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N. 02524/2013REG.PROV.COLL. N. 00156/2013 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 156 del 2013, proposto da: Ministero dell'Interno - Questura di Foggia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; contro Oris Uche Alo; per la riforma della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III, n. 01676/2012, resa tra le parti, concernente illegittimità del silenzio - rifiuto serbato dalla Questura di Foggia in ordine

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N. 02524/2013REG.PROV.COLL.

N. 00156/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 156 del 2013, proposto da: Ministero dell'Interno - Questura di Foggia, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

controOris Uche Alo; 

per la riformadella sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III, n. 01676/2012, resa tra le parti, concernente illegittimità del silenzio - rifiuto serbato dalla Questura di Foggia in ordine all'istanza di protezione internazionale e/o rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013 il Cons. Pierfrancesco Ungari e udito per la parte appellante l’avvocato dello Stato Vessichelli;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO1. L’appellato, cittadino nigeriano giunto a Lampedusa in data 7 ottobre 2008, si è visto negare dalla Commissione territoriale di Bari la protezione internazionale.Il ricorso avverso detta decisione è stato respinto dal Tribunale di Bari con sentenza n. 479/2010.2. In data 30 maggio 2011 ha riproposto alla Questura di Foggia l’istanza volta alla concessione della protezione internazionale (in concreto, ha chiesto di essere convocato per la compilazione degli appositi modelli predisposti dalla Commissione nazionale, previsti dall’art. 26, comma 2, del d.lgs. 25/2008, ai fini del successivo inoltro da parte della Questura alla Commissione territoriale).3. Non ottenendo riscontro, ha adito il TAR della Puglia, ai sensi dell’art. 31 cod. proc. amm., per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio – rifiuto serbato dalla Questura.4. Il TAR, con la sentenza appellata (Bari, III, n. 1676/2012), ha accolto il ricorso, dichiarando l’obbligo dell’Ufficio Immigrazione della Questura di convocare il ricorrente per redigere il verbale delle dichiarazioni ai fini dell’inoltro alla

Commissione territoriale, ed ha nominato un commissario ad acta affinché provveda in via sostitutiva.Non ha invece accolto, rilevando la natura discrezionale dell’attività demandata alla Commissione territoriale, la contestuale domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto di asilo e la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.5. Nell’appello, il Ministero dell’interno lamenta il difetto di giurisdizione, oltre a sostenere l’infondatezza nel merito per violazione degli artt. 3 e 26 del d.lgs. 25/2008.6. L’appello è fondato, quanto al profilo della giurisdizione.6.1. Il TAR non ha affrontato la questione della giurisdizione, tuttavia occorre tener conto che, poiché la giurisdizione si determina in base alla natura delle situazioni giuridiche soggettive di cui si invoca tutela, allorché il rapporto giuridico sottostante al silenzio serbato dall'Amministrazione involge posizioni di diritto soggettivo, è inammissibile il ricorso proposto, ai sensi degli artt. 31 e 117, cod. proc. amm., al fine di accertare l'illegittimità dell'inadempimento dell'Amministrazione; il difetto di giurisdizione relativo al rapporto sostanziale non potrebbe, infatti, essere aggirato mediante l'istituto del silenzio-inadempimento perché la norma meramente processuale che ne prevede la tutela non fonda la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, III, 1 febbraio 2012, n. 501; VI, 7 settembre 2012, n. 4758; con riferimento alla disciplina previgente, IV, 19 marzo 2009, n. 1645).

6.2. Ciò detto, quanto alla giurisdizione sul rapporto giuridico sottostante la presente controversia, sussiste la giurisdizione del g.o. sull'impugnazione del provvedimento del Questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari richiesto ex art. 5, comma 6, del d.lgs. 286/1998, all'esito del rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto, a partire dal 20 aprile 2005 (con l'entrata in vigore dell'art. 1-quater del d.l. 416/1989, introdotto dall'art. 32, comma 1, lett. b), della legge 189/2002), le commissioni territoriali sono espressamente tenute, quando non accolgano la domanda di protezione internazionale, a valutare, per i provvedimenti di cui all'art. 5, comma 6, cit., le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali (cfr. Cass., SS.UU, 19 maggio 2009, n. 11535 ; Cons. Stato, III, 5 giugno 2012, n. 3309).Ancora sulle situazioni soggettive in materia di protezione internazionale dello straniero, la decisione negativa assunta dalla Commissione territoriale, tenuta d'ufficio a verificare l'esistenza delle condizioni per il conseguimento di un permesso di natura umanitaria, ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008, è ricorribile, ai sensi del successivo art. 35, davanti al giudice ordinario, il quale, in caso di diversa valutazione dei requisiti per l'ottenimento di tale misura, deve procedere al riconoscimento del diritto alla tutela umanitaria e all'assunzione del provvedimento omesso dalla Commissione territoriale, consistente nella trasmissione degli atti al

Questore, perché provveda ai sensi dell'art. 5, comma 6 del d.lgs. 286/1998. Allo stesso modo, nell'ipotesi in cui il Questore, ancorché privo di potere discrezionale, abbia assunto irritualmente un provvedimento negativo, indipendentemente dalla deliberazione della Commissione, deve essere adìto il giudice ordinario, al fine di ottenerne il conseguimento (cfr. Cass. civ., VI, 9 dicembre 2011, n. 26481).6.3. Pertanto, il Collegio ritiene che la giurisdizione spetti al giudice ordinario anche qualora – come nel caso in esame – venga lamentato, anziché l’illegittimo esercizio di un potere discrezionale concernente il procedimento di valutazione della posizione dello straniero istante, la mera inerzia della Questura nel porre in essere adempimenti meramente strumentali (convocazione per rendere dichiarazioni su apposito formulario) finalizzati all’esercizio di detto potere da parte della Commissione competente.Deve, dunque, dichiararsi inammissibile, in parte qua, il ricorso di primo grado, per difetto di giurisdizione in ordine all'azione proposta.La causa potrà essere riassunta, fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, nei termini e modalità previste dall'art. 11 cod. proc. amm..7. Considerate le peculiarità della pretesa azionata, sembra equo disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo annulla la sentenza di primo grado nella parte in cui ha accolto la domanda dell’appellato e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, PresidenteSalvatore Cacace, ConsigliereRoberto Capuzzi, ConsigliereDante D'Alessio, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, EstensoreL'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIAIl 09/05/2013

IL SEGRETARIO(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

N. 02742/2014REG.PROV.COLL.

N. 05301/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5301 del 2013, proposto da: Comune di Atina, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114; 

controAcea Ato 5 Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Mirabile, Pasquale Cristiano e Alessandro Mannocchi, con domicilio eletto presso Carlo Mirabile in Roma, via Borgognona 47; 

nei confronti diAutorità d'Ambito Territoriale Ottimale N.5-Lazio Meridionale-Frosinone; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. Lazio - Sez. staccata di Latina, Sezione I n. 356/2013, resa tra le parti, concernente inadempimento dell’obbligo di provvedere all'integrale consegna delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Cassino;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio di Acea Ato 5 Spa;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Francesco Antonio Caputo e Carlo Mirabile;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO1. Acea Ato 5 s.p.a., quale gestore del servizio idrico integrato (S.I.I.) nell'Ambito Territoriale Ottimale n. 5 (Lazio meridionale - Frosinone), ha proposto ricorso al TAR del Lazio, sede di Latina, ai sensi degli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010, al fine di ottenere:1) l'accertamento e la declaratoria dell'inadempimento del Comune di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per quanto di competenza, all'obbligo di provvedere in favore dell'ACEA S.p.A. alla consegna integrale delle opere, dei beni e degli

impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Atina;2) la consequenziale condanna del Comune di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per quanto di competenza, a provvedere alla consegna integrale in favore dell'ACEA S.p.A. delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Atina;3) la nomina di un Commissario ad acta incaricato di provvedere, ove le Amministrazioni non provvedano, entro il termine stabilito dall'adito Tribunale.La società ricorrente esponeva:- di essere stata individuata dall'A.A.T.O. quale soggetto gestore del S.I.I., stipulando con la citata Autorità d'Ambito il 27 giugno 2003 la convenzione per la gestione del servizio, ma di essersi sin da subito trovata dinanzi ad una condotta inadempiente e non collaborativa da parte del Comune di Atina;- che, più specificamente, il predetto Comune, pur avendo sottoscritto con la ricorrente un verbale preliminare di consegna delle opere in data 3 marzo 2004 ed un verbale definitivo in data 5 maggio 2004, non avrebbe né sottoscritto gli allegati a quest'ultimo verbale, contenenti la descrizione e la ricognizione degli impianti afferenti il S.I.I. oggetto di consegna al gestore, né avrebbe provveduto alla consegna dei beni, di fatto non consentendo ad ACEA ATO 5 S.p.A. il subentro nella gestione del S.I.I. nel territorio comunale di Atina;

- che nonostante le ripetute richieste di consegna e le riunioni effettuate, l'obbligo di consegna delle reti e degli impianti afferenti il S.I.I. restava inadempiuto dal Comune di Atina ed anzi quest'ultimo, con deliberazioni della Giunta Municipale nn. 143-146 del 26 novembre 2010, avrebbe autorizzato allacci alla rete idrica (che continuava nel frattempo a gestire direttamente) anche ad utenti residenti al di fuori del proprio territorio comunale;- che anche l'atteggiamento tenuto dall'Autorità d'Ambito sarebbe censurabile, risolvendosi esso, in buona sostanza, da un lato, nella presa d'atto dell'inerzia del Comune di Atina (tanto da richiedere l'intervento sostitutivo della Regione), dall'altro, però, nella pretesa di far ricadere sull'ACEA ATO 5 S.p.A. il ritardo nell'acquisizione degli impianti;- che allo stato, nonostante, da ultimo, la diffida inoltrata in data 3 agosto 2012 al Comune di Atina, quest'ultimo non avrebbe ancora provveduto all'adempimento dell'obbligo di consegna delle reti e degli impianti inerenti il S.I.I.;- che, quindi, l'ACEA ATO 5 S.p.A. non avrebbe ottenuto la totalità della concessione del S.I.I. nel territorio del Comune di Atina, con evidenti effetti negativi sulla remuneratività e sull'efficienza del servizio;A supporto del gravame la ricorrente ha dedotto, con un unico motivo, le doglianze di violazione degli artt. 12 della l. n. 36/1994, 148 e 153 del d.lgs. n. 152/2006, degli artt. 20, comma 1, e 24 della convenzione di cooperazione, dell'art. 19

della convenzione di gestione e dell'art. 19 del disciplinare tecnico.Il TAR Lazio, con la sentenza 23.04.2013 n. 356, ha accolto il ricorso nella parte in cui era rivolto avverso il Comune di Atina e per l'effetto ha dichiarato illegittima l'inerzia serbata dal predetto Comune sulla diffida/nuova istanza presentata dalla ricorrente il 3 agosto 2012, ordinando al medesimo Comune di provvedere su detta istanza mediante l'esecuzione delle attività di ricognizione ed affidamento in concessione di cui agli artt. 20 e 24 della convenzione di cooperazione nonché con la consegna materiale delle opere e impianti afferenti il S.I.I., entro il termine di novanta giorni. Il Collegio giudicante ha altresì nominato un Commissario ad acta. Il ricorso è stato, invece, respinto nella parte in cui era rivolto avverso l'Autorità d'Ambito.Il Comune di Atina ha proposto appello al Consiglio di Stato.Si è costituita l’originaria ricorrente.La società Acea Ato 5 s.p.a. si è costituita nel giudizio di appello e ha concluso per il rigetto del gravame proposto.Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.2. L’appello è infondato.2.1. Non merita accoglimento, in primo luogo, il motivo con il quale parte l’appellante deduce l’inammissibilità del ricorso originario in ragione dell’omessa impugnazione di una pregressa determinazione amministrativa.

L’Amministrazione comunale appellante indica un precedente giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2398), asseritamente afferente ad una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, al fine di sostenere l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancanza dei presupposti per l’attivazione del ricorso avverso il silenzio, in ragione della sussistenza, anche nel caso oggetto del presente giudizio, di un’inoppugnata nota della P.A. idonea a determinare un arresto procedimentale.Si deve osservare che, in realtà, i due casi risultano differenti, anche se entrambi vertono sugli stessi accordi negoziali rispetto ai quali si sarebbe perpetrata l’inerzia amministrativa con riguardo all’istanza volta alla consegna degli impianti inerenti al S.I.I.Nella vicenda definita con la citata sentenza n. 2398/2013 la nota emanata dall’Amministrazione, infatti, comunicava che “il trasferimento degli impianti dell'acquedotto del centro urbano di Cassino all'ATO 5 non può essere in alcun modo effettuato, in quanto mancano i presupposti amministrativi e legali perché ciò possa avvenire” e concludeva informando che “il Comune di Cassino si opporrà in tutte le sedi, con tutti i mezzi legali, a qualsiasi iniziativa che porti al trasferimento in oggetto senza previa risoluzione di tutte le problematiche a monte”. A sua volta, con la successiva nota prot. n. 48239 del 10.10.2007, il Comune di Cassino confermava che non avrebbe effettuato alcuna consegna.

Dette note, quindi, non avevano contenuto meramente interlocutorio ma, al contrario, manifestavano chiaramente l'inequivoca intenzione del Comune di Cassino di non addivenire alla consegna degli impianti, in tal guisa incidendo in maniera diretta e negativa sull’interesse di ACEA ATO 5 ad ottenere la consegna degli impianti.Nella fattispecie qui in rilievo, invece, la nota del 27 ottobre 2012, adottata in risposta alla succitata diffida dell'ACEA, ATO 5 S.p.A., richiama l'esigenza di “svolgere in contraddittorio la preliminare attività tecnica/ricognitiva necessaria per il trasferimento delle opere, beni ed impianti funzionali al S.I.I.”. Tale nota, in ciò chiaramente differenziandosi dalla fattispecie precedentemente esaminata, non solo non contiene una risposta negativa, necessitante di immediata impugnazione, ma, al contrario, contiene il riconoscimento dell’inadempimento degli obblighi convenzionali, pur se accompagnato dall’indicazione di percorso procedurale da seguire per l’effettuazione della consegna.La nota del 27 ottobre, in altri termini, non può essere considerata come un diniego esplicito né come un provvedimento dotato di autonoma capacità lesiva, manifestandosi in concreto come un atto soprassessorio, inidoneo in sé a determinare un arresto procedimentale. In ragione della sua natura meramente interlocutoria e della descritta inidoneità a manifestare la volontà dell'Amministrazione, l’atto soprassessorio non è autonomamente impugnabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3

maggio 2012, n. 2530) e non rende inammissibile l’azione avverso il silenzio.2.2. E’ infondato anche il secondo motivo di appello con cui si deduce la violazione del principio del ne bis in idem, collegata all’instaurazione, innanzi al Tribunale di Cassino, di una causa, recante n. r.g. 2747/2011, con identiche parti ed identici petitum e causa petendi.A confutazione della doglianza si deve rimarcare che, ai fini dell’applicazione dell’istituto della litispendenza (art. 39 c.p.c.), i due giudici aditi debbono appartenere al medesimo plesso giurisdizionale: la contemporanea presenza, infatti, della stessa causa dinanzi al giudice ordinario e a quello amministrativo esula dalla nozione di litispendenza, integrando piuttosto una questione di giurisdizione.Anche la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che la litispendenza, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., “si riferisce alla proposizione della stessa causa di fronte a giudici diversi nell’ambito della giurisdizione ordinaria” (Cass., Sez. VI civ., 20 maggio 2013, n. 12187) e, pertanto, “non può valere ad introdurre deroghe ai criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice di diversa giurisdizione, ancorché aditi con la medesima domanda” (Cass. 30/7/2007, n. 16834; Cass. civ. SS.UU., n. 5243 del 1981).2.3. E’ infondato anche il terzo motivo di gravame con cui l’amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso introduttivo stante la decadenza dall’azione ex art. 117

c.p.a. per decorso del termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a.Sul punto, la sentenza del TAR Lazio ha ritenuto ricevibile il ricorso poiché introdotto entro un anno dalla diffida che Acea Ato 5 s.p.a. ha inviato al Comune di Atina il 3 agosto 2012.A conferma della statuizione si deve notare che, alla stregua di consolidata giurisprudenza, si deve escludere che il termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a., produca una decadenza sostanziale che colpisce la posizione soggettiva, atteggiandosi invece a mera sanzione processuale che non impedisce la proposizione di autonomo giudizio a seguito della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del provvedimento amministrativo.Per espressa previsione di legge (art. 31, co. 2, c.p.a., secondo alinea: “è fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”), infatti, la decorrenza del termine annuale incide soltanto sul piano processuale, senza che si produca nessuna vicenda estintiva dell’interesse legittimo pretensivo sotteso all’iniziativa procedimentale di parte: pertanto, se tale situazione giuridica soggettiva persiste in capo al cittadino anche dopo un anno dalla formazione del silenzio-rifiuto, sussiste pure la legittimazione a riproporre l’istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente, a promuovere l’azione avverso il silenzio.

Va soggiunto che, stante la natura del termine in una con la relativa ratio, la diffida a provvedere va equiparata ad una nuova istanza ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a.2.4. Il Comune di Atina, come ulteriore motivo di appello, deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo alternativamente: a) se considerato come attinente ad attività discrezionale, in quanto volto ad ottenere una pronuncia sulla fondatezza dell’istanza in eccesso di potere giurisdizionale b) se considerato come afferente ad una mera attività materiale della p.A., in quanto la materia del contendere sarebbe estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe invece nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.L’ipotesi sub a) risulta non attinente al caso di specie, dal momento che ci si trova di fronte ad un’attività amministrativa vincolata, poiché il Comune, a fronte della Convenzione di cooperazione stipulata, deve eseguire le attività di ricognizione ed affidamento in concessione di cui agli artt. 20 e 24 della citata Convenzione nonché consegnare materialmente le opere e gli impianti afferenti il S.I.I.Gli Enti locali ricompresi nell'A.T.O. n. 5 ebbero, infatti, ad approvare, nella Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre 1996, una convenzione di cooperazione, stipulata ai sensi dell'art. 9 della l. n. 36/1994, nonché ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. a), della l.r. n. 6/1996 e 24 della l. n. 142/1990, avente ad oggetto la regolamentazione dell'organizzazione e del controllo della gestione del S.I.I. (servizio idrico integrato,

costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue, che ricadono all'interno dell'A.T.O. appena indicato).Tale convenzione, da ricomprendere nella categoria degli accordi tra Pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 15 della l. n. 241/1990, ha stabilito, all'art. 24, l'obbligo, per i Comuni convenzionati, di affidare in concessione al soggetto gestore del S.I.I. (con le modalità definite nell'ambito della convenzione per la gestione del servizio stesso), le opere, beni ed impianti pertinenti i servizi idrici gestiti anche in economia, e di trasferirgli le immobilizzazioni, le attività e le passività relative, nonché il personale addetto ai servizi idrici (dei singoli Enti locali che risultano compresi nell'A.T.O.).La consegna di beni, impianti ed opere pertinenti il S.I.I. non può prescindere dall'attività di ricognizione delle opere di captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione presenti nel territorio comunale (cfr. art. 20 della convenzione di cooperazione), di indubbia natura pubblicistica (v. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, sent. n. 600/2012 e ord. n. 858/2006), di modo che la medesima consegna non rappresenta una mera attività materiale, ma si esplica attraverso provvedimenti amministrativi, avvenendo essa mediante l'affidamento in concessione di opere, beni ed impianti pertinenti il S.I.I. (art. 24 della convenzione di cooperazione), con il corollario della piena esperibilità dell'azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. Tali attività, ad ogni modo, risultano vincolate, poiché, a fronte di

quanto stipulato in sede di accordo fra PP.AA., la ricognizione delle opere e la successiva loro consegna non risultano oggetto di possibili scelte fra più comportamenti giuridicamente leciti volti a perseguire l’interesse pubblico.2.5. Con l’ipotesi sub b), l’appellante sostiene infine l’inammissibilità del ricorso introduttivo, se considerato come afferente ad una mera attività materiale della p.A., in quanto la materia del contendere sarebbe estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe invece nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.Anche tale motivo risulta infondato.L’art. 140 del R.D. n. 1775/1933 devolve al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie aventi ad oggetto la demanialità delle acque, i limiti dei corsi o bacini, i diritti relativi alle deviazioni e alle utilizzazioni dell’acqua pubblica: in base alla citata norma non è possibile includere nella cognizione del TSAP le controversie concernenti il diritto del concessionario alla corretta applicazione delle disposizioni regolanti la concessione delle opere e degli impianti pertinenti il S.I.I.L’art. 143, co. 1, lett. a) dello stesso R.D., invece, attribuisce alla cognizione del TSAP i ricorsi avverso i provvedimenti definitivi della P. A. in materia di acque pubbliche; secondo la giurisprudenza prevalente afferiscono alla giurisdizione del TSAP, dunque, tutti i ricorsi contro provvedimenti caratterizzati dall’incidenza immediata e diretta sulla materia

delle acque pubbliche, ancorché adottati da autorità diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque.Ai fini del riparto di giurisdizione, di conseguenza, il discrimine viene individuato dall’incidenza diretta o meno del provvedimento amministrativo sul governo delle acque pubbliche (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3325). La giurisdizione del TSAP sussiste quando si impugnano provvedimenti amministrativi che incidano direttamente sul regime delle acque pubbliche, nel senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o modificarne la localizzazione o a influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti.Si deve notare però che l'incidenza diretta del provvedimento amministrativo sul regime delle acque pubbliche, che radica la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche, è configurabile non solo quando l'atto provenga da organo amministrativo preposto alla cura di pubblici interessi in tale materia e costituisca manifestazione dei poteri attributi a tale organo per vigilare o disporre in ordine agli usi delle acque, ma anche quando l'atto, ancorché proveniente da organi dell'amministrazione non preposti alla cura degli interessi del settore, finisca, tuttavia, con l'incidere immediatamente sull'uso delle acque pubbliche, in quanto

interferisca con i provvedimenti relativi a tale uso, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi.Nel caso di specie non si ravvisa tale incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche, potendosi al più ipotizzare un incidenza indiretta del comportamento inerte tenuto dalla P.A., non idonea a radicare la giurisdizione del TSAP (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3325).La controversia in esame, avendo ad oggetto l'esecuzione dell'obbligo previsto dall'art. 24 della convenzione di cooperazione approvata dalla Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre 1996, riguarda, pertanto, l'esecuzione di un accordo tra Pubbliche Amministrazioni, con il corollario della sua devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a.3. Le considerazioni che precedono impongono la reiezione del ricorso.Sussistono, tuttavia, alla luce della complessità delle questioni affrontate, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, PresidenteFrancesco Caringella, Consigliere, Estensore

Manfredo Atzeni, ConsigliereDoris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, ConsigliereL'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIAIl 27/05/2014

IL SEGRETARIO(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

N. 00473/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00771/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 771 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Donatella D'Agostino, rappresentata e difesa dagli avv. Gianfranco Mobilio, Aristide De Vivo, con domicilio eletto presso Gianluca Avv. Di Genova in L'Aquila, via Giovanni di Vincenzo 25; 

controComune di Ortucchio in Persona del Legale Rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Pierluigi Oddi, con domicilio eletto presso Giacomo Avv. Giammaria in L'Aquila, via XX Settembre, 59; 

nei confronti di

Giacinto Mariani, rappresentato e difeso dagli avv. Giampiero Nicoli, Cristian Nicoli, con domicilio eletto presso Adelaide Avv. Perrotti in L'Aquila, via Paolucci N. 21; 

per l'annullamentodel provvedimento - intimazione prot. n. 3839 reso dal comune in data 22/08/2012 con il quale s'invitava la ricorrente "a voler provvedere, nel tempo di 15 giorni, all'immediata estumulazione della salma di un suo prossimo congiunto, con conseguente spostamento nella cappella di cui risulta assegnataria".

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Ortucchio in Persona del Legale Rappresentante e di Giacinto Mariani;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2014 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTOLa sig.ra D’Agostino partecipava ad un bando per la concessione di Cappella gentilizia nel nuovo cimitero del comune di Ortucchio in loc. Santo Stefano, al fine di dare sepoltura al di lei Padre, Sig. Antonio D’Agostino.

All’esito dell’espletamento della gara, la sig.ra D’Agostino risultava aggiudicataria di una delle due cappelle da quattro posti, identiche e situate in fila fra loro vicine, all’interno fra due altre cappelle laterali di 8 posti.In seguito a sorteggio del 27.9.2011, la cappella da quattro posti, distinta con il n. 2, veniva attribuita alla sig.ra D’Agostino, mentre l’altra speculare cappella da due posti, distinta con il n. 1, risultava sorteggiata a favore del sig. Giacinto Mariani (odierno controinteressato); di tanto si dava atto con le delibere di giunta in data 26.10.2011 n. 110 (concessione della cappella n. 2 alla sig.ra D’Agostino) e n. 112 (concessione della cappella n. 1).Dopo la sottoscrizione degli atti relativi ad opera degli assegnatari, Il custode del cimitero sig. Gigli consegnava alla sig.ra D’Agostino la chiave della cappella di spettanza di quest’ultima (od almeno così il custode stesso riteneva di aver fatto).A distanza di ulteriori quattro mesi dalla consegna della chiave, la sig.ra D’Agostino espletava le dovute pratiche per la traslazione della Salma del suo Papà, poi effettuata in data 10.4.2011, alla presenza –oltre che di familiari e persone- dello stesso responsabile del cimitero.Il relativo verbale veniva consegnato al comune di Ortucchio e la sig.ra D’Agostino decideva di dar seguito alle opere di finitura della Cappella, incaricando di ciò un marmista.Predisposti i marmi, in data 14.7.2012, l’artigiano ed i familiari D’Agostino al seguito venivano fermati dal custode

del cimitero, che rappresentava loro “problematiche” insorte sull’assegnazione della cappella.In riscontro ad una lettera di chiarimenti predisposta dall’interessata, il sindaco con lettera del 22.8.2012 “invitava” la sig.ra D’Agostino all’estumulazione della salma, rappresentando che erroneamente la tumulazione sarebbe avvenuta all’interno della cappella n. 1 (assegnata al sig. Giacinto Mariani) anziché all’interno della cappella n. 2. Sosteneva in particolare il comune che –come da fatto notorio e da accertate indagini- l’apposizione dei numeri delle quattro cappelle oggetto del sorteggio sarebbe stata effettuata dal custode (interpellato al riguardo), seguendo l’ordine logico da sinistra verso destra, e ciò a fronte di una successiva arbitraria modifica delle numerazioni che nel caso di specie avrebbe determinato lo scambio delle etichette tra la cappella n. 1 e quella contraddistinta con il n. 2; in buona sostanza veniva dedotto che con tale modus operandi la sig.ra D’Agostino avrebbe illegittimamente occupato la cappella gentilizia sorteggiata in favore del sig. Mariani, che ne rivendicava invece l’assegnazione.Con ricorso introduttivo, la sig.ra D’Agostino impugnava tale comunicazione, deducendo svariati profili di censura. In ogni caso veniva segnalato il connotato paradossale della vicenda (che condurrebbe ad una irragionevole ed irrispettosa estumulazione di una salma per meri “capricci” burocratici), trattandosi: i) di due cappelle identiche, ove la preferenza per una delle due risulterebbe avulsa da qualsiasi evidenza

razionale; ii) all’interessata era stata consegnata una sola chiave (quella che ha dato accesso alla cappella –contraddistinta all’interno con il n. 2- ove è avvenuta la tumulazione del papà), così che –anche avendolo voluto per qualche oscura ragione- le sarebbe stato impossibile alterare il numero apposto all’interno dell’altra cappella (che riporta il n. 1), per la semplice circostanza di non aver mai avuto per tale manufatto una chiave d’accesso. Senza oltre considerare che lo stesso custode, a distanza di quattro mesi dalla consegna della chiave alla sig.ra D’Agostino, avrebbe assistito senza nulla eccepire alla tumulazione della salma, salvo poi aver denunciato il preteso scambio.Si costituiva in giudizio il Comune di Ortucchio eccependo in primis il connotato non provvedimentale dell’atto impugnato, contenente un semplice invito alla D’Agostino a provvedere come da delibere di assegnazione.Si costituiva in giudizio anche il controinteressato sig. Giacinto Marini, insistendo sul fatto che la sig.ra D’Agostino avrebbe abusivamente occupato la cappella n. 1 in luogo di quella a lei attribuita con sorteggio, allegando in proposito planimetrie ritenute dirimenti sul punto.Nel corso del giudizio, il responsabile dell’ufficio tecnico ordinava in data 28.12.2012 alla sig.ra D’Agostino Donatella di provvedere al ripristino dello status quo ante a proprie spese, previa comunicazione al Comune di Ortucchio, in accordo con il servizio igiene della ASL, alla presenza del custode del cimitero e del comandante dei vigili urbani.

Tale provvedimento veniva gravato con i primi motivi aggiunti, ivi censurandosi fra l’altro l’ostinato difetto di istruttoria, ed il travisamento dei fatti in cui sarebbe incorso il comune procedente.Nel dichiarato intento di far venir meno il contenzioso pendente, la Giunta comunale con delibera n. 30 del 27.3.13 (nel riportare ad un mero errore involontario del responsabile del cimitero l’equivoco in questione, causato dalla consegna iniziale alla D’Agostino Donatella della chiave della cappella n. 1), pur confermando le assegnazioni scaturenti dal sorteggio pubblico, demandava però al custode cimiteriale –e non più alla diretta interessata- di provvedere egli stesso in accordo con le competenti autorità alla traslazione della Salma del Sig. D’Agostino dalla cappella n. 1 alla cappella n. 2; da qui la conseguenziale ordinanza dirigenziale di estumulazione dell’8.4.13, a firma del responsabile dell’ufficio tecnico.Entrambi i su richiamati atti venivano infine gravati con secondi motivi aggiunti, ivi deducendosi in primis l’incompetenza del responsabile dell’Ufficio Tecnico nella soggetta materia; venivano poi ribadite le doglianze mirate ad evidenziare –oltre a vizi procedimentali di mancata partecipazione- il grave difetto di istruttoria in cui sarebbe incorso il Comune, e ciò anche in relazione ad una nuova versione dei fatti che il Comune stesso –rettificando precedenti ricostruzioni- avrebbe ex post prospettato, a sostegno dell’ingiunta estumulazione. Veniva altresì dedotta la superficialità con cui l’ente civico –nel disporre la restituzione

del loculo- avrebbe ignorato che medio tempore (ed in ogni caso senza alcuna colpa della ricorrente) sarebbero stati effettuati al suo interno costosi lavori di addobbo funerario.Il comune a sua volta –dopo aver puntualizzato di aver vanamente esperito tentativi di accordo fra le parti- insisteva in giudizio nel ritenere che la sepoltura del defunto Genitore sarebbe avvenuta abusivamente nel sepolcro di cui all’edificio n. 1 assegnato al sig. Mariani, come da una allegata piantina planimetrica contenente la numerazione dei loculi sottoscritta dalle parti. Da tali evidenze, emergerebbe la conferma di una numerazione progressiva dei loculi posta da sinistra a destra, esattamente nei sensi disposti dal custode, che si sarebbe poi accorto –come da testimonianza- che “il n. 2 era sparito e che al suo posto era stato affisso il n. 1”.Anche il controinteressato replicava ai motivi aggiunti, sostenendo che il custode Gigli –dopo aver ad egli consegnato le due chiavi relative alla cappella gentilizia n. 1- avrebbe erroneamente consegnato la terza chiave (sempre della cappella n. 1) alla sig.ra D’Agostino, la quale ne avrebbe approfittato per occupare il sepolcro n. 1, alterando la numerazione.Con ordinanza n. 138/13 il Tar ha accolto l’istanza incidentale di sospensiva, mentre alla pubblica udienza del 7.4.14 la causa è stata riservata a sentenza.

DIRITTOLe ragioni della ricorrente trovano riconoscimento nei sensi qui di seguito illustrati.Pur nel caotico alternarsi delle varie (e paradossali) ricostruzioni fattuali, volta per volta affermate dalle parti in causa, resta non controverso ed anzi documentato in atti che la sig.ra D’Agostino –dopo aver ottenuto espressa autorizzazione civica del 10.4.2012- ha proceduto in pari data alla traslazione della Salma del Padre nella cappella gentilizia, di cui aveva preso possesso ben quattro mesi prima (non abusivamente, bensì) attraverso la consegna della chiave da parte del custode. Dell’avvenuta operazione cimiteriale veniva dato atto con apposito verbale di “eseguita esumazione” , sottoscritto –oltre che dai testimoni e dal custode- anche dall’ufficiale sanitario. Solo dopo svariati mesi dopo dalla traslazione della salma nella nuova cappella gentilizia, il comune di Ortucchio ha per la prima volta rappresentato alla sig.ra D’Agostino che ella sarebbe incorsa in errore occupando la cappella gentilizia “sbagliata”, in luogo di quella appena confinante, di pari entità e dimensioni, che il sorteggio con l’assegnatario odierno controinteressato (anch’egli titolare di concessione di uno dei due loculi gemelli) le avrebbe a suo tempo riservato.Osserva in proposito il collegio che a fronte di tali evidenze, da una parte risulta smentita o comunque priva di qualsiasi evidenza probatoria l’intenzionalità della ricorrente di impossessarsi di una cappella gentilizia altrui, visto che era

stato proprio il custode a consegnarle le chiavi, senza avvertirla del presunto equivoco pur a distanza di svariati mesi. Già tale circostanza basterebbe ad aver ingenerato affidamenti decisivi in capo all’interessata soprattutto quando –munita delle occorrenti autorizzazioni- l’interessata medesima (senza alcuna accelerazione strumentale, ed anzi con tutta calma dopo quattro mesi dall’apertura del nuovo loculo) ha provveduto a dare definitiva sepoltura al suo Genitore. Il tutto, peraltro, in assenza di convenienze di sorta verso una delle due cappelle gentilizie del tutto gemelle, così da far assumere alle rivendicazioni del controinteressato ed agli atti ripristinatori del comune quel connotato di paradossalità evidenziato dal collegio in apertura, vista la presenza di una sepoltura ormai espletata, che avrebbe meritato –da parte di coloro che tale ripristino hanno invocato e/o ordinato- una maggiore ponderazione ed un maggior rispetto.In ogni caso l’operazione cimiteriale in questione –come sopra visto- è stata debitamente preceduta da specifica autorizzazione, ed è stata poi attestata da verbale di regolarità esecutiva sottoscritta dalle competenti autorità. Tali attestazioni pubbliche non possono che estendersi non solo al “quomodo” della tumulazione anche all’”ubi” della stessa (dovendo escludersi che possano rilasciarsi autorizzazioni di questo tipo che prescindono dal luogo di destinazione della salma). Ne consegue che qualora il comune avesse ravvisato gli estremi per disporre l’estumulazione della salma del Sig.

D’Agostino dalla cappella gentilizia nella quale ha trovato da ultimo sepoltura, non avrebbe in primo luogo dovuto contestare alla ricorrente alcun abuso di sorta, e tantomeno adottare tout court alcun ordine di “ripristino” dello status quo ante (peraltro del tutto fuori contesto, data la delicatissima natura del facere imposto). Avrebbe invece dovuto esperire un’attenta autotutela decisoria sugli atti autorizzativi rilasciati, spiegando le ragioni di prevalenza della estumulazione –peraltro ben difficili da immaginare ex ante- in virtù dell’equivoco in cui sarebbe incorso lo stesso comune –e per esso il custode del cimitero- nel consegnare le chiavi all’assegnatario “sbagliato” di una delle due cappelle gentilizie gemelle. Nel corredo motivazionale a sostegno dell’autotutela, il comune avrebbe dovuto inoltre considerare, da una parte l’ingente decorso temporale trascorso prima di accorgersi dell’equivoco stesso, e dall’altra l’assoluta identità fra le due cappelle gentilizie in questione, così ponderando, sotto il delineato contesto di proporzionalità, anche il rifiuto opposto dal presunto assegnatario (per sorteggio) della cappella “occupata” di prendere possesso dell’altra speculare cappella, anzi che pretendere “ripristini” di sorta, come invece avvenuto in concreto.Come meglio esposto in narrativa, ben diverso è stato invece il modus operandi prescelto dal comune:-con l’atto sindacale impugnato mediante il ricorso principale (n. 3839 del 22.8.2012), è stato formalizzato un “invito” alla sig.ra D’Agostina “a voler provvedere immediatamente, entro

e non oltre giorni quindici dal ricevimento della presente, a voler ripristinare lo status quo ante al tempo del sorteggio delle cappelle gentilizie”, atteso che “Ella nel mese di aprile 2012, nel procedere all’estumulazione della salma del suo prossimo congiunto, ha erroneamente tumulato la medesima nella cappella n. 1, ovvero quella del quale risulta legittimo assegnatario il sig. Giacinto Mariani”;-con ordinanza del responsabile dell’ufficio tecnico in data 28.12.2012 (impugnata con i primi motivi aggiunti) si è disposto che la sig.ra D’Agostino Donatella provvedesse al ripristino dello status quo ante a proprie spese, previa comunicazione al Comune di Ortucchio, in accordo con il servizio igiene della ASL alla presenza del custode del cimitero e del comandante dei vigili urbani;-attraverso una presunta autotutela asseritamente mirata a raffreddare il contenzioso, la Giunta comunale con delibera n. 30 del 27.3.13 (nel riportare ad un mero errore involontario del responsabile del cimitero l’equivoco in questione, causato dalla consegna iniziale alla D’Agostino Donatella della chiave della cappella n. 1), ha “confermato” le assegnazioni scaturenti dal sorteggio pubblico, demandando così al custode cimiteriale –e non più alla diretta interessata- di provvedere egli stesso in accordo con le competenti autorità alla traslazione della salma del Sig. D’Agostino dalla cappella n. 1 alla cappella n. 2;-con ordinanza di estumulazione dell’8.4.13 (impugnata con secondi motivi aggiunti insieme alla presupposta delibera di

giunta n. 30/13), il responsabile dell’ufficio tecnico ha infine ordinato (sembra di capire, agli organi interni del comune ed a spese di quest’ultimo) “l’estumulazione della salma del Sig. Antonio D’Agostino con conseguente spostamento nella cappella n. 2 di cui (la sig.ra D’Agostino) risulta legittima assegnataria”.Come agevolmente desumibile dai descritti atti procedimentali e provvedimentali, il Comune ha in realtà limitato il suo conclamato “ripensamento” alla sola assunzione diretta delle operazioni di estumulazione, in luogo del precedente accollo di tale “rispristino” a cura e spese della sig.ra D’Agostino. Ciò ovviamente senza nessuna considerazione motivazionale sulle concrete ragioni che avrebbero imposto l’estumulazione come soluzione proporzionata e preferenziale, rispetto ai pur rilevanti affidamenti ingenerati a favore della sig.ra D’Agostino, e comunque senza aver effettuato autotutela e/o rettifiche di sorta sulle autorizzazioni in base alle quali si era ritualmente svolta l’allocazione delle Spoglie del Sig. D’Agostino nel loculo che, secondo il comune, sarebbe ora da sgomberare.Trattasi dunque di un provvedimento di secondo grado del tutto insufficiente a determinare la conformazione a legge dell’attività civica, correttamente censurata con i secondi motivi aggiunti per difetto di istruttoria e di motivazione. Tali motivi aggiunti trovano pertanto accoglimento, assorbito ogni altro motivo, con conseguente annullamento dell’ordinanza dell’8.4.13 e della presupposta delibera di giunta 30/13.

Tali ultimi atti (superando le prime determinazioni del comune che avevano addebitato alla ricorrente l’incombente della estumulazione del Congiunto) determinano comunque il venir meno dell’interesse al ricorso introduttivo ed ai primi motivi aggiunti.In conclusione:-vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti;-vanno accolti i secondi motivi aggiunti.Sussistono ragioni per compensare le spese di lite, eccetto il rimborso dei contributi unificati da addebitare al Comune intimato.

P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) definitivamente pronunciando cul contenzioso in epigrafe, dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti, mentre accoglie i secondi motivi aggiunti, con le conseguenze di cui in motivazione.Spese compensate, eccetto il rimborso dei contributi unificati a favore della ricorrente, da addebitare al Comune intimato.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Passoni, Presidente FF, EstensorePaola Anna Gemma Di Cesare, Primo Referendario

Lucia Gizzi, ReferendarioIL PRESIDENTE, ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIAIl 22/05/2014

IL SEGRETARIO(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)