Via da Chernobyl

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NELLE TERRE DI CHERNOBYL

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A 27 anni dal disastro nucleare migliaia di famiglie convivono con livelli di radioattività incompatibili con la salute. Senza nessun futuro. Portiamole via da lì! Firma la petizione: www.change.org/viadachernobyl

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NELLE TERRE DI CHERNOBYL

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Questo cartello si trova in Bielorussia, lungo la strada che da Braghin porta a Chernobyl.

Indica che da qui inizia la zona morta: l’area compresa entro 30 km dalla centrale nucleare,

Nella quale, dopo l’incidente del 26 aprile 1986, non si può (non si potrebbe) più vivere.

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Ancora oggi, però, 5 milioni di persone tra Ucraina, Russia e Bielorussia (la nazione più colpita dal

fall-out radioattivo: la centrale nucleare di Chernobyl – simbolo radioattivo - si trova in Ucraina a soli 7 km dal confine)

continuano a vivere in aree con livelli di radioattività pericolosi per la salute (sopra 1 curie/km 2). In alcune zone,

dove vivono centinaia di migliaia di bambini, questo livello viene superato anche di 50 volte.

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Nella piazza di Braghin, città fortemente contaminata nonostante si trovi a circa 40km dal Chernobyl, c’è un

monumento: al centro, il busto in memoria di uno dei liquidatori, gli uomini che sono intervenuti sulla centrale subito dopo

l’incidente. Intorno, delle lapidi: ricordano le città dichiarate ‘morte’ dal governo a causa delle radiazioni.

Ma quelle città si stanno ripopolando. E le istituzioni, governo e comunità internazionale, fingono di non accorgersene.

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Per entrare nella zona morta serve un permesso rilasciato dal governo. In quell’area i livelli di Cesio137

(elemento radioattivo che si fissa nei muscoli scheletrici, nel fegato, nel cuore) e di Stronzio90

(che si fissa nelle ossa, con conseguenze sul sistema immunitario provocando leucemie) sono drammatici.

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Il villaggio di Gden si trova a 15 km da Chernobyl. In piena zona morta.

Nonostante questo, ci abitano 250 persone, di cui 25 tra bambini e bambine.

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Qui le falde acquifere sono altamente radioattive. L’aria è contaminata perché l’aratura dei terreni solleva

le polveri radioattive piovute dalla centrale. Come pure contaminati sono i prodotti della terra,

soprattutto funghi e frutti di bosco. Che arrivano anche sulle nostre tavole.

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Nella zona morta è frequente trovare tronchi accatastati al bordo delle strade.

Viene il sospetto che vengano venduti, anche all’estero: come legname o trasformati in pellet.

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Gli abitanti di Gden vivono in condizioni miserabili, abbandonati a se stessi, privi di servizi.

Bevendo acqua radioattiva. E mangiando ogni giorno prodotti agricoli contaminati.

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Slava è uno dei bimbi di Gden. Ha 6 anni, dorme in una cuccia scavata nel muro a 2 metri d’altezza, mangia patate

contaminate. Vive con la nonna e uno zio poco più che ventenne, spesso ubriaco (l’alcool è un dramma aggiuntivo in

questa terra dimenticata). Da quando è nato ha visto morire, per tumore o suicidio, il padre, il nonno e due zii.

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Slava non è il solo. I bambini che ancora vivono in queste zone sono purtroppo tantissimi. Qui le radiazione superano

i 40 curie/km2 (il limite tollerabile è di 1). Lasciarli lì è inaccettabile. Legambiente ha lanciato una petizione

alla comunità internazionale: dopo 27 anni è ora di smetterla di fare finta che loro non esistano.

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Il problema del cibo è gravissimo e urgente anche fuori dalla zona morta, nei villaggi e nelle città dove si mangiano

frutta e verdura cresciute in terreni contaminati. Per questo a Vishevno, paese non lontano dalle aree interdette,

sono state costruite, grazie anche a Legambiente, due serre per coltivare ortaggi non contaminati.

Altre come queste dovrebbero essere costruite in tutte le zone radioattive della Bielorussia.

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L’Italia può fare tanto per queste persone. A Gomel, 100 km dalla zona morta, a dicembre 2005 nell’ospedale

è stato inaugurato il reparto di terapia intensiva pediatrica. Prima i bambini bisognosi di una assistenza

così particolare dovevano essere ricoverati con gli adulti, con il rischio di infezioni e complicazioni mortali.

Questa targa è un ringraziamento per tutti i soggetti che hanno reso possibile l’apertura del reparto.

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Si chiama Speranza. È il centro ecosostenibile che si trova tra i boschi di Vileijka, vicino a Minsk, in una zona

non contaminata dal fall-out di Chernobyl. Ogni anno ospita 4560 bambini che vivono in zone radioattive:

un modo per tenere sotto controllo la loro salute e fornire, con l’appoggio dell’ospedale di Minsk, cure adeguate.

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Il Centro Speranza è composto da 24 edifici e ha una mensa di 180 posti.

A finanziarlo sono 21 fondazioni di 9 paesi, tra cui, per l’Italia, Legambiente. Qui i piccoli ospiti giocano felici nel bosco,

mangiano cibo sano, frequentano laboratori e vengono visitati da medici specializzati.

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Anche nel 2013 Legambiente, grazie al progetto Rugiada, permette a 96 bambini provenienti dalle

zone più contaminate della Bielorussia, di essere ospitati e visitati nel Centro Speranza.

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Legambiente nel dicembre 2012 ha visitato le aree contaminate della Bielorussia.

Abbiamo incontrato le persone che, nonostante le radiazioni, le abitano. Abbiamo visto il dramma in cui vivono.

Non si può più fare finta di niente, dopo 27 anni. Bisogna portare via di lì quei bambini.

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Sostieni l’appello di Legambiente

alla Commissione Europea

per salvare i bambini di Chernobyl

www.change.org/viadaChernobyl

Per informazioni

Legambiente Solidarietà Località Enaoli, 58100 Rispescia (Gr)

Tel 0564/48771 Fax 0564/487740

www.solidarietalegambiente.org

www.festambiente.it

[email protected]