Venti sterline per un black out - di Vania Barozzi

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    ARCIPELAGO EDIZIONI

    GIOVANI SCRITTORI IULM

    DA QUI NON VEDO

    prefazione di Giorgio Falco

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    Da qui non vedoAntologiA di rAcconti

    a cura di

    AlICe AlfIedI, MIChele dANesI,

    VAleNTINA NeRI, ANdReA sesTA

    Introduzione di

    GIORGIO fAlCO

    Postfazione di

    PAOlO GIOVANNeTTI

    Milano

    2011

    GIOVANI SCRITTORI Iulm

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    Per la presente edizione 2011 Arcipelago edizioni

    Via Carlo DAdda, 2120143 Milano

    [email protected]

    Prima edizione, aprile 2011

    ISBN 978-88-7695-450-4

    Ha collaborato alla cura editoriale Diego Dotari

    Finito di stampare nel mese di aprile 2011presso Digital Print Service s.r.l.Via E. Torricelli, 9

    20090 Segrate - Milano

    Ristampe:7 6 5 4 3 2 1 0

    2017 2016 2015 2014 2013 2012 2011

    vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa lafotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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    Da qui non vedo

    Prefazione di GiorGio Falco . . . . . . . . . . . . . . 7

    Marcello Ubertone

    Il pastore cieco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

    elena Sabattini

    Fermo immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

    Mattiaconti

    Senza sonno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

    Fabio rodiGhiero

    Un ultimo sguardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

    Michele daneSi

    Sorgenti Indiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

    SilviatraMatzU

    Masquerade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

    valentinaneri

    L'unica risposta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

    doMenico Ferrara

    Lo scoglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

    andrea SeSta

    Storia di un fallimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

    dieGo dotari

    Muscle Car. Un viaggio in Ammerica . . . . . . . . 109

    SteFano Gianoni

    Il solitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

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    Marco Ferrarini

    The revolution will not be televised . . . . . . . . . . 159

    Salinoch

    Astrakan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

    Jacopo dandrea

    Il duello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181

    chiaradaFFini

    Lui volava nel vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

    FranceSco priano

    Gigi l'amoroso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219

    vaniabarozzi

    Venti sterline per un black out . . . . . . . . . . . . . 223

    Filippo rizzi

    Mancanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243

    FedericaGerardi

    Linea interrotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253

    Giovanni Fiorina

    Rigoletto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273

    valentinacolMi

    Magari domani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281

    laUrabanchero

    Memorie plastiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289

    beatrice lorenzini

    Vie di fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297

    Postfazione di paolo Giovannetti . . . . . . . . . 301

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    P r e f a z i o n e

    Alla fine di luglio, cominciano i triangolari di calcio:le squadre si incontrano in un torneo di tre partite delladurata di quarantacinque minuti ciascuna, la met di unincontro normale. Al di l del carattere amichevole, le

    partite di quarantacinque minuti sono considerateunanomalia, qualcosa che non esattamene calcio bench, a parte la durata, le regole siano identiche mauno sport simile, il surrogato da relegare a una fase cir-coscritta della stagione. estate, molte di queste partitesi giocano nei luoghi in cui le squadre svolgono la pre-

    parazione atletica, in montagna, su terreni di gioco ver-

    dissimi, sembrano il prolungamento dei campi alpinicircostanti, che degradano verso la piccola piana dovegiocano gli atleti. A bordo campo, poche centinaia dispettatori assistono alle partite. Alcuni tifosi espongonostriscioni, cantano e accendono i fumogeni per non per-dere lallenamento, ma ci sono anche molte famiglie,

    padri, madri, ragazzini e bambini, indossano le maglie

    dei calciatori mai cos vicini, a cui passano perfino ilpallone, quando esce in fallo laterale. Se si fermano die-tro la panchina, gli spettatori possono sentire nitidamen-te i consigli degli allenatori, gli incoraggiamenti e il lorosbuffare, quando qualcosa degli schemi non funzionacome vorrebbero. C la luce estiva piena di promesse,unarmonia dolorosa nei calzettoni abbassati del gioca-

    tore sostituito, che esce volentieri dal terreno, saluta chisubentra e si siede in panchina, bevendo dalla borraccialanciata da un suo compagno di squadra, come in unascampagnata giovanile che sembra infinita. Fa caldononostante laltitudine, e i rari fischi dellarbitro si con-

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    fondono con le urla di entusiasmo solare, ma a volte lenubi si addensano lungo il profilo dei monti, e da bian-

    che diventano grigie, fino a confondersi con la materiastessa delle montagne, prima di mutarsi nel viola attra-versato dalla luce dellacqua imminente. Cos, quandoinizia a piovere, i giocatori accelerano colpiti dai goc-cioloni, che fanno strepitare lerba tagliata, e gli spetta-tori corrono alla ricerca di un riparo, si proteggono conle mani in testa, fuggono strizzando gli occhi.

    In un pomeriggio estivo, i giocatori provano e dannoforma sul campo alle prime azioni di una stagione, inquellangolo montano laterale, sottratto alla dozzina ditelecamere, replay e moviole abituali, testimoniato solodai brevi video amatoriali dei tifosi, e proprio per que-sto, quei momenti sembrano privi di importanza. Le par-tite amichevoli schiudono, per quanto mi riguarda, unorizzonte esistenziale differente eppure non menoimportante rispetto agli incontri di calcio ufficiali, que-stultimi spesso succubi dellipnosi creata dalleventomediatico ancor prima che sportivo. Nelle partite ami-chevoli di quarantacinque minuti, i calciatori pi giova-ni possono capire le loro qualit, esprimersi con energia,entusiasmo.

    Ecco, i brevi tornei estivi hanno qualcosa in comunecon i racconti, e soprattutto, con le antologie di raccontiscritti da autori esordienti. I racconti rappresentano inItalia per lindustria editoriale e per la maggioranzadei lettori qualcosa di poco interessante, una sorta diallenamento che mima levento principale, letteraturaminore penalizzata dallattenzione e dalle vendite, senzail respiro del romanzo, come se il respiro fosse dettatosolo dalla lunghezza, e non dalle suggestioni e daglisquarci anche aritmici che ogni testo dovrebbe aprire.Julio Cortzar paragonava larte del racconto alla foto-grafia di Henri Cartier-Bresson. Haruki Murakami credeche se scrivere romanzi come piantare una foresta,

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    allora scrivere racconti somiglia di pi a seminare ungiardino. Preoccuparsi di un orto, di un giardino, anche

    di piccole dimensione, perfino di una sola pianta acqui-stata un sabato pomeriggio allipermercato, mi pare unacosa che possa donare speranza, per condividere e deci-frare la propria esperienza, il mondo.

    Questo libro di racconti,Da qui non vedo, ha un tito-lo aderente alla situazione italiana. Una delle invenzionisociologiche novecentesche i giovani relegata, spe-

    cie negli ultimi anni, a una condizione di debolezza emarginalit, attraverso una restaurazione politica esociale feroce, che comprende riforme scolastiche,nuove leggi del mercato del lavoro, disinteresse o deri-sione della politica nei confronti della formazione edella cultura.

    I cosiddetti giovani sono visibili ma rappresentanopotenziali rifiuti da occultare e smaltire in silenzio,come un qualsiasi prodotto o evento. E se lintera socie-t ridotta a una rappresentazione giovanilistica pubbli-citaria, e le generazioni pi mature sono livellate inuningannevole, ininterrotta giovent globale catego-ria di marketing destinataria dellandirivieni delle merci

    allora tutti noi siamo ai margini, prigionieri di unalibert artefatta, che corre sui bordi, a picco di noi stes-si.Da qui non vedopotrebbe essereDa qui non vedia-mo, per affrontare la dispersione individuale nello spa-zio e nel tempo, sfilacciamento che tranne casi ecce-zionali investe la quotidianit italiana da molti, troppianni. Unantologia di racconti pu essere una buonaoccasione per creare una piccola comunit anche solo

    provvisoria e attuare una forma di comprensione delmondo, come il personaggio di uno dei racconti, che ci

    parla rinchiuso dentro un cassonetto dellimmondizia, eresiste a questa vita, in attesa della rinascita.

    Giorgio Falco

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    Da qui non vedo

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    Vania Barozzi

    Venti sterline per un black out

    Antefatto O meglio, chi ben comincia... ma io non lofaccio mai

    Mi ero trasferita a Londra, in una di quelle villette aschiera in laterizio che affollano i borough di periferia.Certo il trasloco non era stato logisticamente facile, ma

    limpatto con una cultura diversa nel mio caso era man-cato poich in passato non avevo mai rinunciato alla miavisita annuale della citt, che ormai conoscevo come lemie tasche. Anche limpatto con una fiammante BuickLucerne Super era fortunatamente mancato, non tanto

    perch sicuramente ci avrei rimesso la vita, ma soprat-tutto perch la banca non solo si sarebbe ripresa la mia

    casetta, ma mi avrebbe anche negato una degna sepolturaper ripagare i danni causati dallo sbalzo del mio non pro-priamente esile corpo sulla carrozzeria e il parabrezza delbolide americano, che del resto andava riportato al suokitsch originario.

    Perch una persona debba girare per le viuzze secon-darie di Londra con una cos goffa e gigantesca macchina

    americana, ancora per me un mistero, anche se va con-statato che lo scontro sarebbe stato inevitabile persinocon Mr. Bean alla guida della sua sfasciata Mini.

    Fatto sta che da quella volta mi sono presa un bellospavento, accorgendomi che la fortuna mi aveva defini-

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    tivamente lasciata a me stessa e che la mia esistenza nonaveva molto valore per nessuno, dal momento che mi do-

    vetti sorbire anche le maledizioni dellautista, che peral-tro era nel torto. Nella vita quotidiana si troppo distrattiper prestare attenzione a tutto ci che accade, e pu ca-pitare di investire un malcapitato solo perch si avutauna giornata dinferno in ufficio e per tornare a casa siinserisce il pilota automatico scollegando sensi e cervello.

    Ho sempre ritenuto che la quasi totalit delle azioni

    che compiamo durante una giornata sono eseguite mec-canicamente, come se appunto ci fosse un piccolo pilotaautomatico in ognuno di noi. Probabilmente il mio pilotaera in costante stato di ubriachezza, perch nei casi mi-gliori non ricordavo certi miei comportamenti mentre inquelli peggiori coglievo la loro assoluta mancanza di lo-gica. In questi ultimi casi, ovviamente, me ne rendevoconto solo dopo certe reazioni sbigottite degli astanti, e inquei momenti avrei tanto voluto gettare la testa sotto lavaschetta di sabbia del figlio della mia vicina di casa. Si-curamente ne avrei fatto migliore uso, dal momento chela mia vicina teneva il proprio pargolo in casa come unrecluso e che quella vaschetta era diventata molto pi si-mile a una piscinetta fangosa, data linstabilit prover-

    biale del clima britannico.A parte questi attimi di ordinaria follia, la mia vita pro-

    cedeva senza particolari intoppi, se per intoppi si intendequel pepe che rende un po pi intensa lesistenza umana.

    Come la vita di molte persone, anche la mia era ba-sata sulla routine. Il problema che non avevo ancoratrovato il modo di renderla piacevole o rassicurante ma,al contrario, si concretizzava come una costante presenzadi noia atavica, di quella che non ti scrolli di dosso facil-mente se non suicidandoti o dando uno scossone radicalealla tua esistenza.

    Pensavo di poter cambiare radicalmente la mia vita ac-cettando il trasferimento che mi era stato proposto nella

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    DA QUI NON VEDO

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    capitale britannica, ma evidentemente mi sbagliavo. Sa-pevo troppo bene linglese per avere grossi problemi di

    comunicazione interpersonale e conoscevo troppo bene lacultura per poter risentire di quel trauma culturale cheperlomeno mi avrebbe messo un po dansia addosso. Lepremesse, per di pi, non erano state buone: gi dopo iprimi giorni dal trasferimento ero pervasa dalla noia, eora, dopo sei mesi, mi si stavano aprendo le porte del re-

    parto geriatrico della casa di cura vicino casa, dal mo-

    mento che il mio volto, il mio umore e il mio fisicosomigliavano molto pi a quelli propri delliconografiadella befana che a una donna della mia et. La morte in-teriore mi si affacciava allorizzonte e laccettavo, per-ch lapatia, che andava a braccetto con la noia, era comeuna linfa che scorreva nelle mie vene.

    Nemmeno gli attimi di ordinaria follia cui accennavomi salvavano da questa prigione di ineluttabilit. Fattequeste premesse di certo penserete che vi sto propinandounaltra storia dai risvolti imprevedibili come reboursdi Huysmans, nella quale lautore, riversando la propriamalattia entro le pagine della sua opera ha tratto un certo

    beneficio, sicuramente ha mandato in depressione unbuon numero di suoi lettori. Spero che nel corso dellatrattazione possiate in qualche modo ricredervi sulla miavita come ho dovuto fare anche io.

    Paragrafo 1 Tutte le cose che gli altri odiano di me

    Odiavo andare da Sainsburys. Non tanto perch fosseuno dei supermercati pi cari della Gran Bretagna ma per-

    ch detestavo dal profondo delle mie viscere quei dannatiaddetti alle casse automatiche con il loro falsissimo sorrisostampato in faccia. Che genialata, la cassa automatica.

    Un altro sistema per pagare meno personale e lasciaresempre pi giovani a casa.

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    VANIA BAROZZI VENTI STERLINE PER UN BLACK OUT

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    Certo, direte voi, ci sono pur sempre quei teenager insubbuglio ormonale che spacciano per addetti alle casse,

    ma se vi sono quattro responsabili per sette casse auto-matiche significa che si risparmiato il costo di tre cas-sieri ordinari. Al diavolo Sainsburys e i cassieri, pensavo,

    basta prendere le mie quattro cose ed essere fuori da qui.Credo che ormai mi conoscessero e mi evitassero daquando in risposta al loro ennesimo tentativo di spiegarmiil funzionamento di questa nuova mirabolante invenzione

    gli avevo letteralmente ringhiato dietro, guadagnandomiil soprannome digrowling spinster(zitella ringhiante, perlappunto). Gi, ero single e per di pi sulla quarantinaabbondante o cinquantina incombente, dipende da comela si vuol vedere, il fatto che avrei avuto meno chancedi trovarmi un partner che Sainsburys di reintegrare icassieri. La verit che non mi ero mai seriamente inna-morata di nessuno, forse perch sono sempre stata troppoconcentrata sul lavoro e sulla carriera per farlo, e per di

    pi il mio cinismo e i miei momenti di black out di certonon mi aiutavano nel farmi apparire la fidanzata perfetta.

    Non avevo mai trovato un uomo alla mia altezza, capacepi che di sopportarmi di avere almeno il coraggio di av-vicinarsi a me desiderando davvero conoscermi. Diffi-davo sempre pi delle persone e, come se non bastasse,mi stavo persino stufando di vederle. Ero arrabbiata conil mondo perch mi rendevo conto che stavo morendodentro senza che a qualcuno importasse qualcosa, cheormai non si seguiva pi nemmeno lantico clich di in-trattenere rapporti interpersonali anche solo per cortesia,anche infarcendo i discorsi di frasi fatte, perch lindif-ferenza aveva preso il sopravvento.

    Arrivata alla cassa, come da copione, gli addetti hannocreato il vuoto attorno a me, colorando loperazione condelle malcelate risatine di scherno.

    Ogni settimana da sei mesi a questa parte la falsarigaera la stessa: ero diventata perci immune a qualsiasi

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    DA QUI NON VEDO

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    presa in giro da parte loro, per non dire poi che me ne im-portava gi poco i primi tempi.

    Quel pomeriggio il supermercato era insolitamentepieno. Insolitamente per un gioved, perch il venerd po-meriggio era sempre un delirio di bambini urlanti nellecorsie, pensionati che sceglievano sulla base di motiva-zioni incomprensibili il pi affollato giorno della settimanaquando avevano a disposizione lintero monte ore setti-manale per acquistare i loro cinque articoli di spesa e di

    scorbutici manager che sfrecciavano veloci nelle corsie ri-schiando di investire i figli altrui, e sbuffavano in coda allecasse impazienti di lasciare la grigia Londra in favore di un

    bel weekend a base di golf nel Surrey. Ero comunque inprocinto di lasciare il supermercato e tutta linspiegabilefolla che conteneva senza, come al solito, voltarmi indie-tro per non dar soddisfazione agli addetti che festeggia-vano vedendomi oltrepassare le porte scorrevoli. Primadovevo per inserire le cinquanta sterline nellapposita fes-sura della cassa per pagare i sei articoli che avevo nel car-rello, sentendomi al contempo rapinata ma sollevata

    perch pregustavo il momento trionfale delluscita.Inserito il denaro, mi metto ad attendere come al so-

    lito un cenno dalla macchinetta, che mi doveva resto escontrino. Al cambio di schermata ho un sussulto, perchtorna alla sua home page senza restituirmi lo scontrinoma soprattutto le mie quindici sterline di resto. Non sareicomunque andata in bancarotta per quello, ma era unaquestione di principio ed ero gi nervosa di mio.

    Senza rendermene conto, avevo preso la cassa auto-matica per i due lati e avevo cominciato a strattonarla, ementre sentivo tutte le mie vene pulsare provavo una sen-sazione liberatoria mai vissuta prima. Ero nel mio mo-mento di black out, ma questa volta mi pareva di esserein uno stato di semicoscienza che mi permetteva di ren-dermi conto parzialmente di quanto stavo facendo e stavaaccadendo attorno a me. Non avevo voglia di tuffare la

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    testa sotto la sabbia, questa volta, ma ero felice e quasi or-gogliosa di quanto facevo. Poco mi importava delle grida

    che si levavano attorno a me, degli spari che sentivo edelle minacce che una voce maschile stava urlando pe-rentoriamente. Non vedevo nullaltro a parte quella ma-ledetta macchinetta e le mie mani che la scuotevano cosforte da far cadere anche quelle vicine, aggiungendo ru-more di vetri rotti e ferraglia al caos generale. Sentivoanche un dolore lancinante al piede, forse perch avevo

    cominciato a prenderla violentemente a calci. In quei mo-menti di foga non mi ero accorta che nessuno era venutoa fermare la violenza della mia ira, cosa che in condizioninormali sarebbe accaduta.

    Stavo cominciando a udire in modo sempre pi ovat-tato quanto stava succedendo attorno a me, e la mia vistasi stava facendo via via sempre pi sfocata.

    Dal punto in cui mi trovavo non avrei comunque go-duto di una buona visuale, perch davanti a me cera uncartonato di dimensioni reali raffigurante quanto di piretorico ci pu essere nel marketing pubblicitario di ungrande magazzino: una foto di una famigliola felice sor-montata dallo slogan hammer down the prices! (inchiodai prezzi!) che faceva riferimento al martello gigante cheimpugnava il padre della foto. Appena dietro al cartonato,davanti alla mia postazione, cera una scaffalatura digrandi dimensioni che conteneva le varie cartoline dellaraccolta punti pi i vari premi del supermercato. Fra que-sti vi era un set di coltelli professionali che mi attraevasolo perch stuzzicava la mia fantasia, che consisteva nel-lappendere al muro quei cassieri guastafeste e immagi-narmi come provetta lanciatrice di coltelli usando queitipi come bersagli. Avevo una fervida immaginazione,lho sempre saputo.

    Tornando al mio momento di ordinaria follia con lacassa automatica, sentii come unimprovvisa fitta al co-stato che per qualche istante mi imped di prendere fiato.

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    DA QUI NON VEDO

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    Ero in me o fuori di me? Non riuscivo a comprenderlo,come del resto i segnali che il mio corpo mi mandava:

    sudavo freddo ma al contempo le mie mani ossute (no-nostante fossi bella in carne le mie mani erano rimastemolto magre, come quando ero adolescente) non stacca-rono la loro presa da quella cassa di lamiera che mi do-veva quindicipounds.

    Paragrafo 2 Il silenzio doro ma talvolta anche disangue

    Ad un tratto sentii in lontananza dei rumori di sirene,non sapevo discernere se provenienti da camionette della

    polizia o da ambulanze. Sapevo solo che erano una lon-tana colonna sonora del mio delirio, come le urla soffo-cate degli astanti e quella voce maschile molto roca che

    da qualche tempo si alzava sopra le grida. Pi il rumorepareva affievolirsi, pi mi isolavo dal mondo circostantee la mia collera saliva. Eravamo io e la macchinetta al-lultimo atto, uno scontro finale senza esclusione di colpi.Improvvisamente ebbi uno scatto dira, un impeto che mifece sussultare anche se ne ero la protagonista, stupen-domi di essere riuscita a spingere la greve cassa contro il

    possente scaffale che stava dinanzi a me, provocandonela sonora caduta in avanti.Il tonfo era stato catastrofico, anche se mi sarei aspet-

    tata di sentire molto pi fracasso.Forse perch ero allo stremo, tutto mi pareva irrime-

    diabilmente confuso e offuscato, e le mie forze non miavrebbero permesso di fare altro che accasciarmi a terra.

    Lultimo ricordo prima del buio la mia mano insan-guinata che scivola lentamente sulla lamiera della cassa,lasciando una scia rossa dietro di s.

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    VANIA BAROZZI VENTI STERLINE PER UN BLACK OUT

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    Paragrafo 3 Il martello e il malvivente

    Se non fossi stata cos accecata dallimpeto iracondo

    e cos fisicamente sfinita, mi sarei di certo accorta dellacomicit della scena che si stava svolgendo davanti agliocchi degli attoniti clienti del supermercato, siparietto chemi fu poi raccontato durante il trasporto in ambulanza,quando cominciai a riprendere conoscenza. A posteriori,infatti, mi venne raccontato che mentre stavo dimo-strando tutte le mie buone maniere alla cassa automatica,

    nel supermercato si era introdotto un malvivente con pas-samontagna che voleva impadronirsi degli incassi dellagiornata minacciando clienti e commessi con una calibro35 carica. Il fatto che fosse carica non un dettaglio datrascurare nel momento in cui spesso si sente parlare dirapine con pistole ad acqua, perfette riproduzioni delleoriginali, o scacciacani. Qui era tutto vero e cerano tutti

    i clich della perfetta rapina: uomo dallaccento straniero,una pistola carica, un passamontagna, un sacco per la re-furtiva. Una situazione molto banale, se vogliamo, maanche molto pericolosa.

    E io non mi ero accorta di nulla.Il potere dellesaurimento nervoso anche questo.Tornando alla situazione comica, ho poi appreso che,

    cadendo a terra, lo scaffale ha trascinato con s il carto-nato della famigliola rovinando sul malcapitato malvi-vente, che, a detta dei testimoni, stava tentando di zittirmicon scarso risultato. Il fattore che suscit ilarit stempe-rando la tensione degli astanti fu la rovinosa caduta delmartello di cartonato proprio sulla testa del ladro, schiac-ciato dal pesante scaffale. Una vera e propria vendetta del

    consumatore.Di certo, per, non fu quella a procurargli la perditadei sensi e la frattura di tre costole. Come il rapinatoreanchio sono finita in ospedale non appena le forze del-lordine sono sopraggiunte nel supermercato, ormai pi

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    DA QUI NON VEDO

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    simile al set di un film di Tarantino che a un rassicuranteluogo per famigliole dove passare le ore pi inutili di un

    gioved pomeriggio qualunque.Dalla mia finestra al St Thomas Hospital, in prossi-mit del Westminster Bridge e vicino alla Waterloo Sta-tion, vedevo allegre famigliole dirigersi verso lIMAX,

    per gustarsi quaranta minuti di alta definizione e lasciarsii problemi alle spalle. Lultima volta che ero entrata inun cinema, lIMAX non esisteva ancora e forse nemmeno

    i genitori di quegli spensierati nuclei familiari.Certo gi sapevo di aver condotto una triste e insipidaesistenza negli ultimi venticinque anni, ma non avevomai visto chiaramente la cosa come in quel momento.

    Saranno state quella luce azzurrata e fredda del neono quelle pareti color verdino ospedale a farmi ravvedere:la loro tristezza e monotonia tale che non possono in-durre altri sentimenti che la malinconia e paiono non

    poter incoraggiare nessun ragionamento che non sia dicarattere passivo, introspettivo ed eminentemente abu-lico. Quasi cinquantanni, nessun marito, nessun figlio,nessuno e basta. Sola io e il mio principio di menopausa,come due nemici che si trovano uniti in una situazione didisagio. Non mi ero mai sentita cos in balia del nulla

    prima dora.Dopo molti anni di apatia sentimentale sentivo le la-

    crime rigare il mio volto: non un singhiozzo per. Infondo la mia corazza di persona coriacea, cinica e orgo-gliosa non era ancora del tutto caduta. A cadere inveceera la pioggia battente, ideale scenario per un abbandonomalinconico.

    Non riuscivo a smettere di piangere e non ero nem-meno in grado di staccare il mio sguardo dallacquazzoneche si stava scatenando fuori dalla finestra.

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    VANIA BAROZZI VENTI STERLINE PER UN BLACK OUT

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    Paragrafo 4 Pioggia fuori e dentro

    La voce del medico mi distolse dallo spettacolo che

    stava andando in scena fuori dalla mia camera dospe-dale. Probabilmente avevo il volto pi simile al muso diun panda che a quello di una persona, e due chiazze rossestile Pimpa ogniqualvolta piangevo comparivano dal-larco sopraccigliare fino alle occhiaie, rendendo imme-diatamente comprensibile agli altri il mio stato emotivo.Questo di certo non mi faceva piacere, e lultima cosa

    che avrei voluto era la compassione delle altre persone.Fortunatamente, il dottore comprese che non ero del-lumore adatto per motivare quel mio stato di malesseree si limit a fornirmi quadro clinico e diagnosi. A parte unforte esaurimento nervoso, qualche graffio e la slogaturadel polso dovuta alla violenza dei miei strattoni, ero in

    perfetta salute. Uscito il dottore, potevo sprofondare nuo-

    vamente nella mia depressione e solitudine, dato che perqualche strano caso del destino non avevo nemmeno uncompagno di stanza.

    Sar stata immersa nei miei pensieri per almenomezzora prima che il commissario Dan Watts varcasse lasoglia della mia stanza. In qualit di testimone oculare diun crimine dovevo rispondere a qualche domanda della

    polizia. Sar rapido e indolore, viste le sue condizioni disseWatts, con voce vellutata e suadente.

    Non c problema sussurrai sommessamenteasciugandomi velocemente il viso con la mano sana.

    Premesso che la comunit le deve gratitudine, dalmomento che ha fermato un criminale che negli ultimi

    tre mesi ha effettuato cinque colpi in altrettanti ipermer-cati, vorrei chiederle se nei giorni antecedenti la rapinaaveva notato nel supermercato dei movimenti sospetti da

    parte di eventuali complici del rapinatore, non ancora in-tercettati dalle forze dellordine.

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    Non saprei, guardi. Di norma odio andare nei su-permercati e nella fattispecie in quello, dal momento che

    non ho ottimi rapporti con una buona parte del personale,quindi cerco di starci il meno possibile e di incrociaremeno sguardi che posso. Andandoci poi solo una volta asettimana, in ogni caso non sarei riuscita a monitorare pidi tanto eventuali movimenti sospetti.

    Per caso si ricorda se il malvivente era solo? Guardi, in realt non ricordo nemmeno di averlo visto

    per tutto il tempo in cui stato nel negozio. Posso confer-mare la sua presenza perch dai racconti che ho udito dal-linfermiere che mi ha scortato in ambulanza e che era

    presente in quegli attimi nel supermercato lho abbattutoio, pur senza volere, e inoltre ricordo di aver sentito unavoce roca e dallaccento forestiero mentre ero in preda almio raptus. Ad ogni modo non lho mai visto, perch dallamia postazione non vedevo assolutamente nulla.

    Per via del cartonato e dello scaffale che sono poirovinati addosso al malintenzionato, giusto? mi chieseWatts, che nel frattempo si stava trastullando togliendo erimettendo nervosamente il tappino alla sua biro.

    Esattamente annuii. Bene, direi che per ora pu bastare. Non implicata

    in alcuna indagine poich la sua non stata una reazionevolontaria e immotivata, rientra nella legittima difesaanche perch ha subto minacce, a detta dei testimoni.

    Presumo di s ma non ricordo, sinceramente. stata fortunata ad aver colto il momento esatto in

    cui il rapinatore, spazientito, si stava avvicinando a leipassando davanti allo scaffale. Se fosse successo un mi-nuto dopo forse non sarebbe qui a parlarne.

    La fortuna non mi ha quasi mai toccato, nella miavita. Probabilmente star vivendo un momento di svolta,non so. Di certo solo lassoluta estraneit alla vicenda elincoscienza mi hanno portato qui. Se lavessi chiara-mente visto, o perlomeno scorto, e non fossi stata acce-

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    VANIA BAROZZI VENTI STERLINE PER UN BLACK OUT

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    cata dallira probabilmente starei sul lettino del coroneradesso enunciai con rassegnazione.

    Gi convenne Watts con aria pensante.Ci fu un attimo di silenzio. Entrambi sembravamo im-mersi in mondi tutti nostri, eravamo in quella stanza e

    parlavamo della stessa cosa ma eravamo mille miglia di-stanti luno dallaltro, in cerca di un modo per uscire daquella stucchevole pausa di silenzio e da quella conver-sazione di circostanza.

    A un tratto vidi il volto del commissario distendersi eassumere un sorriso al limite del beota, rimanendo atto-nita per la rapidit di quel mutamento emozionale.

    Ma lo sa che fuori dal polo ospedaliero gi appo-stato uno stuolo di giornalisti pronti a immortalarla? ri-vel con un entusiasmo da adolescente che non mi sareiaspettato da un poliziotto inglese alquanto attempato.

    Spero solo che siano qui per immortalarmi e non pervedermi morta ribattei.

    Anche se onestamente quella battuta di dubbio gustoavrei potuto facilmente risparmiarmela, certo le condi-zioni psichiche in cui versavo non mi permettevano, que-sto va detto, di partorire qualcosa di pi ilare.

    Vidi il commissario abbandonarsi a un risolino, e vol-tandomi le spalle disse:

    This is English humour, my dear! Oh oh!Non riuscii a capire se rimasi pi basita dallassoluta

    mancanza di seriet di Watts o dal fatto che lInghilterra miavesse gi fatto perdere quel poco di sano senso dellumo-rismo che da buona italiana non mi era mai mancato, rim-

    piazzandolo con una versione pi cinica e inquietante.

    Paragrafo 5 Dal tubo di scappamento a Youtube

    Avevo dormito di sasso tutta la notte. Probabilmentese da quindici anni a questa parte avessi sempre riposato

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    cos, sotto i miei occhi non ci sarebbero quelle orribiliborse, che ormai erano pi simili alleshopping bags di

    Paris Hilton che a dei rigonfiamenti cutanei.Al mio risveglio scorsi occhi indiscreti sbirciare dalleveneziane semiaperte che si aprivano sul corridoio. Checosa mai fossero curiosi di vedere lo ignoravo, dal mo-mento che in quella stanza cero solo io (che appena sve-glia, come tutti, non sono proprio un bijou).

    Non c nulla di pi odioso di sentirsi osservati in

    ospedale, ancor di pi se in qualit di degenti. Il medicomi aveva consigliato di arrabbiarmi il meno possibile, e,per quanto potevo, di stare tranquilla. Convenivo certocon lui, in linea teorica, ma quegli idioti al di l del vetromi facevano saltare la mosca al naso. Afferrai con lamano sana lasta porta-flebo e la trascinai fuori dalla

    porta con me. Vi sembro una cavia da analizzare o, a tempo perso,

    andate in giro per ospedali come turisti al safari? rin-ghiai sfoderando il lato pi burbero che c in me.

    Non si scaldi cos, per carit! Mio figlio lha vistaieri sera al TG e, dal momento che mia cognata ricove-rata in questo stesso reparto, abbiamo colto loccasione

    per venirla a trovare mi disse una signora della mia etindicando il figlio adolescente che cingeva orgogliosa-mente con un braccio attorno alla sua vita.

    Ecco, cercate di cogliere meno occasioni in futuro,allora.

    Lei proprio intrattabile, lo sa? Per ieri ha fatto unagran cosa. Cerchi di limare quel suo caratteraccio e vedrche vivr pi serena.

    Senta, a parte il fatto che vorrei sapere quale autoritle permette di dispensare consigli a sconosciuti... co-munque sia, cosa le fa pensare che io non sia serena?

    Beh, guardi. Direi che il suo siparietto da nevroticacon la cassa automatica parli da solo, no? replic conaria saccente e sguardo fermo, dritto nei miei occhi.

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    Non voglio mancarle di rispetto, ma evidente cheversa in uno stato emotivo precario aggiunse. Ci che

    ha fatto a quelle persone molto nobile, comunque, ed per questo che nonostante i suoi squilibri la stimo comepersona, sa? Anche mio marito! Ora non qui ma leposso garantire che cos.

    Ci mancava solo il TG. La mia nevrosi era un caso diinteresse nazionale ed ero diventata in meno di un giornoun fenomeno da baraccone. Niente male per una persona

    che si era trasferita in un altro paese per vivere una vitaanonima e, lavoro permettendo, tranquilla. Ma sa che ha una cifra di visualizzazioni su You-

    tube? Hanno anche creato un fan club su Facebook, sichiama Exhausted everyday heroes (eroi esauriti dellaquotidianit)... oh, io mi sono gi iscritto disse rag-giante il figlio della signora. Avr qualcosa come 3000iscritti.

    Grazie per la precisazione ribattei. Wow, dovreiessere felice del fatto che nottetempo un gruppo di ra-gazzini in perenne lotta con lacne abbiano creato unasorta di fan club per una zitella acida e nevrotica? dissicon fare canzonatorio.

    Beh, cavolo, penso di s! bofonchi in tono pococonvinto e con le pupille allins, come chi non del tuttocerto di aver capito e volge in alto lo sguardo come per ar-

    pionare unidea errante, anche la pi stupida, pur di darfiato alla bocca.

    Ci piace proprio perch cos... cio... a sto mondochi non si incavola perduto, lei una persona vera.

    A parte lovviet dei luoghi comuni sciorinati e la suascarsa propriet di linguaggio, che l per l mi fecero rab-

    brividire, forse il ragazzo aveva ragione.Era giunta lora di dare una svolta alla mia grigia esi-

    stenza e di conoscere quel mondo che mi limitavo a cri-ticare. In fondo sarebbe potuto scaturire anche qualcosadi divertente, Facebook aveva un lato folkloristico e ge-

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    nuino che avrebbe potuto distogliermi da quel cinismo esnobismo un po piccolo-borghese di cui avevo sempre

    fatto sfoggio.

    Paragrafo 6 Le luci della ribalta

    Una volta lasciata la camera del St. Thomas mi ritro-vai catapultata nei camerini delle pi disparate televisionieuropee, dato che ero diventata il personaggio del mo-

    mento e su Internet il filmato ripreso dalle telecamere diSainsburys aveva viaggiato velocemente, toccando il mi-lione di visualizzazioni su Youtube nel giro di due giornidallaccaduto.

    Anche se nelle riprese sembravo pi una pazza da in-ternare che uneroina da esaltare, ricevevo quotidiana-mente e-mail, lettere e fax con attestati di stima da parte di

    persone che ovviamente non conoscevo e che vivevanolontanissimo da Londra. Pi erano distanti e pi i loro com-plimenti e gli auguri per me sembravano accorati e sinceri.

    Ovviamente anche in Italia ero diventata popolare,tanto che ero quotidianamente contesa dai Signorini eSposini di turno. Esposta alla corrida giornaliera della

    battaglia dellaudience che vedeva affrontarsi le reti Me-

    diaset e Rai a colpi di Verissimo eLa vita in diretta,Po-meriggio Cinque e Uno Mattina; mi barcamenavo tra tuttiquei programmi un po frivoli da casalinghe disperate chetanto assicurano quella popolarit istantanea ma effimerache mi stava dando, non lo nascondo, una certa soddi-sfazione personale oltre a notevoli introiti.

    Nella mia vita non mi ero mai abbandonata cos al

    contatto con le persone e non avevo mai saputo cosa siprova a essere al centro dellattenzione. Presto mi resiconto che mi piacevo di pi quando ero, come ora, un po

    pi moralmente corrotta ma emotivamente stabile. Delresto, per trovare una mia tranquillit dovevo tentare di

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    interagire pacificamente con il prossimo, e per farlo do-vevo perlomeno darmi da fare per piacergli anche solo

    un tantino, nonostante questo comportasse latto di scen-dere a compromessi con me stessa.Avevo sempre odiato quei programmi pressappochisti

    e dai falsi sentimenti, per non potevo ignorare che eranocapaci di arrivare al cuore delle persone, il pi delle volteanziane e con un basso livello di istruzione, ma non perquesto meno importanti e meno reali.

    Anzi, per la loro genuinit e innocente naturalit loerano forse anche pi di altri che, come me, avevano sem-pre snobbato quel tipo di trasmissioni e bollato come bi-folchi e trogloditi coloro che le seguivano ogni giorno.Alluscita dagli studi televisivi trovavo sempre un nutritonumero di persone ad aspettarmi ed ero diventata, volenteo nolente, il simbolo e lignaro portavoce di tutte quelle

    persone stressate o indebolite dalla solitudine e dallepressioni della societ.

    Mi ero tramutata in un animale da palcoscenico, unacavia da studio sociologico per la mia schiettezza nellerisposte e nei rapporti umani; le mie risposte taglienti e

    burbere spopolavano sul web ed erano diventati tormen-toni, nutrendo quel circo mediatico che dona a tutti noi,nel bene o nel male, i famosififteen minutes of fame war-holiani. Forse mi ero instupidita anche io, inghiottita daquellingranaggio mai pago che loshow business, ma

    per la prima volta nella mia vita ero davvero serena. Acoronamento del mese pi frenetico ma entusiasmantedella mia vita, una mattina ricevetti da un ammiratoreanonimo un braccialetto dargento con un pendente aforma di pistola alata. Proprio cos: una revolver in ni-chel con due ali dangelo allaltezza del tamburo.

    Nonostante di per s il bracciale fosse decisamentekitsch, non esitai a indossarlo.

    Lo feci per empatia, infatti colui che me laveva in-viato, come scrisse nella lettera che accompagnava il

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    dono, era sopravvissuto a una sparatoria in un supermer-cato, proprio in occasione di una rapina. Pur non avendo

    subto la stessa sorte vi ero andata molto vicino, quindi misentii in dovere di portarlo anche solo per solidariet mo-rale. Lo indossai durante le mie ultime due settimane dicelebrit allOprah Winfrey Show e da David Lettermannegli States, nonch al programmaBreakfastdella BBC.

    Trascorse queste due settimane, mi restava una solaospitata prima di ritirarmi di nuovo a vita privata, anche

    se non potevo escludere altre comparsate, come si dicein gergo, per il futuro.Era una decisione che avevo preso di mia iniziativa,

    anche se i miei agenti (s, si erano materializzati quandoavevano sentito lodore del guadagno e dello scoop) nonerano dello stesso avviso. Avrebbero voluto altri passaggitelevisivi per almeno un altro mese, ma era meglio tor-nare alla mia vita di sempre perch la gente si sarebbe

    presto dimenticata di me e forse si era gi stancata di ve-dere il mio volto da befana imbellettata a quasi ogni oradel giorno senza soluzione di continuit. Si tornava allavita quotidiana ma non allantico baratro, quello no. Oraavevo una buona piattaforma di contatti con il mondo (ilmio gruppo su Facebook contava almeno un milione emezzo di iscritti e si progettava di organizzare un radunoannuale nella capitale britannica), pertanto non sarei dicerto rimasta a corto di persone con cui comunicare econdividere la mia esperienza. Come spesso accade inqueste situazioni, dopo aver ricevuto molto, tra amore edenaro, si ha voglia di restituire un po agli altri, per que-sto meditavo di cooperare con qualche charity impegnatanellassistenza alle famiglie delle vittime di sparatorie adanno di innocenti. Forse non esisteva ancora un ente diquesto tipo: avrei potuto crearlo io, perch no?

    Immersa in questi pensieri, mi apprestavo a raggiun-gere gli studi della BBC in Wood Lane, per prendere

    parte al dibattito serale del BBC London News. Il via-

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    letto che portava allingresso, nel gelido freddo di gen-naio, era ricoperto da una sottile quanto invisibile lastra

    di ghiaccio.Prima che potessi accorgermene, mi ritrovai a terracon un lancinante dolore alla testa.

    Epilogo

    Sono sdraiata in un lago di sangue, la mente confusa,

    la vista annebbiata.Da qui non vedo nulla, se non che la mia mano giaceabbandonata di fianco alla lamiera della cassa automa-tica, proprio come lavevo lasciata prima di svenire. Lavedevo come parte del mio corpo ma non la sentivo picome tale: ero letteralmente a pezzi.

    Ma non mi sarei dovuta trovare ai BBC Studios?

    Che sensazione strana di dj vu... era davvero possi-bile che mi trovassi ancora sul luogo della rapina? Oddio,che brutto sogno. Forse ero cosciente del mio incubo, ba-stava attendere e mi sarei svegliata nel tripudio dei mieiammiratori o in una stanza dospedale con limmanca-

    bile commissario Watts, vista la mia brutta caduta. Forsemi sarei dovuta risparmiare quellultima ospitata, forse

    ero stata idealmente indirizzata a quella lastra dai mieidetrattori per impedirmi un nuovo passaggio televisivo,chiss. Sar forse svenuta l e ora stavo sognando?

    Caspita, la pozza bella estesa, sono ferita allal-tezza dello sterno, mi vedo il foro del proiettile pen-savo ad alta voce. Le fitte erano tornate, come prima diaver perso i sensi la prima volta. Ma cera stata davvero

    una prima volta o avevo sognato tutto? Se quello era ilsogno ora questa era realt? Una sagoma nera di uomo sifaceva sempre pi vicina a me (presumo a passo speditoanche se vedevo tutto come inslow motion) minaccian-domi in un inglese maccheronico di tacere. Luomo pare

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    puntarmi contro la sua calibro 35, anche se vedo cos of-fuscato che mi pare quasi una nuvola nera. In quellat-

    timo parte un colpo, dritto alla mia tempia.Non ho nemmeno il tempo di pensare che la fine, divedere le reazioni degli astanti, compresi quei ragazzinifrustrati e maligni delle casse automatiche: mi sono persaun bello spettacolo, per una volta ero riuscita a zittirli la-sciandoli di sasso. Il mio sguardo, prima di spegnersi, si

    posa ancora una volta sulla mia mano, quella mia mano

    indisciplinata e violenta che tanto male aveva fatto aquella macchinetta e che tanto male aveva inferto a mestessa negli anni passati. Accanto al mio indice, appenaappoggiata, c una banconota da venti sterline che staassorbendo il rosso denso del mio sangue.

    Prima di spirare, la cassa automatica aveva emesso insegno di resa quella banconota, pi di quanto in realt midovesse. Non mi era mai successo di avere cos fortunanella vita.

    E pensare che non indossavo nemmeno il mio brac-ciale portafortuna.

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    Postfazione

    di Paolo Giovannetti

    In questa quarta antologia dei Giovani scrittori Iulmfigura un racconto di Vania Barozzi, Venti sterline per un

    black out, che narra una storia per lo meno curiosa. Unainacidita single, italiana e stagionata, a Londra fa un la-voro prestigioso ma eleva fra s e la realt barriere di dif-fidenza e rancore che finiscono per renderla infelice. Unevento drammatico il cui statuto ontologico ci limi-tiamo a definire dubbio per non rovinare al lettore il pia-cere di scoprire che cosa davvero successo la proietta

    allimprovviso in un mondo diverso, pi eccitante e ap-pagante. Questo mondo la televisione. Il tanto dete-stato (anche dalla narratrice) talk show fornisce una

    possibile via di fuga dalla frustrazione, permette alla pro-tagonista di scoprire, per un attimo, una dimensione au-tentica. Che tuttavia lontana dai quindici minuti dicelebrit di cui parlava Andy Warhol, e anzi assomigliamolto alla scoperta di unospazio interiore a lungo desi-derato e mai davvero n capito n affrontato.

    Quello che mi colpisce in un tipo di scrittura del ge-nere mi spiego la capacit di costruire un perso-naggio e insieme una voce, in cui la finzione (il falso) eil ritorno alla realt trovano un equilibrio assai precario,comunque sbilanciato dalla parte del primo polo. La ma-schera audiovisiva fa premio, dico, sulla ricomposizione

    pragmatica. Autobiografismo generazionale e moralismoantimediale, due componenti che spesso caratterizzano ilgenere scrittura giovanile, sono del tutto assenti. La

    posta in gioco ora molto diversa.

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    Su un piano letterario strettamente inteso, ci signi-fica accettare un sistema di convenzioni fra le quali

    quelle televisive possono svolgere un ruolo non secon-dario a fianco del cinema e Internet indispensabili perintuire qualcosa che si avvicini allapropria identit. Aun estremo del percorso possiamo collocare Diego Do-tari,Muscle car. Un viaggio in Ammerica, con la sua fan-tasmagoria narrativa (forte anche di una pasta linguisticasicilianizzante, e della memoria del peraltro inattuale Or-

    cynus orca di Stefano DArrigo) che distrugge la linearitdellintreccio per far trionfare una metamorfosi giocosadi personalit e luoghi. Allaltro estremo Senza sonno diMattia Conti, in cui il monologo di un neonato abbando-nato rende esplicito il desiderio biologico (e ideologico,certamente) di affermare un puro esserci, un puro so-

    pravvivere.Tra lo sfaldamento liquido e il fondamentalismo dog-

    matico, fra una struttura che si elide e un principioastratto che si fa narrazione, a me sembra che la media diquesti racconti si collochi nel campo dei ragionevoli tra-vestimenti, dei plausibili rovesciamenti.Da qui non vedo,in questo senso, potrebbe avere un significato pi ambi-zioso. Da qui non vedo, certo: ma ho qualche idea delgioco di maschere e specchi che devo mettere in atto per

    provare almeno a intuire alcunch di diverso. Sono con-sapevole del fatto (per riprendere unosservazione svoltada Giorgio Falco nella sua bella prefazione) che il mio

    presente mi prospetta un futuro incerto e anzi proprio in-guardabile, e non credo pi forse non ci ho mai cre-duto alle pratiche di uno scavo interiore che dai limitidel qui-e-ora mi suggerisca qualcosa di simile alla siepeleopardiana, per cui il mio non vedere pu rovesciarsi inun vedere al quadrato, nellinfinito che sta dentro me. No,esattamente allopposto, la finzione fuori (fingo pergli altri, e non mi fingo, cio invento dentro di me), edeve essere materiata di tutto ci che ho a portata di

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    mano: generi e sottogeneri del letterario, stili mediali, vo-calit elettrica ed elettronica, persino ricordi della Storia

    (non manca un racconto su un episodio del recente pas-sato italiano, la strage di Bologna: vediFermo immaginedi Elena Sabattini). In questo percorso, probabile chela seconda vista possibile si avvicini a una specie di sma-scheramento, pi esattamente a uno straniamento: quandofinalmente vedo (e sento e tocco e annuso: come ci ri-corda Salinoch con il suoAstrakan) al di l dei limiti pre-

    stabiliti, sar realizzabile un rovesciamento dei rapporti diforza, niente potr pi essere letto e vissuto come prima.Certo, normale che il racconto in quanto genere co-

    dificato (come, da Poe in gi, tanti maestri hanno inse-gnato) giochi tutte le sue carte su un unico effetto, su unasolafuse sparata con accortezza. Per qui, anche a causadel tema proposto, si ha limpressione che la rottura diun limite svolga un ruolo discretamente anomalo, nelsenso di chiederci un di pi di attenzione. Notevole chein un paio di pezzi (Valentina Neri, Lunica risposta;Chiara Daffini,Lui volava nel vuoto) sia la stessa fami-glia a nascondere il male, e che la logica di chi uccide ap-

    paia quasi accettabile, comunque comprensibile; enotevole la frantumazione polemica e molto ideologica

    praticata da Marco Ferrarini (The revolution will not betelevised) con il gesto quasi tracotante di chi svela risen-timenti sociali (e biologici) diffusi. sintomatico ilfatto aleggia pi di quanto a prima vista non sembri chequa l emergano riferimenti dickiani a mondi paralleli,a realt moltiplicate che un po si toccano un po si sepa-rano, e ci ricordano che il soggetto , costantemente, quie altrove: presente alla nostra coscienza ma anche in baliadi forze (le forze produttive di storie) che non in gradodi controllare. Prendete almenoIl duello di Jacopo DAn-drea,Linea interrotta di Federica Gerardi eMemorie pla-

    stiche di Laura Banchero: e vi renderete conto di cosapu diventare, anche in termini di umore e di sensibilit,

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    una simile ossessione del nostro tempo rimanipolata dagiovani scrittori.

    Rimanipolata. Appunto. In gioco molto spesso canche, e magari soprattutto, la manualit della scrittura,la sua grana elementare, ifondamentali che guidano losforzo compositivo. In gioco c anche e soprattutto lo

    stile. Per capire meglio dove voglio arrivare, faccio unaspecie di passo indietro. La selezione dei Giovani scrit-tori Iulm anno 2011 avvenuta in maniera pi garanti-

    sta rispetto al passato: i quattro curatori i cui nomi leggetenel frontespizio hanno fatto la loro scelta in totale indi-pendenza dal sottoscritto, il professore-promotore, ilquale oltre tutto non aveva lautorit di escludere raccontiscelti che (eventualmente) non gli piacessero. Lunico suotipo di intervento era pensato in senso rigorosamente po-sitivo: includere racconti inizialmente bocciati dal gruppodei curatori. Lesito, agli occhi appunto di quel profes-sore che ora prova a delineare un bilancio, un aumentodelleterogeneit, un sovrappi di contrasti tra dicia-molo scritture evidentemente ancora un po ingenue escritture al contrario gi parecchio smaliziate.

    E tuttavia questo rilievo (che in s non direbbe molto e poi chi legger giudicher) a me pare sintomatico diuna questione pi importante e anzi strategica. InDa quinon vedo, se si fa unanalisi spassionata degli esiti ac-quisiti, la pluralit ma anche lo scarso spessore degli stili qualcosa che colpisce e pu anche disturbare. Tantevoci tutte diverse fra loro, certo, ma solo pochissime dav-vero installate in una ricerca di scrittura che abbia com-

    portato (di nuovo) il superamento di un limite, un occhiogettato oltre. La babelica diffrazione dei microstili, cio,solo di rado rispecchia quel lavoro sulla parola che laTradizione ci ha restituito. Nel bricolage dei riferimenti ilgusto dellarchitettura sintattica e della ricerca lessicale quasi totalmente escluso. A risultare vincente un ron-zio verbale poco connotato, in ultima analisi poco espres-

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    sivo, oserei dire persino per i suoi difetti di consapevo-lezza poco letterario.

    Ma io dico: bene, evviva. E faccio una mezza provo-cazione di portata forse sproporzionata alloccasione. Indefinitiva: non pu essere che da un simile modo di scri-vere, che sembra spesso lesito di una traduzione (ovvia-mente dallinglese), stia nascendo una specie di nuovaconvenzione letteraria, pi opaca ma non per questomeno preziosa? E, insomma, perch non provare a co-

    struire sulle macerie della tradizione ereditata forme dav-vero pi semplici e paradossalmente nuovissime? perchnon rinunciare una volta per tutte alleffetto di stile, al-larguzia, alla bella metafora (che poi si rivela spesso unsimpatico autogol) per plasmare fino in fondo le virt diun non-stile? In modo beninteso il pi possibile con-trollato. Come colui che, avendo assistito al crollo di unmondo comunque a lui estraneo, si arrangia a vivere conil poco che gli rimasto. Ma se la cava bene, valoriz-zando le sue rovine.

    Almeno per il momento. Per salvare i classici il tempoprobabilmente ci sar; ma e sar il tempo di altre sfere,di realt diverse, che non detto incrocino la cellula delloscrittore. L dentro, in quei mondi alieni, ci vivono i pro-fessori uffa. Sta a noi decidere se le loro proposte di ne-goziazione abbiano ancora un futuro. E una voltalegittimata, con la pratica, la nostra manipolazione avremo comunque ragione noi.

  • 7/28/2019 Venti sterline per un black out - di Vania Barozzi

    34/35

    Collana

    Giovani scrittori IULM

    Glenda Manzi, Michele Marcon, Hulda Federica Orr, Danilo Potenza,Paola Tonetti, Dimitri Squaccio, Marcello Ubertone, Giusepppe Carrieri

    Linafferrabile

    a cura di Giuseppe Carrieri e Michele MarconPostfazione di Paolo Giovannetti

    Michele Marcon, Hulda Federica Orr, Linda Avolio, Massimo Pignat,Ludovica Isidori, Danilo Potenza, Anna Cuomo, Nicholas Di Valerio/Sali-

    noch, Rachele Casato, Riccardo Fantoni, Glenda Manzi, Stefano Plebani,Giulio Tellarini, Francesco DUvaPerso in tempo

    a cura di Michele Marcon e Giulio TellariniPrefazione di Andrea G. PinkettsPostfazione di Paolo Giovannetti

  • 7/28/2019 Venti sterline per un black out - di Vania Barozzi

    35/35

    Andrea Sesta, Michele Danesi, MDS, Salinoch, Mattia Conti, Monica Fer-razzi, Danilo Potenza, Chiara Daffini, Diego Dotari, Valentina Neri, Linda

    Avolio, Giulio Tellarini, Daniel Cristian Tega, Giuseppe Marazzotta,

    Marco Romani.Quello che restaa cura di Michele Danesi e Andrea Sesta

    Prefazione di Antonio ScuratiPostfazione di Paolo Giovannetti