VITE EN PLEIN AIR - fondazionesport.it Manifesto Alias - 09.04.2016... · (2) ALIAS 9 APRILE 2016...

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(2) ALIAS9 APRILE 2016‟

Da Tilda Swinton ai modelli steineriani in Italia finoalle attività all’aperto dei bambini, lontano dai banchi.Tutto quello che avremmo voluto trovare nella vera«buona scuola», non di propaganda

di LEONARDO CLAUSILONDRA

La pubblica istruzione sirovescia, purtroppo e non di rado,in distruzione privata (nel sensodella libertà e sviluppo interioridell’individuo). Tra i tanti che sonosopravvissuti a un simile iter c’èchi si dà da fare per evitare unasimile esperienza ai figli propri ealtrui. In Scozia, per esempio,esiste una scuola superiore dovenon ci sono esami né test, dove cisi siede poco dietro i banchi, nonci sono cattedre e dove i compiti inclasse vengono spesso svolti fuoridella classe, in tutti i sensi.Drumduan Upper School è statafondata dalla magnetica TildaSwinton, madre di due gemelliadolescenti, Xavier e Honor. Conun altro genitore, l’amico IanSutherland McCook, nel 2013l’attrice ha creato la prima scuolasuperiore di chiara ispirazionesteineriana, che ribalta il modelloautoritario e competitivo cheostinatamente permane nellascuola cosiddetta tradizionale,ispirandosi ad idealità diverse daquelle - utilitaristiche - chedovrebbero «preparare il giovanealla vita adulta». Lo ha fatto dopoche i figli avevano finito la propriaesperienza nella scuola elementaresteineriana. Un salto pericoloso,tra due realtà pressochéantitetiche, e che può lasciaredisorientati. Ma una scuolasuperiore steineriana non c’era, néera in preparazione. I due si sonodunque messi in moto per crearneuna. E ci stanno riuscendo:Drumduan ha passatobrillantemente il feroce scrutiniodelle ispezioni da parte dell’Ofsted,l’agenzia britannica autonomagarante dell’efficienza scolastica, lacui occhiuta pressione spinge lescuole fin quasi a falsificare ipropri risultati, pena il taglio deifondi governativi (in una societàmeritocratica che si rispetti, talifondi vanno ai più meritevoli e, dinorma, le scuole che danno imigliori risultati si trovano nellezone più benestanti).

Il risultato di questo regime di

controlli, risultati e tabelle è spessoun clima di forte tensione non soloin classe, ma nella common room,la sala dei professori. Come gliospedali, le scuole sono ormaiaffette da un’elefantiasiburocratica dove medici einsegnanti passano il tempo acompilare moduli, perché i tagli dasamurai del cancelliere Osborne,ultimi di una perdurante serie, licostringono a fare un lavoro chenon è il loro. E a farne le spese,come al solito, sono gli studenti.

Iniziative come quella diSwinton & McCook sono dunquedoppiamente utili: non solo per lasalute mentale di figli, genitori einsegnanti, ma anche per indicareuna possibile alternativaall’istruzione tradizionale. Ed èincoraggiante vederne fiorire disimili anche in Italia, pure se perora si limitano alle materne e allemedie inferiori. Tra le regioniitaliane, leader in questo senso èsenz’altro la Toscana, dovefigurano due realtà – una ancora aiprimi passi, l’altra consolidata –esemplari per merito e metodo. Laprima è il Giardino d’infanziaMaggiociondolo. A poca distanzadal borgo medievale di Vicopisano,Maggiociondolo s’ispira allapedagogia Steiner Waldorf e sitrova in un villaggio di campagna,una vecchia casa colonicaristrutturata e un tempo adibita afrantoio. Fondato nel 2014 ediretto da Gaia Belvedere, accoglieuna ventina di bambini da tre a seianni. È gestito dall’Associazionepedagogica Violaciocca, presiedutada Belvedere e di cui fanno parteanche i genitori dei bambini,perché, come accade nelle realtàeducative che si ispirano alpensiero di Rudolf Steiner, igenitori partecipano attivamente alprogetto educativo».

La pedagogia di riferimento èquella del fondatore della primascuola steineriana a Stoccarda nel1919 e oggi diffusa in tutto ilmondo. Se in alcune sue parti vasenz’altro presa con le molle,sull’educazione e lo sviluppo delbambino l’antroposofia di Steiner,classica figura d’intellettuale

tedesco «irrazionalista» d’inizioNovecento, è saggia e preziosa.«Aveva capito l’importanzadell’educazione come strumentodi rinnovamento sociale e che lepotenzialità dei bambini, ancoralatenti, potessero essere digrandissimo valore - spiegaBelvedere - L’obiettivofondamentale è quello dirisvegliare le facoltà del bambino edi aiutarlo a diventare se stesso,libero da pregiudizi e capace diorientare la sua vita verso le meteche egli stesso si dà». Da analoghepremesse, già nel 1988 era partital’esperienza dell’Asilo del Sole edella Libera Scuola Michelangelo(medie ed elementari) a Colle Vald’Elsa (Siena). Per la fondatrice,Rosa Stella Fallaha, tra genitore escuola tradizionale «s’interponel’’istituzione’ ostacolando undialogo sincero; una sorta digerarchica situazione sui saperi,con il genitore che non può’ostentare’ una maggiorconoscenza culturale opedagogica, neppure se riferite alproprio figlio». Si rischia un murocontro muro fra genitori einsegnanti insomma, in cui questiultimi spesso tendono a chiudersiin un atteggiamento di sprezzanterifiuto di qualsiasi autocritica oanalisi. E con i primi che migrano:troppe volte verso la scuolaprivata, altre verso una realtàpedagogica più aperta e, spesso,autogestita.

Una ricerca che ha portatoSandro Furlanis, geologo veneto, ela sua famiglia proprio a Colle Vald’Elsa: «Cercavamo una scuola chefosse comunità, che stimolasse lapartecipazione e che soprattuttomettesse al centro delle attenzionie strategie pedagogiche ognisingolo individuo con le suespecificità, mancanze, talenti.». Unmondo di differenza rispetto allastanca burocrazia che spessoaffligge la scuola pubblica. E,soprattutto, una ricerca che nonaveva niente dell’atteggiamento daclientela insoddisfatta assuntosempre più spesso da famiglie piùo meno abbienti che poi diventanogiocoforza munizioni nella guerra

a favore di una privatizzazionescolastica già dilagante in tuttaEuropa. Qui in gioco c’è la serenitàdi genitori e figli uniti nella - e nondivisi dalla - scuola. E uniti in unaterapia comunitaria, dove alleriunioni con i genitori sidiscutonoprogetti comuni, facendo cadere lenote barriere e reticenze e«nessuno si sente abbandonato,solo, anzi. Viene indirettamentestimolato ad autoeducarsi, apartecipare alla gestione dellascuola di cui siamo tutti soci allapari.». Elementi che, sommatiall’«amore evidente del maestroper il suo lavoro, a quel suoinsegnare per scelta e non peropportunità, e quindi per ognisingolo ragazzo, l’utilizzo dimoltissima arte in tutte le materie,il peso dato ai lavori manuali, ilcostante lavoro per favorire unasana socialità del gruppo classe edella scuola», creano una realtàpedagogica diversa. Quella di unascuola «non privata, maautogestit!». Dalla Sicilia allaScandinavia, passando per laScozia, la scuola pubblica prendanota. A meno che non vogliaessere inghiottita dalla marea

montante del «soddisfatti orimborsati» tipico dellacompravendita, dove a unaprecaria soddisfazione deigenitori-acquirenti corrisponde lasolida frustrazione dei figli.

www.ecopedagogia.itwww.rslaformica.org

VITE EN PLEIN AIR

Liberi cittadinicrescono fuoridalle «classi»

Le scuole d’infanzia di Reggio Emilia, che hanno esportato in tutto ilmondo il loro metodo pedagogico per rendere felici i bambini, sonodebitrici alla figura di Loris Malaguzzi (Correggio 1920 – Reggio Emilia1994), che fondò una filosofia educativa insieme agli amministratorilocali. Laureato in pedagogia, iniziò la sua attività come insegnanteelementare nel 1946. Diplomatosi poi nel 1950 come psicologoscolastico, dette vita al Centro medico psico-pedagogico comunale diReggio Emilia dove lavorò per oltre vent’anni. A partire dal 1963collaborò con l’amministrazione all’apertura delle prime scuolecomunali dell’infanzia. A questa prima rete di servizi, che dal 1967accolse anche gli «Asili del Popolo» autogestiti, fondati neldopoguerra, si aggiunsero nel 1971 gli asili nido. Per Malaguzzi, neiprimi anni di scuola i bambini imparano a utilizzare le risorse di cuisono dotati naturalmente, «costruiscono la propria intelligenza e gliadulti devono fornire loro le attività e il contesto. Soprattutto devonoessere in grado di ascoltare». Così i bambini sono liberi di ragionare edecidere i giochi e le attività da fare nella giornata.

di ILARIA GIACCONE

Leo (4 anni) con fatica trasportauna grossa radice pescata nella catastadi legna dietro al fuoco mentre Maria (3anni e mezzo) osserva una lumaca chelentamente si sposta fra le grosse spinedi un cactus. Sofia (5 anni) stasull’amaca: a lei la mattina piacedondolarsi. Altri due in fondo allo slargosi arrampicano su un alto ammasso dirami intrecciati (sembra che stiano percadere ma non cadono). Accanto a loro,su una lavagna coperta dalla brinamattutina sono sillabati nomi di animalidivisi in due colonne: quelli cheprendono il latte della mamma e quelliche, no, non lo prendono. Tommaso, ilCO-NI-GLIO, intanto saltella proprio lì,accanto alla lavagna. Un grande fuoconel braciere ci riscalda un po’ tuttiperché la mattina, in campagnad’inverno, fa freddo. È l’inizio di unqualunque giorno della settimana e ibambini arrivano all’Asilo nel bosco diOstia antica. I genitori si fermanoqualche minuto, aspettano e quando livedono tranquilli se ne vanno. Questaperò non è una scuola qualunque.Questo è un luogo in cui la didatticascaturisce dalla vita all’aria aperta. Si stafuori tutto il giorno e si cresceimparando a osservare il mondo senzaun programma prestabilito, né banchi eseggioline, senza ritmi forzati per tutti eche a tutti debbano andare bene.

Fu una donna, Ella Flatau, che nel1950 in Danimarca per prima ebbel’idea di formare un WalkingKindergarten in cui la passeggiata eraparte integrante del curriculum. Daallora la Scuola nel bosco, soprattutto apartire dagli anni Ottanta, si è diffusa inSvezia, in Germania (i Waldkindergartenche ricevono anche fondi dallo stato), inAustria, in Inghilterra e in Italia. Quipioniera è stata l’Emilia Romagna cheper prima ha avviato un progetto di verae propria Outdoor Education. E così poisi è concretizzata anche l’esperienza diOstia antica.

Uno dei riti fondamentali chescandiscono la giornata è la passeggiatanel bosco. Il bosco come ecosistema incui coesistono il tempo atmosferico, lepiante e gli animali, il bosco magico efantastico tanto narrato nella letteraturaper ragazzi (dai fratelli Grimm alsenza-bosco Marcovaldo), il bosco deglialberi che, come i bambini, crescono ecambiano aspetto con le stagioni e conla luce, il bosco infine come quello dellago Walden superbamente descritto daThoreau a metà dell’Ottocento. Suquegli alberi ci si arrampica ma sipossono anche inseguire piccolianimaletti lenti o velocissimi dai quali

assimilare patrimoni immensi diconoscenza. Non piccole maialineparlanti ma veri vermi, libellule, girini,rospi, ragni e lumache che siritroveranno nel favoloso prato diArrietty ma anche nelle pozioni delmaghetto Potter. Ecco che parole comecoleottero o quercia diventano piùfamiliari dei nomi dei Pokemon ed eccoche sporcarsi di terra o caderenell’acqua non sono più guai. E poicomunque ci sono le galoscine.All’entrata del piccolo ambiente internoun posto speciale è riservato allascaffalatura su cui sono riposti tantilillipuziani guanti, cappellini e stivalettidi gomma, insomma l’equipaggiamentoindispensabile per stare fuori. La radiceche diventa uno strumento musicale, oil muschio per fare le polpette: l’assenzadi giochi strutturati (con colori, materialie peso concepiti apposta per ilbambino) lascia spazio alla noia, amomenti sospesi dai quali scaturiscesempre un’idea. Il tempo lento dellanatura è il tempo lento dei bambini: lalumaca che procede sul tronco diventaun evento memorabile per la sciavischiosa che lascia dietro di sé («cheschifo!») ma anche perché procedeimpavida su una corteccia piena diasperità («ma come fa?») e per quelle suepiccole antenne che aumentano ediminuiscono come telescopi.L’inatteso, il non-programmatodiventano l’elemento fecondo di unanuova didattica che ha fra le sueimplicazioni anche lo stimolo all’amoreper l’ambiente che smette così di essereun’entità astratta imparata sui libri ediventa mondo vero, reale, quellodell’acqua che ti sta bagnando i piedi odei sassi, che se ci cammini sopra ti faimale.

E poi nel bosco c’è il silenzio. Ilsilenzio della solitudine che a volte ibambini cercano nell’isolamento equello che apre le porte alle avventurepiù belle: da sola Chihiro entra nellacittà incantata di Miyazaki lasciandosialle spalle i genitori che sconciamente siabbuffano fino a diventare enormimaiali e da sola Nausicaa della valle delvento ammansisce e domina giganteschie orrendi insetti mutanti che invadonola terra. Sono sole perché spesso ibambini, lasciati in pace, fanno cosefantastiche, lontani da adulti checorreggono, aiutano, suggeriscono,vietano o premiano. Qui all’Asilo nelbosco si accetta l’imprevedibilità dellospazio esterno, si sta fuori e non dentro.Invece di imparare a pensare che ciòche è dentro (famiglia, asilo, case degliamici) è buono e quel che è fuori èpericoloso si impara a gestire se stessi, siimpara a cadere e a rialzarsi, si capiscequali siano le proprie forze perarrampicarsi e si sviluppa l’empatiaindispensabile per stare in un gruppo. Ilsovraccarico di socialità cui anche ipiccoli sono costantementi esposti vieneridimensionato, l’uso della tecnologiatrova una sua giusta collocazione.

I cosidetti iperattivi o affetti da Adhd(Attention-Deficit/HyperactivityDisorder) invece che col metilfenidatomigliorano correndo nel prato,cavalcando l’asino e arrampicandosi.Così dice il maestro Paolo, mentre conuna padella in mano si avvia – seguitoda un gruppetto di piccoli – verso ilfuoco dove si stanno per cuocere lecastagne raccolte. È gentile Paolo e forsel’ha scritto lui quello che si legge su unostriscione appeso da una parte: praticategentilezza a casaccio e atti di bellezzaprivi di senso. E tu pensi che qui forsec’è un’infanzia giusta. Non iperprotetta,né abbandonata, né adultizzata ospettacolarizzata. Giusta.

A LEZIONEDI AUTOSTIMA

L’INFANZIA FELICE DI MALAGUZZI A REGGIO EMILIA

SENZA BANCHI L’ASILO NEL BOSCO DI OSTIA ANTICA

Se Cappuccetto Rossostudia le mossedel lupo tra gli alberi

Una mattina passata in compagnia dei piccolialunni della scuola dove si sta sempre fuori,imparando da pozzanghere, lumache, resinee dalle variazioni atmosferiche delle stagioni

Il manifestodirettore responsabile:Norma Rangeri

inserto a cura diSilvana Silvestri(ultravista)Francesco Adinolfi(ultrasuoni)

in redazioneRoberto Peciola

redazione:via A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAe ULTRASUONIfax 0668719573tel. 0668719557e [email protected]://www.ilmanifesto.info

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stampa:RCS Produzioni Spavia Antonio Ciamarra351/353, Roma

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diffusione e contabilità,rivendite e abbonamenti:REDS Rete Europeadistribuzione e servizi:viale BastioniMichelangelo 5/a00192 Romatel. 0639745482Fax. 0639762130

GERENZA

(3)ALIAS9 APRILE 2016

Da Tilda Swinton ai modelli steineriani in Italia finoalle attività all’aperto dei bambini, lontano dai banchi.Tutto quello che avremmo voluto trovare nella vera«buona scuola», non di propaganda

di LEONARDO CLAUSILONDRA

La pubblica istruzione sirovescia, purtroppo e non di rado,in distruzione privata (nel sensodella libertà e sviluppo interioridell’individuo). Tra i tanti che sonosopravvissuti a un simile iter c’èchi si dà da fare per evitare unasimile esperienza ai figli propri ealtrui. In Scozia, per esempio,esiste una scuola superiore dovenon ci sono esami né test, dove cisi siede poco dietro i banchi, nonci sono cattedre e dove i compiti inclasse vengono spesso svolti fuoridella classe, in tutti i sensi.Drumduan Upper School è statafondata dalla magnetica TildaSwinton, madre di due gemelliadolescenti, Xavier e Honor. Conun altro genitore, l’amico IanSutherland McCook, nel 2013l’attrice ha creato la prima scuolasuperiore di chiara ispirazionesteineriana, che ribalta il modelloautoritario e competitivo cheostinatamente permane nellascuola cosiddetta tradizionale,ispirandosi ad idealità diverse daquelle - utilitaristiche - chedovrebbero «preparare il giovanealla vita adulta». Lo ha fatto dopoche i figli avevano finito la propriaesperienza nella scuola elementaresteineriana. Un salto pericoloso,tra due realtà pressochéantitetiche, e che può lasciaredisorientati. Ma una scuolasuperiore steineriana non c’era, néera in preparazione. I due si sonodunque messi in moto per crearneuna. E ci stanno riuscendo:Drumduan ha passatobrillantemente il feroce scrutiniodelle ispezioni da parte dell’Ofsted,l’agenzia britannica autonomagarante dell’efficienza scolastica, lacui occhiuta pressione spinge lescuole fin quasi a falsificare ipropri risultati, pena il taglio deifondi governativi (in una societàmeritocratica che si rispetti, talifondi vanno ai più meritevoli e, dinorma, le scuole che danno imigliori risultati si trovano nellezone più benestanti).

Il risultato di questo regime di

controlli, risultati e tabelle è spessoun clima di forte tensione non soloin classe, ma nella common room,la sala dei professori. Come gliospedali, le scuole sono ormaiaffette da un’elefantiasiburocratica dove medici einsegnanti passano il tempo acompilare moduli, perché i tagli dasamurai del cancelliere Osborne,ultimi di una perdurante serie, licostringono a fare un lavoro chenon è il loro. E a farne le spese,come al solito, sono gli studenti.

Iniziative come quella diSwinton & McCook sono dunquedoppiamente utili: non solo per lasalute mentale di figli, genitori einsegnanti, ma anche per indicareuna possibile alternativaall’istruzione tradizionale. Ed èincoraggiante vederne fiorire disimili anche in Italia, pure se perora si limitano alle materne e allemedie inferiori. Tra le regioniitaliane, leader in questo senso èsenz’altro la Toscana, dovefigurano due realtà – una ancora aiprimi passi, l’altra consolidata –esemplari per merito e metodo. Laprima è il Giardino d’infanziaMaggiociondolo. A poca distanzadal borgo medievale di Vicopisano,Maggiociondolo s’ispira allapedagogia Steiner Waldorf e sitrova in un villaggio di campagna,una vecchia casa colonicaristrutturata e un tempo adibita afrantoio. Fondato nel 2014 ediretto da Gaia Belvedere, accoglieuna ventina di bambini da tre a seianni. È gestito dall’Associazionepedagogica Violaciocca, presiedutada Belvedere e di cui fanno parteanche i genitori dei bambini,perché, come accade nelle realtàeducative che si ispirano alpensiero di Rudolf Steiner, igenitori partecipano attivamente alprogetto educativo».

La pedagogia di riferimento èquella del fondatore della primascuola steineriana a Stoccarda nel1919 e oggi diffusa in tutto ilmondo. Se in alcune sue parti vasenz’altro presa con le molle,sull’educazione e lo sviluppo delbambino l’antroposofia di Steiner,classica figura d’intellettuale

tedesco «irrazionalista» d’inizioNovecento, è saggia e preziosa.«Aveva capito l’importanzadell’educazione come strumentodi rinnovamento sociale e che lepotenzialità dei bambini, ancoralatenti, potessero essere digrandissimo valore - spiegaBelvedere - L’obiettivofondamentale è quello dirisvegliare le facoltà del bambino edi aiutarlo a diventare se stesso,libero da pregiudizi e capace diorientare la sua vita verso le meteche egli stesso si dà». Da analoghepremesse, già nel 1988 era partital’esperienza dell’Asilo del Sole edella Libera Scuola Michelangelo(medie ed elementari) a Colle Vald’Elsa (Siena). Per la fondatrice,Rosa Stella Fallaha, tra genitore escuola tradizionale «s’interponel’’istituzione’ ostacolando undialogo sincero; una sorta digerarchica situazione sui saperi,con il genitore che non può’ostentare’ una maggiorconoscenza culturale opedagogica, neppure se riferite alproprio figlio». Si rischia un murocontro muro fra genitori einsegnanti insomma, in cui questiultimi spesso tendono a chiudersiin un atteggiamento di sprezzanterifiuto di qualsiasi autocritica oanalisi. E con i primi che migrano:troppe volte verso la scuolaprivata, altre verso una realtàpedagogica più aperta e, spesso,autogestita.

Una ricerca che ha portatoSandro Furlanis, geologo veneto, ela sua famiglia proprio a Colle Vald’Elsa: «Cercavamo una scuola chefosse comunità, che stimolasse lapartecipazione e che soprattuttomettesse al centro delle attenzionie strategie pedagogiche ognisingolo individuo con le suespecificità, mancanze, talenti.». Unmondo di differenza rispetto allastanca burocrazia che spessoaffligge la scuola pubblica. E,soprattutto, una ricerca che nonaveva niente dell’atteggiamento daclientela insoddisfatta assuntosempre più spesso da famiglie piùo meno abbienti che poi diventanogiocoforza munizioni nella guerra

a favore di una privatizzazionescolastica già dilagante in tuttaEuropa. Qui in gioco c’è la serenitàdi genitori e figli uniti nella - e nondivisi dalla - scuola. E uniti in unaterapia comunitaria, dove alleriunioni con i genitori sidiscutonoprogetti comuni, facendo cadere lenote barriere e reticenze e«nessuno si sente abbandonato,solo, anzi. Viene indirettamentestimolato ad autoeducarsi, apartecipare alla gestione dellascuola di cui siamo tutti soci allapari.». Elementi che, sommatiall’«amore evidente del maestroper il suo lavoro, a quel suoinsegnare per scelta e non peropportunità, e quindi per ognisingolo ragazzo, l’utilizzo dimoltissima arte in tutte le materie,il peso dato ai lavori manuali, ilcostante lavoro per favorire unasana socialità del gruppo classe edella scuola», creano una realtàpedagogica diversa. Quella di unascuola «non privata, maautogestit!». Dalla Sicilia allaScandinavia, passando per laScozia, la scuola pubblica prendanota. A meno che non vogliaessere inghiottita dalla marea

montante del «soddisfatti orimborsati» tipico dellacompravendita, dove a unaprecaria soddisfazione deigenitori-acquirenti corrisponde lasolida frustrazione dei figli.

www.ecopedagogia.itwww.rslaformica.org

VITE EN PLEIN AIR

Liberi cittadinicrescono fuoridalle «classi»

Le scuole d’infanzia di Reggio Emilia, che hanno esportato in tutto ilmondo il loro metodo pedagogico per rendere felici i bambini, sonodebitrici alla figura di Loris Malaguzzi (Correggio 1920 – Reggio Emilia1994), che fondò una filosofia educativa insieme agli amministratorilocali. Laureato in pedagogia, iniziò la sua attività come insegnanteelementare nel 1946. Diplomatosi poi nel 1950 come psicologoscolastico, dette vita al Centro medico psico-pedagogico comunale diReggio Emilia dove lavorò per oltre vent’anni. A partire dal 1963collaborò con l’amministrazione all’apertura delle prime scuolecomunali dell’infanzia. A questa prima rete di servizi, che dal 1967accolse anche gli «Asili del Popolo» autogestiti, fondati neldopoguerra, si aggiunsero nel 1971 gli asili nido. Per Malaguzzi, neiprimi anni di scuola i bambini imparano a utilizzare le risorse di cuisono dotati naturalmente, «costruiscono la propria intelligenza e gliadulti devono fornire loro le attività e il contesto. Soprattutto devonoessere in grado di ascoltare». Così i bambini sono liberi di ragionare edecidere i giochi e le attività da fare nella giornata.

di ILARIA GIACCONE

Leo (4 anni) con fatica trasportauna grossa radice pescata nella catastadi legna dietro al fuoco mentre Maria (3anni e mezzo) osserva una lumaca chelentamente si sposta fra le grosse spinedi un cactus. Sofia (5 anni) stasull’amaca: a lei la mattina piacedondolarsi. Altri due in fondo allo slargosi arrampicano su un alto ammasso dirami intrecciati (sembra che stiano percadere ma non cadono). Accanto a loro,su una lavagna coperta dalla brinamattutina sono sillabati nomi di animalidivisi in due colonne: quelli cheprendono il latte della mamma e quelliche, no, non lo prendono. Tommaso, ilCO-NI-GLIO, intanto saltella proprio lì,accanto alla lavagna. Un grande fuoconel braciere ci riscalda un po’ tuttiperché la mattina, in campagnad’inverno, fa freddo. È l’inizio di unqualunque giorno della settimana e ibambini arrivano all’Asilo nel bosco diOstia antica. I genitori si fermanoqualche minuto, aspettano e quando livedono tranquilli se ne vanno. Questaperò non è una scuola qualunque.Questo è un luogo in cui la didatticascaturisce dalla vita all’aria aperta. Si stafuori tutto il giorno e si cresceimparando a osservare il mondo senzaun programma prestabilito, né banchi eseggioline, senza ritmi forzati per tutti eche a tutti debbano andare bene.

Fu una donna, Ella Flatau, che nel1950 in Danimarca per prima ebbel’idea di formare un WalkingKindergarten in cui la passeggiata eraparte integrante del curriculum. Daallora la Scuola nel bosco, soprattutto apartire dagli anni Ottanta, si è diffusa inSvezia, in Germania (i Waldkindergartenche ricevono anche fondi dallo stato), inAustria, in Inghilterra e in Italia. Quipioniera è stata l’Emilia Romagna cheper prima ha avviato un progetto di verae propria Outdoor Education. E così poisi è concretizzata anche l’esperienza diOstia antica.

Uno dei riti fondamentali chescandiscono la giornata è la passeggiatanel bosco. Il bosco come ecosistema incui coesistono il tempo atmosferico, lepiante e gli animali, il bosco magico efantastico tanto narrato nella letteraturaper ragazzi (dai fratelli Grimm alsenza-bosco Marcovaldo), il bosco deglialberi che, come i bambini, crescono ecambiano aspetto con le stagioni e conla luce, il bosco infine come quello dellago Walden superbamente descritto daThoreau a metà dell’Ottocento. Suquegli alberi ci si arrampica ma sipossono anche inseguire piccolianimaletti lenti o velocissimi dai quali

assimilare patrimoni immensi diconoscenza. Non piccole maialineparlanti ma veri vermi, libellule, girini,rospi, ragni e lumache che siritroveranno nel favoloso prato diArrietty ma anche nelle pozioni delmaghetto Potter. Ecco che parole comecoleottero o quercia diventano piùfamiliari dei nomi dei Pokemon ed eccoche sporcarsi di terra o caderenell’acqua non sono più guai. E poicomunque ci sono le galoscine.All’entrata del piccolo ambiente internoun posto speciale è riservato allascaffalatura su cui sono riposti tantilillipuziani guanti, cappellini e stivalettidi gomma, insomma l’equipaggiamentoindispensabile per stare fuori. La radiceche diventa uno strumento musicale, oil muschio per fare le polpette: l’assenzadi giochi strutturati (con colori, materialie peso concepiti apposta per ilbambino) lascia spazio alla noia, amomenti sospesi dai quali scaturiscesempre un’idea. Il tempo lento dellanatura è il tempo lento dei bambini: lalumaca che procede sul tronco diventaun evento memorabile per la sciavischiosa che lascia dietro di sé («cheschifo!») ma anche perché procedeimpavida su una corteccia piena diasperità («ma come fa?») e per quelle suepiccole antenne che aumentano ediminuiscono come telescopi.L’inatteso, il non-programmatodiventano l’elemento fecondo di unanuova didattica che ha fra le sueimplicazioni anche lo stimolo all’amoreper l’ambiente che smette così di essereun’entità astratta imparata sui libri ediventa mondo vero, reale, quellodell’acqua che ti sta bagnando i piedi odei sassi, che se ci cammini sopra ti faimale.

E poi nel bosco c’è il silenzio. Ilsilenzio della solitudine che a volte ibambini cercano nell’isolamento equello che apre le porte alle avventurepiù belle: da sola Chihiro entra nellacittà incantata di Miyazaki lasciandosialle spalle i genitori che sconciamente siabbuffano fino a diventare enormimaiali e da sola Nausicaa della valle delvento ammansisce e domina giganteschie orrendi insetti mutanti che invadonola terra. Sono sole perché spesso ibambini, lasciati in pace, fanno cosefantastiche, lontani da adulti checorreggono, aiutano, suggeriscono,vietano o premiano. Qui all’Asilo nelbosco si accetta l’imprevedibilità dellospazio esterno, si sta fuori e non dentro.Invece di imparare a pensare che ciòche è dentro (famiglia, asilo, case degliamici) è buono e quel che è fuori èpericoloso si impara a gestire se stessi, siimpara a cadere e a rialzarsi, si capiscequali siano le proprie forze perarrampicarsi e si sviluppa l’empatiaindispensabile per stare in un gruppo. Ilsovraccarico di socialità cui anche ipiccoli sono costantementi esposti vieneridimensionato, l’uso della tecnologiatrova una sua giusta collocazione.

I cosidetti iperattivi o affetti da Adhd(Attention-Deficit/HyperactivityDisorder) invece che col metilfenidatomigliorano correndo nel prato,cavalcando l’asino e arrampicandosi.Così dice il maestro Paolo, mentre conuna padella in mano si avvia – seguitoda un gruppetto di piccoli – verso ilfuoco dove si stanno per cuocere lecastagne raccolte. È gentile Paolo e forsel’ha scritto lui quello che si legge su unostriscione appeso da una parte: praticategentilezza a casaccio e atti di bellezzaprivi di senso. E tu pensi che qui forsec’è un’infanzia giusta. Non iperprotetta,né abbandonata, né adultizzata ospettacolarizzata. Giusta.

A LEZIONEDI AUTOSTIMA

L’INFANZIA FELICE DI MALAGUZZI A REGGIO EMILIA

SENZA BANCHI L’ASILO NEL BOSCO DI OSTIA ANTICA

Se Cappuccetto Rossostudia le mossedel lupo tra gli alberi

Una mattina passata in compagnia dei piccolialunni della scuola dove si sta sempre fuori,imparando da pozzanghere, lumache, resinee dalle variazioni atmosferiche delle stagioni

Il manifestodirettore responsabile:Norma Rangeri

inserto a cura diSilvana Silvestri(ultravista)Francesco Adinolfi(ultrasuoni)

in redazioneRoberto Peciola

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GERENZA

(4) ALIAS9 APRILE 2016‟

di GIULIANA MUSCIO

Fin dagli anni OttantaAlberto Farassino e TattiSanguineti avevano individuatouna peculiare forma di divismomaschile, tipica del cinemaitaliano dai tempi del muto, quelladegli «uomini forti», gli eroimuscolosi che sicontrapponevano alle languidedive attaccate alle tende, comeFrancesca Bertini o Lyda Borelli.Jackie Reich nell’importante TheMaciste Films of Italian SilentCinema (*) esamina in modonuovo e approfondito questafigura di divo sui generis, che staalla radice di un’ideologia delmaschile, giocando un ruolocruciale nella costruzionedell’italianità, dell’idea di nazionee di razza. In questo testovoluminoso (400 pagine) eampiamente illustrato, pubblicatodall’Indiana University Press,Reich, che per questa casa editricecura la prestigiosa serie «NewDirections in National Cinemas»,analizza la figura di Maciste,protagonista del più famoso filmitaliano muto, lo spettacolareCabiria (Giovanni Pastrone, 1914)ambientato durante le guerrepuniche. Noto per le elaboratedidascalie scritte da D’Annunzio,il film era caratterizzato daimponenti scenografie, eleganticostumi e grandi scene di massa,ma soprattutto da un linguaggiocinematografico innovativo con iprimi movimenti di macchinadella storia del cinema, un uso diluce artificiale e naturale che

precorreva i tempi, conspettacolari (per l’epoca) effettispeciali nell’eruzione del vulcano,o nel mostrare Annibale cheattraversa le Alpi, oltre a un usosofisticato della colorazione. Nelfilm, prodotto dalla casa torineseItala, Maciste è uno schiavonumida, ovvero un africano dipelle scura, che assieme al suopadrone, Fulvio Axilla, un romanoche fa controspionaggio aCartagine, salva Cabiria, unafanciulla romana rapita dai perfidicartaginesi, un attimo prima chevenga sacrificata al dio Moloch, inun intreccio avventuroso nonscevro da un certo umorismo.L’intreccio tipico del cinemastorico coinvolgeva infatti ungiovane innamorato di unaschiava o di una donnaprigioniera, una nutrice e/o unoschiavo fedele, un rivale scaltro el’eroe muscoloso che pur essendouno schiavo era portatore di unafede o di un ideale superiore(cristianità, impero). Il modelloera Quo Vadis? (Enrico Guazzoni,1913) che con l’uso dellaprofondità di campo, ottimafotografia e scene spettacolari,con grandi masse di comparse,conquistò i mercato mondiali,imponendo il formato dellungometraggio, mentre in USAGriffith confezionava ancora filmdi due rulli per la Biograph. Primadi Maciste c’erano già stati quindiUrsus, che liberava la fanciulla

cristiana legata alla schiena deltoro in Quo Vadis?, e lo schiavoribelle Spartacus. Cabiria fu ungrosso successo commerciale e dicritica in tutto il mondo;interpretato da uno scaricatoredel porto di Genova, BartolomeoPagano, e diventato da subito

immensamente popolare, ilpersonaggio di Maciste venneripreso tra il 1915 e il 1926, in unaventina di film avventurosi (alcunigirati in Germania e altrico-prodotti dagli americani) etrasformato in un uomo d’azionemoderno, bianco e nazionalista,

un eroe del popolo del qualeMussolini, che fisicamente gliassomiglia, ricalca in seguito pose(come le braccia conserte) el’espressione col mento protruso.«Maciste collegava efficacementeil passato e il presente dellanazione - scrive la Reich, - e in

una peculiare convergenza tra lapolitica italiana e intrattenimento,la sua fama anticipò quella diMussolini». Infatti il cinema –l’artenazionale per eccellenza –siintreccia fittamente con lapolitica: il fascismo stesso presealcuni dei propri simboli dalcinema storico, come i fasci littori,l’iconografia e i riti dell’imperoromano, saluto incluso, maassorbì anche il disprezzo peristituzioni «inefficaci» come ilsenato e il favore piuttosto per itribuni della plebe. Il cinemastorico italiano si sviluppò aridosso della guerra di Libia; e quista il punto: è proprio durante leimprese coloniali italiane, inparticolare della fatidica conquistadi quella Libia che ancor oggitormenta i nostri sogni, che si ècominciato ad elaborarel’immaginario nazionale (visto che«l’Italia era fatta», ma gli Italianirestavano e restano da fare).L’idea di nazione, cui partecipanientemeno che il vateD’Annunzio, cresce assieme aquesto ibrido razziale, di unMaciste schiavo di Roma, la cuinegritudine appena abbozzataviene rinnegata nei filmsuccessivi, e con essa rimossecolpe e contraddizioni legate alcolonialismo italiano. Il nomeMaciste fu inventato daD’Annunzio stesso; il fatto chefosse uno schiavo africano fudeciso invece da Pastrone, che lodefinisce «mulatto», forseriferendosi alle problematicherazziali suscitate dallacolonizzazione della Libia oispirato dal colore della pelle deglieroi salgariani cui rimandanell’azione del film. In una fittarete di collegamenti culturali,Reich cita in proposito il lavoro diGeorge Mosse che metteva inrelazione il nazionalismo con lamascolinità e in particolare il mitodella forza fisica e del corpo benaddestrato con la nascita deglieserciti professionali, associandoil corpo virile al valore borghesedella moderazione e del controllosessuale; insomma, mens sana incorpore sano. L’esercizio fisicocombinava competizione,esibizione e performance comenel caso di ginnasti e bodybuilders, e si prestava quindi auna spettacolarizzazione filmica,non senza valenze culturali eideologiche, come confermano ilruolo di D’Annunzio, col suosuperomismo e la sua curaossessiva del corpo, nellacreazione di Maciste, ma anchel’immagine di Mussolini che fecedella virilità e della forzamuscolare esibita nei cinegiornali,elementi essenziali della suaiconografia. D’altro cantol’affermazione della mascolinitàcoincide non a caso col momentoin cui le donne entravano nelmondo del lavoro e i ruoli digenere si facevano piùproblematici. Reich collega inoltrela nascita di questo eroemuscolare alla passione perl’educazione fisica che percorre ilmondo a fine Ottocento, che nelcaso dell’Italia, è tesa amascolinizzare il «popolofemmina», ovvero la passivapopolazione del Mezzogiorno, cuii lombrosiani Sergi e Niceforoattribuivano sangue africano.Razza e nazione si intrecciano inmodo contorto nel pregiudizioantimeridionalista – un altrogrande rimosso della culturanazionale. In pieno positivismonazionalista gli italiani vengonodivisi da una pseudoscienzarazzista in africani e ariani, mafacenti parte entrambi di unastirpe peculiare, «mediterranea»,che affronta le guerre colonialiprima e il conflitto mondiale poicon questo stigma razziale dacorreggere, per cui «l’uomo forte»anche in senso fisico, è unanecessità ideologica per nonconfondere la propria immagine

con quella dei popoli «inferiori» diun’Africa brutalizzata. Mentre glistudiosi di cultura italiana negliStati Uniti hanno dedicato inquesti anni grande attenzione allaquestione della razza e del genere,al colonialismo e all’emigrazione,l’assenza o quasi di riflessione suquesti temi in Italia produce nonsolo una storiografia spessoprovinciale e di scarso impattointerpretativo, che per l’appuntonon spiega la fragilità dell’identitàdi nazione, le differenzeNord/Sud, un maschilismo benpiù radicato di quanto non sivoglia ammettere, e uninconfessato razzismo, che non siidentifica solo nel colore magenericamente con la diversità.Ma ciò che non si studia a scuola,ciò che non si elabora a livello dicultura popolare, torna come unriflusso gastrointestinale,vomitando un pericoloso fieleideologico che distrugge in primisl’organismo stesso che lo produce.Dopo il successo di CabiriaMaciste divenne una figuraautonoma, in pellicole prodotteanche durante la grave crisi che inpratica affossò l’industriacinematografica italiana neglianni Venti, con una capatina inGermania per tre film e poi una

ripresa italiana con Pittaluga, conil celebre Maciste all’Inferno, cheera il film cult di Fellini.«Utilizzando sia le ricercheprecedenti che nuove fontid’archivio, questo studio sostieneche Maciste e il suo corpomuscoloso giocarono un ruolocruciale nel racconto che ilcinema italiano fece dell’identitàdi una nazione unificata prima,durante e dopo la prima guerramondiale per un pubbliconazionale e internazionale» spiegaReich nell’introduzione,sottolineando come oltre adiventare una figura così popolareda essere proverbiale, Macistefosse famoso anche all’estero. Ilpersonaggio del Macistepost-Cabiria abbandona l’anticaRoma per l’Italia coeva el’incarnato scuro per una purarazza ariana, trasformandosi daschiavo di Roma a cittadinoitaliano, borghese in doppiopetto,impegnato in diverse funzioni:Maciste alpino o Maciste eroeseriale, detective, uomo d’azione,domatore, imperatore, ma sempreeroe generoso. Rimane costanteanche l’immagine del corpomuscoloso, che apparteneva a unimmaginario molto radicato, dallastatuaria classica all’arte del

Rinascimento e al classicismo del secolo deilumi, fino alla moda del nudo maschile dellaprima fotografia o delle prime immagini inmovimento (Marais, Muybridge). I film diMaciste non erano frettolose opere seriali, maveri e propri lungometraggi, costosi e ricchi dieffetti speciali (come nel caso di Macisteall’Inferno, o per la ricorrente presenza dicatastrofi naturali che richiedevano il suointervento salvifico) e con scenografie pernulla povere; Pagano fu del resto la starmaschile più pagata del cinema italiano muto.I temi del nazionalismo, del corpo e dellamascolinità non si esprimono dunque nelcinema italiano muto attraverso l’epica, comenel cinema americano, ma piuttosto nei film diMaciste, venati di ironia, che fondevano alcunigeneri delle origini come il seriale diinseguimento, il comico, il film storico e ildetective, avvalendosi di una ambientazionemoderna, sia urbana che rurale. Non eraquindi un cinema provinciale o passatistacome quello delle dive, ma un prodottopopolare in diretta competizione col cinemaamericano, e in particolare con i filmacrobatici e ironici di Douglas Fairbanks, unmodello di serialità che attraverso Tarzan edErcole arriva fino agli eroi della Dc Comics edella Marvel. Basandosi su accurate ricerched’archivio, sia sui documenti che con lavisione dei film, e su studi di genere e culturali,Reich non si muove solo al livello macrodell’interpretazione storica, ma raccontaanche il dettaglio del product placement neifilm di Maciste delle auto Diatto, la casaconcorrente della FIAT a Torino, dove i film diMaciste vennero prodotti, documentandoanche a livello industriale i rapporti tra duenascenti industrie della modernità, cinema eautomobile, nella città sabauda. Non vadimenticato infatti il dettaglio per nullasecondario che il cinema muto italiano eraall’epoca, assieme a quello francese, il cinema

più popolare nel mondo e il piùavanzato, con le prime formedivistiche e un racconto delcinema storico che si indirizza alpubblico sia borghese siapopolare, creando un linguaggioche in un paese di analfabetidiventava una sorta di sussidiarionazionale. La comparazioneimplicita nel libro è quindi tra undivismo maschile, fondatosull’affermazione dell’uomomediterraneo nella sfera pubblica(mentre il mondo delle donne

vive nel privato); la bellezzarimane attributo del divismofemminile mentre degli attoriuomini si parla di rado in terminidi bellezza. Secondo Reich, le divefacevano parte di uno spazioetereo, «ultraterreno» come iltermine stesso di «diva», dea,suggeriva, laddove gli «uominiforti» erano calati nella realtàterrena della vita quotidiana, conuna buona dose di realismoiconografico. Rispetto ad altri filmcomici o seriali i film di Macisteavevano un arco narrativo piùampio e un montaggio più veloce,

animato dai movimenti dimacchina, rispetto ai primi piani eai tempi solenni del diva-film, conuna fusione tra attore epersonaggio che diventa tipica delseriale italiano, fino agli spaghettiwestern. Il genere degli uominiforti usa topoi del detective, delcomico e dell’avventura, nei qualil’uomo forte non uccide il nemicoma lo doma e lo consegna alleautorità; le didascalie possonoessere ironiche e prevalgonobuonsenso e buon cuore, il chevalorizza il corpo sullo spirito. Laserie sia avvia con un primo eprecoce spin off, intitolatosemplicemente Maciste, diretto daVincenzo Denizot e Romano LuigiBorgnetto, nel 1915. La vicendamuove dal suo lavoro di attorecinematografico: una fanciulla inpericolo infatti si rifugia in uncinema dove si proietta Cabiria enel vedere le gesta eroiche diMaciste, scrive a Maciste/Paganoalla Itala, per chiedergli aiuto;quindi vediamo Macisteimpegnato su un set e poi per levie di Torino. Questo Maciste nonè più uno schiavo ma un borghesedi pelle bianchissima, che vivenella moderna Torino, benlontano non solo dall’Africa maanche dal Meridione;mostrandolo mentre si tinge lafaccia di nero, si rivela anzi comela sua negritudine fosse solo unmascheramento. Quando ilnazionalismo si intensifica, alloscoppio della prima guerra

mondiale, Maciste viene perciò«sbiancato»; da africano dunquediventa un prototipo di italianità,in un cinema che abbandona itoni alti dello storicismo diCabiria per identificarsi con lagenerosità e la bonomia del«gigante gentile» Maciste, e con laTorino –il Nord - delle automobilie del cinema. Nello scriverequesto impegnativo volume,Reich ha lavorato a strettocontatto col museo del cinema diTorino in un’interazionescientifica evidenziata daun’appendice filologica sulrestauro dei film di Maciste a curadi Claudia Gianetto e StellaDagna, del museo stesso. Danotare infine che Jackie Reich èautrice anche di un interessantelibro su Mastroianni (Beyond theLatin Lover: Mastroianni,Masculinity, Italian Cinema)co-curatrice di un’importanteantologia sul cinema del fascismo,Reviewing Fascism: ItalianCinema, 1922-1943 e, assieme aCatherine O’Rawe, è co-autrice delrecentissimo Divi (Roma, Donzelli,2016), che riprende, in traduzioneitaliana, il tema della mascolinità edel tipo nazionale, ripercorrendo lecarriere di popolari attori italiani, acominciare, naturalmente daMaciste.

*The Maciste Films of ItalianSilent Cinema di Jacqueline Reich(Indiana University Press,Bloomington, 2015)

Jacqueline Reichracconta la storiadell’emblematicopersonaggiodel regime fascista

A pag 4 e 5 «Maciste Alpino», a pag 4 aotto: «Cabiria», a pag 5 locandine e «Macisteet la fille de la vallée» di Tanio Boccia (1964)

Oltre a diventareuna figura cosìpopolare da essereproverbiale, si affermòanche all’estero

Maciste, il cinemacome sussidiario

(5)ALIAS9 APRILE 2016

di GIULIANA MUSCIO

Fin dagli anni OttantaAlberto Farassino e TattiSanguineti avevano individuatouna peculiare forma di divismomaschile, tipica del cinemaitaliano dai tempi del muto, quelladegli «uomini forti», gli eroimuscolosi che sicontrapponevano alle languidedive attaccate alle tende, comeFrancesca Bertini o Lyda Borelli.Jackie Reich nell’importante TheMaciste Films of Italian SilentCinema (*) esamina in modonuovo e approfondito questafigura di divo sui generis, che staalla radice di un’ideologia delmaschile, giocando un ruolocruciale nella costruzionedell’italianità, dell’idea di nazionee di razza. In questo testovoluminoso (400 pagine) eampiamente illustrato, pubblicatodall’Indiana University Press,Reich, che per questa casa editricecura la prestigiosa serie «NewDirections in National Cinemas»,analizza la figura di Maciste,protagonista del più famoso filmitaliano muto, lo spettacolareCabiria (Giovanni Pastrone, 1914)ambientato durante le guerrepuniche. Noto per le elaboratedidascalie scritte da D’Annunzio,il film era caratterizzato daimponenti scenografie, eleganticostumi e grandi scene di massa,ma soprattutto da un linguaggiocinematografico innovativo con iprimi movimenti di macchinadella storia del cinema, un uso diluce artificiale e naturale che

precorreva i tempi, conspettacolari (per l’epoca) effettispeciali nell’eruzione del vulcano,o nel mostrare Annibale cheattraversa le Alpi, oltre a un usosofisticato della colorazione. Nelfilm, prodotto dalla casa torineseItala, Maciste è uno schiavonumida, ovvero un africano dipelle scura, che assieme al suopadrone, Fulvio Axilla, un romanoche fa controspionaggio aCartagine, salva Cabiria, unafanciulla romana rapita dai perfidicartaginesi, un attimo prima chevenga sacrificata al dio Moloch, inun intreccio avventuroso nonscevro da un certo umorismo.L’intreccio tipico del cinemastorico coinvolgeva infatti ungiovane innamorato di unaschiava o di una donnaprigioniera, una nutrice e/o unoschiavo fedele, un rivale scaltro el’eroe muscoloso che pur essendouno schiavo era portatore di unafede o di un ideale superiore(cristianità, impero). Il modelloera Quo Vadis? (Enrico Guazzoni,1913) che con l’uso dellaprofondità di campo, ottimafotografia e scene spettacolari,con grandi masse di comparse,conquistò i mercato mondiali,imponendo il formato dellungometraggio, mentre in USAGriffith confezionava ancora filmdi due rulli per la Biograph. Primadi Maciste c’erano già stati quindiUrsus, che liberava la fanciulla

cristiana legata alla schiena deltoro in Quo Vadis?, e lo schiavoribelle Spartacus. Cabiria fu ungrosso successo commerciale e dicritica in tutto il mondo;interpretato da uno scaricatoredel porto di Genova, BartolomeoPagano, e diventato da subito

immensamente popolare, ilpersonaggio di Maciste venneripreso tra il 1915 e il 1926, in unaventina di film avventurosi (alcunigirati in Germania e altrico-prodotti dagli americani) etrasformato in un uomo d’azionemoderno, bianco e nazionalista,

un eroe del popolo del qualeMussolini, che fisicamente gliassomiglia, ricalca in seguito pose(come le braccia conserte) el’espressione col mento protruso.«Maciste collegava efficacementeil passato e il presente dellanazione - scrive la Reich, - e in

una peculiare convergenza tra lapolitica italiana e intrattenimento,la sua fama anticipò quella diMussolini». Infatti il cinema –l’artenazionale per eccellenza –siintreccia fittamente con lapolitica: il fascismo stesso presealcuni dei propri simboli dalcinema storico, come i fasci littori,l’iconografia e i riti dell’imperoromano, saluto incluso, maassorbì anche il disprezzo peristituzioni «inefficaci» come ilsenato e il favore piuttosto per itribuni della plebe. Il cinemastorico italiano si sviluppò aridosso della guerra di Libia; e quista il punto: è proprio durante leimprese coloniali italiane, inparticolare della fatidica conquistadi quella Libia che ancor oggitormenta i nostri sogni, che si ècominciato ad elaborarel’immaginario nazionale (visto che«l’Italia era fatta», ma gli Italianirestavano e restano da fare).L’idea di nazione, cui partecipanientemeno che il vateD’Annunzio, cresce assieme aquesto ibrido razziale, di unMaciste schiavo di Roma, la cuinegritudine appena abbozzataviene rinnegata nei filmsuccessivi, e con essa rimossecolpe e contraddizioni legate alcolonialismo italiano. Il nomeMaciste fu inventato daD’Annunzio stesso; il fatto chefosse uno schiavo africano fudeciso invece da Pastrone, che lodefinisce «mulatto», forseriferendosi alle problematicherazziali suscitate dallacolonizzazione della Libia oispirato dal colore della pelle deglieroi salgariani cui rimandanell’azione del film. In una fittarete di collegamenti culturali,Reich cita in proposito il lavoro diGeorge Mosse che metteva inrelazione il nazionalismo con lamascolinità e in particolare il mitodella forza fisica e del corpo benaddestrato con la nascita deglieserciti professionali, associandoil corpo virile al valore borghesedella moderazione e del controllosessuale; insomma, mens sana incorpore sano. L’esercizio fisicocombinava competizione,esibizione e performance comenel caso di ginnasti e bodybuilders, e si prestava quindi auna spettacolarizzazione filmica,non senza valenze culturali eideologiche, come confermano ilruolo di D’Annunzio, col suosuperomismo e la sua curaossessiva del corpo, nellacreazione di Maciste, ma anchel’immagine di Mussolini che fecedella virilità e della forzamuscolare esibita nei cinegiornali,elementi essenziali della suaiconografia. D’altro cantol’affermazione della mascolinitàcoincide non a caso col momentoin cui le donne entravano nelmondo del lavoro e i ruoli digenere si facevano piùproblematici. Reich collega inoltrela nascita di questo eroemuscolare alla passione perl’educazione fisica che percorre ilmondo a fine Ottocento, che nelcaso dell’Italia, è tesa amascolinizzare il «popolofemmina», ovvero la passivapopolazione del Mezzogiorno, cuii lombrosiani Sergi e Niceforoattribuivano sangue africano.Razza e nazione si intrecciano inmodo contorto nel pregiudizioantimeridionalista – un altrogrande rimosso della culturanazionale. In pieno positivismonazionalista gli italiani vengonodivisi da una pseudoscienzarazzista in africani e ariani, mafacenti parte entrambi di unastirpe peculiare, «mediterranea»,che affronta le guerre colonialiprima e il conflitto mondiale poicon questo stigma razziale dacorreggere, per cui «l’uomo forte»anche in senso fisico, è unanecessità ideologica per nonconfondere la propria immagine

con quella dei popoli «inferiori» diun’Africa brutalizzata. Mentre glistudiosi di cultura italiana negliStati Uniti hanno dedicato inquesti anni grande attenzione allaquestione della razza e del genere,al colonialismo e all’emigrazione,l’assenza o quasi di riflessione suquesti temi in Italia produce nonsolo una storiografia spessoprovinciale e di scarso impattointerpretativo, che per l’appuntonon spiega la fragilità dell’identitàdi nazione, le differenzeNord/Sud, un maschilismo benpiù radicato di quanto non sivoglia ammettere, e uninconfessato razzismo, che non siidentifica solo nel colore magenericamente con la diversità.Ma ciò che non si studia a scuola,ciò che non si elabora a livello dicultura popolare, torna come unriflusso gastrointestinale,vomitando un pericoloso fieleideologico che distrugge in primisl’organismo stesso che lo produce.Dopo il successo di CabiriaMaciste divenne una figuraautonoma, in pellicole prodotteanche durante la grave crisi che inpratica affossò l’industriacinematografica italiana neglianni Venti, con una capatina inGermania per tre film e poi una

ripresa italiana con Pittaluga, conil celebre Maciste all’Inferno, cheera il film cult di Fellini.«Utilizzando sia le ricercheprecedenti che nuove fontid’archivio, questo studio sostieneche Maciste e il suo corpomuscoloso giocarono un ruolocruciale nel racconto che ilcinema italiano fece dell’identitàdi una nazione unificata prima,durante e dopo la prima guerramondiale per un pubbliconazionale e internazionale» spiegaReich nell’introduzione,sottolineando come oltre adiventare una figura così popolareda essere proverbiale, Macistefosse famoso anche all’estero. Ilpersonaggio del Macistepost-Cabiria abbandona l’anticaRoma per l’Italia coeva el’incarnato scuro per una purarazza ariana, trasformandosi daschiavo di Roma a cittadinoitaliano, borghese in doppiopetto,impegnato in diverse funzioni:Maciste alpino o Maciste eroeseriale, detective, uomo d’azione,domatore, imperatore, ma sempreeroe generoso. Rimane costanteanche l’immagine del corpomuscoloso, che apparteneva a unimmaginario molto radicato, dallastatuaria classica all’arte del

Rinascimento e al classicismo del secolo deilumi, fino alla moda del nudo maschile dellaprima fotografia o delle prime immagini inmovimento (Marais, Muybridge). I film diMaciste non erano frettolose opere seriali, maveri e propri lungometraggi, costosi e ricchi dieffetti speciali (come nel caso di Macisteall’Inferno, o per la ricorrente presenza dicatastrofi naturali che richiedevano il suointervento salvifico) e con scenografie pernulla povere; Pagano fu del resto la starmaschile più pagata del cinema italiano muto.I temi del nazionalismo, del corpo e dellamascolinità non si esprimono dunque nelcinema italiano muto attraverso l’epica, comenel cinema americano, ma piuttosto nei film diMaciste, venati di ironia, che fondevano alcunigeneri delle origini come il seriale diinseguimento, il comico, il film storico e ildetective, avvalendosi di una ambientazionemoderna, sia urbana che rurale. Non eraquindi un cinema provinciale o passatistacome quello delle dive, ma un prodottopopolare in diretta competizione col cinemaamericano, e in particolare con i filmacrobatici e ironici di Douglas Fairbanks, unmodello di serialità che attraverso Tarzan edErcole arriva fino agli eroi della Dc Comics edella Marvel. Basandosi su accurate ricerched’archivio, sia sui documenti che con lavisione dei film, e su studi di genere e culturali,Reich non si muove solo al livello macrodell’interpretazione storica, ma raccontaanche il dettaglio del product placement neifilm di Maciste delle auto Diatto, la casaconcorrente della FIAT a Torino, dove i film diMaciste vennero prodotti, documentandoanche a livello industriale i rapporti tra duenascenti industrie della modernità, cinema eautomobile, nella città sabauda. Non vadimenticato infatti il dettaglio per nullasecondario che il cinema muto italiano eraall’epoca, assieme a quello francese, il cinema

più popolare nel mondo e il piùavanzato, con le prime formedivistiche e un racconto delcinema storico che si indirizza alpubblico sia borghese siapopolare, creando un linguaggioche in un paese di analfabetidiventava una sorta di sussidiarionazionale. La comparazioneimplicita nel libro è quindi tra undivismo maschile, fondatosull’affermazione dell’uomomediterraneo nella sfera pubblica(mentre il mondo delle donne

vive nel privato); la bellezzarimane attributo del divismofemminile mentre degli attoriuomini si parla di rado in terminidi bellezza. Secondo Reich, le divefacevano parte di uno spazioetereo, «ultraterreno» come iltermine stesso di «diva», dea,suggeriva, laddove gli «uominiforti» erano calati nella realtàterrena della vita quotidiana, conuna buona dose di realismoiconografico. Rispetto ad altri filmcomici o seriali i film di Macisteavevano un arco narrativo piùampio e un montaggio più veloce,

animato dai movimenti dimacchina, rispetto ai primi piani eai tempi solenni del diva-film, conuna fusione tra attore epersonaggio che diventa tipica delseriale italiano, fino agli spaghettiwestern. Il genere degli uominiforti usa topoi del detective, delcomico e dell’avventura, nei qualil’uomo forte non uccide il nemicoma lo doma e lo consegna alleautorità; le didascalie possonoessere ironiche e prevalgonobuonsenso e buon cuore, il chevalorizza il corpo sullo spirito. Laserie sia avvia con un primo eprecoce spin off, intitolatosemplicemente Maciste, diretto daVincenzo Denizot e Romano LuigiBorgnetto, nel 1915. La vicendamuove dal suo lavoro di attorecinematografico: una fanciulla inpericolo infatti si rifugia in uncinema dove si proietta Cabiria enel vedere le gesta eroiche diMaciste, scrive a Maciste/Paganoalla Itala, per chiedergli aiuto;quindi vediamo Macisteimpegnato su un set e poi per levie di Torino. Questo Maciste nonè più uno schiavo ma un borghesedi pelle bianchissima, che vivenella moderna Torino, benlontano non solo dall’Africa maanche dal Meridione;mostrandolo mentre si tinge lafaccia di nero, si rivela anzi comela sua negritudine fosse solo unmascheramento. Quando ilnazionalismo si intensifica, alloscoppio della prima guerra

mondiale, Maciste viene perciò«sbiancato»; da africano dunquediventa un prototipo di italianità,in un cinema che abbandona itoni alti dello storicismo diCabiria per identificarsi con lagenerosità e la bonomia del«gigante gentile» Maciste, e con laTorino –il Nord - delle automobilie del cinema. Nello scriverequesto impegnativo volume,Reich ha lavorato a strettocontatto col museo del cinema diTorino in un’interazionescientifica evidenziata daun’appendice filologica sulrestauro dei film di Maciste a curadi Claudia Gianetto e StellaDagna, del museo stesso. Danotare infine che Jackie Reich èautrice anche di un interessantelibro su Mastroianni (Beyond theLatin Lover: Mastroianni,Masculinity, Italian Cinema)co-curatrice di un’importanteantologia sul cinema del fascismo,Reviewing Fascism: ItalianCinema, 1922-1943 e, assieme aCatherine O’Rawe, è co-autrice delrecentissimo Divi (Roma, Donzelli,2016), che riprende, in traduzioneitaliana, il tema della mascolinità edel tipo nazionale, ripercorrendo lecarriere di popolari attori italiani, acominciare, naturalmente daMaciste.

*The Maciste Films of ItalianSilent Cinema di Jacqueline Reich(Indiana University Press,Bloomington, 2015)

Jacqueline Reichracconta la storiadell’emblematicopersonaggiodel regime fascista

A pag 4 e 5 «Maciste Alpino», a pag 4 aotto: «Cabiria», a pag 5 locandine e «Macisteet la fille de la vallée» di Tanio Boccia (1964)

Oltre a diventareuna figura cosìpopolare da essereproverbiale, si affermòanche all’estero

Maciste, il cinemacome sussidiario

(6) ALIAS9 APRILE 2016‟

di F.E.

Il gioco di ruolo giapponeseclassico qualcuno lo ritiene estintoo così lo vorrebbe, ma non lo è. Loribadisce Bravely Second End Layerper Nintendo 3DS con un rigoreche non esclude l’innovazione deicanoni del genere, risultando cosìun’operazione di restauro erilancio. Seguito diretto di BravelyDefault, tanto da risultare godibilesoprattutto da chi ha trascorsoinnumerevoli ore con questo,Bravely Second è l’opera ideale perchi è cresciuto giocando ai primiFinal Fantasy, Dragon Quest oLunar Silver Star Story e percepisceun vuoto nel mercato di oggi, chetende a virare le dinamiche tattichedei giochi di ruolo nipponici versoun’azione più fisica, realistica emeno riflessiva. Qui, come nel suopredecessore, i combattimentisono rigorosamente a turni e cilasciano il tempo di meditare sullaprossima azione del nostro partycome se stessimo valutando lamossa di una partita a scacchi. Ilrisultato è quello di un piacerestrategico «antico» amplificatodall’opzione di sacrificare le gesta

di uno dei quattro personaggi peraccumularle e scatenarle una diseguito all’altra e da un sofisticato«job system», ovvero la possibilitàdi mutare classe al carattere peracquisire costumi, abilità e armidiverse. Possiamo quindi deciderela carriera degli eroi secondo lenostre preferenze che tuttavia sonoinfluenzate dal bilanciamento dellacompagnia; non conviene averepersonaggi votati solo alcombattimento ma capaci dicurare, difendere e lanciare magie.Bisogna dunque usare le tanteclassi disponibili in manieradinamica per adattare i personaggialle diverse sfide proposte.

Questa volta il protagonista èl’impacciato e colto Yew,accompagnato da Magnolia,travolgente fanciulla lunare. Lacompagnia è composta da quattropersonaggi ma riguardo agli altridue è saggio mantenere il riserboper non turbare la sorpresa a chideve ancora cominciare il gioco.Sono trascorsi due anni e mezzodagli eventi conclusivi di BravelyDefault e un nuovo male si stascatenando sulle terre ancorasconvolte dal ricordo recente diguerre e catastrofi. Il tono di questosequel è più scanzonato,addirittura comico se comparato aquello così tragico del primoepisodio, tuttavia non illuda lasuperficie illusoriamente vaga, lacomponente narrativa include deipicchi drammatici sconvolgenti tratanta leggerezza.

Da vedere, nelle tre dimensionidel 3DS, Bravely Second è bellodella bellezza di un acquarello dalsoggetto fantastico o

dell’illustrazione di un libro difiabe. Ogni scenario è disegnato amano e che sia una forestaombrosa tra le cui fronde filtranorari raggi di luce o un villaggio cherilegge quello dei Sette Samuraiattraverso i colori di Miyazaki,invita l’occhio a soffermarvisi conamore e a smarrirsi nei suoidettagli. L’ispirata, talvoltafantascientifica,colonna sonora diRyo riesce a fondersi con poeticaefficacia all’evoluzione della tramae all’incedere dell’azione econviene giocare indossando degliauricolari per favorire oltremodol’immedesimazione.

Epopea portatile da vivereovunque aprendo squarci fantasticinella realtà di tutti i giorni, BravelySecond non è una fuga dal mondomalgrado il tema fantasy, poichécon il nostro presente intrattieneun profondo rapporto dialettico,fino a infrangere la barriera chedovrebbe dividere chi gioca daipersonaggi che controlla. Perchégli eroi di Bravely Second, cosìcome quelli del suo prequel,«sanno» che c’è qualcuno che lista osservando e aiutando oltrel’effimero schermo del 3DS.

di FRANCESCO MAZZETTA

La leggenda di Arslan è unasaga fantasy di notevole successoin Giappone tanto da contare 14romanzi scritti da Yoshiki Tanakaa partire dal 1986, un adattamentomanga realizzato da ChisatoNakamura dal 1993 al 1996, film,serie televisive animate, unvideogioco prodotto nel 1993 perla consolle Sega CD e, dal 2013 unnuovo adattamento a fumetti acura di Hiromu Arakawa, giàautrice di Fullmetal Alchemist. Laversione di Arakawa, pur nonancora terminata, è oggetto di unvideogioco, prodotto da KoeiTecmo per PS4 e Xbox One: Arslanthe Warriors of Legend. Assieme alvideogioco arriva in Italia il mangadi Arakawa pubblicato dalladivisione Planet Manga di PaniniComics ed al momento sono uscitii primi tre volumi.

Il manga, almeno a giudicaredai primi volumi pubblicati, è uncapolavoro. Il disegno e lacomposizione delle tavole diArakawa può essere definita unasorta di «linea chiara» nipponica: idisegni sono puliti ed essenziali, latavola costruita in modo classico,senza la sovrabbondanza di segnicinetici e la destrutturazioneimpressionista (ma di faticosalettura soprattutto perl’occidentale che deve subire lalettura al contrario delle pagine)di tanto manga in voga. Unastruttura grafica che serve nontanto a celebrarenarcisisticamente se stessa ma adessere messa piuttosto al servizio

di una storia coinvolgente cheviene narrata da Arakawa inmaniera graficamente esemplare.Per quanto formalmente si ispirialle vicende narrate nell’epicapersiana relativa a Amir Arsalan-eNamdar, è illuminante quantoTanaka dice nell’intervistacompresa nel primo volume delmanga: «Esiste un archetipo di sto-ria, un classico dei Fratelli Grimm odi altre opere ambientate in mondifantastici, in cui un giovane allevatoin una piccola casa in mezzo al bo-sco scopre di avere in realtà sanguereale che gli scorre nelle vene... e dalì comincia una serie di prove. Holetto numerose storie di questo tipo,e così mi è venuto in mente: "cosasuccederebbe se provassi a scrivereuna storia che invece è il contra-rio?». Il protagonista è Arslan,figlio unico del re Andragoras che

- a differenza della fama da grancondottiero del padre - èconsiderato debole e inadatto algoverno e tantomeno alla guidadel potente esercito di Pars che hafama d’invincibilità. In realtàArslan è non solo sottovalutato dalsuo popolo, ma trattato confreddezza pure dai genitori e puòfare affidamento solo su Daryun,già condottiero ma degradato asemplice guerriero per aver osatoassumere un atteggiamentoprudente prima della battagliacampale contro il principalenemico del regno di Pars: i Lusitani.Proprio il conflitto tra Pars eLusitani aggiunge una profonditàinsospettata alla narrazione: Tanakae Arakawa ci mettono di fronteinfatti ad uno scontro di civiltà chein certa misura ricorda quelloodierno tra il cosiddetto Occidenteed il terrorismo islamico (puressendo stato scritto ben prima chequest’ultimo assurgesse apreoccupazione di livellointernazionale).

Nel regno di Pars c’è infatti unasocietà laica con una religionepoliteista molto blandamenteperseguita che basa però la suaeconomia e prosperità sullaschiavitù. I lusitani al contrariosono monoteisti fondamentalisti econducono guerre che vedono ilbarbaro sterminio di tutti coloroche non accettano di abbracciare lafede in Yaldabaoth ma dichiaranotutti i fedeli uguali di fronte a dioconsiderando dunque ignobile laschiavitù. E proprio sulla ribellionedegli schiavi i generali lusitanibasano le proprie speranze diprendere la fortezza Pars. Ma,esattamente come nello scenarioreale contemporaneo, lo scontrodelle ideologie di natura religiosa èsolo un pretesto per altreambizioni, nel manga benincarnate nel generale mascheratoche ha condotto alla vittoria learmate lusitane considerandoleperò barbari indegni. Se in questoscenario l’adolescente Arslansembra il classico vaso di coccio, inrealtà dimostrerà passo passo disaper sobbarcarsi sulle spalle ildestino del suo regno, grazie ancheai saggi e valorosi guerrieri che siraccolgono attorno a lui.

Il videogioco ripropone in stilehack’n’slash nipponico (o «musou»)gli avvenimenti del manga (la

grafica dei personaggi - eccellente -si rifà infatti allo stile di Arakawa)dove dobbiamo combattere controi nemici sia in combattimenti unocontro uno - ripetibili contro unavversario umano nella modalità«free mode» - sia in epichebattaglie contro ondate di soldatinemici.

Due però sono i limiti del gioco:il primo è che ha il parlato ingiapponese con i sottotitoli ininglese (e anche se fossero initaliano è difficile seguirli nelbel mezzo di una battaglia) edil secondo è che svelaprotagonisti e colpi di scenamolto prima che il manga vengapubblicato, rovinando perciò ilpiacere della lettura.

di FEDERICO ERCOLE

Un bambino passeggia neiboschi che vegetano attorno acasa, guadando freddi ruscelli,esplorando gli ombrosi cunicolicelati tra i cespugli di rovi,costruendo fragili archi di legnoper combattere i mostri fittizi diuna realtà quotidiana sublimatadall’immaginazione. È il piccoloShigeru Miyamoto, futuroinventore di Super Mario, checonservò il ricordo di quelleinfantili e sognanti gesta giocoseper trasformarlo successivamentein una fantasia che tutti avrebberopotuto condividere: Legend ofZelda, vertice universaledell’epopea fantasy interattivauscito nel 1986 in Giappone sullaprima console di Nintendo. Ful’opera che mutò drasticamente ilconcetto di attività videoludicadomestica, da allora non solo piùun passatempo ma esperienzaemozionale e protratta nel tempo,per la quale fu necessarioinventare un rivoluzionariosistema di salvataggio affinché ilgiocatore potesse riprendere lapartita dal punto in cui l’avevasospesa, il segnalibro virtuale di unvolume di fiabe elettronico le cuipagine ci trasformano inprotagonisti. Non è un caso che ilpersonaggio principale di questasaga trentennale si chiami sempreLink, in giapponese Rinku, chesignifica «collegamento», poichétramite quel verde-vestito ragazzodi pochissimi bit fu sancito unlegame tra il giocatore e il mondovirtuale del videogame dalla nuovae potente intensità suggestiva.

Nel corso degli anni sono uscitenumerose «leggende» per lepiattaforme di Nintendo, ognunadelle quali è sempre stata epocalecome portatrice di invenzioni eidee che avrebbero influenzato ilmodo di immaginare il videogiococome medium e di costruirlo;tuttavia sebbene i mondi sianocangianti e le storie seguano soloraramente la progressionecronologica caratteristica deiseguiti, ci sono sempre unaprincipessa Zelda e un Linkattraverso cui possiamo lottare perla salvezza.

In occasione del trentennaledell’opera di Miyamoto, Nintendopubblica per Wii U la riedizione in

alta definizione di uno degliepisodi dal tono più oscuro emalinconico della serie, ovveroLegend of Zelda Twilight Princess,che uscì originariamente nel 2006.Il travestimento in HD dell’epopeadella Principessa del Crepuscolorisulta efficace per esaltare ogniprezioso dettaglio di un mondoche sta scivolando nell’ombrapervertita da una malvagiabarbarie ma che contiene, anchedurante il collasso, una tenebrosabellezza che spetterà a chi giocariportare alla luce. Link questavolta è il pastore di un piccolovillaggio e la nostra prima attivitàsarà ricondurre alla stalla unbranco di capre pigre che siattardano al pascolo. Il preludiobucolico dura poco perché conuna violenza improvvisa esconvolgente il male intervienesulla pace campestre e unostraniante crepuscolo ricopre leterre prima amene. Alla non-lucedi questo crudele buio dorato Linksi trasforma in un lupo grigio dagliocchi blu guidato da Midna, unapiccola creatura fatata dolce cosìcome inquietante, che ciintrodurrà alla principessa Zelda efavorirà il ritorno del giovane eroealle sue sembianze di ragazzo. Madurante tutto il gioco l’alternanzatra forma umana e bestiale saràinevitabile, tramutandol’esperienza di gioco in unarilettura eroica della licantropia.

La struttura ludica è classica,illusoriamente conservatriceperché in realtà rivoluziona la sagain maniera sottile con la suaqualità metamorfica e gli accentipiù epici che favolosi. Quando uscìalla fine del 2006 Twilight Princessfu disponibile per la Wii,implementando le caratteristichesperimentali del controller con ilsensore di movimento. Il pad conlo schermo sensibile al tocco delWii U, con cui si gioca la riedizionein HD, offre invece un sistema dicontrollo tradizionale che risultatuttavia più efficace e preciso. Siesplora quindi un mondo vasto diselve, monti e pianure fino araggiungere i micidiali templilabirinto, i sotterranei invasi dalleacque e le polverose segrete la cuiarchitettonica complessità didedali richiederà la risoluzione dienigmi e il superamento di provedi coraggio contro creature ostili.

Ogni panorama palpita di unfascino cupo condizionatodall’idea di una struggente fineimminente. È percepibile la poesiadel commiato del sole al mondo inquel momento definitivo e dalcosmogonico valore simbolicodurante il quale l’ultimo raggiodell’astro cede alla prossima nottee sorge il dubbio ancestrale che letenebre possano essere infinite.Nella storia delle Leggende diZelda l’unico altro gioco che puòessere paragonato per il tono tetroa Twilight Princess è quellalunatica meditazione sul tempoche è Majora’s Mask, ma in

quest’ultimo vi sono accentigrotteschi assenti nell’avventuracrepuscolare di cui si tratta,diversissima eppure magicamentecorrispondente, di John Milius.

Ancora una volta Legend ofZelda ci fa giocare con la musica,trasformando la console in unostrumento musicale quando«suoniamo» gli ululati delLink-lupo, momenti straordinari diuna ferinità sonora che diviene lasolitaria sinfonia di un figlio dellanotte che piange l’estinzione delgiorno. Così il buio, ce lo insegnaMidna, non è il Male, per il qualela tenebra è solo un funzionalemanto rubato alla natura, poichéin esso c’è la stessa gentilezza egiustizia del lucore mattutino. Imalefici antagonisti in TwilightPrincess abusano dell’ombrosacortesia del crepuscolo,pervertendone l’oscurità ecorrompendola. Dovremo giocareper decine di ore questa lungaavventura per redimere l’oscuritàdall’aura di paura che puòsuscitare all’essere umano erestituirle infine la sua buia dignitàe la sonnolenta, misteriosa quiete.Twilight Princess non vaconsiderato un nipponico Innoalla Notte neo-romantico, maun’elegia metaforica sull’amoreindissolubile e ambiguo tra latenebra della notte e la luce delgiorno.

VIDEOGIOCHI

Da una sagadi gran successo,un lavoro prodottoda Koei Tecmoe un mangarealizzato daHiromu Arakawa,dalla strutturagrafica esemplare

GAMES

In occasione deltrentennaledell’opera diMiyamoto, escela riedizionedi uno degli episodidal tono più oscuroe malinconicodella serie

Protagonistadel nuovo capitolodel gioconipponico,è l’impacciatoe colto Yewaccompagnatoda Magnolia, unafanciulla «lunare»

NINTENDO WII U

La leggendadi Zelda,l’epopea fantasydella giovaneprincipessadel crepuscolo

PS4 E XBOXONE «LA LEGGENDA DI ARSLAN»

La strana favoladel principediventa scontrotra civiltà

NINTENDO 3DS

Bravely SecondEnd Layer,se combatterediventa solouna «questionedi classe»...

(7)ALIAS9 APRILE 2016

di F.E.

Il gioco di ruolo giapponeseclassico qualcuno lo ritiene estintoo così lo vorrebbe, ma non lo è. Loribadisce Bravely Second End Layerper Nintendo 3DS con un rigoreche non esclude l’innovazione deicanoni del genere, risultando cosìun’operazione di restauro erilancio. Seguito diretto di BravelyDefault, tanto da risultare godibilesoprattutto da chi ha trascorsoinnumerevoli ore con questo,Bravely Second è l’opera ideale perchi è cresciuto giocando ai primiFinal Fantasy, Dragon Quest oLunar Silver Star Story e percepisceun vuoto nel mercato di oggi, chetende a virare le dinamiche tattichedei giochi di ruolo nipponici versoun’azione più fisica, realistica emeno riflessiva. Qui, come nel suopredecessore, i combattimentisono rigorosamente a turni e cilasciano il tempo di meditare sullaprossima azione del nostro partycome se stessimo valutando lamossa di una partita a scacchi. Ilrisultato è quello di un piacerestrategico «antico» amplificatodall’opzione di sacrificare le gesta

di uno dei quattro personaggi peraccumularle e scatenarle una diseguito all’altra e da un sofisticato«job system», ovvero la possibilitàdi mutare classe al carattere peracquisire costumi, abilità e armidiverse. Possiamo quindi deciderela carriera degli eroi secondo lenostre preferenze che tuttavia sonoinfluenzate dal bilanciamento dellacompagnia; non conviene averepersonaggi votati solo alcombattimento ma capaci dicurare, difendere e lanciare magie.Bisogna dunque usare le tanteclassi disponibili in manieradinamica per adattare i personaggialle diverse sfide proposte.

Questa volta il protagonista èl’impacciato e colto Yew,accompagnato da Magnolia,travolgente fanciulla lunare. Lacompagnia è composta da quattropersonaggi ma riguardo agli altridue è saggio mantenere il riserboper non turbare la sorpresa a chideve ancora cominciare il gioco.Sono trascorsi due anni e mezzodagli eventi conclusivi di BravelyDefault e un nuovo male si stascatenando sulle terre ancorasconvolte dal ricordo recente diguerre e catastrofi. Il tono di questosequel è più scanzonato,addirittura comico se comparato aquello così tragico del primoepisodio, tuttavia non illuda lasuperficie illusoriamente vaga, lacomponente narrativa include deipicchi drammatici sconvolgenti tratanta leggerezza.

Da vedere, nelle tre dimensionidel 3DS, Bravely Second è bellodella bellezza di un acquarello dalsoggetto fantastico o

dell’illustrazione di un libro difiabe. Ogni scenario è disegnato amano e che sia una forestaombrosa tra le cui fronde filtranorari raggi di luce o un villaggio cherilegge quello dei Sette Samuraiattraverso i colori di Miyazaki,invita l’occhio a soffermarvisi conamore e a smarrirsi nei suoidettagli. L’ispirata, talvoltafantascientifica,colonna sonora diRyo riesce a fondersi con poeticaefficacia all’evoluzione della tramae all’incedere dell’azione econviene giocare indossando degliauricolari per favorire oltremodol’immedesimazione.

Epopea portatile da vivereovunque aprendo squarci fantasticinella realtà di tutti i giorni, BravelySecond non è una fuga dal mondomalgrado il tema fantasy, poichécon il nostro presente intrattieneun profondo rapporto dialettico,fino a infrangere la barriera chedovrebbe dividere chi gioca daipersonaggi che controlla. Perchégli eroi di Bravely Second, cosìcome quelli del suo prequel,«sanno» che c’è qualcuno che lista osservando e aiutando oltrel’effimero schermo del 3DS.

di FRANCESCO MAZZETTA

La leggenda di Arslan è unasaga fantasy di notevole successoin Giappone tanto da contare 14romanzi scritti da Yoshiki Tanakaa partire dal 1986, un adattamentomanga realizzato da ChisatoNakamura dal 1993 al 1996, film,serie televisive animate, unvideogioco prodotto nel 1993 perla consolle Sega CD e, dal 2013 unnuovo adattamento a fumetti acura di Hiromu Arakawa, giàautrice di Fullmetal Alchemist. Laversione di Arakawa, pur nonancora terminata, è oggetto di unvideogioco, prodotto da KoeiTecmo per PS4 e Xbox One: Arslanthe Warriors of Legend. Assieme alvideogioco arriva in Italia il mangadi Arakawa pubblicato dalladivisione Planet Manga di PaniniComics ed al momento sono uscitii primi tre volumi.

Il manga, almeno a giudicaredai primi volumi pubblicati, è uncapolavoro. Il disegno e lacomposizione delle tavole diArakawa può essere definita unasorta di «linea chiara» nipponica: idisegni sono puliti ed essenziali, latavola costruita in modo classico,senza la sovrabbondanza di segnicinetici e la destrutturazioneimpressionista (ma di faticosalettura soprattutto perl’occidentale che deve subire lalettura al contrario delle pagine)di tanto manga in voga. Unastruttura grafica che serve nontanto a celebrarenarcisisticamente se stessa ma adessere messa piuttosto al servizio

di una storia coinvolgente cheviene narrata da Arakawa inmaniera graficamente esemplare.Per quanto formalmente si ispirialle vicende narrate nell’epicapersiana relativa a Amir Arsalan-eNamdar, è illuminante quantoTanaka dice nell’intervistacompresa nel primo volume delmanga: «Esiste un archetipo di sto-ria, un classico dei Fratelli Grimm odi altre opere ambientate in mondifantastici, in cui un giovane allevatoin una piccola casa in mezzo al bo-sco scopre di avere in realtà sanguereale che gli scorre nelle vene... e dalì comincia una serie di prove. Holetto numerose storie di questo tipo,e così mi è venuto in mente: "cosasuccederebbe se provassi a scrivereuna storia che invece è il contra-rio?». Il protagonista è Arslan,figlio unico del re Andragoras che

- a differenza della fama da grancondottiero del padre - èconsiderato debole e inadatto algoverno e tantomeno alla guidadel potente esercito di Pars che hafama d’invincibilità. In realtàArslan è non solo sottovalutato dalsuo popolo, ma trattato confreddezza pure dai genitori e puòfare affidamento solo su Daryun,già condottiero ma degradato asemplice guerriero per aver osatoassumere un atteggiamentoprudente prima della battagliacampale contro il principalenemico del regno di Pars: i Lusitani.Proprio il conflitto tra Pars eLusitani aggiunge una profonditàinsospettata alla narrazione: Tanakae Arakawa ci mettono di fronteinfatti ad uno scontro di civiltà chein certa misura ricorda quelloodierno tra il cosiddetto Occidenteed il terrorismo islamico (puressendo stato scritto ben prima chequest’ultimo assurgesse apreoccupazione di livellointernazionale).

Nel regno di Pars c’è infatti unasocietà laica con una religionepoliteista molto blandamenteperseguita che basa però la suaeconomia e prosperità sullaschiavitù. I lusitani al contrariosono monoteisti fondamentalisti econducono guerre che vedono ilbarbaro sterminio di tutti coloroche non accettano di abbracciare lafede in Yaldabaoth ma dichiaranotutti i fedeli uguali di fronte a dioconsiderando dunque ignobile laschiavitù. E proprio sulla ribellionedegli schiavi i generali lusitanibasano le proprie speranze diprendere la fortezza Pars. Ma,esattamente come nello scenarioreale contemporaneo, lo scontrodelle ideologie di natura religiosa èsolo un pretesto per altreambizioni, nel manga benincarnate nel generale mascheratoche ha condotto alla vittoria learmate lusitane considerandoleperò barbari indegni. Se in questoscenario l’adolescente Arslansembra il classico vaso di coccio, inrealtà dimostrerà passo passo disaper sobbarcarsi sulle spalle ildestino del suo regno, grazie ancheai saggi e valorosi guerrieri che siraccolgono attorno a lui.

Il videogioco ripropone in stilehack’n’slash nipponico (o «musou»)gli avvenimenti del manga (la

grafica dei personaggi - eccellente -si rifà infatti allo stile di Arakawa)dove dobbiamo combattere controi nemici sia in combattimenti unocontro uno - ripetibili contro unavversario umano nella modalità«free mode» - sia in epichebattaglie contro ondate di soldatinemici.

Due però sono i limiti del gioco:il primo è che ha il parlato ingiapponese con i sottotitoli ininglese (e anche se fossero initaliano è difficile seguirli nelbel mezzo di una battaglia) edil secondo è che svelaprotagonisti e colpi di scenamolto prima che il manga vengapubblicato, rovinando perciò ilpiacere della lettura.

di FEDERICO ERCOLE

Un bambino passeggia neiboschi che vegetano attorno acasa, guadando freddi ruscelli,esplorando gli ombrosi cunicolicelati tra i cespugli di rovi,costruendo fragili archi di legnoper combattere i mostri fittizi diuna realtà quotidiana sublimatadall’immaginazione. È il piccoloShigeru Miyamoto, futuroinventore di Super Mario, checonservò il ricordo di quelleinfantili e sognanti gesta giocoseper trasformarlo successivamentein una fantasia che tutti avrebberopotuto condividere: Legend ofZelda, vertice universaledell’epopea fantasy interattivauscito nel 1986 in Giappone sullaprima console di Nintendo. Ful’opera che mutò drasticamente ilconcetto di attività videoludicadomestica, da allora non solo piùun passatempo ma esperienzaemozionale e protratta nel tempo,per la quale fu necessarioinventare un rivoluzionariosistema di salvataggio affinché ilgiocatore potesse riprendere lapartita dal punto in cui l’avevasospesa, il segnalibro virtuale di unvolume di fiabe elettronico le cuipagine ci trasformano inprotagonisti. Non è un caso che ilpersonaggio principale di questasaga trentennale si chiami sempreLink, in giapponese Rinku, chesignifica «collegamento», poichétramite quel verde-vestito ragazzodi pochissimi bit fu sancito unlegame tra il giocatore e il mondovirtuale del videogame dalla nuovae potente intensità suggestiva.

Nel corso degli anni sono uscitenumerose «leggende» per lepiattaforme di Nintendo, ognunadelle quali è sempre stata epocalecome portatrice di invenzioni eidee che avrebbero influenzato ilmodo di immaginare il videogiococome medium e di costruirlo;tuttavia sebbene i mondi sianocangianti e le storie seguano soloraramente la progressionecronologica caratteristica deiseguiti, ci sono sempre unaprincipessa Zelda e un Linkattraverso cui possiamo lottare perla salvezza.

In occasione del trentennaledell’opera di Miyamoto, Nintendopubblica per Wii U la riedizione in

alta definizione di uno degliepisodi dal tono più oscuro emalinconico della serie, ovveroLegend of Zelda Twilight Princess,che uscì originariamente nel 2006.Il travestimento in HD dell’epopeadella Principessa del Crepuscolorisulta efficace per esaltare ogniprezioso dettaglio di un mondoche sta scivolando nell’ombrapervertita da una malvagiabarbarie ma che contiene, anchedurante il collasso, una tenebrosabellezza che spetterà a chi giocariportare alla luce. Link questavolta è il pastore di un piccolovillaggio e la nostra prima attivitàsarà ricondurre alla stalla unbranco di capre pigre che siattardano al pascolo. Il preludiobucolico dura poco perché conuna violenza improvvisa esconvolgente il male intervienesulla pace campestre e unostraniante crepuscolo ricopre leterre prima amene. Alla non-lucedi questo crudele buio dorato Linksi trasforma in un lupo grigio dagliocchi blu guidato da Midna, unapiccola creatura fatata dolce cosìcome inquietante, che ciintrodurrà alla principessa Zelda efavorirà il ritorno del giovane eroealle sue sembianze di ragazzo. Madurante tutto il gioco l’alternanzatra forma umana e bestiale saràinevitabile, tramutandol’esperienza di gioco in unarilettura eroica della licantropia.

La struttura ludica è classica,illusoriamente conservatriceperché in realtà rivoluziona la sagain maniera sottile con la suaqualità metamorfica e gli accentipiù epici che favolosi. Quando uscìalla fine del 2006 Twilight Princessfu disponibile per la Wii,implementando le caratteristichesperimentali del controller con ilsensore di movimento. Il pad conlo schermo sensibile al tocco delWii U, con cui si gioca la riedizionein HD, offre invece un sistema dicontrollo tradizionale che risultatuttavia più efficace e preciso. Siesplora quindi un mondo vasto diselve, monti e pianure fino araggiungere i micidiali templilabirinto, i sotterranei invasi dalleacque e le polverose segrete la cuiarchitettonica complessità didedali richiederà la risoluzione dienigmi e il superamento di provedi coraggio contro creature ostili.

Ogni panorama palpita di unfascino cupo condizionatodall’idea di una struggente fineimminente. È percepibile la poesiadel commiato del sole al mondo inquel momento definitivo e dalcosmogonico valore simbolicodurante il quale l’ultimo raggiodell’astro cede alla prossima nottee sorge il dubbio ancestrale che letenebre possano essere infinite.Nella storia delle Leggende diZelda l’unico altro gioco che puòessere paragonato per il tono tetroa Twilight Princess è quellalunatica meditazione sul tempoche è Majora’s Mask, ma in

quest’ultimo vi sono accentigrotteschi assenti nell’avventuracrepuscolare di cui si tratta,diversissima eppure magicamentecorrispondente, di John Milius.

Ancora una volta Legend ofZelda ci fa giocare con la musica,trasformando la console in unostrumento musicale quando«suoniamo» gli ululati delLink-lupo, momenti straordinari diuna ferinità sonora che diviene lasolitaria sinfonia di un figlio dellanotte che piange l’estinzione delgiorno. Così il buio, ce lo insegnaMidna, non è il Male, per il qualela tenebra è solo un funzionalemanto rubato alla natura, poichéin esso c’è la stessa gentilezza egiustizia del lucore mattutino. Imalefici antagonisti in TwilightPrincess abusano dell’ombrosacortesia del crepuscolo,pervertendone l’oscurità ecorrompendola. Dovremo giocareper decine di ore questa lungaavventura per redimere l’oscuritàdall’aura di paura che puòsuscitare all’essere umano erestituirle infine la sua buia dignitàe la sonnolenta, misteriosa quiete.Twilight Princess non vaconsiderato un nipponico Innoalla Notte neo-romantico, maun’elegia metaforica sull’amoreindissolubile e ambiguo tra latenebra della notte e la luce delgiorno.

VIDEOGIOCHI

Da una sagadi gran successo,un lavoro prodottoda Koei Tecmoe un mangarealizzato daHiromu Arakawa,dalla strutturagrafica esemplare

GAMES

In occasione deltrentennaledell’opera diMiyamoto, escela riedizionedi uno degli episodidal tono più oscuroe malinconicodella serie

Protagonistadel nuovo capitolodel gioconipponico,è l’impacciatoe colto Yewaccompagnatoda Magnolia, unafanciulla «lunare»

NINTENDO WII U

La leggendadi Zelda,l’epopea fantasydella giovaneprincipessadel crepuscolo

PS4 E XBOXONE «LA LEGGENDA DI ARSLAN»

La strana favoladel principediventa scontrotra civiltà

NINTENDO 3DS

Bravely SecondEnd Layer,se combatterediventa solouna «questionedi classe»...

(8) ALIAS9 APRILE 2016‟

di F.D.L.

Il sottosuolo della capitaledel mezzogiorno è ricco di grottee cunicoli, gallerie e cisterne,catacombe e vasche, anfrattirocciosi e scavi amatoriali ed èormai diventato la nuovaattrazione cittadina con un’offertavariegata di esplorazioni epercorsi segreti, abitualmentecalpestati da residenti, turisti,semplici curiosi. Le caverne sonostate principalmente scavate dagliuomini,se pensiamo al misteriosoAntro della Sibilla (nella zona diCuma) o alla Crypta Neapolitana(la mitica Grotta di Posillipo,secondo la leggenda realizzata daVirgilio e cantata da Goethe) finoad arrivare all’odierno cinemaMetropolitan, ricavato dallespettacolari grotte in zona Chiaia,le vasche d’ittiocultura inventatedai Romani. Sono stati prima icoloni greci più di tremila anni fae poi gli antichi concittadini diGiulio Cesare a scavare le primecave sotterranee per ricavare iblocchi di tufo, roccia d’originevulcanica facile da tagliare e moltoresistente, per costruire le muracittadine e tanti edifici maestosi.Poi la storia di Napoli ricorda nel537 Belisario, generale diGiustiniano imperatore, cheassedia la città per liberarla daiGoti. E dopo alcuni mesi trova iljolly, il reticolo dell’acquedottosotterraneo che gli permetted’entrare per aprire le porte del

municipio e farsi strada trasaccheggi e uccisioni. Stessastrada, percorsa novecento annidopo, da Alfonso d’Aragona perimpadronirsi della città con le suetruppe. E poi naturalmente ipozzari (o cavamonti), i lavoratoriidraulici che avevano la cura diuna fitta schiera di sorgentinascoste, alle radici di un’altrafigura del folklore napoletano, ‘oMunaciello, spiritello domesticovestito con l’abito bianco e nerodei monaci, «buono con chi lorispetta e dispettoso con chi lomaltratta», un piccolo demoniocon poteri soprannaturali ches’affacciava a sorpresa nelle casepopolari provenendo dal basso etroverebbe riparo nelle rovine diantichi monasteri.

Da oltre 30 anni, NapoliSotterranea offre escursioni neiluoghi più affascinanti e suggestivisotto il calpestio della città. Unmondo a parte, per molto ancorainesplorato, isolato nella suaquiete millenaria eppurestrettamente collegato con la città.È il grembo di Napoli, da cui essastessa è nata. Napoli Sotterranea èstata la prima organizzazione a

«curare» quello che c’era sotto iltracciato di strade e giardini.Inizialmente si trattava di itinerarie opere lasciate in abbandono erecuperate con un sapiente lavorodi ripulitura e valorizzazione. Nelcuore della città greco-romana, inPiazza San Gaetano, a pochi passida san Lorenzo Maggiore, cheospita, a diversi metri diprofondità, magazzini e manufattiromani, c’è l’ingresso di NapoliSotterranea, che organizzaescursioni, anche a lume dicandele e di torce, tra gallerie,cunicoli e cisterne. Durantel’escursione oltre ad ammirare iresti dell’antico acquedottogreco-romano e dei rifugi antiaereidella Seconda Guerra Mondiale, sivisiteranno il Museo della Guerra(nato nel 2008, in esposizionemateriali, oggetti e documentirelativi al periodo che va dalgiugno 1940 a settembre 1943)., gliOrti Ipogei (www.ortipogei.it), laStazione Sismica «Arianna» e i restidell’antico Teatro greco-romano,accessibili da una proprietàprivata, un edificio abitato chel’ingloba attualmente.

Residui di arredi, graffiti e vari

oggetti in ottimo stato diconservazione testimonianoancora oggi la grande paura deibombardamenti e i numerosiperiodi della giornata vissuti neirifugi, facendo riemergere unospaccato di vita importante e altempo stesso tragico della storiacittadina.

Il museo del Sottosuolo, unastruttura abbastanza recente econ una programmazione diletture, spettacoli teatrali e altro, sitrova a venticinque metri diprofondità, nel sottosuolo dipiazza Cavour. In un dedalo dicunicoli e cave di tufo c’era unodei più noti rifugio anti-aereo ditutta la città: un posto frequentatoda migliaia e migliaia dinapoletani. Ebbene, nello stessoluogo, a distanza di oltre mezzosecolo, grazie all’iniziativa e aldesiderio del presidente delCentro Speleologico Meridionale,Clemente Esposito, è statoricavato un sito altamentesuggestivo, in cui si condensanosecoli di storia made inPartenope.

Ad aiutarlo e a sostenerlo, inquesta difficile opera, tanti amici evolontari tra cui Luca Cuttitta,attuale gestore della strutturamuseale. È attraverso la loro operae quella delle guide messe adisposizione che, infatti, lemeraviglie celate di Neapolispossono mostrarsi al pubblico.

L’ingresso al Museo si trova apochi passi dalla linea 2 dellaMetropolitana: un’anonimaporticina, fronte strada, accoglie ilvisitatore proiettandolo, come permagia, in un viaggio a ritroso neltempo, nelle paure antiche. Nelmuseo sotterraneo è statarealizzata una vera e propriaopera di riambientazione ricca dicimeli e testimonianze dell’epoca,che il pubblico può ammirarenelle ampie sale del complesso dipiazza Cavour: si va dalle lucernead olio agli antichi picconi edutensili utilizzati, nel corso deisecoli, dai cavatori napoletani; daicocci di anfore impiegati perprelevare l’acqua, alle ampolle ealla strumentazione medicaappartenute, un tempo, aun’antica farmacia rinvenuta nelcentro storico.

Tutti reperti di scavo, magariprivi di valore artistico, maintensamente impregnati di quelfascino che solo la storia è ingrado di infondere agli oggetti.

di FLAVIANO DE LUCA

Per immergersi nelle visceredi Napoli bisogna scendere alcunecentinaia di gradini, in un scalastretta e ripida. Siamo in un postocentrale, storico e sorprendente, ilmagnifico palazzo Serra diCassano situato sulla collina diPizzofalcone, culla del talento edello spirito cittadino, oggi sededell’Istituto Italiano per gli StudiFilosofici, costruito dalla nobilefamiglia partenopea, con unportone su via Egiziaca rimastochiuso per due secoli in segno dilutto per la morte di GennaroSerra di Cassano, uno dei giovanipatrioti idealisti, uccisi daireazionari sanfedisti all’epocadella Repubblica Napoletana, nel1799. Da lì parte il nuovo (marisale al XVI secolo, per i vari livellidi tufo scavati) percorsosotterraneo chiamato «La via dellamemoria», inaugurato nei mesiscorsi, dopo un lavoro durato unpaio d’anni dell’AssociazioneBorbonica Sotterranea, un gruppodi appassionati con speleologi,ingegneri, biologi che ha scavato eripulito l’itinerario da macerie edetriti depositati nel tempo. UnaNapoli di sotto umida eaffascinante, dagli spazi enormi edai passaggi angusti. Un museosospeso nel tempo, sotto il monte

Echia, la montagna dove i grecifecero sorgere i primiinsediamenti dei coloni. Un luogodi suprema bellezza e fascino.

Il viadotto sotterraneo oggichiamato Galleria Borbonicavenne ideato nell’Ottocento pervolontà di Ferdinando II diBorbone. Erano gli anni dellerivolte liberali, i famosi moti del1848, e i regnanti temevano per lacorona e anche per la loroincolumità. Fu deciso, allora, dicollegare «in maniera rapida ediscreta» il Palazzo Reale con unosbocco sul mare nei pressi diPiazza della Vittoria, alla Riviera diChiaia, dove si trovavano anche lecaserme delle milizie, in modo dapoter disporre e muovere i soldatiin maniera occulta. Tuttavia lagrande e alta via sotterranea dicollegamento, su progettodell’architetto Errico Alvino, nonfu realizzata completamente per inumerosi problemi dovuti allamorfologia dei luoghi, anche perl’incontro con le ramificazioniseicentesche dell’acquedotto dellaBolla. La Galleria Borbonica,infatti, nel suo percorso incrocia lemastodontiche Cave Carafa (XVIsec.), il bacino di tufo da cui siestraeva materiale per lecostruzioni di Napoli ma anche lecisterne di età romana e i cunicolidell'acquedotto seicentesco delCarmignano che serviva la città edin particolare la zona diPizzofalcone. I lavori andaronoavanti realizzati totalmente a

mano con picconi, martelli ecunei, e con l’ausilio diilluminazione fornita da torce.Così la strada correva sotto piazzaCarolina nel cortile che si trovaalle spalle del colonnato di Piazzadel Plebiscito, con una lunghezzadi 431 metri. Lo scavo non arrivò,quindi, mai a Palazzo Realerimanendo, fino alla secondaguerra mondiale, anche senzauscita. Alla morte del sovrano, nel1859, i lavori rimasero incompiuti.

Nella Seconda Guerra Mondialela galleria (ed alcune cisternelimitrofe) venne riscoperta eriutilizzata come rifugio antiaereo,da migliaia di napoletani. Qui sirifugiava la popolazione quandosuonava l’allarme deibombardamenti e si verificòl’occasione di dover restare alchiuso per alcuni giorni. Così lospazio venne attrezzato conimpianto elettrico, brande perdormire, fornelli per cucinare elatrine. Per consentire un accessosicuro alle persone, vennerorealizzate diverse aperture; inparticolare, fu fatta una scala achiocciola, proprio nel punto incui erano terminati i lavoridell’architetto Alvino, checonsentiva l’accesso alla Galleriada Piazza Carolina. Al contempo,su gran parte delle pareti e dellevolte degli ambienti, fu stesa dellacalce bianca con il duplice intentodi evitare la disgregazione del tufoe di migliorare la luminosità deglispazi. Al termine del conflitto, lospazio venne di nuovoabbandonato e trasformato indeposito giudiziario dovetrovarono riparo auto rubate osequestrate, in parte ancoraattualmente visibili. E ci sonoanche numerose vestigia diquell’epoca, in particolare lescritte di quelli che vi passaronogran tempo, come «26 aprile 1943– allarme delle 13.20».

Nell'agosto 2013, GianlucaMinin ed Enzo de Luzioiniziarono a scavare all'interno diuna cisterna del ‘600, adiacentealla Galleria Borbonica, cercandoil passaggio verso il ricoverobellico del Palazzo Serra diCassano, utilizzato per diversotempo anche dall'ex Presidentedella Repubblica Giorgio

Napolitano. Dopo diversi mesi, ilpassaggio emerse dai detriticonsentendo di entrare in unaserie di ambienti di epochediverse, su più livelli collegati dabellissime scale. Tutto risultava ingran parte riempito da detritiderivanti dai resti degli edificibombardati nella parte alta diMonte di Dio e versati subito, altempo della guerra, nei pozzi; icomponenti dell’associazioneBorbonica Sotterranea, con l’aiutodi decine di volontari, hannorimosso tutti i materialiconsentendo il recupero di unaporzione rilevante del sottosuolodella città. Gli ambienti superioricostituiscono le cave da cui fuestratto il tufo per la realizzazionedel primo insediamentocinquecentesco dell’edificio e perquello che diventerà nel 1718 ilnuovo palazzo della famiglia Serradi Cassano, su disegnodell’architetto FerdinandoSanfelice. Durante il periodobellico, si ampliò la scala giàesistente di collegamento tra ilpalazzo con i suoi ambientisotterranei, che furonoopportunamente allargati emodificati. All'interno delricovero, esiste un ambienteriservato alla Milizia Fascista dovec’era il telefono che consentiva aimilitari di coordinare le lorofunzioni operative anche durante ibombardamenti. La scala ècostituita da 115 gradini che,partendo dal basso, terminanosotto il pavimento dello spaziopolivalente Interno A14 , gestitodalla presidente VincenzaDonzelli, un’artista che lavorariutilizzando i frammenti dellepiastrelle decorate, recuperatenegli scavi, e polverizzate perriprodurre paesaggi napoletani.Proprio qui, la soglia di pochicentimetri è stata demolita dalbasso nel momentodell'inaugurazione del percorso,ripristinando il passaggio chiusodopo la guerra.

Così, una volta scesi i gradini inun cunicolo stretto concorrimano, si arriva in un grandeambiente con grotte, muri dicontenimento, altre scalediscendenti con una volta altafino a dodici metri e si passa negli

altri ambienti, due in particolare,di fascino davvero insolito esublime. Un’antica cisterna delseicentesco acquedotto di Napoli,con l’apparenza di una piscinadall’acqua azzurroverde confaretti e una ringhiera di sicurezzae una grande ed estesa fungaia,uno spazio molto ampio e moltoalto, con una notevole umidità,dove sono state messe dellecoltivazioni di funghi cornucopiabianchi dal profumo intenso, unaraccolta assai generosa conl’intento di avviarne anche unaprossima commercializzazione. El’altra grande galleria allagata,dove è possibile andare in girocon una zattera (che trasportafino a quattordici persone) in uncorso d’acqua, a quaranta metri diprofondità, causato dai lavori perla metropolitana leggera, la lineatranviaria rapida, prevista per imondiali di calcio del 1990. Ilavori vennero sospesi e il lungotunnel abbandonato si è coltempo e con le piogge riempitod’acqua. L’esperienza in zattera,in completo silenzio, è davverounica e straordinaria. Si effettuasolo durante il weekend e su

prenotazione.Oggi la Galleria Borbonica ha

due ingressi, uno nei pressi dipiazza Plebiscito in vico delGrottone 4 e un altro in viaDomenico Morelli, al quale siaccede attraverso il parcheggio.Sono i due punti finali delpercorso sotterraneo, visitabilesoltanto prendendo parte a unavisita guidata. La Galleria offre un«Percorso Standard», checonsente di passeggiare all'internodella Galleria, nei settori delricovero bellico e nelle cisternedell'acquedotto. Il «PercorsoAvventura» consente di ammirarepregevoli cisterne del '500 e del'600 e di navigare su una zatteraall'interno di una galleria dellametropolitana abbandonata edinvasa dall'acqua. Il «PercorsoSpeleo» consente di addentrarsi,dotati di tute, caschi e luci, neicunicoli e nelle cisternedell'acquedotto alla ricerca disimboli realizzati nel tufo e divolare con una telefericaall'interno di un'enorme cisternaseicentesca. E poi, l'ultimoarrivato, la «Via delle Memorie»,un viaggio incredibile nelle cavedel Palazzo Serra di Cassano.

Ci sono numerosi autoveicoli emotoveicoli, liberati dai cumuli didetriti alti 8 metri, da una Fiat 508Barilla a una preziosa Alfa Romeo2500 SS cabriolet Pinin Farina, uncamioncino per le consegnealimentari ed ancora unautenticocimitero di Vespe eLambrette sequestratedall’autorità giudiziaria. Sonostate rinvenute parecchie statue diepoche diverse tra le quali l’interomonumento funebre del capitanoAurelio Padovani, pluridecoratocapitano dei bersaglieri nel primoconflitto mondiale e fondatore delpartito fascista napoletano. Ilmonumento fu posto nel 1934nella piazza Santa Maria degliAngeli in Pizzofalcone ma fu poiprontamente smantellato eoccultato alla caduta del regime.Oggi una serie di ragazzi,preparati e competenti, fanno daguida agli anfratti più reconditidella città, accompagnando turistie visitatori in questo magnificoitinerario nel ventre della Napolimeno conosciuta.

Anche il sindaco Luigi DeMagistris ha partecipatoall’inaugurazione del nuovo itinerario«La via delle memorie». Per GianlucaMinin, presidente dell’AssociazioneBorbonica Sotterranea: «Sotto unamontagna alta 15 metri di detriti èstata, inoltre, rinvenuta una secondascala monumentale che collega gliambienti superiori con il sottostanteacquedotto della Bolla; unameravigliosa cisterna di fine ‘600 sipresenterà riempita d’acqua: inpassato, l'acqua veniva prelevatadirettamente dal cortile minore delPalazzo Serra di Cassano attraversoun pozzo profondo 36 m. Il percorsoprosegue poi fino ad un’enormecisterna, all'interno della quale è statacreata una coltivazione di funghi».Questi ambienti appartenevano primaal Demanio Statale e sono, invece,passati negli ultimi mesi del 2015 alComune di Napoli che li ha concessi,per un certo numero di anni, alleassociazioni civiche.

UN POZZO DI 36 METRI

A sinistra, il percorso chimato «La via delle memorie»; a destra, in basso, la coltivazione di funghi

VISITE

NapoliSotterraneala più antica,spettacoli e pauraal Museodel Sottosuolo

Inauguratol’itinerarioche dalle cavitàdi Palazzo Serradi Cassano portanel viadottocostruito dalletruppe borbonichenel 1853

Scendiamoin Galleria,grembo antico

(9)ALIAS9 APRILE 2016

di F.D.L.

Il sottosuolo della capitaledel mezzogiorno è ricco di grottee cunicoli, gallerie e cisterne,catacombe e vasche, anfrattirocciosi e scavi amatoriali ed èormai diventato la nuovaattrazione cittadina con un’offertavariegata di esplorazioni epercorsi segreti, abitualmentecalpestati da residenti, turisti,semplici curiosi. Le caverne sonostate principalmente scavate dagliuomini,se pensiamo al misteriosoAntro della Sibilla (nella zona diCuma) o alla Crypta Neapolitana(la mitica Grotta di Posillipo,secondo la leggenda realizzata daVirgilio e cantata da Goethe) finoad arrivare all’odierno cinemaMetropolitan, ricavato dallespettacolari grotte in zona Chiaia,le vasche d’ittiocultura inventatedai Romani. Sono stati prima icoloni greci più di tremila anni fae poi gli antichi concittadini diGiulio Cesare a scavare le primecave sotterranee per ricavare iblocchi di tufo, roccia d’originevulcanica facile da tagliare e moltoresistente, per costruire le muracittadine e tanti edifici maestosi.Poi la storia di Napoli ricorda nel537 Belisario, generale diGiustiniano imperatore, cheassedia la città per liberarla daiGoti. E dopo alcuni mesi trova iljolly, il reticolo dell’acquedottosotterraneo che gli permetted’entrare per aprire le porte del

municipio e farsi strada trasaccheggi e uccisioni. Stessastrada, percorsa novecento annidopo, da Alfonso d’Aragona perimpadronirsi della città con le suetruppe. E poi naturalmente ipozzari (o cavamonti), i lavoratoriidraulici che avevano la cura diuna fitta schiera di sorgentinascoste, alle radici di un’altrafigura del folklore napoletano, ‘oMunaciello, spiritello domesticovestito con l’abito bianco e nerodei monaci, «buono con chi lorispetta e dispettoso con chi lomaltratta», un piccolo demoniocon poteri soprannaturali ches’affacciava a sorpresa nelle casepopolari provenendo dal basso etroverebbe riparo nelle rovine diantichi monasteri.

Da oltre 30 anni, NapoliSotterranea offre escursioni neiluoghi più affascinanti e suggestivisotto il calpestio della città. Unmondo a parte, per molto ancorainesplorato, isolato nella suaquiete millenaria eppurestrettamente collegato con la città.È il grembo di Napoli, da cui essastessa è nata. Napoli Sotterranea èstata la prima organizzazione a

«curare» quello che c’era sotto iltracciato di strade e giardini.Inizialmente si trattava di itinerarie opere lasciate in abbandono erecuperate con un sapiente lavorodi ripulitura e valorizzazione. Nelcuore della città greco-romana, inPiazza San Gaetano, a pochi passida san Lorenzo Maggiore, cheospita, a diversi metri diprofondità, magazzini e manufattiromani, c’è l’ingresso di NapoliSotterranea, che organizzaescursioni, anche a lume dicandele e di torce, tra gallerie,cunicoli e cisterne. Durantel’escursione oltre ad ammirare iresti dell’antico acquedottogreco-romano e dei rifugi antiaereidella Seconda Guerra Mondiale, sivisiteranno il Museo della Guerra(nato nel 2008, in esposizionemateriali, oggetti e documentirelativi al periodo che va dalgiugno 1940 a settembre 1943)., gliOrti Ipogei (www.ortipogei.it), laStazione Sismica «Arianna» e i restidell’antico Teatro greco-romano,accessibili da una proprietàprivata, un edificio abitato chel’ingloba attualmente.

Residui di arredi, graffiti e vari

oggetti in ottimo stato diconservazione testimonianoancora oggi la grande paura deibombardamenti e i numerosiperiodi della giornata vissuti neirifugi, facendo riemergere unospaccato di vita importante e altempo stesso tragico della storiacittadina.

Il museo del Sottosuolo, unastruttura abbastanza recente econ una programmazione diletture, spettacoli teatrali e altro, sitrova a venticinque metri diprofondità, nel sottosuolo dipiazza Cavour. In un dedalo dicunicoli e cave di tufo c’era unodei più noti rifugio anti-aereo ditutta la città: un posto frequentatoda migliaia e migliaia dinapoletani. Ebbene, nello stessoluogo, a distanza di oltre mezzosecolo, grazie all’iniziativa e aldesiderio del presidente delCentro Speleologico Meridionale,Clemente Esposito, è statoricavato un sito altamentesuggestivo, in cui si condensanosecoli di storia made inPartenope.

Ad aiutarlo e a sostenerlo, inquesta difficile opera, tanti amici evolontari tra cui Luca Cuttitta,attuale gestore della strutturamuseale. È attraverso la loro operae quella delle guide messe adisposizione che, infatti, lemeraviglie celate di Neapolispossono mostrarsi al pubblico.

L’ingresso al Museo si trova apochi passi dalla linea 2 dellaMetropolitana: un’anonimaporticina, fronte strada, accoglie ilvisitatore proiettandolo, come permagia, in un viaggio a ritroso neltempo, nelle paure antiche. Nelmuseo sotterraneo è statarealizzata una vera e propriaopera di riambientazione ricca dicimeli e testimonianze dell’epoca,che il pubblico può ammirarenelle ampie sale del complesso dipiazza Cavour: si va dalle lucernead olio agli antichi picconi edutensili utilizzati, nel corso deisecoli, dai cavatori napoletani; daicocci di anfore impiegati perprelevare l’acqua, alle ampolle ealla strumentazione medicaappartenute, un tempo, aun’antica farmacia rinvenuta nelcentro storico.

Tutti reperti di scavo, magariprivi di valore artistico, maintensamente impregnati di quelfascino che solo la storia è ingrado di infondere agli oggetti.

di FLAVIANO DE LUCA

Per immergersi nelle visceredi Napoli bisogna scendere alcunecentinaia di gradini, in un scalastretta e ripida. Siamo in un postocentrale, storico e sorprendente, ilmagnifico palazzo Serra diCassano situato sulla collina diPizzofalcone, culla del talento edello spirito cittadino, oggi sededell’Istituto Italiano per gli StudiFilosofici, costruito dalla nobilefamiglia partenopea, con unportone su via Egiziaca rimastochiuso per due secoli in segno dilutto per la morte di GennaroSerra di Cassano, uno dei giovanipatrioti idealisti, uccisi daireazionari sanfedisti all’epocadella Repubblica Napoletana, nel1799. Da lì parte il nuovo (marisale al XVI secolo, per i vari livellidi tufo scavati) percorsosotterraneo chiamato «La via dellamemoria», inaugurato nei mesiscorsi, dopo un lavoro durato unpaio d’anni dell’AssociazioneBorbonica Sotterranea, un gruppodi appassionati con speleologi,ingegneri, biologi che ha scavato eripulito l’itinerario da macerie edetriti depositati nel tempo. UnaNapoli di sotto umida eaffascinante, dagli spazi enormi edai passaggi angusti. Un museosospeso nel tempo, sotto il monte

Echia, la montagna dove i grecifecero sorgere i primiinsediamenti dei coloni. Un luogodi suprema bellezza e fascino.

Il viadotto sotterraneo oggichiamato Galleria Borbonicavenne ideato nell’Ottocento pervolontà di Ferdinando II diBorbone. Erano gli anni dellerivolte liberali, i famosi moti del1848, e i regnanti temevano per lacorona e anche per la loroincolumità. Fu deciso, allora, dicollegare «in maniera rapida ediscreta» il Palazzo Reale con unosbocco sul mare nei pressi diPiazza della Vittoria, alla Riviera diChiaia, dove si trovavano anche lecaserme delle milizie, in modo dapoter disporre e muovere i soldatiin maniera occulta. Tuttavia lagrande e alta via sotterranea dicollegamento, su progettodell’architetto Errico Alvino, nonfu realizzata completamente per inumerosi problemi dovuti allamorfologia dei luoghi, anche perl’incontro con le ramificazioniseicentesche dell’acquedotto dellaBolla. La Galleria Borbonica,infatti, nel suo percorso incrocia lemastodontiche Cave Carafa (XVIsec.), il bacino di tufo da cui siestraeva materiale per lecostruzioni di Napoli ma anche lecisterne di età romana e i cunicolidell'acquedotto seicentesco delCarmignano che serviva la città edin particolare la zona diPizzofalcone. I lavori andaronoavanti realizzati totalmente a

mano con picconi, martelli ecunei, e con l’ausilio diilluminazione fornita da torce.Così la strada correva sotto piazzaCarolina nel cortile che si trovaalle spalle del colonnato di Piazzadel Plebiscito, con una lunghezzadi 431 metri. Lo scavo non arrivò,quindi, mai a Palazzo Realerimanendo, fino alla secondaguerra mondiale, anche senzauscita. Alla morte del sovrano, nel1859, i lavori rimasero incompiuti.

Nella Seconda Guerra Mondialela galleria (ed alcune cisternelimitrofe) venne riscoperta eriutilizzata come rifugio antiaereo,da migliaia di napoletani. Qui sirifugiava la popolazione quandosuonava l’allarme deibombardamenti e si verificòl’occasione di dover restare alchiuso per alcuni giorni. Così lospazio venne attrezzato conimpianto elettrico, brande perdormire, fornelli per cucinare elatrine. Per consentire un accessosicuro alle persone, vennerorealizzate diverse aperture; inparticolare, fu fatta una scala achiocciola, proprio nel punto incui erano terminati i lavoridell’architetto Alvino, checonsentiva l’accesso alla Galleriada Piazza Carolina. Al contempo,su gran parte delle pareti e dellevolte degli ambienti, fu stesa dellacalce bianca con il duplice intentodi evitare la disgregazione del tufoe di migliorare la luminosità deglispazi. Al termine del conflitto, lospazio venne di nuovoabbandonato e trasformato indeposito giudiziario dovetrovarono riparo auto rubate osequestrate, in parte ancoraattualmente visibili. E ci sonoanche numerose vestigia diquell’epoca, in particolare lescritte di quelli che vi passaronogran tempo, come «26 aprile 1943– allarme delle 13.20».

Nell'agosto 2013, GianlucaMinin ed Enzo de Luzioiniziarono a scavare all'interno diuna cisterna del ‘600, adiacentealla Galleria Borbonica, cercandoil passaggio verso il ricoverobellico del Palazzo Serra diCassano, utilizzato per diversotempo anche dall'ex Presidentedella Repubblica Giorgio

Napolitano. Dopo diversi mesi, ilpassaggio emerse dai detriticonsentendo di entrare in unaserie di ambienti di epochediverse, su più livelli collegati dabellissime scale. Tutto risultava ingran parte riempito da detritiderivanti dai resti degli edificibombardati nella parte alta diMonte di Dio e versati subito, altempo della guerra, nei pozzi; icomponenti dell’associazioneBorbonica Sotterranea, con l’aiutodi decine di volontari, hannorimosso tutti i materialiconsentendo il recupero di unaporzione rilevante del sottosuolodella città. Gli ambienti superioricostituiscono le cave da cui fuestratto il tufo per la realizzazionedel primo insediamentocinquecentesco dell’edificio e perquello che diventerà nel 1718 ilnuovo palazzo della famiglia Serradi Cassano, su disegnodell’architetto FerdinandoSanfelice. Durante il periodobellico, si ampliò la scala giàesistente di collegamento tra ilpalazzo con i suoi ambientisotterranei, che furonoopportunamente allargati emodificati. All'interno delricovero, esiste un ambienteriservato alla Milizia Fascista dovec’era il telefono che consentiva aimilitari di coordinare le lorofunzioni operative anche durante ibombardamenti. La scala ècostituita da 115 gradini che,partendo dal basso, terminanosotto il pavimento dello spaziopolivalente Interno A14 , gestitodalla presidente VincenzaDonzelli, un’artista che lavorariutilizzando i frammenti dellepiastrelle decorate, recuperatenegli scavi, e polverizzate perriprodurre paesaggi napoletani.Proprio qui, la soglia di pochicentimetri è stata demolita dalbasso nel momentodell'inaugurazione del percorso,ripristinando il passaggio chiusodopo la guerra.

Così, una volta scesi i gradini inun cunicolo stretto concorrimano, si arriva in un grandeambiente con grotte, muri dicontenimento, altre scalediscendenti con una volta altafino a dodici metri e si passa negli

altri ambienti, due in particolare,di fascino davvero insolito esublime. Un’antica cisterna delseicentesco acquedotto di Napoli,con l’apparenza di una piscinadall’acqua azzurroverde confaretti e una ringhiera di sicurezzae una grande ed estesa fungaia,uno spazio molto ampio e moltoalto, con una notevole umidità,dove sono state messe dellecoltivazioni di funghi cornucopiabianchi dal profumo intenso, unaraccolta assai generosa conl’intento di avviarne anche unaprossima commercializzazione. El’altra grande galleria allagata,dove è possibile andare in girocon una zattera (che trasportafino a quattordici persone) in uncorso d’acqua, a quaranta metri diprofondità, causato dai lavori perla metropolitana leggera, la lineatranviaria rapida, prevista per imondiali di calcio del 1990. Ilavori vennero sospesi e il lungotunnel abbandonato si è coltempo e con le piogge riempitod’acqua. L’esperienza in zattera,in completo silenzio, è davverounica e straordinaria. Si effettuasolo durante il weekend e su

prenotazione.Oggi la Galleria Borbonica ha

due ingressi, uno nei pressi dipiazza Plebiscito in vico delGrottone 4 e un altro in viaDomenico Morelli, al quale siaccede attraverso il parcheggio.Sono i due punti finali delpercorso sotterraneo, visitabilesoltanto prendendo parte a unavisita guidata. La Galleria offre un«Percorso Standard», checonsente di passeggiare all'internodella Galleria, nei settori delricovero bellico e nelle cisternedell'acquedotto. Il «PercorsoAvventura» consente di ammirarepregevoli cisterne del '500 e del'600 e di navigare su una zatteraall'interno di una galleria dellametropolitana abbandonata edinvasa dall'acqua. Il «PercorsoSpeleo» consente di addentrarsi,dotati di tute, caschi e luci, neicunicoli e nelle cisternedell'acquedotto alla ricerca disimboli realizzati nel tufo e divolare con una telefericaall'interno di un'enorme cisternaseicentesca. E poi, l'ultimoarrivato, la «Via delle Memorie»,un viaggio incredibile nelle cavedel Palazzo Serra di Cassano.

Ci sono numerosi autoveicoli emotoveicoli, liberati dai cumuli didetriti alti 8 metri, da una Fiat 508Barilla a una preziosa Alfa Romeo2500 SS cabriolet Pinin Farina, uncamioncino per le consegnealimentari ed ancora unautenticocimitero di Vespe eLambrette sequestratedall’autorità giudiziaria. Sonostate rinvenute parecchie statue diepoche diverse tra le quali l’interomonumento funebre del capitanoAurelio Padovani, pluridecoratocapitano dei bersaglieri nel primoconflitto mondiale e fondatore delpartito fascista napoletano. Ilmonumento fu posto nel 1934nella piazza Santa Maria degliAngeli in Pizzofalcone ma fu poiprontamente smantellato eoccultato alla caduta del regime.Oggi una serie di ragazzi,preparati e competenti, fanno daguida agli anfratti più reconditidella città, accompagnando turistie visitatori in questo magnificoitinerario nel ventre della Napolimeno conosciuta.

Anche il sindaco Luigi DeMagistris ha partecipatoall’inaugurazione del nuovo itinerario«La via delle memorie». Per GianlucaMinin, presidente dell’AssociazioneBorbonica Sotterranea: «Sotto unamontagna alta 15 metri di detriti èstata, inoltre, rinvenuta una secondascala monumentale che collega gliambienti superiori con il sottostanteacquedotto della Bolla; unameravigliosa cisterna di fine ‘600 sipresenterà riempita d’acqua: inpassato, l'acqua veniva prelevatadirettamente dal cortile minore delPalazzo Serra di Cassano attraversoun pozzo profondo 36 m. Il percorsoprosegue poi fino ad un’enormecisterna, all'interno della quale è statacreata una coltivazione di funghi».Questi ambienti appartenevano primaal Demanio Statale e sono, invece,passati negli ultimi mesi del 2015 alComune di Napoli che li ha concessi,per un certo numero di anni, alleassociazioni civiche.

UN POZZO DI 36 METRI

A sinistra, il percorso chimato «La via delle memorie»; a destra, in basso, la coltivazione di funghi

VISITE

NapoliSotterraneala più antica,spettacoli e pauraal Museodel Sottosuolo

Inauguratol’itinerarioche dalle cavitàdi Palazzo Serradi Cassano portanel viadottocostruito dalletruppe borbonichenel 1853

Scendiamoin Galleria,grembo antico

(10) ALIAS9 APRILE 2016‟

PAGINE UN’IDEA E UNA PROVOCAZIONE: ABOLIRE LE SCUOLE CALCIO

Liberare la fantasia,il piacere di correredietro un pallone

di PASQUALE COCCIA

Abolire le scuole calcioper i bambini, centri diillusioni e di delusioni, e farcorrere i piccoli nei prati dietroa un pallone sotto lo sguardodisinteressato dei genitori.Prova a rovesciare la piramideStefano Benedetti, per oltredieci anni accompagnatore disquadre di bambini nei torneidella Capitale. Punta il ditocontro le 7200 scuole calciosparse lungo la Penisola, natecome funghi a partiredall’inizio degli anni Novantadel secolo scorso, ritenutedall’autore una sorta di reteche assicura profitti agliorganizzatori e imbriglia lafantasia e la voglia matta dicorrere dei bambini. Il libroSognando Messi (Dissensiedizioni, euro 11) raccoglie leriflessioni di Benedetti sullescuole calcio, descrive la lorostruttura, l’organizzazione edenuncia la scarsa formazionedegli allenatori, nelle mani deiquali con certa superficialità igenitori consegnano i lorobambini, che cronometro allamano, salvo rare eccezioni,non giocano più di dieciminuti a partita. Benedettidenuncia la totale mancanza diconsapevolezza, da parte degliallenatori, del ruolo delicatoche svolgono a contatto con ibambini e purtroppo l’unicacosa che sanno fare bene è diurlare durante le partitelle,terrorizzando i bambini chegiocano. Sono allenatoriimprovvisati, privi di unasolida formazione didattica epedagogica, sostiene l’autore,che li definisce senza mezzitermini «malati di agonismo einconsapevoli assertori dellespecializzazioni precoci».

Che fare, dunque, innanzi aquesto quadro desolante?Benedetti propone unasoluzione drastica: chiudere le7200 scuole calcio, dove ognifamiglia per il proprio figliolopaga una retta annua cheoscilla tra i 300 e i 900 euro,abolire i ritiri estivi,scimmiottamento dellesquadre professionistiche,fonte di ulteriori profitti, elasciar correre i bambini dietroal pallone ai giardini o neiprati, lasciarli esprimere contutta la loro fantasia, senzaallenatori, schemi di gioco,preparazione atletica, turni inpanchina. Chi si occuperà deibambini, se chiudono le scuolecalcio? I genitori. Per fare tuttoquesto è necessario garantire arotazione, come impegnocivico, la presenza di un certonumero di genitori, che suglispalti sono i primi cattivimaestri dei loro figli, pronti ainterferire nelle scelte degliallenatori delle squadre dovegiocano i propri pargoli, a

inveire contro l’arbitro, mafuori di quell’ambitopotrebbero limitarsi allavigilanza a bordo prato.Benedetti propone una ricettaoriginale: «Uscire dal nostropiccolo mondo individuale nelquale siamo stati confinati perorganizzare la componenteludica della vita dei bambini efarlo all’aperto, in spazipubblici più o meno attrezzaticon la partecipazione delmaggior numero possibile difamiglie. Si tratta a tutti glieffetti di un impegno sociale.Sarebbe possibile organizzaremanifestazioni calcistiche traquartieri, tra scuole e per farlopotrebbero costituirsi dei“comitati sportivi” confunzioni di coordinamentodelle attività in cui i genitorisarebbero i protagonisti, confunzioni organizzative ed

educative imparando a gestiresituazioni collettive il cui unicointento sarebbe quello diottenere la felicità deibambini». Benedetti proponeuna sorta di comitati diquartiere sportivi autogestiti,l’unica soluzione perché ibambini tornino a giocare e adivertirsi in piena libertà efantasia, propone di chiuderele scuole calcio, e concentrarele energie sulle squadregiovanili, di affidarel’organizzazione e la direzionedegli allenamenti al personalespecializzato delle scuoleelementari e medie, fonte digaranzia riguardo allaformazione tecnica e didattica.

La ricetta di Benedetti saràammantata anche da spiritoromantico, ma ha motivo diessere. Se in Italia nonavessimo il presidente della

Federcalcio Carlo Tavecchio,che parla il linguaggio razzistae discriminatorio assai caro aSalvini e i responsabili delsettore giovanile e scolasticodella Federcalcio, che ormaicambiano con certa frequenza,poco attenti ad ascoltare chi hail polso della periferiacalcistica, Sognando Messipotrebbe rappresentare unbuon programma, oppurebasterebbe copiare il modellotedesco, che ha riorganizzatola struttura del calcio giovanilegià da alcuni anni e non a casoha vinto gli ultimi mondiali dicalcio disputatisi in Brasile,oltre a farsi valere in Europacon le squadre di club. Seinvece volgiamo lo sguardo alcalcio d’Oltralpe, scopriamoche è la Francia a gestire ilcalcio attraverso le scuoleelementari, medie e superiori eciò che per Benedetti è unsogno, nelle scuole francesi èrealtà, non solo il calcio, matutti gli sport hannocampionati per tutti ecampionati di élite. Non a casouna ricerca effettuata daEurobarometro, l’istituto diindagine dei paesi dell’Ue, haaccertato che il miglior sistemasportivo risulta essere quellofrancese, che ha nella scuolal’epicentro organizzativo.

Benedetti propone soluzionipopolari e ci ricorda che intempi di crisi «molte famiglienon possono permettersi laretta della scuola calcio. Albambino non resta chepalleggiare in salotto con ilpallone di gommapiuma pernon disturbare i vicini, perchéal parco non ci sono i suoiamici, impegnati negliallenamenti della scuola calciodel quartiere. Lo sport più bellodel mondo ha cessato di essereanche lo sport maggiormentealla portata di tutti». Ma gliadulti, presi dal loro mondo,non se ne sono accorti.

di LORENZO LONGHI

È stata l’ultima squadraitaliana ad essere eliminata dauna coppa europea, dalla piùimportante: tra le migliori ottodel continente, nel 2016, non cisono né Juventus né Roma, ma ilBrescia sì. Il Brescia CalcioFemminile, per la precisione, ese non fosse stato per il sorteggioche ai quarti l’aveva abbinataalla superpotenza Wolfsburg -già campione d’Europa nel 2013e nel 2014 - forse ci sarebbe statospazio per una storica semifinalein Women’s Champions League.Invece niente, doppio 3-0 e finedell’avventura. Ma ci sono casiin cui un’eliminazione nontoglie nulla al valore diun’impresa. Del resto «la nostrapresenza tra le otto squadre piùforti d’Europa è da considerarsiun miracolo sportivo», dicevaMilena Bertolini, allenatrice delle«gnare» del Brescia, già primadei quarti di finale. Non era unmodo di mettere le mani avanti,ma una constatazione, perché ineffetti è un miracolo sportivoanche la posizione dell’Italia nelranking Fifa femminile, altredicesimo posto nonostante ilsostanziale immobilismofederale. Per dire: gli uominisono quattordicesimi,nonostante risorse infinitamentepiù vaste a disposizione, ebasterebbe questo dato percapire il paradosso che separaciò che è calcio vero e ciò che èpuro dilettantismo, secondo glischemi della Figc. Perché ladifferenza è proprio qui: mentrealtrove il calcio femminile è cosaseria, in Italia fatica a superare ilconcetto stereotipato evagamente caricaturale che necostituisce l'immagineproiettata.

Per questo una figura comequella di Milena Bertolini ènecessaria. Originaria diCorreggio, ex calciatrice, daalcuni anni tecnico di successoe, peraltro, in possessodell’intera collezione diabilitazioni professionali: perintenderci, potrebbe guidareanche i club «pro» (dunquequelli maschili) in qualsiasicategoria. Ma il riconoscimentodel calcio femminile è semprestata la sua missione, tanto cheoltre quindici anni fa fu la primadonna ad essere eletta nelconsiglio federale della Figc, unpasso avanti che lasciavapresagire scenari ben diversi.«Invece - racconta - non c'è maistata una reale volontà dicambiamento a livello disistema, tanto che in Europaanche chi ha iniziato più tardiora viaggia a velocità tripla. InItalia abbiamo 20mila tesserate,in Olanda per fare un esempiosono 140mila nonostante si siacominciato a fare sul serio menodi dieci anni fa. Servirebbero unmodello di sviluppo e nuoverisorse ma, quando si parla dicalcio femminile, lo si fasolamente per fare bella figura. Èvero che all’inizio di questastagione qualche mossa c’èstata. Ma troppo spesso si trattadi slogan». I numeri nonmentono: nel rapporto«Women’s football across theNational associations 2014-2015»redatto dalla Uefa si parla dioltre 1 milione di tesserate inEuropa, 750mila delle qualiUnder 18, segno evidente che ilpallone attrae le donne anchedal punto di vista agonistico,come tutti gli altri sport.

Per capire il livellocontinentale e l’interesse checrea, è indicativa l’identità dellesquadre che si erano affrontateai quarti della Women’sChampions League: oltre aBrescia e Wolfsburg, c’eranoBarcellona e ParisSaint-Germain, Olympique

Lione e Slavia Praga, Francofortee Rosengard. Otto squadre,cinque delle quali specifichesezioni delle rispettive societàmaschili, così come emanazionedella società maschile - proprioquella di Anfield Road - era ilLiverpool femminile, che ilBrescia aveva eliminato inprecedenza dalla competizione.In Italia, invece, per unaFiorentina che sta compiendoesattamente il percorso in quelladirezione («la società dei DellaValle è l’unico clubprofessionistico che dimostra dicredere davvero nel nostromovimento», applaudeBertolini), il resto è tutto figliodell’ingegno e della fermavolontà di sodalizi di provincia,con molte idee e poche risorse.

Appunto come il Brescia, cheha sede a Capriolo, vicino al lagod’Iseo, ma vede scendere sulterreno di gioco le proprieragazze - dalla capitana Cernoiaalla fantasista Rosucci, passandoper il muro difensivo Gama - alcampo sportivo di Mompiano.In sostanza, si gioca davanti apochi eletti e nei campetti a cuifanno da sfondo le recinzionidelle villette. Il tutto mentre inEuropa ci si trova al cospetto di4-5mila spettatori (perché unseguito c’è) e in stadi reali: bastipensare che il Barcellonadisputa le sue gare interne alMiniestadi, il Camp Nou inminiatura che vi sorge accanto, ilLione allo stadio Gerland - e avolte allo Stade de Lyon - e ilWolfsburg, quando l’impegno lorichiede, anche alla VolkswagenArena. L’Uefa ci tiene - la finaledi Champions si disputerà amaggio a Reggio Emilia, unostadio di Serie A - e, per questo,lo stesso Brescia ha giocato leproprie sfide nella massimacompetizione europea alRigamonti. Calcio vero. Trattatocome tale.

È il problema dei problemi: si

chiama professionismo. «Il gap acerti livelli diventa enorme,perché le nostre ragazze sonostudentesse e lavoratrici chefanno sacrifici per questapassione, ricevono rimborsispese ma non possono essere

pagate per essere atlete e perquesto devono guadagnarsi davivere facendo altro. Poi sitrovano ad affrontare chi gioca acalcio per mestiere. Noncerchiamo chissà quali stipendi -aggiunge Bertolini - ma è una

questione di dignità: poter essereprofessioniste sarebbe ilminimo». In realtà il discorso vaoltre il calcio in rosa, perché èesattamente una questione digenere: la legge 91 del 1981,quella che regolò i rapporti tra

società e sportivi, scrisse chiaro etondo che lo sport femminilenon poteva essereprofessionistico. Una leggevecchia di 35 anni, ma ancoraattuale, nel senso che nulla ècambiato e che, per quanto siavero che in alcuni alcune atleteitaliane siano professioniste difatto, de iure - insomma per ildiritto del lavoro - restanodilettanti.

Rimanendo nel calcio, siamolontani anni luce anche daquesto. Risorse? Figurarsi: «Pensiche la squadra che vince loscudetto si porta a casa comepremio la coppa. Esatto,solamente il trofeo: nessuncontributo, altro che televisioni eaiuti da parte della federazione».Del resto, fece epoca la frasedell’ex presidente della LegaDilettanti che, nel corso di unconsiglio del dipartimento calciofemminile, se ne uscì con unsignificativo «basta dare soldi aqueste quattro lesbiche», finito averbale e che gli costò quattromesi di squalifica da parte dellagiustizia sportiva. Bertolini nondimentica: «A livello di vertici,nell’ultimo biennio con certedichiarazioni si è toccato il

fondo», la sua amaraconsiderazione. E in questo èilluminante il «sinora si pensavache le donne fossero un soggettohandicappato rispetto almaschio nella resistenza e nellaespressione atletica, inveceabbiamo riscontrato che sonomolto simili» di CarloTavecchio, oggi presidentefederale, in una vecchiaintervista a Report che ha fatto ilgiro della rete.

Illuminante, già, come il libroche Milena Bertolini, unvulcano di idee, ha curato perAliberti. Uscito lo scorsodicembre, si fregia inpostfazione di un’intervista aCarlo Ancelotti, reggiano comela collega, e ha un titolo icasticoe provocatorio, ma per questomemorabile: Giocare con letette. Lì dentro c’è piùpregiudizio, tanto, che orgoglio,inteso come orgoglio di sistema,non come amor proprio, perchéquello non manca, così comel’ironia: «Un libro storico eantropologico, per spiegarecome mai in Italia la concezionedel calcio femminile è questa eperché fa fatica a cambiare. Maper cambiare bisogna prima ditutto conoscere. E la voglia diconoscere è tale che sa quantigiornalisti erano presenti allaprima conferenza dipresentazione? Nessuno».Touché. Perché il clichénostrano è ancora e semprequello del calcio che non è - nonsarebbe - uno sport persignorine.

Eppure, per una volta, sonostate proprio quelle che giocanocon le tette, e chegiuridicamente possono farlosolo per diletto, l’ultima squadraitaliana a resistere sino ai quartidi una coppa europea.

Milena Bertolini,trainer del Bresciae autricedel libro «Giocarecon le tette», parladella sua squadra,arrivata ai quartidi Champions,e di una disciplinada noi considerataper dilettanti

Chi dice donnadice football

Nel volume«Sognando Messi»,Stefano Benedettine descrivestruttura,organizzazionee denunciala scarsae inadeguataformazionedegli allenatori

A sinistra la squadra di calcio femminile di Brescia, sotto alcuni master calcisticiper under 12

(11)ALIAS9 APRILE 2016

PAGINE UN’IDEA E UNA PROVOCAZIONE: ABOLIRE LE SCUOLE CALCIO

Liberare la fantasia,il piacere di correredietro un pallone

di PASQUALE COCCIA

Abolire le scuole calcioper i bambini, centri diillusioni e di delusioni, e farcorrere i piccoli nei prati dietroa un pallone sotto lo sguardodisinteressato dei genitori.Prova a rovesciare la piramideStefano Benedetti, per oltredieci anni accompagnatore disquadre di bambini nei torneidella Capitale. Punta il ditocontro le 7200 scuole calciosparse lungo la Penisola, natecome funghi a partiredall’inizio degli anni Novantadel secolo scorso, ritenutedall’autore una sorta di reteche assicura profitti agliorganizzatori e imbriglia lafantasia e la voglia matta dicorrere dei bambini. Il libroSognando Messi (Dissensiedizioni, euro 11) raccoglie leriflessioni di Benedetti sullescuole calcio, descrive la lorostruttura, l’organizzazione edenuncia la scarsa formazionedegli allenatori, nelle mani deiquali con certa superficialità igenitori consegnano i lorobambini, che cronometro allamano, salvo rare eccezioni,non giocano più di dieciminuti a partita. Benedettidenuncia la totale mancanza diconsapevolezza, da parte degliallenatori, del ruolo delicatoche svolgono a contatto con ibambini e purtroppo l’unicacosa che sanno fare bene è diurlare durante le partitelle,terrorizzando i bambini chegiocano. Sono allenatoriimprovvisati, privi di unasolida formazione didattica epedagogica, sostiene l’autore,che li definisce senza mezzitermini «malati di agonismo einconsapevoli assertori dellespecializzazioni precoci».

Che fare, dunque, innanzi aquesto quadro desolante?Benedetti propone unasoluzione drastica: chiudere le7200 scuole calcio, dove ognifamiglia per il proprio figliolopaga una retta annua cheoscilla tra i 300 e i 900 euro,abolire i ritiri estivi,scimmiottamento dellesquadre professionistiche,fonte di ulteriori profitti, elasciar correre i bambini dietroal pallone ai giardini o neiprati, lasciarli esprimere contutta la loro fantasia, senzaallenatori, schemi di gioco,preparazione atletica, turni inpanchina. Chi si occuperà deibambini, se chiudono le scuolecalcio? I genitori. Per fare tuttoquesto è necessario garantire arotazione, come impegnocivico, la presenza di un certonumero di genitori, che suglispalti sono i primi cattivimaestri dei loro figli, pronti ainterferire nelle scelte degliallenatori delle squadre dovegiocano i propri pargoli, a

inveire contro l’arbitro, mafuori di quell’ambitopotrebbero limitarsi allavigilanza a bordo prato.Benedetti propone una ricettaoriginale: «Uscire dal nostropiccolo mondo individuale nelquale siamo stati confinati perorganizzare la componenteludica della vita dei bambini efarlo all’aperto, in spazipubblici più o meno attrezzaticon la partecipazione delmaggior numero possibile difamiglie. Si tratta a tutti glieffetti di un impegno sociale.Sarebbe possibile organizzaremanifestazioni calcistiche traquartieri, tra scuole e per farlopotrebbero costituirsi dei“comitati sportivi” confunzioni di coordinamentodelle attività in cui i genitorisarebbero i protagonisti, confunzioni organizzative ed

educative imparando a gestiresituazioni collettive il cui unicointento sarebbe quello diottenere la felicità deibambini». Benedetti proponeuna sorta di comitati diquartiere sportivi autogestiti,l’unica soluzione perché ibambini tornino a giocare e adivertirsi in piena libertà efantasia, propone di chiuderele scuole calcio, e concentrarele energie sulle squadregiovanili, di affidarel’organizzazione e la direzionedegli allenamenti al personalespecializzato delle scuoleelementari e medie, fonte digaranzia riguardo allaformazione tecnica e didattica.

La ricetta di Benedetti saràammantata anche da spiritoromantico, ma ha motivo diessere. Se in Italia nonavessimo il presidente della

Federcalcio Carlo Tavecchio,che parla il linguaggio razzistae discriminatorio assai caro aSalvini e i responsabili delsettore giovanile e scolasticodella Federcalcio, che ormaicambiano con certa frequenza,poco attenti ad ascoltare chi hail polso della periferiacalcistica, Sognando Messipotrebbe rappresentare unbuon programma, oppurebasterebbe copiare il modellotedesco, che ha riorganizzatola struttura del calcio giovanilegià da alcuni anni e non a casoha vinto gli ultimi mondiali dicalcio disputatisi in Brasile,oltre a farsi valere in Europacon le squadre di club. Seinvece volgiamo lo sguardo alcalcio d’Oltralpe, scopriamoche è la Francia a gestire ilcalcio attraverso le scuoleelementari, medie e superiori eciò che per Benedetti è unsogno, nelle scuole francesi èrealtà, non solo il calcio, matutti gli sport hannocampionati per tutti ecampionati di élite. Non a casouna ricerca effettuata daEurobarometro, l’istituto diindagine dei paesi dell’Ue, haaccertato che il miglior sistemasportivo risulta essere quellofrancese, che ha nella scuolal’epicentro organizzativo.

Benedetti propone soluzionipopolari e ci ricorda che intempi di crisi «molte famiglienon possono permettersi laretta della scuola calcio. Albambino non resta chepalleggiare in salotto con ilpallone di gommapiuma pernon disturbare i vicini, perchéal parco non ci sono i suoiamici, impegnati negliallenamenti della scuola calciodel quartiere. Lo sport più bellodel mondo ha cessato di essereanche lo sport maggiormentealla portata di tutti». Ma gliadulti, presi dal loro mondo,non se ne sono accorti.

di LORENZO LONGHI

È stata l’ultima squadraitaliana ad essere eliminata dauna coppa europea, dalla piùimportante: tra le migliori ottodel continente, nel 2016, non cisono né Juventus né Roma, ma ilBrescia sì. Il Brescia CalcioFemminile, per la precisione, ese non fosse stato per il sorteggioche ai quarti l’aveva abbinataalla superpotenza Wolfsburg -già campione d’Europa nel 2013e nel 2014 - forse ci sarebbe statospazio per una storica semifinalein Women’s Champions League.Invece niente, doppio 3-0 e finedell’avventura. Ma ci sono casiin cui un’eliminazione nontoglie nulla al valore diun’impresa. Del resto «la nostrapresenza tra le otto squadre piùforti d’Europa è da considerarsiun miracolo sportivo», dicevaMilena Bertolini, allenatrice delle«gnare» del Brescia, già primadei quarti di finale. Non era unmodo di mettere le mani avanti,ma una constatazione, perché ineffetti è un miracolo sportivoanche la posizione dell’Italia nelranking Fifa femminile, altredicesimo posto nonostante ilsostanziale immobilismofederale. Per dire: gli uominisono quattordicesimi,nonostante risorse infinitamentepiù vaste a disposizione, ebasterebbe questo dato percapire il paradosso che separaciò che è calcio vero e ciò che èpuro dilettantismo, secondo glischemi della Figc. Perché ladifferenza è proprio qui: mentrealtrove il calcio femminile è cosaseria, in Italia fatica a superare ilconcetto stereotipato evagamente caricaturale che necostituisce l'immagineproiettata.

Per questo una figura comequella di Milena Bertolini ènecessaria. Originaria diCorreggio, ex calciatrice, daalcuni anni tecnico di successoe, peraltro, in possessodell’intera collezione diabilitazioni professionali: perintenderci, potrebbe guidareanche i club «pro» (dunquequelli maschili) in qualsiasicategoria. Ma il riconoscimentodel calcio femminile è semprestata la sua missione, tanto cheoltre quindici anni fa fu la primadonna ad essere eletta nelconsiglio federale della Figc, unpasso avanti che lasciavapresagire scenari ben diversi.«Invece - racconta - non c'è maistata una reale volontà dicambiamento a livello disistema, tanto che in Europaanche chi ha iniziato più tardiora viaggia a velocità tripla. InItalia abbiamo 20mila tesserate,in Olanda per fare un esempiosono 140mila nonostante si siacominciato a fare sul serio menodi dieci anni fa. Servirebbero unmodello di sviluppo e nuoverisorse ma, quando si parla dicalcio femminile, lo si fasolamente per fare bella figura. Èvero che all’inizio di questastagione qualche mossa c’èstata. Ma troppo spesso si trattadi slogan». I numeri nonmentono: nel rapporto«Women’s football across theNational associations 2014-2015»redatto dalla Uefa si parla dioltre 1 milione di tesserate inEuropa, 750mila delle qualiUnder 18, segno evidente che ilpallone attrae le donne anchedal punto di vista agonistico,come tutti gli altri sport.

Per capire il livellocontinentale e l’interesse checrea, è indicativa l’identità dellesquadre che si erano affrontateai quarti della Women’sChampions League: oltre aBrescia e Wolfsburg, c’eranoBarcellona e ParisSaint-Germain, Olympique

Lione e Slavia Praga, Francofortee Rosengard. Otto squadre,cinque delle quali specifichesezioni delle rispettive societàmaschili, così come emanazionedella società maschile - proprioquella di Anfield Road - era ilLiverpool femminile, che ilBrescia aveva eliminato inprecedenza dalla competizione.In Italia, invece, per unaFiorentina che sta compiendoesattamente il percorso in quelladirezione («la società dei DellaValle è l’unico clubprofessionistico che dimostra dicredere davvero nel nostromovimento», applaudeBertolini), il resto è tutto figliodell’ingegno e della fermavolontà di sodalizi di provincia,con molte idee e poche risorse.

Appunto come il Brescia, cheha sede a Capriolo, vicino al lagod’Iseo, ma vede scendere sulterreno di gioco le proprieragazze - dalla capitana Cernoiaalla fantasista Rosucci, passandoper il muro difensivo Gama - alcampo sportivo di Mompiano.In sostanza, si gioca davanti apochi eletti e nei campetti a cuifanno da sfondo le recinzionidelle villette. Il tutto mentre inEuropa ci si trova al cospetto di4-5mila spettatori (perché unseguito c’è) e in stadi reali: bastipensare che il Barcellonadisputa le sue gare interne alMiniestadi, il Camp Nou inminiatura che vi sorge accanto, ilLione allo stadio Gerland - e avolte allo Stade de Lyon - e ilWolfsburg, quando l’impegno lorichiede, anche alla VolkswagenArena. L’Uefa ci tiene - la finaledi Champions si disputerà amaggio a Reggio Emilia, unostadio di Serie A - e, per questo,lo stesso Brescia ha giocato leproprie sfide nella massimacompetizione europea alRigamonti. Calcio vero. Trattatocome tale.

È il problema dei problemi: si

chiama professionismo. «Il gap acerti livelli diventa enorme,perché le nostre ragazze sonostudentesse e lavoratrici chefanno sacrifici per questapassione, ricevono rimborsispese ma non possono essere

pagate per essere atlete e perquesto devono guadagnarsi davivere facendo altro. Poi sitrovano ad affrontare chi gioca acalcio per mestiere. Noncerchiamo chissà quali stipendi -aggiunge Bertolini - ma è una

questione di dignità: poter essereprofessioniste sarebbe ilminimo». In realtà il discorso vaoltre il calcio in rosa, perché èesattamente una questione digenere: la legge 91 del 1981,quella che regolò i rapporti tra

società e sportivi, scrisse chiaro etondo che lo sport femminilenon poteva essereprofessionistico. Una leggevecchia di 35 anni, ma ancoraattuale, nel senso che nulla ècambiato e che, per quanto siavero che in alcuni alcune atleteitaliane siano professioniste difatto, de iure - insomma per ildiritto del lavoro - restanodilettanti.

Rimanendo nel calcio, siamolontani anni luce anche daquesto. Risorse? Figurarsi: «Pensiche la squadra che vince loscudetto si porta a casa comepremio la coppa. Esatto,solamente il trofeo: nessuncontributo, altro che televisioni eaiuti da parte della federazione».Del resto, fece epoca la frasedell’ex presidente della LegaDilettanti che, nel corso di unconsiglio del dipartimento calciofemminile, se ne uscì con unsignificativo «basta dare soldi aqueste quattro lesbiche», finito averbale e che gli costò quattromesi di squalifica da parte dellagiustizia sportiva. Bertolini nondimentica: «A livello di vertici,nell’ultimo biennio con certedichiarazioni si è toccato il

fondo», la sua amaraconsiderazione. E in questo èilluminante il «sinora si pensavache le donne fossero un soggettohandicappato rispetto almaschio nella resistenza e nellaespressione atletica, inveceabbiamo riscontrato che sonomolto simili» di CarloTavecchio, oggi presidentefederale, in una vecchiaintervista a Report che ha fatto ilgiro della rete.

Illuminante, già, come il libroche Milena Bertolini, unvulcano di idee, ha curato perAliberti. Uscito lo scorsodicembre, si fregia inpostfazione di un’intervista aCarlo Ancelotti, reggiano comela collega, e ha un titolo icasticoe provocatorio, ma per questomemorabile: Giocare con letette. Lì dentro c’è piùpregiudizio, tanto, che orgoglio,inteso come orgoglio di sistema,non come amor proprio, perchéquello non manca, così comel’ironia: «Un libro storico eantropologico, per spiegarecome mai in Italia la concezionedel calcio femminile è questa eperché fa fatica a cambiare. Maper cambiare bisogna prima ditutto conoscere. E la voglia diconoscere è tale che sa quantigiornalisti erano presenti allaprima conferenza dipresentazione? Nessuno».Touché. Perché il clichénostrano è ancora e semprequello del calcio che non è - nonsarebbe - uno sport persignorine.

Eppure, per una volta, sonostate proprio quelle che giocanocon le tette, e chegiuridicamente possono farlosolo per diletto, l’ultima squadraitaliana a resistere sino ai quartidi una coppa europea.

Milena Bertolini,trainer del Bresciae autricedel libro «Giocarecon le tette», parladella sua squadra,arrivata ai quartidi Champions,e di una disciplinada noi considerataper dilettanti

Chi dice donnadice football

Nel volume«Sognando Messi»,Stefano Benedettine descrivestruttura,organizzazionee denunciala scarsae inadeguataformazionedegli allenatori

A sinistra la squadra di calcio femminile di Brescia, sotto alcuni master calcisticiper under 12

(12) ALIAS9 APRILE 2016‟

STORIE UN TRATTO STILISTICO MOLTO UTILIZZATO IN AMBITO POP

Il rock si dà un tono.Accordi e canzonisempre in movimento

Pezzi che partonoin un modoe rivelanoprogressivamentemutazionidi umori, notee significato.Ecco i titolipiù imprevedibili

di GUIDO MICHELONE

Nella storia più o meno recentedel pop e del rock esistono diversecanzoni che, al proprio interno,evidenziano un forte cambiamentodi tempi, tonalità, modi e accordi:partono, magari pacate, in unmodo e poi all'improvviso (chiprima chi dopo) terminano in unaltro, impennandosi nel mezzo,rallentando, deflagrando, più omeno creativamente. Si tratta diun accorgimento - voluto e talvoltaminuziosamente studiato dalcompositore, dal cantante o datutta la band - che sovente va dipari passo con il mutarsi delregistro testuale e della gammaaffabulatoria, avvertendo il bisognodi evidenziare un concetto o diinserire un evento che modifica ilcorso della storia raccontata. Unescamotage ormai sempre più indisuso in ambito internazionale,mentre continua ad essere inveceun vero must nella musica diispirazione pop italica, dovesarebbero talmente tanti gliesempi che forse non basterebbenon un articolo, ma addirittura unlibro, per citarli tutti. Per cui inquesto spazio abbiamo voluto fareriferimento solo ad alcuni brani diestrazione anglosassone, tra quelliche maggiormente hanno trattobeneficio da questa semplice mageniale trovata, e che sonodiventati - la maggior parte - dellehit a livello planetario.

Viene in mente la disperazionedel chitarrista Nigel Tufnel nel filmSpinal Tap (finto documentarioche prende in giro le rockstarmetal), dove il regista MartyDiBergi lo rimprovera gridando:«Dove volete andare una volta chei vostri amplificatori sono almassimo? Dove?». Quando, comenella band del lungometraggio,persino i migliori cantautori sonoin astinenza di creatività, riescono- talvolta facilmente - a superare lacrisi, ricorrendo al trucco delmestiere: il cambio di tonalità,

sopracitato. Si tratta di unaccorgimento tanto efficacequanto appariscente, che riescedavvero a rimarcare la profonditàdi una ballata o trasformare unainnocua filastrocca in una sagaepica.

Ce n’è ovviamente per tutti igusti, anche cronologicamenteparlando, dalla classica song diBarry Manilow (Looks Like WeMade It, 1976) al facile hard rock diBon Jovi (Living on a Prayer, 1986),dal pop femminile di Bonnie Tyler(Total Eclipse of the Heart, 1983) alcantaurato di Kelly Clarkson (SinceU Been Gone, 2004), dal comedyrap dei Lonely Island (I Just HadSex, 2011) alla rabbia dei Mr. Big(To Be with You, 1991), dal popmetal di Damn Yankees (HighEnough, 1990) fino al genereboyband dei Backstreet Boys (IWant It that Way, 1999). Sonotuttavia altre 15 le canzoni chemeritano un’attenta riflessione,dalla beatlesiana Penny Lane aWithin dei Daft Punk, perché ilcambiamento di tempi, tonalità,modi e accordi qui simboleggiadavvero una parafrasi strutturale,una trasfigurazione espressiva, unamutazione artistico-culturale,

quasi sempre in sensomigliorativo.

The Beatles - «Penny Lane»(1967), «Hey Jude» (1968)I Beatles perfezionano l'idea delcambio di tonalità. Il punto dipartenza è Penny Lane, quasi unpeana intessuto da Sir PaulMcCartney alla via della natiaLiverpool. Il cambiamento ditempo coincide con ilcambiamento della storia narrata, iBeatles lo sanno e fanno direironicamente al protagonista: «verystrange». Perché in effetti tutto èbrusco e strano. George Martin,che ovviamente produce earrangia il brano, lo ritiene uncambiamento audace,innovativo, epocale nellastruttura di una ballad rock, alpunto da ricordare Penny Lanecome il miglior singolo dei FabFour. Un anno dopo Hey Judeperfeziona la formula e trasformala coda del pezzo in un innoimmortale. In pratica: «take a sadsong and make it better», prendiuna canzone triste e migliorala.

Ramones - «I Wanna BeSedated» (1978)Tra le più note canzoni deiRamones, pur non apparendo maiin classifica I Wanna Be Sedated èpezzo di due minuti e mezzo unpo’ fuori dagli schemi anche perquanto concerne la poetica delquartetto punk newyorkese. Ilcantante ripete il versetto dicinque strofe per tre volte, consolo lievi variazioni, per affondarepoi il colpo mediante il ritornello.Si tratta oltretutto di un branoanche più lento dei primi freneticirock’n’roll - da Blitzkrieg Bop aJudy Is a Punk - come se alla bandoccorra rallentare per raggiungerei 2 minuti e mezzo. Tuttavia John,Joey, Dee Dee e Tommy non sisentono meno energici rispetto alconsueto repertorio, perché ametà la song si impenna,fornendo alla terza strofa queltanto che basta per non farcredere di essere di nuovo alprimo verso: se c'è una cosa cherende grandi i Ramones nelmondo del rock è che riescono adare e fare il massimo con unasemplice canzone.

Cheap Trick - «Surrender»(1978)

La voce narrante del celebrequartetto hard rock per questa hitorecchiabilissima assicura che«mamma» e «papà» sono a posto,per quanto sembrino tanto strani.Ma è difficile in un primomomento prendere seriamente leasserzioni di questigenitori-modello. Dopo tutto, nonsembrano essere d'accordo: lamadre trascorre il primo versostorcendo il naso su malattiesessualmente trasmissibili e sudroghe altrettanto perniciose,mentre il padre sul secondoallude al sordido passato dellamoglie stessa. Ma solo con ilcambio di tonalità, giusto primadella terza strofa della canzone,giungono alcune prove concrete:il narratore pone quindi l’accentosui propri genitori, che rotolandosul divano, ascoltano i dischi deiKiss e fanno uso di stupefacenti.

Genesis - «Invisible Touch»(1986)Si tratta della title-track da altaclassifica che segna ilcompletamento dellametamorfosi dei Genesis dalprog-rock intellettualoide a unapop music studiata perconquistare il mondo. Descritto

da alcuni come «un’epicameditazione sulla intangibilità», ilbrano sembra concepito con uncambiamento di marcia chefarebbe rabbrividire anche uncamionista impazzito, tantorisulta massiccio. E con PhilCollins che fino a quel momentoha intonato almeno diecimilavolte il verso: «She seems to havean invisible touch, yeah (Leisembra avere un tocco invisibile,sì)». Poi l’epilogo: la canzonesbatte le ali, cambia passospiccando il volo verso qualcosadi rinfrescante, efficace,propulsivo: Invisible Touch simostra alla fine come una lungadissolvenza.

Michael Jackson - «Manin the Mirror» (1987)Se è difficile trovare una linea diconfine tra stupidità e intelligenzain gruppi tipo Spinal Tap (e affini),risulta addirittura impervio poterdeterminare il punto di svolta incui la brillantezza scade inmagniloquenza. Forse è anche ilcaso di Man in the Mirror, ilquarto singolo e il quarto primoposto consecutivo nelle hitamericane dall’album Bad (ilprimo dopo il mitico Thriller).Scritta da Glen Ballard e SiedahGarrett «Uomo allo specchio» èuna canzone politica con unmessaggio esplicito (come siintuisce anche dal videoclip), conJacko che si sente quasi obbligatoa prendere a cuore una nobilecausa, scegliendo altresì undecisivo cambiamento stlisticodopo tre dei cinque minuti deldisco. Si tratta di un momentoche non sfugge nemmeno agliascoltatori più distratti perché ilcambio di accenti e di tonalitàavviene nel momento preciso incui un coro gospel mette unaccento quasi esplosivo sullaparola «change» (cambiamento).Magari l’aggiunta suona un po’greve musicalmente (o fine a sestessa), ma i contenuti del testo

(per non parlare del video) paionoadattarvisi perfettamente .

R.E.M. - «Stand» (1988)La struttura di questo divertentegiochino pop è relativamentesemplice, essendo un branospensierato che invita a coglierepoeticamente l’attimo fuggente,ad apprezzare dove si vive. Madopo il ponte di esageratapsichedelia per via dell'usoaltrettanto eccessivo del pedalewah-wah da parte del chitarristaPeter Buck, la canzone dai toniallegri passa ad altro, con unasvolta repentina: i versi delritornello («Stand in the placewhere you live/Now facenorth/Think about direction,wonder why you haven’t now»)alzano progressivamente latonalità. Tali cambiamentiamplificano il senso innato dimeraviglia e di felicità, laconsapevolezza che il noto, ilfamiliare, il quotidiano possonotrasformarsi in qualcosa di altro selo approcciamo con occhi nuovi,diversi. Insomma pezzi di cosmicafilosofia aspersi da Stipe ecompagni.

Whitney Houston - «I WillAlways Love You» (1992)Questa canzone scritta da DollyParton, regina del country pop,resta il miglior veicolo possibileper le sorprendenti corde vocali diWhitney Houston. La soul girlafroamericana inizia altresì lapropria versione con un verso acappella quasi a dimostrare chenon ha bisogno di strumenti. Laballad è notoriamente legata allacolonna sonora di Bodyguard conKevin Costner, un film mélo dovela coppia principale stranamentenon si mette insieme (fattodavvero insolito per le tramehollywoodiane). Il pezzo èun’autentica saga in cui laHouston tesse le lodi dell'uomoche non rivedrà mai più,augurandogli, a inizio canzone,

una vita bella, piena di gioia efelicità. Poi il cambio di tono(stigmatizzato da un colpo dibatteria altrettanto drammatico)che getta alle ortiche tutto quelloche è avvenuto e che è statoraccontato fino a quel momento:la protagonista rimpiangeràquest’uomo per il resto della suavita, altro che amichevoliseparazioni. Il cambiamento ditonalità trasforma I Will AlwaysLove You da un semplice addio auna genuina torch song, unacanzone d'amore nella quale ilcantante canta di un amore nonricambiato o perduto, o di unamore nel quale uno dei dueamanti è ignaro dell'esistenzadell'altro, oppure uno dei dueamanti è partito, o ancora unarelazione rovinata da un intrigoromantico.

Weezer - «Undone-The

Sweater Song» (1994)Rivers Cuomo conosce il valore diun buon ponte musicale, ossia ilpassaggio melodicamente distintoche porta molte delle canzoni deisuoi Weezer all’assalto finale; unesempio simile può essere Say ItAin’t so degli stessi Weezer oHoliday, ispirata ai Beach Boys.Optando per una diversa tipologiadi modulazione in Undone-TheSweater Song, Cuomo e compagnidi proposito cambiano tonalità ametà canzone, grazie a un assolodi chitarra. Questo spettacolo diraffinato virtuosismo lanciaCuomo a scrivere canzoni dallestrutture molto meticolose; dandoper scontato che i bruschipassaggi musicali dei Weezerdenotano anche l'influenza dialtre azioni simili nella storia delrock (dai Nirvana ai Pixies, finoaddirittura ai Kiss), va notatocome l'assolo su Undone suona

invece come un flashback:proiezione dell'infanzia del leaderalla stregua di un metallarotrita-chitarre.

Elliott Smith - «Miss Misery»(1997)Il senso della composizione tantofluido quanto istintivo è un trattostilistico rilevante nellaproduzione del cantautore: «Hopassato un sacco di tempo sedutocon gli altri a suonare, senza chemi prestassero molta attenzione»,racconta Smith in un'intervista,aggiungendo: «Perché si è semprealla ricerca di qualcosa a portatadi mano, poi si vede che cosa sista suonando e si pensa: Okay,posso andare di qui o andare dilà». Miss Misery, candidatoall'Oscar, certamente sembra unpezzo scritto in questo senso,spostando i cambi di tonalitàdopo il primo ritornello quasi dasuggerire un salto del cd (sembrarovinato) verso un altro brano. Manon è così: è solo Smith adaggiungere in anticipo uno deisuoi trucchi preferiti nelle canzoniche di solito compone e intepreta.Quasi vent’anni dopo è ancora unpugno nello stomaco,l'equivalente musicale del whiskyJohnny Walker Red a cui siriferisce il testo.

Sisqó - «Thong Song» (1999)Tre minuti di ininterrottecantilene e di lascivo pseudo hiphop non bastano a Sisqó peresprimere correttamente ilproprio apprezzamento per ledonne curvilinee e in lingerieridottissima: l'unico modo in cui ilrapper può avvicinarsi acomunicare affetto e desiderio èquello di intensificare il messaggiosonoro attraverso il cambio ditempi e accordi forse più gratuitodi tutta la storia del pop. Sisqóstesso svanisce, lasciando allaband un supporto esagerato, ondecostruire una certa tensioneinutile per otto secondi interi.Quando riappare, è in preda alleesternazioni di prima, anche serisulta stranamente rinvigorito.Sisqó prorompe nel finale dellacanzone (accompagnato da unsuono letteralmente esplosivo nelvideo musicale) con un livelloverbale fino a quel momentoinimmaginabile per quantoriguarda i complimenti allesignorine mezze nude. E anchedopo tutto questo, Sisqó rimaneincredulo: «I don’t think youheard me» (Non credo che tu miabbia sentito) minaccia prima dilanciarsi nell’enesima divagazionelussuriosa. La traccia sfumamentre Sisqó ancora canta, quasia implicare che in fondo nessunatecnologia o metamoforsi sonorasarà mai abbastanza peresprimere pienamente l’amoreper le gonnelle (o tanga in questocaso).

Arcade Fire -«Intervention» (2007)Il pezzo inizia con una chitarraacustica che riesce a malapena apenetrare un muro di organo dachiesa: si tratta di una messa apunto che andrebbe bene in unamessa cristiana alla presenza diparrocchiani bigotti, se si pensache Win Butler scrive la canzonecome una denuncia sociale(«Lavorare per la chiesa mentre lamia famiglia muore»). L’appellodel cantante è adeguatamentepacato in un primo momento, mail suo disgusto si intensifica conl'introduzione di ogni nuovostrumento. E sembra tuttoarchitettato per il cambio ditonalità, con un finale riempito dauna fitta serie di momentiascendenti: insomma unaescalation che sta via via pertrasformarsi nell’Intervention(intervento) del titolo, con uncrescendo che da semplicecanzone transita verso undensissimo inno al vetriolo. Esembra quasi che si spezzino lecatene che fino a quel momentostanno trattenendo il resto dellaband. Sguinzagliati, al fianco diButler, la batteria e le chitarresono finalmente liberi di ulularecon un fervore adeguato al soundcomplessivo. Ed è l'ultimodisperato sforzo collettivo, dove ilcambio di tonalità serve peraffinare un suono con il quale, aloro volta, gli Arcade Fire cercanodisperatamente di «predicare» illoro messaggio a chiunque vogliaascoltare.

The Fiery Furnaces - «Evenin the Rain» (2009)Gli album dei Fiery Furnaces sonoin genere impastati con svolazziidiosincratici che a voltesembrano direttamente progettatiper alienare gli ascoltatori menopropensi all’estetica di questorock duo composto da fratello esorella, Matthew ed EleanorFriedberger, in grado di compiere,su ogni canzone, salti all’indietro,ralentamenti o accelerazioni ditempo, assolo espansi quasirumoristici (con impiego ditastiere) e ovviamente cambi ditonalità. I’m Going Away. il piùrecente (e al momento l’ultimo)disco del gruppo, è coerente eaccessibile, ma riesce ancora astupire in alcuni momentiincentrati su raffinate stranezze.Ad esempio, questo «tune»(letteralmente intitolato «Anchesotto la pioggia»), suona comeuna ballata relativamentesemplice con un forte imprintingtastieristico. Ma il ritornello, checonsta solo delle parole «even inthe rain», fa scivolare la canzonetra diversi registri tonali,aggiungendo moltissimaimprevedibilità a una frase breve,chiara e semplice. Esperimenticome questi non rendono troppagiustizia al canzoniere dei FieryFurnaces, ma qui i cambiamentidi tonalità mantengono in piediuna canzone piuttosto strana,spostando di continuo il terrenoda sotto i piedi dei Friedberger edel loro pubblico.

Beyoncé - «Love on Top»(2011)La trentacinquenne di Houston hauna voce potente, ma la carrierada solista non è contrassegnatadai virtuosismi canori. Spesso laproduzione costringe la diva aripetere uno stanco cliché senzaalcuna proposta veramentecreativa. Love on Top una canzoneda Four (l’album a suo nome piùbello e più sottovalutato), non siannuncia nemmeno come unfiore all'occhiello; il pezzo iniziacome un rhythm’n’blues a tempomedio con ritorno al passato chepuò quasi leggersi come unaparodia. La canzone -chiaramente una tipica love song- mantiene coerentemente ilproprio flusso con un esuberantesound anni Ottanta per treminuti, dopo di che Beyoncéinserisce una significativa trovata,ripetendo il suo ritornello in

quattro ascendenti cambi ditonalità. I diversi cambiamenti diregistro, nel rapportotesto/musica, suonano comepegno o devozione verso ilproprio amato: per la soul singer èin pratica una sorta di passaggiotra sfida e autocompiacimentoche però si risolve in estremafascinazione.

Daft Punk - «Within» (2013)Within è come un eroe senzapretese nell’album Random AccessMemories del duo francese. Ilcambio di tonalità all’inizio moltotranquillo si verifica a circa trentasecondi dall'inizio. Di per sé

risulta forse un espediente goffo efugace, ma inserito nel contestodell'intero album, suona comemanna dal cielo, un arcopittoresco gettato tra le altrecanzoni prima dell'emozionantemassiccia Giorgio By Moroder. InRandom Access Memoriesinsomma le prime tre songcondividono la stessa tonalità perculminare appunto nell’omaggioal padre trentino della discomusic, un trip di nove minutiattraverso quarant’anni dance. Aquel punto, esaurito il La minore,dopo la magniloquenteimpennata di Giorgio ByMoroder, i Daft Punkripropongono il puro ascolto. Almomento giusto, Within infattiscivola in maniera dolce etranquilla con una melodia dipianoforte cadenzato chetrasporta gli ascoltatori in unanuova tonalità da esploraredurante la successivaprogressione di canzoni nel disco.Si tratta di un espedientenecessario e di un cambio diregistro di qualche utilitàmusicale, che inaugurano unnuovo blocco di canzoni popdigeribilissime per saziare i palatidei fruitori, sino a proporre Touch,il numero più decadentedell'intero album, che sembralievitare su, su, sempre più inalto...

Al centro, in alto Beyoncé. A pagina 12:Rem, Elliott Smith, Michael Jacksone Whitney Houston. In questa pagina:a destra i Beatles, a sinistra i CheapTrick, sotto Ramones, Arcade Fire,Genesis e Daft Punk

(13)ALIAS9 APRILE 2016

STORIE UN TRATTO STILISTICO MOLTO UTILIZZATO IN AMBITO POP

Il rock si dà un tono.Accordi e canzonisempre in movimento

Pezzi che partonoin un modoe rivelanoprogressivamentemutazionidi umori, notee significato.Ecco i titolipiù imprevedibili

di GUIDO MICHELONE

Nella storia più o meno recentedel pop e del rock esistono diversecanzoni che, al proprio interno,evidenziano un forte cambiamentodi tempi, tonalità, modi e accordi:partono, magari pacate, in unmodo e poi all'improvviso (chiprima chi dopo) terminano in unaltro, impennandosi nel mezzo,rallentando, deflagrando, più omeno creativamente. Si tratta diun accorgimento - voluto e talvoltaminuziosamente studiato dalcompositore, dal cantante o datutta la band - che sovente va dipari passo con il mutarsi delregistro testuale e della gammaaffabulatoria, avvertendo il bisognodi evidenziare un concetto o diinserire un evento che modifica ilcorso della storia raccontata. Unescamotage ormai sempre più indisuso in ambito internazionale,mentre continua ad essere inveceun vero must nella musica diispirazione pop italica, dovesarebbero talmente tanti gliesempi che forse non basterebbenon un articolo, ma addirittura unlibro, per citarli tutti. Per cui inquesto spazio abbiamo voluto fareriferimento solo ad alcuni brani diestrazione anglosassone, tra quelliche maggiormente hanno trattobeneficio da questa semplice mageniale trovata, e che sonodiventati - la maggior parte - dellehit a livello planetario.

Viene in mente la disperazionedel chitarrista Nigel Tufnel nel filmSpinal Tap (finto documentarioche prende in giro le rockstarmetal), dove il regista MartyDiBergi lo rimprovera gridando:«Dove volete andare una volta chei vostri amplificatori sono almassimo? Dove?». Quando, comenella band del lungometraggio,persino i migliori cantautori sonoin astinenza di creatività, riescono- talvolta facilmente - a superare lacrisi, ricorrendo al trucco delmestiere: il cambio di tonalità,

sopracitato. Si tratta di unaccorgimento tanto efficacequanto appariscente, che riescedavvero a rimarcare la profonditàdi una ballata o trasformare unainnocua filastrocca in una sagaepica.

Ce n’è ovviamente per tutti igusti, anche cronologicamenteparlando, dalla classica song diBarry Manilow (Looks Like WeMade It, 1976) al facile hard rock diBon Jovi (Living on a Prayer, 1986),dal pop femminile di Bonnie Tyler(Total Eclipse of the Heart, 1983) alcantaurato di Kelly Clarkson (SinceU Been Gone, 2004), dal comedyrap dei Lonely Island (I Just HadSex, 2011) alla rabbia dei Mr. Big(To Be with You, 1991), dal popmetal di Damn Yankees (HighEnough, 1990) fino al genereboyband dei Backstreet Boys (IWant It that Way, 1999). Sonotuttavia altre 15 le canzoni chemeritano un’attenta riflessione,dalla beatlesiana Penny Lane aWithin dei Daft Punk, perché ilcambiamento di tempi, tonalità,modi e accordi qui simboleggiadavvero una parafrasi strutturale,una trasfigurazione espressiva, unamutazione artistico-culturale,

quasi sempre in sensomigliorativo.

The Beatles - «Penny Lane»(1967), «Hey Jude» (1968)I Beatles perfezionano l'idea delcambio di tonalità. Il punto dipartenza è Penny Lane, quasi unpeana intessuto da Sir PaulMcCartney alla via della natiaLiverpool. Il cambiamento ditempo coincide con ilcambiamento della storia narrata, iBeatles lo sanno e fanno direironicamente al protagonista: «verystrange». Perché in effetti tutto èbrusco e strano. George Martin,che ovviamente produce earrangia il brano, lo ritiene uncambiamento audace,innovativo, epocale nellastruttura di una ballad rock, alpunto da ricordare Penny Lanecome il miglior singolo dei FabFour. Un anno dopo Hey Judeperfeziona la formula e trasformala coda del pezzo in un innoimmortale. In pratica: «take a sadsong and make it better», prendiuna canzone triste e migliorala.

Ramones - «I Wanna BeSedated» (1978)Tra le più note canzoni deiRamones, pur non apparendo maiin classifica I Wanna Be Sedated èpezzo di due minuti e mezzo unpo’ fuori dagli schemi anche perquanto concerne la poetica delquartetto punk newyorkese. Ilcantante ripete il versetto dicinque strofe per tre volte, consolo lievi variazioni, per affondarepoi il colpo mediante il ritornello.Si tratta oltretutto di un branoanche più lento dei primi freneticirock’n’roll - da Blitzkrieg Bop aJudy Is a Punk - come se alla bandoccorra rallentare per raggiungerei 2 minuti e mezzo. Tuttavia John,Joey, Dee Dee e Tommy non sisentono meno energici rispetto alconsueto repertorio, perché ametà la song si impenna,fornendo alla terza strofa queltanto che basta per non farcredere di essere di nuovo alprimo verso: se c'è una cosa cherende grandi i Ramones nelmondo del rock è che riescono adare e fare il massimo con unasemplice canzone.

Cheap Trick - «Surrender»(1978)

La voce narrante del celebrequartetto hard rock per questa hitorecchiabilissima assicura che«mamma» e «papà» sono a posto,per quanto sembrino tanto strani.Ma è difficile in un primomomento prendere seriamente leasserzioni di questigenitori-modello. Dopo tutto, nonsembrano essere d'accordo: lamadre trascorre il primo versostorcendo il naso su malattiesessualmente trasmissibili e sudroghe altrettanto perniciose,mentre il padre sul secondoallude al sordido passato dellamoglie stessa. Ma solo con ilcambio di tonalità, giusto primadella terza strofa della canzone,giungono alcune prove concrete:il narratore pone quindi l’accentosui propri genitori, che rotolandosul divano, ascoltano i dischi deiKiss e fanno uso di stupefacenti.

Genesis - «Invisible Touch»(1986)Si tratta della title-track da altaclassifica che segna ilcompletamento dellametamorfosi dei Genesis dalprog-rock intellettualoide a unapop music studiata perconquistare il mondo. Descritto

da alcuni come «un’epicameditazione sulla intangibilità», ilbrano sembra concepito con uncambiamento di marcia chefarebbe rabbrividire anche uncamionista impazzito, tantorisulta massiccio. E con PhilCollins che fino a quel momentoha intonato almeno diecimilavolte il verso: «She seems to havean invisible touch, yeah (Leisembra avere un tocco invisibile,sì)». Poi l’epilogo: la canzonesbatte le ali, cambia passospiccando il volo verso qualcosadi rinfrescante, efficace,propulsivo: Invisible Touch simostra alla fine come una lungadissolvenza.

Michael Jackson - «Manin the Mirror» (1987)Se è difficile trovare una linea diconfine tra stupidità e intelligenzain gruppi tipo Spinal Tap (e affini),risulta addirittura impervio poterdeterminare il punto di svolta incui la brillantezza scade inmagniloquenza. Forse è anche ilcaso di Man in the Mirror, ilquarto singolo e il quarto primoposto consecutivo nelle hitamericane dall’album Bad (ilprimo dopo il mitico Thriller).Scritta da Glen Ballard e SiedahGarrett «Uomo allo specchio» èuna canzone politica con unmessaggio esplicito (come siintuisce anche dal videoclip), conJacko che si sente quasi obbligatoa prendere a cuore una nobilecausa, scegliendo altresì undecisivo cambiamento stlisticodopo tre dei cinque minuti deldisco. Si tratta di un momentoche non sfugge nemmeno agliascoltatori più distratti perché ilcambio di accenti e di tonalitàavviene nel momento preciso incui un coro gospel mette unaccento quasi esplosivo sullaparola «change» (cambiamento).Magari l’aggiunta suona un po’greve musicalmente (o fine a sestessa), ma i contenuti del testo

(per non parlare del video) paionoadattarvisi perfettamente .

R.E.M. - «Stand» (1988)La struttura di questo divertentegiochino pop è relativamentesemplice, essendo un branospensierato che invita a coglierepoeticamente l’attimo fuggente,ad apprezzare dove si vive. Madopo il ponte di esageratapsichedelia per via dell'usoaltrettanto eccessivo del pedalewah-wah da parte del chitarristaPeter Buck, la canzone dai toniallegri passa ad altro, con unasvolta repentina: i versi delritornello («Stand in the placewhere you live/Now facenorth/Think about direction,wonder why you haven’t now»)alzano progressivamente latonalità. Tali cambiamentiamplificano il senso innato dimeraviglia e di felicità, laconsapevolezza che il noto, ilfamiliare, il quotidiano possonotrasformarsi in qualcosa di altro selo approcciamo con occhi nuovi,diversi. Insomma pezzi di cosmicafilosofia aspersi da Stipe ecompagni.

Whitney Houston - «I WillAlways Love You» (1992)Questa canzone scritta da DollyParton, regina del country pop,resta il miglior veicolo possibileper le sorprendenti corde vocali diWhitney Houston. La soul girlafroamericana inizia altresì lapropria versione con un verso acappella quasi a dimostrare chenon ha bisogno di strumenti. Laballad è notoriamente legata allacolonna sonora di Bodyguard conKevin Costner, un film mélo dovela coppia principale stranamentenon si mette insieme (fattodavvero insolito per le tramehollywoodiane). Il pezzo èun’autentica saga in cui laHouston tesse le lodi dell'uomoche non rivedrà mai più,augurandogli, a inizio canzone,

una vita bella, piena di gioia efelicità. Poi il cambio di tono(stigmatizzato da un colpo dibatteria altrettanto drammatico)che getta alle ortiche tutto quelloche è avvenuto e che è statoraccontato fino a quel momento:la protagonista rimpiangeràquest’uomo per il resto della suavita, altro che amichevoliseparazioni. Il cambiamento ditonalità trasforma I Will AlwaysLove You da un semplice addio auna genuina torch song, unacanzone d'amore nella quale ilcantante canta di un amore nonricambiato o perduto, o di unamore nel quale uno dei dueamanti è ignaro dell'esistenzadell'altro, oppure uno dei dueamanti è partito, o ancora unarelazione rovinata da un intrigoromantico.

Weezer - «Undone-The

Sweater Song» (1994)Rivers Cuomo conosce il valore diun buon ponte musicale, ossia ilpassaggio melodicamente distintoche porta molte delle canzoni deisuoi Weezer all’assalto finale; unesempio simile può essere Say ItAin’t so degli stessi Weezer oHoliday, ispirata ai Beach Boys.Optando per una diversa tipologiadi modulazione in Undone-TheSweater Song, Cuomo e compagnidi proposito cambiano tonalità ametà canzone, grazie a un assolodi chitarra. Questo spettacolo diraffinato virtuosismo lanciaCuomo a scrivere canzoni dallestrutture molto meticolose; dandoper scontato che i bruschipassaggi musicali dei Weezerdenotano anche l'influenza dialtre azioni simili nella storia delrock (dai Nirvana ai Pixies, finoaddirittura ai Kiss), va notatocome l'assolo su Undone suona

invece come un flashback:proiezione dell'infanzia del leaderalla stregua di un metallarotrita-chitarre.

Elliott Smith - «Miss Misery»(1997)Il senso della composizione tantofluido quanto istintivo è un trattostilistico rilevante nellaproduzione del cantautore: «Hopassato un sacco di tempo sedutocon gli altri a suonare, senza chemi prestassero molta attenzione»,racconta Smith in un'intervista,aggiungendo: «Perché si è semprealla ricerca di qualcosa a portatadi mano, poi si vede che cosa sista suonando e si pensa: Okay,posso andare di qui o andare dilà». Miss Misery, candidatoall'Oscar, certamente sembra unpezzo scritto in questo senso,spostando i cambi di tonalitàdopo il primo ritornello quasi dasuggerire un salto del cd (sembrarovinato) verso un altro brano. Manon è così: è solo Smith adaggiungere in anticipo uno deisuoi trucchi preferiti nelle canzoniche di solito compone e intepreta.Quasi vent’anni dopo è ancora unpugno nello stomaco,l'equivalente musicale del whiskyJohnny Walker Red a cui siriferisce il testo.

Sisqó - «Thong Song» (1999)Tre minuti di ininterrottecantilene e di lascivo pseudo hiphop non bastano a Sisqó peresprimere correttamente ilproprio apprezzamento per ledonne curvilinee e in lingerieridottissima: l'unico modo in cui ilrapper può avvicinarsi acomunicare affetto e desiderio èquello di intensificare il messaggiosonoro attraverso il cambio ditempi e accordi forse più gratuitodi tutta la storia del pop. Sisqóstesso svanisce, lasciando allaband un supporto esagerato, ondecostruire una certa tensioneinutile per otto secondi interi.Quando riappare, è in preda alleesternazioni di prima, anche serisulta stranamente rinvigorito.Sisqó prorompe nel finale dellacanzone (accompagnato da unsuono letteralmente esplosivo nelvideo musicale) con un livelloverbale fino a quel momentoinimmaginabile per quantoriguarda i complimenti allesignorine mezze nude. E anchedopo tutto questo, Sisqó rimaneincredulo: «I don’t think youheard me» (Non credo che tu miabbia sentito) minaccia prima dilanciarsi nell’enesima divagazionelussuriosa. La traccia sfumamentre Sisqó ancora canta, quasia implicare che in fondo nessunatecnologia o metamoforsi sonorasarà mai abbastanza peresprimere pienamente l’amoreper le gonnelle (o tanga in questocaso).

Arcade Fire -«Intervention» (2007)Il pezzo inizia con una chitarraacustica che riesce a malapena apenetrare un muro di organo dachiesa: si tratta di una messa apunto che andrebbe bene in unamessa cristiana alla presenza diparrocchiani bigotti, se si pensache Win Butler scrive la canzonecome una denuncia sociale(«Lavorare per la chiesa mentre lamia famiglia muore»). L’appellodel cantante è adeguatamentepacato in un primo momento, mail suo disgusto si intensifica conl'introduzione di ogni nuovostrumento. E sembra tuttoarchitettato per il cambio ditonalità, con un finale riempito dauna fitta serie di momentiascendenti: insomma unaescalation che sta via via pertrasformarsi nell’Intervention(intervento) del titolo, con uncrescendo che da semplicecanzone transita verso undensissimo inno al vetriolo. Esembra quasi che si spezzino lecatene che fino a quel momentostanno trattenendo il resto dellaband. Sguinzagliati, al fianco diButler, la batteria e le chitarresono finalmente liberi di ulularecon un fervore adeguato al soundcomplessivo. Ed è l'ultimodisperato sforzo collettivo, dove ilcambio di tonalità serve peraffinare un suono con il quale, aloro volta, gli Arcade Fire cercanodisperatamente di «predicare» illoro messaggio a chiunque vogliaascoltare.

The Fiery Furnaces - «Evenin the Rain» (2009)Gli album dei Fiery Furnaces sonoin genere impastati con svolazziidiosincratici che a voltesembrano direttamente progettatiper alienare gli ascoltatori menopropensi all’estetica di questorock duo composto da fratello esorella, Matthew ed EleanorFriedberger, in grado di compiere,su ogni canzone, salti all’indietro,ralentamenti o accelerazioni ditempo, assolo espansi quasirumoristici (con impiego ditastiere) e ovviamente cambi ditonalità. I’m Going Away. il piùrecente (e al momento l’ultimo)disco del gruppo, è coerente eaccessibile, ma riesce ancora astupire in alcuni momentiincentrati su raffinate stranezze.Ad esempio, questo «tune»(letteralmente intitolato «Anchesotto la pioggia»), suona comeuna ballata relativamentesemplice con un forte imprintingtastieristico. Ma il ritornello, checonsta solo delle parole «even inthe rain», fa scivolare la canzonetra diversi registri tonali,aggiungendo moltissimaimprevedibilità a una frase breve,chiara e semplice. Esperimenticome questi non rendono troppagiustizia al canzoniere dei FieryFurnaces, ma qui i cambiamentidi tonalità mantengono in piediuna canzone piuttosto strana,spostando di continuo il terrenoda sotto i piedi dei Friedberger edel loro pubblico.

Beyoncé - «Love on Top»(2011)La trentacinquenne di Houston hauna voce potente, ma la carrierada solista non è contrassegnatadai virtuosismi canori. Spesso laproduzione costringe la diva aripetere uno stanco cliché senzaalcuna proposta veramentecreativa. Love on Top una canzoneda Four (l’album a suo nome piùbello e più sottovalutato), non siannuncia nemmeno come unfiore all'occhiello; il pezzo iniziacome un rhythm’n’blues a tempomedio con ritorno al passato chepuò quasi leggersi come unaparodia. La canzone -chiaramente una tipica love song- mantiene coerentemente ilproprio flusso con un esuberantesound anni Ottanta per treminuti, dopo di che Beyoncéinserisce una significativa trovata,ripetendo il suo ritornello in

quattro ascendenti cambi ditonalità. I diversi cambiamenti diregistro, nel rapportotesto/musica, suonano comepegno o devozione verso ilproprio amato: per la soul singer èin pratica una sorta di passaggiotra sfida e autocompiacimentoche però si risolve in estremafascinazione.

Daft Punk - «Within» (2013)Within è come un eroe senzapretese nell’album Random AccessMemories del duo francese. Ilcambio di tonalità all’inizio moltotranquillo si verifica a circa trentasecondi dall'inizio. Di per sé

risulta forse un espediente goffo efugace, ma inserito nel contestodell'intero album, suona comemanna dal cielo, un arcopittoresco gettato tra le altrecanzoni prima dell'emozionantemassiccia Giorgio By Moroder. InRandom Access Memoriesinsomma le prime tre songcondividono la stessa tonalità perculminare appunto nell’omaggioal padre trentino della discomusic, un trip di nove minutiattraverso quarant’anni dance. Aquel punto, esaurito il La minore,dopo la magniloquenteimpennata di Giorgio ByMoroder, i Daft Punkripropongono il puro ascolto. Almomento giusto, Within infattiscivola in maniera dolce etranquilla con una melodia dipianoforte cadenzato chetrasporta gli ascoltatori in unanuova tonalità da esploraredurante la successivaprogressione di canzoni nel disco.Si tratta di un espedientenecessario e di un cambio diregistro di qualche utilitàmusicale, che inaugurano unnuovo blocco di canzoni popdigeribilissime per saziare i palatidei fruitori, sino a proporre Touch,il numero più decadentedell'intero album, che sembralievitare su, su, sempre più inalto...

Al centro, in alto Beyoncé. A pagina 12:Rem, Elliott Smith, Michael Jacksone Whitney Houston. In questa pagina:a destra i Beatles, a sinistra i CheapTrick, sotto Ramones, Arcade Fire,Genesis e Daft Punk

(14) ALIAS9 APRILE 2016‟

di MARIO GAMBA

Non che Stefano Scodanibbioavesse bisogno di unaconsacrazione come compositore,oltre che come straordinariosolista di contrabbasso. Leoccasioni di rendersi conto dellasua importanza in quella vestesono state molte dall’inizio dellacarriera (anni Ottanta del secoloscorso) in poi. Se vogliamo,l’occasione «definitiva» si è avutaall’edizione del 2013 dellaRassegna di Nuova Musica diMacerata, edizione tutta dedicata amusiche sue. Lui, che dellaRassegna era stato fondatore edirettore artistico per quasitrent’anni, era morto un annoprima, giovanissimo, l’8 gennaio2012 a Cuernavaca in Messico. Maun omaggio ulteriore alla sua artedi scrittore di musichecontemporanee, e contemporaneedavvero, cioè pulsanti vita d’oggi,giorni correnti e fuggenti, musichedi pensiero e passione militante, looffre ora il formidabile QuartettoArditti con tre concerti: il 9 aprile aForlì per la stagione di AreaSismica e l’11 e 12 a Maceratadurante l’edizione 2016 dellaRassegna.

Il Quartetto Arditti - guidato findal primo giorno, nel 1974, dalviolinista inglese Irvine Arditti ecomprendente oggi AshotSarkissjan (secondo violino), RalfEhlers (viola) e Lucas Fels(violoncello) - interpreta tra Forlì eMacerata tutti e quattro i Quartettiper archi scritti da Scodanibbio:Visas (1985-’87), Lugar que pasan(1999), Altri visas (2000), Maslugares (2003, su Madrigali diMonteverdi). Ma fa di più: registrausando come studio il TeatroLauro Rossi di Macerata i quattroQuartetti, tre dei quali non eranomai stati incisi. Visas è l’unicodisponibile su disco: appareinsieme ad altre opere nel cdetichetta Montaigne intitolatoFrom Italy, uscito nel 1995 a curaappunto dell’Arditti Quartet.

Scodanibbio compositore,quindi. Si tratta di una figura dimusicista che ci appare semprepiù significativa. In un ambientenel quale l’interesse settoriale,esclusivo, tecnicizzante per lamusica è un tratto distintivo (eassai negativo) lui è l’intellettuale atutto campo, l’artefice di suoni - avolte scritti a volte ottenuti comestrumentista anche conprocedimenti improvvisativi - che«sta nel mondo», che dialoga con ipensatori delle trasformazionisociali e con le esperienze effettivedei soggetti sociali insorgenti. PerOltracuidansa, lavoro elaborato trail 1996 e il 2002, per contrabbasso enastro (con suoni di contrabbasso)su otto canali, prende spunto da

La fine del pensiero di GiorgioAgamben. Nelle varie messe inscena de Il cielo sulla terra, pièce diteatro musicale tutta ispirata aisogni alle realtà alle utopierivoluzionarie, ingaggia AntonioNegri nel ruolo di voce recitante.

Il cielo sulla terra ha ancoraAgamben tra i suoi ideatori. Ma lavicenda in sei scene che si avvaledi dieci strumentisti, di duedanzatori, di video, di elettronica edi un coro di bambini (ilKinderchor della Staatsoper diStoccarda, co-produttricedell’opera), è un flusso sonoro nelquale si ascoltano frammenti discritti di Rimbaud, Kerouac,Débord, Jesi, Negri, Benjamin,Reta, Burroughs, Nono, Deleuze,Lowry. È una sorta di viaggiopossibile/impossibile verso laliberazione, nella liberazione,lungo strade senza meta che sonoanimate dal desiderio diliberazione. Dalla Beat Generational ’68, dal flower power aino-global: è un’indicazione dilettura/ascolto fornita a suo tempodall’autore. Che, chiaramente,immette nel suo flusso ideale sia lacontrocultura hippie sial’antagonismo sociale piùagguerrito. Ma il suo riferimento èil ’77 italiano.

«Tutte le avanguardie artistichedel Novecento, tutti i movimentisociali giovanili, le teorie della

liberazione», afferma Scodanibbioin una intervista concessa primadella replica dello spettacolo aTolentino, nelle Marche, nel luglio2006 (la prima era stata un meseprima a Stoccarda, una secondareplica si farà nell’agosto 2008 aCittà del Messico), «convergono suquesto punto: non c’è rivoluzionesenza invenzione continua e nonc’è un mondo sganciato dallalogica del lavoro (forzato) senzaattività ludica. Sono state leavanguardie storiche come inparticolare il dadaismo e ilsurrealismo a mettere al centrodell’attenzione il rapporto dell’artecon la vita, rapporto che non puònon passare attraverso unarivoluzione sociale conconseguente liberazione dallavoro... Nel ’77 si diceva: abbiamooltrepassato la politica, non ciinteressa prendere il potere inquanto lo abbiamo già, abbiamocioè determinato un processo dicostruzione sociale ampio eradicale, e non meramentecomunitario... Al di là e al di fuoridel mondo del lavoro...».

Il movimento fu stroncato, sidisperse in mille rivoli. Con Il cielosulla terra Scodanibbio rimettesemplicemente in circolo quegliscampoli di cultura che avevanopermesso di sognare conconcretezza e possono permetteredi riprendere la strada. Ilcompositore/virtuoso viene daanni di lavoro creativo mirabile.Oltracuidansa è uno dei punti piùavanzati della ricerca sulle risorsedel contrabbasso, di cui findall’inizio Scodanibbio ha volutoriscattare un ruolo marginale etroppo particolare nei giochiorchestrali della musica «dotta», esulle proprie virtù di solista.Registra il brano per la ModeRecords che pubblica il cd nel2010. L’autore parla di un branoche «scava... nelle viscere dellostrumento rivelando i lati oscuri eanimaleschi del contrabbassoattraverso l’uso di tecniche nonconvenzionali». Il pizzicato nellostesso tempo meditativo enomade, le lunghe immersioni inzone d’inquietudine un po’angosciose un po’ ribelli e«selvagge»: sono tutti aspetti diun’opera che genera ammirazionee perdizione.

Scodanibbio è da sempre un

partner curioso di altristrumentisti, specie in duo. Sonosituazioni nelle quali mescola ealterna musiche proprie scritte,musiche di altri e partiimprovvisate. Col trombettistaMarkus Stockhausen, l’angelo chesuona divinamente nel Giovedì daluce e anche nel Martedì e anchenel Sabato del grande padreKarlheinz, si è incontrato spesso.A Terry Riley, il guru della culturaminimal e psichedelica, forniscein un concerto alla Sapienza di

Roma del febbraio 2004 ilbackground di radicalità e diacume che serve all’illustre socio(e grande amico) per nondisperdersi troppo in amenitàorientaleggianti. Ma un colpo damaestro Scodanibbio lo effettuacon un letterato: lo scrittoreEdoardo Sanguineti. Prende inmano Postkarten, Ecco, 21cartoline per Edoardo Sanguineti eAlfabeto apocalittico, musichescritte nel 1997 e nel 2001, e partein tournée con il vocalista che non

ti aspetti. Uno che ha in serboversi gentili, corrosivi, ironici,irregolari da recitare coninsospettata musicalità. Al Club LaPalma di Roma nel maggio 2007sembrano due jazzmenconsumati.

Al primo Festival di MusicaContemporanea promosso daArea Sismica a Forlì nel maggio2011 si ascolta di Scodanibbio unanuova versione di Terre lontane(2003) ed è un colpo al cuore. Unpianoforte, un altro pianoforteregistrato e miscelato con suonielettronici, un video. L’aura èquella della crisi esistenziale di unartista che ha un intenso rapportocol suo tempo, con le ansie e conle sperimentazioni ancorapossibili del presente. Ci sonopassaggi di tensione verso lamelodia cantabile. L’insieme è uncapolavoro. Il compositore è giàmalato di sclerosi lateraleamiotrofica, la terribile malattiache meno di un anno dopo locondurrà alla morte.

L’ultima composizione portataa termine da Scodanibbio èOttetto. Per otto contrabbassi. Losuona alla Rassegna maceratesedel 2013 l’ensemble Ludus Gravische lui stesso ha fondato e che oraè coordinato da Daniele Roccato.La sostanza di Oltracuidansa è quiriversata e moltiplicata. Matericitàsontuosa, divagazioni persinovitalistiche. E splendore dellascrittura. La ritroveremo neiQuartetti che l’Arditti si prepara ainterpretare all’Area Sismica e alTeatro Lauro Rossi. Dove laRassegna (di 4 giorni) ha un titolobellissimo, il titolo di un brano cheScodanibbio ha scritto tra il 1979 eil 1997: Voyage that Never Ends.

JEFF BUCKLEYYOU AND I (Columbia / Legacy) È il 1993, il giovane JeffBuckley, professione voce d'angelocalcata su quella del padre arcangeloTim ha bisogno di brani per affrontareil pubblico del Sin-é, il locale dove ilpubblico è esigente e preparato.Come lui. E lui si prepara preparando,appunto, cover da Dylan, Smiths,Zeppelin, Sly Stone, e qualcosa dinuovo. Il tutto ritrovato su bobina,tirato a lustro, presentato come «ilnuovo inedito di Jeff Buckley». Non èvero, ma che commozione. (g.fe.)

THE CHANFRUGENSHA MAT (Molecole/Macramé) Arrivano dalla Liguria, ma lecoordinate potrebbero rimandaretranquillamente a un'Inghilterrasulfurea e inquieta, quella degli HighTides, o di certi gruppi di progressiveblues (anche italiani: vedi alla voceGleemen) che dalle dodici battutepartivano, ma se le facevanoesplodere fra le mani a botte dioscure virate psichedeliche,accelerazioni e decelerazioni. Live instudio, suono vintage diretto, spessoteso, magmatico e orientaleggiante,testi sorprendenti. Ospite AgostinoMacor della Maschera Di Cera, a darepennellate ulteriormente prog. (g.fe.)

MIKE MELILLO TRIOEVIDENCE (Notami) Ha un tocco luminoso eperentorio al contempo, il pianista delNew Jersey Melillo. Se consultate unastoria del jazz lo troverete al fianco digiganti: Sonny Rollins, Phil Woods,Chet Baker. Lui da anni ha sceltocome base Macerata, e da lì mandasegnali di vitalità, forse più difficili daraccogliere che se fosse nella GrandeMela. Perciò non lasciatevi scapparequesto splendido trio con Elio Tatti albasso e Giampaolo Ascolese, ben piùche semplici accompagnatori. DaEllington a Ornette, con sapidaprofondità. (g.fe.)

NOEMICUORE D'ARTISTA (Sony Music) Della generazione «talent»Noemi è tra le poche ad aversviluppato una personalità a tuttotondo, tanto da vedersi affidare branida firme titolate del pop. È la forza diuna voce dalla timbrica e dal coloreoriginale, e di una capacità - rara - disaper interpretare i pezzi. Nel nuovoCuore d'artista - il migliore del suopercorso - nove pezzi, scelti e discussicon gli autori dagli arrangiamenti digran spessore (Celso Valli) e unaproduzione condivisa da Noemi con

Gaetano Curreri. C'è anche la firma diIvano Fossati che le regala una sbarazzinaquanto azzeccata Idealista. (s.cr.)

SPARTITIAUSTERITA' (Woodworm/Audioglobe) Ascoltare l'inconfondibile voce diMax Collini è come un tuffo al cuore. Èun tornare indietro nel tempo eripensare alla tragica chiusura di ungruppo, gli Offlaga Disco Pax, che hasegnato l'indie italico dei primi anniDuemila. Ed è ripensare alla figura di unragazzo, un amico e un artista

eccezionale, Enrico Fontanelli. Ma lastoria, come la vita, va avanti e Max haripreso a declamare i suoi scritti, sempreironici e pungenti, sempre intensi eintelligenti, con l'aiuto di un altro artistadi altissimo livello nel nostro panorama,Jucca Reverberi, una delle menti deiGiardini di Mirò. E così ecco il progettoSpartiti, che li vede insieme su disco dopoalcuni live set e un ep ormai introvabile.Jucca costruisce architetture sonoredegne di una colonna sonora, tra chitarree elementi elettronici, mentre Max recitaa suo modo. Ed è un bel sentire. (r.pe.)

TINO TRACANNA ACROBATSRED BASICS (Parco Della Musica Records) Assieme ai suoi acrobati,Tracanna si invola in peripezie sonoreardite. Sono dieci i temi in cui sciolgonole loro velleità musicali, con un risultatodi tutto rispetto. Assieme al leader sonoimpegnati in questo viaggio in jazz,navigati personaggi come Ottolini,Cecchetto, Dalla Porta e Fusco, i qualitirano fuori il meglio di se stessi nelleritmiche Mercato dei pazzi, Trimalcione eJelly’s Quantum Stomp. Di rilievo anche latortuosa Basics. Un ottimo disco. (g.di.)

The ChameleonsIl ritorno della band mancuniana che facapo a Mark Burgess.Parma SABATO 9 APRILE ( COLOMBOFILI)Torino DOMENICA 10 APRILE (PADIGLIONE14)

The 1975La band inglese torna in Italia con ilsuo indie rock venato di r'n'b.Milano MARTEDI' 12 APRILE (FABRIQUE)Bologna MERCOLEDI' 13 APRILE(ESTRAGON)

ProtomartyrPunk e post punk per la band diDetroit.Bologna VENERDI' 15 APRILE (COVO)Roma SABATO 16 APRILE (MONK)

Chris CornellIl vocalist dei Soundgarden e exAudioslave in versione solista con ilsuo Higher Truth Tour. In apertura ilmix di soul e punk-blues di FantasticNegrito.Trieste VENERDI' 15 APRILE (TEATROROSSETTI)

Xavier RuddUn talento in arrivo dall’Australia. Ilconcerto ha già registrato il sold-out.Bologna SABATO 9 APRILE (ZONA ROVERI)

Lust for YouthRevival post punk per la band danese.Milano SABATO 9 APRILE (SERRAGLIO)

Florence+ The MachineL'artista inglese, tra le formazioni piùapprezzate degli ultimi anni.Bologna MERCOLEDI' 13 APRILE (UNIPOLARENA)Torino GIOVEDI' 14 APRILE (PALA ALPITOUR)

Turin BrakesIl sound elettroacustico della bandinglese.Roma GIOVEDI' 14 APRILE (CHIESAEVANGELICA METODISTA)Torino VENERDI' 15 APRILE (HIROSHIMAMON AMOUR)Bologna SABATO 16 APRILE (COVO)

Micah P. HinsonL’indie pop «american style» delcantante/autore originario di Memphis.Segrate (Mi) DOMENICA 10 APRILE(MAGNOLIA)Torino LUNEDI' 11 APRILE (ASTORIA)Madonna dell'Albero (Ra)MARTEDI' 12 APRILE (BRONSON)Roma MERCOLEDI' 13 APRILE (MONK)Foligno (PG) GIOVEDI' 14 APRILE (ZUT)Marghera (Ve) VENERDI' 15 APRILE(SPAZIO AEREO)

Sara LovLa voce dei Dévics torna in versionesolista.Livorno DOMENICA 10 APRILE (EX CINEMAAURORA)Marghera (Ve) LUNEDI' 11 APRILE(SPAZIO AEREO)

Radical FaceIl cantautore della Florida racconta lasaga di una famiglia americana a partiredal IXX secolo, in chiave folk.Brescia SABATO 9 APRILE (SALONE DELLESCENOGRAFIE DEL TEATRO GRANDE, ORE 16.30 EORE 21)[Steve WynnIl fondatore e leader dei DreamSyndicate.San Gemini (Tr) MARTEDI' 12 APRILE(TEMPIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA)

Jamie WoonPer la prima volta in Italia il cantautoreinglese.Milano MERCOLEDI' 13 APRILE (FABRIQUE)

Rival ConsolesIl musicista e produttore inglese dicasa Erased Tapes.Roma VENERDI' 15 APRILE (MONK)

I Me MineIl trio rock'n'roll francese è all'esordio.Livigno (So) GIOVEDI' 14 APRILE(MARCOS)

Willis Earl BealUna data per il soul sperimentaledell'artista afroamericano.Roma VENERDI' 15 APRILE (CS FORTEFANFULLA)

Ursula RuckerSensualità, hip hop, funk e ritmirarefatti.

Catania DOMENICA 10 APRILE (ZO)

Marcus MillerIl funk all'ennesima potenza. Con luiBrenna Whitaker.Roma VENERDI' 15 APRILE (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Kill the VulturesL’hip hop «nero» del quartetto biancodi Minneapolis.Madonna dell'Albero (Ra)SABATO 9 APRILE (BRONSON)Pisa MARTEDI' 12 APRILE (LUMIERE)

Aires Tango+ Ralph TownerIl trio che fa capo a Javier Girotto e ilchitarrista Usa, leader degli Oregon.Roma SABATO 16 APRILE (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Marlene KuntzTorna dal vivo la rock band di Cuneo.Firenze SABATO 9 APRILE (FLOG)Santa Maria a Vico (Ce)DOMENICA 10 APRILE (SMAV)Samassi (Vs) VENERDI' 15 APRILE(BIGGEST)

The WinstonsUn nuovo power trio, con le radicinella psichedelia, tutto italiano.Mezzago (Mi) SABATO 9 APRILE(BLOOM)Pesaro DOMENICA 10 APRILE (STAZIONEGAUSS)

Arezzo LUNEDI' 11 APRILE (PASTIFICIOELETTRICO)Bologna MARTEDI' 12 APRILE (LOCOMOTIV)

SpartitiIl duo formato da Jucca Reverberi deiGiardini Di Mirò e Max Collini, vocedegli Offlaga Disco Pax.Saluzzo (Cn) SABATO 9 APRILE (ANTICOPALAZZO COMUNALE)

Ferrara in JazzIn cartellone il Jim Black Trio(incollaborazione con Crossroads) eJochen Rueckert Quartet feat. MarkTurner. Per Midnight Monday Raw gliMC3.Ferrara SABATO 9, LUNEDI' 11 E SABATO 16APRILE (JAZZ CLUB TORRIONE)

CrossroadsLa diciassettesima edizione propone ilJim Black Trio (oggi a Ferrara, JazzClub Torrione); Shayna Steele Band(domani al Teatro Comunale diGambettola, Fc); Fabrizio Bosso &Javier Girotto Latin Mood (il 13 allaCasa della Musica di Parma); ChiaraPancaldi Trio feat. Kirk Lightsey &Marc Abrams (il 15 al Teatro Corte diCoriano, Rn); Chicago UndergroundDuo (il 16 al Cassero TeatroComunale di Castel San Pietro Terme,Bo).Comuni dell'Emilia RomagnaSABATO 9, DOMENICA 10, MERCOLEDI' 13,VENERDI' 15 E SABATO 16 APRILE (VARIE SEDI)

Nuove cantautrici crescono. È il caso diRoberta Carrieri e SamuelaSchilirò. La prima si ripresenta con ilsuo terzo lavoro (Canzoni sucommissione, Adesiva). Un concept in cuiurla, canta, sussurra queste canzoni,scritte su commissione. Tra icommittenti Leonardo Coen diRepubblica, Michele Mozzati (del duoGino & Michele), Andy dei Bluvertigo ealtri ancora. Un disco più rock e pop delprecedente, più sbarazzino. Con C'èsempre un motivo (Waterbirds) SamuelaSchilirò ci regala un disco solare emalinconico allo stesso tempo. Un innoalla vita, tra momenti tristi e felici, conuna formula pop/rock vincente eaccattivante. Infine Daniele Grasso,produttore chiave della scena di Catania.FolkBluesTechno'n'Roll... e altre musicheprimitive per domani (DCave Records) èun disco pieno di sole, di vitalità, di Sicilia(con testi in dialetto). Un riuscitissimocrossover degli stili suddetti, infuocati dabeat che fanno pensare a una versionemediterranea dei Chemical Brothers.Attenzione ai loro live, dove viene fuoritutta la sapienza di Grasso e il suo amoresconfinato per la musica. (Viola De Soto)

INDIE ITALIA

Cantautricesu commissione

A CURA DI ROBERTO PECIOLA SEGNALAZIONI: [email protected] EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

La scena rock nazionale non sempreriesce a produrre band, se non propriooriginali, almeno credibili fino in fondo. Maqualche eccezione ogni tanto c'è. GiorgioCanali non è certo un nome nuovo, e daqualche tempo gira la penisola con ilprogetto Rossofuoco. Ecco ora un discoche Canali aveva in animo da molti anni.Un album di cover. Canzonidell'underground (e non solo) italico che ilchitarrista emiliano ama particolarmente eche, a suo dire, non sono state apprezzatequanto avrebbero dovuto. Si va daFaust'O a De Gregori, dai Santo Niente aFinardi, dai Frigidaire Tango a L'Upo. Iltutto rivisto nel suo modo acido espigoloso. Titolo emblematico: Perle perporci (Woodworm). Al sesto disco, ilterzo in italiano, sono arrivati invece iPolar For The Masses. Fuori (TirrenoDischi) li vede sempre in trio, ma meno«power», e fanno capolino anche pulsionimelodiche quasi inaspettate, come nellabella apertura Il mio complice. Chiudiamocon Luca Righi, alias Threelakes, chepubblica un live, Folk the Casbah (UpupaProd.). In solitario, il cantante e autorepropone la sua visione di blues, folk eamericana sound. (Roberto Peciola)

ROCK ITALIA

Canzonidall’underground

OMAGGI DA «VISAS» A «LUGAR QUE PASAN»

Scodanibbio,l’arte ritrovatadi un viaggiatoresenza tempo

I TEATRI DI BOWIEdi FRANCESCO ADINOLFI

Le morte di David Bowie hasollecitato ogni tipo di curiosità eaneddoto intorno a un artista che neltempo ha macinato idee, mutazioni,transizioni. Nel 1974, ad esempio,l’anno dell’album Diamond Dogsavrebbe voluto dar vita alla

trasposizione teatrale di 1984, il librodi George Orwell. Sonia Brownell,moglie dello scrittore, non diede mail’autorizzazione. Allarappresentazione sarebbero statiabbinati un disco e un film. Non acaso Diamond Dogs si rivelerà unaraccolta di pezzi nati per altri fini.Rebel Rebel era stata pensata per unmusical mai realizzato dedicato allavita di Ziggy Stardust, Big Brother e la

stessa 1984 sarebbero servite peromaggiare Orwell in teatro. Un altrosogno mai realizzato fu lapartecipazione di Bowie allaproduzione teatrale di The Civil Wars,opera di Robert Wilson (Einstein onthe Beach, The Black Rider) del 1984. Inquell’anno si tennero i giochi olimpicia Los Angeles e il registacommissionerà a sei musicisti (PhilipGlass, David Byrne, Gavin Bryars ecc.)

parti di un’opera suddivisa in cinquesezioni da rappresentare in sei diversecittà. L’idea era di raccoglierle tutte inuna maratona di otto ore dapresentare ai Giochi. La parteriservata a Bowie era quella diAbramo Lincoln mentre legge il notoDiscorso di Gettysburg. Peccato cheavesse dovuto recitare in giapponese:gli sponsor fuggirono e l’opera non fumai rappresentata per intero.RITMI

Il Quartetto Arditti interpreta, questa seraall’Area Sismica di Forlì e il 12 e 13 al TeatroLauro Rossi di Macerata, alcune composizioniper archi del contrabbassista scomparso nel 2012

Musica e black music qui vengonodeclinate con tratti eterogenei quasi aribadire lo spirito di contaminazione chepervade la nascita e gli sviluppi del jazzmedesimo: The Langston Project (DasKatital Records) del chitarrista HassePoulsen è un tributo allo scrittoreafroamericano Langston Hugues da partedi un quartetto danese con la vocalist nera:14 poesie diventano altrettante canzoni dimarca fusion talvolta rockeggiante eavanguardista, lontane insommadall'originaria ascendenza blues. (R)evolution(Caligola) di Baba Sissoko è dedicato allamemoria di Lester Bowie, Malachi Favors,Isio Saba. Qui il percussionista malianoriesce a dialogare con il fisarmonicistaAntonello Salis e con il batterista DonMoye, raccontando in musica i valoridell'amicizia, della libertà, del continenteafricano e di tanti artisti visionari. Ai duealbum si può trovare un precedentestorico nel doppio cd antologico NightFlight to Dakar (Xanadu) dove nel 1980 unquintetto «all-stars» (Al Cohn, BillyMitchell, Dolo Coker, LeroyVinnegar, Frank Butler) compie unamini tournée in West Africa suonando unintensissimo hard bop. (Guido Michelone)

JAZZ/2

Invisibilicontaminazioni

ULTRASUONATI DA

STEFANO CRIPPAGIANLUCA DIANAGUIDO FESTINESEROBERTO PECIOLA

Non si è ancora spenta la commozioneper la scomparsa di Lawrence «Butch»Morris nel 2013. A questo protagonistadel jazz di ricerca è dedicato il nuovo cd diHenry Threadgill Old Locks and IrregularVerbs (Pi) registrato dal grande musicistachicagoano con un organico insolito apartire dal doppio pianoforte, strumentopoco presente nella sua discografia, quisuonato da due dei migliori jazzmend’oggi: Jason Moran e David Virelles. Poidue sax alto, Roman Filiu e CurtisMcDonald, Jose Davila alla tuba,Christopher Hoffman al violoncello eCraig Weinrib alla batteria. Il leader siriserva il solo ruolo di compositore per ildebutto discografico della sua nuovaformazione Ensemble Double Up. Sele quattro parti che occupano il cd permeno di 50 minuti possono richiamare leforme del «solito» Threadgill così come leconosciamo nell’ultimo periodo è propriol’inserimento dei pianoforti, che suonanoquasi esclusivamente in ruolo solistico, ascombinare le carte. Non tanto nellastruttura, miscela indistinguibile dicomposizione e improvvisazione, partimodulari e discrezionali, pulsazione tra ilfunk, il latin e il «new orleans», quanto nelclima generale. Perché sia Moran cheVirelles sanno aprire squarci nelle tramefitte che portano la musica in altredirezioni, la riscaldano e la raffreddano apiacimento. Nella quarta e ultima parte ilclima è di un asciutto ma sentito omaggioal musicista scomparso. Un requiem laicodel ventunesimo secolo.

¶¶¶BUTCH MORRIS HA dedicato granparte della sua vita alla messa a punto dellaconduction, una tecnica di composizioneistantanea attraverso la direzione musicalecon un sistema di segni gestuali. Come lasua lezione sia divenuta un patrimonio ditutta la musica ad ogni latitudine lodimostra Orkester BrezMeja/Orchestra Senza Confini(Dobialabel) nel quale la pratica dellaconduction è portata ad un nuovo livellosperimentando la doppia conduzione.L’orchestra è nata riunendo musicistisloveni e italiani dell’area della musicaimprovvisata. Il contrabbassista GiovanniMaier e il percussionista Zlatko Kaucicconducono insieme l’Orchestra SenzaConfini dividendosi e scambiandosi imusicisti dell’ensemble. Ne nasce unaaffascinante performance elettroacusticacon due lunghi brani nella quale l’aspettogestuale ha una importanza fondamentale.Il solo ascolto però nulla toglie alla forzadella musica alla quale rimane impressal’impronta del suono plasmato momentodopo momento. La ricchezza dei coloriorchestrali, la forza dello spostamentodelle masse sonore, le belle voci solistichefanno di questa registrazione una delleriuscite attualizzazioni della conduction.Originale ed esteticamente, socialmente epoliticamente necessaria.

LA LEZIONEDI «BUTCH»

L'iniziale Life and Death, ripresa poi anchein chiusura, dopo un lungo tragitto,stabilisce le coordinate di base: un suonodi tromba teso e acuminato, gentile egelido, quasi a sublimare l'ingorgo diemozioni che si ha dentro, come usavafare Miles Davis nella sua fase più «cool».Così si presenta il grande trombettistaisraeliano Avishai Cohen nel nuovodisco per Ecm, Into the Silence, che poicomunque vira anche verso territoriarmonicamente più rischiosi, dove anchela tromba perde (proficuamente)rifermenti «storici». È invece la cordieradel koto sotto le mani esperte di MiekoMiyazaki a fare da fondale al magnifico,liricissimo esordio Back from the Moon,dal nuovo disco Ecm River Silver delprogetto Michela Benita Ethics. Siamoin territori di world music estrema, con(oltre ai citati) la chitarra visionaria diEivind Arset, la batteria di Philippe Garcia,il flicorno pastoso di Matthieu Michel. Unmaestro della rarefazione è invece ilpianista norvegese Tord Gustafsen, chein What Was Said interagisce, con gusto,con la notevole voce dell'afgano-tedescaSimin Tsander e la batteria di JarleVespestad. (Guido Festinese)

JAZZ

Avishai Cohen,il silenzio è «cool»

In alto una foto di Stefano Scodanibbio;sotto il Quartetto Arditti

ON THE ROAD

(15)ALIAS9 APRILE 2016

di MARIO GAMBA

Non che Stefano Scodanibbioavesse bisogno di unaconsacrazione come compositore,oltre che come straordinariosolista di contrabbasso. Leoccasioni di rendersi conto dellasua importanza in quella vestesono state molte dall’inizio dellacarriera (anni Ottanta del secoloscorso) in poi. Se vogliamo,l’occasione «definitiva» si è avutaall’edizione del 2013 dellaRassegna di Nuova Musica diMacerata, edizione tutta dedicata amusiche sue. Lui, che dellaRassegna era stato fondatore edirettore artistico per quasitrent’anni, era morto un annoprima, giovanissimo, l’8 gennaio2012 a Cuernavaca in Messico. Maun omaggio ulteriore alla sua artedi scrittore di musichecontemporanee, e contemporaneedavvero, cioè pulsanti vita d’oggi,giorni correnti e fuggenti, musichedi pensiero e passione militante, looffre ora il formidabile QuartettoArditti con tre concerti: il 9 aprile aForlì per la stagione di AreaSismica e l’11 e 12 a Maceratadurante l’edizione 2016 dellaRassegna.

Il Quartetto Arditti - guidato findal primo giorno, nel 1974, dalviolinista inglese Irvine Arditti ecomprendente oggi AshotSarkissjan (secondo violino), RalfEhlers (viola) e Lucas Fels(violoncello) - interpreta tra Forlì eMacerata tutti e quattro i Quartettiper archi scritti da Scodanibbio:Visas (1985-’87), Lugar que pasan(1999), Altri visas (2000), Maslugares (2003, su Madrigali diMonteverdi). Ma fa di più: registrausando come studio il TeatroLauro Rossi di Macerata i quattroQuartetti, tre dei quali non eranomai stati incisi. Visas è l’unicodisponibile su disco: appareinsieme ad altre opere nel cdetichetta Montaigne intitolatoFrom Italy, uscito nel 1995 a curaappunto dell’Arditti Quartet.

Scodanibbio compositore,quindi. Si tratta di una figura dimusicista che ci appare semprepiù significativa. In un ambientenel quale l’interesse settoriale,esclusivo, tecnicizzante per lamusica è un tratto distintivo (eassai negativo) lui è l’intellettuale atutto campo, l’artefice di suoni - avolte scritti a volte ottenuti comestrumentista anche conprocedimenti improvvisativi - che«sta nel mondo», che dialoga con ipensatori delle trasformazionisociali e con le esperienze effettivedei soggetti sociali insorgenti. PerOltracuidansa, lavoro elaborato trail 1996 e il 2002, per contrabbasso enastro (con suoni di contrabbasso)su otto canali, prende spunto da

La fine del pensiero di GiorgioAgamben. Nelle varie messe inscena de Il cielo sulla terra, pièce diteatro musicale tutta ispirata aisogni alle realtà alle utopierivoluzionarie, ingaggia AntonioNegri nel ruolo di voce recitante.

Il cielo sulla terra ha ancoraAgamben tra i suoi ideatori. Ma lavicenda in sei scene che si avvaledi dieci strumentisti, di duedanzatori, di video, di elettronica edi un coro di bambini (ilKinderchor della Staatsoper diStoccarda, co-produttricedell’opera), è un flusso sonoro nelquale si ascoltano frammenti discritti di Rimbaud, Kerouac,Débord, Jesi, Negri, Benjamin,Reta, Burroughs, Nono, Deleuze,Lowry. È una sorta di viaggiopossibile/impossibile verso laliberazione, nella liberazione,lungo strade senza meta che sonoanimate dal desiderio diliberazione. Dalla Beat Generational ’68, dal flower power aino-global: è un’indicazione dilettura/ascolto fornita a suo tempodall’autore. Che, chiaramente,immette nel suo flusso ideale sia lacontrocultura hippie sial’antagonismo sociale piùagguerrito. Ma il suo riferimento èil ’77 italiano.

«Tutte le avanguardie artistichedel Novecento, tutti i movimentisociali giovanili, le teorie della

liberazione», afferma Scodanibbioin una intervista concessa primadella replica dello spettacolo aTolentino, nelle Marche, nel luglio2006 (la prima era stata un meseprima a Stoccarda, una secondareplica si farà nell’agosto 2008 aCittà del Messico), «convergono suquesto punto: non c’è rivoluzionesenza invenzione continua e nonc’è un mondo sganciato dallalogica del lavoro (forzato) senzaattività ludica. Sono state leavanguardie storiche come inparticolare il dadaismo e ilsurrealismo a mettere al centrodell’attenzione il rapporto dell’artecon la vita, rapporto che non puònon passare attraverso unarivoluzione sociale conconseguente liberazione dallavoro... Nel ’77 si diceva: abbiamooltrepassato la politica, non ciinteressa prendere il potere inquanto lo abbiamo già, abbiamocioè determinato un processo dicostruzione sociale ampio eradicale, e non meramentecomunitario... Al di là e al di fuoridel mondo del lavoro...».

Il movimento fu stroncato, sidisperse in mille rivoli. Con Il cielosulla terra Scodanibbio rimettesemplicemente in circolo quegliscampoli di cultura che avevanopermesso di sognare conconcretezza e possono permetteredi riprendere la strada. Ilcompositore/virtuoso viene daanni di lavoro creativo mirabile.Oltracuidansa è uno dei punti piùavanzati della ricerca sulle risorsedel contrabbasso, di cui findall’inizio Scodanibbio ha volutoriscattare un ruolo marginale etroppo particolare nei giochiorchestrali della musica «dotta», esulle proprie virtù di solista.Registra il brano per la ModeRecords che pubblica il cd nel2010. L’autore parla di un branoche «scava... nelle viscere dellostrumento rivelando i lati oscuri eanimaleschi del contrabbassoattraverso l’uso di tecniche nonconvenzionali». Il pizzicato nellostesso tempo meditativo enomade, le lunghe immersioni inzone d’inquietudine un po’angosciose un po’ ribelli e«selvagge»: sono tutti aspetti diun’opera che genera ammirazionee perdizione.

Scodanibbio è da sempre un

partner curioso di altristrumentisti, specie in duo. Sonosituazioni nelle quali mescola ealterna musiche proprie scritte,musiche di altri e partiimprovvisate. Col trombettistaMarkus Stockhausen, l’angelo chesuona divinamente nel Giovedì daluce e anche nel Martedì e anchenel Sabato del grande padreKarlheinz, si è incontrato spesso.A Terry Riley, il guru della culturaminimal e psichedelica, forniscein un concerto alla Sapienza di

Roma del febbraio 2004 ilbackground di radicalità e diacume che serve all’illustre socio(e grande amico) per nondisperdersi troppo in amenitàorientaleggianti. Ma un colpo damaestro Scodanibbio lo effettuacon un letterato: lo scrittoreEdoardo Sanguineti. Prende inmano Postkarten, Ecco, 21cartoline per Edoardo Sanguineti eAlfabeto apocalittico, musichescritte nel 1997 e nel 2001, e partein tournée con il vocalista che non

ti aspetti. Uno che ha in serboversi gentili, corrosivi, ironici,irregolari da recitare coninsospettata musicalità. Al Club LaPalma di Roma nel maggio 2007sembrano due jazzmenconsumati.

Al primo Festival di MusicaContemporanea promosso daArea Sismica a Forlì nel maggio2011 si ascolta di Scodanibbio unanuova versione di Terre lontane(2003) ed è un colpo al cuore. Unpianoforte, un altro pianoforteregistrato e miscelato con suonielettronici, un video. L’aura èquella della crisi esistenziale di unartista che ha un intenso rapportocol suo tempo, con le ansie e conle sperimentazioni ancorapossibili del presente. Ci sonopassaggi di tensione verso lamelodia cantabile. L’insieme è uncapolavoro. Il compositore è giàmalato di sclerosi lateraleamiotrofica, la terribile malattiache meno di un anno dopo locondurrà alla morte.

L’ultima composizione portataa termine da Scodanibbio èOttetto. Per otto contrabbassi. Losuona alla Rassegna maceratesedel 2013 l’ensemble Ludus Gravische lui stesso ha fondato e che oraè coordinato da Daniele Roccato.La sostanza di Oltracuidansa è quiriversata e moltiplicata. Matericitàsontuosa, divagazioni persinovitalistiche. E splendore dellascrittura. La ritroveremo neiQuartetti che l’Arditti si prepara ainterpretare all’Area Sismica e alTeatro Lauro Rossi. Dove laRassegna (di 4 giorni) ha un titolobellissimo, il titolo di un brano cheScodanibbio ha scritto tra il 1979 eil 1997: Voyage that Never Ends.

JEFF BUCKLEYYOU AND I (Columbia / Legacy) È il 1993, il giovane JeffBuckley, professione voce d'angelocalcata su quella del padre arcangeloTim ha bisogno di brani per affrontareil pubblico del Sin-é, il locale dove ilpubblico è esigente e preparato.Come lui. E lui si prepara preparando,appunto, cover da Dylan, Smiths,Zeppelin, Sly Stone, e qualcosa dinuovo. Il tutto ritrovato su bobina,tirato a lustro, presentato come «ilnuovo inedito di Jeff Buckley». Non èvero, ma che commozione. (g.fe.)

THE CHANFRUGENSHA MAT (Molecole/Macramé) Arrivano dalla Liguria, ma lecoordinate potrebbero rimandaretranquillamente a un'Inghilterrasulfurea e inquieta, quella degli HighTides, o di certi gruppi di progressiveblues (anche italiani: vedi alla voceGleemen) che dalle dodici battutepartivano, ma se le facevanoesplodere fra le mani a botte dioscure virate psichedeliche,accelerazioni e decelerazioni. Live instudio, suono vintage diretto, spessoteso, magmatico e orientaleggiante,testi sorprendenti. Ospite AgostinoMacor della Maschera Di Cera, a darepennellate ulteriormente prog. (g.fe.)

MIKE MELILLO TRIOEVIDENCE (Notami) Ha un tocco luminoso eperentorio al contempo, il pianista delNew Jersey Melillo. Se consultate unastoria del jazz lo troverete al fianco digiganti: Sonny Rollins, Phil Woods,Chet Baker. Lui da anni ha sceltocome base Macerata, e da lì mandasegnali di vitalità, forse più difficili daraccogliere che se fosse nella GrandeMela. Perciò non lasciatevi scapparequesto splendido trio con Elio Tatti albasso e Giampaolo Ascolese, ben piùche semplici accompagnatori. DaEllington a Ornette, con sapidaprofondità. (g.fe.)

NOEMICUORE D'ARTISTA (Sony Music) Della generazione «talent»Noemi è tra le poche ad aversviluppato una personalità a tuttotondo, tanto da vedersi affidare branida firme titolate del pop. È la forza diuna voce dalla timbrica e dal coloreoriginale, e di una capacità - rara - disaper interpretare i pezzi. Nel nuovoCuore d'artista - il migliore del suopercorso - nove pezzi, scelti e discussicon gli autori dagli arrangiamenti digran spessore (Celso Valli) e unaproduzione condivisa da Noemi con

Gaetano Curreri. C'è anche la firma diIvano Fossati che le regala una sbarazzinaquanto azzeccata Idealista. (s.cr.)

SPARTITIAUSTERITA' (Woodworm/Audioglobe) Ascoltare l'inconfondibile voce diMax Collini è come un tuffo al cuore. Èun tornare indietro nel tempo eripensare alla tragica chiusura di ungruppo, gli Offlaga Disco Pax, che hasegnato l'indie italico dei primi anniDuemila. Ed è ripensare alla figura di unragazzo, un amico e un artista

eccezionale, Enrico Fontanelli. Ma lastoria, come la vita, va avanti e Max haripreso a declamare i suoi scritti, sempreironici e pungenti, sempre intensi eintelligenti, con l'aiuto di un altro artistadi altissimo livello nel nostro panorama,Jucca Reverberi, una delle menti deiGiardini di Mirò. E così ecco il progettoSpartiti, che li vede insieme su disco dopoalcuni live set e un ep ormai introvabile.Jucca costruisce architetture sonoredegne di una colonna sonora, tra chitarree elementi elettronici, mentre Max recitaa suo modo. Ed è un bel sentire. (r.pe.)

TINO TRACANNA ACROBATSRED BASICS (Parco Della Musica Records) Assieme ai suoi acrobati,Tracanna si invola in peripezie sonoreardite. Sono dieci i temi in cui sciolgonole loro velleità musicali, con un risultatodi tutto rispetto. Assieme al leader sonoimpegnati in questo viaggio in jazz,navigati personaggi come Ottolini,Cecchetto, Dalla Porta e Fusco, i qualitirano fuori il meglio di se stessi nelleritmiche Mercato dei pazzi, Trimalcione eJelly’s Quantum Stomp. Di rilievo anche latortuosa Basics. Un ottimo disco. (g.di.)

The ChameleonsIl ritorno della band mancuniana che facapo a Mark Burgess.Parma SABATO 9 APRILE ( COLOMBOFILI)Torino DOMENICA 10 APRILE (PADIGLIONE14)

The 1975La band inglese torna in Italia con ilsuo indie rock venato di r'n'b.Milano MARTEDI' 12 APRILE (FABRIQUE)Bologna MERCOLEDI' 13 APRILE(ESTRAGON)

ProtomartyrPunk e post punk per la band diDetroit.Bologna VENERDI' 15 APRILE (COVO)Roma SABATO 16 APRILE (MONK)

Chris CornellIl vocalist dei Soundgarden e exAudioslave in versione solista con ilsuo Higher Truth Tour. In apertura ilmix di soul e punk-blues di FantasticNegrito.Trieste VENERDI' 15 APRILE (TEATROROSSETTI)

Xavier RuddUn talento in arrivo dall’Australia. Ilconcerto ha già registrato il sold-out.Bologna SABATO 9 APRILE (ZONA ROVERI)

Lust for YouthRevival post punk per la band danese.Milano SABATO 9 APRILE (SERRAGLIO)

Florence+ The MachineL'artista inglese, tra le formazioni piùapprezzate degli ultimi anni.Bologna MERCOLEDI' 13 APRILE (UNIPOLARENA)Torino GIOVEDI' 14 APRILE (PALA ALPITOUR)

Turin BrakesIl sound elettroacustico della bandinglese.Roma GIOVEDI' 14 APRILE (CHIESAEVANGELICA METODISTA)Torino VENERDI' 15 APRILE (HIROSHIMAMON AMOUR)Bologna SABATO 16 APRILE (COVO)

Micah P. HinsonL’indie pop «american style» delcantante/autore originario di Memphis.Segrate (Mi) DOMENICA 10 APRILE(MAGNOLIA)Torino LUNEDI' 11 APRILE (ASTORIA)Madonna dell'Albero (Ra)MARTEDI' 12 APRILE (BRONSON)Roma MERCOLEDI' 13 APRILE (MONK)Foligno (PG) GIOVEDI' 14 APRILE (ZUT)Marghera (Ve) VENERDI' 15 APRILE(SPAZIO AEREO)

Sara LovLa voce dei Dévics torna in versionesolista.Livorno DOMENICA 10 APRILE (EX CINEMAAURORA)Marghera (Ve) LUNEDI' 11 APRILE(SPAZIO AEREO)

Radical FaceIl cantautore della Florida racconta lasaga di una famiglia americana a partiredal IXX secolo, in chiave folk.Brescia SABATO 9 APRILE (SALONE DELLESCENOGRAFIE DEL TEATRO GRANDE, ORE 16.30 EORE 21)[Steve WynnIl fondatore e leader dei DreamSyndicate.San Gemini (Tr) MARTEDI' 12 APRILE(TEMPIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA)

Jamie WoonPer la prima volta in Italia il cantautoreinglese.Milano MERCOLEDI' 13 APRILE (FABRIQUE)

Rival ConsolesIl musicista e produttore inglese dicasa Erased Tapes.Roma VENERDI' 15 APRILE (MONK)

I Me MineIl trio rock'n'roll francese è all'esordio.Livigno (So) GIOVEDI' 14 APRILE(MARCOS)

Willis Earl BealUna data per il soul sperimentaledell'artista afroamericano.Roma VENERDI' 15 APRILE (CS FORTEFANFULLA)

Ursula RuckerSensualità, hip hop, funk e ritmirarefatti.

Catania DOMENICA 10 APRILE (ZO)

Marcus MillerIl funk all'ennesima potenza. Con luiBrenna Whitaker.Roma VENERDI' 15 APRILE (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Kill the VulturesL’hip hop «nero» del quartetto biancodi Minneapolis.Madonna dell'Albero (Ra)SABATO 9 APRILE (BRONSON)Pisa MARTEDI' 12 APRILE (LUMIERE)

Aires Tango+ Ralph TownerIl trio che fa capo a Javier Girotto e ilchitarrista Usa, leader degli Oregon.Roma SABATO 16 APRILE (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Marlene KuntzTorna dal vivo la rock band di Cuneo.Firenze SABATO 9 APRILE (FLOG)Santa Maria a Vico (Ce)DOMENICA 10 APRILE (SMAV)Samassi (Vs) VENERDI' 15 APRILE(BIGGEST)

The WinstonsUn nuovo power trio, con le radicinella psichedelia, tutto italiano.Mezzago (Mi) SABATO 9 APRILE(BLOOM)Pesaro DOMENICA 10 APRILE (STAZIONEGAUSS)

Arezzo LUNEDI' 11 APRILE (PASTIFICIOELETTRICO)Bologna MARTEDI' 12 APRILE (LOCOMOTIV)

SpartitiIl duo formato da Jucca Reverberi deiGiardini Di Mirò e Max Collini, vocedegli Offlaga Disco Pax.Saluzzo (Cn) SABATO 9 APRILE (ANTICOPALAZZO COMUNALE)

Ferrara in JazzIn cartellone il Jim Black Trio(incollaborazione con Crossroads) eJochen Rueckert Quartet feat. MarkTurner. Per Midnight Monday Raw gliMC3.Ferrara SABATO 9, LUNEDI' 11 E SABATO 16APRILE (JAZZ CLUB TORRIONE)

CrossroadsLa diciassettesima edizione propone ilJim Black Trio (oggi a Ferrara, JazzClub Torrione); Shayna Steele Band(domani al Teatro Comunale diGambettola, Fc); Fabrizio Bosso &Javier Girotto Latin Mood (il 13 allaCasa della Musica di Parma); ChiaraPancaldi Trio feat. Kirk Lightsey &Marc Abrams (il 15 al Teatro Corte diCoriano, Rn); Chicago UndergroundDuo (il 16 al Cassero TeatroComunale di Castel San Pietro Terme,Bo).Comuni dell'Emilia RomagnaSABATO 9, DOMENICA 10, MERCOLEDI' 13,VENERDI' 15 E SABATO 16 APRILE (VARIE SEDI)

Nuove cantautrici crescono. È il caso diRoberta Carrieri e SamuelaSchilirò. La prima si ripresenta con ilsuo terzo lavoro (Canzoni sucommissione, Adesiva). Un concept in cuiurla, canta, sussurra queste canzoni,scritte su commissione. Tra icommittenti Leonardo Coen diRepubblica, Michele Mozzati (del duoGino & Michele), Andy dei Bluvertigo ealtri ancora. Un disco più rock e pop delprecedente, più sbarazzino. Con C'èsempre un motivo (Waterbirds) SamuelaSchilirò ci regala un disco solare emalinconico allo stesso tempo. Un innoalla vita, tra momenti tristi e felici, conuna formula pop/rock vincente eaccattivante. Infine Daniele Grasso,produttore chiave della scena di Catania.FolkBluesTechno'n'Roll... e altre musicheprimitive per domani (DCave Records) èun disco pieno di sole, di vitalità, di Sicilia(con testi in dialetto). Un riuscitissimocrossover degli stili suddetti, infuocati dabeat che fanno pensare a una versionemediterranea dei Chemical Brothers.Attenzione ai loro live, dove viene fuoritutta la sapienza di Grasso e il suo amoresconfinato per la musica. (Viola De Soto)

INDIE ITALIA

Cantautricesu commissione

A CURA DI ROBERTO PECIOLA SEGNALAZIONI: [email protected] EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

La scena rock nazionale non sempreriesce a produrre band, se non propriooriginali, almeno credibili fino in fondo. Maqualche eccezione ogni tanto c'è. GiorgioCanali non è certo un nome nuovo, e daqualche tempo gira la penisola con ilprogetto Rossofuoco. Ecco ora un discoche Canali aveva in animo da molti anni.Un album di cover. Canzonidell'underground (e non solo) italico che ilchitarrista emiliano ama particolarmente eche, a suo dire, non sono state apprezzatequanto avrebbero dovuto. Si va daFaust'O a De Gregori, dai Santo Niente aFinardi, dai Frigidaire Tango a L'Upo. Iltutto rivisto nel suo modo acido espigoloso. Titolo emblematico: Perle perporci (Woodworm). Al sesto disco, ilterzo in italiano, sono arrivati invece iPolar For The Masses. Fuori (TirrenoDischi) li vede sempre in trio, ma meno«power», e fanno capolino anche pulsionimelodiche quasi inaspettate, come nellabella apertura Il mio complice. Chiudiamocon Luca Righi, alias Threelakes, chepubblica un live, Folk the Casbah (UpupaProd.). In solitario, il cantante e autorepropone la sua visione di blues, folk eamericana sound. (Roberto Peciola)

ROCK ITALIA

Canzonidall’underground

OMAGGI DA «VISAS» A «LUGAR QUE PASAN»

Scodanibbio,l’arte ritrovatadi un viaggiatoresenza tempo

I TEATRI DI BOWIEdi FRANCESCO ADINOLFI

Le morte di David Bowie hasollecitato ogni tipo di curiosità eaneddoto intorno a un artista che neltempo ha macinato idee, mutazioni,transizioni. Nel 1974, ad esempio,l’anno dell’album Diamond Dogsavrebbe voluto dar vita alla

trasposizione teatrale di 1984, il librodi George Orwell. Sonia Brownell,moglie dello scrittore, non diede mail’autorizzazione. Allarappresentazione sarebbero statiabbinati un disco e un film. Non acaso Diamond Dogs si rivelerà unaraccolta di pezzi nati per altri fini.Rebel Rebel era stata pensata per unmusical mai realizzato dedicato allavita di Ziggy Stardust, Big Brother e la

stessa 1984 sarebbero servite peromaggiare Orwell in teatro. Un altrosogno mai realizzato fu lapartecipazione di Bowie allaproduzione teatrale di The Civil Wars,opera di Robert Wilson (Einstein onthe Beach, The Black Rider) del 1984. Inquell’anno si tennero i giochi olimpicia Los Angeles e il registacommissionerà a sei musicisti (PhilipGlass, David Byrne, Gavin Bryars ecc.)

parti di un’opera suddivisa in cinquesezioni da rappresentare in sei diversecittà. L’idea era di raccoglierle tutte inuna maratona di otto ore dapresentare ai Giochi. La parteriservata a Bowie era quella diAbramo Lincoln mentre legge il notoDiscorso di Gettysburg. Peccato cheavesse dovuto recitare in giapponese:gli sponsor fuggirono e l’opera non fumai rappresentata per intero.RITMI

Il Quartetto Arditti interpreta, questa seraall’Area Sismica di Forlì e il 12 e 13 al TeatroLauro Rossi di Macerata, alcune composizioniper archi del contrabbassista scomparso nel 2012

Musica e black music qui vengonodeclinate con tratti eterogenei quasi aribadire lo spirito di contaminazione chepervade la nascita e gli sviluppi del jazzmedesimo: The Langston Project (DasKatital Records) del chitarrista HassePoulsen è un tributo allo scrittoreafroamericano Langston Hugues da partedi un quartetto danese con la vocalist nera:14 poesie diventano altrettante canzoni dimarca fusion talvolta rockeggiante eavanguardista, lontane insommadall'originaria ascendenza blues. (R)evolution(Caligola) di Baba Sissoko è dedicato allamemoria di Lester Bowie, Malachi Favors,Isio Saba. Qui il percussionista malianoriesce a dialogare con il fisarmonicistaAntonello Salis e con il batterista DonMoye, raccontando in musica i valoridell'amicizia, della libertà, del continenteafricano e di tanti artisti visionari. Ai duealbum si può trovare un precedentestorico nel doppio cd antologico NightFlight to Dakar (Xanadu) dove nel 1980 unquintetto «all-stars» (Al Cohn, BillyMitchell, Dolo Coker, LeroyVinnegar, Frank Butler) compie unamini tournée in West Africa suonando unintensissimo hard bop. (Guido Michelone)

JAZZ/2

Invisibilicontaminazioni

ULTRASUONATI DA

STEFANO CRIPPAGIANLUCA DIANAGUIDO FESTINESEROBERTO PECIOLA

Non si è ancora spenta la commozioneper la scomparsa di Lawrence «Butch»Morris nel 2013. A questo protagonistadel jazz di ricerca è dedicato il nuovo cd diHenry Threadgill Old Locks and IrregularVerbs (Pi) registrato dal grande musicistachicagoano con un organico insolito apartire dal doppio pianoforte, strumentopoco presente nella sua discografia, quisuonato da due dei migliori jazzmend’oggi: Jason Moran e David Virelles. Poidue sax alto, Roman Filiu e CurtisMcDonald, Jose Davila alla tuba,Christopher Hoffman al violoncello eCraig Weinrib alla batteria. Il leader siriserva il solo ruolo di compositore per ildebutto discografico della sua nuovaformazione Ensemble Double Up. Sele quattro parti che occupano il cd permeno di 50 minuti possono richiamare leforme del «solito» Threadgill così come leconosciamo nell’ultimo periodo è propriol’inserimento dei pianoforti, che suonanoquasi esclusivamente in ruolo solistico, ascombinare le carte. Non tanto nellastruttura, miscela indistinguibile dicomposizione e improvvisazione, partimodulari e discrezionali, pulsazione tra ilfunk, il latin e il «new orleans», quanto nelclima generale. Perché sia Moran cheVirelles sanno aprire squarci nelle tramefitte che portano la musica in altredirezioni, la riscaldano e la raffreddano apiacimento. Nella quarta e ultima parte ilclima è di un asciutto ma sentito omaggioal musicista scomparso. Un requiem laicodel ventunesimo secolo.

¶¶¶BUTCH MORRIS HA dedicato granparte della sua vita alla messa a punto dellaconduction, una tecnica di composizioneistantanea attraverso la direzione musicalecon un sistema di segni gestuali. Come lasua lezione sia divenuta un patrimonio ditutta la musica ad ogni latitudine lodimostra Orkester BrezMeja/Orchestra Senza Confini(Dobialabel) nel quale la pratica dellaconduction è portata ad un nuovo livellosperimentando la doppia conduzione.L’orchestra è nata riunendo musicistisloveni e italiani dell’area della musicaimprovvisata. Il contrabbassista GiovanniMaier e il percussionista Zlatko Kaucicconducono insieme l’Orchestra SenzaConfini dividendosi e scambiandosi imusicisti dell’ensemble. Ne nasce unaaffascinante performance elettroacusticacon due lunghi brani nella quale l’aspettogestuale ha una importanza fondamentale.Il solo ascolto però nulla toglie alla forzadella musica alla quale rimane impressal’impronta del suono plasmato momentodopo momento. La ricchezza dei coloriorchestrali, la forza dello spostamentodelle masse sonore, le belle voci solistichefanno di questa registrazione una delleriuscite attualizzazioni della conduction.Originale ed esteticamente, socialmente epoliticamente necessaria.

LA LEZIONEDI «BUTCH»

L'iniziale Life and Death, ripresa poi anchein chiusura, dopo un lungo tragitto,stabilisce le coordinate di base: un suonodi tromba teso e acuminato, gentile egelido, quasi a sublimare l'ingorgo diemozioni che si ha dentro, come usavafare Miles Davis nella sua fase più «cool».Così si presenta il grande trombettistaisraeliano Avishai Cohen nel nuovodisco per Ecm, Into the Silence, che poicomunque vira anche verso territoriarmonicamente più rischiosi, dove anchela tromba perde (proficuamente)rifermenti «storici». È invece la cordieradel koto sotto le mani esperte di MiekoMiyazaki a fare da fondale al magnifico,liricissimo esordio Back from the Moon,dal nuovo disco Ecm River Silver delprogetto Michela Benita Ethics. Siamoin territori di world music estrema, con(oltre ai citati) la chitarra visionaria diEivind Arset, la batteria di Philippe Garcia,il flicorno pastoso di Matthieu Michel. Unmaestro della rarefazione è invece ilpianista norvegese Tord Gustafsen, chein What Was Said interagisce, con gusto,con la notevole voce dell'afgano-tedescaSimin Tsander e la batteria di JarleVespestad. (Guido Festinese)

JAZZ

Avishai Cohen,il silenzio è «cool»

In alto una foto di Stefano Scodanibbio;sotto il Quartetto Arditti

ON THE ROAD

(16)ALIAS9 APRILE 2016

ARCHEOLOGIA IN DIVERSE SEDI, GIADE, VASI E LACCHE DALLA CINA

Il Veneto accogliele meravigliedello Stato di Chudi BEATRICE ANDREOSE

Le principali città paleovene-te sorsero lungo alcuni grandi fiu-mi che si aprivano a ventaglio nellapianura padana. Strabone, conl’occhio attento del geografo, anno-tava che «le città esistenti, al di làdelle paludi, hanno delle meravi-gliose vie di navigazione fluviale etra queste soprattutto il Po». Il fiu-me al confine del paese dei Venetinell’antichità arrivava sino adAdria che al mare Adriatico diede ilnome. L’Adige invece diede il no-me e fu determinante per lo svilup-po dell’antica Atheste, l’attualeEste, che attraversava col suo ramosettentrionale. La presenza di ungrande fiume è il primo elemento

in comune che Venezia, Adria edEste hanno con l’antico Stato diChu che a ottomila chilometri di di-stanza sorse in contemporanea(770-221a.C.) lungo le sponde delFiume Azzurro, in quella che poi sa-rà la Cina. Nato come piccolo re-gno militare, Chu si espanse al pun-to da diventare, sul finire del Perio-do delle Primavere e degli Autunni(770 - 454 a.C.), una vera e propriapotenza e visse il suo momento dimassimo splendore nel successivoPeriodo degli Stati Combattenti(453 - 221 a.C.). La sua estensionecopriva un vasto territorio della Ci-na centro-meridionale attraver-sato in parte dal maggiore dei fiu-mi cinesi, lo Yangzi, conosciutoin Occidente come il Fiume Az-

zurro, uno dei maggiori serba-toi stori-

co-cul-t u r a l idel l ’excelesteimpero.Chucompren-deva le

o d i e r n eprovince di

Hubei, Hu-nan, Henan, Chon-

gqing e parte del Jiangsu com-presa l’attuale Shanghai.

Veneto e Stato di Chu furonoterritori fertili che nel primo mil-lennio a.C. diedero vita a due gran-di civilta‟ creatrici di manufatti distraordinaria raffinatezza. In co-mune hanno anche l’epilogo poi-

ché alla fine entrambi vennero as-sorbiti da realtà molto più potenticome l’Impero Romano per i Vene-ti, il futuro Celeste Impero per il re-gno di Chu.

Un accordo tra Italia e Cina, epiù precisamente tra il Veneto e laProvincia cinese del Hubei, consen-

te ora per la prima volta in Euro-pa di ammirare le sorprenden-

ti testimonianzedellaciviltà‟ dell’an-tico Regno nel-la mostra Le me-

raviglie dello Sta-to di Chu che fino al

25 settembre si potrà visitare in tresedi - il museo nazionale Atestinodi Este, quello archeologico nazio-nale di Adria e d’arte orientale diVenezia. In esposizione importantireperti archeologici rinvenuti nellaprovincia di Hubei, cuore dello sta-to di Chu, durante uno scavo ar-cheologico che nel 1978 ha portatoalla luce i corredi funerari dellatomba del marchese Yi di Zeng, ri-salente al 433 a.C., e nel 2002 quellidi un generale decapitato perché ri-tenuto infedele, ma poi riabilitatoe sepolto con tutti gli onori. In mo-stra contenitori rituali in bronzo,strumenti musicali, armi e oggettipreziosi in giada e legno laccatoche rappresentano come spiegaAdriano Madaro, curatore dellamostra assieme a Wang Jichao, lasupremazia terrena attraverso laguerra e il consenso celeste attra-verso l’offerta del bene più prezio-so. Le particolari condizioni di de-posizione, nell’ambiente umidodei laghi affacciati sul Fiume Azzur-ro, hanno consentito una straordi-naria conservazione di legno, verni-ce, cuoio e seta arrivati a noi prati-camente intatti dopo ben 2500 an-ni. A rendere del tutto eccezionalequesto progetto (promosso, perparte italiana, dai comuni di Este edi Adria, dalla Soprintendenza Ar-cheologia del Veneto, dal Polo Mu-seale del Veneto, sostenuto dallaFondazione Cassa di Risparmio di

Padova e Rovigo e dalla Regione Ve-neto) è l’esposizione dei repertiorientali in dialogo con le coeve te-stimonianze degli antichi venetiche pur in contesti tanto lontanima dalle evidenti analogie, risulta-no sorprendentemente simili.

Ad Este, cuore della storia dei Ve-neti antichi, si possono ammiraretre strumenti musicali, due campa-ne niuzhong e yongzhong e un’ar-pa, e con esse la tradizione musi-cale dello stato di Chu, ricostrui-ta in forma multimediale dal Mu-seo dello Hubei. Le campane dibronzo (niuzhong e yongzhong)componevano set di diverse deci-ne di pezzi e di differenti dimen-sioni, e andavano a crea-re un unico enormestrumento musica-le con tanti musici-sti quante eranole campane dapercuotere. Gliesperti musico-logi sono riusci-ti, secondo ladisposizionedelle campa-ne, a ricostrui-re le melodiee addiritturala musica ri-tuale di ol-tre venticin-que secolifa. Nel mu-seo che ospitala preziosa situlaBenvenuti (650a.C.) espressione del-la aristocrazia paleove-neta, sono esposti an-che i bronzi ritualiding e dui, indicatoridella ricchezza e delprestigio della classedominante. Gli ogget-ti erano suddivisi indue grandi catego-rie: vasi sacrificali erecipienti di uso co-mune. I primi (de-nominati ding,dou, fu, dui, zun, aseconda della for-ma) erano riserva-ti ai riti in onoredegli antenati odi divinita‟ daplacare; gli al-tri, chiamati ge-n e r i c a m e n t eyanqi, erano uti-lizzati per gli usiquotidiani (contenerel’acqua, le vivande, legranaglie, ecc). I vasi sa-crificali a loro volta erano riservatial vino da cerimonia, all’offerta del-le carni cotte di animali, ai cibi ri-tuali. La grande varietà delle di-mensioni e delle forme, oltre alleparticolari lavorazioni, cesellature,sculture dei bronzi, sono una carat-teristica del vasellame provenien-te dalle tombe dello Stato di Chu.

Lo stile particolare, ad esem-pio, dei vasi per le libagioni ritua-

li in mostra ad Este, sono general-mente a «pareti quadrate» inveceche rotonde, panciute. Vasi analo-ghi venivano realizzati in legno epoi laccati. A proposito di lacche: a

Chu non si laccava-no solo il legno

e il bambù,ma anche il

bronzo, laterracot-ta e ilc u o i o ,con risul-tati ecce-zionali.La con-servazio-

ne stessa dei colori è, a dir poco,sbalorditiva. Infine le giade. In Ci-na da tempi immemorabili la gia-da più preziosa è ritenuta quelladel Xinjiang, definita «imperiale».Re, nobiltà, alti funzionari civili emilitari, esibivano le giade sui loroabiti come simboli del loro status.Sul corpo di un defunto, poi, la gia-da era usata come «salvacondotto»per l’Aldilà.

Ad Adria viene invece sottolinea-ta l’«Arte della Guerra», che il famo-so testo di Sun Tzu teorizzava pro-prio in quel periodo: in mostra ala-barde, una stupefacente balestra li-gnea, armature e parti di un carroda guerra. Manufatti che corrispon-dono alla fase classica ed ellenisti-ca di Adria Antica, con la quale con-corrono sorprendenti consonanze:il ruolo determinante del fiume,

ornamenti in pasta vitrea dellestesse fatture, l’uso di deporrenelle tombe prestigiosi oggettida corredo destinati al cibo edal vino e non ultimo il ritualedi sepoltura del carro da guer-ra che con sorprendente ana-logia troviamo nella «Tombadella biga», risalente alla pri-ma metà del III sec. a.C.,che oltre ai resti del carroa due ruote conserva adAdria anche gli scheletri ditre cavalli di eccezionali di-mensioni.

A Cà Pesaro, infine, sug-gestivo il confronto tra il va-

sellame rituale della Cina anticae i bronzi Qing che riprendono leantiche forme e testimoniano ilgusto collezionistico della cortee dell’aristocrazia cinese del XVI-II e XIX secolo. Il visitatore potràcosì fare un confronto direttotra i bronzi degli Zhou orientalie quelli Quing ( 1644-1911) delMuseo d’arte orientale.

La potenza militare di Chunell’arco di mezzo millenniosi trasformò in dominio cul-turale, ma alla fine si estinsea causa di una diffusa corru-zione. Nel 221 a.C. il suo po-tente vicino, lo Stato diQin, alla conclusione diuna serie di guerre vittorio-se sui sei Stati confinanti,dei quali Chuerastato quel-lo dominante per parecchisecoli, spazzò via tutti. Ilsuo giovane e ambiziososovrano, Qin Shi Huangdisi autoproclamò PrimoAugusto Imperatore e inappena 15 anni creò l’Im-

pero Cinese, costruì laGrande Muraglia e il Grande

Canale Imperiale, unificò i pesi e lemisure, edificò la sua mitica tom-ba seppellendovi seimila guerrierie cavalli di terracotta, cancellò per-fino la memoria dei suoi ex vicini.L’odiato Regno di Chu entrò nellaleggenda, non c’era nulla che testi-moniasse ciò che fu. Solo ventiduesecoli dopo, con la scoperta di alcu-ne tombe imperiali, si ritornerà aparlarne.

L’esposizionedei reperti orientaliè postain stretto dialogocon le moltetestimonianzeraccoltesulla civiltàdegli antichi veneti

MOSTRA

In pagina: in alto gli scavi;a destra, strumentomusicale detto «yong»;qui accanto, coppa su altopiede detta «dou»;armatura