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“La Reggia di Venaria di Sua Maestà il Re di Sardegna ha come confini so-

lo le Alpi e il cielo di Nostro Signore”. Così assicuravano gli ambasciato-

ri sabaudi accreditati nel Settecento alle corti di Vienna e Parigi. Nem-

meno Versailles poteva vantare una simile prospettiva naturale, invidiata quanto poi

devastata dalle truppe di Napoleone.

È rimasta mortificata per due secoli, finché il Piemonte ha osato non solo restaurare

la Reggia, ma anche ricostruire l’intero panorama che la circonda, perduto da secoli.

Con 200 milioni di euro l’impresa è stata compiuta in poco più di due anni. Disegni

e mappe antiche hanno guidato ruspe e progettisti. Si sono cimentati in dieci cantie-

ri, che hanno restituito alla storia un complesso architettonico e paesaggistico di 950

mila metri quadri, circondato da 87 ettari di verde. Ha ritrovato i volumi e le linee

prospettiche che gli architetti Amedeo di Castellamonte, Michelangelo Garove e Fi-

lippo Juvarra concepirono per ospitare i «piaceri» della corte sabauda.

Il risultato è sorprendente: la Reggia di Venaria Reale, orgoglio del Duca Carlo Ema-

nuele II di Savoia, si specchia di nuovo nella sua peschiera di 11 milioni di litri d’ac-

qua. Pare di nuovo trovare limiti solo nella cerchia delle Alpi. Fanno da scenario al suo

parco, disegnato su un asse che in due chilometri unisce la città di Venaria, i 400 va-

ni della Reggia e il loro «orizzonte» ritrovato.

E’ uno spazio pari per estensione a quello dei giardini di Versailles, ma in più, là do-

ve l’occhio già si perde, propone altri 6500 ettari. Sono quelli della tenuta della Man-

dria: un borgo e un castello, al centro di boschi e pascoli, racchiusi da una cinta di 42

chilometri. La fece costruire Re Vittorio Emanuele II, per difendere la propria inti-

mità. Qui abitava con Rosa Vercellana, la sua sposa morganatica, in 14 stanze più ser-

vizi che prediligeva più d’ogni altra residenza. Perchè qui andava a caccia, ma sopra-

tutto perchè qui era lontano dall’etichetta di corte e dai «piantagrane»: Camillo Ca-

vour e Bettino Ricasoli, i due statisti che avversarono l’unione con Rosina, l’amore più

travolgente della sua vita.

E’ l’amore la linfa di Venaria Reale. Amore inteso come piacere di riscoprire la vita, co-

me sanno ben assaporare coloro che hanno vinto la morte. Venaria Reale nasce nel 1659

quasi per celebrare la fine di una tragedia: il conflitto civile, fra partigiani della Francia

Venaria, la Versaillesdel Piemontedi Maurizio Lupo SP

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A fronteTorino e, sotto,il complesso della reggia.

Torna all’antico splendore la Reggia.Qui i re e le regine di casa Savoia trascorrevano le loro giornate estive in giardini disegnati in modo da avere per recinzione visiva la catena delle Alpi.La Versailles del Piemonte ospiterà nel 2006 una grandiosa mostra sui Savoia.

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e della Spagna, che dal 1639 al 1648 lacera il Ducato sabaudo nel più ampio e tragico

teatro della «Guerra dei Trent’anni». Massacri, carestie, la peste narrata dal Manzoni nei

«Promessi Sposi», sterminano e dividono migliaia di famiglie. Finchè l’esaurimento del-

le risorse umane e del territorio pongono la parola fine. Carlo Emanuele II sale al tro-

no, «nato dalla guerra - scrive lo storico Emanuele Tesauro - per progettare la pace». A

Venaria crea il «palazzo di luce» sacra alla dea Diana, patrona delle cacce.

Sono il suo massimo piacere. Lo condivide con una generazione di ruvidi guerrieri

che, lasciate le armi, scoprono quasi increduli le seduzioni di schiere d’aristocratiche

adolescenti, raffinate quanto maliziose e compiacenti. Sono le figlie della nobiltà che

Cristina di Francia, sorella di Re Luigi XIII e madre di Carlo Emanuele II, aveva con-

dotto con sé da Parigi. La «Reggia di Diana», ideata da Amedeo di Castellamonte, ac-

coglie ora le loro schermaglie d’amore, balli, feste spettacolari, ma anche duelli e scan-

dali. Lo stesso Carlo Emanuele II amoreggia con due ragazzine di 14 e 16 anni, una

complice dell’altra. Sono le splendide sorelle Marolles. Il padre, un vecchio e nobile

colonnello francese, prima di morire le ha affidate al Duca, «che se ne compiace - di-

ce la corte più bigotta - a rischio che la tresca venga alle orecchie del Re di Francia».

Il Duca se ne stanca prima. La guerra con la Francia tornerà, ma per altri motivi.

Di quel tempo sensuale rimane la stupenda «Sala di Diana». È il cuore della reggia,

edificata fra il 1659 e il 1675 su progetto di Amedeo di Castellamonte. L’ambiente, a

pianta rettangolare, con maestosa volta a croce, vanta un ricco apparato d’affreschi al-

legorici e stucchi, con erme di satiri, ninfe, trofei di caccia e grandiosi dipinti. Insie-

me sviluppano un tema ideato da Emanuele Tesauro, che vede nelle gesta di Diana,

dea della caccia, una metafora morale del vivere civile.

Accanto s’aprono gli appartamenti ducali, seguiti dalla stupefacente «Galleria di Dia-

na». Impostata alla fine del Seicento dall’architetto Michelangelo Garove, quale punto

di «esibizione» della Corte e luogo di collegamento fra Reggia e scuderie, viene in se-

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La reggia in una stampad’epoca.

A fronte“Venaria” durante i lavori in corso.

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guito trasfigurata da Filippo Juvarra che la riprogetta fra il 1716 e il 1718, per conce-

pirla come grandioso «teatro di luce». Quindi, dal 1722 al 1727, Juvarra aggiunge una

citroniera e una scuderia, due ambienti maestosi. La scuderia misura 70 metri di lun-

ghezza, è ampia 12 ed è sormontata da una volta che si sviluppa a 13 metri di altezza.

La citroniera, pari circa per altezza, è lunga ben 146 metri e larga 14. L’insieme è com-

pletato da una chiesa con pianta a croce greca smussata, con cappelle semicircolari sul-

le diagonali. E’ dedicata a

San Uberto, patrono dei

cacciatori. La sua costru-

zione, su progetto di Ju-

varra, inizia nel 1716 ed è

ultimata nel 1728. Il tut-

to viene riplasmato fra il

1739 e il 1769, quando

Benedetto Alfieri riunisce

in un solo sistema archi-

tettonico i contributi di

Juvarra.

L’armonia raggiunta viene

però presto infranta dal-

l’invasione napoleonica,

che segna l’inizio della de-

cadenza della Reggia. Il re-

gime francese prima la sac-

cheggia, poi la trascura.

Nel 1809 il complesso è ca-

dente. Per risanarlo c’è bi-

sogno di 300 mila lire.

Vengono richieste a Napo-

leone, che le rifiuta.

La spogliazione della di-

mora dura 200 anni, fin-

chè il Piemonte e l’Euro-

pa, all’alba del 2000, de-

cidono d’intervenire. La

Regione con il concorso

dell’Unione Europea e del

Ministero ai Beni cultura-

li, riescono a trovare le ri-

sorse per una grandiosa

impresa. Deve restituire a

Venaria Reale il decoro antico, ma non solo. La Reggia è destinata a diventare uno spet-

tacolare contenitore culturale. Verrà inaugurata in occasione delle Olimpiadi di Torino

del 2006, con un’ambiziosa mostra dedicata alla dinastia sabauda. Quel giorno la di-

mora si proporrà al mondo come museo di sé e sede già operativa del Centro Naziona-

le del Restauro, ma anche con la prospettiva di diventare una straordinaria «macchina

del tempo». Permetterà di scavalcare i secoli e di scoprire le meraviglie del mondo in-

tero. E’ un miracolo che verrà realizzato da due allestimenti multimediali. Il primo, det-

to «Teatro della Magnificenza», con mostre ed intrattenimenti di ricostruzione storica,

narrerà la vita delle corti barocche d’Europa. L’altro verrà allestito dall’Unesco. Dal 2007

prevede di allestire un sorprendente apparato virtuale, che farà conoscere da Venaria le

località e i beni proclamati «Patrimonio dell’Umanità».

Galleria di Diana(Archivio FotograficoTurismo Torino).

A fronte:“Venaria” durante i lavori in corso.

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