Vite-lavori in comune come welfare di community: i processi partecipativi

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Ottava conferenza annuale ESPAnet Italia 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto Università di Salerno, 17-19 settembre 2015 Tema della conferenza Con la crisi economica globale, le politiche di austerità dell’Unione Europea e le persistenti carenze amministrative, i nuovi rischi sociali si sono acuiti mettendo sotto pressione il welfare italiano, in particolare nel Mezzogiorno. L’attenzione delle politi che sociali si è concentrata sui disagi più urgenti emersi negli ultimi anni nella cornice politico-istituzionale europea, già sottoposta a un profondo processo di trasformazione. Sono rimaste sullo sfondo sia la valutazione dei sistemi di protezione sociale emergenti nel resto del mondo, sia la ricostruzione storica dei periodi di povertà e di prosperità che si sono alternati nel nostro paese nella lunga durata prospettive analitiche che sarebbero utili a formulare politiche più mirate e innovative. Obiettivo dell’ottava conferenza di ESPAnet Italia 2015 è integrare l’analisi diacronica delle politiche sociali con una più ampia considerazione dei sistemi di welfare emergenti in altri contesti nazionali europei ed extra-europei. L’idea che sottende la conf erenza consiste nell’esaminare l’esperienza italiana nel tempo, rispecchiandola nei sistemi di welfare in corso di sviluppo, in particolare nei paesi con una più rapida crescita economica. Studiosi internazionali, italiani ed europei, operatori del sociale, studenti e ricercatori dibatteranno sul passato e sul futuro del nostro welfare: presenteranno e confronteranno i casi più interessanti del Nord e del Sud del mondo e del nostro paese. Sessione 3: Tra questione urbana e questione sociale. Città, politiche e governance locale dentro e oltre la crisi Cerrina Feroni Simone, Luigi Taccone Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di buone pratiche di welfare di community. ABSTRACT Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e troppo “occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove simbolizzare progetti di vite ben impiegate”, di “belle vite” ? L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva di sviluppo sociale, civico ed economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza paura modelli, organizzazione e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere «regolati», e quelle della P.A. a disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono superabili coinvolgendo corpi sociali e società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non ideologico, populista o normativo. Se questo passaggio è partecipato (passando dal servizio pubblico al servizio pubblicizzato) diventa coping di comunità, partecipazione alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene (e valore) comune, città «vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il Work-Life Balance oggi è welfare autogestito, alla scandinava,

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Ottava conferenza annuale ESPAnet Italia 2015

Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto

Università di Salerno, 17-19 settembre 2015

Tema della conferenza

Con la crisi economica globale, le politiche di austerità dell’Unione Europea e le persistenti carenze amministrative, i nuovi rischi sociali si sono acuiti mettendo sotto pressione il welfare italiano, in particolare nel Mezzogiorno. L’attenzione delle politiche sociali si è concentrata sui disagi più urgenti emersi negli ultimi anni nella cornice politico-istituzionale europea, già sottoposta a un profondo processo di trasformazione. Sono rimaste sullo sfondo sia la valutazione dei sistemi di protezione sociale emergenti nel resto del mondo, sia la ricostruzione storica dei periodi di povertà e di prosperità che si sono alternati nel nostro paese nella lunga durata — prospettive analitiche che sarebbero utili a formulare politiche più mirate e innovative.

Obiettivo dell’ottava conferenza di ESPAnet Italia 2015 è integrare l’analisi diacronica delle politiche sociali con una più ampia considerazione dei sistemi di welfare emergenti in altri contesti nazionali europei ed extra-europei. L’idea che sottende la conferenza consiste nell’esaminare l’esperienza italiana nel tempo, rispecchiandola nei sistemi di welfare in corso di sviluppo, in particolare nei paesi con una più rapida crescita economica. Studiosi internazionali, italiani ed europei, operatori del sociale, studenti e ricercatori dibatteranno sul passato e sul futuro del nostro welfare: presenteranno e confronteranno i casi più interessanti del Nord e del Sud del mondo e del nostro paese.

Sessione 3: Tra questione urbana e questione sociale. Città, politiche e governance locale dentro e oltre la crisi

Cerrina Feroni Simone, Luigi Taccone

Vite in comune come valore pubblico: i processi partecipativi applicati al learning e all'orientamento lungo tutto l'arco della vita. I cittadini protagonisti di buone pratiche di welfare di community.

ABSTRACT Dalla soddisfazione dei bisogni di salute, sicurezza e welfare sul lavoro stiamo transitando verso l'insoddisfazione, i malfunzionamenti, il malessere e la precarietà di vite assoggettate al lavoro e troppo “occupate” dal life-deep learning, o - è il loro doppio - dis-occupate e vuote. Come e dove simbolizzare progetti di vite ben “impiegate”, di “belle vite” ? L'innovazione dei servizi al lavoro e al Long-life Learning ci pare la più importante leva di sviluppo sociale, civico ed economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone senza paura modelli, organizzazione e norme: le resistenze di imprese e cittadini a essere «regolati», e quelle della P.A. a disinvestire su funzioni tradizionali e investire su questo settore sono superabili coinvolgendo corpi sociali e società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non ideologico, populista o normativo. Se questo passaggio è partecipato (passando dal servizio pubblico al servizio pubblicizzato) diventa coping di comunità, partecipazione alle vite altrui, «vite associate» come nuovo bene (e valore) comune, città «vivibili», cioè dove si può vivere bene. Il Work-Life Balance oggi è welfare autogestito, alla scandinava,

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welfare come risorsa collettiva, di reciprocità e fiducia, mediazione difficile nel puzzle fra socio e economico, certo con una possibile deriva biopolitica e di «ricommodificazione». Carovane di pionieri e vite condivise: in fondo il Mercato del Lavoro è condivisione di opportunità e competenze. Welfare informale, o meglio processi partecipativi come innesco, driver, con un ruolo pubblico «abilitante».

“Working Lives in common” as a public value. Participatory processes in Active Employment and LongLifeLearning schemes as a best practice in local community welfare ? In the achieving society the market-ability of the prosumer (consumer and productor) lives requires new instruments for employment services, the most significant driver for social, civic and economic development, and a truly prominent public interest. In the dramatic Italian unemployment context, we must fearlessly reassess models and service organization, in order to add solidarity, transparency and equity, because the issue («renting livese») is clearly critical. Participatory design and evaluation processes, applied to labour market, may have a tremendous impact in better sketching policies and practices, and in empowering social actors: they are postmodern Agorà in sharing private, organizational and community challenges. Moreover, there is a clear isomorphism between process (participation for policy development) and object (capabilities development, empowerment). In other words, there is an automatic value (if the process is well managed) for all people and organizations participating and their networks. We will describe participatory projects in Education and Employment, managed in the Province of Firenze and Regione Calabria INTRODUZIONE

Pensiamo a un call center, in cui occorre una elevata capacità di «amare» il cliente, capire empaticamente i suoi bisogni, anticipare e solleticare i suoi desideri, e soprattutto di riflettere rapidamente nel corso dell’azione. La personalità diventa sociale e produttiva: vite al lavoro e lavoro nelle vite, memento vivere. Questo non c’era nel fordismo, ed era tutto sommato secondario anche nell'artigianato o nell'agricoltura, dove emergevano tratti di capacità creative, ma ben distinti dal corso della vita «normale». Cambiano perciò politiche e servizi per l'occupabilità e il Long-Life Learning, che il Decreto legislativo 13/2013 definisce ˝apprendimento informale, anche non intenzionale, in attività di situazioni di vita quotidiana nell'ambito del lavoro, familiare e del tempo libero˝. Una rivoluzione concettuale. E parallelamente, sulla stessa linea evolutiva, riemerge la partecipazione civica, concetto risalente all'antica Atene, che qui cercheremo di mettere a fuoco con una lettura ampia, ma focalizzata sui temi del lavoro e della formazione continua. Per i Costituenti era partecipazione dei lavoratori; oggi, avendo il lavoro/attività invaso le vite, è di nuovo partecipazione dei cittadini e degli attori sociali, quindi è attuale. Un gerundio (participating) con forte suggestione simbolica

1. «Partecip-azione» è azione partecipata, a comune, di

soggetti e interessi divergenti e, proprio perchè partecipata, con una immediata review in un contesto microsociale ad hoc (un processo partecipativo, una ricerca-azione, una community temporanea di innovazione sociale, uno spazio di formazione e orientamento). Partecipazione non solo a una deliberazione

2, ma come processo circolare, life-making, che è (come la vita) pratica quotidiana con

«rotture» riflessive (individuali o collettive) sulle esperienze. Sussidiarietà vera, non strumentale, non concessa dal Sovrano, non che conviene solo ad alcuni. Un processo partecipato è quindi una (fra le molte) strategie di welfare contrattato, coi cittadini in questo caso. Un dispositivo di work processing analogo, peraltro, a quello di qualsiasi organizzazione che deve «ascoltare» clienti e dipendenti se opera in mercati altamente variabili

3.

La partecipazione, critica, all'elaborazione di politiche pubbliche attive del lavoro da parte di soggetti con interessi più o meno privati, è oggi di evidente rilevanza, vista la necessità di governance di mercati del lavoro incapaci di sostenere da soli matching complessi. Formazione e lavoro sono una sfera di osservazione privilegiata dal quale inquadrare la partecipazione (e la non partecipazione) e capire le ragioni delle gravi distorsioni che si registrano sul fronte dei servizi all'impiego e alla formazione e orientamento

1 Luigino Bruni osserva acutamente, in uno dei suoi acuti editoriali su Avvenire, come poche cose diano benessere e gioia di vivere come partecipare a una azione collettiva libera fra pari, dove il termine chiave, a nostro avviso, è proprio questa «parificazione». 2 Utilizzeremo il termine «processi partecipativi», ma se l'obiettivo è l'elaborazione di policy, queste andranno tradotte in deliberazioni, sia pure di indirizzo. Dunque c'è anche un tratto deliberativo, ovvero la discussione con l'avversario e un cambiamento e un apprendimento da parte di tutti, non necessariamente verso un compromesso mediano. 3 Certo, anche farli partecipare, ma in quel caso entro limiti privatistici di segretezza che invece ovviamente il pubblico non ha. Anzi, come istituzione ha il problema opposto, la necessità di trasparenza. E' evidente comunque che nessuna organizzazione, pubblica o

privata, ormai resti in vita a lungo o in salute senza processi partecipativi al suo interno o verso l'esterno.

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long-life (nel seguito «servizi»). Esamineremo i bisogni della domanda e dell'offerta di lavoro, formazione e orientamento, e poi, risalendo, i servizi che rispondono a questi bisogni, e infine, in modo isomorfo e circolare, i circuiti e le arene partecipative che li possono sostenere e indirizzare. La tesi è che la sostanza nei tre casi è simile: ricostruire una solidarietà condivisa (rispettivamente nell'utenza, nei servizi e nell'elaborazione di policy e programmi), e questo processo circolare si autoalimenta. Operazione partecipata e pubblica: è impossibile governare una sfera di tale complessità con strumenti di pianificazione e controllo tradizionali, come se si trattasse di normali servizi o utilities. Osservando in particolare i servizi di recruiting e incrocio domanda-offerta di lavoro non si possono non evidenziare residui obsoleti (anche se efficaci) di nepotismo: il coraggio in questo caso è evidenziare il concetto di vacancy e la necessaria messa a fuoco della «valorizzazione della persona umana» (anche nelle formazioni sociali, come in Costituzione). Ben oltre il merito: il nuovo paradigma, quasi contabile, è «fonti-impieghi»: una mappa di fonti di impiego e di «impiegabili», da governare in tempo reale (qui sta il passaggio da gestione a governance), con policy, cioè priorità politiche, ad esempio privilegiare il disoccupato di lunga durata o altre categorie di vulnerabili, o alcune aziende in crisi. Policy da aggiornare rapidamente, misurando lo scostamento fra realizzato e preventivato, il che implica strumenti agili e fini di controllo di gestione, non burocratico-amministrativo. Oltre ai processi partecipativi, ci riferiamo qui a meccanismi autoorganizzativi, sussidiarietà al Terzo Settore, coordinamento telematico, tavoli di coordinamento snelli. E come non tenere conto del fatto che, nei mercati dei lavori, tempo, competenze e opportunità

4 si

scambiano soprattutto nel territorio locale, o in quelli più rapidamente raggiungibili. La solidarietà si fonda su luoghi fisici e ambienti dove co-abitare, co-vivere, co-produrre e co-consumare, e le organizzazioni sono anch'esse luoghi privilegiati di riproduzione sociale. Tempi, competenze e opportunità però troppo «predefinite»: manca uno spazio per definire scambi più liberi. Il territorio istituzionalizzato, recintato e difeso dagli indesiderati hostis, non offre curiosità, creatività, e la Rete è sempre più ordine e (letteralmente) prigione. Il lavoro è cessione, ma ormai soprattutto creazione e ricostruzione di competenze, questione più pubblica che privatistica, più locale che globale. Se impari (e non c'è dubbio che è prevalentemente sul lavoro che si è forzati a imparare), questo è un fatto pubblico locale, con il problema dell'imitabilità e dell'iniqua distribuzione del lavoro sui territori. Se si chiama qualcuno che arriva da fuori, è una ricchezza che arriva. Se, al contrario, qualcuno se ne va, può (forse) tornare con maggiori competenze e relazioni. E' sana competizione fra organizzazioni e territori per acquisire e trattenere i migliori. I processi partecipativi sono in questo senso luoghi di learning di sviluppo territoriale dove agire scambi simbolici di elevata qualità fra gli attori locali e l'ambiente esterno (imprese, enti sovraordinati o di coordinamento). Il lavoro è produzione e sviluppo di sé, cioè identità e rinoscimento sociale. I servizi dunque intermediano stima, riconoscimento e attenzione, sincronizzando lebenswelt

5 (mondi vitali), mondi organizzativi e sfere

istituzionali su un precario treppiede. Sotto questo aspetto i processi partecipati, letti come co-ricostruzione di modelli, nomi, frame concettuali (che possono essere anche locali), mettono in discussione paradigmi quali la separazione lavoro dipendente-indipendente, la democrazia rappresentativa e il welfare beveridgiano universalistico, e questo ci pare utile per aggiornarli al nuovo contesto. In termini più psicologici, si notano passione, orgoglio, senso di adultità e autonomia emergenti nell'utenza dei servizi, ma anche imbarazzo, vergogna infantile di evidenziare pubblicamente le lacune. Autonomia e controllo, onnipotenza

6 e esame di realtà, stupore e coazione a ripetere, empowerment

7 e disempowerment.

Dualismi peraltro quasi assenti invece nei processi partecipati, riferiti in questo caso alle organizzazioni partecipanti. Quale nesso fra salute/benessere (di individui, gruppi e territori) e servizi? In Italia tradizionalmente sfere rigidamente separate e mondi professionali distinti. I servizi sono poveri di rappresentazione sociale

8. Un processo partecipato offre la possibilità di vero dialogo fra pari di servizi

interoccorrelati. Il paradosso è che il servizio si finanzia spesso con fondi comunitari (è precario anch'esso), per il settore privato è poco «appetibile» e il Terzo Settore è, stranamente, disattento al tema. Rimangono le soluzioni «faidate», il clan, il passaparola, le conoscenze personali, il web. Corsi di formazione, tirocini o lavori scelti senza alcun criterio di sviluppo di competenze chiave. Un processo partecipativo inverte questa pericolosa deriva (forse alla base del declino italiano), rafforza il ruolo pubblico, mobilita il civismo oltre burocrazia e mercato, qui chiaramente inefficaci. Il singolo cittadino

9, meglio se sotto forma di agenzie o associazioni,

4 Oceani di opportunità che appaiono senza preavviso e si dissolvono rapidamente se non sono colte subito (Bauman, 1997). 5 Senso comune, tacito, irriflesso (come il proiettore al cinema): nessuno ci pensa. E' norma sociale, morale, comune, è ordine, sicurezza. Una vita ordinata, organizzata per routine e procedure automatiche. 6 Qui intesa come desiderio dell'infante di scavalcare limiti fisici e psichici al godimento. 7 Nell'accezione multidimensionale, cioè anche collettiva, di Zimmerman (Empowerment Theory: psychological, organizational and community levels of analysy in Rappaport (2000) è «potere dentro», capability e efficacy percepite «nel» soggetto, rivolte sia all'interno che all'esterno. 8 Non esistono «Aziende di Occupazione e Sviluppo Locale» analoghe alle ASL. Nel settore sociosabitarioi ci sono poche tracce dei temi del lavoro e del LongLife Learning, né viceversa nei servizi al lavoro dei temi della salute e del benessere sociale. Come ci sono le Società della Salute, perchè non le Società dei Lavori o delle Attività ? 9 Certo, meglio se ricercatore socioeconomico, formatore, consulente o orientatore, ma può essere esperto in ogni campo: il processo partecipativo incentiva l'occuparsi di individui, gruppi e organizzazioni diverse, a prestare il proprio know how gratuitamente al proprio

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entra nel circuito decisionale e di controllo, e servizi e progetti verranno sicuramente impostati e controllati meglio. Le politiche (ad esempio di genere, per gli over50 o specifici settori produttivi) saranno più efficaci se condivise con chi nel iuo campo d’azione le vive quotidianamente, e magari le legge in modo opposto. Ma anche il tipo di policy: ad esempio non è uguale avere campi di calcio gratis o scaricare dalle tasse le spese di sport, cultura e ricreazione (una include, l'altra esclude). Imprese e Terzo Settore si sviluppano inoltre se si confrontano e misurano le aree di reciproco coordinamento e di conflitto. Non si può non notare infine come, mentre qualsiasi ricerca mostri con evidenza che la disoccupazione - ma anche la mala occupazione che ne è l'anticamera - siano antecedenti di malessere, malattia, esclusione sociale (e anche viceversa, dunque alla fin fine parliamo della stessa cosa)

10, invece il disagio crescente e

l'incapacità, di ricollocarsi fatichino addirittura a esser messi in parole11

. Non ricevono spazi di ascolto, non si si aggregano in istanze collettive di aiuto e risposte collettive di solidarietà: forse perchè se il lavoro è vita, il non lavoro e l'incompetenza sono vissute con vergogna e senso di colpa personale. Non si va al Centro per l'impiego, non si chiede aiuto, non ci si organizza, ci si lamenta in modo passivo. Un processo partecipato sblocca questo frame psicologico, invertendo figura e sfondo rimosso.

BIOPOLITICHE DELLE VITE-LAVORI

Nelle biopolitiche ipermoderne12

, lavoro (e LongLife Learning13

) esondano nel tourbillon de la vie di individui, gruppi e organizzazioni. Le vite e le case sfumano in «luogo di lavoro», imprese e attività economiche da esercitare professionalmente, mentre le organizzazioni - all'opposto - si soggettivizzano in parodie di clan familiar/amicali

14. Più che espropriazione, una mutua embeddedness, una ibridazione fra

lavoro e life skills che si de-differenziano da quelle sociolavorative, cioè da sfere antagoniste diventano interdipendenti, ribaltandosi l'una nell'altra

15.

Vite artificiali e lavoro come dovere e non come diritto, valorizzazione più che rispetto per le persone. E così i soggetti devono «rifarsi una vita» giocando una nuova mano di carte nel lifegame. Un processo longwide, pervasivo, forzato, non paragonabile al lavoro a domicilio prefordista, quando il contrattista lavorava in case-laboratorio su ordinativi a lotti, ma con ritmi ben più lenti e «umani», e anzi in questi ancora più fordista. Non biopolitico in senso stretto (cioè non è oggetto di discorso pubblico esplicito), piuttosto una sollecitazione sottotraccia, in cui l'economia prevale sul discorso socio-politico. Dalla sociologia del lavoro alla sociologia della vita non quotidiana potenzialmente professionale? Emozioni e ruoli «messi al lavoro», «mestiere di vivere» (Bresciani, 2006). Anche il learning, che se è LongLife è piegatura, nemmeno tanto sottile, dell'education all'economico: dai sistemi qualità e dall'apprendimento organizzativo (Argyris, 1998) si passa alle vite quotidiane come luogo di apprendimento organizzativo. Una torsione verso la qualità della vita e l'apprendimento tout court

per tutta la vita, con rilevanti impatti sociali: la routine oggi è vista come

negativa o difensiva. Le relazioni sociali si venano di interesse, i social networks servono per trovare lavoro, e in fondo lavoro e vita sono attività relazionali. Interessi propri e di altri si confondono nell'agire quotidiano. «Dai «fattori umani» in azienda (soddisfazione e motivazione) si transita ai fattori economici nei lebenswelt, anche gruppali e organizzativi (insoddisfazione e demotivazione nella vita?). Corpi, identità, atteggiamenti, abilità cognitive, ma anche affetti e sentimenti (e quindi il benessere), sono egonomics sempre al lavoro. Ad esempio sul

territorio. 10 E quindi l'intervento sul mercato del lavoro è preventivo e non curativo (quindi più efficiente). 11 Ad esempio mancano iniziative di raccolta fondi, associazioni di utenti, volontariato e solidarietà, formule preliminari alla co-partecipazione dei servizi (come nel settore socio sanitario: pensiamo alle associazioni dei parenti dei malati). Si ignorano disoccupati e espatriati, evidenziando invece l'immigrato, evidente capro espiatorio. Ci manca il linguaggio su quanto stiamo vivendo, che quindi è mal-vissuto perchè mal-detto. Quello che ci ha raccontato dolori e gioie della fabbrica, delle campagna, dei padri imprenditori-artigiani. Canti, poesie, romanzi, feste, lutti e elaborazioni ora stereotipate, senza spessore e ambiguità. Non casualmente «lavoro» è termine analitico (elaborazione sul lutto, working through). La carestia di immaginario sociale è ovviamente anche dentro le imprese e nel Terzo Settore. 12 Modello italo-francese di critica «da sinistra» (Bazzicalupo, 2006 e Aubert, 2010) nella forma posfordista di induzione «gentile» di pratiche di miglioramento, learning e empowering che, un tempo confinate al lavoro salariato, si vanno espandendo agli interi «mondidelle vite». Il termine nudge, originariamente bioniano - vedi Thaler e Sunstein (2009) - segnala che il biopotere ipermoderno non è impositivo, mentre nel taylorfordismo le spinte non erano propriamente gentili ! Vedi i più estremi critici italiani, come Codeluppi (2009), Fumagalli (2009) e De Michelis (2008). 13 La Riforma Fornero cosi' dispone: ˝Qualsiasi attività intrapresa dalla persona in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale˝. Quale gerarchia? Viene prima la crescita personale o occupazionale? Vale l’ordine indicato dal legislatore? 14 Accornero (1997) segnala l'ambiguità di termini come società, corporate, compagnia, Casa madre, organismo personale per indicare i dipendenti, retribuzione «a corpo». O si pensi ai clan familiari della «mala-vita» organizzata, cioè messa al lavoro. Pais (2003) ci ricorda come organizzare eventi pubblici sia anche organizzare eventi privati, l'aperitivo di networking ha un sapore amaro, un social network è book, vetrina per trovare opportunità ma anche espropriazione: chi entra abusivamente nella tua pagina entra nella tua vita.

15 Ad esempio i saperi linguistici o informatici (un blog), una visita ai partner di progetto, organizzare viaggi, cene o ospitare: è vita o lavoro? O l'assertività del sorriso professionale e l'entusiasmo artificiale del venditore (Sarchielli, 2006) - che già acutamente Wright

Mills notava nel 1951 - che invade il buon senso o il comportamento comunicativo automatico, situato e culturale. Le battute vengono

rivendute ai comici o rimbalzano sul web, l'empatia sostituisce la solidarietà, le buone relazioni la gratuità. Nelle key competence comunitarie ci sono competenze sociali e civiche, ma generiche.

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lavoro si può essere apatici, ma con gli amici frizzanti. Oggi si cercano lavori dove esprimere la propria personalità: bene per le organizzazioni, ma male per le vite, che si inaridiscono. Prime le organizzazioni impedivano la vita vera, ora al contrario la sfruttano, ma così non è vita libera: intuitività e creatività si ibridano nelle agende di vita e di lavoro, l'«aziendalese» diventa linguaggio quotidiano e della politica, le Comunità Amish richiamano turisti. Capitale sociale, milieu, comunicare, organizzare o risolvere problemi: tutto è anche fattore produttivo e prodotto/servizio spendibile

16. ˝Sii te stesso!˝, ˝Realizza te stesso!˝,

˝Think!˝. Parafrasando l'assioma ˝non puoi non comunicare˝ di Watzlawitz, potremmo dire ˝non puoi non migliorare˝. In termini di governamentalità pastorale (Foucault, 1998), di cura materna-paternalistica dei «greggi», che «addomestica» i conflitti per renderli produttivi in formule di welfare social-liberiste. Tecnologie e marketing del sé (coach, fitness): life enlargment e life enrichment, moltiplicare le vite, vivere più veloci e più a lungo. Sensation seeking, zapping di esperienze, indotte dai media/adverstising e dalla cultura spettacolistica (De Michelis, 2010). Attention economy

17, cioè riflessività, riuso delle esperienze

passate e quindi infinita permanenza nell'adolescenza, se non addirittura tempo e attenzione intensificati come nell'infanzia (Pievani, 2012). Una sorta di «religione» del miglioramento continuo

18 ,in cui tutto è

potenziale valore: amicizia, amore, sport, fruire di opere d'arte, la curiosità, la conversazione, il flaneur. Dalla forza-lavoro alla forza-valore: la vita crea (e sottrae) valore. Un bios isomorfo al ciclo di vita di un progetto, di una impresa o di un prodotto, quindi un umano «capitale» organizzativo, un «capitale-vita»

19.

Se, con «cordiale collaborazione», Taylor diceva agli scaricatori di ghisa ˝voi non dovete pensare˝, il motto della «fabbrica integrata alle vite» è: «Da noi le persone vengono prima di tutto». Come capitale umano, si intende. PROSUMER: LE VITE COME MEZZO E LUOGO DI CONSUMO, PERFORMANCE E PRODUZIONE Prosumer inteso

20 come consumatore-produttore, che co-progetta e co-valuta prodotti e servizi. Siamo,

come detto, in una era di diffusa riflessività finalizzata all'automiglioramento continuo, in cui siamo anche progettisti, politici, registi, pubblico e attori (sociali e collettivi, certo, ma qui l'accento è sul recitare o impressionare con la gamma delle performance), di spettacoli a valenza socioeconomica. Il ciclo, grosso modo, è il seguente:

Desiderio di nuove forme di vita -> Euforia artificiale -> Reificazione in beni e servizi -> Assedio di opportunità e obbligo di scelta di consumo -> Incorporazione di questi servizi nel sé -> Depressione e innesco di nuovi desideri. Il lavoro oggettivato e purificato delle vere emozioni, snaturato e impersonalizzato, è presto ripersonalizzato. Soggetti riassoggettati e alienati, cioè oggettivati, e poi prima possibile risoggettivati. Un'altalena che è anche oscillazione fra trovare lavoro/clienti e la disoccupazione. Una pervasiva pratica «economica»

21 che può essere sintetizzata col furbo motto del reverse engineering:

«pensare da valle a monte», risalente alla comakerhip della qualità (l'integrazione coi fornitori) degli anni '90 (Merli,1997), ai distretti industriali e al postmoderno di Fabris (2008). Prosumerismo è anche cittadinanza attiva, amministrazione condivisa (Arena 2011), bandi di coprogettazione locale, piani di zona, sanità condivisa. Posfordista perchè trasforma fasi in processi, liquefacendo i legami: il cliente co-decide

22. Ma questo genera fornitori rancorosi verso clienti iperesigenti, ad

16 Perfino le motivazioni di base, come il «capitale psicologico» (Luthans, Youssef e Avolio, 2007 e Pryce-Jones, 2010) cioè la disponibilità a essere coinvolti, a partecipare, a farsi carico di problemi altrui o comuni, anche la disponibilità a farsi controllare, quindi una cessione di autonomia, passione, orgoglio di fare da sé, mentre il controllo sociale può essere imbarazzo e vergogna per chi sbaglia. 17 Oltre ovviamente a Bauman, che va letto in inglese per l’elaborato vocabolario, su questi due concetti chiave vedi Davenport e Beck (2001), Beller (2006) e Lanham (2006) e la Fase III di Lipowetsky (2010). 18 In termini weberiani si passa dal beruf alla vita intera di communities operose, in cui desideri e libertà sono interiorizzati per un pubblico interesse superiore, non più la Gloria di Dio, ma certo quasi religioso. Rispetto a «comunità», community ha un significato più ristretto, originato dalle comunità protestanti, cioè dalla condivisione di una appartenza molto forte: del fratello della tua community ti fidi, ad esempio negli affari. Community come neighbourhood, chi è vicino fisicamente. La comunità di tipo cattolico è al contrario tendenzialmente universale: in questo senso l'opposta organizzazione delle chiese protestanti e cattoliche si riflette sul significato più bottomup e democratico quello di community, più top down e gerarchico quello di comunità. I modelli sociali e religiosi asiatici

presentano varianti interessanti a questo processo di augmented life, dove interessi propri e comuni si confondono. 19 Gruppi e organizzazioni si possono sciogliere, ma l'individuo è imprenditore-manager- investitore di sé stesso a vita, deve pianificare, gestire progetti, fare marketing, gestire le risorse. Vedi Holmqvist e Maravelias (2010) e Bonomi (2005) 20 Il termine risale a Toffler (1980) - anno in cui potremmo datare il cambiamento di passo competitivo- un futurologo che ci ha azzeccato spesso (inventò l'adhocrazia, con Bennis negli anni 60), anticipato però in questo caso da Drucker (1954), che scoprì l'orientamento al cliente, e quindi la qualità. La produzione di un bene o servizio avviene nella filiera estesa ai fornitori e ai clienti, combinando i flussi comunicativi dei consumatori, e oggi anche dei cittadini/pazienti, degli amministrati e della società civile. 21 Alla fin fine un bel recupero di produttività, perchè il cittadino o l'utente si affianca agli esperti di marketing o ai funzionari, con onori ma anche rischi e oneri semigratuiti: il do-it-yourself è smart, efficiente, riduce automaticamente le «zone di indifferenza» fra vita professionale e vita privata, incassa plusvalenze gratuite. 22 Con una inevitabile con-fusione di ruoli servo-padrone (vedi Capranico, 1992) . Il «falso sè» (produzione) si confonde col «vero sè» (consumo): uno sdoppiamento di personalità ?

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esempio nelle relazioni di aiuto o di sportello: si pensi al paziente «poco paziente» in sanità. In termini organizzativi le organizzazioni delegano verso i lati e verso il basso, integrando l'imprenditorialità diffusa sopracennata (La Rosa, 1995). Capitale organizzativo: la capacità richiesta è saper vivere nelle organizzazioni e nelle communities, dunque una nuova declinazione del concetto di cittadinanza. La vita diventa un rituale contro l'insicurezza: non è più il soggetto che aderisce all'organizzazione, ma l'organizzazione, anche pubblica, che si plasma sui soggetti. Certamente un consumo riflessivo e attentivo trasforma i reclami in miglioramenti, ma questi flussi sono coimplicati coi mondi vitali (ad esempio un social network), quindi il prosumerismo diventa facilmente biopolitico. Inoltre oggi c’è maggiore urgenza competitiva e prevalenza del consumatore sul produttore, con un allargamento dei ruoli: nel mondo globale occorre relazionarsi con frame culturali e organizzativi inusuali o finanziatori lontani. Spesso addirittura instantaneità da critical mass, cioè flussi co-evolutivi autoorganizzati, se non veri e propri «sciami» che agiscono cioè un coordinamento «naturale», quasi automatico di soggetti semplici, senza vere relazioni ma con mera amplificazione di vibrazioni guidate dalla direzione del movimento (Bauman, 1992 e l'eccellente fiction di Crichton, 2010). La wikinomics o i blog gestiti dai dipendenti di una azienda, in cui si discute del miglioramento del prodotto, operano col modello software degli agenti autoorganizzati: reti con nodi intelligenti autonomo, non soggetti ma oggetti. E' «ipertoyotismo»: zero difetti, zero conflitti. L'autorealizzazione, il bisogno maslowianamente elevato, diventa spesso gioco e spettacolo

23: mancano barriere all'ingresso, lo scroccone è tollerato, ci sono scarne regole, controllo e

incentivi. Si tratta di doni che, validati dalla community, creano valore per tutti. Funziona, annullando le interfacce di Spaltro, è organizzazione scientifica (antitayloristica) del prosumerismo. «Prosumer dunque sono»: sono nel cloud, sono connesso ai flussi. Un mix di sconnessione e iperconnessione. Il cambio di velocità, dovuto alla concorrenza in mercati on demand, richiede, al singolo lavoratore/imprenditore - ma la differenza sfuma - e al territorio, di inventare, progettare, produrre, vendere e erogare nuove commodity, ma anche saperle consumare rapidamente, creando il ciclo del bisogno di nuove. Occorre essere molto rapidi nell'aggiornare capacità e competenze necessarie: per un lavoratore, soprattutto autonomo/precario, la fast life è «inquinata» dall'esaltazione trafelata e compulsiva del nuovo, dalla riflessività intraprendente turbocompetitiva

24, dall'«urgenza di vivere». Se la vita è lavoro, è una roba seria,

non si può perder tempo25

: nulla di male, ma lo schiacciamento del tempo dei «prosumer alla spina», «uberizzati», trafelati, sottrae inevitabilmente tempo all'hic et nunc (Catania 2008), e non può che richiamare il Work Life Imbalance

26,

I MERCATI DEI LAVORI: MARKETING DELLE PERSONALITA' Quando parliamo di mercato del lavoro ci mancano le parole giuste

27. Hiring segnala la temporaneità, ma

forse marketing è il termine che più si avvicina a questi strani mercati, dove si offrono tempo e competenze di prestatori d'opera (opus appunto), in cambio di un corrispettivo, più o meno monetizzato. Marketing di opportunità, idee e competenze, in cui affiora necessariamente la soggettivazione, sopra accennata, da impresa, il sapersi vendere, il saper recitare. Il ruolo, la persona come maschera che prevale sul sé. Ma marketing, come gerundio

28, è processo e risultato, comprare e vendere con criterio, andare al mercato con

le idee chiare su cosa si vende e cosa si cerca. Occorre fiducia: quasi sempre compri o vendi «al buio», vendi te stesso o noleggi uno sconosciuto: occorrono relazioni fiduciarie a monte

29. Si tratta di reti di flussi di

relazioni di scelta «commodificate», continui, rapidi e complessi, con informazioni scarse (e scarto di infinite altre possibilità), una rete di flussi di community, sociali

30. Mercati adatti agli audaci e agli impulsivi, e i fragili?

23 La gerarchia dei bisogni di Torvald, il creatore di Linux: 1. Sopravvivenza 2. Relazioni sociali 3. Divertimento. 24 Il prefisso indica una curvatura innaturalmente iperbolica, eccessiva per i ritmi «naturali». Come obiettivo: al massimo sarà poi lineare, o logaritmica come la vita. Una velocità che richiede decisioni rapide, tagliando via le alternative, e quindi in fondo antidemocratica perchè democrazia è paziente tessitura, compromessi, lotta per egemonia, processi partecipativi appunto, tutte cose che in impresa non ci sono, decide uno solo o il teamtheinking, perchè non c'è tempo. 25 La Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie che deve correre, o i Papalagi che non hanno tempo (Scheuerman 92). 26 Davvero crinale cruciale, tema che richiama le Pari Opportunità, le differenze di genere nella salute, il carico dei lavori di cura e dell'oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi stabili. Si pone un problema politico centrale, non colto, di compatibilità vita-lavoro, perchè poca formazione è rischio di esclusione sociale. 27 Domanda qui è chi compra, e offerta chi vende. Stranamente i due termini sono invertiti, e infatti facilmente si confondono. E' il produttore (il lavoratore) il soggetto debole e non il consumatore: occorre la protezione dei diritti dei produttori. 28 Organizing è organizzare e essere organizzati. Learning, well-being, empowering, participating sono processi fondati su capacità di autodiagnosi e automiglioramento, individuali e collettivi: sono, nel pragmatico inglese, gerundi, cioè fini che coincidono con le attività stesse. 29 Pensiamo ad esempio alle società di selezione: l'impresa si fida del fornitore, del selezionatore interno, della preselezione del Centro per l'Impiego o della segnalazione. Analogamente per la formazione o la consulenza: ci si fida della reputazione dell'Agenzia o del professionista. In un concorso ci si fida della trasparenza. In realtà il processo di matching, basato sulla fiducia, è tutt'altro che ottimale e scientifico. 30 Non molto dissimile da Linkedin, che fa da servizio di intermediazione lavorativa basato essenzialmente sulla fiducia, visto che è virtuale.

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Ignorati, anzi la paura di essere eliminati - si dice- motiva il darsi da fare. La risorsa scarsa intermediata è il tempo di vita esperto, professionale, competente: la personalità economica appunto. Si cambia allora vita, impiego, mestiere, senza (o con) drammi, nell'era della multiattività, di vite industriose in cui tutto è potenziale lavoro e potenziale apprendimento, anche una vacanza o il gioco. Potenziale da sfruttare, giacimento da scoprire (o riscoprire riattualizzandolo). Capacità di intercettare i flussi e di lanciarli, cioè segnalare la disponbilità. La forza dei legami deboli (Granovetter, 1974) reinterpretata come saper muoversi anche in reti corte: certo, un vantaggio competitivo per l'Italia. Un servizio al lavoro e al long life learning è quindi una doppia consulenza di marketing che riduce il mismatch competenze-impieghi e quello fra flessibilità lato offerta e lato domanda, «incanalando» gli attori nel loro costituzionale ruolo sociale. In particolare per il lavoro autonomo-precario con debole capitale socio-relazionale, il commerciante senza clienti, vetrina senza merci: il commercio vive di relazioni. Ecco il Long-Life Learning, anche ritornando sui propri passi: non solo aggiungere, ma anche recuperare vecchie amicizie, vecchi lavori, vecchie esperienza e riadattarle. I mercati del lavoro vanno resi comunque in primo luogo trasparenti, perchè non si trattano più transazioni capitale-lavoro: si «noleggiano tempi di vita», giorni-uomo, quindi occorre regolare il commercio, riequilibrare a favore dei più deboli, dare informazioni, articolare i flussi per favorire l’incontro diretto fra i prosumer. Uguaglianza e solidarietà, come detto, sfumano perchè si cercano proprio le differenze, ma qui si comprende facilmente come la condivisione sia anche, oltre che un principio di uguaglianza, una soluzione smart. DAL LAVORO AI LAVORI/ATTIVITA'/COMPETENZE Come contraltare al disagio della precarietà (Kilborn, 2009) assistiamo ad un'altra transizione, faticosa ma certamente epocale

31: lo slittamento fra lavoro e non lavoro e dal Lavoro ai lavori, alle multiattività life-

friendly (sport, cultura, sociale, relazioni, salute, hobby, arte, ricerca, ricreazione, ma l'elenco in realtà è immenso), un tempo considerate extralavorative (la leisure class di Veblen). Alla domanda ˝che fai nella vita˝, la risposta è spesso multipla

32: un salario (spesso misero) e altre attività

“laterali” di tipo amatoriale, associativo e sociale. Permane invece, soprattutto nei decisori pubblici, la vecchia idea della monospecializzazione, della professione: l'idea che al lavoratore sia associata per sempre una sola attività lavorativa

33. Invece il tema delle multiattività corre da tempo sotto traccia, e assume forme

creative, alternative e sociali come la sharing economy, il basic income di cittadinanza societaria, le monete locali, le Banche del Tempo, l'invecchiamento attivo mediante il volontariato civico, il welfare di community, i congedi per attività sociali, il volontariato esteso e riconosciuto come credito formativo o validazione di competenze, il «sospeso», il dono non immediatamente da restituire. Forme di autoorganizzazione, autoproduzione/autoconsumo, condivise o cooperative, finalizzate a vite ben impiegate, socialmente utili, buone. Favorite dalle tecnologie che certamente in questo caso sono davvero abilitanti.

Certo, tema ambiguo (ad esempio riduce le entrate tributarie), come abbiamo visto ambiguo

34 è da sempre

il tema del Lavoro. Tempi e lavori ripartiti riconfigurano le società con forme di clan sui bordi del mercato35

. Se pensiamo del resto alle attività di aiuto o di relazione, o al terziario creativo amatoriale, non abbiamo solo opus libero, per sé: c'è un mercato potenziale di protoattività indipendenti, di competenze imprenditoriali atomizzate fino a scomparire nelle vite, e poi ricomposte. Attività liminali ma che, sommate, contribuiscono sempre più all'affermazione di soggetti, anche collettivi, indipendenti o come prove di reddito o professione. Il lavoro, compresso perchè «turboprosumerizzato», tracima quindi dal mercato del Lavoro (maiuscolo) e diventa vitale, crea nuove organizzazioni, nuovi lavori, e anche un de-investimento dal Lavoro in senso stretto, in chiave di recupero psicofisico da lavoro stressante. Nuovi lavori come occupazione e formazione continua on-the-job, quindi, ma il nodo pratico è l'organizzazione, il pooling di risorse (informative, di aiuto, Banche del Tempo, cohousing, coworking, «co-vita»), e anche una nuova rivendicazione di spazi e tempi collettivi. Nella società delle multiattività, alcune hanno maggiore utilità pubblica, ad esempio proprio orientamento e formazione: occorre un riconoscimento pubblico, politico, delle competenze e attività emancipanti e socializzanti, ripartendo tempi e attività, certo senza far concorrenza su mercati (Laville,

31 Vedi (Gorz, 1997), ma prima di lui diversi teorici della liberazione dal lavoro alienato. Il comunitarismo di Gorz in fondo è sostenibile perchè modulabile in estensione sociale. O per dirla alla Sen, è una choice, multipla, in cui scegliere più strade, con capabilities e functioning multipli.

32 ˝Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose˝, come Ecce Bombo

33 Si badi: tale idea, nobile perchè risalente all'etica professionale, è presente in vari settori, dove non è raro trovare persone che per tutta la vita hanno svolto la stessa attività. Ma la cosa curiosa è che tale schema è presente anche nel privato competitivo, e permane molto più a lungo di quanto si pensi anche come modello mentale nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto appare, denso di rischi, paure, ansie, viene esorcizzato e tenuto nascosto. 34 Dalla certezza all'ambiguità: una lenta conquista? (Quick, 1993) 35 Le innovazioni nascono spesso da saperi, spazi e tempi considerati «inutili», o dall'assorbimento di comunità di pratiche hobbystiche alternative, ad esempio la microelettronica nella controcultura californiana degli anni 70 (Revelli, 2001) o ai giorni nostri il dark side

della creatività nel caso dei derivati e delle assicurazioni creative.

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2000). Riconoscere al datore di lavoro il tempo del dipendente per attività sociali e incentivare la responsabità sociale delle imprese. Le cooperative di consumo come prosumer collettivi? Basic income come diritto al benessere minimo di cittadinanza, a non essere cacciati unter, a poter vivere una vita decente, diritto alla salute minima di cittadinanza societaria. Basic welfare (formazione e lavoro, mobilità, casa, nutrimento, socialità) di risorse minime garantite a tutti, un vero livello essenziale di prestazione, capacitante, perchè condizione di vita, investimento sociale. In questo senso se perdi il lavoro c’è un know how, e un know who, rivendibile. I lavori sono un gioco a somma variabile dove tutti guadagnano: reti di imprese, reti di vite, tempi e lavori ripartiti. Una società che valorizza i prosumer che produce, messi al lavoro per la società - società appunto, soci alla pari - perchè il prosumer produce social innovation, solo che il sociale è dominato dall'economico, è ridotto

36. Siamo nell'era

economico-sociale più che socioeconomica, del Lavoro «a socialità limitata». Il paradosso del precario/autonomo, e del disoccupato, è che il tempo liberato può essere usato per formazione, volontariato pubblico, socialità, salute, famiglia, altri lavori, mentre è dissipato. E questo vale anche per il pensionato. Il lavoro è mortificato in schemi economicistici

37, ma ci sono attività non monetizzate, redistribuibili a tutti,

«vite al lavoro pubbliche». Si può trovare il modo di occupare le persone in attività che piacciono e guadagnarci tutti: basta organizzarsi. Anziché formazione finanziata, lavori finanziati, diritto a una vita multiattiva, alla multiprestazione, congedi per attività pubbliche, bandi mirati, possibilità di variare lavoro, più multichoice del tempo extralavoro. Nei Centri per l'Impiego si possono utilizzare dei volontari, il tempo libero ha immense praterie di utilità sociale, e di cittadini lavoratori insaturi. Il volontariato civico va organizzato (si pensi alle migliaia di opportunità di volontariato all’estero rispetto alle poche da noi), è un moltiplicatore di lavori e servizi pubblici, attività artistiche, culturali, sportive che non sottraggono nulla al mercato, e anzi possono essere preincubatori di imprese. In città ma non solo: certo occorrono spazi e e tempi, iniziativa, strumenti e locali a disposizione, nuovi modelli di vita e sistemi locali di sharing.

LA POLARIZZAZIONE DELLA FLESSIBILITA': CHI INVESTE E CHI E' INVESTITO

La disoccupazione/inattività convive con la sovraoccupazione/sovraattività, ma la divaricazione cresce. Vite dense, energizzate al limite, autonome. Ma anche, si è detto, molte vite inutili, rarefatte, eteronome. Il multiattivo senza tempo, assediato dalla «fiera delle opportunità», confina con la paralisi regressiva, l'inattivo con vita vuota e tempo sprecato in allontanamento dalla cittadinanza, ostile allo straniero e allo Stato, che non chiede aiuto. «Up and Out»: la polarizzazione evidenza la mancanza di solidarietà per gli esclusi, ad esempio interi territori o le generazioni anziane. Pensiamo alla assenza di solidarietà fra territori. Quale equità e soprattutto quale reciprocità, se c'è chi non lavora e chi lavora per dieci ? Ecco quindi il counselor per capire se si è all'altezza, la ricerca di chi decida per te, il ritorno a forme premoderne rassicuranti, comunità simboliche, emotive, rituali, spettacolari, con scarsa relazione vera Diseguaglianze (pare crescenti) non solo di reddito, ma di redistribuzione della risorsa chiave: il tempo di vita competente, fino a delineare una società a due velocità: il multilavoratore globale con poco tempo e molte competenze (cronofagico), e l'inattivo locale, con molto tempo e poche competenze. Abbiamo peraltro anche molti sovraqualificati sottooccupati, e pure sottoqualificati iperoccupati. Per i soggetti che della flessibilità sanno cogliere

38, in modo benestante

39, opportunità per lo sviluppo, le

«vite-lavori», oltre che merce, sono «vite attive» (Arendt, 1964), vettori di functioning (achievement) di qualità, vite «impoterate», e valore aggiunto selfpropelling circolante

40, dono più o meno ampio per l'intorno

sociale. Identità anche collettive e bene comune che aumenta le capabilities territoriali, cioè le capacità di functioning collettive, la qualità delle vite. Vite belle, non tutte mercificate. Ad esempio una startup è perno di identità collettive locali, vite che consumano e ricostruiscono risorse, anche se con una certa resistenza di spazi per sè e per i propri gruppi primari, a non condividerli. O ad autogestirli nei tempi, come evidenziato nelle multiattività. «Vite-lavori» che sviluppano identità e autostima, che realizzano desideri di gratitudine,

36 Lean, la produzione snella, ridotta al minimo, è parente di strain (rottura), cioè l’organizzazione si può «rompere». 37 Ad esempio è illogicamente occupato chi ha lavorato un ora nella settimana di rilevazione ISTAT, mentre è disoccupato chi fa il volontario a tempo pieno. 38 Choice alla Sen (1986). 39 Benessere (Spaltro, 1984) come sentimento di stupore che incontra la vita nel traversare le interfacce psicosociali. Spaltro distingue tre livelli di funzionamento sociale (coppia, piccolo gruppo, organizzazione) e tre interfacce (A fra individuo e piccolo gruppo, B fra piccolo gruppo e organizzazione, e C fra organizzazioni). Si veda Cerrina Feroni (2013). Il modello si basa sulle resistenze, nel passaggio delle interfacce, che presentano aspetti di regressione e progressione, di difesa (in-dipendenza) e socializzazione, di chiusura e apertura. Le interfacce sono «manopole» di navigazione sociale, un va e vieni, un sali e scendi, una boccata d'aria e una difesa dall'inghiottire l'acqua, una corrente alternata simile all'oscillazione delle maree, fra minore a maggiore densità sociale, fra identità a appartenenza. Duali perchè, lewinianamente, «zone di passaggio»: il loro attraversamento (il trattino dell'interfaccia), è freno e avvicinamento, autonomia e integrazione. E' benestante se accade senza impazienza, capace di «digerire» frustrazione e dissenso, di «abitare» le dualità senza urgenza di unificare o scindere, sapendo «so-stare» nei conflitti. Un concetto parente dell'empowerment, ma che evidenzia le belle relazioni e il bellessere: potremmo dire più di nucleo strategico, per il soggetto. La riflessione di Spaltro è pluralizzante, parte dagli anni '70 e si fonda col decennio di modernizzazione (1957-67), la scoperta del soggetto e dello stile partecipativo-democratico. Vedi anche i lavori seminali (Bennis, 1969) su salute organizzativa e sviluppo organizzativo.

40 Capitale circolante - visto che la metafora è economica- cogliendo con questo termine anche .la rischiosità dell'operazione.

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legittimazione, reputazione e dignità di ruolo pubblico. Benessere è accettare e giocare la sfida collettiva, nucleo culturale, processi e pratiche (anche i processi partecipativi) che animano la dinamica della convivenza promuovendo, mantenendo o migliorando salute e qualità della vita. In Avallone (2005) troviamo gli indicatori del malessere (scarsa fiducia, scarsa choice, conflittualità negativa, comportamenti indesiderati, diminuzione del senso di appartenza e della creatività). Circuiti virtuosi (buonessere, vita buona, di chi dà una mano ed è solidale con l’inattivo,vita degna, vitale, socialmente responsabile) generati anche a partire da quelli viziosi

41 (mala-vita, malessere, vita indegna e

irresponsabile), e viceversa. Alcuni esempi di contaminazioni malestanti:

Diffidenza: quello che imparo lo impara l'altro (potenziale concorrente), che mi osserva La socializzazione è munus da restituire, da cui disfacimento dei legami sociali e schiacciamento

eccessivo sull'Altro Lo spillover dei modelli mentali, ad esempio il volontariato che serve a migliorare la propria

occupabilità Il sentimento del potere che «stinge» verso l'egopatia e la volontà di potenza Ansia, ad esempio dei genitori che non possono offrire benessere (potenziale) ai figli o ansia di

inserirsi con un post nei flussi Last In First Out Attacchi di panico, uso di farmaci per indurre attenzione o provocare/attenuare emozioni (doping da

benessere) Esaurimento e collasso psicosociale, dall'organizzazione dell'Io fino alla lacerazione di convivenza e

cittadinanza di interi territori Surmenage: vivere una «vita da detective», ad esempio le idee che sorgono fuori dal lavoro e

l'eccesso di rischio Il malessere è rischio di sostituibilità, paralisi, regressione, terrore di essere messi da parte, resistenza a essere misurati. Sconfitte vissute come vergognose, supereroi performanti che celano il loro doppio: l'utente risentito, ipercritico, gli scatti di collera, l'aggressività, gli attacchi alle routine, l'odio-invidia per l'impiegato pubblico. Si subisce l'irritazione dei familiari, si è evitati socialmente, si è considerati pigri e incapaci. Non essere presi in considerazione nei colloqui di lavoro è emotivamente pesante, perché si misura la distanza da performance o corpi inadatti. Non c'è lavoro, cioè che vivo a fare? Sono solo un peso, sono escluso dalla bella vita. Il malessere sorge da una cronica oscillazione fra iperattenzione sovraeccitata, intossicata e sregolata da choice obbligata (non libera di non choice), e lutto depressivo

perenne

42. Sé grandioso e sé disintegrato:

vacilla il ragionamento ponderato, in una schizofrenica caccia all'inconsueto43

. La «turbovita» mal si concilia (per molti) con la stabilità psichica, da cui derivano difese nevrotiche (regressive) e paranoidi (identificazioni proiettive, e odio per la vita come «mancanza a benessere»

44.

Lo smarrimento identitario, il ruolo troppo «srotolato» si disfa, e rende difficile ricomporre un nuovo ordine, cioè ordinare i frammenti identitari in uno stile di vita personale stabile. In altre parole la difficile formazione, o erosione delle personalità (Sennett, 2000), che mina le basi per la sua riproducibilità. Il rischio rottura è dovuto a strain breveperiodisti di obbligo performante

45 di Long Life Learning, all'infinito

self-enhancement, al dover «stare al passo». I soggetti vengono energizzati, benesserizzati, empowerizzati (forzatamente lievitati, per usare una metafora culinaria) oltre i limiti «naturali» e possono «strapparsi»

46.

Usando il modello di Antonowsky (1978) - che vede forze stressanti che impoveriscono e forze di coping che resistono- il coping, sociale e individuale, può non reggere e l'eustress viene sopraffatto dal distress. Fronteggiare è risorsa consumabile: troppi stimoli generano sovrabbondanza a essere. Cresce il benessere per pochi resilienti, che ispessiscono le loro vite, suscitano e saturano desideri, ma in spirali oscillatorie che esondano dalle capacità bio-psicosociali Questo «disagio della precarietà» - unsafety

47 più che unsecurity - declina il lavoro (per fasce crescenti più

escluse o isolate), come malessere psico-sociale: disoccupazione/malaoccupazione, fallimenti personali o di impresa, «incompetenza» e burnout generano malattia e esclusione sociale (e viceversa)

48.

Il benessere è, al contrario, saper girare intorno al raggiungimento possibile del desiderio, senza fretta, fra

41 Cioè gramscianamente rovesciare (allora il nascente fordismo, oggi il postfordismo) 42 Cambiare (i formatori degli adulti lo sanno bene) è uccidere il «vecchio» 43 Lo schizofrenico perde appunto la vita quotidiana: il senso cmune diventa non comune. 44 In Lacan la «mancanza a essere» è odio per il simbolico che non rende liberi, odio per la vita, per il debito, munus con la comunità, la negazione della dipendenza dall'altro come ordine e limite (Recalcati, 2010). 45 Dal superuomo all'uomo sovraeuforico? 46 La «fatica di essere se stessi» (Ehrenberg 1999) 47 Cioè non si sa se il prossimo lavoro sarà meglio o peggio, non si sa quale sarà, non si sa quanto ci vorrà a cercarlo, 48 “Oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro. I pazienti parlano in modo angosciato del fatto che non c'è più lavoro [..] lavoro diventa la parola chiave per rifondare la parola desiderio. Si capisce allora che c'è stato uno spostamento radicale rispetto agli anni Settanta dove il desiderio era un'alternativa al lavoro, mentre oggi il lavoro è la possibilità di dare un senso al desiderio” in Recalcati (2013).

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passato e futuro. E' stupore, senso di imminenza estetico per la trasformazione di capabilities in functioning che si sta per compiere. E' conflitto accettato

49, desiderio di investire e paura di farlo, all'interno di un

sentimento di futurità e padronanza del sé e del contesto, cioè sentimento del potere, di mastery, di agency. Per Spaltro è anche belle relazioni (gruppare, organizzare) e bellessere, cioè «plus-essere», desiderio che si colora, Sabato del Villaggio, sorpresa nel sentire di passare dall'impasse allo spiraglio, di «scollinare» sui crinali soggetto-oggetto, separazione-unione, incertezza-sicurezza, assenza-presenza, amore-odio, vita-morte. Benessere come salute, welfare, come capacità di essere organizzati- nel senso dell'antica Roma- e di occuparsi della debolezza con la cultura della forza. Riflessioni, come si vede, centrate sulle tematiche prima accennate. Per Spaltro l'attraversamento delle interfacce psicosociali è cross-fertilization di energia: nel benessere l'energia fluisce, si moltiplica, mentre nel malessere defluisce, rifluisce e si scarsifica. Il benessere, nella af-fluent society è ri-fluente, in-fluente, con-fluente e de-fluente, si autoalimenta ed è potenzialmente illimitato. Ma più le interfacce sono abitate e fluidificate - oggi si cambia spesso gruppo, organizzazione e territorio - più sono facilmente traversabili, ci si abitua e si innesca quindi una corsa al rialzo? Il malessere del benessere, il «benesserismo» (Cerrina Feroni 2014) è il «turbobenessere» che, biopoliticamente, vira troppo verso la sfera produttiva. Una lettura neoapocalittica che evidenzia il malessere di una spirale perversa di scarsificazione del benessere che, spinto all'eccesso, scolora nel suo opposto. Passato l'incanto del trentennio postmoderno (del benessere come well-being?), siamo ora nell'era del disincanto?

50 L'attenzione oggi è sulla qualità della vita-lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma tali

elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il wellness ad esempio è un prodotto), di cui siamo a nostra volta i turboprosumer che alimentano il ciclo. Beni che finiranno, anche se pubblici come i beni relazionali, mercificati. Da cui un baumaniano retrogusto amaro di «vita a caccia di benessere» che non è tutta vita buona, perchè si consuma

51. Dal «diritto a perseguire la felicità» alla «spinta gentile» verso l'ultrabenessere.

La velocità eccessiva del ciclo desiderare-essere-avere (di per sé positivo, ovviamente) finisce per invertire normalità e eccezionalità, alzando l'asticella verso una efficienza forzata. Il rapido godimento del benessere ne fa desiderare sempre di più, ma l'andamento, necessariamente sismografico (come quello dei mercati finanziari), produce forti sbalzi di malessere

52. Un limite di velocità: oggi si occulta il benessere per paura

dell'iperbenessere? Se interi territori competono sugli indicatori di benessere e qualità della vita, i soggetti sono forse più assoggettati (sub-jectum) che autonomi (pro-jectum). La frustrazione di una avventura agonistica senza fine produce, alla lunga, effetti patologici (Recalcati, 2010), che si notano, sotto traccia, negli interventi di formazione e orientamento:

Vite «spolpate», smarrimento, ritiro nelle «passioni pallide», paralisi da in-capacità magico-fatalista Vivere alla giornata aspettando il biglietto vincente alla «lotteria della vita» Mostrare emozioni finte e nascondere quelle vere (rabbia e aggressività) Risentimento e ipercriticità invidiosa per le qualità meno raggiungibili, come quelle cognitive, e

rancore per l'altro flessibile che sostituisce il prosumer difettoso (lo straniero) o l'altro iperbenesserizzante (l'intrusione burocratica nelle vite, il sindacato, ma anche in parte il Terzo Settore di vecchia generazione)

Il riaffiorare di paure primarie (far brutta figura, non farcela, essere traditi, abbandonati, maltrattati e malconsiderati) e di Sé passati da riattualizzare (Caligor, Kernberg e Clarkin, 2012)

Anaffettività: vita vuota se «esci dal Reality», come in Reality di Matteo Garrone. La «cum-fusione» fra ruoli pubblici (paterni) e privati (materni) determina un sovraadattamento longlife all'altro e al sé precoce: lo smarrimento identitario rende difficile fissare i frammenti identitari dei sé multipli derivati dalla miriade di esperienze. Essere, vedere e sentire in luoghi diversi, fare tante cose insieme: «intra-viduo» (Conley, 2008) e «multividuo», con adolescentizzazione forzata e consumo di self-efficacy. Da cui seguono (La Barbera, Guarnieri e Ferrario, 2009) :

Frammentazione del senso di sé e dell'altro Rimozione, burnout, perdita della gioia di vivere, distacco e fuga dal reale

53 che non corrisponde alle

aspettative

49 Conflitto «che lavora per noi» (Metcalf 1942), «capacità negative» (Lanzara, 1993), o ancora prima con Keats e F. Scott Fitzgerald, con uno sguardo binoculare («e-e» più «o-o»), con gli occhiali dell'uno e del molteplice. Conflitto che invece terrorizza l'infante, che infatti attiva le difese primitive kleiniane schizoparanoidi e depressive. 50 Prima era la voglia di sfuggire all'ordine, il disincanto dell'ordine. Oggi è l'inverso, voglia di sfuggire al disordine, disincanto del disordine? 51 Sentimento che colpisce anche gli operatori dei servizi di formazione, orientamento e consulenza. Chi deve motivare è spesso a sua volta precario. 52 Lo stesso paradosso di Easterlin (1974), cioè la curva del benessere che tende a decrescere con l'aumentare del reddito, segnala una contraddizione: potremmo parlare di limiti del benessere, parafrasando i limiti dello sviluppo di marca ecologica. Una versione «umana» della «tragedia dei commons» (Hardin, 1968), una estensione delle colonizzazioni moderne (il Nuovo Mondo o il taylorismo) alla «recintazione» del comportamento (alla Goffman, cioè recitante). 53 L'hikikomori giapponese: giovani che si ritirano per anni in solitudine estrema.

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Ipernarcisismo euforico, avido e juissance dissipativa, onnipotente e mortifera54

Malessere organizzativo: distorsione, proiezione e rimozione del conflitto vita-lavoro (Fraccaroli,

2011) Gravi disturbi alimentari e uso di sostanze per attenuare l'ansia o essere artificialmente euforici e al

top Esasperata coscienza di sé e dell'altro, ipertrofia cognitiva e disfunzione del senso comune di tipo

schizoide o melanconico55

La domanda a questo punto è: come rendere l'«ipervita» del Long Life Learning compatibile col bios ? Quale welfare? Quale ruolo per le community locali ? NUOVE VULNERABILITA': I SOPRANNUMERARI DI SISTEMA E LE PRATICHE DI POTENZIAMENTO/AIUTO DA 0 a 80 ANNI. I nuovi profili di rischio sociali riguardano sfere un tempo considerate private e segmenti sociali. tradizionalmente garantiti. Numerosi studiosi

56 segnalano una «tragedia tranquilla» di disaffiliazione e

sfilacciamento sociale che colpisce più i ceti mediamente benestanti che le tradizionali fasce di malessere e povertà, più abituate alla lotta per la sopravvivenza. Un precario deve aggiornarsi, ma anche cercare lavoro, produrre e rendicontare: non c'è tempo mentale per giocare, leggere, camminare, partecipare alla vita pubblica. Nei nuovi Sisifo che non reggono l'imperativo di McClelland della achieving society, emerge allora un sentimento di rischio di irrilevanza/sostituibilità, non ci si sente riconosciuti, amati (l'autorealizzazione è attenzione da parte dell'altro). Ci si sente «cattivi investimenti» in capitale sociale e uman, che non restituiscono valore: aziende in crisi, aree a sviluppo ritardato, aree interne

57, gli helplessness. Risorse

umane58

scarsificate nelle capacità di riconoscere e fronteggiare problemi e opportunità, con rapida elaborazione riflessiva di azioni e nuovi desideri, perchè queste capacità non sono state ricostituite dopo il consumo. Gli intrappolati nella rete (come contesto sociale), che non hanno più voglia di combattere, i «reduci». I molti over45 in difficoltà a ricollocarsi sul lavoro, ma anche, in forme diverse, vaste fasce giovanili. Il soggetto perde spessore (Bologna, 2011), paralizzato dalla sensazione di scalare una montagna troppo alta: subentra una personalità artificiale «come se» di Helen Deutsch (un misto di aggressività e passività, di amabilità e cinismo), nella volontà di desiderare di appropriarsi e mobilitare le risorse, perchè il gioco è un «campo minato» che alimenta il divario aspirazioni-opportunità reali. Mazzoli (2012) parla di sfibrante soggettivazione della povertà: essere presi in carico dai servizi è vergognoso e umiliant, perchè implica un senso di inadeguatezza. Chi resta indietro è dunque anche fuori dalla formazione, è solo, non è raggiunto, non partecipa alla vita civile. Poveri da disallineamento col turbosviluppo, con idee di sviluppo distorte e frustrate dal veloce adattamento alle competenze necessarie: molti rimangono «indietro», non sono più adatti alla turbocompetizione, diventano soprannumerari. Si tratta, inizialmente, di un disagio, di una paura, di un sentimento di vulnerabilità, di non saper fronteggiare lo spiazzamento, che poi sfocia gradatamente nella povertà e nell'esclusione vera e propria. Una non autosufficienza nelle «vite-lavoro». Fasce sociali con buona scolarità ma basse competenze riflessive, e bassa riconvertibilità di competenze. Soggetti isolati socialmente (anche imprese e territori, magari coesi all'interno) o che per tradizione familiare o locale sono rimasti a un modello «moderno», cioè a un «impiego» ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Soggetti e organizzazioni con velocità minore di cambiamento, non distribuiti ugualmente sul territorio, dispersi e difficili da intercettare, perchè non hanno elaborato i lutti per la scomparsa del mondo in cui abitavano, cioè non mostrano una domanda, non si rivolgono ai servizi. In «esodo silente dalla cittadinanza», con i tratti talvolta del risentimento, e coi quali è difficile condividere i servizi da offrire. Si tratta di trovarli, coinvolgerli, ragionare con tempi lunghi caso per caso, territorio per territorio, e intervenire, in modo coordinato e partecipato, senza sbagliare, proprio nel punto più delicato del sistema sociale. L'errore fondamentale è considerare questa utenza solo come individui: sono gruppi sociali, micro imprese, piccole organizzazioni, anche nel Terzo Settore, sono interi territori locali: i livelli di funzionamento sociale e di empowerment individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati, e l'intervento di aiuto qui davvero richiede un analogo intreccio di competenze. I “RECALCITRANTI A ESSERE MEZZI DI AZIONE”: INVULNERABILI O PARASSITI ?

Analizziamo anche, per completezza, le minoranze contrarie al benesserismo. Che, abbiamo già visto con

54 Il Salò di Pasolini. 55 Qui rovesciato, è amore-odio per la routine, palude dell'essere-lo-stesso, figura molto presente nei Centri per l'Impiego. 56

Ranci (2002), Borghi (2002), Castel (2001), La Rosa (2005), La Rosa (2003), Zamparini (2011), Goodin (1985)

57 3/5 del territorio italiano 58 Da ressortir, in francese riuscire a cavarsela.

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l'economia del dono, si possono trasformare in forze positive59

. Soggetti con stili di vita obsoleti: vite compassate, disinteressate, «dolenti o nolenti», ben oltre la normale resistenza dell'adulto al cambiamento e all'apprendimento. Chi mostra rigidità, cocooning / social loafing (apatia) al disordine ipermoderno, chi si chiude ai flussi e rifiuta una «vita da prosumer» e di invecchiare attivamente. Chi mostra prudenza di fronte all'innovazione letta come «ex-novazione», atteggiamenti di stagnazione psicosociale («non-essere-gettati-del-tutto») o chiusure identitarie a sé stabili, familiar-comunitari, rassicuranti. Certamente qualità che danno sicurezza, ma minano l'autonomia e sterilizzano le capacità. L'esercito di riserva al contrario: i non competitivi che si limitano alla performance minima vitale o praticano il soldiering

60. L'aurea mediocritas delle

organizzazioni («in-competenza», «dis-organizzazione», disturbi di apprendimento organizzativo, «in-azione», organizzazioni inospitali

61).

Anche soluzioni di exit, come non espropriabilità del proprio, resilienza come resistenza alla rottura, o forme devianti di riproposizione di schemi non produttivi (Centri Sociali), fino all'aperta rivolta regressiva allo stadio primitivo o al sabotaggio, certamente qui autolesivo. O – all'opposto - tratti conservatori/premoderni nostalgici (umiltà, rispetto, onore, la ricerca di guru, le sette) o populisti. Ma dissenso e critica aperta al turbobiopotere hanno poco spazio e molte forze antagonistiche-libertarie vengono presto riassorbite

62. Raffinando l'analisi potremmo chiederci: se la vita è biopolitica, cosa

residua? Qual'è la frontiera di resistenza? Quale «vita minima», «vita buona»? Chi è oggi l'«Uomo senza qualità»? Quali sono le incomprimibili «competenze proprie»? Quali relazioni sociali minime? Il familismo è davvero amorale? L'ora di vita inoperosa, la noia, l'ozio

63, l'ignavia (Oblomov). Chi consuma prodotti

antiquati: l'ecologista autarchico, il raccoglitore. L'entropia, per l'appunto biologica. .

Certo, tratti oggi socialmente negativi. Ma anche - entrando nella pars costruens - il pudore, la modestia, il dubbio, la pietas, l'etica del lavoro, forme societarie gratuite, vere reti sociali e veri amici (non quelli di Facebook), l'autentico «mi piace». Il soggetto «in-sè» e non solo «per-sè». Certamente l'in-dipendenza e l'in-dividualismo democratico. NUOVI DIRITTI/DOVERI E NUOVO WELFARE Incontrare la vita da prosumer riconfigura il privato (la ricerca di lavoro, l'autoformazione e le relazioni nei gruppi primari) in forma di nuovo argomento pubblico, e viceversa fa evolvere gli interessi pubblici in nuovi diritti (al learning e all'orientamento long-life) anche per i soggetti collettivi. Si aggiungono sfere pubbliche, altre si privatizzano: il welfare evolve perciò in modo analogo verso forme di cambiamento solidale, che non lascia indietro i vulnerabili, con dimensioni ibride, amicali. Nuovi rischi, nuove vulnerabilità e nuovi servizi implicano anche nuovi diritti/doveri (Paci, 2007) e una riperimetrazione o ridefinizione del welfare (che nella dizione anglosassone è benessere). Certamente oggi con un contributo maggiore della società civile e del no profit, e una regolazione maggiore dei privati e del Terzo Settore. Mentre però il welfare tradizionale fu conquistato dopo aspre rivendicazioni operaie, i nuovi servizi sembrano rientrare piuttosto nelle politiche di sviluppo. Il Long-LifeLearning («in una prospettiva di crescita personale, civica, sociale e occupazionale»), il LongWide Learning e l'Orientamento Long-Life, contraltare alla sempre più rapida innovazione, poggiano ovviamente sul solido terreno dei diritti all'istruzione, al lavoro, alla salute, e in generale della realizzazione della persona umana, «anche nelle formazioni sociali», e ne sono la naturale evoluzione. Ma quale sharing, fra gli attori sociali locali, di questo nuovi doveri (inderogabili) di solidarietà sociale? E come reinterpretare sicurezza e salute (e benessere) in transito dai posti di lavoro alle vite intere? Rileggere il personalismo («rispetto per la dignità della persona umana») e il concetto di «integrità psicofisica»? Quale welfare e quali standard minimi di certificazione, di competenze, e di qualità dei servizi? . E' però evidente la sottovalutazione del nesso causale, nei due sensi, fra salute/sicurezza sociale e LongLife Learning/Occupazione. Ma. come detto, il welfare attualmente non prende in considerazione i giacimenti di competenze inutilizzate. Welfare senza lavoro, welfare dei lavori: il primo passo è il mutuo soccorso, riconoscere cioè che il problema è collettivo. Nuovo Welfare

64: cosa vuol dire welfare di cittadinanza marshalliano-beveridgiano oggi? Come mediare

59 Come nei film dei Fratelli Coen (˝Grande Lebowsky˝, e, ancor più ˝L'uomo che non c'era˝) o pensiamo al rovesciamento biopolitico dell'autonomia radicale del '77 (radio libere, rifiuto del lavoro salariato, creatività, socializzazione). 60 Il frenaggio della produzione anticottimista studiato da Roy negli anni 50 (Bonazzi, 2002), il ca' canny, lo shirking, l'inosservanza funzionale delle norme per evitare l'abbassamento dei tempi. 61 Non dobbiamo mai tralasciare il lato della domanda: le organizzazioni, in cui si notano opacità, fazioni, doppi giochi, finte, accomodazione half-hearted, far finta di impegnarsi o in-efficacia disfunzionale. Organizzazioni formali, fredde, sospettose, grigie e collusive. Il mero adempimento, la routine, la, propensione a sfilarsi, il lavativo. L'obliquo calcolo delle convenienze e la sterile conservazione mirabilmente descritte in Celli (1993) 62 Andy Capp è stato cooptato, è diventato un prodotto. 63 Anders (1956) o Gaber in ˝Libertà obbligatoria˝, ma risalendo al romanticismo, alla critica al positivismo, alla Scuola di Francoforte, non manca una lunga tradizione, ambivalente, di critica allo sviluppo, che qui riattualizziamo. 64 Si veda Ferrera (2013) su come coniugare libertà (flourishing, choice e diritti) e uguaglianza (functionings e capabilities, comunità, inclusione attiva ), competizione e cooperazione, individuo e società, merito e bisogno, nelle varianti socialliberali (libertà e choice) , liberal-egualitaria (uguaglianza e choice), liberalcomunitaria (uguaglianza e comunità) e conservatorprogressista (libertà e comunità). Una composizione, a un livello più alto, che richiama quella già descritta per il benessere alla Spaltro.

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autoorganizzazione dei corpi sociali e indirizzamento degli attori e dei servizi sussidiarizzati verso l'interesse pubblico? Come evitare forme nuove di residui tutorial assistenzialisti, che permangono, ad esempio nei progetti comunitari? E chi è l'advocacy dei soggetti deboli? Il welfare mix, modello comunitario, basato su programmazione negoziata e bandi/gare è certamente sussidiarietà controllata, ma anche in parte consociativo, e a monte della programmazione cosa c'è? Se ci sono intermediari non è universalistico: i diritti di cittadinanza si differenziano sui territori. Ma è un buon modello perchè privilegia l'innovazione sulla cittadinanza, ed è pragmatico, cioè cerca di superare la routine dei servizi. Anche se è utilizzato male, come sostituto dei servizi, e quindi «routinizzato». I servizi sono finanziati con fondi comunitari (ecco perchè mancano i processi partecipativi), cioè la valutazione è ex ante, in itinere e ex post, ma il cittadino è giustamente assente: la neutralità è importante, siamo in un regime di gare, non di servizi. Al centro c'è la concorrenza, non l'utente. Apparentemente peggio, ma in realtà più universalistico e efficace. Forse non molto efficiente. Dal welfare «allievatore» di bisogni e di vincere paure primarie (morte, solitudine, ignoranza, fame, arbitrio) e sollecitatore di desideri di onniscienza, onnipotenza, immortalità e ubiquità, siamo passati a un modello di «workfare-learnfare» più allenatore, allevatore, di capabilities, che sollecita, indirizza e con-forma conoscenze e competenze ai desideri di rischio, crescita, benessere e qualità della vita.

65 Welfare non più

come protezione contraltare ai rischi dovuti alla libertà economica (pensiamo ai corsi di riconversione per i disoccupati), ma come manutenzione, straodinaria, della capacità di produzione: la sicurezza si inverte di significato e il welfare tende così a diventare economico, e quindi privato. Il welfare fordista ordinava, appiattiva e limitava, mentre la scarsificazione e la disuguaglianza oggi aiutano: occorre invece un life coaching

66 che mantenga in salute i «riservisti». E' la versione biopolitica.

Il welfare societario, di community care, di imprenditoralità sociale, ha come protagonista il Terzo Settore e le famiglie. Anche qui cittadinanza localizzata e differenziata, ma il servizio è partecipato, sia pure con formazioni sociali intermediarie e tavoli consultivi. Nella variante locale di welfare di community, in cui la società civile si affianca al pubblico, si attivano forme vere e proprie di «fai-da-te», di cittadinanza virtuosa. Tutti in fondo abbiamo, se non le skill tecniche, certo una sensibilità sociale. E' il nostro esempio, il processo partecipato. Il welfare generativo va un passo ancora più in là: c'è il dovere di contribuire, ricevi il basic income o il sussidio se accetti un lavoro socialmente utile o precario. Abbiamo già accennato, ad esempio nel passaggio dal Lavoro ai lavori, ad alcune direttrici di cambiamento interessanti in questo senso. Welfare residuale, se il privato invade gli spazi pubblici. E' il caso, rischioso, della Formazione e Lavoro. Il tema in Italia presenta altri nodi specifici:

mancanza di una normativa nazionale mercati del lavoro opachi e privatistici troppo stato dove non serve, poco dove servirebbe scarsa occupazione giovanile e società bloccata (giovani in famiglia) rigidità dei mercati del lavoro (una zona grigia del 5% soffre il mismatch con la domanda, poco

vivace) manca la solidarietà per il prosumer vicino, l'interesse a fatti pubblici come lavoro o learning, c'è

scarsa trasparenza, poco «mettere in piazza» (qui in senso buono, partecipativo) la fatica di trovare/cambiare lavoro non trova forme autorganizzate: la P.A. avrebbe un nuovo ruolo

chiave nell'aggregare operatori e utenti rilevantissime differenze territoriali rilevanti differenze di genere, ma qui si aprirebbe un capitolo a sé stante sia sulle material girls in a

material world, che sulle over 50, e anche su come le donne affrontino coraggiosamente eventi della vita «commodificata».

FORMAZIONE E LAVORO: POLITICHE E SERVIZI

Se le ipotesi descritte in precedenza sono vere, ad esse non può che corrispondere un analogo, ma direi soprattutto rapido, processo di ampliamento/riorganizzazione dei servizi. E' come se emergesse una nuova epidemia

67 e il servizio di prevenzione socio-sanitaria dovesse rispondere con informazione, cure e servizi

adeguati. Nuovi servizi dunque di aiuto, formazione, orientamento e assistenza ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi: il loro «restare ai margini» del sistema «vite al lavoro» si autoalimenta in modo pericoloso.

Occorre allora rivedere senza paura policy, organizzazione e regole delle politiche del lavoro e della formazione, favorendo una maggiore riflessione collettiva sull'azione (per esempio lavoro di gruppo e non

65 Vedi i pilastri delle politiche di coesione comunitarie; da Adattabilità, Imprenditorialità e Occupabilità (1997), si passa alla recente inclusione di Sostenibilità e Qualità della vita locale. Comunque mantenere i territori in buona salute per la crescita produttiva? 66 Coach era la carrozza con supporti speciali alle ruote per viaggiare su strade dissestate. 67 In realtà il disagio è davvero diffuso: basta osservare il consumo di farmaci ansiolitici o i nuovi disturbi che ci segnala la clinica.

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solo individuale), rimodulando le risorse attorno a servizi di elaborazione, simbolizzazione e «possibilit-azione» di vite occupate e ben impiegate, «impoterate», ben spese, in salute, rivitalizzate (se spente)

68.

Work in progress e «capacit-azione» soprattutto sul lato della domanda: competenze fondamentalmente tecnico-organizzative in questo caso. Suscitare motivazione e pratiche di miglioramento continuo soprattutto nelle imprese no profit e nei gruppi sociali

69, come contraltare alla «messa al lavoro» di emozioni, cognizioni

e relazioni individuali. Queste competenze, come detto, non sono solo professionali ma di capacità generale di fronteggiamento problemi e opportunità, attivando le risorse a disposizione dei soggetti, trasformando eventualmente le debolezze in forze. Saperi che si accumulano (e disperdono) socialmente nei territori e nelle pratiche di vita e sociolavorative, e dipendono, sempre più, da servizi avanzati locali di orientamento, formazione e consulenza. In altre parole ciò che prima era «spontaneo», ad esempio l'accumulo di capacità microimprenditoriali, di civicness o di capitale sociale, ora va sostenuto con policy e servizi di welfare di nuova generazione (per le nuove generazioni appunto) e di nuovo raggio (socio-lavorativo). Perchè questo capitale sociale si consuma rapidamente e va reintegrato.

E' un campo in cui il settore pubblico più di tanto non può entrare, in quanto si regolano mercati privati, in cui si deve essere liberi (fino a un certo punto) di scegliere

70. Avere servizi efficaci, o quanto meno adeguati,

-al limite privati- sembrerebbe il primo posto dell'agenda politica, e infatti in molti paesi questo avviene. Efficaci nell'attrarre competenze (e non farsele scappare), quindi servizi in fondo analoghi a quelli di qualsiasi organizzazione che deve attirare talenti e non farseli sfuggire. Anche la necessità, frequente, di ridurre il costo del lavoro (evidentemente il territorio ha la necessità opposta), ma anche di riconvertire, a tale scopo, le competenze. Valore pubblico che quindi riaffiora. L'analogia col Servizio del Personale di una azienda però cade se pensiamo che una organizzazione in genere (salvo alcune cooperative) non ha lo scopo di occupare risorse, scopo che invece è proprio quello dell'Ente Locale, che deve occupare, bene, tutti i propri abitanti, nessuno escluso. Non tanto perchè così avranno un reddito, ma perchè così saranno cittadini, persone umane. Il Centro per l'Impiego e il Long-Life Leerning è una speciale «funzione del Personale» del territorio, che ha come scopo occupare tutti, e attirare persone.

71 Proseguendo la

metafora, le domande da fare come Centro per l'Impiego a chi arriva da fuori sono: ˝Perché cerchi lavoro qui? Cosa ti attira ?˝. Il paesaggio (cioè il territorio fisico come identità sociale, il bene paesaggistico di cui assicurare fruizione pubblica di conservazione, riqualificazione e valorizzazione), la qualità della vita, quell'impresa, quel lavoro, le relazioni sociali, i servizi, le persone ? E a chi se ne andato ˝Perché ve ne siete andati?˝ Si possono anche utilizzare gli utenti del Centro per l'Impiego o dei corsi di formazione per approfondite interviste ai «colleghi» ed ex colleghi. Ottimo modo di procedere anche in un processo partecipativo che potrebbe organizzarsi per effettuare e analizzare queste interviste, e rappresentare così un ambiente generativo di soluzioni, un habitat alla Giddens di accomunamento (messa a comune) di preziose informazioni e esperienze

72.

La governance ideale di questi servizi è fare in modo che competenze, funzioni, servizi, funzionari e privato convenzionato, oltre alla società civile di riferimento, quantomeno si «parlino» (ma soprattutto si ascoltino) fra loro, si coordinino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio, condividano luoghi e saperi, pratiche e problemi. Pensiamo quindi all'utilizzo di progetti sperimentali nei progetti comunitari (come fu utilizzato il programma EQUAL per sperimentare le partnership geografiche e tematiche). Nei bandi e nelle gare comunitarie è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciati gli obiettivi di sviluppo locale inclusivo, sostenibilità sociale e ambientale, sviluppo, Long-Life Learning e Capacity Building dei territori. Tutto sostiene tutto in una spirale virtuosa. Alla fin fine l'organizzazione è strumento, organon, quello che conta è il fine, l'effettività, l'efficacia, l'outcome. Questo ci insegna l'Unione Europea, come messaggio laico di fondo che non possiamo non condividere

73.

C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti o partecipati da Comuni, Università,

68 «In città c’è vita»: l'obiettivo è una città vivibile, connettendosi ovviamente con le aree interne confinanti. Facendo leva sui gruppi secondari / terziari vis a vis, chiaramente di più nelle metropoli, tematici o amicali. 69 Il confine servizio al cittadino - servizio alle imprese non è molto netto: basti pensare alla selezione, alla formazione in ingresso al lavoro o alla certificazione di competenze. 70 Solo nel secondo dopoguerra c'è stato un intervento statale forte, evidentemente in un periodo particolare. E non possiamo dimenticare l'intermediazione del lavoro più o meno mafiosa (i «sindacati» americani) in cui un lavoro, peraltro giornaliero, veniva scambiato per doppia obbedienza, cioè il valore pubblico può addirittura essere negativo, se si ignora il problema. 71 D'altronde se pensiamo che intere nazioni hanno rischiato il default, e che l'Italia non è propriamente in sicurezza da questo punto di vista, il parallelo stato-impresa non è poi così strano. 72 L'effettuazione e l'analisi delle interviste crea comprensione, ma modifica anche gli intervistati, e quindi l'esercizio è perfetto. 73 Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura si intrecciano in una logica per progetti e obiettivi, tanto che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, semplicemente Sviluppo Territoriale Locale, il cui miglioramento è il macroobiettivo principale dell'Amministrazione locale. O ancor meglio Benessere, Welfare o Salute Locale perchè sviluppo non è automaticamente benessere, mentre certamente benessere, salute e welfare comprendono uno sviluppo del potenziale, un sentimento di potercela fare. I servizi al lavoro sono quindi una leva di sviluppo locale. Occorre integrare in particolare i servizi culturali, di sviluppo economico e i progetti comunitari. Si pensi solo - per quanto riguarda la cultura - alla creazione di opportunità lavorative di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e impiego. Gli eventi e le iniziative culturali, in senso lato, hanno, se ben gestiti, una ricaduta molto più generale. In un certo senso è un pezzo di Long-LifeLearning.

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Camere di Commercio: perchè sono così scarsi o poco efficaci? Partecipazione non solo finanziaria, ma di risorse, di sedi e di competenze chiave. Come abbiamo detto, i lavori sviluppano identità, stima e riconoscimento sociale, e quindi gratitudine, legittimazione, reputazione, dignità di ruolo pubblico. Occorre riconoscere, nei soggetti vulnerabili, le loro competenze, emanciparle e socializzarle, mentre il non riconoscimento (le politiche passive, il sussidio) è umiliante, non rispettoso, negazione di ruolo. Le persone chiedono in fondo cose semplici: rispetto,aiuto, dignità e ascolto. Ecco quindi l'importanza della validazione delle competenze, identitarie e sociali, sincronizzando quindi mondi socio-economici, mondi vitali e mondi istituzionali. In Italia, i servizi spesso sono paternalistico-assistenziali, a bando o con sportelli burocratici, incapaci di attivare, motivare o attrarre risorse, come dovrebbe fare una «funzione pubblica risorse umane» del territorio. E poi, perché uno sportello

74? Perchè un sussidio o un bando, e per chi e cosa? Policy e servizi che si

trascinano con copia e incolla: occorre deviare maggiormente dall'abitudine (come fanno i prosumer!). La P.A. è fordista (manca la competizione): deve assumere la logica dell'innovazione, altrimenti la soluzione più semplice (e la peggiore) diventa privatizzare o avere una logica aziendale, perdendo di vista l'interesse pubblico. Nella achieving society la «spendi-abilità» implica nuovi diritti di trasparenza e partecipazione, di policy in qualche modo cogestite e contrattate. I livelli di functioning sociale e di empowerment individuale, gruppale/organizzativo e socio-territoriale si intrecciano e gli interventi richiedono un analogo intreccio di competenze

75. Occorre ricostruire competenze pluriprofessionali attorno a servizi di aiuto integrati nei

flussi, spazitempi e modi di vita degli utenti, centrati su fiducia, riconoscimento e attenzione reciproca. Occorre integrare gli attori locali nelle aree informativa, formativa, culturale e socioassistenziale, e con le politiche di sviluppo economico locale. «Spacchettare» e rimpacchettare per processi (di vita). Coinvolgere cittadini, corpi sociali e società civile almeno in un dibattito pubblico, meglio se partecipato. Scuole, Università (attore chiave perchè ha il know how, le risorse ed è sul territorio) e imprese, ma anche formatori, orientatori, assistenti sociali, psicologi, parti sociali, esperti di sviluppo locale, Comuni, Asl, Terzo Settore, Camere di Commercio e Agenzie per l'innovazione, istituzioni e associazioni, affinchè si confrontino, si riconoscano, condividendo linguaggi, luoghi, pratiche e problemi. Il lavori e le competenze sono i nuovi beni pubblici, e allora ben si potrebbero riconvertire risorse pubbliche, umane e non umane, poco adeguate, come molte funzioni burocratico-amministrative per creare snelle Agenzie per le Competenze, per la Cultura, per il Benessere. Sfuma il dilemma pubblico-privato e quello profit-noprofit e la società sviluppa soluzioni nuove. Riducendo il perimetro pubblico nei servizi economici, che il privato gestisce meglio (se controllato), si apre lo spazio nei nuovi servizi, dove il privato, anche sociale, non interviene

76.

FORMAZIONE E LAVORO: PRATICHE DI CURA, FORMAZIONE E AIUTO La cura dei «giardinieri» ingloba i saperi degli utenti, delle famiglie, del privato sociale. Più che conferire direttamente capacitazioni, suggerisce gli strumenti per convertire asset, anche nascosti, in capabilities. Dalla formazione distributiva, anche in questo caso, al prosumerismo: si coinvolge l'utenza, individuale o collettiva, nell'automiglioramento, orientandone motivazione e autosviluppo di competenze di apprendere ad apprendere e di autoaiuto

77. Ma anche chi forma è formato, anche chi orienta è orientato, e applica a sé

stesso (e rivende!) le tecniche di potenziamento. Il discente o l'utente sono stimolati a esplorare e partecipare coi professionisti della formazione. I quali, a un livello diverso, fanno in realtà lo stesso. Ma il retropensiero di fondo di entrambi i poli della relazione d'orientamento (cioè di aiuto), o di insegnamento è: plasmare abitudini, assetti relazionali, scelte di vita è sempre vantaggioso o può essere, nella turboeconomia, paradossalmente un «danno esistenziale»? Per usare un linguaggio sanitario, ci sono effetti iatrogeni, cioè non voluti? Nel mondo della formazione (Ferrari, 2006), della consulenza e dell'assistenza e orientamento, si nota un disagio simile fra gli operatori

78. In entrambi i casi mancano spesso il mutuo

riconoscimento dell'altro «irriducibile», accoglienza e compassione autentica, gesti oblativi non contaminati, condivisione, vera attenzione e sorpresa dell'incontro, accedere al «cuore» del problema, nel senso emotivo, perchè i professionisti dei servizi sono a loro volta vulnerabili e a rischio burnout. Considerazioni non troppo

74 Il modello dell'aula e dello sportello sono rassicuranti, anche e soprattutto per l'operatore: si sa cosa succederà. 75 Si veda sulla salute Cerrina Feroni (2015). 76 Il servizio socio-sanitario era inizialmente affidato alla Chiesa, e ora è di welfare mix. Il servizio al lavoro è in sostanza rimasto privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco, ma sconta una visione pubblica rimasta al «collocamento» obbligatorio. Un mix è la soluzione migliore: lasciato al mercato e all'improvvisazione/creatività/contatti personali funziona male, lascia per strada troppe persone. E' altrettanto impensabile un intervento solo pubblico in un settore a così elevata variabilità e invadenza delle vite. 77 Nelle Key competence UE

(Raccomandazione Consiglio Europeo 18/12/06) manca la competenza organizzativa (data per scontata),

e sappiamo come questa sia correlata al benessere. Ci sono invece competenze chiave che in Italia non sono del tutto esaurite (capacità sociali e civiche) o sono addirittura ben presenti (spirito di iniziativa e imprenditorialità). Altre (imparare a imparare e consapevolezza/espressione culturale) rimandano a sistemi di istruzione e formazione da rivedere. 78 Long-Life Learning: si sono addirittura fatti passi indietro, cioè la formazione si è deflessibilizzata, depersonalizzata, rimodernizzata, cioè si torna ai «corsifici». Orientamento, formazione e lavoro sono sistemi intrecciati: la paralisi di un pezzo del sistema (orientamento e servizi per il lavoro) costringe i sistemi che si stavano rinnovando (la formazione) a ripiegare su formule «difensive».

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dissimili si potrebbero fare per il mondo della consulenza. Docenti, formatori e orientatori segnalano servizi troppo standardizzati: è evidente che vadano differenziati, perlomeno fra chi deve essere «ri-ordinato» e reindirizzato (soprattutto giovani) e chi, al contrario, deve essere riattivato (soprattutto anziani). La forbice è chiara, son due servizi diamtralmente opposti. Mancano database pubblici di imprese, e anche associazioni, che indichino recapito, settore e tipo di figure professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti liberamente dalle Camere di Commercio o dai Comuni? E perchè, viceversa, non fornire database di soggetti impiegabili alle imprese, prevedendo una tariffa di preselezione o di vera e propria selezione

79 ?

In sostanza, alla fin fine, c'è scarsa attenzione alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla normativa per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90. Semplici miglioramenti di qualità come creare leve civiche di cittadini, esperti sui temi di lavoro o sviluppo, con bandi specifici. Ma anche un precario o un disoccupato, anche non esperto, potrebbe operare nei servizi e, in questo caso con un piccolo riconoscimento economico, arricchirebbe le sue competenze e fornire un servizio alla collettività. O ancora: il governo dei mercati del lavoro implica adeguare domanda e offerta, aree di crisi e fasce di debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un evidente vantaggio? Mancano i servizi di certificazione delle competenze

80, e, amonte, un repertorio nazionale. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro

nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali? Riteniamo che quest'ultimo elemento sia davvero di incomprensibile criticità. Ragioniamo per analogia: chi sta male e ha bisogno di aiuto psicologico o socio-sanitario sa (più o meno) dove andare, cosa lo aspetta, quanto paga e cosa potrà ottenere in cambio. Viceversa chi si deve ricollocare o una azienda in crisi (malessere spesso ancora più profondo e bisogno di aiuto socio-psicologico di fatto simile al caso precedente) se la deve cavare in sostanza da sé. Chi è isolato, con poche risorse informative, è poco mobile per motivi familiari e ha una età avanzata, è perso. Appare singolare che in Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante gli inequivocabili dettati costituzionali e delle convenzioni internazionali, pochi riflettano in modo articolato e innovativo sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego. L'argomento è rimosso: c'è scarsa attenzione e cura anche da parte di attori istituzionali e sociali chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, quali ad esempio Scuole, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego: quale bilancio a dieci anni di distanza? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite o la delega agli Enti Bilaterali di Categoria funziona? Quali raccordi fra i sistemi, locali e nazionali, di educazione, formazione e lavoro? I servizi al lavoro, dimao meglio i sussidi, erogati durante la gestione della crisi sono stati soddisfacenti? A fronte di un raddoppio della disoccupazione, non si è verificata una rivolta sociale, ma un risentimento populistico, in particolare proprio contro le Province, ente chiave in molte regioni per questo servizio: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e la scarsa attenzione al tema del sostegno all'impiego? Welfare debole, frastagliato, «datato», a fronte di una domanda ineludibile e assolutamente nuova di servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati. L'inadeguatezza evidente di copertura, e di risorse, non è minimamente comparabile con paesi similari quali Francia e Germania, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di workfare. I Centri per l'Impiego appaiono drammaticamente «fermi», e le Agenzie per il lavoro sono in crisi. Ci si preoccupa dello status di disoccupato, legato a sussidi, e del rifiuto di accettare offerte di lavoro distanti, quando il punto oggi è fare incontrare domanda e offerta, il che nell'era di Uber non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. Occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni

81. I laureati non vengono

assorbiti, disincentivando la formazione, con aumento massiccio dell'emigrazione, anche all'estero, segno di declino economico e sociale. C'è un divario crescente fra aree metropolitane o comunque urbane e le aree interne periferiche. I numeri dell’utenza sono significativi (al netto delle nuove vulnerabilità invisibili) e l'intervento dovrebbe essere immediato, si tratta di un «pronto soccorso». Al momento, la stragrande maggoranza fà da sè, si rivolge al bar, al clan familiare/amicale, alla parrocchia, punta sulla ricerca casuale personale, l'invio massivo di CV, si affida al passaparola e ai social network. Strumenti evidentemente

79 Mancano indicazioni nazionali su come, eventualmente, rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese. Tecnicamente il Decreto Biagi lo prevede: i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione davvero interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, ma rimasta totalmente inattuata. 80 Prendiano i lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà spesso si sovrappongono). A questi soggetti, serve un servizio di riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle competenze, di certificazione del curriculum, e una lista di imprese a cui ci si può rivolgere. Di questo il precario/autonomo ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è fra i meno facilmente individuabili, se non proponendo azioni che servano, servizi appunto. 81Detto cosi', pare provocatorio: ovviamente teniamo conto dell'esigenza dei territori e dei soggetti di non essere (ulteriormente) sradicati e impoveriti. E questo forse è alla base della rimozione del tema sopra accennata e dell'atteggiamento in generale difensivo. D'altronde alla fine le persone,e le famiglie, coraggiosamente si spostano, si buttano in nuove avventure, quasi per disperazione, e allora perchè non fornire servizi di aiuto?

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efficaci, ma inadeguati, inefficienti e iniqui in una società che pone il Life-Long Learning come diritto universale: è come se il bisogno di cure mediche fosse soddisfatto - come peraltro avviene nelle comunità di immigrati cinesi - da un amico o parente medico, o cercando informazioni sul web. Il tema del lavoro intacca la carne e la vita di comunità, imprese e famiglie, riguarda il singolo impiego, ma anche la «tenuta» sociale, la coesione dei gruppi sociali e dei territori, è welfare locale. Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare domanda e offerta di lavoro con servizi pubblici avanzati è una «spia rossa del cruscotto», che ci segnala un grave disfunzionamento politico. L'ORIENTAMENTO LONGLIFE

Tema, e servizio, parecchio sottovalutato. L'orientamento viene confuso con uno sbrigativo (e unico) colloquio individuale di sportello (che invece dovrebbe dare informazioni), mentre è un processo chiave, rivolto a tutti, di «materializzazione» delle azioni. E’ pensabilità, desideri nuovi, mobilitazione delle risorse, indirizzamento e chiusura del learning in chiave di azionabilità. L'orientamento favorisce ˝l'autonoma definizione di progetti e obiettivi˝, progetti e obiettivi che sostengono capacità di functioning e benessere. Questo in linea con le teorie sull'empowerment, la «capacit-azione» e le capabilities, cioè capacità di attivare (i vulnerabili), combinare (assemblare o condividere) e agire (azioni comuni) risorse di community o personali. Da questo punto di vista è centrale la garanzia di accesso a risorse comuni, fra le quali certamente servizi di orientamento permanente, e, tramite canali indiretti, risorse generatrici di capacità riflessive di autoorientamento. Attivazione (e mobilitazione) difficile per chi, per motivi individuali, geografici o socio-culturali, è svantaggiato perchè ha minore accesso ai canali e alle risorse pubbliche, e ha meno risorse personali. L'orientamento è servizio trasversale, in grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, e in generale le vite, ed è servizio preventivo, da integrare nei sistemi locali di welfare e in quello di sostegno allo sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, è il servizio di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore programmazione dei servizi, in genere successivi, di aiuto e cura, ma anche quelli, sottostanti, di natura sociosanitaria e socioeconomica. Orientamento basato anche su interventi, ben condotti metodologicamente, a piccoli gruppi. Un intervento «psicochirurgico» di una tale delicatezza che non può che essere gestito da operatori esperti, anche di sviluppo locale. Se collettivo (riconversioni produttive) è in sostanza una sorta di ricerca-azione. Ne consegue che occorrano team interprofessionali che comprendano formatori, assistenti sociali, psicologi, esperti di sviluppo locale e orientatori, e non meri servizi burocratico-amministrativi o sportelli informativo-consulenziali. E l'intervento di sostegno economico segue, e non precede l'intervento sociale. Non bastano quindi gli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione d'impresa o all'autoimpiego, nè molti dei progetti classici, che spesso rimangono alla semplice (ma un tempo giustificata) logica dell'autoimprenditorialità degli anni '90. Ma non è nemmeno pensabile ogni volta - per evidenti ragioni economiche - azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo sono nella sostanza simili, come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio personalizzato, e a maggior ragione un progetto ad hoc di riconversione, di rimotivazione, è un intervento con volumi colossali, che richiede un supporto di attrezzature e il coinvolgimento (e il coordinamento) di enti locali, parti sociali, scuole, volontari, associazioni, società civile, enti correlati. E una straordinaria sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per «stare in piedi», sia economicamente che tecnicamente. E anche solidarietà. Come avviene (con sempre maggior fatica, però) nel settore socio-sanitario. E come avviene in altri paesi. Mancano una consapevolezza e una strumentazione professionale diffusa e adeguata alla sfida dei nuovi Servizi all'Impiego, e manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi locali. I servizi al lavoro sono stati aggiornati negli anni 90 (non molto tempo fa per i tempi della politica), ma ormai non sono più calibrati sul mercato del lavoro e sulla società attuale e stentano nell'interpretare il nuovo tipo di lavoro e di imprese, i nuovi bacini di impiego, le nuove competenze, la nuova offerta. Domande (ma soprattutto desideri, individuali e collettivi, e ambiguità di fondo), da riconoscere e condividere, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro fluidità e fluttuabilità strutturale, rende impossibile un tradizionale percorso di analisi e progettazione. Oltre alla differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di emigrazione/immigrazione, aree turistiche, metropolitane, interne ecc, la differenziazione e individualizzazione degli interventi è evidentemente strutturale. Per chi programma è un puzzle inestricabile, per l'operatore la necessità ormai di riflettere collettivamente. Al legislatore e ai policy makers non pare chiaro quello che a noi pare il punto chiave: formazione, orientamento e consulenza, nei servizi, sono attività non solo integrate e necessariamente molto professionali e complesse (che richiedono quindi robuste competenze psico-sociali), ma anche pratiche che non si esauriscono (come prima) in attività tradizionali, ma che proseguono nelle vite degli utenti e degli operatori, in forma di automiglioramento. Sono servizi davvero life-wide, molto innovativi e molto costosi, come del resto costosi e innovativi sono macchinari e competenze in sanità, o negli interventi sociali di empowerment di comunità. Ma per realizzare quel minimo di economia di scala che la compatibilità finanziaria oggi richiede occorre programmare servizi ripetibili e integrati. E' lo stesso tema che si pone in sanità o nel sociale, solo che le cifre dei budget a disposizione hanno ordini di grandezza diversi. Occorre

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definire perciò con molta chiarezza le competenze degli operatori nei servizi per l'impiego, e il ruolo di supporto degli attori sociali locali e suscitare motivazione e autoapprendimento conferendo un ruolo strategico a questi servizi. Per analogia: oggi serve una laurea per fare l'insegnante, il medico, l'infermiere e l'assistente sociale: ruoli riconosciuti socialmente, e la società si mobilita in sussidiarietà. Ma chiunque al momento può fare il progettista, il formatore, il consulente, il tutor o l'orientatore nei servizi per l'impiego, salvo specifiche ad hoc, e il professionista stesso ha difficoltà a spiegare il suo mestiere al cittadino. Questo ci pare chiaramente inadeguato alle sfide attuali, non è motivante, riduce il servizio a uno dei tanti servizi pubblici, non ne coglie la strategicità e la criticità. Occorrono anche nuovi luoghi per i servizi, sempre aperti, conviviali, con un bar e un calendario di eventi quotidiani formativi, culturali e ricreativi, gratuiti. E orientamento ibridato in questi eventi, nei flussi di vita, centrato su apertura, libertà. Urban center, biblioteche, cooperative, banche dei lavori e dei saperi. Gestiti da associazioni, ma aperti alle collaborazioni per iniziative e seminari/attività formative e culturali. Dove si passa per incontrare gli amici: postmoderne Case del Popolo, attente al tema della formazione e lavoro. Al confine fra noprofit, pubblico, welfare mix e progetti finanziati, con formule di socializzazione, pooling e sharing. Dove ridefinire parole come sicurezza sociale, disugualianze, la città, le amicizie, «i colleghi di vita», l'equità, la performance. Luoghi belli, accoglienti di esclusi e dei risentiti., trasparenti, veloci, flessibili. Con occasioni sociali d'incontro (convegni, cene, feste, musica). Con strumenti di monitoraggio, verifica e controllo sulle azioni e sui servizi attuati e raccolta di idee da parte dei cittadini e tutoraggio su base volontaria. Centri diversi anche nel nome, attenti alle idee, ai progetti, al lavoro autonomo, al web. Utilizzare case private, sedi RAI, imprese, associazioni, teatri, musei, librerie, università, biblioteche. Il cinema ad esempio è orientamento. Il Comune o i pubblici esercizi possono fornire spazi, locali. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e non di un ufficio: siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è raramente spettacolare!. Pensiamo a Circoli di studio o del lavoro, Learners Week, community learning, scuole aperte la sera per iniziative autogestite in cui generare maggiore senso di controllo sul tempo di ricerca lavoro e socializzarlo. Rafforzare in positivo, e condividere, la consapevolezza del cambiamento necessario (con attenzione a chi mostra resistenza a questo processo). Maggiore sinergia con i privati in area cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione, con utilizzo di tecnologie come le comunità di pratiche, tecniche video, baratto di servizi. O meglio, tutto questo c'è, ma non lo chiamiamo orientamento long-life.

L'utenza è amplissima, ma è isolata,

poco raggiungibile con strumenti tradizionali, poco motivata ad andare in un Centro per l'Impiego tradizionale. Ma davvero infinite sarebbero le azioni orientative che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare (non necessariamente gestire) nei sistemi sociali, e vitali, in grado di sostenere le transizioni lavorative e sviluppare capacità progettuali di lavoro e vita. Nuove Società di Mutuo Soccorso dove riprodurre prosumer «consumati», circuiti riproduttivi di co-abitazione, dove co-vivere e co-produrre, luoghi cioè di riproduzione sociale. Dove ricreare solidarietà al disoccupato, al relearner, dove riscoprire l'homo civicus. Autostrade possibili di iniziative per comprendere le forze in campo, aumentare la consavolezza socio-territoriale delle proprie azioni e del proprio lavoro, dare un senso sociale e interprenditoriale alla formazione, e anche al contempo ricostituire giacimenti prosociali inariditi o sfruttati (fiducia nell'altro generalizzato, amicalità e lealtà). Solidarietà è interesse vero, fraternità col diverso, interazione e non omologazione, coabitazione e non empatia. Dove rielaborare, collettivamente o interindividualmente, le sconfitte, senza confondere pubblico e privato, o meglio confondendoli ma poi ricostruendoli. Il problema è piuttosto raggiungere fasce di popolazione che non hanno servizi, non hanno clan, non hanno web, sono in sostanza sole. C'è il problema rilevante dell'utenza non più giovane ma che ovviamente ha un diritto uguale agli altri. I PROCESSI PARTECIPATIVI La premessa è stata lunga, ma ci siamo avvicinati al punto, e comunque rimaniamo nello stesso contesto: siamo sempre nell'interfaccia interorganizzativa e di community e abbiamo gli stessi attori sociali, utenti e operatori, perlopiù locali, ma non solo. Cambia lo strumento (non un servizio routinario nè un progetto o un bando tradizionale, ma strumento «eccezionale»), forma evoluta di negoziazione interorganizzativa e soprattutto chiamata in sussidiarietà del singolo cittadino. Evoluto (anche se c'è da sempre), perché è partecipato dai cittadini. Finalizzato alla messa a fuoco delle politiche relative ai servizi o ai lavori pubblici: l'obiettivo è quello prima delineato, cambia solo la strumentazione. All'estero, soprattutto in Nord Europa e mondo anglosassone, la partecipazione è la norma, tanto che ormai non ha più un nome, è ovvia, la tradizione partecipativa è secolare, paradigma blasonato. Forse in calo di interesse per troppo uso, consumata con l’uso. Da noi, dopo il boom degli anni scorsi, siamo in una una fase di consolidamento delle innumerevoli esperienze di processi partecipativi sui temi più diversi, animati da funzionari o esperti, in una logica di «amministrazione catalitica», che hanno coinvolto con tempi ristretti ma condensati rappresentanti dell’utenza, esperti, ricercatori e organizzazioni nell'elaborazione di policy e valutazione di servizi. I processi partecipativi coinvolgono semplici cittadini (che arrivano senza essere invitati esplicitamente) e li rispettano, ascoltano, accolgono, li fanno crescere. Ricostruendo al contempo una legittimità dell'istituzione, che così supplisce alla crisi dei partiti. Cittadino «co-istruttore», che affianca

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l'amministrazione nel co-costruire soluzioni, co-amministratore volontario, diremmo prosumer politico. Una manutenzione civica immateriale. Certo, il cittadino ha interessi privati, ma talmente deboli (se solo personali), da essere in fondo neutrale e rappresentare l'interesse medio generale. Questi miniaudit civici creano una elevata coesione oltre i gruppi primari e garantiscono, più di quanto si possa pensare, anche i soggetti deboli e le opposizioni. Spazi di parola e di pensiero, molto attenti alla parola dell'altro: quindi sviluppano la critica, delle altrui e proprie idee. Il clima è di vero ascolto, con tecniche ad hoc. Sono palestre civiche in cui si passa dalla sudditanza alla cittadinanza. Si impara a argomentare e convincere, finalmente non per vendere, ma per il bene comune, un livello ben più alto di dibattito, di disputa democratica, e con un sano dissenso e votazioni e delibere proprio come in un parlamento. Il cittadino si fà P.A. e impara a bilanciare interessi, a ponderare. Nei processi partecipativi le organizzazioni coinvolte assumono necessariamente una logica pubblica, non partecipano come privato (tavoli) ma come pubblico (chiunque può andare, parlare o solo ascoltare). Tranne i casi di sorteggio ovviamente. Nei progetti e nei servizi invece - è bene sottolinearlo - non c'è il cittadino, né l'opinione pubblica: un processo partecipativo è ben più aperto, pre-progettuale, pre-programmatorio. La lotta per potere qui ha poco senso

82: non c'è un bando da vincere, a meno di manovre sempre possibili. Il

significato è generalmente più giocoso, gioioso. Il piacere è produrre beni e risultati pubblici, la convivenza col diverso, un senso anche di comune fragilità nel trattare temi complessi, l'esperienza di essere in mano d'altri, nell'elaborare policy e valutazioni complesse. E' pubblicizzazione, certamente non ripartendo da capo ogni volta, ma utilizzando risultati già acquisiti. Cioè la partecipazione si inserisce come momento molto «alto» nel processo normale di elaborazione e valutazione, è un «megafocus group», ma ben più significativo come numeri, metodologia, importanza degli argomenti trattati, e in più occasione offerta a tutti. Processo simile a microricerche partecipate lewiniane: capire una situazione in gruppo, provare a cambiarla, e l'azione crea esperienza per l'azione successiva, senza distinguere fra esperti e no. Non c'è alto e basso nel processo partecipato, dentro e fuori, è trasparente, è una unconference. E' solo limitata nel tempo, in genere un giorno, proprio perchè aperta a tutti, ma si possono prevedere tempi più lunghi (certo, rispettosi del cittadino che ha altri impegni, e questa è solo una delle sue molte multiattività!). La comunità (qui è territoriale), o meglio alcuni cittadini e alcune organizzazioni, riflettono su un problema e su sé stessi, perché il tema li riguarda. Energie fresche e protagonisti inattesi: come in una ricerca si scoprono cose nuove. Anzichè un deludente compromesso si ha spesso una sana polarizzazione. Ponderare non è sempre mediare: è esaminare le opinioni, poi decidere non necessariamente con un compromesso, mantenendo vive le insurgencies. Un processo partecipativo è organo sociale (Donolo, 2007), e quindi segue una scelta politica chiara: i cittadini non sono solo consumatori o utenti, ma concorrono a definire l'interesse pubblico, anche chi è opposizione e assente nei cosnigli o parlamenti. Riconoscere il cittadino esperto, o rispettarlo se inesperto o non allineato, è democrazia inclusiva. Per un Assessorato alla partecipazione civica è strumento di stimolo di attività extramercato, quote di tempo per la comunità.

L'uso di tecniche destrutturate (es Open Space) e di dinamiche ben organizzate di gruppo aiutano a riconoscersi nel processo che si vive, e a vivere (appunto) le carenze e i conflitti con estrema serenità. Nel limite incontriamo davvero ciò che siamo, e qui il limite è la comunità, in senso pieno, delle cui mancanze si diventa per un momento confidenti. Esperienze dunque molto benestanti, con elevata sicurezza, controllo, sovranità e libertà. Il clima è avvincente, la sensazione è di avventura (ma con un garante), il disaccordo è civile, si è fra uguali (davvero non capita spesso), si valorizza e non punisce la creatività. Serve soprattutto alle organizzazioni burocratiche, alla P.A. stessa. Spazi analoghi ai T-group: là si impara a stare in gruppo, qui si impara a stare in una comunità e a abitare in un territorio, a essere cittadini, competenza non così ovvia, perchè si cambia spesso comunità o non la si tramanda. Come non era ovvio il gruppo negli anni 50, il gruppo secondario o terziario, che prima non era rilevante.

Il processo partecipativo serve a «schizzare» soluzioni, a definire, controllare (se attuate) e valutare le policy passate, e quindi a tradurle in servizi, governare mercati, redistribuire risorse alla fine produrre beni comuni pregiati. I temi sono per lo più urbanistici, ma anche sociali, sono molto generali o molto focalizzati, e riguardano temi concreti di vita, scelte da compiere per il territorio, politiche chiave. Hanno un taglio pragmatico e diverso dagli strumenti tradizionali (tavoli di concertazione, assemblee o ricerche). Assomigliano più a un Consiglio Comunale aperto, in cui chiunque possa intervenire. Qui sosteniamo la superiorità dei processi partecipativi nel campo della formazione e lavoro, perchè molto strutturati e metodologicamente specializzati, rispetto alla formazione, alla concertazione, alle partnership. Il processo partecipato recupera, in fondo, il costo psicosociale della precarietà di cui abbiamo parlato (cioè la ricerca di sicurezza) ed è un diffusore di fiducia collettiva, una forma di sicurezza sociale, vera, solo certamente si tratta di esperienze limitate nel tempo. Un «abitare» (Marocci 1996) mentale, declinando un noi non di parte, un noi che vada oltre il collettivo, il gruppale o l'individuale con interessi «particulari». E ovviamente tutto questo è particolarmente rilevante se lo applichiamo, esplicitamente, ai temi del lavoro, anche settoriali.

82 In questo trae forza dalla sua debolezza, come il tgroup, potentissimo strumento, ma se ci si pensa a potere zero, gruppo fittizio e

temporaneo, che dura due-tre giorni.

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I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA FORMAZIONE E LAVORO Venendo ad rem, un processo partecipativo sul tema delle politiche del lavoro fa rientrare formazione e lavoro nella sfera pubblica e rende pubblico il tema. E’ una chiara scelta politica, che pone esplicitamente il problema attrazione/perdita di risorse umane. E' uno strumento associativo di governance sociale, nel campo del Life Long Learning, il diritto più strategico e meno affermato nello spazio europeo di cittadinanza. Il cittadino ha in questo caso interessi privati che diventano pubblici, mentre gli interessi collettivi domo poco pubblicizzati: il processo partecipato contribuire a ricostruire una solidarietà condivisa e un quadro comune, può rattoppare gli anelli deboli delle reti sociali su questo snodo, che è teorico, ma anche molto pratico. Il tema è costruire (o non distruggere) valore aggiunto pubblico

83 nei servizi, partendo logicamente

dall’inizio, dai processi partecipativi associati alle politicher di questi servizi, come viene fatto in sanità, nei trasporti, nell'urbanistica, settori certamente ugualmente strategici, ma trasversali all'occupazione e al Longlife learning. Traffico, politiche abitative, qualità della vita, servizi scolastici, politiche giovanili, utilizzo di un immobile pubblico, qualità del lavoro, welfare aziendale, politiche familiari impattano su salute, Longlife Learning e e occupazione. Ma qui ci riferiamo a un processo partecipato specifico sul tema formazione e lavoro, focalizzato

84

“La partecipazione civica comporta una riorganizzazione dei vari ruoli politici e tecnici, in termini di cultura, professionalità e, quindi, di capacità di impiego degli strumenti di ccntrollo in modo innovativo e interattivo.Ruoli che non sono più orientati esclusivamente all'interno della struttura oprganizzativa, ma indirizzati verso traiettorie più ampie..”

85 Daniela Pillitu distingue qui due punti chiave: la creazione del valore e la partecipazione alla creazione di questo valore. Un processo partecipativo può assumere la forma di valutazione partecipata (delle policy e dei servizi, meglio insieme agli utenti), e costituire l'innesco di una successiva ripianificazione: la catena del valore del ciclo pianificazione e controllo-azione. Ma quale valore genera un processo partecipato in Formazione e Lavoro?

Informazioni

Competenze

Soluzioni inedite (es volontariato civico )

Uno stile di governance delle reti più raffinato, che può essere sia più decentrato che più accentrato

Nuovi servizi

Condivisione di culture

Sottoreti tematiche fra organizzazioni, ad esempio su segmentazioni dell'utenza, su luoghi e tempi per intercettare i vulnerabili, sui NEET (uno su tre fra i 20 e i 24 anni), sugli over45, sui disabili

Il valore pubblico, il bene comune, è anche la coprogettazione, l'inclusione nei processi decisionali, perchè è una miglioramento pubblico e trasparente. Università, scuole, imprese, ASL, Terzo Settore, Comuni, Camere di Commercio, operatori, formatori, consulenti: ognuno vede un pezzo del problema e contribuisce. Il tema è invece sliced, a fette: va ricostruito, in questo caso la salami taktik

86 o la visione

«parrocchiale» funzionano male. Se ad esempio del processo si dà ampia pubblicità (sia prima che dopo), si ha una rilevante ricaduta sul territorio: si mostra «fisicamente» che si è comunità. Inoltre oggi le organizzazioni crescono non solo per competizione, ma soprattutto per imitazione, differenziazione, gemmazione o integrazione. Cooperare spesso è una buona strategia, come freno alla disintegrazione e garanzia di «non retrocessione», per non rischiare di diventare «inidonei». Condividere informazioni e opportunità «in-attese» e «in-audite» funziona.

83 Sul public valute il frame di riferimento è il public value management (O'Flynn, 2007) di derivazione australiana, fondato su fiducia,

chiarezza, equità, e soprattutto dove si sottolinea la gestione efficiente (e democratica) nel creare outcome. 84 I servizi alla formazione e lavoro sono una finestra sulla bontà delle politiche territoriali di sviluppo, un indicatore di qualità delle politiche (che a sua volta influenza il contesto ovviamente), un buon punto di osservazione per capire se il sistema funziona, un indicatore di contesto, al netto della sua qualità diversa da territorio a territorio. Da questo punto di vista politiche nazionali di monitoraggio dei servizi sono un fattore chiave, e i processi partecipativi locali servono per mettere a punto un sistema di indicatori nazionali. 85 Pillitu, 2009, pg 30 86 Espressione nata negli anni 40 in campo politico e oggi adottata in pieno dal marketing: dividere l'avversario

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Soprattutto per le organizzazioni periferiche. Ad esempio un GAL, Gruppo di Azione Locale rurale, opera (o dovrebbe operare così). Opportunità unica inoltre per il privato sociale. O pensiamo ad una evoluzione dei Piani di zona sociosanitari, in cui si vada oltre la cooperazione dei soggetti locali e si entri sulle politiche, discutendole davvero, cioè partecipando alla loro elaborazione. Il valore pubblico del processo partecipato (outcome, learning, innovazione, aumento di capitale relazionale) va creato, identificato e monitorato, non solo in termini di risultati tangibili (in questo caso il tasso di occupazione o formazione), ma anche di ispessimento della rete sociale, specifica per ogni tema. Il valore in questo caso è poi anche strategico, perchè riutilizzabile lateralmente (le reti vengono attivate su altri temi collaterali). Detto in altri termini, formazione e lavoro sono temi trasversali e centrali. Un processo partecipato migliora:

L'elaborazione delle policy, o la loro valutazione.

La programmazione, cioè l'elaborazione e valutazione di programmi (il grande escluso dei processi di pianificazione e sviluppo), ovvero insiemi di progetti con macrobiettivi comuni, ad es un programma di diminuzione delle disuguaglianze di salute. Un programma si costruisce in genere bottom up, condivendo regole comuni a più soggetti o funzioni, pubblici e privati, e nella messa in comune diviene critica una buona elaborazione in piccoli gruppi. Una facile applicazione dei processi partecipati alla fase, delicata, di programmazione.

La generazione e gestione di valore pubblico. Che viene creato, ma spesso in forme scarsificate, private, opache. Il processo partecipato serve alle organizzazioni (e ai cittadini) per collocare il loro contributo, alla politica per essere più strategica e alla p.a. per essere più politica.

Uno spillover di inclusività e democrazia avanzata verso gruppi e organizzazioni private, mentre nei servizi pubblici l'inclusività può assumere forme partecipative degli utenti. I disoccupati non hanno sindacato: perchè non pensare a un gruppo di lavoro, un panel di utenti che elabori proposte, esteso magari ai precari: anche l'utente dei servizi diventa quindi un tecnico-politico.

I processi partecipativi in campo formazione e lavoro, sono quindi:

inclusivi di civicness, imprese e formazioni sociali, come tutti i processi partecipativi rilevanti community informali e temporanee di social innovation, dove costruire nuova solidarietà di

cittadinanza mediante il confronto (e il conflitto) gestito: questo è un punto specifico soprattutto inediti spazi di ricerca-azione di «scioglimento» delle culture e di socializzazione e co-

ricostruzione di vocabolari e modelli condivisi, che integrano saperi, pratiche e servizi di community welfare

In sostanza non abbiamo qui solo una mera specializzazione tematica: accade qualcosa in più, dovuto al particolare tema, che difficilmente si può affrontare in modo tradizionale. Il processo partecipato «accende» la sussidiarietà orizzontale e la mobilitazione locale. Il confronto dei saperi vivi dei cittadini, (perché il tema è vitale), con quelli tiepidi degli esperti e neutri dei funzionari integra soluzioni formative, informative, orientative, consulenziali, di assistenza e sviluppo prima separate rigidamente, in particolare fra sviluppo economico e sociale. In particolare consente agli operatori in prima linea di conoscersi (pratica poco diffusa e limitata a scarni corsi di aggiornamento) aumentando padronanza ambientale, crescita personale, scopo, relazioni positive con gli altri, in una parola self-efficacy. In termini di servizi è reengineering dei processi vitali, in chiave di intervento pubblico sugli utenti, ad esempio se si interviene su spazi e tempi. Per il cittadino, nella vita quotidiana, il Work Life Balance è affanno continuo, e in questo è competente, capisce la mediazione di interessi fra il cliente (o il capo) e la vita personale. Il cittadino è «naturale» terzo differenziatore fra interessi pubblici e privati. Nell'era della de-differenziazione, ecco il nuovo differenziatore, che ricompone il problema, presenta un punto di vista diverso da tutti gli altri, li smonta e rimonta su base nuova e fa sorgere i punti in ombra, ad esempio oggi si studia e si lavora contemporaneamente, dal lavoro si passa ai lavori/competenze, ci si sposta per lavoro e studio, si trova lavoro e ci si forma con nuove tecnologie e formule comunicative Il processo partecipatico è senza dubbio empowermernt di comunità, perchè si accede al potere, cioè si può (dire la propria e controbattere l’altro). I cittadini, esperti di Long-Life Learning (certo solo di un pezzo, di un job), esperti di lavoro e sociale (certo solo di una finestrina) vengono abilitati, e abituati, al dovere inderogabile dell'Art 2, a prender parte alle decisioni, ai saperi civili. Ad esempio come organizzare un corso, o il Centro per l'Impiego. Questo, certo, migliorare il servizio, ma è soprattutto vero sviluppo locale. La comunità valorizza i prosumer che produce (e quelli consumati, usurati) e li mette al lavoro per la società, società come soci alla pari. Il prosumer per definzione è produttore di social innovation, solo che non ha spazi dove dirlo, il Lavoro è «a socialità limitata». Un processo partecipativo in fondo è lavoro, per il bene

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comune, non solo per sè. Per le organizzazioni occasione particolare per tessere beni relazionali, «cena per farli conoscere», scambio di doni di apprendimento laterale e riflessivo, e anche prove tecniche di sottoreti tematiche su segmenti settoriali o della Qualità della Vita. Gli interessi, nella Formazione e Lavoro, non sono associati, c'è un pulviscolo di microimprese, associazioni e freelance (no profit o poco profit), ma la precarietà e la non prodfittabilità invita i microinteressi, al limite, a coalizzarsi, mai a cooperare. Per le organizzazioni un processo partecipativo è una esperienza chiave (pensiamo al Terzo Settore, anche per capire come democratizzarsi anche all'interno, come allargare lo spettro visuale, costringe a «incivilirsi», a riflettere sulla partecipazione di utenti e dipendenti, o partner. Il modello democratico-partecipativo si trascina, c'è un «effetto Kulisov», un trascinamento dei frames, come nel cinema. Siamo già, in fondo, in formule qualità della vita di comunità, a partire dai sondaggi preliminari sui temi per la partecipazione. Si stimola la fantasia, il pensiero e l'intelligenza collettivi, c’è sharing di base di conoscenze e esperienze, appello alla responsabilità sociale, mutua riconoscibilità. Poi un momento di valutazione serena e autocritica su temi critici. Percezione e consapevolezza della dimensione territoriale – di comunità, sia pure temporanea. Occasione di comunità, sperimentale, una rete lasca che offre opportunità e non intrappola perchè è reversibile. Promozione e crescita di leader di community, perchè agisce sui contesti e ha un effetto moltiplicatore. Incentiva le partnership di progetto (come detto, ci si conosce) e servizi integrati. L'azione chiave è ovviamente è arruolare, nel senso di attirare, persone e organizzazioni interessanti. E anche servizio di community welfare (sui temi sociolavorativi), certamente postburocratico, cura «non invasiva» delle vite, che sa affrontare resistenze e prudenze dei «renitenti alla leva civica, cioè i non competitivi, i precari-autonomi disillusi. Che interviene sui gruppi social, che sollecita l'accettazione sociale dei nuovi vulnerabili, agorà in cui il «dia-logo» fra pubblico (ekklesia) e privato (oikos) non è confuso, ma viene esplicitato. E' di impulso al Terzo Settore (sia che fornisca servizi ai soci che a tutti è comunque attore chiave), a entrare maggiormente in questo ambito, che è sociale quanto l'assistenza (si pensi solo al nesso disabilità – lavoro o disabilità-sviluppo di altre abilità). Dal treppiede (società civile-imprese-p.a.) si passa così a un più stabile tavolino a quattro gambe. Occorre del resto una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per far «stare in piedi» economicamente e tecnicamente i servizi, come avviene nel settore socio-sanitario. E' un primo disegno di rete prodromica ai progetti, inizialmente sperimentali, e poi servizi a regime. Questa rete è da intendere non tanto come organizzazione o come network, ma davvero in senso letterale, rete per catturare, sia i nuovi vunerabili che attori non dedicati, cioè organizzazioni che fanno anche altro, come associazioni non profit e di volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc

87. Ha, come si suol dire,

effetti collaterali. Problemi? soprattutto per la politica: il cittadino capisce che può «far da sè», risorge il populismo in vesti inedite, e la crisi dei partiti tradizionali aumenta

88.

Perchè si fa poco (in formazione e lavoro)? Ci sono poche esperienze, anche all’estero, è vero. Il discorso su questo punto è complesso, e a nostro avviso davvero sintomatico. Certamente i territori che partono per primi acquisiscono un vantaggio. C'è una scollatura fra servizi burocratici e progetti finanziati (ancor più evidente perché coi fondi comunitari si finanziano, come detto, i servizi stessi). Nei progetti finanziati il processo partecipativo c'è, ma è opaco, escludente e molte organizzazioni invisibili non sono rappresentate. Si potrebbe inserirlo nei progetti, all'inziio. Il processo partecipato , come detto, è bridging e linking, certo non bonding di capitale sociale: è un pezzo, importante, ma da solo non serve. Cioè ha un effetto limitato se è spot. Un altro rischio è avvantaggiare chi ha più voice, escludendo ulteriormente vulnerabili e invulnerabili: il paradosso è che chi ne ha più bisogno non partecipa (es i migranti e le loro associazioni, se non invitate) e quindi può essere molto abilitante per gli habituè. Anche accomodante con gli oppositori, se punta a assorbire conflittualità. A volte si neutralizza il conflitto, tecnicizzandolo, coresponsabilizzando. Una buona tecnica di negoziazione. Se il conflitto è reso opaco, si ha aderenza formale e decisioni inattuate o aperte a

87 Una iniziativa culturale o associativa innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di film/dibattiti, un social trekking, un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per documentari, una fiera hanno ricadute significative sul riorientamento di competenze di cui si parlava sopra, a volte molto maggiore di una azione di orientamento o di formazione pianificata «classicamente». Detto altrimenti, molti, anche in ambito commerciale, si occupano, senza saperlo, di Lavoro e LongLifeLearning. Avere un ruolo pubblico e gestire una iniziativa pubblica innovativa, e in senso lato artistica e culturale - ma anche in fondo il solo pubblicizzarla come fà un esercizio commerciale esponendo la locandina - hanno a che fare con Formazione e Lavoro Pensiamo ad esempio ai Circoli di Studio: esperienze autogestite in piccolo gruppo di autoformazione, in cui basta una sede, un tutor a tempo parziale e chiamare un docente quando serve. Qui il problema principale è la sollecitazione: trovare le persone e sollecitarle a partire. La rete intesa come passaparola, locandine, web ecc. è alla fin fine l'unico elemento critico. Ovviamente ci vuole un tutor-sollecitatore molto bravo Sono idee e energie che circolano e ne generano di nuove e contribuiscono allo sviluppo locale. Sono incontri che si fanno o relazioni che si mantengono. Lo sviluppo di sportelli, siti web, cooperative, imprese e enti non profit, agenzie locali, associazioni, interventi strutturati di enti religiosi o volontari, e il consolidamento di efficaci reti locali di servizi risponde anche a esigenze di impiegabilità e di sviluppo di competenze locali sulla tematica lavoro, cioè è a sua volta un bacino di impiego e di sviluppo di competenze chiave assolutamente non trascurabile. 88 Ecco la strategicità dei processi partecipati per la politica che vuole restare protagonista, e dall'altro la necessità di rivedere i ruoli, con riferimento alla separazione netta fra politici e amministratori, che deve sfumare, ma in senso contrario a quanto si pensi.

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interpretazioni successive. Ci può essere anche una mediazione politica dietro le quinte, una negoziazione spartitoria, un doppio gioco. Piuttosto significative sono le resistenze, nelle P.A. e nel Terzo Settore, a riorganizzare funzioni pubbliche, destrutturando e ristrutturando anche i ruoli, e quindi il potere. La messa in trasparenza di queste resistenze è un passaggio chiave. Il processo partecipativo andrebbe fatto gestire ai funzionari PA stessi, come compito normale loro, d'ufficio. Un processo partecipativo può essere certamente illumistico: perfetto ma inutile. LO STRUMENTO E' GIA' POLICY

Non si può non notare infine un isomorfismo evidente fra i processi partecipati (in particolare in Formazione e Lavoro) e i servizi. In entrambi i contesti selfassembly (unlearning e relearning), self-constitution senza fine, iniziativa, sviluppo, anche prestazione e successo: d'altronde le due sfere riguardano le vite dei soggetti. Le capacità ristrutturate nel processo partecipato sono simili cioè alle capacità obiettivo, capacità di cambiamento, in sostanza). Del resto i processi partecipati sui temi della salute, o che su tali temi si sono incrociati, si sono dimostrati community empowering, hanno sedimentato mutuo rispetto, riflessione critica, cura e partecipazione di gruppo. Chi aveva a disposizione minori risorse ha guadagnato maggiore sense of control, cioè benessere, accesso e controllo sulle risorse, anche se scarse. Voler vedere, voler

cambiare, voler organizzare, desiderio del cambiamento sono tratti individuali ma anche dei soggetti sociali.

Nei processi partecipativi le risorse diventano capacità di choice collettive. Libertà collettive (uguaglianza declinata in modo collettivo) e sicurezza socializzata (solidarietà e nuovo welfare) Libertà non come autonomia individuale, ma autonomia nel relazionarsi al contesto, essere o no veloci, relazionarsi di più o di meno, cogliere o meno le opportunità. Soggetti più il loro ambiente, come in un gruppo e libertà come potere desiderante.

In altri termini, il processo partecipato ha valore in sé, anche laddove non producesse un immediato miglioramento dei servizi, o il risultato fosse scarno o poco significativo, o un compromesso al ribasso a causa di conflitti fra i partecipanti. Leggiamolo per differenza: un processo partecipato in campo urbanistico (che sottende sempre comunque lavoro e formazione) può condurre a uno stallo se gli interessi in campo si annullassero a vicenda. Ci sarà però, sicuramente, uno spillover di condivisione del problema, coping di community e valore sociale che, quando il processo partecipato riguardi servizi al lavoro e al long life learning, è per l’appunto il problema da risolvere. Cioè participating è già un pezzo della soluzione, come in un t-group, o in esperienze hic et nunc avanzate, impari per il solo fatto di partecipare, e partecipi anche se stai zitto (anzi ancora di più), e addirittura ancora di più se il gruppo va male, cioè non si coagula. Classico esempio di learning dal conflitto, capacità negativa: processo che, anche se non funziona, produce risultati. Questo è significativo, perchè non è così nei tavoli o nelle riunioni che si bloccano su negoziati infiniti, e ottengono invece l'effetto contrario, paralizzare il cambiamento.

I processi partecipati sui temi del lavoro e dell'education sono, in un certo senso, una postura della vita aperta all'avventura umana, senso del debito per chi ci ha preceduti e lascito per chi verrà dopo di noi, quindi continuità, generatività di vite comuni, partecipazione alle storie d'altri. Il processo partecipato sviluppa competenze organizzative ad ambito territoriale, e questo è un aspetto simbolico evidente. Il processo, apparentemente centrato sui cittadini, in realtà agisce, come detto, pesantemente sulle organizzazioni partecipanti, anche quelle autoorganizzate e spontanee, comitati ecc. (che spesso promuovono il processo partecipato, sono comunità di pratica politica, certo molto localistiche). Driver di questo empowerment e committment reciproco, molto avanzato, è certamente la partecipazione dei cittadini, figura nuova per l'assetto istituzionale del settore, che può anche essere esperto docente, orientatore, assistente o consulente. E anche gli enti partecipanti, grazie al processo, sviluppano una maggiore influenzabilità sugli eventi, speranzosità, ascolto di altre organizzaioni e del cittadino, del potenziale territoriale inutilizzato. Sviluppano sentimento di community e sfumano l'interesse privato, cioè integrazione al livello superiore, dunque benestante, includente. Che stimola agency, il condurre a termine (perchè processo temporaneo), aiuta a imparare a tenere traccia, strutturare, esplorare, ascoltare, non escludere alcuna ipotesi, non eludere. Che chiarisce, ordina, organizza, chiede/dà aiuto, è spendi-abilità. Legittima, empowerizza e politicizza. E' strumentazione di sviluppo socio-organizzativo, che prova competenze e virtù civiche, quali saper soppesare e esplorare sentendo le ragioni altrui, trovando soluzioni inedite e creative. Siccome non si perde nulla, è solo guadagno, consente appartenza e estraneità proprio perchè non è decisiva per decidere. Capacity building di soggetti e, per estensione, di interi territori, capacità istituzionalmente affidata, temporaneamente, alla rete di attori sociali e politici territoriali partecipanti. LA METODOLOGIA ATM – Agorà per il Terzo Millennio™ Oggi, ed in modo abbastanza evidente anche in Italia, si assiste ad una marcata crisi della politica (astensionismo crescente, disaffezione dei cittadini nei confronti dei partiti politici e delle organizzazioni di

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rappresentanza, sempre convivendo con i risaputi limiti della democrazia indiretta come modello sociale in grado di esprimere naturalmente libertà, trasparenza ed uguaglianza, per tutti il disincanto democratico di Pierre Rosanvallon che teorizza la nuova «controdemocrazia» (Rosanvallon, 2009): un cambiamento di paradigma sembra essere proprio alle porte per la nostra attuale democrazia rappresentativa. E la crisi va anche oltre le differenziazioni di partito: la strategia securitaria di un governo forte è spesso inefficace di fronte ai tanti problemi sociali, nelle proposte del Partito Democratico la tag chiave indubbiamente è: partecipazione, anche se ancora pochi sanno davvero come declinarla concretamente, vedi i problemi di integrazione tra partecipazione e rappresentanza evidenziati anche dalle esperienze più recenti di mobilitazione locale. Sembra allora sempre più delinearsi una nuova frontiera per la ricerca politica e associativa, finalizzata al governo delle problematiche di rilevanza sociale: è rappresentata dallo studio delle dinamiche e delle logiche di partecipazione, si riscoprono antichi metodi (come i Town Meeting utilizzati dai coloni del New England nel ‘600) e molti altri metodi partecipativi che derivano anche da contesti diversi (come la giuria dei cittadini di Ned Crosby che si ispira al processo giudiziario) vengono sperimentati in varie parti del mondo intorno ad un nuovo concetto di democrazia più deliberativa (Lewansky, 2007), in grado di superare i limiti della rappresentatività in quanto implicano, anche se solo parzialmente, un trasferimento reale del potere decisionale ai cittadini. In Toscana c’è molto più che un fermento intorno al concetto di partecipazione: la Regione ha approvato nel 2007, dopo un lungo ed attento percorso di costruzione anch’esso sufficientemente partecipato (in cui è stato peraltro sperimentato il town meeting in occasione della manifestazione Dire&Fare organizzata da Anci Toscana e Regione Toscana a Marina di Carrara nel novembre 2006), la legge 69/2007 che si propone di sostenere la diffusione e la sperimentazione di nuovi modelli ed istituti partecipativi (Floridia, 2008). Uno strumento legislativo molto importante, di esempio per tante realtà anche europee e non solo italiane per lo sviluppo di una nuova cultura democratica, già utilizzato in molti contesti locali per sviluppare processi partecipativi di interesse per la comunità. Eppure, se ripensiamo all’antica democrazia greca delle poleis, anche se la libertà non era certo allora tra i diritti pienamente affermati (donne, schiavi e stranieri erano esclusi dalla vita politica ad Atene), l’eguaglianza, o meglio l’isonomia - ovvero la parità di tutti i cittadini di fronte alla legge - trovò piena espressione con l’affermazione di una vera «presenza politica» da parte di tutti i cittadini (Vernant, 2005). Si svilupparono logiche partecipative di tipo diretto che, pur disperse successivamente nel tempo anche per le crescenti complicazioni connesse alla tendenza all’urbanizzazione, sembravano in quell’epoca quasi un esito obbligato per una qualunque forma sociale: prevedevano circolarità delle funzioni per tutti i cittadini, meccanismi di sorteggio e rotazione per le varie cariche pubbliche, il pieno diritto per ogni cittadino di esprimere liberamente le proprie idee e proposte o di avanzare critiche dalla tribuna dell’Agorà. Oggi siamo appena agli inizi di questo percorso di ricerca metodologico che, pur muovendo dall’analisi del passato, non può escludere dalla sperimentazione le nuove forme della comunicazione interattiva ora disponibili, che possono rivelarsi una grande opportunità di partecipazione alla nuova res pubblica espressa dalla Rete. Qui sembra di rivivere quanto già successo per tante tecnologie degli ultimi 20-30 anni: a cominciare dal portatile, al foglio elettronico, al cellulare, al world wide web, neanche l’inventore era davvero consapevole dell’utilizzo futuro ! Ed anche se, per un certo verso, l’innovazione tecnologica continua ad alimentare evidenti fratture sociali (si pensi solo al problema del digital divide), oggi ci offre nuovi possibili luoghi di confronto sociale: l’esplosione di social networking pervasivi come Facebook, indubbiamente ci può portare in una nuova dimensione dove sviluppare nuove forme di democrazia partecipata.

Premesse per la sperimentazione

Il coinvolgimento e la partecipazione devono ovviamente iniziare dal territorio, dal basso, dall’individuo per arrivare a poter dire con Tucidide ˝il demo è tutto˝ (Corcella, 1988), o per seguire la teoria che Nicia formula per responsabilizzare i suoi marinai: ˝Gli uomini sono le città, non le mura né le navi vuote di uomini˝.

Questa concezione personale dello Stato, magari in dosi più facilmente metabolizzabili dai nostri attuali contesti associativi, politici o sociali, può essere la vera chiave di volta per ridefinire le nuove logiche partecipative. Oltretutto presenta tantissime assonanze con quanto viene spesso formulato all’interno delle tecniche manageriali più recenti (superata certo la fase tayloristica dello sviluppo organizzativo, un po’ dappertutto nelle imprese moderne riecheggiano concetti di questo tipo: ˝il cliente è re˝, ˝organizzazione per processi˝, ˝l’impresa è fatta soprattutto di persone e sono le persone a fare un’impresa˝, ˝job-rotation e partecipazione˝, ˝coinvolgimento e gioco di squadra˝, ˝team building˝”, ˝la piramide rovesciata˝, ˝l’apprendimento organizzativo˝). In effetti, si potrebbe ben dire che molte organizzazioni odierne, sia pubbliche che private, siano molto più democratiche di tante nostre associazioni territoriali, sociali o politiche.

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E’ questo il contesto in cui nasce ATM - Agorà del Terzo Millennio™89

, una nuova metodologia ideata per governare la partecipazione sociale, in grado di favorire e sviluppare un confronto democratico e costruttivo nello stesso tempo su problematiche di rilevanza sociale e di interesse per la collettività. La sua logica di azione si ispira ai principi classici della democrazia e prevede l’utilizzo di strumenti, metodi, tecniche e criteri, soprattutto di derivazione organizzativa, per orientare efficacemente il coinvolgimento del territorio. Essa si basa fondamentalmente sulle esperienze condotte in circa 30 anni di attività di consulenza, formazione e sviluppo organizzativo per molte associazioni ed organizzazioni pubbliche e private (di particolare interesse le esperienze relative ai sistemi di pianificazione, circoli per la qualità, project management, gruppi di miglioramento, problem solving aziendali, metodiche sicuramente tipiche per le aziende multinazionali anche se ancora non sempre molto diffuse in Italia). Il primo campo di applicazione in cui questa metodologia è stata sperimentata riguarda la problematica del Life Long Learning, un principio molto conosciuto in Toscana grazie anche alla legge regionale 32/2002, il testo unico della normativa in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro. Con questa legge è già stato quindi formalmente istituito in Toscana il Diritto all'Apprendimento nei vari contesti - formal, no-formal ed informal - e, su questo solco, diventano sempre più presenti le iniziative in tal senso: come la sperimentazione del libretto formativo del cittadino, o dell’ILA (Individual Learning Account) o, soprattutto, la definizione, oramai praticamente completata ed in fase di prossima attuazione, del Sistema Regionale delle Competenze (dalla delibera regionale n.120/06 ˝Progetto regionale competenze˝, alle linee guida di febbraio 2008 fino alle necessarie modifiche del regolamento di esecuzione della 32/02 in corso di deliberazione). L’obiettivo di fondo è la piena valorizzazione delle competenze del cittadino, derivante dalla necessità di affermare un valore socialmente riconoscibile e spendibile nei contesti non solo formativi ma anche professionali. Quindi non solo il consolidamento dei processi nei contesti di apprendimento formal (portfolio di competenze), ma anche l’esigenza di stabilire le basi per la definizione concertata in ambito informal e no-formal (dove l’apprendimento non rappresenta la finalità principale ma comunque deve essere osservato con un processo oggettivante che non necessariamente implica la certificazione). E proprio in Toscana, un territorio già molto caratterizzato da una notevole concertazione sociale, è necessario attivare un maggiore coinvolgimento anche del tessuto sociale ed imprenditoriale, non solo della grande comunità di operatori (della formazione, dell’orientamento, dell’istruzione scolastica ed universitaria) che è chiamata ad operare per un cambiamento che si annuncia a dir poco rivoluzionario per il settore con notevoli ricadute su tutto il contesto socio-economico (d’altronde al centro del dibattito c’è proprio il cittadino nelle sue varie sfaccettature: studente, lavoratore, straniero, pensionato ecc.). La sperimentazione metodologica è stata quindi avviata nella seconda metà del 2008 all’interno del gruppo “Formazione Professionale” che si è costituito nell’ambito di AIF Toscana (Associazione Italiana Formatori). Attualmente l’Agorà sul LLL (Life-Long Learning), la comunità di operatori del settore della formazione e dell’orientamento coinvolta in questo grande dibattito, è composta da diverse centinaia di persone interessate in vario modo a contribuire allo sviluppo di nuove idee e soluzioni per il mondo della formazione e del’orientamento. E' attiva anche su Trio, la piattaforma e-learning di prima generazione della Regione Toscana ed è arrivata nelle biblioteche, nei centri di orientamento o per l’impiego, dentro le facoltà universitarie, in ogni spazio aperto che sa di cultura e libertà di espressione. I risultati che il gruppo ha ottenuto nel campo del Life-Long Learning sono molto promettenti (dopo un battesimo di fuoco con un brainstorming di gruppo tra una quarantina di persone, effettuato a Firenze dentro la facoltà di Scienze della Formazione occupata, ed una bellissima cornice formata dagli studenti universitari del collettivo molto attenti ed interessati). Nel seguito sono succintamente delineati alcuni dettagli della sperimentazione della metodologia ATM per il LLL: i principali criteri applicativi, come si è impostato il lavoro soprattutto sul piano organizzativo, le relazioni interne alla comunità (con i facilitatori, il ruolo della cabina di regia, per il coordinamento del problem solving e del problem setting, per la valutazione della qualità), le dinamiche comunicative di interazione.

Architettura metodologica dell’Agorà

Vediamo innanzitutto quali sono i criteri minimi, gli invarianti adottati per realizzare un processo democratico e partecipativo che vuole originarsi, essendo fondamentalmente modellato dall’archetipo dell’antica Agorà, a partire dal basso. Da un punto di vista architetturale la metodologia dell’Agorà si basa essenzialmente su pochi principi di fondo, oramai anche abbastanza acquisiti per un qualunque contesto organizzativo di una certa complessità, almeno da un punto di vista teorico. In primo luogo occorre fare riferimento alle logiche dei sistemi di pianificazione e controllo ed agli assetti organizzativi conseguenti ormai ampiamente utilizzati e consolidati (ad esempio, sistemi di pianificazione e controllo in organizzazioni di grandi dimensioni o modelli di project management per un’architettura multi progettuale (Taccone, 1987).

89 ATM – Agorà del Terzo Millennio™ di Luigi Taccone, marchio depositato nel 2008

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La prima caratterizzazione, il primo invariante per la definizione dell’architettura di una dinamica partecipativa che si ispira all’Agorà è quindi quello che distingue due grandi livelli di azione: il livello progettuale da quello multi progettuale, per dirla con un linguaggio meno teorico e più legato alle metodologie ed agli approcci più attuali, la necessaria differenziazione che deve essere fatta tra il problem solving ed il problem setting, laddove il punto critico ed essenziale dell’attenzione deve rivolgersi sull’integrazione tra i due livelli. Secondo pilastro dell’architettura metodologica, la piramide rovesciata, anche questo un principio forse abbastanza inusuale per le nostre organizzazioni ma essenziale: qualunque forma organizzativa si deve mettere al servizio della e per la comunità, tanto più vero in un caso come questo in cui si cerca di modellare e di creare una forma organizzativa funzionale allo sviluppo ed alla crescita culturale del network sociale. Terzo principio organizzativo, l’estrema flessibilità e leggerezza che deve avere la struttura di coordinamento, spesso anche detta cabina di regia. Quindi solo tre criteri base che sono comunque sufficienti per delineare una forma architetturale come quella schematicamente riportata in figura 1, dove appaiono evidenti:

Figura 1 - Architettura metodologica dell'Agorà il simbolo della piramide rovesciata (la tipica forma organizzativa con cui il management si mette

generalmente al servizio del settore operation); la linea di coordinamento che delimita l’ambito in cui opera la cabina di regia o il gruppo di

coordinamento, qui anche detto Theme Team (TT, termine già utilizzato in alcuni metodi come il town meeting), rispetto al quale si svolge primariamente l’azione del problem setting (da notare: un unico processo unitario che si svolge su un piano orizzontale);

le linee di sviluppo del problem solving vero e proprio che sono portate avanti in modo verticale - quindi su piani di azione trasversali al precedente – e per una serie di direttrici scelte e valutate dal TT, che costituisce pertanto il livello di coordinamento necessario e sufficiente per gestire tutto quello che viene complessivamente prodotto nell’Agorà.

Entrambi i piani di azione – o, per meglio dire, le due tipologie di piani di azione - sono completamente immersi nell’Agorà, non configurano delle strutture ulteriori o sovraimposte, ma vengono formati, curati ed anche composti con le persone che appartengono alla comunità per la quale esse stesse operano. Questo è il vero principio chiave di questo approccio metodologico, un nuovo modo per vedere le organizzazioni nascere dall’interno secondo una logica di antropizzazione sociale auto-organizzata: non si tratta quindi di forme organizzative che si vanno a sovrapporre rispetto alla struttura sociale esistente, ma di comunità sociali che vanno ad assumere, secondo una dinamica abbastanza naturale che non deve essere mai forzata o imposta dall’esterno, una forma più funzionale per il benessere della collettività.

Organizzazione e funzionamento dell’Agorà

Per capire concretamente come si costituisce un’Agorà e come essa si può organizzare per operare al servizio della comunità, conviene seguire il suo sviluppo fin dalla sua fase iniziale, dove è necessario formare il primo piano di azione e bisogna quindi ben comprendere quali sono le priorità tra le varie attività possibili. Qui occorre operare soprattutto attraverso il livello di gestione multi progettuale (ad esempio, in molte organizzazioni – e peraltro anche da moltissimo tempo - è d’uso procedere prima di tutto ad una raccolta

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delle idee, degli spunti e delle problematiche di maggior interesse, ma anche la tecnica dei sondaggi è molto utilizzata in contesti sociali più allargati) che vuol dire, su un piano pratico, individuazione da parte del TT di un insieme di tematiche prioritarie che appaiono, almeno in fase iniziale, come le più significative.Ed in questa fase è fondamentale il contributo fornito dagli stakeholder dell’Agorà per scegliere le tematiche principali, ovvero le prospettive rispetto alle quali conviene affrontare, almeno inizialmente, il problema. Nel nostro caso, il Life Long Learning, una problematica già aperta fin dalla strategia europea di Lisbona 2000, trova una sua prima delineazione puntuale con la dichiarazione di Maastricht del 2004 (˝.. quadro delle qualifiche europeo aperto e flessibile ... basato principalmente sulle competenze e sui risultati dell’apprendimento. Esso rafforzerà lo stretto legame fra i sistemi di educazione e di formazione, costituirà il riferimento per la validazione delle competenze acquisite attraverso percorsi non formali e sosterrà il regolare ed efficace funzionamento dei mercati del lavoro europeo, nazionali, settoriali ..˝), una premessa di valore a tutte iniziative di cambiamento attualmente in atto nei vari contesti nazionali ed europei. Un forte problema quindi di integrazione tra mondo del lavoro ed education o, per usare il linguaggio più tipico del sistema regionale toscano (ricordiamoci che questa Agorà è nata ed è attualmente operante soprattutto all’interno del contesto toscano), integrazione tra istruzione, formazione e lavoro, intendendo chiaramente tutte le altre varie sfaccettature esistenti, come la formazione professionale o continua, l’istruzione scolastica, tecnica, superiore o universitaria. Nel nostro caso, e se si vuole si potrebbe anche abbastanza generalizzare per altri problemi di integrazione, sono state individuate quattro diverse prospettive, le prime due, essendo pregiudiziali rispetto alle altre, con una priorità superiore dal punto di vista temporale. Esse riguardano aspetti chiave per ogni problema di integrazione, a maggior ragione per un problema di integrazione del mondo del lavoro e della formazione. La prima tematica è legata al Contesto in cui è immersa l’Agorà, nel nostro caso un contesto fatto soprattutto dall’Europa, dalle normative comunitarie e nazionali, da quanto fatto nelle altre regioni: è quello che sinteticamente è stato denominato Lo Spazio Europeo dell’Apprendimento. Seconda prospettiva prioritaria è il Linguaggio specifico che viene utilizzato nel settore, che deve essere una base comune di riferimento per tutti i sistemi e gli operatori componenti.

Figura 2 - Le prospettive di analisi del problema

Ne segue una terza anche questa molto generale, costituita dalle Regole di funzionamento del sistema che di volta in volta potranno essere analizzate secondo varie dinamiche e finalità, perseguendo le priorità emergenti nel settore in termini di esigenze di definizione delle procedure o delle regole presenti nel sistema oggetto di osservazione. Quarta ed ultima dimensione collegata ai Valori specifici del sistema; almeno per questa Agorà LLL, la scelta è ricaduta su una tematica cardine per lo sviluppo efficace di tutto il sistema integrato, non solo estremamente urgente nel settore della formazione e dell’orientamento ma anche particolarmente richiesta dalla stessa comunità di operatori. Stiamo parlando della definizione delle Competenze professionali del settore, una linea di ricerca e di sperimentazione aperta un po’ dappertutto – in Italia, solo in qualche regione si comincia ad entrare in una fase di standardizzazione e normalizzazione – che sta conducendo all’individuazione delle professionalità tipiche per gli operatori secondo un approccio per competenze abbastanza universale per qualunque sistema di professionalità (dall’analisi dei processi organizzativi fino al meta quadro europeo EQF). All’interno di ciascuna di queste 4 aree problema, il TT – ovvero un gruppo ristretto di persone a contatto anche con gli stakeholder del sistema in esame - ha il compito di individuare problemi molto specifici e concreti, stabilendo tempi e modalità di azione, evitando sovrapposizioni, cercando di curare le sincronizzazioni e le integrazioni tra i vari piani progettuali, lanciando di volta in volta e coinvolgendo su questi piani (chiaramente più di problem solving che di problem setting) tutti i contributi, le idee, le

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disponibilità che è possibile raccogliere all’interno dell’Agorà.

Nel nostro caso specifico sono stati inizialmente individuati quattro diversi problemi, uno per ogni specifica tematica, con tempistiche di azione differenti anche se sono stati avviati tutti insieme ai primi di novembre 2008 (nel riquadro è riportato il primo messaggio pubblicato dalla community sulla piattaforma Trio). Se questo descrive sia pur succintamente la fase di avvio, il resto è soprattutto governo dell’Agorà o management di più gruppi di lavoro operanti in parallelo o in senso trasversale, ma sempre in modo unitario ed integrato. In effetti, l’organizzazione interna si articola in un TT molto leggero a struttura dinamica e geometria variabile, prevede giusto una figura – l’amministratore dell’Agorà – che faccia da pivot, come coordinatore del gruppo, per tener conto di tutte le relazioni esistenti con gli stakeholder e soprattutto con le figure necessarie per guidare i singoli problem solving, i cosiddetti Facilitatori di Problema (FP). Questi soggetti, il cui profilo professionale è per certi versi innovativo anche se possono confondersi con altre forme di facilitazione oggi molto di moda, devono soprattutto possedere una marcata competenza relazionale per supportare e promuovere le attività del gruppo di lavoro mentre, anche in base all’esperienza avuta, non è molto importante se non hanno grandi conoscenze specifiche in materia. Una conoscenza non approfondita sulle varie tematiche affrontate potrebbe addirittura aiutarli a favorire il dialogo e lo sviluppo delle idee da parte dei componenti dell’Agorà, in quanto consentirebbe loro di posizionarsi in modo più empatico e di essere meglio accettati nel loro ruolo specifico. Il loro compito principale è comunque quello di promuovere il dibattito seguendo un metodo abbastanza classico di analisi del problema /ricerca delle soluzioni (sono molti i riferimenti teorici di metodo ai quali possiamo ispirarci, per semplicità qui ci riferiamo al metodo di brainstorming o anche al ciclo P–D–C-A di Deming per la Qualità). Può anche essere interessante ricordare varie esperienze condotte negli anni ’90 in associazioni territoriali (come Api Toscana) o presso diverse imprese toscane (ad esempio, The Bridge di Firenze o System di Livorno) in cui furono definite precise regole aziendali interne all’organizzazione proprio per moderare, definire e svolgere in modo efficace e costruttivo un dibattito ordinato in grado di portare soluzioni concrete verso il vertice aziendale.

Direttamente dalla 1° riunione operativa del gruppo di lavoro, sono avviati 4 temi di

approfondimento:

- IL LINGUAGGIO DELLA FORMAZIONE

- LE REGOLE DEL SISTEMA

- LO SPAZIO EUROPEO DELL'APPRENDIMENTO

- LE COMPETENZE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO

Il METODO che seguiremo per affrontare queste problematiche è il seguente:

- affrontare un problema specifico alla volta

- con obiettivi di progetto concreti e risultati in tempi rapidi (non più di 3-4 mesi in genere)

- gruppo sempre aperto al contributo di tutti

- metodologia consigliata: brainstorming

- fasi di lavoro secondo il classico ciclo di problem solving (analizzare, progettare, valutare,

implementare)

- occhio anche al problem setting (decisivo per raggiungere obiettivi realistici)

Seguendo queste regole minime, avete piena libertà per organizzarvi come meglio credete,

di ogni gruppo io sono solo il vostro portavoce !

Buon lavoro ed a presto

Luigi Taccone

Coordinatore gdl FP

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Figura 3 - Il ciclo di brainstorming Sempre sul ciclo del brainstorming, occorre qui sottolineare come la sua azione operativa si sviluppa e si integra tra tutti e due i livelli di azione già precedentemente menzionati, cioè tra il livello relativo alle azioni strategiche e quello relativo alle azioni più progettuali. Pertanto, nelle varie fasi del ciclo, l’autonomia – ferma restando la tempistica e gli obiettivi preassegnati - dei gruppi progettuali si avverte maggiormente nelle fasi di condivisione/descrizione del problema e di ricerca/elaborazione delle soluzioni mentre, per quanto riguarda le fasi di scelta e di implementazione, il ruolo del TT ritorna ad essere preminente, essendo chiamato a valutare le soluzioni più efficaci ed a definire, anche se sempre in modo congiunto, le modalità implementative più opportune. Indubbiamente, quali che siano le varie differenze di approccio che il singolo caso problematico potrebbe suggerire, il riferimento teorico principale va comunque ad H. A. Simon, premio Nobel per l’economia nel ’78 per le sue ricerche pioneristiche sul processo decisionale nelle organizzazioni economiche. Sulle modalità con cui si sta svolgendo questo confronto, nell’ambito dell’Agorà LLL sono state sperimentate forme diverse per il TT, ad esempio inizialmente operava un gruppo più stabile e ristretto sostituito poi con una configurazione più dinamica, mentre gli stessi FP si stanno alternando nella conduzione dei gruppi di lavoro denunciando comunque una buona flessibilità del ruolo. Livelli di interazione Se è vero che sul piano organizzativo il funzionamento dell’Agorà sembra sufficientemente governato, potendosi d’altronde rifare a criteri oramai ampiamente sperimentati (dalle modalità di lavoro dell’antica polis greca, passando per lo scientific management fino ad arrivare alle teorie organizzative più attuali come il toyotismo o la learning organization, sono molte le tecniche consolidate anche in altri ambiti ed in grado comunque di sviluppare un alto livello di partecipazione), sul piano invece delle modalità di comunicazione e di azione, o per essere più precisi di interazione, ci vuole una certa attenzione applicativa anche per valutare appieno le potenzialità offerte dall’attuale livello tecnologico. Ma prima di esaminare gli aspetti tecnologici della comunicazione, occorre focalizzare quali sono i processi o le funzioni fondamentali svolte in un’Agorà. Ad un livello molto essenziale di rappresentazione, possiamo ridurre a solo tre tipologie le funzioni fondamentali svolte all’interno dell’Agorà. La prima è legata alla diffusione dell’informazione di base per tutti i componenti dell’Agorà, in modo da creare ed alimentare un sufficiente livello di consapevolezza, premessa necessaria per il dibattito e per la generazione delle idee: l’informazione è chiaramente una componente essenziale, pregiudiziale per tutte gli altre, però non è la sola a svolgere un ruolo determinante. A questa si associano, infatti, almeno altre due funzioni che devono essere ben esplicitate e strutturate all’interno di un’Agorà proprio per garantire il massimo della funzionalità anche in termini di trasparenza, produttività, efficacia e visibilità (anche verso l’esterno). Si tratta della funzione cosiddetta di memoria, che serve per creare un minimo di ordine e di consequenzialità nel processo partecipativo mantenendo una traccia chiara e sintetica di tutto lo sviluppo del processo decisionale almeno in relazione alle sue componenti principali (risultati intermedi e finali, momenti chiave, tempistica ecc.); e della funzione di sviluppo, comprendente tutte le fasi di elaborazione, design e ricerca che ricorrono nei vari momenti di sviluppo della creatività individuale, di gruppo e di progettazione congiunta.

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Figura 4 - Funzioni fondamentali nell'Agorà Questo schema, pur nella sua semplicità, può anche servire a rendere conto di molte esperienze partecipative che, pur avviate con molto entusiasmo e superata anche una fase di diffusione tipica quasi da contagio, lentamente rallentano e si vanno ad arenare nel disinteresse generale: le chiamiamo di solito carenze di organizzazione, per essere più precisi, mancanza in qualche funzione fondamentale (quella di memoria, ad esempio, è molto spesso sottovalutata, abbastanza comune per i gruppi che nascono nella rete, ma in realtà è una funzione fondamentale per superare la gobba evolutiva di un’ipotetica curva ad esse). Ma se queste – Sviluppo, Informazione e Memoria (SIM) – sono le tre funzioni fondamentali che occorre strutturare all’interno di un’Agorà, dobbiamo anche chiederci come le possiamo supportare con le tecnologie odierne. Intanto un cenno è doveroso per le tante tecnologie che, ad un livello anche più progettuale, facilitano la cooperazione e la partecipazione (e non solo, ma anche la condivisione, l’apprendimento, la co-progettazione) all’interno di un gruppo di lavoro, ad esempio il leggio elettronico o la lavagna interattiva molto diffusa soprattutto all’estero (e qui si potrebbe ricordare la sperimentazione condotta presso la CCIAA nel 2006 da Firenze Tecnologia con il Gruppo Websemantico, dove furono confrontate tra loro varie tecniche, svolte in parallelo, di gestione di gruppi e di brainstorming). Ma aldilà di queste tecnologie specifiche, c’è da chiedersi, in termini più generali ed allargati, quali coerenze tra media e finalità si debbano definire rispetto alle tre funzioni fondamentali, visto che le modalità di comunicazione oggi possono essere attuate in vari modi, vi sono molte più possibilità rispetto ai tempi degli antichi greci (che non per nulla imponevano dei precisi limiti demografici alle loro città stato) potendo contare sull’evidente vantaggio dato dal collegamento a distanza. Ad esempio, nella nostra Agorà LLL, per diffondere l’informazione di base in modo sufficientemente diffusivo, viene per ora utilizzato soprattutto un sito web (che ha centinaia di contatti quotidiani e delle news periodiche - ogni quindici giorni circa – per informare sui fatti salienti e preparare agli eventi successivi). Si cerca soprattutto di informare su cosa sta effettivamente succedendo nel settore, ci si limita sulle interpretazioni di parte, l’obiettivo è innalzare il livello di attenzione ed accrescere la consapevolezza nella comunità: però tutte queste cose, che rappresentano nient’altro che la Comunicazione di base per la comunità, possono benissimo essere attuate in altri modi (immaginiamo ad esempio possibili Agorà gestite da un ente locale con la propria pubblicazione istituzionale o da un’associazione o un’organizzazione privata di medie dimensioni attraverso il loro giornale interno). Per quanto riguarda poi la funzione di sviluppo, esiste una dimensione di confronto che è indissolubilmente legata all’interazione diretta, alla Piazza, la piazza certo non virtuale, ma quella reale che si deve animare attraverso i dibattiti o le discussioni di gruppo, irrinunciabile per lo sviluppo del momento dialogico ed indipendentemente dalla dimensione complessiva di tutta la comunità (anche in una grande multinazionale in un certo momento della giornata possono essere attivi anche 100 gruppi di miglioramento, ma ciascuno di essi è sempre costituito da un numero limitato di persone, generalmente da 4-5, al massimo 10 persone: solo così è possibile avere un confronto reale ed inclusivo, senza contrapposizioni di parte, permeato da valori come l’ascolto degli altri ed orientato alla formazione delle proprie opinioni, dal quale successivamente possono scaturire idee e soluzioni condivise). Quindi la piazza intesa come il tavolino del caffè, la piazza aperta, la biblioteca, uno spazio qualunque a disposizione ma che va scelto in modo opportuno: anche la logistica è una dimensione molto importante della metodologia. Per restare alla nostra Agorà LLL, molto significativa è stata ad esempio la prima riunione svolta all’interno della facoltà di Scienze della Formazione occupata, così le riunioni organizzate presso il Centro per l’Impiego

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(molto stimolante è Novolab, un centro innovativo creato all’interno del polo universitario fiorentino) o all’interno delle biblioteche: se aumenta la coerenza della dimensione logistica, si possono creare nuovi stimoli e sinergie ulteriori per lo sviluppo e la generazione di nuove idee. Se la generazione delle idee avviene nella piazza reale, indubbiamente può esistere anche un livello di generazione collettiva (la creatività connettiva, come la chiama Carlo Infante). Personalmente credo vi siano ancora dei limiti a tutto questo, la generazione della creatività condotta esclusivamente attraverso il mezzo tecnologico sembra far parte più del futuro del web (fino alla realtà virtuale più avanzata ed immersiva) anche se sembra una linea di ricerca tra le più promettenti. Ma se il livello tecnologico attualmente disponibile presenta dei limiti sul piano della concreta applicazione metodologica, sicuramente oggi è ampiamente in grado di assolvere la funzione di memoria, di tenere traccia del processo decisionale e partecipativo e farne una sintesi strutturata: basta il Web 1.0 ! Nell’Agorà LLL questo è stato ottenuto grazie alla piattaforma web learning Trio della Regione Toscana che ha dedicato alle attività del gruppo un intero forum dove sono memorizzati gli elementi essenziali di tutti i vari problemi lanciati e discussi nella comunità, i risultati conseguiti, gli appuntamenti principali. Questo è un tipo di comunicazione che si differenzia rispetto al primo relativo alla diffusione dell’informazione: qui vanno considerati soprattutto i risultati del lavoro sul campo ed il calendario temporale necessario per seguire la successione dei vari impegni, sostanzialmente per “tenere traccia della vita dell’Agorà”. Eppure, anche se abbiamo coperto in questo modo le tre funzioni principali con tre livelli di interazione e di comunicazione in modo abbastanza schematico e coerente, manca ancora una componente comunicativa fondamentale, che tutti noi utilizziamo in tante dinamiche sociali e partecipative ma che spesso ci dimentichiamo di progettare e strutturare alla stessa guisa delle altre. È la componente informale che, come rappresentato in figura, determina la definizione di altre due modalità comunicative di interazione.

Figura 5 - livelli di interazione comunicativa nell’Agorà Una è quella del Pettegolezzo, la dimensione naturale della relazione diretta ed informale che può essere ottenuta in molti modi, attraverso un momento di convivialità, una cena, una simpatica spettegolata, un momento di socializzazione, tutti necessariamente al di fuori di quelli che precedentemente abbiamo riportato nel concetto della piazza. Ed un’altra componente informale più relazionale, da vedere sempre in modo poco strutturato ma comunque ben definita sul piano metodologico, è quella che si può realizzare in ambiti tecnologici Web 2.0 attraverso reti associative (professional network come linkedin o social network come Facebook); entrambe servono ad irrobustire e potenziare lo scambio integrato ed i rapporti di relazione tra le funzioni fondamentali del SIM. Si viene così a configurare un quadro complessivo composto da ben 5 diversi canali di comunicazione possibili: l’Agorà di per sé non li richiede tutti e cinque insieme (d’altronde le agorà funzionavano bene anche in tempi antichi pur con certe limitazioni; da notate inoltre, in una specie di confronto epocale, che la vera differenza con il passato non è sul piano delle funzioni ma su quello delle modalità di interazione, essendo chiaramente assenti a quei tempi le modalità connesse al web, ovvero quelle posizionate in figura sulla destra), ma è chiaro che l’utilizzo combinato ed integrato dei vari canali comunicativi permette di creare delle Agorà molto più potenti, funzionali, produttive ed efficaci. In definitiva, con l’attuale livello tecnologico, sono già disponibili e possono essere opportunamente progettate ben 5 diverse modalità di interazione:

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1. la comunicazione di base per soddisfare le esigenze informative della comunità, da attuare attraverso le funzioni base della rete (siti, pagine html, e-mail, blog) o con mezzi più tradizionali, come i prodotti cartacei;

2. il gruppo di confronto reale in piazza, il lavoro coordinato da un FP specifico che si svolge in contesti definiti in modo coerente rispetto alle tematiche di discussione (il luogo può deprimere o stimolare ed esaltare la creatività);

3. una piattaforma web strutturata in grado di tenere traccia in modo ordinato della vita dell’Agorà e dello sviluppo del processo decisionale svolto all’interno;

4. l’interazione sociale più informale come un’occasione conviviale, una simpatica cenetta, una spettegolata (”la democrazia è chiacchierona”), quindi va alimentata anche o forse soprattutto con chiacchiere);

5. il web 2.0, ovvero l’utilizzo di reti social network come fb o linkedin che possono facilitare relazioni e espressioni meno formali da parte di chiunque, esplorando e ricercando le informazioni anche in altre comunità.

Cinque canali diversi, cinque protocolli di comunicazione interconnessi tra loro che si rafforzano reciprocamente rispetto alle funzioni che sono chiamati a svolgere, e che non sono mai alternativi tra loro: in realtà ognuno di loro può andare a coprire solo alcune parti del modello funzionale (utilizzarne solo uno di questi forzandolo ad assolvere tutte e tre le funzioni SIM previste, porta sicuramente ad un insoddisfacente funzionamento dell’Agorà). Questo non vuol dire che un’Agorà deve usare tutti i canali di comunicazione possibili, ma quanto più riesce a combinare le potenzialità dei vari canali, tanto più diventa efficace. In questo senso è facile capire perché alcuni gruppi di discussione, magari lanciati solamente su facebook, finiscono presto per isterilirsi, oppure perché certe iniziative di processi partecipativi, pur gestite con un sito web apposito, pecchino di trasparenza o di condivisione per tutta la comunità potenzialmente interessata. C’è infine un’ultima questione propriamente metodologica, connessa alla Valutazione della qualità del funzionamento dell’Agorà. L’efficacia complessiva dell’Agorà si misura da una sola prospettiva ed in vari modi: dal punto di vista delle soluzioni che produce, della loro efficacia e validità, dalla loro valenza, dall’attenzione che riserva loro il tavolo politico o amministrativo, in ultima analisi da quanto si riesce ad incidere sulla formazione delle politiche e delle decisioni su aspetti di interesse dell’Agorà stessa. Questa descritta corrisponde principalmente alla valutazione effettuata da un osservatore esterno, spesso con logiche ex-post e marginalmente anche in itinere: certamente deve essere accompagnata anche da criteri gestionali di regolazione e controllo in grado di monitorare in modo continuativo l’andamento ed il funzionamento dell’Agorà. Va pertanto definita anche una dimensione specifica in grado di rappresentare l’efficienza interna di funzionamento: i criteri che abbiamo attuato, almeno nella sperimentazione dell’Agorà LLL, si rifanno al grado di astensione, alla capacità di allargare il consenso e la partecipazione, ai feedback ricevuti dagli stessi stakeholder ed all’affidabilità stessa del processo sia nel saper rispettare i tempi assegnati, sia nel saper conseguire i risultati previsti.

Osservazioni finali

E' possibile tracciare un primo bilancio di questa sperimentazione metodologica, anche in termini dei risultati finora ottenuti rispetto ai criteri di assicurazione qualità precedentemente delineati. Inizialmente siamo partiti con un gruppo di una decina di persone in ambito Aif Toscana, ed oggi le news raggiungono diverse centinaia di operatori con una diffusione indiretta che va ben oltre il numero degli utenti diretti. Le attese e le aspettative sono cresciute notevolmente, sono sempre di più gli operatori del settore ad informarsi e ad attendere con curiosità ed interesse risultati anche parziali. Da un punto di vista dei livelli di funzionamento in termini di rispetto della tempestività e della affidabilità del processo, per ora i risultati sono molto soddisfacenti (certamente la sperimentazione è stata abbastanza facilitata per il fatto che il gruppo iniziale del TT era molto competente in materia: questo può essere un limite per la funzione del FP, ma è una grande garanzia sia per la corretta impostazione del lavoro in fase iniziale sia per definire il giusto network relazionale con tutti gli stakeholder). Da un punto di vista metodologico, appare evidente anche la necessità di ulteriori sperimentazioni in altri campi di applicazione o su comunità che non siano solo comunità ristrette o limitate a certe categorie di operatori (anche se in questo caso l’Agorà LLL richiama potenzialmente diverse decine di migliaia di operatori solo in Toscana) ma siano più larghe ed aperte ad una varietà maggiore di componenti. @Lè è un esempio importante di come i processi di cambiamento possono e devono partire necessariamente dal basso per intercettare la voglia diffusa di fare qualcosa di concreto per lo sviluppo del proprio territorio (qui da segnalare anche il percorso partecipato condotto dall’assessore Cristina Bevilacqua per definire il regolamento per la partecipazione nel Comune di Firenze). Insomma, un nuovo demos sembra farsi strada, forse casualmente o forse causalmente, quasi fosse la vera risposta all’attuale crisi di valori, ma anche a quelle finanziarie, climatiche, ambientali e sociali.

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