Verità e giustizia

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La newsletter di liberainformazione n.30 verità e giustizia 15 maggio 2009 DIRITTI NEGATI

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La newsletter di Liberainformazione

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La newsletter di liberainformazione

n.30

veritàegiustizia15 maggio 2009

DIRITTI NEGATI

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“Esiste il rischio che le or-ganizzazioni di stampo mafioso possano appro-fittare dell’attuale crisi

per acquisire il controllo di aziende in difficoltà, con un’invasiva presenza in tut-te le regioni del Paese”. L’allarme è stato lanciato da Giorgio Napolitano, nel corso della festa della polizia. Un allarme che è insieme un richiamo, il più autorevole fi-nora giunto dalle massime autorità della Repubblica, contro la colpevole sottova-lutazione di un fenomeno che si è finora diffuso nel silenzio di chi a livello politico pur rappresenta gli interessi nazionali e nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Perché in realtà le mafie sono già forte-mente radicate in tutti i territori, fonden-dosi attraverso il riciclaggio in ogni ramo dell’economia e della finanza cosiddetta “legale” e oltretutto dilagando in Europa.

Il richiamo del capo dello Stato è stato subito raccolto dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, dal Presidente di Assoindustria Sicilia, Lo Bello e dai ma-gistrati impegnati in prima linea, che nel rapporto annuale della DNA hanno già documentato quanto sia grande il rischio di un’ulteriore espansione degli interessi criminali di fronte alla devastante crisi economica. “Tutto autorizza a ritenere – scrive nella relazione il PM Alberto Ci-sterna – che l’attuale crisi finanziaria ed economica, destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi, possa rappresentare una ghiotta occasione per l’arricchimento delle mafie”. La previsione si fonda sulle crescenti difficoltà in cui versano tante imprese, sulla pressoché illimitata dispo-nibilità di denaro liquido frutto dei traf-fici di droga, che non conoscono ostacoli anche nei periodi di recessione e insieme sulla contestuale difficoltà delle banche a

concedere mutui e prestiti a imprese e a privati.

Ed è nelle fasi di emergenza che lo Stato interviene con massicci sostegni pubbli-ci, che alimentano conseguentemente gli appetiti mafiosi, favoriti – sono parole della relazione della DNA – “nel sistema di potere economico e politico”. Ciò si-gnifica oltre tutto per molti commercianti e piccoli o medi imprenditori l’allargarsi parallelo della porta d’ingresso dell’usura, che diviene presto per chi vi entra una in-fernale via senza uscita, se non a costo di subire prima o poi il ricatto mafioso fino alla cessione obbligata dell’impresa o del negozio.

Un richiamo, dunque, di straordinaria portata, ma che non ha avuto la eco e le risposte che meritava. Dopo la striminzita cronaca di un giorno, il sistema dei media ha taciuto o non ha approfondito l’analisi, con pochissime eccezioni, immerso piut-tosto nella infinita “querelle”, pur densa di significati, fra i coniugi Berlusconi.

Né vi è stata reazione da parte del premier e del suo governo, tesi invece attraverso il

disegno di legge sulla sicurezza a rassicu-rare un’opinione pubblica spaventata per la precarietà del presente e l’incertezza del futuro, cercandone il consenso elettorale attraverso i feticci del blocco dell’immi-grazione “clandestina”, del consolidarsi di misure repressive nei confronti di chi, spinto dalla fame e dalle persecuzioni, arriva in Italia dopo mille peripezie e a rischio di perdere la vita in mare, della grottesca regolarizzazione delle ronde cittadine. Un obiettivo di immagine e di populismo cieco, ben concentrato nella definizione berlusconiana di una Italia che non deve diventare “multietnica”. Una definizione profondamente errata che con-traddice insieme la realtà già consolidata, come la convenienza economica e sociale della crescita del Paese, ponendosi fuori del contesto globale ed europeo dei paesi sviluppati, fino a incoraggiare moralmen-te l’estendersi del razzismo, della xenofo-bia, dell’intolleranza verso il “diverso”.

E’ doppiamente ripugnante e inaccettabile che le barche dei disperati siano costrette dal ministro Maroni a respingere verso di-sumane condizioni di vita e in molti casi verso torture e morte centinaia di uomini, donne, bambini, che sperano solo in un asilo e in un futuro vivibile, mentre signo-ri in colletto bianco si impadroniscono in-disturbati dei gangli vitali dello sviluppo e della democrazia del Paese nell’indiffe-renza generale, ma con non poche compli-cità proprio da parte del sistema di potere che si dice geloso custode della sicurezza nazionale.

Fino a suscitare anche le proteste della Conferenza Episcopale, forse sensibile alla vistosa contraddizione di un gover-no italiano che si dice vicino all’insegna-mento e ai dettami della Chiesa, mentre

L’AnalisiL’EDITORIALE di Roberto Morrione

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infrange ogni giorno basilari precetti di umanità e di solidarietà cristiana, proprio nel momento in cui il Papa porta in Medio Oriente e nel mondo islamico quel con-cetto di “multietnicità” e di dialogo invece negato dal demiurgo italiano…

E fra gli enormi problemi sollevati dal ri-chiamo del capo dello Stato, balza in pri-mo piano il rischio incombente delle infil-trazioni mafiose nella ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo.

Se valutiamo che il fatturato complessivo delle mafie – secondo prudenziali calcoli Eurispes – si aggira in non meno di 130 miliardi di euro e che ammontano ad al-meno 44 miliardi di euro i fatturati della sola ‘ndrangheta calabrese, la ricostru-zione dell’aquilano terremotato, con un decreto dalle cifre ancora assurdamente variabili, ma che non supera gli 8,5 miliar-di di euro, risulta pericolosamente espo-sta, come un boccone prelibato, piccolo quanto appetibile. Sono soprattutto i su-bappalti, previsti dal decreto fino al 50 % della categoria in questione, in deroga alla normativa generale degli appalti pubblici che prevede un tetto massimo del 30%, a rappresentare il campo più esposto, consi-derando che il movimento terra e il mat-tone costituiscono uno dei terreni battuti dovunque da camorra e ‘ndrangheta.

Il controllo da parte del pool di magistrati costituito dalla DNA di Grasso, ma ancor più la vigilanza dei sindaci e delle ammi-nistrazioni, a loro volta tallonate dai comi-tati e dalle associazioni a cui cominciano ad appoggiarsi le popolazioni colpite, sarà decisivo. Purchè il governo mantenga gli impegni così vistosamente presi e non si limiti al teatrino fra le rovine dell’Aquila al quale hanno finora dato vita il premier e la successiva processione di potenti, di-straendo magari l’opinione pubblica con l’improbabile impresa organizzativa del G 8.

Noi, per quello che possiamo fare, stare-mo molto attenti, ma ciascuno, per la sua parte di responsabilità, non dimentichi il monito del Presidente della Repubblica.

Tra qualche settimana milioni di italiani si recheranno alle urne per rinnovare i loro con-sigli comunali e provinciali.

In vista di questo importante appunta-mento della democrazia italiana, Avvi-so Pubblico insieme al Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, alla Tavola della pace, a Libera, Strada Facendo, Gruppo Abele, Cnca ha redatto un documento intitolato “Costruiamo la città dei diritti umani”, che è stato presentato ufficialmente in una conferenza stampa a Roma lo scor-so 7 maggio.

“Per uscire dalla crisi bisogna ripartire dalle città” è l’incipit del documento, che prosegue affermando che “è nelle città che possiamo trovare gli strumenti per affrontare insieme le difficoltà del nostro tempo e coltivare la speranza in una vita migliore per tutti”.

Avviso Pubblico e le altre associazioni proponenti il documento chiedono a tut-ti i candidati alle prossime elezioni am-ministrative di porre al centro della loro azione politica le persone che vivono nella città, anche temporaneamente, di considerare i loro bisogni fondamentali, di promuovere e salvaguardare l’interes-se generale della comunità, di mettere in pratica i principi contenuti nella Costi-tuzione italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tutto questo richiede capacità e disponibilità all’ascolto, la promozione di una cultura della partecipazione, della responsabili-tà e della trasparenza, il contrasto deter-

Il punto di Pierpaolo Romani

minato a qualsiasi forma di illegalità, alla corruzione, all’infiltrazione mafiosa nella politica e nella pubblica ammini-strazione.

Esempi di questo modo di intendere la politica e l’amministrazione di una co-munità in Italia non mancano, anche se spesso non fanno notizia. Vediamone alcuni. Il Comune di Polistena (Rc) ha deliberato di costituirsi parte civile in tutti i procedimenti per mafia, estorsio-ne ed usura accaduti sul suo territorio e sta mettendo in atto una politica di mi-crocredito per contrastare la diffusione del fenomeno usuraio. Il Comune di Gela ha favorito la nascita dell’associa-zionismo antiracket ed ha redatto uno specifico regolamento per contrastare l’infiltrazione mafiosa nel sistema degli appalti pubblici. Il Comune di Lamezia Terme (Cz) ha approvato un regola-mento che prevede l’esenzione dal pa-gamento delle tasse comunali per dieci anni per tutti coloro che denunceranno episodi di estorsione ed usura. I Comuni di Niscemi (Cl) e Follonica (Gr) hanno siglato un patto di amicizia e legalità che prevede tra l’altro lo scambio di buone prassi amministrative e gemellaggi tra giovani delle scuole. Il Comune di Gal-liera (Fe), infine, il 30 aprile scorso ha conferito la cittadinanza onoraria a tutti i giovani presidenti delle cooperative del circuito Libera-Terra. Sono esempi di una politica responsabile, forte, coe-rente, quella per cui altri amministratori come Pio La Torre, Renata Fonte, Mar-cello Torre, hanno pagato con la loro vita. Non dimentichiamolo.

Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico

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Viviamo in un paese in cui c’è

un solo editore di riferimento, e

chi non lavora p er quell’editore

pensa che lo farà molto presto

Il Ddl Sicurezza è senz’altro il mani-festo del nuovo atteggiamento del Governo rispetto alle politiche sui migranti e intanto in diverse parti

d’Italia alcuni Sindaci assumono atteg-giamenti di esclusione nei confronti de-gli stranieri regolari e non. Intanto, alla data dell’11 maggio sono giunti in Libia, tra Twescha, a 35 chilometri da Tripoli e nel la stessa Capitale, ben 389 migranti e in questi giorni circa 70 hanno lanciato l’SOS da un barcone e si aggiungeranno, con ogni probabilità, all’elenco della ver-gogna. Abbiamo chiesto a Moni Ovadia, artista e compositore, nonché uno dei più pres-tigiosi e popolari uomini di cultura della scena italiana, se ritiene inevitabile ques-ta deriva xenofoba.

Sulle politiche d’immigrazione, il Capo del Governo afferma che “La sinistra era ed è quella di un’Italia multietnica: la nostra idea non è così” e poi dichiara “noi siamo contro la xenofobia”. Ma l’Italia non è già un Paese Multietnico?

L’Italia è guidata da un governo reazion-

ario e populista che mira a seminare pani-co e demagogia, che segue le logiche della vecchia ditta-tura reazionaria, quelle che mirano non a governare ma a dominare senza controlli. Emana le leggi razziali di chi comanda senza Parlamento. È una vecchia storia che puzza di marcio.La xenofobia è una logica che si ripete, il loro atteggiamento è comprensibile per-ché questi esponenti di governo vengono dal fascismo. Finché ci saranno loro sarà inevitabile. Anche Fini l’ha capito che se si vuole garantire il futuro bisogna prendere le distanze da loro. Ma non è inevitabile, quando finirà l’ubriacatura di quest’epoca verranno inghiottiti dalla spaz-zatura della storia.Il panorama di oggi lo vedo malaccio. Ma sono un uomo lungi-mirante, essendo di cultura ebraica posso vedere indietro anche di 4000 anni e sono sicuro che di Berlusconi non rimarrà nul-la. È solo un ego ipertrofico con il parruc-chino.

Loro sono il passato che ritorna e ci riescono perché si trovano davanti un’opposizione pavida. Senza Berlusconi il centro destra non rimarrebbe al governo nemmeno un gior-no in più, perché è legato ad un uomo, ol-tretutto privo di cultura. Quanto sta accadendo con i respingimenti è un atto indecente di malvagità mentale. Chi respinge è prima di tutto un uomo che non ha sentimenti di umanità.

Abbiamo visto diverse reazioni negli ultimi giorni. L’Onu, la CEI, il mondo

delle associazioni e lo stesso Fini ha preso le distanze dalla lin-ea leghista del Presi-dente del Consiglio. Anche l’opposizione si è lanciata in un fiume di dichiaraz-ioni, inneggiando al razzismo ed inveendo

contro questo Governo. Bastano queste reazioni per fare un’opposizione?

Le reazioni non bastano a fare una vera opposizione, bisogna prepararsi alle elezi-

Il passato che ritornaMONI OVADIAintervista a

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oni con lo spirito di costruire una vera al-ternativa attraverso un’opposizione ferma. Deve vincere la logica per cui bisogna cu-rare il sintomo per prevenire la malattia.Bisogna criticare quelli che dialogano con questi metodi di governo, è necessaria un’opposizione senza quartiere in ogni momento. Finché questo governo non ver-rà cacciato saremo costretti ad aspettare che arrivi la loro sconfitta epocale.La speranza è Barack Obama. Noi siamo in controtendenza e andiamo verso la ver-gogna. I nostri politici dovrebbero essere determinati e dire basta alla retorica e al politichese per dire le cose come stanno e cioè che siamo governati da gente mal-vagia.

Bene, il disegno politico di governo è fin troppo chiaro. Ma gli italiani, per come li hai conosciuti tu, sono consapevoli di vivere in un paese multietnico? Come trovi gli italiani?

C’è una vasta parte di italiani che non con-osce la cultura istituzionale del paese. Se la gente fosse colta e preparata non avreb-be mai scelto Berlusconi. Al tempo del governo D’Alema, quando chiesi a un mio

amico quali fossero le azioni di governo che non lo convincevano, mi rispose che non sopportava i suoi baffetti. È questa la cultura politica degli italiani in questa fase, perché nessuno ha provveduto alla loro educazione istituzionale. Uno Stato dovrebbe obbligare la gente a diventare cittadini, in Italia c’è un vizio di forma della democrazia: il voto è uguale, segreto e libero ma non è consapev-ole. Sarebbe fondamentale un rilancio dell’educazione e della scuola pubblica, la materia più importante dovrebbe essere lo studio della Costituzione e della Carta dei Diritti Universali dell’Uomo.Se tu educhi, ne seguirà che chi ha stu-diato avrà nelle fibre la Costituzione e il Diritto Universale e nessuno potrà rac-contargli quello che oggi ci racconta Ber-lusconi. Altrimenti lo Stato, se non educa, distribuisce appalti, corruzione e tangenti..C’è quindi un problema dell’Informazione nel nostro Paese?

Se parliamo delle responsabilità dell’informazione dobbiamo pensare che viviamo in un paese in cui c’è un solo editore di riferimento, e chi non lavora

per quell’editore pensa che lo farà molto presto. A queste condizioni i coraggiosi si riducono enormemente perché la gente ha famiglia e ha bisogno di lavorare. In un paese anglosassone le cose andrebbero di sicuro diversamente e questa situazione non avrebbe lunga vita. Basterebbe che tutte le televisioni trasmettessero in prima serata, ogni sera, informazione sulle leggi nazionali e internazionali. Che svolgesse-ro un ruolo di formazione e informazione sui nostri valori etici, politici e sociali di riferimento.

La scena odierna lascia indubbiamente disorientati. Moni Ovadia, se incon-trasse oggi “la ragazza dalle guance di pesca e d’aurora”, cosa si sentirebbe di dirle, cosa c’è oggi “Oltre il Ponte”?

Oltre il ponte c’è un futuro, questo futuro è pieno di luce e la luce va tirata fuori spazzando via le tenebre. Abbiamo con-osciuto periodi peggiori come il fascismo e ne siamo comunque venuti fuori.

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Sicilia

CINISI RICORDA PEPPINO IMPASTATOA trentuno anni dall’omicidio del giovane

militante di sinistra, ucciso dalla mafia per il suo impegno civile, si è celebrato a Cinisi il Forum socia-le antimafia con l’obiettivo di rafforzare il fronte della

lotta alla criminalità organizzata. Molti i temi d’attualità affrontati nelle quattro giornate della manifestazione,

che ha visto anche la presentazione di due testi che attraverso linguaggi diversi restituiscono la

cifra dell’impegno di Impastato.

Dai territori

Calabria

I CALABRIA, SCOPERTO UN AR-SENALE NELLA PIANA DI GIOIA TAURO

Un’operazione della Polizia di Stato ha consentito, lo scorso 13 maggio, l’arresto di

due persone e la scoperta di un deposito di armi, nascoste in un fondo agricolo nei pressi di Gioa Tauro. Secondo gli inquirenti, il sequestro dell’ar-

senale potrebbe aver sventato il rischio di una ripresa dello scontro fra le cosche Piromalli e Mole’, il cui conflitto apre una stagione crimi-

nale in Calabria.

Lombardia

ECOMAFIE PER L’EXPO Il rapporto annuale di Legambiente sulle

ecomafie e un’inchiesta condotta da Rainews24 hanno messo in luce la presenza in territorio lom-bardo di un consistente traffico illecito di rifuti e di un forte interesse delle aziende a dotarsi di rapidi e poco costosi impianti di smaltimento. Su questo

fanno leva alcune cosche, pronte a inserirsi negli appalti pubblici in vista dell’Expo del

2015, che potrebbe trasformarsi in un affare colossale per la ‘ndrangheta

che opera a Milano.

Campania

L’AGRO CAMPANO DEVASTATO DALL’ABUSIVISMO EDILIZIO

Un tempo oasi del pomodoro San Marzano, l’Agro sarnese-nocerino è oggi un territorio

stravolto dallo sregolato sviluppo industriale degli anni Cinquanta e Sessanta che ne ha

compromesso l’assetto idrogeologico. La pro-vincia di Salerno è al primo posto in Italia per i reati ambientali, ma solo raramente le indagini

si concludono con le demolizioni degli edi-fici abusivi, complici gli interessi della

criminalità organizzata nella spe-culazione del cemento.

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Internazionale

La crisi economica, sviluppatasi in tutta la sua virulenza sul finire del 2008, è nata dal fallimento di un sistema finanziario totalmente

deregolamentato. La gravità della crisi ri-sulta dalle ripercussioni di transazioni finan-ziarie speculative sull’economia reale, dan-neggiandola pesantemente. “Hedge funds”, “private equity”, “investment bank”, “mer-chant bank”, e tutta una variante di opera-zioni finanziarie deregolamentate, hanno causato il collasso del sistema finanziario con conseguenze durissime sul sistema eco-nomico. Il passaggio da una crisi “virtuale”, che ha intaccato la finanza, ad una crisi “re-ale”, che ha colpito l’economia, è evidenzi-ato dal fallimento di grandi gruppi bancari, dalla mancanza di liquidità e dal succes-sivo tracollo di grandi gruppi industriali,

con ripercussioni sull’occupazione e sulla stabilità sociale. Nel tentativo di bloccare l’emorragia, i vari governi stanno cercando soluzioni rapide e il più possibile “indolori”.

L’ultimo G20, svoltosi i primi di aprile a Londra, ha deciso di attaccare frontalmente i paradisi fiscali e i centri finanziari off-shore, nel tentativo di intercettare l’enorme flusso di denaro che “evade” le tassazioni dei singoli paesi. Alcuni governi, tra cui il nostro, stanno studiando una normativa per il rientro dei capitali in patria, il cosiddetto scudo fiscale. Misure, queste, che puntano ad intercettare soldi liquidi da iniettare nel sistema economico. Tuttavia esistono delle considerazioni che devono essere affrontate nel merito per evitare conseguenze spaven-tosamente rovinose. Nei paradisi fiscali e

nei centri finanziari off-shore si calcola che transita il 50% dei flussi finanziari globali, una cifra pari a 10.000 miliardi di dollari, di cui due terzi derivanti dall’evasione fiscale, il 31% da traffici illeciti, ed il restante dalla corruzione. In questi centri, dunque, si tro-vano soldi “sporchi”, talmente sporchi che si può parlare di inversione dell’onere della prova per i capitali che vi sono depositati: per definizione possono essere definiti frutto di illeciti fino a prova contraria. Inoltre, va ricordato che evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco sono due fenomeni intrin-secamente connessi. Riciclaggio ed eva-sione, infatti, nascondono sia la fonte che l’ammontare di profitti illecitamente acquis-iti. Quindi, se diamo per pacifica la natura criminale dei capitali presenti nei paradisi fiscali e nei centri off-shore, perché prove-nienti da attività di riciclaggio, evasione e corruzione, sarebbe auspicabile un’azione di controllo, sanzione e sequestro da parte delle autorità giudiziarie. L’abolizione dei paradisi fiscali, e la conseguente scomparsa delle stringenti norme sul segreto bancario, renderebbero tracciabili i profitti illeciti e sanzionabili i capitali evasi al fisco.

L’ipotesi dello scudo fiscale, già attuato in Italia dal secondo governo Berlusconi, renderebbe irrintracciabile la provenienza illecita dei capitali evasi, favorendone il rientro per il tramite di agevolazioni fiscali allettanti. Lo scudo rischierebbe, in questo modo, di far rientrare in Italia un’enorme quantità di denaro di provenienza ignota capace di influenzare considerevoli settori dell’economia del nostro paese. In base ai dati del Ministero dell’economia si calcola che il patrimonio espatriato dall’Italia sia di 600 miliardi di euro, e che con lo scudo fiscale possa rientrare una somma pari a 60 miliardi di euro da tassare con un’aliquota del 7 o 8%, con entrate per l’erario statale tra i 2 ed i 4 miliardi di euro. Quindi si ri-verserebbe sul mercato un flusso di 56 o 58 miliardi di euro frutto, lo ricordiamo, di attività di evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e corruzione. Si aprirebbe la porta all’invasione dell’economia legale da parte dei gruppi criminali, primi fra tutti le mafie. Non era proprio questa la preoccu-pazione del Capo dello Stato nel suo monito sulla possibilità delle mafie di approfittare della crisi per rafforzarsi? Non va in questa direzione l’allarme lanciato da Sos Impresa nel rapporto sulle mani della criminalità sulle imprese?

Tempi di crisi?Non per le mafie

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Succede così che proprio a Fondi si stia combattendo una guerra per molti aspetti simile a quella

di Secondigliano, ma dietro la quale si muovono interessi

incomparabilmente più grandi

Spiragli di apertura nel contrasto ai narcosIn Usa il prezzo della coca continua a scendere

a un allargamento del raggio d’azione dei clan casalesi, sarebbe un pensiero tutto sommato rassicurante. Il Lazio è la patria d’adozione di Enea, la regio-ne che ospita la Capitale, non il terre-no d’incubazione di un’organizzazione criminale ramificata e capace di inva-dere tutti i settori dell’economia, forte di appoggi politici non più qualificabili come ‘concorso esterno’ e con l’obiet-tivo di mettere le mani su Roma. Così può essere somma-riamente descritta la Quinta Mafia, forse meno sanguinaria di altre, ma certo altret-tanto ambiziosa.

A fare gola agli im-prenditori e ai politici che compongono questa potente associazione è in primo luogo la Capitale, paradiso della specu-lazione edilizia e piazza storica del nar-cotraffico, il luogo dove si decidono le sorti del Paese. Ma la strada per Roma è costellata di tappe intermedie: il lito-rale pontino, da assicurarsi attraverso la cotruzione di strutture alberghiere e

C’è una criminalità ricono-sciuta, oggetto di cronaca, nominata come tale; c’è la camorra campana, la ‘ndran-

gheta calabrese, la mafia siciliana. E poi c’è una realtà senza nome che ha ormai in mano il controllo di un ter-ritorio intorno al quale ruota un giro d’affari vertginoso; un’organizzazione che gestisce direttamente il ciclo del cemento e dei rifiuti, che decide l’as-segnazione degli appalti senza indire apposite gare; che brucia, minaccia e spara. Ma che soprattutto gode di un privilegio assoluto: il silenzio.

La Quinta Mafia laziale, infatti, pur essendo un fenomeno con caratteri-stiche estremamente delineate che ne disegnano la specificità all’interno del panorama criminale, continua a vede-re misconosciuta la propria autonomia. Si preferisce continuare a parlare di generiche infiltrazioni, quasi inevita-bili vista la prossimità del Sud pontino alle terre di camorra. Perché se anche Nettuno, Fondi, Formia o Latina fos-sero teatro di episodi come quelle rac-contati in Gomorra, attribuirli soltanto

il conseguente controllo del settore del turismo; e poi Fondi, sede del secondo mercato ortofrutticolo d’Italia, quello che ha il monopolio su alcuni prodot-ti, gestisce le importazioni di frutta dal Sudamerica e rifornisce i mercati gene-rali romani, con un bacino d’utenza di quatto milioni di persone. Non solo, ma la zona della piana fondana è di strate-gica rilevanza anche per l’edilizia vi-

sta la presenza delle cave di breccia, ma-teriale impiegato – insieme alla sabbia – nella composizione del cemento. Succe-de così che proprio a Fondi si stia combat-tendo una guerra per molti aspetti simile

a quella di Secondigliano, ma dietro la quale si muovono interessi incompa-rabilmente più grandi. L’escalation di violenze che ha fatto registrare qualco-sa come cinque incendi dolosi in poco più di una settimana è indice del fatto che la situazione è ormai fuori control-lo: approfittando dell’incertezza per uno scioglimento del Consiglio Comu-

Dossier Lazio

Fondistoria di una guerra annunciata

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Un’organizzazione criminale autoctona, non importata, che

è talmente potente da non aver più bisogno di ricorrere alle

alleanze con la politica perché in grado di scendere in campo

direttamente con la candidatura di suoi esponenti

nale che non arriva, i clan stanno dan-do vita a uno scontro per il controllo del territorio. A fronte di questo stato di cose, il Consiglio dei Ministri riuni-tosi lo scorso 5 maggio ha preso una posizione molto chiara, optando per la non-decisione in merito allo scio-glimento del Comune di Fondi, la cui richiesta era stata avanzata più di otto mesi fa, corredata da una dettagliata rela-zione del Prefetto di Latina Frattasi che illustrava le com-provate infiltrazioni mafiose in seno al Consiglio. Perché? Che senso ha rifiu-tarsi di adottare un provvedimento che solo potrebbe offri-re un riscontro concreto alla battaglia che la magistratura antimafia sta com-battendo da sola? Le ragioni del silen-zio della politica vanno ricercate in ciò che significherebbe sciogliere il Comu-ne di Fondi. Vale a dire, ammettere che nel Lazio, a una manciata di chilometri da Roma, esiste un’organizzazione cri-minale autoctona, non importata, che

è talmente potente da non aver più bi-sogno di ricorrere alle alleanze con la politica perché in grado di scendere in campo direttamente con la candidatura di suoi esponenti.

È questa la caratteristica che distingue la Quinta Mafia da tutte le altre, que-sta sua spiccata coloritura economica e

politica che è indice dell’avvenuto supe-ramento della fase delle infiltrazioni, iniziata quarant’anni orsono ed esauritasi con il passaggio a un nuovo livello, quello che non necessita di referenti politici per-

ché li elegge, che non versa tangenti perché interviene direttamente nell’as-segnazione degli appalti, che non si serve di giornalisti corrotti perché con-trolla un quotiano, ‘Il Territorio’, dalle cui pagine porta avanti una campagna mediatica contro il Prefetto e i magi-strati che cercano di contrastarla. Il tut-to sullo sfondo di elezioni amministra-tive che non faranno che confermare lo

status quo, senza che nessuna voce si levi a denunciare come la legalità ven-ga sistematicamente calpestata a bene-ficio di quanti hanno interesse a che il controllo di un volume d’affari immen-so resti saldamente nelle loro mani.

Con il silenzio-assenso di una politica che si è autoassolta da qualsiasi respon-sabilità, a Fondi si prepara la guerra. Lo sgombero degli immobili di Ernesto e Angelo Bardellino (rispettivamente fratello e nipote del più celebre Anto-nio, considerato il capostipite del clan dei casalesi e ucciso in Brasile nel 1988 in circostanze rimaste oscure), disposto dall’Agenzia del demanio in seguito alla sentenza della Cassazione, diffi-cilmente non darà luogo alla risposta della criminalità. E allora – come con-ferma il coordinatore di Libera Latina, Antonio Turri – ci si aspetta qualcosa di molto grave. Quel che non possiamo fare a meno di chiederci è se anche di fronte al sangue la politica potrà conti-nuare a chiudere gli occhi e tacere.

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Mafie, banche e riciclaggio. Par-adisi fiscali nati su tanti, ma tanti soldi lasciano da decenni molti interrogativi aperti. A

sollevarli la puntata di Report “Il re è nero” lo scorso 10 maggio. “Le tasse si evadono perchè sono troppo alte o sono troppo alte perchè si evadono?” con questo interroga-tivo la conduttrice di Report Milena Ga-banelli- introduce in studio l’inchiesta di Paolo Mondani che questa settimana è an-data a frugare all’estero pur restando den-tro i confini della penisola, raccontando che fine fanno le imprese italiane, le banche e i soldi “neri” del mercato mafioso quando a due passi da casa nostra le regole che limi-tanto l’ingresso e la circolazione di capitali non identificati, semplicemente cessano di valere. In Italia la legge sul riciclaggio non viene applicata come dovrebbe, è lettera morta da anni, ma c’è. In Europa anche. In mezzo, stretti fra la legalità inter-na dei propri ordinamenti giuridici e l’inadeguatezza internazionale delle leggi sulla trasparenza bancaria, troviamo para-disi fiscali come quello messo in piedi dalla Repubblica di San Marino. L’inchiesta di Report parte da una notizia di cronaca piuttosto silenziata dagli altri media italiani. Il 3 maggio scorso nella tranquilla costiera romagnola, su ordine della procura di Forli, scattano le manette per 5 persone e ben 35 vengono indagate, tutte fanno parte del gruppo Delta e della Repubblica di San Marino. I reati ipotizzati sono associazione a delinquere finalizzata all’attività bancaria e finanziaria - abusiva - in Italia. La banca coinvolta nell’indagine “Delta” è la più antica della Repubblica di San Marino quella - in sostanza - che in questi anni ha deciso e guidato il mer-cato finanziario san marinese. E’ un crack giudiziario ed economico di un sistema e di uno Stato. In Italia la notizia è lasciata a poche righe di agenzia che parlano di riciclaggio, Report ci spiega invece le con-seguenze sull’economia italiana e legale di questo “paradiso nero” a due passi da casa nostra. L’elenco degli arrestati e indagati è di per se il segnale di quanto in alto abbia colpito l’inchiesta della procura di Forlì, all’inteno infatti ci sono i nomi di Gilbelto Ghiotti, presiente della Cassa di Risparmio di San Marino, Paola Stanzani, amminis-tratrice delegata di Delta, Luca Simoni, direttore generale della Cassa di Rispar-mio, Gianluca Ghini, direttore generale di Carfin SA (la finanziaria della Cassa di

Risparmio) e Mario Fantini amministratore delegato della Cassa di Risparmio e presi-dente di Delta.La Delta non è italiana ma è a maggio-ranza sammarinese in questa inchiesta i pm avrebbero scoperto che il movimento di soldi originati in Italia, nazione in cui oper-ava il gruppo Delta (che ha sede a Bologna) vanno a San Marino, poi tramite assegni o contanti tornano in Italia sul conto degli stessi soggetti. Detassati e lavati. Nel gen-naio 2008 un’altra operazione della mag-istratura aveva fatto arrestare presidenti e amministratori i due banche, la Asset di San Marino e la Banca di Credito e Risparmio di Romagna. Anche questa volta banche italiane venivano usate per fare, abusiva-mente, raccolta di denaro fra imprenditori italiani e risparmiatori romagnoli.

Una repubblica di 61 km quadrati per 31 mila abitanti, 12 banche e 59 finanziarie. Questa è San Marino, Stato stretto fra le province di Rimini e Pesaro, isola felice per imprenditori italiani che vogliono fare profitti senza la pressione fiscale vigente in Italia. Paradiso illegale di capitali di indub-bia provenienza. Nella Repubblica di San Marino fra il 1999 e il 2007 il prodotto interno lordo ha avuto una impennata da mercato asiatico - commenta il giornalista di Report. Ci sono 6 mila imprese, in mag-giornaza italiane, e le banche sanmarinesi nell’utlimo anno hanno raccolto sino a 14 miliardi di euro. La magistratura italiana indaga. Le mafie da tempo hanno individuato - come testi-

I media ne parlano

Se il re èNERO

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moniano alcune intercettazioni telefoniche fra boss - questo paradiso fiscale come “lavatrice” silenziosa e quasi franca nella quale ripulire il denaro sporco proveni-ente dalle attività criminali sul territorio italiano. Mentre alcuni anni fa gli stessi vertici del sistema bancario sammarinese non volevano sentir parlare del problema, nell’inchiesta di Report, davanti alle teleca-mere, arrivano le prime ammissioni. “E’ verosimile - dichiara il segretario agli esteri di San Marino, Antonella Mularoni - che denari che non dovevano passare da questo Paese perchè sono denari che provengono dalla malavita organizzata, abbiano invece trovato questo paese come transito, anche per fare investimenti di vario tipo”. Inves-timenti di “vario tipo” favoriti dalla man-canza di regole che limitino come accade in

Italia il segreto bancario, che consentano la trasparenza delle aziende negli appalti pubblici come avviene in Italia con il certificato antimafia, e che permettano in sostanza di rintracciare la provenienza e la destinazione del denaro. Come scatole cinesi invece imprese ital-iane da anni contengono al loro interno maggioranze sammarinesi - sono delle “controllate” del sistema fiscale di San Marino. Questo crea un vantaggio per la Repubblica da un lato (in termini di quantità di ingresso dei capitali nella nazione) e per l’imprenditore italiano dall’altro perchè può distribuire sul terri-torio prodotti o servizi ad un prezzo con-correnziale che le altre imprese italiane, regolari e sottoposte al sistema fiscale vi-

gente in Italia, non posso fronteggiare. Un danno all’economia e alla libera concor-renza ma anche un “cavallo di Troia” per l’ingresso di capitali neri nel mercato lega-le dell’economia. Un caso su tutti lo racco-nta Report per spiegare il sistema samma-rinese ed è quello della Karnak, società che si occupa di materiale di cancelleria per uf-fici. La Karnak batte tutti sul mercato ital-iano ed è - come si evnince dall’inchiesta di Report - in sostanza una azienda di San Marino operante in Italia. Dunque regime fiscale san marinese e prezzi stracciati sul mercato italiano. San Marino dunque paradiso fiscale, ma non solo. Fra la Repubblica di San Marino e quella italiana non esiste una dogana. Qualche ora di appostamento della Guar-dia di Finanza ai confini indefiniti delle due repubbliche traccia una radiografia amara del “passaggio” di auto, denaro e quant’altro senza che alcun controllo rego-lare e sistematico venga effettuato. Consid-erato il paradiso che dall’alra parte si af-faccia anche per la criminalità organizzata e straniera quel confine mancato potrebbe diventare la porta d’ingresso delle mafie, dei loro capitali, del contrabbando e del commercio illegale. L’inchiesta passa la parola più volte ai resposabili istituzion-ali e finanziari della Repubblica di San Marino ma le risposte restano vaghe e su posizioni difesensive. Come dire - questo Stato è sovrano decide della politica come dell’economia e offre un pacchetto fiscale proporzionato alle esigenze del sistema tut-to. A San Marino si punta a diventare come il Liechtenstein, si diceva, dunque per le altre vicende non c’è spazio. Qui il credo si chiama società anonime e segreto bancario ma un organismo del Consiglio d’Europa ha decretato San Marino “paese a rischio”. Un rischio che a giudicare dalle numerose inchieste su riciclaggio e mafie è già realtà. San Marino regna sovrana su tutto. Sceglie e decide delle sue politiche finanziarie, in deroga alle leggi internazionali. E la mafia e i suoi sostenitori questo lo sanno. In at-tesa che l’Italia e l’Europa se ne occupino, Report scrive ancora una volta una pagina di servizio pubblico nel silenzio generale dei media nazionali che nella stessa setti-mana si occupano del divorzio del premier e delle feste di una diciottenne in buoni rapporti con il presidente del Consiglio. Verrebbe da dire: è’l’agenda dei media, bellezza!

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L’ingresso di Pietro Grasso in magistratura risale al 1969. Quarant’anni, da quando 24enne dopo l’uditorato a

Palermo venne nominato pretore di Barrafranca (Enna) fino ai giorni nostri e alla posizione ancora rico-perta di Procuratore nazionale anti-mafia. Difficile far rivivere l’intensità di queste quattro decadi, soprattut-to se il comune denominatore di tutti questi anni è stato quello della mafia. Tuttavia Grasso tenta di af-fidare la sua vita professionale, i suoi ricordi di uomo di legge e di Stato a un libro che, pur gravoso di quasi trecento pagine, risulta scor-revole e facile da approcciare.

La scelta fondamentale è quella di affidarsi a una forma partico-larmente generosa come quella dell’intervista autobiografica, dele-gando le domande e la custodia di un fil rouge a Alberto La Volpe , già direttore del Tg2 e conduttore del programma Lezioni di Mafia, ideato con Giovanni Falcone poco prima del suo assassinio. Proprio il giu-dice palermitano ucciso nella stra-ge di Capaci è uno dei fulcri che il giovane Grasso incontra alle origi-ni della propria scelta di occuparsi di criminalità organizzata: il maxi processo a Cosa nostra degli anni Ottanta fu per l’attuale procuratore antimafia un momento decisivo dal punto di vista personale e profes-sionale. Ne esce un ritratto a tutto

forzare la simbiosi tra mafia, eco-nomia e potere. E rilancia ancora una volta una cultura della legalità che non sia solo semplice osser-vanza di leggi e regole ma «un si-stema di principi, di idee, di com-portamenti che deve tendere alla realizzazione della persona, della dignità dell’uomo, dei diritti umani, dei principi di libertà, eguaglianza, democrazia, verità e giustizia come metodo di convivenza civile».

Modi di non morire di mafia che oggi esistono nel nostro paese, nell’associazionismo, nella respon-sabilità civile di chi da anni si mette in gioco; Grasso li sottolinea e ri-lancia con loro un grande stimolo a tutta la cittadinanza italiana. Per non sottovalutare, per non far pas-sare sotto silenzio.

Per non morire di mafia

Pietro Grasso, Alberto La Volpe

PER NON MORIRE DI MAFIA

Edizioni: Sperling&Kupfer297 pp

EURO: 18,00

tondo del giovane Grasso, emozio-nato, preoccupato, ma assoluta-mente convinto della propria strada nel momento della nomina di giudi-ce a latere del maxi processo.

Grasso rievoca l’incontro con Fal-cone e Borsellino, i tentativi di de-legittimazioni, fino ai particolari an-che simpatici che costellano il lato organizzativo di un processo che per a prima volta vedeva la ma-fia dietro alle sbarre. L’esperienza di Grasso copre la storia di Cosa Nostra, passando dal maxiproces-so alla strategia eversiva dell’ala militare, per giungere all’epoca Provenzano. Un modo per narrare dei cambiamenti di comportamen-to di Cosa Nostra e della scelta di adottare una strategia di invisibilità che di certo, sottolinea Grasso con fermezza, non significa scomparsa o sconfitta della mafia. “Per non morire di mafia” non è quindi solo un diario ma anche un’invocazione a non sottovalutre il problema e ad attivarsi civilmente. Infatti, il procu-ratore Nazionale, dopo un’attenta analisi non solo della presenza di Cosa Nostra ma anche delle altre fortissime mafie autoctone italiane, ‘ndrangheta in primisi, ribadisce la necessità di tenere ben presenti le problematiche e le potenzialità di un progetto antimafia che deve parlare, discutere di mafia e infine reagire. Per non pagare in futuro i silenzi di questi giorni, capaci di raf-

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Recensioni

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Rubriche

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http://www.grandangolo-online.it/

La rassegna stampa

Antimafia online

Mentre in quasi tutta la Sicilia c’è aria di rinnovamento, di pri-mavere più o meno alle porte, in alcune province della Sicilia la bella stagione tarda ad arrivare. E’ il caso della provincia di Agri-gento, ancora lontana dalle novità antimafia del capoluogo. A rac-contare questa provincia da anni il giornale Grandangolo diretto da Franco Castaldo. Da poche settimane l’esperienza cartacea è approdata su internet. Le storie d’inchiesta, di provincia, della Si-cilia e della mafia adesso sbarcano al di là dello stretto e si interfac-ciano con le storie d’Italia, fra im-migrazione e comitati d’affari. Da poco on line la redazione di Gran-

dangolo annuncia già alcune no-vità, sul quotidiano e sul portale. «Dopo aver svelato il patto “tra gentiluomini” tra l’attuale ministro della Giustizia, Angelino Alfano e l’ambientalista Giuseppe Arnone, finalizzato alla cacciata dalla Gi-unta municipale di Agrigento presieduta da Aldo Piazza, di un assessore mai sfiorato da indagini di qualunque genere - dichiara Castaldo - in questo numero si dà conto del contratto, scritto e certo, come afferma Giuseppe Arnone, tra l’ambientalista e gli editori di Teleacras, ossia i padroni, insieme a Giuseppe Burgio, del centro commerciale Moses». «Si tratta di Enza Pecorelli e del marito, il

Storie dall’isolageometra Giovanni Miccichè, già titolare dell’Impresem, insieme al mafioso Filippo Salamone. In bu-ona sostanza - continua Castaldo - Arnone e gli editori di Teleacras nonché proprietari del centro com-merciale Moses, hanno stretto un patto: niente citazioni per danni per l’emittente tv in cambio di spazi autogestiti da mandare in onda sull’emittente di Pecorelli-Miccichè. Le reazioni sulla vicen-da sono finite su internet e Gran-dangolo ne dà ampiamente conto». E non solo. «Grandangolo - con-clude Castaldo - racconta come è maturato il pentimento di Be-niamino Di Gati, sofferto e com-plicato. Poi, spiega come la mafia

In queste settimane Lagambiente ha presen-tato il rapporto Ecomafie 2009. Il business dei reati ambientali arrivato ormai a 20,5 miliardi di euro, ha fatto notizia sia a livello nazionale che locale. Tro-viamo infatti diversi appro-fondimenti sulle singole regioni che si trovano in testa nella classifica dei territori maggiormente toccati da questo fenom-eno. È il caso della Cam-pania che ancora una volta detiene il primato assoluto, quello del Lazio che ha visto un incremen-to nel numero dei reati e della Calabria che è al top per quanto riguarda le zo-omafie.

Settimane importanti anche per le operazioni antimafia, soprattutto in Sicilia dove il processo Mare Nostrum ha portato finalmente alla richiesta di 27 ergastoli per i maggiori esponenti della mafia tirrenica. Ar-riva al primo grado invece l’operazione sorriso , ovvero le intromissioni degli inter-essi della criminalità in alcu-ni servizi dell’Ente fiera e nei lavori per i cimiteri della città di Messina. Ed è stato preso a Siracusa in un negozio di abbigliamento un latitante di San Luca nella Locride, ricercato per spaccio di dro-ga, rapina e ricettazione.

Operazioni importanti an-che in Calabria dove è stato

scovato nel bunker di casa il latitante Salvatore Coluccio, boss di Gioiosa Jonica, nar-cotrafficante con appoggi in Canada e Stati uniti. An-cora di droga si parla con un maxi sequestro effettuato dalla polizia. Le auto im-bottite di hashish e cocaina correvano sull’asse Locride- Palermo.

La Puglia ha invece visto in manette 16 agenti della stradale, un’associazione a delinquere parallela final-izzata a concussione am-bientale e falso ideologico. Non controllavano carichi e documenti dei mezzi di varie ditte, guadagnando 40.000 euro in tre anni.

transnazionale italo-canadese ha messo le mani sul ponte di Mes-sina.Ed ancora articoli pregevoli sul Parco della valle dei templi, sul Consorzio universitario, sulla sanità in Sicilia ed un’arguta rif-lessione politica di Agostino Spa-taro». Oltre la Sicilia, oltre Agri-gento, alla scoperta dello zoccolo duro della mafia.

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Articolo 3

E’ stato pubblicato il rapporto sul-lo stato delle libertà nel mondo stilato da Freedom House. Come ogni anno, l’organizzazione sta-

tunitense mette in luce i trend mondiali, con particolare attenzione alla libertà di stampa. Nel 2008 è confermato, in linea generale, un declino mondiale delle lib-ertà. Particolarmente preoccupante la situ-azione italiana: l’Italia, nel rapporto sullo stato delle libertà evidenzia un declino generalizzato, mentre, nello specifico del-le libertà di stampa viene declassata nel novero dei paesi parzialmente liberi.

Analizzando lo stato delle libertà a livello globale,continua il processo di erosione nei paesi non baltici dell’ex Unione Sovi-etica; in Medio Oriente si assiste ad una situazione di sostanziale stallo, quindi di sostanziale negazione delle libertà, con re-altà preoccupanti come quelle di Gaza. Si evidenzia un trend negativo globale delle libertà di espressione, di informazione e dello stato di diritto. In Grecia e in Italia si registra un declino delle libertà civili. Un declino preoccupante, condizionato nel nostro paese dall’eccessiva concent-razione di potere mediatico nelle mani del

Presidente del Consiglio, e nella sempre maggiore pervasività delle organizzazioni criminali nei gangli vitali dell’economia legale.

Freedom House distingue tre differenti tipologie di paesi in base al rispetto delle libertà: paesi liberi, parzialmente liberi e non liberi. Nella prima tipologia rientrano tutte le realtà dove esiste una competizione politica aperta, un clima di rispetto per le libertà civili, una vita civile indipendente e una stampa libera. Sono 89 su un to-tale di 193 i paesi ritenuti liberi, anche se all’interno della categoria esistono differ-enti posizioni, o “rank”.

I paesi parzialmente liberi sono 62, il 32% del totale, circa il 20% della popolazione mondiale. In questa categoria rientrano tutti quelli che hanno un rispetto limitato per i diritti politici e le libertà civili, una corruzione radicata ed ampia, un debole stato di diritto, un partito politico domi-nante, anche se formalmente inserito in un sistema plurale, che esercita un controllo invasivo sui media.

I paesi non liberi, 42, il 34% della popo-

lazione mondiale, sono quelli in cui le lib-ertà vengono sistematicamente negate.

L’Italia, pur restando tra i paesi liberi, ma scivolando in quelli parzialmente liberi nello specifico della libertà di stampa, si trova in una fase di declino. La libertà di informazione, come buona parte delle lib-ertà costituzionalmente garantite, stanno subendo uno “svuotamento” progressivo. Il decreto sulle intercettazioni telefoniche (2° lodo Alfano) ed il controllo politico sulla Rai ne confermano l’andamento. Ai tentativi di censura corrispondono an-che comportamenti di autocensura. Molti giornalisti, nel timore di scontrarsi con il direttore, di fronte alla minaccia di vedere compromesso il posto di lavoro, non fanno fino in fondo il proprio dovere. Tanti al-tri, al contrario, mantengono la “schiena dritta”. Minacce, pressioni, querele, sono tra gli strumenti utilizzati per mettere a tacere l’informazione libera nel nos-tro paese. Sono undici i giornalisti uccisi dalle mafie, moltissimi quelli minacciati, posti sotto scorta, oppure dimenticati. Per dare sostegno ai giornalisti “a rischio” sta nascendo OSSIGENO, l’Osservatorio sull’informazione giornalistica e sulle no-

Italia, stampaa libertà condizionataIl rapporto Freedom House 2008 indica un declino delle libertà esprimibili a mezzo stampa nel nostro Paese

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tizie oscurate, promosso dalla Federazione Nazionale della Stampa e dall’Ordine dei Giornalisti, in collaborazione coni Libera Informazione, Articolo 21 e Unione Na-zionale Cronisti.

Preoccupa la concentrazione del potere mediatico nelle mani di una sola persona, soprattutto quando quest’ultima è anche capo dell’esecutivo. La Rai sta, irrimedi-abilmente, perdendo la sua autonomia. No-tizie scomode che riguardano Berlusconi o il suo governo vengono spesso ignorate. Esemplare è il caso della sentenza Mills e il modo in cui è stata trattata dai telegior-nali del servizio pubblico. Si è data notizia della condanna del corrotto, Mills, sorvo-lando di informare sul corruttore, Berlus-coni, oppure non si è approfondito sul per-

ché la posizione processuale del Premier è stata stralciata. Altrettanto preoccupanti sono le notizie sulla gestione del terremoto in Abruzzo: lunghi servizi sulle visite di Berlusconi senza entrare nel merito delle azioni del governo, sulla reale entità dei fondi per la ricostruzione o sulle promesse di “rinascita” delle aree terremotate.

Anche le libertà civili stanno subendo un processo di erosione: il diritto di asilo politico riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e sancito dalla nostra Costituzione è sistematica-mente violato dalle pratiche di rimpatrio coatto dei migranti. Folle di disperati che fuggono da paesi in guerra, governati da regimi autoritari, vengono respinti dal nos-tro paese e rispediti in Libia, in campi di

accoglienza che somigliano sempre più a dei lager.

Infine, le organizzazioni criminali italiane stanno rafforzando il proprio predominio sull’economia, approfittando delle disat-tenzioni della classe politica e della crisi dilagante. Un monito lanciato dal Presi-dente della Repubblica nel vigilare contro le infiltrazioni mafiose nel sistema eco-nomico legale è quasi caduto nel vuoto, mantenendo nei fatti vive le preoccupazi-oni del declino delle libertà civili nel nos-tro paese. Mafie, informazione “pilotata”, concentrazione del potere mediatico e po-litico, corredate dall’indifferenza della so-cietà sono il presupposto per pericoli ben più consistenti per la nostra democrazia.

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IV festa pizzo free15 - 16 Maggio

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Youdem Tv e Libera, Associa-zioni, Nomi e Numeri contro le Mafie iniziano una collabo-razione volta ad approfondire

i temi di cronaca legati al contrasto della criminalità organizzata e all’antimafia ci-vile.

Dopo il primo frutto di questo accordo è “I 900 nomi”, un documentario sulla memo-ria delle vittime innocenti di tutte le ma-fie, dedicato al ricordo dei 900 nomi delle vittime innocenti accertati ora una nuova iniziativa prende vita.

“Cento passi” il titolo del programma te-levisivo che a cadenza settimanale si oc-cuperà delle tematiche care alla legalità e all’antimafia. La prima puntata andrà in onda il 29 maggio e sarà focalizzata sul-le infiltrazioni mafiose in terra d’Abruzzo soprattutto all’indomani dello spaventoso terremoto che ha distrutto l’aquilano. La conferenza stampa di presentazione del programma si terrà a Roma il prossimo 29 ,maggio.

Servizi sul posto, dibattito in studio e in-tertviste, approfondimenti ad hoc sulle attività dell’associazione Libera, il format vuole accendere un riflettore costante sulle tematiche della legalità.

All’informazione spetta il compito di non disperdere la memoria e la conoscenza di questo aspro cammino di legalità e di im-pegno civile, scuotendo l’indifferenza e la estraneità di parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni, denunciando contiguità e complicità che si fanno sistema e aggre-discono la democrazia e le prospettive di sviluppo del Paese.

Per questo – continua Morrione- Libera In-formazione ritiene essenziale un rinnovato impegno di giornali e radiotelevisioni, per assicurare la continuità dell’informazione, al di là delle cosiddette emergenze e col-

mare i vuoti e i ritardi dei grandi media pubblici e privati. La collaborazione che inizia con Youdem, come con altri media, è dunque molto positiva e sarà un’ espe-rienza aperta, per consentire non solo a Li-bera, ma alle associazioni, alle fondazioni, ai gruppi e ai volontari che in diversi con-testi combattono le mafie di tenere accesa la luce sui percorsi di legalità e di giustizia.

Per Walter Verini, direttore di Youdem, la collaborazione con Libera rappresenta un impegno concreto nei percorsi di legalità e la continuità con i valori fondanti della testata che dirige.Maggiori approfondimenti nei prossi-mi giorni sul sito di Libera Informazione (www.liberainformazione.org).

Informazione e mafie

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