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La Fondazione di Piacenza e Vigevanoè lieta di invitare la S. V.

Sabato 2 giugno 2018 alle ore 11.30all’inaugurazione della mostra

ITALIANI, AL VOTO!Manifesti elettorali dal 1945 al 1953

Prima Scuderia del CastelloVIGEVANO

Intervengono:Ileana MaestronI - Vicepresidente della Fondazione di Piacenza e Vigevanoandrea sala - Sindaco di VigevanoFIlIppo CaserIo - Storico

ITALIANI, AL VOTO!Manifesti elettorali dal 1945 al 1953

Prima Scuderia del CastelloVigevano

2 Giugno - 1 Luglio 2018Orari: Martedì - Venerdì 14.00 - 18.00Sabato, Domenica e festivi 10.00 - 19.30Ingresso libero

Infopoint Castello: 0381 [email protected]

in collaborazione con

Comune di Vigevano

Collezione Maurizio Cavalloni (Foto Croce)

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Manifesti elettoralidal 1945 al 1953

ITALIANI, AL VOTO!

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I MANIFESTI POLITICI-ELETTORALI: 1945-1953

di Linda Barlassina

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si affaccia, sulla scena politica italiana, non per la prima volta in assoluto, ma in assoluto come perfetto connubio tra profusione ed eco-nomicità delle risorse, uno dei mezzi di comunicazione di massa e di simbologia politica più efficaci, per capacità di diffusione e visibilità: il manifesto politico.La caratteristica fondamentale che contraddistingue e diversifica un affisso murale dal restante materiale cartaceo (volantini, opuscoli, cartoline di propaganda) è, fatto unico, che un manifesto, essendo appeso al muro, non può, di norma, essere “portato a casa” e, quindi, deve essere consultato sul posto. Questo aspetto dà origine a tutta una serie di strategie comunicative (forme, figure, colori, motti) adottate dai politici di allora, per attirare l’attenzione dei passanti e potenziali elettori. La funzione informativa svolta da manifesti, cartelloni, strisce e quadri murali, acquista un interesse particolare soprattut-to in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione politica sono ancora primordiali: la radio, unico canale di comunicazione durante il fascismo e la guerra, concede ai partiti uno spazio che, tra il ‘46 e il ‘48, è ridotto fino quasi a scomparire; i giornali, se pur affron-tano in modo diretto e schierato la questione ideologica, vengono letti da una ristretta cerchia di persone (intellettuali, attivisti, professori); e infine la televisione inizierà a comparire nelle case degli italiani abbienti solo nel 1952, mentre la prima trasmissione di propaganda elettorale, “Tribuna Politica”, nascerà solo nel I960. I manifesti di questo periodo vengono prodotti con la collaborazione volontaria di grafici iscritti ai partiti, stampati a basso costo da tipografie afferenti e, con la partecipazione gratuita di militan-ti, appesi ai muri delle città: questo insieme di elementi permette un’ampia diffusione, sia a livello locale che nazionale. Inoltre con semplici strumenti di stampa, si può rea-lizzare, impiegando costi abbastanza accettabili anche per questo periodo storico, una grande quantità di materiale cartaceo.L’attenzione si focalizzerà soprattutto sullo scontro tra Democrazia Cristiana e Fronte Democratico Popolare (unione, quest’ultima, avvenuta nel ‘47 tra PCI e PSI). La più accesa campagna elettorale combattuta nel nostro paese è senz’altro quella che si è tenu-ta per eleggere il primo Parlamento dell’Italia Repubblicana, nel 1948; la posta in gioco era elevatissima per tutte le formazioni politiche. All’interno della propaganda elettorale viene a crearsi una vera e propria “battaglia murale” di manifesti, resa ancor più dram-matica in quanto nel 1948 nessuna legge stabilisce spazi predisposti per l’affissione (la prima legge in merito è la n° 212 del 1956); squadre di giovani “attacchini”, di solito composte da attivisti di partito, si organizzano con secchi contenenti acqua mista a fa-rina e lunghe scale, per cospargere, il più in alto possibile, muri di case private, palazzi, monumenti, chiese, cattedrali e anche colonne, pali e alberi. Ma il giorno dopo, o meglio la notte successiva, nuovi gruppi di ragazzi arrivano per attaccare, sopra i cartelloni politici degli avversari, i propri. “I manifesti di propaganda politica diventano così un arredo urbano alla stregua delle locandine e dei cartelloni cinematografici”, per citare una bella frase di Mirko Dondi in un saggio contenuto nell’opera “Propaganda politica e mezzi di comunicazione di massa, tra fascismo e democrazia”. Da questa lotta nasce una cartellonistica politica che produce un messaggio promozionale condensato: per quan-

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to riguarda il materiale della Democrazia Cristiana, la propaganda murale si presenta con una prevalenza di immagini rispetto al testo, spesso riassunto in uno slogan di poche parole o addirittura senza nessuna didascalia, mentre per il Fronte Democratico Popolare il discorso è diverso, in quanto si tende a rappresentare una maggioranza di contenuti scritti. La DC è consapevole del fatto che il tasso di analfabetismo in Italia in quegli anni è ancora piuttosto elevato e che quindi si deve catturare l’attenzione di un pubblico particolare, con espedienti grafico-visivi e messaggi di immediata comprensio-ne. Inoltre questo partito è informato del fatto che il voto d’appartenenza è forte (soprat-tutto nella zona rossa), ma non totale, in quanto ci sono ancora zone vergini, agnostiche verso la politica (soprattutto nel Meridione, anche se l’interesse maggiore è rivolto alla questione monarchica) e di conseguenza esiste un elettorato molto incerto e confuso. Per far presa su questa tipologia di elettore e per cercare di chiarire e fissare le idee bisogna puntare sull’immediatezza di ricezione del messaggio, sia esso rappresentato da una tematica concreta o da un valore ideologico. D’altra parte il FDP, rivolgendosi a precise classi sociali, sente meno cogente, almeno per il momento, l’esigenza di catturare l’attenzione di un pubblico più vasto ed eterogeneo.L’utilizzo di simboli ricorrenti nella tradizione e nell’immaginario collettivo facilita la comprensione del significato che si vuole trasmettere e lo mette a disposizione di tutti coloro che si soffermano a “leggere i muri”. L’analisi contenutistica di un cartellone elet-torale è ridotta ai minimi termini; infatti, a differenza dei manifesti politici dell’800 che erano prevalentemente scritti e, quindi, fruibili solo da una ristretta parte della società, questi sono in gran parte disegnati e forniscono un messaggio immediatamente com-prensibile, anche per gli analfabeti, i quali possono farsi un’idea sulle fazioni politiche. Nonostante tutti questi pregi, il manifesto è uno strumento di comunicazione di massa atipico in quanto non risponde, come gli altri, alle costanti che caratterizzano il processo informativo. Innanzitutto il ruolo del fruitore è per lo più passivo: non è possibile in-staurare con l’affisso un dialogo bilaterale, come quello che, invece, si può instaurare con un giornale, comprandolo, o con la radio e la televisione, accendendole. Difficilmente,

infatti, una persona stabilisce di passare per quella via per poter osservare i manifesti elettorali; il più delle volte capita davanti e solo allora entra in contatto con essi. Il manifesto a differenza degli altri mezzi di comunicazione che posso-no venire scelti dagli attori sociali, si impone al pubblico elettore, e non si propone, ma è proprio questa la forza che lo contraddistingue. Inoltre esso possiede la capacità di rac-chiudere, in una sola immagine, un intero discorso politico o buona parte di esso anche se questo non basta per spie-gare la funzione comunicativo-informativa di una intera campagna elettorale, chiarendo l’ideologia e i programmi del partito. All’affisso murale, quindi, spetta il compito di presentare e fissare le tematiche, di rapportarle a immagini, parole chiave o detti popolari. Lo slogan viene spesso inse-rito all’interno di un manifesto politico e la sua funzione è triplice: innanzitutto serve per spiegare meglio e per di-panare i concetti e i contenuti grafico-visivi dell’immagine

riprodotta; successivamente grazie alla sua brevità e sinteti-cità, riesce a condensare il significato proposto, in quanto un manifesto con forme e figure è raramente sintetico; infine possiede la caratteristica di essere ripetibile, in o da essere meglio ricordato e fissato nella memoria. Infatti lo slogan è l’unica parte di un manifesto che si può “portare via” dal luogo dell’affissione. La campagna elettorale si presenta di agli occhi degli osservatori come uno scontro duro, rozzo, provocatorio; il bombardamento propagandistico è massic-cio. Alcuni manifesti elettorali vengono addirittura lanciati da piccoli aeroplani sopra città e campagne, scegliendo i messaggi in base al contenuto politico della zona, in pratica vennero assimilate le tecniche pubblicitarie statunitensi. In-fatti attraverso un’analisi delle immagini e delle tecniche di ripresa, si può ipotizzare la collaborazione di esperti ameri-cani alla produzione documentalistica della DC.

LA PROPAGANDA MURALE DEL ‘48

Uno degli aspetti più interessanti affrontati nei manifesti realizzati dalla Democrazia Cristiana è l’attenzione posta nei confronti degli “apolitici”, coloro che non provano in-teresse per la politica o risultano perlomeno indecisi.Vengono così ideati dai Comitati Civici, organizzazioni “collaterali” inventate da Ged-da con lo scopo di gestire sul piano elettorale tutte le forze cattoliche, e dalla SPES, l’or-gano di stampa del partito, alcune tipologie di manifesto senza un messaggio che mostri palesemente il contrassegno politico dell’emittente; molti affissi murali di quell’anno non riportano il simbolo democristiano dello scudo crociato o l’invito a votare espli-citamente per la DC, ma solo un attacco diretto nei confronti dei simboli avversari, in particolar modo verso i frontisti.I valori messi in campo sono quindi più generici e la forza di questi 5 manifesti sta pro-prio nel non chiedere di votare per la DC, ma solo di votare. Il partito cattolico realizza altresì manifesti indirizzati a particolari categorie sociali, quali piccoli proprietari terrie-ri, agricoltori, contadini, anche se questa non è la forma che produce maggior consenso tra gli indecisi. I valori riassunti nei manifesti della DC riguardano la libertà della perso-na e l’esaltazione della personalità dell’elettore, che ha nella scheda un’arma l’esaltazione del sentimento nazionale; la difesa dei valori religiosi; il riscatto del lavoro e la proprietà privata. Oltre a questi valori Giorgio Lupini, dirigente della SPES dal 1947 al 1951, pro-pone altri criteri generali di impostazione della campagna elettorale: la documentazio-ne dell’opera negativa del fronte nei confronti della ricostruzione economica; l’utilizzo dell’umorismo per criticare il FDP che mantiene un atteggiamento serio e severo in quanto, a detta sempre del direttore della SPES, la comicità è assente nei paesi comunisti perché perderebbero il prestigio gerarchico. D’altra parte la cartellonistica del Fronte è ben lontana dallo stile classico nei contenuti e nella composizione grafico-strutturale dei manifesti democristiani. Solo in parte la propaganda dei manifesti coincide con il

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ricordo che ne hanno i militanti.Il ricordo è meno netto anche perché la mobilitazione frontista è stata inferiore, non tanto dal punto di vista del ruolo assunto da attivisti, oratori improvvisati e Agit-Prop (così “abbreviati” gli agitatori di propaganda), quanto da quello del materiale murale stampato. E’, invece, documentata, presso la collezione privata di Maurizio Cavalloni, una quantità enorme di volantini, foglietti scritti, gadget, materiale formato cartolina ed altri opuscoli informativi. Comunque affissi e quadri murali del Fronte non mancano di certo a tappezzare ogni angolo delle città, anche se non è presente una varietà di imma-gini come per i manifesti della DC; infatti vengono prediletti il testo scritto, la fotografia, il fotomontaggio piuttosto che il disegno esplicativo.L’approccio frontista verso gli indecisi viene affrontato in modo diverso da quello avver-sario, soprattutto perché è scelto il criterio della visibilità e del riconoscimento, anche se i democristiani sfrutteranno tale situazione, accusando i comunisti di voler nascon-dersi dietro lo stemma dell’eroe popolare (il simbolo scelto dal Fronte è Garibaldi sulla stella a cinque punte), per sottrarre alla vista degli italiani l’egida della falce e martello. Il messaggio rivolto a titubanti e a dubbiosi è quindi più debole e meno provocatorio; si suppongono politicizzate categorie di persone appartenenti al ceto medio, che, in realtà, non lo sono e si sceglie un tipo di contenuto molto specifico destinato a un pubblico particolare. Infatti la divisione in classi sociali è connaturata all’ideologia marxista del PCI, che si è sempre rivolto ai lavoratori, agli operai, alla classe media. Il motto del FDP che è presente nella maggior parte dei manifesti è “Pace, libertà, Lavoro”, tre concetti sottolineati continuamente dalle ideologie sia comunista che socialista. Il FDP realiz-za nel 1948 manifesti di carattere generale, che risultano molto meno accattivanti di quelli democristiani; tutto il materiale è sempre marchiato, forse in modo eccessivo, dal simbolo del Fronte Democratico Popolare. Non esiste propaganda indiretta, come quella ampiamente utilizzata dagli avversari per catturare il pubblico apolitico, ma solo diretta e univoca. E diretta e univoca è la posizione assunta dal Fronte e dalle associa-zioni collaterali come l’UDI (Unione Donne Italiane) e il MSUP (Movimento Socialista di Unità Proletaria), circa gli aiuti americani: non è un rifiuto in toto delle sovvenzioni statunitensi, ma una accettazione condizionata, a patto che gli aiuti non compromettano l’indipendenza e l’autonomia del Paese.La sinistra punta sulla rinascita agricola, economica ed industriale dell’Italia; essa cerca di ottenere tale scopo con le forze dei lavoratori italiani, anche se questo fatto compor-ta un sacrificio iniziale molto maggiore, ma garantisce di poter contare su propri so-stentamenti nel futuro. In realtà il Fronte sottovaluta una questione troppo importante: l’Italia, uscita devastata dalla seconda guerra mondiale, soffre fame, malattie e povertà e vuole uscire il più in fretta possibile da tale situazione. I temi presenti nei manifesti di questa lista, oltre alla pace e alla rinascita sono: prediligere il popolo come soggetto, affidandogli il ruolo importante di formazione organizzativa del Paese; schierarsi contro i privilegi e i soprusi della Chiesa cattolica (un manifesto del Fronte recita: Monsignor Cippico non vota... perché è in prigione); sottolineare il “ricatto americano” mettendo gli italiani di fronte alla scelta obbligata (ottenere gli aiuti necessari per il difficile perio-do postbellico).Questo il panorama appartenente alle due maggiori forze politiche. Ed ora veniamo alla produzione di manifesti degli altri partiti in lizza, sia di destra che di sinistra.

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La lista del Blocco Nazionale (BN) è formata da due partiti, il Partito Liberale Italiano (PLI) e l’Uomo Qualunque (UQ) che in occasione delle elezioni politiche del ‘48 hanno deciso di unire le proprie forze. Questa formazione, quindi, prevede elemen-ti liberali, particolarmente conservatori e altri qualunquisti, schierati con veemenza contro il nuovo ceto politico e anch’essi volti con rimpianto al passato. I manifesti del BN sono carat-terizzati da elementi comuni che contraddistinguono in modo netto il partito e lo rendono chiaramente visibile al pubblico elettore. Vi è l’indicazione per il riconoscimento (si caratterizza nella ideazione di un simbolo particolare), che unisce e svilup-pa l’emblema di entrambe le forze in lizza.Il simbolo del PLI è formato da una bandiera italiana sulle cui tre bande è espressa la sigla del partito (P nel verde, L nel bianco e I nel rosso); esso è realizzato così per sottolineare la continuità del

pensiero e dell’azione liberale, tra il periodo precedente e successivo al fascismo, e anche l’indipendenza e l’unità d’Italia.I liberali ancora profondamente attaccati al passato fascista si dimostreranno incapaci di riacquistare il ruolo centrale nel nuovo sistema politico e di rinnovarsi profondamen-te nei programmi e nelle strutture organizzative, finendo per circoscriversi un’area di rappresentanza relegata a qualche settore della grande borghesia industriale ed agraria.Il simbolo dell’UQ, invece, mostra un uomo schiacciato sotto un torchio che riassume l’ideologia di Giannini, fondatore del partito, il quale vuole radunare tutti gli insoddi-sfatti della vecchia politica in un unico motto qualunquista “si stava meglio quando si stava peggio”. L’emblema del BN appare complesso: oltre a quanto già sottolineato si possono notare anche altre componenti come l’indicazione per esteso del “Blocco Na-zionale”, che ricopre e ritaglia in due parti la bandiera nazionale e due spighe di grano, poste sopra il tricolore, che, incrociate tra di loro, formano un semicerchio, all’interno del quale è inserita una stella bianca. Oltre a questo primo elemento comune per tutti i manifesti di tale gruppo ve ne sono altri: lo slogan “Vota Blocco Nazionale”, il sottotitolo “Né reazione, né rivoluzione”, la struttura di impaginazione grafica e infine il colore gial-lo della cornice. Il fatto di insistere sui concetti di reazione e rivoluzione significa voler trarsi fuori da una tradizione di estrema destra (l’ideologia fascista è reazionaria) e una di estrema sinistra (la dottrina comunista è rivoluzionaria).Il partito che nelle elezioni del 1948 raduna i socialisti del lavoro (PSLI) e gli azio-nisti (PdA) si presenta con la denominazione di Unità Socialista e adotta come pro-prio simbolo il sole nascente sopra il mare; tra i raggi porta la scritta a semicerchio “Socialismo”. Questa lista promossa da Saragat (nel gennaio 1947 avviene la scissione di palazzo Barberini, resa inevitabile dalle posizioni inconciliabili di Nenni e Saragat) finirà col risultare, in proporzione, più rassicurante del cartello socialcomunista, anche se la percentuale del 7,1% si mostrerà decisamente superiore alla forza elettorale che il PSDI, successivo nome del PSLI, dimostrerà di avere negli anni futuri. I manifesti di questa formazione risultano essere molto semplici, quanto a composizione grafica, ma anche molto forti nel contenuto. Un altro partito presente alle elezioni del 1948 è l’MSI. Anche se il risultato elettorale di questo nuovo partito (nel 1946 non era presente per

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LE CAMPAGNE ELETTORALI DEL ‘46, DEL ‘51/’52 E DEL ‘53

La campagna elettorale del 1948 rappresenta lo scontro politico-ideologico più acceso nello scenario italiano del ‘900: la posta in gioco, il governo del primo parlamento re-pubblicano, è sentita, da entrambe le maggiori forze politiche, come una meta necessa-ria per sconfiggere, da una parte, il comunismo e, dall’altra, il capitalismo.Fondamentale è anche notare che questo scontro feroce cade tra altre tre date elettorali importanti quali il 2 giugno 1946, le elezioni amministrative del 1951/’52, e il 7 giugno 1953: nella prima tornata si era chiamati a votare oltre che per l’ormai famoso refe-rendum istituzionale tra Repubblica e Monarchia anche per l’Assemblea Costituente, mentre nel ‘53 si vota per dare inizio alla seconda legislatura.Innanzitutto bisogna richiamare alla memoria i due periodi storici precedenti e succes-sivi al 18 aprile per riuscire a delineare un quadro significativo di eventi e problematiche.Prima delle elezioni del 1946 il governo era formato dai partiti ciellenisti (del CLN, Comitato di Liberazione Nazionale), sei forze politiche che si pongono come obbiet-tivo comune l’antifascismo (Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito d’Azione, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito Liberale Italiano e De-mocrazia del Lavoro). Questa collaborazione, necessaria per fornire una certa stabilità al Paese, non si rivela di certo facile, nonostante (obbiettivo antifascista comune, per la diversità di indirizzo politico dei partiti: liberali e democratici del lavoro sono di destra e per la monarchia, i democristiani, al centro, hanno una posizione neutrale e infine azionisti, socialisti e comunisti, di sinistra, appoggiano perentoriamente la repubblica.I manifesti del 1945 sono, in realtà, ancora molto arcaici, più simili a quelli degli anni ‘30 che non a quelli degli anni ‘50: quelli democristiani ricordano lo stile fascista, rigido e perentorio, mentre quelli comunisti ricalcano, sia per esigenze economiche che di co-stume, le scritte sui muri: queste ultime si presentano come piccole strisce di carta, nelle quali vengono sintetizzati slogan o parole chiave.E veniamo alla propaganda murale del 1946. Essendo l’impegno dei sei partiti unitario e collaborazionista, il clima elettorale è molto più tranquillo e sereno di quello che si presenterà nelle due campagne successive. La DC si muove discretamente, anche se la Chiesa sfrutta abbastanza intensamente l’elemento religioso, consigliando di votare per liste e candidati cattolici.Il partito insiste sui temi della libertà della persona, sull›unità e indissolubilità del matri-monio, nella professione della fede Cristiana. Anche nel 1946, come nel 1948 (ma come vedremo, non nel 1953) la DC sceglie di non firmare in modo esplicito i manifesti, in modo da catturare un pubblico maggiore.Per il PCI del ‘46 i veri nemici elettorali non sono certo i democristiani, contro i quali non si trova né volantino né manifesto, ma monarchia e fascismo. In questo periodo però si assiste già alla suddivisione della popolazione in classi sociali, tipica posizione dell’ideologia marxista del PCI. Ci si rivolge, quindi, a intellettuali, insegnanti, ma anche ad artigiani, contadini e operai, e ci si pone contro i grandi industriali, banchieri, agrari.Il FPD nel ‘48 produce manifesti volti a sottolineare la non coincidenza tra comuni-smo e ateismo e soprattutto tra Chiesa Cattolica e veri valori cristiani. Alcuni slogan sull›argomento ripetono: “Perché il Vaticano, invece di occuparsi di religione, fa della politica?... Perché è una grande potenza capitalista...”; «San Francesco un vero Cristiano,

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le elezioni della Costituente), si attesta solo al 2%, ri-spetto all’UQ che scomparirà subito dopo il 1948, l’MSI vedrà crescere sempre più il numero dei suoi iscritti ed elettori. Questa forza, guidata da Giorgio Almirante, ex militante della Repubblica Sociale Italiana, è il nucleo più solido del neofascismo; essa è compatta per il fatto che il suo leader riuscirà a riunire tanti piccoli gruppi neofascisti in una forza politica che raggiungerà punti percentuali abbastanza importanti (8.7% nel 1972).Il Partito Nazionale Monarchico Alleanza, guidato da Alfredo Covelli, è composto dal PNM, (Partito Nazio-nale Monarchico), e da ADL (Alleanza Democratica del Lavoro); il voto percentuale ottenuto dalla presente lista è identico a quello conseguito per le elezioni dell’Assem-blea Costituente due anni prima, il 2.8%. È significativo che i monarchici mantengano invariato il risultato del 1946 che testimonia l’esistenza di una piccola base elettorale, ma solida. Infatti nel 1953 prenderanno il 6.9% dei voti.Il simbolo che il PRI presenta per contraddistinguersi dagli altri è la foglia d’edera; i re-pubblicani scendono in campo da soli e ottengono un risultato quasi dimezzato rispetto all’esito delle elezioni del 1946: passano, infatti, dal 4.4% al 2.5%. Nonostante la percen-tuale di consensi ottenuta da Unità Socialista che sommata a quella dei repubblicani ar-riva al 9.6%, conseguendo complessivamente un buon risultato, il tentativo di realizzare una terza forza laico socialista-democratica, capace di inserirsi autorevolmente tra la sinistra e la DC, appare fallito.I manifesti recuperati appartenenti a questi ultimi tre partiti (MSI, PNMA e PRI) sono tutti scritti, privi quindi di immagini, disegni e fotografie: infatti, oltre al testo, compa-iono solo i simboli rispettivi e l’invito a votare.

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contro i falsi cristiani... vota Fronte Democratico Popolare” e ancora “Il Vangelo con-danna coloro che si sono arricchiti sul lavoro degli altri”, rivolgendosi alle ricchezze delle gerarchie ecclesiastiche.Nella propaganda murale del 1953 si trova continuità col passato, ma anche innova-zione: la DC continua a puntare l’indice contro il legame tra il comunismo italiano e quello sovietico, ma questa volta esce allo scoperto e quasi tutti i manifesti che produce sono firmati. Si producono cartelloni, dedicati prevalentemente alle donne, che riporta-no slogan di questo tipo: “Adesso basta! Voterò DC”; “...Lo farò per i miei figli... voterò DC”; e ancora “Date retta a me... Votate DC”; infine “Donna devi votare, è in gioco il tuo avvenire e quello della tua famiglia; vota per la Democrazia Cristiana”. Il tema centrale rimane, comunque, quello dell’anticomunismo. Ma il vero cambiamento non si trova tanto nei manifesti democristiani, quanto in quelli comunisti che nel ‘53 si presentano senza la collaborazione socialista: PCI e PSI sono due partiti ben distinti, che hanno im-parato la lezione quarantottesca e che, almeno per il momento, non la vogliono ripetere.I temi proposti dal Partito Comunista sono diversi da quelli delle precedenti politiche: innanzitutto la polemica nei confronti della Democrazia si fa ben più accesa e vengono prodotti manifesti dal tema “Via il regime della forchetta’”, dove i democristiani vengono paragonati a “forchettoni” che si nutrono di “capitalismo”.Altri manifesti, invece, si concentrano contro la “legge truffa”, una riforma elettorale perseguita dalla DC per cercare di arginare le perdite di voti, verso le aree estreme: nelle elezioni amministrative del ‘51 e del ‘52 la DC aveva infatti subito una perdita di quasi dieci punti percentuali rispetto alle politiche del ‘48. In pratica la legge avrebbe tolto dalla scena la scelta, adottata dai costituenti, del sistema proporzionale, massima garanzia del pluralismo politico, per introdurre un sistema maggioritario con un pre-mio di maggioranza per chi raggiungeva il 50% più uno dei voti, pari al 65% dei seggi in Parlamento.Esempi di manifesti di questi due tipi, sui “forchettoni” DC e sulla nuova legge eletto-rale, sono: da una parte una forchetta gigante che funge da asta agli emblemi della DC, del PSDI, del PRI e del PLI trasformati in bandiere; e poi ancora tre personaggi con

forchetta, cucchiaio e coltello e altri “mangioni” che vengono strappati dalla “greppia”, mentre divorano avidamente un abbondante pasto; dall’altra parte un uomo gioca a poker, in mano ha tre carte con le sigle di PLI, PSDI e PRI e nella manica esce l’asso DC; De Gasperi con “la banda dei bassotti” porta sulle spalle un grosso sacco di “legge truffa” e ancora un altro ladro abbraccia una bisaccia contenente il “premio di maggioranza”.Anche se di primo acchito i manifesti di queste tre campagne elettorali sembrano avere gli stessi temi di denuncia e di accusa, in realtà sono molto diversi, in quanto le vicende storiche ne hanno segnato profondamente i contenuti. Dal 1946 al 1948 accadono molti fatti: la proclamazione della Repubblica, la secessione dei socialdemocratici dal PSI, l’e-spulsione dei comunisti e socialisti dal governo, il piano Marshall.Dal 1948 al 1953 il profilo italiano si modifica ulteriormente: la Costituzione entra in vigore (1° gennaio 1948), la DC vince con una larga percentuale le elezioni, v’è l’atten-tato a Togliatti (il 14 luglio dello stesso anno), scoppia il conflitto politico tra l’Urss e la Jugoslavia, avviene la stipulazione del Patto Atlantico e la creazione della Nato (1949), si tengono le elezioni amministrative in Italia (‘51 e ‘52) e infine la morte di Stalin (av-venuta il 5 marzo del 1953, prima dello scontro elettorale del 7 giugno). Si registrano anche diversi manifesti che ne annunciano la scomparsa e ne proclamano il lutto.Sui muri si legge: “Stalin è morto, onore al grande Stalin”; “Nel nome di Stalin, sotto la guida di Togliatti, portiamo avanti la bandiera della pace, della libertà, dell›indipendenza nazionale e del Socialismo!”; e ancora “Nel trigesimo della morte, Stalin gigante del pen-siero e dell’azione rivoluzionaria, per la liberazione della classe operaia e dei popoli”.Anche per quanto riguarda l’organizzazione squisitamente grafico-strutturale dei ma-nifesti, troviamo differenze significative tra la produzione democristiana e quella social-comunista. Una prima caratteristica è quella dei formati: le dimensioni dei manifesti frontisti risultano avere una duttilità maggiore rispetto a quelli democristiani, che non si allontanano dal modello rettangolare e verticale 70 x 100 cm. Nei formati del Fronte si contano un numero maggiore di manifesti orizzontali (anche 50 x 70 cm o 100 x 140 cm), diverse strisce ed anche quadri murali. La scelta di utilizzare misure diverse è legata alle funzioni previste e ai significati che si vogliono trasmettere.

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Il FDP produce prevalentemente due tipi di manifesti: quello da affiggere nelle bacheche a fianco delle pagine del quotidiano, che è prevalentemente scritto e che possiede un formato specifico in base alla quantità di testo inserito; e quello standard, il quale, però, si differenzia ancora una volta dal democristiano e dal repubblichino (Repubblica di Salò) in quanto rifiuta il modello di tipo realista per accostarsi a quello espressionista.Infatti un altro aspetto tecnico molto importante che, oltre a influenzare il giudizio dell’osservatore, svolge un compito di ricerca della verità e di legame con la realtà, è la scelta di formare l’immagine con l’ausilio di un disegno o di una fotografia.Come abbiamo già anticipato i manifesti democristiani prediligono il disegno allo “scat-to” e così si creano mostri e fantasmi, bolscevichi armati fino ai denti, scheletri infero-citi e altri personaggi appartenenti all’immaginazione; i manifesti frontisti, invece, pur

utilizzando largamente matite e pennelli, introducono la fotografia sia in bianco e nero che a colori.Questa scelta dipende dal fatto che il Fronte preferisce visualizzare problematiche re-ali e per tale motivo preferisce l’immagine fotografica. Nonostante questa diversità, la propaganda murale del Fronte non riesce a sfruttare l’enorme potenzialità del mezzo fotografico e l’immagine funge da semplice didascalia dello slogan.Un altro aspetto fondamentale è il cromatismo: entrambi i partiti fanno largo uso dei colori, anche se questi assumono significati assai diversi. Si pensi al rosso: per i comuni-sti è il colore del coraggio e della forza fisica e di traslato della rivoluzione, mentre per i democristiani è il simbolo della morte, in quanto rievoca il sangue versato in guerra in contrapposizione alla purezza del bianco.E se l’azzurro per le madri e le spose d’Italia è contrassegno dello scudo crociato, per i comunisti è un colore tra tanti (solo negli anni ‘90 verrà utilizzato, come colore simbolo di serenità politica da tutti i partiti, che su questo sfondo blu imprimeranno l’immagine rassicurante del proprio candidato).Dunque per la DC i colori hanno un’importanza che lega il discorso ideologico all’im-maginario collettivo: gli individui attribuiscono ad essi determinate sensazioni.Per il FDP il discorso è leggermente diverso: anche se viene attribuita ai colori un’im-portanza storica significativa, la gamma dei colori non è emblematicamente bloccata.Quanto abbia influito la battaglia murale sull’esito delle campagne elettorali, in partico-lare per l’orientamento degli indecisi, non è dato sapere, anche se si può ragionevolmen-te ipotizzare che il suo impatto abbia avuto una certa importanza.Il manifesto politico si presenta come un mezzo di comunicazione potente ed efficace, uno strumento simbolico ed evocatorio dell’immaginario collettivo, un microcosmo di eventi ed emozioni e, infine, un elemento di architettura urbana che ridona vitalità e colore alle città ingrigite e semidistrutte dal secondo conflitto mondiale.

Tratto da “I manifesti politici dell’Italia repubblicana 1946 1953”, Milano, Provincia di Milano, s.d. (tra il 1999 e 2004).

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ITALIANI, AL VOTO!Manifesti elettorali dal 1945 al 1953

VIGEVANO - Prima Scuderia del Castello2 Giugno - 1 Luglio 2018

Orari: Martedì - Venerdì ore 14 -18 Sabato e festivi ore 10 -19.30

INGRESSO LIBERO

Infopoint Castello tel. [email protected]

Collezione Maurizio Cavalloni (FOTO CROCE)

Coordinamento generale:Tiziana Libè

Ufficio Stampa:CLP - Milano

Comunicazione:Stefania Rebecchi

Allestimento:Studio E TRE, Piacenza

Mostra promossa da

Presidente:Massimo Toscani

Consiglio di Amministrazione: Cesare Betti, Giovanni Calza, Alberto Dosi

Franco Egalini, Carlo Ghisoni, Ileana Maestroni, Giorgio Milani, Roberto Rovero

Commissione Attività Istituzionale Vigevano: Ileana Maestroni, Angelo Grungo, Paolo Claudio Giacobbe, Gemma Zanoletti, Caterina Cornalba

In collaborazione con:

Comune di Vigevano

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VIGEVANO (PV) 

SCUDERIE DEL CASTELLO SFORZESCO 

DAL 2 GIUGNO AL 1° LUGLIO 2018 

I MANIFESTI ELETTORIALI ITALIANI 

DAL 1945 AL 1953  

L’esposizione presenta i materiali provenienti dalla Collezione Maurizio Cavalloni 

(FOTO CROCE) di Piacenza. 

 

 

 

Dal  2  giugno  al  1°  luglio  2018,  le  Scuderie  del  Castello  Sforzesco  di  Vigevano  (PV)  ospitano 

un’esposizione  che  presenta  130  manifesti  elettorali  italiani,  provenienti  dalla  Collezione 

Maurizio  Cavalloni  (FOTO  CROCE)  di  Piacenza,  che  coprono  un  arco  cronologico  che  dal  1945 

giunge fino al 1953. 

La mostra, dal titolo  Italiani, al voto!, curata da Maurizio Cavalloni, promossa e organizzata dalla 

Fondazione  di  Piacenza  e  Vigevano,  in  collaborazione  con  il  Comune  di  Vigevano,  ripercorre  un 

periodo  storico  decisivo  per  la  formazione  della  Repubblica  Italiana,  ovvero  quello 

immediatamente  successivo  alla  fine  della  seconda  guerra mondiale;  otto  anni  che  hanno  visto 

dapprima  lo  svolgersi  del  referendum  istituzionale  su Monarchia‐Repubblica  del  1946,  quindi  le 

elezioni politiche del 1948 e le amministrative del 1951, e infine la seconda tornata elettorale del 

1953. 

“La Fondazione di Piacenza e Vigevano ‐ ricorda il suo presidente, Massimo Toscani ‐ è ben lieta di 

promuovere questa mostra di manifesti politici della Collezione Maurizio Cavalloni  che presenta 

un  patrimonio  iconografico  di  grande  importanza  e  di  notevole  valore  didattico.  Le  opere  qui 

esposte  precedono  la  nascita  e  ripercorrono  i  primi  passi  della  nostra  Repubblica.  Una  storia 

scritta  sui muri,  fatta di disegni,  illustrazioni,  slogan,  forse un po’  lontani dalla nostra  sensibilità 

attuale, ma che dimostrano la passione e la dialettica che sta alla base della nostra democrazia”. 

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“Non è un caso ‐ conclude Massimo Toscani ‐  l’aver scelto di aprire questa rassegna  in una data 

fortemente simbolica: il 2 giugno, in cui viene celebrata la Festa della Repubblica italiana e che, nel 

1946, ne aveva sancito la nascita”.  

La  rassegna si presta a diversi  livelli di  lettura a  seconda che si  voglia approfondire  l’argomento 

storico, quello artistico o quello delle strategie comunicative. 

I  manifesti  murali,  infatti,  assolvevano  il  compito  di  veicolare  i  messaggi  politici  ed  elettorali, 

meglio di quanto faceva  la radio,  il cui spazio dedicato alla politica andò quasi  fino a scomparire 

nel biennio ’46‐’48, dei giornali che venivano letti da una minoranza e della televisione che iniziò la 

prima trasmissione di propaganda elettorale solo nel 1960, con ‘Tribuna politica’. 

Molto  ricca  è  la  sezione  dedicata  alle  elezioni  del  1948,  dove  si  assistette  a  uno  scontro  tra  la 

Democrazia Cristiana e il Fronte Democratico Popolare per la costituzione del governo del primo 

parlamento repubblicano e in cui le forze in campo fronteggiavano due visioni opposte del mondo: 

da  un  lato  De  Gasperi,  gli  Stati  Uniti,  la  Chiesa  e  il  capitalismo,  dall’altro  Togliatti  e  Nenni  con 

l’URSS e il comunismo. 

Da  un  punto  di  vista  formale,  la  DC  preferiva  un  uso  più  intenso  d’immagini  rispetto  al  testo, 

spesso  riassunto  in  uno  slogan  di  poche  parole,  come  il  manifesto  che  presenta  un  soldato 

sovietico con il coltello in bocca che sovrasta una scritta minacciosa “È lui che aspettate?”; d’altro 

canto,  il  Fronte  Popolare  mirava  a  stimolare  più  l’aspetto  razionale  dell’elettorato,  con  un 

materiale propagandistico più ricco di parole che d’immagini, utilizzando come simbolo, il volto di 

Garibaldi su una stella rossa. 

Accompagna la mostra, una guida con un testo di Linda Barlassina. 

Vigevano (PV), maggio 2018 

 

ITALIANI, AL VOTO! Manifesti elettorali dal 1945 al 1953 Vigevano (PV), Prima Scuderia del Castello Sforzesco (piazza Ducale) 2 giugno ‐ 1° luglio 2018  Orari:   martedì‐venerdì, 14.00‐18.00   sabato e festivi, 10.00‐19.30  Ingresso libero  Informazioni: Infopoint Castello: tel. 0381.691636 [email protected]  Ufficio stampa CLP Relazioni Pubbliche  Anna Defrancesco, tel. 02 36 755 700 [email protected]; www.clp1968.it  Comunicato stampa e immagini su www.clp1968.it