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LE NUOVE SFIDE DELLA BIOETICA
Cossila San Giovanni
28 gennaio 2015
Fabrizio Fracchia
“La verità della persona”
Il compito della bioetica
La bioetica è chiamata a salvare sempre la
verità del rapporto di una persona
(lo scienziato, il medico) di fronte a un’altra
persona, che si trova in condizione di
fragilità, che chiede di essere aiutata nelle sue
potenzialità personali.J. Ratzinger
Benedetto XVI
La regola fondamentale della bioetica
La regola basilare della bioetica non è diversa da quella “regola aurea” sempre intravista dalla sapienza delle genti e promulgata, nella sua formulazione definitiva e positiva, da Gesù in persona: “tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt. 7,12).
Regola che Kant traduceva in questo modo: “agisci sempre in modo da trattare l’umanità in te stesso e nell’altro come un fine e mai solo come un mezzo”.
Prendere qualcuno come un fine significa sempre, in qualche modo, donarsi a lui in forma disinteressata.
J. Ratzinger
Benedetto XVI
Van Rensselaer Potter: cosa si intende per bioetica?
“L’umanità ha urgentemente bisogno di una nuova
saggezza che dia “la conoscenza di come usare la
conoscenza” per la sopravvivenza dell’uomo e per il
miglioramento della qualità della vita [e che] potrebbe
essere chiamata scienza della sopravvivenza.”
V.R. Potter, Bioethics. Bridge to the Future, 1971
Lo scopo della bioetica globale è quello di reclutare “veri credenti” che sappiano vedere il bisogno futuro altrettanto bene come un cambiamento culturale attuale, che possano influenzare governi, localmente e globalmente,per raggiungere […] la conservazione e il ripristino dell’ambiente naturale.
Van Rensselaer Potter - 1991.
Persona
Di etimologia incerta, ma verosimilmente si può
collegare al termine greco prosopon che
significa viso: pros: “verso” - opon: “vedere”.
prosopon: faccia, volto, aspetto, figura
dell’uomo; il ruolo dell’attore, il personaggio
interpretato. Dal personaggio alla persona il
passo è breve.
Il volto equivale per antonomasia alla persona.
"Dare un volto" a qualcuno significa nel nostro intimo
riconoscerlo come un “tu”, una persona determinata, non
come un individuo generico.
“Guardare in faccia” una persona significa, per esempio,
per l’impiegato non trattare anonimamente chi ha bisogno
dei suoi servizi, e per un governante, un medico o un
commerciante non considerare le persone come semplici
numeri o mezzi per il proprio tornaconto.
11
Levinas: “Io analizzo la relazione
interumana come se nella prossimità
con l’altro - al di là dell’immagine che
mi faccio di lui - nel suo volto, stesse
ciò che mi ordina di servirlo.”
Essere uomo significa essere
l’essere che sta di fronte.
Martin Buber
L'altro uomo non mi è indifferente, l'altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola "riguardare". In francese si dice che "mi riguarda" qualcosa di cui mi occupo, ma "regarder" significa anche "guardare in faccia" qualcosa, per prenderla in considerazione.
Io chiamo appunto questa "apparizione" dell'altro, il volto umano. Il volto umano è la testimonianza […] della possibilità del bene, della possibilità per l'uomo di essere buono verso l'altro uomo o piuttosto della possibilità di leggere sul volto dell'altro uomo la vocazione, il richiamo alla bontà. Per me questa è la parola di Dio.
Emmanuel Lévinas: "Il volto dell'Altro"
Blog “Elena Fuoridalghetto“
8 Novembre 2007
Immanuel Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, 1765.
«L'uomo esiste come fine in sé, non soltanto
come mezzo adoperabile a piacere per
questa o quella volontà […]. L'uomo non è
una cosa, e quindi non è qualcosa che può
esser adoperato solo come mezzo [...].
Dunque io non posso disporre dell'uomo
nella mia persona, non posso mutilarlo,
danneggiarlo, ucciderlo».
La responsabilità dei sani nei confronti del bisogno di chi è malato,
è «sempre un altro a chiamarci alla responsabilità. Un altro, contando su di me, mi rende responsabile dei miei atti» Paul Ricoeur
Ricoeur P., Discorso magistrale nell'atto del ricevimento della laurea
honoris causa dell‘Università di Teramo, 24 aprile 1993
Blaise Pascal
“Se uno mi ama perché sono intelligente,
se uno mi ama perché sono sano, se
uno mi ama perché sono buono, ama
proprio me? No, perché potrei perdere
l’intelligenza, la salute, diventare anche
cattivo ma essere ancora io, malgrado
tutto”.
Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle
possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al
godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più
profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza.
In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana
è sempre sacra e sempre “di qualità”.
Non esiste una vita umana più sacra di un’altra: ogni vita umana
è sacra! Come non c’è una vita umana qualitativamente più
significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti,
opportunità economiche e sociali maggiori.
Papa Francesco
al Convegno del 70° di fondazione dell‘AmciAula Paolo VI
15 novembre 2014
Condizione umana
Finitezza (limiti invalicabili)
Debolezza
Sofferenza fisica, psichica (dolore) e spirituale
Dato di partenza della bioetica
Statuto epistemologico della bioetica
“Etica razionale che, a partire dal dato scientifico, biologico e medico, razionalmente esamini la liceità dell’intervento dell’uomo sull’uomo”
E. Sgreccia
SALUTE,
INIZIO
E FINE
VITA
DATO
SPERIMENTALE
RIFLESSIONE
ANTROPOLOGICA
GIUDIZIO ETICO
Se si cerca in Internet quante volte compare l'espressione «curare il malato» si ottengono circa 28mila risultati. Ma se si cerca «curare la malattia» se ne ottengono circa 138mila. E la stessa sproporzione si mantiene anche con i plurali (107mila contro 247mila).
È evidente che si tratta di un piccolo segnale, e forse neppure tanto significativo. Eppure esso mostra certamente che non sempre è chiaro se scopo della medicina moderna, della ricerca scientifica e dei sistemi sanitari sia quello di sconfiggere le malattie, intese come i veri nemici da combattere, o quello di curare i malati per la loro guarigione.
Se poi si riflette sull'alto livello di specializzazione
della medicina contemporanea e sulla sua
collocazione nell'area delle scienze tecnologiche
piuttosto che umanistiche, si comprende perché
così spesso, negli ambienti ospedalieri, ci si
riferisca più al nome della patologia che al nome
del paziente del letto 105. E così capita, non solo
nei convegni medico-scientifici, ma lo stesso
atteggiamento è ormai diffuso anche in trasmissioni
televisive o radiofoniche che trattano di medicina.
Si parla di malattie, ma molto raramente della
vita concreta delle persone che ne sono afflitte.
BIOETICA CLINICA
Identificazione, analisi e risoluzione deiproblemi a valenza etica che insorgononel contesto della relazione medico-paziente.
La Bioetica dalle aule universitarie si sposta sul
luogo della sua stessa origine, il letto del
malato, laddove si generano i dilemmi che gli
eticisti contemplano e laddove in definitiva le
discussioni etiche si concretizzano nella
decisione dell’azione particolare.
E. D. Pellegrino
BIOETICA CLINICA
LA VITA CHE NASCE
IL DIVENIRE DELLA VITA
LA VITA CHE VOLGE AL TERMINE
Dalla malattia alla persona del paziente
La malattia ha sempre due facce.
La prima corrisponde a ciò che il medico può diagnosticare, attraverso diverse modalità, e che è rappresentabile in modo oggettivo e impersonale. Questa faccia della malattia è quella che rende ogni paziente “un caso” clinico, una componente della statistica medica, un’occasione per l’esercizio dell’arte medica e per lo stesso perfezionamento professionale del medico.
L’altra faccia, invece, è quella del vissuto del malato, laddove la malattia è, in primo luogo, un nuovo modo di esistere, e un nuovo modo di pensare alla propria condizione, una nuova e spiacevole percezione della propria identità, fisica e psichica.
dall’intervento del presidente della Fondazione
Michelangelo-Istituto Nazionale dei Tumori
«Kos» n° 11, «Vincere la sofferenza», 22 gennaio 2009
modificato
Il medico deve imparare a pensare come fa un
malato. Bisogna avere l’umiltà di imparare
da chi soffre. […]
Prendersi cura della persona vuol dire imparare
a controllare il male che sconvolge una
personalità.
Il dolore inutileGianni Bonadonna
Il dovere di consolare vale sempre, e non è un fatto di
parole. Dipende da come si guarda un paziente, da
come lo si tocca. E poi c’è l’arte del medico. Quella
del ragionamento, della logica, […]
Quest’arte deve ritornare a brillare nelle nostre
università. Bisogna avvicinare la filosofia e la
scienza, rimettere al centro degli studi il malato e la
sua interezza.
dall’intervento del presidente della Fondazione
Michelangelo-Istituto Nazionale dei Tumori
«Kos» n° 11, «Vincere la sofferenza», 22 gennaio 2009
modificato
Il dolore inutileGianni Bonadonna
“La medicina è una vocazione in cui la conoscenza scientifica, le
capacità cliniche e l’abilità di valutazione del medico sono utilizzate al
fine di proteggere e curare il benessere delle persone.
Questo obiettivo si realizza attraverso la collaborazione medico-
paziente, basata sul rispetto reciproco, sulla responsabilità individuale
e su una corretta assegnazione di oneri.
Nella loro pratica giornaliera, ai medici si richiede:
• integrità
• compassione
• altruismo
• continui miglioramenti
• eccellenza
• collaborazione reciproca…”
The Royal College Of Physicians
Working Party On Medical Professionalism
December 2005
“… questi valori, intrinseci alla scienza e alla
professione medica, costituiscono le basi per un
contratto morale tra la professione medica e la società.
Ad ogni parte è assegnato un compito per rafforzare il
sistema sanitario da cui dipende la dignità umana di
noi tutti.”
The Royal College Of Physicians
Working Party On Medical Professionalism
December 2005
Salute
Definizione dell’OMS:
“uno stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale e non (…)
soltanto (l’)assenza di malattie e
infermità”
L’evoluzione storico-culturale che ha portato alla
trasformazione del concetto di malattia in concetto di
salute ha coinvolto tre elementi essenziali:
Il concetto di “cura verso l’uomo”
Il significato del concetto di “persona”
Il “rapporto tra medico e paziente”.
Dal paternalismo medico al riconoscimento dell'autonomia del paziente
Il paternalismo medico
Sin dalle origini in Occidente, con la tradizione di Ippocrate, il rapporto tra medico e malato, si è
attenuto ad un ordine preciso:
il dovere del medico è fare il bene al paziente e il dovere di questi è di accettarlo; il medico ha il compito
di procurare il bene, ripristinando l'ordine della natura
sconvolto dalla patologia; il malato non può non considerare buono ciò che il medico propone come
tale.
In tale visione etica, il medico è una specie di sacerdote,
agendo da mediatore con la divinità e avendo potere sulla vita e sulla morte.
Il medico ippocratico è investito di un'altissima
responsabilità morale ed è in un certo senso
esentato dalla responsabilità giuridica e
conseguentemente ha diritto all’impunità davanti
alla legge.
A questa autorità del medico corrisponde,
necessariamente, il dovere di obbedienza da
parte del malato; l'unico obbligo morale del
malato è quello di ubbidire.
Se un uomo malato rifiuta le medicine che gli vengono prescritte, il medico che è stato chiamato da lui o dai suoi parenti può curarlo contro la sua volontà, così come una persona deve essere trascinata fuori, contro la sua volontà, da una casa che sta crollando.
Si tratta quindi di un paternalismo forte, per il
quale il paziente scompare come soggetto
autonomo e viene trattato come il padre tratta
un bambino.
In questi casi il consenso all'atto medico viene ritenuto
implicito, nella richiesta stessa di aiuto da parte del
paziente.
Anche il tema delle informazioni da dare al
malato o ai familiari non rientra nei compiti
del medico ippocratico e paternalista.
Dal paternalismo medico al riconoscimento dell'autonomia del paziente
Il principio d'autonomia
L' atteggiamento paternalistico è sopravvissuto
per secoli e ha cominciato ad incrinarsi con
l'avvento della modernità.
L'uomo scopre l'esistenza di diritti umani uguali
per tutti, si afferma il principio di autonomia nella
consapevolezza che ogni essere umano
possiede una completa libertà di agire e di
disporre delle sue proprietà e della sua persona
secondo la sua volontà, senza che le sue
decisioni possano dipendere dalla volontà di
nessun'altra persona.
Avviene il cambiamento della sede del
processo decisionale: dal medico al
paziente, con la necessità di un consenso
libero e informato dell'atto medico.
Il paziente rivendica, giustamente, un ruolo di
protagonista negli eventi che interessano la
sua salute, acquistando una consapevolezza
adeguata sulla natura dell'azione
terapeutica, sulle sue conseguenze
prevedibili e sui risultati presunti.
La svolta radicale si è avuta alla fine del
secondo conflitto mondiale.
La barbarie dell’Olocausto nei lager riporta in
primo piano il tema della libertà individuale in
tutto ciò che riguarda gli interventi sulla propria
corporeità (sperimentazione sull’uomo), portando al
«Codice di Norimberga», promulgato alla fine
dell’omonimo processo che sancirà per la
prima volta il principio del consenso.
Il consenso informato
In linea di principio, il “consenso informato” non è riducibile a un semplice foglio informativo, più o meno dettagliato, che il paziente (o chi per lui) deve sottoscrivere: esso rappresenta il punto di riferimento della relazione medico-paziente, poiché è proprio intimo a “ciò che si deve fare”, qui e ora, dal punto di vista clinico, che si debbono esercitare il rispetto interpersonale, la preoccupazione per l’altro, il riconoscimento della professionalità e l’attenzione alla situazione di bisogno. Soltanto se il consenso resta uno strumento di dialogo, e non un semplice foglio informativo, è possibile attenuare quella dimensione conflittuale che spesso fa da sfondo.
A. Pessina
COMITATO NAZIONALE DI BIOETICA
“Si ritiene ormai tramontata la stagione
del paternalismo medico in cui il
sanitario si sentiva legittimato a
ignorare le scelte e le inclinazioni del
paziente …”
CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’UOMO E LA BIOMEDICINA
(Oviedo 1997, ratificata dall’Italia nel 2001)
Art.5 - Regola generale
Un intervento nel campo della salute non può essere
effettuato se non dopo che la persona interessata
abbia dato consenso libero e informato.
Questa persona riceve innanzitutto una informazione
adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e
sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona
interessata può, in qualsiasi momento, liberamente
ritirare il proprio consenso.
Dobbiamo, però, a T.L. Beauchamp e J.F. Childress l’esatta identificazione dell’autonomia, che verrà poi ricondotta a primo (e troppe volte unico!) «principio» della bioetica.
PRINCIPI DELLA BIOETICA
Principio di autonomia (rispetto della persona)
è contrapposto al paternalismo ed auspica il rispetto della libertà di scelta del paziente.
Principio di beneficialità/non maleficienza
il medico avrebbe come obiettivo essenziale il miglior interesse del paziente.
Principio di giustizia
esso si basa sull’equità sociale e la solidarietà interumana nella ripartizione degli oneri.
L’insistenza con cui oggi si pone in risalto
l’autonomia individuale del paziente deve
essere orientata a promuovere un
approccio al malato che giustamente lo
consideri non antagonista, ma
collaboratore attivo e responsabile del
trattamento terapeutico.
BENEDETTO XVI
110° Congresso Nazionale Società Italiana di Chirurgia
20 ottobre 2008
… ma quando si afferma in modo assoluto
l’autonomia e la volontà decisionale del paziente,
il rapporto tra medico e paziente viene visto come
un semplice «contratto» (modello contrattualista)
di cui possiede tutte le caratteristiche.
Il medico diventa solo un suo esecutore, perseguibile
se non ne rispetta le clausole. Poco importa quale
sia l’oggetto di tale contrattualità, purché i requisiti
formali vengano rispettati.
Questo è il modello prevalente nei paesi
anglosassoni e nelle etiche di matrice «laica».
La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa
come dono di Dio, a volte richiede scelte
coraggiose e controcorrente che, in particolari
circostanze, possono giungere all’obiezione di
coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale
fedeltà comporta.
Papa Francesco
al Convegno del 70° di fondazione dell‘AmciAula Paolo VI
Sabato, 15 novembre 2014
Tra paternalismo medico e riconoscimento dell'autonomia del paziente
una terza via
L’alleanza terapeutica
Tra paternalismo e contrattualismo vi è una terza
via, quella dell’alleanza terapeutica, un
impegno di sinergia tra più alleati per
raggiungere un fine comune.
Ecco allora che il criterio di alleanza terapeutica
non assolutizza nessuna delle due volontà: né
quella del medico (paternalismo) né quella del
malato (autonomia-contrattualismo), ponendosi
piuttosto come obiettivo la realizzazione del
bene del malato. Il fatto che tale fine sia
«comune», fa sì che il bene debba essere
ricercato e definito insieme.
E’ un paradigma antico, un’unione, un vincolo, una
sintonia di sentimenti, un accordo senza tempo. E’
un “cammino di fiducia reciproca”, che indica
come il rapporto tra medico e paziente non possa
essere fondato soltanto sulle competenze
scientifiche, ma anche e soprattutto sul valore
inalienabile della persona.
L’alleanza
Evangelium Vitae
«Dov'è Abele, tuo fratello?»: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gn 4, 9).
Sì, ogni uomo è «guardiano di suo fratello», perché Dio affida l'uomo all'uomo. Ed è anche in vista di tale affidamento che Dio dona a ogni uomo la libertà, che possiede un'essenziale dimensione relazionale.
Essa è grande dono del Creatore, posta com'è al servizio della persona e della sua realizzazione mediante il dono di sé e l'accoglienza dell'altro.
[19,3]
L’attività medico-sanitaria si fonda su una relazione interpersonale, di natura particolare. Essa è:
“un incontro tra una fiducia e una coscienza”.
La “fiducia” di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia e perciò bisognevole, il quale si affida alla “coscienza” di un altro uomo che può farsi carico del suo bisogno e che gli va incontro per assisterlo, curarlo, guarirlo.
Questi è l’operatore sanitario.
L’ALLEANZA TERAPEUTICA
Carta degli Operatori Sanitari
Giovanni Paolo II
Ai partecipanti a due Congressi di medicina e chirurgia
27 ottobre 1980
Il rapporto tra medico - malato deve basarsi
di nuovo su un dialogo fatto di ascolto, di
rispetto, di considerazione; esso deve
essere di nuovo un incontro autentico tra
due uomini liberi e, come è stato detto, tra
una “fiducia” ed una “coscienza”.
“Il medico è il maestro dell’arte, combatta la malattia il medico insieme al malato”.
Ippocrate 460 - 370 a.C.
• Mai discriminare,: trattare il paziente
come una cosa, ignorando i suoi diritti.
• Mai strumentalizzare,: usare il paziente
per fini diversi dal suo bene.
• Mai spadroneggiare,: agire nei confronti di un
qualsiasi paziente tenendo in scarso conto
la sua irrinunciabile autonomia.
E’ molto importante non estromettere dalla
relazione terapeutica il contesto esistenziale
del paziente, in particolare la sua famiglia.
Per questo occorre promuovere il senso di
responsabilità dei familiari nei confronti del
loro congiunto: è un elemento importante per
evitare l’ulteriore alienazione che questi
subisce se affidato ad una medicina
altamente tecnologizzata, ma priva di una
sufficiente vibrazione umana.
BENEDETTO XVI110° Congresso Nazionale
Società Italiana di Chirurgia
20 ottobre 2008
i componenti dell’alleanza
malato
operatori
famiglia
la strada dell’ incontro, della “relazione”
«Oggi tende ad affermarsi nella medicina, al di là dei singoli medici, l'ideale di una relazione sul modello della chirurgia in anestesia totale: la medicina può dare il meglio di sé quando il
paziente è totalmente passivo. [...] Accanto a questo
agisce con forza, nella medicina oggi, un ideale di farmaco per
cui il migliore è quello che elimina l'uno o l'altro processo
patologico e fa questo indipendentemente dalla persona. Questo
ideale farmaco tende a sostituirsi al medico, la cui capacità
diagnostica, a sua volta, è sempre più sostituita dall'abilità di
utilizzare sofisticate macchine, e tende a tener fuori dalla
relazione i soggetti».
LEONELLI G., «La cura», in PEYRETTI E. [ed.], Curare ed essere curati, Servitium, III 161
[2005] 30-31.
Martin Buber, tracciando lo statuto ontologico dell’uomo, afferma che la struttura fondamentale è la relazionalità.
«All’inizio è la relazione».
Pertanto, io «divento io nel tu; diventando io, dico tu».
L’essere dell’uomo si configura metafisicamentecome essere-in-relazione.
«L’uomo diventa io a contatto con il tu».
Elena VerganiLA QUESTIONE SERIA – Seminario AMCI
Quando il “male di vivere” diventa malattiaTorino, 8 giugno 2002
Allora quali i percorsi per emergere dal “male di vivere” che chiamiamo malattia?
La strada essenziale è la strada dell’ incontro, la strada della “relazione” con chi soffre. La negazione del e alrapporto interpersonale è al cuore dell’esperienza del dolore psichico: esso provoca isolamento, silenzio, chiusura in se stessi, provoca l’impossibilità a comunicare e insieme il rifiuto del comunicare o il ricorso alla comunicazione distorta che utilizza il sintomo somatico per dire “sto male dentro, faccio fatica a vivere”.
Mettersi in relazione è l’aiuto fondamentale: e spesso -ma non sempre e non solo - perché ciò accada occorre un lavoro terapeutico specifico, una relazione terapeutica.
Pietro Rasicci - Storia di vita e di professione: la mia esperienza con la morte
Tutto quanto ho detto fin’ora è solo per descrivere in parte con quale spirito di servizio e di aiuto fraterno sono andato il 14 Gennaio 2010 all’incontro con il mio paziente e attentatore: aveva mostrato al telefono, il giorno in cui gli preannunciai la mia visita, una nuova disponibilità nell’accettazione delle cure. Dopo circa quarantacinque minuti di colloquio era già stato detto tutto, ero riuscito ad entrare nel suo mondo psicotico, gli avevo anche fissato la rivisita in ambulatorio per il 18 gennaio alle ore 15,00. Spesso l’aggressività psicotica sconfina nella violenza, quando non è un vero e proprio atto criminale, ma pur ritenendo questo caso complesso oltre ogni possibile previsione umana o psicopatologia è certo che quel giorno stavo andando incontro al mio destino.
… Come le altre volte il mio paziente accompagnò me e l’infermiere verso il cancello d’uscita per aprirci la porta, dal momento che la nostra auto di servizio la lasciavamo abitualmente davanti al cancello della cascina. Mentre aprivo la portiera dell’auto per entrare dal lato passeggeri questo signore ha tirato fuori la pistola e ha iniziato a sparare. Penso che sarebbe andato peggio se avessi avvertito che aveva una pistola in tasca con già il colpo in canna. Istintivamente ai primi colpi ho saltato, come per evitarli, al terzo colpo sono caduto a terra e lui ha continuato a sparare, sembrava non finire mai: complessivamente sono stato raggiunto da dieci proiettili, di cui due particolarmente insidiosi e mortali sono passati ad un centimetro dall’arteria femorale.
… Non porto rancore verso il mio paziente e attentatore, l’ho già perdonato nel profondo del mio cuore: è solo un povero di spirito, in cui ha prevalso il male, definito psichiatricamente malattia. Lo stesso male che lo tiene legato come lo sono appunto “i cani della mafia”, così il mio paziente definiva i Killer nel suo discorso confuso tra elementi di vita passata e il delirio attuale di persecuzione e di morte.
… Il mio futuro è ancora incerto …
E’ prevalsa comunque la riconoscenza e la sincera gratitudine dei più: colleghi medici e giudici, sacerdoti, amici, parenti, politici, lontani conoscenti; non finirò mai di ringraziarli e ricordarli nel modo dovuto, per la vicinanza con cui hanno condiviso fin da subito il mio dolore.
Questa è la mia vita, il mio destino: spero così di continuare, se il Signore vorrà farmene ancora dono.
Il tutto è avvenuto il “giorno del Signore” 14 gennaio 2010.
Ho la consapevolezza che, da quel momento, è iniziata per me una nuova e più radiosa vita.
Pietro R.
La malattia non è soltanto una vicenda biologica,
ma anche “biografica”. In essa si attua
l’esistenza personale di questo determinato
uomo. E non solo per il fatto che malattia o
salute pongono in anticipo condizioni della
decisione morale, bensì anche nel verso
opposto: perché l’atteggiamento morale
contribuisce a determinare il processo della
malattia.
Romano Guardini
ETICA
Morcelliana, 2001
Narrative Revolution in Medicine
Nel corso degli ultimi anni, accanto alla medicina
basata sull’evidenza (Evidence-Based Medicine -
EBM), si è sentito il bisogno di recuperare una
medicina fondata sul rapporto medico–paziente, detta
Medicina Narrativa (Narrative-Based Medicine -
NBM); termine ricorrente nella letteratura medica,
dove la narrazione della patologia del paziente al
medico è considerata fondamentale al pari dei
segni e dei sintomi clinici della malattia stessa.
Narrative-Based Medicine
«Ho inventato il termine “Medicina Narrativa” per
connotare una medicina praticata con competenza
narrativa e caratterizzata da una comprensione di
queste situazioni narrative molto complesse tra
medici, pazienti, colleghi, e il pubblico.
La medicina narrativa non sorge dal nulla. La sua
progenie include la medicina bio-psico-sociale,
l’assistenza principale, le umanità mediche, e la
medicina con paziente al centro».
Charon R. Narrative medicine.
(http://litsite.alaska.edu/healing/medicine.html).
La Medicina narrativa – La Medicina dell’ascolto
Saper ascoltare secondo Gadamer è un’arte,“arte” per alludere alla grande difficoltà di imparare a farlo.
Saper ascoltare significa che gli uomini imparino ad ascoltare gli altri, astenendosi dal volerne anticipare il pensiero (credendo di averlo già inteso), e siano quindi disposti a prestare attenzione.
L’arte di saper ascoltare richiede di lasciarsi rivolgere la parola, per ciò occorre il rispetto per gli altri.
La Medicina narrativa - La Medicina dell’ascolto
In questo rispetto per gli altri, c’è anche una sorta di rifiuto per quella smisurata autostima che insegna a non considerare gli altri al pari di se stessi.
Le due modalità operative, fondate nell’oggettivitàdella EBM e nell’ascolto della soggettività tramite la NBM, si uniscono nell’atto professionale che in tal modo si riappropria della sua essenza: un atto umano tra esseri umani.
DIALOGO
Rodolfo Morales - 1995