VICENZA, 30/11/2015 STRENNA DI NATALE...

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1 VICENZA, 30/11/2015 SOMMARIO CARO AMICO TI SCRIVO p. 3 CIAK p. 4 1. Due giorni, una notte 2. Father and son 3. IDA 4. Il caso Kerenes 5. Il passato 6. Mia madre 7. Nebraska 8. Still Alice 9. Still life 10.Torneranno i prati 11.Un giorno devi andare STRENNA DI NATALE 2015

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VICENZA, 30/11/2015

SOMMARIO

CARO AMICO TI SCRIVO p. 3

CIAK p. 4

1. Due giorni, una notte

2. Father and son

3. IDA

4. Il caso Kerenes

5. Il passato

6. Mia madre

7. Nebraska

8. Still Alice

9. Still life

10.Torneranno i prati

11.Un giorno devi andare

STRENNA DI NATALE 2015

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La Bacheca La Bacheca La Bacheca La Bacheca

UFFICIO DIOCESANO PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA

Contrà Vescovado, 1 - 36100 VICENZA (VI)

Tf. 0444/226456 - fax 0444/540235 - e-mail: [email protected]

COLLEGAMENTO PASTORALE - Speciale IR

DIRETTORE DELL’UFFICIO: don Antonio Bollin

REDAZIONE: Giorgia Caleari, Paola Pietrobelli, Carlo Meneghetti,

Ylenia D’Autilia, Giovanni Lonardi

E-MAIL REDAZIONE: [email protected] (Ufficio IRC)

PREGHIERA DI PAPA FRANCESCO PER IL GIUBILEO Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Amen

In copertina: Maestro di Velo d’Astico (1408), Natività, Chiesa di San Giorgio Martire, San Giorgio di Velo d’Astico

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Caro amico ti scrivo...Caro amico ti scrivo...Caro amico ti scrivo...Caro amico ti scrivo...

UNA STRENNA NATALIZIA PER GLI IdRUNA STRENNA NATALIZIA PER GLI IdRUNA STRENNA NATALIZIA PER GLI IdRUNA STRENNA NATALIZIA PER GLI IdR

Cari Amici,

ho pensato nei giorni scorsi - com’è tradizione nel mondo salesiano - ad una strenna natalizia per Voi IdR, nel ricordo dei 25 anni del nostro Ufficio. E mi è venuta un’idea.

C’è un amico degli IdR vicentini, che da anni ci invia periodicamente recensioni di films utili e validi anche per l’attività didattica di IRC: si tratta del prof. Olinto Brugnoli, già nostro Collega nell’IRC, giornalista pubblicista, critico cinematografico ed esperto in scien-ze della comunicazione. Ora, avevamo in riserva un buon numero di sue recensioni di films, che nei mesi passati non hanno trovato spazio nei nostri “Speciali IR”… così li abbiamo riu-niti ed è nata la strenna di Natale 2015.

Ringrazio ancora una volta Olinto per questo dono, che ci ha fatto, frutto delle sue competenze e della sua passione per il cinema, con la speranza che possa continuare an-cora ad offrirci le sue belle recensioni.

E vi rinnovo fraternamente l’augurio di Buon Natale con un passo di Sant’Agostino: “Il Signore Gesù ha voluto farsi uomo per noi. Non giudicare poca cosa questa sua miseri-cordia: la sapienza stessa giace sulla terra: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (…) colui che giace nella mangiatoia si è fatto debole, ma non ha per-so la sua potenza: ha assunto ciò che non era, ma è rimasto ciò che era. Ecco, abbiamo con noi il Cristo bambino: cresciamo con lui!” (Dal Discorso 196).

Buon Natale a Voi e alle vostre famiglie con tutti i Collaboratori dell’Ufficio.

Don Antonio Bollin

Direttore

Vicenza, 30 novembre 2015

Memoria di S. Andrea

Ricordiamo, a chi fosse interessato, che è disponibile il DVD sui 25 anni

dell’Ufficio con due schede operative.

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Ciak… a cura di Olinto BrugnoliCiak… a cura di Olinto BrugnoliCiak… a cura di Olinto BrugnoliCiak… a cura di Olinto Brugnoli ���� DUE GIORNI, UNA NOTTE

Titolo originale: Deux jours, une nuit; regia: Jean-Pierre e Luc Dardenne; sceneggia-tura: Luc e Jean-Pierre Dardenne; fotografia: Alain Marcoen; montaggio: Marie-Hélène Dozo; interpreti: Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Catherine Salée, Oli-vier Gourmet; produzione: Le Films du Fleuve, Archipel 35, Bim, Eyeworks; distribu-zione: Bim; durata: 95’; origine: Belgio/Francia, 2014. Applaudita in concorso a Cannes 2014, l’ultima opera dei fratelli Dardenne persegue con coerenza e rigore la linea tematica e stilistica dei fratelli belgi, sempre attenti al mondo del lavoro, alle ingiustizie di un sistema capitalistico che mette in secondo piano le persone, ai valori legati alle relazioni umane quali la solidarietà, la compren-sione e la condivisione. La vicenda . Sandra, sposata a Manu e madre di due bambini, lavora in una fabbrica di pannelli solari, la Solwall. A causa di una depressione, Sandra è rimasta a casa dal lavoro per un certo periodo di tempo. Ora è guarita, ma quando ritorna in fabbri-ca viene a sapere che il proprietario, il signor Dumont, ha indetto un referendum tra i dipendenti per decidere se riaccettarla o se, in cambio di un bonus di mille euro a testa, licenziarla definitivamente. Quattordici dei sedici dipendenti hanno naturalmente votato per il bonus; solo due, Juliette e Robert, hanno votato a suo favore. Ora Sandra è avvilita e la depressione è sempre in agguato. Con l’aiuto di Juliette e con l’incoraggiamento del marito, Sandra riesce ad ottenere da Dumont di rifare la votazione, dato che il caporeparto, Jean-Marc, aveva esercitato una pressione sui lavoratori per indurli a votare per il licenziamento della donna. La nuova votazione avrà luogo lunedì mattina: Sandra ha a disposizioni due giorni e una notte per contattare, ad uno ad uno, i suoi colleghi e cercare di convincerli a cambiare la loro scelta. Inizia così per Sandra una via crucis umiliante, tra attestazioni di solidarietà e rifiuti categorici, perfino violenti. Alla fine, nonostante l’esito negativo della votazione, Sandra avrebbe lo stesso la possibilità di non essere licenziata, ma la donna non rinuncia alla propria di-gnità e a quella solidarietà che lei aveva cercato dagli altri. Il racconto , dalla struttura lineare, mette in risalto, già dal titolo, il tempo a disposizione della protagonista per cerca-re di vincere la sua battaglia per il posto di lavoro. È costituito da un’introduzione, un grosso corpo centrale e da una conclusione, cui fa seguito un’appendice di grande importanza dal punto di vista tematico. Introduzione . Viene subito presentata la figura della protagonista, Sandra. La prima immagine la riprende, con un’angolazione dall’alto, a letto, in uno stato di prostrazione. Riceve una telefonata da Juliette che la invita ad andare con lei dal signor Dumont per chiedere di far rivotare. Sandra piange, prende una pastiglia e non vuole andarci. Ma il marito, che durante tutto il film non le farà mai mancare il sostegno affettuoso e l’incoraggiamento, la spinge a pro-varci: «Il solo modo per non piangere è batterti per conservare il lavoro. Come la paghiamo la casa senza il tuo lavo-ro?». Sandra è preoccupata: «Dovremo ritornare in una casa popolare?». Ma il marito la rassicura: «No, non ci tor-neremo. Non devi farti abbattere; devi andarci». Nell’incontro con Dumont, Juliette racconta dell’influsso che Jean-Marc ha avuto sulla votazione. Dumont spiega che la crisi economica e la concorrenza dei pannelli solari asiatici lo hanno obbligato a fare delle scelte. Ma accetta che si rivoti, a patto che venga rispettato il segreto del voto. Juliette è euforica: «Abbiamo vinto il primo round». Sandra sta male e deve bere un po’ d’acqua: «Volevo dirgli che sto bene, che ho tanta voglia di ritornare al lavoro, ma non riuscivo a dire niente». Juliette è ottimista: «Anche se non hai detto niente, ha ceduto solo perché c’eri. Sarà lo stes-so lunedì mattina. Quando ti vedranno non potranno pensare solo al bon us». Più tardi il marito la invita ad incontrare i suoi colleghi personalmente, prima della votazione. Ma Sandra è demoraliz-zata: «Tranne Juliette e Robert non c’è nessuno che pensa a me. È come se non esistessi. Ma hanno ragione, non esisto. Non sono niente, proprio niente ». È chiaro che i registi mettono in relazione il lavoro con la dignità della persona umana: senza un lavoro la persona è privata della sua dignità e della sua stessa esistenza come persona. Per fortuna il marito non demorde: «Tu esisti, Sandra. Io ti amo. Anche per loro esisti. Prima di scegliere hanno esi-tato, hanno pensato a te. Ed è per questo che devi vederli, uno per uno, nel weekend». Poi fa presente che non è colpa sua se i colleghi perdono il bonus: «È il principale che l’ha deciso, non tu». Anche qui emerge un giudizio ne-gativo: mettere i dipendenti gli uni contro gli altri è un modo per innescare una guerra tra poveri che ha poco di uma-no. Corpo centrale . Si cercano gli indirizzi dei vari dipendenti e inizia la peregrinazione di Sandra. A tutti i suoi colleghi la donna dice, più o meno, le stesse cose. Esprime il suo desiderio di tornare al lavoro, che per lei è una necessità, e denuncia il comportamento scorretto di Jean-Marc. La vera chiave di lettura del film, pertanto, non è legata alle moti-vazioni della protagonista, quanto piuttosto alle varie reazioni delle persone contattate (caratterizzate da maggiore o minore umanità) che influiscono sullo stato d’animo e sulla psiche della donna, una persona fragile, appena uscita da una crisi depressiva, costretta continuamente a prendere delle pastiglie per trovare la forza di andare avan-ti. Il primo a essere contattato telefonicamente è un certo Kader. L’uomo si lascia convincere facilmente dalle accorate

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parole di Sandra, che si commuove e ringrazia, quasi incredula. A volte con l’autobus, altre volte accompagnata dal marito, Sandra incomincia il suo giro nei paesi limitrofi per trovare gli altri colleghi. Incontra Willy che oppone resi-stenza: «Non ho votato contro di te; ho votato per il bonus. È Dumont che ci ha fatto scegliere, non io». Sandra ri-sponde: «Lo so. È schifoso costringervi a scegliere , ma io non voglio perdere il mio lavoro». L’uomo vacilla, dice che deve rifletterci, ma l’intervento della moglie è determinante: le spese sono tante e il bonus è irrinunciabile. San-dra se ne va mestamente, scusandosi. Incontra poi Mireille, che ha lasciato il marito e ora deve ricomprare un sacco di cose: «Non posso permettermi di perdere mille euro; non avercela con me, ma non posso». Anche in questo caso Sandra se ne va, rassegnata, senza rancore. Va poi da Nadine che, al citofono, si fa negare. Sandra però ha sentito la sua voce e ci resta molto male. Infatti poco dopo, al ristorante, Sandra ha una crisi di pianto ed è costretta ad uscire per non farsi vedere dai bambini. Ciò che più l’ha ferita è che Nadine non abbia nemmeno voluto parlarle, magari per dirle di no, ma di persona, guardandola in faccia, come avevano fatto gli altri. La donna è scoraggiata e vorrebbe rinunciare, ma il marito insiste: «Sono tre su sei; vediamone almeno ancora uno o due». Per Sandra è stato un trauma: è significativo che durante il viaggio in macchina la donna sì addormenti e abbia un incubo (sogna che il figlio Maxime sta per annegare). L’incontro con Timur, invece, è del tutto diverso. Il giovane, di origini maghrebine, la ringrazia per essere andata da lui. Dice di provare rimorso per aver votato per il bonus e ricorda che Sandra, quando lui aveva commesso un errore, l’aveva aiutato assumendosene la responsabilità. Come si vede, al centro dell’attenzione c’è sempre il problema del-la solidarietà e dell’aiuto reciproco, al di là del tornaconto personale. Timur addirittura si mette a piangere e s’incarica di telefonare lui a un certo Miguel per convincerlo. Sandra ora è rinfrancata e sorridente, non solo per avere ottenuto un voto in più, ma soprattutto per il rapporto umano che ha instaurato con il giovane. È poi la volta di Hichman che, prima per telefono e poi personalmente, le dice di non poterla aiutare: «Non voglio che tu perda il lavoro, ma io non voglio perdere il bonus. Mettiti al mio posto: è un anno di luce e gas». Ma Sandra ribat-te: «Cerca anche tu di metterti al mio posto . Sono guarita, vorrei tornare al lavoro, guadagnarmi il salario, stare con voi e non ritrovarmi l’unica disoccupata». Viene poi a sapere dall’uomo che Jean-Marc ha telefonato a tutti per evitare che cambino idea, perché è convinto che «chi è stato male, dopo non sia più così efficiente». Sandra è scon-volta. È chiaro che, al di là del lavoro in sé, il vero problema per lei è quello di sentirsi accettata e considerata come una persona normale. Non cerca pietà, ma riconoscimento. Per lo choc non riesce a parlare; beve acqua avidamen-te e tiene la testa fuori dal finestrino per prendere aria. Poi, col marito, si lascia andare: «Lui ha ragione; non sono più all’altezza. Non faccio che piangere. Sto perdendo anche la voce». Lo sconforto la porta a desiderare di essere come quell’uccello che canta su un albero e a pensare alla fine del suo rapporto col marito: «Sento che ci lascere-mo». Manu domanda: «Perché dici così?». Sandra risponde: «Perché tu non mi ami più. Hai pietà di me, ma non mi ami più. Non ti importa che non facciamo più l’amore da quattro mesi?». Ma il marito, con grande affetto, ribatte: «Sì, ma so che lo rifaremo». I due si guardano intensamente negli occhi: è lo sguardo (tipico del fratelli Dardenne e della filosofia di Lévinas, cui i registi belgi si ispirano) che riconosce l’altro come persona e lo fa sentire persona. Sandra si reca da Yvonne che sta riparando macchine con il figlio. Yvonne è comprensivo, mentre il figlio l’aggredisce: «Non ti vergogni di rubarci i nostri soldi?». Poi litiga con il padre, più possibilista, e lo colpisce con un pugno. Nonostante Yvonne decida a questo punto di votare per lei, Sandra prova rimorso e vorrebbe finirla lì: «È per colpa mia che si sono picchiati. È per colpa mia tutta questa violenza, non posso sopportarlo». La donna non ne può più e si mette a letto, ancora una volta ripresa dall’alto, schiacciata dal suo dolore. Ma il marito le annuncia che an-che Miguel ha detto di sì: «E siamo a sei. Ne mancano soltanto tre. Ci andiamo domani?» Riesce a convincerla: «Ce la faremo». Anche Anne avanza delle riserve. Anche lei ha problemi economici. Tuttavia si riserva di parlarne con il marito. Le parole comprensive della donna («Mi angoscia dirti di no … non mi fai pietà, ma è da venerdì sera che non smetto di pensarci») producono in Sandra un momento di serenità. Per la prima volta la vediamo in macchina col marito, la radio accesa, sorridente e distesa. Ma la risposta negativa di Julien, che non intende rinunciare al bonus, la rigetta nello sconforto. Torna da Anne, il cui marito inveisce contro di lei: «Ti diverti a rompere le palle alla gente?». Il litigio tra marito e moglie che ne consegue, produce in Sandra un effetto devastante. Ancora le pastiglie, ancora l’acqua. Poi, a casa, dopo aver rifatto i letti dei bambini, Sandra ingurgita un intero flacone di pastiglie. La disperazione la porta a tentare il suicidio. Ma prima che sia troppo tardi, succede qualcosa di imprevisto: Anne si reca a casa sua e le comunica di aver lasciato il marito: «Sono venuta a dirti che lunedì voterò perché tu resti…È la prima volta che decido qualcosa in vita mia». Il breve ricovero in ospedale per la lavanda gastrica prelude alla ripresa dei colloqui. Sandra e Manu sono più che mai uniti: si baciano e si abbracciano con affetto, si stringono le mani come segno di solidarietà. «I tre che restano li vedremo stasera. Tu te la senti?», chiede il marito. «Io sì, e tu?», risponde sorridendo Sandra. Ed ecco, dopo due giorni, la notte. Vanno da un altro collega che dice di non poterla aiutare. A questo punto Sandra chiede ad Anne se vuole cambiare idea, ma la donna, che si è affrancata dal marito, la ringrazia di essere andata da lei. In macchina i tre – Sandra, Manu ed Anne – ascoltano alla radio una musica rock, cantando felici in uno dei rari momenti di serenità. Poi avviene l’incontro con Alphonse, un ragazzo di colore che dimostra una grande sensibilità: «Sai, vorrei proprio votare per te domani. È quello che Dio mi dice di fare: devo aiutare il p rossimo, devo aiutar-lo». Poi ammette di avere avuto paura. Jean-Marc l’aveva contattato per digli che se voleva essere ben visto dagli altri era meglio se votava per il bonus, perché quasi tutti volevano questo. Dopo uno sguardo intenso e profondo , Alphonse dichiara: «Io voterò per te». Anche se poi esprime tutta la sua paura: «Io ho un contratto a tempo determi-nato, devono rinnovarmelo a fine settembre. Se Jean-Marc farà un cattivo rapporto su di me il contratto non sarà rinnovato». Conclusione . È lunedì mattina. Nella sede della Solwall si riuniscono i dipendenti. Sandra ha appena il tempo di

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contattare un ultimo collega che non era riuscita a trovare, il quale però non accetta di rinunciare al bonus. Si passa alla votazione dopo aver deciso che sia Jean-Marc, sia Sandra, devono uscire per non influenzare il voto. Fuori i due si affrontano. Jean-Marc le chiede se è contenta di aver rotto le palle a tutti. Lei lo rimprovera: «Non do-vevi fargli paura per farli votare contro di me…hai detto a quei colleghi che se non avessero licenziato me, sarebbe toccato a loro». Poi conclude: «Sei senza cuore ». L’attesa per il verdetto è ricca di tensione. Finalmente arriva Juliette: la votazione si è chiusa in parità, otto pari. Non è sufficiente, ne manca uno. Sandra va a salutare quelli che avevano votato a suo favore, li abbraccia: «Grazie per avermi sostenuto, non lo dimenticherò mai». Poi, con grande dignità, prende la sua roba dall’armadietto e si accinge ad andarsene. Appendice . Sandra viene invitata ad andare dal signor Dumont. Questi si congratula con lei per essere riuscita a convincere metà del personale a votare per lei: «Chiaramente la metà non è la maggioranza. Ma per superare ogni rancore, ho deciso di fare il bonus e di reintegrarla». Ma, aggiunge: «Non subito. A fine settembre non rinnoverò un contratto a tempo determinato e lei potrà tornare. Avrà due mesi di cassa integrazione. È la buona notizia che volevo darle. Resterà con noi». Ma Sandra obietta: «Io non posso prendere il posto di uno che verrà licenziato perché io possa tornare». Dumont le fa notare che non si tratta di un licenziamento, ma di un contratto che non verrà rinnova-to. Ma Sandra afferma: «È la stessa cosa…arrivederci signor Dumont». E se ne va. L’ultima sequenza mostra Sandra che telefona al marito per dargli la notizia. Ma, a differenza di quello che ci si po-trebbe immaginare, le sue parole non sono sconsolate, ma rivelano una calma e una serenità tipiche di chi sente di aver agito in coscienza, secondo uno spirito di solidarietà e di giustizia. Dice semplicemente: «Sì, sarà difficile. Co-mincerò a cercare oggi». Poi conclude: «Manu, ci sei? Ci siamo battuti bene; sono felice ». Poi spegne il telefono e se ne va, lungo la strada, con le sue cose, sorridente. Significazione . Basta confrontare la prima immagine con l’ultima per rendersi conto della profonda evoluzione della protagonista. All’inizio Sandra era in piena crisi e in preda alla depressione, alla fine la vediamo serena, felice e otti-mista. Nei film dei Dardenne non c’è il classico lieto fine (in questo caso la vittoria nella votazione e il reintegro), ma un lieto fine molto più intenso perché tocca la profondità dell’anima. Sandra è felice non perché abbia conservato il lavoro, ma perché si è battuta con determinazione e ha fatto emergere in alcune persone sentimenti di solidarietà, di umanità, di verità. Ma soprattutto perché è riuscita a conservare la sua dignità rinunciando al lavoro per non farlo perdere ad un’altra persona. Perché ha vinto la tentazione del mors tua vita mea e ha saputo agire con generosità e altruismo, virtù che permettono di vivere con la pace nel cuore. Idea centrale . Come nei film precedenti, i fratelli Dardenne osservano i guasti del sistema socio-economico in cui viviamo. Un sistema che, soprattutto nei momenti di crisi, mette le persone le une contro le altre, favorendo forme di autodifesa, di chiusura, di egoismo. Solo con la solidarietà e l’altruismo – anche a costo di pagare di persona – si può vivere una vita, magari povera dal punto di vista economico, ma ricca dal punto di vista dei valori. E quindi digni-tosa e felice.

���� FATHER AND SON

Titolo originale: Soshite chichi ni naru (“Tale padre, tale figlio”); regia: Kore-eda Hiro-kazu; sceneggiatura e montaggio: Kore-eda Hirokazu; fotografia: Takimoto Mikiya; scenografia: Keiko Mitsumatsu; interpreti: Masaharu Fukuyama (Ryota Nonomiya), Machiko Ono (Midori Nonomiya), Yoko Maki (Yukari Saiki), Lily Franky (Yudai Saiki), Shogen Hwang, Jun Fubuki, Jun Kunimura, Kirin Kiki, Isao Natsuyagi, Legumi Mori-saki; produzione: Fuji Television Network, Amuse Inc., Gaga Corporation; distribuzio-ne: Bim; durata: 120'; origine: Giappone, 2013.

Premio della Giuria a Cannes 2013 e menzione specia le della Giuria Ecumenica

Il regista . Nato il 6 giugno 1962 a Nerima, Tokyo, Hirokazu esordisce in campo cine-matografico con il film Maboroshi, in cui emerge un elemento che diventerà una co-stante della sua poetica: il rapporto tra il grandioso scenario della natura e il mondo affettivo e sentimentale dell'uomo. La notorietà internazionale arriverà per lui con il film Wonderful Life (distribuito con il titolo After Life), cui faranno seguito Distance e Nobody Knows. Dopo aver realizzato alcune opere più com-merciali, come Hana e Air Doll, il regista giapponese ritorna al suo genere “autoriale” con quest'opera, in cui affronta il delicato e complesso rapporto che lega genitori e figli con un linguaggio coinvolgente e sincero, anche se, soprat-tutto agli occhi del mondo occidentale, un po' ingenuo e didascalico.

La vicenda . La famiglia Nonomiya è costituita da Ryota, un architetto che lavora in un prestigioso studio della città, da sua moglie Midori e dal loro figlioletto di circa sei anni Keita. Ryota è tutto preso dal lavoro e trascura la famiglia; Midori si dedica all'educazione di Keita, ma in un modo che viene considerato troppo tenero e accondiscendente dal marito, che vorrebbe che il figlio diventasse come lui, ambizioso ed efficiente in tutto. Un giorno arriva una telefonata dall'ospedale dove Keita è stato partorito e i due coniugi vengono a sapere che al momento della nascita il loro bam-

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bino è stato scambiato con quello di un'altra coppia, i Saiki, gente molto diversa da loro, sia sul piano sociale sia su quello familiare (il padre, Yukari, vende materiale elettrico; la madre, Yudai, lavora in una specie di ristorante; i tre bambini, tra cui Ryusei, il vero figlio dei Nonomiya, vengono allevati con grande calore ed affetto). Le due coppie si incontrano ripetutamente per cercare di trovare una soluzione a questo dramma familiare. Ryota, che non nasconde il suo disprezzo per i Saiki, tenta innanzitutto di prendersi cura di entrambi i bambini. Di fronte all'opposizione dell'al-tra coppia, si decide di incominciare a scambiare i due bambini gradualmente solo durante i fine settimana. Infine Ryota, che è convinto che quello che conta veramente è il legame di sangue, decide che i due bambini debbano es-sere scambiati definitivamente. Ma dovrà rendersi conto che il legame affettivo e la vita in comune sono più forti e importanti del legame biologico.

Il racconto . La struttura del film è lineare e scandisce la vicenda in quattro grosse parti che corrispondono a quattro periodi dell'anno. Una didascalia con il nome del mese specifica l'inizio di tali periodi. Si può osservare che protago-nisti del film possono essere considerati tutti i membri delle due famiglie che entrano in relazione; tuttavia la fami-glia Nonomiya è decisamente la più importante dal punto di vista strutturale. Inoltre il personaggio di Ryota è il più importante di tutti, in quanto è lui che cerca di imporre una soluzione al problema ed è quello che, nel corso del film, ha una maggiore evoluzione interiore.

“Novembre” .

- L'incipit del film è dato da un colloquio che la famiglia Nonomiya ha con le autorità scolastiche per l'ammissione di Keita a scuola. Naturalmente si tratta di una scuola privata, che viene preferita da parte di Ryota a quella pubblica, perché più prestigiosa e quindi più ricca di prospettive per il futuro. È significativo che la presentazione che Ryota fa del figlio sia espressa, in modo critico, in termini di somiglianza : «L'indole tranquilla e la dolcezza dei suoi modi sono sicuramente di mia moglie. Ma i suoi pregi sono anche i suoi difetti. A volte si dimostra fin troppo remissivo. Ad esempio, un insuccesso non sembra scuoterlo; e devo dire che come padre questa cosa un po' mi lascia perples-so». Keita, interrogato, parla del padre che lo ha portato al campeggio e che è bravissimo a far volare gli aquiloni. Si verrà a sapere che ciò non è vero, ma evidentemente esprime un desiderio che il bambino porta dentro di sé.

- Viene poi presentato Ryota sul piano professionale. Lavora ad un grande progetto e riceve le congratulazioni da parte del suo capo: «Grazie alla tua efficienza il tuo capo può dedicare più tempo alla sua famiglia». È importante notare che, già fin d'ora, viene rimarcato il rapporto tra impegno sul lavoro e legami familiari ed affettivi.

- Si passa poi a descrivere la vita in famiglia, non priva di tensioni dovute a un diverso modo di intendere l'educazio-ne. Ryota, appena tornato dal lavoro, vuole sapere se il figlio si è esercitato al pianoforte e critica la moglie che si dimostra troppo tenera nei suoi confronti. Lei cerca di tranquillizzarlo: «Ce la stiamo mettendo tutta: vuole essere come il suo papà ». Ma lui ribadisce: «Oggi come oggi essere gentili è una debolezza … non è che possiamo viziar-lo entrambi». Poi, quasi scusandosi, dice che, una volta finito il progetto, avrà un po' più di tempo per la famiglia. Ma Midori afferma che sono sei anni che ripete quella frase.

- Ricevuta la telefonata dall'ospedale, i due coniugi vanno a parlare con i medici e vengono a sapere che probabil-mente Keita non è il loro vero figlio. Tuttavia è necessario l'esame del DNA per esserne sicuri. Nell'attesa i genitori manifestano il loro affetto nei confronti di quel figlio che forse temono di perdere: a letto, in un momento di grande tenerezza, esclamano ripetutamente: «Sempre insieme».

- L'esame del DNA rivela «l'assenza di corrispondenza biologica » tra il bambino e i suoi “genitori”. La reazione di Ryota è rabbiosa: dà un pugno al vetro del finestrino e pronuncia una frase che lascia allibita Midori e che esprime la vera preoccupazione dell'uomo: «Si spiega tutto ora ». In altre parole ora Ryota capisce perché quel bambino non gli somiglia in termini di ambizione e di determinazione, ed è questo il motivo principale del suo rammarico.

- Naturalmente Ryota non esita a rimproverare la moglie per aver voluto partorire in un ospedale di provincia, senza tener conto che la donna l'aveva fatto per avere l'aiuto della madre, e creando in lei dei sensi di colpa: «Sono una madre; come ho fatto a non rendermene conto?».

- C'è poi l'incontro con i coniugi Saiki e con l'avvocato dell'ospedale che invita tutti a prendere una decisione veloce-mente: «È in gioco il futuro dei vostri figli … sarebbe bene prima dell'inizio della scuola».

Inizia qui un filone tematico che continuerà per quasi tutta la durata del film: la contrapposizione tra la semplicità dei coniugi Saiki (che hanno allevato tre bambini, che sono di umile condizione, che pensano anche di trarre un van-taggio economico da quella vicenda; ma che vivono con i loro figli in un rapporto di partecipazione e di profondo af-fetto) e l'altezzosità e lo sdegno di Ryota che disprezza il mestiere di Yukari» («È un commerciante»), ma che desi-dera solo che il figlio faccia carriera nella vita, come ha fatto lui, incurante dell'aspetto relazionale e affettivo.

- È significativo che la prima cosa che Ryota fa è quella di tranquillizzare il suo principale: «La cosa non influirà mini-mamente sul mio lavoro». E poi sembra fare propria l'idea che il suo capo gli suggerisce: «Ma scusa, perché non li cresci tu tutti e due? È una soluzione».

- Nel successivo incontro tra le due famiglie in un centro commerciale, l'autore sottolinea i diversi comportamenti dei vari membri: i bambini giocano tra di loro con la massima naturalezza; le due madri si scambiano opinioni e consigli; Ryota sta sulle sue e in seguito rimprovera la moglie per aver dato troppa confidenza a Yudai: «Ma chi si crede di essere quella? Non legare troppo con loro. Un domani potremmo anche trovarceli contro in tribunale».

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- Più tardi Ryota si incontra con il suo avvocato e gli esprime l'intenzione di prendersi in custodia tutti e due i bambi-ni. Gli parla dei legami di sangue e, nonostante l'avvocato gli dica che si tratta di un concetto antiquato, l'uomo espri-me la propria convinzione che sia proprio il sangue a stabilire il rapporto padre -figlio . È molto significativa la risposta dell'avvocato: «Sei proprio rimasto indietro. Devi avere un problema con la figura paterna». Ryota vorrebbe addirittura sottrarre Ryusei ai suoi “genitori” per via legale: «Lei è una nevrastenica e lui è una nullità. Sarei disposto a pagare una somma considerevole se fossero disposti ad accettare l'affidamento». Ma l'avvocato, molto saggia-mente, lo consiglia piuttosto di unirsi a loro nella battaglia con l'ospedale.

“Gennaio” .

- Siamo giunti al quarto incontro tra le due famiglie. L'avvocato dell'ospedale li sollecita a prendere una decisione: «I bambini si adattano in fretta alle novità». Ma i genitori, non sentendosi ancora pronti, decidono di incominciare lo scambio dei bambini in modo graduale, iniziando dai fine settimana.

- Ryota cerca di spiegare a Keita il motivo di questo cambiamento e gli parla di una “missione ”: «È una missione per farti crescere e diventare forte. Devi dormire a casa di Ryusei: fa tutto parte dell'educazione. Tutto per farti crescere forte e farti diventare grande».

- Keita viene portato a casa dei Saiki che vivono in periferia. Naturalmente Ryota ha un atteggiamento critico: «Non è possibile. Guarda che razza di posto».

A questo punto è importante sottolineare un filone semiologico che si accosta a quello tematico sopra accennato. Le immagini che si riferiscono alla vita dei Nonomiya riprendono ambienti lussuosi ma asettici, con una figurazione che sottolinea l'aspetto geometrico, razionale, funzionale. L' illuminazione è fredda e i colori sono scuri e spenti. Quelle invece che si riferiscono alla vita dei Saiki mostrano ambienti popolari, disordinati e un po' sporchi, ma con colori più vivi che indicano il calore umano e la condivisione. Inoltre, durante i viaggi che i Nonomiya fanno dalla città alla periferia e viceversa, le immagini mostrano enormi tralicci e un'infinità di cavi elettrici, segno di modernità. Non si sentono i rumori, ma soltanto alcune note musicali piuttosto malinconiche e tristi.

- Da questo momento l'autore fa largo uso del montaggio parallelo per mostrare i due bambini che si trovano ad af-frontare situazioni e rapporti del tutto nuovi. È facile capire che Keita si trova a suo agio in quella nuova famiglia alle-gra, dove regnano la partecipazione e la condivisione, dove si fa il bagno tutti insieme con la massima naturalezza, dove i bambini aiutano il padre ad aggiustare ogni genere di cosa. È importante notare che in questa famiglia c'è spazio anche per i valori religiosi e spirituali: solo dalla nonna materna Keita aveva potuto suonare quella campanel-la che si trova davanti all'altare dove si venerano gli antenati chiedendo la loro benedizione. Ryusei, invece, riceve subito delle osservazioni e delle critiche sul suo modo di usare le bacchette per mangiare; inoltre si sente solo senza i fratellini, si annoia e desidera ritornare nella sua casa.

- Dopo questa prima esperienza i bambini ritornano nelle loro case di origine. Ryota, come al solito, è critico. È an-che indignato perché i Saiki non hanno chiesto scusa per il fatto che Keita sia caduto al parco e si sia ferito ad una mano. E ci resta male quando Keita, cui si è rotto un robot giocattolo, domanda: «Quand'è che posso tornare ancora a casa di Ryusei? Il suo papà è bravissimo. È capace di aggiustare tutto tutto».

“Aprile” .

- Altro incontro. I due padri si confrontano. Yukari rimprovera Ryota per il suo comportamento nei confronti di Keita: «Prendi questi sei mesi; ho passato più tempo io con Keita che tu in sei anni». Ryota risponde: «Non credo che sia solo questione di tempo». Ma Yukari molto giustamente osserva: «Ma che dici? Per i bambini è solo questione di tempo ».

- Ad un certo punto Ryota si decide ed avanza la sua proposta di occuparsi lui di tutti e due i bambini. Naturalmente la cosa provoca indignazione nell'altra coppia e, di fronte alla proposta di Ryota di offrire loro una grossa somma di denaro, Yukari reagisce: «Certe cose le puoi comprare, e altre cose no. E tu, vuoi comprare un figlio?».

- In tribunale emerge una verità sconcertante. Lo scambio dei neonati non è avvenuto a causa di un incidente, ma per precisa volontà di un'infermiera. La cosa è ricca di significati. Tale infermiera aveva dei problemi affettivi con i figli di suo marito e, vedendo la felicità dei coniugi Nonomiya («Avevano la stanza più costosa dell'ospedale … lui lavorava in uno studio prestigioso») decise di scaricare le sue frustrazioni sui figli di qualcun altro («Dopo mi sono sentita sollevata; non sarei più stata l'unica a soffrire»). È chiaro che l'autore vuole sottolineare l'importanza nella vita umana dei rapporti affettivi. La mancanza di questi è fonte di sofferenza che poi produce altra sofferenza. Ora la donna dice di essere pentita e di voler espiare il suo crimine, ma ormai il reato che ha commesso è caduto in prescri-zione e quindi resta solo il frutto del male compiuto.

- Ryota va con un suo fratello a trovare il vecchio padre che, da quanto si capisce, vive con una donna che non è la madre dei suoi figli. Qui l'anziano genitore espone al figlio la sua teoria: «È così che funziona con i figli. Finiscono per somigliarti anche se vivono altrove. Ascolta: è il sangue; per gli uomini come per i cavalli è una questione di sangue . Più il tempo passa più lui finirà per somigliarti. E sempre di più Keita somiglierà a loro, a quelli che sono i suoi veri genitori. Non aspettare. Sbrigati a restituirglielo. Fai lo scambio e chiudi per sempre con quella famiglia». Come si vede, il padre di Ryota ha una concezione radicalmente diversa da quella espressa dalla madre di Midori

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che in precedenza aveva affermato: «Chi conta è chi ti cresce, non chi ti mette al mond o». È chiaro a questo punto che la tematica del film riguarda il confronto tra queste due posizioni mentali.

- Da questo momento Ryota fa di tutto per seguire il consiglio del padre. Si scontra con Yudai che lo accusa: «La fai tanto lunga con questa storia del sangue solo perché non sei capace di creare un vero legame con tuo figlio». Dopo il saggio di pianoforte, in cui Keita fa brutta figura, Ryota si scontra anche con la moglie che gli rinfaccia quella frase («Si spiega tutto ora») che lui aveva pronunciato quando aveva saputo dello scambio dei neonati: «Che cosa volevi dire con questo? La verità è che non avevi mai accettato l'idea che tuo figlio non avesse il tuo talento».

- Si decide pertanto per lo scambio. Ryota spiega a Keita che dovrà andare a vivere dai Saiki («È una missione»). Le due mamme sono trepidanti e si abbracciano con affetto. Ryota spiega a Ryusei che ora è lui suo padre (e gli impo-ne subito una serie di regole da rispettare), ma non sa rispondere a quella serie di «perché?» che il bambino gli po-ne.

“Agosto” .

- Il capo di Ryota gli cambia incarico e lo invita a passare più tempo con la famiglia. E qui incomincia un graduale ma inarrestabile cambiamento da parte dell'uomo. Si scontra con Ryusei che fa fatica ad accettare le regole e che vorrebbe tornare a casa. Ma un giorno trova tra i sedili del divano un giocattolo che era di Keita e in lui incomincia a farsi strada un sentimento nuovo.

- È significativo che quando il suo avvocato gli annuncia che è stata vinta la causa contro l'ospedale, Ryota affer-mi:«Io non ho vinto un bel niente»; suscitando la sorpresa dell'avvocato: «Giuro che non ti riconosco più». Ryota continua: «Non è il tuo l'affetto che cerco». Al che l'avvocato, ridendo, risponde: «Soffri di carenza affettiva? Ma sei proprio sicuro di essere tu?

- Ryota è un uomo trasformato e diventa più sensibile nei confronti degli altri. E quando Ryusei scappa da lui e torna a casa sua, Ryota va a riprenderlo. Ma subito dopo fa un'affermazione che permette di capire tante cose: «Scappai di casa anch'io. Volevo vedere mia madre. Mio padre mi riportò a casa con lui». Anche per Ryota, quindi, c'è stata all'inizio una carenza affettiva che ha avuto delle conseguenze nella sua vita determinando il suo comportamento.

- Ed ecco la decisione di cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti di Ryusei. Con l'aiuto della moglie, Ryo-ta incomincia a dedicare del tempo al bambino, a giocare con lui, a ridere e scherzare. Arriva persino a montare una tenda in casa per assecondare i desideri del ragazzo. Ma questi nuovi metodi non sembrano funzionare più di tanto se ad un certo punto Ryusei, chiamato ad esprimere un desiderio, afferma: «Tornare dalla mamma e dal papà, a casa, lì con loro … scusate».

- E Midori, che s'accorge di incominciare a voler bene a Ryusei, si sente in colpa verso Keita: «Mi sento come se lo stessi tradendo. Che cosa starà facendo ora?».

- Ma il fatto più importante, che diventa decisivo, avviene quando Ryota, guardando le immagini nella macchina foto-grafica, s'accorge che Keita gli aveva scattato di nascosto un sacco di foto, segno del suo affetto e del suo amore. Ora Ryota si commuove profondamente e s'accorge che la sua vera paternità nasce proprio dall'amore che quel bambino ha avuto nei suoi confronti .

- Ed ecco la decisione finale. Ryota e Midori riportano Ryusei a casa sua. Keita però reagisce scappando. Ryota al-lora lo segue e con pazienza cerca di riportarlo a sé. È significativo che i due camminino su due strade parallele. Keita afferma: «Papà non è il mio papà». Ryota risponde: «Questo è vero. Però per quei sei anni sono stato il tuo papà ogni giorno. Non ero un granché forse. Però ero il tuo papà (…) La macchina fotografica: ho visto che mi hai fatto un sacco di foto (…) Volevo dirti che la tua missione è finita » Poi le due strade si congiungono permettendo ai due di abbracciarsi con profonda tenerezza ed affetto.

- Poi fanno ritorno a casa di Ryusei, dove gli altri li stavano aspettando. Tutti insieme entrano in casa in un clima di ritrovata serenità e di festosa accoglienza. L'immagine diventa fissa e la musica extradiegetica suggella quel mo-mento di armonia e di gioia.

Significazione .

Come s'è visto la tematica di fondo verte proprio sul tema della paternità (o della genitorialità). Che cosa significa essere padre o madre? È un fatto di pura «corrispondenza biologica»? Significa plasmare i figli e pretendere che ci assomiglino in tutto e per tutto? È chiaro che per l'autore le cose non stanno così. Ryota, che seguiva la concezione paterna secondo la quale è il sangue la cosa più importante, si rende gradualmente conto che ciò che più conta è il vivere insieme, nel rispetto delle differenze, all'interno di un rapporto caratterizzato dall'affetto e dall'amore.

Idea centrale .

Il rapporto padre-figlio (o genitoriale) è un rapporto complesso e delicato che richiede accettazione, rispetto e amore. Un amore che supera i legami di sangue (cioè l'aspetto biologico e materiale) e che, per la sua natura spirituale, non conosce limiti o confini.

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���� IDA

Regia: Pawel Pawlikowski; sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Rebecca Szyszko-wski; fotografia: Lukasz Zal; montaggio: Jaroslaw Kaminski; scenografia: Katar-zyna Sobanska, Marcel Slawinski; interpreti: Agata Kulesza, Agata Trzebucho-wska, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik, Adam Szyszkowski; distribuzione: Parthe-nos; durata: 80'; origine: Polonia/Danimarca, 2013.

Il regista . Pawel Pawlikowski, regista polacco radicato in Inghilterra, dove ha fatto studi di letteratura e filosofia (a Oxford) e dove è diventato regista, dopo alcune esperienze di tipo documentaristico, ha realizzato alcuni lungometraggi, tra cui vanno menzionati My Summer of Love e Last Resort. Ida è il suo quinto film ed è stato presentato al Festival di Torino 2013 nella sezione “Festa mobile”, dopo aver incantato buona parte della critica sia a Londra che a Toronto.

La vicenda è ambientata nella grigia e soffocante Polonia dei primi anni '60, in pieno regime comunista. Anna è una giovane novizia che vive in un convento. Es-sendo orfana è stata allevata dalle suore e si sta preparando a prendere i voti. Ma prima che la cosa avvenga, la Madre superiora la invita ad andare in città per conoscere l'unica parente che le è rimasta, la zia Wanda, che è stata procuratore nei tribunali di regime. Le due donne sono molto diverse, ma, insieme, decidono di ricostruire la storia della loro famiglia. Anna viene così a sapere di essere figlia di ebrei e di chiamarsi Ida; scopre che i suoi genitori so-no stati assassinati; riesce a recuperare i loro poveri resti e li seppellisce in un cimitero ebraico. Nel frattempo Anna/Ida fa la conoscenza di un giovane musicista e viene continuamente provocata dalla zia che non accetta l'idea che si faccia suora. Alla fine di questo periodo di contatto con il mondo, Ida fa ritorno in convento. Mancano pochi giorni ai voti, ma Ida s'accorge di non essere pronta a fare il grande passo e decide di aspettare. Nel frattempo Wanda, che è in preda alla disperazione, si suicida buttandosi dalla finestra. Ida allora va ad abitare nell'appartamento della zia e inizia una vita mondana imitando le abitudini di Wanda (si mette a fumare e a bere) e assaporando le gioie dell'amo-re con il musicista che aveva conosciuto. Ma, dopo questa esperienza, Ida capisce finalmente qual è la sua vera vocazione e, con grande determinazione, ritorna in convento per consacrare la propria vita a Dio.

Il racconto .

La struttura del film è lineare e comprende un'introduzione, tre parti (di cui la prima è decisamente la più lunga) e un epilogo.

Introduzione .

- Viene subito presentata la figura della protagonista, Anna (per il momento chiamiamola così). Le prime immagini mostrano la novizia che, con grande cura, sta colorando il volto di una statua del Sacro Cuore, che poi viene portata davanti al convento, in un prato innevato, e posta su un piedistallo. Vengono subito sottolineate la devozione e l'os-servanza delle regole di Anna e delle sue consorelle: il segno della croce, la preghiera e il canto comunitari, il pran-zo consumato nel refettorio in silenzio.

- Anna viene convocata dalla Superiora che le parla di Wanda: «È tua zia. Le abbiamo scritto diverse volte, l'abbia-mo pregata di venire a prenderti, ma non l'ha mai fatto». Anna, nel tentativo di giustificarla, obietta: «Forse non ave-va ricevuto le lettere». Ma la Superiora ribadisce: «Le ha ricevute. Alla fine ha risposto che non poteva venire. La dovresti conoscere prima di prendere i voti: è la tua unica parente. Andrai da lei; resterai lì il tempo che servirà».

- L'immagine mostra Anna a letto, ripresa dall'alto. Bacia l'immagine sacra che porta nella catenina che tiene al collo e, subito dopo, viene mostrato il volto della statua del Sacro Cuore.

- Aiutata dalle consorelle, Anna prepara la valigia e parte sotto la neve. Anna s'allontana dal convento non per suo volere , ma per disposizione della Superiora.

Prima parte .

- Anna va a Varsavia, per incontrare la zia. Le immagini sottolineano subito il contrasto tra la vita di città, con il traffi-co, i rumori, la gente, e la vita silenziosa del convento. Anna guarda, incuriosita , quel mondo nuovo in cui sta en-trando.

- Anna suona il campanello dell'abitazione della zia, che le apre. Appare una donna volgare e disinibita che la acco-glie con distacco e un po' di fastidio. In casa c'è un uomo che si sta vestendo e poi se ne va. Wanda fuma in conti-nuazione e aggredisce la nipote: «Che cosa ti hanno detto di me?». Anna risponde: «Che lei è mia zia». «Solo que-sto? Non ti hanno detto che cosa faccio, chi sono?», continua Wanda. «No – risponde Anna, e poi chiede - perché non mi sei venuta a prendere in orfanotrofio?». Al che Wanda risponde: «Non potevo; non volevo. Non saresti stata bene con me». Poi, quasi provocatoriamente: «E così tu sei la suora ebrea». E di fronte allo stupore di Anna, conti-

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nua: «Sei ebrea; non te l'hanno detto in tutti questi anni? Ti chiami Ida Lebenstein». Poi, dopo averle fatto vedere la foto della madre con lei in braccio, la liquida sbrigativamente: «La riunione di famiglia è finita. Adesso mi devo vesti-re, sono in ritardo. A che ora hai il treno?». Poco dopo vediamo Wanda in tribunale ad esercitare la sua funzione di giudice: il suo volto è duro e impenetrabile. Il primo impatto tra le due donne rivela subito la profonda differenza che esiste tra di loro; il che farebbe pensare alla fine di ogni rapporto.

- Ma più tardi Wanda vede la nipote (d'ora in poi la chiameremo Ida) alla stazione. Nasce in lei un sentimento di te-nerezza che le fa cambiare atteggiamento. Riprende la relazione tra le due donne. Wanda incomincia a raccontare la storia della loro famiglia: «Tua madre era un'artista; io amavo l'avventura. Una volta fece una bellissima vetrata e la portò nella stalla per rallegrare le mucche. Tuo padre non era un tipo interessante; a me non piaceva…». Poi le fa vedere delle foto di famiglia, dove appare anche un bambino. Ida domanda se ha avuto un fratello, ma la zia le dice che è figlia unica. Ida esprime il desiderio di andare sulla tomba dei genitori, ma Wanda osserva: «Non hanno la tomba; né loro né gli altri ebrei. Non si sa dove sono sepolti; forse nel bosco o forse nel lago». Ma di fronte alla de-terminazione di Ida che vuole informarsi, Wanda si offre di accompagnarla in questa ricerca.

- Le due donne si mettono in viaggio. Ora sono alleate, ma l'autore continua a sottolineare anche la loro diversità, il loro diverso modo di reagire, le provocazioni che Wanda esercita nei confronti della nipote, di cui evidentemente non condivide la scelta. Wanda le chiede se deve sempre stare con quel “cappuccio” in testa; le domanda se è rossa di capelli; le dice che è carina e che gli uomini impazziranno di lei; le chiede se ha dei pensieri peccaminosi relativi ad un amore carnale. E di fronte al diniego di Ida, osserva: «Peccato. Dovresti provare, altrimenti che sacrificio è il tuo ?».

- Si recano nella loro vecchia casa di famiglia, che ora è occupata da dei contadini polacchi. Interrogano la donna che vi abita, ma questa dice che devono parlare con suo marito. In attesa che questi faccia ritorno a casa, le due donne si dividono: Ida va in chiesa a pregare (tenendo tra le mani l'immaginetta del sacro Cuore); Wanda va al bar, dove beve e fuma e nel frattempo chiede informazioni.

- Poi ritornano nella casa a parlare con l'uomo. Ne nasce una discussione animata. Wanda fa presente che in quella casa viveva la sua famiglia, ma l'uomo afferma che quella è la sua casa. Si viene a sapere che il padre dell'uomo aveva nascosto i Lebenstein nel bosco per proteggerli, ma Wanda vuole sapere come sono morti. Evidentemente sospetta che li abbiano eliminati loro per impossessarsi della casa. Vuole anche sapere dove si trova suo padre e arriva a minacciare l'uomo. Nel frattempo Ida va nella stalla a contemplare quella vetrata artistica che sua madre aveva creato: un fascio di luce illumina il suo volto. Poi le donne se ne vanno, anche perché nel frattempo alcuni vici-ni si sono presentati per dar man forte all'uomo.

- In seguito ad un incidente stradale, dovuto allo stato di ebbrezza di Wanda, le due donne tornano a dividersi. Wan-da viene arrestata dalla polizia; Ida chiede ospitalità al prete del villaggio che le offre una brandina per passare la notte.

- Il giorno dopo Wanda viene rilasciata con tanto di scuse (in quanto giudice godeva dell'immunità) e le due donne partono alla ricerca del padre di quell'uomo con cui avevano discusso, un certo Szymon. Attraversano paesaggi squallidi e desolati. Wanda continua ad attaccarsi alla bottiglia. Ad un certo punto Ida le domanda: «Chi sei tu?». La donna risponde: «Ora nessuno. Ma un giorno ero un procuratore di grandi processi. Ho anche mandato a morte al-cune persone, nemici del popolo… Wanda la sanguinaria sono io».

- Durante il viaggio danno un passaggio ad un suonatore di sassofono. Wanda continua con le sue provocazioni: «Magnifico strumento; così maschile e sensuale». Ida è imbarazzata . Giunti all'hotel dove le due donne prendono alloggio, il ragazzo le invita a partecipare al ballo che vi si terrà alla sera. Dopo aver cercato invano Szymon a casa sua, Wanda e Ida tornano in albergo. Ida si mette in ginocchio a pregare; Wanda, per scherzo, le nasconde l'immagi-ne del Sacro Cuore, ma poi Ida lo ritrova e lo mette dentro alla Bibbia. Wanda la invita a mettersi un abito da sera per andare al ballo, ma Ida risponde seccamente: «Io non ci vado».

- Al ballo ci va invece Wanda che riesce subito a procurarsi una compagnia maschile. Ida è a letto, ancora una volta ripresa dall'alto, e legge la Bibbia, anche se si lascia un po' distrarre dalla musica che proviene dalla sala da ballo. Quando Wanda fa ritorno in camera Ida la rimprovera: «Pensavo che fossimo qui per i miei genitori». Wanda rispon-de: «È così»; ma poi continua: «Le somigli così tanto. Non buttare la tua vita . Certo io sono una puttana e tu una santa…ma questo tuo Gesù adorava la gente come me: pensa a Maria Maddalena». Wanda prende in mano la Bib-bia per dimostrare quello che ha appena detto, ma Ida gliela strappa di mano.

- Poi Ida esce dalla camera, scende dalla scala e va nella sala da ballo, dove, appoggiata ad una colonna, ascolta il ragazzo che suona. C'è un breve dialogo tra i due: Ida gli spiega le ragioni del loro viaggio; lui dice di avere sangue zingaro nelle vene e commenta: «Strana coppia la vostra». Poi Ida torna in camera da letto, si mette a pregare e guarda Wanda che sta dormendo.

- Venute a sapere che Szymon è ricoverato in ospedale, le due donne vi si recano per interrogarlo. Wanda accusa il vecchio di essersi preso cura dei suoi familiari e poi di averli uccisi. Ma qui emerge una terribile verità: quel bambino che Ida aveva visto in fotografia, era il figlio di Wanda, Tadeusz. Wanda l'aveva lasciato alla sorella per andare a combattere e quindi anche lui ha fatto la stessa fine. Wanda aveva cercato di rimuovere questo dolore, ma ora che le cose tornano a galla la donna crolla, distrutta dal dolore e dal rimorso : «Non ho fatto in tempo a conoscerlo». Ida sostiene la zia e le due donne si abbracciano, unite dal comune dolore.

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- Wanda piange disperatamente e Ida si prende cura di lei. Improvvisamente appare il figlio di Szymon e chiede di parlare con Ida. «Non tormentate mio padre; lasciatelo morire in pace. Nessuno può provare niente. Ciò che è acca-duto è accaduto», afferma con decisione l'uomo. Ida gli chiede che cosa vuole e lui risponde: «Rinunciate alla casa e io vi porterò dove sono sepolti. E ci lascerete in pace». Ida accetta.

- Prima di andare con quell'uomo a cercare i resti dei familiari, c'è un altro colloquio tra Ida e il ragazzo del sassofo-no. Ida gli dice che finalmente hanno trovato la persona che cercavano e che poi tornerà in convento. «Per tanto?», domanda il giovane. «Per sempre; tra quattro giorni prenderò i voti», risponde la novizia. Il giovane le dice che lui per ora fugge dalla vita militare…e dalle promesse. Poi le chiede: «Tu non hai l'idea dell'effetto che fai, vero?». Ida lo guarda e accenna ad un sorriso.

- Poco dopo vediamo Ida che si toglie il velo e si scioglie i lunghi capelli. Poi i due si salutano.

- Le due donne seguono l'uomo che le porta nel bosco. L'uomo incomincia a scavare finché emergono delle ossa umane. Wanda ad un certo punto vede il teschio di un bambino: lo prende, lo avvolge nel foulard e se lo stringe al seno. Poi s'allontana divorata dal dolore. Ida raccoglie i resti delle altre persone e chiede: «E io? Perché io non ci sono qui?». Ed ecco la verità tutta intera. L'uomo confessa: «Eri molto piccola; nessuno avrebbe capito che eri ebre-a. Ti ho portata dal prete e ti ho lasciata lì. Il maschio era scuro e circonciso…non è stato mio padre, li ho uccisi io».

- In auto le due donne si recano a Lublino a cercare un cimitero ebraico. Wanda è distrutta e continua a bere e a fu-mare. Una volta arrivate, fanno una buca e seppelliscono i poveri resti.

- Wanda riporta poi la nipote in convento. «Verrai per i miei voti?», domanda Ida; «No, ma berrò alla tua salute». Poi zia e nipote si abbracciano intensamente, accomunate da un dolore condiviso.

Nella seconda parte viene presentata la diversa reazione delle due donne

- Ida si prepara a prendere i voti, ma qualcosa è decisamente cambiato dentro di lei . Lo si capisce da diversi par-ticolari: quando le novizie si lavano, Ida le guarda con uno sguardo sensuale; durante la cena, nel più assolto silen-zio, Ida si mette a ridere; quando le altre pregano, Ida resta in silenzio. Questo cambiamento la porta ad una decisio-ne: di fronte alla statua del Sacro Cuore, Ida, sempre ripresa dall'alto, pronuncia queste parole: «Non sono pronta. Perdonami ». Assiste poi alla cerimonia durante la quale una novizia prende i voti e alcune lacrime rigano il suo vol-to.

- Wanda guarda le foto di famiglia e non riesce a distogliere il pensiero da quel suo bambino barbaramente ucciso. Cerca di dimenticarlo facendo ricorso all'alcol e alle avventure amorose. Ma poi, dopo una sorta di rituale (le fette imburrate, il bagno, la musica ad alto volume) si getta dalla finestra in preda alla disperazione.

Nella terza parte vediamo Ida che è andata ad abitare nell'appartamento della zia e sembra prendere il suo posto, imitandola: si mette le scarpe coi tacchi alti, indossa un abito da sera, si mette a fumare e a bere, s'avvolge in una tenda in una sorta di danza.

- Partecipa poi, vestita in borghese, al funerale di Wanda e incontra il suonatore di sassofono, col quale intreccia una relazione amorosa.

- Dopo aver fatto l'amore i due sono sdraiati uno accanto all'altro. «A cosa stai pensando?», domanda il ragazzo. «Non penso», risponde Ida. Il ragazzo la invita ad andare con lui e il suo gruppo a Danzica: «Ci ascolterai suonare, andremo sulla spiaggia». «E poi? », domanda Ida. «E poi compriamo un cane, ci sposiamo, avremo dei bambini, compriamo una casa», risponde il giovane. «E poi? », ripete Ida. «E poi ci saranno i problemi», conclude il ragazzo.

- Mentre il ragazzo dorme, Ida ha gli occhi aperti e pensa . Poi, con molta calma e senza svegliare il giovane, si riveste da suora, prende la sua valigia ed esce dalla camera.

Nell'epilogo vediamo Ida che avanza con passo svelto e deciso per tornare al convento. Più che andare, sembra venire o tornare (cammina verso la cinepresa, che segue il suo movimento con una carrellata, e controcorrente ri-spetto a due automobili e a un motorino che si vedono passare), verso quel Sacro Cuore di cui all'inizio si era presa cura e al quale aveva chiesto perdono per non sentirsi pronta. Il punto di vista, infatti, sembra essere quello del Cri-sto che accoglie la decisione libera e radicale della protagonista. Suggellata dalla musica extradiegetica che, in cre-scendo, accompagna il suo cammino.

Significazione .

- L'introduzione mette in evidenza l'amore di Anna nei confronti di Dio e la sua decisione di prendere i voti. Ma tale scelta è condizionata dall'essere stata allevata in convento e dal non conoscere la propria identità.

- Nella prima parte Anna diventa Ida, cioè scopre le proprie origini e la terribile verità della sua vita e di quella dei suoi familiari. È alleata con Wanda nella ricerca della verità, ma è anche tentata da lei a rinunciare alla propria “vocazione”. Inoltre scopre il mondo esterno («Non sono mai stata da nessuna parte», dirà al suo ragazzo) e ciò che esso offre. Ciononostante, terminato il suo viaggio, ritorna quasi automaticamente in convento per prendere i voti.

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- Nella seconda parte si capisce che l'esperienza fatta le fa prendere coscienza di non essere pronta e decide per-tanto di aspettare.

- Nella terza parte la morte della zia diventa per lei occasione per cambiare vita e di vivere nel mondo, assaporando tutto ciò che questo può offrire.

- L'epilogo mostra l'insoddisfazione di Ida di fronte alle cose del mondo e la sua decisione di compiere una scelta radicale di fede e di vita, ritornando in convento per consacrarsi a Dio.

Ci sono pertanto quattro “movimenti” nella vita della protagonista: un'uscita (non per sua scelta); un ritorno (quasi automatico) che sfocia in una crisi; un'altra uscita , questa volta frutto di una sua libera scelta; un altro ritorno , que-sta volta definitivo, frutto della sua insoddisfazione e della decisione libera e responsabile di donarsi completamente a Dio.

All'interno di questi movimenti acquistano particolare importanza la scoperta della propria identità, senza la quale ogni scelta risulterebbe inautentica; la conoscenza delle altre strade/possibilità, senza la quale non ci può essere vera scelta; la crisi e l'insoddisfazione che rendono la scelta finale una scelta vera e autentica, cioè una libera rispo-sta alla chiamata di Dio.

È particolarmente significativa quella domanda reiterata che Ida rivolge al suo ragazzo. Quell' «e poi?» rivela l'aspi-razione a qualcosa di definitivo, la sete di assoluto che Ida non trova nelle risposte del giovane e che invece è con-vinta di trovare nelle braccia di quel Sacro Cuore che sembra essere rimasto lì ad aspettarla.

Idea centrale .

Una scelta radicale di fede, come quella di consacrare la propria vita a Dio, deve passare attraverso la conoscenza di sé e della propria storia; la conoscenza del mondo, che può portare ad una crisi; la sperimentazione di altre stra-de, che permette di operare un confronto. Solo così può diventare una scelta libera e responsabile, convinta e defini-tiva. Una scelta “per sempre”.

Girato in uno splendido bianco e nero, che ricorda le opere di grandi maestri come Dreyer e Bresson, e in un formato particolare, un 4:3 che ormai non usa più, il film è pregevole dal punto di vista cinematografico e offre una splendida occasione di riflettere sulla propria vocazione e sulle proprie scelte.

� IL CASO KERENES

Titolo originale: Pozitia copilului (Child's Pose); regia: Călin Peter Netzer; sceneggiatu-ra: Razvan Radulescu, Călin Peter Netzer; fotografia: Andrei Butica; montaggio: Dana Lucretia Bunescu; interpreti: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Florin Zamfirescu, Ilinca Goia; produzione: Parada Film; distribuzione: Teodora; durata: 112'; origine: Romania, 2012.

Orso d'oro e Premio della critica internazionale a Berlino 2013

Il regista . Nato nel 1975 a Petrosani, nel cuore della Romania, ma per dieci anni vissu-to in Germania con la famiglia, Călin Peter Netzer sta diventando, assieme a Cristian Mungiu, Cristi Puiu e Corneliu Porumboiu, uno dei principali rappresentanti della nuova cinematografia romena. Col suo film d'esordio, Maria (2003) ha vinto il Premio speciale della giuria al Festival di Locarno, con l'opera seconda Medaglia d'onore (2009) ha riscosso notevoli consensi, con quest'ultima opera ha trionfato al Festival di Berlino.

La vicenda . Cornelia è una perfetta rappresentante dell'alta borghesia romena ed ha un rapporto viscerale e pos-sessivo nei confronti dell'unico figlio, il trentenne Barbu. Quando viene a sapere che in un incidente automobilistico Barbu ha ucciso un ragazzino quattordicenne di etnia Rom, la donna si mette subito in moto per cercare, tramite le conoscenze altolocate e i soldi che non le mancano, di evitare al figlio il processo e la probabile condanna per omici-dio colposo. Ma la tragedia diventerà anche l'occasione per chiarire – seppur drammaticamente – i suoi rapporti con il figlio e la di lui compagna, Carmen, e di confrontarsi con la famiglia della vittima in un clima di commozione e ritro-vata umanità.

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Il racconto .

- Va subito notato che il titolo italiano del film è piuttosto fuorviante, in quanto sottolinea l'aspetto burocratico-poliziesco, mentre il titolo originale (Child's Pose, denominazione internazionale di Pozitia copilului) indica la posizio-ne del feto nel grembo materno e fa riferimento a una celebre postura della pratica yoga. Interessante la dichiarazio-ne del regista a questo proposito: «Vuole suggerire che Barbu, il figlio, nonostante si atteggi ad adulto, resta sempre un bambino. Ed è vittima di questa situazione».

- La struttura del film è lineare e si articola in una serie di grossi blocchi narrativi che si succedono in ordine cronolo-gico.

Prima parte . Va dall'inizio del film fino alla notizia dell'incidente. È soprattutto volta a mettere in luce le caratteristi-che della protagonista, Cornelia, e il complesso rapporto che la lega al figlio.

- Nella prima sequenza, con la macchina a mano che si muove nervosamente e con uno stile quasi documentaristi-co, il regista presenta Cornelia che si sta lamentando con la sorella per il comportamento di Barbu: «Mi vergogno a dirti quello che mi ha detto. Volevo solo averlo accanto per il mio compleanno. Se fosse per lui non chiamerebbe mai, e oggi mi ha buttato fuori dalla macchina. Guarda che livido mi ha fatto sul braccio. Da tre anni, da quando si è messo con quella, lei lo domina; lo tiene in pugno come un topolino ammaestrato». Risulta evidente, da un lato, l'a-more possessivo della madre per Barbu e la sua gelosia nei confronti di Carmen e, dall'altro, l'atteggiamento di rifiuto da parte del figlio che si manifesta con violenza verbale ed anche fisica.

La sorella di Cornelia cerca di mediare: «Lascialo in pace, così lo terrorizzi e ti fai del male anche tu (…) Che vuoi che ti dica, Cornelia, sono i soliti problemi della vita. Te l'avevo detto che era meglio farne due di figli: almeno adesso potresti scegliere». Durante la conversazione tra le due donne emerge un altro elemento importante dal punto di vi-sta tematico: la sorella di Cornelia risponde al telefono e, parlando con una persona, accenna all'opportunità di pre-parare una “bustarella”. Viene già anticipato il tema della corruzione che caratterizza una certa società e, in modo particolare, una certa classe sociale.

- I festeggiamenti per il compleanno di Cornelia diventano occasione per mettere in luce l'ambiente borghese e mondano cui la protagonista appartiene. Sono presenti personaggi importanti della politica e della cultura. Si fanno i brindisi, i pettegolezzi, le chiacchiere vuote. È il trionfo del perbenismo e dell'ipocrisia (Cornelia, per giustificare l'as-senza di Barbu, dice che proprio non ha potuto venire). Poi c'è il ballo, in cui Cornelia si esibisce (la canzone è Mera-vigliosa creatura di Gianna Nannini) cercando l'ammirazione da parte dei presenti.

- Vediamo poi Cornelia a colloquio con la colf che è stata a riordinare l'appartamento di Barbu. Con fare suadente e confidenziale la protagonista cerca di ottenere informazioni sul figlio . Viene a sapere che Barbu ospiterà la figliolet-ta di Carmen, rinunciando al suo studio (commento: «Eh già, se l'è messo da solo il cappio»). Vuole sapere che libri sta leggendo il figlio e constata amaramente che non legge quelli che lei gli aveva regalato. Infine regala un paio di scarpe seminuove alla colf, quasi per ringraziarla delle informazioni (peccato che non le vadano bene).

- Cornelia sta assistendo ad un'opera lirica. Improvvisamente appare la sorella che la chiama. Attraversando la sce-na, Cornelia si avvicina alla sorella che l'informa dell'incidente di Barbu: «Ha investito un bambino con la macchina e l'ha ucciso». Un primo piano della protagonista mette in risalto tutta la sua angoscia e il suo dolore . La sua prima reazione è quella di telefonare al figlio, ma non ottiene risposta.

Seconda parte .

- Cornelia monta in macchina con la sorella per recarsi alla stazione di polizia dove Barbu è stato portato. La sorella la informa dell'accaduto: «Non aveva bevuto. È successo fuori dal centro abitato, subito fuori Bucarest, davanti a un benzinaio. Credo che stesse superando un'altra macchina; all'improvviso sono sbucate delle persone che cercavano di attraversare. Lui ha tentato di evitarle e ha preso in pieno il piccolo». La prima preoccupazione però è quella di contattare delle persone che contano e che possano in qualche modo influire positivamente sulle indagini e sull'e-ventuale processo.

- Le due donne si recano prima nel luogo dov'è avvenuto l'incidente e dove trovano alcuni individui che inveiscono contro di loro (in modo particolare lo zio della vittima). Poi vanno alla stazione di polizia. Cornelia è sempre attacca-ta al telefono per ricevere indicazioni di come comportarsi. Vorrebbe vedere il figlio, ma i poliziotti la fanno attende-re: c'è anche la famiglia della vittima che sta aspettando. Finalmente la fanno entrare provocando la reazione del padre del ragazzo ucciso. E finalmente, per la prima volta, vediamo Barbu che appare in uno stato confusionale. La donna, con grande determinazione, litiga con i poliziotti (un uomo e una donna): dice che suo figlio ha diritto ad un avvocato; vuole leggere la dichiarazione che il figlio sta per firmare. I poliziotti capiscono che la donna «è informata e anche molto appoggiata con amici influenti ». Cornelia li accusa: «State qui come iene a cercare di sbranare mio figlio. Credete che volesse investire qualcuno con la macchina? Mettetevi al suo posto». Al che la donna poliziotto risponde: «Perché non si mette lei al posto di quel povero bambino?». Infine Cornelia, dopo aver letto la dichiarazio-ne del figlio che affermava di essere andato alla velocità di 140 chilometri all'ora, con grande energia lo obbliga a correggere e a scrivere 110.

- La scena si sposta all'ospedale dove Barbu viene sottoposto all'alcol test. Barbu, che ha lasciato il cellulare in mac-

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china (ora sotto sequestro), chiede alla madre di prestargli il suo per avvisare Carmen. Poi gli viene effettuato il pre-lievo di sangue (e qui si manifestano i suoi complessi , tra cui quello del terrore nei confronti dei virus). Nel frattem-po Cornelia telefona al marito, che è medico, e si lamenta con lui per il comportamento della polizia.

- Finalmente a casa, Cornelia si prende cura del figlio che è stato picchiato «da alcuni scalmanati» e, con una poma-ta, gli fa dei massaggi alla schiena. Le immagini si soffermano nel descrivere quella casa bella e ben arredata , così come prima avevano indugiato nel mostrare le belle pellicce che indossavano le due donne. Con il marito, indifferen-te e succube, Cornelia parla del perito da nominare e del testimone oculare da contattare. La sua strategia è chia-ra: prima agire sulle prove (la velocità troppo alta), poi nominare un perito non ostile, infine contattare la famiglia del-la vittima («Però non subito; lasciamo aspettare un po' di tempo prima»).

- Cornelia torna alla stazione di polizia e, di nascosto, riesce a prelevare il cellulare del figlio rimasto nella macchina. Poi si confronta ancora con i poliziotti, che nel frattempo si sono resi conto con chi hanno a che fare e si dimostrano più disponibili. Parlano del perito da nominare, della necessità che il testimone dichiari una velocità più ridotta, dell'opportunità di partecipare al funerale del ragazzo. Il poliziotto addirittura approfitta della situazione e del fatto che Cornelia sia un architetto per chiedere un favore per dei suoi parenti che hanno dei problemi edilizi («Insieme pos-siamo trovare una formula»).

- Cornelia, che di nascosto aveva preso le chiavi di casa di Barbu, si reca nell'appartamento del figlio e spia tra le sue cose . Poi prende alcuni oggetti e li porta a casa sua, perché suo figlio possa rimanere a dormire da lei. Poi tele-fona al testimone per fissare un appuntamento.

- Ritornata a casa, dov'è presente anche Carmen, Cornelia afferma di aver risolto un bel po' di cose. Ma poi scoppia un violento litigio . Cornelia chiede al figlio di andare a parlare con il testimone, ma Barbu reagisce violentemente: «Voi siete tanto bravi a intrallazzare: che bisogno avete di me?. Non posso incontrarlo nello stato d'animo in cui mi trovo. Proprio non posso. È un ricatto: vorrà che gli diamo dei soldi». Di fronte alle insistenze dei genitori, che fanno presente anche la necessità di farsi vivo con i genitori della vittima, Barbu esplode: «Lasciatemi in pace, basta. Non chiamate più nessuno, non chiedete più favori, faccio da solo». Poi rivuole le chiavi di casa che la madre gli aveva sottratto e se ne va, nonostante gli inviti di Cornelia a rimanere a dormire da lei. Se ne va con Carmen, non prima però di aver offeso la madre e di aver rivolto parole di disprezzo per il padre: «Ti ha ridotto a uno straccio, papà. Or-mai ci pulisce il pavimento con te».

Terza parte .

- Da questo momento, la tattica di Cornelia inizia a cambiare . Dapprima si reca a casa del figlio, ma non le viene aperto. Poi si incontra da sola con il testimone con il quale ha una schermaglia, ma con il quale riesce finalmente a stabilire un accordo.

- Si reca poi da Carmen con la quale dà vita ad un rapporto nuovo . Si capisce che ciò fa parte della sua nuova strategia: cercare un'alleata per convincere il figlio ad andare a trovare la famiglia della vittima. Ma nello stesso tem-po diventa un modo per superare i pregiudizi nei confronti di Carmen e per conoscere aspetti nuovi della personalità di Barbu. È significativo che Cornelia vada da Carmen con dei fiori in occasione dell'8 marzo e le faccia delle doman-de sulla figlioletta che dovrebbe andare a vivere lì da lei. Poi, con molto realismo, afferma: «Siamo due donne che hanno fatto qualche esperienza nella vita. Questo ci dovrebbe unire, perché abbiamo qualche cosa in comune. Se noi due riusciamo a comunicare, se noi due ci intendiamo, sta sicura che anche Barbu starà bene». C'è poi il mo-mento delle confidenze, anche le più intime, attraverso le quali Cornelia viene a sapere delle abitudini sessuali del figlio, della sua ossessione nei confronti delle malattie, del suo terrore di avere un figlio da Carmen, della sua ambi-guità: «Barbu non ha mai il coraggio di dire quello che vuole; non so da che cosa gli viene questa vigliaccheria».

- È ora il momento della verità nel suo rapporto col figlio che è stato convinto da Carmen a recarsi a trovare la fa-miglia della vittima. Barbu ha finalmente la forza di ribellarsi alla madre in un colloquio drammatico, ma necessario. Barbu accusa la madre di non cambiare mai e, di fronte alla domanda della donna: «Che cosa dovrei cambiare? Per-ché non me lo spieghi chiaramente invece di trattarmi sempre in questa maniera?», risponde: «Tanto non potresti capire. Voglio solo che accetti quello che sto per dirti: se io e te continuiamo così non concludiamo niente». La ma-dre ribatte: «Accetto sempre tutto da te; accetto anche che tu non mi abbia mai voluto bene. Voglio solo che tu mi rispetti, nient'altro. Hai il dovere di rispettarmi». E allora Barbu pone le sue condizioni: «Lascia che ti chiami io ogni volta che voglio sapere come stai, così potrò dimostrarti il mio rispetto; lascia che sia io a fare il primo passo; lascia che sia io a cercarti (…) Ho la mia vita e i miei problemi, per colpa vostra o soltanto per colpa tua: non ha importan-za. Ti faccio una proposta: prendere o lasciare. O mi lasci libero di cercarti solamente quando ne ho voglia o spari-sco». Il colloquio si conclude con l'amara e patetica considerazione da parte di Cornelia: «Tanti alla mia età hanno un rapporto normale con il proprio figlio. Perché i genitori si realizzano attraverso i figli. Tutto quello che non hanno ottenuto dalla vita lo pretendono per loro».

- L'ultimo episodio del film si riferisce alla visita che Cornelia, Carmen e Barbu fanno alla famiglia del ragazzo ucciso. Barbu non ha il coraggio di uscire dalla macchina e allora entrano solo le due donne. E qui è possibile notare una vera e propria evoluzione della protagonista che, di fronte a quei genitori affranti dal dolore ma ricchi di dignità, sembra entrare in una nuova dimensione, più vera, più profonda, più autentica. Cornelia entra e, come le aveva sug-gerito Carmen, saluta con l'espressione: «Che il Signore vi protegga». Poi, dopo aver superato un certo imbarazzo («Vorrei chiedere perdono, ma non so che cosa dire, non trovo le parole»), di fronte alle dure parole del padre del

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ragazzo («Qualunque cosa dica non ce lo può restituire»), Cornelia si lascia andare ad una commozione che sem-bra veramente sincera : «Quando sono venuti a dirmi: tuo figlio ha avuto un incidente, è stato come se mi crollasse il mondo addosso. E non si può paragonare quello che ho provato con quello che state passando voi adesso. Non si può paragonare». Finalmente Cornelia comprende il dolore di quelle persone e quasi ne partecipa. Infine, piangen-do, chiede: «La prego, signora, mio figlio è sconvolto per quello che ha fatto. Non lo rovinate, per pietà. Lui non vole-va, lo perdoni. Ha un animo sensibile e buono». Poi estrae la busta con i soldi che aveva preparato. Ma questa volta quei soldi non hanno il sapore della corruzione, ma di un sincero desiderio di aiutare quelle persone che hanno perso la cosa per loro più cara.

- Epilogo . Cornelia sale in macchina, piangendo. Improvvisamente Barbu, che sembra paralizzato dalla paura, vede il padre del ragazzo e decide di scendere dalla macchina. I due uomini (ripresi dall'interno della macchina, attraverso il lunotto posteriore o attraverso lo specchietto retrovisore) sono uno di fronte all'altro. Ad un certo punto scatta un gesto di umanità e di comprensione : istintivamente si allungano la mano e si toccano. Poi Barbu risale in macchi-na, commosso, e Cornelia mette in moto. Sui titoli di coda s'ode ancora la canzone Meravigliosa creatura di Gianna Nannini.

Significazione .

Cornelia appartiene ad un mondo inautentico, falso, formalista, ipocrita e corrotto. Ha un rapporto viscerale con il figlio che è rimasto praticamente allo stato infantile. Quando viene a sapere della tragedia accaduta al figlio, mette in atto tutte le strategie per cercare, con mezzi leciti o illeciti, di salvarlo dal processo e dalla galera. Ma la tragedia («Nessuno è veramente colpevole, eppure questa disgrazia è successa», dice ad un certo punto Cornelia) diventa anche l'occasione che obbliga ad un percorso di chiarificazione, di verità, di umanizzazione. Doloroso e drammatico, ma necessario per crescere e maturare.

Idea centrale . Il personaggio di Cornelia non è solo emblematico della società romena ad un certo stadio del suo sviluppo, ma, più in generale, di un mondo inautentico, egoistico, basato sui privilegi. Ma la tragedia mette tutto in discussione e obbliga a scoprire i veri valori. Pertanto l'idea centrale potrebbe essere espressa in questi termini: le vicende dolorose della vita possono diventare occasione per passare da un mondo superficiale e vuoto ad uno più profondo e ricco in termini di autentica umanità.

���� IL PASSATO

Titolo originale: Le passé; regia: Asghar Farhadi; sceneggiatura: Asghar Farhadi; fotografia: Mahmood Kalari; montaggio: Juliette Welfling; interpreti principali: Béréni-ce Bejo, Tahar Rahmin, Ali Mosaffa, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Jeanne Jestin, Sa-brina Ouazani, Babak Karimi, Valeria Cavalli; durata: 130'; distribuzione: Bim; origi-ne: Francia, 2013.

Premio a Bèrénice Bejo al Festival di Cannes come m iglior attrice

Dopo l'intenso e problematico Una separazione (Orso d'oro a Berlino e Oscar come miglior film straniero) Asghar Farhadi continua la sua indagine esistenziale all'inter-no dei complessi rapporti umani e familiari, rivelando una forte capacità d'introspe-zione e una visione filosofica non indifferente ai valori umani. «Una separazione e Il passato sono come fratello e sorella», spiega Farhadi. «Sono due film che nascono uno dietro l'altro, che hanno due personalità indipendenti ma che fanno parte della stessa famiglia. C'è anche una sequenza che è comune a tutti e due: quella delle coppie protagoniste che si recano in tribunale per separarsi. Ma se nel primo la separazione avviene in quel momen-to preciso, in questo secondo il discorso è già chiuso da un pezzo, e si tratta solo di una formalità legale. La differen-za vera è che qui di quell'evento, di quella separazione, vediamo le conseguenze».

La vicenda . Ahmad arriva a Parigi da Teheran. Marie, la moglie che ha lasciato quattro anni prima, lo ha invitato a tornare per formalizzare la pratica di divorzio. Marie ha due figlie nate da un'altra relazione: la piccola Léa e l'adole-scente Lucie, con la quale ha un difficile rapporto. Ahmad viene invitato a non andare in un hotel ma a casa di Marie, dove viene a scoprire che l'ex moglie ha una relazione con Samir – un magrebino, la cui moglie, Céline, si trova in coma – padre del piccolo Fouad. Ahmad, dopo aver firmato le carte per il divorzio, vorrebbe ritornare in patria, ma si trova invischiato in una situazione complessa e ingarbugliata che glielo impedisce. Viene così a scoprire tanti piccoli segreti: che Marie è incinta di Samir; che la moglie di quest'ultimo è in coma per aver tentato il suicidio; che Lucie non sopporta Samir e si sente responsabile del tentato suicidio di Céline per aver inoltrato alla donna le mail che sua madre si scambiava con Samir; ecc. Ahmad fa luce su tutti questi segreti, scoperchiando verità nascoste o dissimu-

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late e provocando crisi e reazioni. Quando finalmente riparte quelli che restano devono fare i conti con una nuova realtà: Lucie si riconcilia con la madre; Samir e Marie pensano al bambino che deve nascere; la moglie di Samir sembra riprendersi dal coma. Che ne sarà di loro?

Il racconto . Possiede una struttura lineare e divide la vicenda in alcune grosse parti, precedute da un prologo e se-guite da un epilogo.

L'introduzione si presenta già carica di elementi simbolici che troveranno uno sviluppo ed una spiegazione nel pro-sieguo del film. Marie si trova all'aeroporto per accogliere Ahmad, ma non riesce ad attirare la sua attenzione a cau-sa di un vetro che si interpone tra di loro. Solo grazie all'aiuto di una donna, che fa da tramite, i due si vedono e si avvicinano. Parlano e si intendono, ma allo spettatore non è dato di sentire quello che si dicono. In precedenza, Ma-rie, che portava una fasciatura al polso, se l'era tolta affinché Ahmad non la vedesse. C'è già il segno di qualcosa che si vuole nascondere , che non si vuole far trasparire. Così come nella presenza del vetro (elemento che tornerà anche in seguito, acquistando un certo peso strutturale) c'è l'indicazione di qualcosa che ostacola un contatto diretto, una sorta di impedimento ad una comunicazione chiara e trasparente.

Dopo essersi bagnati a causa di un acquazzone, i due salgono in macchina. Ahmad chiede alla donna se la macchi-na è sua; lei risponde che se l'è fatta prestare, senza dire che è di Samir (cosa che l'uomo scoprirà trovando i docu-menti di proprietà). Poi Marie, facendo retromarcia, fa un piccolo incidente. L'immagine sottolinea i tergicristalli del lunotto posteriore in azione, sui quali appare il titolo del film. Anche dopo che il titolo è sparito, i tergicristalli continua-no a funzionare. È una piccola metafora per dire che andare indietro (non si dimentichi il titolo del film, Il passato) può essere pericoloso: si può anche andare a sbattere.

Prima parte .

- I due arrivano a casa della donna in un piccolo paese alla periferia di Parigi, vicino alla ferrovia (anche il treno, che si vedrà passare un paio di volte, può avere un significato metaforico, in relazione al viaggio della vita). Va sottoline-ato il fatto che Marie, stranamente, vuole ospitare il suo ex marito a casa sua , anziché prenotargli una camera in albergo. La cosa viene notata da Ahmad, che in seguito cercherà di capirne il significato.

- L'uomo ha così modo di incontrare Léa e il piccolo Fouad, di cui ignorava l'esistenza. Viene anche a sapere che Lucie vive un rapporto conflittuale con la madre e viene invitato da Marie a parlarle. Il comportamento di Marie è am-biguo. Far dormire Ahmad con il bambino diventa l'occasione per metterlo a conoscenza del fatto che lei ora vive con un altro uomo; e quando Ahmad la rimprovera per non averglielo detto, lei sostiene, con evidente ambiguità, di averlo informato con una mail (che l'uomo dice di non aver mai ricevuto).

- La vernice fresca che la donna sta dando alla casa e la sua reazione violenta nei confronti di Fouad che l'ha rove-sciata, indicano, da un lato, l'intenzione della donna di far notare al suo ex il desiderio di cambiare, dall'altro, la sua situazione psicologica (che sembra essere caratterizzata dall'esasperazione).

- Ahmad, con molta calma, pulisce per terra e parla con Fouad. Poi decide di aspettare il ritorno di Lucie per parlarle.

Seconda parte .

- L'incontro dell'uomo con la ragazza, che dimostra di essergli molto affezionata, diventa occasione di altre rivelazio-ni. Lucie dimostra acredine nei confronti di Samir («Non mi va di vedere quell'idiota dentro casa») e anche della ma-dre («È tre volte da quando sono nata che mia madre cambia uomo. È la stessa storia ogni volta. Arrivano, restano qualche anno e poi spariscono»). Poi lo mette al corrente che Samir è ancora sposato e che sua moglie è in coma. Ora è lei che invita Ahmad a parlare con la madre per convincerla a rinunciare a sposare Samir. Ma quando questi tenta di farlo («Per lei è impossibile accettare che tu voglia risposarti»), riceve un netto rifiuto: Marie afferma di aver ormai deciso in modo irrevocabile.

- Durante la notte Marie e Samir, che ha un problema agli occhi (forse un simbolo della sua incapacità di vedere be-ne?), discutono circa le condizioni di Céline. Per due volte la donna si è procurata dei graffi sulla pancia, e proprio dopo le visite del marito: è forse segno che la donna è in grado di capire e che reagisce istintivamente in questo mo-do?

- Il mattino dopo i due uomini si incontrano. C'è un po' di imbarazzo, ma poi tutto si risolve con molto fair-play. Poi Ahmad e Marie, dopo aver portato i bambini a scuola, si recano in tribunale per formalizzare il divorzio. Durante il viaggio Marie rivela al suo ex marito che Céline era molto depressa e, poco prima di entrare dal giudice, gli annuncia di essere incinta di Samir.

- Di fronte al giudice i due esprimono la loro decisione irrevocabile di voler divorziare. Viene pertanto emessa la sen-tenza di divorzio. Ora Ahmad potrebbe far ritorno al suo paese. Ma è chiaro che la sua venuta e la sua permanenza sono soltanto occasioni per far emergere altre verità e per mettere ognuno di fronte alle proprie responsabilità.

Terza parte .

La valigia rotta di Ahmad, che viene recapitata a casa, diventa l'occasione per prolungare il soggiorno dell'uomo in

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quel contesto familiare ed esistenziale piuttosto ingarbugliato. Come le aveva promesso, Ahmad va a prendere a scuola Lucie. I due si recano in un ristorante gestito da un amico di Ahmad, anche lui iraniano. È l'occasione per ve-nire a conoscere altre verità. Lucie, dopo aver ribadito che Samir è sposato e che non è detto che sua moglie muoia, rivela all'uomo che in realtà Céline si trova in quelle condizioni per aver tentato il suicidio in quanto era venuta a co-noscenza della relazione del marito con sua madre. Poi scoppia in un pianto dirotto: «Io non voglio che loro stiano insieme. Se si sposano io non metterò mai più piede dentro quella casa». E quando Ahmad la mette al corrente che Marie è incinta, la ragazza sbotta: «Lo sai perché si è messa con quel magrebino di m…? Perché somiglia a te ».

- Nel frattempo le immagini mostrano Samir e Marie in macchina. Le loro mani sono entrambe sulla leva del cambio e si toccano, segno di un'unione che sembra ormai consolidata. Ma poi l'uomo innesta la marcia e le loro mani si separano, con evidente significato simbolico.

- Ahmad è in procinto di partire, ma il mancato ritorno a casa di Lucie, lo fa desistere. Tutti sono preoccupati per lei. Quando Ahmad rivela a Marie di aver detto alla ragazza che lei è incinta, la donna reagisce: «Non torna a casa per questo. Non glielo dovevi dire». Ahmad ribatte: «Dice che sua moglie si è suicidata per colpa della tua relazione con lui». Ma la donna non accetta le proprie responsabilità : «Ti piacerebbe che volesse uccidersi per colpa mia, eh?». Poi fa presente che Céline era depressa da molto tempo, subito dopo il parto, e ricorda ad Ahmad che anche lui ha attraversato uno stato di depressione e che dovrebbe capire che cosa ciò significhi.

- Samir e Ahmad vanno alla ricerca di Lucie. È un'altra occasione per far emergere un pezzo di verità. Samir osser-va: «Mi sembra che ci sia ancora qualcosa tra voi. Se due persone si vedono dopo quattro anni e cominciano subito a litigare vuol dire che non tutto è risolto ». Ahmad lo mette al corrente della convinzione di Lucie, ma Samir dice che all'origine del gesto della moglie c'è stato un litigio con una cliente a causa di una macchia su un vestito (Samir gestisce una lavanderia). E promette ad Ahmad di farlo parlare con una sua dipendente per chiarire quello che se-condo lui è un equivoco.

- I due ritornano a casa senza aver ritrovato la ragazza. Ma poi, da una telefonata, Ahmad viene a sapere che Lucie si è rifugiata dal suo amico iraniano. La va a prendere, ma la ragazza non vuole tornare a casa e ribadisce la sua tesi: Céline ha bevuto del detersivo per punire il marito della relazione con sua madre. Nel frattempo Samir, che ha capito che la sua presenza è di ostacolo al ritorno di Lucie, decide di andarsene da quella casa con il piccolo Fouad: «È meglio che io e Fouad non abitiamo più qui».

Quarta parte .

- Ahmad e Lucie vanno a parlare con la dipendente di Samir per ascoltare la sua versione dei fatti. Le cose sembra-no chiarirsi. Ma finalmente Lucie confessa come stanno veramente le cose. È stata lei ad inoltrare a Céline tutti i messaggi d'amore tra Samir e sua madre e pertanto si sente responsabile del gesto della donna: «Non posso trovar-mi di fronte a un uomo la cui moglie è morta per colpa mia». Ahmad la invita a dire tutta la verità alla madre: «O tieni il segreto per te e poi vivi un calvario per tutta la tua vita o dici tutto a tua madre… lei ha il diritto di sapere».

- La verità provoca lacerazioni. Marie aggredisce la figlia per quello che ha fatto, mentre Ahmad cerca di smorzare i toni: «Quelle mail le hai scritte tu, non lei. Lei le ha solo inoltrate». Poi si lascia andare: «Perché non mi hai chiesto di venire l'anno scorso? Perché proprio nel bel mezzo di questa immondizia? Non mi hai prenotato un albergo; mi hai costretto a dormire nella stessa camera insieme a suo figlio. Perché? Tu mi hai fatto venire qui per vendicarti . È solo questo e nient'altro». Marie ammette: «Sì, è così. Hai ragione. Contento?». E l'uomo rincara la dose: «E proprio nel momento di entrare in tribunale mi hai dato la notizia che sei incinta. Perché?». Lucie se ne va. Ma poi Marie la rincorre e la invita a tornare a casa.

- Il colloquio di Ahmad con il suo amico è piuttosto significativo e fa pensare ad un confronto tra due mondi culturali molto diversi e forse incompatibili. L'amico gli consiglia di tagliare i ponti e di andarsene: « Non eri fatto per vivere qui. O di qua o di là. Non puoi avere un piede di qua e uno di là del ruscello…poi il ruscello s'allarga».

-Più tardi Marie va a trovare Samir, che ora non abita più da lei, e lo trova intento a preparare dei profumi da far an-nusare alla moglie per vedere se la donna manifesta qualche reazione («La memoria olfattiva si perde per ultima»). Tra i due nasce un colloquio chiarificatore . Marie: «Non mi piace che mi nascondi i tuoi sentimenti»; Samir: «È una buona notizia che possa avere delle reazioni, no?»; Marie: «Sei diviso tra tua moglie e me»; Samir: «E te ne sei resa conto all'improvviso, oggi? …Non dicevi queste cose fino all'altra settimana»; Marie: «Servo a colmare il vuoto lasciato da tua moglie»; Samir: «E io servo a colmare il vuoto lasciato da chi nella tua vita?». Poi, a proposito del bambino che Marie aspetta, l'uomo continua: «L'hai tenuto per cancellare quell'uomo dalla tua vita . Per convin-certi che la storia con lui era finita. Ma non ne sei affatto certa altrimenti non lo portavi a casa tua, lo lasciavi in alber-go. Pensi che non veda in che stato sei in questo momento? Non ti riconosco più da quando è arrivato». Marie allora gli rivela che sua moglie sapeva tutto a causa delle mail inviatele da Lucie.

- Samir non è convinto e indaga. Chi ha dato l'indirizzo mail a Lucie? Marie gli dice che è stata la stessa Céline. Ma Samir viene a sapere che sua moglie non era più andata in negozio dopo il litigio con la cliente e quindi non poteva aver risposto al telefono. Finalmente si viene a sapere che è stata la dipendente di Samir, Naima, a comunicarlo a Lucie.

- Un altro colpo di scena che finalmente fa capire come sono andate le cose. Samir interroga Naima. Questa si giustifica dicendo che Céline sospettava che tra lei e il marito ci fosse una relazione: «Volevo che sapesse che non

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c'era niente tra noi. Avevi la testa da un'altra parte e lei dava la colpa a me». Samir la rimprovera aspramente: «Per quello che tu hai fatto la madre di quel bambino (Fouad) vive ormai da otto mesi come un vegetale». Ma la donna ribadisce la sua convinzione che Céline sospettasse di una loro relazione: «Ma è chiaro che tua moglie non ha letto le vostre mail . Sarebbe venuta davanti a me a bere il detersivo? Sarebbe andata davanti a lei (Marie), o davanti a te, di sopra. Perché davanti a me?». Questa verità sorprende Samir che resta di stucco. E quando, più tardi, Fouad gli chiede se possono tornare da Léa, l'uomo risponde: «Quando sapremo di mamma».

- Un altro colloquio tra Samir e Marie. L'uomo le spiega tutto e, di fronte alla domanda della donna: «Le sarebbe im-portato se ci fosse stata un'altra nella tua vita?», risponde: «Ma, può darsi. Preferisco parlare dell'oggi. Conta poco il passato. È finito. Chiuso . La cosa importante adesso è che aspetti nostro figlio. Dobbiamo solo dimenticare». Marie chiede: «Possiamo?». Samir risponde: «Dobbiamo potere». Ma la donna ribatte: «E se non possiamo? ».

- Ahmad si prepara a partire. Prima però vorrebbe spiegare a Marie il motivo per cui se n'era andato quattro anni prima. Ma la donna, quasi parafrasando quello che aveva detto Samir, risponde: «No, non voglio più guardare in-dietro . Dimentica». L'uomo raccoglie le sue cose e, dopo aver salutato i bambini (come aveva fatto quando era arri-vato), se ne va sotto lo sguardo tenero e affettuoso di Lucie.

Epilogo . Samir si reca in ospedale dalla moglie per vedere se i profumi hanno sortito qualche effetto. Il medico dice di non potersi pronunciare: «La verità in questi casi è che nulla si può dare per certo». L'uomo sta per andarsene, ma poi ritorna indietro. Si mette il suo profumo, quel profumo che piacevo tanto alla moglie, e si avvicina a lei: «Se senti questo profumo stringimi la mano, Céline». L'immagine, con una breve panoramica, mostra la mano di Céline che tiene stretto il pollice di Samir. Poi l'immagine diventa fissa sulle due mani unite , mentre inizia una musica e-xtradiegetica. Evidentemente Céline sta reagendo positivamente. Che ne sarà di Marie e del bambino che porta in grembo?

Significazione . Ahmad fa ritorno a Parigi per formalizzare il suo divorzio da Marie. Se n'era andato quattro anni pri-ma perché non riusciva più a vivere in quell'ambiente (che l'autore tratteggia in modo negativo). Ahmad rappresenta il passato che ritorna : non a caso tutta la parte centrale del film si svolge tra il suo arrivo e la sua partenza. Tale passato, attraverso rapporti, incontri, colloqui scoperchia un mondo di falsità e di dissimulazioni facendo emergere la verità e le responsabilità dei vari personaggi. Poi fa ritorno al suo Paese. Quelli che restano (Samir e Marie) vorreb-bero dimenticare, guardare avanti. Ma è possibile liberarsi dal passato? Sembra di no, perché il passato incide sul presente e lo condiziona, anche contro la volontà delle persone. E poi ci sono gli imprevisti (o ciò che è imprevedibi-le). Samir vorrebbe pensare al bambino che aspetta da Marie, ma la reazione della moglie sembra preludere ad altri sviluppi. I personaggi sembrano restare sospesi: quale sarà il destino di Ahmad, Lucie, Marie (e il suo bambino), Sa-mir, Céline? Fino a che punto riusciranno a liberasi dal passato? Quali altre sorprese riserverà loro la vita?

Idea centrale . Non è facile formulare un'idea centrale precisa, anche a causa di una struttura in cui la parte narrativa è ridondante rispetto a quella tematica e non sempre i rapporti di causa/effetto sono chiari e stringenti (ad esempio, se Céline si fosse suicidata per colpa di Marie e non, come sembra, di Naima, ci sarebbe un collegamento diretto con il tentativo di Marie di vendicarsi di Ahmad per la sua partenza). È chiaro che l'autore intende porre delle doman-de più che dare delle risposte. Domande sull'importanza delle azioni dell'uomo, sul peso del passato, sulle responsa-bilità individuali in una società frammentata. In altre parole, la sua è una riflessione esistenziale sulla vita umana contemporanea (soprattutto occidentale), che sembra aver perso di vista quei valori che garantiscono una conviven-za civile ed armoniosa (valori che invece Ahmad sembra ancora possedere, con la sua capacità di capire, di media-re, di far emergere la verità).

���� MIA MADRE

Regia: Nanni Moretti; soggetto: Chiara Valerio, Valia Santella, Nanni Moretti; sceneg-giatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella; fotografia: Arnaldo Catinari; montaggio: Clelio Benevento; scenografia: Paola Bizzarri; costumi: Valentina Taviani; interpreti: Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Stefano Ab-bati, Beatrice Mancini, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Toni Laudadio, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Lorenzo Gioielli; distribuzione: 01 Distribution; durata: 106’; origine: Italia, 2015. Il tema della morte era già stato affrontato da Nanni Moretti ne LA STANZA DEL FI-GLIO (Palma d’Oro a Cannes nel 2000), ma in quel film l’autore faceva una riflessione sull’esistenza umana – segnata inevitabilmente dal dolore – dall’esterno, come consi-derazione di tipo filosofico; mentre in quest’ultima opera si capisce, già dal titolo, che l’elemento autobiografico è di primaria importanza. Mentre girava HABEMUS PAPAM,

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infatti, Moretti ha perso la madre e ha vissuto sulla propria pelle la sofferenza provocata dal distacco da una persona cara. Tuttavia il discorso del regista cerca di raggiungere un certo livello di universalità, grazie anche alla "mediazione" di una protagonista femminile che permette di evitare il discorso in prima persona. La vicenda . Margherita è una regista di successo. Sta girando un film sulla crisi economica italiana che le procura un sacco di problemi, anche per l’ingombrante presenza di un attore italo-americano eccentrico e bizzoso. La donna sta vivendo un periodo particolarmente difficile. Oltre alle difficoltà che incontra sul piano professionale, deve barca-menarsi all’interno di una situazione familiare piuttosto complicata: è separata dal marito, Federico; ha una figlia ado-lescente, Livia, che frequenta malvolentieri il liceo classico; è in crisi con Vittorio, il suo amante. Ma soprattutto deve affrontare il problema della grave malattia della madre, Ada, e confrontarsi con il fratello Giovanni che si prende cura di lei con grande dedizione. Margherita è in piena crisi e il suo mondo interiore è affollato da incubi, ricordi, rimorsi che rendono la sua vita confusa e solitaria. Poco alla volta, però, prende coscienza dei propri errori e della propria inautenticità soprattutto sul piano dei rapporti personali. E trova nella madre, che sta morendo, un modello da imita-re, una figura luminosa che le può fornire una vera e propria lezione di vita. Il racconto . La struttura del film è molto complessa e non sempre rigorosa dal punto di vista tematico. In altre paro-le, si può dire che non tutto il materiale narrativo è in funzione tematica e che, talvolta, sembra rispondere più ad esi-genze di tipo spettacolare. Si possono individuare tre grossi filoni strutturali: il primo è quello relativo al film in fieri, con tutti i problemi connessi; il secondo è quello della vita familiare ed affettiva, con il rapporto con la madre in primo piano; il terzo è costituito dai ricordi e dagli incubi che esprimono lo stato confusionale della protagonista, i suoi ri-morsi, le sue paure, le incertezze. Dato che i tre filoni sono strettamente intrecciati e sono tutti in funzione della pro-tagonista, è forse meglio procedere non analizzandoli separatamente, ma seguendo – secondo l’ordine cronologico – l’evoluzione di quest’ultima che "passa" attraverso tutti e tre. Prima parte . Il film inizia con una manifestazione di lavoratori che si scontrano con la polizia e che danno l’assalto ai cancelli di una fabbrica. Si capisce subito che si tratta di una scena del film che Margherita sta girando. La regista interviene per fermare l’azione e manifesta subito la sua insoddisfazione : si lamenta perché in certi momenti l’inquadratura era un po’ vuota («Con tutte le comparse che abbiamo!»), rimprovera l’operatore alla seconda macchi-na perché filmava gli scontri troppo da vicino cercando l’effetto spettacolare («A te piacciono le botte, a me no»). Poi decide di far ripetere la scena. Margherita si reca in una rosticceria per comperare del cibo da portare a sua madre, in ospedale. Durante la visita viene messo in rilievo l’atteggiamento affettuoso ma anche distaccato della protagonista nei confronti della donna. È significativo che lei si limiti a guardare sua madre, mentre nel letto di fronte un’altra figlia spalma con cura la crema sul braccio della sua, accarezzandola. Così come è importante notare la differenza tra l’atteggiamento premuroso di Giovanni, che ha cucinato personalmente il cibo per la madre, e quello più sbrigativo di Margherita, che si è limitata a comperare qualcosa all’ultimo momento. Poi assistiamo alla rottura del rapporto con Vittorio, l’amante che è anche un attore del film. Anche qui si può notare una certa freddezza da parte della protagonista. Di fronte alle proteste dell’uomo che dice: «Potevi almeno aspetta-re che finisse il film», Margherita risponde: «È proprio per questo che c’è bisogno di una situazione più chiara. Dob-biamo stare tranquilli». Poi, di fronte alla richiesta di cenare ancora insieme, Margherita, con una certa crudeltà , os-serva: «Vittorio, non hai un minimo di dignità». Parte un lungo sogno molto significativo. Margherita si trova davanti al cinema Capranichetta dove una lunga fila di persone è in attesa di vedere Il cielo sopra Berlino. Tra queste c’è anche la madre. Poi incontra Giovanni che l’ammonisce: «Margherita, fai qualcosa di nuovo, di diverso. Dai, rompi almeno un tuo schema, uno su duecento. Non riesci ogni tanto a lasciarti andare, essere un po’ leggera?». Margherita vede anche se stessa da giovane men-tre lascia il suo ragazzo. Le parole di quest’ultimo sono molto importanti in quanto rappresentano un’accusa nei confronti della donna che verranno, più o meno, ripetute verso la fine da Vittorio: «Le persone che ti vogliono bene ad un certo punto ti vengono a noia; non te ne importa più niente e le cancelli dalla tua vita. Ti difendi sempre, Mar-gherita, vedi solo le cose brutte. Mi fai sentire ridicolo solo perché voglio stare con te. Perché mi tratti così?». Anche a lui Margherita risponde: «Giorgio, noi due ci siamo già lasciati. Dai, basta. Non hai un minimo di …». Dopo il risve-glio Margherita vaga per la casa, pensierosa. Ancora sul set. Margherita è nervosa e, quando viene a sapere che ci sono dei problemi per andare a prendere Barry (l’attore italo-americano che ha una parte importante nel film) all’aeroporto, sbotta: «Siete degli incapaci. Siete trenta persone, trenta incapaci. Ci vado io». Poi spiega ad un’attrice, che fa la parte di un’operaia, la sua concezione artistica (che verrà ripetuta anche in seguito): l’attore non deve scomparire davanti al personaggio, ma deve stargli accanto in modo che si possa vedere sia il personaggio, sia l’attore che l’interpreta. Margherita va all’aeroporto a prendere Barry. Non ci soffermeremo molto sul comportamento di quest’ultimo, un atto-re vanesio che scherza in continuazione e che però non riesce a ricordare una battuta, mandando regolarmente in bestia la regista. Ai fini tematici, infatti, tale figura è importante solo in quanto mette in evidenza le difficoltà che Mar-gherita incontra sul lavoro, con l’ansia e talvolta la disperazione che ne conseguono. Per il resto tale figura sembra avere più una funzione spettacolare e pesa decisamente troppo nell’economia del film, il cui significato, come già detto, nasce dall’evoluzione della protagonista, una donna in crisi che deve dividersi tra lavoro, famiglia e problemi personali. Un momento molto importante è dato dal responso che la dottoressa dà ai due fratelli a proposito della madre. La situazione della donna è grave; il cuore è piuttosto malconcio: «Questa strada purtroppo va in una sola direzione e ho paura che non ci sia alcun modo di tornare indietro». Margherita fa fatica ad accettare la realtà e cerca di aggrap-parsi a certi ragionamenti. Ma Giovanni, molto pacatamente e con affetto, le spiega quello che sta accadendo: «Margherita, mamma sta morendo».

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Margherita incomincia a pensare alla madre in modo nuovo . Si rende conto che il desiderio più grande di Ada è quello di averla lì, accanto a lei. Mentre mette una sua vestaglia nella lavatrice, non può non pensare a quella volta in cui l’aveva trattata male, quando era uscita in macchina con la patente scaduta e lei aveva reagito con violenza. Poi ha un incubo in cui vede la madre morta. Quando si risveglia da tale incubo s’accorge di avere la casa allagata e, disperatamente, cerca di raccogliere l’acqua. Poi la vediamo andare ad abitare nella casa della madre. Seconda parte . L’allagamento è chiaramente un pretesto narrativo che ha un risvolto tematico molto importante. Il fatto che Margherita vada a vivere nella casa di Ada diventa occasione per riscoprire la figura materna . È significa-tivo che quando la protagonista entra nell’appartamento si sentano le note musicali che avevano accompagnato i titoli di testa. Inoltre Margherita si sofferma a guardare la scrivania, i libri, gli oggetti che si trovano in quella casa, segno di una vita dedicata all’insegnamento e alla cultura. E quando il rappresentante di una compagnia di energia elettrica le chiede una bolletta, Margherita si mette a cercarla dappertutto, anche nei cassetti della cucina, sempre più affannosamente e angosciosamente, rendendosi conto di non sapere nulla circa la vita della madre. E infatti, po-co dopo, la vediamo sul set che gira a vuoto, come smarrita, seguita dalla troupe che aspetta invano delle indicazioni da parte sua. Il ritorno di Livia (che era stata con il padre in vacanza a sciare) è un’altra occasione per intensificare le relazioni . Con la figlia, ma anche con la madre, visto che Livia è molto affezionata alla nonna. Durante una visita in ospedale Ada si lamenta: «Più invecchi e più pensano che tu sia scema. Invece capisci di più, perché pensi». Livia risponde con alcune parole che diventano una vera e propria chiave di lettura di tutto il film: «Lezioni di vita ». E poco dopo, Margherita e Livia, che vivono entrambe a casa di Ada, scoprono dei dépliant di ristoranti etnici che probabilmente Ada frequentava: è un’altra occasione per conoscere meglio quella donna piena di sorprese e di risorse. Nella lunga sequenza della conferenza stampa succede un po’ di tutto. Margherita incomincia a rispondere alle do-mande dei giornalisti che le chiedono se il suo film riuscirà a parlare alla coscienza del Paese. Poi si estrania ed e-merge il suo mondo interiore fatto di dubbi, di ricordi, di confusione. La sua voce interiore si sovrappone alle doman-de che le vengono fatte: «Sì, certo, il compito del cinema. Ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni. Tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà. Ma io non capisco più niente». I ricordi si accavallano: la madre che si rifiuta di andare in ospedale; i libri ben in ordine nella libreria di Ada; quel viag-gio progettato con Vittorio. Fino a quell’implorazione molto significativa: «Mamma, mamma, aiutami!». Quando si reca in ospedale e trova il letto della madre vuoto, si agita, la cerca disperatamente. Poi viene a sapere che ha avuto una crisi respiratoria e che è stata ricoverata in terapia intensiva. Qui trova Giovanni che le spiega che hanno dovuto praticarle una tracheotomia per farla respirare meglio. Ed ecco il ricordo di quando lei, da giovane, andava nel letto della madre e si coricava accanto a lei. A casa della madre, i due fratelli scoprono altre cose che si riferiscono al loro passato (le toppe che Ada metteva in corrispondenza dei gomiti) e Giovanni rivela alla sorella di essersi messo in aspettativa. Anche lui è stanco, confuso, e non ce la fa a lavorare. Il pensiero della madre diventa sempre più intenso . Durante una scena che sta dirigendo, Margherita, letteralmente si blocca e, con aria smarrita, chiede a Barry: «Lucrezio, Tacito: che ne sarà dopo di tutti quei libri? Ce n’è un’intera parete a casa di mia mamma. Che fine faranno tutti quegli anni di studio, di lavoro. Tutte quelle ore, ogni giorno, ogni giorno. Io vado da lei, vado a trovarla, ma non so mai cosa fare, non so come aiutarla. Non riesco neanche a distrar-la. Io sono solo un peso per lei». La crisi di Margherita sul piano professionale raggiunge il suo apice quando, dopo un’ennesima scena andata male, la regista sbotta contro tutti, anche contro Barry, che non riesce a ricordarsi le battute e col quale nasce un feroce litigio: «Non ti ricordi una battuta, una sola battuta. Ci hai fatto perdere un sacco di tempo. Non ti sopporta più nessu-no. Hai rotto le scatole a tutti». Nel frattempo Margherita viene a sapere dalla madre che Livia è stata innamorata e che, pertanto, ha avuto un peri-odo di crisi. Per la prima volta vediamo Margherita che dorme in ospedale , accanto alla madre (naturalmente facen-do i solti incubi). Poi assistiamo alle dimissioni di Giovanni dal lavoro: l’uomo, che è confuso, non ce la fa più a lavo-rare e preferisce dedicare tutto il proprio tempo alla madre. Margherita vaga per la città, di sera, per cercare una piazza adatta per girare una scena. Decide di telefonare a Vit-torio per avere un po’ di compagnia. Ma questo incontro diventa determinante per l’evoluzione della protago ni-sta . «Hai ripensato a noi due?», chiede l’uomo. Margherita risponde: «Vittorio, sto girando un film. Cosa vuoi da me? Tra noi purtroppo non è andata, basta!». Ed ecco che Vittorio le lancia un atto d’accusa, molto simile a quello che, nel ricordo, Giorgio aveva fatto alla protagonista da giovane: «A te non importa niente che tua figlia sia stata male. A te importa soltanto del fatto che lei non te l’aveva detto e che tu non te ne sia accorta…Tu credi di essere tanto at-tenta, ma pensi solo a te stessa. Tu non ti accorgi di niente. Non ti accorgi che le persone ti evitano? Ti prendono a piccole dosi perché non sono serene a stare con te. Non ti va mai bene niente, Margherita. Anche sul lavoro ti rovini sempre tutto e rovini tutto anche agli altri». E, di fronte alla donna che si giustifica: «Purtroppo questo è stato sempre il mio modo di lavorare», Vittorio la inchioda: «No, questo è il tuo modo di vivere , Margherita. Tu vivi così. E obbli-ghi chi ti vuole bene a vivere così». Terza parte . È un duro colpo per la protagonista. Ma è anche l’inizio di una presa di coscienza che avrà effetti po-sitivi. Dopo tale incontro, infatti, le cose sembrano migliorare. Margherita incomincia ad avere un atteggiamento più attento e rispettoso nei confronti delle persone. Anche sul set le cose vanno meglio e Barry si confida e si riconcilia con lei («Non riconosco nessuno. Anche mio padre era così: è una malattia»). Di fronte alla dottoressa che annuncia ai due fratelli che le cose stanno volgendo al peggio e chiede loro se intendo-no "prepararla", Margherita reagisce con forza («Lasciamola vivere, no?»). Poi, mentre Giovanni si abbatte («Non riesco a dire nient’altro. Non capisco più niente»), Margherita ha una bella idea: «Portiamola a casa, Giovanni. Se

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deve succedere, se deve morire, è meglio che sia a casa sua, no?»). Il ritorno di Ada a casa diventa occasione per vivere con lei un rapporto più intimo ed affettuoso. Margherita guarda con tenerezza quella donna che ogni tanto straparla, ma che si presta a dare lezioni di latino a Livia. I due fratelli si prendono cura di lei (la poltrona reclinabile, la bombola d’ossigeno, l’infermiera, ecc.). Nel frattempo Margherita rice-ve conferma dal fratello che le accuse di Vittorio erano vere. Quando Ada sta per morire i due fratelli sono lì, accanto a lei, le tengono il braccio e l’assistono fino alla fine. Poi, con grande serenità, scelgono i vestiti da metterle e ve-gliano il suo corpo. È un momento di grande unione familiare (anche Livia e suo padre partecipano). Epilogo . Durante la veglia funebre ci sono le testimonianze particolarmente importanti di due ex allievi di Ada. Un uomo afferma: «Ada è sempre stata un riferimento per me. Parlavamo di tutto: del lavoro, dei figli, di politica. È sem-pre stata così: disponibile ad ascoltarti. Faceva domande su tutto. Ti faceva sentire importante. No, per lei eri impor-tante». E una donna, dopo aver ricordato una gita scolastica durante la quale Ada si era messa a ballare semplice-mente e serenamente in mezzo ai suoi ragazzi, continua: «Non essere gelosa, Margherita, ma per molti di noi Ada è stata e resta ancora una mamma. Ci ha insegnato la vita ancora più delle altre materie. E ci è rimasta dentro». Margherita è commossa e comprende fino in fondo la "grandezza" della madre. Nell’ultima sequenza Margherita guarda con ammirazione e tocca quei libri tutti ben in ordine sulla scrivania. Sposta leggermente la sedia. Poi ha una visione. In ospedale lei chiede alla madre: «A che stai pensando?»; Ada risponde: «A domani». L’ultima immagine rappresenta la protagonista in primo piano, con gli occhi lucidi e l’espressione inten-sa e serena. Significazione . Trascurando quei nuclei narrativi che hanno una funzione prevalentemente spettacolare (si veda, per es., il ballo di Barry in occasione dei festeggiamenti per il suo compleanno), si può dire che la significazione del film nasce dall’evoluzione della protagonista. Inizialmente Margherita è tutta presa dal film che sta realizzando; è dura con Vittorio e piuttosto fredda con la madre. Poi, andando ad abitare nella casa di Ada, poco alla volta, si avvi-cina sempre di più alla madre, grazie anche alle premure di Giovanni e all’attaccamento alla nonna da parte di Livia. Ha un momento di disperazione, ma la "rivelazione" di Vittorio le fa prendere coscienza dei propri difetti e la costrin-ge a ripensare il proprio atteggiamento nei confronti delle persone. Quando la madre muore, grazie anche alle testi-monianze di due ex allievi, capisce la lezione di vita che la madre è stata in grado di dare a tutti e sembra volerne fare tesoro. L’idea centrale è di tipo tematico, pur con alcune concessioni spettacolari che ne inficiano, almeno in parte, l’unità. Potrebbe essere espressa così: la figura esemplare di una madre (o di un genitore) che ha vissuto una vita ricca di virtù e aperta agli altri diventa una lezione di vita per i figli, soprattutto quando la loro esistenza è segnata dall’egoismo e dall’inautenticità. Se si tiene conto dell’epilogo, con le testimonianze dei due ex alunni, il discorso può essere ulteriormente universa-lizzato. Si potrebbe pertanto parlare di una persona esemplare (non solo di un genitore) e di lezione di vita per tutti (e non solo per i figli).

���� NEBRASKA

Regia: Alexander Payne; sceneggiatura: Bob Nelson; fotografia: Phedon Papami-chael; montaggio: Kevin Tent; musiche: Mark Orton; interpreti: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach; produzione: Bona Fide Produc-tions, Echo Lake Productions, Blue Lake Media Fund; distribuzione: Lucky Red; bianco e nero; durata: 115'; origine: USA, 2013.

Premio per la migliore interpretazione maschile a B ruce Dern all'ultimo Fe-stival di Cannes

Il regista. Alexander Payne, autore del Nebraska, si è laureato in Storia e Lette-ratura spagnola a Stanford e successivamente in regia e arti drammatiche all'Uni-versità di Los Angeles. Autore di opere come Election (1999), A proposito di Schmidt (2002), Sideways – In viaggio con Jack (2004) e Paradiso amaro (2011), Payne viene considerato un “neorealista” nel panorama del cinema americano e un maestro dell'on the road, come dimostra anche questa sua ultima opera, «una ballata folk sulla strada tra dramma e commedia».

La vicenda . Woody Grant è un uomo anziano che ha condotto un'esistenza tormentata. Ora la demenza senile a-vanza e Woody, che ha ricevuto una delle tante lettere che promettono mari e monti, è convinto di essere il vincitore di un milione di dollari da ritirare a Lincoln, nel Nebraska. Lui abita in Montana e decide di partire a piedi per ritirare tale somma. Naturalmente viene fermato dai familiari che lo rimproverano per la sua cocciutaggine e che minacciano di farlo ricoverare in una casa di riposo. La moglie, Kate, non ne può più di lui e delle sue manie; il figlio Ross, che lavora in televisione, pensa che il ricovero sia l'unica soluzione possibile; ma David, il figlio più giovane che vende elettrodomestici e vive una situazione sentimentale incerta, decide di assecondare il vecchio padre e di accompa-gnarlo in macchina fino a destinazione. Il lungo viaggio diventa un'occasione per David per conoscere meglio quel

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padre scorbutico e amante dell'alcol, ma che ha vissuto una vita intensa e ricca. Una sosta a Hawtorne, città natale di Woody, diventa l'occasione per una riunione familiare e per incontrare vecchi amici e conoscenti. Tutti vengono a sapere della (presunta) vincita e Woody viene festeggiato e blandito. Ma poco alla volta molti vorrebbero approfittare di tale fortuna e avanzano crediti nei confronti dell'uomo. Ma una volta chiarito che si tratta di una falsa vincita, Wo-ody viene sbeffeggiato e deriso. Forse ora il viaggio non ha più senso e David pensa di far ritorno a casa. Ma ancora una volta la determinazione del vecchio ha la meglio. I due ripartono e arrivano a Lincoln. Finalmente ora Woody realizza che si è trattato di un imbroglio e resta profondamente deluso. Ma David, che ha compassione di quel padre umiliato, decide di comperare un furgone e un compressore (che rappresentavano il sogno del vecchio) e gli permet-te di ripassare da Hawtorne per suscitare l'invidia di chi l'aveva deriso e dargli la possibilità di prendersi una rivincita. Poi i due partono per far ritorno a casa. Il loro rapporto è decisamente cambiato.

Il racconto

Introduzione . Prima dei titoli di testa le immagini rappresentano un uomo vecchio che avanza faticosamente sul marciapiede innevato, a fianco della ferrovia, lungo una strada trafficata. Porta gli stivali, un vecchio giaccone e un berretto di pelo. Viene visto e fermato da un poliziotto che lo interroga, ricevendone solo risposte evasive. Si capisce chiaramente che si tratta di un uomo in stato confusionale .

Prima parte .

- Dopo i titoli di testa vediamo David che si reca alla stazione di polizia per riportarlo a casa. Il vecchio, il cui nome è Woody, spiega al figlio che vuole andare in Nebraska a ritirare un milione di dollari che afferma di avere vinto. David cerca di spiegargli: «È una truffa; uno dei trucchi più vecchi del mondo. Vogliono solo venderti riviste». Ma Woody non gli dà retta.

- A casa Woody deve sorbirsi gli aspri rimproveri della moglie: «È già la seconda volta che tenta di svignarsela. Chi lo immaginava che questo stronzone volesse essere un milionario? Ci doveva pensare anni fa e lavorare per diven-tarlo». Woody dice di voler comperare un furgone nuovo e un compressore, come quello che tanti anni prima aveva prestato al suo socio Ed, che non glielo aveva più restituito. Kate parla di farlo ricoverare in una casa di riposo.

- Nella sequenza successiva vediamo David nel suo ambiente di lavoro. Cerca di vendere delle casse acustiche ad una coppia, ma con scarso successo. In seguito lo vediamo con la sua ex compagna che lo ha lasciato e che non intende tornare con lui. Si tratta evidentemente di un uomo che ha qualche problema , sia dal punto di vista profes-sionale e soprattutto da quello sentimentale.

- David viene chiamato da casa. Il padre ha tentato ancora di scappare. Questa volta interviene anche il fratello Ross che è molto critico nei confronti del padre e, di fronte a David che cerca di difenderlo («Non dargli addosso. Non si rende neanche conto di quello che fa. Non ha bisogno di una casa di riposo; ha bisogno di un motivo per vivere . È questo il problema»), obietta: «Io e mamma cerchiamo di essere realisti, e dovresti farlo anche tu. Con una casa di riposo faremmo il suo bene; il che, ammettiamolo, è molto più di quello che lui ha mai fatto per noi. Non gliene ha mai fregato un c… di te, David».

- In un secondo momento Woody ritenta la fuga. David si mette alla sua ricerca e lo trova per strada, deciso più che mai. Cerca di convincerlo a tornare indietro, ma il padre obietta: «Portamici tu, allora».

- Colpito da queste parole, David si prepara per il viaggio, nonostante le recriminazioni di Kate: «Dovresti aiutare me. Sono io che faccio tutto qui. Tuo padre se ne sta sempre seduto. Guardalo: è un uomo inutile . Sua madre l'ha vi-ziato». Ma David ha deciso di assecondare il suo genitore, provocando le ire della madre: «Sei tale e quale tuo pa-dre, cocciuto come un mulo».

Seconda parte .

- Inizia il lungo viaggio che va dal Montana al Nebraska (circa duemila chilometri). Va subito sottolineato il grosso peso strutturale che assume il paesaggio . L'autore descrive un'America inedita, fatta di lande semideserte, di spazi brulli sovrastati da un cielo plumbeo e minaccioso, di cittadine di provincia che manifestano i segni della crisi, non solo economica.

- Arrivati in South Dakota, David pensa di fare una piccola deviazione per mostrare al padre il Monte Rushmore, sul quale sono scolpite le immagini di quattro presidenti degli Stai Uniti. Si tratta di un piccolo diversivo, di un'occasione per distrarre il padre, per conversare con lui. Ma Woody non sembra apprezzare più di tanto.

- Durante il pernottamento in un hotel, Woody, di ritorno dal bar dove ha tracannato qualche birra, cade e si ferisce alla testa. Viene ricoverato in ospedale dove viene ricucito. I medici consigliano di trattenerlo un giorno o due in os-servazione. David, che ha poco tempo a disposizione, pensa di ritornare a casa, ma poi cede di fronte alla determi-nazione del genitore. Non senza avere prima recuperato la dentiera che Woody aveva perso nell'attraversare i bina-ri.

- Kate, avvisata per telefono, li consiglia di far sosta a Hawtorne, a trovare la zia Marta e il fratello di Woody. Potreb-be essere l'occasione per una rimpatriata con tutti i membri della famiglia. I due arrivano finalmente in Nebraska. David guarda il padre con sempre maggior interesse e curi osità , un padre di cui si rende conto di non sapere quasi niente.

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Terza parte .

- Zia Marta li accoglie con calore, ma il fratello di Woody è di poche parole e i suoi due figli (uno dei quali è stato an-che in galera per violenza sessuale) sono due ciccioni un po' inebetiti che si divertono a prendere in giro David per il tempo che ci ha messo per arrivare fin lì. «La crisi ha fatto a pezzi Hawtorne; è molto dura per i giovani; è un mo-mento terribile», si giustifica zia Marta. L'ambiente è squallido e la televisione sembra farla da padrone.

- Woody ritrova l'officina dove aveva lavorato per tanti anni assieme a Ed (quello del compressore). Poi va al bar con il figlio. David sta cercando di smettere di bere ma, invitato dal padre, ordina anche lui una birra («Mi faccio un sorso con mio padre»). Dopo varie birre incominciano le confidenze . David gli dice di essersi lasciato con la ragazza con cui stava da due anni e manifesta la sua insicurezza: «Forse dovevo chiederle di sposarmi. Non sono mai stato sicu-ro. Come si fa a sapere quando sei sicuro? Tu eri sicuro? Com'è che tu e la mamma vi siete sposati?». David è desi-deroso di conoscere meglio la propria famiglia, ma riceve soltanto risposte evasive. Poi rimprovera il padre perché beve troppo, ma provoca la sua reazione stizzita: «Va bene, sì, bevo tanto. Che vuoi? Tu fai quello che ti pare e io altrettanto. Berresti anche tu se fossi sposato con tua madre. Non hai il diritto di dirmi cosa devo fare».

- In un'altra taverna Woody ritrova vecchi amici, tra cui Ed, il suo ex socio. Nonostante le raccomandazioni di David, l'uomo fa sapere a tutti della “vincita” e viene applaudito e festeggiato. È per lui un momento di felicità . Nel ritorno a casa esprime tutta la sua soddisfazione: «Hai visto che faccia hanno fatto?».

- Anche i familiari hanno appreso della notizia e si congratulano con lui, dimostrando anche un certo interessamento (i due cugini si offrono di accompagnarli fino a Lincoln). La notizia si diffonde nella piccola città di provincia e Woody diventa una piccola celebrità.

- Nel frattempo Kate giunge a Hawtorn col pullman. Di fronte alle solite aspre critiche della madre, David obietta: «Vacci piano con lui; non si tratta del milione. Secondo te quanto ancora camperà, più o meno lucido? E che c'è di male nel fargli vivere la sua illusione un altro paio di giorni?».

- Prima di recarsi da zia Marta, Kate vuole andare al cimitero, quello protestante, dove sono sepolti vari membri della famiglia di Woody (lei è invece cattolica e i suoi cari sono sepolti in un altro cimitero). È un'occasione per ricordare, commentare, criticare. Ma per David è anche un modo per conoscere un po' di più la sua famiglia di origine e, quindi, qualcosa di più del proprio padre.

- Il giornale locale vuole scrivere un articolo su Woody e manda un ragazzino a fargli una foto. David allora si reca in redazione per rivelare la verità e si trova di fronte ad una giornalista che dice di essere stata la ragazza di suo padre. Dalla donna e da vecchie foto David viene a conoscere tante altre cose circa il padre : era stato in Corea; riparava aerei militari; una volta, durante un trasferimento, era stato atterrato. Poi ascolta attentamente le parole della donna: «Tuo padre non è mai stato un chiacchierone. Appena tornato dal fronte praticamente non apriva bocca, ma era sempre molto gentile, non riusciva a negare un favore. Ora che tutti lo ritengono un milionario è un vero eroe da que-ste parti. David è pensieroso e riflette.

Quarta parte .

- Alla taverna Woody viene ancora applaudito dai suoi ex concittadini. Ma ben presto cominciano i problemi . Ed va da David e gli dice di avanzare dei soldi da suo padre e ritiene che sia giunto il momento per restituirli. Di fronte alla perplessità del giovane, Ed non esita a lanciare velate minacce.

- Particolarmente significativa è l'immagine in cui David, che dorme nella stessa camera dei suoi genitori, si sveglia e li guarda intensamente . Poi, il giorno dopo, c'è una grande riunione familiare. Sono arrivati altri fratelli di Woody ed anche Ross (però da solo, senza la moglie e i figli). Durante il pranzo tutti si congratulano con Woody. David tenta di dire che si tratta di una vincita fasulla, ma nessuno gli crede. Tutti pensano che sia un espediente per evitare ri-chieste di denaro. Infatti poco dopo una zia e un cugino di David avanzano delle pretese: la famiglia ha aiutato Wo-ody quando era nel bisogno e ora lui deve ricambiare. Ne nasce addirittura una lite, che viene risolta dall'intervento energico da parte di Kate: «Io ho tenuto i conti. Quello che gli avete dato non è niente rispetto a quanto gli dovevate. Lui non sapeva dire di no a nessuno, e questo l'ha rovinato».

- David e Ross esprimono il desiderio di andare a vedere la casa dei Grant, dove il padre è cresciuto. È ormai una casa abbandonata e fatiscente, ma diventa un'altra occasione per conoscere meglio le proprie origini . Quella ca-sa era stata costruita da Woody con le sue mani, assieme ai fratelli, prima della nascita di David. C'è ancora la ca-mera dove morì un fratello di Woody, David, il cui nome è stato trasmesso al nipote. Il fienile è ancora in piedi. È il momento dei ricordi, della nostalgia, della malinconia.

- Il giorno dopo Ed si rifà vivo con la sua richiesta di denaro. Per dare forza a tale richiesta Ed rivela che fu lui a scongiurare il divorzio di Woody da Kate, visto che il padre di David se la faceva con una meticcia. David resta colpi-to e domanda al padre quando ciò è avvenuto. Woody risponde: «Dopo la nascita di Ross, prima di te». David viene così a conoscere anche la debolezza del padre . Tuttavia reagisce cacciando con molta fermezza Ed, che se ne va minacciando.

- David e Woody, all'uscita dalla taverna, subiscono un'aggressione da parte dei due cugini che si impossessano della lettera con l'annuncio del premio. Si viene così a sapere che si tratta di un falso. Lo vengono a sapere anche al bar, dove Ed esibisce di fronte a tutti la lettera, prendendosi gioco di Woody, che viene sbeffeggiato e deriso. È il

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momento dell'umiliazione . Woody si riprende la sua lettera. David sfoga la sua rabbia dando un pugno a Ed.

- A questo punto David pensa che sia ora di finirla: «È finita, ora basta, ci fermiamo. Hai la fronte aperta in due e a stento ti reggi in piedi. Non hai vinto, te lo vuoi ficcare in testa? Io non voglio andare a Lincoln per una stupida fanta-sia. Già mi sento in colpa per averti portato fin quaggiù. Hai soldi a sufficienza per campare; non puoi guidare; che senso ha?». Ma David resta sorpreso e si commuove quando sente le motivazioni del padre: «È per voi figli. Vi vo-levo lasciare qualcosa ». Woody sviene e dev'essere ricoverato in ospedale.

- Ross e la madre decidono di partire. David aspetta che il padre si riprenda. Ma durante la notte David si sveglia e s'accorge che il padre è scappato un'altra volta. Lo raggiunge, prova compassione per lui e decide di assecondarlo fino in fondo portandolo a Lincoln.

- Qui finalmente Woody viene a sapere che non ha vinto. Ci resta male e se ne va sconsolato, dopo aver accettato come premio di consolazione un cappello. L'impiegata domanda a David: «Ha l'Alzheimer?». Questi risponde: «No, crede a quello che le persone gli dicono». «Non è un bene», conclude amaramente la donna. David sale in macchi-na dove trova il vecchio padre avvilito e rassegnato. Lo guarda con affetto e tenerezza . E prende una decisione.

Epilogo .

- Prima di far ritorno a casa David si ferma da un rivenditore di auto e baratta la sua macchina con un furgone usato, facendo credere al padre di essere riuscito a strapparlo a quelli del premio. Poi, in un altro posto acquista un com-pressore nuovo e lo carica sul furgone. Particolarmente significativo quello sguardo riconoscente e schivo che Woody rivolge nei confronti del figlio che ha soddisfatto i suoi desideri.

- Durante il viaggio di ritorno, prima di arrivare a Hawtorne, David si fa da parte e fa guidare il padre, nascondendosi. E così Woody può passare in mezzo alla cittadina dove viene visto da tutti: alcuni lo salutano festosamente; Ed lo guarda con rancore; la giornalista lo osserva con tenerezza. L'inquadratura dal basso mostra Woody pienamente soddisfatto, nel momento della sua rivincita .

- Appena fuori dall'abitato David ritorna alla guida del furgone. Il pick-up si dirige verso casa. Con un campo lunghis-simo l'immagine mostra l'orizzonte. La musica extradiegetica conclude il racconto. Padre e figlio vivono ora un rap-porto nuovo.

Significazione .

Woody è una persona anziana che si trova in una situazione di fragilità e di debolezza, dopo aver trascorso una vita fatta di alti e bassi, come ogni vita umana. La tentazione da parte dei familiari è quella di considerarlo una persona inutile, che va rinchiusa in una casa di riposo. Ma il figlio David, che si trova in una crisi esistenziale, cerca di capire il vecchio padre e lo asseconda nella sua illusione di diventare milionario. Lo accompagna così in un lungo viaggio che diventa un'occasione per stargli vicino («Sono contento che siamo stati un po' insieme») e per conoscere meglio quel padre a lui quasi sconosciuto. Scopre così che dietro quell'insensata cocciutaggine c'è una persona vera, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, ma che ha saputo amare e che sa pensare alle persone care. Alla fine David ha ritrovato un vero padre e nel contempo gli ha restituito quella dignità che sembrava perduta.

Idea centrale .

Nella nostra società le persone anziane, a causa della loro fragilità, vengono considerate inutili e pericolose, e per-tanto da ricoverare in un ospizio. Ma vivere accanto a loro, con spirito di compassione e di amore, permette di cono-scerle meglio e di far nascere un rapporto nuovo, consentendo loro di vivere una vita più umana e più dignitosa.

���� STILL ALICE

Regia e sceneggiatura: Richard Glatzer, Wash Westmoreland; soggetto: Lisa Genova; fotografia: Denis Lenoir; montaggio: Nicolas Chaudeurge; musiche: Ilan Eshkeri; sce-nografia: Tommaso Ortino; costumi: Stacey Battat; interpreti: Julianne Moore (dottoressa Alice Howland), Kristen Stewart (Lydia), Kate Bosworth (Anna), Alec Bal-dwin (John), Hunter Parrish (Tom); distribuzione: Good Films; durata: 99’; origine: U-SA, 2014. Il film è l’adattamento cinematografico del romanzo Perdersi, scritto nel 2007 dalla neu-roscienziata Lisa Genova e pubblicato in Italia da Piemme. È stato presentato in ante-prima mondiale al Toronto International Film Festival l’8 settembre 2014 ed ha parteci-pato in concorso al Festival internazionale del film di Roma (17 ottobre 2014). La vicenda . Alice Howland è una famosa professoressa di linguistica che insegna alla Columbia University e che tiene brillanti conferenze in tutto il Paese. Alice è sposata con John, un medico apprezzato, e ha tre figli: Anna, laureata in legge, sposata con

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Charlie e desiderosa di avere figli (per cui si sottopone all’inseminazione artificiale), Tom, che sta per laurearsi in medicina, e Lydia, la più ribelle, che non ha voluto andare al college e vuole tentare la carriera di attrice teatrale. A soli cinquant’anni Alice si accorge di essere affetta da una precoce e rara forma di Alzheimer, che la porta gradual-mente e rapidamente a perdere la memoria e la stessa capacità di parlare. Tutto il mondo le crolla addosso e anche i familiari poco alla volta si distaccano da lei. Ma sarà proprio Lydia che la accompagnerà con amore verso il suo nuo-vo stato, dando così dignità ad una vita che, nonostante tutto, è pur sempre una vita umana che dev’essere rispetta-ta ed amata. Il racconto . La struttura del film è lineare con l’inserimento di alcuni flashback che si riferiscono ad alcuni momenti della vita della protagonista: sono soprattutto ricordi di famiglia, momenti lieti e significativi, che poco alla volta vanno scomparendo dalla sua memoria e ai quali la donna cerca di aggrapparsi con tutte le sue forze. All’interno dei vari blocchi narrativi vanno delineandosi due grossi filoni strutturali . Il primo, che è il più evidente ed è alla base di tut-ta la narrazione, si riferisce alle varie tappe che caratterizzano il sorgere e lo sviluppo della terribile malattia; il secon-do, meno appariscente ma decisivo ai fini della tematica, mette in risalto i vari atteggiamenti e le diverse reazioni delle persone, a partire dai membri della famiglia, nei confronti della protagonista nel suo cammino verso un "perdersi" drammatico e inarrestabile. L’introduzione del film mostra la festa di compleanno di Alice. La donna compie cinquant’anni ed è circondata dai familiari. Particolare importante: manca Lydia, che vive a Los Angeles, impegnata nella recitazione in una serie tele-visiva, di cui si parla con non troppo entusiasmo (come si vedrà, viene un po’ considerata "la pecora nera" della fami-glia per il suo rifiuto di andare al college). È un momento di grande gioia e di felicità e John fa un brindisi: «Alla più bella e alla più intelligente delle donne che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita». C’è soltanto un piccolo partico-lare a cui nessuno sembra fare caso: quando si parla del rapporto tra le due sorelle (Anna e Lydia), Alice fraintende, pensando a sua sorella (morta con la madre in un incidente d’auto). Prima parte . Alice si trova a Los Angeles per tenere un’importante conferenza sulla "parola nell’acquisizione del lin-guaggio". Nel bel mezzo del discorso la donna improvvisamente si blocca, dimentica una parola, e ci mette un po’ di tempo per riprendersi, anche se, brillantemente, se la cava attribuendo la cosa ad un bicchiere di champagne che aveva bevuto. Alice è un po’ preoccupata, ma non più di tanto. Ne approfitta per andare a trovare Lydia, con la quale nasce subito un piccolo diverbio. Alice invita la figlia a riconsiderare le sue scelte: «Hai tante capacità: potresti fare molto di più nella tua vita». Lydia ribadisce la sua decisione di tentare la strada della recitazione («Io così sono felice») e accusa la madre di voler fare le sue scelte. Per non litigare Alice desiste e viene a sapere che John finanzia la compagnia teatrale della figlia. Ritornata a casa, Alice va a fare jogging nel campus universitario. Improvvisamente tutto intorno a lei diventa sfoca-to. Le immagini, con una panoramica avvolgente, mettono in risalto lo smarrimento della donna che non capisce più dove si trova e viene assalita dall’angoscia. Quando si riprende e torna a casa dal marito, Alice non fa cenno di quanto le è capitato, e si limita a rimproverare John di non averle detto che finanziava il gruppo teatrale di Lydia. Lui dice di avergliene parlato: probabilmente si tratta di qualcosa che la donna ha dimenticato. Alice si reca da un neurologo e gli spiega quanto le sta capitando; il suo terrore è di avere un tumore al cervello. Il medico, dopo averle fatto varie domande e aver messo alla prova la sua memoria, le ordina una risonanza magneti-ca: «Capiremo come stanno le cose là dentro». Poi le suggerisce di fare esercizio fisico per migliorare la circolazione del sangue e di curare l’idratazione che è fondamentale per la memoria. A Natale la famiglia si riunisce per festeggiare. C’è anche Lydia e c’è la fidanzata di Tom, Jenny. Alice dimostra di essere imbarazzata in cucina e poi si presenta a Jenny, cosa che aveva già fatto in precedenza e di cui evidente-mente si era dimentica. Tutti brindano al Natale. Il neurologo esclude ogni tipo di malattia cerebro-vascolare, ma avanza un’ipotesi: «Quello che mi preoccupa sono i test per la memoria che le ho fatto fare. Ha degli sporadici peggioramenti delle prestazioni che sono assolutamente sproporzionati alla sua età. E ci sono evidenze di un declino nel livello delle sue funzioni mentali». Poi le consiglia di fare una PET: «Voglio vedere se i risultati sono compatibili con il morbo di Alzheimer. Sarebbe insolito per una per-sona giovane come lei, ma in effetti presenta molti sintomi». Finalmente Alice, che finora ha cercato di gestire la cosa da sola, si decide a rivelarla a John . Durante una notte caratterizzata dall’insonnia, la donna sveglia il marito: «Ho scoperto che c’è qualcosa che non va in me…la sensa-zione è che il mio cervello stia morendo, e che tutto quello per cui ho lavorato per tutta la vita se ne stia andando». John è molto comprensivo ed affettuoso. La consola e l’abbraccia, e il mattino seguente cerca di rassicurarla: «È troppo presto per arrivare a delle conclusioni. Comunque vada, io sono qui ». Seconda parte . Alice e John si recano insieme dal neurologo, che avanza un’ipotesi inquietante: «Cerchiamo di ve-rificare se ci sono mutazioni del gene. Questo sarebbe un indicatore di un morbo di Alzheimer ereditario che in effetti è una forma piuttosto rara». John comincia a manifestare segni di nervosismo e di preoccupazione. A questo punto è necessario avvisare i figli , perché la cosa potrebbe riguardare anche loro. Anna si mette a piangere; Lydia dice che aveva notato un paio di cose che l’avevano insospettita. Sta a loro, adesso, decidere se fare l’esame. Più tardi si verrà a sapere che Anna è risultata positiva. Tom, invece, è negativo e Lydia non ha voluto sapere. Anna, che deve fare l’inseminazione, si preoccupa di fare controllare gli embrioni, in modo da essere sicura che il bambino sarà sa-no. Gli effetti della terribile malattia superano ben presto l’ambito familiare e investono inevitabilmente quello professio-nale . Alice, di fronte alle critiche che incominciano ad arrivare sul suo insegnamento da parte degli studenti, è co-stretta, inizialmente, ad ammettere di fronte al preside della Facoltà di essere vittima di «una blanda menomazione cognitiva»; ma poi deve confessare tutto con grande sofferenza: «Mi dispiace talmente tanto!». Naturalmente ciò le

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costerà la sospensione dall’insegnamento rendendo la sua vita ancora più drammatica. Alice deve subire un’altra umiliazione quando, dopo essersi attardata in giro per la città per fare jogging e per andare nella sua solita gelateria, viene rimproverata dal marito per aver rovinato una serata già programmata. La donna tenta di giustificarsi («Ho l’Alzheimer»). Poi crolla psicologicamente: «Vorrei avere il cancro…non proverei tutta questa vergogna». Oltre a mettersi continuamene alla prova ponendosi delle domande con il suo cellulare, la protagonista incomincia a pensare anche al suo futuro. Prima va a visitare una clinica dove vengono ospitate persone con il suo stesso male (prevalentemente donne, ma anche qualche uomo). Poi prende una decisione radicale: si lascia un videomessaggio nel suo computer con le indicazioni da seguire quando non sarà più in grado di rispondere a certe domande. Secon-do lei la decisione più logica è quella di farla finita inghiottendo un intero flacone di pillole appositamente preparato. Poi mette il messaggio in una "cartella" con il nome (che, come si vedrà, è molto significativo) "Butterfly" (= farfalla). Si vede anche che la donna si è messa al polso un braccialetto con la scritta: «Deficit di memoria». Parte terza . È giunta l’estate ed Alice si trova con il marito su un’isola per trascorrere le vacanze. È un momento di serenità e di pace in riva al mare (sottolineato anche da una canzone extradiegetica). I due rievocano i momenti più significativi della loro vita: le cose tristi (come la morte della madre e della sorella di Alice), ma anche i bei momenti trascorsi insieme in pienezza di vita. Alice, che ora è libera all’Università, chiede al marito di prendersi un anno sab-batico: «Questo potrebbe essere l’ultimo anno in cui sono me stessa». Ma John dice di non poterselo permettere . Poi, inaspettatamente, un altro episodio spiacevole: Alice si perde in casa, non riesce a trovare il bagno e si fa la pipì addosso. John dimostra comprensione e affetto. Quando John parte per un congresso, arriva Lydia a fare compagnia alla madre. Durante una conversazione con la figlia, emerge l’importanza di quella collana , che Alice ha ricevuto in dono dalla madre, con appesa l’immagine di una farfalla. Alice racconta: «In seconda elementare la maestra mi disse che le farfalle non vivono a lungo. Vivono un mese o giù di lì. Rimasi sconvolta. Quando tornai a casa lo dissi a mia madre. Mi rispose: "Sì, però, sai, hanno una vita bella, anzi hanno una vita molto, molto bella". E questo mi fa pensare alla vita di mia madre e a quella di mia sorella e, in una certa qual misura, anche alla mia ». Poi Alice ritorna sul vecchio argomento, cercando di convincere Lydia a farsi una posizione: «Io credo in te. Ma, vedi, la vita è dura; la vita è più dura di quanto tu non creda. Ecco, vorrei che tu trovassi qualche sicurezza prima che me ne vada». Ma Lydia sembra essere sorda all’invito della ma-dre: «Non puoi farti forte di questa tua situazione per obbligarmi». Il rapporto con Lydia, nonostante la divergenza delle opinioni, diventa sempre più intenso e profondo. Dopo averla rimproverata per avere letto il suo diario, Lydia si scusa con la madre e si interessa alla sua situazione, con sincerità e partecipazione. Ma le cose continuano a peggiorare. Dopo aver assistito ad una rappresentazione teatrale di Lydia, Alice si complimenta con lei, senza riconoscere che è sua figlia. C’è poi il momento, particolarmente significativo, in cui Alice tiene un discorso per l’Associazione malati di Alzheimer. Vale la pena di riportare alcuni passaggi di tale discorso perché entrano direttamente nella tematica del film. Alice parte presentandosi: «Sono una persona che convive con un esordio precoce dell’Alzheimer. E in quanto tale mi trovo ad apprendere l’arte del perdere ogni giorno. Perdo l’orientamento, perdo degli oggetti, perdo il sonno». Poi continua: «Tutto quello che ho accumulato nella vita, tutto quello per cui ho lavorato con tanto impegno, ora, inesora-bilmente, mi viene strappato via. Come potete immaginare, o anche come sapete, questo è atroce. Ma c’è ancora di peggio. Chi ci può più prendere sul serio quando siamo così distanti da quello che eravamo? Il nostro strano com-portamento e il nostro parlare incespicante cambia la percezione che gli altri hanno di noi e la nostra percezione di noi stessi. Noi diventiamo ridicoli, incapaci. Ma non è questo che noi siamo. Questa è la nostra m alattia ». Poi conclude: «Me la prendo con me stessa perché non riesco a ricordare le cose, ma ho ancora dei momenti nella gior-nata di pura allegria, di gioia. E, vi prego, non pensate che io stia solo soffrendo. Se pure sto soffrendo, io mi sto bat-tendo. Sto lottando per restare parte della vita, per restare in contatto con quello che ero una volta. Così, "Vivi il mo-mento", è quello che mi dico». In altre parole Alice sta dicendo che, nonostante tutto, lei è ancora se stessa, è anco-ra Alice , come dice il titolo del film. Quando John riceve un nuovo incarico e deve trasferirsi in Minnesota, Alice lo implora: «Non vuoi stare un anno a casa con me a vedere cosa succede?». Ma il marito decide di seguire la propria carriera. Alice riconosce sempre meno le persone, ma in lei continuano ad affiorare dei ricordi; ricordi che «sono importanti per essere se stes-sa». Nel frattempo Anna dà alla luce due gemelli ed Alice ha l’occasione di ricordare e di riprovare la gioia di tenere tra le braccia una giovane vita. Le cose peggiorano sempre più e la protagonista trova sul computer quel videomessaggio che conteneva le parole: «La tua vita non è stata una tragedia. Hai avuto una vita notevolissima; uno splendido ma-trimonio e tre magnifici figli…». Cerca di mettere in atto il piano che aveva preparato, ma l’arrivo della badante glielo impedisce. John sta per partire per la sua nuova avventura professionale, ma arriva Lydia, a cui le cose non sono andate bene, per prendere il suo posto. L’uomo si rende conto della propria scelta egoistica, e, con commozione, dice alla figlia: «Sei un "uomo" migliore di me». Lydia si limita a rispondere: «Papà, ci sto io con lei». È molto significativo che all’inizio, accanto ad Alice che festeggiava il proprio compleanno, ci fossero tutti i membri della famiglia ad eccezione di Lydia; mentre alla fine, quando le cose volgono al peggio, ci sia solo Lydia , questa ragazza ribelle e anticonformista che però compie un gesto d’amore che gli altri non sono capaci di fare. Ora Lydia è accanto alla madre e le legge il brano di un testo in cui si parla di anime che salgono verso il cielo: «Salivano fluttuando come paracadutisti al contrario». E conclude: «Perché niente è perso per sempre ». Poi guar-da la madre negli occhi e le chiede: «Quello che ti ho appena letto ti è piaciuto? Sai di cosa parlava?». Alice, fissan-do la figlia, è solo capace di dire la parola «amore». E Lydia conclude: «Sì, mamma. È vero, parlava di amore». L’ultima immagine è un flashback, il ricordo di un momento bello della vita di questa donna. Ricordo che è segno che

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Alice è ancora viva. Che è ancora Alice (come viene sottolineato dal titolo del film che appare subito dopo). Significazione . Nasce dall’incontro dei due filoni strutturali cui si è accennato: quello della malattia e quello degli atteggiamenti delle persone. Ciò che succede ad Alice è una cosa terribile ed è segno della sua fragilità. Ma fa parte della sua vita, una vita che è stata «notevolissima», una vita ricca e felice. Una vita che continua nella misura in cui la donna è ancora in grado di ricordare (in altre parole Alice non è un vegetale , ma è ancora se stessa, seppur in modo diverso a causa della malattia) e nella misura in cui viene riconosciuta tale da parte di chi le sta accanto con amore. Ed inoltre è una vita che non andrà persa per sempre. Idea centrale . Il personaggio di Alice è chiaramente universalizzabile e diventa emblematico della vita delle persone: la vita umana è caratterizzata dalla fragilità, ma possiede un valore inestimabile, in quanto è una vita ricca e dignito-sa. Nonostante le malattie e le menomazioni, nonostante le apparenze, resta pur sempre una vita umana, una vita destinata a non "perdersi" definitivamente. Va pertanto considerata, rispettata ed amata.

STILL LIFE

Regia e sceneggiatura: Uberto Pasolini; fotografia: Stefano Falivene; montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley; scenografia: Lisa Marie Hall; costumi: Pam Downe; musica: Rachel Portman; suono: Robert Farr, Sam Southwick; interpreti principali: Eddie Marsan, Joanne Froggat; distribuzione: Bim; durata: 87'; origine: Regno Unito/Italia, 2012.

Premio per la miglior regia nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia 2013

Il regista . Uberto Pasolini, nipote di Luchino Visconti, ha passato i suoi anni da stu-dente alla Cineteca di Milano, divorando classici. Ha trascorso gran parte della sua vita a Londra dove ha fatto soprattutto il produttore (famoso il suo Full Monty). Nel 2007 esordisce come regista in Machan, un film di cui è anche cosceneggiatore e produttore e che vince numerosi premi a livello internazionale. Still Life è il suo se-condo lungometraggio. Ha dichiarato il regista: «“Still Life” viene normalmente tra-dotto “natura morta”, ma in inglese significa anche “ancora in vita” e, dal mio punto di vista, è questo il senso del film. Una figura come John May diventa strumento per un omaggio alla vita». Ha poi spiegato la genesi del film: «Ho avu-to l'idea leggendo un'intervista a uno di questi funzionari. Volevo raccontare, un po' a basso volume, l'isolamento che colpisce sempre più persone, soprattutto anziani e giovani, nella nostra società. Ma il film parla anche dell'importan-za della vita, del prestare attenzione a quella degli altri e di lasciare agli altri la possibilità di entrare nella nostra».

La vicenda . John May ha quarantaquattro anni e da ventidue fa il funzionario presso la municipalità londinese di Kennington. È addetto al “servizio utenti” e il suo lavoro consiste nel provvedere alla sepoltura delle persone i cui parenti sono introvabili. John è un uomo solo e solitario, grigio e metodico, e fa di tutto per cercare qualche parente o amico delle persone defunte per farlo partecipare alle esequie. Ma visto che ciò non gli riesce mai, rimane lui, da solo, ad assistere all'ultimo viaggio dei suoi “clienti” su questa terra provvedendo a tutto, persino al tipo di musica da suonare in chiesa scelta tra i dischi che ha trovato nelle loro case. Un giorno gli viene annunciata la morte di un alco-lista che abita proprio di fronte al suo appartamento. John resta particolarmente colpito da questo decesso e, soler-temente, inizia la sua ricerca. Nonostante venga improvvisamente licenziato per tagli al bilancio, John decide di con-tinuare ad occuparsi di quello che sarà il suo ultimo caso. Percorre il paese in lungo e in largo alla ricerca di amici, parenti e amori di quel tizio, il cui nome è Billy Stoke. Questo percorso (che diventa anche un cammino spirituale) lo porta quasi ad identificarsi con lui e ad aprirsi a nuove relazioni che rendono la sua vita più ricca e gioiosa. Ma quan-do improvvisamente John muore in un incidente, nessuno sembra accorgersi della sua scomparsa e il piccolo funzio-nario viene sepolto, come uno dei suoi tanti clienti, nel più assoluto anonimato. Ma, nonostante le apparenze, John non è e non sarà mai solo.

Il racconto . La struttura lineare divide la vicenda in alcune grosse parti, con tanto di introduzione e di epilogo.

Introduzione . Le prime immagini sono quelle di un cimitero e di una chiesa. All'interno dell'edificio religioso si sta svolgendo una cerimonia funebre ma, accanto alla bara, ci sono solo il sacerdote e il protagonista, John May. La stessa cosa si ripete in altre due chiese (una è ortodossa): cambiano solo le musiche, che rivelano la diversa origine dei defunti, e le modalità del funerale (sepoltura o cremazione). Dal contesto si capisce subito che le persone defun-te non hanno nessuno che partecipa alle esequie e che John ha un incarico molto particolare. Un incarico che svol-ge con precisione quasi maniacale, da perfetto funzionario .

Prima parte .

- Ma poco alla volta vengono messe a fuoco altre caratteristiche del protagonista. John è un tipo meticoloso e abitu-

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dinario, che porta sempre lo stesso abito e che è maniaco dell'ordine sia in ufficio che a casa. È un omino grigio e insignificante (un personaggio quasi gogoliano): non ha fatto il servizio militare, non fuma, non beve, non ha famiglia. Il suo ufficio si trova in un seminterrato senza luce ed è quanto di più squallido si possa immaginare: una misera scri-vania, una lampada da tavolo, un computer e diversi scaffali metallici dove vengono riposte le varie pratiche. Vive in un grande condominio anonimo, in un appartamento quasi privo di arredamento dove consuma i suoi tristissimi pasti: una scatoletta di tonno con una fetta biscottata, un po' di the e una mela che pela meticolosamente in modo da con-servare intatta la buccia. Ma in quest'omino di cui nessuno sembra accorgersi batte un cuore grande .

- Lo si capisce quando preleva le ceneri di un tizio e le sparge con cura sui fiori e, di fronte all'incaricato che gli chie-de se ne vuole delle altre, ribatte: «Diamo ancora un po' di tempo agli altri. Non si sa mai». La stessa cosa avviene all'obitorio: «Abbiamo delle tracce; abbiamo ancora speranza; forse troviamo qualcuno». John dimostra pertanto di essere non solo un funzionario, ma un uomo che ama il suo lavoro e che si interessa delle persone defunte per garantire loro una sepoltura dignitosa. È significativo che dopo i funerali chiuda le pratiche («Caso chiuso»), ma si porti a casa le foto dei defunti e le metta in un grande album assieme a quelle di tante altre persone di cui si è preso cura e che sembrano rappresentare la sua grande famiglia (più avanti, in una delle sequenze più pregnanti del film, lo vediamo contemplare quelle foto di uomini, di donne, di giovani, di anziani: volti, persone, vite che la gente tende a dimenticare, ma che John conserva nel suo cuore).

- Quando viene chiamato per il caso di una donna trovata morta nella sua abitazione, John esegue come al solito il suo lavoro scrupolosamente e scopre che l'unica compagnia di quella donna era una gattina che lei trattava come una figlia. Ma il suo non è solo un lavoro; è l'indagine di chi cerca negli oggetti personali (la biancheria stesa, un va-setto di crema appena aperto, il cuscino con l'impronta del capo, le medicine rimaste, le monete sul comodino, ecc.) le tracce di una vita , la vita di una persona sola e dimenticata, ma pur sempre una vita umana, con tutta la sua di-gnità.

- Quando riceve la telefonata del figlio di un defunto è tutto contento e spera di aver finalmente trovato una persona che possa presenziare al funerale. Ma quando sente che l'uomo ha addirittura cambiato il suo cognome e che non vuole saperne di presentarsi, cerca di convincerlo: «Suo padre non è stato magari il migliore dei padri…non le sem-bra naturale ritrovare un padre dopo tanti anni…non vorrebbe che i suoi figli lo sapessero? Sono i suoi nipoti». E di fronte alla determinazione dell'uomo, ribatte semplicemente: «Non posso capirlo». Poi, a casa, si mette a scrivere l'orazione funebre per la donna della gattina raccontandone la storia, naturalmente inventata, ma ricca di particolari che tendono a valorizzarne l'umanità. Dopo il funerale della donna John si sdraia nel posto del cimitero da lui preno-tato, un posto bellissimo da cui si gode un bel panorama, e immagina la propria morte con grande serenità.

Seconda parte .

- John riceve una telefonata che gli annuncia il ritrovamento del corpo di un uomo morto già da alcuni giorni e resta particolarmente colpito quando viene a sapere che quell'uomo abita proprio di fronte alla sua abitazione. Si reca sul posto quasi esitante e incomincia le solite ricerche per identificarlo. È significativo che dalla stanza guardi fuori e ve-da la sua finestra, proprio di fronte. Rimane infastidito e amareggiato dalle parole del portiere: «Si assomigliano tutti, no?». Rovistando tra le bottiglie di liquore vuote e gli effetti personali, John trova finalmente la foto del defunto e sco-pre il suo nome, William Stoke, detto Billy. Ma la cosa che lo colpisce di più è un album con delle foto che ritraggono una bambina nelle sue diverse età, ma che improvvisamente sembrano interrompersi. Che si tratti di una figlia? E ora dove si trova? Come poterla rintracciare?

- Inaspettatamente John viene convocato dal suo superiore che gli annuncia il licenziamento: «Lei è scrupoloso, ma anche molto lento. E anche costoso perché preferisce i funerali alle cremazioni». L'autore, non senza ironia, sottoli-nea la superficialità e la vacuità di quel capo che contrastano con lo scrupolo e la serietà del protagonista. Così co-me mette in evidenza quella donna dall'espressione beota che prenderà il suo posto. Il superiore gli comunica che quello di Billy sarà il suo ultimo caso e gli dà tre giorni per chiuderlo.

- John si mette al lavoro con particolare solerzia e, cosa piuttosto singolare, sembra che nasca in lui una sorta di identificazione con la persona di cui si interessa (particolarmente significative le due immagini in cui John, guardan-do fuori dalla finestra, vede la propria immagine riflessa sui vetri dell'appartamento di Billy). John chiede informazioni di Billy nelle sale da bigliardo, nei pub; recupera nel cassonetto i suoi dischi in vinile e li pulisce accuratamente; trova dei negativi e li fa sviluppare. Scopre così che Billy aveva un amico che ora lavora in un'industria di prodotti da forno.

- John prende il treno e va a cercarlo e riesce così a scoprire un pezzo di vita di Billy . L'amico gli dice che aveva un pessimo carattere e che se n'è andato da quel posto dopo aver urinato in un recipiente di carne di maiale. Dopo aver visto l'album con le foto della ragazzina, commenta: «È strano. Non ha mai parlato di una famiglia. Per me era un fratello maggiore. Poi ha conosciuto la signora del fish and chips di Whitby e se n'è andato da lei». Di fronte alla ri-chiesta di John di partecipare al funerale, l'amico risponde: «Avrei bevuto con lui con piacere. Ma al funerale…dopo tanto tempo». La missione di John sembra essere fallita e l'uomo si appresta a far ritorno a Londra.

- Ma qui inizia un vero e proprio cambiamento nel protagonista con un particolare di poco conto, ma significativo. Al bar della stazione John chiede il solito the nero, ma la cameriera gli propone una bella cioccolata calda. John ac-cetta. Si tratta di cambiare abitudine, di osare di più, di vivere la vita più intensamente. E infatti l'uomo, inaspettata-mente, non prende il treno e decide di recarsi a Whitby con un pullman alla ricerca della signora del fish and chips. Vaga per le strade deserte di quel luogo in riva al mare alla ricerca di indizi, e finalmente trova la donna, Mary.

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- Questa gli racconta altre cose della vita di Billy: «Se gli girava bene era affettuoso e gentile; se gli girava male, me-glio stargli lontano. Viveva qui con me, ma non mi ha mai parlato del suo passato». La donna gli racconta di un epi-sodio di violenza da cui fu però scagionato, ma: «Poi ha cominciato a bere tanto; è diventato impossibile anche con me. E un bel giorno ha preso e se n'è andato». Significativa l'osservazione di Mary a proposito di John: «Che lavoro strano fa lei: tutte quelle vite ». John risponde: «Amo il mio lavoro ». Poi viene a sapere che la donna ha avuto una figlia da Billy (a sua insaputa) e che ora ha una nipotina. John allora la invita ad andare al funerale, ma Mary rifiuta: «Non ce la faccio. È passato troppo tempo: troppe cose da spiegare. Lo amavo. Non ho più amato nessuno dopo di lui, ma non posso farlo». Poi avanza l'ipotesi che Billy sia stato in prigione.

- John fa mestamente ritorno a casa. Le immagini sottolineano l'intensità emotiva con cui l'uomo sfoglia l'album con le foto di tutti coloro di cui si è preso cura. Più tardi resta indignato quando vede la sua sostituta sbarazzarsi delle ceneri di numerosi defunti come si getta via un oggetto senza valore, così, dove capita. Va poi all'obitorio per far pre-parare il corpo di Billy e chiudere così anche questo caso. E deve sorbirsi le ciniche osservazioni del suo capo che non riesce a capire la dedizione e l'impegno che caratterizzano il suo comportamento: «Se non trovi nessuno non soffre nessuno, giusto? A chi rimane forse è meglio non sapere: niente funerale, niente tristezza né lacrime». «Non ho mai considerato la cosa da questo punto di vista», ribatte John. Ma il capo continua: «Comunque i morti sono morti. Non ci sono. Se ne fregano».

Terza parte .

- La reazione di John a queste parole è immediata. L'uomo rincorre il suo capo e gli chiede altri giorni prima di chiu-dere il caso. Questi glieli concede, ma in forma privata, visto che il Comune ha già firmato la lettera di licenziamento. John, quasi come un detective, si mette in azione. Indaga presso la polizia per venire a conoscenza di eventuali con-danne. Trova un poliziotto che si ricorda di brevi detenzioni per vagabondaggio e qualche aggressione, ma quando John gli chiede i registri delle visite, gli risponde: «Signor May, se davvero dovessimo ricordarci di tutte le persone che passano di qua, finiremmo per perdere il sonno. Invece a me piace dormire».

- John non demorde. Va presso gli archivi del Ministero degli Interni per cercare i verbali delle visite dei detenuti e finalmente scopre che Billy aveva ricevuto una visita da una certa Kelly Stoke, quasi certamente la figlia, quella ra-gazzina dell'album interrotto. Si mette sulle sue tracce e finalmente la trova. Le dice che il padre è morto, ma la ra-gazza sembra non volerne sapere. Ma quando John le mostra l'album con le sue foto, cambia atteggiamento e inco-mincia a raccontare del padre: «Stava in prigione, era ubriaco; aveva toccato il fondo». Ma poi aveva espresso il desiderio di incontrarla, in occasione del suo diciottesimo compleanno. Poi i rapporti si erano interrotti, per sempre. «Così da oggi sono orfana», constata la ragazza; «Sì, e non è bello; non importa quando succede», ribatte John; «È vero», conclude Kelly. Poi i due si salutano: lei lo ringrazia; lui le lascia il numero di telefono: «Se dovesse decidere di voler andare oltre ». «Non aggiunga altro», risponde lei.

- Ma c'è un'altra traccia da seguire. John ha appreso da Kelly che il padre aveva un amico, Jumbo, che ora vive in un ospizio. Lo rintraccia e viene a sapere che Billy aveva combattuto con lui nella guerra delle Falkland e che da allora si era lasciato andare: «L'alcol ti aiuta a dimenticare. L'alcol ti fa dormire senza incubi. Poi ti si insinua dentro e non va più via. È terribile, quando ci pensi, uccidere un uomo».

- Ora John va a parlare con due barboni con la speranza di ottenere altre notizie: «Vorrei sapere che persona era». E quel processo di identificazione cui s'era accennato in precedenza, sembra ora proseguire in modo sempre più palese. John, per la prima volta, si mette a bere assieme a quei barboni, come aveva fatto Billy, e riceve altre infor-mazioni che gli permettono di completare il quadro e di chiudere il caso. Arriva perfino a scegliere la lapide e la bara per Billy e a cedergli il suo posto al cimitero («Non un familiare, solo un amico»).

Quarta parte .

- Ma improvvisamente Kelly, che ha deciso «di andare oltre», si fa viva e gli chiede un appuntamento. I due s'incon-trano. John è un uomo trasformato . Si è cambiato d'abito; si è messo un pullover azzurro; sembra più giovane. Kelly ammira l'entusiasmo con cui l'uomo le racconta della sistemazione che ha trovato per il padre: «Grazie, John, per quello che hai fatto». Poi lo invita dopo la cerimonia ad andare a bere qualcosa insieme. L'uomo accetta: «Sì, mi farebbe molto piacere. Per berci una tazza di… qualcosa. Senz'altro ho tempo. Ho un sacco di tempo».

- Ma, poco prima della cerimonia, John viene travolto da un autobus e muore. L'immagine lo riprende a piombo con un sorriso di soddisfazione tra le labbra. Tutto sembra finito, anche quella promessa di felicità che sembrava essere a portata di mano.

Epilogo .

- Al funerale di John non c'è nessuno. Il feretro viene portato col carro funebre verso un luogo anonimo, dove sono state sepolte tante persone di cui John si era preso cura. Ma mentre il carro percorre i viali del cimitero, l'immagine, con una panoramica, mostra la tumulazione di Billy che avviene in contemporanea. E, cosa incredibile, attorno a lui ci sono tutte quelle persone che John aveva contattato e che avevano conosciuto Billy. Il “lavoro” di John, pertan-to, non è stato inutile ed è servito a ridare dignità a quell'uomo che sembrava dimenticato da tutti. Lui si è sacrificato,

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cedendogli addirittura il suo posto. Ma attorno a lui non c'è nessuno, solo due becchini che eseguono il loro lavoro.

- Dopo la sepoltura di Billy, tutti i partecipanti si allontanano e passano davanti al tumulo di John. Nessuno s'accorge di niente. Kelly si guarda intorno, stupita di non vedere quell'uomo col quale aveva un appuntamento. Quando anche i due becchini escono di campo e non c'è più nessuno attorno a quel mucchio di terra senza lapide, l'immagine di-venta più scura per indicare l'irrompere di un'altra dimensione, quella spirituale . Ed ecco apparire dal nulla, poco alla volta, tutte quelle persone di cui John s'era preso cura che si radunano davanti alla sua tomba. Sono la sua fa-miglia. John solo apparentemente è solo. Il titolo del film, che appare dopo una dissolvenza in chiusura, sta ad indi-care che John è ancora vivo, all'interno di una comunione spirituale misteriosa ma reale .

Significazione . La prima parte del film mette in evidenza lo scrupolo con cui il funzionario John esegue il suo parti-colare incarico. Ma mostra anche la particolare sensibilità di quest'omuncolo che ama il suo lavoro, ma ama soprat-tutto le persone di cui s'interessa. La seconda parte sottolinea una sorta di identificazione che avviene tra John e Billy e l'impegno del protagonista nel ricostruire la vita di quest'ultimo e nel coinvolgere le persone che l'hanno cono-sciuto. La terza parte rimarca la sua reazione e la sua tenacia nell'andare fino in fondo per completare il quadro pri-ma di chiudere il caso. La quarta parte mette in risalto la sua trasformazione a contatto con tutte le persone che ha incontrato e, in modo particolare, con Kelly, che lo apre ad una vita più serena e gioiosa. Ma l'improvvisa dipartita lo ricaccia nell'anonimato e nell'insignificanza. L'epilogo dimostra però che il suo amore non è stato vano : John è riu-scito a dare dignità alla vita e alla morte degli altri e, misteriosamente, anche alla propria.

Idea centrale . Prendersi cura con amore delle persone defunte significa riconoscere la dignità e il valore della vita umana. Di ogni vita, anche di quelle apparentemente insignificanti o fallimentari. Ciò è fonte di arricchimento in que-sta vita ed è un modo per entrare in una misteriosa comunione spirituale con tutte le persone di cui ci si è presi cura che va al di là della morte.

TORNERANNO I PRATI

Regia: Ermanno Olmi; fotografia: Fabio Olmi; montaggio: Paolo Cottignola; sce-nografia: Giuseppe Pirrotta; costumi: Andrea Cavalletto; interpreti: Claudio San-tamaria, Alessandro Sperduti, Andrea Di Maria, Francesco Formichetti, Camillo Grassi, Niccolò Senni, Domenico Benetti, Andrea Benetti, Carlo Stefani, Niccolò Tredese, Franz Stefani, Andrea Frigo, Igor Pistollato; distribuzione: 01; durata: 80’; origine: Italia, 2014. Nel Centenario dello scoppio del primo conflitto mondiale, Ermanno Olmi torna dietro la macchina da presa per ribadire il suo deciso «No!» alla guerra, che di-strugge gli uomini e che, con la conseguente retorica della vittoria, ne cancella perfino il ricordo. Ha dichiarato a questo proposito il regista: «Le versioni ufficia-li? Non sono mai credibili, e le bugie, gli atti di prudenza non devono essere ta-ciuti. Dobbiamo sapere e conoscere cosa accadde allora, perché se non è since-ra come può la Storia esserci maestra?». Il film ha preso ispirazione dal racconto La paura di Federico De Roberto (1921). La vicenda è ambientata sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 con le truppe austriache, e ha la durata di una notte. In un avamposto delle linee italiane c’è un gruppo di soldati comandati dal capitano Emilio. La situazione è critica: la neve altissima, il freddo, l’influenza stanno tormentando quel manipolo di uomini che sembrano rassegnati a tutto. Arrivano all’avamposto un maggiore e un tenentino con l’ordine di trovare un nuovo punto d’osservazione. Nel tentativo di eseguire tale ordine, un soldato viene ucciso, un altro preferisce suicidarsi, finché il capitano si ribella e decide di non ubbidire, ben sapendo a che cosa va incontro. Più tardi il nemico sferra un micidiale cannoneggiamento che por-ta nella trincea devastazione e morte. Poi, inaspettatamente, l’ordine di ripiegamento. Solo pochi restano a seppellire i morti e a curare i feriti. Mentre il tenentino scrive alla madre una lettera sconsolata che suona come una denuncia dell’insensatezza della guerra. Il racconto . Le prime immagini sono sonore e sono costituite da una musica extradiegetica che accompagna i titoli di testa. Poi c’è un’introduzione che sembra rappresentare una prolessi, un’anticipazione di quello che avverrà di lì a poco: attraverso una serie di dissolvenze vengono messi in risalto soprattutto gli oggetti che fanno parte di quel mondo (la lampada a petrolio, le misere vettovaglie, una mappa, le gavette dei soldati, la foto di una donna, un pac-chetto di sigarette, ecc.) e certi gesti che si vedranno in seguito (il mestolo d’acqua nella tazza, gli stivali che vengo-no scaldati, un tizio – si capirà che si tratta del tenentino – che inizia a scrivere, ecc.). Prima parte . Mentre l’immagine visiva rappresenta la montagna completamente innevata, una voce fuori campo (verso la fine si capirà che è la voce dell’attendente del capitano, un soldato che osserva tutto quello che succede con aria mesta e

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rassegnata, senza dire una parola) presenta la situazione di quel manipolo di soldati: «Siamo sepolti sotto la neve. Anche stanotte ne è venuta tanta: adesso ha uno spessore di quattro metri e mezzo, e ancora non ha smesso di nevicare. Intorno al nostro avamposto gli abeti altissimi sono così carichi di neve che sembrano alberi di Natale». Poi fa notare che, momentaneamente, si è fermata anche la guerra, e che i soldati sono tutti impegnati a spalare i cam-minamenti nella neve per fare arrivare il rancio fin là. Ma poi è prevista la ripresa della guerra: «E da un po’ di giorni sentiamo venir su dal fondo valle il ruggito sempre più rabbioso dei mortai». Le immagini si soffermano sulle bellissi-me montagne innevate, sul cielo, sulle nuvole, sulla luna piena che rischiara un paesaggio affascinante. Tali immagi-ni contrappuntano tutto il film costituendo un vero e proprio perno strutturale che sottolinea la bellezza della natura (con le sue creature: la lepre, la volpe, ecc.), che verrà violentata dal fragore e dalla distruzione della guerra. Con montaggio parallelo per contrasto vengono presentati quattro uomini a cavallo, che vanno verso la trincea, e un soldato che con il suo mulo porta il rancio e la posta. I quattro (sono gli ufficiali che recano gli ordini) sono ben equi-paggiati e avanzano lentamente sui loro cavalli; il soldato canta in napoletano delle canzoni che vengono applaudite sia dai soldati italiani che da quelli austriaci. Poi grida: «Ragazzi, ma che stiamo facendo qua? Andiamo a vivere, amici. Andiamo a cantare tutti insieme. Le canzoni sono più forti delle schioppettate, arrivano dritte al cuore». Poi ci sono due momenti importanti: la distribuzione del rancio (un mestolo di brodaglia e un pezzo di pane per cia-scuno) e la distribuzione della posta. Gli uomini si affrettano a prendere le loro gavette messe a scaldare sulla stufa e accettano in silenzio quel misero pasto; poi fanno la fila con la speranza di ricevere una lettera o una cartolina dai propri cari. Le immagini sottolineano, con dei particolari, il visto di censura che appare sulle lettere e l’espressione triste di quel soldato che aspetta invano. Da notare che queste immagini sono intervallate dall’arrivo degli ufficiali che vengono guardati con timore dai soldati, che sospettano l’arrivo di qualche ordine pericoloso. Il maggiore s’incontra con il capitano che ha la febbre. Questi si lamenta: «Abbiamo chiesto farmaci adatti a questo tipo di influenza e voi ci avete mandato il chinino di Stato. Quasi metà della truppa è bloccata dalla febbre». Il mag-giore dice che si tratta di un’epidemia che viene dai Balcani e che si sta diffondendo in tutta Europa. Al che il capita-no ribatte: «Adesso siamo in guerra anche con le pestilenze. In queste condizioni nei prossimi giorni non saremo più in grado di mantenere la posizione». Ma, per tutta risposta, il maggiore gli dice che il Comando del settore Nord-Est ha emanato le direttive in ordine alle operazioni invernali, «con la testuale raccomandazione di tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non lasciar poltrire gli uomini nell’ozio». «Caro maggiore – osserva il capitano – la sola direttiva che questi uomini hanno inchiodato in testa è quella della strada di casa». Poi i due si abbracciano, amiche-volmente. Il maggiore gli presenta il giovane tenente, un ragazzo colto, «il cui interesse è tutto rivolto alle scienze umanistiche e alla filosofia». Il capitano gli stringe la mano, ma ha già intuito quello che il tenente sta per dirgli e lo anticipa: «E adesso tira fuori questo rospo e deciditi a dirmi quello che non mi vorresti dire». Nel frattempo le immagini mostrano dapprima le montagne (con un campo lunghissimo), e poi la vita dei soldati nella trincea: le gavette, le calze e gli indumenti appesi vicino alla stufa, il soldato che fa delle pallottoline di pane per atti-rare un topolino che poi prende delicatamente in mano, ecc. È chiara la contrapposizione, che rappresenta una vera e propria chiave di lettura , tra il mondo dei soldati, che desiderano le cose più semplici, che desiderano sem-plicemente vivere, e il mondo di chi dispone di loro e delle loro vite. Non si tratta tanto di quegli ufficiali (il capitano, ad esempio, fa di tutto per difendere i suoi uomini), ma degli ordini che vengono dall’alto e che gli stessi ufficiali de-vono far rispettare. Infatti, subito dopo, il maggiore spiega che, avendo scoperto che le comunicazioni con quel caposaldo venivano in-tercettate dal nemico, era necessario attivare un nuovo collegamento, un punto d’osservazione avanzato: «Al Co-mando di Divisione hanno scoperto su una mappa austriaca la presenza di un rudere che non compare sulle mappe italiane. E sarà lì il punto d’osservazione». Il capitano reagisce: «Chi ha deciso il posizionamento di questo caposal-do l’ha concepito stando seduto in qualche ufficio dello Stato maggiore copiando planimetrie preesistenti, senza te-ner conto dei rilievi del terreno». Il maggiore fa presente che entro venticinque minuti dev’essere pronto il collega-mento con il nuovo punto d’osservazione. Ne nasce una schermaglia. Il capitano: «Impossibile eseguire quest’ordine»; il maggiore: «È un dispositivo del Comando di Divisione. Un rifiuto lo sai cosa comporterebbe?»; il capitano: «Questo è un ordine criminale »; il maggiore: «Non abbiamo alternative, salvo i miracoli ». Ma prima che l’ordine venga eseguito, il capitano sviene e deve essere portato dentro. Il sergente chiama un soldato che era a letto e, in dialetto veneto, lo invita ad uscire. Il maggiore gli chiede se è un volontario e lui risponde di no. «Se hai coraggio avrai una licenza e un premio di dieci lire da portare a casa ai tuoi», gli promette il maggiore. Il soldato accetta. Un prete gli dà l’assoluzione. Esce dalla trincea, ma, dopo pochi passi, viene ucciso da una fucilata. Un altro soldato, che sta per prendere il suo posto, mostra la foto dei suoi figli al mag-giore: «Io non voglio niente dal mondo. Voglio solo stare qui a poter voler bene ai miei fi gli ». Si fa avanti un altro soldato che vuole sostituirlo e che compie un gesto terribile. Dopo aver urinato dice: «Anche le bestie, quando sento-no l’odore del sangue, cagano e pisciano prima di andare al macello. E noi, siamo delle bestie ?». Poi continua: «O qua o fuori preferisco crepare qua, signor maggiore. Mi faccia questa carità». Infine prende il suo fucile e si suicida di fronte al maggiore. Il capitano interviene urlando, esasperato, e fa sospendere ogni ordine. Poi ordina al sergente: «Chiami l’appello e notifichi le perdite. Non coi numeri. Voglio i nomi , scriva i nomi dei caduti, uno per uno». C’è poi un colloquio amichevole tra il maggiore e il capitano. Il maggiore rimprovera amichevolmente Emilio: compor-tandosi così butta via la sua vita. Ma questi risponde: «Ce la rubano ancora prima di viverla». Il maggiore: «Vedrai che riusciremo a venirne fuori. Abbiamo ancora tanto futuro da vivere. Abbiamo ancora tutti i nostri sogni». Il capita-no: «Non c’era la morte nei nostri sogni». Il maggiore: «Finirà anche la guerra. E quando ci saranno le condizioni giuste…»; l’interrompe il capitano: «Non ci saranno mai le condizioni giuste. E poi, a cosa serve che si faccia giusti-zia dopo. Dopo è troppo tardi». Poi si strappa di dosso le mostrine e le consegna al maggiore: «Rinuncio al grado e

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mi riprendo la mia dignità ». Seconda parte . In attesa che venga nominato un nuovo ufficiale al posto del capitano, il maggiore affida al tenente il comando del caposaldo e se ne va. Inizia un periodo di attesa carico di tensione. Ma c’è anche lo spazio per osservare la natura, come nel caso della sentinella che osserva una volpe che tutte le notti passa sotto un larice. Ad un suo commilitone che osserva che il larice è messo piuttosto male, il soldato risponde: «Il larice è una pianta bellissima. In autunno, quando le altre piante diventano del colore della ruggine, il larice prende il colore come quello dell’oro». E improvvi-samente, con un’immagine evocativa, l’autore fa apparire quel larice illuminato che sembra veramente d’oro, così come lo immagina il soldato. Ma sarà proprio lo stesso larice, simbolo della bellezza della natura, che finirà bruciato a causa del fuoco nemico. Le immagini si soffermano a descrivere quei momenti di sospensione: un bengala che vene lanciato nella notte, l’attendente silenzioso, un soldato che si fascia una gamba, la sentinella che guarda fuori dove si vede solo il filo spinato e i pali che lo sostengono, ecc. Ma improvvisamente il rumore degli scoppi si fa sempre più vicino e alcune cannonate arrivano nei pressi della trincea facendo tremare gli oggetti e spaventando gli uomini. Il sergente osserva: «Quando bombardano bisogna tenere la testa occupata, contare i numeri … vedere fino a che numero arrivi tra la botta che hai scampato e quella che viene dopo». Nel frattempo vengono lanciati dal nemico altri razzi illuminanti per informare sugli effetti del cannoneggiamento. Allora il sergente chiede il permesso al tenente di far schierare gli uomini per sferrare un attacco prima che lo faccia il nemico. Ma proprio quando i soldati stanno per sparare, arriva l’inferno. Alcune cannonate micidiali seminano mor-te e distruzione. La trincea è semidistrutta; i morti e i feriti non si contano; il sergente piange, ripetendo: «È colpa mia». C’è spazio anche per una bestemmia, così come c’è spazio per le benedizioni dei defunti e la recita del Re-quiem aeternam. Poco dopo arriva un messaggio dal Comando di Divisione con l’ordine generale di ripiegamento. Il tenente ordina al sergente di prendere subito il comando della ritirata. Alcuni uomini si mettono in marcia sprofondando nella neve. Altri scavano per seppellire i morti. Terza parte . Il morale è a pezzi ed è normale prendersela col Padreterno. Uno impreca: «Si prega, si prega. Può andare a na-scondersi il Padreterno». Un altro osserva: «Nessuno sa dove si nasconde il Padreterno, neanche il Papa; Dio non ha ascoltato suo figlio in croce, vuoi che ascolti noi, poveri cani?». Più tardi un soldato, che aveva fatto il minatore, avvisa il tenente che sotto una roccia si sente il rumore di un trapa-no: «Scavano sotto di noi per farci saltare in aria con una mina». Poi ancora silenzio, attesa, tensione, mentre fuori c’è solo la nebbia e il filo spinato. Poi, ancora la distribuzione della posta, con una carrellata sui volti dei soldati che sembrano vivere in funzione di quella. C’è anche quello che non riceve niente e piange ricordando il tradimento della moglie. C’è il ferito grave che non vuole essere aiutato: «Lasciatemi stare; sono stufo; voglio riposare fuori sotto l’erba». Il tenente ordina al solda-to napoletano che porta la posta di cantare, ma questi non ubbidisce: «Per cantare bisogna essere contenti. Se non tieni il cuore contento nessuno ti ascolta». Infine il tenente scrive una lettera alla madre. Ripreso con un primissimo piano l’ufficiale incomincia così: «Mia cara amatissima madre, il caso o forse il destino mi ha riservato di vivere dentro una guerra che immaginavo, ma che non conoscevo». Poi, alzando lo sguardo, continua: «Mi trovo in un avamposto d’alta quota. Intorno solo neve e silenzio. La trincea austriaca è tanto vicina che pare di udire i loro respiri». Infine, guardando in macchina (quindi non più scri-vendo, ma parlando allo spettatore), conclude: «Sono qui da poco più di un’ora e mi pare di essere diventato di col-po un vecchio, al punto che i miei studi e persino i miei ideali qui hanno perso il loro significato, come la mia giovi-nezza. Madre amatissima, ci sono giovani come me che muoiono ogni giorno. E anche quelli che torneranno a casa si porteranno dentro la morte che hanno conosciuto. E quel pensiero non li abbandonerà più. Si sentiranno dei so-pravvissuti condannati a morire due volte. Ma la cosa più difficile sarà perdonare . Se un uomo non sa perdonare, che uomo è?». Poi, con gli occhi lucidi, abbassa lo sguardo, mentre fuori incomincia una tormenta di neve. Epilogo . Appaiono delle immagini di repertorio che rappresentano delle operazioni militari (soldati che corrono, esplosioni, sparatorie, feriti) e degli ufficiali che danno gli ordini. Poi, poco alla volta, si vede un fiume di gente che avanza esul-tando e arriva in città, salutata dallo sventolio delle bandiere e dall’accoglienza festosa di chi celebra la vittoria. Ma, per contrasto , si vedono anche delle croci che richiamano i tanti caduti in guerra. Si ritorna al presente. L’attendente, che aveva iniziato a raccontare nella prima parte, conclude: «Finita anche que-sta guerra, tutti ritorneranno da dove erano venuti. E sarà cresciuta l’erba nuova. E di quel che c’è stato qui, di tutto quello che abbiamo patito non si vedrà più niente. E non sembrerà più vero». Le ultime immagini rappresentano quel manipolo di soldati che si stanno ritirando in mezzo alla neve con l’accompagnamento di una musica extradiegetica. Appare la dedica di Ermanno Olmi: «A mio papà che quand’ero bambino mi raccontava della guerra dove era stato soldato». Ed infine c’è una didascalia con una frase di Toni Lunardi, un pastore amico del regista detto "Toni il mat-to": «La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai». Dopo tutti i titoli di coda c’è l’immagine serena della montagna rischiarata da una splendida luna piena. Significazione . La prima parte crea una forte contrapposizione: da un lato la vita dei soldati che devono patire il freddo, la paura, il distacco dagli affetti familiari, la morte; dall’altro l’incoscienza, l’irresponsabilità, la stupidità criminale di chi decide di fare le guerre. La seconda parte mette in risalto la potenza distruttrice della guerra che porta gli uomini alla disperazione, alla perdi-

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ta della fede, alla bestemmia, al desiderio di farla finita. La terza parte rappresenta l’evoluzione del tenente che, solo dopo un’ora, prende coscienza dell’orrore della guerra. L’epilogo si riferisce alla retorica della guerra e della vittoria che contrasta con la realtà, una realtà che rischia di es-sere dimenticata, come suggerisce anche il titolo del film. Da tutto questo nasce un’idea centrale che potrebbe essere formulata così: la guerra è una cosa disumana perché, a causa dell’incoscienza di chi la dichiara e di chi la dirige, priva tanti uomini delle cose più preziose della vita e della vita stessa; e perché, con la retorica e il trionfalismo frutto della vittoria, priva i caduti anche del ricordo e della pietà. Non può non venire in mente a questo proposito la frase pronunciata da Benedetto XV: «La guerra è un’inutile stra-ge». Il film si avvale del linguaggio poetico tipico di Ermanno Olmi, fatto di lunghi silenzi, di ritmi che seguono "il tempo dell’anima", di una fotografia tra il colore e il bianco e nero che esprime la bellezza della natura e nello stesso tempo la crudeltà della guerra, di frasi sussurrate (spesso in dialetto) che danno il senso della rassegnazione e del dolore, di una recitazione sommessa ed essenziale che esprime la verità di quegli uomini ricchi di umanità e di voglia di vi-vere. Tutte caratteristiche che non lo rendono fruibile da parte di un pubblico disattento e desideroso di effetti specia-li, ma che ne fanno un’opera ascrivibile alla miglior tradizione antimilitarista e un canto appassionato della dignità umana troppo spesso calpestata dai "grandi" della terra.

�������� UN GIORNO DEVI ANDARE

Regia: Giorgio Diritti; sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla, Tania Pedroni; fotografia: Roberto Cimatti; montaggio: Esmeralda Calabria; musiche: Marco Bi-scarini, Daniele Furlati; interpreti principali: Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia En-gleberth, Sonia Gessner, Amanda Fonseca Galvao, Paulo De Souza, Eder Frota Dos Santos, Manuela Mendoça Marino, Federica Fracassi; distribuzione: Bim; co-lore; durata: 110'; origine: Italia/Francia, 2013.

Presentato al Sundance Film Festival

Il regista . Giorgio Diritti, regista, sceneggiatore e montatore, nasce a Bologna il 21 dicembre 1959. La sua formazione professionale ed artistica avviene a contatto con vari autori italiani, in particolare Pupi Avati, con cui collabora in vari film. Parte-cipa all'attività dell'Istituto “Ipotesi Cinema”, fondato e diretto da Ermanno Olmi e dirige documentari, cortometraggi e programmi televisivi. Esordisce nel lungome-traggio nel 2005 con Il vento fa il suo giro, che partecipa ad oltre 60 festival nazio-nali e internazionali. Realizza poi L'uomo che verrà, vincitore di numerosi premi. Un giorno devi andare è il suo terzo lungometraggio.

La vicenda . Dolorose vicende familiari spingono Augusta, una giovane donna italiana, a fuggire dal proprio paese per cercare un senso alla propria vita nell'immensità della natura amazzonica. Dapprima segue suor Franca, un'ami-ca della madre che con il suo piccolo battello percorre il fiume per portare agli indios la parola di Dio e l'essenziale per vivere. Non soddisfatta di questa esperienza, Augusta abbandona la suora e decide di andare a Manaus per vi-vere in una favela, povera tra i poveri, sperimentando la vita semplice e il senso di comunità che caratterizzano que-ste popolazioni. Ma le pressioni del governo, che non esita ad utilizzare qualsiasi mezzo pur di eliminare le favelas, porta allo sfaldamento della comunità stessa. Augusta allora se ne va, da sola, e si immerge sempre più nella straor-dinaria e potente natura amazzonica, annullandosi in essa e trovando così finalmente quella felicità e quel senso che andava cercando.

Il racconto . La struttura del film è sostanzialmente lineare, ma è caratterizzata da un montaggio parallelo che met-te in relazione la vicenda di Augusta con quanto avviene in Italia, dove vivono la madre e la nonna, che abitano a Trento, e una comunità di suore che vivono nel santuario di S. Romedio. Ne nascono due grossi filoni strutturali : il primo, di gran lunga più importante, è quello che segue la protagonista e la sua evoluzione; il secondo diventerà im-portante soprattutto nel finale perché in esso si inserirà Janaina, un'amica di Augusta che compie il percorso inverso rispetto a quello compiuto dalla protagonista.

PRIMO FILONE. È chiaramente divisibile in tre grosse parti.

Prima parte: Augusta e la Chiesa . Le prime immagini del film hanno un evidente significato emblematico. Sono le immagini della luna, in parte velata dalle nuvole, con in sovrimpressione le immagini di un'ecografia in cui appare un bambino che sta per nascere. Poi vediamo la protagonista, Augusta, che piange disperatamente: è facile intuire che cosa è successo.

- Si passa poi a vedere Augusta e suor Franca - un'amica di università di sua madre, Anna, - che arrivano in un vil-laggio lungo il fiume, dove vengono accolte festosamente dagli indios e, in modo particolare, dai bambini. Le due

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donne portano loro delle galline e gioiscono a vedere che è nata una nuova bambina. Augusta guarda con particola-re trasporto e nostalgia quei bambini che giocano e sguazzano nelle acque del fiume. Poi suor Franca fa loro cate-chismo, parla di Gesù bambino che è venuto ad insegnare l'amore, fa loro ascoltare la musica di Stille Nacht (manca un mese a Natale) e distribuisce delle statuine del bambinello che: «vi proteggerà».

- Dopo un po' di tempo le due donne, con il loro battello dal nome emblematico, Itinerante, arrivano in un altro villag-gio, ma si trovano di fronte ad un cartello che vieta l'ingresso ai missionari cattolici. Si tratta di un villaggio “conquistato” da una delle tante sette protestanti che, con il regalo di un televisore che trasmette i sermoni di un in-vasato predicatore, riescono a soggiogare la popolazione facendo appello al sacrificio e alla necessità di purificare il villaggio. Le due donne vengono cacciate in malo modo; ma suor Franca reagisce con forza: «Non potete farvi ab-bindolare da questo pagliaccio. Vuole solo spaventarvi e presto incomincerà a infilare le mani nelle vostre tasche. Siamo noi che abbiamo costruito la chiesa».

- È significativa la lettera che in seguito suor Franca scrive alle sue consorelle di S. Romedio: «È commovente vede-re gli indios che vengono a cercarci fin sulla barca. Sono persone dolci, non vedono l'ora di sentirci parlare di Dio (…) Con la dispensa del vescovo ho potuto fare una trentina di battesimi. Si cerca di farli sposare cristianamente e insegnargli la confessione, ma su questo è difficile. Non capiscono perché debbono dire ai sacerdoti delle cose della loro vita. Qui capiscono il valore del creato fatto da Dio, ma se parli di Cristo, spieghi che è il figlio di Dio venuto a salvare l'uomo, certe volte ti chiedono che cosa deve salvare».

- In seguito viene sottolineato la diversa posizione di suor Franca rispetto ad Augusta. La prima prega, mentre la seconda non risponde «Amen» ed esprime una certa perplessità nei confronti di quella fede che a lei sembra pre-confezionata. «La fede sei tu, quello che senti dentro la tua anima. Io ho sentito una voce che mi diceva di andare», afferma suor Franca. Augusta domanda: «E se la voce non la senti?». La suora ribatte: «Almeno una volta nella vita c'è un segno». E Augusta: «Anche la morte di un bambino?».

- Ed ecco emergere la vera motivazione che spiega la fuga di Augusta e racchiude gran parte del significato di tutto il film. In una lettera indirizzata alla madre Augusta scrive: «Sono scappata dal dolore. Il dolore mi interroga. Credo di non essere qui per dimostrare a me stessa che so vincere la paura, che so vivere senza l'aiuto degli altri; e neanche per assaporare la bellezza di una vita primitiva. Sono qui per scoprire altri valori: la base, ritrov are un senso . Qui è tutto così grande, così maestoso, così potente e violento che puoi sentirti del tutto insignificante o parte della stessa violenta grandezza. Per me è difficile essere felice; è come se ce ne vergognassimo dopo millenni di sensi di colpa. Ma qui ti sorridono tutti, sorridono senza doverti vendere niente, senza comprarti. E ti sorridono anche quando tu non sei capace di sorridere; e i bambini ancora di più». Poi continua: «Un giorno senti che devi cambiare vita e non puoi più stare in questa; che devi andare, devi essere, devi sperare». È chiaro il riferimento al titolo del film.

- Le perplessità di Augusta aumentano quando le due donne si incontrano con padre Mirko, un missionario che sta progettando un grande centro, con tanto di camere, piscina, cucina internazionale, chiesa, scuola professionale, la-boratori, ecc. Tutto ricevuto in eredità da un imprenditore italiano. Il prete cerca di spiegare ad un indio che questo progetto potrebbe evitare l'esodo verso la favela per almeno 250 famiglie: «Saranno salvi 1.500 indios; ci sarà abba-stanza lavoro per te e la tua famiglia; avrete sempre di che mangiare». Ma l'indio dice che non vuole venire a vivere lì, perché la sua vita è nel villaggio. Al che il sacerdote osserva che a quella gente, prima di evangelizzarla, bisogne-rebbe fare il trapianto del cervello.

- Continua il confronto fra la suora ed Augusta. La prima rimprovera la protagonista di voler capire tutto, di non pre-gare abbastanza. Augusta ribatte: «Sei contenta se riesci a farli battezzare, confessare, sposare (…) perché dobbia-mo fargli fare delle cose che non capiscono?». E di fronte alla risposta della suora che dice che quelli sono dei sa-cramenti e che «Se Dio è al nostro fianco creiamo il bene», risponde: «E cosa ti dice che è al nostro fianco?»

- Nel frattempo suor Franca continua a distribuire dei santini che dovrebbero proteggere dai vari mali. Poi le due don-ne trasportano a Manaos una ragazza che sta per partorire. Qui Augusta incontra un medico-sacerdote che le parla della necessità di sporcarsi le mani: «Se vuoi cambiare le cose, devi andare dove le cose bisogna cambiarle».

- Di grande importanza dal punto di vista tematico è la lettura che Augusta fa del libro Attesa di Dio di Simone Weil: «L'amore infinitamente più infinito di Dio viene ad afferrarci. Noi abbiamo la facoltà di acconsentire ed accoglierlo, oppure di rifiutarlo. Se restiamo sordi, Dio ritorna più volte come un mendicante; ma come un mendicante un giorno non torna più. E se acconsentiamo, Dio getta in noi un seme e se ne va; da quel momento a Dio non resta altro da fare se non attendere». Mentre si sentono queste parole le immagini si soffermano a descrivere la sconvolgente bel-lezza del paesaggio.

- Dopo avere incontrato degli italiani che hanno finanziato la ricostruzione di una parrocchia, ma che nel contempo pensano di costruire un albergo per turisti, che potrebbero essere deliziati dall'esibizione della varie tribù nelle loro danze tradizionali; e dopo aver osservato la spettacolare esteriorità di certe immagini sacre, Augusta prende la deci-sione di andarsene, dopo aver lasciato uno scritto per suor Franca: «Dici sempre che ho una fede molto piccola; pic-cola e incerta. Dici sempre che mi faccio troppe domande, e forse hai ragione. Non ho trovato alcuna risposta. Però sento che questa chiesa non fa più per me. Voi siete professionisti dello spirito e io una piccola donna complicata. Non voglio smettere di cercare un senso. Solo non credo più di poterlo trovare così. Ora voglio essere terra. Devo dimenticarmi di Dio».

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Seconda parte: Augusta e la comunità . Augusta si reca a Manaus e va ad abitare nella favela, dove ha preso in affitto una stanza da Arizete, una donna che aveva conosciuto in precedenza. Le immagini danno risalto ai vari a-spetti della vita quotidiana e al forte contrasto esistente tra la vita degli abitanti della favela e quella delle persone ricche che vivono al di là del fiume in enormi grattacieli.

- Ben presto familiarizza con tutti: lavora con loro, mangia con loro, gioca a calcio coi ragazzini che le stanno sempre appresso facendole le più svariate domande ed esprimendo il desiderio di poter andare in Italia.

- Ma ben presto le cose si complicano. Il comune fa di tutto per svuotare la favela e promette a ciascun abitante una somma di denaro purché se ne vada. Qualcuno accetta. Quando alcuni operai del comune smantellano una barac-ca, la gente si lamenta: «È già la terza famiglia che va via. Tra vicini ci conosciamo. I nostri figli sono cresciuti insie-me. Il governo promette case, ma sta distruggendo la nostra comunità ». Molti vorrebbero, sì, una vita migliore, ma non accettano lo sgombero forzato e vogliono che venga loro garantito un impiego e il mantenimento della comu-nità.

- Oltre a vivere come una di loro, assaporando anche nuovi sentimenti che la fanno sentire più viva, Augusta si dà da fare per procurare alla gente un lavoro dignitoso. Organizza una vera e propria squadra di operai che vanno a pulire gli attrezzi di una grande palestra e che si prestano a fare ogni tipo di lavoro. Alla fine della giornata i soldi vengono equamente distribuiti.

- Casualmente Augusta ritrova suor Franca che prima la rimprovera: «Sei mezza nuda come gli indios», ma poi am-mette: «Ho pensato tanto alle cose che mi dicevi sulla barca. Mi hanno fatto bene». Suor Franca le annuncia che, dopo quattro anni, farà ritorno in Italia per un mese e le chiede se anche lei desidera ritornare, ma Augusta declina l'invito.

- Augusta parla finalmente con la madre via internet: le due donne sono commosse e imbarazzate. Augusta le an-nuncia di non essere più in compagnia di suor Franca: «Avevo voglia di vedere altre cose». La madre le chiede se è contenta. Lei risponde di sì, ma il suo volto esprime incertezza e mestizia.

- Poco alla volta le cose peggiorano. Un funzionario del governo cerca di corrompere qualcuno: «Bisogna fargli capi-re com'è brutto vivere qui; com'è pericoloso». La “voce della palafitta” (un tizio che con il microfono cerca di guidare la gente) invita tutti a rimanere: «Bisogna restare qui; insistere per ricostruire qui, perché questa è la nostra casa. Buttiamo via tutto? Il sentimento di vivere in comunità che abbiamo costruito insieme, che abbiamo ereditato dai no-stri padri e che abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli?»

- Ma poco alla volta gli uomini abbandonano il lavoro che Augusta procurava loro e vanno a lavorare alle nuove squallide case che il governo ha preparato per accoglierli. Augusta si arrabbia e arruola le donne per continuare il lavoro nella palestra. Ma proprio durante la loro assenza, un tizio, in combutta con il rappresentante del governo, vende il figlio di Janaina, facendo credere che è stato travolto dalle acque torrenziali. La disperazione della madre («Se non fossi andata al lavoro ora sarebbe vivo») e il finto funerale del bambino pongono fine all'esperimento di Augusta e alla sua permanenza nella favela, che sembra crollare anche sotto i colpi delle piogge che fanno cadere alcune palafitte.

Terza parte: Augusta e la natura . Augusta parte da sola e se ne va con una piccola barca lungo il fiume. Si immer-ge sempre più nella maestosa e violenta natura dell'Amazzonia. Dorme sotto un grandioso albero. Si lascia inondare dalla pioggia, sdraiata per terra. Parla da sola. È importantissimo notare che a questo punto ritorna quell'immagine iniziale della luna velata dalle nubi. All'inizio questa immagine si accompagnava all'ecografia del nascituro; ora sta ad indicare l'inizio di una nuova vita . Augusta è diventata terra, acqua, natura. Cioè ha raggiunto quel grado di annul-lamento di sé che le permette di “essere tutto”. E ciò la rende finalmente felice.

- Quel bambino che appare improvvisamente e inspiegabilmente dal mare e col quale Augusta intreccia un gioco festoso ed esaltante, non possiede una giustificazione sul piano narrativo, ma rappresenta simbolicamente il ritrova-mento del figlio perduto e la perfetta felicità raggiunta.

- Alla fine, dopo che il bambino è partito, vediamo Augusta ripresa dall'alto, sola, accovacciata sulla bianca sabbia, sorridente e serena.

-Ma l'ultima immagine del film è rappresentata da una barca (si vede soltanto la prua) che scivola tra le acque del fiume facendosi largo tra le alghe che emergono dall'acqua. Non può non venire in mente la barca senza conducen-te che concludeva il film Centochiodi di Ermanno Olmi, indicando il cammino e la ricerca che è necessario compiere.

SECONDO FILONE. È quello relativo a ciò che avviene in Italia. All'inizio tale filone sembra essere in funzione della pro-tagonista. Serve per far capire le ragioni della sua fuga: la perdita del figlio, l'abbandono da parte del marito, la morte del padre, ecc.

- Ma in seguito sembra possedere anche una funzione universalizzante . Infatti, anche la madre di Augusta, Anna, vive una situazione di profonda sofferenza (la morte del marito, la partenza della figlia, l'assillante attesa di avere sue notizie, ecc.). Anche la nonna sembra vivere con angoscia la propria situazione di donna anziana e malata. Anna inoltre sta vivendo anche una crisi religiosa. Quando una suora di S. Romedio le chiede di dare una mano nel labo-ratorio delle icone, Anna afferma di non avere un buon rapporto con Dio: «Non c'è. Non si sente. Non dice niente».

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- Poi l'autore stabilisce un rapporto sempre più stretto tra i due filoni. Una suora del santuario recita un salmo: «Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando nell'anima mia penserò pensieri? Tristezza del mio cuore tutto il giorno. Fino a quando su di me prevarrà il nemico?». È significativo che le ultime parole recitate si sovrappongano all'immagine dei bambini della favela che giocano tra le case allagate e le immondizie.

- Infine, con montaggio parallelo, si stabilisce una vera e propria analogia tra Augusta e Janaina, che sembrano scambiarsi le parti. Augusta va sempre più lontano a perdersi nella natura; Janaina viene a Trento e sembra prende-re il posto della protagonista accanto alla madre e alla nonna, di cui diventa la badante. È importante sottolineare che entrambe le donne hanno perso il loro bambino e che entrambe si allontanano dal loro paese per cercare qual-cosa. E come Augusta porta qualcosa di sé in quella nuova realtà che ha scoperto, altrettanto fa Janaina nel mondo in cui si inserisce, provocando una benefica reazione in Anna che sembra intraprendere un percorso diverso.

- A questo proposito c'è un'immagine di fondamentale importanza: Augusta porta con sé un'icona di Cristo e la lega ad un albero, quasi a indicarne la dimensione cosmica. Janaina, di fronte alla donna morta che si trova nella camera della nonna, recita una preghiera allo stesso tempo laica e di fede che evoca il senso primario della vita, le sue cose fondamentali, ringraziando le varie parti del corpo della donna che le hanno permesso di vivere pienamente (gli oc-chi, le braccia, le mani, la mente, le gambe, i piedi, il sesso, il ventre e il cuore). E con queste parole termina il se-condo filone.

Significazione . Non è facile fare una sintesi di tutti gli elementi narrativi e semiologici di cui il film è ricco. Tuttavia, si possono fare le seguenti considerazioni essenziali. Augusta scappa dal dolore e va alla ricerca di un senso da dare alla propria vita. Lo cerca nella Chiesa, ma non lo trova. Lo cerca nella comunità degli ultimi, dove sembra trovare motivazioni e stimoli nuovi, ma gli avvenimenti glielo impediscono. Lo cerca infine nella potente e straordinaria bel-lezza della natura, di cui partecipa e in cui si annulla. E finalmente lo trova.

Tenendo conto della funzione universalizzante del secondo filone, si può arrivare alla seguente idea centrale :

La vita è caratterizzata dalla sofferenza e dal dolore. Per potersene liberare e trovare un senso è necessaria una ricerca spirituale che passa attraverso varie esperienze (religione, comunità, ecc.). Ma la vera liberazione può avve-nire soltanto in un completo distacco da tutte le costruzioni umane e nell'immersione in una natura sentita religiosa-mente come il Tutto che ci avvolge, di cui facciamo parte, e in cui dobbiamo annullarci.

Valutazione tematica . L'idea espressa dal regista è molto vicina alle filosofie e alle religioni orientali (il riferimento al buddismo è evidente: il grande albero sotto il quale Augusta ritrova la pace richiama chiaramente l'albero sacro sotto il quale il Buddha riceve l'“illuminazione”). Ma è anche molto vicina al misticismo cristiano e alle varie forme di mi-sticismo. In questo senso l'insistito riferimento a Simone Weil e al suo libro Attesa di Dio è illuminante. In quest'opera la grande filosofa francese parte dal concetto di sventura (“malheur”, parola senza equivalenti in altre lingue) che sradica dalla vita ma che è anche «una meraviglia della tecnica divina», in quanto rivela all'uomo la sua finitudine e l'illusione dell'io, che è l'ostacolo essenziale alla discesa di Dio nell'anima. Perché solo se l'anima si svuota di con-tenuto proprio può accogliere in sé la realtà divina.

La natura in cui Augusta si annulla è pregna di divinità (l'icona di Cristo legata all'albero). Ma una divinità concepita (secondo la migliore tradizione mistica) non come qualcosa da cercare o da conquistare, ma come qualcosa da cui lasciarsi riempire. In altre parole, è necessario annullare se stessi per lasciare che Dio agisca in noi.

�������� UN RAGAZZO D’ORO

Regia: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati e Tommaso Avati; interpreti: Sharon Stone, Riccardo Scamarcio, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli, Guia Zapponi, Viola Graziosi, Tiziana Buldini, Christian Stelluti; produzione: Duea Film, Combo Produzio-ni, Rai Cinema; distribuzione: 01; durata: 102’; origine: Italia, 2014. Il tema della paternità (e della figliolanza) ricorre molto spesso nella cinematografia di Pupi Avati (Il papà di Giovanna, La cena per farli conoscere, Il figlio più piccolo). Quel genitore che al regista è mancato nell’infanzia (morì quando lui aveva dodici anni, nel 1950, in seguito ad un incidente stradale) continua a ritornare nel suo cinema con varie sfaccettature e colorazioni. Ed è presente anche in questa sua ultima opera dal tono delicato, anche se talvolta un po’ ingenuo e didascalico. La vicenda . Davide Bias è un trentenne che fa il pubblicitario creativo a Milano, ma la sua passione è quella di fare lo scrittore. È legato sentimentalmente a Silvia e sof-fre di disturbi psichici. Un giorno riceve la notizia della morte del padre, Achille, uno scrittore di sceneggiature di serie B abitante a Roma. Il rapporto di Davide con il pa-

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dre era sempre stato pessimo; tuttavia il giovane si reca con Silvia al funerale per consolare la madre. Poi ritorna a Milano. Qui le cose si mettono male dal punto di vista professionale e Davide perde il lavoro. Per di più si rende con-to che Silvia è ancora legata al suo compagno precedente dal quale non riesce a staccarsi. Decide così di tornare a Roma. Qui incontra Ludovica, un’affascinante signora (ex amante di Achille) che fa l’editrice e che gli rivela che il padre stava scrivendo un libro autobiografico che si preannunciava molto interessante, invitandolo a scoprirlo. Viven-do con la madre nella casa di famiglia, Davide ha modo, poco alla volta, di conoscere meglio quel padre tanto dete-stato e di rendersi conto che era una persona fragile che, tutto sommato, gli voleva bene. Quando scopre che quel romanzo, di cui aveva cominciato ad occuparsi, era soltanto abbozzato per mancanza d’ispirazione, Davide decide di scriverlo lui, lavorando febbrilmente e rifiutando di prendere le medicine che gli inibivano l’ispirazione. Ne verrà fuori un capolavoro che però lo farà impazzire con conseguente ricovero in clinica psichiatrica. Forse avrebbe la pos-sibilità di venirne fuori e di diventare un vero scrittore, ma preferisce rimanere in clinica, gioendo per il successo che il libro "del padre" aveva ottenuto in tutto il mondo. Il racconto . La struttura del film è sostanzialmente lineare (a parte un paio di flashback, o, meglio, dello stesso flashback che viene ripetuto due volte) con la classica impostazione: un’introduzione, tre grosse parti narrative e un epilogo. Introduzione . Il film inizia con delle immagini in bianco e nero che mostrano un uomo e un bambino che si tengono per mano. Evidentemente si tratta di Davide bambino che stringe la mano al padre. L’uomo aiuta il figlio a saltare un ostacolo che da solo non sarebbe riuscito a superare. Il sottofondo musicale è rappresentato da una canzone dolce e sentimentale. Si tratta di quel flashback di cui s’è parlato (che ritornerà più avanti, acquisendo pertanto un forte peso strutturale) che diventa una vera e propria chiave di lettura di tutto il film. È chiara la significazione: con l’aiuto del padre Davide riesce a fare ciò che da solo non riuscirebbe a fare. Pima parte: il fallimento di Davide . Viene subito presentata la figura del protagonista. Davide vive a Milano e si sta recando ad un appuntamento molto importante presso un’agenzia letteraria, con la speranza che i racconti che ha scritto vengano pubblicati. Il film sotto-linea subito la precaria situazione psichica di Davide: è teso, registra quello che sta facendo e si rende conto che ha «ricominciato a contare i passi», segno evidente di una forma maniacale. Si viene a sapere che ha frequentato un corso di scrittura creativa a New York, che ora lavora in pubblicità, ma che sente il bisogno di scrivere. Il capo dell’agenzia, pur riconoscendo il suo talento, gli fa osservare che il "racconto" è un genere letterario che funziona bene nei paesi anglosassoni, ma non in Italia. Gli restituisce pertanto il manoscritto e lo invita a sviluppare uno dei suoi racconti e farlo diventare un romanzo: «Lei ha il talento per raccontare una grande storia». È importante notare che di fronte alla domanda: «Lei è parente di Achille Bias che faceva quei filmacci?», Davide risponda negativamen-te. Il altre parole Davide nega il proprio rapporto con il padre . Poi se ne va e dice a Silvia di aver chiuso con la scrittura, gettando i fogli fuori dal finestrino della macchina. Poco dopo Davide s’accorge che Silvia non ha troncato la sua relazione con Walter, il capo dell’agenzia pubblicitaria presso cui lavora. Si tratta di una duplice delusione, la prima sul piano delle aspirazioni, la seconda sul piano sentimentale. In seguito Davide riceve una telefonata che gli annuncia la morte del padre. Il giovane non vorrebbe neanche andare a Roma per il funerale, ma Silvia lo convince a partire. Significativa la frase (ripetuta due volte) di Silvia: «La guerra con tuo padre è finita». Al che Davide risponde: «E chi ha vinto?». Davide e Silvia si presentano in chiesa per la ceri-monia funebre tenendosi per mano. A questo proposito va sottolineata l’insistenza, durante il film, sul particolare del-le mani che si stringono (con Silvia, con la madre, ma soprattutto, da bambino, con il padre), quasi a sottolineare che Davide ha bisogno di essere tenuto per mano e soprattutto ha bisogno della mano del padre. Il discorso di Davi-de durante la cerimonia è quanto mai duro e chiarificatore: «Tra me e mio padre c’è sempre stato un grande proble-ma». Poi continua parlando dei genitori che impediscono ai propri figli di realizzarsi, forse per paura che i propri figli possano valere più di loro. Infine conclude dicendo che i genitori, per permettere ai loro figli di vivere la loro vita e di esprimersi, dovrebbero fare come ha fatto suo padre: andarsene. Dopo la cerimonia Davide incontra il regista, che ha diretto quasi tutti i film del padre, che gli annuncia l’uscita di un nuovo film tratto da una sua vecchia sceneggiatura. Inoltre viene avvicinato da una signora piuttosto misteriosa (Ludovica) che lo invita a contattarla. In seguito Davide mostra a Silvia la casa paterna: la sua camera, quella dei suoi genitori, lo studio inaccessibile del padre. La visita diventa l’occasione per criticare ancora la figura paterna , di quel padre che "cornificava" la moglie; che usava un profumo «che sa di fiori» e che, secondo lui, lo rendeva spe-ciale; che non era mai riuscito a creare un vero capolavoro. Poi Davide e Silvia fanno ritorno a Milano. Davide è in seduta psicanalitica. Ammette di «aver ripreso a contare i passi» e si lamenta che tutte quelle pillole che sta prendendo gli annullano l’immaginazione. La psicanalista lo invita a continuare la terapia: «Se smette la terapia potrebbe tornare a quell’ossessione compulsiva che le ha procurato tanti problemi». Al che Davide, significativamen-te, obietta: «Ma nella vita bisogna scegliere qualche volta». Poi racconta alla dottoressa che suo padre è morto «con la convinzione di aver fallito in tutto» e si confida: «Quando ero bambino mi aveva inculcato che insieme avremmo potuto fare qualsiasi cosa, che saremmo stati invin cibili . Ma poi si vede che ha capito che due falliti nella stessa famiglia sarebbero stati un po’ troppo». Nello studio pubblicitario vengono visionati i vari spot. Quello di Davide viene scartato provocando nel giovane una reazione rabbiosa: dopo avere ingurgitato una pastiglia, va da Walter (che lo provoca riguardo a Silvia) e lo aggredi-sce violentemente. Così perde anche il lavoro e non gli resta che tornarsene a Roma dalla madre: «Ho perso il lavo-ro; ho la certezza che Silvia se la fa ancora con quella m… e torno nella casa che mi fa schifo». È il fallimento tota-le di Davide , sul piano delle aspirazioni, su quello sentimentale, su quello professionale. Seconda parte: la scoperta del padre . Ritornato a vivere nella casa paterna, Davide viene a sapere che forse il padre si è suicidato. Si reca sul luogo

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dell’incidente con i periti dell’assicurazione e si sofferma a guardare il burrone in cui la macchina è precipitata. In lui prevale ancora il risentimento : «Sono nel punto esatto in cui mio padre non ha voluto frenare. Qui, proprio in que-sto punto, avrà urlato per darsi coraggio. Avrà avuto paura…anche lui finalmente avrà avuto paura ». Dopo aver saputo dalla madre che Ludovica è stata una delle amanti del padre, Davide si reca ad incontrarla. Que-sta gli dice che Achille stava lavorando a un libro, una specie di autobiografia: «Era convinto che questo libro in cui si confidava totalmente, e anche in modo imbarazzante, l’avrebbe risarcito». E lo prega di cercare il libro tra tutti gli scritti che il padre aveva lasciato. Ma Davide ribadisce: «Avevamo un rapporto orrendo. Forse lui voleva bene solo a lei». E si rifiuta di cercare il libro. Tornato a casa, Davide incontra Enrico, uno studente che sta preparando una tesi su suo padre e che gli parla di una sceneggiatura che era un vero capolavoro. Incuriosito, Davide si mette a cercare nel computer del padre, ma non riesce a indovinarne la password. Ma la vera e propria evoluzione del protagonista sembra iniziare quando i fratelli Lanzillo, che avevano sempre avuto qualche particina nei film del padre, gli dicono che Achille sul set leggeva le lettere che Davide gli mandava dall’America e diceva che il figlio sarebbe diventato un grande scrittore. Davide è stupito dalla cosa: non avrebbe mai immaginato che il padre avesse stima di lui. Significativo che subito dopo Davide annusi intensamente il profumo del padre. Più tardi, la madre, con la quale aveva visto in TV un pezzo di un film del genitore, gli rivela: «Ti voleva be-ne». Davide risponde semplicemente: «E perché non me l’ha mai detto?». Un altro momento particolarmente importante è quando Davide, che è finalmente riuscito ad entrare nel computer del padre, trova un file intitolato «La mano di mio figlio». In esso si parla (e l’immagine puntualmente lo ripropone) di quando Davide bambino, tenendo la mano del padre, era riuscito a superare quell’ostacolo pericoloso . È chiaro che la cosa assume un valore emblematico e rappresenta una premonizione di quello che succederà. L’atteggiamento di Davide gradualmente si trasforma. Si interessa di un premio che il padre aveva vinto ma che poi, all’ultimo momento, gli era stato negato. Trova quella sceneggiatura di cui gli aveva parlato Enrico e che sta per es-sere portata sullo schermo. La legge avidamente, tutta d’un fiato, e alla fine è sinceramente commosso . Telefona a Ludovica invitandola alla prima del film e afferma: «Forse non ho mai capito veramente mio padre. Mi sembra di ave-re scoperto un’altra persona». La delusione per come il film ha rovinato la storia di suo padre, involgarendola, lo porta a fare un discorso di fonda-mentale importanza : «Ieri notte ho letto questa sceneggiatura che mio padre ha scritto quando aveva 25 anni e, nel leggerla, scoprii un suo modo di vedere le cose che francamente non immaginavo. È difficile per me dirlo: io e mio padre abbiamo avuto veramente un rapporto orrendo, ma alla fine di questa lettura mi sono commosso. E ho pensa-to che potevo essere orgoglioso di questo mio "papà ragazzo"». Poi inveisce contro il regista: «Tu l’hai tradito per l’ennesima volta». Incomincia a parlare con la foto del padre e riceve da Ludovica un complimento che gli fa veramente piacere: «Hai fatto esattamente quello che un padre s’aspetta da un figlio». Ora gli resta solo una cosa da fare: trovare il libro che il padre aveva iniziato, consegnarlo a Ludovica e poi finalmente ritornare a Milano da Silvia che, come la madre, è preoccupata per la sua salute. Ma quando trova lo scritto e vi legge: «Devo essere sincero per la prima volta; lo debbo essere e dire la verità su me stesso. Non sono più in grado di scrivere nulla. È finita…è finita», Davide si commuove profondamente e si mette a piangere. Improvvisamente arriva Silvia che lo invita a tornare a Milano dove è stato reintegrato al suo posto di pubblicitario. I due fanno l’amore per la prima volta. Tutto potrebbe finire così. Ma Davide prende una decisione radicale. Terza parte: l’identificazione e la sostituzione . Già in precedenza era iniziato un processo di identificazione col padre (alla prima del film si era vestito con un abito del padre e aveva usato il suo profumo, al punto che la madre gli aveva detto: «Mi sembra di uscire con lui»). Inoltre aveva messo un piccolo catenaccio alla porta dello studio e vi si era rinchiuso dimenticandosi di mangiare. Ora il processo arriva fino in fondo. Davide si rifiuta di tornare a Milano: «Ha lasciato una cosa molto importante da fare. Una cosa che lui pensava avrei potuto fare solo io; una cosa che posso fare solo io». Silvia è spaventata: «Mi fai paura». Ma lui, di fronte alla foto del padre, ribadisce: «Mi costerà una fatica immane, ma so che io e te ce la possiamo fare , come quando ero bambino, ti ricordi?». Ma per fare ciò è necessario buttare via le medicine che condizionano la sua immaginazione, pur sapendo che que-sto lo porterà alla pazzia. Ma Davide, come aveva detto alla psicanalista, ha fatto una scelta, quella di sostituirsi al padre , di scrivere al posto suo, di scrivere per lui. Si mette a scrivere freneticamente, senza posa. Poco alla volta consegna il lavoro a Ludovica, prendendo tempo, fingendo di non riuscire a trovare i file nel computer. Anche fisicamente assomiglia sempre di più al padre. E, come il padre, si innamora di Ludovica, immaginando nella sua mente malata di essene diventato il fidanzato. La donna è entusiasta per il materiale che Davide le porta: «Si rende conto che questo può diventare il caso letterario dell’anno?». Finalmente la conclusione: «Pochi istanti fa ho finito l’ultimo capitolo del libro, il più commovente; quello in cui mio padre scopre di non avere più felicità né da dare né da ricevere». Lo consegna a Ludovica, ma le sue condizioni psi-chiche precipitano. Davide diventa aggressivo nei confronti della gente e deve essere ricoverato in clinica. Epilogo: un anno dopo Davide è in una clinica psichiatrica e assiste in TV alla premiazione del libro "del padre", intitolato "Contro", vincitore del Premio Strega. Ludovica lo va a trovare e vorrebbe che guarisse per poter uscire di lì, ma lui ribatte: «Io ci sto bene qui». Anche Silvia, che ha capito tutto, lo incoraggia a diventare uno scrittore e, provocatoriamente, gli chiede: «Credi che tuo padre avrebbe fatto per te quello che tu hai fatto per lui?». Ma a lui interessa solo una cosa: «Io e mio

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padre siamo invincibili. Me e lui insieme non ci batte nessuno». L’ultima immagine rappresenta Davide da solo che dice: «Malgrado tutti dicano che sono guarito, mi sono rifiutato di andarmene da qui. Voglio restarci per sempre. È bello essere matti. Ognuno può immaginare quello che vuole. Co-me quando io e papà riuscimmo a fare quel salto che solo i grandi sapevano fare». Poi sorride serenamente: «Il libro di papà è stato tradotto in dodici lingue». Ritorna la musica iniziale. Una dissolvenza in chiusura conclude l’opera. Significazione . Davide ha avuto un rapporto orrendo con il padre e vive nel rancore e nell’odio. Ma dopo la sua mor-te ha la possibilità di conoscerlo più a fondo, di scoprirne i lati positivi e profondamente umani: l’amore (anche se inespresso) nei confronti del figlio, la sua bravura di scrittore, la sua fragilità e il suo fallimento, ecc. Ne nasce un’ammirazione che lo porta a identificarsi col genitore e a sostituirsi a lui, portando a termine quel lavoro, iniziato e mai finito, che solo grazie alla loro unione può essere completato e diventare un "capolavoro". Idea centrale . Il rapporto padre/figlio può essere fonte di conflitti, di rancori, di odio. Ma una conoscenza più profon-da, che permette di scoprire l’umanità delle persone, fa nascere una comunione spirituale che supera la barriera del-la morte e che può portare a grandi imprese.