa stereotipo). Inoltre egli afferma che le rappresentazioni sociali sono principi relazionali che strutturano i rapporti simbolici tra individui o gruppi, sono prese di posizione che possono assumere la forma di opinioni, atteggiamenti o stereotipi a seconda della situazione. Moscovici distingue tre classi di rappresentazioni sociali: - rappresentazioni sociali chiuse (sono uguali in tutta la popolazione); - rappresentazioni sociali agonali o critiche (gli elementi sono gli stessi, ma dotati di differente significato); - rappresentazioni sociali aperte (gli elementi sono distribuiti tra le diverse categorie della popolazione). Egli le classifica anche in base ai tre modi in cui vengono condivise: - rappresentazioni sociali egemoniche (uniformi, coercitive, statiche)condivise da tutti i membri di un gruppo altamente strutturato, ad esempio un partito politico, senza che senza che esse siano state prodotte dal gruppo in oggetto. - rappresentazioni sociali emancipate (appartengono a sottogruppi, sono il risultato della circolazione di conoscenze e idee, ciascun sottogruppo si crea la propria versione) posseggono un certo grado di autonomia rispetto a segmenti della società che sono in interazione tra loro. - rappresentazioni sociali polemiche (sono oggetto di conflitto, non sono condivise da

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tutti, sono mutuamente esclusive).esse sono determinate da relazioni antagoniste tra i gruppi e si pongono come mutualmente esclusive. Infine le analizza secondo tre dimensioni: - informazione (quantità e qualità delle conoscenze possedute sull’oggetto della rappresentazione sociale); - campo della rappresentazione (organizzazione del contenuto);presuppone un minimo di informazione all’interno del quale vengono poi organizzate le altre informazioni. - atteggiamento (orientamento positivo o negativo verso l’oggetto della rappresentazione sociale, è la parte più arcaica perché esiste già da prima che si formasse la rappresentazione sociale di quell’oggetto). Il contenuto di una rappresentazione può essere così distinto in cognizioni descrittive, che definiscono un oggetto, e cognizioni valutative, fonti di giudizi sulle qualità dell’oggetto (Seca 2001). 3 paragrafo processi e funzioni La rappresentazione sociale designa sia il processo (aspetto costituente) che il prodotto (aspetto costituito). Processo: sia di formazione della rappresentazione stessa, sia di orientamento dei comportamenti, sulla base della rappresentazione sociale già formata. Prodotto: sistema di riferimento che interviene attivamente sul pensiero. Questa distinzione è considerata alquanto artificiosa e ha portato gli studiosi ad occuparsi solo dell’aspetto costituente, quindi del processo, per molti anni. Oggi invece si è capito che anche il contenuto della rappresentazione sociale (aspetto costituito) ha la sua importanza per comprenderne la natura. Attraverso quali attività cognitive si forma una rappresentazione sociale? Una distinzione iniziale va fatta fra: - Capacità di apprendere (immagazzinare e ordinare le conoscenze raccolte attraverso i sensi) - Capacità di rappresentare (riproduzione per sostituzione delle conoscenze attinte dall’ambiente: realtà fisica e altri individui). Da un punto di vista cognitivo, noi apprendiamo solo quello che siamo in grado di rappresentarci e questo comporta una distinzione tra:

- Processi Informativi (organizzazione dei dati) e trasformativi (rielaborazione);

Il pensiero informativo è dominato dal “come”, quello trasfrmativo dal “perché” In genere le rappresentazioni sociali sono processi trasformativi. All’interno dei processi trasformativi (o generativi di una rappresentazione sociale) distinguiamo: - processi esterni (descrivono i cambiamenti che la teoria subisce per diventare rappresentazioni sociali): � personificazione (la teoria viene associata all’individuo che l’ha formulata); � figurazione (sostituzione dei concetti con immagini); � ontologizzazione (conferire materialità alla nozione astratta).

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- processi interni (descrivono il passaggio dal pensiero informativo al pensiero rappresentativo, cioè come le rappresentazioni sociali assumono il ruolo di teorie che permettono agli individui di classificare e spiegare i fenomeni): � ancoraggio (ancorare idee insolite a categorie familiari); � oggettivazione (trasformare ciò che è astratto in qualcosa di concreto). Vediamo meglio ancoraggio e oggettivazione: Ancoraggio: le informazioni nuove vengono interpretate alla luce di campi di conoscenza pregressi, che fungono da quadri di riferimento e permettono anche di individuare il possibile utilizzo di quelle informazioni nel proprio interesse (strumentalizzazione). Classificazione e denominazione sono implicate in questo processo. Oggettivazione: le informazioni e i concetti non familiari vengono avvicinati alla realtà, attraverso la loro traduzione in immagini concrete. L’oggettivazione prevede varie fasi: - costruzione selettiva (le nozioni vengono separate dal loro campo di appartenenza, filtrate e selezionate in base alle esigenze del gruppo); - schematizzazione strutturante (gli elementi vengono organizzati in un nucleo figurativo, v. cap.3); - naturalizzazione (gli elementi dello schema divengono concreti, visibili). In tal modo abbiamo l’impressione di conoscere quell’oggetto grazie alla nostra esperienza diretta. Attraverso l’oggettivazione ciò che è frutto di una costruzione intellettuale, a tavolino, ci sembra reale; non ha più importanza chi abbia elaborato quella costruzione intellettuale poiché ormai è passata dallo “stato di cultura” allo “stato di natura” e fa parte di ciò che consideriamo il nostro vissuto quotidiano. Purkhardt ha messo in evidenza cinque funzioni fondamentali delle rappresentazioni sociali: 1. le rappresentazioni sociali costruiscono e danno forma alla realtà determinano il senso e il significato degli oggetti e degli eventi ( come scegliere le cause, cosa deve essere spiegato, cosa è una spiegazione, cosa considerare causa e cosa un effetto) 2. le rappresentazioni sociali consentono la comunicazione e l’interazione sociale guidano le azioni degli individui e dei gruppi, rendendole comprensibili a tutti.(quando non condivise, quindi, possono dar luogo a fraintendimenti; inoltre non sono solo le rappresentazioni sociali che determinano la comunicazione e l’interazione, ma anche l’inverso) 3. le rappresentazioni sociali demarcano e consolidano i gruppi le relazioni tra rappresentazioni sociali e azioni sociali influenzano la nostra comprensione dei gruppi. Esse formano un environment of thought utile alla comunicazione e all’interazione intra e inter gruppo. Le rappresentazioni sociali quindi sono radicate nella vita del gruppo perché costruite in accordo con gli scopi del gruppo.

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4. le rappresentazioni sociali dirigono la socializzazione le modalità possiamo meglio comprenderle se iste all’interno del processo di socializzazione del bambino.(ruoli sociali, significati attribuiti ai comportamenti, tradizioni). 5. le rappresentazioni sociali rendono familiare il non familiare quando entriamo in un nuovo gruppo, in una nuova cultura, ma anche quando ci troviamo di fronte ad un nuovo oggetto, evento o concetto:le rappresentazioni sociali ci permettono di rendere meno minaccioso ciò che è nuovo ed estraneo. Il non familiare diventa familiare attraverso le conversazioni e le interazioni tra i membri del gruppo diventando parte della nostra realtà sociale e quindi comprensibile. Cap. 3 – La struttura dinamica delle rappresentazioni sociali. 1 paragrafo: Nucleo centrale e schemi periferici L’idea di centralità o di nucleo è un concetto tradizionalmente presente in psicologia sociale (fu usato già da Heider nel 1927 per designare il centro della “trama causale del mondo” nei fenomeni di percezione sociale). Anche Asch sosteneva l’idea di un’organizzazione centralizzata. Solo nel 1961 tuttavia Moscovici introdusse la nozione di nucleo figurativo. La costituzione del nucleo figurativo avviene durante la fase dell’oggettivazione (e precisamente nelle sottofasi di costruzione selettiva e schematizzazione strutturante), in cui vengono selezionati alcuni elementi dell’oggetto della rappresentazione sociale e vengono separati dal contesto di origine. Questo processo permette l’integrazione di quegli elementi nel sistema di valori e di norme del gruppo. I ricercatori che hanno approfondito maggiormente questo concetto furono Abric e Flament. Essi andarono oltre la funzione genetica teorizzata da Moscovici; secondo loro il nucleo non era una specie di rappresentazione in fase embrionale, ma diventava una parte costitutiva della stessa rappresentazione “adulta”, la più importante in quanto ne determina i significati e la struttura. Diedero a questo elemento il nome di nucleo centrale. Esso è da intendersi come un sottoinsieme della rappresentazione, formato da elementi qualitativamente importanti, perché conferiscono senso alla rappresentazione e possono influire sul significato degli altri elementi. Riassumendo, per Abric e Flament il nucleo centrale ha due funzioni e una proprietà: - funzione generatrice: il nucleo centrale crea o trasforma il significato degli altri elementi della rappresentazione sociale; - funzione organizzatrice: il nucleo centrale determina la natura delle relazioni tra gli elementi, è il collante che li tiene insieme. Proprietà essenziale del nucleo centrale è la stabilità, infatti è formato solo dagli elementi più stabili della rappresentazione sociale Altre proprietà del nucleo centrale (approfondite da Moliner, 1994): - valore simbolico: la relazione che c’è tra gli elementi del nucleo centrale e l’oggetto rappresentato è di natura simbolica, vale a dire che l’evocazione di questi elementi rimanda immediatamente all’oggetto. Es.: “lavoro” e “salario”. - Potere associativo: la relazione che c’è tra i diversi elementi del nucleo centrale è

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determinata dalla combinazione e interazione dei loro rispettivi significati; in particolare i diversi elementi, posti in quel particolare nucleo centrale e dunque all’interno di una particolare rete associativa, assumono solo alcuni dei significati possibili e non altri. Questa proprietà deriva dal fatto che gli elementi del nucleo centrale hanno un ruolo catalizzatore nella fase di emergenza della rappresentazione. Essi esercitano la propria influenza anche su altri elementi al di fuori del nucleo. Esempio di Moliner: i termini “comunicazione” e “relazione” assumono un significato particolare se associati all’elemento centrale “gerarchia”. Alla luce di queste proprietà possiamo dire che le funzioni principali del nucleo centrale sono la gestione delle relazioni tra i differenti elementi della rappresentazione sociale e l’assicurazione della sua coerenza. Gli elementi periferici: rappresentano quantitativamente la maggior parte del contenuto della rappresentazione sociale, e anche la parte più accessibile. Sono in relazione diretta con il nucleo centrale, ne costituiscono l’interfaccia con il mondo reale. Si possono considerare come degli “schemi”. Sono meno stabili di quelli centrali, permettono un’appropriazione più individuale della rappresentazione perché permettono al soggetto di trovare delle varianti personali, che però non arrivano a mettere in discussione alcun elemento del nucleo centrale. Per Flament gli elementi periferici hanno tre funzioni: - prescrivono comportamenti e prese di posizione (stabiliscono ciò che è normale e desiderabile); - consentono una personalizzazione della rappresentazione e dei comportamenti a essa collegati; - proteggono il nucleo centrale dagli attacchi degli elementi innovatori, fanno da “scudo” o da “strato protettivo”; se vogliamo modificare gli elementi del nucleo centrale della rappresentazione sociale, e quindi alterare la sua struttura, dobbiamo prima intaccare gli elementi periferici. Altre due funzioni, aggiunte da Bonardi e Roussiau: - funzione di regolazione (principi di economia cognitiva grazie ai quali si eliminano le discrepanze tra nuove informazioni e parametri interni alla rappresentazione); - funzione di concretizzazione (la rappresentazione sociale aderisce alla situazione concreta grazie agli elementi periferici). Perché diciamo che gli elementi periferici sono degli “schemi”? Perché forniscono scorciatoie mentali, indicazioni su come comportarsi, su come di prendere decisioni rapidamente in situazioni di ambiguità. Di fronte a informazioni contraddittorie, questi schemi si possono trasformare per preservare il nucleo centrale. Tale flessibilità ha il duplice vantaggio di difendere il nucleo centrale e di integrare informazioni nuove nella rappresentazione sociale in maniera indolore. La rappresentazione quindi, grazie ai suoi elementi periferici, funziona in maniera economica, senza dover stare ogni volta ad analizzare e valutare ogni dettaglio della situazione reale in rapporto agli elementi più astratti del nucleo centrale. Possiamo considerare quindi all’interno della rappresentazione sociale due sistemi specifici ma complementari:

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- il sistema centrale, direttamente associato ai valori e alle norme e legato alle condizioni culturali e storiche; - il sistema periferico, legato al contesto contingente e immediato nel quale si trovano gli individui. L’ipotesi della zona muta, proposta dalla scuola di Aix-en-Provence e al centro degli ultimi sviluppi teorici dell’approccio strutturale (Abric 2003), si fonda su un dubbio emerso durante le ricerche sulle rappresentazioni sociali, e cioè: le persone che interroghiamo ci dicono veramente ciò che pensano? Secondo l’ipotesi in questione, esiste una zona muta che raccoglie tutti quegli elementi della rappresentazione che hanno un carattere contro-normativo; un sottoinsieme specifico di cognizioni o credenze che potrebbero mettere in discussione i valori condivisi dal gruppo. Normalmente non sono disponibili, anche se potrebbero emergere in alcune situazioni particolari. Gli elementi della zona muta rientrano nella definizione di “schemi dormienti” (Guimelli 1998). Bisogna distinguere però gli elementi “non esprimibili”, che sono quelli che fanno parte della zona muta, da un’altra categoria di “schemi dormienti” all’interno del nucleo centrale della rappresentazione, che sono quelli semplicemente “inattivi” in determinate situazioni. 2 paragrafo Genesi, Dinamica, e Trasformazione Genesi della rappresentazione: Moscovici (1961) prevedeva tre condizioni che determinano la nascita di una rappresentazione sociale: 1. dispersione dell’informazione, in cui i conoscenze indirette e frammentarie si costituiscono in saperi frammentari che possono essere anche molto distorti dall’originario oggetto di conoscenza; 2. focalizzazione, per cui il gruppo sociale seleziona gli elementi che lo interessano; 3. pressione all’inferenza, per cui gli individui, spinti dalla necessità di comunicare e di agire, colmano, anche in maniera approssimativa ed arbitraria, le loro lacune. Oltre alle condizioni, Moliner propone di individuare anche le caratteristiche che un oggetto deve avere per divenire oggetto di rappresentazione sociale: 1. deve essere polimorfo e rilevante; 2. deve essere materia di interazione e comunicazione tra le persone; 3. deve essere importante per i membri del gruppo; 4. deve essere sempre inserito in una dinamica sociale tra più gruppi; 5. deve sfuggire alle istanze forti di controllo e regolazione presenti nella società. Naturalmente queste caratteristiche sono state e sono ancora oggetto di discussione nel mondo della psicologia sociale. Infatti Abric propone altri requisiti che un oggetto deve possedere per costituire oggetto di rappresentazione sociale: 1. deve avere una forte rilevanza sociale; 2. deve costituire oggetto di scambio e interazione;

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3. deve essere in relazione con altri oggetti sociali; 4. deve riferirsi a norme o valori sociali. (Penso che queste due classificazioni si commentino da sé). Dinamica delle rappresentazioni sociali: il tema è stato poco trattato in passato per problemi sia teorici che metodologici. Infatti dal punto di vista teorico mancava una teoria che definisse in modo globale e soddisfacente lo stato di stabilità di una rappresentazione. Dal punto di vista metodologico si sarebbero dovuti fare degli studi longitudinali molto costosi e, tra l’altro, non era neanche detto che la rappresentazione che si era deciso di studiare subisse delle trasformazioni nel tempo. Oggi a fornire una teoria per descrivere lo stato di stabilità di una rappresentazione ci ha pensato Abric; inoltre i ricercatori, stando a quanto si evince da questo libro, sembrano essersi accorti improvvisamente che è un fatto indiscutibile che tutte le rappresentazioni sociali siano in continua evoluzione. L’evoluzione di una rappresentazione sociale può avvenire in differenti modi; tuttavia il caso tipico prevede tre fasi: - fase dell’emergenza, in cui un oggetto nuovo e problematico appare e, attraverso un processo che può essere anche molto lungo, porta infine alla formazione di saperi stabili e consensuali. - Fase della stabilità, in cui la rappresentazione è divenuta un sapere consensuale all’interno del nucleo e trova applicazione almeno ad un dato aspetto dell’ambiente sociale di gruppo. La rappresentazione in sé può subire lente modificazioni a livello degli elementi periferici, in relazione all’evoluzione della società, ma finché non viene intaccato il suo nucleo centrale si rimane nella condizione della stabilità. - Fase di trasformazione, in cui la rappresentazione comincia ad essere inadeguata, e non è più sufficiente un aggiustamento periferico perché possa continuare a funzionare. È necessaria una trasformazione a livello del nucleo centrale. 3 paragrafo – rappresentazioni e pratiche sociali Flament sottolinea il fatto che delle trasformazioni delle rappresentazioni sociali si trova traccia solo indirettamente, attraverso la trasformazione delle pratiche sociali. Rappresentazioni e pratiche sociali sono in rapporto di reciproca influenza. Non è detto però che alla rappresentazione sociale di un certo tipo corrisponda una pratica sociale che vada nella stessa direzione. Ad esempio posso credere nella fratellanza tra i popoli e poi mettere in atto comportamenti di segregazione o esclusione. Ma cosa si intende per pratiche sociali? Abric le definisce come sistemi complessi di azioni socialmente investite e sottomesse a interessi determinati storicamente. Come le pratiche sociali possono determinare delle trasformazioni all’interno delle rappresentazioni sociali? Innanzitutto bisogna dire, anche se può sembrare superfluo, che ciò accade solo quando le pratiche contraddicono le rappresentazioni e appaiono come irreversibili, quindi non possono essere circoscritte alla periferia della rappresentazione. Flament sostiene che le trasformazioni possibili

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sono: 1. trasformazioni progressive, quando le pratiche contraddittorie sono antiche, ben sedimentate e quindi alla fine vengono accettate all’interno della rappresentazione sociale; 2. trasformazioni resistenti, quando c’è una contraddizione esplicita tra pratiche e rappresentazioni e, all’interno della rappresentazione, si elaborano degli “schemi estranei” che appunto definiscono quelle pratiche come estranee, ma in qualche modo le razionalizzano e permettono di sopportare la contraddizione per un certo tempo; 3. trasformazioni brusche, quando il nucleo centrale subisce un attacco diretto da parte di nuove pratiche definitive e irreversibili (caso raro). Infine dobbiamo chiederci quali circostanze si devono creare nell’ambiente sociale per determinare tali trasformazioni: 1. circostanze di emissione di nuove pratiche: fanno appello a meccanismi di mantenimento della coerenza, per cui le nuove pratiche mettono in discussione le rappresentazioni sociali, con conseguente ristrutturazione delle stesse. 2. persistenza delle circostanze: quanto più le nuove pratiche sono percepite come definitive e irreversibili, tanto più le modifiche della rappresentazione arriveranno al nucleo centrale; 3. buone ragioni: l’individuo considera le buone ragioni, situate più o meno all’interno o all’esterno del campo della rappresentazione (a seconda del tipo di trasformazione: progressiva, resistente o brusca) e le utilizza per ristrutturare le rappresentazioni sociali esattamente come accade per gli atteggiamenti individuali nei casi di dissonanza cognitiva. Capitolo 4 – La psicologia sociale e le rappresentazioni sociali 1 paragrafo- opinioni, atteggiamenti e rappresentazioni Che cos’è l’opinione? Palmonari, Cavazza e Rubini la definiscono “un’asserzione valutativa su una questione controversa che presenta caratteri di instabilità, plasticità e specificità”. Le opinioni possono essere classificate, secondo Allport e Stoetzel, secondo alcuni criteri: un continuum orientato; una regola istituzionale ed esterna. Questi criteri sono particolarmente utili per capire il significato che un’opinione riveste all’interno di un gruppo. Moscovici distingue a questo proposito tre tipi di opinioni: - opinione comune: le si può contrapporre solo un’alternativa condivisa da una larga maggioranza; - opinione diffusa: non vi è predominanza di una opinione sulle altre; - opinione polarizzata: due opinioni costituiscono altrettanti punti di convergenza che possono portare ad una divisione del gruppo.

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Rispetto all’esistenza di una norma istituzionalizzata, l’opinione si distingue facilmente nell’ambito della dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata. Rispetto invece alla non esistenza di una simile norma, l’opinione si classifica nel modo descritto poco sopra, in rapporto a un determinato gruppo. Le opinioni sono instabili e poco strutturate. Si collocano lungo un continuum, cioè all’interno di un processo di evoluzione. Una prima linea di demarcazione tra opinioni e atteggiamenti è che le opinioni sono delle risposte semplici e manifeste, mentre gli atteggiamenti sono risposte organizzate e latenti. Gli atteggiamenti si definiscono infatti per i seguenti aspetti: 1. carattere organizzato (coerenza e consistenza) degli elementi che contribuiscono a determinare il comportamento; 2. invarianza di una parte del comportamento; 3. cambiamenti dovuti a una relazione particolare tra stimolo e risposta: facilitazione, ritardo, perseverazione ecc. 4. esistenza d un orientamento alla chiusura (tendenza a completare un’attività) secondo una precisa intenzione e un’aspettativa. 5. presenza di processi intellettuali che non indicano propriamente dei contenuti ma direzioni e significati. Il termine atteggiamento fu introdotto da Znaniecki (1918) e da allora la sua definizione subì numerose elaborazioni. Le tre componenti fondamentali dell’atteggiamento sono: - componente cognitiva (credenze) cioè i pensieri, le idee relative all’oggetto dell’atteggiamento. Queste credenze( opinioni, convinzioni in relazione all’oggetto dell’atteggiaento) possono avere diversi gradi di positività/negatività. Lo stesso argomento se si valuta positivamente si avrà una credenza positiva se invece lo si valuta negativamente si avrà una credenza negativa. - componente affettiva (sentimenti) cioè comprende i sentimenti, gli stati d’animo, le emozioni e le reazioni del sistema nervoso autonomo che la persona prova in relazione all’oggetto dell’atteggiamento. Anche questi elementi affettivi possono variare da un massimo di positività ad un massimo di negatività. - componente comportamentale comportamenti espliciti e intenzioni di comportamento non ancora espliciti nei confronti dell’oggetto. Anche le risposte comportamentali possono variare da un massimo di positività ad un massimo di negatività. Secondo le teorie della consistenza ogni azione trae origine da un atteggiamento. In realtà la predittività del comportamento in base a un atteggiamento è un tema alquanto controverso (v. ad esempio la teoria dell’azione ragionata). Differenza tra atteggiamento e rappresentazione sociale: Jaspars e Fraser sostengono che l’elemento distintivo delle rappresentazioni sociali è che queste sono condivise da numerosi individui all’interno di una realtà sociale. L’atteggiamento invece riguarda più l’individuo.

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Ivana Markova (1998) sostiene che per avere un atteggiamento verso un oggetto occorre prima averne una rappresentazione. Rappresentazione e atteggiamento sono interdipendenti, infatti la rappresentazione influenza l’atteggiamento verso un oggetto, e l’atteggiamento influenza il modo in cui si costituisce la rappresentazione. Secondo Moscovici però occorre precisare che: - la rappresentazione è una forma di conoscenza di un oggetto, mentre l’atteggiamento è un insieme di credenze con connotazione negativa o positiva su quell’oggetto; - la relazione tra atteggiamento ed oggetto è binaria (soggettività/oggettività), mentre nella rappresentazione sociale c’è una relazione ternaria tra: rappresentazione sociale, rappresentazione individuale e oggetto. 2 paragrafo - Attributi e rappresentazioni. La nostra vita è piena di avvenimenti ai quali vogliamo dare una spiegazione e trovare un senso alle esperienze che viviamo e raramente ci accontentiamo delle mere descrizioni degli eventi. Preferiamo le interpretazioni ingenue ma esistono anche delle situazioni che richiedono una elaborazione più accurata. Questo bisogno di spiegare gli eventi sociali coincide cn lo scopo fondamentale dei prcessi di attribuzione causale. La prima teoria sull’ attribuzione della causalità si deve a Heider e dopo Heider questa concezione ha assunto diverse sfaccettature a secondo dei diversi orientamenti. La teoria dell’equilibrio di Heider e la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger condividono una concezione dell’individuo come ricercatore di coerenza. Quando tale coerenza viene a mancare il soggetto avverte una sensazione di disagio che deve cercare di estinguere. Questa concezione dell’uomo come essere razionale alla ricerca di coerenza entra in crisi negli anni ’70, quando gli psicologi focalizzano la loro attenzione sulle modalità con cui gli individui elaborano le informazioni provenienti dal mondo sociale e categorizzano la realtà. Si affermano allora le teorie dell’attribuzione (trent’anni dopo la prima formulazione di Heider nel 1944) e le teorie implicite di personalità. Alla base di queste teorie non c’è più il modello di uomo ricercatore di coerenza ma lo scienziato ingenuo, che cerca di prevedere i comportamenti umani e le situazioni sulla base di concetti ingenui, idee fisse, pregiudizi. Lo scienziato ingenuo di Heider è un po’ una chimera perché incarna l’uomo assolutamente medio. Ben diverso è lo scienziato naïf di Moscovici che invece è il “profano” del sapere scientifico, che agisce in qualità di produttore di conoscenza, guidato da un interesse di volta in volta diverso ed influenzato anche dalle relazioni interpersonali. Hewstone ritiene che vi siano due modalità secondo cui l’individuo può inferire le cause del comportamento altrui: - la prima modalità, che è quella postulata dalla teoria delle attribuzioni , è denominata elaborazione diretta delle nuove informazioni e fa riferimento all’osservazione diretta delle relazioni tra due oggetti o eventi;

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- la seconda modalità, ispirata invece alla teoria delle rappresentazioni sociali, è denominata elaborazione socializzata e chiama in causa l’elaborazione condivisa con gli altri attraverso la comunicazione. L’elaborazione socializzata corrisponde al senso comune e, secondo Moscovici e Hewstone, può presentarsi in due forme: conoscenza di prima mano, prodotta spontaneamente da un gruppo, e conoscenza di seconda mano, costruita a partire da teorie scientifiche. 3 paragrafo Prototipi, pregiudizi e rappresentazioni: La nozione di “schema” è di derivazione cognitivista. Il cognitivismo ha ridotto lo studio delle rappresentazioni sociali andando a indagare come la mente umana semplifichi la complessità del mondo sociale e naturale, senza occuparsi dell’aspetto simbolico sociale delle rappresentazioni. Secondo Amerio è possibile individuare tre tipi di schemi: - schemi di persona, basati su tratti prototipici o su tratti specifici di determinati individui; - schemi di ruolo, basati sui ruoli sociali (professionali, relazionali…); - schemi di eventi (copioni o script). Secondo Moscovici gli script sono di matrice comportamentista e falliscono quando la situazione devia dallo schema standard, perché l’individuo non sa più come comportarsi. Invece le rappresentazioni sociali prendono il posto della situazione, la ridefiniscono alla luce di preconcezioni, immagini e valori, sono come teorie che si applicano al caso singolo. Possiamo dire con Zamperini e Testoni che le rappresentazioni sociali possono essere collocate ad un macrolivello, perché abbracciano credenze collettive e valori culturali; invece gli schemi rappresentano il microlivello. Il prototipo è definito come “un insieme astratto di caratteristiche comuni associate ai membri di una categoria ponderate in base al grado di associazione con una categoria”. Il modello del prototipo postula due principi di base per la formazione delle categorie: - principio di economia cognitiva, per il quale si cerca di reperire la quantità massima di informazione con il minimo sforzo; - principio correlazionale, per il quale gli eventi non hanno tutti un’uguale probabilità di presentarsi. Anche le rappresentazioni sociali si basano su principi simili, ma il modello del prototipo pone l’enfasi su come avvengono i processi di categorizzazione all’interno degli individui, mentre la teoria delle rappresentazioni sociali afferma che la categorizzazione non è riducibile a un processo individuale e chiama in causa il gruppo sociale. I processi di categorizzazione e prototipizzazione sono alla base della formazione dei pregiudizi. Possiamo distinguere: - pregiudizi ideologici, che implicano una precomprensione dell’oggetto, un’anticipazione di giudizio, che fa parte della normale attività conoscitiva perché non è possibile giudicare senza pregiudicare;

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- pregiudizi categorici, che invece implicano la propensione a esprimere giudizi affrettati basati su stereotipi radicati nella tradizione. Queste due forme di pregiudizio non hanno nulla in comune. Gli stereotipi si presentano invece come immagini mentali stabili, preconfezionati, di natura marcatamente sociale in quanto acquistano valore in rapporto alla mentalità collettiva che li ha originati. Fungono da scorciatoie mentali che si applicano ad ambiti diversi, e partecipano largamente alla formazione delle rappresentazioni sociali, specialmente in quelle che giustificano l’esclusione sociale. Il rapporto tra le rappresentazioni sociali e queste forme automatiche di pensiero è molto complesso da definire; la teoria delle rappresentazioni sociali contrappone la loro natura dinamica alla natura statica propria di stereotipi e pregiudizi. In questo tal teoria si differenzia dalla social cognition, per la quale le rappresentazioni sociali sono entità statiche che fanno parte dell’organizzazione cognitiva, come modalità di comprensione di un oggetto. Invece per Moscovici la rappresentazione sociale ha la particolare funzione di rendere familiare il non familiare, dunque è investita di ulteriori significati (prospettiva psicosociale). Cap. 5 – Comunicazione e rappresentazioni sociali. Per Moscovici la comunicazione gioca un ruolo essenziale nella formazione delle rappresentazioni sociali. Per questo egli ha voluto chiarire quali processi psicologici intervengono nei rapporti di comunicazione, in quali condizioni si producono e si trasformano i fenomeni di comunicazione e in che modo questi due aspetti entrano in relazione. Moliner a questo proposito ricorda come i processi di ancoraggio e oggettivazione di per sé non sono sufficienti a spiegare la genesi delle rappresentazioni sociali; bisogna tener conto anche del tipo di comunicazione attraverso la quale questi processi sono avvenuti, cioè con che modalità le persone hanno messo in comune i loro saperi. A tale scopo individua quattro diverse forme di comunicazione collettiva: - comunicazioni interpersonali: sono informali, si sviluppano in contesti di sociabilità e avvengono in tempo reale. Sono il luogo privilegiato del pettegolezzo e dell’approssimazione. - Dibattito pubblico: c’è un mediatore non direttamente partecipante e ci sono diversi soggetti che tendono ad estremizzare le proprie posizioni e a rappresentare un gruppo. - Comunicazioni culturali: sono le produzioni cinematografiche, letterarie, teatrali etc. Hanno larga diffusione nel pubblico, possono rappresentare fatti reali o di fantasia, e in genere riflettono i valori e le aspettative del pubblico. - Stampa: è presente un contratto che lega la fonte d’informazione alla sua audience. Sulla base di questo contratto il pubblico dei lettori tende a credere a ciò che legge sui giornali proprio perché sta sui giornali e non perché sanno se quel fatto è vero o meno; anche quando l’atteggiamento del lettore è critico, e anche quando arrivano delle smentite, difficilmente si crede che un’informazione sia totalmente falsa.

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Per approfondire la natura delle relazioni tra fonte e audience, nella sua ricerca sulla psicoanalisi Moscovici distingue tre sistemi o modelli di comunicazione: la diffusione, la propagazione e la propaganda 1 paragrafo – la lgica della diffusione e le opinioni - il modello della Diffusione: la fonte d’informazione non ha un’intenzione dichiarata di modificare i comportamenti o gli atteggiamenti dei lettori; il contenuto della comunicazione è trattato in maniera tale da mantenere una distanza tra oggetto della comunicazione e emittente, in modo da dare l’impressione di disinteresse. I messaggi sono caratterizzati da discontinuità, approssimazione, frammentarietà, e autorizzano perciò interpretazioni personali. Il ricevente non è un gruppo ben definito e orientato, ma rappresenta invece un pubblico eterogeneo. Obiettivo: informare il pubblico (ciò non esclude che incidentalmente sia in grado di provocare dei comportamenti). Per Moscovici, la diffusione è caratterizzata da 8 tratti:

1. l’emittente non ha intenzioni particolari, ne orientamenti chiaramente definiti. 2. il ricevente non è un gruppo strutturato, né orientato nelle sue convinzioni. 3. sia l’emittente che il ricevente, nei messaggi, sono imprecisi. 4. i media di questo tipo tendono ad esprimere le idee del pubblico, la vox populi 5. c’è una certa distanza tra l’emittente e l’oggetto o contenuto o messaggio. 6. i messaggi stessi sono diffusi in maniera discontinua. 7. il rapporto “comunicazione dell’emittente/comportamenti” sarà sol occasionale

e fortuito. 8. la diffusione è efficace anche se la sua vocazione iniziale non è quella di

provocare determinati comportamenti. 2 paragrafo – la propagazione e gli atteggiamenti - Propagazione: la fonte veicola una serie di significati presentando l’oggetto della comunicazione sotto una luce particolare, rivolgendosi ad un gruppo che si riconosce in una determinata visione della realtà. Essa quindi colloca l’informazione all’interno di un sistema di riferimento e la presenta in funzione della coerenza con le norme di quel gruppo. Vuole rendere compatibile l’informazione con un certo sistema di valori. Obiettivo: far accettare al gruppo, mediante una pressione dolce ma decisa, una concezione di quell’oggetto che è già stata decisa da alcune persone e che è destinata a diventare la concezione di tutto il gruppo ed a influenzare i loro comportamenti, senza escludere del tutto la negoziazione e il dialogo. Moscovici riconosce alla propagazione, 4 tratti specifici:

1. il suo spazio di azione limitato ma diretto perché è un gruppo definito che viene interpellato dai messaggi.

2. deve integrare i messaggi e l’oggetto che i messaggi stessi mettono in evidenza.

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3. ha l’obiettivo di far accettare a tutto il gruppo una concezione dell’oggetto già stabilita da temo da alcuni membri del gruppo.

4. quindi aggiunge un surplus di senso al già esistente pronendo conoscenze che trovano una coerenza tra l’oggetto nuovo e ciò che è già esistente.

3 paragrafo – la propaganda e l’influenza degli stereotipi - Propaganda: la fonte si rivolge ad un ben definito gruppo di militanti; presenta un mondo semplificato e si avvale degli strumenti tipici della persuasione. Caratteristiche tipiche di questo sistema di comunicazione sono il rafforzamento o la ripetizione di credenze e stereotipi e l’incitazione all’azione. Obiettivo: favorire il conformismo e l’elaborazione strumentale dell’informazione in vista dell’azione, in un clima conflittuale in cui non c’è spazio per il dialogo: “o con noi o contro di noi”. Quindi la propaganda opera in un clima più conflittuale. Rouquette identifica tre obiettivi tecnici concernenti la propaganda:

1. inquadramento dei militanti e della massa più ampia degli individui debolmente coinvolti .

2. il rafforzamento o la ripetizione delle credenze e degli steretipi, oggetti della battaglia politica, o culturale.

3. l’incitazione all’azione. Cap. 6 – Cenni epistemologico-metodologici 1 paragrafo – differenti approcci e scuole di pensiero Oltre alla scuola di Aix-en-Provence le tesi di Moscovici hanno influenzato anche: - l’approccio genetico di Willem Doise; - l’approccio dialogico di Ivana Markova. Doise riprende la nozione di sistemi di comunicazione di Moscovici (diffusione, propagazione propaganda) e mette a fuoco il rapporto che esistente tra metasistema sociale e sistema cognitivo: un rapporto di regolazione. La mente infatti non funziona solo grazie a meccanismi cognitivi astratti, ma anche grazie ad un metasistema normativo che esercita un controllo su di essi. È questo rapporto di regolazione che, secondo Doise, dovrebbe essere al centro delle ricerche sulle rappresentazioni sociali. Ciò presuppone di considerare la relazione tra l’attore (individuo o gruppo) e il campo di rapporti sociali in cui è inserito in un dato momento. La definizione che Doise propone delle rappresentazioni è quella di “principi organizzatori dei processi simbolici e delle prese di posizione, legati ad inserzioni specifiche in un insieme di rapporti sociali”. Questi principi organizzatori costituirebbero la cerniera, il ponte fra processi cognitivi e dinamiche sociali. In questo quadro i riferimento lo studio delle rappresentazioni sociali per Doise deve seguire i seguenti principi:

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1. bisogna studiare l’oggettivazione, cioè quel processo che porta all’elaborazione di un nucleo figurativo condiviso, ma tenendo conto del fatto che non tutti i membri del gruppo assumeranno le stesse posizioni nei confronti dell’oggetto, pur condividendo lo stesso campo di conoscenze. 2. bisogna individuare i c.d. “principi organizzatori” per cogliere le diversità delle prese di posizione. Ciò è possibile attraverso la misurazione dell’atteggiamento e l’utilizzo dei risultati per determinare quale posizione hanno assunto i diversi membri del gruppo in relazione all’oggetto. 3. bisogna analizzare il processo di ancoraggio, che permette di evidenziare come i rapporti sociali, l’appartenenza a gruppi con diversi valori di riferimento, le ideologie influenzino la rappresentazione di un fenomeno. Markova sostiene invece che la teoria delle rappresentazioni sociali deve fondarsi su un’epistemologia di tipo dialogico; questo significa che essa deve porre l’accento su come gli individui ricostruiscono insieme (approccio co-costruttivista) l’oggetto di conoscenza. La conoscenza non è riducibile alla “cognition” legata ai soli meccanismi cerebrali (paradigma dell’elaborazione delle informazioni di matrice cognitivista); è invece legata alla co-costruzione sociale delle rappresentazioni. Secondo la Markova il processo dialogico di co-costruzione dei saperi sociali entra in gioco di fronte a fenomeni che presentano informazioni contraddittorie o molteplici e che interessano un determinato gruppo per ragioni affettive e storiche, implicando una presa di posizione. Il concetto di thèmata, introdotto da Holton e ripreso da Moscovici e Vignaux designa “insiemi di concezioni generali, di idee-forza profondamente ancorate nella memoria collettiva di un gruppo”. I thèmata includono gruppi di due o tre nozioni oppositive al loro interno, che sono all’origine di controversie sociali e differenziazioni interne al gruppo. I thèmata hanno un potere generativo e normativo nella genesi della rappresentazione. Sono, diciamo, le unità minime delle rappresentazioni sociali. Possono coincidere con delle credenze, con delle massime, con delle definizioni sociali o con delle categorie. Grazie alla nozione di thèmata la teoria delle rappresentazioni sociali ha potuto: - evidenziare l’origine dialogica delle rappresentazioni sociali; - individuare all’interno dei discorsi quotidiani quei contenuti del senso comune che possono generare rappresentazioni sociali. 2 paragrafo Strategie e tecniche di ricerca: la ricerca sulle rappresentazioni sociali implica una fase preliminare di tipo diagnostico in cui si individua l’obiettivo principale. Dal punto di vista dell’obiettivo si possono distinguere tre tipi di ricerca: - studi di tipo descrittivo (analisi della rappresentazione sociale); - studi di tipo interpretativo (analisi della situazione sociale); - studi di tipi comparativo (differenze tra rappresentazione sociale di gruppi diversi).

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Prima di iniziare a far ricerche a carattere descrittivo però dobbiamo essere sicuri che l’oggetto considerato sia davvero oggetto di rappresentazioni sociali; perciò Moliner fornisce i seguenti criteri: 1. specificità: l’oggetto deve essere importante per gli individui. È spesso polimorfo. 2. caratteristiche del gruppo: dobbiamo assicurarci che gli individui che formano il nostro campione costituiscano veramente un gruppo per quella rappresentazione sociale, cioè comunichino tra loro, anche in maniera indiretta, a proposito di quell’oggetto. 3. vantaggi per il gruppo: l’oggetto è in grado di procurare un tornaconto (identitario, legato alla coesione del gruppo…) 4. dinamica sociale: l’oggetto della rappresentazione sociale è oggetto di interazione fra più gruppi, i quali sentono il bisogno di appropriarsene per preservare la propria identità. 5. assenza di ortodossia: non deve esserci una definizione statica e certa dell’oggetto. In secondo luogo dobbiamo cercare di stabilire in quale fase si trova la rappresentazione sociale: - se è in fase di emergenza, ci si concentrerà sui fenomeni di ancoraggio; - se è in fase di stabilità si studierà in particolare la struttura rappresentazionale; - se è in fase di trasformazione ci si interesserà all’ampiezza dei cambiamenti. Negli studi di tipo interpretativo le rappresentazioni sociali sono considerate alla stregua di variabili indipendenti come cause di specifici eventi (prese di posizione, giudizi, comportamenti). Non tutti i fenomeni infatti si prestano ad essere spiegati attraverso questo modello, ma solo quelli in cui c’è una discrepanza tra i dati oggettivi di una situazione e le opinioni, gli atteggiamenti, i giudizi delle persone, attribuiti sulla base del loro ambiente sociale. Moliner a questo proposito ha proposto una procedura di analisi del contesto basata sui seguenti interrogativi: 1. qual è la situazione in cui i soggetti attivano la rappresentazione in questione? (situazione) 2. quali sono i protagonisti reali o simbolici presenti nella situazione? (attori) 3. qual è la causa o motivo di interazione? (oggetto) Negli studi di tipo comparativo infine si possono compiere 1) ricerche sulle differenze tra gruppi e 2) ricerche sull’ampiezza dei fenomeni di trasformazione. Le rappresentazioni in questo caso sono considerate come variabili dipendenti, influenzate da altri fattori. Si possono distinguere studi sincronici e studi diacronici. Gli studi sincronici sono condotti su diversi gruppi nello stesso momento, quelli diacronici sono studi longitudinali sugli stessi soggetti. È difficile trovare una metodologia specifica per lo studio delle rappresentazioni sociali Secondo Breakwell e Canter il concetto di metodo include tre aspetti: il processo di raccolta dei dati, le fonti dei dati, le tecniche di analisi dei dati.

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Il processo di raccolta dei dati può avvenire seguendo disegni sperimentali, quasi sperimentali (ricerche sul campo) e non sperimentali. La maggior parte degli autori ha optato per questi ultimi. Relativamente alle fonti dei dati possiamo distinguere: fonti primarie (interviste, associazioni libere, disegni…) e fonti secondarie (film, riviste, giornali). Le tecniche di analisi dei dati infine dipendono dalle tecniche di rilevazione: Tecniche di rilevazione Tecniche di analisi dei dati - Questionario Analisi fattoriali, correlazioni e regressioni multiple - Intervista in profondità Analisi del contenuto - Attribute check lists Analisi delle corrispondenze; multi-dimensional scaling - Differenziale semantico Statistiche descrittive monovariate; analisi delle corrispondenze. - Associazioni libere Analisi del contenuto, analisi delle corrispondenze, analisi dell’evocazione gerarchizzata, analisi delle similitudini. - Coppie appaiate Analisi delle corrispondenze, tri-deux, cluster analysis, multidimensional scaling. - Analisi della stampa Analisi del contenuto; analisi delle corrispondenze lessicali - Tecniche non verbali Analisi del contenuto. In genere si ritiene che un approccio multimetodo sia il più efficace. Conclusioni. Secondo Moscovici, le rappresentazioni sociali sono universi di opinioni propri di una determinata cultura, di una classe sociale o di un gruppo, relativi ad oggetti esistenti nell’ambiente circostante. A questa definizione altri studiosi hanno cercato di fornire integrazioni e distinzioni terminologiche più o meno utili. Secondo l’autrice di questo libro la distinzione tra opinione, informazione e credenza non è utile ai fini dello studio delle rappresentazioni sociali perché quando è in gioco un oggetto socialmente rilevante le persone tendono a far confusione tra la sfera delle prese di posizioni, della conoscenza e delle convinzioni. Una rappresentazione sociale dunque si configura come un insieme di credenze che possono assurgere a informazioni od opinioni e viceversa. Caratteristiche principali della rappresentazione sociale sono: 1. di essere organizzata in una struttura in cui i vari elementi sono in relazione tra loro, relazione stabilita dall’accordo dei diversi individui del gruppo. 2. di essere condivisa da uno stesso gruppo sociale; 3. di essere costruita collettivamente; 4. di essere socialmente utile per comprendere l’ambiente sociale.

• i processi di percezione interpersonale: manuale Aronson

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- formazione delle impressioni, - teorie implicite di personalità, - attribuzione causale.

CAPITOLO 4: LA PERCEZIONE SOCIALE: COME RIUSCIAMO A COMPRENDERE GLI ALTRI La comprensione del comportamento degli altri è ciò che contribuisce a farci capire e prevedere il nostro mondo sociale. Definizione di PERCEZIONE SOCIALE: Studio del modo in cui creiamo impressioni e formuliamo giudizi riguardo agli altri. I nostri giudizi sugli altri sono influenzati da tratti fisici. Attenzione è rivolta a ciò che gli individui dicono. La dote più caratteristica della specie umana è il linguaggio e il canale verbale della comunicazione riserva un numero eccezionale di informazioni. Non tutto si riduce a ciò che gli altri dicono. Una semplice frase può essere recitata in una grande varietà di modi, che vanno dall’arrabbiato al sarcastico. Esiste un’altra fonte di informazioni sulle persone: la COMUNICAZIONE NON VERBALE. Indica un ampio corpo di ricerche svolte su aspetti diversi della comunicazione senza parole: fra i canali più utilizzati e informativi figurano le espressioni del volto, il tono di voce, i gesti, le posizioni e i movimenti del corpo, l’uso del tatto e lo sguardo. Alcune forme di comunicazione non verbale possono assumere un potere di disturbo. ARGYLE Gli usi fondamentali del comportamento non verbale sono: 1. ESPRIMERE EMOZIONI 2. COMUNICARE ATTEGGIAMENTI, 3. COMUNICARE I PROPRI TRATTI DI PERSONALITA’ 4. FACILITARE LA COMUNICAZIONE VERBALE EKMAN Osservò che alcuni indizi non verbali ripetono o completano il messaggio verbale, mentre altri contraddicono le parole pronunciate. Darwin nel suo libro L’ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI NELL’UOMO E NEGLI ANIMALI, ipotizza l’universalità delle emozioni primarie trasmesse mediante il volto. Tutti gli esseri umani di ogni parte del mondo CODIFICANO emozioni allo stesso modo, e tutti gli esseri umani possono DECODIFICARLE con pari precisione. Darwin riteneva le forme non verbali della comunicazione proprie della specie e non della cultura. Nella sua teoria, le espressioni del volto erano ciò che restava di reazioni fisiologiche dotate di una loro utilità. Secondo lui, le espressioni facciali assunsero un significativo evolutivo: la capacità di comunicare quegli stati emotivi assumeva valore di sopravvivenza per la specie in evoluzione.

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La tesi darwiniana dell’universalità delle espressioni facciali rimane valida. Le principali forme di espressione delle emozioni sono 6: 1. RABBIA, 2. FELICITA’, 3. SORPRESA, 4. PAURA, 5. DISGUSTO, 6. TRISTEZZA Gli ultimi studi tentano di accertare se esistano, oltre alle 6 emozioni principali, altri stati emotivi che vengono comunicati con determinate espressioni facciali facilmente identificabili. La cultura influenza la scelta delle occasioni e delle modalità in cui manifestare le 6 emozioni principali. EKMAN & FRIESEN Osservano che le REGOLE DI ESIBIZIONE sono proprie di ciascuna cultura e regolano i generi di espressione emotiva che vanno mostrati. Esistono altri canali di comunicazione non verbale. Indizi potenti sono quelli manifestati dal contatto visivo e dallo sguardo. Un’altra forme di comunicazione non verbale è il modo in cui le persone impiegano lo spazio personale. Altro mezzo comunicativo sono i gesti delle mani e delle braccia. Definizione di EMBLEMI Gesti che dispongono di definizioni chiare e facilmente comprensibili. Non sono universali: ogni cultura ne crea di propri, che necessariamente non vengono compresi dagli appartenenti ad altre culture. La vita quotidiana si compone di interazioni sociali svolte utilizzando più canali. SOCIAL INTERPRETATION TASK Videocassetta composta da 20 scene di comportamento non verbale che si sono verificate realmente. I protagonisti sono persone reali impegnate in conversazioni autentiche. Le scene offrono allo spettatore una porzione di un’interazione reale. Le informazioni non verbali principali o diagnostiche vengono disseminate lungo ciascuna scena. Nel caso tipico non è un unico indizio significativo a segnalare la risposta giusta. Informazioni non verbali utili sono presenti in più canali, semplificando il compito dell’osservatore: se non riesce a cogliere il significato comportamentale dello sguardo, può considerare il tono di voce o un gesto insolito e formulare un giudizio preciso. Alcuni individui possiedono doti particolari nel decodificare con precisione gli indizi non verbali e altri denotano carenza. AKERT & PANTER Hanno preso in esame tratti della personalità per vedere se da essi si potesse prevedere chi riuscisse meglio a decodificare: alcune prove indicano che gli estroversi riescono meglio a decodificare gli indizi non verbali. ROSENTHAL & DEPAULO Scoprirono che le donne prendevano alla lettere le comunicazioni ingannevoli e credevano alle menzogne con maggiore probabilità

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rispetto agli uomini, i quali raccoglievano gli indizi non verbali e correttamente ne desumevano che l’individuo stava mentendo. Le donne sono più gentili degli uomini: pur possedendo questa capacità di decodificare gli indizi non verbali della bugia, le donne tendono ad accantonarla quando si imbattono in un inganno per mostrare gentilezza verso chi parla. EAGLY TEORIA DEL RUOLO SOCIALE La divisione del lavoro nella maggioranza delle società s svolge sulla base del sesso. Questa divisione del lavoro produce 2 conseguenze: 1. Sorgono delle aspettative sul ruolo dettate dal sesso, secondo cui i membri della società prevedono che ogni uomo e ogni donna possiedano degli attributi coerenti con il loro ruolo. 2. Uomini e donne sviluppano corredi differenti di abilità e di atteggiamenti che si fondano sui loro ruoli sessuali. La combinazione delle aspettative e delle capacità collegate al ruolo sessuale produce le differenze sessuali nel comportamento sociale. Possiamo apprendere molto sulle persone dal loro comportamento non verbale, compresi i loro atteggiamenti, le loro emozioni e i loro tratti di personalità. Il comportamento non verbale ci offre dei dati che noi usiamo per costruire le nostre impressioni o teorie generali sugli altri, sul loro aspetto o sulle ragioni delle loro azioni. Quando le persone non sono certe della natura del mondo sociale, impiegano degli schemi per riempire i vuoti. TEORIE IMPLICITE DI PERSONALITA’ Teorie che si compongono delle nostre idee su quali generi di tratti di personalità si accordino fra loro. Svolgono la funzione classica degli schemi: in veste di economizzatrici di risorse cognitive, riusciamo ad estrapolare più informazioni da un campione limitato. Condividono diverse componenti che offrono possibilità di variazioni idiosincratiche. Si sviluppano lungo un arco di tempo e in base alle nostre esperienze. Possiedono una forte componente culturale: poiché alcune credenze culturali si trasmettono in una determinata società, è naturale che la maggioranza dei suoi membri si troverà a condividere alcune teorie implicite della personalità. HOFMANN, LAU E JOHNSON Ipotizzarono che le teorie culturali influenzassero il modo in cui le persone creano le loro impressioni sugli altri. WHORF Crede che la lingua parlata influenzi il modo in cui pensiamo il mondo. La nostra cultura e la nostra lingua producono delle teorie implicite della personalità che sono condivise e queste teorie possono influenzare il genere di impressioni che ci creiamo reciprocamente. Non sempre è facile applicare una teoria o un tratto a chi incontriamo. Il comportamento delle persone a volte è ambiguo, rendendoci difficile accertare di che genere di individui si tratti.

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ACCESSIBILITA’ DELLE CATEGORIE AI TRATTI Grado di immediatezza con cui i pensieri, le idee e i tratti si presentano alla nostra mente e di probabile impiego quando operiamo dei giudizi sul mondo sociale. Vi sono 2 modi in cui i tratti diventano accessibili: 1. Alcuni di essi possono rendersi cronicamente accessibili a causa di esperienze precedenti. 2. I tratti possono diventare accessibili per ragioni arbitrarie. Le azioni o i pensieri più casuali in cui eravamo occupati prima di imbatterci in un evento, possono innescare un tratto, rendendolo più accessibile e di uso più probabile per la nostra interpretazione dell’evento. PRIMING Esperienza recente che aumenta l’accessibilità di alcuni tratti, rendendo più probabile il loro impiego per l’interpretazione di un fatto nuovo, anche se esso non ha alcuna relazione con quello che ha in origine innescato i tratti. I pensieri devono essere accessibili e applicabili affinché possano agire da innescatori, influenzando le nostre impressioni del mondo sociale. Quando osserviamo gli altri, disponiamo di un’ampia fonte di informazioni su cui fondiamo le nostre impressioni. Su questa base possiamo azzardare delle ipotesi sulle loro personalità. Il passo successivo è impiegare le teorie implicite della personalità per riempire i vuoti. Il comportamento non verbale non è un indicatore fedele dei reali pensieri o emozioni degli altri. Anche se il comportamento non verbale a volte sembra interpretabile con facilità, non cancella l’ambiguità sostanziale sul vero significato del comportamento degli altri. TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE Si concentra sul nostro modo di rispondere a simili domande, studiando le modalità con cui inferiamo le cause del comportamento degli altri. La sua paternità è da attribuire a HEIDER. Raffigurava le persone come degli scienziati dilettanti che cercano di comprendere il comportamento degli altri assemblando varie informazioni finchè non pervengono a una spiegazione o a una causa ragionevole. Heider si interessava a ciò che sembrava ragionevole alle persone e alle modalità con cui giungevano alle loro conclusioni. Quando cerchiamo di decidere perché le persone si comportano in un dato modo, possiamo compiere: • ATTRIBUZIONE INTERNA = DISPOSIZIONALE • ATTRIBUZIONE ESTERNA = SITUAZIONALE La nostra impressione cambia a seconda del tipo di attribuzione che compiamo. Se è INTERNA, ne dedurremo un’impressione negativa, se è ESTERNA, non apprenderemo molto a suo riguardo. Altro contributo di Heider, fu l’analisi della preferenza che accordiamo alle attribuzioni interne rispetto a quelle esterne. Sebbene entrambi i generi di attribuzioni siano possibili, Heider osservò la nostra tendenza a ritenere che le cause del comportamento di una persona risiedano in essa.

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La nostra percezione si concentra sulle persone, che sono ciò che osserviamo e trascuriamo la situazione, che è difficile da osservare e descrivere. Le attribuzioni interne godono di maggiore importanza nelle nostre percezioni. TEORIA DELL’INFERENZA CORRISPONDENTE Venne elaborata da JONES e DAVIS per descrivere quel processo con cui giungiamo a un’attribuzione interna, cioè come inferiamo delle disposizioni, o caratteristiche della personalità interna, partendo dai corrispondenti comportamenti o azioni. Si occupa del modo in cui restringiamo le possibilità in una conclusione specifica sulle ragioni del comportamento che osserviamo. Il modo principale per compiere attribuzioni interne è paragonare i risultati che le persone hanno ottenuto adottando quel comportamento, con quelli che avrebbero potuto ottenere con comportamenti diversi. Un’attribuzione interna è più semplice nella misura in cui si danno degli EFFETTI NON COMUNI per queste scelte differenti. Compiere attribuzioni equivale a comportarsi come un detective. Quando cerchiamo di dedurre le ragioni per cui qualcuno si è comportato in un determinato modo, i colpevoli sono quelle cose che la persona può avere tentato di conseguire, cioè gli effetti delle sue azioni. Restringiamo il numero di possibilità mediante l’analisi di ciò che quella persona avrebbe potuto ottenere comportandosi in un modo alternativo. Teniamo in considerazione in che misura ci aspettavamo che le persone compissero quanto hanno fatto, in quanto le azioni impreviste permettono una diagnosi migliore della loro vera natura rispetto a quelle che ci attendiamo. Secondo Jones esiste un altro tipo di informazioni che le persone tengono in considerazione quando compiono delle attribuzioni. Entrano in gioco 2 tipi differenti di aspettative: 1. ASPETTATIVE BASATE SULLA CATEGORIA, Si riferiscono alle aspettative sulle persone che si basano sui loro gruppi di appartenenza 2. ASPETTATIVE BASATE SUL BERSAGLIO Si riferiscono al modo in cui ci aspettiamo che si comporti una determinata persona, basandoci sulle sue azioni precedenti. TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE Venne sviluppata da KELLEY secondo un approccio diverso. Jones e Davis si erano concentrati sulle informazioni che gli individui usano per compiere un’attribuzione interna, Kelly rivolse la sua attenzione sulla prima fase del processo di percezione sociale, cioè il modo in cui le persone decidono se fare un’attribuzione interna o esterna. La teoria dell’inferenza corrispondente si applica a una singola osservazione del comportamento e il modello della covariazione di Kelley è valido per più esempi di comportamento che si verificano nel tempo e in situazioni diverse. Kelly ipotizza che mentre formuliamo un’attribuzione, raccogliamo dati o informazioni che ci possono aiutare a pervenire a un giudizio. I dati che utilizziamo sono il modo in cui il comportamento di una persona covaria a seconda della

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situazione temporale e spaziale e dei diversi attori e bersagli del comportamento. Mediante la scoperta della covariazione nel comportamento degli altri, riusciamo a formulare un giudizio sulle cause del loro comportamento. Esistono 3 tipi fondamentali di informazioni: 1. INFORMAZIONE DI CONSENSO Si riferisce al modo in cui altre persone si comportano nei confronti del medesimo stimolo. 2. INFORMAZIONE DI SPECIFICITA’ Si rivolge al modo in cui la persone il cui comportamento stiamo cercando di spiegare, risponde ad altri stimoli. 3. INFORMAZIONE DI COERENZA Riguarda la frequenza con cui il comportamento osservato fra attore e il medesimo stimolo si verifica nel tempo e in varie circostanze. La teoria di Kelley vuole che un’attribuzione diventi possibile quando queste 3 fonti di informazioni combinano in 1 o 2 pattern caratteristici. Le persone compiono con maggiore probabilità un’attribuzione interna. L’attribuzione esterna viene compiuta con maggiori probabilità in presenza di un elevato grado di consenso, specificità e coerenza. Se la coerenza è bassa, non possiamo fare una chiara attribuzione interna o esterna e ricorriamo a un genere di attribuzione esterne o situazionali, mediante cui ipotizziamo che si stia verificando qualcosa di insolito o di particolare in quelle circostanze. La teoria dell’inferenza corrispondente e il modello della covariazione ipotizzano che le persone compiano attribuzioni casuali secondo un atteggiamento logico e razionale. Gli individui osservano gli indizi e ne deducono un’inferenza logica sulle ragioni che hanno spinto la persona a compiere quell’azione. Le persone formulano le attribuzioni in accordo con i modelli di Jones e Davis e di Kelly con un’eccezione. In queste ricerche i soggetti non utilizzano le informazioni di consenso nella misura prevista dalla teoria di Kelley e si affidano a quelle di coerenza e di specificità nell’atto di compiere attribuzioni. Una teoria dell’attribuzione, perfezionata da Weiner, si rivolge a un settore più specifico: le attribuzioni che compiamo sulla performance di qualcuno, cioè come determiniamo le cause che l’hanno portato al successo o al fallimento. TASSONOMIA DELLE ATTRIBUZIONI DI SUCCESSO E DI FALLIMENTO: Prende in esame i tipi di attribuzioni interne ed esterne che possiamo compiere in questa situazione. Sono 3 le variabili fondamentali nelle attribuzioni sul successo o sul fallimento: 1. LOCUS Elemento basilare, cioè la domanda se la causa del comportamento osservato sia interna o esterna. Questa teoria segue il modello della covariazione di Kelley, utilizzando le informazioni di coerenza, specificità e consenso per decidere sulla fattibilità di una causa interna o esterna. La variabile del locus influenza l’autostima dei soggetti riguardo alle loro performance: un LOCUS INTERNO spinge l’individuo o l’osservatore ad attribuire sentimenti di orgoglio in seguito al successo e di vergogna in seguito

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al fallimento. 2. STABILITA’ Grado con cui la causa del comportamento appare STABILE (caratteristica permanente che si ripresenterà in futuro) o INSTABILE (caratteristica che si modifica o scompare nel tempo). Condiziona la percezione delle prestazioni future: le attribuzioni di cause stabili ci portano ad aspettarci un risultato analogo in futuro e le attribuzioni di cause instabili ci lasciano nell’insicurezza sui prossimi risultati della persona nel futuro. 3. CONTROLLABILITA Indica se la causa del comportamento possa essere controllata o meno dall’individuo. Le percezioni di controllabilità suscitano emozioni sociali: proviamo irritazione o rabbia verso la persona che continua a fallire anche quando la causa è controllabile. Se la causa è incontrollabile avvertiamo dispiacere. L’attribuzione più lusinghiera sul successo di una persona individua la causa internamente e vi assegna proprietà di stabilità e di controllo, implicando che quell’individuo si è meritato tale successo e può ripeterlo in futuro. L’attribuzione più lusinghiera sul fallimento di una persona situa esternamente la causa e la descrive come instabile e incontrollabile, qualcosa di cui la persona non ha colpa e che non si ripeterà più. La teoria dell’inferenza corrispondente, il modello della covariazione e la tassonomia delle attribuzioni di successo e di fallimento ritraggono le persone che deducono le cause del comportamento in misura sistematica e logica alla stregua dei detective di professione. In qualche caso gli individui non sono così precisi e razionali nel formulare giudizi sugli altri. Distorcono le informazioni per soddisfare il loro bisogno di alta autostima. In altri casi utilizzano delle scorciatoie mentali che possono portare a giudizi imprecisi. A volte le nostre attribuzioni sono errate. ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE L’idea che le persone si comportino in un determinato modo perché appartengono a un determinato genere di individui e non a causa della situazione in cui si trovano. La teoria o schema fondamentale più diffuso di comportamento umano è che sono le caratteristiche personali degli individui ad indurli a comportarsi in un determinato modo e non la situazione in cui si trovano. Seguendo questo modo di pensare ci trasformiamo in psicologi della personalità che scorgono il comportamento come originato dalle disposizioni e dai tratti interni e non in psicologi sociali che si concentrano sull’impatto delle situazioni sociali sul comportamento. Le persone agiscono a seconda del genere a cui appartengono. Le situazioni sociali possono produrre un notevole impatto sul comportamento. La lezione fondamentale della psicologia sociale è che influenze simili possono esercitare grande forza. L’errore fondamentale di attribuzione indica che le persone tendono a sottostimare queste influenze all’atto di spiegare il comportamento degli altri. Si commette l’errore fondamentale di attribuzione quando si cerca di spiegare il comportamento di qualcuno e l’attenzione si concentra sulla persona e non sulla situazione circostante.

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GILBERT & MALONE Ipotizzano che le cause situazioni del comportamento di una persona restano invisibili. Le informazioni sulle cause situazionali del comportamento non ci sono disponibili o sono difficili da interpretare in maniera accurata. Se la situazione ci sembra irrangiungibile, la nostra salienza percettiva si appunta sull’individuo, che è ciò che si osserva con la vista e con l’udito. E’ ciò che noi notiamo, che ci sembra la causa più ragionevole e logica del comportamento osservato. SALIENZA PERCETTIVA Il nostro punto visivo di osservazione, che ci aiuta a spiegare perché l’errore fondamentale di attribuzione è così diffuso. Quando cerchiamo di spiegare il comportamento umano, concentriamo l’attenzione sugli individui e non sulla situazione circostante, in quanto questa è difficile da vedere o da conoscere e sottostimiamo e ci dimentichiamo l’influenza della situazione. L’errore fondamentale di attribuzione è una conseguenza dell’euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento. Nell’atto di compiere attribuzioni, le persone utilizzano come punto di partenza il centro della loro attenzione. Le persone attraversano 2 stadi nel processo di attribuzione. Cominciano con un’attribuzione interna, ipotizzando che il comportamento di una persona sia dovuto a caratteristiche personali. Cercano di aggiustare quest’attribuzione prendendo in dovuto conto la situazione in cui la persona si trova. Questo secondo stadio non presenta un sufficiente accomodamento. Una conseguenza interessante è che se le persone sono distratte o preoccupate mentre spiegano il comportamento di qualcuno, possono non arrivare al secondo stadio, compiendo un’attribuzione ancora più interna. Quest’ultima si verifica in maniera rapida e spontanea, mentre l’aggiustamento dovuto alla situazione richiede maggiore sforzo e attenzione consapevole. Recenti studi hanno prospettato una seconda ragione per il verificarsi dell’errore fondamentale di attribuzione. Assegnando grande importanza alla libertà e all’autonomia dell’individuo, la cultura occidentale ci influenza socialmente a preferire le attribuzioni disposizionali a quelle situazionali. Le culture di tipo collettivista, come sono quelle orientali, pongono in risalto l’appartenenza al gruppo, l’interdipendenza e la conformità alle norme del gruppo. E’ naturale domandarci se a causa di questo genere diverso di influenza sociale, le persone appartenenti a culture collettiviste compiono meno errori fondamentali di attribuzione rispetto agli occidentali. Gli occidentali sembrano essere degli psicologi della personalità che osservano il comportamento in termini disposizionali. Gli orientali assomigliano a degli psicologi sociali che rinvengono le cause in termini situazionali. Un lato interessante dell’errore fondamentale di attribuzione è che non si applica alle attribuzioni che compiamo su noi stessi nella stessa misura in cui è applicabile alle attribuzioni su altre persone. DIFFERENZA TRA ATTORE E OSSERVATORE Mentre tendiamo a scorgere le cause disposizionali del comportamento altrui, ci affidiamo con minore probabilità

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e sicurezza a questo genere di cause quando ci spieghiamo il nostro stesso comportamento, compiendo delle attribuzioni situazionali. La medesima azione può suscitare attribuzioni disposizionali in coloro che la osservano e attribuzioni situazionali in chi la compie. Tendiamo ad osservare il comportamento degli altri e non la situazione e notiamo la nostra situazione e non il nostro comportamento. Il nostro egocentrismo non ci fa osservare noi stessi come in uno specchio: il nostro sguardo è rivolto verso l’esterno, conferendo salienza percettiva alle altre persone, agli oggetti, agli eventi che si manifestano. Non attribuiamo pari attenzione a noi stessi. Quando un attore e un osservatore cercano la causa di un determinato comportamento, vengono guidati dalle informazioni che trovano più salienti e osservabili: l’attore per l’osservatore e la situazione per l’attore. STORMS Notò che gli osservatori attribuivano maggiori caratteristiche DISPOSIZIONALI all’attore che stavano osservando, dimostrando l’errore fondamentale di attribuzione. Gli attori presentarono maggiori attribuzioni SITUAZIONALI riguardo al medesimo comportamento, che era il loro stesso. La differenza attore / osservatore si verifica anche perché gli attori dispongono di maggiori informazioni su se stessi rispetto agli osservatori. Gli attori conoscono il loro precedente comportamento e sanno cos’è accaduto loro quel giorno stesso. Gli attori sono più consapevoli delle somiglianze e delle differenze nei loro comportamenti nel corso del tempo e a seconda delle situazioni. Gli attori possiedono maggiori informazioni di coerenza e specificità rispetto agli osservatori. Le autoattribuzioni compiute dagli attori riflettono dei fattori situazionali, avendo essi maggiori conoscenze sul modo in cui varia il loro comportamento a seconda della situazione, rispetto a degli osservatori che li guardano in contesti delimitati. Il linguaggio è regolato da alcune norme che contribuiscono a creare differenti pattern attribuzionali di attori e osservatori. FIEDLER & SEMIN Hanno scoperto che il linguaggio usato dalle persone per analizzare se stessi è più concreto. Quello impiegato per descrivere gli altri è più astratto: in un caso ci si affida a verbi, nell’altro agli aggettivi. Nella comunicazione tendiamo a descrivere noi stessi in termini concreti, ponendo in risalto determinati comportamenti e lasciando ai nostri ascoltatori il compito di giudicare e interpretare le informazioni. Un simile stile linguistico viene giudicato educato e non centrato su noi stessi, oggettivo e privo di condizionamenti: ci limitiamo a presentare le informazioni su di noi e lasciare agli altri il compito di interpretarli. Quando le norme linguistiche scoraggiano il parlare di noi in termini di interpretazione astratta, favoriscono una simile interpretazione e giudizio quando esaminiamo gli altri. La differenza concreto- astratto nel linguaggio di attori e osservatori appare quando gli individui non stanno compiendo delle attribuzioni casuali, ma si limitano a descrivere degli eventi del passato. Le abitudini o gli stili linguistici contribuiscono a creare la differenza attribuzionale attore/osservatore. Il modo in cui parliamo di noi stessi e degli altri influenza

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intimamente cosa pensiamo di noi stessi e degli altri. Il linguaggio che impieghiamo quando pensiamo o parliamo di noi stessi è diverso da quello con cui parliamo o pensiamo degli altri: tendiamo a enfatizzare le disposizioni quando l’oggetto sono gli altri e di meno quando si tratta di noi stessi. FONDAMENTO MOTIVAZIONALE Attribuzione che protegge la nostra autostima e la nostra credenza che il mondo sia per noi sicuro e protetto. Quando l’autostima è minacciata, si compiono ATTRIBUZIONI A PROPRIO FAVORE. Esse si riferiscono alla nostra tendenza a prenderci il merito dei nostri successi mediante delle attribuzioni interne e a dare la colpa ad altri per i fallimenti. Le persone tentano quanto più possibile di mantenere la loro autostima, anche a costo di distorcere la realtà modificando una cognizione. Una specifica strategia attribuzionale impiegata per mantenere o accrescere l’autostima, è situare la casualità là dove ci risulta più comodo. Il nostro desiderio è che gli altri pensino bene di noi. Un’ottima strategia di autopresentazione è dire agli altri che la nostra cattiva performance è stata dovuta a qualche causa esterna. Le persone modificano le attribuzioni per ovviare ad altri generi di minacce verso la loro autostima. La vita offre momenti difficili da comprendere che ci sconvolgono anche quando riguardano gli sconosciuti. Ci ricordano che possono capitare a chiunque. Di tutti i tipi di conoscenza di sé che possediamo, la più difficile da accettare è il sapere che siamo mortali e possiamo subire eventi luttuosi. ATTRIBUZIONI DIFENSIVE Attribuzioni volte a preservarci da sensazioni di vulnerabilità e mortalità. OTTIMISMO IRREALISTICO Forma di attribuzione difensiva riguardo la futuro. E’ un modo che le persone hanno di proteggersi dalla spiacevole sensazione di essere mortali. CREDENZA IN UN MONDO GIUSTO L’ipotesi che le persone ricevono quanto si meritano. La strategia del dare la colpa alla vittima non funziona se la disgrazia capita a qualcuno simile a noi. Le persone sono portate a credere che la vittima non abbia alcuna responsabilità e che la causa sia da attribuire a fattori casuali. Lo scopo per cui compiamo delle attribuzioni è essere capaci di comprendere gli altri e prevedere il loro comportamento futuro. Se riusciamo a farci strada fra i livelli del comportamento sociale e a inferire con precisione le ragioni di un’azione di una persona, ci troveremo preparati a sapere cosa aspettarci da lei in futuro anche in un’altra situazione. Per poter essere in grado di prevedere il futuro comportamento degli altri nei nostri riguardi, torna a nostro vantaggio il saper compiere attribuzioni precise. Dobbiamo chiederci quale grado di precisione possano avere le nostre attribuzioni e impressioni relative agli altri. Esistono molte circostanze in cui non riusciamo ad essere precisi se le paragoniamo al grado di accuratezza che crediamo di avere. In alcuni casi le nostre impressioni sono errate a causa delle scorciatoie mentali che percorriamo per formulare dei giudizi sociali. Il colpevole è l’errore fondamentale di attribuzione. Gli individui tendono facilmente ad attribuire le azioni degli altri alle loro personalità e non alla situazione.

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Anche se le persone sottostimano la forza delle situazioni sociali, possono avere impressioni corrette a causa del fatto che sono le disposizioni degli attori a farle gravitare attorno a determinate situazioni e a farle evitare altre. Le situazioni possono esercitare un grande potere e travolgere le disposizioni delle persone. Avremo delle impressioni imprecise nella misura in cui non teniamo in giusto conto la situazione. Altra ragione per cui le nostre impressioni sono a volte errate risiede nell’uso che facciamo degli schemi. Le persone impiegano le teorie implicite della personalità per riempire le lacune di ciò che sanno degli altri e usano schemi o teorie per decidere quali siano state le ragioni del loro comportamento. Le nostre impressioni sono precise quanto le nostre teorie. Se formuliamo delle teorie corrette, conosciamo alcuni esempi di quanto esse ci possano fuorviare. Vi sono 3 ragioni che ci spingono a credere di avere impressioni corrette: 1. Osserviamo le persone in un numero limitato di situazioni e non abbiamo la possibilità di accorgerci che le nostre impressioni sono sbagliate, 2. Non riusciremo ad accorgerci che le nostre impressioni sono errate se le facciamo avverare. E’ questo il caso delle profezie che si autoadempiono. Se un’impressione iniziale è imprecisa, facciamo sì che si avveri mediante il nostro modo di trattare quella persona. 3. Possiamo non accorgerci di essere nel torto se sono in molti, pur sbagliando, a pensare in un certo modo di una persona.

• i processi di comprensione del Sé. CAPITOLO 5: LA COMPRENSIONE DI SE’: COME ARRIVIAMO A CAPIRE NOI STESSI WILLIAM JAMES Descrisse la dualità di base che è al centro della nostra percezione del Sé. Il Sé è composto dai nostri pensieri e credenze su noi stessi. SE’= CONOSCIUTO, ME, CONOSCENTE, IO ASPETTO CONOSCITIVO DEL SE’= CONCETTO DI SE’ ASPETTO CONOSCENTE DEL SE’= CONSAPEVOLEZZA o COSCIENZA. Questi 2 processi psicologici si combinano insieme per creare un senso coerente di identità. Pose l’accento sull’importanza delle relazioni sociali nella definizione di sé, osservando che possiamo avere differenti Sé che si sviluppano in risposta alle diverse situazioni sociali. Perché il senso di sé possa svilupparsi è necessario comprendere che siamo individui che conoscono e che esiste qualcosa da conoscere. Esiste un divario tra riconoscere se stessi in uno specchio e avere una definizione complessa e poliedrica di sé, caratteristica dell’essere umano adulto. Il nostro concetto di sé comincia nel segno della concretezza, riferendosi a caratteristiche facilmente osservabili come l’età, il sesso, gli amici e i passatempi. Come diventiamo adulti, poniamo meno attenzione alle caratteristiche fisiche e diamo più importanza agli stati psicologici.

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In molte culture occidentali le persone hanno una visione di sé indipendente che esalta l’individualismo. Gli occidentali imparano a definire se stessi in chiave di separazione dagli altri, valorizzando l’indipendenza e l’unicità. Gli asiatici e altre culture orientali possiedono una visione di sé interdipendente, in cui viene valorizzata l’associazione e l’interdipendenza fra le persone. Ciò che in una cultura è giudicato come un comportamento positivo e normale può essere visto in modo diverso da un’altra a causa delle differenze fondamentali nella costruzione del concetto di sé che si riscontrano nelle diverse culture. SINGELIS Ha costruito un questionario che misura il grado in cui le persone vedono se stesse come interdipendenti o indipendenti. Ciò non implica che ogni membro della cultura occidentale abbia una visione di sé come individuo indipendente e che ogni rappresentante della cultura asiatica abbia una visione di sé come individuo interdipendente. All’interno delle culture vi sono differenze nel concetto di sé e queste differenze hanno più probabilità di acuirsi con l’aumentare del contatto tra le culture. La differenza del senso di sé tra cultura orientale e cultura occidentale ha una sua realtà e delle conseguenze sulla comunicazione fra culture. Le differenze del senso di sé sono cruciali a tal punto che è difficile per le persone con un sé indipendente valorizzare un sé interdipendente e viceversa. Per quanto naturale possiamo considerare questa concezione del sé come misura di tutte le cose, è opportuno ricordare che essa è una costruzione e non una realtà intrinseca. Nonostante le differenze interculturali, esistono degli aspetti comuni fra le culture rispetto alla natura del concetto di sé. BANAJI & PRENTICE Hanno identificato 2 aspetti basilari del sé: 1. CONOSCENZA DI SE’, si riferisce al nostro desiderio di formulare un accurato giudizio dei nostri tratti, atteggiamenti e abilità. 2. ACCRESCIMENTO DI SE’, indica il nostro desiderio di mantenere e accrescere la stima di sé. Il modo in cui arriviamo a conoscere le altre persone è simile al modo in cui arriviamo a conoscere noi stessi. INTROSPEZIONE Processo che consiste nel guardarsi dentro ed esaminare le “informazioni interne”, quelle che solo noi abbiamo sui nostri pensieri, sentimenti e motivazioni. Due sono i fatti di maggiore interesse relativi all’introspezione: 1. Le persone non si affidano a questa fonte di informazione tanto frequentemente quanto potremmo immaginare, 2. Anche in presenza di introspezione, le ragioni dei sentimenti e comportamenti possono rimanere celate dalla consapevolezza cosciente. L’esame di sé non è tutto ciò a cui dobbiamo fare ricorso. Essa non è un’attività cognitiva frequente. Gli eventi concreti della vita quotidiana, le altre persone e le nostre conversazioni con loro, costituiscono l’argomento principale dei nostri pensieri di ogni giorno. Non accade molto spesso che rivolgiamo l’attenzione su noi stessi. A volte ci imbattiamo in qualcosa nell’ambiente che fa scattare la coscienza di sé. TEORIA DELLA CONSAPEVOLEZZA DI SE’ Quando ci focalizziamo su noi stessi, valutiamo e confrontiamo il nostro comportamento presente rispetto ai valori e

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alle regole interne, diventiamo coscienti di noi stessi, nel senso che diventiamo oggettivi, osservatori giudicanti di noi stessi. DUVAL & WICKLUND Vedere se stessi aiuta a prendere coscienza della disparità fra il comportamento e le regole morali. Se possiamo cambiare il nostro comportamento per adattarlo ai nostri principi interni, lo facciamo. Se sentiamo di non poterlo fare, l’essere in uno stato di consapevolezza di sé risulterà sgradevole, e saremo messi di fronte a di sé si arresterà il più velocemente possibile. Focalizzarsi su noi stessi può essere uno stato mentale spiacevole. Quest’insoddisfazione su noi stessi può essere dolorosa e divenire il motivo per cui fuggiamo da un autoesame. BAUMEISTER Ha mostrato che l’abuso di alcool, i disturbi alimentari, il masochismo sessuale e il suicidio hanno come tratto comune il fatto di essere dei modi per distogliere l’attenzione da se stessi. Essere ubriachi è un modo per scacciare provvisoriamente, i pensieri negativi su di sé. Il suicidio è la maniera definitiva per terminare l’esame di sé. Il fatto che la gente mostri comportamenti pericolosi, indica quanto possa essere dannoso concentrarsi su se stessi. Ciò non significa che ogni modo di scappare da se stessi sia dannoso. Sostiene che molte forme di espressione religiosa e di spiritualità sono mezzi efficaci per evitare l’attenzione su di sé. Il concentrarsi su di sé non è sempre qualcosa di negativo. Il centrarsi su di sé può essere un modo per tenerci fuori dai guai, poiché ci ricorda cosa sia per noi il giusto e lo sbagliato. Quando le persone sono coscienti di sé è probabile che seguano le loro regole morali. La coscienza di sé è negativa quando ricorda alle persone le proprie manchevolezze e in queste circostanze si cerca di evitarla. Altre volte una certa dose di coscienza di sé è salutare, in quanto ci rende consci dei nostri valori e delle nostre regole morali. Vi è un altro tipo di conoscenza di sé che è più difficile da ottenere, anche quando abbiamo coscienza di noi stessi e facciamo introspezione: si tratta della conoscenza del perché ci sentiamo come ci sentiamo. Molti dei nosri processi mentali di base avvengono al di fuori della coscienza. Questo non vuol dire che siamo pensatori disorientati: siamo coscienti dei risultati finali dei nostri processi mentali. Non abbiamo coscienza dei processi cognitivi che hanno portato a quel risultato. Pur non sapendo perché ci sentiamo in un certo modo, ci sembra di essere capaci di giungere a una spiegazione. L’introspezione può non condurci alle vere cause dei nostri sentimenti e comportamenti, ma può spingere a convincerci che lo possiamo fare. Le persone possiedono molte teoria su che cosa influenza il loro comportamento e i sentimenti e le usano per aiutarsi a spiegare perché si sentono in un certo modo. Molte di queste teorie ci vengono dalla cultura nella quale cresciamo: il solo problema è che i nostri schemi e le nostre teorie non sempre sono corretti e possono portarci a formulare giudizi errati sulle cause delle nostre azioni. Le persone non confidano esclusivamente sulle loro teorie causali quando riflettono sulle ragioni dei loro sentimenti e comportamenti. Oltre alle teorie causali culturalmente apprese, abbiamo una grande quantità di informazioni su noi stessi.

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Pensare alle nostre azioni passate e ai pensieri correnti non è il modo giusto per rispondere a perché ci sentiamo in un certo modo. Non solo è difficile scoprire tutte le nostre ragioni: anche provare a farlo potrebbe non essere una buona idea. WILSON Ha scoperto che l’analisi delle ragioni dei nostri sentimenti non è sempre la migliore strategia e in realtà può portare a conseguenze peggiori. Poiché è difficile sapere perché ci sentiamo in un certo modo quando facciamo qualcosa, riportiamo alla nostra attenzione i motivi che ci sembrano più plausibili e che ricordiamo più facilmente. Non per questo tali ragioni sono corrette. Esse possono rivelarsi peggiori: ci convinciamo che sono giuste e in sintonia con esse, cambiamo opinione sul modo in cui ci sentiamo. Sostiene che non ci si debba fidare troppo degli atteggiamenti mostrati dopo l’analisi delle ragioni. Quando le persone prendono delle decisioni basandosi su questi atteggiamenti, arrivano a pentirsi della scelta fatta. Le ragioni dei sentimenti che sono difficili da esprimere non si elidono e hanno buone probabilità di modellare i nostri sentimenti futuri. Diverse ricerche hanno mostrato che gli atteggiamenti dei soggetti espressi dopo l’analisi delle ragioni non riescono a prevedere i loro atteggiamenti e comportamenti futuri. CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO GENERATO DALLE RAGIONI I soggetti cambiano atteggiamenti verso i loro partnerì TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE DI BEM Afferma che scopriamo come ci sentiamo osservando che cosa facciamo. Afferma che tutte le osservazioni sono un’importante fonte di conoscenza di sé. Sostiene che siamo in grado di inferire i nostri sentimenti dal comportamento quando sono soddisfatte 2 condizioni: 1. I nostri sentimenti iniziali devono risultare deboli e poco chiari, 2. Le persone pensano alle ragioni dei loro comportamenti per vedere se essi riflettono veramente come si sentono. Comprendere che il nostro comportamento è provocato da un settore esterno non significa ipotizzare che esso rifletta le nostre sensazioni interne. Dopo aver osservato il nostro comportamento e la situazione, compiremo un’attribuzione esterna. Il problema è che quando queste cause esterne sono più evidenti, tendiamo a esagerare e a sottovalutare il grado in cui i fattori interni hanno giocato un loro ruolo. TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE Il modo in cui le persone inferiscono i sentimenti e gli atteggiamenti di qualcun altro dall’osservazione del comportamento. Bem sostiene che gli individui utilizzano gli stessi principi attribuzionali per inferire i loro stessi atteggiamenti e sentimenti. Osserviamo il nostro comportamento e facciamo un’attribuzione sul perché ci siamo comportati in quel modo. MOTIVAZIONE INTRINSECA La ragione per fare una determinata attività sono relative alla persona stessa, al piacere e al godimento che avverte mentre la compie. CSIKSZENTMIHALYI Il comportamento che ha una motivazione INTRINSECA provoca un’esperienza ottimale chiamata FLUSSO in cui l’individuo fissa la sua

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attenzione sul compito, bloccando altri stimoli e concentrandovisi con intensità. L’individuo si sente competente e non si cura della bontà della sua prestazione, il cui feedback è chiaro e privo di ambiguità. L’individuo avverte una mancanza di consapevolezza di sé. EFFETTO DI SOVRAGIUSTIFICAZIONE Sostituire motivazioni intrinseche con quelle estrinseche, mediante l’uso di ricompense, induce gli individui a perdere interesse per l’attività che inizialmente era fonte di piacere. Le persone sovragiustificano il loro comportamento concentrandosi sulle cause esterne e sottostimano il loro interesse intrinseco per il comportamento. EARNING BY LEARNING Programma educativo americano in cui l’apprendimento è favorito da ricompense: dare ai bambini dei soldi come ricompensa per le loro letture può sortire l’inconveniente di abbassare il loro interesse intrinseco per la lettura. E’ vero che i bambini possono leggere di più al fine di ottenere maggiori ricompense. Né alcuno dubita che le ricompense possano accrescere la motivazione inducendo a modificare il comportamento delle persone. Sono i cambiamenti che hanno luogo dentro le persone a essere trascurati. Le ricompense diminuiscono l’interesse solo se questo era inizialmente alto. RICOMPENSE CONTINGENTI AL COMPITO Vengono ottenute solo per aver eseguito un compito, indipendentemente dalla validità della loro prestazione. RICOMPENSE CONTINGENTI ALLA PRESTAZIONE Dipendono dalla bravura con cui le persone svolgono un compito. Un simile tipo di ricompensa ha meno probabilità di diminuire l’interesse per un compito, anzi può aumentarlo in quanto comunica il messaggio che si è bravi a svolgerlo. Anche questo tipo di ricompensa, va usato con cautela. Sebbene le persone gradiscono il feedback positivo trasmesso da esso, non apprezzano la tensione e l’apprensione che accompagnano la valutazione. Il trucco consiste nel trasmettere feedback positivo senza costringere le persone a provare nervosismo e apprensione per il fatto di essere giudicate. Spesso usiamo le osservazioni del nostro comportamento per determinare cosa pensiamo e che tipo di persone siamo. Si può applicare questo criterio alle emozioni provate in alcune sensazioni. SCACHTER Avanzò una teoria delle emozioni secondo cui noi inferiamo quali siano le nostre emozioni nello stesso modo in cui inferiamo quale genere di persona siamo o quale interesse proviamo osservando il nostro comportamento e cercando di capire perché ci comportiamo in quel modo. Osserviamo i nostri comportamenti interni, cioè il grado di eccitazione fisiologica che avvertiamo. TEORIA BIFATTORIALE DELLE EMOZIONI La comprensione dei nostri stati emotivi richiede 2 stadi: 1. Dobbiamo provare eccitazione fisiologica, 2. dobbiamo cercare una spiegazione adeguata. Poiché i nostri stati psichici non si presentano automaticamente etichettati, usiamo le informazioni presenti nella situazione per arrivare a un’attribuzione delle ragioni della nostra eccitazione.

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Le emozioni delle persone sono in certa parte arbitrarie, venendo a dipendere da quella che sembra la spiegazione più plausibile della propria eccitazione. Le emozioni possono essere il risultato di un processo di percezione di sé mediante cui le persone ricercano la spiegazione più plausibile per l’eccitazione che avvertono. ATTRIBUZIONE ERRATA DI ECCITAZIONE Le persone compiono inferenze sbagliate circa la causa delle sensazioni che provano. Quando le persone compiono un’attribuzione errata della causa della loro eccitazione, finiscono col provare un’emozione sbagliata o esagerata. Le nostre emozioni non sono determinate solo dalla spiegazione che attribuiamo alla nostra eccitazione. Spesso derivano da un’interpretazione della situazione compiuta in assenza di eccitazione. TEORIA DELLE EMOZIONI COME VALUTAZIONI COGNITIVE La nostra emozione dipende dal modo in cui interpretiamo o valutiamo il fatto anche prima che insorga l’eccitazione. Sono 2 i tipi di valutazione rilevanti: 1. il modo in cui valutiamo se il fatto ha implicazioni per noi positive o negative, 2. il modo in cui valutiamo le sue cause. Ogni fatto può essere interpretato in diversi modi: la nostra reazione emotivadipenderà dal fatto di assistere a una spinta positiva o negativa all’evento. Le nostre emozioni dipendono dal fatto che valutiamo un evento come positivo o negativo per noi stessi. Queste teorie ipotizzano che l’eccitazione non ha luogo per prima, essendo esse stesse causa sufficiente delle reazioni emotive. Quando non proviamo eccitazione è il modo in cui la interpretiamo e spieghiamo ciò che ci accade a determinarla. Le conoscenze di sé vengono organizzate nello stesso modo in cui disponiamo le conoscenze sul mondo esterno, ovvero mediante gli schemi. Per comprendere il mondo sociale le persone ricorrono a degli SCHEMI, o strutture di conoscenza relative a persone, questioni o oggetti. Non possediamo una raccolta casuale e disordinata di pensieri sul mondo, ma organizziamo le nostre conoscenze in schemi che ci aiutano a comprendere e a interpretare le esperienze nuove. SCHEMI DI SE’ Strutture organizzate di conoscenze su noi stessi, che si fondano sulle esperienze precedenti e ci aiutano a comprendere, spiegare e prevedere il nostro comportamento. Non abbiamo una raccolta casuale e disordinata di pensieri su noi stessi: organizziamo le nostre conoscenze su noi stessi in schemi coerenti che influenzano il nostro modo di interpretare i nuovi fatti che ci accadono. I concetti di sé originariamente vuoti e concreti propri del bambino si trasformano in un concetto unico e complesso, basato sulla formazione di schemi di sé sempre più raffinati. Le persone sviluppano schemi di sé relativamente agli aspetti del sé che le distinguono dagli altri. Gli schemi di sé aiutano a organizzare il nostro passato influenzando ciò che ne ricordiamo, cioè i nostri RICORDI AUTOBIOGRAFICI. Non possiamo ricordare ogni cosa che ci è capitata lungo la nostra vita. In ogni momento si verificano delle distorsioni, delle creazioni e delle amnesie. Atti di distorsione e revisione dei ricordi autobiografici non sono casuali: riscriviamo la nostra storia. Aiutandoci a organizzare

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le nuove informazioni su di noi, gli schemi di sé ci aiutano a organizzare i ricordi che abbiamo delle nostre azioni passate. ROSS Afferma che possediamo numerose teorie sulla stabilità delle nostre sensazioni. Ci aspettiamo che alcune di esse possano variare nel tempo, mentre ipotizziamo che altre siano stabili. Non sempre queste teorie sono corrette e a volte portano a distorcere i propri ricordi. Il nostro atteggiamento verso questioni sociali può cambiare e sottostimiamo questo cambiamento perché applichiamo ad esse una teorica stabilità. I nostri ricordi possono essere frutto di ricostruzione, atti di invenzione del nostro passato. BASS & DAVIS Affermano che non è raro che donne che hanno subito violenze sessuali reprimano questi traumi fino a non averne più alcun ricordo. Alcuni docenti di psicologia sostengono che non si può accettare l’accuratezza dei ricordi recuperati con un semplice atto di fede. SINDROME DEL FALSO RICORDO Ci ricordiamo un’esperienza traumatica del passato che è oggettivamente falsa, ma nella cui verità crediamo. Le persone possono acquistare un vivido ricordo di fatti che non hanno mai avuto luogo se vengono suggeriti da un’altra persona. Le persone apprendono a conoscersi tramite l’introspezione, l’osservazione del loro comportamento e l’organizzazione di queste informazioni in schemi di sé. Siamo essere sociali che spesso vedono se stessi mediante gli occhi degli altri. Molto di quanto apprendiamo su di noi può essere influenzato dalle altre persone. L’immagine che questo specchio ci offre può essere a volte rassicurante e rafforzare le credenze che abbiamo su noi stessi, e a volte può risultare una sorpresa fastidiosa con cui giungiamo a essere d’accordo. SE’ ALLO SPECCHIO Capacità di guardare a noi stessi con gli occhi degli altri, fondamentale per la costruzione del senso di sé, in quanto ci permette di comprendere che noi interpretiamo il mondo in maniera diversa dagli altri. Nei primati e negli esseri umani l’interazione sociale è fondamentale per la creazione del senso di sé. Altro modo per giungere a conoscere noi stessi è il confronto con gli altri, i cui sentimenti, tratti e capacità sono una fonte di informazioni per determinare i nostri sentimenti, tratti e capacità. TEORIA DEL CONFRONTO SOCIALE FESTINGER afferma che le persone nutrono il bisogno di giudicare le proprie opinioni e capacità per poter misurare i loro punti di forza e debolezza e avere un’immagine accurata di se stessi. Le persone cercano quanto più possibile di affidarsi a criteri oggettivi, che sono una forma di feedback rara nella vita. Esistono aspetti importanti di noi stessi al cui riguardo vorremmo sapere di più e per cui non esistono misurazioni oggettive. Dobbiamo confrontarci con gli altri in queste stesse aree. Osservò che la costruzione di un’immagine precisa di noi stessi è una ragione del confronto sociale. Quando cerchiamo di misurare la nostra prestazione relativa a un tratto per noi importante, ricorriamo al confronto sociale per sostenere il nostro Io. Questo uso del

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CONFRONTO SOCIALE VERSO IL BASSO è una strategia di protezione e innalzamento del Sé. La teoria verte su 2 importanti questioni: 1. QUANDO procediamo al confronto sociale 2. CON CHI scegliamo di farlo. Facciamo il confronto sociale quando non disponiamo di alcun criterio oggettivo con cui poterci misurare e avvertiamo incertezze su noi stessi in una determinata area. Inizialmente ci confrontiamo con chiunque. Dopo un rapido giudizio di come la nostra prestazione può essere paragonata a quella degli altri, decidiamo sull’appropriatezza di questo confronto, comprendendo che non tutti i confronti hanno la medesima qualità informativa. Le persone ritengono maggiormente informativo confrontarsi con chi è simile a loro nell’attributo o dimensione per loro più importante. CONFRONTO SOCIALE VERSO L’ALTO Confronto con persone più dotate di loro, che porta a determinare quale sia il criterio di eccellenza. WOOD, TAYLOR & LICHTMAN Trovarono prove di confronto sociale verso il basso in colloqui svolti con dei malati di cancro. La maggior parte di essi si confrontò con altri pazienti che erano più malati di loro, con lo scopo di nutrire ottimismo circa il decorso della loro malattia. La scelta di chi usare per confrontarci dipende dalla natura dei nostri scopi. Se richiediamo una valutazione precisa delle nostre capacità e opinioni, ci confrontiamo con persone a noi simili. Se vogliamo delle informazioni su quale sia l’eccellenza verso cui puntare, ricorriamo al confronto sociale verso l’alto. Se il nostro scopo è sostenere la nostra immagine, impieghiamo il confronto sociale verso il basso per poterci sentire meglio. Aspetto della nostra esistenza sociale è la PRESENTAZIONE DI SE’, mediante cui ci presentiamo per quello che siamo o per quello che vogliamo gli altri credano che siamo, ricorrendo alle nostre parole, comportamento non verbale e azioni. La presentazione di sé non è un processo semplice e lineare. GESTIONE DELLE IMPRESSIONI L’orchestrazione consapevole di una presentazione congegnata del Sé destinata a creare una data impressione che è in accordo con i nostri scopi o obiettivi in un’interazione sociale. GOFFMAN La sua teoria dell’interazione sociale aveva come modello il teatro, inteso come una metafora della vita sociale. Nella vita quotidiana ci comportiamo durante l’interazione sociale come gli attori che sulla scena presentano agli altri gli aspetti di sé o dei loro ruoli. Anche la vita reale ha un palcoscenico diviso in ribalta e in retroscena. Occupare la ribalta è quando svolgiamo un ruolo, quando ci impegniamo a presentare un particolare Sé agli altri in modo da creare o preservare ai loro occhi una determinata impressione. Occupiamo il retroscena quando non ci sforziamo di creare o gestire un’impressione. Proviamo disagio quando gli altri invadono quest’area trovandoci impreparati. Le persone di ogni cultura sono dedite alla gestione delle impressioni. E’ la forma in cui tale attività ha luogo a cambiare da cultura a cultura.

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INGRAZIAMENTO Quando lusinghiamo, lodiamo e ci rendiamo graditi a un altro, di solito una persona di status superiore. E’ una tecnica di grande forza, in quanto piace a tutti avere qualcuno che si mostra gentile con noi. Questo espediente può produrre i risultati opposti se il suo destinatario capisce che cosa stiamo facendo. STRATEGIE AUTOLESIVE Miscela di attribuzioni al servizio di sé e di gestione delle impressioni. Lo svolgimento insufficiente o completamente fallito di un compito può danneggiare la nostra autostima. Possiamo creare prima del fatto delle ragioni per il nostro fallimento. Ancora prima di dedicarci a un compito, ci assicuriamo di avere una scusa pronta a spiegazione della nostra prestazione. Sono 2 i modi di attuare questa tecnica: 1. Le persone si creano degli ostacoli che riducono le possibilità di successo, in modo da poter dare la colpa ad essi e non alle proprie capacità in caso di effettivo fallimento. 2. Le persone non creano degli ostacoli al loro successo, ma congegnano delle scuse preconfezionate in caso di fallimento. Un possibile problema collegato alle scuse che prepariamo in anticipo è che possiamo giungere a credervi e a dedicarci al compito con meno sforzo. Le strategie autolesive producono l’effetto di causare la prestazione insufficiente che tanto temiamo. CAPITOLO 6: LA GIUSTIFICAZIONE DI SE’ E IL BISOGNO DI MANTENIMENTO DEL SE’ Gli esseri umani avvertono l’esigenza di mantenere il concetto di sé e un’alta considerazione di se stessi. DISSONANZA COGNITIVA Sensazione di malessere provocata da informazioni che risultano discrepanti con il concetto di noi stessi come esseri ragionevoli e intelligenti. FESTINGER Definiva la dissonanza come un’incoerenza esistente fra 2 cognizioni. Non tutte le incoerenze cognitive producono il medesimo sconvolgimento. La dissonanza assume il massimo potere quando compiamo un’azione o apprendiamo qualcosa che viene a minacciare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Ne segue un’incoerenza tra ciò che pensiamo di essere e il modo in cui ci comportiamo. La dissonanza cognitiva si verifica ogni volta che compiamo un’azione che tende a fornirci una sensazione di assurdità, stupidità o immoralità riguardo a noi stessi. La dissonanza spinge l’individuo a cercare di attenuare il malessere che essa ha creato. I mezzi che usiamo per ridurre la dissonanza, non sono semplici e ci inducono a cambiamenti del nostro modo di pensare il mondo e di comportarci. Ogni individuo dispone di 3 modi per ridurre la dissonanza: 1. cambiare il comportamento fino a farlo accordare con la cognizione dissonante, 2. cercare di giustificare il proprio comportamento modificando una delle cognizioni al fine di renderla meno dissonante con il comportamento, 3. cercare di giustificare il comportamento mediante l’aggiunta di nuove cognizioni che siano consonanti con il comportamento e che lo sostengano.

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Pur di sfuggire alla dissonanza le persone si dedicano a processi di razionalizzazione fuori dall’ordinario. Gli esseri umani sono capaci di assumere un comportamento razionale. Il bisogno di preservare la stima di sé produce un pensiero che non sempre è razionale, ma razionalizzante. La teoria della dissonanza prevede che un argomento insulso a sostegno della propria posizione genera della dissonanza, in quanto provoca dei dubbi sulla saggezza di quella posizione o sull’intelligenza delle persone che vi si trovano concordi. La dissonanza è prodotta da un argomento ragionevole a favore dell’altro schieramento, evocando la possibilità che gli altri possano essere più vicini alla verità di quanto non pensassimo. Gli esseri umani non elaborano le informazioni in maniera non condizionata. Le distorcono fino ad adattarle alle loro nozioni preconcette. DISSONANZA POST- DECISIONALE Dissonanza che si crea inevitabilmente quando una persona prende una decisione. La dissonanza viene ridotta rendendo più attraenti le alternative scelte e svalutando quelle rifiutate. DISSONANZA MEDIANTE LA CREAZIONE DI PROSELITI Tentativo di convincere gli altri a concordare con le nostre credenze. Prendere una decisione produce dissonanza. Al fine di ridurla, gli individui modificano le loro sensazioni rispetto alle loro scelte, divaricandole mentalmente fra loro nella loro dimensione cognitiva per poter sentire benessere a causa della scelta operata. Più la decisione è importante, maggiore è la dissonanza. Le decisioni variano fra loro in ragione del grado di permanenza, cioè della loro minore o maggiore irrevocabilità. Quanto più permanente e irrevocabile è la decisione, tanto più forte è il bisogno di ridurre la dissonanza. TECNICA DEL COLPO BASSO Strategia priva di scrupoli mediante cui un venditore prima convince un cliente ad acquistare un prodotto a un prezzo basso, per poi affermare di essersi sbagliato e alzare il prezzo. Il cliente si mostrerà disposto a fare l’acquisto anche al prezzo aumentato. La riduzione della dissonanza conseguente a una grave decisione morale può influenzare le persone a comportarsi in maniera etica nel futuro. Il concetto di sé è una realtà stabile. Le attività e i comportamenti umani permettono numerose interpretazioni: una volta che avvertiamo la motivazione a scorgere le persone e le cose al meglio, avremo la tendenza a interpretare siffatte ambiguità in maniera positiva. In questo genere di situazione, la dissonanza provocata dal bisogno di giustificazione dello sforzo fornisce la motivazione necessaria per questo genere di distorsione. GIUSTIFICAZIONE DELLO SFORZO Tendenza che gli individui hanno di aumentare il loro gradimento verso qualcosa per ottenere la quale hanno lavorato duramente. Se una persona acconsente a sperimentare un’esperienza difficile o dolorosa per poter raggiungere un determinato scopo o oggetto, vi rinverrà un’attrazione maggiore. E’ l’atto di scegliere volontariamente un’azione che motiva gli individui a cercare di giustificare il loro comportamento.

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Vi sono delle situazioni in cui riteniamo che vi siano buone ragioni per non dover essere radicalmente sinceri. Una di queste potrebbe essere un altro insegnamento che abbiamo ricevuto: il dovere della gentilezza verso gli altri. In qualche occasione mentire serve a essere gentili. La nostra cognizione dell’importanza di non arrecare dolore alle persone che amiamo fornisce una valida giustificazione esterna, per la nostra innocua menzogna. GIUSTIFICAZIONE ESTERNA Ragione o spiegazione che una persona offre del suo comportamento dissonante, posta al di fuori dell’individuo (RICOMPENSA o PUNIZIONE) GIUSTIFICAZIONE INTERNA Riduzione della dissonanza mediante la modificazione di una parte di se stessi (ATTEGGIAMENTO o COMPORTAMENTO) COUNTERATTITUDINAL ADVOCACY Processo che induce gli individui a dichiarare pubblicamente un’opinione o un atteggiamento che è in contraddizione con i loro atteggiamenti intimi. Le società complesse si reggono sul concetto di pena o della sua minaccia. Ogni membro della società si trova continuamente in situazioni in cui è minacciato di essere punito dai custodi della legge e dell’ordina se si rifiuta di soddisfare le loro regole. La minaccia di una pena pesante come un mezzo per costringere le persone a non commettere un’azione che provoca piacere richiede una vigilanza e un fastidio continuo. PENA INSUFFICIENTE Dissonanza che si crea quando agli individui manca una sufficiente giustificazione esterna per aver evitato un’attività o un oggetto desiderato. Il risultato usuale è che gli individui svalutano quest’attività o oggetto desiderato. <MINACCIA=<GIUSTIFICAZIONE ESTERNA <GIUSTIFICAZIONE ESTERNA=>BISOGNO DI GIUSTIFICAZIONE INTERNA Le minacce di pene leggere per qualsiasi comportamento rendono meno attraenti tali comportamenti in misura maggiore rispetto alle minacce severe. AUTOPERSUASIONE Forma permanente di cambiamento dell’atteggiamento che deriva da tentativi di autogiustificazione. Una giustificazione esterna insufficiente, basta per produrre il comportamento. Una ricompensa concreta o una pena pesante sono dei modi efficaci di fornire giustificazione esterna ad un’azione. La teoria della dissonanza prevede che tenderemo a gradire di più una persona che non gradiamo dopo che le abbiamo fatto una favore. La teoria della dissonanza cognitiva è una teoria delle motivazioni: le ricerche ci indicano che sono le sensazioni positive e negative a mettere in moto tutto, a motivare l’individuo a modificare il suo atteggiamento o comportamento. Abbiamo il bisogno di giudicarci persone dotate di intelligenza e buon senso che seguono un comportamento retto. Ciò che scatena il cambiamento e la distorsione dell’atteggiamento che può verificarsi nel processo di riduzione della dissonanza è il bisogno di preservare il ritratto di noi stessi.

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TEORIA DELLE DISCREPANZE DEL SE’ L’ipotesi che gli individui avvertono la motivazione a preservare un senso di coerenza tra le loro varie credenze e percezioni circa se stessi. La teoria prevede che avvertiamo malessere quando la nostra sensazione di chi realmente siamo (SE’ REALE) è in discrepanza con i nostri criteri personali o le concezioni del Sé che desideriamo. Tali criteri trovano migliore riflesso nelle varie credenze che nutriamo sul genere di persone che aspiriamo ad essere (SE’ IDEALE) e il tipo di persone che secondo noi dovremmo essere (SE’ IMPERATIVO). Paragonare tutti questi tipi di Sé ci fornisce uno strumento di valutazione del Sé, di giudicare le nostre capacità, i nostri attributi personali, il nostro comportamento e il grado in cui riusciamo a perseguire i nostri obiettivi. Quando ci rendiamo conto che non siamo riusciti a rispettare i nostri criteri, la teoria delle discrepanze del Sé prevede che a causa di questo colpo alla nostra autostima insorgerà un disagio psicologico e la motivazione a ridurre l’incoerenza associata alle discrepanze del Sé. Ci impegniamo a ridurre la dissonanza ristabilendo l’armonia tra le nostre credenze su noi stessi, tra il nostro Sé reale e i nostri criteri personali. Dedicandoci a diverse forme di giustificazione del Sé accorciamo il divario che esiste tra il nostro Sé reale, testimoniato dalle nostre azioni discrepanti con il Sé e chi aspiriamo ad essere. Secondo la teoria, le discrepanze del Sé producono un disagio emotivo e provocano dei tentativi netti di minimizzare il divario tra il Sé reale e quello ideale o imperativo. La teoria delle discrepanze del Sé offre una cornice di comprensione dell’eccitazione provocata dalla dissonanza come il prodotto delle minacce verso il concetto di noi stessi, in particolare quando questi sforzi di reintegrare o preservare un’immagine positiva di noi stessi sono generati da una violazione dei nostri criteri personali. TEORIA DEL COMPLETAMENTO DEL SE’ Bisogno di proteggere una favorevole immagine di sé. Il bisogno di mantenimento del Sé si inserisce nel campo delle relazioni sociali. Quando gli individui avvertono una minaccia a un aspetto importante del loro concetto di Sé, o della loro identità, impiegano una motivazione nel ricercare qualche sorta di riconoscimento sociale dello loro identità. Una volta ottenuto, permette agli individui di restituire nel loro intero valore di proprio concetto di Sé, funzionando come una strategia di riduzione della dissonanza e del mantenimento del Sé. Quando proviamo una minaccia all’identità, avvertiamo una forte motivazione a reintegrare quell’aspetto del nostro concetto di sé mediante il riconoscimento sociale. Tendiamo a cercare dei modi di segnalare agli altri che possiamo legittimamente pretendere con forza una particolare identità che è stata sfidata. Mediante delle ATTIVITA’ DI SIMBOLIZZAZIONE DEL SE’ diventiamo capaci di ridurre la dissonanza derivante dalla minaccia ai nostri preziosi concetti di sé. La teoria del completamento del Sé fornisce prove sul ruolo svolto dal mondo sociale nel sostenere la nostra identità, indicando come gli sforzi di ridurre la dissonanza derivino da un senso di minaccia al Sé che può assumere forme diverse, dal genere di processi di giustificazione del Sé, ai comportamenti di simbolizzazione del Sé. La ricerca sulla teoria della dissonanza analizza il modo in cui l’immagine di noi stessi viene minacciata dal nostro stesso comportamento.

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TEORIA DEL MANTENIMENTO DEL GIUDIZIO DI SE’ Teoria secondo cui il concetto di sé può essere minacciato dal comportamento di un altro individuo e secondo cui il livello di minaccia è determinato dalla vicinanza dell’altro individuo e dalla rilevanza personale del suo comportamento. Questa teoria sta a mostrare come le minacce al concetto di noi stessi producano affascinanti conseguenze sulle nostre relazioni interpersonali. TEORIA DELL’AFFERMAZIONE DEL SE’ Teoria secondo cui le persone tenderanno a ridurre una minaccia che provoca dissonanza nei confronti del loro concetto di Sé concentrandosi nell’affermare la loro competenza in una dimensione particolare che non è collegata alla minaccia. Questa teoria dimostra che gli individui denotano creatività e flessibilità quando si tratta di evitare la dissonanza. L’affermazione del Sé ha luogo quando viene minacciata la nostra autostima. L’affermazione del Sé può bloccare il bisogno di ridurre il genere di dissonanza descritto dalla teoria del giudizio di sé, ovvero quella che si produce quando le persone si sentono minacciate dalla brillante performance di un’altra persona nel loro stesso campo di specializzazione. Le persone avvertono dissonanza ogni volta che il loro concetto di sé viene minacciato, cioè ogni volta che compiono un’azione che denoti un senso di assurdità o immoralità. La giustificazione del Sé opera al servizio del mantenimento del Sé: riducendo la dissonanza, i soggetti con un’immagine di sé positiva riescono a reintegrare un senso di sé tanto positivo quanto coerente e stabile. Gli individui con un concetto di sé negativo non seguono i comportamenti di giustificazione di sé che caratterizzano le persone con autostima alta. Il bisogno di verifica del Sé o di mantenere un senso di sé coerente e stabile, può indurre le persone a rifiutare delle informazioni positive su se stessi, allorché sono in contrasto con le proprie credenze su di sé. TEORIA DELLA VERIFICA DEL SE’ Teoria secondo cui le persone hanno bisogno di cercare conferma la loro concetto di sé, sia esso positivo o negativo. In alcune circostanze questa tendenza può entrare in conflitto con il desiderio di mantenere una visione di sé positiva. Quando i soggetti con una visione di sé negativa ricevono feedback positivo, nella loro mente si scontrano bisogni opposti: quello di sentirsi a posto con se stessi credendo nel feedback positivo contro quello di preservare un ritratto di se stessi stabile e coerente ed evitare l’imbarazzo di essere smascherati. Gli esseri umani provano un potente bisogno di sentirsi a posto con se stessi: il bisogno di giustificazione di sé è una determinante fondamentale dei nostri atteggiamenti e comportamenti. Quando 2 motivazioni entrano in conflitto, il nostro bisogno di preservare un concetto di noi stessi stabile vince in determinate condizioni sul nostro bisogno urgente di vederci in una luce positiva. Le persone preferiscono restare vicine a chi le giudica in maniera non più positiva del loro concetto di sé. In un rapporto stretto, la maggior parte di noi preferisce essere conosciuto per ciò che si è, piuttosto che essere sopravvalutati.

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Gli individui si sforzano di mantenere le loro credenze negative su di sé solo se ne sono oltre modo sicure. Se le conseguenze di un giudizio improprie non sono eccessive, perfino dei soggetti con una visione negativa preferiscono un feedback positivo. Se le persone avvertono di non poter in alcun modo migliorare le loro capacità, preferiscono in genere un feedback positivo che preciso. Se le persone avvertono che un attributo di sé negativo può essere modificato con poco impegno, preferiscono un feedback preciso, in quanto quest’informazione può aiutarli a capire di che cosa abbiano bisogno per migliorarsi. Il comportamento di riduzione della dissonanza è volto a difendere il Sé. Può risultare utile, in quanto lo protegge da un assolto continuo e ci fornisce un senso di stabilità e di alta autostima. La tendenza a giustificare il nostro comportamento passato può indurci a razionalizzazioni dall’effetto disastroso. Per evitare di ritenerci degli esseri stupidi o immorali finiamo per compiere altre azioni improntate alla stupidità o all’immoralità. TRAPPOLA DELLA RAZIONALIZZAZIONE Risultato potenziale della riduzione di dissonanza che produce una serie di giustificazioni di sé fino a sfociare in una serie di azioni immorali o senza senso. Se le persone non imparassero dai loro sbaglio, non riuscirebbero a superare la ristrettezza delle loro menti e a crescere o cambiare. Se fossero costrette a dedicare il loro tempo e le loro energie alla definizione del Sé, non potrebbero mai imparare dai loro sbagli. Farebbero finta di non vederli o cercherebbero di trasformarli in virtù. TRIANDIS Ha scoperto che in società meno individualistiche della nostra il comportamento di riduzione della dissonanza è secondario rispetto a quello che favorisce l’armonia del gruppo in luogo della coerenza personale. L’affermazione di sé può proteggere la persona dal cadere nella tentazione di commettere un’azione crudele o immorale. CAPITOLO 7: GLI ATTEGGIAMENTI E IL LORO CAMBIAMENTO ATTEGGIAMENTO Giudizio permanente, sia esso positivo o negativo, riguardo a persone, oggetti e idee. Gli atteggiamenti si dicono permanenti nel senso che resistono nel tempo. Gli atteggiamenti implicano un giudizio, nel senso che consistono in una reazione positiva o negativa rispetto a qualcosa. Le persone valutano continuamente ciò che vedono. Gli atteggiamenti sono costituiti da diverse componenti o parti: • COMPONENTE EMOTIVA, (consiste nelle nostre risposte emotive all’oggetto dell’atteggiamento) • COMPONENTE COGNITIVA, (fatta da ciò che pensiamo e crediamo a suo riguardo) • COMPONENTE COMPORTAMENTALE, (consiste nelle nostre azioni o nel comportamento osservabile nei riguardi dell’oggetto dell’atteggiamento) Non tutti gli atteggiamenti hanno origine nello stesso modo. Sebbene tutti includano componenti emotive, cognitive e comportamentali, ciascuno di essi può essere basato su una componente in misura superiore alle altre.

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ATTEGGIAMENTO A BASE COGNITIVA Atteggiamento che si fonda sulle credenze che le persone hanno relativamente alle proprietà del suo oggetto. ATTEGGIAMENTO A BASE EMOTIVA Atteggiamento fondato più sulle emozioni e sui valori che su una valutazione oggettiva dei pro e dei contro di un oggetto. Sono diverse le fonti che originano gli atteggiamenti a base emotiva e che non si formano da un attento esame dei fatti. Essi possono derivare dai valori delle persone, dalle loro credenze religiose e morali. Questi atteggiamenti hanno la funzione di dare espressione e conferma al proprio sistema fondamentale di valori. Altri atteggiamenti a base emotiva possono essere il risultato di una reazione sensoriale. Altri possono formarsi da un condizionamento. CONDIZIONAMENTO CLASSICO Caso in cui un certo stimolo che provoca una reazione emotiva viene avvertito ripetutamente con uno stimolo neutro che non provoca alcuna reazione, finchè quest’ultimo non assume le proprietà emotive del primo stimolo. CONDIZIONAMENTO OPERANTE Il caso in cui si nota un aumento o una diminuzione della frequenza dei comportamenti che abbiamo deciso di assumere a seconda che siano seguiti da una conferma positiva o da una punizione. Nonostante l’eterogeneità delle fonti degli atteggiamenti a base emotiva, possiamo raggrupparle in una sola famiglia tenendo conto del fatto che esse condividono alcune caratteristiche fondamentali: • Non derivano da un esame razionale della questione, • Non sono rette dalla logica, • Spesso sono legate ai valori delle persone, sicchè tentare di modificarli implica la minaccia dei valori stessi. ATTEGGIAMENTO A BASE COMPORTAMENTALE Atteggiamento che si fonda sull’osservazione di come ci si comporta verso il suo oggetto. Secondo la teoria dell’autopercezione di Bem, in determinate circostanze le persone non sanno quali siano le loro emozioni finchè non vedono come si comportano. Solo in determinate circostanze le persone deducono i loro atteggiamenti dal comportamento. L’atteggiamento iniziale deve essere debole o ambiguo. Le persone inferiscono i loro atteggiamenti dal loro comportamento solo quando mancano altre spiegazioni plausibili del comportamento stesso. Le differenze fra atteggiamenti riguardano la loro origine emotiva, cognitiva o comportamentale e la loro forza. Esiste un divario che sussiste fra gli psicologi sociali in merito alla migliore definizione possibile di forza di un atteggiamento. Alcuni ritengono che la spiegazione sia il grado di facilità con cui un atteggiamento viene evocato, cioè quanto sia accessibile. Altri reputano che si debba considerare il grado di importanza che le persone attribuiscono al loro atteggiamento, quali informazioni abbiano sull’oggetto o quanto l’atteggiamento sia estremo. Più è forte un atteggiamento, più è difficile cambiarlo. ACCESSIBILITA’ DELL’ATTEGGIAMENTO Forza di un’associazione tra un oggetto e il giudizio che ne facciamo. L’accessibilità è misurata dalla rapidità con cui

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riusciamo a ricondurre alla nostra memoria le emozioni che proviamo verso una determinata questione o oggetto. Una delle ragioni dell’importanza dell’accessibilità di un atteggiamento è che essa determina il grado di probabilità con cui le persone si comportano in maniera coerente con il loro atteggiamento. L’accessibilità influenza la facilità con cui gli individui modificano i loro atteggiamenti. Maggiore è l’accessibilità di un atteggiamento, maggiore è la velocità con cui viene in mente e maggiore è la difficoltà a cambiare tale atteggiamento. Un modo in cui un atteggiamento acquista accessibilità è mediante un’esperienza diretta e ripetuta con il relativo oggetto. Quando un atteggiamento è a base comportamentale, ogni sensazione che possiamo avvertire acquisterà accessibilità. Tanto più un atteggiamento è a base comportamentale, tanto più esso è resistente e accessibile al cambiamento. Gli atteggiamenti spesso si modificano in risposta a un’influenza sociale. Ogni nostro atteggiamento può venire influenzato dalle azioni o dalle parole degli altri. E’ per questo che gli atteggiamenti rivestono importanza agli occhi degli psicologi sociali. Esiste un modo per cambiare comportamento, la cui spiegazione si trova nella teoria della dissonanza cognitiva, secondo cui le persone si comportano in maniera incoerente rispetto ai loro atteggiamenti e non riescono a trovare una giustificazione esterna. Gli individui avvertono dissonanza quando compiono un’azione che minaccia l’immagine che hanno di se stesse come persone dotate di gentilezza e di senso morale. COUNTERATTITUDINAL ADVOCACY Processo secondo cui gli individui vengono indotti ad affermare pubblicamente un’opinione o un atteggiamento che è in conflitto con i loro atteggiamenti privati. Quando ciò viene portato a termine con una bassa giustificazione esterna, ne segue un cambiamento dell’atteggiamento intimo del soggetto, che va nella direzione dell’affermazione fatta pubblicamente. COMUNICAZIONE PERSUASIVA Tipo di comunicazione (discorso o pubblicità) che presenta una determinata versione di una questione. APPROCCIO AL CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO DELLA SCUOLA DI YALE: Studio delle condizioni in cui le persone vengono con più probabilità influenzate dalla comunicazione persuasiva. Gli studiosi di questa scuola focalizzano la loro attenzione sul CHI DICE COSA A CHI cioè sulla fonte della comunicazione, la sua natura e la natura del pubblico. L’essenza del programma focalizza l’attenzione sulla: • FONTE DELLA COMUNICAZIONE, (in che misura chi parla sembra esperto o attraente) • COMUNICAZIONE STESSA, (qualità del ragionamento, la presentazione dei diversi punti di vista) • NATURA DEL PUBBLICO (quali generi di appelli funzionano con pubblici avversi o amici) Gli studiosi del cambiamento di atteggiamento sono incerti sui casi in cui sia meglio far risaltare i fattori propri della comunicazione e quelli in cui si debbano sottolineare i fattori periferici rispetto alla logica del ragionamento.

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MODELLO DELLA PERSUASIONE EURISTICO- SISTEMATICO Teoria secondo cui esistono 2 modi in cui le comunicazioni persuasive possono provocare il cambiamento di atteggiamento. Le persone elaborano sistematicamente il contenuto dei ragionamenti presentati o adottano delle scorciatoie mentali (EURISTICHE). CHAIKEN MODELLO DELLA PROBABILITA’ DI ELABORAZIONE Teoria che pone 2 vie in cui le comunicazioni persuasive possono provocare un cambiamento di atteggiamento. La VIA CENTRALE si verifica quando le persone prestano attenzione ai fatti inerenti una comunicazione. La VIA PERIFERICA viene seguita quando le persone non sono motivate a prestare attenzione agli argomenti e vengono guidate da aspetti superficiali del messaggio, quali la FONTE. PETTY & CACIOPPO. Queste teorie precisano in quali situazioni le persone vengono influenzate dal contenuto del messaggio o dalle caratteristiche più superficiali. Entrambe le teorie affermano che, in determinate condizioni, le persone prestano attenzione ai fatti inerenti una comunicazione e che verranno persuase quando più questi fatti possiedono una forza logica. VIA CENTRALE DELLA PERSUASIONE Caso in cui le persone elaborano ciò che ascoltano, ripensando ed elaborando il contenuto della comunicazione. Questo caso ha luogo quando le persone hanno la capacità e la motivazione ad ascoltare con attenzione una comunicazione. VIA PERIFERICA DELLA PERSUASIONE Caso in cui gli individui non elaborano gli argomenti di una comunicazione persuasiva e vengono guidati da indizi periferici. Secondo CHAIKEN, PETTY & CACIOPPO le persone seguono la via centrale o periferica in base alla motivazione e alla capacità di prestare attenzione. Nella misura in cui le persone hanno un interesse per l’argomento e sono motivate a prestare attenzione ai ragionamenti, è probabile che adottino la via centrale. Risultato analogo è probabile quando le persone hanno la capacità di prestare attenzione anche se sono distratte da altro. Fattore fondamentale che motiva le persone a fare attenzione a una comunicazione è la rilevanza personale dell’argomento, cioè il grado in cui esso produce conseguenze importanti per il benessere dell’individuo. Quanto più una questione ha rilevanza personale, tanto più le persone saranno disposte a prestare attenzione ai ragionamenti implicati in un discorso e a seguire la via centrale della persuasione. Quando una questione ha rilevanza personale, gli individui sono disposti a prestare attenzione ai ragionamenti contenuti in un discorso e verranno persuasi nella misura in cui essi sono ben argomentati. Quando una questione ha scarsa rilevanza, le persone non sono motivate a prestare attenzione ai ragionamenti: adottano una scorciatoia mentale che le porta a seguire regole periferiche. Le persone saranno motivate a prestare attenzione a un discorso a seconda della loro personalità. Chi si diletta a ragionare con precisione si trova ad avere un alto BISOGNO DI COGNIZIONE. Queste persone formano i loro atteggiamenti

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facendo attenzione ai ragionamenti più rilevanti mediante la via centrale. Le persone che provano un basso bisogno di cognizione si affidano a indizi periferici. BISOGNO DI COGNIZIONE Variabile della personalità che riflette il grado in cui le persone desiderano cercare e riflettere sulle informazioni riguardo al loro mondo sociale. In alcuni casi non riusciamo a seguire un discorso nonostante l’attenzione che vi prestiamo. Le ragioni possono essere la stanchezza, la distrazione provocata dai rumori di fondo o la sua complessità. In queste circostanze siamo incapaci di prestare un’attenzione sufficiente ai ragionamenti e veniamo guidati da indizi periferici. Un modo per superare i dubbi circa la validità del proprio discorso potrebbe consistere nel distrarre il pubblico con dei rumori di sottofondo. Se si ritiene che i propri ragionamenti abbiano forza e capacità di persuasione, occorre assicurarsi di avere la piena attenzione del pubblico, in modo che esso possa ascoltarli ed esserne condizionato. Le persone che fondano i loro atteggiamenti su un’analisi accurata dei ragionamenti hanno maggiori probabilità di conservarli nel tempo, di comportarsi in coerenza con essi e di opporre maggiore resistenza alla persuasione contraria, rispetto agli individui che motivano i loro atteggiamenti con indizi periferici. Qualora il nostro obiettivo sia creare un cambiamento di atteggiamento permanente, abbiamo bisogno di ragionamenti forti e di indurre le persone a esaminarli e soppesarli in modo da seguire la via centrale della persuasione. Un simile approccio può funzionare, ma presenta un inconveniente: prima che le persone prendano in considerazione i nostri ragionamenti, dobbiamo ottenere la loro attenzione. Una conseguenza interessante dell’appello emotivo, è che così facendo si può determinare se le persone presteranno attenzione al contenuto di un discorso o adotteranno scorciatoie mentali. Si è scoperto che quando le persone sono di buonumore, desiderano continuare a esserlo. Evitano quelle attività che possono guastare quelle sensazioni. Il buonumore riduce la motivazione e la capacità delle persone a fare attenzione al ragionamento implicato in un messaggio, e favorisce la tendenza ad adottare la via periferica della persuasione. COMUNICAZIONI CHE INDUCONO PAURA Messaggi persuasivi che cercano di modificare gli atteggiamenti delle persone suscitando paura. Le emozioni possono provocare un cambiamento di atteggiamenti in quanto ci segnalano le nostre sensazioni rispetto a un determinato problema. Secondo il modello della persuasione euristico- sistematico di Chaiken quando le persone adottano la via periferica della persuasione impiegano una forma euristica. Abbiamo definito euristica ogni scorciatoia mentale che le persone utilizzano per emettere giudizi in maniera rapida ed efficace. In questo contesto un’euristica può essere considerata come una regola semplice che le persone impiegano per decidere quale sia il loro atteggiamento, senza dover perdere tempo ad analizzare ogni dettaglio dell’argomento. Anche le nostre emozioni e stati d’animo possono fungere da euristica che viene a determinare i nostri atteggiamenti.

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ATTRIBUZIONE ERRONEA Si verifica quando crediamo che le nostre sensazioni provengano da una fonte diversa da quella reale. Ogni atteggiamento ha una creazione diversa: qualcuno si basa su delle credenze relative all’oggetto dell’atteggiamento, altri si fondano sulle emozioni e i valori. Gli atteggiamenti relativi a questioni come la fede poggiano su emozioni e valori e non su fatti e ragionamenti. Se volessimo impiegare delle emozioni per cercare di cambiare degli atteggiamenti, dovremmo prestare attenzione al tipo di atteggiamento che desideriamo modificare. SHAVITT Scoprì che le persone hanno tipi diversi di atteggiamenti verso differenti generi di prodotti. Nelle varie culture le persone mostrano delle differenze del concetto di sé. Esse influenzano i tipi di atteggiamenti assunti dalle persone e di conseguenza il modo in cui questi cambiano. HAN & SHAVITT Ipotizzarono che le differenze nel concetto di sé potessero riflettere tipi diversi di atteggiamenti che le persone hanno verso i prodotti: le persone della cultura occidentale fondano i loro atteggiamenti sulle preoccupazioni per l’individualità e il miglioramento di sé, quelle appartenenti alle culture asiatiche sono preoccupate per la loro posizione nel proprio gruppo sociale. Le pubblicità funzionano meglio se vengono adattate al tipo di atteggiamento che cercano di modificare. Viene da chiedersi se di fronte a numerosi metodi disponibili per modificare in maniera intelligente i nostri atteggiamenti, ci si possa sentire al sicuro dalle comunicazioni persuasive. Esistono strategie intelligenti che ci permettono di resistere al bombardamento dei messaggi persuasivi. Un approccio è indurre le persone a soppesare gli argomenti a favore o contro il loro atteggiamento prima che esso venga messo in discussione da qualcuno. Maggiore è il tempo dedicato quest’attività preliminare, maggiore è la capacità degli individui di respingere gli attacchi che mirano a modificare la loro opinione mediante degli argomenti logici. Se gli argomenti a favore o contro un loro atteggiamento non sono stati ponderati, divengono sensibili a un attacco di natura logica rivolto contro l’atteggiamento. McGUIRE INOCULAZIONE DI UN ATTEGGIAMENTO Processo mediante cui si rendono le persone immuni dai tentativi di cambiamento dei loro atteggiamenti esponendoli inizialmente a piccole dosi dei ragionamenti addotti contro le loro posizioni. La pressione proveniente dagli amici non è collegata a una serie di argomenti logici, ma ai valori e alle emozioni delle persone, e gioca sulla paura di essere rifiutati e sul desiderio di libertà e indipendenza. Durante l’adolescenza i compagni diventano la fonte di approvazione sociale che può somministrare ricompense rispetto a un determinato atteggiamento o comportamento seguito. Abbiamo l’esigenza di una tecnica che renda i giovani più resistenti ai tentativi di cambiamento di atteggiamento provenienti dai loro compagni, in modo da rendere meno probabile che essi seguano comportamenti a rischio.

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Una strada possibile è estendere la logica dell’approccio dell’inoculazione a tecniche a base emotiva. Oltre a vaccinare le persone con dosi di argomenti logici, potremmo somministrare loro degli esempi di tipo emotivo in cui potrebbero imbattersi. TEORIA DELLA REATTANZA L’idea che quando le persone avvertono minacciata la loro libertà di seguire un determinato comportamento, proveranno uno stato sgradevole che li indurrà a reagire adottando proprio quel comportamento. Il cambiamento di atteggiamento deve la sua importanza alla relazione tra gli atteggiamenti e il comportamento reale delle persone. WICKER Afferma che è improbabile che gli atteggiamenti delle persone prevedano il loro comportamento manifesto. Gli atteggiamenti fanno realmente prevedere il comportamento, ma solo in determinate condizioni. Un fattore cruciale è sapere se il comportamento che stiamo cercando di prevedere è spontaneo o deliberato e pianificato. In alcuni casi seguiamo un comportamento spontaneo, senza pensare troppo in anticipo a ciò che stiamo per compiere. Il grado in cui gli atteggiamenti fanno prevedere i comportamenti spontanei dipende da una qualità dell’atteggiamento: la sua ACCESSIBIITA’. Essa si riferisce alla forza con cui un oggetto viene associato al nostro atteggiamento al riguardo. Quando essa è alta, il nostro atteggiamento ci viene in mente ogni volta che incontriamo quell’oggetto. Se è bassa tale evocazione avviene lentamente. Atteggiamenti altamente accessibili avranno maggiori probabilità di far prevedere i comportamenti spontanei, poiché le persone, quando vengono chiamate all’azione, sono colte nell’atto di pensare al loro atteggiamento. Quando gli atteggiamenti non sono accessibili, le persone vengono influenzate da variabili della situazione. In condizioni nelle quali il nostro comportamento non è spontaneo ma volontario e pianificato, l’immediata accessibilità di un nostro atteggiamento riveste minore importanza. Se gli individui hanno a disposizione tempo per ponderare una questione, anche quelli con atteggiamenti non accessibili riusciranno ad evocare le proprie emozioni. E solo quando dobbiamo decidere come agire sul momento, senza tempo per pensarci, che l’accessibilità diventa rilevante. FISHBEIN & AJZEN AZIONE RAGIONATA Secondo questa teoria il modo migliore per prevedere il comportamento pianificato e deliberato di una persona, è considerare i suoi atteggiamenti verso determinati comportamenti e le proprie norme soggettive. In presenza di tempo sufficiente per soppesare un comportamento futuro, il modo migliore per prevederlo è considerare l’intenzione di agire in un certo modo, cioè delle azioni pianificate e deliberate che non rispondono al concetto di accessibilità avanzato da Fazio. 2 cose sono necessarie per conoscere le intenzioni di una persona: 1. il suo atteggiamento, 2. le credenze sulle norme soggettive rispetto a quella situazione. Ciò che conta non è l’atteggiamento generato dalle persone verso qualcosa, ma il loro

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atteggiamento particolare verso il comportamento in questione. Solo gli atteggiamenti specifici verso tale comportamento possono permettere la previsione del comportamento stesso. DAVIDSON & JACCARD Trovarono che gli atteggiamenti verso comportamenti specifici riuscivano a far prevedere meglio le azioni successive rispetto agli atteggiamenti più generali. Oltre al compito di misurare gli atteggiamenti verso un comportamento, dobbiamo valutare le norme soggettive delle persone, cioè le loro credenze su come le persone care giudicheranno un certo comportamento. Al fine di prevedere le intenzioni di qualcuno, conoscere queste credenze può essere decisivo. Chiedere agli individui quali siano le loro norme soggettive, aumenta la capacità di prevedere i loro comportamenti pianificati e volontari. Il mondo della pubblicità è ricco di esempi che ci riportano a molte dei principi relativi al cambiamento di atteggiamento e di comportamento finora esaminati. Un lato curioso della pubblicità è che la maggioranza delle persone ritiene che funziona su tutti tranne che su se stessi. Questa credenza è smentita da prove sul funzionamento della pubblicità. Non ci induce ad andare in massa a comprare quel prodotto, ma quando esso viene reclamizzato le vendite salgono. SPIL CABLE MARKET TEST Tecniche impiegate per misurare l’efficacia della pubblicità: i pubblicitari, in accordo con le televisioni via cavo e i supermercati, mostrano un messaggio a un gruppo di persone selezionate a caso, e vedono se questi soggetti mostreranno maggiori probabilità di acquistare il prodotto relativo rispetto a chi non ha visto la pubblicità. I pubblicitari dovrebbero prendere in considerazione il tipo di atteggiamento che cercano di modificare. Se si tratta di un atteggiamento a base emotiva, devono contrastare emozioni con altre emozioni. Numerose pubblicità assumono l’approccio emotivo associando sensazioni di eccitazione, giovinezza, energia e carica sessuale, in quanto non avrebbe senso parlare delle qualità oggettive delle diverse marche. Se gli atteggiamenti delle persone sono a base cognitiva, dobbiamo domandarci quale sia la rilevanza personale della questione, se essa produca conseguenze importanti nella vita quotidiana degli individui, o se si tratti di qualcosa che non li coinvolge direttamente. Un possibile problema che sorge è il fatto di avere un atteggiamento a base cognitiva che non è di diretta rilevanza personale, e questo causa una minore attenzione delle persone al messaggio pubblicitario. Il cambiamento di atteggiamento che viene provocato da semplici indizi periferici non dura a lungo. E’ difficile reclamizzare un prodotto che non coinvolge la sfera emotiva delle persone e che non rilevanza diretta per la loro vita quotidiana. Esiste una soluzione: il trucco è rendere il prodotto di rilevanza personale. Molte pubblicità tendono a rendere gli atteggiamenti delle persone a base emotiva, associando il prodotto a emozioni e valori importanti. Associando emozioni positive a un prodotto, il pubblicitario può trasformarlo in qualcosa che evoca emozioni di nostalgia, affetto, calore e benevolenza.

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MESSAGGI SUBLINALI Parole o immagini che, seppure non percepiti consciamente, possono influenzare il giudizio, gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone a livello inconscio. Il pubblico ritiene che questi messaggi possano modellare i loro atteggiamenti e comportamenti, pur non sapendo se essi sono effettivamente entrati nella loro mente. Vista la natura isterica delle affermazioni fatte sui messaggi sublimali, occorre accertare se funzionano. KEY Afferma che i pubblicitari trasferiscono messaggi sessuali nelle reclame pubblicizzate. Sostiene che sebbene non vengano percepite coscientemente, queste immagini inducono le persone in uno stato d’animo positivo e le costringono a prestare maggiore attenzione al prodotto, facendo aumentare le vendite. I messaggi sublimali non sono solo visivi ma anche sonori. Non esiste alcuna prova che il tipo di messaggi sublimali impiegati nella vita quotidiana produca alcun effetto sul comportamento delle persone. I messaggi subliminali producono effetti in ricerche di laboratorio controllate. Nell’ambiente di laboratorio non abbiamo prove che i messaggi subliminali possono indurre le persone ad agire contro i loro desideri, valori o personalità. Producono effetti subdoli sul gradimenti verso stimoli ambigui ma non riescono a vincere i desideri e le voglie degli individui. La confusione attorno ai messaggi subliminali ha offuscato un lato significativo della pubblicità: le reclame sono più potenti quando possiamo percepirle coscientemente. Vi sono prove a sostegno del fatto che le pubblicità che incontriamo nella vita quotidiana e che percepiamo coscientemente possono avere effetti notevoli sul nostro comportamento, pur non contenendo messaggi subliminali. Simili pubblicità non si limitano a influenzare il comportamento consumistico: veicolano stereotipi culturali mediante le loro parole o immagini, collegando subdolamente un prodotto a un’immagine desiderata. Le pubblicità possono rafforzare e perpetuare dei modi stereotipati di pensare i gruppi sociali. GOFFMAN Offre esempi di come i modelli pubblicitari assumano una postura che rende il comportamento non verbale potente, freddo e attivo se si tratta di uomini, e passivo, sottomesso e espressivo se si tratta di donne. Offensive sono pubblicità che collegano il prodotto a immagini di ostilità e violenza sessuale. La violenza mostrata contro le donne in simili reclame non è subliminale: queste immagini sono più evidenti e potenti di qualsiasi messaggio nascosto. Se gli effetti dei messaggi subliminali nelle pubblicità potranno essere documentati, è improbabili che essi siano più forti di quelli prodotti dalla pubblicità più evidente e percepita consciamente. CAPITOLO 10: L’ATTRAZIONE INTERPERSONALE Il sentimento di solitudine, derivante dalla mancanza di relazioni significative con gli altri, rende le persone inutili, sfiduciate, alienate, prive di sostegno e di risorse. La sopravvivenza degli esseri umani in quanto specie è assicurata grazie all’abilità con cui essi riconoscevano la bontà o meno di un’altra creatura. Uno degli aspetti più semplici che determina l’attrazione interpersonale è la vicinanza, chiamata anche prossimità. Le persone che vediamo e con le quali

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interagiamo più spesso hanno maggiori probabilità di diventare i nostri amici o compagni di vita. Il fatto sorprendente dell’effetto della prossimità è che esso funziona ad un microlivello. FESTINGER, SCHACHTER & BACK Dimostrarono che l’attrazione e la prossimità sono collegati alla reale distanza fisica e a quelle psicologiche e funzionali. La distanza funzionale si riferisce come caratteristiche del disegno architettonico rendono più probabile il contatto fra alcune persone. La prossimità gioca un ruolo fondamentale in una scelta importante come quella del partner. La maggior parte delle persone sposa il compagno di banco, chi vive nello stesso quartiere o lavora nel medesimo ufficio. L’effetto della prossimità si verifica in ragione della familiarità che abbiamo con le persone che si cono vicine. Le vediamo spesso, ci diventano familiari e sboccia l’amicizia. Se la persona in questione è sgradevole, più relazioni avremo, meno ci piacerà. In assenza di qualità negative, la familiarità produce attrazione e piacere. SEMPLICE ESPOSIZIONE Dato secondo cui maggiore è l’esposizione che abbiamo nei confronti di uno stimolo, maggiore è la nostra tendenza a mostrare gradimento verso di esso. La prossimità non è l’unica caratteristica a determinare chi ci piacerà. Gli esperimenti sul campo che studiano i comportamenti delle persone, mostrano che veniamo maggiormente attratti dall’aspetto fisico degli altri. Entrambi i sessi valutano la bellezza, con la differenza che gli uomini le attribuiscono maggior peso di quanto non facciano le donne. Questa differenza legata al sesso appare più accentuata quando vengono misurati gli atteggiamenti degli uomini e delle donne, rispetto a quando viene misurato il loro comportamento reale. Può darsi che gli uomini, in misura maggiore delle donne, ritengono che in una potenziale amicizia o incontro sia più importante l’attrazione fisica: nel comportamento concreto entrambi i sessi si rivelano uguali. Il ruolo che l’aspetto fisico gioca sull’attrazione non si limita alle relazioni eterosessuali. In incontri con soggetti omosessuali, l’aspetto fisico era la caratteristica più importante che determinava l’attrazione nei confronti del partner. Fin da bambini ci viene detto dai media cos’è bello, con l’implicito messaggio che la bellezza è associata alla bontà. Bombardati dalle immagini dei media, non ci sorprende il fatto che condividiamo una serie di criteri che definiscono la bellezza. Vi sono delle coincidenze nella valutazione degli uomini e delle donne riguardo all’aspetto fisico. Gli OCCHI GRANDI sono una caratteristica tipica del volto infantile, in quanto i cuccioli dei mammiferi hanno occhi molto grandi rispetto alla forma del viso. Questi tratti del volto infantile risultano attraenti perché suscitano sentimenti di dolcezza e tenerezza. Altra caratteristica che desta attrazione sono gli ZIGOMI PRONUNCIATI, elemento tipico dell’uomo sessualmente maturo. Notiamo come il volto femminile considerato bello presenti più caratteristiche bambinesche, il che indica che la bellezza femminile viene associata alle qualità infantili. La bellezza fisica è associata ad altri tratti desiderabili. Essa costituisce un potente STEREOTIPO. L’essere belli presuppone una serie i elementi desiderabili. Si crede che le persone belle abbiano successo, siano più intelligenti, abbiano una

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sistemazione migliore nella vita, siano socialmente competenti, più interessanti, brillanti, indipendenti e più sexy della controparte meno attraente. DION, BERSCHEID & WALSTER Hanno chiamato questo fenomeno lo STEREOTIPO DEL CIO’ CHE E’ BELLO E’ BUONO. Questo stereotipo è debole e può condizionare i giudizi delle persone su un individuo in aree specifiche. EAGLY Ha trovato che le bellezza fisica ha un effetto più evidente nelle attribuzioni degli uomini sulle donne rispetto alla competenza sociale: la bellezza è collegata con la socievolezza, l’estroversione e la popolarità. Lo stereotipo del “ciò che è bello è buono” è meno potente quando le persone vengono giudicate intelligenti, con una buona autostima e in carriera. Lo stereotipo non opera in 2 aree: la bellezza non è collegata all’integrità morale e all’empatia. Lo stereotipo in base al quale le persone belle sono dotate nell’area della competenza sociale trova conferma da alcune ricerche: le persone molto attraenti sembrano avere relazioni sociali più soddisfacenti di quelle che non lo sono. Questo nocciolo di verità all’interno dello stereotipo è dovuto al fatto che le persone belle ricevono una grande quantità di attenzione, la quale aiuta a sviluppare una buona competenza sociale. Ritroviamo il concetto della PROFEZIA CHE SI AUTOADEMPIE. Quando un uomo pensa di parlare con una bella donna, si rivolge a lei in modo da indurla a mostrare le sue qualità migliori. Se la bellezza fisica ha un effetto potente sull’attrazione iniziale, il fatto che ci piaccia qualcuno influenza la nostra valutazione di quanto lei o lui siano fisicamente attraenti. Sebbene esistano delle qualità oggettiva di una persona che la rendono più attraente di altre, è anche vero che più ci piace qualcuno, più troviamo bello il suo aspetto fisico. Il contatto frequente con le persone genera attrazione e una determinante significativa di questo fenomeno è la bellezza fisica. Più conosciamo gli altri più entrano in gioco anche altri fattori. Uno di questi è la SOMIGLIANZA, che consiste nel fatto che le nostre opinioni, credenze e qualità sono simili a quelle di un’altra persona. Un modo per percepire la somiglianza è attraverso la condivisione di atteggiamenti o valori. Se conosciamo le opinioni di un individuo su vari argomenti, ed esse sono molto simili alle nostre, saremo maggiormente attratti da lui. L’attrazione cresce con la percentuale degli atteggiamenti condivisi. La somiglianza è così importante nell’attrazione perché: 1. le persone che sono simili a noi convalidano le nostre credenze, cioè ci confermano l’esattezza delle nostre opinioni, facendoci sentire sicuri. 2. e’ probabile che facciamo delle inferenze negative sulla persona che non condivide le nostre opinioni su argomenti importanti. L’opinione dell’individuo è indicativa del tipo di persona che in passato abbiamo trovato sgradevole o immorale. Il desiderio di vedere comprovate le nostre opinioni e le conclusioni a cui giungiamo, svolgono un ruolo importante nell’aumentare l’attrazione di una persona che ci assomiglia e nel diminuire quella di qualcuno che non presenta somiglianza. WINCH Ritiene che una persona indipendente potrebbe essere attratta da qualcuno che ama prendersi cura degli altri, una persona timida da una estroversa e socievole, uno che parla sempre da un taciturno che è portato all’ascolto. L’idea che gli opposti

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si attraggono è l’ipotesi della COMPLEMENTARITA’, secondo cui le persone vengono attratte da quelle che possiedono delle caratteristiche complementari alle proprie. WAGNER Ha trovato che le personalità opposte si attraggono. Altri ricercatori sostengono che la somiglianza e non la complementarità, sta alla base dello sviluppo delle relazioni. Alcuni autori sostengono che la somiglianza è importante prima dello sviluppo della relazione, mentre la complementarità lo diventa in seguito, quando la relazione si prolunga. Il fatto di piacersi reciprocamente è uno degli aspetti primari dell’attrazione interpersonale, ed è così potente che può ovviare all’assenza di somiglianza. L’aspetto più importante che determina l’attrazione nei confronti di una persona è il fatto di ritenere che risultiamo graditi all’altro. Ciò che pensiamo influenza le nostre azioni ed esse influenzano le risposte degli altri. Piacere ad un’altra persona è un aspetto importante dell’attrazione reciproca. SWANN Ha scoperto che le persone con una stima di sé moderata o positiva rispondono all’attrazione reciproca e quelle che hanno un’autostima negativa rispondono in maniera diversa. EFFETTO GUADAGNO- PERDITA Il dato secondo cui siamo più attratti dalle persone se sentiamo di averle conquistate, mentre le rifiutiamo se pensiamo di aver perso la loro stima. La somiglianza e la prossimità possono avere un ruolo determinante prima dell’innamoramento, ma solo per le persone che sono già dei potenziali candidati. La bellezza influisce sul comportamento delle persone negli studi di laboratorio ed è presente nel ricordo spontaneo che le persone hanno delle loro esperienze reali di attrazione. DUCK Trovò che, per entrambi i sessi, l’elemento cruciale per l’attrazione è la bellezza fisica. Come secondo fattore si piazza la somiglianza. La qualità della conversazione non incideva sull’attrazione. Rispetto all’amicizia, ci sono delle differenze fra uomini e donne. Per i primi, la somiglianza è l’elemento cruciale che fa prevedere l’amicizia, seguito dalla bellezza. Per le donne è la qualità della conversazione che influenza l’amicizia, seguita dalla somiglianza. I fattori che determinano l’attrazione fanno riferimento a: • ASPETTI SITUAZIONALI, (prossimità, esposizione ripetuta) • ATTRIBUTI INDIVIDUALI, (aspetto fisico, somiglianza, complementarità, stima di sé) • COMPORTAMENTO DELL’INDIVIDUO (trasmettere gradimento) TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE Teoria che sostiene che il modo in cui le persone percepiscono la loro relazione (positivamente o negativamente), dipende dalla valutazione dei profitti e dei costi, dalla percezione del tipo di relazione che meritano e dalla probabilità di riuscire ad avere una relazione migliore con qualcun altro. I concetti di base di questa teoria sono:

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• PROFITTO, (aspetto positivo e gratificante della relazione, che si rinforza ed è utile e include le caratteristiche personali e i comportamenti del partner della relazione e l’abilità di acquisire risorse esterne grazie alla conoscenza del nostro partner) • COSTO, (altra faccia della medaglia: tutte le relazioni romantiche e le amicizie hanno il loro prezzo) • GUADAGNO (Confronto diretto nella relazione tra costi e profitti) • LIVELLO DI CONFRONTO (Aspettative delle persone in merito al livello di costi e profitti che hanno probabilità di ricevere da una relazione. Da esso dipende la soddisfazione provata verso una relazione. Le esperienze di relazioni accumulate nel tempo fanno sì che vi siano delle aspettative di come dovrebbe essere una relazione corrente o futura. Alcune persone hanno un alto livello di confronto, e dalla loro relazione si aspettano di ricevere molti profitti e pochi costi. Una relazione che non soddisfa questo livello potrebbe rivelarsi insoddisfacente e infelice. Coloro che hanno un basso livello di confronto, possono essere felici nella medesima relazione, perché si aspettano un rapporto difficile e oneroso. LIVELLO DI CONFRONTO PER LE ALTERNATIVE Aspettative delle persone in merito al livello di costi e profitti che riceverebbero da una relazione alternativa. E’ probabile che le persone che hanno un alto livello di confronto per le alternative facciano nuove amicizie o trovino un nuovo amore. Quelle che hanno un basso livello di confronto per le alternative, hanno maggiori probabilità di rimanere in una relazione costosa, poiché ciò che hanno è migliore delle loro aspettative e di ciò che pensano di poter trovare come alternativa. Gli amici e le coppie di amanti fanno attenzione ai costi e ai profitti del loro rapporto e ciò produce un effetto sui sentimenti positivi rispetto allo status della relazione. Quando mettiamo in atto un comportamento spiacevole per dei profitti bassi, si può produrre dissonanza, la quale può essere accresciuta aumentando la piacevolezza del compito. In una situazione giusta, una persona ad alti costi può essere reinterpretata come una ad alti profitti. Una critica mossa da alcuni studiosi alla teoria dello scambio sociale è che essa ignora una variabile essenziale della relazione: la nozione di giustizia o EQUITA’. WALSTER, BERSCHEID & HOMANS TEORIA DELL’EQUITA’ Le persone nella relazione non solo cercano i massimi profitti e i costi bassi, ma anche la sua equità: i profitti, i costi e i contributi che diamo in una relazione devono essere uguali ai profitti, ai costi e ai contributi dati dall’altra persona. Le relazioni eque sono le più felici e stabili. L’equità è una norma sociale molto potente: le persone si sentiranno afflitte e in colpa se riceveranno più di quanto meritano in una relazione. Le relazioni ingiuste creano maggiori problemi alle persone che non si sentono soddisfatte da esse. In una relazione, la prima impressione è importante. Se vogliamo iniziare una relazione, dobbiamo andare oltre le iniziali impressioni superficiali. Le ricerche sull’attrazione interpersonale si sono concentrate sulle prime impressioni, in quanto le relazioni intime lunghe non sono facilmente misurabili. L’assegnazione casuale dei

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soggetti alle condizioni sperimentali è il punto cruciale quando si affronta un tema coinvolgente per le persone. Gli antichi greci consideravano l’amore come una forma di pazzia che causa una serie di azioni irrazionali e ossessive. Oggi siamo abituati ai tormenti e all’estasi che provoca l’innamoramento. Molti psicologi sociali hanno messo a punto degli strumenti per misurare l’amore. I primi esperimenti hanno cercato di distinguere fra attrazione e innamoramento. Altre ricerche si sono spinte in profondità e hanno teorizzato diversi tipi di amore. COMPASSIONE Sentimento di intimità e affetto che si prova verso qualcuno, senza che vi sia passione o eccitazione psicologica. Le persone sperimentano questo tipo di amore nelle relazioni non sessuali, come l’amicizia, o in quelle sessuali in cui vi è una forte intimità ma non la passione di una volta. AMORE PASSIONALE Sentimento di intenso desiderio accompagnato da eccitazione fisiologica nei confronti dell’altra persona. Quando l’amore viene corrisposto, avvertiamo soddisfazione e piacere, quando non lo è sperimentiamo tristezza e sconforto. TEORIA TRIANGOLARE DELL’AMORE Teoria secondo cui l’amore è composto da 3 ingredienti basilari: 1. INTIMITA’, si riferisce ai sentimenti di vicinanza e di legame con il partner 2. PASSIONE, è l’elemento caldo della relazione, cioè l’eccitazione che si prova nei confronti del partner, compresa l’attrazione sessuale. 3. IMPEGNO, Comprende 2 decisioni: una breve termine, che è quella di amare il proprio partner, l’altra a lungo termine, che comporta l’impegno di mantenere questo amore e di restare con il partner. STENBERG Ha costruito una scala per misurare gli aspetti dell’amore i quali possono combinarsi a vari livelli per formare tipi diversi di amore. AMORE PERFETTO = INTIMITA’+ PASSIONE + IMPEGNO INTIMITA’ = GRADIMENTO COMPASSIONE = INTIMITA’ + IMPEGNO IMPEGNO = AMORE VUOTO AMORE FATUO = PASSIONE + IMPEGNO PASSIONE = INFATUAZIONE AMORE ROMANTICO = INTIMITA’ + PASSIONE STILI DELL’AMORE Le teorie di base che le persone possiedono sull’amore e che guidano i loro comportamenti nelle relazioni. HENRICK & HENRICK Hanno identificato 6 stili dell’amore: 1. EROS, amore appassionato, nel quale l’aspetto fisico del partner è molto importante 2. LUDUS, è l’amore per gioco, in cui niente è preso sul serio 3. STORGE, è l’amore che cresce lentamente, che si sviluppa da un affetto o da un’amicizia, in cui la somiglianza fra i partner è estremamente importante 4. PRAGMA, è l’amore concreto e realistico: gli amanti pragmatici sanno cosa cercare in una relazione e formulano delle condizioni da soddisfare

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5. MANIA, è l’amore fortemente emotivo e rispetta lo stereotipo dell’amore romantico: i partner sono ossessionati l’uno dall’altro e si alternano tra esaltazione e disperazione 6. AGAPE, è l’amore altruistico, generoso e raro: gli amanti non pensano a se stessi la al loro partner. Lo stile è più spirituale che fisico. Hanno riscontrato delle differenze fra uomini e donne. Per EROS e AGAPE non vi sono differenze. Gli uomini sono più lucidi e le donne utilizzano uno stile STORGE e PRAGMA. Le coppie la cui relazione dura hanno maggiori probabilità di mostrare alti livelli di EROS e bassi di LUDUS rispetto alle coppie che si sono lasciate. La cultura svolge un ruolo fondamentale nello stabilire come le persone vedono le loro esperienze amorose e che cosa si aspettano da esse. DION & DION Hanno ipotizzato che l’amore romantico è un aspetto importante del matrimonio all’interno delle società individualistiche, mentre ha meno valore in quelle collettivistiche. Nelle società individualistiche l’amore romantico è un’esperienza personale forte, in cui una persona prova coinvolgimento verso un nuovo partner e arriva a dimenticare amici e familiari. Nelle culture collettivistiche l’individuo innamorato deve considerare le aspirazioni della famiglia e di altri membri del gruppo. Se vogliamo piacere agli altri, è importante che ricambiamo i profitti sociali allo stesso modo. RUSBULT Trovò che la soddisfazione per il rapporto diminuiva con il passare del tempo nelle coppie che registravano un aumento significativo dei costi. Sostenne l’esistenza di un altro fattore importante che interviene nella comprensione delle relazioni intime: il LIVELLO DI INVESTIMENTO PERSONALE. MODELLO DI INVESTIMENTO Teoria secondo cui l’impegno di una persona in una relazione dipende dalla sua soddisfazione in termini di costi, profitti e livello di confronto per le alternative e da quanto vi ha investito che andrebbe perso alla rottura della relazione stessa. INVESTIMENTI Ciò che l’individuo mette nella relazione e che perderà nel momento della rottura della relazione stessa. Maggiori sono gli investimenti individuali in una relazione, minori sono le possibilità che essa finisca, anche se la soddisfazione è minima e le alternative sembrano allettanti. Per prevedere se le persone manterranno una relazione intima, abbiamo bisogno di conoscere: • LIVELLO DI SODDISFAZIONE, • QUALI SONO LE ALTERNATIVE • GRADO DI INVESTIMENTO NELLA RELAZIONE. Il sentimento di devozione è maggiore nelle donne che hanno poche alternative economiche, che avevano fatto pesanti investimenti nella relazione e che erano meno soddisfatte dal rapporto. Una volta che si stabilisce una relazione intima a lungo termine, la devozione supera la semplice somma delle ricompense o delle punizioni che le persone ricevono. In una relazione il problema non è la quantità di profitti e costi, ma l’equità con cui questi sono distribuiti. Le persone si sforzano di raggiungere l’equità mediante un giusto rapporto fra costi e benefici per entrambi i partner.

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Più conosciamo qualcuno, più siamo riluttanti a credere che vi sia un semplice scambio di favori e ad aspettarci una ricompensa per ogni favore mostrato. Nelle relazioni casuali ci scambiamo delle gentilezze di genere analogo, mentre in quelle intime lo scambio implica risorse diverse che rendono difficile il capire se si è soddisfatta l’equità. Le relazioni intime durature sono governate da una regola di equità perdente, del tipo dai e ricevi. CLARK & MILLS RELAZIONI DI SCAMBIO Relazioni fra conoscenti governate dall’equità. Le relazioni fra amici intimi, familiari e innamorati sono meno rigide e sono caratterizzate dal desiderio di aiutarsi a vicenda in caso di bisogno. Nelle relazioni di scambio gli individuo tengono il conto dei costi e si sentono svantaggiati quando avvertono di dare un contributo maggiore alla relazione. RELAZIONE DI CONDIVISIONE Relazioni in cui le persone si preoccupano di rispondere ai bisogni dell’altra persona. Le persone che intrattengono questo genere di relazione sono ugualmente interessate all’equità. Questa si esprime in modo diverso: i partner sono rilassati riguardo al compito di controllare se si sia raggiunta l’equità fra costi e profitti, ritenendo che le cose si equilibreranno con il tempo fino a raggiungere una certa equità. Il principio di base della biologia evoluzionistica è che l’adattamento di un organismo viene misurato in base alla capacità di trasmettere i suoi geni alla generazione successiva. I sociobiologi sostengono che l’evoluzione del comportamento umano è avvenuta perché si è massimizzato il successo della riproduzione. Ritengono cje i maschi e le femmine hanno comportamenti diversi dovuti alla loro diversità di ruoli rivestiti nella riproduzione. Per le femmine, la riproduzione è costosa in termini di tempo, energia e sforzo e questo significa che devono considerare quando e con chi riprodursi. Per i maschi la riproduzione comporta pochi costi. APPROCCIO SOCIOBIOLOGICO ALL’AMORE Teoria che sostiene che per i 2 sessi il successo della riproduzione si traduce in differenti pattern comportamentali: gli animali maschi si accoppiano con molte femmine e queste ultime lo fanno meno frequentemente e prestano maggiore attenzione alla scelta del maschio. BUSS Sostiene che questo approccio evolutivo spiega le diverse strategie messe in atto dagli uomini e dalle donne nelle relazioni amorose. Trovare un compagno implica la messa in gioco delle proprie risorse, cioè gli aspetti positivi di sé che attireranno il potenziale compagno. Questo approccio sostiene che nel tempo gli esseri umani sono stati selezionati dall’evoluzione a rispondere ad alcuni segnali esterni del sesso opposto. Le femmine tendono a cercare un maschio che possa provvedere alle risorse richieste e fornire il sostegno necessario per crescere la prole. I maschi cercano una femmina che sia in grado di riprodurre la specie. Gli uomini rispondono all’aspetto fisico della donna, in quanto l’età e la salute assicurano la capacità riproduttiva. Le donne tengono conto degli aspetti economici e del successo dell’uomo, dato che queste variabili rappresentano ciò di cui lei e la prole hanno bisogno. L’approccio sociobiologico all’amore ha subito diverse critiche. Alcuni psicologi sociali ritengono che questa teoria non possa essere controllata a causa della sua

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flessibilità che la rende atta a spiegare qualsiasi cosa. Altri vi scorgono un’esemplificazione eccessiva della complessità del comportamento umano. Si è osservato che la preferenza mostrata verso qualità diverse non può essere compresa senza l’aiuto della sociobiologia: nel mondo le donne hanno meno potere, status, ricchezze e risorse per cui hanno bisogno di stare con un uomo che assicuri loro stabilità economica ed è per tale motivo che in un uomo ritengono importante questo aspetto. Nell’ambito della teoria dell’equità, gli uomini che hanno successo economico e una buona carriera considerano le donne giovani e belle come uno scambio equo. Può darsi che gli uomini valutino la bellezza di una donna perché così è stato insegnato loro, dopo decenni di condizionamento mediante immagini pubblicitarie che valorizzano la bellezza delle donne e l’approccio privo di impegni al sesso. Altra teoria esplicita dell’amore sostiene che il comportamento che si esprime nelle relazioni adulte si basa sulle esperienze passata. TEORIA SUGLI STILI DI ADATTAMENTO Teoria che sostiene che i tipi di legame che si formano all’inizio della vita influenzeranno le relazioni adulte. AINSWORTH Ha identificato 3 tipi di relazioni fra madre e bambino: 1. STILE DI ATTACCAMENTO SICURO, (stile di attaccamento caratterizzato dalla fiducia, dalla mancanza di preoccupazione di essere abbandonati e dall’idea di essere valorizzati e accettati) 2. STILE DI ATTACCAMENTO DI RIFIUTO, (stile di attaccamento caratterizzato dalla soppressione dei bisogni di attaccamento, in quanto i tentativi di creare intimità sono stati respinti. Le persone cresciute con questo stile hanno difficoltà a sviluppare relazioni intime) 3. STILE DI ATTACCAMENTO ANSIOSO/ AMBIVALENTE (Stile di attaccamento caratterizzato dalla preoccupazione che gli altri non contraccambieranno il nostro desiderio di intimità il quale conduce a livelli di ansia superiori alla media). L’idea chiave della teoria dell’attaccamento è che lo stile di attaccamento che si apprende da bambini viene generalizzato a tutte le relazioni con altre persone. Il tipo di aspettative che si sono apprese dalla relazione con il genitore, continua a rimanere, influenzando le relazioni adulte nel corso di tutta la vita. Ciò non significa che se abbiamo avuto una relazione insoddisfacente con i nostri genitori, siamo condannati a ripetere la stessa esperienza ogni volta che incontriamo qualcuno. Le persone cambiano e imparano ad avere rapporti più soddisfacenti di quelli vissuti nell’infanzia, anche se i soggetti che hanno vissuto uno stile di rifiuto i di tipo ansioso, hanno più probabilità di adottare il medesimo stile nelle relazioni adulte e con i loro figli. Gli stili di attaccamento influenzano il comportamento delle coppie in un contesto sperimentale. FEENEY & NOLLER Trovarono che gli individui con uno stile sicuro e che avevano avuto delle relazioni positive con la famiglia durante l’infanzia, da adulti stabilivano delle relazioni sentimentali durature. Quelli che da bambini avevano appreso uno stile ansioso/ ambivalente, non si erano sentiti protetti dai loro genitori: le loro relazioni sentimentali erano molto brevi. I soggetti che nell’infanzia avevano

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vissuto uno stile di rifiuto, si sentivano distanti dalla famiglia ed erano diffidenti. Da adulti risultò che difficilmente erano stati innamorati e i loro rapporti sentimentali erano i meno duraturi. Un nuovo approccio allo studio delle relazioni intime ritiene che esse siano un processo interpersonale e non un’entità fissa e stabile. Le relazioni sono in continuo movimento e si alternano a momenti di cambiamento e di stabilità, di crescita e di arretramento. Le persone vengono coinvolte in questo processo attraverso la comunicazione: nella misura in cui definiscono e ridefiniscono le loro relazioni, condividono i loro modi di intendere la relazione con il partner. Questa comunicazione sui bisogni e sui sentimenti della persona crea il senso di una relazione reciprocamente condivisa. La somiglianza o l’aspetto fisico, non sono delle calamite che ci spingono a relazionarci con gli altri ma, una volta che abbiamo stabilito la relazione, sono caratteristiche che modellano i nostri comportamenti e i nostri pensieri. DIALETTICHE RELAZIONALI Teoria secondo cui le relazioni intime sono sempre in continuo cambiamento, in ragione della tensione tra forza opposte quali: AUTONOMIA /LEGAME, NOVITA’/ PREDITTIVITA’, APERTURA/ CHIUSURA La tensione fra autonomia e legame significa che quando entriamo in intimità emotiva con un amico o con il partner, abbiamo bisogno di allontanarci da lui per riacquistare la nostra autonomia. Se ci stacchiamo troppo emotivamente avvertiamo il bisogno di riavvicinarci. Novità e predittività descrivono il desiderio di novità ed eccitazione che scaturisce dalla relazione e che si oppone a ciò che appare noto e sicuro. Apertura e chiusura si riferiscono alla tensione che i partner avvertono nel momento in cui decidono di condividere alcune cose e non altre. Ognuna di queste forze o una loro combinazione può essere presente in un rapporto, ed è grazie ad esse che le relazioni si modificano e si ridefiniscono. Le dialettiche relazionali sono state studiate per vedere quali aspetti si rivelino più intensi nei vari stadi di sviluppo della relazione. Nello stadio iniziale prevale il tema dell’apertura/chiusura. Una volta che la relazione è stabilita, i concetti di autonomia/legame e novita/predittività assumono maggiore importanza. L’incapacità di conciliare le pressioni dell’autonomia/legame può significare la rottura del rapporto. Si pensa che le persone gelose abbiano poca fiducia in se stesse: se un individuo si sente bene con se stesso, dovrebbe avere pochi motivi di preoccuparsi della perdita dell’amato a causa di un rivale. E’ una conclusione vera solo in parte, in quanto le ricerche hanno rivelato una bassa correlazione fra gelosia e livello di autostima. Le persone diventano gelose quando sentono minacciato qualcosa che è rilevante per il proprio senso del valore di se. Secondo la teoria del mantenimento della stima di sé, le persone si sentiranno a disagio in una relazione se sono in intimità con un partner la cui prestazione supera la loro in un aspetto cruciale della loro definizione di sé. SALOVEY & RODIN Sostengono che le persone diventano gelose quando sono in competizione con un

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rivale in una sfera della loro vita che valutano importante. Questo accade negli individui che hanno una relazione esclusiva con il proprio partner. Ciò che si ritiene importante e che può scatenare gelosia differisce da cultura a cultura. La fine di una relazione sentimentale è una delle cose più dolorose della vita. Quando ai soggetti viene chiesto di descrivere come hanno troncato una relazione sentimentale, emergono 5 categorie di risposte: 1. TONO POSITIVO, 2. RIDIMENSIONAMENTO VERBALE, 3. RIDIMENSIONAMENTO COMPORTAMENTALE, 4. MANIPOLAZIONE DELL’IDENTITA’ NEGATIVA, 5. GIUSTIFICAZIONE. DUCK Ci ricorda che la fine di un rapporto è un processo con molti passaggi. Ha teorizzato 4 stadi nella fine di una relazione: 1. LIVELLO INTRAPERSONALE, (l’individuo ci pensa a lungo perché insoddisfatto del rapporto) 2. LIVELLO DIADICO, (l’individuo discute con il partner) 3. LIVELLO SOCIALE, (la rottura viene annunciata agli altri) 4. LIVELLO INTRAPERSONALE, (il soggetto si riprende dalla rottura e cerca di spiegarsi come e perché sia avvenuta). Le tensioni tra novità e prevedibilità ci suggeriscono che le relazioni che iniziano con una forte dose di novità hanno bisogno di essere bilanciate da alcuni aspetti di prevedibilità. AKERT Ha trovato che il ruolo giocato al momento della decisione di interrompere la relazione è l’elemento importante che fa prevedere come i soggetti vivono l’esperienza della rottura. Quelli che vengono lasciati durante la settimana che seguiva la fine del rapporto, sperimentano forti sentimenti di solitudine, depressione, infelicità e rabbia e disturbi fisici. Coloro che lasciano vivono la fine della relazione in maniera meno triste e stressante. Sebbene abbiano dei sentimenti di colpa e di tristezza, presentano meno disturbi fisici. Il ruolo reciproco aiuta gli individui ad evitare reazioni negative a livello fisico ed emotivo. I soggetti non sono infelici e feriti come chi è stato lasciato, ma nemmeno impassibili come chi ha lasciato. Ha trovato che gli uomini lasciati o che hanno lasciato non sono interessati a rimanere amici con la loro ex partner a differenza delle donne che sono state lasciate. Se la decisione è stata presa insieme, vi è più interesse a mantenere l’amicizia in futuro. CAPITOLO 11: IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE: PERCHE’ LE PERSONE AIUTANO? COMPORTAMENTO PROSOCIALE Qualsiasi azione commessa allo scopo di arrecare beneficio a un’altra persone. ALTRUISMO il tentativo di aiutare gli altri senza tenere conto della propria sicurezza o del proprio interesse.

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Secondo la teoria dell’evoluzione di Darwin, la selezione naturale favorisce i geni che permettono la sopravvivenza dell’individuo. Ogni gene che favorisce la nostra sopravvivenza e accresce la possibilità di avere una discendenza si trasmette con maggiori probabilità di generazione in generazione. I geni che diminuiscono le nostre possibilità di sopravvivenza riducono la possibilità all’uomo di avere una discendenza e si trasmettono con minore probabilità. WILSON & DAWKINS Hanno utilizzato i principi della teoria dell’evoluzione per spiegare alcuni comportamenti sociali quali l’aggressività e l’altruismo, dando origine alla sociobiologia. SOCIOBIOLOGIA Applicazione della teoria dell’evoluzione al comportamento sociale. I sociobiologi sostengono 2 principi: 1. Molti comportamenti sociali hanno un’origine genetica per cui le persone che possiedono certi tipi di geni assumono con maggiori probabilità tali comportamenti, 2. le spinte dell’evoluzione hanno favorito alcuni di questi comportamenti sociali rispetto ad altri, cosicché essi ora sono stabilmente presenti nel nostro patrimonio genetico. I moderni sociobiologi giustificano l’esistenza del comportamento altruistico in 3 modi: 1. SELEZIONE PARENTALE Idea secondo cui la selezione naturale favorisce i comportamenti che arrecano aiuto ai consanguinei. BURNSTEIN, CRANDALL & KITAYAMA sostengono che la scelta che le persone fanno di aiutare qualcuno è influenzata dall’importanza biologica del risultato. Secondo la teoria dell’evoluzione i geni delle persone che seguono la regola dell’importanza biologica sopravvivranno con maggiori probabilità rispetto a quelli degli individui che non la rispettano. In questo modo la selezione parentale si è radicata lungo i millenni nel comportamento umano. 2. RUSHTON Ipotizza che il conflitto fra differenti gruppo etnici possa avere un fondamento genetico, derivante dalle spinte evolutive ad aiutare coloro che trasmettono i nostri geni. E’ difficile dire perché persone estranee si aiutano a vicenda anche quando non hanno ragione alcuna di supporre che condividano alcuni degli stessi geni. NORMA DELLA RECIPROCITA’ Norma sociale secondo cui ricevere qualche favore da un’altra persona ci impone di contraccambiare o di comportarci similmente in risposta. In ragione del suo valore per la sopravvivenza, una simile norma di reciprocità potrebbe aver assunto base genetica. 3. HERBERT SIMON Ipotizza che l’apprendimento delle norme sociali dagli altri membri della società è segno di alto adattamento per gli individui. Le persone che meglio imparano le norme e i costumi di una società possiedono una probabilità di sopravvivenza in più perché molte di tali norme e abitudini sociali procurano benefici. Attraverso la selezione naturale, l’abilità di imparare le norme sociali è diventata parte del nostro patrimonio genetico. Una norma che le persone

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apprendono è il valore dell’aiuto reciproco, considerata una regola preziosa per ogni società. Le persone sono geneticamente programmate per imparare le regole sociali e una di queste è l’altruismo. Riassumendo, i sociobiologi credono che le persone aiutano gli altri perché nei nostri geni sono radicati 3 fattori: 1. SELEZIONE PARENTALE, 2. NORMA DELLA RECIPROCITA’, 3. ABILITA’ AD IMPARARE E A RISPETTARE LE REGOLE SOCIALI. La Sociobiologia è un approccio creativo e stimolante alla comprensione del comportamento prosociale. Il comportamento altruistico può essere fondato sull’interesse individuale. TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE Sostiene che gran parte delle nostre azioni sono provocate dal desiderio di massimizzare i guadagni e minimizzare i costi. La differenza con gli approcci sociobiologici risiede nel fatto che non si è tentato di far risalire questo desiderio a un’origine evolutiva e di presupporre che il desiderio abbia un fondamento genetico. I teorici dello scambio sociale ritengono che le persone, così come in un’economia di mercato cercano di massimizzare il rapporto tra profitti e le perdite monetarie, seguono un analogo comportamento nelle relazioni con gli altri e cercano di massimizzare il rapporto tra le ricompense e i costi sociali. La teoria dello scambio sociale presuppone che nelle relazioni sociali implicitamente teniamo il conto dei guadagni e dei costi. Aiutare può essere remunerativo in molti modi. Ciò aumenta la possibilità che qualcuno ci restituisca l’aiuto. Aiutare qualcuno è un investimento nel futuro: lo scambio sociale vuole che un giorno qualcuno ci aiuterà quando ne avremo bisogno. Essere buoni e sapere trattare gli altri con compassione sono i segni distintivi di una società civilizzata. Le persone sono stimolate e turbate quando vedono soffrire un’altra persona e prestano aiuto per alleviare in parte il proprio dolore. Aiutando gli altri possiamo ottenere approvazione sociale e accrescere il sentimento di autostima. L’altra faccia della medaglia è che aiutare gli altri può risultare costoso. L’aiuto diminuisce quando i costi sono alti. Le persone aiutano solo quando i benefici superano i costi. La teoria dello scambio sociale sostiene che il vero altruismo, secondo cui le persone aiutano anche quando sanno che ciò è per loro costoso, non esiste. Le persone aiutano quando è nel loro interesse farlo, ma non quando i costi superano i benefici. Vi sono molti modi in cui le persone possono ottenere una gratificazione e dovremmo essere grati del fatto che uno di questi avviene mediante l’aiuto prestato agli altri. Gli atti pro sociali comportano una duplice ricompensa, in quanto aiutano sia chi dona, sia chi riceve aiuto. Promuovere ed elogiare simili atti torna a vantaggio di tutti. BATSON Propugna l’idea che le persone aiutano in virtù della loro bontà d’animo. Riconosce che in determinate situazioni le persone aiutano gli altri per ragioni egoistiche ma sostiene che in altri casi le motivazioni delle persone sono altruistiche,

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nel senso che il loro unico obiettivo è aiutare l’altra persona, anche se ciò richiede dei costi personali. L’altruismo puro entra in gioco quando avvertiamo empatia per la persona bisognosa d’aiuto. EMPATIA Capacità di immedesimarsi nella situazione di un’altra persona, di vivere gli eventi e le emozioni così come quella persona li vive. L’altruismo sincero esiste quando le persone avvertono empatia verso la sofferenza di un altro ma può risultare difficile districarsi fra le esatte motivazioni che spingono le persone ad aiutare qualcuno. 3 motivazioni sottostanno al comportamento prosociale: 1. l’idea che dare aiuto sia una reazione istintiva che promuove il benessere di coloro che sono geneticamente simili a noi (SOCIOBIOLOGIA), 2. le ricompense dell’aiuto spesso superano i costi, trasformandolo in un interesse personale (TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE), 3. in certe condizioni dei forti sentimenti di empatia e compassione per la vittima stimolano il dare disinteressato (IPOTESI EMPATIA- ALTRUISMO). I motivi di base delle persone non sono le uniche determinanti che spiegano il comportamento prosociale: molti fattori situazionali e personali possono sopprimerli o scatenarli. Occorre considerare le determinanti personali del comportamento prosociale, secondo cui vi è distinzione fra la persona prodiga nell’aiutare e quella incentrata su di sé. Il comportamento prosociale si forma dai primi anni di vita. Un modo efficace a disposizione dei genitori per incoraggiare il comportamento prosociale è di premiare ogni azione con lodi, sorrisi e abbracci. Questo tipo di ricompense accresce nei bambini il comportamento prosociale. Se i bambini decidono di aiutare gli altri solo per ottenere delle ricompense, non si percepiranno mai come persone altruiste e disposte ad aiutare, e giudicheranno utile farlo solo quando sono ricompensati per questo. Pensare di aiutare gli altri allo scopo di ottenere ricompense diminuisce la visione di sé come persone altruiste e non egoiste. L’effetto di indebolimento prodotto dalle ricompense è identico all’effetto della sovragiustificazione: ricompensare in maniera esagerata le persone per un dato comportamento può abbassare il loro interesse intrinseco verso di esso, perché arrivano a credere di mettere in atto un comportamento solo per ottenere la ricompensa. Bisogna incoraggiare i bambini ad agire in maniera prosociale senza esagerare nelle ricompense. Altro modo in cui i genitori possono accrescere il comportamento proshociale dei loro bambini è di essere essi stessi prosociale. I bambini imitano i comportamenti che osservano negli altri, inclusi quelli prosociale. I bambini che vedono i loro genitori aiutare gli altri imparano che tale comportamento è un atto di valore. I bambini sono degli ottimi imitatori e osservando gli altri imparano quali siano le azioni virtuose e auspicabili. Genitori e adulti possono influenzare il livello di altruismo dei bambini. E’ vero che alcune persone sono più altruiste di altre, ma questo non vuol dire che quando vogliamo prevedere quanto aiuto possa prestare una persona, ci basti sapere se abbia o meno una personalità altruista.

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La personalità degli individui non è l’unica determinante del comportamento. Per comprendere il comportamento umano bisogna considerare le pressioni ambientali che lo influenzano. PERSONALITA’ ALTRUISTA Gli aspetti di una persona che la rendono con più probabilità incline ad aiutare gli altri in una grande varietà di situazioni. Per prevedere l’altruismo di un individuo, è utile possedere numerose conoscenze sulla sua personalità e sulla situazione nella quale si trova. In ogni cultura esistono regole diverse per gli uomini e le donne: essi imparano a valutare in maniera differente tratti e comportamenti. Nelle culture occidentali un aspetto del ruolo sessuale maschile è quello di essere eroico e cavalleresco, quello delle donne è di essere portate ad allevare la prole, esternare affetto e prediligere le relazioni intime e a lungo termine. Ci si aspetta che gli uomini prestino maggior aiuto in situazioni che richiedono gesti eroici e cavallereschi e che le donne lo facciano quando entrano in gioco relazioni a lungo termini che presentano meno pericoli ma più dedizione e coinvolgimento. Altra ragione per cui la sola personalità è un predittore insufficiente del comportamento altruistico è che l’atto di aiutare dipende dall’umore del soggetto. Il nostro umore può variare repentinamente e questi stati emotivi transitori sono un’altra determinante fondamentale del comportamento prosociale. E’ probabile che le persone aiutano gli altri quando sono di buon umore. 3 sono le ragioni per cui l’essere di buon umore può aumentare l’atteggiamento altruistico: 1. il buon umore ci fa vedere tutto rosa. Quando siamo di buon umore, tendiamo a vedere la parte migliore degli altri e a riconoscere loro il beneficio del dubbio. 2. Il sentirsi bene, agire bene è un ottimo modo per prolungare il nostro buon umore. Se vediamo qualcuno che ha bisogno di aiuto, un comportamento simile a quello del Buon Samaritano genererà altri sentimenti positivi. Non aiutare quando sappiamo che dovremmo farlo è un modo di uccidere il nostro buon umore. 3. Lo stato d’animo positivo accresce l’attenzione verso sé. Le persone variano la quantità di attenzione prestata ai propri sentimenti e valori nei confronti del mondo circostante. Il buon umore aumenta l’attenzione che rivolgiamo a noi stessi e questo fattore ci induce a comportarci in accordo con i nostri valori e ideali. Molti di noi valorizzano l’altruismo e il buon umore aumenta l’attenzione nei confronti di questo valore. Essere di buon umore aumenta il comportamento altruistico e di aiuto. Un tipo di cattivo umore accresce l’altruismo: si tratta del senso di colpa. Le persone agiscono con l’idea che le buone azioni cancellino quelle negative. Quando abbiamo fatto qualcosa che ci fa sentire in colpa, aiutare un’altra persona bilancia le cose e contribuisce a ridurre il sentimento di colpevolezza. La tristezza può portare ad un accrescimento dell’altruismo. Quando le persone sono tristi, sono motivate a fare attività che le fanno sentire meglio. CIALDINI IPOTESI DEL SOLLIEVO DELLO STATO NEGATIVO Esempio di applicazione della teoria dello scambio sociale all’altruismo. Le persone aiutano qualcun altro allo scopo di aiutare se stesse, cioè di alleviare la propria tristezza e depressione.

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3 sono le determinanti personali del comportamento prosociale: 1. differenze di personalità, 2. differenze di genere, 3. umore degli individui. Le persone differiscono fra loro nel modo di essere altruiste a seconda dell’educazione, del sesso e dell’umore. Le persone delle zone rurali aiutano di più in confronto a quelle delle persone delle zone urbane. Le persone che crescono nelle città di piccole dimensioni imparano ad essere più socievoli e questo le porta ad avere più fiducia e ad essere più altruiste. Gli individui che crescono in una grande città, imparano a non fidarsi degli estranei e a badare ai fatti propri. Questo fenomeno si potrebbe spiegare attribuendo le cause all’ambiente urbano e non ai valori che le persone apprendono durante la crescita. MILGRAM IPOTESI DEL SOVRACCARICO URBANO L’idea che le persone che vivono in città hanno più probabilità di pensare a se stesse per evitare di essere sovraccaricate da tutti gli stimoli che ricevono. STEBLAY Ha dimostrato che quando vi è l’opportunità di aiutare, la questione riguarda l’area in cui avviene l’incidente e non il tipo di persona che si trova sul luogo dell’incidente. LEVINE Ha trovato che la densità della popolazione è maggiormente correlata con l’aiuto e non con il numero degli abitanti. Maggiore è la densità della popolazione, minore è la probabilità che le persone aiuteranno gli altri. Ciò ha senso e si accorda con l’ipotesi del sovraccarico urbano: in una piccola area gremita di persone dovrebbe esserci più stimolazione che in una grande, dove lo stesso numero di individui è dislocato su un’area più grande. La fretta e la confusione delle città possono essere opprimenti che anche persone altruiste e attente pensano a se stesse e rispondono meno ai bisogni degli altri. EFFETTO TESTIMONE Dato secondo cui maggiore è il numero di testimoni che assistono a un’emergenza, meno è probabile che qualcuno di essi aiuterà la vittima. A volte riconosciamo con chiarezza quando c’è un’emergenza, altre volte meno. Se le persone non la avvertono come tale, non interverranno per prestare aiuto. Quando le persone vanno di fretta, prestano meno attenzione a ciò che succede intorno a loro ed è meno probabile che aiutino qualcuno in difficoltà. La fetta può sopraffare il tipo di persona che si è. Aspetto determinante del comportamento prosociale è se i testimoni interpretano l’evento come un’emergenza e cioè come una situazione in cui l’aiuto è indispensabile. Se le persone ritengono che tutto proceda bene quando si verifica una situazione di emergenza, è ovvio che non aiuteranno. La presenza di altri testimoni rende più probabile che la gente ritenga che l’emergenza non costituisca un pericolo. L’influenza sociale informazionale si verifica quando utilizziamo le altre persone per aiutarci a definire la realtà. Quando non siamo certi di cosa stia accadendo, una delle prime cose che facciamo è quella di guardarci intorno per vedere come

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reagiscono gli altri. Usare gli altri come fonte di informazione quando non siamo sicuri di ciò che sta accadendo è una buona strategia. Il problema è che a volte nessuno sa cosa stia veramente accadendo. IGNORANZA COLLETTIVA Fenomeno in cui i testimoni di un’emergenza arrivano a concludere che tutto è sotto controllo solo perché nessuno appare preoccupato. I membri dei gruppi possono falsamente rassicurarsi l’un l’altro ogni volta che ciascuno ritiene che gli altri abbiano una cognizione maggiore di cosa stia accadendo e di che cosa si debba fare. Ciò si verifica quando le situazione sono ambigue. In esse le persone entrano in uno stato di ignoranza collettiva convincendosi l’un l’altro che non sta succedendo niente. Se l’evento viene interpretato come un’emergenza, bisogna decidere che aiutare è responsabilità nostra e non di qualcun altro. In tema di responsabilità personale un’altra variabile cruciale che interviene è il numero di testimoni. DIFFUSIONE DI RESPONSABILITA’ Fenomeno che si ha quando il senso di responsabilità dell’aiuto avvertito da ciascun testimone diminuisce con l’aumentare del numero dei testimoni. La persona deve decidere quale sia la forma di aiuto appropriata. Se le persone non sanno quale forma di assistenza dare, non saranno in grado di prestare il loro aiuto. Anche se si sa quale aiuto dare, esistono dei motivi per cui decidiamo di non intervenire. Possiamo essere non qualificati per prestare il giusto aiuto o temiamo di fare qualcosa di sbagliato o di metterci in situazioni di pericolo per cercare di prestare aiuto. Anche quando sappiamo di quale tipo di intervento c’è bisogno dobbiamo valutare i costi del nostro aiuto. Vi sono quindi 5 passaggi che intervengono prima che le persone decidono di prestare aiuto in huna situazione di emergenza: 1. Rendersi conto della situazione, 2. Interpretarla come un’emergenza, 3. Decidersi di assumersi la responsabilità di aiutare, 4. Sapere quale aiuto dare, 5. Decidere di agire. Se le persone tralasciano anche uno solo di questi passaggi non interverranno. La maggior parte dei casi di aiuto che accadono nella vita quotidiana, avvengono tra persone che si conoscono bene. Le persone prestano aiuto solo se i benefici sono immediati e a breve termine. Quando le persone si conoscono bene, sono più interessate ai benefici a lungo termini che agli effetti immediati. Le RELAZIONI DI CONDIVISIONE sono quelle in cui l’interesse fondamentale delle persone è di aiutare gli altri. Le RELAZIONI DI SCAMBIO sono governate da un concetto di parità: si dà alla relazione tanto quanto si può ricevere. Le ricompense per l’aiuto sono importanti nelle relazioni di condivisione così come in quelle di scambio; si differenzia la natura della ricompensa. Nelle relazioni di scambio, ci aspettiamo che i nostri favori vengano ripagati in fretta. Anche nelle

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relazioni di condivisione le persone si aspettano un equo scambio di vantaggi, che sono diversi da quelli delle relazioni di scambio. CLARK & MILLS Sostengono che le relazioni di condivisione sono diverse da quelle di scambio: la relazione è governata da tipi diversi di ricompense e le persone coinvolte in quelle di condivisione sono meno interessate ai benefici che ricevono e più a soddisfare i bisogni degli altri. Nelle relazioni di condivisione le persone fanno meno attenzione a chi sta prendendo cosa rispetto a quanto fanno quelle coinvolte in relazioni di scambio. Nelle relazioni di scambio, le persone sono interessate a chi prende cosa e sono preoccupate se la situazione appare sbilanciata da una parte. Nelle relazioni di condivisione le persone sono meno interessate a chi prende cosa e lo sono maggiormente ai bisogni dell’altro. E’ probabile che si stabilisca una relazione di condivisione con un amico e che lo sia aiuterà di più anche quando non vi sarà alcuna ricompensa. TESSER Sostiene che quando un compito ha scarsa importanza per noi, prestiamo aiuto più agli amici che agli estranei. Ricevere aiuto può farci avvertire un senso di inadeguatezza e dipendenza. La gente non sempre reagisce positivamente all’offerta di aiuto proveniente da qualcun altro. Le persone non vogliono apparire incompetenti e spesso decidono di soffrire in silenzio anche se ciò comporta ridurre al minimo le chance di svolgere con successo il proprio lavoro. Diverse caratteristiche personali dei potenziali soccorritori sono importanti: migliorare tali fattori può aumentare la possibilità che queste persone presteranno aiuto. I fattori personali sono la sola causa del comportamento prosociale. Altro fattore importante riguarda la natura delle relazioni fra chi aiuta e chi viene aiutato. Non dobbiamo imporre l’aiuto a chiunque incontriamo, indipendentemente dal fatto che quella persona lo desideri o meno. La ricerca sulle reazioni all’aiuto mostra che in certe condizioni ricevere aiuto può essere dannoso per la stima di sé. L’obiettivo è quello di dare un sostegno mediante l’aiuto cercando di sottolineare il nostro interesse nei confronti della persona e non utilizzando l’aiuto per dar mostra della nostra superiorità. SECONDO MODULO a carattere monografico Libro: “L’influenza sociale” di Angelica Mucchi Faina

• i processi di influenza sociale. A partire dalle: - caratteristiche principali, si approfondirà - il cambiamento degli atteggiamenti - e i processi di persuasione, - il conformismo, - l’obbedienza e i

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- meccanismi propri dell’influenza prodotta dalla maggioranza e dalla minoranza.

CAPITOLO 1: CHE COS’E’ L’INFLUENZA SOCIALE 1 – l’argomento di questo libro L’influenza sociale non viene definita in modo preciso. Con il progredire della ricerca sul tema, risulta evidente che questo fenomeno si manifesta nei modi più disparati e può produrre effetti differenziati, riconducibili con difficoltà sotto una comune definizione. C’è il problema di circoscriverne il campo: l’influenza è un fenomeno pervasivo, presente in ogni sfera della vita sociale, sotteso a qualsiasi tipo di relazione o comunicazione con gli altri. L’intera psicologia sociale POTREBBE essere definita come lo studio dei processi di influenza. Lo studio dell’influenza sociale approfondisce le modalità con cui i processi mentali, le emozioni e i comportamenti degli individui o dei gruppi sono modificati dalla presenza effettiva o simbolica di altri individui o gruppi. 1. 1 tipi di influenza: alcuno esempi Influenza della maggioranza ( pressione sociale e la conformità alla maggioranza)Esempio: anche se uno è contrario a certi tipi di atteggiamenti, ad esempio gli scherzi alle reclute o ai principianti di alcune attività sportive, si guarda bene ad esprimere la sua opinione se il resto del gruppo(maggioranza) decide di fare questo scherzo. Acconsente per timore del giudizio negativo degli altri. Influenza minoritaria ( influenza prodotta da una minoranza)Esempio: i pittori impressionisti partono da un piccolo gruppo osteggiato e ridicolizzato infatti il termine impressionismo venne coniato per disprezzarli ma oggi sono affermati in tutto il mondo. Influenza della competenza ( influenza dovuta alla credibilità)Esempio: M che decide di investire in borsa dopo aver sentito un noto economista alla radio che prevedeva un rialzo dei titoli azionari. Influenza senza messaggio ( influenza involontaria e ignoranza pluralistica) Esempio di due che scelgono un ristorante solo perché hanno visto più automobili parcheggiate vicino. Malattia psicogena di massa ( malattie collettive di origine psicologica) Esempio la diagnosi errata che il malessere di una persona è dovuto ad avvelenamento può far sentire male altre persone che hanno mangiato con il malato.

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1. 2 influenza, influsso e suggestione In psicologia sociale la parola INFLUSSO è meno utilizzata del termine influenza per mantenere un’analogia con il corrispettivo inglese INFLUENCE e perché evoca un effetto di carattere generale, arcano e incontrollabile. I processi di influenza sociale si basano su giudizi e ragionamenti. Per la stessa ragione riscuote scarsa simpatia tra gli psicologi sociali il termine SUGGESTIONE, che costituisce l’antecedente di influenza. ASCH Definisce la suggestione come un processo capace di indurre le persone ad accettare in modo arbitrario opinioni e valutazioni senza tener conto della loro qualità. Questa definizione produceva, in campo sociale, effetti limitati e non generalizzabili. Oggi, anche se i fattori inconsci e involontari, sono tornati al centro dell’interesse, rimane una reticenza a interpretare questo tipo di fenomeni facendo appello alla suggestione, perché il termine evoca un’immagine di passività e soggezione che, nell’epoca dell’alta tecnologia, ripugna e spaventa. 1. 3 cosa accomuna processi diversi di influenza Un processo di influenza sociale implica che il destinatario (BERSAGLIO) compia un aggiustamento del proprio comportamento, delle proprie idee o dei sentimenti espressi da altri (FONTE). Questo aggiustamento comporta un avvicinamento alla posizione della fonte. L’influenza può provocare cambiamenti in altre direzione o di altro tipo. EFFETTO BOOMERANG La possibilità che la fonte produca una reazione negativa, di senso opposto a quello auspicato. Alcuni tipi di fonte possono ottenere un impatto di genere diverso, che non comporta l’assunzione o il rifiuto di una determinata posizione. Le persone possono reagire riflettendo sul problema in questione, migliorando o peggiorando il livello della loro prestazione ecc… In certi casi l’influenza sociale può non condurre a un cambiamento, ma agire come freno, impedendo alle persone di cambiare quando lo desidererebbero. L’influenza del gruppo ha per effetto un’OMISSIONE DI CAMBIAMENTO che impedisce alla persona di esprimere la sua nuova opinione, di manifestare il proprio disaccordo. 1. 4 cosa differenzia l’influenza da altri processi Influenza sociale e persuasione La sovrapposizione tra INFLUENZA SOCIALE e PERSUASIONE è la più frequente all’interno e all’esterno del mondo scientifico. Influenza e persuasione non sono sinonimi poiché la persuasione costituisce solo uno dei possibili tipi di influenza sociale. Subire l’influenza di qualcuno non significa aderire o avvicinarsi alla sua posizione. Questo avvicinamento è fondamentale nel processo di persuasione. Essa è intesa come quella forma di influenza che si produce quando le persone sono esposte a un messaggio complesso in cui il comunicante esprime una posizione e adduce uno o più argomenti a supporto della propria posizione. Un processo d’influenza non si basa solo su messaggi e

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argomentazioni: possiamo essere influenzati anche da comportamenti, immagini, idee e non solo da parole. Influenza e cambiamento di atteggiamento Complesso è il rapporto tra INFLUENZA SOCIALE e CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO. Nessuno dei 2 fenomeni comprende interamente l’altro. Possono essere individuate 3 differenze: 1. un cambiamento di atteggiamento (intendendo per atteggiamento la valutazione globale e durevole di un determinato oggetto) è solo uno dei possibili esiti di un processo di influenza sociale. L’influenza può produrre effetti sul comportamento, sui sentimenti e sulle idee. 2. un cambiamento di un atteggiamento non deriva dall’influenza che una persona esercita su un’altra, ma può essere attivato dal ragionamento, dal comportamento e da un sentimento del soggetto stesso. Per la TEORIA DELLA DISSONANZA COGNITIVA un cambiamento di atteggiamento può avvenire allo scopo di ridurre lo spiacevole stato di tensione in cui si trova un individuo quando agisce in modo discrepante rispetto al proprio modo di pensare. La possibilità di un cambiamento auto- provocato è suggerita dalla TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE per la quale gli atteggiamenti mutano in relazione ai comportamenti assunti anche quando questi ultimi non sono contrastanti con le idee iniziali. Gli individui riaggiusterebbero i loro atteggiamenti basandosi sull’osservazione del proprio comportamento. Un comportamento di atteggiamento può sopravvenire anche per abitudine. La mera esposizione a uno stimolo, se ripetuta, è sufficiente per migliorare il nostro atteggiamento nei confronti dello stimolo stesso. 3. lo studio degli atteggiamenti è focalizzato sull’analisi dei processi psicologici individuali. Lo studio dell’influenza sociale colloca in primo piano il contesto sociale e le relazioni che intercorrono tra sorgente e bersaglio. Come l’influenza può condurre a esiti diversi tra i quali anche, ma non solo, il cambiamento di atteggiamento, così il cambiamento di atteggiamento può dipendere da vari fattori tra i quali anche, ma non solo, l’influenza degli altri. Influenza e potere Terza sovrapposizione che ricorre è quella tra INFLUENZA SOCIALE e POTERE. HOLLANDER Sostiene che il potere è la possibilità di controllare persone, cose ed eventi, mentre l’influenza è basata sulla persuasione. Il termine POTERE esprime una RELAZIONE, mentre il termine INFLUENZA si riferisce a un PROCESSO. Una relazione di potere comporta svariati processi di influenza. E’ possibile che B, privo di potere, eserciti la sua influenza su A. Queste sono FORME DI INFLUENZA SENZA POTERE. L’influenza può essere esercitata da persone o gruppi di potere ma non solo.

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2 Aspetti, modalità e prerogative di un processo di influenza Rapporti tra fonte e bersaglio, tipi di pressione che una fonte può esercitare e un bersaglio subire, possibili livelli dell’intensità e della durata dell’impatto. 2. 1 chi influenza, chi è influenzato: complicazioni e semplificazioni Quando il paradigma teorico prevalente in psicologia sociale era il comportamentismo, l’influenza è stata considerata come un processo unidirezionale in base al quale il bersaglio rispondeva in modo meccanico a uno stimolo proveniente dalla fonte. La ricerca più recente tende a vedere l’influenza sociale come un processo costruttivo nel quale il bersaglio reagisce alle sollecitazione proveniente dalla fonte sulla base delle informazioni di cui è in possesso, delle emozioni che prova e delle motivazioni che lo muovono. Il risultato di un processo di influenza non è una risposta appresa, ma è l’effetto dell’incontro tra l’esperienza del bersaglio e lo stimolo a cui esso è esposto. Nella normale interazione e nella comunicazione della vita quotidiana, coloro che entrano in rapporto si influenzano reciprocamente. Spesso l’influenza esercitata da una delle persone che interagiscono è più forte di quella esercitata dall’altro. Nella vita quotidiana ciascuno di noi è spesso contemporaneamente fonte e bersaglio di influenza sociale. 2. 2 la fonte passiva: gli effetti della semplice presenza Una fonte può essere più o meno intenzionata a esercitare un’influenza su qualcuno. Bisogna distinguere una FONTE PASSIVA e una FONTE ATTIVA di influenza sociale. FACILITAZIONE SOCIALE La presenza degli altri è sufficiente a favorire o a inibire certi comportamenti e certe attività cognitive. Allport Considerò la facilitazione sociale come uno dei meccanismi esplicativi di comportamenti collettivi estremi. La presenza degli altri può facilitare e inibire comportamenti e ragionamenti. Riguardo alle influenze passive abbiamo vari fenomeni che si intrecciano: INDOLENZA SOCIALE Il calo di motivazione e di impegno che si verifica quando le persone sono coinvolte in un’attività collettiva rispetto a quando le stesse persone agiscono individualmente. Uno dei fattori responsabili dell’indolenza sociale, ad esempio soccorrere o chiedere aiuto in una situazione estrema (donna che viene accoltellata)è l apatia degli astanti. Proprio perché assistono tante persone all’evento tragico abbiamo l’ INFLUENZA INFORMATIVA: Nelle situazioni che sono poco chiare e in cui si è incerti sul comportamento da tenere, il comportamento degli altri condiziona la nostra interpretazione della situazione e il nostro comportamento. Questa influenza informativa può portare all’ IGNORANZA PLURALISTICA: Ciascuno degli astanti è indotto dalla mancanza di coinvolgimento degli altri a sottovalutare la gravità della situazione e a pensare che non si tratti realmente di un’emergenza. Se invece la situazione è percepita dai soggetti come grave in modo inequivocabile può subentrare un altro meccanismo, la DIFFUSIONE DI RESPONSABILITA’: Se numerose persone sono testimoni di un determinato

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episodio, il senso di responsabilità individuale nel porvi rimedio tende a calare e ciascuna delle persone sente meno necessario soccorrere chi è in difficoltà. E’ più facile che una persona intervenga in aiuto di un’altra quando è l’unica a poterlo fare che non quando altri sono coinvolti. La presenza degli altri può influenzare, migliorandola o peggiorandola, la prestazione di un soggetto nell’esecuzione di un compito. Rispetto a compiti semplici e familiari, la prestazione tende a migliorare in presenza di altri mentre, rispetto a compiti più complessi, difficili o nuovi il risultato è migliore quando gli altri non sono presenti. La presenza degli altri facilita o inibisce l’espressione di emozioni. L’effetto cambia in relazione al genere di emozione che viene espressa e al tipo di rapporto che il soggetto ha con gli altri: la presenza di persone amiche che sono esposte allo stesso stimolo emozionale, facilita l’espressione di emozioni positive. In presenza di persone estranee che non vivono la stessa situazione emozionale risulta inibita l’espressione di emozioni meno positive. 2. 3 la fonte attiva: pressione diretta e pressione indiretta Se l’influenza può essere esercitata inconsapevolmente nei fenomeni di facilitazione e inibizione sociale, altre volte è il risultato di un processo intenzionale. Chi si propone di influenzare qualcuno e di essere una fonte attiva di influenza sociale, può essere mosso da intenti di vario genere: egoistici, altruistici, da intenti di entrambi i tipi o da una ragione più sociale/antisociale. L’influenza non è di per sé né un bene né un male: è un normale processo psicosociale che può trasformarsi in uno strumento di sopruso e violenza. Una forma attiva, per indurre il bersaglio ad agire o pensare in un certo modo, deve esercitare una forma, diretta o indiretta, di pressione. PRESSIONE DIRETTA Può spingersi fino alle tecniche di indottrinamento coercitivo nome come LAVAGGIO DEL CERVELLO e utilizzate da alcuni regimi politici totalitari nei confronti dei prigionieri di guerra. Ma anche nelle situazioni meno estreme dove messaggi del tipo: “ compra subito quella macchina a prezzo speciale” oppure “dai vieni al cinema con me” possono sllecitareil bersaglio ad assumere un determinato comportamento. La pressione diretta si esercita attraverso messaggi che, avvalendosi di gradi diversi di pressione, sollecitano il bersaglio ad assumere un determinato comportamento. PRESSIONE INDIRETTA Pressione che viene esercitata senza richiedere al bersaglio di adottare un certo comportamento, ma limitandosi a comunicare i possibili vantaggi che derivano dal compiere una determinata azione. Un esempio di questa forma indiretta di pressione dalla PUBBLICITA’ D’IMMAGINE: essa non richiede l’acquisto di un prodotto, ma agisce favorendo l’associazione mentale tra quel prodotto e uno stile di vita piacevole o prestigioso. Questo tipo di pressione si esercita anche nella pubblicità occulta (denominando una

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competizione sportiva o il capo di un abbigliamento con il nome di una marcadi sigarette perché è vietatala pubblicità al tabacco) 2. 4 volente o nolente: consapevolezza e assenso del bersaglio Come una fonte può essere più o meno consapevole di esercitare la sua influenza, così un bersaglio può essere più o meno consapevole di essere influenzato. Poiché ammettere di aver subito l’influenza di qualcuno può risultare dannoso alla propria immagine e all’autostima, le persone tendono a sottovalutare l’influenza che gli altri esercitano su di loro e a non riconoscerla. Può succedere di subire l’influenza di qualcuno in modo inconsapevole. Sebbene la possibilità di influenze prodotte da messaggi SUBLIMINALI costituisca un argomento controverso, è stata rilevata una tendenza a dimenticare i messaggi ricevuti a livello cosciente. Le persone si appropriano delle idee degli altri, commettendo plagi senza rendersene conto. Farsi ipnotizzare per curare una malattia vuol dire accettare liberamente di affidarsi alle mani di un estraneo. Le persone possono essere più o meno consenzienti e disponibili a subire l’influenza. La minaccia di una punizione o l’offerta di una ricompensa sono sufficienti perché le persone si sentano forzate ad acconsentire se le opinioni e i comportamenti coinvolti sono per loro importanti. Se la pressione esercitata dalla fonte viene sentita da una persona come una minaccia alla propria libertà, è possibile che il soggetto, per riaffermare la propria autonomia, reagisca nel modo opposto a quello voluto dalla fonte (fenomeno della reattanza). 2. 5 livelli di influenza, intensità e persistenza L’influenza può agire a livelli più o meno profondi e condizionare in modo più o meno duraturo. Quindi varia anche l’importanza delle sue conseguenze. Vanno ricordati i possibili effetti estremi di un processo di influenza, casi nei quali viene indotto un annullamento dell’individualità o una modifica dell’identità personale. Il LAVAGGIO DEL CERVELLO ha lo scopo di sostituire il sistema di valori e di atteggiamenti di un individuo con una nuova dottrina. Un esempio è la Cina comunista fino agli anni ’50 verso studenti universitari e lavoratori delle città ecc con lo scopo di attivare in loro un processo di identificazione con le masse contadine. Le pratiche erano la confessione pubblica e l’autocritica. I metodi erano tradizionali cinesi di memorizzazione. Metodi simili sono stati usati con i prigionieri di guerra: METODO YESHOV Metodo che si basava sulla coercizione fisica e sulla violenza psicologica per ottenere il completo assenso del soggetto e la sua disponibilità a dichiararsi colpevole anche di crimini mai commessi. Per valutare gli effetti prodotti da un processo di influenza è necessario verificarne INTENSITA’, DURATA NEL TEMPO e RESISTENZA a pressioni contrarie. Non sempre un atteggiamento persistente è anche resistente. Un esempio sono i: TRUISMI CULTURALI Credenze che sono condivise e non vengono mai messe in dubbio. Tendono a permanere nel tempo e diventano deboli quando sono attaccati.

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KELMAN Ha proposto un collegamento tra il livello dell’influenza e la sua persistenza nel tempo. Ha individuato 3 livelli a cui l’influenza può agire: • COMPIACENZA, è il livello meno profondo e comporta un cambiamento apparente, dovuto al fatto che il bersaglio sa che la fonte può osservare il suo comportamento ed esercitare un controllo su di esso. Poiché nel modello di Kelman intensità e durata vanno di pari passo, la compiacenza è meno profonda e meno durevole. • IDENTIFICAZIONE è il livello intermedio che si sviluppa quando il bersaglio adotta un determinato comportamento, allo scopo di instaurare una relazione soddisfacente con la fonte e assomigliarle. L’identificazione si discosta dalla compiacenza per 2 aspetti: o il bersaglio crede nella posizione che assume e accetta pubblicamente e in privato, o la persona non è interessata a fare quello che gli altri gli dicono di fare ma a comportarsi in modo coerente con le aspettative nei confronti del ruolo che ha assunto. L’effetto dell’identificazione dura finchè la relazione con la fonte resta un obiettivo primario del bersaglio. • INTERIORIZZAZIONE E’ il processo più profondo: si verifica quando il bersaglio accetta di essere influenzato dalla fonte, a cui riconosce capacità, integra le informazioni che questa gli fornisce nel proprio sistema di credenze e valori e le fa sue. E’ il processo che dura più a lungo nel tempo, poiché i suoi effetti permangono anche quando la fonte non è più presente o viene dimenticata. L’influenza duratura è quella esercitata su base razionale da una fonte che fornisce all’individui nuovi elementi per interpretare la realtà esterna. Gli effetti ottenuti dopo che il bersaglio ha elaborato le informazioni in entrata sono più durevoli, meno sensibili a tentativi di contro influenza e più in grado di predire il successivo comportamento rispetto a quelli ottenuti sulla base di una scarsa elaborazione. La scarsa resistenza dei truismi sarebbe dovuta al fatto che, essendo dati per scontati, essi non sono stati rafforzati da un’approfondita riflessione, e soccombono appena confrontati con argomentazioni contrarie. CAPITOLO 2: LE FONTI PRINCIPALI 1. l’influenza della maggioranza A volte, quando un gruppo si riunisce per prendere una decisione o per esprimere un giudizio, le opinioni individuali divergono ed emergono posizioni o idee di vario tipo. Il risultato finale è il frutto di un compromesso che tiene conto dei differenti pareri. INFLUENZA DELLA MAGGIORANZA Caso in cui un’idea o una posizione raccoglie subito la maggior parte dei consensi. Quando ciò si verifica, chi la pensa in maniera diversa può avere difficoltà a esprimere la sua opinione e sentire la tentazione di adeguarsi al parere degli altri. Gli psicologi italiani e inglesi attribuirono a fattori extra- razionali il fascino che la maggioranza esercitava sul singolo individuo.

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TROTTER Sostenne che la razza umana era guidata dall’ISTINTO DEL GREGGE ed era più sensibile alla voce del gregge che a qualsiasi altro tipo di influenza. ASCH Propose per primo un’interpretazione del fenomeno che non viene considerato come l’esito di processi irrazionali, ma come il risultato di una scelta operata consapevolmente dal bersaglio. 1.1 le prime ricerche sulla conformità Asch si pose l’obiettivo di studiare le condizioni sociali e personali che inducono l’individuo a resistere o a conformarsi alle pressioni del gruppo quando tale gruppo esprime un parere contrario all’evidenza percettiva. Il compito sperimentale ( gruppi di 8 persone di cui solo uno per gruppo era inconsapevole dello studio a cui erano sottoposti) riguardava l’individuare quale tra tre linee rette di differente dimensione fosse uguale ad un’altra retta presa come campione. Individuare la linea giusta non era difficoltoso perché quelle sbagliate differivano minimo di 2cm e mezzo ma i consapevoli sbagliavano appositivamente e Asch Rilevò che nel gruppo di controllo dove non esistevano collaboratori tutti i soggetti si esprimevano liberamente mentre nel gruppo sperimentale le valutazioni erronee della maggioranza avevano influenzato circa un terzo dei giudizi. A partire da questi risultati, si moltiplicarono le ricerche sulla: CONFORMITA’ L’adesione a un’opinione o a un comportamento prevalente anche quando questi sono in contrasto con il proprio modo di pensare. E’ dovuta a diverse motivazioni, ciascuna delle quali facilita uno degli effetti di cui si è parlato. Crutchfield con l’esperimento delle cabine individuali affiancate dove i soggetti credevano di conoscere le opinioni degli altri dai dispositivi luminosi che ognuno aveva in cabina, in realtà erano gli sperimentatori a fornire quelle risposte che erano uguali per tutti e a ciascun soggetto veniva fatto credere di essere l’ultimo. Milgram rilevò che il fenomeno della conformità non provoca solo la distorsione del giudizio ma poteva anche indurre le persone a compiere azioni contrarie al proprio modo di sentire e pensare ( esempio delle false scosse elettriche inflitte ad attori che ne simulavano il dolore. I complici all’unanimità chiedevano l’aumento delle scosse e l’inconsapevole era indotto anche lui a far soffrire l’individuo) quindi la pressione sociale della maggioranza poteva indurre oltre alla conformità delle parole, una conformità delle azioni. Quindi la conformità è una forza molto potente nella vita sociale. 1. 2 Aspetti, caratteristiche e conseguenze dell’influenza maggioritaria La procedurali Crutchfield che impediva qualsiasi forma di interazioni tra gli individui ha prodotto meno conformità rispetto a quella di Asch dove il soggetto poteva osservare ed essere osservato. Un esperimento condotto da: Deutsch e Gerard mise a confronto le due situazioni e permise di individuare altri importanti aspetti dell’influenza, maggioritaria. Questi ricercatori introdussero una distinzione tra due tipi di dipendenza: normativa e informativa.

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Normativa: che induceva “ l’individuo a conformarsi alle aspettative positive di un altro nei suoi confronti”. Informativa: che portava invece “ ad accettare una informazione proveniente da un altro come prova di verità” . Una situazione nella quale è in azione l’influenza normativa è quella della persona che dà il suo assenso a un’azione violenta. Un esempio di comportamento guidato dall’influenza informativa è quello di un viaggiatore che, trovandosi in un paese di cui non conosce le usanze, viene invitato a pranzo da una persona del luogo. Se il viaggiatore non vuole apparire sgarbato, tenderà ad imitare gli ospiti indigeni compiendo atti per lui insoliti. Sostennero che, sebbene i 2 tipi di influenza agissero insieme, era possibile individuare situazioni che portavano a un aumento o a una diminuzione dell’uno o dell’altro tipo. Quando un individuo era membro di un gruppo era più soggetto alla dipendenza normativa di quanto non lo fosse una persona che si trovava a far parte di un’aggregazione momentanea. Tale dipendenza tendeva a diminuire nelle situazioni di anonimato quando il comportamento del singolo non era identificabile dagli altri. L’influenza normativa e quella informativa tendevano ad aumentare tanto più l’individuo era incerto sui propri criteri di giudizio. L’influenza informativa entra in azione quando un individuo prova il desiderio di essere nel giusto e pensa che gli altri possano aiutarlo a soddisfare questo desiderio. L’influenza normativa agisce tramite la pressione sociale e si fonda sul desiderio di ottenere il massimo vantaggio dal rapporto con gli altri. L’elemento normativo e quello informativo coesistono nei processi dell’influenza, ed è quindi preferibile considerare i due fattori come aspetti diversi di un fenomeno, piuttosto che come tipi alternativi di fenomeni. Quando l’influenza viene attivata tramite la pressione sociale, all’accordo esteriore con la fonte (COMPIACENZA) può corrispondere o meno un’ACCETAZIONE PRIVATA. E’ possibile indicare 4 diverse combinazioni del rapporto tra influenza pubblica e privata: 1. compiacenza & accettazione, 2. compiacenza & non accettazione, 3. non compiacenza & accettazione, 4. non compiacenza & non accettazione NEMETH Ha rilevato che, quando ai soggetti è richiesto di risolvere un compito, la presenza di una posizione maggioritaria attiva un processo di convergenza cognitiva grazie al quale gli individui prendono in analisi il problema che viene loro posto ponendosi nella stessa prospettiva della maggioranza. Lo affrontano considerando la possibilità di 2 soluzioni: aderire alla posizione della fonte o rifiutarla. La maggioranza può provocare una sottomissione più o meno superficiale e momentanea e può indurre a focalizzare l’attenzione sul suo modo di vedere e a trascurare le possibili proposte o soluzioni alternative.

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La convergenza attivata dalla maggioranza può migliorare la prestazione quando i soggetti sono esposti a una sovrabbondanza di informazioni e quando, per risolvere il problema, è necessario ridurre la complessità e concentrarsi sugli aspetti fondamentali. La convergenza inibisce la prestazione nei compiti che richiedono di prendere in considerazione molteplici prospettive e informazioni o di immaginare possibili proposte alternative.

1. 3 motivi dell’influenza maggioritaria Asch dal suo esperimento delle linee aveva individuato che il cedimento di fronte alla maggioranza dell’inconsapevole era provocato da 3 ordini di motivi: • DEFORMAZIONE PERCETTIVA, per la quale alcuni avevano percepito realmente in modo diverso le linee, • DEFORMAZIONE DEL GIUDIZIO, dovuta a un’indecisione e all’insicurezza rispetto alla propria scelta • BISOGNO IMPERIOSO DI NON SEMBRARE DIVERSI, che aveva spinto alcuni a cercare di annullarsi, di scomparire nel gruppo senza preoccuparsi di essere o meno nel giusto. La ricerca successiva ha confermato queste tre motivazioni e ciascuna delle quali facilita particolarmente, un effetto: L’accettazione della posizione maggioritaria e la sua persistenza nel tempo, sono probabili quando i soggetti pensano di essere meno esperti della fonte o quando il compito è ambiguo. Cambiamenti duraturi e inconsapevoli nella percezione della realtà fisica possono prodursi quando esiste una forte discrepanza tra tale realtà e l’opinione della maggioranza. L’accettazione può essere favorita dal tipo di processi cognitivi che una maggioranza induce. L’attenzione è centrata sullo stimolo e sul parere degli altri. Una persona esposta a maggioranza contraria metterebbe in atto un processo di confronto tra la propria posizione e quella della fonte al fine di capire perché vi è discrepanza. Poiché in genere si presume che la maggioranza abbia ragione (euristica del consenso) il soggetto tende ad adeguarsi, spinto dal desiderio di non sbagliare. Quando l’individuo non viene convinto dalla fonte maggioritaria, permane una tendenza ad adottarne la posizione (compiacenza). Tale effetto viene attivato quando il bersaglio teme delle ritorsioni da parte del gruppo o solo quando desidera apparire gradito agli altri, ha paura di non essere considerato, di sembrare stupido o incompetente. Alla base della compiacenza vi è l’intento di tutelarsi e di salvaguardare la propria immagine. La risposta compiacente può perdurare per un periodo perché, se una persona assume una determinata posizione in pubblico, ha più difficoltà a abbandonarla. Anche questo avviene per motivi di auto- presentazione: apparire incoerente e mutevole può

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essere considerato in modo negativo e il soggetto si sente impegnato davanti ad altri a mantenere la posizione presa. In accordo con la teoria della dissonanza cognitiva, quando un individuo ha effettuato una scelta la sua preferenza per la scelta effettuata si rinforza e le possibili scelte alternative perdono interesse. Le persone si sentono più soddisfatte se si trovano d’accordo con gli altri e se le decisioni sono prese all’unanimità. Le persone evitano di opporsi a una maggioranza concorde poiché trovarsi in questa condizione assorbe energia psicologica. Motivazioni di questo tipo sottostanno ai processi di influenza maggioritaria e sono legate all’effetto convergenza. Tale semplificazione cognitiva dovuta al fatto che l’individuo, quando è sottoposto a forti livelli di tensione, è in grado di cogliere solo gli elementi che sono salienti nella situazione e limita il campo dei suoi pensieri. Quando è esposto a una posizione forte (MAGGIORANZA CONTRARIA) si confronta con questa e non esplora possibili strade alternative a quella proposta dalla fonte.

1. 4 fattori che facilitano od ostacolano l’influenza maggioritaria

ASCH introducendo variazioni sperimentali alla usuale procedura, aveva studiato gli effetti prodotti: discrepanza – cioè dall’aumento del disaccordo con la maggioranza numero – dalla dimensione numerica della fonte unanimità e sostegno sociale – dall’esposizione a una maggioranza non unanime DISCREPANZA Aveva constatato che aumentando la discrepanza tra il giudizio della maggioranza e la realtà dei fatti, cioè facendo esprimere dalla maggioranza una valutazione ancor più contrastante con quello che il soggetto vedeva, la conformità era diminuita. La forte discrepanza aveva accentuato le reazioni nel senso dell’indipendenza e nel senso della conformità, in modo che i soggetti erano suddivisibili in indipendenti e conformisti. La ricerca successiva sembra appoggiare l’ipotesi di una relazione curvilinea tra discrepanza e influenza. Un aumento della discrepanza tende a produrre un aumento equivalente dell’impatto ma, quando la discrepanza supera una certa soglia, l’influenza torna a diminuire fino a scomparire nei casi di discrepanza estrema. La conformità, nei casi di debole discrepanza, si basa sull’influenza informativa. Nei casi di forte discrepanza si fonda sull’influenza normativa. Gradi diversi di dissenso dalla fonte provocano processi psicologici differenti. NUMERO Negli esperimenti di Asch si era visto che l’impatto raggiungeva il suo acme quando il soggetto era esposta a una maggioranza costituita da 3 persone. 2 persone provocavano un effetto debole, mentre maggioranze ampie non provocavano influenza maggiore. Le ricerche successive hanno ottenuto risultati discordanti su

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questo punto. Per questo motivo in anni più recenti si è sentita l’esigenza di ricorrere a modelli di tipo matematico in modo da determinare più precisamente il tipo di rapporto esistente tra dimensione numerica della maggioranza e conformità tra i più noti: LATANE’ & WOLF TEORIA DELL’IMPETTO SOCIALE Teoria secondo cui l’impatto di una fonte varia in funzione della sua FORZA, IMMEDIATEZZA e DIMENSIONE NUMERICA. SIT & SIM Modelli matematici di tipo predittivo che sostengono che l’influenza sociale è funzione del numero di fonti e di bersagli presenti nel campo sociale. Quando i soggetti pensano che la posizione della fonte può essere esatta, prevalgono gli aspetti informazionali, quando la fonte è erronea, sono i meccanismi normativi a prendere il sopravvento. WILDER Ipotizza che la conformità non varia in relazione al numero di membri della maggiore ma in funzione del numero di distinte unità sociali che sostengono la posizione maggioritaria. Quando un soggetto è esposto a una maggioranza unanime contraria, il grado di conformità varia con la dimensione della maggioranza SOLO SE il soggetto pensa che i membri di tale maggioranza sono giunti in modo indipendente ad assumere quella posizione. UNANIMITA’ E SOSTEGNO SOCIALE Introducendo nel gruppo un membro “deviante”cioè un collaboratore che rispondeva in modo esatto prima del soggetto critico, si è verificato un drastico calo della conformità. La ricerca successiva ha confermat l’importanza dell’unanimità della maggioranza. ALLEN Ipotizza che vi è SOSTEGNO SOCIALE quando è presente in un gruppo una persona la cui risposta coincide con la credenza o la percezione privata del soggetto. La maggior indipendenza provocata dal sostegno sociale non si limita ai compiti di discriminazione percettiva, ma si estende nell’ambito degli atteggiamenti e delle valutazioni oggettive di diverso tipo, interessando campioni di soggetti diversi. Attribuì l’effetto prodotto dal sostegno sociale al fatto che se opporsi a un gruppo consensuale contrario provoca ansia e stress, la presenza di un alleato riduce tale ansia. La presenza di più persone dissenzienti favorisce da parte degli altri l’attribuzione causale del comportamento deviante alla situazione e non a caratteristiche di personalità. Il fattore determinante è la ROTTURA DEL CONSENSO. Se nel gruppo c’è una persona che risponde in modo scorretto della maggioranza, questa provoca una diminuzione della conformità equivalente a quella provocata da un alleato. L’effetto del sostegno sociale e quello del dissenziente erano equivalenti quando il compito verteva su item di tipo oggettivo. Con item di tipo soggettivo era la presenza di un alleato a ridurre la conformità. Ha attribuito questi risultati alle aspettative del soggetto sul grado di consenso del gruppo. I temi riguardanti la realtà fisica sono soggetti a verifiche oggettive e ci si aspetta un alto grado di consenso. La presenza di un dissenziente riduce la credibilità del gruppo. Il ruolo del dissidente nella riduzione di conformità è meno rilevante

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rispetto a temi sui quali esistono più risposte ugualmente corrette e ragionevoli e una bassa aspettativa di consenso. Il sostegno di un alleato produce un effetto significativo. L’effetto del sostegno sociale dura fino a quando l’alleato mantiene la posizione di dissidente. Se smette di opporsi e si adegua alla maggioranza, la conformità dei soggetti torna a livelli più alti. Quando il sostegno sociale viene a mancare per cause fortuite, il soggetto continua a resistere alla maggioranza anche in assenza del sostegno. Solo se l’abbandono è interpretato come diserzione, induce il soggetto a una maggiore conformità. Se è dovuto a cause indipendenti dalla volontà dell’alleato, l’effetto di non conformità rispetto a stimoli di uguale contenuto persiste nel tempo. 2 l’influenza dell’autorità, della credibilità e dell’attraenza. Se il confronto con una maggioranza unanime esercita sull’individuo una pressione che lo sollecita a uniformare il proprio comportamento a quello degli altri, vi sono situazioni in cui non è necessaria la presenza di più persone perché il singolo si senta spinto a seguire le indicazioni della fonte. L’AUTORITA’ di una persona è collegata alla posizione sociale che essa ricopre. La CREDIBILITA’ deriva dalla stima di cui una persona goda. L’ATTRAENZA è riferita al piacere e all’interesse che suscita. Questi 3 fattori possono essere attribuiti a una fonte d’influenza ma non sempre agiscono contemporaneamente. 2. 1 l’influenza dell’autorità Il tipo di influenza più noto è quello che viene esercitato da una persona sulla base dell’autorità che le viene riconosciuta dagli altri membri del gruppo o della comunità. L’influenza dell’autorità si basa: • sul desiderio, da parte del bersaglio, di evitare sanzioni, • sul desiderio di ottenere ricompense, • sulla credenza che la fonte abbia il diritto morale di prescrivere il comportamento. In base all’autorità che gli viene attribuita un individui acquisisce un potere di influenzare fondato su norme sociali, tradizioni, valori e regole. Tanto più l’autorità è percepita come legittima, tanto più le persone tenderanno a obbedirle. Una dose di obbedienza all’autorità è requisito fondamentale all’interno di qualsiasi comunità sociale. L’EDUCAZIONE ALL’OBBEDIENZA inizia dalla nascita: i genitori, gli insegnati e le istituzioni giuridiche, militari e politiche concordano nel comunicare e nel ricordare all’individuo che è bene obbedire all’autorità legittima. L’educazione all’obbedienza avviene anche per mezzo dell’istruzione religiosa. Chiunque si trova a dover rispondere alle direttive di un’autorità. L’obbedienza costituisce la scelta più semplice e vantaggiosa. Spesso quando la pressione dell’autorità è forte perché sono in gioco premi o sanzioni, le persone possono far mostra di sottomettersi e mantenere invariato il proprio modo di pensare o di agire quando sfuggono al controllo della fonte. Una persona può fingere di essere

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d’accordo con una fonte di autorità con lo scopo di ingraziarsela per ottenere poi favori. Sono casi di COMPIACENZA, simili a quelli che possono essere indotti dalla maggioranza. L’obbedienza non è una risposta inevitabile né è sempre la soluzione migliore. Esempio di un episodio di obbedienza che ha prodotto danni irreparabili: il massacro della popolazione civile a MY Lai un villaggio del Vietnam attuato da parte da soldati americani sotto la guida del tenente Calley. Quasto caso fu citato da Kelman e Hamilton 1989 come uno di quei “crimini di obbedienza” di cui la storia purtroppo ci offre vari esempi. Il tenente Calley si difese in tribunale dicendo che ha eseguito solo gli ordini di eliminare il nemico e quindi i vietcong erano tutti nemici e non si distingue tra militari, donne e bambini. Calley fu condannato perché la corte marziale perché “ l’obbedienza di un soldato non è l’obbedienza di un automa. Un soldato è un essere in grado di ragionare e di rispondere, non una macchina a una persona” L’obbedienza è una forma di influenza che dovrebbe contribuire a mantenere l’ordine e l’organizzazione sociale e evitare che si trasformi in un danno per la società o per alcuni dei suoi membri. 2. 2 la ricerca sull’obbedienza distruttiva MILGRAM Dedusse che i comportamenti di obbedienza distruttiva non erano il frutto di perversione o sadismo individuale ma potevano essere diffusi e indotti dalla struttura di un particolare contesto sociale. Esperimento di Milgram: condotto all’università di Yale con 40 soggetti di sesso maschile che credevano di partecipare ad un esperimento sull’apprendimento. Attraverso false apparecchiature dovevano infliggere una scossa elettrica sempre più forte a soggetti ( attori) che non apprendevano esercizi di memoria. Le esortazioni del ricercatore, progressivamente sempre più pressanti, costituivano la operazionalizzazione dell’autorità il 65% ,cioè 26 persone, abbassò la leva più alta di 450 volts che metteva in pericolo di morte.( naturalmente l’attore simulava perché la corrente non era vera). 2. 3 caratteristiche dell’obbedienza Per quanto simili, la sottomissione all’autorità emerse dall’esperimento di Milgram e la conformità alla maggioranza rilevata da Asch, divergono su 4 aspetti: 1. L’obbedienza comporta una struttura gerarchica, una disuguaglianza sociale tra fonte e bersaglio. La conformità è il cedimento di una persona a un gruppo che può avere il suo stesso status, un gruppo di pari e che non ha prerogative per regolarne il comportamento. 2. Mentre la conformità al gruppo comporta che il soggetto segua quello che fanno gli altri, l’obbedienza riguarda un’azione che la fonte può non compiere e che viene richiesta solo al bersaglio. 3. Mentre nella conformità la pressione è implicita, l’obbedienza costituisce una risposta a comandi espliciti. 4. Mentre chi obbedisce all’autorità è pronto a riconoscerlo, le persone che cedono alla pressione del gruppo difficilmente ammettono di averne subito l’influenza.

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Milgram condusse altri 17 esperimenti basati fondamentalmente sullo stesso paradigma, introducendo varianti per vedere quali fossero le condizioni che favorivano o ostacolavano la sottomissione. I risultati ottenuti anche dall’analisi dei “crimini di obbedienza” sono stati individuati una serie di fattori situazionali che possono incoraggiare o impedire l’obbedienza all’autorità:

• Vicinanza dell’autorità e grado di sorveglianza: la presenza dello sperimentatore aumentava l’obbedienza, se egli usciva dalla stanza dell’esperimento l’obbedienza calava anche se continuava ad impartire ordini dall’esterno.

• salienza delle possibili conseguenze della disobbedienza: Se a una trasgressione degli ordini seguirà una punizione, le disobbedienze saranno più rare. La presenza di sanzioni legali, rende evidente che l’azione non è il frutto di una scelta ma è un obbligo.

• legittimità dell’autorità: Un ordine proveniente da una persona di status equivalente non è preso seriamente e non è considerato legittimo come l’ordine proveniente da uno sperimentatore di status superiore.

• incongruenza nella struttura sociale: Segnali incongruenti tendono a ridurre la pressione dell’autorità.

• presenza di dissidenti: Una o più persone che si rifiutano di obbedire agli ordini agiscono come sostegno sociale per il soggetto e ne rafforzano le capacità trasgressive.

• vicinanza della vittima al crimine: La distanza permette a chi deve compiere un atto aggressivo di non vedere le sue vittime come singole persone ma di considerarle nel loro insieme, come fronte avverso da distruggere. La lontananza fisica facilita la valorizzazione delle future vittime che vengono considerate come prive di caratteristiche umane.

• responsabilità personale: è chiara la responsabilità personale e più il soggetto tenderà ad evitare azioni criminose. Il sentirsi sollevato dalla responsabilità dei propri atti facilita l’obbedienza.

Ricerche più recenti hanno confermato e integrati i risultati ottenuti da Milgram. L’obbedienza può condurre a esercitare una forma di violenza fisica sulla vittima e una sottile forma di violenza psicologica. Il peso dei fattori situazionali nell’obbedienza è stato ridimensionato. Non è possibile predire la sottomissione all’autorità tenendo conto solo dei fattori situazionali ma è necessario considerare variabili disposizionali quali certi tratti di personalità e alcune credenze durature. Milgram ha affermato che, pur non essendo riuscito a individuarle era sicuro che alla base dell’obbedienza e della disobbedienza vi fossero differenze nella struttura della personalità.

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2. 4 la fonte credibile Una persona credibile ottiene influenza senza bisogno di riconoscimenti formali né di esercitare pressioni di alcun tipo. Mentre l’obbedienza dell’autorità si fonda sull’influenza normativa, una fonte credibile agisce sulla base di influenza informativa. Esiste una relazione positiva tra credibilità della fonte e influenza sociale. Se le fonti ad alta credibilità provocavano un cambiamento degli atteggiamenti maggiore di quelle a bassa credibilità, l’impatto dovuto alla credibilità della fonte andava attenuandosi con il passare del tempo. I 2 elementi fondamentali che rendono una fonte credibile sono: COMPETENZA e AFFIDABILITA’. Una persona è considerata competente quando le vengono attribuite conoscenze e capacità tali da poter far fronte in modo adeguato ad un determinato problema. E’ considerata affidabile quando se ne percepisce la motivazione ad utilizzare correttamente e senza distorsioni tali conoscenze e capacità. Fra i fattori in base ai quali una fonte viene stimata competente vi sono il suo livello di istruzione, l’intelligenza riconosciuta, lo status sociale, il successo professionale e la familiarità con l‘argomento in questione. COMPETENZA SPECIFICA L’attribuzione di competenza in un determinato campo. COMPETENZA GENERALIZZATA Competenza specifica estesa ad altri tipi di conoscenze. E’ sulla base di un’attribuzione di competenza generalizzata che una persona acquisisce prestigio e autorevolezza ed è in grado di esercitare influenza anche fuori dal suo ambito specifico. Alcuni fattori possono moderare l’impatto della sola competenza. Se tra fonte e bersaglio esiste un divari eccessivo, in termini di competenza, l’influenza sarà meno forte. Una persona competente non è necessariamente considerata degna di fiducia. Per ottenere la fiducia degli altri una fonte deve apparire sincera, disinteressata e priva di secondi fini. Una fonte ritenuta poco affidabile suscita il sospetto nelle persone e ottiene un impatto scarso, se non un rifiuto. Una persona affidabile può influenzare gli altri anche se non è ritenuta molto competente. Se i soggetti sono preavvertiti del fatto che la fonte si propone di convincerli, essi aumentano le proprie resistenze nei confronti del messaggio, anche se questo si basa su forti argomentazioni. Questo fenomeno avviene quando il tema in questione è rilevante per le persone. La rilevanza dell’argomento e le forti argomentazioni producono un aumento della persuasione, poiché sollecitano a riflettere attentamente sul problema. Quando la fonte è guardata con sospetto, il modo in cui i soggetti elaborano le informazioni diventa meno oggettivo ed essi analizzano il messaggio con lo scopo di trovare in esso errori e incoerenze e di poterlo rifiutare.

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2. 5 la fonte attraente Mentre la credibilità si basa su fattori di ordine cognitivo, l’attraenza chiama in causa fattori di carattere affettivo ( Montmollin 1984). Possiamo provare attrazione per qualcuno perché gli attribuiamo determinate caratteristiche. Si può essere attratti da una persona o da un gruppo perché li sentiamo simili, sono familiari e perché mostrano a loro volta di apprezzarci. Si può essere sensibili al fascino della diversità e dell’estraneità. Il maggiore o minore impatto di ciascuno di questi fattori può variare da una persona all’altra e in relazione all’età del bersaglio. L’attrazione verso il gruppo dei coetanei è forte durante l’adolescenza. Una persona bella e piacente risulta avvantaggiata nell’interazione sociale. Si sottostima la misura di tale vantaggio e non si riconosce di essere stati personalmente condizionati da questo fattore. Oltre all’aspetto esteriore, una fonte può essere attraente per la sua simpatia o per fattori estrinseci quali lo status sociale e lo stile di vita. L’attraenza della fonte sembra essere un importante fattore d’influenza perché le persone tendono ad associarla ad altre caratteristiche che danno credibilità. Basandosi su un’euristica, si pensa che le persone che ci piacciono abbiano opinioni corrette. Quando una fonte è attraente si è più inclini a darle ragione, ad assecondarla e ad accettare le sue opinioni in merito a temi che ci coinvolgono poco. Rispetto a problematiche più coinvolgenti, non sempre l’attraenza costituisce un vantaggio. Il bersaglio è indotto a passare al vaglio con attenzione il messaggio e una fonte che produce forti argomentazioni riesce a persuadere. L’attraenza riduce l’impatto di una fonte debole che si avvale di deboli argomentazioni. L’attraenza può essere più o meno durevole nel tempo, può variare in intensità dalla semplice curiosità fino all’amore- passione. Un’attrazione forte può arrivare a produrre effetti devastanti, arrivando a indurre una persona a uccidere o a uccidersi. FOLIE A DEUX Perdita totale del senso di realtà che scaturisce da un rapporto esclusivo e ossessiva tra 2 persone. Altri 2 fattori possono rendere una fonte attraente: SIMILARITA’ e VICINANZA con il bersaglio. L’attrazione per una persona tende ad aumentare quando essa manifesta atteggiamenti simili ai nostri. Maggiore è la percentuale di argomenti condivisi, maggiore sarà l’attrazione esercitata da una persona su un’altra. La relazione tra somiglianza degli atteggiamenti e attrazione è forte quando gli atteggiamenti condivisi sono molto profondi e radicati. La similarità reale o ideale con la fonte ne aumenta l’impatto in termini di persuasione o di avvicinamento al suo modo di pensare e agire. Si può essere o sentirsi simili a una fonte dal punto di vista demografico e ideologico. L’importanza dell’uno o dell’altro aspetto varia a seconda delle culture e dei diversi momenti storici. L’impatto della similarità demografica si esprime a livello dei comportamenti. La similarità ideologica si esprime a livello degli atteggiamenti. L’influenza di una fonte simile è forte durante l’adolescenza. In quella fase della vita i coetanei sono un punto di riferimento fondamentale per il modo di pensare e agire.

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Un modo efficace per influenzare soggetti adolescenti consiste nel ricorrere all’aiuto di coetanei appartenenti allo stesso gruppo. Uno degli aspetti che rende saliente la similarità tra le persone è la comune appartenenza a un gruppo o a una categoria sociale. Questo tipo di similarità produce un impatto quando i membri del proprio gruppo sono messi a confronto con quelli di un altro gruppo. La comune appartenenza aumenta la propensione all’accordo esplicito con la fonte se questa esprime forti argomentazioni. Non sempre la fonte INGROUP è realmente avvantaggiata. La fonte intracategoriale ottiene un impatto più forte di una fonte appartenente a una diversa categoria a livello pubblico e superficiale ma non a livello privato e profondo. Quando la diversità categoriale tra fonte e bersaglio è accompagnata da una reale o possibile disuguaglianza di status a favore del bersaglio, quest’ultimo può essere indotto a prestare un’attenzione particolare al messaggio della fonte OUTGROUP per riaffermare i propri principi egualitari. In questi casi, la qualità delle argomentazioni risulta più importante dell’appartenenza categoriale. La vicinanza fisica sembra contribuire a rendere una fonte attraente e a facilitare la sua influenza poiché ce la rende familiare. L’abitudine crea spesso una disposizione favorevole nei riguardi di un oggetto o di un posto. Questo meccanismo si può attivare in rapporto a persone o gruppi: il fatto di vedersi ripetutamente può renderli attraenti e favorirne l’impatto. La familiarità può provocare l’effetto opposto se il ripetuto incontro con la fonte avviene in condizioni conflittuali e competitive che provocano frustrazione.

3. 6 tipo di fonte e tipo di effetto: differenze e somiglianze KELMAN Aveva ipotizzato che, nel campo degli atteggiamenti, ciascun tipo di fonte favorisse un effetto di livello differente. L’autorità sollecitava la COMPIACENZA, un cambiamento pubblico, apparente. La credibilità otteneva INTERIORIZZAZIONE, cioè la riflessione del soggetto sul problema o sul cambiamento profondo e persistente. L’attraenza provocava un processo di IDENTIFICAZIONE che portava ad adottare la posizione della fonte per emularla. Fonti dello stesso tipo possono attivare modalità differenti di elaborazione del loro messaggio e ottenere risultati quantitativamente e qualitativamente diversi. L’importanza della fonte, della sua credibilità e della sua attraenza, può variare in relazione a vari fattori quali il livello di attenzione o il grado di coivolgimento dei soggetti nel problema. Quando gli individui sono direttamente interessati all’argomento in questione, tendono a concentrarsi sui contenuti del messaggio emesso dalla fonte. Quando sono poco coinvolti nel problema sono le caratteristiche dell’emittente a diventare salienti. Nelle condizioni in cui il compito è considerato importante, i soggetti sono molto coinvolti e le argomentazioni della fonte non si prestano ad ambiguità. E’ la forza delle argomentazioni addotte il fattore persuasivo fondamentale. Nelle condizioni in cui il compito è di scarsa importanza e i soggetti

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sono poco coinvolti nel problema, sono la credibilità o l’attraenza della fonte ad essere determinanti. Poiché un cambiamento d’atteggiamento persiste più a lungo nel tempo quando un soggetto è convinto per mezzo di argomentazioni forti che non quando è convinto da fattori marginali o che esulano dal tema in questione, in condizioni di debole coinvolgimento, l’impatto di fonte credibili e attraenti risulterà rilevante, ma meno duraturo. In queste condizioni qualità diverse della fonte, se dotate della stessa valenza, producono effetti simili. Riguardo a temi ambigui o che hanno una rilevanza moderata per i soggetti, le qualità della fonte possono agire come fattore che motiva gli individui a effettuare un’elaborazione accurata del messaggio, o li demotiva a farlo. Quando le persone sono moderatamente coinvolte nel problema, tendono a valutare più sistematicamente un messaggio che proviene da una fonte credibile che quello proveniente da una che non è dotata di questa caratteristica. Una forte argomentazione può aumentare l’impatto di un messaggio proveniente da un esperto, ma non di quello proveniente da una fonte attraente. Le caratteristiche individuali possono determinare modalità diverse di elaborazione in rapporto a fonti di tipo differente: gli individui che desiderano dare l’impressione di far fronte adeguatamente alle richieste di ogni specifica situazione elaborano maggiormente messaggi provenienti da fonti attraenti. Quelli che sono meno sensibili alle richieste esterne e più interessati a mantenere una propria coerenza personale in contesti e situazioni differenti, si impegnano maggiormente in rapporto a messaggi provenienti da esperti. 3 l’influenza minoritaria Esempi di influenza senza potere sono numerosi nel mondo dell’arte, delle idee e della politica. Movimenti innovatori, nati dall’iniziativa di uno solo o di pochi individui e all’inizio rifiutati e derisi, hanno assunto con il tempo un ruolo rilevante e hanno finito per influenzare in modo decisivo la storia e la cultura. L’influenza non è solo una potente spinta a conformarsi alla maggioranza, a seguire la corrente, a imitare chi ci sembra forte, bello e vincente. Esiste la possibilità che persone qualsiasi, se sanno resistere e opporsi, riescono a cambiare e innovare. Esempio del film “Bagdad cafè” come una persona accolta in maniera ostile può trasformare un luogo e le persone che ci vivono dalla bruttezza alla bellezza. 3. 1 influenza minoritaria e percezione dei colori: il paradigma blu/verde I primi studi a cui si fa un riferimento esplicito all’influenza minoritaria sono stati resi noti da FAUCHEUX e MOSCOVICI. I lavori che hanno suscitato più interesse sono 3 esperimenti di Moscovici. Egli partì dal presupposto che una minoranza sarebbe stata in grado di esercitare un’influenza sulla maggioranza se si fossero verificate le seguenti condizioni: 1. La minoranza doveva assumere uno stile di comportamento CONSISTENTE, cioè opporsi alla maggioranza in modo tenace e consensualmente. 2. Il compito doveva riguardare valutazioni oggettiva, non opinioni o atteggiamenti.

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3. Le risposte della maggioranza e quelle della minoranza dovevano escludersi reciprocamente. 4. La differenza di giudizio non poteva essere attribuita a fattori individuali. 5. La maggioranza di laboratorio doveva formulare un giudizio uguale a quello di un campione casuale della popolazione mentre la posizione della minoranza doveva essere contraria alle normali aspettative. Primo esperimento: è stato detto che l’esperimento riguardava la percezione dei colori e della luminosità di diapositive. Gruppi di 6 persone di cui due collaboratori..nei gruppi di controllo non vi erano collaboratori…sei proiezioni di sei diapositive variandone l’ordine sistematicamente. Senza tenere presenti le sfumature, i soggetti dovevano rispondere quale era il colore base rosso, blu, verde. Il colore base in realtà era blù. Ma la minoranza (i due collaboratori) li giudicava verdi tutte e 36. Secondo esperimento: stessa procedura del primo più l’aggiunta alla fine di un’altra prova con sostituzione dello sperimentatore precedente con un altro sperimentatore e valutazione separata di 16 pastiglie…3 verdi, 3 blù e 10 confuse e dovevano dire se era verde o blù. Terzo esperimento: simile al primo ma cambiavano le risposte dei collaboratori che giudicarono verdi 24 diapositive in ordine casuale e blù le altre 12. quindi un terzo esatte. I risultati furono che l’8% dei giudizi dei soggetti era stato influenzato dalla minoranza nel primo e nel terzo esperimento Per ottenere quindi un impatto sociale, una minoranza doveva dar prova di CONSISTENZA, adottando uno stile di comportamento fermo e tenace. I risultati ottenuti dal secondo esperimento sono interessanti perché mostrano che i soggetti hanno spostato la soglia di discriminazione verso il verde come la risposta data dalla minoranza nella sessione precedente. Quindi la minoranza ha prodotto nn solo un cambiamento sciale ma anche a livello percettivo. Ha sostenuto che le persone prive di potere riconosciuto, quando assumevano una posizione dissidente e non cedevano alla pressione sociale, potevano diventare fonti di un particolare tipo di influenza, influenza che non portava alla conformità bensì all’INNOVAZIONE. La forza di tali minoranza stava nella loro capacità di attivarsi, aprendo un conflitto con la maggioranza e nel loro modo di gestire tale conflitto. Lo STILE DI COMPORTAMENTO assunto da una minoranza costituiva il fattore cruciale della sua influenza. Moscovici e Personnaz EFFETTO DELL’IMMAGINE CONSECUTIVA(after-image effect) Effetto che si verificava dopo aver mostrato a un soggetto, una figura colorata su una superficie bianca. La figura colorata viene fatta scomparire e il soggetto fissando ancora la superficie bianca vede apparire per breve tempo l’immagine precedente ma in un colore differente e complementare a quello della diapositiva. Le persone esposte all’influenza minoritaria, possono essere influenzate inconsapevolmente a livello di immagine consecutiva. Altri esperimenti hanno

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dimostrato l’esistenza di una influenza nascosta che ha agito sull’immagine consecutiva, ma solo quando la fonte era in minoranza. 3. 2 quali minoranze? Caratteristiche ed effetti della minoranza Negli esperimenti, la minoranza era costituita da una o più persone che avversavano la scelta della maggioranza. La minoranza era tale per il suo disaccordo e per il suo rapporto numerico con la maggioranza. Nella sua sistematizzazione teorica Moscoviti aveva fatto riferimento alle MINORANZE SOCIALI definite in base al numero e al loro status marginale, alla loro mancanza di potere. Per avvicinarsi di più alle minoranze esistenti fuori dal laboratorio varie indagini hanno utilizzato al posto degli stimoli percettivi, item riguardanti problematiche. sociali e politiche. Mugny e Perez: studi sull’ipotesi che l’influenza minoritaria agisce in modo indiretto su temi collegati da uno stesso “principio organizzatore”. Il prevalere dell’influenza indiretta o nascosta sull’adesione manifesta è stata definita CONVERSIONE Moscovici ha sostenuto che mentre una maggioranza produce COMPIACENZA, una minoranza attiva e consistente induce CONVERSIONE o INFLUENZA INDIRETTA, che può assumere svariate modalità: • il cambiamento può avvenire non subito, ma in TEMPI RITARDATI rispetto a quando il soggetto è stato esposto alla fonte. • In MODO TRASPOSTO (su uno stimolo o problema diverso, se pur collegato, rispetto a quello su cui la maggioranza si è espressa), • in SITUAZIONE PRIVATA (quando la fonte è assente e quando gli altri soggetti non ne vengono a conoscenza). EFFETTO MODELLANTE Un modo per avvicinarsi indirettamente alla minoranza è quello di ADOTTARNE IL COMPORTAMENTO, applicandolo in altri contesti o ad altri contenuti. La differenza tra gli effetti provocati da una minoranza e quelli indotti da una maggioranza sarebbe dovuta al fatto che i 2 tipi di fonte attivano processi qualitativamente differenti. Neeth e Kwan 1987 hanno mostrato molto chiaramente in un esperimento come maggioranza e minoranza inducano processi cognitivi diversi: data la sequenza di 5 lettere tDOGe a gruppi di 4 soggetti, essi dovevano scrivere una parola di tre lettere che aveva un senso compiuto. Tutti hanno scritto DOG (cane) ma gli fu dato un fittizio feedback de si diceva che una persona (condizione minoritaria) oppure che tre persone (condizione maggioritaria) avevano letto al contrario GOD (Dio). Dopo si mostrava altre sequenze simili e si è notato e si dovevano avvalere delle 5 lettere e si è notato che le persone esposte alla maggioranza aveva letto soprattutto con la modalità inversa mentre quelle sottoposte alla minoranza avevano usato sia la modalità diretta, sia quella inversa formando un maggior numero di parole.

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La maggioranza promuoverebbe un processo di CONFRONTO, per il quale l’attenzione del soggetto sarebbe focalizzata sulle differenze tra la sua posizione e quella degli altri e sulle possibili conseguenze sociali del suo disaccordo. La minoranza attiverebbe un processo di CONVALIDA che indurrebbe il soggetto a prestare attenzione al problema su cui la fonte ha preso posizione e a riflettere sull’argomento. Le maggioranze suscitano un modo di pensare CONVERGENTE: le persone, quando sono confrontate con una maggioranza, possono adottarne il punto di vista o rifiutarlo, ma prendono in considerazione il problema dalla stessa prospettiva assunta dalla fonte. In presenza di una minoranza, le persone adottano un’attività cognitiva di tipo DIVERGENTE che le induce a considerare lo stimolo dal punto di vista della fonte e da altre molteplici prospettive. Moscovici e Nemeth hanno dato dell’influenza sociale che esistono 2 diversi processi di influenza che sono stati definiti DUALISTICI. Si contrappongono teoricamente alla visione MONISTICA che viene appoggiata da alcuni ricercatori i quali sostengono che l’influenza della maggioranza e quella della minoranza sono mediate dal medesimo processo e che è la dimensione numerica della fonte a determinare l’importanza del suo impatto. La qualità della produzione cognitiva dei soggetti non è solo legata al tipo di fonte ma anche al genere di messaggio che questa emette. 3. 3 motivi dell’influenza minoritaria L’influenza della minoranza sembra essere dovuta al fatto che le persone autonome e dissidenti sono oggetto di un’ammirazione consapevole da parte degli altri perché mostrano di saper resistere alla pressione sociale, di avere coraggio di mantenere la propria indipendenza di giudizio e di pensiero. Una minoranza impedisce una soluzione unanime e obbliga a non dare per scontata la scelta maggioritaria, a rimetterla in discussione, allargando il campo delle possibili soluzioni. Questo supplemento di riflessione può produrre un reale cambiamento di opinione. Una minoranza, se suscita attrazione, suscita anche diffidenza. Poiché la norma sociale spinge verso la conformità, le persone cercano di evitare di mostrarsi in accordo con una fonte dissidente, temendo di essere considerate negativamente dagli altri e di essere etichettate esse stesse come devianti. Per non essere identificato con la fonte, per prenderne le distanze, il bersaglio dell’influenza minoritaria mette in atto delle STRATEGIE DI OCCULTAMENTO. La conversione sarebbe il risultato della profonda ambivalenza (ATTRAZIONE + REPULSIONE) suscitata dalla fonte. • Una minoranza può sollecitare divergenza cognitiva e, rispetto a una maggioranza, condurre a prestazioni di livello superiore in compiti che richiedono apertura mentale creatività. Tali effetti sembrano dovuti al fatto che, mentre essere confrontati con una maggioranza contraria induce alti livelli di tensione nei soggetti, la dissidenza di una minoranza suscita il grado di tensione ottimale per la soluzione di questo tipo di compiti. La divergenza appare incoraggiata quando la situazione spinge il soggetto a ricercare il massimo della propria prestazione, a emergere individualmente. In questi

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casi la minoranza è vista come un avversario con cui competere e da superare. 3. 4 fattori che facilitano od ostacolano l’influenza minoritaria I fattori che condizionano l’influenza sociale di una minoranza sono: • STILI DI COMPORTAMENTO nella definizione di Moscovici sono intesi come maniera convenzionali di organizzare il comportamento, arrangiamenti intenzionali di segnali verbali e non che esprimono il significato dello stato attuale e l’evoluzione futura di coloro che li assumono. Diversi sono gli stili comportamentali che possono favorire l’influenza sociale: CONSISTENZA E’ l’aspetto fondamentale dell’impatto minoritario. Moscoviti ne individua 2 forme diverse: � CONSISTENZA INTERNA, in base alla quale un individuo è coerente nei tempi e nelle modalità, � CONSISTENZA SOCIALE, basata sul consenso. Altri stili di comportamento sono: INVESTIMENTO Mostra come l’individuo o il gruppo sia impegnato e coinvolto nello scopo perseguito anche a costo di sacrifici personali. AUTONOMIA Indipendenza di giudizio e di atteggiamento EQUITA’ L’attenzione imparziale anche a posizioni diverse dalle proprie RIGIDITA’ Si manifesta come rifiuto di accettare qualsiasi tipo di compromesso. L’importanza degli stili comportamentali risiede nel fatto che essi contribuiscono a creare un’immagine, a strutturare la fisionomia della fonte potenziale d’influenza. Una strategia minoritaria efficace per ottenere una valutazione vantaggiosa può essere l’assunzione di un comportamento OPPOSTO o differente, rispetto a quello che la gente si aspetta dalla minoranza. La violazione delle aspettative suscita la curiosità e la ricerca di una spiegazione. Se la posizione inaspettata della minoranza è sostenuta da valide argomentazioni, essa ha forti probabilità di venire apprezzata. Lo stile di comportamento fa parte di un gruppo di variabili che possono favorire o impedire l’attribuzione di un valore positivo alla minoranza. • TIPO DI COMPITO inizialmente per Moscovici e colleghi, una minoranza ha maggiori probabilità di successo in compiti di tipo OGGETTIVO (quelli rispetto ai quali esistono risposte esatte e risposte sbagliate e il giudizio non è arbitrario ma teoricamente universale) che in compiti di tipo SOGGETTIVO (quelli rispetto ai quali non esistono risposte sbagliate e le risposte possibili sono tutte valide). Ma la ricerca successiva ha utilizzato più item soggettivi che oggettivi come ad esempio atteggiamenti verso problemi sociali quali l’aborto, la pena di morte, diritti dei gay o anche preferenze musicali o estetiche e così via. I risultati di questa ricerca successiva in parte hanno confermato l’ipotesi iniziale di Moscvici ma altri risultati che mentre una maggioranza ottiene un’influenza più forte in compiti di tipo oggettivo, nei compiti di tipo soggettivo la minoranza ha le stesse possibilità della maggioranza, se non di più, di esercitare il suo impatto.

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• CONFLITTO Per Moscoviti, la conversione, il cambiamento della risposta latente, è il modo attraverso il quale il soggetto esposto a una minoranza, risolve il conflitto interno tra i 2 diversi sentimenti ( attrazine da una parte e paura che la propria immagine venga compromessa) che la fonte provoca. E’ possibile supporre che attenuando la forza del conflitto si produca un affievolimento dell’effetto conversione e un aumento dell’impatto esplicito. Moscovici e Doms hanno ripetuto l’esperimento blu/verde ma con una variante: la DEPRIVAZIONE SENSORIALE Uno stato che viene indotto immobilizzando i soggetti e ponendoli in completo isolamento, in modo tale che le loro percezioni visive e tattili siano ridotte. Una situazione di questo tipo produce effetti simili a quelli derivati dalla suggestione ipnotica: le persone abbassano le difese diventando vulnerabili psicologicamente, malleabili e influenzabili. I soggetti in questo esperimento venivano sottoposti alla prima parte dell’esperimento cioè esposti alla fonte di influenza, poi venivano deprivati sensorialmente cioè tenuti in situazione di completa oscurità per 45 minuti e poi passavano alla seconda parte del test cioè…. I risultati furono che l’intensità e la natura del conflitto suscitato dalla fonte determinano il peso dell’influenza manifesta e di quella latente. Paicheler e Moscovici : Tra le 2 forme d’influenza esiste un rapporto inverso per cui a un aumento dell’una corrisponde una diminuzione dell’altra e viceversa. Questo modello è valido quando i soggetti sono esposti a messaggi di gruppi sociali minoritari. Wood ha constatato che, quando le persone interagiscono direttamente con una fonte minoritaria contraria, la debole influenza manifesta è accompagnata da una debole influenza nascosta. Quando un soggetto è esposto a una fonte contraria, il conflitto è inevitabile. Gli esiti di tale situazione non sono sempre uguali, a seconda del tipo di fonte e del tipo di compito con cui le persone sono confrontate, cambierebbero le modalità di elaborazione del conflitto e il grado e il livello dell’influenza indotta. Fonti di tipo differente sarebbero in grado di attivare rappresentazioni diverse del compito. Le minoranze attiverebbero una visione del compito in termini di apertura a una pluralità di risposte. • APPARTENENZA CATEGORIALE Alcune volte i gruppi sociali minoritari si differenziano dalla maggioranza per la posizione che assumono. Le minoranza a volte sono tali anche perché appartengono a una diversa categoria sociale. Si è sviluppato un interesse riguardo al rapporto tra appartenenza categoriale e influenza sociale. Si è cercato di verificare se vi fossero differenze tra gli effetti prodotti da minoranze ingroup e minoranze outgroup e in cosa consistessero tali differenze. Esempio di ingroup: un gruppo di italiani a favore dei diritti degli immigrati. Esempi di outgroup: un grupo di immigrati a favore dei propri diritti. A livello esplicito, una minoranza ingroup ha un maggiore impatto di una minoranza outgroup. A livello privato una minoranza outgroup esercita più influenza di quella ingroup. MINORANZE OUTGROUP RAPPRESENTATIVE: Sono le minoranze che rappresentano l’outgroup e ottengono scarso successo.

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MINORANZE OUTGROUP DISSIDENTI: Sono minoranze che si contrappongono alla posizione maggioritaria nell’outgroup. Queste tendono a produrre conversione. • CONTROATTACCHI Poiché la posizione minoritaria dissidente e innovativa provoca un forte turbamento dell’ordine sociale, è comprensibile che da parte maggioritaria si mettano in moto una serie di manovre atte a impedire che la minoranza produca i suoi effetti. Queste operazioni tendono a mantenere lo status quo e possono prendere di mira la fonte o essere focalizzate sulla situazione e sul suo messaggio. Moscvici e colleghi hanno supposto che l’impatto di una minoranza si riduce quando il suo disaccordo con la maggioranza viene attribuito a fattori personali. Da queste ipotesi sono partite delle ricerche che hanno approfondito gli effetti della PSICOLOGIZZAZIONE Attribuzione della posizione minoritaria e della sua conflittualità con le norme dominanti, alle caratteristiche psicologiche della fonte. Si è riscontrato che la psicologizzazione è’ un metodo efficace per ridurre l’influenza minoritaria. Non intacca l’influenza maggioritaria che tende a rafforzare. Un’altra manovra che può essere attuata per impedire l’influenza minoritaria ha per oggetto il messaggio della fonte e le idee che essa propone. Il modo più violento per intervenire sul messaggio è censurarlo, cioè impedire che possa essere ascoltato. Se la censura non è possibile, si ricorre al diniego, cioè si rifiuta di riconoscere la minima credibilità a quanto la fonte sostiene, accusandola di esprimere una posizione contraria al senso comune, inverosimile e irrazionale. La censura ottiene un effetto contrario a ciò che si propone chi la mette in atto: un’informazione censurata diventa più attraente ed esercita una maggiore influenza. Quando un messaggio emesso da una minoranza è stato sottoposto a forte censura il suo impatto sulla fonte è aumentato. (effetto paradossale) Le ricerche sul diniego hanno messo in luce effetti ancora più paradossali o perversi: disconoscere l’opinione di una minoranza sembra da una parte frenare l’influenza, dall’altra facilitarla. Il diniego ostacola l’influenza immediata e provoca un aumento dell’influenza ritardata. Tale effetto differito si verifica quando il messaggio rifiutato proviene da una minoranza o da una fonte outgroup. Un messaggio proveniente da una maggioranza ingroup, se rifiutato, produce un forte consenso immediato, mentre il suo impatto ritardato non è significativo. • NUMERO Un fattore che può evitare l’attribuzione del comportamento dissidente della minoranza a fattori personali idiosincratici e facilitare l’influenza, è costituito dalla presenza di molteplici fonti minoritarie concordi. Una minoranza composta da almeno 2 persone è più efficace di una minoranza composta da un solo individuo. Una minoranza di 3 persone ha un impatto maggiore rispetto a entrambe( tre sembrerebbe essere il “numero magico”, infatti minoranze di dimensione più ampia

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non ottengono un’influenza maggiore. Un tetto numerico per l’impatto minoritario esiste quando le minoranze non sono gruppi faccia- a- faccia ma movimenti sociali. Non è la dimensione della minoranza di per sé il fattore che ne determina l’influenza, quanto il rapporto numerico tra maggioranza e minoranza. Lortie-Lussier in una ricerca in Canada fecero leggere ad alcuni soggetti una rassegna stampa riguardante una manifestazione femminista avvenuta mesi prima. A seconda della condizione è stato detto a questi soggetti che i partecipanti alla manifestazione erano di 45 persone, di 200, di 2000. quelli di 200 hanno valutato in modo più favorevole quell’azione rispetto a quelli di 45. mentre non ci sno state differenze tra quelli di 200 e quelli di 2000. Secondo la teoria dell’impatto sociale, l’impatto di una fonte varierebbe in funzione della sua forza, della sua immediatezza e del numero di persone che ne fanno parte. Quando un soggetto è esposto all’influenza simultanea di 2 fonti di eguale forza, una maggioranza e una minoranza, la fonte maggioritaria prevarrebbe a causa della sua superiorità numerica. Un aumento della maggioranza provocherebbe una riduzione dell’impatto minoritario. I 2 modelli SIM e SIT non prevedono differenze significative tra impatto pubblico e impatto privato di una fonte e non chiariscono per quale motivo le fonti minoritarie ottengono risultati differenti rispetto a quelle maggioritarie. I 2 modelli non forniscono una spiegazione soddisfacente dell’influenza minoritaria latente, poiché questa non aumenta ma diminuisce con la crescita numerica della minoranza. • LEADER Il fattore che appare rafforzare l’influenza minoritaria è costituito dalla presenza nel gruppo di un leader. Per una minoranza, la sua presenza costituisce un forte vantaggio, un’arma in più per la sua azione. Papastamou 1985 in uno studio fece leggere a soggetti un documento attribuito a seconda della condizione, o a un leader oppure ad una minoranza unanime ma senza leader. L’impatto nella condizione del leader è stato considerevolmente più forte. CAPITOLO 3: SITUAZIONI, MESSAGGI E BERSAGLI 1. le circostanze Vengono definiti FATTORI SITUAZIONALI Gli elementi che non sono attribuibili né alle caratteristiche (durature o temporanee) delle persone implicate, né alla qualità della comunicazione che intercorre tra loro. 1. 1 il contesto umano e ambientale Le circostanze umane e ambientali in cui un messaggio viene ricevuto può influire sugli effetti che questo è in grado di produrre. La sola presenza di altre persone nel contesto riduce l’impatto di un messaggio anche se questi non esprimono né solidarietà né accordo con il bersaglio. Ad esempio la pubblicità televisiva con la presenza di altri ridimensiona la pressione del messaggio secondo Hansson e Jones, la presenza degli altri rafforza la voglia di esprimere ciò che si pensa e la sicurezza

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nelle proprie opinioni. Ma se gli altri diventano tanti, tutto questo non è alido. Secondo Freedman la presenza contemporanea di molte persone nello stesso luogo conduce ad un’intensificazione dei sentimenti e delle reazioni prevalenti nella situazione. Un ambiente rumoroso facilita il consenso tra i membri di un gruppo e rafforza la tendenza a rifiutare posizioni devianti. Secondo Kruglanski questo fenomeno è dovuto al desiderio di mettere fine alla situazione che l’ambiente poco gradevole o irritante provoca nel soggetto. Secondo Engly quando il rumore crea ostacoli alla comprensione del messaggio, diminuisce l’accettazione per la posizione espressa dalla fonte. C’è una maggiore resistenza alla persuasione in ambiente rumoroso. Se le persone dispongono di informazioni incomplete sul tema in questione si verifica un aumento della persuasione. Secondo Galizio e Hendrick l’impatto persuasivo della fonte aumenta quando l’ambiente è reso piacevole. 1. 2 il tempo La dimensione temporale può entrare in gioco tra i fattori situazionali da 2 punti di vista: 1. il momento storico in cui avviene il processo di influenza e il relativo SPIRITO DEL TEMPO 2. la fase evolutiva che il gruppo in cui avviene il processo d’influenza sta attraversando. MOMENTO STORICO Le opinioni e i valori cambiano e si trasformano nel tempo, quindi anche i processi d’influenza centrati sul cambiamento sono soggetti a mutamenti. E’ regola metodologica quella di effettuare una verifica costante, avvalendosi di indagini di sfondo e di pre- test, sullo stato generale del problema su cui le persone sono chiamate a dibattere. Un tema popolare e centrale in un periodo storico può apparire marginale ed essere meno coinvolgente in altri periodi. Il suo peso sociale relativo può cambiare e i risultati possono essere diversi. Anche in compiti di tipo percettivo, il momento storico può essere rilevante. Negli Stati uniti è stata utilizzata nei diversi tempi storici, la procedura standard di Asch rispetto all’andamento delle percentuali di conformità riscontrate. I risultati: negli anni ’50 quando la norma preme sull’omologazione si è visto un forte incremento dell’influenza maggioritaria. Mentre negli anni ’70 quando nelle università prevale la norma del radicalismo e della contestazione si è avuto un forte calo della conformità che però alla fine del decennio ha avuto un aumento perché all’attivismo politico è subentrato l’individualismo. O negli anni 80 si è avuto un nuovo calo quando prevale la norma dell’affermazione e del riconoscimento delle differenze. FASE EVOLUTIVA DEL GRUPPO Quando i processi di influenza si svolgono nel contesto di un gruppo, la fase che esso sta attraversando può favorire o ostacolare l’impatto della fonte e contribuire al successo di un tipo di fonte o di un altro. Nel corso del tempo un gruppo può cambiare bisogni e scopi ed essere più o meno

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disponibile a subire un determinato tipo di influenza. Quando un gruppo, nelle fasi iniziali del suo sviluppo, sta cercando di costruire una propria identità, necessita di coesione tra i membri. Non vi è spazio per minoranze dissidenti e prevale la conformità. Le ricerche di Worchel e colleghi hanno mostrato che, quando un gruppo è nelle fasi iniziali del suo sviluppo necessita di forte coesione tra i membri del gruppo. Solo dopo quando il gruppo sarà interessato al raggiungimento dei propri obiettivi e al suo interno cominceranno a emergere le singole individualità, le posizioni minoritarie potranno ottenere un forte impatto. Una posizione minoritaria può essere rifiutata dal gruppo anche in una fase avanzata: quando si deve prendere una decisione consensuale e la scadenza è prossima, le opinioni devianti sono viste come un impedimento allo svolgimento del compito e maggiore è la probabilità che vengano respinte. 1. 3 le procedure Una serie di fattori è connessa al metodo, alla procedura e alle tecniche approntate dal ricercatore per raccogliere i dati: • SITUAZIONI DI CO- PRESENZA Le fonti e i bersagli possono controllare le risposte reciproche. La co- presenza non comporta la possibilità di una libera interazione di gruppo. Essa dovrebbe comportare un maggiore impatto della fonte poiché rafforza l’influenza normativa. Se il soggetto ha espresso pubblicamente la sua opinione prima di essere esposto alla fonte, l’aumento della pressione normativa può essere controbilanciato dal desiderio di apparire indipendente. • SITUAZIONI DI NON- PRESENZA I soggetti sono esposti a opinioni argomentate, che vengono attribuite a persone o a gruppi che non sono fisicamente presenti. • Quando la fonte non è presente, le modalità di PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO diventano importanti. La fruizione di un messaggio audio o video è forzata nei tempi, in quanto viene scandita dall’esterno. La fruizione di un messaggio scritta è gestita dal soggetto in modo autonomo. Le trasmissioni audio e video offrono meno opportunità di riflettere sulle argomentazioni rilevanti per il problema e facilitano l’acquisizione dei fattori più semplici e legati al contesto. Il primo tipo di messaggi favorisce l’utilizzazione di EURISTICHE ( cioè l’utilizzo di scorciatoie cognitive) e una lettura superficiale dell’informazione (VIA PERIFERICA DELLA PERSUASIONE). Il Secondo tipo attiva un’elaborazione sistematica degli argomenti prodotti (VIA CENTRALE DELLA PERSUASIONE). ( Chaiker e Eagly 1976; Cacioppo e Petty 1986). • RIPETIZIONE Aspetto della presentazione che può provocare reazioni di tipi diverso. La ripetizione del messaggio non ne aumenta l’impatto. Una moderata ripetizione può aumentare la persuasività poiché permette di passare al vaglio le argomentazioni della fonte in modo obiettivo. Un’eccessiva ripetitività può provocare noia e rifiuto.( Petty e Cacioppo 1986)

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• COMPITO & STIMOLO Il tema su cui verte l’indagine e su cui i soggetti sono chiamati a esprimersi può avere diverso grado di verificabilità e facilitare l’impatto di un genere di fonte o di un altro. Alcuni tipi di stimoli ottengono risposte meno soggette a variazioni diacroniche e sincroniche. Le valutazioni di stimoli percettivi sono più consensuali e più stabili in quanto meno condizionate dallo spirito del tempo, di quelle riguardanti atteggiamenti e opinioni. (Personnaz e Persnnaz 1991). • Il TIPO DI RISPOSTA che la procedura richiede dal soggetto può avere un effetto rilevante. Nello studio dell’influenza sociale vengono utilizzate domande chiuse con risposte di tipo dicotomico(si/no – verde/blu ecc) ) o graduate( come adesempio la scala di giudizi di Likert) Le prime richiedono la scelta inequivocabile e senza sfumature tra 2 alternative. Le seconde permettono di esprimere l’intensità della propria preferenza. Un cambiamento rispetto a una risposta dicotomica è più importante e visibile di uno slittamento di qualche punto lungo una scala.(Moscovici 1985) 2. il messaggio Non sempre l’influenza viene esercitata per mezzo di un messaggio. L’impatto può essere provocato da un comportamento o da una mera esposizione alla fonte. Comunque spesso all’origine di un processo di influenza vi è un messaggio, cioè un’informazione che viene trasmessa a voce, per iscritto, o per altro mezzo dalla fonte al bersaglio. 2. 1 il contenuto Possiamo distinguere 3 aspetti del contenuto del messaggio: 1. il problema su cui verte il discorso, 2. la posizione che viene espressa, 3. le argomentazioni che vengono portate dalla fonte a sostegno della sua posizione. Queste non sono sempre presenti in un messaggio; la fonte si limita a esprimere la sua posizione senza argomentazioni o è difficile portare argomentazioni a sostegno della propria valutazione. Un PROBLEMA importante o coinvolgente per il soggetto provoca una più attenta riflessione e, se la posizione della fonte è valida, anche una maggiore persuasione( Petty e Cacioppo 1986 – Olson e Zanna 1993). Alcuni ricercatori hanno proposto una distinzione tra: • coinvolgimento dovuto alle conseguenze che il tema potrà avere per chi ascolta out come-relevant) • coinvolgimento dovuto all’importanza per il soggetto dei valori che il problema investe value-relevant(questo tipo di coinvolgimento riduce la persuasione poiché motiva i soggetti a difendere le loro posizioni iniziali). • coinvolgimento dovuto al desiderio di esprimere opinioni che vengano valutate

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positivamente impression-relevant (questo tipo di coinvolgimento produce una moderata ma significativa diminuzione dell’impatto indipendentemente dalla qualità degli argomenti addotti) Johnson e Eagly 1989 Quando la fonte è una minoranza si è riscontrato che, rispetto a un problema che li riguarda direttamente, i soggetti sono inclini a produrre pensieri divergenti Trost 1992- Volpato 1990. La POSIZIONE della fonte può variare qualitativamente per diversi aspetti: può essere più o meno condivisa a livello sociale(popolare versus popolare), può essere simile o contraria a quella iniziale del bersaglio( attitudinale versus contro-attitudinale), può essere più o meno estrema( moderata versus polarizzata), e più o meno consueta(convenzionale versus originale). I fattori citati possono influire in vario modo sull’esito del processo e condizionarlo a seconda del tipo di fonte. Secondo la TEORIA ASSIlMILAZIONE- CONTRASTO le persone valutano la posizione espressa dalla fonte confrontandola con la propria idea iniziale: se la discrepanza è forte la posizione della fonte viene contrastata e rifiutata, se la discrepanza non è eccessiva si attiva un processo di assimilazione e la posizione della fonte sarà accolta( Sherif e Hovland 1961). Attualmente (Mucchi Faina 1991 e 94) si pensa che gli effetti di questi fattori siano più articolati e complessi e che possano essere diversi a secondo del tipo di fonte. Può succedere che una forte discrepanza porti ad un avvicinamento invece che al rifiuto e che un messaggio nuovo e originale emesso da una fonte minoritaria, sviluppi idee originali. Rispetto alle ARGOMENTAZIONI addotte dalla fonte a sostegno della sua posizione, una distinzione di carattere generale accettata è quella introdotta da Petty e Cacippo 1986 tra messaggi forti, deboli e misti. • MESSAGGIO FORTE E’ quello le cui argomentazioni suscitano nel bersaglio pensieri favorevoli • MESSAGGIO DEBOLE E’ quello le cui argomentazioni suscitano nel bersaglio pensieri sfavorevoli • MESSAGGIO MISTO E’ quello le cui argomentazioni provocano nel bersaglio pensieri di entrambi i tipi. E’ il messaggio forte ad avere il maggiore impatto persuasivo. L’importanza della qualità argomentativi diminuisce quando i soggetti sono demotivati o incapaci di elaborare il messaggio della fonte. Un messaggio può essere più o meno chiaro per chi ascolta. La CHIAREZZA non è legata al contenuto della comunicazione. La mancanza di chiarezza non ha sempre un effetto negativo: quando favorisce un’attribuzione di competenza alla fonte, o quando sollecita uno sforzo cognitivo da parte del bersaglio, favorisce la persuasione. Nella definizione di Nisbett e Ross Un’informazione è vivida quando è: • Emozionalmente interessante,

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• Concreta e capace di suscitare immagini, • Vicina dal punto di vista sensoriale, temporale e spaziale Tuttavia la ricerca ha riscontrato un debole effetto persuasivo dei messaggi vividi(Taylor e Thompson 1982) e addirittura Frey e Eagly 1993 dicono che in certi casi è anche minore di quello attivato da messaggi pallidi come se tutte queste colorazioni creino interferenze alla completa recezione o l’elaborazione sistematica dei contenuti e riducono di conseguenza la forza persuasiva L’uso dei MESSAGGI CHE SUSCITANO PAURA è frequente nelle campagne pubblicitarie, in quelle elettorali e in quelle volte a impedire comportamenti dannosi alla salute e al vivere civile. Si pensa che il ricevente, quando viene impaurito da un messaggio, può essere più facilmente persuaso. La posizione teorica che attualmente prevale è centrata sulla motivazione a proteggersi (Protection Motivation Theory) Rogers 1983. La paura induce una motivazione a proteggere se stessi. Un messaggio minaccioso può essere efficace se riesce a far pensare al bersaglio che: • Il problema è serio, • Lo può riguardare direttamente, • Le raccomandazioni fornite permettono di far fronte al problema, • E’ personalmente in grado di seguire tali raccomandazioni. Un messaggio è analizzato con attenzione quando contiene informazioni che possono rassicurare il soggetto. Quando la paura è superata e il messaggio potrebbe riattivarla, l’elaborazione da parte dei soggetti è più superficiale( Gleicher e Petty 1992). Tuttavia, quando un messaggio contiene una minaccia intensa, immediata e che coinvolge il bersaglio, la paura favorisce un’elaborazione accurata( Baron 1994) 2. 2 la struttura e lo stile PERSUASIONE BANALE ( trivial persuasion) Bell e Loftus 1989 Gli aspetti formali di un messaggio vengono considerati meno importanti del suo contenuto. Dettagli insignificanti possono essere determinanti per il successo (o l’insuccesso) di una comunicazione persuasiva. Argomenti unilaterali e argomenti bilaterali-Un messaggio persuasivo si basa su argomentazioni a favore della posizione espressa (unilaterali), ignorando le possibili argomentazioni contro ciò che si sostiene. Ricordare le obiezioni possibili diminuisce l’impatto del messaggio. A volte, quando l’esistenza di posizioni avverse è nota e quando tali posizioni sono condivise dal bersaglio, è opportuno presentare il messaggio in forma bilaterale, esponendo argomentazioni contrarie al proprio punto di vista. Tale tecnica permette di rafforzare la resistenza del soggetto a successivi tentativi di fargli cambiare idea( McGuire 1964;19859 ) Recentemente ( Allen 1991) L’impatto di un messaggio bilaterale è più forte rispetto a quello di un messaggio unilaterale quando gli argomenti contrari vengono confutati. Un messaggio unilaterale è più persuasivo di uno bilaterale senza confutazione. E’

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opportuno che gli argomenti contrastanti con la propria tesi vengano presentati dalla fonte PRIMA di quelli a favore. Numero degli argomenti-Aumentare la quantità di argomenti addotti accresce la salienza e facilita il ricordo di un messaggio, ma non sempre lo rende persuasivo(McGuire 1985). Due esperimenti di Petty e Cacioppo hanno messo in luce che un aumento del numero di argomenti che la fonte adduce a sostegno della sua posizione provoca un maggior effetto quando i soggetti sono poco coinvolti nel problema. Quando il tema è di forte rilevanza per le persone, un aumento degli argomenti produce una maggiore persuasione se sono forti, ma una diminuzione dell’impatto persuasivo del messaggio se gli argomenti addotti sono deboli. Quando aumentano la rilevanza personale e la riflessione dei soggetti, la qualità degli argomenti proposti diventa più importante della loro qualità. Ordine di presentazione-Esporre un argomento all’inizio o alla fine di un discorso, o prima o dopo un altro argomento, o illustrare gli aspetti positivi di una posizione prima o dopo aver ricordato quelli negativi, sono i problemi legati alle presentazione di un messaggio. Gli effetti relativi all’ordine di presentazione che sono emersi sono due: 1. EFFETTO PRIMACY, per il quale è l’informazione ricevuta per prima ad avere piùimpatto, 2. EFFETTO RECENCY, per il quale è l’ultima informazione a ottenere l’influenza maggiore. L’effetto PRIMACY sembra essere più forte. La possibilità che in una situazione si verifichi l’uno o l’altro di questi fenomeni o si producano effetti diversi dovuti all’ordine di presentazione, dipende dalla presenza o assenza di altri fattori che possono interagire e mediare un dato effetto. Se tra l’esposizione del primo argomento e l’esposizione di quelli successivi c’è un intervallo di tempo breve sarà favorito l’effetto primacy. Se tra un argomento e l’altro si verificano interruzioni o trascorre un intervallo temporale maggiore, è l’argomento finale a ottenere il maggiore impatto( McGuire 1985). Forma retorica versus forma affermativa-Il ricorso a domande retoriche per intensificare l’impatto di un’affermazione è un espediente usato nei messaggi pubblicitari. ZILMANN in uno studio fece ascoltare a dei soggetti, un’arringa di un difensore di un presunto assassino. Ad una arte di soggetti venne fatta ascoltare una frma affermativa : “Johon era un ragazzo tranquillo”; ad altri sggetti venne fatta ascoltare una parte retorica: “ nn è frse vero che Jhon era un ragazz tranquill?” zilmann teorizzò, dai risultati,che, poiché si fa uso di domande retoriche a proposito di argomentazioni forti, le persone sono abituate ad associare tale forma grammaticale ad argomenti convincenti e il loro atteggiamento verso un messaggio di questo tipo è favorevole.

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PETTY, CACIOPPO & HEESACKER La forma retorica produce nei soggetti risposte estreme: maggior influenza quando il messaggio è basato su argomenti forti, minor impatto dei messaggi basati su argomenti deboli. Ciò si verifica quando i soggetti sono poco coinvolti sul tema in questione. Quando il tema ha una forte rilevanza per le persone, è la forma affermativa a produrre l’effetto più estremizzato. L’uso di domande retoriche aumenta l’elaborazione del messaggio da parte di quei soggetti che non sono all’inizio motivati a impegnarsi e ostacola la riflessione dei soggetti interessati all’argomento. La posizione che la domanda retorica occupa all’interno del messaggio può favorire o inibire l’elaborazione del messaggio. La forma con cui un messaggio viene formulato può consentire ai soggetti di trarre inferenze sulle caratteristiche dell’emittente e produrre effetti di tipo indiretto. L’uso di domande retoriche può far apparire la fonte educata ma meno sicura di sé. Il ricorso alle forme retoriche può favorire o inibire la persuasione a seconda che, nella specifica situazione, attivi un’immagine favorevole o sfavorevole della fonte e del suo messaggio. Stile dell’eloquio-Quando la comunicazione viene espressa oralmente dalla fonte, entrano in gioco fattori che favoriscono o ostacolano la persuasione, potendo attivare un processo di inferenza. Ci si riferisce ad aspetti stilistici collegati alla presentazione del messaggio. Va ricordata l’importanza, nelle situazioni in cui la fonte è visibile dal bersaglio, della COMUNICAZIONE NON VERBALE: postura, gesti, espressioni facciali possono suscitare simpatia o antipatia, trasmettere un’impressione di sicurezza o di incertezza, indurre chi ascolta a credere o a dubitare di ciò che viene detto( Ricci Bitti e Zani 1983; Burgoon 1990). Anche quando la fonte è solo udibile, il modo di presentare il discorso può facilitare l’attribuzione di caratteristiche alla fonte e influire sull’impatto del messaggio. Una distinzione di carattere generale è quella tra stile discorsivo potente o assertivo e stile non potente.( Erikson 1978) Tra i fattori che rendono poco potente uno stile vi sono: • L’uso di vocalizzi ( uhm, ehm). • Segnali vocali che indicano incertezza( come dire, diciamo così). • Il ricordo frequente del condizionale(si potrebbe pensare, vorrei dire) • Ridondante uso di formule di educazione(mi scuso, non vorrei apparire importuno) • Lessico eccessivamente forbito. Queste caratteristiche sono meno frequenti quando la fonte si avvale di uno stile discorsivo potente. Tutte le forme espressive che diminuiscono la potenza dello stile discorsivo tendono a diminuire l’impatto del messaggio(Erikson 1978). Le eccezioni:Una donna meno assertiva però ottiene un’influenza maggiore con l’uomo ed anche in campo scientifico si ottiene maggior credito con uno stile più prudente usando il condizionale e non affermazioni categoriche.

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La VELOCITA’ dell’eloquio può condizionare l’impatto di un messaggio. Un’esposizione rapida produce un aumento della persuasione( Miller 1976) La velocità aumenta l’accordo con i messaggi controattitudinali, poiché impedisce la formulazione di pensieri sfavorevoli alla fonte e diminuisce l’accordo con i messaggi pro- attitudinali in quanto ostacola la formulazione di pensieri favorevoli( Smith e Shaffer 1991). 3. dalla parte del bersaglio Molti aspetti che caratterizzano il bersaglio non sono dovuti a sue scelte personali. Esistono delle tecniche che consentono di indurre dall’esterno stati d’animo e sensazioni nei soggetti. L’esito di un processo d’influenza mantiene un margine di imprevedibilità perché sono i comportamenti, le emozioni e i modi di pensare individuali a non essere mai prevedibili. 3. 1 differenze anagrafiche, sociali e culturali ETA’ La ricerca sull’argomento si è interessata a 2 temi: 1. il rapporto tra età e conformità al gruppo dei coetanei nel periodo dello sviluppo, 2. il cambiamento degli atteggiamenti durante l’età adulta E’ durante la prima adolescenza (12-14 anni), quando il gruppo dei pari diventa un punto di riferimento, che la conformità si manifesta in maggior grado( Costanzo e Shaw 1966; Berndt 1979; O’Brien e Bierman 1988). Il rapporto tra conformità e fase evolutiva è di tipo curvilineare: la tendenza alla conformità cresce dai 7-9 anni agli 11-13, per poi decrescere fino all’inizio dell’età adulta( Hartup 1970; Berndt 1979; Steinberg e Silverberg 1986). Tuttavia alcuni studi nn hanno confermato questo tipo di rapporto individuand invece una diminuzione progressiva della conformità con l’età(Hoving 1969; Allen e Newtson 1972). Per quanto riguarda il rapporto tra età e cambiamento di atteggiamenti sono stati individuati 5 modelli riguardanti la stabilità degli atteggiamenti nelle diverse età( Alwin 1991): 1. il MODELLO DELLA PERSISTENZA, per il quale gli atteggiamenti, nell’età adulta, tendono a non cambiare, 2. il MODELLO DELLA CRESCENTE PERSISTENZA, per il quale le persone diventano più resistenti al cambiamento nel corso della loro vita, 3. il MODELLO DELL’APERTURA DI TUTTA LA VITA, che sostiene che gli individui per tutta la loro vita sono aperti al cambiamento di atteggiamento, 4. il MODELLO DEGLI ANNI IMPRESSIONABILI, che sostiene che l’apertura esiste solo nei giovani, 5. il MODELLO DI CAMBIAMENTI PER FASI DI VITA, secondo il quale l’apertura al cambiamento è maggiore nella giovinezza e nella vecchiaia, mentre è minore nell’età media.

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In un lavoro successivo ( Tyler e Schuller 1991) partendo dalla considerazione che esiste una differenza tra capacità di cambiare e opportunità di cambiare; che la minore stabilità degli atteggiamenti giovanili può essere interpretata in termini psicologici ma anche in rapporto allo stile di vita; che in risposta ad appropriate esperienze personali, gli atteggiamenti degli individui sono suscettibili in ugual misura di cambiamento nel corso dell’intero ciclo di vita…per verificare queste ipotesi hanno analizzato i dati provenienti da due studi sugli atteggiamenti degli individui nei confronti del governo. Dai risultati è emerso che non è il dato anagrafico in sé a provocare una maggiore o minore flessibilità dei soggetti, ma lo stile di vita che, a seconda dell’età, sono indotti a fare. SESSO negli anni ’80, sebbene le differenze significative tra i sessi fossero quasi sempre nel senso di una maggiore influenzabilità femminile, come si affermava negli anni ‘70, la discrepanza non aveva una dimensione rilevante ( Maccoby e Jacklin 1974; Eagly 1978; Eagly e Carli 1981; McGuire 1985) Vari studi hanno analizzato la resistenza all’influenza rispetto al genere: Becker 1986; Eagly e Carli 1981 gli uomini sono più resistenti alla conformità che alla persuasione; Laresen 1974 una maggiore conformità nelle donne; Larsen 1979 quando la maggioranza aveva uno status superioe a quello dei soggetti ottenne il risultato opposto; nel campo dell’influenza minoritaria non sono stati rilevate differenze rispetto all’influenza diretta. In generale, un bersaglio resiste maggiormente al tentativo di influenza di una fonte del suo stesso sesso che a quello di una fonte dell’altro sesso( Carli 1989) Se la fonte è una donna, il suo stile discorsivo influenza in modo opposto i soggetti di sesso maschile e di sesso femminile. Lo stile di una fonte maschile invece non sembra incidere sull’impatto del messaggio(Carli 1990) PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE AI RUOLI DI GENERE Fa parte del ruolo di genere maschile, i cui attributi sono legati all’azione e alla forza, essere indipendente e assertivo. Il ruolo di genere femminile, connesso con l’espressività e la cura, richiede di andare d’accordo e di essere disponibili con gli altri( Eagly 1987) Conformità e indipendenza assumono significati diversi a seconda del ruolo di genere a cui si fa riferimento essendo la conformità coerente con il ruolo femminile e l’indipendenza con il ruolo maschile. La differenza tra gli studi sulla persuasione e quelli sulla conformità risiede nel fatto che, nei primi i soggetti rispondono privatamente a un questionario e non sono sotto la sorveglianza della fonte né di nessun altro. Nei secondi le persone in genere esprimono la propria posizione in pubblico e sono più preoccupate per la loro autopresentazione e sono incoraggiate dalla situazione ad assumere comportamenti coerenti con il ruolo di genere( Eagly 1981; Eagly e Chravala 1986) Secondo un’altra spiegazione, in molti studi esistono artefatti metodologici che distorcono i risultati producendo una maggiore conformità delle donne. Lo stimolo su cui si basa l’esperimento verte su un argomento rispetto al quale gli uomini sono più

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esperti e interessati delle donne. Poiché la scarsa competenza e lo scarso interesse portano a una maggiore vulnerabilità all’influenza, le donne risultano più persuadibili( Allen 1965; Endler 1975). Altro fattore che appare importante nel determinare le differenze tra i sessi rispetto all’influenza è costituito dal SESSO DI CHI EFFETTUA LA RICERCA. EAGLY & CARLI Hanno constatato che, mentre negli studi condotti da uomini i soggetti di sesso femminile sono più influenzati dei soggetti di sesso maschile, negli studi condotti da donne i 2 sessi risultano ugualmente influenzabili. Questo fenomeno potrebbe essere dovuto o alle diverse scelte procedurali e tematiche che i ricercatori dei 2 sessi effettuano, o al fatto che le donne riportano i risultati nulli, quando ne riscontrano, poiché tengono a smentire gli stereotipi tradizionali. ETNIA il fenomeno che è stato più approfondito è la conformità. Una delle prime ricerche su questo tema le ha fatte Milgram 1961. nei suoi esperimenti, tra studenti francesi e norvegesi, confrontò, attraverso una tecnica di discriminazione uditiva,la loro tendenza alla conformità che risultò maggiore nei norvegesi e se la spiegò in rapporto al loro diverso grado di coesione sociale: i norvegesi per la loro storia tendono ad identificarsi con il loro gruppo mentre i francesi, sempre per la loro storia, avrebbero una abitudine al dissenso. Frager 1970 riscontrò un livello più basso di conformità tra i giapponesi rispetto agli americani. Perin e Spenser 1981 quasi totale assenza della conformità degli inglesi. Nicholson 1985 nessuna effetto dovuto alla differenza culturale tra studenti inglesi e americani. In conclusione, le ricerche effettuate nelle società complesse non hanno fornito risultati coerenti e non è possibile stabilire con certezza in che misura la compiacenza alla pressione sociale sia un fenomeno culturalmente determinato anche se studi sulla conformità dei bambini aprono nuove strade ( Shouval 1975). Per quanto riguarda le società tradizionali, i processi di socializzazione si differenziano in rapporto al tipo di economia di sussistenza. Barry 1957 confrontando società ad alta, media e bassa accumulazione del cibo, si era constato che nelle società ad alta accumulazione, l’adesione alla consuetudine e all’obbedienza all’autorità erano considerate tra i valori sociali prevalenti. Nelle società a bassa accumulazione del cibo, veniva incoraggiata la tendenza a contare su se stessi e ad essere indipendenti. Sempre Barry 1979 attraverso una modificazione dell’esperimento di Asch ebbe come risultati la conferma della sua ipotesi sulle società tradizionali. Infatti in questo nuovo esperimento risultò che le società ad alta densità di popolazione basate su una struttura familiare allargata il livell di conformità è più alto di quelle di nomadi/cacciatori. Moscovici 1985 afferma che le ricerche nel campo dell’influenza sociale nelle differenze etniche sono state scarse anche se si tratta di un’area interessante. .

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3. 2 differenze transitorie provocate dalla situazione Ci si riferisce a modi di essere o di sentire che non sono disposizioni durevoli, ma che vengono indotti dal ricercatore prima, durante o dopo che il soggetto venga esposto al messaggio della fonte. L’ipotesi che giustifica tale procedura è che questi stati modifichino le reazioni al processo d’influenza. INDUZIONE DI STATI D’ANIMO E DI ARTICOLARI CATEGORIE COGNITIVE: Uno dei modi per produrre cambiamenti nel mood (stato d’animo) di un soggetto consiste nel modificare il suo livello di autostima per mezzo di un falso feedback. Seguendo questa tecnica le persone, prima di effettuare l’esperimento, vengono sottoposte a delle prove, vengono forniti risultati fittizi di tali prove in modo da alterare in senso positivo o negativo l’umore dei soggetti. Altro modo per indurre nei soggetti un mood positivo consiste nel far loro ascoltare, vedere o ricordare qualche cosa o persona che non abbia alcun collegamento con il tema su cui verte il messaggio, ma che risulti gradevole. Le persone in uno stato d’animo positivo tendono a utilizzare le euristiche e a elaborare in modo generico le informazioni che ricevono, rispetto alle persone il cui stato d’animo è neutro ( Mackie e Worth 1989; B less 1990) o negativo(Kuykendall e Keating 1990; Bohner 1994; Bless 1992). I soggetti in mood positivo sono influenzati nel loro giudizio da caratteristiche periferiche come ad esempio le competenze dell’emittente(Worth e Mackie1987). PETTY, GLAICHER & BAKER 1991 Sostengono che gli stati affettivi possono modificare in vario modo il processo di persuasione. Nelle condizioni in cui la probabilità di elaborazione del messaggio è scarsa, gli stati affettivi servono come segnali periferici e gli atteggiamenti si spostano in sintonia con tali stati. Nelle condizioni di moderata elaborazione del messaggio, uno stato positivo produce una diminuzione dell’elaborazione cognitiva. Quando le condizioni favoriscono un’attenta elaborazione è favorita la produzione e l’elaborazione di pensieri congruenti con il proprio stato d’animo. Quindi una persona che si trova in un mood positivo, volgerà in senso positivo i suoi pensieri sul tema. Una persona che si trova in un mood negativo produrrà pensieri di segno negativo. Un mood positivo produce atteggiamenti più favorevoli nelle condizioni di bassa e alta elaborazione. Il mood influenza la produzione di pensieri favorevoli, solo in condizioni di alta elaborazione. PRIMING Procedura che permette di aumentare temporaneamente l’accessibilità in memoria di alcune categorie o costrutti. Il termine accessibilità coniato da BRUNER 1957, fa riferimento alla rapidità con cui le conoscenze acquisite da una persona possono essere da essa utilizzate( Higgins 1989). Avvalendosi della manipolazione priming è possibile creare delle differenze individuali tra i soggetti rispetto all’accessibilità di una categoria. Higgins in un esperimento molto famoso prima utilizzava la manipolazione priming presentando una lista positiva o negativa di tratti di personalità e poi in un altro compito apparentemente scollegato faceva leggere la descrizione ambigua di una persona( quindi che poteva essere interpretata in vari

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modi) e i soggetti dovevano esprimere cosa ne pensavano. Le impressioni dei soggetti furono coerenti con la natura dei tratti attivati precedentemente. L’effetto priming può essere ottenuto in modo passivo, cioè senza che il soggetto ne sia consapevole. Questa procedura è stata utilizzata per studiare in che modo e su che basi si costruiscono e possono essere modificati i giudizi e le impressioni che le persone si fanno rispetto a differenti stimoli sociali. PREAVVISO Negli studi sulla persuasione Petty e Cacioppo 1986 si distinsero 2 tipi di preavviso: 1. quello che il bersaglio riceve riguardo agli intenti persuasivi della fonte, 2. quello circa i contenuti del messaggio. Il primo tipo di preavviso produce una riduzione dell’influenza perché diminuisce l’affidabilità della fonte. Il secondo tipo è quello con il quale i bersagli vengono a sapere che un messaggio è imminente e quale ne potrà essere il contenuto. Anche questo tipo di preavviso aumenta la resistenza alla persuasione. Ciò accade quando i soggetti, esposti a un messaggio contro- attitudinale, sono coinvolti nel problema in questione e non sono distratti da altri compiti(Chen 1992) Questa diminuzione dell’impatto è dovuta al fatto che i soggetti preavvertiti rafforzano le loro resistenze, potendo usufruire del tempo che precede la loro esposizione al messaggio per preparare le proprie argomentazioni e contro- argomentazioni. Vi sono situazioni in cui il preavviso può rendere i soggetti più suscettibili all’influenza e far loro produrre argomentazioni in favore del messaggio anche quando questo è contrario al proprio modo di pensare. McGuire 1985 Questo cambiamento anticipato d’atteggiamento è dovuto al fatto che i soggetti, aspettandosi di essere influenzati, si sforzano di proteggere la propria immagine e di mantenere un buon livello di autostima, cercando di non mostrarsi influenzabili. Effettuano uno spostamento in direzione del messaggio previsto, in modo che la posizione della fonte appaia come già condivisa o non troppo lontana. INTERFERENZE NELLE MODALITA’ DI RICEZIONE: Un modo per modificare, tramite la situazione, le caratteristiche dei soggetti è quella di alterare le loro modalità di ricezione provocandone la distrazione dal compito principale o dirigendone in modo selettivo l’attenzione. Allyn e Festinger 1961; Festinger e Maccoby 1964Quando ai soggetti veniva impedito di prestare la dovuta attenzione a un messaggio contro attitudinale aumentava il loro grado di accordo. La distrazione inibiva le capacità delle persone di ribattere con proprie argomentazioni al contenuto della comunicazione. I risultati successivi confermano sia i risultati che l’interpretazione. Petty 1976 Se un soggetto che non veniva distratto, formulava pensieri sfavorevoli, la distrazione avrebbe interrotto tali pensieri portando a un aumento dell’accordo. Se i pensieri di un soggetto non distratto erano favorevoli, la distrazione avrebbe interrotto questi pensieri e condotto a una diminuzione dell’accordo.

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La distrazione crea ostacoli a un’elaborazione obiettiva del messaggio, interrompendo i pensieri che questo avrebbe suscitato se i soggetti non fossero stati distratti. La distrazione costituisce un ostacolo per le persone che sono capaci e desiderose di effettuare un’accurata elaborazione della comunicazione e produce scarsi effetti su chi è poco abile o poco motivato( Petty e Cacioppo 1986). Mackie e Asuncion 1990Distrarre un soggetto durante l’esposizione al messaggio, affidandogli un compito diverso da quello di esprimere il proprio giudizio sull’argomento favorisce un cambiamento d’atteggiamento basato sulla memoria e una corrispondenza tra ricordo e atteggiamento. Quando il messaggio è elaborato durante l’esposizione non esiste la stessa corrispondenza tra ricordo e atteggiamento. Tesser e Shaffer 1990 hanno ottenuto risultati contrastanti. Altri studi di laboratorio che hanno studiato i processi online hanno constatato che nella vita quotidiana le nostre scelte e i nostri comportamenti più banali sono guidati da informazioni raccolte al volo e non da un’elaborazione coscienziosa dei messaggi pubblicitari a cui siamo esposti( Mackie e Assuncion 1990). E’ possibile distrarre i soggetti dal messaggio e fare in modo che distribuiscano la loro attenzione in modo selettivo. Rendendo vividi e accentuando la salienza di alcuni segnali, o utilizzando modalità di presentazione, si può indurre il bersaglio a concentrarsi su uno o più aspetti della situazione o del problema a scapito degli altri. Modifiche delle condizioni fisiologiche o somatiche EFFETTO PLACEBO Cambiamento che riguarda gli stati fisiologici che può non essere realmente indotto, ma solo fatto credere al soggetto con lo scopo di studiarne le possibili reazioni psicologiche in assenza di corrispondenti alterazioni fisiche. Moscovici e Doms DEPRIVAZIONE SENSORIALE Condizione che provoca una diminuzione delle resistenze nei confronti della fonte facilitando il processo d’influenza diretta. ZAJONC & MARKUS Hanno sostenuto la necessità di approfondire il ruolo svolto dal sistema motorio del bersaglio nei processi di persuasione. Tra gli aspetti presi in considerazione vi sono la postura del corpo, le espressioni del viso e il movimento della testa. Più recentemente, si è sviluppato un filone di ricerca tendente ad approfondire gli aspetti basilari come conseguenze dei messaggi persuasivi e come fattori che possono influenzare gli atteggiamenti di una persona. Cme avevano sostenuto, Zajonc e Markus 1982, manipolazioni somatiche collaterali possono avere ripercussioni sugli atteggiamenti.

3.3 differenze e disposizioni individuali conoscenze e atteggiamenti precedenti l’esposizione. Ciò che una persona sa e pensa circa l’oggetto o il problema in questione può aumentare e ridurre l’impatto di una fonte. Taylor e Fiske 1984Possedere un sistema organizzato di conoscenze (SCHEMA)

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rispetto a un argomento modifica il modo di elaborare un messaggio persuasivo riguardante quel tema e la capacità di resistere all’influenza. Le persone tendono a elaborare le informazioni in ingresso in modo da confermare l’appropriatezza dello schema che le guida. Cacioppo 1982Questo avviene anche rispetto a messaggi persuasivi: i soggetti esposti a messaggi pr-attitudinali con schema congruente al loro sono risultati più convinti e favorevoli di quelli con schema diverso. Wood 1985 a messaggi contro-attitudinali più si hanno conoscenze precedenti sul problema e più è la capacità di resisteree ribattere ai tentativi di influenza. Allen 1985 A una competenza oggettiva su un argomento si accompagna una maggiore sicurezza rispetto al compito specifico, anche se non è sempre vero il contrario: una persona può essere sicura di sé senza giustificazioni oggettive. Wu e Shaffer 1987 L’atteggiamento che un soggetto ha prima di essere esposto all’influenza può modificare in modo rilevante l’esito del processo. La resistenza al cambiamento è maggiore se tali atteggiamenti si sono formati sulla base di un’esperienza diretta. Pierce 1987 la novità del nome new Coke al posto di Coke fu rifiutato maggiormente proprio dai bevitori della bibita. Si è inclini a pensare che i messaggi che sono in sintonia con gli atteggiamenti delle persone ottengano da esse il maggiore consenso. E’ vero ma non sempre: quando un individuo ha l’impressione di essere forzato a tenere una determinata posizione può reagire spostandosi nella direzione opposta a quella della fonte anche se è d’accordo con essa. Mucchi Faina 1991 Il bersaglio, se teme che la prossimità della fonte possa creargli problemi di identità o di immagine, tenderà a prenderne le distanze con le sue risposte. La FORZA di un atteggiamento può variare in rapporto a 10 dimensioni: 1. ESTREMITA’, 2. INTENSITA’, 3. CERTEZZA, 4. IMPORTANZA, 5. INTERESSE, 6. CONOSCENZA, 7. ACCESSIBILITA’, 8. ESPERIENZA DIRETTA, 9. AMPIEZZA DEL RIFIUTO E DEL DISIMPEGNO, 10.COERENZA AFFETTIVO- COGNITIVA Rilevando che, sebbene non vengono quasi mai considerate in modo separato, solo alcune tra loro sono correlate ( Krosnick 1993) Nell’area dell’influenza, ciò comporta rivolgere l’attenzione a queste dimensioni degli atteggiamenti iniziali per comprendere come e quando possono modificare l’impatto della fonte e del suo messaggio ( Krosnick 1993). Influenzabilità e suggestionabilità.

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Rhodes e Wood 1992E’ stata rilevata negli ultimi anni, l’esistenza di un rapporto curvilineare tra autostima e influenzabilità: le persone con alta o bassa autostima sono meno influenzabili di quelle che possiedono un livello medio di autostima. Questo fenomeno è dovuto al fatto che un’alta autostima facilita una migliore ricezione del messaggio e frena la conformità, mentre una bassa autostima produce l’effetto opposto. Il livello di autostima incide sull’influenzabilità degli adulti ma non su quella dei bambini. Le persone a bassa intelligenza sono più influenzabili di quelle ad alta intelligenza. Larsen 1979Una serie di tratti individuali del bersaglio possono modificare il processo di influenza e attutire/rinforzare l’impatto della fonte. Coloro che pensano di poter controllare i risultati che ottengono tendono a cedere meno alla pressione del gruppo rispetto a coloro che attribuiscono tali risultati a fattori esterni quali la fortuna, il caso o il fato. Cacioppo 1986 Gli individui con un forte BISOGNO COGNITIVO, cioè quelli a cui piace impegnarsi nella riflessione, tendono a elaborare i messaggi a cui sono esposti in modo sistematico e centrale rispetto a coloro che, avendo un debole bisogno cognitivo, non amano riflettere. Sorrentino e Hancock 1987Le persone orientate verso la ricerca del nuovo e dell’imprevisto sono più suscettibili d’influenza minoritaria rispetto a quelle orientate verso ciò che è familiare e prevedibile. Maslach 1987chi ha un forte desiderio di INDIVIDUAZIONE cioè di mettere in atto comportamenti che lo differenziano dagli altri, è meno suscettibile alla pressione sociale e fornisce soluzioni e risposte più originali e creative rispetto a chi non sente questo desiderio. 3. 4 predisposizioni ereditarie a subire l’influenza? McGuire 1985 fino a pochi anni fa Molti studiosi pensano che gli atteggiamenti si sviluppano attraverso l’esperienza. L’ipotesi che i caratteri genetici potessero entrare in gioco non è stata presa in considerazione dagli psicologi sociali. In anni recenti, gli studi sui gemelli, hanno messo in luce che negli atteggiamenti ci può essere una componente genetica. Perry 1975 il fattore ereditario inciderebbe sul consumo di alcool… Martin 1986; Tesser 1993; Eaves 1989 incidenza del fattore ereditario rispetto alla pena di morte e al trattamento dei criminali. Arvey 1989 incidenza ereditaria sugli atteggiamenti rispetto alla propria vita lavorativa. Il consumo di tabacco e caffeina e nel confronto del socialismo sarebbero invece influenzati dall’ambiente. TESSER 1993 Afferma che, sebbene l’ambiente rimane il fattore più importante nella formazione sul degli atteggiamenti, esiste un contributo non insignificante dell’ereditarietà. Ha formulato l’ipotesi che gli atteggiamenti ad alta ereditarietà, essendo non condizionati dalla situazione, sono meno influenzabili dalla pressione

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sociale. La conformità delle persone rispetto ad atteggiamenti a bassa ereditarietà avrebbe dovuto essere più forte di quella rilevabile in merito ad atteggiamenti ad alta ereditarietà. Quindi Tesser utilizzando item tratti dalla scala W-P ha confermato l’ipotesi con risultati significativi solo riguardo agli item più estremi ( i 4 a maggiore e i 4 a minore ereditarietà). Olson e Zanna 1993 aspetti problematici rispetto al “relativismo” del coefficiente di ereditarietà. CAPITOLO 4: PROCESSI INTERATTIVI E DIFFUSI

1. influenza interattiva e reciproca

Nelle situazioni che consentono alle persone di interagire, il processo di influenza a più direzioni è la norma. Quando un gruppo è impegnato in un compito, è facile che il risultato collettivo scaturisca da un gioco di reciproche influenze. Il ruolo dell’influenza interattiva è stato approfondito in 2 campi: 1. GIUDIZI E PRESE DI DECISIONE, 2. CREATIVITA’ E SOLUZIONE DI PROBLEMI. 1. 1 giudizi e decisioni collettive MUZAFER SHERIF 1936 fu il primo ad effettuare una ricerca tesa a cogliere l’influenza come processo d’interazione complementare tra le persone. Nel suo esperimento del punto luminoso fermo, ma che sembrava muoversi, notò che le persone riunite in gruppo tendevano ad accordarsi sulle valutazione diverse date da ognuno in precedenza. Questo gioco delle reciproche influenze aveva spinto il gruppo a formulare una NUOVA NORMA: Criterio di giudizio comune, scaturito dall’interazione. Questo fenomeno venne definito NORMALIZZAZIONE: fenomeno, tipico delle situazioni in cui non esiste un accordo maggioritario rispetto a un’unica risposta considerata esatta. Numerose altre ricerche hanno verificato che l’influenza reciproca tra i membri di un gruppo conduce a valutazioni o decisioni collettive che, anche se non intermedie, sono moderate e costituiscono un compromesso tra le posizioni iniziali dei singoli individui. La moderazione è stata spiegata sulla base di fattori di ordine motivazionale (gli individui mettono in atto un sistema di concessioni reciproche, cercano di adattarsi gli uni agli altri perché hanno interesse a instaurare e mantenere un rapporto soddisfacente)Allport 1962; e di ordine cognitivo (la posizione assunta dagli altri costituisce uno degli elementi che vengono presi in considerazione prima di esprimere una determinata posizione, un’informazione di cui il soggetto tiene conto). Questi fattori informazionali sono importanti nelle situazioni dominate dall’incertezza. Vi sono casi in cui l’influenza interattiva non porta a una convergenza moderata ma a uno spostamento delle persone verso una posizione più estrema, a una convergenza polarizzata.

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Moscovici e Zavallotti 1969; Isemberg 1986Vi è la polarizzazione quando l’iniziale propensione dei membri di un gruppo verso una posizione diventa più estrema in seguito alla discussione collettiva. Ad esempio: tre persone moderatamente contrarie alle centrali nucleari, discutendone tra loro diventano ancora più contrarie. Isenberg 1986Le spiegazioni sul fenomeno della polarizzazione hanno fatto ricorso a 2 meccanismi: 1. CONFRONTO SOCIALE 2. ARGOMENTAZIONI PERSUASIVE. Condol 1976EFFETTO PRIMUS INTER PARES Nella prospettiva del confronto sociale, poiché le persone desiderano percepirsi e presentarsi sotto una luce favorevole, riaggiustano le loro posizioni in relazione a quelle degli altri, cercando di essere migliori. Se tutti i membri del gruppo sono impegnati in questo processo di confronto e superamento reciproco, il risultato collettivo sarà uno spostamento in direzione del valore sociale che raccoglie i consensi generali e una polarizzazione. Burnstein e Vinokur 1975Coloro che appoggiano la spiegazione basata sulle argomentazioni persuasive, viene chiamata in causa l’influenza informazionale, partono dal presupposto che la posizione che una persona assume è funzione degli argomenti pro e contro che richiama alla mente quando deve prendere la decisione. Se dalla discussione di gruppo emergono nuove argomentazioni a favore della posizione presa dal soggetto, questo si convince ancor di più di avere ragione e rafforza la sua posizione, estremizzandola. Se le argomentazioni nuove sono contrarie, vi sarà una tendenza a depolarizzare la propria posizione, avvicinandola a valori intermedi. Faucheneux e Moscovici 1967; Levine e Pavelchak 1984La moderazione è favorita se i membri del gruppo sono poco coinvolti nel problema e non sono né competenti in merito né determinati a far valere il proprio punto di vista. Il compromesso è probabile se il gruppo è strutturato in maniera gerarchica e la discussione è regolamentata. E’ importante che non emergano differenze rilevanti tra le posizioni individuali. Quando si verificano queste condizioni, le persone cercano di evitare il conflitto all’interno del gruppo e, per mezzo di concessioni vicendevoli, convergono verso un punto di vista comune. Cialdini 1992Un processo reciproco di influenza non comporta che tutti i membri del gruppo cambino idea o facciano concessioni a ognuno degli altri nella stessa misura. Si concede di più alle persone che ci hanno fatto concessioni. Si concede meno a quelle persone che hanno opposto resistenza al nostro tentativo di influenzarle. Nometh e Brilmayer 1987; Cialdini 1992L’influenza reciproca, basata su compromessi e concessioni, riguarda le risposte esplicite e pubbliche, e non sempre provoca un cambiamento del giudizio privato. Perché cambi il giudizio privato è necessario che gli interlocutori appaiano decisi e determinati o si avvalgano di forti argomentazioni.

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Janis 1982COESIONE Fattore che facilita la moderazione. E’ la valutazione favorevole del gruppo da parte dei suoi membri e la motivazione a continuare a farne parte. La tendenza a uniformare e livellare gli atteggiamenti e le opinioni all’interno di un gruppo cresce in proporzione al grado di coesione del gruppo stesso. Cartwright e Zander 1968L’influenza reciproca esercitata dai membri di un gruppo coeso può produrre effetti positivi agendo come fattore di integrazione e rassicurazione in situazioni che richiedono comportamenti di solidarietà. Quando si tratta di prendere decisioni collettivamente, una forte coesione può condurre a risultati scadenti. JANIS Afferma che la coesione facilita l’emergere di una serie di fenomeni che inducono a prendere decisioni affrettate e sbagliate: tra questi l’illusione di unanimità che porta a non prestare attenzione e a censurare le opinioni divergenti da quelle della maggioranza in vista del consenso a ogni costo. Moscovici e Doise 1991 La polarizzazione nasce quando le persone vengono a conoscenza delle idee diverse esistenti nel gruppo e ne prendono atto. Questo fenomeno è favorito quando: • le posizioni iniziali divergono, • l’argomento interessa e coinvolge i membri del gruppo, • gli individui possono scambiarsi le proprie idee. Tutto ciò che regolamenta, controlla e indirizza favorisce decisioni collettive moderate. Coinvolgimento, libertà di espressione e accettazione delle differenze conducono a risultati più polarizzati.

1. 2 creatività e soluzione dei problemi

La tecnica del BRAINSTORMING è nata dal presupposto che l’influenza reciproca, se regolamentata, favorisca la creatività e la soluzione di problemi. Agli individui viene detto di esprimere tutte le idee che vengono loro in mente senza preoccuparsi del fatto che siano più o meno utili alla soluzione del problema. Vengono sollecitati a produrre un gran numero di idee, a integrare le proprie idee con quelle espresse dagli altri e non essere critici con le proposte altrui. Secondo l’ideatore del metodo( Osborn 1957) attenendosi a queste istruzioni il gruppo sarebbe in grado di generare una quantità doppia di idee rispetto a quelle che i membri del gruppo produrrebbero singolarmente. E’ implicito che la tecnica stimoli idee di qualità elevata. Ma ripetute ricerche di confronto tra gruppi interattivi e gruppi nominali hanno smentito questo tipo di produttività del brainstorming. Ne risulta che i membri dei gruppi interattivi, avendo la possibilità di confrontare la propria prestazione con quella degli altri membri del gruppo, tendono ad attestarsi su un livello di prestazione simile a quello degli altri e non elevato. I soggetti dei gruppi nominali, non disponendo di informazioni sulle prestazioni degli altri, sono immuni dall’influenza sociale diretta e la loro prestazione dipende dalle caratteristiche personali o situazionali.

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2. l’influenza “in rete” e alcune sue possibili distorsioni PROCESSI A PALLA DI NEVE Processi che producono effetti che aumentano progressivamente in dimensioni o in intensità. PROCESSI A MACCHIA D’OLIO Processi che coinvolgono un numero di persone sempre più vasto. Gli psicologi di fine ‘800 studiarono l’influenza diffusa e definirono questo fenomeno “contagio”: Le Bon 1895 scrisse: “ le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze, possiedono tra le folle un potere contagioso intenso quanto quello dei microbi”. Questi tipi di processi sono difficilmente riproducibili in situazioni controllate. E’ difficile individuarne fonti e bersagli poiché questi mutano e si trasformano nel tempo. La propagazione a rete di credenze, comportamenti e sentimenti rappresenta un fenomeno fondamentale e del tutto normale all’interno di società, comunità o di gruppi sociali. Oggi, si tende ad attribuire alla televisione un ruolo nell’attivazione dei mutamenti. Fenomeni di questo tipo sono sempre esistiti e sono stati rilevati anche prima dell’era televisiva. Cambiamenti generalizzati negli atteggiamenti possono essere innescati da leader illuminati o da minoranze attive e da eventi drammatici o rilevanti. Kelmam 1968 CONTROLLO SOCIALE Processo reticolare di influenza che tende a perdurare nel tempo e che favorisce la stabilità e l’uniformità. E’ una rete di norme informali che esiste in ogni società e che si avvale di una pressione sottile e diffusa per mantenere in linea con le aspettative degli altri il comportamento individuale e per ridurre i comportamenti devianti. Il peso del controllo sociale, è’ più forte quando la gente vive in un clima di generale incertezza o di paura e nei piccoli paesi, dove tutte le persone si conoscono tra loro e si possono controllare. E’ più facile condurre una vita indipendente e anticonformista in un luogo poco conosciuto che nel proprio paese d’origine. L’influenza a rete oltre ad essere utile può, a volte, produrre altre conseguenze. Alcuni fenomeni che possono indurre ad altre conseguenze sono: RUMORI, MALATTIE PSICOGENE DI MASSA, IGNORANZA PLURALISTICA. 2. 1 Rumori RUMORE o DICERIA Informazione che si sviluppa e circola nel corpo sociale senza essere stata confermata dalle fonti ufficiali e che permane anche quando è stata da queste smentita. Così definito, il rumore non ha effetti negativi e non è sempre falso. Vi sono casi in cui però, nasce e circola in una rete sociale una diceria che deforma i fatti in modo minaccioso, inquietante e nuocendo a coloro che ne sono oggetto.( notizia infondata che i McDonald’s utilizzino per i loro hamburger carne di lombrichi). Per svilupparsi un rumore ha bisogno di un terreno fertile: si ritiene che la nascita di una diceria sia favorita quando l’argomento è considerato importante e coinvolgente dai soggetti e quando la situazione è ambigua o poco trasparente. Supportati dalla diffusione di voci, possono svilupparsi in rete sentimenti, manie, fanatismi che conducono le persone ad assumere comportamenti estremi e difficilmente controllabili.( la corsa all’oro a metà del XIX secolo in California che provocò una immigrazione di massa con enormi quantità di problemi ed anche

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l’abbandono del lavoro degli olandesi nel ‘600 per dedicarsi alla passione dei tulipani importati da poco da Costantinopoli, fenomeno che provocò ingenti danni finanziari). Questi fenomeni sono basati sul succedersi di rumori contraddittori che si amplificano vicendevolmente e rafforzano la convinzione collettiva che conviene approfittare del fenomeno in corso finchè dura. Questo convincimento rafforza l’EFFETTO PALLA DI NEVE fino a quando questo si interrompe bruscamente a danno di coloro che non hanno saputo tutelarsi in tempo. 2. 2 malattie psicogene di massa Le reti di influenza possono essere responsabili di valutazioni sbagliate, scelte eccessive e della diffusione di presunte malattie e di gravi sintomi di disagio psicologico. Joiner 1994 La depressione si diffonde attraverso i rapporti interpersonali. Crandall 1988Lo stesso fenomeno è stato riscontrato a proposito della bulimia, un comportamento patologico di alimentazione incontrollata che si è diffuso tra le donne. Taiminen 1992 Anche altri comportamenti autodistruttivi possono diffondersi nello stesso modo ad esempio il suicidio. Un tipo di malattia psicogena di massa è la diffusione epidemica di sintomi(vertigini, nausea, difficoltà respiratorie) che può verificarsi in luoghi ad alta densità senza che vi siano cause apparenti di disagio.( nel 1962 in una fabbrica di abbigliamento negli Stati uniti, 62 donne lamentarono la puntura di un indetto che scatenò una reazione a catena procurando sintomi) La malattia psicogena di massa si diffonde quando le persone sono sotto pressione, quando esiste un cattivo rapporto tra direzione e personale e quando il lavoro è estremamente ripetitivo. Malattie di massa provocate da condizioni similari, si sono verificate anche in scuole e campi universitari. 2. 3 ignoranza pluralistica IGNORANZA PLURALISTICA Identificazione erronea delle norme sociali preesistenti. Prentice e Miller 19932 fattori concorrono a determinare il modo in cui una norma sociale viene percepita e comunicata: 1. il comportamento pubblico delle persone, che ne segnala l’esistenza, 2. l’impressione di universalità, cioè l’impressione che essa sia condivisa da tutto il gruppo, che ne rafforza l’impatto. Si ha ignoranza pluralistica quando più individui percepiscono una discrepanza tra la norma sociale vigente e il proprio modo di pensare, dando per scontato che gli altri siano in sintonia con tale norma. Ciascuna persona, anche se adotta un comportamento pubblico simile a quello degli altri, pensa erroneamente che i propri atteggiamenti e i propri giudizi privati non siano condivisi. Questo fraintendimento reciproco può avere gravi conseguenze sociali: si è visto a proposito dell’apatia degli astanti come l’ignoranza pluralistica possa indurre a sottovalutare la gravità di una situazione perché ciascuno dei presenti trae un’informazione erronea dal mancato intervento degli altri. Anche il silenzio degli studenti che hanno ascoltato una lezione incomprensibile fa parte dell’ignoranza pluralistica perché ognuno anche se incitato a fare domande se non ha capito, crede di essere l’unico a non aver capito e resta in

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silenzio. Un docente esperto sa che l’assenza di domande non significa necessariamente completa comprensione. Tra le conseguenze sociali dell’ignoranza pluralistica, va ricordato che essa può contribuire a mantenere norme sociali obsolete e non più valide, ostacolando processi innovativi. 3. l’influenza sociale dei mass media L’idea che i media avessero un effetto diretto sugli atteggiamenti e sui comportamenti sociali del loro pubblico era presente nelle opere degli psicologi collettivi nei primi anni del secolo. ( Tarde 1901; Sighele 1903) Tale ipotesi si è andata rafforzando e ha raccolto consensi in relazione all’attenzione per i fenomeni perversi connessi all’avvento della società di massa. ( Lippmann 1922). Qualche studio aveva messo in luce i limiti e la relatività dell’influenza prodotta dai media sulle azioni e le credenze delle persone ma sol nel secondo dopoguerra fu sviluppata da Lazarsfeld e suoi colleghi una teoria ben articolata.

2. 1 le prime ricerche sull’influenza dei media La ricerca di Lazarsfeld e suoi colleghi sui comportamenti elettorali in una zona della Pennsylvania: interviste ogni mese a un campione di persone sottoposte a radio, giornali, volantini, hanno rivelato una lieve influenza al voto. Invece il parere di una persona a loro vicino aveva influenzato in odo determinante la scelta di voto. Queste persone vennero definite LEADER D’OPINIONE e cioè Individui attenti e informati che svolgono nella comunità una funzione di mediazione tra i mezzi di comunicazione e il resto della popolazione. Questo risultato che fu in seguito denominato flusso di comunicazione a due tappe mise in luce come le relazioni interpersonali entrano in gioco quando i soggetti sono esposti a fonti di informazione potenti e riconferma il duplice ruolo, di pressione sociale e di sostegno, che gli altri possono adempiere. Una successiva ricerca di Katz e Lazersfeld 1955 in uno studio effettuato su donne sulla funzione di leader d’opinione e mass media rispetto ad influenzare le scelte di moda, film da vedere, negozi…i risultati furono che i media non sono in grado di indurre le persone a cambiare le loro idee, ma risultano efficaci come RINFORZO di convinzioni o scelte precedenti. Questo effetto di tendono a selezionare i media a cui si espongono in base alle loro preferenze e memorizzano solo quelle informazioni che corrispondono e rinforzano le loro idee. Nello stesso periodo furno pubblicate da Hovland e collaboratori 1949 una serie di esperimenti condotti durante la guerra che riguardavano gli effetti della propaganda sugli atteggiamenti dei soldati nei confronti della guerra…i risultati furono che i mass media sono più efficaci nel cambiare le conoscenze rispetto a fatti o problemi che non nel cambiare gli atteggiamenti delle persone verso di essi. In queste prime ricerche, in generale, risultò che l’impatto dei media è condizionato da una serie di altri fattori quali le predisposizioni individuali, la percezione e l’esposizione selettiva, le relazioni interpersonali, la pressione del gruppo e l’ascendente personale(Klapper 1960; Cohen 1964)

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3. 2 orientamenti più recenti Prevale tuttora una visione moderata rispetto all’impatto dei media, poiché l’ostinazione e la capacità di resistenza del loro pubblico di fronte a tentativi di persuasione è stata sempre dimostrata. La QUANTITA’ di comunicazione a cui un soggetto è esposto è un fattore rilevante per determinare l’impatto dei media se i riceventi non hanno idee precise rispetto allo stimolo. E’ difficile distinguere l’effetto della COMUNICAZIONE dall’impatto che l’EVENTO avrebbe avuto anche se il soggetto ne fosse venuto a conoscenza per altre strade. Non è facile identificare il peso dei media sul cambiamento degli atteggiamenti nel lungo periodo, poiché va depurato da quello degli eventi e dei cambiamenti che intervengono. TEORIA DELLA SPIRALE DEL SILENZIO Teoria che, in contrasto con la diffusa tendenza a minimizzare l’impatto diretto dei media, ne ha riproposto un’interpretazione forte. Secondo questo approccio, l’opinione pubblica corrisponde al clima sociale generale, all’andamento prevalente delle idee e dei sentimenti. Guida e controlla il comportamento e il modo di pensare dei singoli. E’ pressione a conformarsi. I media, per la loro capacità di riflettere l’andamento e i cambiamenti del clima sociale, costituiscono lo strumento attraverso il quale l’opinione pubblica esercita la sua pressione e mette a tacere le posizioni minoritarie. Il termine SPIRALE sta a indicare il meccanismo perverso per il quale l’auto- censura di quelli che deviano dall’andamento di opinione prevalente serve nel tempo a rafforzare la percezione di solidità dell’idea maggioritaria, aumentando la pressione a conformarsi che viene esercitata su coloro che sono minoritari. Si tratta di un fenomeno di ignoranza pluralistica. IPOTESI AGENDA- SETTING Ipotesi secondo cui lo spazio che i media dedicano a un problema politico o sociale influenza la percezione del pubblico circa l’importanza di quel determinato problema. Le persone tendono a imitare il comportamento di coloro che vedono e ammirano in televisione. Tale tendenza all’imitazione può produrre effetti distruttivi per la persona e per gli altri. La visione della violenza aumenta la probabilità che gli spettatori assumano comportamenti violenti. Fattori individuali e socio- culturali possono ridurre o potenziare l’effetto. Quando si assume qualcuno come modello, si è più influenzati da quello che questa persona FA che da quello che DICE. Tale fenomeno è noto e sfruttato dalla pubblicità, la quale propone modelli di comportamento. La televisione ha la capacità di proporre modelli che vengono imitati per 3 motivi: 1. fornisce informazioni dettagliate riguardo a un determinato comportamento e ai risultati a cui questo può condurre, 2. induce a pensare che i vantaggi che la persona- modello ha ottenuto assumendo un determinato comportamento possono essere ottenuti da chiunque agisca nello stesso modo, 3. indica che certi comportamenti sono legittimi e appropriati.

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L’impatto diretto dei media è limitato, ma le persone tendono a sopravvalutare l’effetto dei mass media sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli altri. EFFETTO TERZA PERSONA Effetto per cui si è indotti a pensare di essere meno vulnerabili e suscettibili all’influenza di quanto non lo siano gli altri. Può essere più o meno forte in relazione al tipo di problema in questione. L’effetto è più forte quando il soggetto è in disaccordo con la fonte su un tema che considera importante e quando il termine di confronto è vago e distante e non qualcuno di vicino o qualche individuo specifico. 3. 3 i media e l’immaginazione I mezzi di comunicazione di massa possono condizionare l’attività immaginativa. Si fa riferimento a 3 aspetti dell’immaginazione: 1. il gioco immaginativo dei bambini, cioè quel tipo di giochi in cui vengono trascesi i limiti della realtà agendo come se, 2. i sogni a occhi aperti, cioè quegli stati di coscienza che sono caratterizzati da uno spostamento dell’attenzione dagli stimoli esterni a pensieri o immagini basate sulla memoria, 3. l’immaginazione creativa, cioè la capacità di generare idee nuove e originali. Per ciascuno dei tre tipi di immaginazione è possibile formulare 2 ipotesi alternative: • la tv incoraggia e stimola queste attività, • la tv inibisce tali attività Benché non vi siano prove che la tv stimoli il gioco immaginativo, si è constatato che programmi realizzati allo scopo di favorire questo genere di attività hanno ottenuto risultati positivi. Anche se non esistono i risultati decisivi sul rapporto causa- effetto, la tv promuove i sogni a occhi aperti poiché fornisce al telespettatore un supporto informativo che può essere utilizzato a questo scopo. A proposito dell’immaginazione creativa, sembra più valida l’ipotesi di influenza negativa o riduzione. Si attribuisce questo dato a 2 fattori: 1. la tv favorisce modalità di elaborazione dell’informazione che interferiscono con attività di tipo immaginativo, 2. guardare la televisione è un’attività che consuma tempo, sottraendolo all’immaginazione. CAPITOLO 5: EFFETTI E MODELLI INTERPRETATIVI La complessità dell’influenza sociale deriva dal fatto che le modalità di svolgimento del processo, i fattori situazionali e disposizionali che intervengono e lo condizionano, sono molteplici e di vario tipo. Gli effetti che l’influenza produce e i meccanismi di ordine motivazionale e cognitivo che ne stanno alla base sono pochi, sovente uguali o assimilabili.

1. tipi di effetti

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Faremo una distinzione generale tra processi il cui esito è un avvicinamento alla posizione espressa dalla fonte (effetti di assimilazione) e processi che conducono a esiti differenziati (effetti di differenziazione). poi lo sleeper effect e gli effetti collaterali dell’influenza 1. 1 Assimilazione Si possono individuare 4 risultati dell’assimilazione: 1. NORMALIZZAZIONE E’ frutto dell’influenza interattiva, per la quale posizioni preesistenti si avvicinano tra loro, dopo una negoziazione, convergendo verso una posizione nuova, scaturita dall’interazione. Gli individui coinvolti nel processo possono essere fonti e bersagli dell’influenza. La normalizzazione può essere: • MODERATA, quando avviene tramite l’avvicinamento delle posizioni più estremizzate verso un punto intermedio, • POLARIZZATA, quando il risultato dell’interazione è più spostato verso un polo della scala di quanto non lo sia la media delle posizioni espresse in precedenza. La situazione che favorisce la convergenza sociale è quella in cui il compito è discrezionale, cioè non esistono risposte giuste o sbagliate né criteri prestabiliti in base alle quali effettuare la valutazione o esprimere il proprio parere. La normalizzazione tenderà ad essere moderata quando i soggetti sono poco coinvolti nel problema e l’interazione è regolamentata. 2. CONFORMITA’ E’ l’adesione diretta e immediata alla posizione della fonte. Alla compiacenza pubblica può corrispondere o meno l’accettazione privata. Le fonti che producono compiacenza sono la maggioranza e l’autorità, ma questo effetto è raggiungibile anche da chi si avvale di determinate tecniche. La situazione che favorisce la compiacenza è quella in cui il bersaglio pensa di poter ottenere qualche vantaggio aderendo alla posizione della fonte. Processi che conducono alla conformità con accettazione privata sono attivati da fonti credibili e possono svilupparsi in rete. CONVERGENZA COGNITIVA Un tipo di conformità in base alla quale il bersaglio assume il punto di vista della fonte, evitando di prendere in considerazione altre possibilità o alternative. 3. CONVERSIONE Comporta un avvicinamento indiretto alla fonte. Questo tipo di processo è attivato dalle minoranza o da altre fonti alle quali il bersaglio non vuole ammettere di essere suscettibile. Si tratta di influenza indiretta perché non compare in modo esplicito: L’INFLUENZA TRASPOSTA è la conversione che si manifesta come spostamento su uno stimolo diverso, se pur collegato, a quello su cui si è espressa la fonte, L’INFLUENZA PRIVATA e la conversione che si manifesta come spostamento sullo stesso stimolo su cui si è espressa la fonte ma in modo nascosto, L’INFLUENZA RITARDATA è la conversione che si manifesta come spostamento sullo stesso stimolo su cui si è espressa la fonte quando essa non è più presente. La conversione si produce quando le persone hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della fonte: ne sono attratte e affascinate ma non vogliono acconsentire

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esplicitamente perché temono che ciò possa ripercuotersi negativamente sulla propria auto- immagine e sulla propria identità 4. MODELLAMENTO E’ l’adeguamento al comportamento della fonte. A volte è indiretto, cioè avviene in altri contesti rispetto a quelli in cui la fonte si è espressa. L’effetto diretto è provocato da chi ammiriamo o consideriamo più competente di noi su come agire in una determinata situazione. L’effetto indiretto può determinarsi quando l’agente è una minoranza o una fonte poco gradita, perché permette di occultare l’impatto subito. Il modellamento è un esito indotto dai mezzi di comunicazione di massa. 1. 2 Differenziazione Gli effetti della differenziazione sono di 2 tipi: 1. DIVERGENZA, per la quale le persone vengono stimolate ad agire e a pensare in modo autonomo, assumendo posizioni personali o esprimendo idee nuove ed originali. E’ un effetto dovuto all’influenza delle minoranze ed è favorita nelle situazioni in cui il contesto o il tipo di stimolo sollecitano l’indipendenza. Le persone si sentono coinvolte nel problema o perché questi li riguarda in modo diretto o perché tengono a dare una buona prestazione. Un particolare tipo di divergenza cognitiva, che stimola l’immaginazione (SOGNI A OCCHI APERTI) può essere suscitata dai mass media. 2. BOOMERANG o INFLUENZA NEGATIVA Effetto che conduce a un risultato opposto a quello voluto dalla fonte. Con l’influenza negativa la fonte raggiunge il bersaglio, ma ottiene un effetto opposto a quello voluto. REATTANZA PSICOLOGICA E’ un esempio di influenza negativa che si verifica quando le persone sentono minacciata o limitata la propria facoltà di giudizio o di scelta. Il bersaglio reagisce in modo opposto, poiché sentendosi forzato dalla fonte ad agire o a pensare in un determinato modo, vuole ribadire e riacquistare la propria libertà. EFFETTO ROMEO E GIULIETTA La reciproca attrazione tra i 2 adolescenti innamorati è cresciuta al punto di spingerli a morire insieme, proprio perché i genitori hanno cercato di impedirla in ogni modo. L’effetto della censura è quello di rendere l’oggetto o il comportamento censurato attraente. L’effetto negativo può svilupparsi per ragioni diverse dalla reattanza. Può manifestarsi rispetto a una fonte che in qualche modo ha tradito la fiducia del bersaglio venendo meno alle sue aspettative. Una fonte che comunica un’informazione scontata può indurre le persone a supporre che vi siano ragioni per credere il contrario. ANTICONFORMISMO E’ una forma di influenza negativa poiché non è il frutto di una scelta indipendente ma nasce in riferimento alla norma prevalente o al messaggio della fonte, anche se per prenderne le distanze.

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1. 3 effetti ritardati DIMENTICANZA Ipotesi secondo cui la fonte di un messaggio sarebbe più rapidamente dimenticata rispetto al contenuto che essa propone. Se la fonte è poco credibile questa dimenticanza gioca a suo favore: la forza persuasiva di un messaggio ben presentato, aumenta nel corso del tempo perché le persone tendono a dimenticarne l’emittente. DISSOCIAZIONE TRA FONTE E INFORMAZIONE Ipotesi secondo cui quando un messaggio persuasivo è accompagnato da un segnale che lo valorizza, esso ottiene uno scarso impatto immediato. Con il passare del tempo, il segnale valorizzante viene dissociato dagli argomenti persuasivi e l’impatto di tali argomenti cresce. SLEEPER EFFECT ASSOLUTO Aumento ritardato dell’impatto persuasivo SLEEPER EFFECT RELATIVO Riduzione o annullamento della differenza tra l’impatto di una fonte ad alta credibilità e l’impatto di una a bassa credibilità senza che si verifichi un aumento ritardato dell’impatto. Per ottenere lo SLEEPER EFFECT sono necessarie alcune condizioni: • i soggetti devono notare gli argomenti importanti di un messaggio, • il segnale svalorizzante deve essere introdotto DOPO che il soggetto abbia ricevuto il messaggio persuasivo, • al soggetto deve essere fatta valutare la credibilità della fonte subito dopo che ha ricevuto il segnale svalorizzante. CALO DIFFERENZIALE DI IMPATTO TRA MESSAGGIO E SEGNALE Lo sleeper effect si verifica quando il messaggio e il segnale svalorizzante hanno inizialmente un impatto quasi uguale, ma l’impatto del segnale diminuisce più rapidamente e in modo indipendente da quello del messaggio. 1. 4 Effetti collaterali Per mezzo dell’elettromiografia (insieme di tecniche che permettono di osservare e registrare le contrazioni muscolari) si è rilevato che parte dell’attività muscolare facciale varia in funzione della natura e dell’intensità della reazione affettiva allo stimolo e della tonalità affettiva dell’elaborazione. Se i pensieri di un soggetto nei confronti di una messaggio hanno una valenza positiva, si verificherà una debole attività muscolare in alcune regioni facciali più alte e una maggiore attività in alcune regioni più basse. Pensieri a valenza negativa provocano l’effetto opposto. E’ possibile cogliere, misurando per mezzo dell’elettroencefalogramma, la differenza tra l’attività dell’uno e dell’altro emisfero cerebrale durante l’elaborazione del messaggio, alcune qualità dell’attività cognitiva attivata nel bersaglio. 2. Modelli interpretativi

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I principali approcci teorici sull’influenza sociale possono essere raggruppati in 3 grandi filoni. 1. ci sono modelli che propongono una spiegazione unitaria (fondata su un unico principio) dell’influenza 2. alcune teorie ricorrono a un’interpretazione dualistica, sostenendo che 2 basi diverse e distinte possono sottostare la processo. 3. Ci sono modelli articolati e complessi che attribuiscono l’influenza all’intervento di molteplici fattori o a particolari contingenze. 2. 1 l’influenza come processo unitario TENDENZA ALL’AUTO- VALUTAZIONE Per FESTINGER esiste una tendenza nelle persone, a verificare se le proprie opinioni sono giuste o sbagliate. Poiché, rispetto alle opinioni, non esistono criteri oggettivi non sociali su cui basare il proprio giudizio, è confrontando le proprie idee con quelle di altri simili a lui che un individuo effettua questa valutazione. Pertanto : “I processi di influenza sociale sono manifestazioni di uno stesso processo di psicologia sociale e possono essere ricondotti a un concetto comune. Derivano da una tendenza all’autovalutazione basata sul confronto con gli altri”. Per FESTINGER l’individuo effettua tale confronto (TEST DELLA REALTA’ SOCIALE) ed è condizionato dal parere degli altri nei casi in cui non può disporre di criteri oggettivi che gli permettono di effettuare personalmente una verifica (TEST DELLA REALTA’ FISICA). La basa del giudizio individuale è duplice (TEST DELLA REALTA’ SOCIALE versus TEST DELLA REALTA’ FISICA) e il processo sottostante all’influenza sociale rimane unitario (CONFRONTO SOCIALE). TURNER Ha proposto un modello dell’influenza basato sul concetto di autocategorizzazione. Il test di realtà fisica non può essere considerato come un processo effettuato in isolamento, disancorato dalle sue basi culturali e sociali. La validità soggettiva si fonda su un test della realtà sociale, realtà che è rappresentata dalla norma del proprio gruppo di riferimento. Il test della realtà raggiunge una validità oggettiva nella misura in cui un individuo percepisce, crede o si aspetta che tale verifica, se effettuata da altri simili a lui, produrrebbe gli stessi risultati e che la sua valutazione non è personale né deviante. Non esistono 2 basi alternative che sottendono la formazione di un giudizio, ma una base sola: la REALTA’ SOCIALE. Alla ricomposizione del giudizio corrisponde un modello unitario dell’influenza. La validità di un’informazione è determinata dalla sua relazione, diretta o indiretta, con le norme del gruppo di riferimento. La formazione del gruppo costituisce la precondizione dell’influenza sociale. Turner sostiene che i fenomeni d’influenza sono dovuti al fatto che le persone categorizzano se stesse e gli altri in termini di comune appartenenza, di identità sociale condivisa. Categorizzare gli altri come simili a se stessi, come un appropriato gruppo di riferimento, produce aspettative di accordo con tale gruppo. Quanto più un gruppo è sentito come punto di riferimento per il sè, tanto più le aspettative di accordo saranno forti. La disconferma di tali aspettative, lo scontro con le idee contrarie del proprio gruppo crea nell’individuo un senso di

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incertezza che lo rende disponibile all’influenza sociale. E’ l’incertezza del bersaglio a favorire l’influenza. L’incertezza non è prodotta dall’ambiguità dello stimolo ma dall’imprevista diversità tra le proprie idee e quelle del gruppo di riferimento. La TEORIA DELL’AUTO- CATEGORIZZAZIONE torna a riaffermare la coincidenza tra influenza e conformità. Turner nega l’importanza del conflitto: secondo il suo modello, esso anche quando è suscitato da una fonte minoritaria, produce una diminuzione dell’influenza diretta. Una minoranza per ottenere un cambiamento a suo favore, deve presentare la sua posizione, nuova e originale, in modo tale da non rompere il consenso altrimenti sarebbe categorizzata come un outgroup dissidente e perderebbe il suo impatto. Deve porsi come un sottogruppo pro- normativo, agire in maniera che la sua proposta penetri in maniera indolore e che sia inglobata nel sistema di norme e di valori condiviso dall’ingroup. Deve indurre dolcemente i suoi simili a conformarsi alla sua posizione. Un aspetto problematico del modello di Turner è che esso non offre una spiegazione soddisfacente dell’influenza indiretta né dei possibili rapporti tra diversi tipi di influenza. 2. 2 l’influenza come processo binario DUETSCH & GERARD Hanno formulato il MODELLO DELLA DOPPIA DIPENDENZA. Hanno differenziato i processi basati su fattori di tipo percettivo/cognitivo (INFLUENZA INFORMATIVA) dai processi alla cui base vi è l’intento di tutelarsi, la motivazione di auto- preservazione (INFLUENZA NORMATIVA). Nei primi il soggetto è spinto a concentrarsi sul contenuto della proposta formulata dalla fonte, il problema è COSA PENSARE. Nei secondi si pone il problema di COSA FARE per trarre il maggiore vantaggio dalla situazione. CAPACITA’ PERSUASIVA DEGLI ARGOMENTI ADDOTTI E’ determinata dalla percezione della loro validità e della loro novità CONFRONTO CON GLI ALTRI E’ finalizzato al raggiungimento della desiderabilità sociale. Per il modello di influenza sociale proposto da MOSCOVICI una fonte è in grado di attivare nel bersaglio 2 diversi processi: 1. CONVALIDA Analisi del rapporto esistente tra la posizione della fonte e la realtà in questione 2. CONFRONTO E’ un esame dei motivi per cui la sua propria valutazione differisce da quella della fonte. I 2 processi vengono promossi da fonti di tipo diverso: una maggioranza attiva il confronto e una minoranza sollecita la convalida. Il modello di Nemeth è di tipo binario e insiste sul rapporto tra tipo di fonte e tipo di processo. Questo approccio fa riferimento a 2 diversi tipi di elaborazione cognitiva: 1. ATTIVITA’ COGNITIVA CONVERGENTE, che viene attivata quando il bersaglio si trova in una condizione di forte tensione 2. ATTIVITA’ COGNITIVA DIVERGENTE, ed è il risultato di una tensione moderata.

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Secondo il modello della probabilità di elaborazione (ELM) proposto da Petty e Cacioppo, è fondamentale la differenza tra via centrale e via periferica del cambiamento di atteggiamento. Quando si avvale della strada centrale, l’individuo valuta in maniera attenta e meditata il peso reale dell’informazione presentata dalla fonte a sostegno di una posizione. Se gli argomenti proposti dalla fonte sono convincenti, si attiverà un cambiamento profondo e duraturo, perché fondato su un’approfondita riflessione. Quando utilizza la strada periferica, il soggetto trascura un’accurata valutazione del contenuto del messaggio e diventano determinanti altri fattori. Questo secondo tipo di procedimento cognitivo produce cambiamenti meno profondi e durevoli nel tempo. Alcune prerogative della situazione e alcune caratteristiche del bersaglio possono fare in modo che un messaggio venga elaborato in modo centrale o in modo periferico. Un simile modello binario della persuasione è stato proposto da Chaiken in base alla distinzione tra modalità sistematica e modalità euristica di elaborazione dell’informazione (HSM). ELABORAZIONE SISTEMATICA, comporta la presa in considerazione di un numero considerevole di informazioni relative al messaggio e al problema in questione. ELABORAZIONE EURISTICA comporta uno scarso sforzo cognitivo. Le persone vengono influenzate da fattori che con il contenuto del messaggio non hanno nulla che fare, poiché non si impegnano in un serio lavoro di controllo dell’informazione ma si basano su una serie di regole decisionali, di scorciatoie che hanno appreso da precedenti esperienze. Le persone tendono a ricorrere all’elaborazione sistematica solo quando la modalità euristica non dà sufficienti garanzie o non può avvenire perché il contesto non la consente. Entrambi i tipi di elaborazione possono basarsi su molteplici motivazioni. Tra queste ci sono: • Il desiderio di assumere o di difendere una particolare posizione, • Il desiderio di essere nel giusto, che conduce a valutare con attenzione le informazioni in entrata, • Il desiderio di esprimere un atteggiamento socialmente e accettabile. Dal punto di vista del processo, mentre la via centrale della persuasione corrisponde con la modalità sistematica dell’elaborazione, la via periferica comprende le euristiche e modalità di cambiamento che non sono fondate sulla valutazione della validità del messaggio. L’HSM postula che le modalità di elaborazione possano coesistere nel giudizio. Questa possibilità non è affermata nell’ELM e le 2 strade della persuasione sono esclusive.

2. 3 modelli multifattoriali, plurifase e contingenziali TEORIA DELL’IMPATTO SOCIALE (LATENE & WOLF) La misura in cui le persone sono influenzate varia in funzione di 3 fattori: 1. NUMERO DELLE FONTI, 2. LORO FORZA

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3. LORO IMMEDIATEZZA MODELLO A FASI MULTIPLE (MC GUIRE) I diversi fattori sono considerati in sequenza o non in interazione o in alternativa. L’impatto di una comunicazione è il prodotto di 6 successiva fasi di elaborazione dell’informazione: 1. presentazione del messaggio, 2. l’attenzione del ricevente, 3. comprensione della posizione e degli argomenti esposti, 4. cedimento o l’accordo del bersaglio, 5. la sua ritenzione in memoria 6. l’azione basata sul cambiamento dell’atteggiamento. Il fallimento di una fase interrompe la sequenza e impedisce i passi successivi. La probabilità che ciascuna fase si verifichi è proporzionale alla probabilità congiunta che si verifichino tutte le fasi precedenti. RECEZIONE Attenzione + comprensione Il merito più grosso del paradigma a più fasi di Mc Guire è quello di aver sottolineato come molti fattori possono intervenire nel processo condizionando una o più fasi del processo. TEORIA DELL’ELABORAZIONE DEL CONFLITTO (PEREZ & MUGNY) Secondo questo approccio, alla base di tutti i processi di influenza, vi è un conflitto dovuto alla divergenza di vedute tra l’agente di influenza e il bersaglio. A seconda del tipo di fonte a cui un soggetto è esposto e del tipo di compito in cui è impegnato, si creano specifiche condizioni che promuovono un tipo di elaborazione del conflitto. Le fonti sono distinte in base al numero, la competenza e l’appartenenza categoriale. I compiti possono essere di tipo • risposta è semplice e evidente), • attitudinali (soluzione di problemi) • d’opinione (giudizi in merito a opinioni, atteggiamenti o valori) A ciascun tipo di compito corrisponde uno specifico conflitto che rende pertinenti certe caratteristiche della fonte. Nei compiti di opinione si attiva un conflitto d’identità, per il quale sono rilevanti l’appartenenza categoriale e il numero delle fonti. Nei compiti attitudinali il conflitto è basato sull’incertezza e è la competenza dell’agente a essere messa in primo piano. Le diverse articolazione tra tipo di fonte e di compito producono tipi diversi di conflitto. E’ un modello di tipo contingenziale poiché nessun fattore può essere considerato di per sé efficace, se non sono date determinate condizioni. Questo modello presenta aspetti interessanti, anche se propone un quadro teorico complesso. E’ problematico far dipendere da un conflitto ogni tipo di processo di influenza. 2. 4 una possibile integrazione Confrontando tra loro i più importanti approcci teorici, il differente numero di fattori chiamati in causa può essere considerato un indicatore del livello di analisi a cui si colloca l’interpretazione.

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I MODELLI MONOFATTORIALI cercano di stabilire il principio fondante, il movente basilare dei processi d’influenza sociale. Tale motivazione primaria comune a tutti i tipi di relazione sociale, può essere definita tendenza all’auto- valutazione o come un bisogno di rassicurazione. Per spiegare i processi d’influenza sembrano pertinenti le 2 diverse motivazioni che sono richiamate dalla maggior parte di coloro che appoggiano i modelli teorici binari. Sono: 1. desiderio di essere nel giusto che è alla base di molteplici processi cognitivi, 2. desiderio di proteggere e migliorare la propria condizione e la propria immagine. Sono i modelli multifattoriali che hanno cercato di descrivere i diversi tipi di processi che si sviluppano dall’incontro tra il bersaglio e la fonte in una determinata situazione o in un determinato momento. Fondare, spiegare e descrivere sembrano essere le 3 finalità che hanno guidato la formulazione del modelli unidimensionali, binari e multifattoriali. I diversi approcci non appaiono come antitetici o alternativi poiché viene utilizzata una terminologia differente per dar conto di uno stesso fenomeno. Permane la necessità di ridurre la complessità dell’apparato concettuale cercando di perseguire l’integrazione scientifica che è auspicabile riguardo ai risultati della ricerca. CAPITOLO 6: INFLUENZA SOCIALE: COME ESERCITARLA E COME RESISTERLE 1. i professionisti dell’influenza In molte attività lavorative è indispensabile avere la capacità e la possibilità di esercitare influenza su altre persone. L’influenza è un fattore importante in settori diversi. Esistono alcune attività nelle quali la capacità di influenzare diventa essenziale, costituisce la base della professionalità: l’insegnante deve influenzare gli allievi allo scopo di educarli e di facilitare lo sviluppo delle capacità; lo psicoterapeuta influenza il paziente per aiutarlo a risolvere i suoi problemi; il poliziotto deve influenzare i testimoni per indurli a parlare; un dirigente deve usare la sua influenza sia per motivare i subordinati e sia per convincere i parigrado e i superiori ad approvare determinate sue scelte o a prendere decisioni. ROBERT CIALDINI Ha rilevato che le diverse tecniche e tattiche usate dai professionisti dell’influenza possono essere ricondotte a 6 principi generali. Essi non rappresentano una reale novità rispetto a quanto già rilevato dalla ricerca sperimentale. Alle 6 regole principali corrispondono altrettante EURISTICHE: il soggetto, sollecitato ad assumere un determinato comportamento o a prendere una decisione, si farebbe guidare da poche indicazioni che provengono dallo stimolo e che sollecitano l’euristica corrispondente a un particolare principio.

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1. 1 i principi, le euristiche e le tecniche del consenso senza pressione 1. PRINCIPIO DELL’IMPEGNO/CONSISTENZA Le persone tendono a mantenere un comportamento conseguente a un impegno assunto in precedenza. Ciò è dovuto al bisogno di essere coerenti con se stessi e dipende da motivi legati all’auto- presentazione, cioè al desiderio di dare agli altri un’immagine positiva. L’euristica alla base di questo fenomeno è: dopo aver preso una posizione, una persona tenderà ad acconsentire a richieste di comportamento che siano coerenti con quella posizione. TECNICA DEL PIEDE NELLA PORTA: A un soggetto che ha acconsentito a una piccola richiesta iniziale viene fatta la richiesta cruciale la quale è collegata alla prima, ma più impegnativa. TECNICA DEL COLPO BASSO: il soggetto viene indotto ad acconsentire alla richiesta cruciale sottovalutandone l’entità e rivelandone l’intero costo solo a posteriori. Queste tecniche si basano sull’idea che, richiamando l’euristica della consistenza, sia possibile ottenere il consenso a richieste che risultano più onerose del previsto. TATTICA DEI 4 MURI: Consiste nel porre alla persona 3 domande alle quali risponderà in modo affermativo. Viene posta la domanda cruciale alla quale il soggetto, se vuol essere coerente, dovrà acconsentire. 2. PRINCIPIO DELLA RECIPROCITA’ Una regola sociale implicita è quella di ricambiare i favori, gli inviti e le gentilezze ricevute. L’euristica è: una persona tenderà ad acconsentire a una richiesta nella misura in cui il suo consenso costituisce un contraccambio di comportamento. TECNICA DELLA PORTA IN FACCIA: riguarda reciproche concessioni. Viene fatta la richiesta iniziale di un comportamento estremo per giungere in seguito alla più moderata richiesta cruciale. Se la persona ha risposto negativamente alla prima richiesta, tenderà a soddisfare la seconda. Questo avviene per 2 motivi: • Il soggetto attutisce la forza del rifiuto precedente riaggiustando positivamente la propria immagine per se stesso e per gli altri • Per il principio del contrasto percettivo, la seconda richiesta gli sembrerà più moderata di quello che è. 3. PRINCIPIO DELLA PROVA SOCIALE L’euristica è: una persona tenderà ad acconsentire a una richiesta di un comportamento nella misura in cui altre persone simili lo hanno fatto o lo stanno facendo. E’ una diversa formulazione dell’euristica del consenso. 4. PRINCIPIO DELL’AUTORITA’ L’euristica è: una persona tenderà a seguire i suggerimenti di un’autorità che considera legittima.

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Le tattiche che fanno riferimento all’impatto dell’autorità allargata evocano direttamente o per mezzo dell’abbigliamento l’alto status sociale o professionale di chi utilizza il prodotto. 5. PRINCIPIO DELLA SCARSITA’ Il grado di disponibilità di un prodotto o di un servizio ne determina il valore: certe pietre o certi metalli sono considerati preziosi in quanto poco disponibili. Un prodotto difficile da reperire sul mercato tende ad essere considerato di maggiore qualità e più desiderabile quando è diventato raro dopo essere stato molto diffuso o quando è oggetto di una forte domanda sociale. L’euristica è: una persona cerca di assicurarsi le occasioni che scarseggiano. TECNICA DEL NUMERO LIMITATO: Un nuovo prodotto viene introdotto presso il pubblico in quantità limitate con lo scopo di sondarne il gradimento e di aumentarne la desiderabilità. TECNICA DELLA SCADENZA: Viene posto un limite temporale all’opportunità offerta. La scarsità aumenta l’appetibilità perché la libertà di poter ottenere quel bene diminuisce. Quando non si può usufruire di qualcosa a cui prima si aveva accesso, si verifica un aumento del desiderio di ottenere quel particolare bene. 6. PRINCIPIO DELL’AMICIZIA/ GRADIMENTO L’euristica è: una persona tenderà ad acconsentire alle richieste fatte da amici o da altre persone gradite. TECNICA DELL’HOME PARTY: una persona riunisce un gruppo di amici a casa propria per mostrare loro una serie di prodotti e ottenere un guadagno personale. L’azienda che vende attraverso la rete amicale è consapevole del fatto che, è più difficile rifiutare una proposta che viene da un amico che non quella che proviene da una persona sconosciuta. 1. 2 Suscettibilità al messaggio pubblicitario La funzione primaria della pubblicità dovrebbe essere quella di informare il suo target e poi dovrebbe indurre all’acquisto. La persuasione pubblicitaria si avvale dei mezzi di comunicazione di massa e la vendita viene ancora effettuata in modo diretto e si basa su un processo di interazione. La pubblicità non promuove solo prodotti e consumi. Può essere utilizzata per la promozione di un servizio, di una persona o può svolgere una funzione di sensibilizzazione tendente a modificare comportamenti o a dissuadere dall’uso di sostanze dannose per la salute. Si cerca sempre di “vendere” qualcosa, ma l’obiettivo è meno diretto e immediato e non ha per fine il profitto economico. E’ nelle campagne a fini sociali che i risultati appaiono meno soddisfacenti. E’ problematico indurre le persone ad abbandonare comportamenti dannosi per sé e per gli altri avvalendosi di comunicazioni persuasive e si è dovuto constatare il fallimento di campagne informative e di sensibilizzazione nel quale sono state investite energie e somme di denaro.

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Non tutte le persone sono sensibili alle stesse sollecitazioni ed è necessario differenziare il tipo di messaggio in relazione al bersaglio che si intende colpire. I pubblicitari appartengono a 2 diverse scuole: • SCUOLA DI VENDITA MORBIDA, punta a enfatizzare l’immagine di un prodotto e l’immagine che è legata al suo uso. Si presta attenzione all’apparenza. Confezione e presentazione sono considerate più importanti del prodotto stesso. Il testo dell’annuncio fa riferimento all’immagine positiva associata all’uso del prodotto. Vengono trascurate informazioni relative alle sue caratteristiche intrinseche. • SCUOLA DI VENDITA DURA Focalizza una campagna sulla qualità, i meriti e il valore del prodotto. Gli annunci di questo tipo sottolineano l’efficacia, l’utilità di ciò che si pubblicizza e questa seconda scuola bada alla sostanza più che alla forma. Gli individui variano in rapporto al grado di auto- monitoraggio che li caratterizza: INDIVIDUI AD ALTO AUTO- MONITORAGGIO (AAM) Persone che si preoccupano di essere adeguata alla specifica situazione sociale in cui si trovano. INDIVIDUI A BASSO AUTO- MONITORAGGIO (BAM) Persone che mirano a mantenere una propria coerenza interna nelle diverse situazioni. L’approccio morbido influenza le persone AAM e l’approccio duro ha un maggiore impatto sui soggetti BAM. Altra caratteristica individuale che gioca un ruolo importante sul tipo e grado di impatto della pubblicità è il bisogno cognitivo, cioè l’inclinazione di un individuo a impegnarsi e a trarre piacere dalla riflessione. I soggetti con forte bisogno cognitivo vengono convinti con difficoltà ma quando hanno dato il loro consenso, il loro nuovo atteggiamento tende a permanere a lungo nel tempo, a resistere alle contro- informazioni ed è predittivo del comportamento. Coloro che hanno un debole bisogno cognitivo vengono convinti più facilmente ma in modo più effimero e meno predittivo del comportamento. Quando sono esposti a un messaggio pubblicitario, i soggetti con un forte bisogno cognitivo tendono a utilizzare la via centrale della persuasione più di quanto non facciano i soggetti con un debole bisogno cognitivo. PETTY, BACKER & GLEICKER Proposero una rielaborazione del modello a più fasi del processo di influenza. Individuarono 6 fasi fondamentali: 1. ESPOSIZIONE alla nuova informazione, 2. ATTENZIONE all’informazione, presentata, 3. la sua MEMORIZZAZIONE, 4. INTERPRETAZIONE in termini di elaborazione e valutazione personale, 5. la sua INTEGRAZIONE nel preesistente sistema di valori e credenze individuali, 6. AZIONE che conclude la sequenza.

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Raramente le 6 fasi sono tutte attivate da uno stesso messaggio persuasivo. Spesso un’informazione può avere un impatto a un livello e non a un altro. Così si sviluppa una specie di LEGGE DELL’EQUILIBRIO Ci piace andare d’accordo con le persone che ci piacciono • Un cambiamento di atteggiamento può avvenire senza aver appreso l’informazione relativa, • L’informazione cruciale può essere appresa senza che si produca un cambiamento nell’atteggiamento, • La stessa informazione può provocare 2 opposti atteggiamenti, • Atteggiamenti apparentemente uguali possono avere differenti ripercussioni sul comportamento. 2. Resistere all’influenza: possibilità e ostacoli E’ impossibile essere completamente immuni dall’influenza e resisterle non sempre rappresenta la soluzione migliore. Sviluppare forti resistenze può impedire di confrontarsi con situazioni nuove e con informazioni discrepanti conducendo ad un eccesso di rigidità, a una chiusura verso il cambiamento. Proprio perché le tattiche e le tecniche per influenzare sono sviluppate e diffuse, è necessario sapersi difendere dalle pressioni provenienti dall’esterno e mantenere una propria autonomia di pensiero e di azione. 2. 1 E’ possibile vaccinare contro l’influenza? McGUIRE Ha proposto che la resistenza all’influenza potesse essere ottenuta con un processo analogo all’immunizzazione biologica. Gli atteggiamenti e le credenze delle persone sono vulnerabili quando vengono attaccati da argomentazioni contrarie. E’ possibile rafforzare le resistenze contro tali attacchi rifornendo le persone di argomenti a sostegno delle loro idee ed esponendole in precedenza a forme più deboli di messaggi d’attacco. Tali attacchi moderati incoraggiano il bersaglio a sviluppare le proprie difese contro i tentativi di persuasione e a mantenere le proprie idee. Ipotizza che le credenze e gli atteggiamenti meno attaccati fossero quelli rispetto ai quali l’inoculazione costituiva la tecnica migliore. L’inoculazione funzionava per 2 ragioni: 1. rendeva meno credibili i successivi attacchi, 2. stimolava il bersaglio a generare un maggior numero di argomentazioni in appoggio alle proprie credenze. Le difese basate sul sostegno, pur rafforzando le credenze nella fase precedente all’attacco più di quanto non facesse l’inoculazione, si dimostravano TIGRI DI CARTA quando la persona veniva esposta agli attacchi. Il sostegno poteva a volte risultare efficace e il soggetto veniva sollecitato a partecipare alla difesa o se veniva introdotto qualche elemento minaccioso. 2. 2 Esistono influenze irresistibili? La resistenza a cui abbiamo fatto riferimento riguarda i processi di influenza relativi a

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informazioni persuasive. La persuasione è solo un tipo di influenza, quella più esplicita. Più difficile è resistere a influenze di cui non siamo consapevoli. Si considerava subliminale uno stimolo che provocava una reazione meno del 50% delle volte che veniva presentato. Si considerava supraliminale quello che provocava una reazione più del 50% delle volte. Non esiste una barriera rigida sopra la quale uno stimolo è discernibile e sotto la quale non è discernibile poiché la capacità di percepire stimoli a bassa intensità varia da un individuo a un altro e da momento a momento. La capacità di cogliere o meno uno stimolo può dipendere dalla sensibilità percettiva che il soggetto sceglie di utilizzare in quel momento. Discernere un segnale è un compito sensoriale e un processo decisionale. Si deve distinguere tra informazioni che possono essere percepite, alle quali non viene prestata attenzione e informazioni che non possono essere percepite e che esulano dal campo potenziale dell’attenzione di una persona. Secondo il modello clinico psicoanalitico le informazioni consce o inconsce vengono elaborate diversamente e producono effetti qualitativamente differenti. SILVERMAN Ha constatato la possibilità di indurre uno stato emozionale esponendo le persone a un’attivazione psicodinamica sublimarle in condizioni controllate di laboratorio. Gli individui sono consapevoli solo di una parte ristretta delle influenze che subiscono.

3. limiti e legittimità degli studi sull’influenza sociale I primi problemi di ordine scientifico e morale riguardano le possibilità di generalizzare i risultati delle ricerche. I secondi son quelli relativi al significato che la conoscenza dei meccanismi e delle tattiche d’influenza assume per coloro che operano nel campo e per coloro che ne sono le fnti e i bersagli nella vita quotidiana.

3. 1 validità ecologica dei risultati Le lacune più gravi che emergono dall’insieme degli studi presentati sono: scarsa presenza di studi che confrontino processi ed effetti dell’influenza in ETA’ e CULTURE.

3. 2 Per un uso attento delle conoscenze Cogliendo l’invito di Cialdini 1993 possiamo in molti modi contrastare chi si avvale di metodi impropri: Contro chi adduce false “prove sociali” possiamo adottare un boicottaggio, ad esempio non comprando i prodotti. Tutti noi siamo manipolatori degli altri e una serie di società democratiche hanno messo a punto una serie di norme tese ad evitare l’esercizio distorto e

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eccessivo dell’influenza e della manipolazione come le sanzioni per la pubblicità ingannevole. Tuttavia visto che in qualsiasi interazione è possibile influenzare. È compito di ciascuno di noi, quando ci troviamo a svolgere un ruolo di indirizzo o di guida, individuare la sottile soglia che esiste tra l’influenza come aiuto e l’influenza come prevaricazione. E se è difficile persuadere, è molto più facile proporre un modello da imitare e quindi non ci è mai concesso di abbassare la guardia.

TERZO MODULO a carattere monografico Libro: “processi psicosociali nei gruppi” di Alberto Voci

i processi psicosociali intra e intergruppi: - categorizzazione, - appartenenza, - identificazione, - stereotipi - e pregiudizi.

PROCESSI PSICOSOCIALI NEI GRUPPI La definizione più generale e completa di un gruppo è quella che lo assimila a una categoria sociale. Una categoria sociale può essere molto ampia (le donne) o estremamente specifica (gli abitanti di un dato quartiere), può basarsi su determinate caratteristiche fisiche (gli anziani) o su variabili puramente psicologiche (gli introversi), può infine sorgere da definizioni condivise socialmente (le persone con idee politiche di destra) o da classificazioni individuali e soggettive (le persone che abitano nell’appartamento sopra il mio). In altre parole, le categorie sociali non hanno alcuna caratteristica particolare se non quella di essere dei raggruppamenti cognitivi di individui. Esse nascono nel preciso istante in cui alcune persone vengono inserite in una stessa classe e, al contempo, contrapposte alle persone che non sono inserite in essa. IL PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE. L’ambiente che ci circonda è molto complesso, ricchissimo di stimolazioni, di oggetti, di altri esseri viventi. Per riuscire a muoversi al suo interno in modo efficace, in altre parole per riuscire a sopravvivere, è necessario semplificarlo. Un metodo efficace di semplificazione è quello di racchiudere stimoli simili all’interno di categorie, in modo da trattarli tutti come un unico concetto, piuttosto che come molti oggetti distinti. L’economia cognitiva di tale processo è evidente. La nostra mente, dunque, sembra operare alcune semplificazioni. In primo luogo, sembra non notare piccole variazioni in quello che osserva, riuscendo invece ad

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apprezzare una certa stabilità dei fenomeni. In secondo luogo, non analizza come se fosse nuovo ogni singolo stimolo che i sensi incontrano, ma lo inserisce in classi preesistenti, e tratta gli elementi in esse contenuti come equivalenti. Queste operazioni sono compiute applicando agli oggetti delle etichette concettuali. LA PERCEZIONE COME ATTO DI CATEGORIZZAZIONE. Ogni atto di percezione implica un processo di etichettamento. Il risultato di questo processo è che noi non percepiamo mai direttamente gli oggetti che stiamo osservando, ma cogliamo il loro significato in relazione a un concetto presente nella nostra mente. Ogni concetto presenta una lista di caratteristiche, alcune tipiche, altre meno, che lo definiscono. Le caratteristiche degli oggetti che percepiamo vengono confrontate con quelle dei concetti mentali e, in base all’esito di questo confronto, gli oggetti vengono categorizzati in classi. L’esito di questo processo è che stimoli tra loro diversi, ma che presentano delle caratteristiche in comune, vengono trattati come equivalenti. La categorizzazione non si esaurisce nel processo di classificazione. In primo luogo, mentre inseriamo degli stimoli in classi di appartenenza, stiamo collegando il nuovo con il vecchio. Stiamo, cioè, assegnando al nuovo stimolo le caratteristiche tipiche del concetto a cui lo stiamo associando. Posso quindi inferire che l’oggetto percepito possiede degli attributi caratteristici della classe di appartenenza. In secondo luogo, quando categorizzo degli stimoli, sto aggiornando il contenuto della categoria. Alcuni oggetti possono essere inseriti in classi preesistenti, anche se presentano alcune caratteristiche inizialmente considerate anomale. Questa è una operazione rilevante, perchè implica il fatto che i miei concetti, e dunque le mie categorie, non sono immutabili, ma sono pronti, entro certi limiti, a essere adattati, accomodati, a stimoli che presentano caratteristiche mai viste prima. Queste due attività mentali, ancorare lo sconosciuto al conosciuto e accomodare il conosciuto in base alle novità, sono cruciali nell’interazione tra l’uomo e l’ambiente. Per un’interazione funzionale ed efficiente con l’ambiente, infatti, gli esseri umani devono raggiungere un equilibrio tra eccessiva flessibilità ed eccessiva rigidità. Da un lato, necessitiamo di una struttura interpretativa stabile per dare un senso di continuità alla nostra esperienza. Dall’altro abbiamo bisogno di essere flessibili, pronti a cogliere le variazioni dell’ambiente. DIVERSI APPROCCI AL TEMA DELLA CATEGORIZZAZIONE. Si è a lungo ipotizzato che le caratteristiche degli stimoli impongano a chi li percepisce di categorizzarli in modo univoco e preciso. Tale processo è guidato dai dati presenti nell’ambiente: sono i loro attributi a determinare il processo di categorizzazione. Secondo questo approccio la mente umana non farebbe altro che registrare gli stimoli ambientali, classificandoli ed etichettandoli in base alle loro caratteristiche oggettive. Da questo punto di vista, il processo di categorizzazione degli stimoli è legato al principio di similarità: quanto più lo stimolo in entrata è simile ad altri stimoli già inseriti in una categoria, tanto più è probabile che venga classificato in essa. Tuttavia, tale processo presenta un problema fondamentale: la similarità tra due oggetti non è assoluta, ma contestuale. Il processo di categorizzazione può nn essere guidato da caratteristiche intrinseche degli oggetti, ma da una motivazione, da uno scopo, da una aspettativa. Più in generale, può essere guidato da una teoria. Fuori dalla nostra

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coscienza sicuramente esistono degli oggetti fisici. La mente umana, però, ponendosi in contatto con essi, attribuisce loro dei significati, delle caratteristiche che essi non possiedono, ma che sono una proiezione dei nostri desideri, dei nostri scopi, delle nostre motivazioni. In altre parole, qualsiasi nostro atto di percezione, di interazione con l’ambiente, comporta un’attribuzione di significato ai fenomeni osservati. D’altra parte, però, gli oggetti, una volta percepiti, sono in grado di alterare i nostri desideri le nostre motivazioni e, quindi, possono influenzare ed eventualmente modificare i nostri schemi mentali preformati. LE CONSEGUENZE PERCETTIVE DELLA CATEGORIZZAZIONE. Una delle funzioni fondamentali del processo di categorizzazione è la semplificazione dell’ambiente. Perchè tale semplificazione abbia luogo, è necessario che la molteplicità di stimoli che incontriamo ogni giorno sia riconducibile a poche classi di oggetti significativi. Quindi, è necessario far si che le differenze tra gli oggetti inseriti in una stessa categoria siano ridotte al minimo. Questo processo prende il nome di assimilazione intracategoriale. La sua conseguenza è che gli elementi inseriti in una categoria vengono percepiti ancora più simili di quanto non lo fossero prima di essere classificati. D’altra parte, l’inserimento di un oggetto all’interno di una categoria comporta la sua esclusione da una categoria alternativa, che invece avrà al suo interno altri oggetti. Per questo viene attivato un processo di differenziazione intercategoriale: se due stimoli appartengono a due categorie diverse, essi saranno percepiti più diversi tra loro di quanto non lo fossero prima di essere categorizzati. Non va comunque dimenticato che le somiglianze e le differenze tra gli stimoli sono contestuali. I processi di assimilazione e differenziazione categoriali sembrano essere una caratteristica di base del funzionamento della mente umana. LA CATEGORIZZAZIONE DEGLI STIMOLI SOCIALI. CARATTERISTICHE DELLA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE. Il processo di categorizzazione può essere applicato anche all’ambiente sociale. le persone che incontriamo ogni giorno, in interazioni più o meno casuali, sono infatti troppe per essere conosciute tutte in modo approfondito. Di conseguenza, per semplificare il nostro ambiente sociale, siamo obbligati ad affidarci al processo di categorizzazione anche nei nostri rapporti con gli altri, classificandoli all’interno di categorie sociali, o gruppi. Si parla in questo caso di categorizzazione sociale. L’inclusione di un individuo all’interno di una più ampia classe di persone, quindi, può avvenire mediante un confronto tra caratteristiche dello stimolo e specifiche categoriali. La categorizzazione sociale si può basare sull’aspetto esteriore delle persone, ma anche sui loro attributi e modi di agire. Proprio per questo motivo, essa presenta delle peculiarità rispetto alla categorizzazione degli stimoli non sociali. Prima di tutto, il processo di categorizzazione sociale permette di operare delle inferenze comportamentali. Se una persona viene classificata all’interno di un gruppo, allora ci attendiamo che si comporti nel modo caratteristico di tutti gli individui appartenenti a quella categoria. Questo fenomeno fa parte di un processo più generale di deduzione dalle caratteristiche di una categoria sociale a quelle dei

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singoli individui che ne fanno parte. Esso non coinvolge solo comportamenti, ma anche giudizi, attributi, valutazioni. L’insieme delle caratteristiche ritenute tipiche di una categoria sociale prende il nome di stereotipo. La seconda peculiarità della categorizzazione sociale è rappresentata dalla funzione di spiegazione. Oltre che semplificare l’ambiente, gli esseri umani hanno infatti un altro bisogno impellente: rendere l’ambiente controllabile e dotato di significato. Etichettando una persona come appartenente a una categoria sociale siamo in grado di spiegare i suoi comportamenti, che altrimenti potrebbero risultare difficili da comprendere. In molte interazioni sociali la funzione di spiegazione si può combinare con quella di inferenza. D’altra parte è possibile che la combinazione tra inferenza e spiegazione conduca a conclusioni del tutto improprie. In sintesi, noi eseguiamo continuamente operazioni di questo tipo: prima una persona viene categorizzata e successivamente, in base alla categoria in cui è stata inserita, vengono eseguite delle inferenze sui suoi comportamenti, che in seguito vengono spiegati alla luce delle caratteristiche tipiche della categoria utilizzata. È evidente che si tratta di un circolo vizioso che può avere conseguenze negative per chi ne è l’oggetto. CONSEGUENZE DELLA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE: PREGIUDIZIO E DISCRIMINAZIONE. Non appena una persona viene categorizzata all’interno di un gruppo le vengono attribuite le caratteristiche generalmente associate al gruppo stesso. La prima conseguenza negativa di questo processo prescinde dal contenuto dello stereotipo e fa riferimento al processo di categorizzazione in quanto tale. Il secondo problema dell’applicazione degli stereotipi alle persone appartenenti ad n gruppo è legato al fatto che raramente gli stereotipi corrispondono a verità. Né potrebbero essere in alcun modo veritieri, dato che è quantomeno improbabile che tutte le persone appartenenti a una categoria sociale possiedano effettivamente gli stessi tratti. Il problema è che, in questi casi, il processo di inferenza circa le caratteristiche dei singoli a partire da quelle della categoria viene potenziato da un secondo processo tipico delle categorizzazione: l’assimilazione intracategoriale. Come si è detto, il fatto di categorizzare alcuni stimoli fa sì che essi vengano percepiti come più simili tra loro di quanto non siano in realtà. Applicato agli esseri umani, questo processo porta a ritenere che tutte le persone inserite in una certa categoria sociale siano simili tra di loro. In definitiva, il processo di classificazione si lega al processo di inferenza e conduce a formulare giudizi che potrebbero non tenere minimamente in considerazione le reali caratteristiche delle persone coinvolte. Esiste un nome per definire questo processo, ed è pregiudizio. Va detto che il pregiudizio non è necessariamente negativo. Certamente è possibile giudicare negativamente una persona solo perchè appartiene a un gruppo sociale discriminato, ma è anche possibile, in teorica, giudicare positivamente una persona in quanto membro di un gruppo la cui immagine è positiva. Non va comunque dimenticato che il pregiudizio può essere drammaticamente negativo. Molte minoranze, molte classi di immigrati, molte etnie sono giudicate negativamente, e

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questa valutazione si ripercuote sui singoli individui che ad esse appartengono. In questi casi, il pregiudizio nei confronti di una categoria sociale si traduce in un comportamento negativo nei confronti di singole persone che ne fanno parte. si parla allora di discriminazione comportamentale. In sintesi, possiamo affermare che la categorizzazione, lo stereotipo e il pregiudizio sono tre elementi di una stessa catena il cui esito, se la secondo anello viene attribuita una valutazione negativa, è la discriminazione. AUTOMATISMI NEL PROCESSO DI CATEGORIZZAZIONE SOCIALE. Gli psicologi sociali si sono posti la domanda se l’attivazione e l’applicazione delle categorie a stimoli sociali sia automatica oppure no. La risposta sembrerebbe essere affermativa: la semplice esposizione ai tratti distintivi di una classe di individui (ad es, il colore della pelle, i fattori legati all’età, il genere sessuale) attiva una categoria corrispondente (a seconda dei casi, le persone di colore, gli anziani, le donne) e, di conseguenza, causa l’attivazione degli stereotipi associati al gruppo. Questo processo può avvenire interamente al di fuori della consapevolezza, senza quindi che vi siano interventi consci da parte delle persone. Proprio per questo si è parlato di attivazione automatica delle categorie e degli stereotipi. Come di può uscire da tali processi automatici? Una soluzione al problema è rappresentata dal fatto che la motivazione a fornire giudizi accurati può in qualche modo ridurre l’applicazione degli stereotipi attivati alle persone con cui si interagisce. D’altra parte, sembra che una motivazione di questo genere possa riguardare soprattutto coloro i quali fanno riferimento a norme sociali di tipo egualitario e non discriminativo. Una via alternativa per ridurre e contrastare i processi automatici fa riferimento al fatto che, in genere, le persone possono essere categorizzate in modi diversi. Sembra che, nel caso in cui siano disponibili due categorie, l’attivazione automatica di una provochi l’inibizione, altrettanto automatica, dell’altra. IL LEGAME TRA STEREOTIPI E COMPORTAMENTI: LE PROFEZIE CHE SI AUTOAVVERANO. Gli stereotipi non sono semplicemente valutazioni di persone appartenenti a categorie sociali; essi sono anche una guida interpretativa per l’elaborazione delle informazioni incontrate nell’ambiente. In particolare, si è rilevato che se le informazioni in entrata sono coerenti con lo stereotipo, la loro codifica avviene in modo immediato, mentre se sono incoerenti viene richiesto uno sforzo cognitivo che ne rallenta l’acquisizione. Quindi, è molto più facile confermare uno stereotipo piuttosto che smentirlo. Possiamo allora concludere che gli stereotipi hanno la capacità di autoalimentarsi in modo automatico. Questo tema si collega a quello più generale del legame tra la formazione di preconcetti, la conseguente attivazione di comportamenti e la conferma delle aspettative iniziali. Tale dinamica è molto importante per gli psicologi sociali, perchè dà luogo, nelle interazioni tra le persone, a vere e proprie profezie che si autoavverano. Lo studio che per primo ha mostrato un fenomeno di questo tipo risale agli anni ’60. In esso, Rosenthal e Jacobson somministrarono ad alcune classi di bambini dei test che in teoria dovevano misurare le potenzialità di un rapido sviluppo cognitivo e intellettivo (vedi p 21). L’attivazione di una precisa aspettativa

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produce comportamenti e atteggiamenti coerenti con essa, che a loro volta sono in grado di produrre le basi per una conferma dell’aspettativa stessa. Va notato come in tale studio l’aspettativa creata fosse esplicita: gli insegnanti, infatti, conoscevano i nomi dei bambini “promettenti”. Cosa succede se le aspettative non sono consapevoli? È possibile che ad avverarsi siano delle profezie sviluppate a livello inconscio? Una prima risposta a queste domande è data dalle ricerche di Bargh, Chen e Burrows (1996), che mostrarono come la formazione di un legame tra stereotipi e comportamenti corrispondenti sia possibile senza che gli individui ne siano minimamente consapevoli (vedi p 21). Dunque, l’attivazione di una categoria provoca l’attivazione di uno stereotipo che, a sua volta, provoca l’attuazione di un comportamento legato al contenuto dello stereotipo stesso. Gli studi dimostrarono che non è necessario che vi sia un’aspettativa esplicita circa il comportamento delle persone. È sufficiente un’attivazione automatica e inconsapevole della categoria perchè lo stereotipo si confermi da sé. E’ POSSIBILE CONTROLLARE I PROCESSI AUTOMATICI?. Le persone dovrebbero sforzarsi consciamente di non utilizzare categorie e stereotipi. Tuttavia, anche questa soluzione può rivelarsi controproducente. Come mostrarono gli studi relativi al tema del controllo mentale, infatti, dopo che si è attuata una soppressione volontaria di alcuni pensieri, ovvero dopo che ci si è sforzati di non pensare a qualcosa, i pensieri precedentemente soppressi tornano in mente più forti di prima, e soprattutto in misura ancor più forte di quanto non sarebbero stati se la soppressione non fosse mai avvenuta. Questo risultato rappresenta un tipico effetto rimbalzo, in cui un’alterazione temporanea di un processo mentale porta, dopo l’apparente ritorno alla normalità, a un’alterazione in direzione contraria. Secondo Wenzlaff e Wegner, la soppressione dei pensieri implica due meccanismi separati: un processo intenzionale e consapevole che dirige l’attenzione verso oggetti «distrattori», ovvero verso stimoli che non sono legati al pensiero da sopprimere, e un processo inconsapevole che ha la funzione di controllare che i pensieri da sopprimere non riescano ad arrivare alla coscienza. La maggior parte degli studi ha trovato la presenza di effetti rimbalzo, detti anche effetti ironici, in due situazioni: o nel momento in cui il tentativo di soppressione termina, o quando, durante il tentativo, vengono richieste altre attività cognitive. In entrambi i casi, il processo che porta agli effetti ironici sembra essere lo stesso: l’arresto del meccanismo inconsapevole di controllo, che quindi continua a sensibilizzare la mente verso i pensieri da sopprimere. Questi, dunque, risulterebbero attivati senza che nulla intervenga per eliminarli. In sostanza, gli effetti ironici sembrano essere il risultato di un processo “monco”, il cui esito è, paradossalmente, l’attivazione del pensiero che in teoria doveva essere soppresso. Applicato all’ambito degli stereotipi, questo processo fa sì che, qualora ci si sforzi di non esprimere pensieri e comportamenti pregiudiziali, se poi si vengono a creare situazioni in cui tale sforzo viene interrotto, i pregiudizi torneranno più forti di prima. È possibile in qualche modo uscire da questo circolo vizioso? Sembrerebbe proprio che, dato il funzionamento della mente umana, l’unica possibilità di successo sia

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legata all’attivazione di un opposto circolo virtuoso. In altre parole, dato che la categorizzazione e l’attivazione degli stereotipi sembrano essere effettivamente automatici, l’unico modo per non arrivare al pregiudizio è trasformare lo stereotipo da negativo a positivo. Risultati a conferma di questa ipotesi sono stati riportati da Lepore e Brown (vedi p 24). LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE DEL SE’. IL SE’ COME OGGETTO DI CATEGORIZZAZIONE. Le persone, così come classificano gli oggetti e gli altri esseri viventi, possono categorizzare anche se stesse. A quale scopo? In primo luogo la categorizzazione è connessa a un processo di etichettamento. L’etichetta “io”, assegnata all’insieme di tutti i nostri processi mentali, al nostro corpo, al nostro ruolo sociale e alle relazioni che intercorrono fra tutti questi elementi, serve a dare agli individui un senso di continuità riguardo a se stessi e alla propria esistenza. Senza questo tipo di stabilità, la nostra vita sarebbe intollerabile. Oltre al processo di etichettamento, applichiamo a noi stessi anche quello dell’inclusione in classi. Una volta che viene attivata una certa categoria sociale, infatti, il sè può essere o meno inserito al suo interno. Qualora il sé venga inserito in una classe di individui, questa diviene un «gruppo di appartenenza», o ingroup. Se il sé non vi è inserito, invece, la classe diviene un «gruppo estraneo», o outgroup. Va sottolineato come la categorizzazione sociale del sé, ovvero l’inclusione di se stessi in un gruppo sociale, non sia necessariamente un’operazione volontaria e spontanea (vedi p 26). Comunque sia, al di là che si tratti di un processo volontario o di un imposizione dall’esterno, è certo che la categorizzazione sociale del sé ha una funzione fondamentale nella vita degli individui. Il fatto di essere inclusi in particolari gruppi piuttosto che in altri definisce chi siamo, sia agli occhi di chi ci circonda, sia ai nostri. In questo modo si crea e definisce il ruolo di una persona all’interno della società. IL SE’ E L’ASSIMILAZIONE INTRACATEGORIALE: LE PERCEZIONI DI OMOGENEITA’ NEI GRUPPI. Il processo di categorizzazione conduce a due importanti effetti percettivi e valutativi: l’assimilazione intracategoriale e la differenziazione intercategoriale. Il processo di assimilazione intracategoriale sembra portare, nel caso di coinvolgimento diretto del sé, a un risultato asimmetrico. In letteratura, infatti, si è più volte rilevato che i gruppi di appartenenza vengono percepiti meno omogenei al loro interno rispetto ai gruppi estranei. Questo risultato è così diffuso da aver assunto un nome specifico: effetto di omogeneità dell’outgroup. Da cosa può dipendere un effetto di questo tipo? Sono state fornite molte spiegazioni, soprattutto legate al fatto che, per ovvie ragioni, abbiamo una conoscenza decisamente migliore dell’ingroup che dell’outgroup e, quindi, siamo in grado di apprezzare molte più differenze all’interno del primo che all’interno del secondo. Tuttavia, recenti studi hanno mostrato che l’effetto dipende soprattutto da un processo di categorizzazione del sé. In generale noi non tendiamo a percepirci sempre come appartenenti a gruppi sociali. Questo perchè noi viviamo all’interno dei nostri ingroup, per cui non sempre siamo consapevoli della loro presenza e importanza; quindi il sé non viene inserito in un

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ingroup, che quindi non viene attivato come categoria sociale. di conseguenza, al suo interno non si verifica il processo di assimilazione intracategoriale, e le persone che ne fanno parte non vengono percepite come simili tra loro. Per quanto riguarda l’outgroup, invece, il discorso è diverso. L’outgroup, infatti, per definizione viene sempre visto dall’esterno, dato che è un gruppo in cui il sé non è incluso. Essendo osservato dall’esterno, viene facilmente percepito come una categoria, come un gruppo. Pertanto, all’interno dell’outgroup viene sempre attivato il processo di assimilazione intracategoriale, e i suoi membri vengono percepiti come omogenei tra di loro. In definitiva, possiamo affermare che in condizioni normali esiste tra ingroup e outgroup un processo asimmetrico di assimilazione intracategoriale: tale processo avviene all’interno del secondo, ma non del primo. Questo porta a percepire l’outgroup come più omogeneo dell’ingroup. La conseguenza è che le persone tendono ad applicare stereotipi e pregiudizi più alle persone appartenenti ai gruppi estranei (che sono tutte uguali tra loro), che non alle persone appartenenti all’ingroup (che sono tutte diverse tra loro). La dimostrazione che l’effetto di omogeneità dell’outgroup è legato alla categorizzazione sociale del sé viene proprio da quelle situazioni in cui la nostra appartenenza di gruppo diviene saliente. Quando si verificano queste situazioni particolari, ingroup e outgroup tendono ad essere percepiti ugualmente omogenei al loro interno. Il motivo di questa percezione è che in tali situazioni il sé viene categorizzato e inserito all’interno dell’ingroup. L’ingroup viene allora attivato come categoria sociale e, quindi, viene attivato il processo di assimilazione intracategoriale. La conclusione di questo processo è che l’ingroup nel suo complesso viene percepito come omogeneo al suo interno e, di conseguenza, l’effetto di omogeneità dell’outgroup scompare. In questi casi è allora possibile che, così come all’outgroup, anche all’ingroup vengano applicati stereotipi e pregiudizi. Tuttavia, è probabile che i giudizi relativi all’ingroup siano positivi, mentre quelli sull’outgroup siano ricchi di connotazioni negative. IL SE’ E LA DIFFERENZIAZIONE INTERCATEGORIALE: IL FAVORITISMO PER L’INGROUP. La tendenza a giudicare l’ingroup più positivamente dell’outgroup prende il nome di favoritismo per l’ingroup. Questo fenomeno sembra dipendere dall’altro processo inerente alla categorizzazione, ovvero la differenziazione intercategoriale. Il processo di differenziazione intercategoriale, in realtà, avrebbe come unica conseguenza l’accentuarsi delle differenze tra categorie. Quindi, senza che intervengano altri fattori, si dovrebbe trovare che l’ingroup viene percepito diverso dall’outgroup, non che l’ingroup viene giudicato migliore dell’outgroup. Va notato che non sempre è facile trovare delle dimensione in cui il proprio gruppo sia migliore degli altri. A conferma del fatto che il favoritismo per l’ingroup è un processo basilare nelle percezioni sociali, però, si nota che quando è necessario tali dimensioni vengono appositamente create. Spesso nella società qualsiasi gruppo ha almeno una dimensione in cui può essere migliore degli altri. Il favoritismo per

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l’ingroup porta i membri di un gruppo a enfatizzare il peso di questa dimensione nel confronto con gli altri. Bisogna tener presente che il favoritismo per l’ingroup non prende sempre una forma offensiva verso gli altri gruppi; l’outgroup può essere valutato ad esempio in modo positivo oppure in maniera neutrale. Proprio per distinguere tra queste diverse modalità di favoritismo, Brewer ha proposto i concetti di amore per l’ingroup e odio per l’outgroup. Secondo questa autrice, le forme di favoritismo più diffuse nella nostra società prevedono l’amore per l’ingroup, ma non richiedono l’odio per l’outgroup. Quest’ultimo rappresenta una forma estrema di pregiudizio, che può verificarsi ad esempio quando il gruppo estraneo minaccia i valori, o il modo di vivere, o l’esistenza stessa del gruppo di appartenenza. LA DISCONTINUITA’ INDIVIDUO-MEMBRO DI GRUPPO. Pregiudizio e stereotipi sono due facce della stessa medaglia: il fatto di formulare un giudizio su una persona prima di averla realmente conosciuta, ovvero il pregiudizio, è possibile assegnando alla persona delle caratteristiche associate al gruppo a cui essa appartiene, ovvero attribuendole delle caratteristiche stereotipiche. Questo processo, che come si è visto sembra avvenire generalmente in modo automatico, senza l’intervento della consapevolezza, può avere un esito positivo o negativo, a seconda dello stereotipo stesso: se lo stereotipo è formato da caratteristiche positive, allora la persona sarà giudicata favorevolmente; se invece le caratteristiche sono prevalentemente negative, il giudizio sulla persona sarà sfavorevole. Il favoritismo per l’ingroup subentra quando il sé risulta direttamente coinvolto nel processo di categorizzazione. Tale coinvolgimento permette di prevedere l’esito della catena categorizzazione – attivazione dello stereotipo – pregiudizio. Fondamentalmente, se la persona giudicata appartiene allo stesso gruppo dell’individuo giudicante, allora è probabile che lo stereotipo attivato sia favorevole e che questo conduca ad una forma positiva di pregiudizio. Se, invece, l’individuo giudicante si categorizza all’interno di un gruppo e giudica persone appartenenti a gruppi diversi, è probabile che lo stereotipo attivato sia meno favorevole e che il pregiudizio assuma quindi una connotazione negativa. Quindi, il coinvolgimento del sé nella categorizzazione assegna una direzione precisa al processo che dall’attivazione dello stereotipo porta al pregiudizio. Per questo, alcuni autori hanno parlato di una discontinuità, di una differenza qualitativa tra giudizi formulati da un individuo che si percepisce come singolo e un individuo che si considera membro di un gruppo sociale. L’APPARTENENZA A GRUPPI SOCIALI. «Nessun uomo è un isola» affermava John Donne. IL BISOGNO DI APPARTENENZA. Cosa spinge le persone ad associarsi in gruppi? Secondo Baumeister e Leary, gli esseri umani hanno una spinta istintiva a formare e mantenere delle relazioni interpersonali durature, positive e significative. Sembra che in noi sia presente un bisogno di un contatto sociale regolare con persone verso cui sentiamo un particolare legame. Da dove nasce questo bisogno?

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SPIEGAZIONI EVOLUZIONISTICHE DEL BISOGNO DI APPARTENENZA. John Bowlby è lo studioso che più ha indagato i processi di attaccamento nei bambini. Secondo questo autore, l’attaccamento ai genitori è un elemento fondamentale per la sopravvivenza dei piccoli esseri umani. Il bambino che sviluppa un attaccamento nei confronti di chi si prende cura di lui ha molte più probabilità di sopravvivere rispetto ad un bambino che non sviluppa tale sentimento. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che, al di là di cibo e cure, i piccoli esseri umani hanno bisogno di protezione dall’ambiente esterno. Secondo questo aproccio teorico, la formazione dei gruppi sociali farebbe riferimento proprio a un sistema di attaccamento verso gli altri, sviluppatosi nel corso dell’evoluzione umana. Quindi, il fatto di identificarsi con gruppi etnici, nazioni, confessioni religiose, organizzazioni lavorative e così via, rispecchierebbe il legame tra il bambino e la madre, e dunque si baserebbe sulla creazione di una connessione tra l’individuo e il leader del gruppo. Tuttavia , non si può negare che esista una necessità evolutiva che va oltre la sopravvivenza del bambino, del legame con i genitori e dell’identificazione tra le figure genitoriali e i leader dei gruppi. Non va dimenticato, infatti, che cos’ come il bambino non può sopravvivere senza le cure di chi lo accudisce, allo stesso modo l’individuo adulto non ha molte probabilità di sopravvivenza al di fuori del suo gruppo sociale. il motivo di questa «dipendenza» è spiegato da Linnda Caporael (1997) nel suo approccio evoluzionistico alla psicologia sociale. Secondo questa autrice, la storia evolutiva dell’uomo è caratterizzata dalla presenza costante dei gruppi. Gli uomini non si sono mai relazionati direttamente con l’ambiente fisico, ma sempre attraverso la mediazione, il filtro, l’interfaccia del gruppo sociale. le aggregazioni umane, infatti, permettono ai singoli la divisione dei compiti, così come l’aiuto e la cooperazione reciproci, ad esempio nella cura dei bambini e nel procacciamento del cibo. Inoltre, permettono la distribuzione delle cognizioni necessarie per interagire nel modo migliore con l’ambiente esterno: ad esempio il ricordo condiviso degli eventi pericolosi, che vanno evitati, o le modalità di comportamento per ottenere il cibo in modo efficiente. Tutto questo ha indubbiamente favorito la sopravvivenza del genere umano, permettendo anche la creazione di mansioni e compiti non strettamente legati alla sopravvivenza fisica e, in ultima analisi, consentendo lo sviluppo delle civiltà umane. Il risultato ultimo di questo processo evolutivo è stata la creazione di una interdipendenza obbligatoria: un essere umano, per sopravvivere, ha bisogno di altri esseri umani. Questo perché le sue cognizioni, i suoi comportamenti, la sua sicurezza sono stati “ programmati “, dal processo evolutivo, per funzionare in mezzo agli altri, e non in isolamento.

La conclusione di questo breve excursus evoluzionistico è che l’uomo ha bisogno di appartenere a un gruppo sociale. Addirittura, si può affermare che l’appartenenza al gruppo è una caratteristica intrinseca della razza umana. Pertanto, viene immediato ipotizzare che esistano dei meccanismi mentali, sviluppati nel corso dell’evoluzione, che hanno la precisa funzione di favorire l’inserimento degli individui nei gruppi sociali: le emozioni positive associate al fatto di essere accettati dal gruppo, così come le emozioni negative che si provano quando gli altri ci rifiutano, le tendenze

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comportamentali legate al sostegno da richiedere e da offrire agli altri, particolari sentimenti come l’altruismo e la lealtà. Per funzionare correttamente, tuttavia, questi meccanismi hanno bisogno di un prerequisito fondamentale: il fatto che gli esseri umani siano dotati della capacità cognitiva di percepire se stessi come membri di un gruppo piuttosto che come singoli individui. Questa capacità fa riferimento a un concetto chiave nella moderna psicologia sociale: l’identità sociale. IL LEGAME TRA IL SE’ E IL GRUPPO: LA TEORIA DELL’IDENTITA’ SOCIALE. Negli anni Sessanta, le spiegazioni su quali fossero le caratteristiche che facevano di un semplice aggregato di persone un vero e proprio gruppo sociale erano piuttosto diversificate. L’ipotesi più accreditata è che un gruppo nascesse dalle interazioni interpersonali e fosse il risultato di un processo di progressivo avvicinamento e apprezzamento reciproco. Tuttavia, una simile ispirazione poteva essere applicata solo a gruppi di individui che si conoscevano personalmente. Restavano invece inspiegabili quei processi che coinvolgono, ad esempio, intere nazioni, o etnie, o gruppi religiosi. Henry Tajfel, uno studioso europeo che a causa delle sue origini ebraiche aveva, durante la seconda guerra mondiale, saggiato di persona cosa significhi essere categorizzato in un gruppo sociale, riteneva che le spiegazioni basate sulle interazioni interpersonali non fossero soddisfacenti. Per questo, elaborò un programma di ricerca con l’intento di scoprire quale fosse il fattore determinante per la formazione di un gruppo sociale. Progettò quindi una serie di studi in cui avrebbe manipolato, una ad una, la presenza di alcune variabili ritenute fondamentali nella psicologia sociale dell’epoca: la coesione tra i membri, le loro relazioni interpersonali, il fatto di svolgere un compito in comune e così via. Il primo studio doveva analizzare il processo base di categorizzazione sociale, al quale negli studi successivi sarebbero state sovrapposte, una a una, le variabili suddette. GLI ESPERIMENTI DEI GRUPPI MINIMALI. (vedi pp 37-38) Con grande sorpresa dello stesso Tajfel, tuttavia, il programma di ricerca terminò prima ancora di cominciare: già nella situazioni minimale appena descritta, infatti, i partecipanti tendevano ad assegnare più denaro ai membri dell’ingroup che ai membri dell’outgroup. Quindi, la semplice distinzioni in due gruppi era stata sufficiente a produrre discriminazione. In altre parole, era stato sufficiente un semplice processo di categorizzazione sociale per creare due gruppi psicologicamente rilevanti. La portata di questo risultato fu chiara fin dal principio. Si era sempre pensato che il pregiudizio e la discriminazione fossero dei fenomeni «malati», il frutto di ragionamenti distorti e di deviazioni mentali. Con l’esperimento dei gruppi minimale, invece, si scopriva che tali fenomeni sono assolutamente normali, e sono la diretta conseguenza delle modalità di funzionamento della mente umana. Restava a questo punto da capire perché la categorizzazione producesse discriminazione. La spiegazione proposta da Tajfel fu la seguente. IL CONCETTO DI IDENTITÀ SOCIALE. Quando gli individui vengono categorizzati in gruppi sociali, diviene saliente un particolare tipo di identità, detta identità sociale. Essa è definita come quella parte dell’immagine che una persona ha

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di sé derivante dalla consapevolezza di appartenere a un gruppo sociale, unita alle emozioni associate a tale appartenenza e alla valutazione data al gruppo stesso. In altre parole. quando la persona sente di appartenere a un gruppo sociale, in lei si verifica un processo cognitivo e motivazionale che prende il nome di identificazione. L’identificazione con un gruppo porta innanzitutto la persona a percepirsi cognitivamente come membro del gruppo, ovvero la porta a categorizzare se stessa all’interno del gruppo. In secondo luogo, subentrano gli aspetti affettivi dell’appartenenza: la persona, ad esempio, può sentirsi emotivamente legata agli altri membri del gruppo, o anche all’idea stessa di fa parte di esso. Infine, la persona deduce la valutazione di se stessa come positiva o negativa, come apprezzabile o meno, dalla valutazione dell’intero gruppo: se, infatti, il gruppo è valutato positivamente, allora lo sono anche tutti i suoi membri. Questo ultimo punto è molto importante: gli individui che sono identificati con un gruppo derivano il loro valore, la loro autostima, dal valore del loro gruppo di appartenenza. Quanto più il gruppo di appartenenza è giudicato positivamente, tanto più lo è il sé. Come si stabilisce se il valore di un gruppo è positivo o negativo? Nella teoria dell’identità sociale si ritiene che il processo chiave sia il confronto sociale, ovvero la comparazione delle caratteristiche del proprio gruppo con quelle di altri gruppi presenti nell’ambiente. Dato che, almeno nelle culture occidentali, le persone hanno un naturale bisogno di percepirsi in modo positivo, in altre parole ricercano generalmente un’elevata autostima, tale confronto tenderà ad essere «viziato», in modo da valorizzare l’ingroup e, di conseguenza, tutti i suoi membri. In sintesi, il processo di categorizzazione sociale, una volta applicato al sé, porta alla salienza dell’identità sociale. La salienza dell’identità sociale crea un collegamento tra il destino del sé è quello del gruppo. Proprio in funzione di questo legame, data la naturale predisposizione degli individui a ricercare un’immagine di sé positiva, il successivo processo di confronto sociale sfocia in valutazioni più positive per l’ingroup piuttosto che per l’outgroup. Dunque, sfocia in fenomeni di pregiudizio e discriminazione. Il motore che rende possibile questo processo e l’identificazione con l’ingroup, ovvero la salienza dell’identità sociale. Il carburante che fa funzionare il motore è, invece, il bisogno di un’autostima positiva. L’IMPORTANZA DEL CONTESTO SOCIALE. Questo ragionamento, comunque, non ci deve portare a concludere in modo semplicistico che secondo la teoria dell’identità sociale l’identificazione con l’ingroup conduce sempre al pregiudizio. Tale processo avviene solo in determinate condizioni, caratterizzate da una forte rilevanza, per gli individui, del gruppo di appartenenza e dalla percezione che il gruppo estraneo coinvolto sia effettivamente un importante termine di confronto. In generale, secondo Tajfel è importante che le percezioni psicologiche degli individui siano sempre contestualizzate, e cioè sempre considerate nella specifica situazione sociale in cui sorgono e si sviluppano. Naturalmente Tajfel era perfettamente consapevole che non tutti i contesti sociali sono caratterizzati da una forte identificazione con i gruppi. Per questo, egli propose un continuum di situazioni, che va dall’estremo interpersonale a quello intergruppi, al cui interno si posizionano tutti i contesti che gli umani affrontano nella loro vita

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sociale. All’estremo interpersonale gli individui si comportano come singoli, senza tenere in considerazione le loro appartenenze sociale. Anche gli altri saranno percepiti come singoli, non in quanto elementi di una categoria. Allora, le relazioni tra persone saranno determinate da gusti e somiglianze personali, e i gruppi di appartenenza non rivestiranno alcuna importanza. In modo interessante, Tajfel riteneva che questo estremo fosse unicamente teorico, irrealizzabile nella realtà. In effetti, le indagini circa la natura sociale della nostra mente, circa l’influenza costante che gli altri, reali o simbolici, hanno su di noi, indicano che l’uomo, quando interagisce con un suo simile, non può eliminare del tutto l’utilizzo delle categoria e degli strumenti concettuali che a esse fanno riferimento. All’estremo intergruppi le persone si identificano con un ingroup, e trattano gli altri in base alla loro appartenenza sociale. In questo caso le caratteristiche personali dei singoli saranno del tutto ignorate e le interazioni, i giudizi, i comportamenti delle persone saranno guidate dagli stereotipi attribuiti ai gruppi. In particolare, in base al processo di assimilazione intracategoriale, i membri dei gruppi saranno percepiti come simili tra loro e trattati come elementi indifferenziati dalla rispettiva categoria di appartenenza. È evidente come, in una situazione di questo tipo, il pregiudizio e la discriminazione siano costantemente in agguato. Questo estremo, purtroppo, è molto più realistico del precedente: qualsiasi situazione di guerra o di scontro tra gruppi diversi e da considerarsi puramente intergruppi. La teoria di Tajfel, in definitiva, è utilissima per gli psicologi sociali, perché è in grado di spiegare in che modo il semplice processo di categorizzazione porta all’attivazione di stereotipi negativi nei confronti dell’outgroup e, quindi, al pregiudizio. La causa di questo fenomeno è il legame che si instaura tra il sé e un particolare gruppo di appartenenza, legame che viene riassunto nel costrutto di identità sociale. Se, infatti, è stato dimostrato che l’identificazione con un determinato gruppo può portare a fenomeni di favoritismo e di pregiudizio, resta da chiarire quali sono i motivi che spingono una persona a identificarsi con un particolare gruppo sociale piuttosto che con un altro. TEORIE MOTIVAZIONALI NELL’APPARTENENZA. IL BISOGNO DI AUTOSTIMA È L’APPARTENENZA DI GRUPPO: DUE COROLLARI DELL’IDENTITÀ SOCIALE. Abrams e Hogg, ispirandosi agli assunti principali della teoria dell’identità sociale, hanno proposto due ipotesi supplementari, o corollari, legate al ruolo dell’autostima. Il primo corollario, strettamente connesso alla teoria originale, afferma che fenomeni di favoritismo per l’ingroup portano ad un aumento dell’autostima delle persone, dato che l’immagine positiva dell’ingroup si trasferisce ai suoi singoli membri. Il secondo corollario, invece, sostiene che le persone con bassa autostima saranno spinte, proprio allo scopo di raggiungere una migliore immagine di se stessi, a favorire l’ingroup. È proprio questa seconda ipotesi che può guidare nella comprensione dell’origine dell’identificazione con un gruppo piuttosto che con un altro. La prima conclusione a cui si può giungere a tale proposito è scontata: le persone cercheranno di appartenere a gruppi di valore positivo. La seconda conclusione è meno immediata, ma più interessante: saranno soprattutto le persone con bassa

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autostima a essere propense a identificarsi con gruppi giudicati positivamente. Va detto come la validità di questa ipotesi non sia mai stata realmente verificata. In conclusione, tuttavia, va sottolineato come legare il bisogno di appartenenza a gruppi sociali a una semplice ricerca di autostima possa essere piuttosto riduttivo: le persone che si aggregano in gruppi non hanno certo tutte una bassa stima di sé, ne si può dire che tutte le persone in difficoltà cerchino nel gruppo sociale un modo per migliorare la propria condizione. Tuttavia, queste considerazioni non minano l’importanza della teoria dell’identità sociale nello studio dei processi psicosociali che caratterizzano le relazioni tra i gruppi. La sua influenza sulla psicologia sociale intergruppi è tuttora viva e forte. IL BISOGNO DI SICUREZZA: LA TEORIA DELLA RIDUZIONE DELL’INCERTEZZA SOGGETTIVA. Secondo la teoria della riduzione dell’incertezza soggettiva, la vita sociale degli individui è caratterizzata dal tentativo di soddisfare un bisogno fondamentale: il bisogno di certezze. L’incertezza relativa ai propri atteggiamenti, credenze, sentimenti e percezione, così come riguardo a sé stessi e al proprio ruolo nella società, è uno stato psicologico negativo, perché in ultima analisi è legata alla perdita di controllo sulla propria vita. Il problema è cercare di ridurre l’incertezza. La soluzione, in particolari circostanze, è proprio l’appartenenza di gruppo. I gruppi sociali, infatti, forniscono ai loro membri un sistema di valori, di informazioni sul mondo, di stereotipi sugli altri. In altre parole, forniscono una realtà convenzionale condivisa che, proprio perché convalidata socialmente, risulta rassicurante e convincente. Per questo, secondo la teoria della riduzione dell’incertezza, quanto più le persone saranno incerte riguardo ai propri atteggiamenti, alle proprie credenze, al proprio ruolo nella società, tanto più cercheranno certezze all’interno dei gruppi sociali. È interessante notare come tale teoria sia stata utilizzata per spiegare anche i risultati ottenuti negli esperimenti dei gruppi minimali, descritti nella sezione dedicata alla teoria dell’identità sociale. Una recente conferma di questa interpretazione viene da un esperimento condotto da Grieve e Hogg (vedi pp 45-46). In definitiva, erano state create quattro diverse condizioni sperimentali: condizione di incertezza con categorizzazione, condizione di incertezza senza categorizzazione, condizione senza incertezza con categorizzazione e condizione senza incertezza senza categorizzazione. I risultati mostrarono come l’unica condizioni in cui si verificava favoritismo per l’ingroup era proprio quella prevista dagli autori: la condizione di incertezza con categorizzazione. Quindi, in presenza di categorizzazione e quando vi era attivazione del bisogno di ridurre l’incertezza, gli individui tendevano a giudicare l’ingroup più positivamente dell’outgroup. In modo interessante, questa era anche la condizione in cui l’identificazione era più elevata, confermando quindi il fatto che il bisogno di ridurre l’incertezza spinge a identificarsi con un gruppo sociale. In definitiva, i risultati di questo studio dimostrarono come l’identificazione di gruppo e il favoritismo per l’ingroup non dipendano semplicemente dal processo di categorizzazione, ma dalla categorizzazione in una situazione di incertezza soggettiva. Tuttavia, tali risultati non sembrano del tutto definitivi. L’ipotesi

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proposta, quindi, è che le persone tenderanno a identificarsi maggiormente con quei gruppi che forniscono ai loro membri regole e certezze sul modo corretto di comportarsi e di valutare la realtà. La dimostrazione sperimentale appena citata, tuttavia, utilizza una manipolazione molto più povera: semplicemente, i partecipanti si trovano di fronte a un compito che non sanno bene come eseguire e, reagendo a questa situazione, si rifugiano nell’unico gruppo che il contesto sperimentale mette a loro disposizione. Quindi, sembra essere presente un certo scollamento tra la concettualizzazione teoriche e la verifica empirica. Va comunque sottolineato come quest’osservazione critica non si riferisca alla validità della teoria, che al contrario offre interessanti spunti di riflessione, né all’importanza dei risultati ottenuti sperimentalmente; si riferisce invece al fatto che spesso, in ambito psicologico, la verifica in laboratorio di complesse teorie psicosociali non riesce a rendere giustizia alla ricchezza dei loro assunti. L’EQUILIBRIO TRA IL BISOGNO DI ASSIMILAZIONE E IL BISOGNO DI DIFFERENZIAZIONE: LA TEORIA DELLA DISTINTIVITÀ OTTIMALE. Da quanto detto finora, potrebbe sembrare che l’appartenenza di gruppo sia un processo assolutamente desiderabile e positivo: soddisfa il bisogno di autostima delle persone, fornisce loro certezze e sicurezze e, per di più, si lega a un processo filogenetico necessario per la sopravvivenza stessa degli individui. Tuttavia, le nostre esperienze quotidiane ci dicono che sentirsi eccessivamente inseriti in gruppi sociali può talvolta dare luogo a sensazioni spiacevoli, di omologazione, di grigia uniformità.

La teoria della distintività ottimale, proposta da Marilynn Brewer nel 1911, parte proprio da questa apparente contraddizione, che sembra caratterizzare la vita sociale delle persone: da un lato, infatti, percepiamo chiaramente la necessità di appartenere a un gruppo sociale, dall’altro sentiamo forte il desiderio di evitare il totale conformismo. Secondo Brewer, quindi, gli esseri umani si trovano nella difficile situazione di dover soddisfare due bisogni tra loro opposti. Il primo è il bisogno di assimilazione. Essere totalmente isolati, infatti, rappresenta uno stato psicologico negativo. Si è visto che le ragioni di questo fatto sono diverse: fondamentalmente, il bisogno di stare con gli altri sembra essere intrinseco alla natura umana; in secondo luogo, le persone hanno bisogno che le loro opinioni, i loro comportamenti, le proprie percezioni siano convalidate dagli altri. Vedere come agiscono e pensano gli altri e, eventualmente, conformarsi a essi, è rassicurante: dà un senso di sicurezza sapere che altri pensano e agiscono come noi. D’altra parte, se l’essere isolati, separati dagli altri, è indesiderabile, anche il fatto di essere troppo simili a altre persone crea una situazione di disagio psicologico. In questi casi, infatti, si attiva il bisogno di differenziazione. A tale proposito si è parlato, in vari ambiti della psicologia, di bisogno di unicità, o di crisi di originalità. Il concetto espresso è comunque sempre lo stesso: noi non vogliamo confonderci del tutto con gli altri, vogliamo mantenere un certo livello di originalità. Questo bisogno ha probabilmente un’origine culturale: in una società dove emergere dalla massa, esseri unici e vincenti sono valori che vengono trasmessi a tutte le età e da tutti i mass

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media, sapere di essere del tutto uguali ad altre persone crea uno stato psicologico spiacevole, perché impedisce di esprimere pienamente sé stessi e la propria individualità. Gli esseri umani, secondo Brewer, cercano continuamente di raggiungere un equilibrio tra questi due bisogni. La cosa non è facile, visto che essi sono uno all’opposto dall’altro e che sia il mancato soddisfacimento, sia l’eccessiva soddisfazione di ognuno di essi dà luogo a stati psicologici negativi. Secondo la teoria, le persone possono sperare di raggiungere un equilibrio tra i due bisogni solo all’interno di particolari gruppi sociali. I gruppi troppo ampi non sono adatti, perché l’individuo al loro interno rischierebbe di perdersi, di scomparire. L’anomia sociale delle grandi società è un esempio di tale rischio. In questo caso, dunque, non verrebbe soddisfatto il bisogno di differenziazione, ma solo quello di assimilazione. D’altra parte anche in gruppi troppo limitati, composti da poche persone, non sono funzionali: se, infatti, permettono ai loro membri di essere diversi dagli altri, certo non soddisfano appieno il bisogno di assimilazione. Secondo Brewer, quindi, i gruppi ideali sono quelli di dimensioni intermedie, che permettono ai loro membri di sentirsi appartenenti a un gruppo, senza essere tuttavia omologati a una più ampia collettività. L’appartenenza ai gruppi di dimensioni intermedie, dunque, permette a chi vi appartiene di raggiungere una distintività ottimale, che combina il sentirsi parte di un ambiente sociale e il sentirsi, al contempo, diversi dalla massa. La teoria di Brewer è stata recentemente verificata da Pickett, Silver e Brewer in una ricerca sperimentale (cedi pp 49-50). Nonostante questa conferma, tuttavia, non si può ignorare una certa rigidità della teoria. In essa si afferma che gruppi con cui le persone tendono a identificarsi sono di dimensioni né troppo ampie né troppo ridotte. Tuttavia, come Tajfel ha chiaramente dimostrato, l’identificazione con un gruppo è un fenomeno che non ha confini precisi, coinvolgendo ingroup che vanno dalla cerchia di amici a intere nazioni o etnie. In certe occasioni ci si può identificare effettivamente con gruppi di medie dimensioni, ma in altre situazioni ci si può facilmente sentire membri di ampie categorie sociali. LE BASI COGNITIVE DELLA DINAMICA TRA ASSIMILAZIONE E DIFFERENZIAZIONE: LA TEORIA DELLA CATEGORIZZAZIONE DI SÉ. Dall’analisi delle teorie finora considerate possiamo concludere che le persone tendono a considerarsi come membri di gruppo, quindi come simili agli altri, ma al contempo vogliono mantenere una certa distintività che le renda diverse dagli altri. Com’è possibile, da un punto di vista cognitivo, supportare simultaneamente queste due percezioni? La teoria della categorizzazione di sé, proposta nel 1987 da John Turner, un allievo di Tajfel, si occupa precisamente di questo problema. I LIVELLI DI CATEGORIZZAZIONE DI SÉ. Nella teoria di Tajfel s’ipotizzava che l’inserimento del sé in una categoria sociale fosse un fenomeno legato unicamente alle particolari situazioni in cui le appartenenze di gruppo sono molto salienti. È proprio per definire questo fenomeno che fu introdotto il costrutto d’identità sociale. Nella teoria di Turner, invece, non si parla d’identità sociale, ma di livelli di categorizzazione di sé. Secondo questo autore, infatti, gli individui

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categorizzano sempre e comunque se stessi, solo che questo processo può avvenire a diversi livelli di inclusività. Il livello meno inclusivo è quello personale, individuale, in cui le persone si percepiscono come singoli individui, contrapponendosi e confrontandosi con le altre persone. Il risultato è un innegabile senso di unicità, che ci permette di considerarci veramente distinti e diversi da tutte le persone che conosciamo. Il livello maggiormente inclusivo è quello umano, in cui tutti gli esseri umani vengono inseriti in un’unica categoria. Tra questi due estremi si pongono tutte le possibilità di categorizzazione sociale che danno luogo a una distinzione tra un ingroup e un outgroup. La persona, in questi casi, si categorizza insieme ad altre persone e in contrapposizione con altre ancora. Ad esempio, possiamo categorizzarci come uomini piuttosto che come donne, come giovani piuttosto che come anziani. Queste categorizzazioni tendono a suddividere il genere umano in poche classi, e sono dunque molto inclusive, o ampie. D’altra parte, è possibile categorizzare se stessi e gli altri in una contrapposizione ingroup-outgroup anche a livelli meno inclusivi: ad esempio come studenti di psicologia piuttosto che come studenti di scienze politiche, o come italiani piuttosto che francesi e così via. Fondamentalmente, secondo Turner, tutte le possibili categorizzazione sociali “intermedie”, ovvero quelle che si posizionano fra i due estremi descritti precedentemente (singoli individui da una parte e genere umano dall’altra), sono caratterizzate da una compresenza di somiglianze e differenze tra persone. Le somiglianze vanno ricercate all’interno dell’ingroup, le differenze tra membri dell’ingroup e membri dell’outgroup. In altre parole, applicherò a me stesso e agli altri individui coinvolti i processi tipici della categorizzazione, ovvero l’assimilazione intracategoriale e la differenziazione intercategoriale. Una volta spiegato il meccanismo sottostante alla categorizzazione del sé e degli altri, possiamo finalmente rispondere ad una domanda che ci siamo posti più volte in questo capitolo: quale, tra le diverse appartenenze a disposizione in un particolare contesto sociale, sarà quella prescelta? LA DINAMICA TRA ACCESSIBILITÀ E ADEGUATEZZA. Secondo Turner non esistono gruppi sociali che, per principio, siano preferiti ad altri. I gruppi a cui si sente di appartenere variano a seconda del contesto specifico in cui ci si trova. È il contesto, infatti, che rende saliente un’appartenenza piuttosto che un’altra. In particolare, la salienza di una categoria in una determinata situazione dipende dalla combinazione di due fattori: l’accessibilità della categoria stessa e la sua adeguatezza nello spiegare gli stimoli ambientali. L’accessibilità è la prontezza con cui una data categoria viene attivata nella mente delle persone. Secondo Turner, essa dipende in primo luogo dal fatto che sentirsi parte di quel determinato gruppo risulta importante nella definizione di sé. D’altra parte, l’accessibilità dipende anche dal fatto che la categoria in questione sia o meno rilevante nel contesto specifico. Dunque, l’accessibilità di una categoria si riferisce sia ad aspetti legati alla preferenza personale per certi gruppi piuttosto che per altri, sia a fattori di tipo contestuale. L’adeguatezza di una categoria, invece, fa riferimento al grado in cui la categorizzazione impiegata è adatta a spiegare le differenze tra gli

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stimoli presenti nell’ambiente. L’adeguatezza è massima se le differenze all’interno dell’ingroup sono notevolmente inferiori rispetto alle differenze tra ingroup e outgroup. Per operazionalizzare in modo preciso questo concetto, Turner ha proposto il rapporto di metacontrasto, definito come rapporto tra le differenze medie percepite tra ingroup e outgroup e le differenze medie percepite all’interno dell’ingroup. Inizialmente si calcolano le differenze medie esistenti tra gli elementi di una categoria e quelli dell’altra. Queste sono le differenze intercategoriali. Quindi si calcolano le differenze medie all’interno della categoria-ingroup, che rappresentano le differenze intracategoriali. Si calcola allora il rapporto tra differenze intercategoriali e differenze intracategoriali. Più alto è il rapporto ottenuto, più la categorizzazione sarà adeguata e, di conseguenza applicata agli stimoli. A questo punto, subentreranno i processi di assimilazione intracategoriale e differenziazione intercategoriale, che enfatizzeranno le somiglianze e le differenze preesistenti tra gli stimoli. Benché sembri piuttosto macchinoso, tale calcolo corrisponde ad un processo mentale preciso e realistico. Il meccanismo della classificazione in categorie sociali, infatti, deve seguire questi passi: valutare quanto alcune persone siano simili tra loro, verificare se esse risultano diverse rispetto ad altre persone presenti nel contesto sociale e, in base il fatto che le somiglianze eccedono le differenze, ritenere che queste persone possano essere incluse in una stessa categoria e contrapposte alle persone inclusa nell’altra. Va sottolineato come questo processo non debba necessariamente venire in modo consapevole e razionale. Anzi, è molto probabile che avvenga mediante una modalità di elaborazione dell’informazione automatica e inconsapevole. In definitiva, per capire quale categoria sociale sarà attivata e, quindi, utilizzata per interpretare la realtà sociale, devo considerare l’interazione tra accessibilità e adeguatezza, tenendo comunque in mente che l’una è in grado di influenzare l’altra. Come in ogni percezione umana, infatti, non va mai dimenticato che spesso non esiste un’unica realtà oggettiva da osservare, ma che qualsiasi fenomeno può essere percepito soggettivamente da innumerevoli punti di vista. LA DEPERSONALIZZAZIONE. Una volta stabilito che una categoria è contemporaneamente accessibile nella mente di un individuo e adeguata a spiegare la realtà, possiamo concludere con ragionevole certezza che quella categoria è saliente. Secondo Turner, a questo punto, diventa particolarmente forte il senso di appartenenza a una delle categorie. L’individuo nella cui mente viene attivata una categorizzazione che distingue tra un ingroup e un outgroup, infatti, si sente appartenente al primo e non al secondo. Si dice allora che l’individuo è depersonalizzato, nel senso che percepisce se stesso non più come singolo, ma come appartenete al gruppo. Turner ritiene che la depersonalizzazione non sia un fenomeno negativo. Proprio per questo, essa viene distinta dalla deindividuazione e dalla deumanizzazione, a cui spesso si fa riferimento in relazione a questi fenomeni di anomia sociale o per descrivere ciò che avviene quando le persone si trovano immerse in una folla indistinta. La depersonalizzazione si basa su un processo puramente cognitivo,

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relativo a un cambiamento nel livello di categorizzazione di sé: gli individui non si considerano più come singoli, ma come membri di una categoria sociale. Questo si traduce in un guadagno, non in una perdita di identità. Quando sono inserite in un ingroup, infatti, le persone acquisiscono le caratteristiche tipiche del gruppo. Di conseguenza, favorite in questo dal processo di assimilazione intracategoriale, si sentono simili agli altri membri del gruppo, il che favorisce la creazione di relazioni sociali, la condivisione di interessi e obiettivi, l’esecuzione di comportamenti di cooperazione e altruismo. In definitiva, attraverso il processo di depersonalizzazione ci si sente realmente parte di un gruppo sociale e si soddisfa così un bisogna fondamentale della natura umana. D’altra parte, proprio per la natura del processo di categorizzazione in ingroup e outgroup, l’assimilazione intracategoriale avrà come contraltare la differenziazione intercategoriale. Ecco, quindi, che se le persone si sentono simili ai membri dell’ingroup, al contempo si percepiscono diverse dai membri dell’outgroup. In questo modo, vengono soddisfatti contemporaneamente il bisogno di appartenere e il desiderio di non sentirsi omologati a una massa indistinta. Riassumendo, le determinanti dell’identificazione con un gruppo sociale sonno, secondo la teoria della categorizzazione di sé, un insieme di processi cognitivi, contestuali e motivazionali. È interessante notare che la salienza di una determinata appartenenza di gruppo, secondo l’ipotesi di Turner, non è connessa al soddisfacimento di bisogni individuale, come nelle precedenti teorie, ma si lega strettamente a fattori di tipo contestuale. Quale, tra le diverse appartenenze a disposizione, sarà quella saliente, dipende infatti dalla situazione specifica in cui le persone si trovano. In conclusione, possiamo affermare che la forza principale della teoria di Turner, rispetto a quelle precedenti, sta nel fatto che essa sembra essere più generale e, quindi, applicabile praticamente a tutte le situazioni sociali. La sua generalità, tuttavia, costituisce anche un limite: essa, infatti, è difficilmente verificabile, dato che tenere sotto controllo tutte le variabili che dovrebbero entrare in un gioco nei processi ipotizzati risulta decisamente complicato. Inoltre, come si è detto, va tenuto presente che le percezioni e i processi cognitivi che la teoria prende in considerazione sono altamente soggettivi. Quest’ultimo problema, d’altra parte, sembra essere ineliminabile: la realtà sociale è per sua natura soggettiva e basata su convenzioni e, di conseguenza, priva di un’esistenza intrinseca. Esiste solo in quanto percepita e creata dalle persone che ne fanno parte e che in essa trascorrono la loro esistenza. Pertanto, non può essere studiata in modo oggettivo e controllato, ma sempre attraverso la mediazione dei pensieri e delle percezioni di chi la vive. CONCLUSIONI. Il bisogno di migliorare la propria autostima,di ottenere delle certezze circa l’ambiente circostante, di sentirsi parte di un gruppo e al contempo di non perdersi al suo interno sono senza dubbio aspetti rilevanti che possono spingere un individuo a cercare l’appartenenza sociale. Inoltre, anche i processi cognitivi sottostanti a tale processo sono sicuramente fondamentali. PERCEZIONI E PROCESSI ALL’INTERNO DEI GRUPPI SOCIALI. All’inizio del capitolo precedente abbiamo osservato come il bisogno di appartenere ai gruppi sociali abbia probabilmente un’origine evolutiva. Caporael sostiene che le

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facoltà mentali dell’uomo si siano evolute nelle interazioni con i suoi simili; di conseguenza, il gruppo può essere considerato l’habitat naturale degli esseri umani, in cui sono state selezionate le strutture cognitive, affettiva e comportamentali che caratterizzano la nostra specie. Come si è detto, questo processo evolutiva ha dato luogo a un’interdipendenza obbligatoria: gli esseri umani, per «funzionare» correttamente, hanno bisogno della presenza degli altri. INCLUSIONE CATEGORIALE E STRUTTURA DEI GRUPPI. PROCESSI DI INCLUSIONE ED ESCLUSIONE CATEGORIALE. Secondo Brewer, l’interdipendenza obbligatoria tra gli esseri umani ha conseguenze immediate sulle dinamiche presenti all’interno dei gruppi, dato che si lega indissolubilmente a processi di cooperazione e a emozioni di fiducia nei confronti degli altri membri del gruppo. Se gli esseri umani hanno bisogno degli altri per sopravvivere, allora sono in un certo senso obbligati a porsi nel loro confronti in modo cooperativo e fiducioso. Tuttavia, è indubbio che la cooperazione e la fiducia indiscriminate non siano funzionali: chi si fida di chiunque non è destinato a sopravvivere a lungo, dato che è molto probabile che prima o poi qualcuna approfitti di questo fatto per danneggiarlo. Brewer ritiene che la soluzione a questo problema sia proprio l’appartenenza di gruppo. Una volta che l’ambiente sociale viene distinto in ingroup e outgroup, i rischi di essere «traditi» dagli altri sono drasticamente ridotti: la fiducia, infatti, viene rivolta esclusivamente ai membri dell’ingroup, mentre viene negata a tutti gli altri. Pertanto, gli esseri umani avrebbero nel tempo circoscritto l’ambito di applicabilità della cooperazione e della fiducia, limitandole ai soli membri, conosciuti e rassicuranti, dei gruppi di appartenenza. In questo modo, non sono in gruppi in generale a essere divenuti l’habitat umano, ma solamente i gruppi di appartenenza. Tale conclusione porta a due conseguenze immediate per lo studio dei processi psicosociali all’interno dei gruppi. In primo luogo, dato che ogni essere vivente tende a difendere il suo habitat da incursioni nemiche, allora è possibile ipotizzare che l’uomo tenda a difendere dagli intrusi i suoi gruppi di appartenenza. Secondo, dato che la cooperazione e la fiducia all’interno dei gruppi sono vantaggiose, ma divengono rischiose se non sono sufficientemente circoscritte, è ipotizzabile che le persone tendano a mantenere limitato il numero di individui che possono essere considerati a pieno titolo membri dell’ingroup, in modo da non dover estendere in modo eccessivo comportamenti di altruismo e collaborazione. Tali considerazioni si legano a un particolare effetto psicosociale: l’effetto di sovraesclusione dall’ingroup. Numerosi studi, infatti, hanno dimostrato come le persone siano particolarmente caute prima di includere una persona sconosciuta nell’ingroup. In altre parole, quando una persona presenta alcune caratteristiche tipiche dell’ingroup, ma si è incerti circa la sua effettiva appartenenza, si tenderà a richiedere molte informazioni su di essa prima di accoglierla nel proprio gruppo. GLI ELEMENTI PROTOTIPICI: ESSERE RAPPRESENTATIVI DEL GRUPPO. L’ingresso di un nuovo membro in un gruppo sociale sembra essere legato a fenomeni di cautela e diffidenza. Cosa succede una volta che la persone in questione è stata accettata nel gruppo? Questa situazione si è parzialmente risolta

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grazia alla formulazione della teoria della categorizzazione di sè, che ha cercato di spiegare mediante un limitato insieme di assunti le molteplici dinamiche che si verificano all’interno dei gruppi sociali. Alcuni suoi assunti sono stati già descritti nel capitolo precedente, in particolare per quanto riguarda il processo cognitivo sottostante al senso di appartenenza ai gruppi sociali. Ora ci soffermeremo su quegli aspetti della teoria che possono essere applicati allo studio dei processi psicosociali intragruppo. Secondo la teoria della categorizzazione di sé, le persone possono percepire l’ambiente sociale classificando se stessa e gli altri come membri di categorie. La categorizzazione di sé coinvolge i tipici processi innescati dai processi più generali di classificazione: l’assimilazione intracategoriale e la differenziazione intercategoriale. Le caratteristiche dei membri dei due gruppi vengono percepite in modo tale da enfatizzare le somiglianze all’interno dell’ingroup e le differenze tra ingroup e outgroup. Quando questi due aspetti sono massimi, ovvero quando i membri dell’ingroup sono simili tra loro e diversi dei membri dell’outgroup, allora la categoria ha un rapporto di metacontrasto elevato e, di conseguenza, verrà probabilmente applicata agli stimoli. Il rapporto di metacontrasto può essere calcolato anche per i singoli membri di gruppo. Infatti, anche se le somiglianze presenti all’interno di un gruppo vengono enfatizzare e, pur sempre vero che esistono delle differenze tra i suoi membri. Per ogni persona appartenente al gruppo può essere calcolato un rapporto di metacontrasto individuale, tenendo in considerazione le somiglianze che essa ha con gli altri membri dell’ingroup e le differenze che presenta rispetto ai membri dell’outgroup. La persona che ha un rapporto di metacontrasto più elevato, ovvero la persona che è al contempo molto simili ai suoi compagni dell’ingroup e molto diversa dai membri dell’outgroup, è detta il prototipo del gruppo. Il prototipo, quindi, incarna al meglio le caratteristiche del suo gruppo e si distanzia al massimo dalle caratteristiche del gruppo estraneo. Data la natura del rapporto di metacontrasto, è evidente che il prototipo di un gruppo non è fisso. Infatti, visto che nel calcolo da rapporto si tengono in considerazione le differenze rispetto ai membri del gruppo estraneo, al variare dell’outgroup di riferimento varierà anche la posizione più prototipica dell’ingroup. La contestualità del prototipo è essenziale per comprendere molte delle dinamiche che avvengono all’interno dei gruppi sociali. GLI ELEMENTI NON PROTOTIPICI : I DEVIANTI. Gli individui prototipici incarnano le norme e le caratteristiche di tutta la categoria, e ne sono quindi considerati i rappresentanti ideale. Cosa succede invece agli individui non prototipici? Se eccessivamente diversi dalla norma del gruppo, essi vengono considerati dei devianti. I devianti sono minacciosi per la definizione e l’immagine positiva del gruppo. Essi, infatti, dato che esprimono posizioni diverse da quella degli altri membri, rompono l’armonia interna al gruppo. La presenza di una minoranza di devianti, sebbene in alcune occasioni possa portare a innovazioni positive nel gruppo, che altrimenti tenderebbe ad irrigidirsi eccessivamente sulle sue posizioni, è generalmente percepita con fastidio dalla maggioranza dominante. All’interno dei

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gruppi sociali, infatti, è forte la pressione verso l’uniformità e l’armonia. Pertanto, dato che si discostano dal prototipo dell’ingroup, i devianti vengono spesso giudicati sfavorevolmente dagli individui più rappresentativi. Il risultato è che nell’ingroup viene percepita la presenza di elementi negativi, che rischia di minare la valutazione globalmente positiva del gruppo, valutazione che come abbiamo visto nei capitoli precedenti è ricercata e auspicata dai suoi membri. La soluzione a questo problema è dissociarsi nel modo più netto possibile dai devianti, che vengono così separati dagli altri membri dell’ingroup. Ad esempio, si è notato come i membri negativi del proprio gruppo vengano spesso valutati in modo molto più sfavorevole rispetto ai membri negativi dell’outgroup. Questo fenomeno, detto effetto pecora nera, appare a prima vista contraddittorio rispetto ai classici fenomeni di favoritismo per l’ingroup. In genere, infatti, il giudizio riservato ai membri del proprio gruppo è più positivo di quello formulato nei confronti dei membri di gruppi estranei. A una più profonda analisi, tuttavia, si rileva come il fatto di giudicare in modo estremamente sfavorevole i membri negativi del proprio gruppo sia una strategia per escluderli, di fatto, dal gruppo stesso, e di ristabilire così il suo valore positivo. D’altra parte. non è sempre detto che i devianti debbano essere negativi. Abrams e collaboratori in un loro esperimento, infatti, hanno rilevato che le persone che esprimevano opinioni diverse dalla maggioranza del proprio gruppo, sia in direzione contraria alla norma, sia esagerando la norma dell’ingroup, venivano comunque valutate più negativamente rispetto alle persone che esprimevano un’opinione normativa. Tra i due tipi di devianti, tuttavia, quelli pro-normativi venivano preferiti a quelli contro-normativi. Questi processi sembrano essere legati a un meccanismo di protezione dell’ingroup. PERCEZIONE ALL’INTERNO DEI GRUPPI. OMOGENEITÀ E ORGANIZZAZIONE INTERNA. La percezione di omogeneità dei gruppi sociali presenta spesso un’asimmetria: i gruppi estranei, infatti, vengono il più delle volte percepiti come più omogenei dei gruppi di appartenenza. Questo fenomeno, denominato effetto di omogeneità dell’outgroup sembra dipendere da processi di categorizzazione sociale. Se, infatti, i gruppi estranei, in cui il sé degli individui non è inserito, vengono in genere percepiti come categorie sociali, e quindi percepiti omogenei al loro interno (processo di assimilazione intracategoriale), i gruppi di appartenenza vengono considerati come aggregati di individui distinti, tra cui il sé, e quindi vengono percepiti come eterogenei. Quando, tuttavia, gli individui si categorizzano come membri dell’ingroup, allora il processo di assimilazione intracategoriale viene attivato anche all’interno del gruppo di appartenenza, che viene così percepito omogeneo. In altre parole, un ingroup viene percepito omogeneo se i suoi membri lo considerano un gruppo vero e proprio, e non un semplice aggregato di individui. Da questo punto di vista, la percezione di omogeneità dell’ingroup è un sintomo che i processi psicologici, da interpersonali, sono divenuti intragruppo, cioè che le dinamiche, le relazioni, le azioni interne alla categoria avvengono sotto l’influenza di una comune appartenenza di gruppo.

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Se l’omogeneità interna al gruppo è quindi desiderabile, va comunque sottolineato come un gruppo troppo omogenea, monolitico, non sia sempre efficiente. D’altra parte, un’eccessiva differenziazione interna rischia di far perdere di vista gli obiettivi comuni, perché rischia di porre in ombra la comune appartenenza di gruppo e la presenza di uno scopo comune. Quali sono, allora, le caratteristiche di un gruppo ideale? In primo un luogo, deve essere omogeneo nel possedere un tratto condiviso: la comune appartenenza di gruppo. Al contempo, però, deve essere diversificato al suo interno in quanto dotato di un’organizzazione strutturata. Questa compresenza di globalità e differenziazione richiama alla mente le caratteristiche di un organismo vivente. Si dice allora, che essi costituiscono un’entità. Studi recenti hanno dimostrato che quando un gruppo viene percepito come un’entità organizzata, viene considerato importante per la definizione di sé dai suoi membri e viene ritenuto in grado di agire in modo rapido ed efficiente. Inoltre, se un gruppo è visto come un’entità, ci si aspetta in generale che i suoi membri si comportino in modo coerente tra loro, il che porta a una forte spinta verso l’armonia interna. LA COESIONE. La coesione di gruppo è stata definita in modi diversi attraverso gli anni. Ad esempio, per coesione si è inteso il cemento che tiene unito un gruppo, o la risultante dei rapporti faccia a faccia tra i componenti di un gruppo sociale. Al di là di queste spiegazioni, è possibile indagare il tema della coesione di gruppo a partire dai processi di categorizzazione sociale. Abbiamo appena visto come la salienza di un’appartenenza di gruppo abbia due conseguenze. In primo luogo, essa rende importante la posizione più prototipica all’interno del gruppo; in secondo luogo, porta alla percezione che i suoi membri si assomigliano tutti, ovvero che il gruppo sia nel suo complesso omogeneo. Combinando questi due fattori, possiamo ipotizzare che, quando un gruppo diviene saliente, le persone al suo interno saranno tutte assimilate all’elemento più rappresentativo, ovvero al prototipo. Oltre a queste considerazioni di tipo cognitivo, non va dimenticato che, quando gli individui si percepiscono come appartenenti a una categoria sociale, essi tendono ad attribuirle un valore positivo, perché così facendo innalzano il valore di tutti i suoi membri, tra cui se stessi. L’attribuzione di valore positivo al gruppo, naturalmente, coinvolgerà direttamente il prototipo che, da un punto di vista cognitivo, del gruppo è il rappresentante ideale. Ne consegue che il prototipo di un gruppo, in genere, sarà giudicato in modo positivo. In sintesi, quando un gruppo è saliente e rilevante, le persone che ne fanno parte tenderanno a percepirsi simili tra loro, e in particolare si percepiranno simili al prototipo. Dato che il prototipo è valutato in modo positivo, allora tutti i membri del gruppo saranno investiti di tale valenza positiva. Questo processo ha delle ricadute immediate sulle dinamiche intragruppo. Se tutti i fenomeni appena citati si verificano, infatti, i membri di un gruppo tenderanno spontaneamente ad apprezzarsi a vicenda. Secondo Turner, la coesione è data proprio da questa attrazione reciproca. Di conseguenza essa non ha nulla a che vedere con la normale attrazione interpersonale, in cui persone diverse si piacciono a causa di gusti simili, aspetti caratteriali compatibili o vicinanze emotiva.

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Una spiegazione della coesione di gruppo basata sui processi di categorizzazione conduce a formulare due ipotesi precise. In primo luogo, si può ipotizzare che la coesione sia il prodotto di una comune appartenenza di gruppo: le persone si piacciono perché appartengono allo stesso gruppo. Questa posizione si contrappone a quegli approcci secondo cui la coesione è il presupposto per la formazione di un gruppo: solo se le persone si piacciono tenderanno a unirsi e a formare un gruppo. Sono stati eseguiti alcuni studi per verificare quale delle due posizioni sia maggiormente valida. I risultati non sono molto chiari, dato che molti di questi studi sono stati svolti soprattutto in laboratorio, in situazioni controllate in cui non sono presenti interazioni importanti tra i singoli membri di gruppo: è logico che, in queste condizioni, i processi di categorizzazione tendano a rivestire un’importanza notevole, essendo assenti le altre dinamiche comunemente presenti nei gruppi sociali. In generale, si può ritenere che entrambe le posizioni abbiano un fondo di verità: la prima può essere applicata con profitto a tutte le categorie sociali dove i fenomeni di coesione prescindono dai contatti faccia a faccia. La seconda mostra la sua validità nei piccoli gruppi in cui la comune appartenenza non viene decisa a priori, ad esempio in base al genere o alla razza, ma che nascono da amicizie e relazioni spontanee. In secondo luogo, se la coesione dipende da un processo di categorizzazione, si può ipotizzare che essa non dipenda strettamente dai risultati ottenuti dal gruppo. Secondo un’ottica utilitaristica, infatti, si ritiene che non gruppo resterà unito finché svolge con successo i suoi compiti e raggiunge così i suoi obiettivi. Eventuali fallimenti avrebbero il risultato di minare l’armonia interna al gruppo, favorendone così la dissoluzione. Invece, se la coesione dipende da un processo di categorizzazione, allora essa sarà indipendente dal successo o meno nell’esecuzione di compiti comuni. Anzi, è ipotizzabile che un fallimento porti in particolare circostanze ad un aumento dello spirito di gruppo e, quindi, a un incremento della coesione. Questa ipotesi è stata dimostrata da un esperimento di John Turnr e collaboratori del 1984. PROCESSI E DINAMICHE ALL’INTERNO DEI GRUPPI. Ci soffermeremo ora sul modo in cui i processi di categorizzazione influenzano alcune classiche dinamiche intragruppo: la presa di decisioni, le discussioni interne, la produttività e la gestione della leadership. IL PENSIERO DI GRUPPO. È ormai consuetudine che quando si tratta di prendere una decisione importante ci si rivolga a un gruppo: un team creato appositamente, un comitato, un direttivo, o anche un gruppo di amici o di familiari. L’assunto implicito alla base di questa strategia è che la decisione presa da un gruppo è più attendibile rispetto a quella presa da un singolo. Il gruppo, infatti, può stemperare gli eccessi dei singoli, può essere utile nello scovare eventuali errori individuali, permette la condivisione di informazioni utili per il processo decisionale. Il gruppo, in definitiva, gode di una fiducia superiore rispetto ai singoli. Tuttavia, assistiamo talvolta a colossali errori commessi proprio in seguito alle discussioni di gruppo: strategie di crescita industriale non ancorate alla realtà dei fatti, campagne pubblicitarie offensive e controproducenti, decisioni politiche che sembrano regali ai partiti avversari, piani di guerra assolutamente inefficaci.

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Janis, ha proposto il concetto di pensiero di gruppo. Questo tipo di pensiero si verifica all’interno di piccoli gruppi sociali, in cui la creazione di uno spirito di corpo, di una forte coesione interna, invita i componenti a cercare un accordo per giungere a una decisione unanime. Questa spinta verso l’unanimità porta gli individui ad abbandonare le proprie convinzioni e a non considerare accuratamente tutte le alternative a disposizione. In ultima analisi, si perde di vista, la realtà dei fatti, appigliandosi alla condivisione sociale e alla sicurezza che da essa deriva. Come esempio di pensiero di gruppo, Janis riporta un classico della decisione sbagliata: lo sbarco della baia dei porci (vedi p 72). Secondo Janis, un gruppo di questo tipo è particolarmente soggetto pensiero di gruppo: deve prendere una decisione importante in poco tempo, subisce forti pressioni dall’esterno, è oggetto di notevoli aspettative. Tutto questo porta a una fortissima spinta verso l’unanimità, a una sovrastima delle proprie forze e alla percezione di essere soli nel dover prendere la decisione, senza interventi dall’esterno. Il risultato della combinazione di questi fattori non può che essere, secondo janis, una decisione basata più sul supporto reciproco tra i membri del gruppo che su un’accurata analisi della realtà. In altre parole, la cattiva qualità della decisione presa dipende dal fatto che la realtà dei fatti viene oscurata da una realtà sociale sorta grazie alle dinamiche interne al gruppo. A questo punto sorge una domanda: è inevitabile che persone riuniti insieme a discutere mostrino i sintomi del pensiero di gruppo? Per rispondere a questa domanda, Hogg e Hains hanno eseguito un esperimento in cui erano presenti diversi gruppi di discussione: in alcuni casi le persone erano degli amici, in altri erano persone che condividevano una comune appartenenza di gruppo, in altre ancora erano persone scelte a caso senza nulla in comune di particolare. I risultati hanno mostrato la presenza di sintomi di pensiero di gruppo soprattutto nel caso in cui le persone condividevano un’appartenenza categoriale. Quindi, la sindrome delineata da Janis non sembra dipendere da caratteristiche personali, né dal tipo di relazione presente tra gli individui, ma da un condiviso senso di appartenenza. In altri termini, il pensiero di gruppo sembra essere più probabile quando le persone sono incluse in una categoria sociale. Una conferma di questo dato viene da un esperimento condotto da Marlene Turner e collaboratori nel 1992 (vedi pp 73-74). L’importanza attribuita al gruppo dai suoi membri e la pressione a svolgere il compito in modo appropriato, una volta combinati, produssero un classico caso di pensiero di gruppo, che si manifestò in una decisione di cattiva qualità accompagnata da una esagerata, ed evidentemente mal riposta, fiducia nelle proprie capacità. Il pensiero di gruppo, dunque sembra essere un problema reale. Come risolverlo? Alcune soluzioni ci vengono dallo stesso Janis. Se il pensiero di gruppo nasce dal fatto che la realtà sorta consensualmente nel gruppo viene preferita a quella dei fatti, allora l’antidoto sarà legato a processi che tolgano importanza al gruppo e rompano le dinamiche al suo interno: ad esempio, l’incoraggiamento ad agire autonomamente in modo critico, l’attenzione a esperti esterni, la creazione di sottogruppi e l’attuazione di cambiamenti periodici nelle appartenenze. D’altra parte, non sfuggire il fatto che queste medicine sembrino letali per il concetto stesso di gruppo. Cambiare

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frequentemente l’appartenenza, creare divisioni interne e aperture verso l’esterno porterebbe infatti a una sua disintegrazione: il pensiero di gruppo non ci sarebbe più, ma semplicemente perché non c’è più il gruppo. Una soluzione alternativa dovrebbe partire dal fatto che non è l’appartenenza al gruppo in sé a essere problematica, ma la pressione verso l’uniformità e l’unanimità. Il processo da combattere, quindi, sembra non essere l’identificazione con il gruppo, ma la depersonalizzazione. Sarebbe quindi utile spingere le persone a non considerarsi come parti intercambiabili di un collettivo, ma lasciarle libere di fornire il proprio contributo individuale. In altre parole, sarebbe importante creare nei membri l’idea che il gruppo non dovrebbe essere un tutto omogeneo, in cui il conformismo e l’unanimità sono dei valori, ma un’entità organizzata e differenziata al suo interno, in cui l’apporto di ogni singolo e fondamentale per il perseguimento dello scopo comune. LA POLARIZZAZIONE. Un secondo tema che coinvolge le dinamiche di gruppo e la presa di decisione è quello relativo alla polarizzazione. Per polarizzazione si intende lo spostamento e l’estremizzazione delle opinioni individuali, in seguito a una discussione di gruppo, nella direzione già preferita prima della discussione. Fenomeni di questo tipo sono stati inizialmente considerati come effetti di spostamento verso il rischio. L’ipotesi era che gli individui, una volta posti all’interno di un gruppo, perdessero i propri freni inibitori e prendessero decisioni estreme che da soli non avrebbero mai proposto. Tali spiegazioni, però, sono chiaramente incomplete. Non si può negare, infatti, che esistano anche situazioni di gruppo in cui persone aggressive diventano più pacate, o in cui vengono prese decisioni improntate alla cautela. La soluzione a questa apparente contraddizione è che i gruppi tendono ad estremizzare la posizione inizialmente prevalente. Se tale posizione è aggressiva, allora tutti i membri diventeranno aggressivi. Se è pacata, tutti saranno più calmi. Quindi, è vero che i gruppi portano a enfatizzare alcune posizioni individuali, ma è sbagliato ipotizzare a priori che alcune posizioni saranno privilegiate rispetto ad altre. In particolare, quello che sembra essere determinante conoscere è la norma del gruppo, che come si è detto è incarnata dal membro più prototipico. Recenti studi, infatti, hanno mostrato che tutti i fenomeni di spostamento delle opinioni individuali in seguito a una discussione di gruppo sono in realtà processi di convergenza verso la norma condivisa all’interno dell’ingroup. La posizione più prototipica, o la norma di un gruppo, è quella posizione che, al contempo, presenta la massima somiglianza con gli altri membri dell’ingroup e le massime differenze rispetto ai membri dell’outgroup. Pertanto, per stabilire quale è la posizione più prototipica in un gruppo, bisogna sia conoscere le dinamiche al suo interno, sia tenere in considerazione il contesto sociale in cui il gruppo è inserito. La norma di un gruppo sociale non è fissa, ma può cambiare in relazione al sistema di riferimento in cui il gruppo stesso è inserito. È importante sottolineare che un requisito irrinunciabile per il verificarsi di questi processi di cambiamento delle opinioni individuali è che le persone coinvolte si sentano parte di un gruppo, ovvero si categorizzino come appartenenti ad esso. È solo

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quando gli individui si categorizzano all’interno di uno stesso gruppo, infatti, che discutono e negoziano le loro differenze con l’aspettativa, la pressione motivazionale a raggiungere un accordo. Tale accordo verrà trovato convergendo sulla posizione più prototipica all’interno dell’ingroup. LA PRODUTTIVITA’. Il tema della produttività di gruppo presenta un evidente controsenso. Da un lato, le aziende e le organizzazioni utilizzano sempre più spesso il lavoro in piccoli gruppi. Dall’altro, studi sperimentali mostrano che, il più delle volte, i gruppi riducono la produttività individuale. La posizione secondo cui il gruppo riduce la produttività viene ad esempio sostenuta da Steiner, che isola nel lavoro di gruppo due problemi fondamentali. In primo luogo, le persone non sempre si sentono motivate a dare il meglio di sé quando lavorano in gruppo. Se, ad esempio, il contributo dei singoli non è facilemente identificabile, essi non saranno spinti a impegnarsi particolarmente, e cercheranno anzi di «nascondersi» dietro al lavoro degli altri. Evidentemente, se i membri sono privi di forti motivazioni, allora l’intero gruppo vedrà drasticamente calare la sua produttività. In secondo luogo, il lavoro di gruppo può essere afflitto dalla mancanza di coordinazione tra i membri: anche se le persone lavorano con convinzione, spesso può mancare una strutturazione dei compiti che riesca a combinare al meglio gli apporti dei singoli. Il risultato di questi problemi prende il nome di social loafing, ovvero la tendenza degli individui a ridurre il proprio sforzo quando lavorano in gruppo rispetto a quando lavorano da soli. Secondo Zajonc, la variabile chiave da considerare è che le persone, in gruppo, lavorano in presenza di altri. Gli altri costituiscono una sorta di «pubblico», che ha la conseguenza di provocare nelle persone una forte attivazione mentale ed emotiva (il cosiddetto arousal). Questa attivazione, come è stato più volte dimostrato in letteratura, porta a conseguenze diverse sul rendimento delle persone a seconda del tipo di compito che si sta svolgendo: se il compito è semplice, sia perchè lo è oggettivamente, sia perchè la persona è abituata a svolgerlo, allora l’attivazione migliorerà il rendimento; se, invece, il compito è difficile o nuovo, allora il rendimento subirà un peggioramento. In sintesi, secondo il modello di Zajonc, la semplice presenza degli altri non basta a spiegare la facilitazione o l’inibizione della produttività. Va considerata, infatti, anche la difficoltà del compito da eseguire. Tuttavia, bisogna rilevare un importante limite al modello: in esso, infatti, gli altri sono trattati unicamente come spettatori, mentre vengono ignorate le relazione tra essi e la persona che sta svolgendo il compito. In altre parole, Zajonc non considera il gruppo sociale come tale, come un’entità dotata di struttura e organizzazione, ma come una mera somma di individui. La seconda spiegazione utilizzata per chiarire il fenomeno della produttività di gruppo parte proprio dai limiti del modello di Zajonc. In essa, facendo riferimento alla teoria dell’identità sociale e della categorizzazione di sé, si sostiene che la presenza o meno del social loafing dipende dall’importanza psicologica che il gruppo ha per gli individui che vi fanno parte. l’impegno da parte degli individui, e di conseguenza la produttività del gruppo, aumentano con l’aumentare dell’importanza del gruppo per i suoi membri.

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È possibile ipotizzare che la produttività del gruppo sia incrementata da fattori che aumentano la categorizzazione di gruppo e l’importanza del gruppo per l’identità dei suoi membri. Tale ipotesi è stata verificata sperimentalmente da Worchel e collaboratori nel 1998 (vedi pp 81-82). In definitiva, gli studi di Worchel e collaboratori mostrano che il fenomeno del social loafing non è imputabile ai gruppi sociali in quanto tali, ma ad aggregati di individui. Quando il gruppo è realmente saliente e significativo er i suoi membri, allora è in grado anche di aumentare la loro produttività. Esiste, infine, una terza spiegazione relativa alla produttività di gruppo. Essa fa riferimento alla teoria della categorizzazione di sé di Turner, in particolare all’assunto secondo cui le persone possono categorizzarsi sia come singoli individui sia come appartenenti a gruppi sociali. Secondo questo approccio, una prima determinante della produttività di gruppo è la congruenza tra la definizione di sé della persona e le caratteristiche del contesto in cui il compito viene eseguito. Se esiste una discrepanza tra le richieste del compito e la definizione di sé dei partecipanti, allora è probabile la presenza del social loafing. In altre parole, il calo di produttività nei gruppi potrebbe verificarsi in quei casi in cui le persone devono svolgere un lavoro di gruppo, ma contemporaneamente tendono a considerarsi come singoli individui, ad esempio perché non si sentono molto legati all’organizzazione in cui lavorano, o perchè l’organizzazione stessa utilizza incentivi di tipo individuale. Una seconda determinante è rappresentata dalla congruenza tra le caratteristiche dell’addestramento ricevuto e quelle del compito da eseguire. La divisione delle competenze e la specializzazione dei contributi individuali sono aspetti cruciali del lavoro di gruppo: è solo quando le competenze e le capacità dei singoli si combinano perfettamente tra loro, infatti, che il gruppo raggiunge il massimo di efficienza in termini di produttività. Perchè il gruppo sia realmente efficiente, infatti, è necessario che abbia un’organizzazione interna diversificata e staile nel tempo. In conclusione, possiamo affermare che i gruppi hanno la potenzialità di essere più produttivi della somma delle loro parti. Tuttavia, perchè ciò avvenga è necessario che siano rispettate tre condizioni chiave: in primo luogo, il gruppo deve essere importante e significativo per i suoi membri, non deve cioè essere un semplice aggregato di individui; inoltre, le persone che lo compongono devono essere abituate a lavorare insieme; infine, il gruppo deve essere il più possibile un’entità organizzata, in cui i diversi contributi dei singoli si combinano e si completano a vicenda. LA LEADERSHIP. Riguardo al tema della leadership si assiste a una chiara discrepanza tra ricerca e realtà. Se, dal un lato, gli studi scientifici hanno cercato di delineare le principali caratteristiche che un leader deve possedere per essere riconosciuto come tale e i criteri che dovrebbero guidare nella scelta del leader ideale, dall’altro la realtà dei fatti mostra chiaramente come queste caratteristiche e questi criteri non siano minimamente quelli ricercati e seguiti dalle organizzazioni. L’unica conclusione a cui si può giungere, in una situazione di questo tipo, è che evidentemente le teorie utilizzate dalla ricerca scientifica sono inadeguate. Il loro principale limite, probabilmente, sta nell’eccessiva rigidità che le guida, che mal si

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adatta ad analizzare le molteplici caratteristiche che la figura del leader può assumere nelle diverse situazioni. All’interno di un gruppo, il leader è quella persona che è in grado di influenzare gli altri in modo da incrementare il loro contributo alla realizzazione degli obiettivi comuni. Perchè questo processo di influenza sia realmente efficace, il leader deve essere prima di tutto riconosciuto come tale dagli altri. La leadership, allora, non dovrebbe essere semplicemente imposta dall’alto, ma una caratteristica che nasce e si sviluppa all’interno di un gruppo. Questi aspetti sono stati a lungo ignorati dalla ricerca psicologica. In un primo momento, infatti, si è focalizzata l’attenzione soprattutto sulle caratteristiche che una persona dovrebbe possedere per essere un buon leader. La conclusione è stata che il leader ideale deve essere fermo, deciso, ammirato e rispettato dagli altri. In un secondo momento, ci si è soffermati soprattutto sulle caratteristiche della situazione, giungendo alla conclusione che il leader è semplicemente la persona più adatta a guidare un gruppo in una determinata situazione, in un particolare contesto ambientale e temporale. Questi due approcci sono chiaramente insoddisfacenti: da un lato si afferma che la leadership è legata unicamente a qualità individuali, dall’altro che dipende in modo esclusivo dalle caratteristiche del contesto. La rigidità di questi modelli è stata parzialmente superata da un modello teorico in grado di combinarle insieme: il modello della contingenza di Fiedler. Secondo questo autore, è necessario considerare contemporaneamente le caratteristiche del leader e quelle della situazione. Solo una perfetta coincidenza tra le due porterà a una leadership efficace. In particolare, tra le caratteristiche del leader viene considerato il suo orientamento al compito o alla relazione, vale a dire la sua tendenza a dare la priorità al raggiungimento degli obiettivi del gruppo piuttosto che alle buone relazioni tra i membri del gruppo stesso. Tra le caratteristiche della situazione, invece, vengono considerate la qualità della relazione tra il leader e gli altri, il grado in cui il leader è effettivamente dotato di potere, il grado in cui il compito da svolgere è chiaramente strutturato. Per ogni combinazione di questi fattori, il modello della contingenza identifica quali caratteristiche il leader debba possedere per essere efficace. Ad esempio, se il compito è chiaramente strutturato, il leader ha molto potere e la relazione tra leader e sottoposti è buona, allora il leader ideale è quello orientato al compito. Se, invece, il rapporto con i sottoposti non è buono, allora risulterà preferibile un leader orientato alla relazione. Se queste specificazioni sono necessarie per allontanare la teoria da un’ennesima riproposizione del senso comune, esse tuttavia rendono il modello troppo rigido e limitato, oltre che eccessivamente dipendente dalle fluttuazioni contestuali. In definitiva, il modello risulta inadeguato a spiegare la realtà dei fatti. In particolare, uno degli aspetti sottovalutati dal modello della contingenza è il carisma. Il carisma non è semplicemente una qualità che certi leader possiedono, ma anche il risultato della relazione tra leader e seguaci. Esso potrebbe essere definito come l’abilità di un leader di dare un esempio che costituisce un modello comportamentale per gli altri, mettendoli in grado di contribuire alla realizzazione

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della visione e alla missione associata al gruppo. Esso dipende dalla capacità di influenzare il concetto e la stima di sé dei seguaci, in modo da alterare la loro percezione delle norme e degli obiettivi del gruppo. Tutto non si risolve in un semplice fenomeno di manipolazione: si tratta di un processo di tipo transazionale, in cui quello che conta veramente è la relazione bidirezionale tra il leader egli altri membri del gruppo. Una persona è un leader se viene categorizzata tale da altre persone. La leadership diviene allora quel processo che porta ad essere percepiti dagli altri come un leader, e il suo successo dipende dall’abilità del leader di incarnare le aspettative dei suoi seguaci. Qual’è la persona che, all’interno di un gruppo, è in grado di soddisfare tutti questi requisiti? Ancora una volta, è la teoria della categorizzazione di sé ad aiutarci a risolvere il problema: questa persona è il prototipo del gruppo. Come si è già detto in più occasioni, la prototipicità non è una caratteristica fissa di una data persona all’interno di una categoria, ma è piuttosto una caratteristica che varia in funzione del contesto sociale in cui il gruppo è inserito. In altre parole, la prototipicità di uno stesso esemplare all’interno dello stesso gruppo può cambiare in funzione del contesto sociale in cui il gruppo è inserito. Quindi, per analizzare il fenomeno della leadership, è molto importante considerare attentamente la situazione in cui il gruppo si trova ad agire. Se, infatti, il leader incarna il prototipo del gruppo, e il prototipo cambia a seconda della situazione, allora anche la posizione del leader non è stabile. Secondo la teoria della categorizzazione di sé, le dinamiche interne ad un gruppo cambiano a seconda della presenza o meno di un gruppo di confronto. Quindi, il fatto che il gruppo debba svolgere un compito in completa autonomia, piuttosto che confrontandosi con altri gruppi, potrebbe avere ripercussioni notevoli sulla leadership al suo interno. Ma è sempre necessario che il leader cambi a seconda del contesto sociale in cui il gruppo è inserito? Naturalmente no. Quanto detto finora non significa necessariamente che a ogni cambiamento contestuale debba cambiare anche la leadership. Significa invece che il leader deve essere continuamente sintonizzato sui bisogni dei seguaci, sulle loro percezioni e aspettative. Per ottenere questo obiettivo i leader hanno a disposizione due strategie. In primo luogo, essi possono cambiare comportamento e linea da seguire a seconda dei cambiamenti del contesto. Questa strategia, però, li espone al rischio, alla lunga, di perdere in credibilità. La via migliore da seguire è quella, molto più sottile e subdola, di influenzare l’interpretazione che il gruppo dà alla situazione in cui si trova. Al variare del contesto, quindi, il leader potrebbe cercare di strutturare la percezione della situazione in modo da risultare comunque l’elemento più prototipico del gruppo. In definitiva, appare evidente come il fenomeno della leadership non possa essere pienamente compreso se non lo si considera come il prodotto di una interazione tra il leader e gli altri membri del gruppo. Si tratta, quindi, di un fenomeno che nasce e si sviluppa in una prospettiva intergruppo, e non di una semplice manifestazione di autorità a livello interpersonale. CONCLUSIONE. Le posizioni individualistiche, secondo cui i gruppi non esistono come entità psicologiche, dato che sono equivalenti alla somma degli individui che li

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compongono, non sono corrette. I gruppi esistono. Non come oggetti tangibili, ovviamente, ma nella mente delle persone che ne fanno parte. La variabile che è stata isolata come fondamentale in relazione a questo tema è rappresentata dal senso di appartenenza al gruppo, o identificazione. Le conseguenze di questa appartenenza possono essere così riassunte: in primo luogo, quando le persone si identificano con un ingroup cominciano a sorgere le prime discriminazioni riguardo a chi può essere considerato un membro del gruppo e chi no; in secondo luogo, vengono attivate delle graduatorie di prototipicità, secondo cui alcuni membri sono più degni di appartenere al gruppo rispetto ad altri, e per questo risultano anche più influenti e autorevoli; terzo, una volta stabilita la “purezza” dei membri dell’ingroup, sorgono particolari percezioni relative alla coesione, accompagnate da un senso di fiducia reciproca, e all’idea che il gruppo costituisca una vera e propria entità, una sorta di organismo vivente. Tutti questi fenomeni hanno chiare ricadute su importanti dinamiche che si verificano all’interno dei piccoli gruppi, come ad esempio i gruppi di lavoro. Le decisioni che vengono prese al loro interno, il livello di produttività e di efficienza, la scelta e il rispetto della leadership sono tutti processi spiegabili in modo completo solo quando vengano indagati in un’ottica realmente psicosociale, ovvero quando vengano visti non tanto come il prodotto di singole persone in interazione, ma come il risultato di processi cognitivi e motivazionali connessi al senso di appartenenza. In altre parole, per capire che cosa avviene all’interno di un gruppo, non basta conoscere le caratteristiche delle persone che lo compongono. Bisogna comprendere quello che le persone pensano del gruppo, come si percepiscono in relazione ad esso e, soprattutto, indagare l’importanza psicologica che il gruppo riveste nella percezione che ognuna di queste persone ha di se stessa. IL PREGIUDIZIO TRA I GRUPPI. Il pregiudizio è un processo che porta ad attribuire a una persona sconosciuta i tratti e le caratteristiche ritenute tipiche del suo gruppo di appartenenza. Questo tipo di giudizio è chiaramente ingiusto verso la persona che lo subisce, dato che non tiene in considerazione le sue reali caratteristiche, ma si basa esclusivamente su un preconcetto riguardante la categoria sociale a cui essa appartiene. A peggiorare la situazione è il fatto che gli stereotipi dei gruppi estranei sono spesso molto più negativi rispetto a quelli dei gruppi di appartenenza. Questo fenomeno, legato al favoritismo per l’ingroup, dipende dal funzionamento abituale della mente umana, derivando dalla combinazione tra normali processi di categorizzazione (in particolare i fenomeni di differenziazione intercategoriale e assimilazione intracategoriale), il bisogno di appartenenza a gruppi sociali e il bisogno di una elevata stima di sé. A essi si aggiungono fattori di tipo culturale, che forniscono il contenuto degli stereotipi. Gli stereotipi, infatti, sono costituiti da tratti e caratteristiche che vengono attribuiti a tutti i membri dell’outgroup, in modo indiscriminato. Essendo di origine culturale, e non individuale, questi contenuti sono condivisi da tutti i membri che si sentono appartenenti ad una data cultura. Tutto ciò è drammatico e ingiusto: molte persone, nelle società e culture di tutto il mondo, vengono giudicate sulla base di stereotipi negativi precostituiti e, di conseguenza, discriminate unicamente a causa della loro

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appartenenza categoriale. Per questa ragione, il pregiudizio è stato fin dal principio riconosciuto come uno dei problemi fondamentali che la psicologia sociale deve affrontare e risolvere. LE DIVERSE FORME DI PREGIUDIZIO. Nel corso degli anni, l’espressione di pregiudizi e discriminazioni è divenuta sempre meno diffusa nelle culture occidentali. Al giorno d’oggi, sono poche le persone che esprimono in modo chiaro e manifesto i propri stereotipi. Questo significa che il pregiudizio è ormai scomparso? Evidentemente no. I fenomeni di razzismo, discriminazione, segregazione sono purtroppo molto frequenti nella nostra società. Il fatto è che i concetti di morale e etica sono mutati nel corso degli anni: esprimere apertamente un pregiudizio, ad esempio verso le persone di colore o le persone di origine ebraica, non è più socialmente accettabile. PREGIUDIZIO MANIFESTO E LATENTE. Un’importante distinzione, operata da Pettigrew e Meertens nel 1995, è quella tra pregiudizio manifesto e pregiudizio latente. Il primo è il pregiudizio di “vecchio stile”, carico di percezioni e sentimenti ostili, che ormai nelle società moderne viene raramente espresso apertamente. Il secondo è invece una forma più moderna di preconcetto, più distaccata, che si esprime in forme socialmente accettabili. Secondo Pettigrew e Meertens, il pregiudizio manifesto fa riferimento a due dimensioni. La prima, chiamata percezione di minaccia e rifiuto dell’outgroup, si riferisce alla percezione che i membri dell’outgroup (es. gli immigrati) sono una minaccia per il proprio gruppo (es. gli italiani), ad esempio perchè portano via il lavoro ai membri dell’ingroup o perchè sono disonesti; a questi timori è associata l’opinione che le persone appartenenti a ingroup e outgroup non potranno mai andare d’accordo tra di loro, anche perchè si tende a pensare che le seconde provengano da razze inferiori. Dunque, questa forma di pregiudizio può avere una componente biologico-genetica, che quindi giustificherebbe, legittimandolo, qualsiasi tipo di disuguaglianza politica e sociale. La seconda componente del pregiudizio manifesto è il rifiuto dell’intimità: essa si riferisce a una forte resistenza emotiva verso qualsiasi tipo di contatto intimo tra i membri di ingroup e outgroup, come ad esempio rapporti sessuali e matrimoni interrazziali. Tale componente contiene anche un elemento legato al potere, per cui ad esempio viene rifiutata la possibilità di lavorare sotto un superiore appartenente all’outgroup. Se, dunque, il pregiudizio manifesto è piuttosto chiaro ed esplicito, il pregiudizio sottile è decisamente più sotterraneo e subdolo. Al suo interno sono identificabili 3 dimensioni, tutte esprimibili e accettabili nelle società occidentali. La prima riguarda la difesa dei valori tradizionali; essa si riferisce all’opinione secondo cui i membri dell’outgroup agiscono in modi inaccettabili e inappropriati, dato che non seguono le norme e i comportamenti della maggioranza. Inoltre, si pensa che se queste persone si trovano in situazioni economicamente e socialmente svantaggiate è perchè non si impegnano veramente a fondo come dovrebbero. La seconda dimensione del pregiudizio sottile è chiamata esagerazione delle differenze culturali: le differenze presenti tra ingroup e outgroup vengono esagerate e caricate di valore. In questo

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modo, non si accetta la diversità dell’altro come una ricchezza, ma come una giustificazione per il fatto di mantenerlo separato e distinto dal proprio gruppo. In altre parole, si tratta di una forma di pregiudizio che rifiuta in partenza non solo qualsiasi ipotesi di integrazione tra ingroup e outgroup, ma anche l’assimilazione dei membri dell’outgroup all’interno dell’ingroup. Infine, la terza dimensione si riferisce alla negazione di emozioni positive. Provare emozioni negative verso persone appartenenti all’outgroup sarebbe “politicamente scorretto”. La forma accettabile di questo pregiudizio emotivo si trasforma allora nel fatto di non provare emozioni positive nei loro confronti, come ad esempio ammirazione e simpatia. Il risultato è che «i membri dell’outgroup non sono peggiori di noi, ma noi siamo meglio di loro». Secondo Pettigrew e Meertens l’incrocio tra queste de forme di pregiudizio (manifesto e latente) dà luogo alla definizione di diverse tipologie di persone: chi mostra alti livelli sia di pregiudizio manifesto che latente è il tipo di persona che ha più probabilità di essere razzista e discriminativo. Nella terminologia di Pettigrew e Meertens, queste persone vengono definite bigotte. Chi invece non mostra pregiudizi manifesti, ma esprime pregiudizio sottile, viene definito, per l’appunto, sottile. I veri egalitari sono quelli che non esprimono né pregiudizio manifesto né sottile: essi sarebbero le uniche persone realmente prive d pregiudizi. La distinzione tra pregiudizio sottile e manifesto non è, tuttavia, accettata da tutti gli studiosi. Una delle principali critiche è che il pregiudizio latente non è una reale forma di pregiudizio, ma è più che altro una forma di pensiero legata a posizioni conservatrici e tradizionaliste. Una seconda critica riguarda il legame tra le due forme di pregiudizio. Quella sottile, in realtà, appare in molte ricerche strettamente legato a quello manifesto, nel senso che più le persone esprimono pregiudizi manifesti, più mostrano pregiudizi sottili, e viceversa. PREGIUDIZIO ESPLICITO E IMPLICITO. Una importante dicotomia utilizzata nello studio dei processi cognitivi che savvengono nella mente umana è quella tra processi impliciti e processi espliciti. I processi espliciti sono consci, deliberati e controllati dagli individui. Vengono misurati chiedendo direttamente alle persone giudizi relativi alle loro percezioni e alle loro opinioni. I processi impliciti, invece, avvengono in assenza di consapevolezza e non sono attivati intenzionalmente. Vengono rilevati in modo indiretto, ad esempio, attraverso procedure che utilizzano tempi di reazione in prove al computer, compiti di memoria, o mediante misure fisiologiche. La distinzione tra processi espliciti e impliciti è molto utile nello studio e nella misurazione del pregiudizio, dato che, come abbiamo appena visto nella distinzione tra pregiudizio manifesto e sottile, non sempre quello che una persona esprime coincide con quello che pensa intimamente. Dovidio e Gaertner ritengono che le persone che non esprimono pregiudizi possano avere una sorta di doppia rappresentazione mentale dei gruppi estranei, composta da elementi sia negativi che positivi. Gli aspetti negativi derivano dal processo di socializzazione, durante il quale le persone sono esposte agli stereotipi negativi dei gruppi estranei che circolano nella cultura e nella società di appartenenza. Questi stereotipi si fisserebbero nell’inconscio degli individui, che quindi sarebbero spinti, in

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modo del tutto inconsapevole, ad avere opinioni e pensieri carichi di pregiudizi. Gli elementi positivi, invece, sarebbero il frutto di un processo conscio, di una scelta consapevole di valori e ideali improntati all’uguaglianza e alla giustizia. Per questo tipo di duplice atteggiamento, Dovidio e Gaertner hanno proposto il termine razzismo avversivo (aversive racism). Il razzismo avversivo appare chiaramente come un prodotto recente della nostra società. Esso sarebbe tipico, paradossalmente, proprio di quelle persone che esprimono opinioni e atteggiamenti egalitari. Va ribadito, però, come queste persone non siano accusate di nascondere le loro reali credenze. Tuttavia, a causa di processi inconsci di matrice socioculturale, esse svilupperebbero dei sentimenti e delle credenze negativi relativamente a gruppi svantaggiati e minoranze. In definitiva, i loro atteggiamenti risulterebbero egalitari a livello conscio, ma negativi e discriminativi a livello inconsapevole. A questo punto sorge spontanea una domanda: come si misura il pregiudizio implicito? Evidentemente non attraverso le risposte consapevoli e controllate a domande più o meno dirette, dato che tali risposte sarebbero influenzate soprattutto dall’atteggiamento conscio e, dunque, non pregiudiziale. È necessario utilizzare misure meno dirette, che non coinvolgano i ragionamenti consapevoli delle persone. A questo scopo sono state elaborate, nel corso degli anni, diverse tecniche, che hanno in comune il fatto di riferirsi a risposte che non sono sotto il controllo cosciente degli individui. La prima metodologia si basa sul fatto che quando le persone pensano di non essere osservate si comportano in modo spontaneo, non controllato (vedi p. 99). Un’altra misura del pregiudizio implicito è legata all’utilizzo del linguaggio. Le descrizioni astratte influenzano direttamente lo stereotipo della categoria a cui la persona appartiene, mentre le descrizioni concrete e specifiche vengono trattate prevalentemente come casi singoli, il risultato di questa discrepanza è che il contenuto dello stereotipo dell’outgroup viene alimentato e confermato da informazioni astratte di valenza negativa, mentre non viene alterato da casi specifici e concreti di valenza positiva. Per l’ingroup, invece, avviene esattamente il contrario. Un terzo tipo di misurazione del pregiudizio implicito utilizza i tempi di risposta in compiti svolti al computer. In questi casi, alcune rappresentazioni dell’ingroup e dell’outgroup vengono presentate per un periodo di tempo limitato (nell’ordine di centesimi di secondo) attraverso lo schermo del computer. Queste rappresentazioni possono essere, ad esempio, delle etichette linguistiche (come italiani s immigrati, o bianchi vs neri), o dei volti di persone (volti di persone dalla pelle bianca vs di colore), e fungono da innesco (in inglese, prime) per un giudizio successivo. Subito dopo la presentazione di una di queste rappresentazioni, infatti, viene spesso presentata una parola-stimolo che può essere un aggettivo che esprime una qualità positiva (ad esempio, piacevole) o un aggettivo che si riferisce a qualcosa di negativo (es indesiderabile). Per ognuna di queste parole-stimolo il partecipante deve esprimere, attraverso la tastiera del computer, un particolare giudizio (ad esempio, dire se la parola si riferisce a qualcosa di positivo o negativo). Il compito di per sè è chiaramente facile. Per questo non vengono misurate le risposte corrette o sbagliate, ma il tempo impiegato a formularle. Infatti, la velocità nel fornire il giudizio viene

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considerata un indice della presenza di una associazione, nella mente del partecipante, tra la categoria attivata dal prime (ad es gli immigrati) e la qualità espressa dalla parola-stimolo (vedi pp100-101). PREGIUDIZIO ED EMOZIONI. Lo studio del pregiudizio viene spesso associato a processi di tipo cognitivo (la categorizzazione e i conseguenti fenomeni di assimilazione intracategoriale e differenziazione intercategoriale), motivazionale (il bisogno di autostima) o legati alla socializzazione (l’apprendimento del contenuto degli stereotipi). Queste considerazioni non tengono però presente un fondamentale aspetto dell’essere umano: i suoi vissuti emotivi. In particolare, due sono i campi di indagine sorti in riferimento alla tematica del legame tra pregiudizio ed emozioni. Nel primo, si studiano le emozioni che le persone sperimentano verso i membri dell’outgroup e che sono legate all’espressione del pregiudizio. Il secondo filone di studi rovescia la prospettiva precedente, e analizza le emozioni che si ritiene che i membri dell’outgroup siano capaci di provare. Le emozioni che le persone sperimentano e che possono essere legate al pregiudizio sono diverse. Secondo Smith, in particolare, le emozioni negative che possono essere associate ai membri dell’outgroup sono essenzialmente 5: paura, disgusto, rabbia, disprezzo e gelosia. A ognuna di queste emozioni corrisponde una particolare tendenza all’azione, associata a particolari tipologie di pregiudizio e discriminazione. La paura e il disgusto, che possono essere associati a una percezione di minaccia ai valori o all’esistenza stessa del proprio gruppo, e che possono colpire i membri di minoranze o in genere i diversi e gli emarginati, portano ad allontanarsi dai membri dell’outgroup e a evitare il contatto con essi. Di diverso tenore sono rabbia e disprezzo, che possono comportare atti di aggressione verso i membri di gruppi estranei. Infine, i gruppi svantaggiati possono provare gelosia verso i gruppi che possiedono ricchezza e benessere e, di conseguenza, attuare comportamenti e azioni collettive con o scopo di sovvertire la situazione. Altri autori hanno identificato nell’ansia una variabile cruciale nell’espressione dei pregiudizi. Ad esempio, Stephan e Stephan ritengono che l’ansia sia generata dall’idea di interagire con una persona sconosciuta appartenente all’outgroup. Questa emozione, a sua volta, porta all’attuazione di strategie difensive, di chiusura nei confronti dell’altro. Il risultato è che un’eventuale interazione sociale verrà vissuta con disagio e preoccupazione. Di conseguenza, con molte probabilità, l’interazione risulterà insoddisfacente e non farà altro che confermare il pregiudizio preesistente. L’ansia, dunque, rischia di attivare un circolo vizioso il cui risultato è l’incremento di pregiudizi e discriminazioni. Fino a questo punto abbiamo considerato solo emozioni negative. Naturalmente è possibile provare anche emozioni positive nei confronti dei membri dell’outgroup. Un esempio è l’empatia che si può sentire nei confronti dei gruppi svantaggiati e discriminati. A tale proposito, Batson e collaboratori ritengono che il fatto di mettersi nei panni degli altri, o di vedere le cose dal loro punto di vista, sia uno dei principali antidoti al pregiudizio. Il secondo filone di ricerca relativo al legame tra emozione e pregiudizio non si basa sugli stati d’animo affettivi che le persone sperimentano verso i membri dell’outgroup, ma sulle emozioni e i sentimenti che vengono loro attribuiti. Secondo

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Leyens e collaboratori, questo tipo di attribuzione fa riferimento a un tema più ampio, legato a valutazioni molto più generali di ingroup e outgroup. Una fondamentale distinzione tra gruppi di appartenenza e gruppi estranei, infatti, riguarda i giudizi relativi alla loro essenza. A tale proposito, Leyens e collaboratori ipotizzano che solo ai membri dell’ingroup vengono attribuite tutte quelle caratteristiche che sono tipiche ed esclusive degli esseri umani. I gruppi estranei invece vengono percepiti in un certo senso come «subumani», come meno rappresentativi della razza umana. Questa ipotesi, sicuramente provocatoria, trova conferma proprio nel campo delle emozioni. Alcuni studi hanno mostrato come le persone tendano a distinguere tra emozioni primarie ed emozioni secondarie. Le prime, come ad esempio gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto o sorpresa, sono quelle emozioni viscerali che sorgono in reazione a particolari stimoli esterni, e possono essere considerate tipiche sia degli uomini sia di alcuni animali. Le seconde, tra cui si annoverano affetto, ammirazione, orgoglio, nostalgia, rimorso, sono invece il prodotto di interazioni sociali ed elaborati processi mentali di tipo attivo, e sono da considerarsi tipiche dei soli esseri umani. In altre parole, dato che quelle primarie sono condivise con gli animali, solo le emozioni secondarie sono da considerarsi realmente ed esclusivamente umane. I risultati di numerosi studi condotti dal gruppo di ricerca coordinato da Leyens mostrano chiaramente come le persone, spesso in modo del tutto inconsapevole, ritengano che le emozioni secondarie vengano provate più dai membri dell’ingroup che dai membri dell’outgroup. Inoltre, in modo ancora più pregiudizievole, si nota la tendenza a negare che i membri dei gruppi estranei possano essere in grado di provare questo tipo di emozioni. Le conseguenze di questi giudizi e attribuzioni sono chiaramente molto forti per quanto riguarda le interazioni sociali con i membri dell’outgroup. In particolare, fanno capire come pregiudizi e discriminazioni si basino su processi profondi e ben radicati nella mente umana e, quindi, siano fenomeni ben difficili da eliminare o quantomeno ridurre. ORIGINE E RIDUZIONE DEL PREGIUDIZIO. Il tentativo di ridurre il pregiudizio ha impegnato gli psicologi per tutto il secolo scorso. In particolare, un grande slancio alla ricerca e all’elaborazione teorica è venuto dagli orrori della seconda guerra mondiale. PERSONALITA’ AUTORITARIA E FATTORI EDUCATIVI. La prima spiegazione del pregiudizio che prenderemo in considerazione risale al 1950, anno in cui Adorno e collaboratori presentarono il concetto di personalità autoritaria. Questo tipo di personalità si crea, secondo gli autori, durante l’infanzia. In particolare, essa è determinata dal fatto di crescere in un clima familiare rigido e repressivo. Facendo ampi riferimenti alla psicoanalisi freudiana, Adorno sosteneva che questo tipo di clima non permette al bambino di sfogare le sue pulsioni, che vengono quindi represse e nascoste. Questo processo di repressione genera una forte aggressività, che però non viene rivolta verso la reale causa del problema, ovvero i genitori, ma spostata verso altri soggetti. L’autorità dei genitori, infatti, vista come una potenziale fonte di punizione, viene rispettata e temuta. Proprio per questo, il bambino sviluppa un fortissimo senso del dovere, che si trasforma in un rigido conformismo alle regole.

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Come viene sfogata allora l’aggressività provocata dalle pulsioni represse? Viene rivolta verso due tipi di persone: da un lato i più deboli, che non possono reagire o comunque non sono percepiti come minacciosi; dall’altro tutte quelle persone che non rispettano le regole, le cui trasgressioni sono ritenute inconcepibili e pericolose. Questa situazione, reiterata nel corso degli anni, si fissa in una particolare sindrome di personalità, la personalità autoritaria. Chi la possiede sarà una persona rigida, aggressiva con i più deboli, come ad esempio le minoranze etniche, intollerante verso qualsiasi forma di devianza e diversità, ma al contempo sottomesso all’autorità, che rappresenta una proiezione delle figure genitoriali. La teoria della personalità autoritaria è stata inizialmente accolta in modo molto favorevole dagli studiosi. Prima di tutto perchè confermava alcune osservazioni del senso comune, secondo cui ci sono notevoli differenze individuali nell’espressione del pregiudizio. Secondariamente, in modo più sottile, perchè la teoria, nonostante le apparenze, era piuttosto rassicurante. Secondo Adorno, infatti, il pregiudizio non è un fenomeno intrinseco alla mente umana, ma deriva dal tipo di educazione ricevuta. Sarebbe allora sufficiente modificare i metodi educativi per eliminare del tutto qualsiasi fenomeno di razzismo e discriminazione. Tuttavia, nel corso degli anni sono sorti problemi sia di tipo teorico che metodologico. Il problema principale è che la teoria è acontestuale e astorica, cioè non tiene conto della situazione politica, sociale ed economica in cui i pregiudizi e i conflitti sorgono. Un secondo problema è di carattere puramente metodologico. Adorno, infatti, oltre a proporre il concetto di personalità autoritaria, aveva anche elaborato uno strumento di misura per rilevare questo tipo di personalità: la scala F, ovvero scala di fascismo. La scala era fondamentale per la verifica e l’applicazione pratica della teoria, dato che permetteva di rilevare chi fossero le persone maggiormente dotate di personalità autoritaria e, quindi, maggiormente pericolose per la pace sociale. tuttavia, emersero dei chiari problemi in relazione alla scala, che finirono per coinvolgere l’intera teoria. Il più grave era che i punteggi fatti registrare nella scala F dai medesimi soggetti tendevano a cambiare nel tempo. Questo fatto appare chiaramente problematico per una misura di una sindrome di personalità che, essendo sorta nell’infanzia, dovrebbe essere immutabile e stabile. Nel corso degli anni, la teoria di Adorno è stata abbandonata, e con essa l’importanza attribuita a fattori di personalità nella spiegazione del pregiudizio. Negli ultimi anni, comunque, il concetto è stato ripreso, anche se in forma modificata. Altemeyer, infatti, ha proposto il costrutto di autoritarismo di destra, che non è più da intendersi come un tratto di personalità, ma come una serie di atteggiamenti relativi a particolari oggetti sociali. La sua origine non è più psicodinamica, ma fa riferimento ai processi di apprendimento e influenza sociale. secondo Altemeyer, l’autoritarismo consiste in 3 tipi di atteggiamenti e credenze: sottomissione all’autorità, aggressività di tipo autoritario verso i più deboli e i devianti, e convenzionalismo sociale, ovvero cieco rispetto delle regole e delle convenzioni. Tale costrutto sembra essere utile alla ricerca psicologica, dato che è fortemente collegato con fenomeni di pregiudizio e di discriminazione comportamentale.

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CONFLITTO REALISTICO E SCOPI SOVRAORDINATI. La teoria del conflitto realistico, proposta da Sherif negli anni ’60, afferma che alla base del pregiudizio vi è un calcolo di natura puramente economica: quando nell’ambiente sono presenti delle risorse in numero limitato, ma che sono ambite da più gruppi sociali, tra questi gruppi si creerà una situazione di conflitto. Tali risorse possono essere sia materiali, come materie prime o territori, sia psicologiche, come ad esempio lo status. In generale, la teoria sostiene che quando due gruppi cercano entrambi di raggiungere il medesimo obiettivo, che però può essere raggiunto da uno solo dei due gruppi, si crea tra loro una situazione di interdipendenza negativa. Questo tipo di interdipendenza provoca necessariamente un conflitto intergruppi. Tale conflitto oggettivo ha precise conseguenze psicologiche, che possono variare tra forme lievi di pregiudizio e chiare espressioni di odio reciproco. Nella spiegazione dell’origine del pregiudizio, quella che Sherif chiamava competizione per scarse risorse, è insita la soluzione del problema. Se, infatti, all’origine dei problemi tra i gruppi sociali vi sono degli scopi conflittuali, sarà sufficiente eliminare questi scopi, sostituendoli con scopi cooperativi, per eliminare i conflitti intergruppi e, dunque, il pregiudizio. Questo ha portato Sherif a proporre il concetto di scopi sovraordinati, definiti come scopi che sono desiderabili per entrambi i gruppi coinvolti, ma che possono essere raggiunti solo attraverso comportamenti di cooperazione. In una situazione di questo tipo l’interdipendenza tra i gruppi diviene positiva, ed è possibile il sorgere di relazioni intergruppi armoniose. La teoria del conflitto realistico ha ricevuto conferma in diversi esperimenti condotti dallo stesso Sherif. L’esperimento della «Caverna dei ladri». La prima settimana fu dedicata ad attività di tipo intragruppo, che ebbero l’effetto di far incrementare lo spirito di coesione. Si determinò spontaneamente la scelta del leader all’interno di ogni gruppo: in entrambi i casi si trattava del ragazzo con maggiori capacità socio-emotive e relazionali. All’inizio della seconda settimana, i due gruppi vennero fatti partecipare a dei giochi di natura competitiva, si trattava di situazione di interdipendenza negativa. Il risultato, come previsto, fu l’insorgere di relazioni conflittuali tra i due gruppi, che presto sfociarono in atti di violenza vera e propria, come minacce, imboscate e pestaggi. In modo interessante, si notò il mutamento della leadership all’interno dei due gruppi: ora, il leader era diventato il ragazzino più aggressivo e forte fisicamente. Nella terza settimana gli sperimentatori inserirono gli scopi sovraordinati, creando ad arte delle situazioni in cui era richiesta la cooperazione tra i due gruppi. In tutti e tre i casi i gruppi furono costretti a cooperare per risolvere il problema e raggiungere l’obiettivo comune. Alla fine si ottenne il risultato auspicato, e tra i ragazzini tornò l’armonia. Questi dati sono sicuramente affascinanti, ma hanno il problema di non poter essere presi ad esempio delle dinamiche intergruppi presenti nella società reale. Innanzitutto, i due gruppi analizzati non avevano alcuna storia alle spalle, precedente all’esperimento. Si pone quindi il problema della validità ecologica, ovvero di corrispondenza tra la situazione creata sperimentalmente e la realtà sociale: in questa ultima, infatti, i gruppi in conflitto hanno spesso alle spalle secoli di guerre e ostilità. Sempre per quanto riguarda problemi di validità ecologica, va detto che un conto è

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competere per vincere una partita di baseball, un conto è essere in conflitto per ragioni economiche, sociali, o religiose. Infine e soprattutto, i partecipanti allo studio erano ragazzini di 12 anni. Chi è coinvolto in conflitti a livello politico e militare ha un’età, almeno anagrafica, ben diversa. IDENTITA’ SOCIALE E IDENTITA’ COMUNE. L’insoddisfazione generale verso la teoria del conflitto realistico spinse Henry Tajfel, verso la fine degli anni ’60, a indagare ulteriormente le cause dei conflitti tra i gruppi. In seguito agli esperimenti con i gruppi minimali, egli rivelò che la semplice categorizzazione in due gruppi distinti, anche se creati n laboratorio, era sufficiente a produrre pregiudizio. Nacque così la teoria dell’identità sociale, secondo cui le cause del pregiudizio sono da ricercarsi nel processo di identificazione con l’ingroup e nel bisogno degli individui di avere una immagine positiva di se stessi. In particolare, Tajfel affermava che spesso le persone si “affezionano” alle proprie appartenenze di gruppo e che, di conseguenza, tendono a difenderne non solo il valore, ma anche l’esistenza stessa. In altre parole, quando l’esistenza di un gruppo viene minacciata, le persone che ne fanno parte reagiscono difendendolo, ad esempio discriminando contro gruppi estranei e aumentando il senso di coesione interna. Un esempio di minaccia all’esistenza del proprio gruppo si ha quando ingroup e outgroup risultano essere eccessivamente simili tra loro, o quando i confini tra i due gruppi si sfumano a tal punto che essi finiscono con il fondersi in un unico gruppo. Si parla in questo caso di minaccia alla distintività dell’ingroup. Quanto detto finora mal si combina con la teoria del conflitto realistico. Se, infatti, le persone si sentono minacciate quando un loro gruppo di appartenenza viene assimilato a un gruppo estraneo, come è possibile ipotizzare che gli scopi sovraordinati, che portano per l’appunto a una (con)fusione tra ingroup e outgroup, siano in grado di ridurre il pregiudizio? Un esperimento di Deschamps e Brown (1983) fornisce un primo chiarimento al riguardo (vedi pp110-111). Gli scopi sovraordinati, da soli, non provocano un miglioramento delle relazioni tra i gruppi. Perchè essi siano efficaci è necessario che la distintività tra ingroup e outgroup non venga minacciata. Tuttavia, la risposta fornita da Deschamps e Brown è solo parziale. Negli studi sui campi estivi di Sherif, infatti, il pregiudizio si riduceva proprio quando i due gruppi perdevano la propria distintività. Questo significa che la teoria dell’identità sociale non è valida? Per rispondere a questo interrogativo, Gaertner e collaboratori hanno rianalizzato i resoconti dell’esperimento della Caverna dei ladri. In primo luogo, essi hanno notato come furono necessari tre scopi sovraordinati per riportare l’armonia tra i partecipanti. Gaertner e collaboratori hanno ad esempio rilevato che le attività legate al primo scopo sovraordinato, trovare il guasto nel sistema idrico del campeggio, erano state più che altro una ulteriore occasione di competizione e sfida tra i gruppi. Questo dato non è spiegabile in base alla teoria di Sherif. Lo è, invece, se consideriamo la situazione alla luce dei processi legati all’identità sociale. se le persone si identificano con due gruppi tra loro in competizione, allora cercheranno di dimostrare di essere l’uno superiore all’altro. L’introduzione di uno scopo sovraordinato che porti alla fusione dei due gruppi, in queste condizioni, non è utile,

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dato che comporta una minaccia alla distintività dell’ingroup e, di conseguenza, un aumento del pregiudizio. A conferma di tale interpretazione, Gaertner e collaboratori hanno rilevato che alla fine la situazione nel campeggio della caverna dei ladri migliorò non a causa della creazione di una interdipendenza positiva tra ingroup e outgroup, ma perchè la modalità di rappresentazione della situazione era mutata: non erano più presenti le “aquile” e i “serpenti a sonagli”, ma i “ragazzi del campeggio”. In altre parole, era nato, sulle ceneri dei precedenti gruppi, un unico ingroup comune. Queste dinamiche sono in accordo con la teoria dell’identità sociale, ma soprattutto con la più recente teoria dell’identità comune, elaborata da Gaertner e collaboratori nel 1993. Secondo questa teoria, dato che l’origine del pregiudizio è da ricercarsi nel processo di categorizzazione, è proprio agendo su di esso che sarà possibile riportare l’armonia tra i gruppi. D’altra parte, eliminare il processo di categorizzazione è impossibile, dato che esso fa parte del normale funzionamento della mente umana. Allora, l’unica soluzione è fare in modo che l’immagine positiva dei membri dell’ingroup venga estesa a quelli dell’outgroup. Per ottenere questo obiettivo va creato un unico ingroup comune, che racchiuda al suo interno sia l’ingroup sia l’outgroup. Gaertner e Dovidio hanno mostrato chiaramente, attraverso numerosi studi sperimentali, che gli scopi sovraordinati sono efficaci solo se associati alla creazione di un’identità comune. Finché i due gruppi si considerano diversi, la competizione e il pregiudizio sono sempre in agguato. IL CONTATTO INTERGRUPPI. A partire dalla metà del secolo scorso, gli psicologi sociali hanno iniziato ad adottare una particolare tecnica di riduzione del pregiudizio: il contatto intergruppi. L’ipotesi legata all’utilizzo di questa tecnica è che la conoscenza approfondita di persone appartenenti a gruppi stigmatizzati e discriminati porti alla conclusione che gli stereotipi nei loro confronti sono sbagliati e, di conseguenza, inutili. Vediamo ora come l’ipotesi del contatto è mutata nel corso degli anni. IL CONTATTO TRA MANCANZA DI CONOSCENZA E CATEGORIZZAZIONE. Il primo teorico che ha sistematizzato in modo chiaro l’ipotesi del contatto è stato, nel 1954, Gordon W. Allport. Secondo questo autore, le ostilità e i pregiudizi tra i gruppi sono alimentati dalla mancanza di familiarità tra i rispettivi membri. Tale mancanza di familiarità, a sua volta, è determinata dalla separazione, o segregazione, esistente tra i differenti gruppi sociali. Ne consegue che, per ridurre pregiudizi e discriminazioni, bisogna accrescere le possibilità di conoscenza reciproca tra le persone appartenenti a gruppi diversi. Le interazioni con i membri dei gruppi estranei, se positive, favoriscono infatti la disconferma degli stereotipi negativi a essi associati. Quindi, se avviene in condizioni favorevoli, il contatto tra persone appartenenti a gruppi diversi porta alla riduzione del pregiudizio e al sorgere di atteggiamenti positivi. Secondo Allport, le condizioni favorevoli in cui il contatto deve avere luogo per essere realmente efficace sono 4.

1. Presenza di un supporto istituzionale. Le persone dovrebbero percepire che il contatto con persone appartenenti a gruppi estranei è auspicato e favorito dalle autorità, dalla legge o dalle consuetudini sociali. In altre parole, è utile nelle

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scuole, nei luoghi di lavoro, o nella società civile in generale, le interazioni tra persone appartenenti a gruppi diversi e l’accettazione delle diversità siano considerati come norme sociali condivise.

2. Possibilità di conoscenza approfondita. Il contatto superficiale e casuale non può portare a una reale riduzione del pregiudizio. È invece necessario che le interazioni siano il più possibile prolungate nel tempo e profonde. Solo in questo modo sarà possibile la reale conoscenza dell’altro e, di conseguenza, la smentita degli stereotipi negativi generalmente applicati all’outgroup.

3. Status uguale. Spesso i gruppi tra cui esiste pregiudizio hanno uno status sociale differente. È proprio questa differenza di status e di potere che alimenta stereotipi negativi nei confronti del gruppo inferiore, ad esempio in relazione alla mancanza di abilità e competenze dei suoi membri. La situazione di contatto non deve pertanto riproporre questa differenza di status, perchè altrimenti si correrebbe il rischio di alimentare e confermare ulteriormente gli stereotipi negativi dell’outgroup.

4. Interazione cooperativa. Naturalmente, tutte le condizioni finora elencate sono funzionali alla riduzione del pregiudizio solo se l’interazione viene vissuta come positiva e gratificante. Uno dei modi più efficaci per rendere positiva una situazione di contatto è creare la possibilità di cooperazione tra le persone appartenenti ai diversi gruppi.

Secondo Allport, se in una interazione vengono rispettate queste 4 condizioni, allora è probabile che si giunga alla riduzione del pregiudizio tra i gruppi coinvolti. Tale modello che afferma che il pregiudizio nasce da una mancanza di conoscenza, non tiene in considerazione il fatto che l’origine della discriminazione e del favoritismo per l’ingroup può essere trovata anche nel semplice processo di categorizzazione sociale. inoltre, il fenomeno della categorizzazione ha come correlato l’assimilazione intracategoriale, che provoca la percezione dei membri dell’outgroup come simili tra loro. La combinazione di questi fattori è deleteria per l’ipotesi del contatto: nelle interazioni in cui sono coinvolti membri di gruppi diversi, infatti, esiste il rischio concreto che le persone si percepiscano reciprocamente come elementi indifferenziati della rispettiva categoria di appartenenza. Sarà dunque probabile un’applicazione reciproca di stereotipi e pregiudizi. In altre parole, l’interazione tra persone appartenenti a gruppi diversi rischia di essere rovinata, già in partenza, dal semplice processo di categorizzazione. Il contatto, in situazioni di questo genere, rischia allora di divenire una ulteriore occasione per confermare l’immagine negativa dell’outgroup. Per questa ragione, le proposte teoriche più recenti in relazione al tema del contatto intergruppi partono tutte dall’assunto che il nemico da combattere non sia solo la mancanza di conoscenza dell’altro, ma anche, e soprattutto, il processo di categorizzazione sociale. CONTATTO E CATEGORIZZAZIONE. Il primo modello teorico che combina l’ipotesi del contatto e il tema della categorizzazione è il modello della personalizzazione, proposto da Brewer e Miller nel 1984. Secondo questi autori, una delle principali conseguenze del processo di categorizzazione sociale è la

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deindividuazione dei membri dell’outgroup. Il risultato della deindividuazione è che le persone appartenenti ai gruppi estranei vengono trattate come elementi indifferenziati dell’intera categoria cui appartengono e quindi discriminati non in base alle loro caratteristiche personali, ma in base alla loro semplice appartenenza al gruppo. Secondo Brewer e Miller, quindi, una situazione di contatto che abbia come obiettivo la riduzione del pregiudizio deve essere strutturata in modo tale da ridurre la salienza delle distinzioni tra categorie sociali. Sfumando l’importanza delle categorie diventa possibile notare le effettive caratteristiche personali dei partecipanti all’interazione, che cominciano quindi ad essere percepiti come singoli individui, e non più come membri di gruppo. Questo processo di personalizzazione, che si oppone a quello opposto di categorizzazione, ha due importanti effetti. In primo luogo, permette di rompere l’immagine monolitica dell’outgroup, dato che consente di osservare che le persone appartenenti ad esso non sono tutte uguali, ma sono dotate della loro individualità. In secondo luogo, consente di disconfermare gli stereotipi dell’outgroup, di cui si nota quindi la falsità e l’inutilità, in quanto le persone non vengono più considerati come membri di categorie, ma come singole persone.

Il modello della personalizzazione ha ricevuto numerose conferme empiriche, la maggior parte delle quali si riferisce però a gruppi creati e fatti interagire in laboratorio. Questo rappresenta un chiaro limite al modello. Infatti, se i suoi assunti sono sicuramente logici e condivisibili, essi non appaiono altrettanto realistici. In particolare, due sono i problemi che possono sorgere quando si cerca di creare un’interazione personalizzata. Il primo si riferisce al fatto che la categorizzazione sociale è una normale modalità di funzionamento della mente umana. Le persone utilizzano sempre le categorie per classificare e semplificare l’ambiente circostante. Pensare che le appartenenze di gruppo possano essere all’improvviso ignorate e dimenticate appare più che altro come un’utopia. Comunque sia, anche ammettendo che il processo di personalizzazione possa avere luogo, vi sono molti dubbi che esso possa portare a una reale riduzione del pregiudizio. Anche nel caso di un’interazione in cui le appartenenze di gruppo non siano rilevanti, resta da risolvere un problema fondamentale: la generalizzazione. Perché un contatto positivo porti alla riduzione del pregiudizio, infatti, è necessario che il giudizio favorevole sviluppato nei confronti delle singole persone conosciute venga esteso all’intero gruppo di appartenenza. Invece, se si pone eccessiva enfasi sul fatto che la persona incontrata è unica e irripetibile, si corre il rischio che essa venga considerata un’eccezione rispetto alla regola, un caso a parte rispetto all’intero outgroup. Allora, si può ipotizzare che questo tipo di contatto possa portare alla nascita di amicizie gratificanti da un punto di vista personale, ma che in ultima analisi lasci inalterato lo stereotipo del gruppo estraneo. Proprio per superare questo problema Hewstone e Brown hanno proposto un secondo modello, detto della mutua differenziazione. Secondo questi autori, nella mente umana sono attivi processi cognitivi e motivazionali che impediscono alle categorie sociali di scomparire. Inoltre, al di fuori dei laboratori di ricerca, i gruppi hanno una storia alle spalle che provoca forti resistenze al cambiamento dei confini intergruppi.

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In questa ottica, è inutile combattere la categorizzazione. Piuttosto, essa va sfruttata per arrivare al proprio obiettivo, ovvero la riduzione del pregiudizio. Ad esempio, si può cercare di valorizzare le differenze esistenti tra i gruppi in contatto, enfatizzare il contributo unico e insostituibile dei membri dei due gruppi, in modo da arrivare a un fenomeno di mutua differenziazione. In questo modo, le differenze categoriali si caricano di un valore positivo, anziché negativo come avviene di solito. Il fatto di mantenere salienti le appartenenze di gruppo assicura, inoltre, il processo di generalizzazione: se le persone con cui si interagisce vengono percepite non come singoli individui, ma come membri di gruppo, allora una interazione piacevole si tradurrà facilmente in una valutazione positiva dell’intero outgroup. Il problema di questo approccio, però, è come si possa arrivare a un’interazione positiva all’interno di una situazione intergruppi. In particolare, si è notato che quando le interazioni avvengono in una situazione che mantiene salienti le appartenenze di gruppo, le persone provano ansia. Non si tratta di ansia generica, ma di un particolare stato emotivo legato alla preoccupazione di essere giudicati negativamente dall’altro, al timore che la situazione possa degenerare e, in generale, alla mancanza di sicurezza circa il modo corretto di comportarsi e di relazionarsi con l’altro. UN MODELLO INTEGRATIVO DEL CONTATTO. I principali modelli teorici relativi al contatto intergruppi ci dicono che per eliminare i tipici fenomeni legati ai processi di categorizzazione, come pregiudizio e discriminazione, è necessario personalizzare il contatto, fare cioè in modo che le persone interagiscono tra loro sulla base delle loro caratteristiche individuali, riducendo la salienza delle rispettive appartenenze di gruppo. Questo tipo di interazione, però, difficilmente porta a effetti di generalizzazione, dato che le singole persone incontrate, se giudicate positivamente, rischiano di essere considerate un’eccezione rispetto al gruppo di appartenenza. Per consentire il processo di generalizzazione è allora necessario creare un legame tra gli individui conosciuti e il loro gruppo di appartenenza. Questo legame è garantito dalla salienza della loro appartenenza di gruppo. Che però provoca un immediato aumento del pregiudizio e la comparsa dell’ansia intergruppi. Come risolvere questo circolo vizioso? Hewstone e Pettigrew sono recentemente giunti alla stessa conclusione: i modelli della personalizzazione e della mutua differenziazione non devono essere considerati l’uno in antagonismo con l’altro. Bisognerebbe invece cercare di combinarli tra loro in modo ottimale,così da massimizzarne i punti di forza e minimizzarne le debolezze. La soluzione al problema del pregiudizio potrebbe essere allora una successione temporale di forme diverse di contatto. La sequenza ideale sembrerebbe essere la seguente: partire da un contatto interpersonale, il più possibile profondo e positivo, in modo da ridurre il rischio di ansia intergruppi e permettere una serena conoscenza interindividuale; una volta instaurato un rapporto positivo, rendere salienti le appartenenze di gruppo, in modo da favorire il processo di generalizzazione. In questo modo, è possibile giungere a una effettiva riduzione del pregiudizio. CONCLUSIONE. Lo studio delle cause del pregiudizio e la proposta di strategie per ridurlo sono ambiti cruciali nella psicologia sociale che si occupa di gruppi.

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Domande e risposte per ripasso PSICOLOGIA SOCIALE CAP1: la psicologia sociale L'influenza sociale è il modo in cui i nostri pensieri,comportamenti vengono influenzati dagli altri(studiati scientificamente). Anche quando pensiamo di non essere influenzati(quando non ci sono persone che possono farlo)restiamo inconsapevolmente in un contesto culturale e sociale che ci influenza. La psicologia sociale si occupa del modo in cui le persone INTERPRETANO il loro ambiente sociale e come pensano le influenzi. Inoltre la psicologia sociale ritiene che studiare i comportamente solo in base alla personalità di una persona possa essere riduttivo e non spiegarlo completamente--> bisogna infatti tenere in considerazione il CONTESTO questo è chiamato ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE--> tendenza a sottostimare il livello Contestuale ES del libro: cambiando il nome di un gioco in WALL STREET GAME da COMMUNITY GAME le persone diventavano + competitive invece che cooperative come nel community. Concetti simili sono proposti dalla Gestalt--> l'intero è maggiore della somma delle sue parti, si prende quindi in considerazione l'oggetto come appare al soggetto non dalle parti in cui è composto(werthemeir kohler e kofka)Lewin fu xo il primo ad applicare i principi gestalt alla psicosociale affermando che è fondamentale comprendere la prospettiva della persona nella situazione in cui si trova per vedere COME COSTRUISCE L'AMBIENTE SOCIALE D: quali solo le due motivazioni fondamentali per gli psicologi sociali? R: il BISOGNO DI ESSERE ACCURATI ,GIUSTIFICARE I NOSTRI PENSIERI E LE NOSTRE AZIONI e il BISOGNO DI CONTROLLO es dell'uomo che aveva il rituale d'ingresso nell'esercito( e si affeziona al gruppo) e il figlio nell'esercito invece non lo fa (e non ci si affeziona)-->tanto + la prova era spiacevole + il gruppo diventava importante--> tendenza a dover giustificare i nostri comportamenti. e mantenere un 'immagine positiva di noi stessi Le persone tendono a ricordare di + le cose in accordo alle loro opinioni preesistenti D: che cos'è la dissonanza postdecisionale? R: è quella dissonanza che avvertiamo ogni volta presa una DECISIONE IMPORTANTE D: che cos'è la cognizione sociale o "social cognition"? R: il fatto di esaminare come le persone interpretano il mondo.

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D: profezie che si autoadempiono R: concetto proposto da Rosenthal e Jacobson, si basa sul fatto che le nostre aspettative sul mondo si frappongono alla nostra accurata percezione di esso(es. effetto sui bambini considerati come geni fin dall'inizio) "PSICOLOGIA SOCIALE " di Akert,Wilson e Aronson CAPITOLO 2: LA COGNIZIONE SOCIALE D: cosa s'intende per cognizione sociale? R: il modo in cui le persone pensano se stesse e il mondo DUE TIPI DI COGNIZIONE SOCIALE: AUTOMATICA E VOLONTARIA(come il RACIAL PROFILING--> individuare i mediorientali all'aereoporto) Il pensiero automatico: il pensiero che avviene in maniera NON CONSCIA e senza sforzi(come il PRIMING) Il pensiero controllato: pensiero conscio e intenzionale CON sforzi, quindi dobbiamo avere tempo ed energia da dedicargli.fornisce i freni al pensiero automatico D: cosa sono gli schemi? R:strutture che organizzano la nostra conoscenza del mondo. Quando vengono applicati ad un genere,un entia o un gruppo si parla di STEREOTIPI(es. degli afroamericani e delle pistole) KORSAKOV:deficit nella capacità di creare nuovi ricordi. Gli schemi che ci guida è influenzato dall'ACCESSIBILITA(in base all'EXP PASSATA o quelli TEMPORANEAMENTE ACCESSIBILI) Gli schemi sopravvivono fino a quando viene distrutta ogni prova che li può sostenere c'è xo l'EFFETTO PERSISTENZA: le credenze che appunto persistono nonostante non ci siano + prove in favore. non compiamo scelte nel migliore modo possibile. UTILIZZIAMO SCORCIATOIE COGNITIVE,come quella -----della DISPONIBILITA':fondata sulla facilità con cui ci vengono in mente gli esempi(es. della credenza della morte causata dagli squali che per le schegge d'aereo) oppure -----della RAPPRESENTATIVITA':classificare le cose in base a quanto+ sono simili al prototipo -----dell'ANCORAGGIO E DELL'ACCOMODAMENTO:es. del ristorante di cui tutti parlano bene ma noi veniamo serviti male,e allora pensiamo che il posto fa schifo. D: come si chiama il processo con cui si parte da un campione di info per arrivare alla totalità? R:CAMPIONAMENTO TENDENZIOSO(le nostre stesse azioni fungono da ancoraggio per le nostre generalizzazioni) TEORIA DELLA CREDENZA AUTOMATICA DI GILBERT: tutto quello con cui abbiamo a che fare lo consideriamo come necessariamente vero(dovremmo fermarci

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altrimenti ogni momento a riflettere se lo sia o no)-->l'accettazione iniziale è automatica il giudizio invece è controllato D: cos'è il pensiero CONTROFATTUALE? R: il ragionare su come sarebbe potute andare le cose se fossero accadute diversamente. + FACILE E' ANNULLARE MENTALMENTE UN ESITO + FORTE E' LA REAZIONE EMOTIVA AD ESSO. CAP 3: COME ARRIVIAMO A COMPRENDERE GLI ALTRI il nostro giudizio sugli altri è influenzato da tratti come bellezza, aspetto del viso e ciò che le persone dicono. D: cos'è la comunicazione non verbale? R: è ciò che le persone ci comunicano intenzionalmente o no, senza le parole questo aspetto della psicologia sociale nasce dal lavoro di DARWIN sull'universalità delle emozioni--> le principali forme di espressione umana sono sei Si possono anche emettere emozioni miste con diverse parti del volto D: Quali sono i principali effetti della soppressione delle emozioni? R: una ridotta capacità di ricordare e un'aumento della pressione cardiovascolare EKMAN e collaboratori hanno riscontrato che ogni cultura ha proprie REGOLE DI ESIBIZIONE per le emozioni(tutti a pag 57) D: che cos'è il SIT di Archer e Akert? R: la videocassetta con contenuti di comportamenti non verbali di vita reale Rosenthal e DePaulo scoprirono che le donne potevano essere maggiormente ingannate rispetto agli uomini. Ciò è in accordo con la TEORIA DEL RUOLO SOCIALE DI EAGLY secondo cui a ciascun genere è richiesto di adottare un certo schema di comportamento(in modo da esser prevedibili agli altri) D: Che cos'è la teoria implicita di personalità? R: quando le persone non sono sicure della natura della situazione sociale in cui si trovano adottano un scorciatoia cognitiva. in questo caso associano le caratteristiche che pensano siano + compatibili con il tratto di personalità con cui stanno avendo a che fare( se una persona è gentile sarà anche buona istruita ecc...) Si formano culturalmente, quindi in ogni cultura troveremo diverse teorie implicite di personalità D: E la teoria dell'attribuzione? R: è quella teoria che ci permette di speiegare perchè una persona si è comportata in un certo modo. E' attribuita ad HEIDER che si è interessato a ciò che sembra ragionevole alle persone e come arrivano alle loro conclusioni.

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D: Quali sono i due tipi di attribuzioni R: interna(disposizionale) ed esterna (situazionale). per esempio interno può essere pensare che una persona si è comportata così perchè" fa parte del suo carattere" ed esterno invece: si è comportato così " in quella situazione" secondo Heider tendiamo SOTTOVALUTARE IL LIVELLO SITUAZIONALE E SOVRASTIMARE IL LIVELLO DISPOSIZIONALE D: qual'è il contributo di Kelly alla teoria dell'attribuzione? R: il fatto che quando ci formiamo l'impressione su una persona pensiamo + di un'informazione (MODELLO DI COVARIAZIONE--> attribuzione(interna,esterna e situazionale) quando c'è un associazione tra due di questi tipi d'informazioni CONSENSO,SPECIFICITA' E COERENZA) modello di covariazione--> persone come DETECTIVE D: che cos'è il "bias" di corrispondenza? R: è la stessa cosa dell' errore fondamentale d'attribuzione--> ossia la tendenza a sovrastimare le disposizioni individuali, rispetto al contesto. Questo accade perchè di solito ci concentriamo + sulle persone che sui contesti(salienza percettiva) D: qual'è un'altra possibile causa di questo "bias"? R: L'euristica dell'ancoraggio e dell'accomodamento--> si cominciano a fare pregiudizio da un punto di riferimento senza poi effettuare un accomodamento preciso(in questo caso si inizia con le persone utilizzate come punto di partenza dell'osservazione D: Quali sono i due stadi del processo d'attribuzione? R: Il primo è un'attribuzione interna(di solito automatica) a cui segue un'attribuzione esterna(la situazione). Persone distratte compiono + spesso attribuzioni interne estreme. Da questo si genera l'effetto riflettore(sembra che siamo sempre al centro dell'attenzione). Un'altro effetto interessante è la DIFFERENZA TRA ATTORE E OSSERVATORE--> se agli altri tendiamo a fare attribuzioni interne anzichè situazionali, per quanto riguarda noi stessi pratichiamo il processo opposto Quando la nostra autostima è minacciata compiamo delle attribuzioni a nostro favore(ci prendiamo i meriti dei nostri successi e attribuiamo le nostre sconfitte a fattori esterni) lo facciamo per dare agli altri un'immagine forte di noi stessi CAP 4:COME ARRIVIAMO A COMPRENDERE NOI STESSI William James pensava al CONCETTO DI SE' in maniera sfaccettata, ognuno di noi può avere diversi SE' in risposta alle diverse situazioni sociali. Gallup scoprì che le scimmie superiori avevano un senso di sè. Non si stancavano infatti dello specchio ma lo usavano per la propria cura

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D: che cos'è l'effetto di autoreferenza? R: è la tendenza delle persone a ricordarsi meglio le caratteristiche che riguardano se stessi il sè svolge una funzione di autocontrollo--> secondo il modello AUTOREGOLATORE DELLE RISORSE l'autocontrollo è come un muscolo che se usato troppo si stanca(sopprimere continuamente un pensiero implica un minore controllo delle emozioni) LA VISIONE DEL SE' VARIA A SECONDA DELLA CULTURA DI APPARTENENZA E DEL GENERE --> giapponesi interdipendenti reciproci come le donne, americani esaltano l'indipendenza(il grado è misurato tramite il questionario di SINGELIS)come gli uomini. Le persone passano pochissimo tempo a pensare a se stessa e spesso anche con l'introspezione le ragioni dei sentimenti e dei comportamenti possono rimanere celate(soprattutto quando vogliamo deliberatamente non affrontare qualcosa) D: che cosa s'intende per TEORIE CASUALI? R: sono le nostre teorie che usiamo per comprendere il nostro comportamento(spesso derivano dalla nostra cultura d'origine) il guaio è che non sempre hanno una base fondata D: e la TEORIA DELL'AUTOPERCEZIONE DI BEM? R:afferma che quando i nostri atteggiamenti sono ambigui o incerti, li inferiamo osservando il nostro comportamento e la situazione in cui ci troviamo ES. del libro. i bambini a cui già piaceva leggere e a cui è stata introdotta una ricompensa per farlo alla fine del programma leggevano con meno interesse--> è successo perchè hanno perso la MOTIVAZIONE INTRINSECA nel leggere(la ricreazione è divenuta un lavoro) tramite una MOTIVAZIONE ESTRINSECA--> l'effetto di SOVRAGIUSTIFICAZIONE è proprio questo giustificare i propri comportamenti chiamando in causa le cause esterne(come le ricompense) una soluzione(per quanto riguarda il problema: ricompensare o no) sarebbe quella di dare una ricompensa CONTINGENTE ALLA LIVELLO DI PRESTAZIONE E NON AL COMPITO D: che asserisce la teoria BIFATTORIALE DELLE EMOZIONI DI SCHACHTER? R: Che la comprensione dell'emozione richiede due stadi: uno di eccitazione fisiologica e l'altro di etichettamento--> gli esper sul placebo prova che le emizioni sono in parte arbitrarie, poiché dipendono dalla spiegazione + plausibile della situazione(se una donna ci chiede di richiamarla su un ponte traballante la chiameremo molto + probabilmente rispetto a quand siamo adagiati in poltrona, perchè attribuiremo l'eccitazione dello stare su un ponte alla presenza della donna--> ATTRIBUZIONE ERRATA DI ECCITAZIONE) D: e la teoria DELLE EMOZIONI COME VALUTAZIONI COGNITIVE?

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R: la nostra emozione verrà a dipendere dal modo in cui interpretiamo o valutiamo il fatto prima che insorga l'eccitazione. IL SE' NON SI SVILUPPA IN UN CONTESTO ISOLATO. AL CONTRARIO LE ALTRE PERSONE SONO FONDAMENTALI Questa è la teoria DEL CONFRONTO SOCIALE elaborata da FESTINGER. verte su due importanti questioni: QUANDO CONFRONTARCI E CON CHI Rispetto al quando; ogni volta che manca un criterio oggettivo e avvertiamo incertezza. Rispetto al chi;con chiunque e in maniera veloce e automatica Scegliamo con chi confrontarci in relazione ai nostri scopi:scegliamo il CONFRONTO VERSO L'ALTO per determinare la nostra eccellenza, mentre scegliamo quello VERSO IL BASSO per autodifesa e protezione. D: cosa s'intende per "self-handicapping"? R: è una strategia da adottare per prevenire una situazione di fallimento: già da prima ci prepariamo scuse o ci creiamo ostacoli per spiegarlo e salvare la faccia CAP 5: IL BISOGNO DI GIUSTIFICARE LE NOSTRE AZIONI una delle + potenti cause che determinano il comportamento è il nostro bisogno di mantenere un'immagine si noi stessi positiva e stabile D: cosa s'intende per DISSONANZA COGNITIVA? R: quella sensazione di malessere quando compiamo un 'azione che potrebbe minare l'opinione e l'immagine di noi stessi--> genera una fastidiosa incoerenza rispetto al modo in cui pensiamo di essere e spinge l'individuo a cercare di attenuarla D: che cos'è la dissonanza postdecisionale? R: è quella dissonanza che avvertiamo ogni volta presa una DECISIONE IMPORTANTE. per ridurla le persone generano argomentazioni a favore con la decisione presa(soprattutto quando si accorgono che la scelta non è stata poi così sensata) + E' IMPORTANTE E PERMANENTE LA DECISIONE MAGGIORE SARA' LA DISSONANZA AVVERTITA(es. le scommesse e la tecnica del "colpo basso" --> accetti di comprare a 5000 ma poi si scopre che è 7000) GIUSTIFICAZIONE DELLO SFORZO-->esempio dello studente che studia e si sforza per anni per poi entrare in club di imbecilli. Avverte molta dissonanza. Per ridurla cercherà di convincersi che forse il club non è così male come sembra D: la counterattitudinal advocacy. cos'è? R: Un processo che porta un individuo a dichiarare pubblicamente un'opinione o un atteggiamento contrario ai loro valori. Quando essa viene compiuta con UNA GIUSTIFICAZIONE MINIMA,dà luogo a un cambiamento dell'atteggiamento privato dell'individuo, nel senso dell'affermazione fatta in pubblico. LA PENA PESANTE CI INSEGNA SOLO AD EVITARE DI VENIR PRESI. LA PENA INSUFFICIENTE E' + EFFICACE PERCHè NON FORNISCE UNA GIUSTIFICAZIONE ESTERNA--> QUINDI SARA' NECESSARIA MAGGIORMENTE UNA GIUSTIFICAZIONE INTERNA(es. proibire con minaccia pesante e leggera di usare un gioco--> il bambino pesantemente minacciato

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lo desidererà + di prima. i bambini lievemente puniti cercarono una giustificazione interna --> "non ci ho giocato perchè non mi piace" D: perchè l'AUTOPERSUASIONE funziona meglio di quella diretta? R: perchè siamo noi stessi(quindi cercando una giustificazione interna) a farlo e non una pressione esterna ES. del libro: una cavalletta fritta ci piacerà di + se dobbiamo farlo per una amico o se ce lo ordina il nostro caporale? Il caporale perchè abbiamo scarsa giustificazione esterna per la sua azione La teoria della dissonanza spiega inoltre perchè tendiamo ad andare d'accordo con qualcuno che all'inizio odiavamo, dopo che gli abbiamo fatto un favore(cerchiamo di trovare una giustificazione al nostro comportamento irrazionale riducendo l'antipatia verso di lui) STESSA COSA PER L'ODIO(giustifichiamo gli orrori commessi pensando magario che li abbiamo fatti per una giusta causa ANCHE DISTORCENDO LA REALTA'--> magari disumanizzando la vittima D: che cosa afferma la teoria DELLA DISCREPANZA DEL SE'(Higgins)? R: secondo questa teoria le persone avvertono una motivazione a preservare un senso di coerenza tra le loro credenze varie e il loro concetto di sè--> così come nella teoria della dissonanza cognitiva anche in questa se avvertiamo dissonanza sentiamo il bisogno di ridurla ristabilendo l'armonia tra le nostre credenze D: e la teoria del MANTENIMENTO DELL'IMMAGINE DI SE'? R: es. l'amico che ci supera in un campo che per noi è importante ci fa sentire a disagio perchè mina l'immagine(e l'idea) di bravura che abbiamo in quel campo(e in noi stessi) D: quali sono i tre principali criteri? R:1) come svolgiamo il compito rispetto ad un altro 2)la sua vicinanza con noi 3) quanto è pertinente il compito rispetto all'immagine che abbiamo di noi stessi CAP 6 : GLI ATTEGGIAMENTI D: che cos'è un atteggiamento e quali sono le sue componenti? R: un giudizio permanente riguardo persone,oggetti e idee. 3 componenti--> affettiva,cognitiva e comportamentale. L'atteggiamento a base cognitiva lo si ha quando di vuole valutare obbiettivamente qualcosa(come quando adiamo a comprare una macchina) L'atteggiamento a base emotiva si fonda + sulle emozioni e sui valori(come quando votiamo) Nell'atte. comportamentale si sa quale comportamento seguire ancor prima di conoscere le nostre emozioni(chiedere a un'amica quanto si diverte a far sport e lei ci risponde che "dev'essere molto visto che lo fo tutti i giorni!) gli atteggiamenti possono essere ESPLICITI(che sosteniamo coscientemente) e IMPLICITI(valutazioni involontarie e inconsce) per riconoscere gli atteggiamenti impliciti si usa lo IAT.

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D: Approccio al cambiamento di atteggiamento della scuola di Yale. R: si fonda sul " CHI, dice COSA A CHI"--> quindi FONTE, COMUNICAZIONE STESSA, PUBBLICO. D: che cos'è il modello DELLA PROBABILITA' DI ELABORAZIONE di Petty e Cacioppo? R: secondo questo modello ci sono due diverse vie di elaborazione: centrale(analizziamo in profondità l'informazione) e periferica(guidata da informazioni superficiali e periferiche,non dal contenuto) un fattore fondamentale che spinge le persone a prestare + attenzione è la RILEVANZA PERSONALE dell'argomento(se il ragionamento è forte si presta massima attenzione, se debole ci si concentra su chi parla). Altri fattori possono essere la stanchezza,rumori di fondo ecc... Le persone che elaborano in profondità un 'informazione hanno maggiori probabilità di conservarla nel tempo. UN MODO PER ATTIRARE L'ATTENZIONE DELLE PERSONE E' SPAVENTARLE(pubblicità contro il fumo) D: cosa asserisce il modello DELLA PERSUASIONE EURISTICO-SISTEMATICO di Chaiken? R: che quando le persone adottano la via periferica della persuasione impiegano spesso una forma di euristica. i soggetti rispondono + favorevolmente alle pubblicità che corrispondono al loro tipo d'atteggiamento(cognitivi si concentrano sulle caratteristiche dell'oggetto, emotivi sull'impatto visivoemotivo) D: cosa intende McGuire con "INOCULAZIONE DELL'ATTEGGIAMENTO"? R: una strategia per essere + resistenti all'influenza e al cambiamento. Lo si può fare pensando PRIMA agli argomenti che ci verranno proposti (una specie di VACCINO) Può essere un ottimo metodo per indurre i giovanissimi a smettere di fumare. Se invece di vaccinare, spaventiamo a morte un soggetto, secondo la TEORIA DELLA REATTANZA potremmo avere l'effetto contrario(le persone non vogliono sentirsi privare della loro libertà) I comportamenti più prevedibili sono quelli PIU' ACCESSIBILI e quelli che riguardano AZIONI SPECIFICHE Per misurare invece quelli volontari la teoria + conosciuta è quella dell'AZIONE RAGIONATA secondo cui ci si basa sull'intenzione di agire in un certo modo + il comportamento è difficile meno le persone avranno la tendenza a metterlo in atto. al contrario se è facile avranno maggiori probabilità di farlo(controllo comportamentale percepito) manca una piccola parte sulla pubblicità CAP 7: IL CONFORMISMO il libro fa subito l'esempio della strage di My Lai. Una possibile ragione di quel conformismo "limite" è che in situazione in cui non sappiamo cosa fare e siamo confusi, ci affidiamo alle informazioni provenienti dagli altri(INFLUENZA

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SOCIALE INFORMAZIONALE)--> un'altro esempio di come possano diventare potenti le informazioni degli altri è L'ESPERIMENTO SI SHERIF SULL'EFFETTO AUTOCINETICO Molto importante è la TENDENZA AD ESSERE ACCURATI--> questo ci spinge ad essere + suscettibili all'influenza sociale(esper. dei testimoni) + IMPORTANTE E' LA DECISIONE E + CI AFFIDEREMO ALLE INFORMAZIONI DEGLI ALTRI. In situazioni estreme si può arrivare a MALATTIE PSICOGENE DI MASSA(es. lo scherzo di Orson Welles la notte di Halloween) Il primo a parlare di "contagio delle masse fu Le Bon. D: quando ci conformiamo maggiormente? R: quando la situazione è ambigua, quando siamo in una situazione di crisi e quando gli altri sono esperti. La consapevolezza appunto dell'operato dell'influenza sociale ci permette di capire meglio la sua maggiore o minore utilità(chiediamoci quindi se:gli altri ne sanno + di noi, se le loro azioni son ragionevoli e se sono degli esperti) Un'altro importantissimo motivo per cui ci conformiamo è per continuare a restare nel gruppo e trarre benefici dell'appartenenza--> INFLUENZA SOCIALE NORMATIVA(per le norme del gruppo) ESPER DI ASCH CON I BASTONCINI--> le persone si conformavano per non apparire diverse dagli altri(e in questo esper. si vedeva quel gruppo per la prima volta). IN UNA SITUAZIONE DI RESPONSABILITA' comunque di solito le persone riescono a non farsi influenzare. D: che cosa dimostrò SCHACHTER circa le persone che ignorano l'influenza normativa? R: i dissidenti attirano prima l'attenzione e le domande dei presenti. una volta che capiscono che non sarà d'accordo mai con loro vengono prima isolati e successivamente anche puniti. Come abbiamo visto non sempre le persone sono suscettibili all'influenza sociale. Per capire in quali casi precisi avvenga LATANE' ha formulato la TEORIA DELL'IMPATTO SOCIALE--> secondo questa teoria rispondiamo all'influenz sociale a seconda di tre variabili: - LA FORZA:l'importanza del gruppo - L' IMMEDIATEZZA: vicinanza nel tempo e nello spazio del gruppo in quella situazione - IL NUMERO: il numero di componenti del gruppo ILCONFORMISMO SARA' MAGGIORE ALL'AUMENTARE DI FORZA E IMMEDIATEZZA.SOPRATTUTTO QUANDO IL GRUPPO E' UNANIME. X IL NUMERO INVECE MAGGIORE E' MINORE SARA' L'INFLUENZA ESERCITATA(da 4 o 5 persone non aumenta +) Minore sarà l'autostima di una persona e + il suo bisogno di conformità aumenterà(per paura di essere rifiutate dal gruppo) D: chi parla di CREDITI IDIOSINCRATICI e che cosa sono? R: Ne parla Hollander. Secondo questo autore se ci siamo conformati un pò di volte in un gruppo,acquisiamo dei crediti idiosincratici che ci permetteranno di diventare dissidenti qualche volte senza rischi di esclusione.

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D: è possibile che una minoranza influenzi una maggioranza? R: e' possibile. secondo Moscovici in questo però sarà fondamentale la COERENZA--> le idee della minoranza dovranno rimanere salde e costanti nel tempo. Questo punto di vista ci fa capire che la maggioranza si fonda sull'influenza NORMATIVA, la minoranza su quella INFORMAZIONALE. D: qual'è la differenza tra norma INGIUNTIVA e DESCRITTIVA? R: le norme ingiuntive sono ciò che pensiamo le persone approvino o meno,le descrittive riguardano invece come le persone dovrebbero comportarsi in una certa situazione. le ingiuntive producono risultati migliori(anche perchè di fondano sull'influenza normativa) L'OBBEDIENZA ALL' AUTORITA' E' UN ALTRO IMPORTANTISSIMO FATTORE CHE CONDIZIONA LA NOSTRA VULNERABILITA' ALL'INFLUENZA Sull'esper. MILGRAM: i soggetti svolgevano il ruolo dei docenti, mentre le persone che prendevano le scosse erano collaboratori dello sperimentatore D: le persone nell'esperiento di Milgram erano comunque libere di andarsene. Perchè non lo fecero? R: Erano in una situazione molto ambigua e di enorme confusione--> si attennero alle informazioni provenienti dalle persone all'esterno. Anche perchè una volta che le persone hanno adottato una norma è difficile ch si fermino per cambiarla anche se capiscono che non è + appropriata(L'esperimento era inoltre anche molto rapido per non lasciare il tempo ai soggetti di pensare, e poi perchè gli sperimentatori chiedevano di aumentare le scosse in piccole dosi--> siamo a 200, arrivare a 215 non costa nulla!!) CAP 8: I PROCESSI DI GRUPPO sembra sia innata nell'uomo una tendenza a fare gruppo--> è stato utile dal punto di vista evolutivo perchè c'erano maggiori speranze di sopravvivenza La maggior parte dei gruppi possiedono dei RUOLI ben definiti che influenzano il nostro modo di comportarci e ci fanno smarrire in qualche modo le nostre identità D: che cos'è la FACILITAZIONE SOCIALE? R: è il modo in cui la presenza degli altri condiziona le prestazione degli individui FINCHE' IL COMPITO E' FACILE LA PRESENZA DEGLI ALTRI E' UN VANTAGGIO, QUANDO IL COMPITO E' DIFFICILE DIVENTA UNO SVANTAGGIO D: perchè la presenza degli altri genera eccitazione? R: perchè la loro presenza ci costringe ad esser + attenti, pensiamo al fatto che possono valutarci e che potrebbero distrarci(perchè finiremmo a pensare a due cose contemporaneamente)

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D: che cos'è L'INERZIA SOCIALE R: il fatto di impegnarci di meno quando siamo in gruppo(questo perchè ci rende meno visibili), è "utile" quando il compito è difficile perchè questa situazione ci porta a rilassarci la DEINDIVIDUAZIONE è la sensazione che si ha quando si è in un gruppo di essere anonimi--> riduzione del senso d'individualità Mullen scopre che in una folla è + facile commettere omicidi cruenti(il gruppo ci porta ad assumere le sue norme dimenticando temporaneamente i propri principi morali) D:cosa s'intende per "groupthink"? R: un genere di pensiero in cui la soliedarietà tra i membri ha maggiore importanza della considerazione realistica dei fatti(in situazioni come queste si censurano tutte le opinioni contrarie, a credere che il gruppo sia invincibile D: che cos'è la POLARIZZAZIONE DI GRUPPO? R: un processo che porta l'individuo a prendere decisioni estreme rispetto a quelle iniziali (verso il rischio o la cautela) PUR DI PIACERE E SENTIRSI ACCETTATI PRENDIAMO DECISIONI + ESTREME DI QUELLE CHE DI SOLITO PRENDEREMMO Brown avanza l'ipotesi che le decisioni che un'indiviudo prende sono anche plasmate culturalmente(l'esempio dell'America che vede il rischio come un valore) Leadership "La teoria della grande persona" mira a mettere in luce le qualità "interne" di un leader(intelligenza, carisma ecc), ma non tiene per nulla conto del CONTESTO D: qual'è invece una teoria + appropriata? R: la "teoria della contingenza" di Fieldler che spiega come ci sia un leader orientato al compito e uno alle relazioni, xo nessun leader sembra essere migliore dell'altro D: cosa intendo gli psicologi sociali con "dilemma sociale"? R: un conflitto, in cui una soluzione favorevole per l'individuo, se scelta da tutti diventa nociva per tutti(es. il libro in rete di King) Strategia tir-for-fat: Cooperazione come prima mossa, alla mossa dell'altro capiremo le intenzioni. In una negoziazione maggiore è la quantità investita, maggiormente si tenderà a non fidarsi della controparte. CAP. 9 : L'ATTRAZIONE INTERPERSONALE Tendiamo ad andare d'accordo con le persone che ci sono + vicine nella vita a livello di distanza fisica(effetto di prossimità--> si verifica a causa della familiarità,ossia la semplice esposizione)La prossimità aumenta la familiarità ma ciò che contribuisce maggiormente è la SOMIGLIANZA(condivisione di atteggiamenti e valori)--> TENDIAMO A FARE AMICIZIA CON PERSONE A NOI SIMILI E A CUI SAPPIAMO DI ESSER GRADITI

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Veniamo maggiormente attratti dall'aspetto fisico degli altri e dai visi dai tratti infantili perchè ci suscitano sentimenti materni e di dolcezza(anche nei visi tendiamo a ritenere + attraenti quelli + vicini a noi) Bellezza associata ad altri tratti come la bontà e l'eccellenza(profezia che si autoadempie,uomini e donne che credevano di parlare con una persona"bella" dall'altro lato della cornetta, si comportarono in maniera molto + calorosa) D: che cos'è la TEORIA DELLO SCAMBIO SOCIALE? R:è una teoria che sostiene che il modo in cui un'individuo percepisce la relazione, dipende dalla valutazione dei profitti e dei costi, dalla percezione del tipo di relazione che meritano e dalla probabilità di riuscire ad avere una relazione migliore con qualcun altro(i concetti chiave sono quelli di PROFITTO, COSTO, GUADAGNO E LIVELLO DI CONFRONTO--> il guadagno che ci si aspetta da una relazione) D: che cosa viene criticata alla teoria dello scambio sociale? R: il fatto di ignorare completamente la nozione di EQUITA': variabile essenziale di una relazione. Le persone infatti vogliono che il guadagno e i costi in una relazione siano uguali anche per il partner(le persone si sentono infatti afflitte se ricevono più di quanto danno in una relazione) D: di chi è la teoria triangolare dell'amore? R: di Sternberg Anche la cultura è fondamentale nel plasmare come le persone vedono(e cosa si aspettano) dalle loro esperienze amorose. D: qual'è il principio di base della psicologia evoluzionistica? R:che l'adattamento di un organismo viene misurato in base al suo successo riproduttivo(alla sua capacità di trasmettere geni alla generazione successiva) L'approccio sociobiologico all'amore afferma che un'uomo cercherà di accoppiarsi con molte femmine(il suo costo riproduttivo è decisamente minore) mentre una donna cercherà un partner dalle risorse sufficienti a garantirle la sopravvivenza della prole D: Bowlby e gli stili d'attaccamento. R: il comportamento affettivo nelle relazioni adultà rispecchia quello delle esperienze passate come quello genitori-figlio. D: cosa asserisce il MODELLO D'INVESTIMENTO della RUSBULT? R: che maggiori sono gli investimenti che l'individuo mette nella relazione minore sarà il desiderio che la relazione finisca CAP.10 IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE. Comportamento prosociale: qualsiasi azione allo scopo di arrecare beneficio ad un'altra persona

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D: se l'obiettivo delle persone è quello di assicurarsi la sopravvivenza perchè scomodarsi di aiutare qualcun'altro? R: ce lo spiega la fitness inclusiva--> il fatto che aiutiamo i nostri consaguinei ad avere prole(e continuare a a trasmettere i nostri geni) Le persone aiutano incentivate dalla NORMA DELLA RECIPROCITA'--> ci si aspetta infatti che a favori fatti ci venga dato in cambio qualcosa. il premio nobel Simon ipotizza inoltre che L'APPRENDIMENTO DELLE NORME SOCIALI, è segno di alto adattamento degli individui--> quelli che si adattano meglio a queste norme hanno maggiori probabilità di sopravvivenza perchè le norme sociale procurano benefici Essere altruisti può essere costoso--> in accordo alla teoria dello scambio sociale, forniamo aiuto quando i benefici sono più alti dei costi(che furboni) E' BATSON invece a sostenere che non siamo mossi solo da motivazioni opportunistiche, ma che lo facciamo soprattutto per bontà d'animo, per L'EMPATIA che proviamo--> se proviamo empatia per qualcuno lo aiuteremo indipendentemente dal costo. quando non proviamo empatia allora entra in gioco lo scambio sociale(costi e profitti) gli psicologi sociali si sono interessati a quella che viene chiamata personalità altruistica cercando di capire perchè alcune persone aiutano + di altre-->per capire i motivi dobbiamo tenere in conto non solo la personalità ma anche altre variabili come il contesto, lo stato d'animo e il genere--> gli uomini infatti prestano infatti maggiormente + aiuti delle donne in situazioni che richiedono gesti + cavallereschi(dovuti forse anche agli sterotipi) Le persone forniscono + aiuto a membri dell'INGROUP rispetto a quelli dell'OUTGROUP lo stato d'animo è una variabile che predice se aiuteremo qualcuno oppure no. ciononostante quando siamo in uno stato d'umore negativo(senso di colpa soprattutto) tenderemo ad aiutare, questo perchè pensiamo che una buona azione ne cancelli una cattiva. negli ambienti piccoli ci si aiuta di +, forse perchè le persone vengono cresciuta con un maggior senso comunitario oppure secondo MILGRAM in un ambiente sovrappopolato le persone così bombardate da stimoli tendono a PENSARE + A SE STESSE PER EVITARE UN SOVRACCARICO.(come il caso di Kitty Genovese:maggiore è il numero di testimoni, minore sarà il numero di persone che interverrà) la fretta e il non sapere come aiutare, può portarci ad un fenomeno come quello dei testimoni nel caso Genovese Nelle relazione di CONDIVISIONE aiutiamo senza sentire dover essere ricompensati, in quelle di SCAMBIO invece si. Tesser ha dimostrato che se dobbiamo prestare aiuto ad un amico in un compito che ha per noi l'importanza di mantenere la stima di sè, preferiremmo darlo ad un estraneo. CAP. 11: L'AGGRESSIVITA' D: qual'è la differenza tra aggressività ostile e aggressività strumentale?

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R: l'unico dell'aggressività ostile è creare un danno, in quella strumentale l'intenzione di far danno è veicolata da un'altro scopo(es. placcaggio) secondo Hobbes prima, Freud l'aggressività è insita nell'animo umano(EROS, THANATOS e TEORIA IDRAULICA dell'aggressività) l'aggressività che sembra essere innata è influenzata da molti fattori come la situazione, il contesto culturale e le esperienze precoci(es. gli irochesi pacifici prima degli invasoti europei) D:cause biochimiche dell'aggressività. R: è l'AMIGDALA a controllare l'aggressività negli esseri umani--> se stimolata si diventa aggressivi. la SEROTONINA prodotta naturalmente nel mesencefalo ha un fattore inibitoresull'aggressività impulsiva(i criminali ne hanno di solito in bassa quantità) I bambini maschi sono + fisicamente aggressivi delle bambine che celano la loro aggressività in maniera indiretta(con risoline, battute e commenti) anche in questo caso la cultura ha comunque un suo ruolo. Sotto l'influsso dell'alcol emergono le tendenze primarie di una persona inoltre caldo,umidità, odori fastidiosi possono aumentare il livello di aggressività(non per nulla è in estate che i crimini aumentano) D: cosa asserisce la teoria della frustrazione-aggressività? R: che quando uni'individuo sente interrotto il suo percorso verso un'obiettivo o una gratificazione avvertirà frustrazione.(maggiore è la vicinanza maggiore la frustrazione,oppure quando è inaspettata) l'aggressività non è causata dalla deprivazione, ma dalla deprivazione relativa--> il fatto di non stare ottenendo quello che meritiamo. Se inoltre non percepiamo l'aggressività di qualcun'altro come intenzionale allora ci arrabbieremo di meno. anche la nostra capacità cognitiva può portarci ad essere aggressivi( l'esper dell'individuo nella stanza con una pistola,stimolo aggressivo, e in una con una racchetta) c'è infatti una correlazione tra numero di omicidi e disponibilità di armi in un paese. D: cosa asserisce la teoria dell'APPRENDIMENTO SOCIALE di Bandura? R: il fatto che i bambini imitano i modelli aggressivi a cui sono esposti(il numero di crimini tende a salire nelle settimane successive alla messa in onda di un incontro di boxe) L'esposizione ad eventi di orrore produce un effetto mitigante sulla nostra sensibilità--> quindi maggiore esposizione alla violenza ci porterà ad avere una maggiore tolleranza verso di essa. Spettacoli di violenza e sesso diminuiscono la capacità di memoria(forse per una repressione delle immagini violente disturbanti) La CATARSI(lo sfogo dell'aggressività) contrariamente alle credenze popolari non serve a ridurre l'aggressività, infatti aumenta dopo lo sfogo invece di diminuire quando facciamo del male a qualcuno inoltre avvertiamo dissonanza cognitiva(perchè sentiamo minacciata l'immagine onesta e buona che abbiamo di noi stessi), in questo caso cerchiamo di ridurla dicendoci che quella persona forse se l'era cercata o che se lo meritava(o la si disumanizza) elaborare sentimenti di odio e rabbia serve a mitigarli, ed esporre i

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bambini a modelli corretti di persone che reagiscono in maniera non aggresiva alle frustrazioni serve moltissimo perchè i bambini finiscono con l'imitare questi modelli CAP.12 IL PREGIUDIZIO: CAUSE E RIMEDI Il pregiudizio è un atteggiamento e come ogni atteggiamento è formato da una componente affettiva, una cognitiva e una comportamentale Lo stereotipo è una generalizzazione condotta su un gruppo di persone in cui caratteristiche identiche vengono attribuite a tutto il gruppo senza tener conto delle variazioni tra i membri la discriminazione è un'azione ingiustificata o negativa nei riguardi di un membro del gruppo, causato dalla sua semplice appartenenza al gruppo stesso. Gli psicologi evoluzionisti affermano che gli organismi sono tendenzialmente favorevoli nei confronti di chi è geneticamente simile a loro. IL PREGIUDIZIO E' UN'INEVITABILE CONSEGUENZA DEL MODO IN CUI ELABORIAMO ED ORGANIZZIAMO L'INFORMAZIONE ED IL PRIMO GRADINO E' LA CATEGORIZZAZIONE le persone tendono a credere che i membri dell'outgroup siano tutti uguali, mentre quelli dell' ingroup hanno tutti carattistiche che le distinguono l'uno dall'altro D: che cos'è che rende difficile cambiare il pregiudizio? R: la COMPONENTE AFFETTIVA di quell'atteggiamento--> le spiegazioni logiche non hanno alcun effetto sulle emozioni(specialmente quelle forti) D: chi distingue tra elaborazione automatica e volontaria? R: Devine che afferma che nell' elaborazione automatica l'informazione sfugge al nostro controllo mentre in quella volontaria(dopo che si è attivata quella automatica) possiamo ancora ignorarla e rifiutarla--> se distratti xo è difficile controllarlo D: che cos'è la CORRELAZIONE ILLUSORIA? R: un fenomeno che avviene quando aspettandoci che due cose siano correlate tra loro inganniamo noi stessi per credere che lo siano, nonostante la realtà mostri il contrario (credenza che coppie sterili potranno avere bambini dopo averne adottato uno perchè meno stressati) D: com'è possibile modificare gli stereotipi? R: Webber e Crocker propongono 3 modelli o teorie: - di contabilità: ogni informazione sullo stereotipo ne modificherebbe la natura - di conversione: lo stereotipo cambia dopo un'argomentazione forte - di sottotipizzazione: si crea una categoria di stereotipi che si accordano all'informazione discordante gli stereotipi sono tanto insidiosi perchè si fondano sulla disposizione dell'individuo(causa interna) è questo quello che pettygrew chiama ERRORE ULTIMO DI ATTRIBUZIONE: il fatto che ignoriamo completamente la situazione esterna( e tutte le cause sembrano disposizionali)

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Minaccia dello sterotipo: es del libro sugli afroamericani che hanno prestazioni inferiori degli angloamericani. in situazioni di valutazione gli afroamericani sviluppano apprensione rispetto al fatto di confermare con il loro atteggiamento, lo stereotipo negativo dell'inferiorità intellettuale. Questo fenomeno non si applica solo alla razza di appartenenza ma anche al genere. D: che succede di fronte ad membro dll'outgroup che si comporta come non ci aspettiamo? R: distorciamo la realtà per adattarla alle nostre credenze(e stereotipi) preesistenti a volte ,ma raramente, si biasima la vittima. pensiamo cioè che forse la sua condizione sia meritata. Una delle + ovvie situazioni di conflitto( seguite da pregiudizio) è la COMPETIZIONE PER RISORSE LIMITATE--> TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO per scongiurare un conflitto si può incolpare un CAPRO ESPIATORIO D: cosa s'intende per "pregiudizio moderno"? R: il sottile pregiudizio, nascosto e indiretto, che si è sviluppato, non essendo + tollerato quello evidente e diretto il sessismo ostile e quello benevolente(anche se sembra + cavalleresco) nascondono lo stesso tipo di pregiudizio nei confronti delle donne un modo per rimuovere il pregiudizio è l' "IPOTESI DEL CONTATTO" : es. delle famiglie di bianchi e di neri nello stesso palazzo invece che separatamente(ALLPORT ritiene comunque che il contatto debba avvenire tra persone dello stesso status sociale e che perseguono gli stessi obiettivi) SEI CONDIZIONI DI SHERIF PER RIDURRE IL PREGIUDIZIO E L'OSTILITA' -stesso status e obiettivo dei due gruppi( le stesse di Allport) -interdipendenza reciproca. -contatto in situazione amichevoli e informali -contatto con NUMEROSI membri dell'outgroup -il pregiudizio viene ridotto maggiormente quando sono presenti regole sociali che promuovono l'uguaglianza tra i gruppi tecnica simile è quella della "JIGSAW CLASSROOM" usata negli asili, per creare situazioni di interdipendenza reciproca che promuovono la diversità e diminuiscono il pregiudizio.

Consigli per l’esame di psicologia sociale Ciao a tutti queste sono le domande (non tutte) dell'esame di psicologia sociale dell'11 aprile con Pietroni (ma mi hanno detto che erano uguali anche con Iani)

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- D: differenza tra metodo "sperimentale" e "quasi sperimentale" R: - D: cosa studia la psicologia sociale? R: - D: di cosa si occupa la social cognition? R: - D: cognizione sociale: pensiero controllato R: - D: informazione di coerenza nel modello della covariazione di Kelley R: - D: differenza tra attore e osservatore: attribuzioni interne vs situazionali R: - D: definizione di euristica R: - D: cosa influenza l'accessibilità ad uno schema:priming R: - D: teoria della reattanza (cartello in bagno che vieta di scrivere sui muri) R: - D: caratteristiche facciali ed emozioni primarie: imbarazzo secondo Keltner R: - D: teoria dell'autopercezione di Bem R: - D: teoria bifattoriale delle emozioni di Schachter (ordine delle fasi) R: - D: teoria dell'azione ragionata di Ajzein e Fishbein R: - D: l'amore romantico nella teoria triangolare di Sternberg (intimità + passione) R:

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- D: strategia tit for tat R: - D: tecnica del colpo basso R: - D: vie centrale e periferica nella probabilità di elaborazioni di Petty e Cacioppo R: - D: definizione di pregiudizio R: - D: psicologia della giustificazione insufficiente: esperimento compito noioso e ricompensa R: - D: variabili nella teoria dell'impatto sociale di Latanè R: - D: discrepanza del sè: valutazione del sè = sè ideale + sè imperativo R: - D: processo di convalida sollecitato dall'influenza minoritaria (Moscovici) R: - D: antecedenti del groupthink di Janis R: - D: contingenza nella leadership R: - D: comportamento prosociale e effetto dell'umore R: - D: ipotesi del sovraccarico urbano (Milgram) R: DOMANDE APERTE: D: obbedienza all'autorità R:

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D: pregiudizio esplicito e implicito R: Spero saranno utili per i prossimi appelli.. :) ah..non c'erano le domande filtro:30 domande a risposta multipla e 2 aperte da fare entrambe (5 punti ciascuna) ciao ciao Domande di sbarramento e a risposta multipla - teoria bifattoriale delle emozioni - shooter bias -le punizioni quando sono efficaci - ancoraggio e accomodamento - componente a base amotiva - esperimento attore/osservatore - validità esterna - effetto recenza - counterattitudinal advocacy - chiusura cognitiva - strategia di benjamin Franklin - modello covariazione di kelley - fenomeno dell'innamoramento sul ponte - quando i premi sono efficaci - conformismo

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- influenza informazionale -quali sono le caratteristiche che deve avere un leader, -esperimento di Petty e Cacioppo, -la teoria del contatto sociale per diminuire il pregiudizio, -cos'è un prototipo, -cos'è lo stereotipo, -convergenza cognitiva, -covariazione di Kelly, -quali sono i metodi utilizzati in psicologia sociale, -quando utilizziamo l'euristica della disponibilità, -che processo utilizza per sfuggire alla dissonanza cognitiva, -cos'è il cambiamento di atteggiamento, -cosa provoca la persuasione -il ruolo dell'umore nell'altruismo -esperimento di Milgram per una menzogna -se un soggetto A rifiutava il sostegno sociale cedendo all'influenza maggioritaria come si sarebbe comportato il soggetto B -quand'è che l'influenza minoritaria poteva vincere su quella minoritaria -perchè nell'esperimento di Moscovici l'8% era stato influenzato dalla minoranza -cosa succede se in un gruppo si manifesta il fenomeno della categorizzazione -cosa succede se un atteggiamento prende la via centrale - schemi,

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- teoria dell'attribuzione, - polarizzazione, -metacontrasto, -modello della probabilita'di elaborazione di Petty e Cacioppo, -euristiche, -maggioranza, -pregiudizio -shooter bias, esperimento foto degli afroamericani con pistola( occhio che sul vecchio manuale mi hanno detto che non c'è) -chiusura cognitiva; -influenza sociale informazionale; -arousal ed innamoramento(esperimento intervista sul ponte); -cosa dà validità esterna ad un esperimento; -ancoraggio ed accomodamento; -una o due sulla dissonanza; DOMANDE A RISPOSTA APERTA 1.il ruolo degli schemi nel pensiero automatico 2.caratteristiche del pensiero controllato

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3.influenza maggioritaria 4.tecniche per ridurre il pregiudizio 5.la teoria dello scambio sociale nell'attrazione interpersonale 6.la teoria dell'identità sociale (Tajfel) 7.aumento e riduzione delle ricompense e punizioni secondo Milgram 8.quest'ultima domanda non me la ricordo bene,mi ricordo solo che si trattava del pensiero informativo

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9. differenze tra stereotipo e pregiudizio 10. differenze tra ignoranza pluralistica e diffusione di responsabilità elencando i metodi studiati per verificarli 11. indicare cosa sono le euristiche e fare alcuni esempi e quali sono gli elementi dell'attrazione. 12. le euristiche e i vari tipi,ignoranza pluralistica 13. una domanda sulla teoria di campo, normalizzazione e polarizzazione 14. una domanda su stereotipo e pregiudizio.

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15. teoria implicita della personalita', 16. teoria dell'autopercezione di Bem, 17. categorizzazione,educazione all'obbedienza, 18. covariazione di Kelley...

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19. vari esempi di influenza sociale normativa; DOMANDE PSICOLOGIA SOCIALE differenze tra stereotipo e pregiudizio (pag 15 voci) il pregiudizio è un giudizio che precede l’esperienza. Spesso si danno giudizi negativi o positivi su una persona prima ancora di conoscerla. Lo stereotipo è il grado di condivisione sociale, cioè la misura in cui una certa immagine è condivisadal gruppo differenze tra ignoranza pluralistica e diffusione di responsabilità elencando i metodi studiati per verificarle, indicare cosa sono le euristiche e fare alcuni esempi (pag 41) quali sono gli elementi dell'attrazione quali sono le caratteristiche che deve avere un leader (pag 205) Il leader deve essere capace di imporsi, deve mostrare un buon grado di intelligenza carisma e desiderio di potere. È importante considerare tanto la natura interpersonale, quanto quella sociale. Secondo la teoria della grande persona, non basta avere ottime qualità personali ma occorre guidare il gruppo nel modo più efficiente che si possa fare. Esperimento di Petty e Cacioppo,( pag 138) la teoria del contatto sociale per diminuire il pregiudizio (pag 115 voci) sfumando l’importanza delle categorie si ha un effetto di personalizzazione, che considera gli individui diversi tra loro staccandosi dalla proprio categoria cos'è un prototipo ( pag 87 voci) caratteristica che varia in base al contesto sociale in cui si è inseriti. Il prototipo combina tutti gli aspetti più rappresentativi di una categoria. È considerato il punto di riferimento cognitivo rispetto al quale i membri più poveri del gruppo vengono categorizzati cos'è lo stereotipo (pag 12 voci) l’insieme delle caratteristiche di una determinata categoria sociale, prende il nome di stereotipo

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convergenza cognitiva covariazione di Kelley quali sono i metodi utilizzati in psicologia sociale,quando utilizziamo l'euristica della disponibilità, che processo si utilizza per sfuggire alla dissonanza cognitiva cos'è il cambiamento di atteggiamento (pag 136) cosa provoca la persuasione (pag 136) maggiori esperimenti sono stati condotti da hovland con l’esperimento “APPROCCIO AL CAMBIAMENTO DI ATTEGGIAMENTO DELLA SCUOLA DI YALE”. L’essenza del programma era rivolta a chi dice cosa a chi focalizzando l’attenzione sulla fonte della comunicazione, sulla comunicazione stessa e sulla natura del pubblico. È importante considerare in che misura vengono presi in considerazione i contenuti del messaggio se attraverso la via centrale o attraverso la via periferica. Le due teorie che esemplificano al meglio tale concetto sono quella di Chaiken con il modello della persuasione euristico sistematico e quella di Petty e Cacioppo con il modello della probabilità di elaborazione il ruolo dell'umore nell'altruismo esperimento di Milgram 20$ per una menzogna se un soggetto A rifiutava il sostegno sociale cedendo all'influenza maggioritaria come si sarebbe comportato il soggetto B?,

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quand'è che l'influenza minoritaria poteva vincere su quella maggioritaria (pag 178) quando la minoranza risulta coesa, non ci devono essere opinioni divergenti tra gli individui appartenenti alla minoranza. I soggetti devono mostrarsi concordi tra loro, riuscendo a suscitare l’attenzione degli altri perchè nell'esperimento di Moscovici l'8% era stato influenzato dalla minoranza cosa succede se un atteggiamento prende la via centrale (pag 60 influenza sociale) gruppi minimi di tajfel (pag 37 voci) esperimento dei quadri di klee e kandiskji differenza tra empatia e altruismo,e le principali ricerche (pag 245) un atto altruistico può essere motivato dall’interesse personale, ovvero sapere o immaginare di ricevere una ricompensa dopo aver compiuto un azione buona. l’altruismo puro entra in gioco quando avvertiamo empatia per l’altra persona, in questo caso lo scopo sarà quello di alleviare il dolore senza ottenere dei vantaggi personali. La ricerca maggiore è quella della studentessa universitaria Carol Marcy costretta, dopo un incidente, a rimanere su una sedia a rotelle. conformismo e principali ricerche (pag 156) influenza della minoranza (pag 178) i gruppi minoritari devono rimanere inalterati nel tempo e i diversi gruppi devono rimanere inalterati nel tempo. Se tra i membri del gruppo ci fossero opinioni divergenti, non verrebbero presi in considerazione dalla maggioranza

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impatto sociale categorizzazione ( primo capitolo. voci) data la vastità degli oggetti presenti nel mondo risulta quasi impossibile conoscerli in ogni loro dettaglio, è necessario quindi racchiudere stimoli simili all’interno di categorie attraverso un processo chiamato generalizzazione. Ai fini della sopravvivenza questo processo di semplificazione è indispensabile perché in questo modo riusciamo a muoverci in un ambiente formato da pochi concetti significativi festinger carlsmith esperimento”20 $ per una menzogna” (pag 109) dissonanza cognitiva per festinger (pag 99) si verifica dissonanza ogni volta che ci comportiamo in un modo che è contrario al nostro modo di essere ancoraggio e oggettivazione nella rappresentazione sociale (pag 36 galli) ancoraggio: Trasformare ciò che viene considerato esterno e minaccioso in categorie familiari. L’ancoraggio è un processo attraverso il quale la rappresentazione si radica alla società. Oggettivazione: rendere ciò che è astratto in qualcosa di quasi fisico. Nel processo di oggettivazione le conoscenze relative agli oggetti non appaiono più come concetti , ma come elementi tangibili della realtà. negoziazione ( pag 213) forma di comunicazione tra due persone aventi opinioni contrapposte. La negoziazione implica la presenza di offerte e contofferte tra le persone finchè si trova un accordo tra le due parti

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leader( pag 205) aggressività (pag 263) termine che sta ad indicare un comportamento intenzionale volto a far del male sia fisicamente che intenzionalmente. Esiste l’aggressività ostile e quella strumentale. L’aggressività ostile è il risultato della rabbia e il suo unico scopo è quello di infliggere dolore. In quella strumentale fare dolore è solo un mezzo rivolto ad altro scopo. covariazione di kelley (pag 64) teoria bifattoriale delle emozioni (pag 94) obbedienza alle autorità (pag 181) obbedire alle autorità è una norma sociale che ha valore in ogni cultura. La norma sociale dell’obbedienza ci porta a d obbedire anche in assenza delle autorità

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identità sociale (pag 36 voci) definita come quella parte di sè derivante dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo e condividere le stesse emozioni che accomunano gli individui appartenenti a quel gruppo. Questo processo viene definito identificazione, ovvero la coscienza che porta quella persona a percepirsi cognitivamente parte di quel gruppo. Nella teoria dell’identità sociale il processo chiave è il confronto sociale. Sentirsi appartenente ad un gruppo implica dei risvolti positivi perché gli individui sono alla ricerca di un immagine positiva di sé. Ciò provoca valutazioni positive dell’ingroup piuttosto che nell’outgroup. teoria dell’autopercezione di bem (pag 88) quando i nostri comportamenti sono ambigui, li deduciamo osservando il nostro comportamento e la situazione in cui ci troviamo dissonanza cognitiva: quando si presenta e perché,e i meccanismi attuati per ridurla (pag 100) si presenta quando ci comportiamo in modo contrario o inaspettato al nostro modo d’essere. I meccanismi attuati per ridurla sono 3: cambiare il nostro comportamento fino a farlo accordare con la dissonanza. Modificare una della cognizioni. Aggiungere nuove cognizioni. i 2 corollari della teoria dell’identità sociale (pag 43 voci) Abrams e Hogg hanno elaborato la teoria del bisogno di autostima e l’appartenenza al gruppo esplicando 2 corollari legate al ruolo dell’autostima. Il primo corollario riguarda il bisogno di mantenere un’immagine positiva di sé (quindi connesso all’alta autostima) e afferma che è il singolo individuo a favorire l’ingroup portando all’aumento dell’autostima tra i membri appartenenti ad esso. Il secondo corollario,invece, sostiene che le persone con bassa autostima vengono spinte a favorire quel gruppo e quindi a giudicarlo positivamente il modello integrato del contatto nella riduzione del pregiudizio

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La teoria della categorizzazione del sè di Turner (pag 64 voci) il processo di categorizzazione del se avviene attraverso diversi livelli di inclusività: il primo è quello personale in cui gli esseri umani si percepiscono come singoli individui contrapponendosi con le altre persone. Il livello maggiormente inclusivo è quello umano in cui tutti gli esseri umani vengono inseriti in un’unica categoria. Pregiudizio ed emozioni nei confronti dell'outgroup (pag 101 voci) le principali emozioni legate al pregiudizio sono 5: rabbia, paura, disgusto, disprezzo e gelosia. Ognuna corrisponde una particolare tendenza all’azione. La paura e il disgusto, possono essere associate ad una minaccia di valori. Rabbia e disprezzo possono comportare atti di aggressione verso i membri. Infine c’è la gelosia che è sentita verso un nuovo membro dell’outgroup. L'altruismo di Batson (pag 245) le persone spesso aiutano gli altri per la loro bontà d’animo, a volte però lo fanno solo per alleviare il proprio sconforto alla vista di un’altra persona che soffre. L’altruismo puro entra in gioco solo quando avvertiamo empatia per la persona bisognosa d’aiuto. Quando c’è empatia la persona viene aiutata senza pretendere di ricevere nulla in cambio. Quando invece non c’è, si avverte solo preoccupazione sociale, ovvero cosa si potrà ricavare dall’aiuto offerto all’altro. La teoria della facilitazione sociale (pag 192) corrisponde al modo in cui la semplice presenza degli altri facilita la riuscita del compito La teoria dell'azione ragionata (pag 149) in presenza di decisioni importanti da prendere è utile riflettere e soppesare un comportamento futuro, il modo migliore per prevederlo è considerare l’intenzione di agire in un certo modo. La riduzione del pregiudizio per Allport (pag 113 voci) secondo Allport il pregiudizio è alimentato da una scarsa familiarità tra le persone appartenenti a gruppi diversi. Ne consegue che per ridurre l’ostilità tra queste persone bisogna accrescere le possibilità di conoscenza reciproca. Le condizioni in cui il contatto ho luogo sono 4: PRESENZA DI UN SUPPORTO ISTITUZIONALE: le persone stringono rapporti amicali tra le persone in contesti comuni. La scuola, il lavoro.. favoriscono il contatto sociale. POSSIBILITA’ DI UNA CONOSCENZA APPROFONDITA: per eliminare il pregiudizio bisogna avere una conoscenza approfondita con l’altra persona. STATUS UGUALE: si crea un rapporto migliore tra le persone di uno stesso stato sociale. INTERAZIONE COOPERATIVA: c’è riduzione del pregiudizio se entrambe le parti collaborano interagendo in modo positivo.

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-riduzione del pregiudizio di gaetner ( pag 112 voci) secondo la teoria dell’identità comune, l’origine del pregiudizio è da ricercarsi nel processo di categorizzazione, facendo leva su di esso si potrà eliminare il fenomeno del pregiudizio. Eliminare la categorizzazione è impossibile perché fa parte del normale funzionamento della mente umana, l’unica soluzione è fare in modo che l’immagine positiva dell’ingroup venga estesa all’outgroup. Per ottenere questo obiettivo va esteso l’ingroup anche all’outgroup, formando un grande ingroup. -l'inerzia sociale (pag 196) riduzione degli sforzi individuali in presenza di altre persone. Se si fa parte di un gruppo lo sforzo impiegato per la riuscita del compito è minimo. -il pensiero di gruppo secondo janis (pag 201) genere di pensiero il cui mantenimento della coesione del gruppo ha maggiore importanza della considerazione realistica dei fatti. -la teoria della contingenza di friedler (pag 206) ipotizza che esistano 2 generi di leader: uno orientato al compito,più attento alle cose che devono essere fatte, e uno alle relazioni, interessato ai sentimenti e alla coesione del gruppo. Nel caso del controllo alto, il leader possiede sia capacità di orientarsi verso il compito sia verso le relazioni. Nel caso di controllo basso, crea solo disordine e confusione all’interno del gruppo) -il conflitto intergruppi secondo sherif ( pag 107 voci) la teoria di sherif è definita come conflitto realistico che pone alla base del pregiudizio un calcolo puramente economico. Quando nell’ambiente sono presenti risorse in numero limitato ma che sono ambite da più persone, si crea una situazione di indipendenza negativa che provoca dei conflitti intergruppi. Se all’origine dei problemi sociali ci sono scopi puramente conflittuali, basterà eliminare questi scopi sostituendoli con la cooperazione in modo da eliminare sia il conflitto intergruppi sia il pregiudizio. -il pregiudizio manifesto e latente secondo pettigrew e meertens

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Effetto omogeneità dell’ outgroup (pag 27 voci) Tendiamo a giudicare molto più omogeneo l’outgroup perché non conosciamo ciò che avviene all’interno di esso, abbiamo una conoscenza decisamente migliore dell’ingroup e, per questo siamo portati a ricavarne i difetti.Quando avvertiamo situazioni particolari il sé viene categorizzato all’interno dell’ingroup attivano così il processo di assimilazione intracategoriale. In condizioni normali si verifica un processo asimmetrico di relazione intracategoriale, ciò vuol dire che c’è più omogeneità nell’outgroup. In condizioni particolari ( come quando ci troviamo all’estero e ci sentiamo dire che agli italiani non piace il lavoro) siamo portati a difendere il nostro gruppo di appartenenza. ln questi casi, l’ingroup e l’outgroup sono percepiti ugualmente omogenei. FINE