veDrò Rapporto cultura città expo (verso Expo 2015)

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Rapporto Cultura Città Expo

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La cultura conta. La cultura pesa. La cultura vale. Anche dal punto di vista economico. Esiste infatti una serie di imprese piccole, medie e grandi in settori innovativi, dalla creatività al design, dal fashion alla moda, dal lusso e ovviamente al turismo, al benessere urbano e sociale. Come mettere a valore questo patrimonio di relazioni umane ed economiche? I tre Wg su Culture, Città ed Expo di veDrò2011 fanno parte di un progetto sperimentale che ha visto un processo di avvicinamento in due tappe: VersoveDrò Culture (Treviso il 30 aprile e Milano 7 Luglio). L’obiettivo, con il gruppo di persone che ha contribuito alla riuscita degli eventi, è quello di promuovere, durante l’inverno 2011-2012, ulteriori approfondimenti dei temi attraverso l’elaborazione di una serie di progetti coordinati e di proposte concrete per gli attori pubblici e privati del settore urbano, culturale e dei grandi eventi. Ogni working group ha una sua autonomia di elaborazione, ma resta connesso agli altri. Con questo obiettivo, Luca Scandale ha predisposto questo testo “Città, Culture, Expo: il Mind in Italy 2020”, cui hanno contribuito, in misura diversa, Angelo Argento e Francesca Colombo che coordinano il Wg Culture, i coordinatori del Wg Città Alessandro Maggioni e Mario Citelli ed Ernesto Carbone che coordina il Wg di sull’Expo 2015. CITTA’, CULTURE, EXPO: IL MIND IN ITALY 2020. Il filo conduttore dei Wg Culture – Città – Expo è quello di affrontare, nell’anno dell’Unità d’Italia, il tema della cultura, delle città e di un grande evento come Expo, come l’elemento che unifica e rende al meglio l’idea di Italia nel mondo. Lo scopo è quello di costruire una piattaforma programmatica che possa trasformarsi in una serie di proposte concrete che partono dalla visione di “Italia 2019: Capitale Europea della Cultura”: un progetto di veDrò per fare in modo che l’evento, già assegnato ad una città italiana, diventi nazionale e coinvolga tutte le città candidate, a prescindere da chi vincerà. Il progetto “veDrò l’Italia 2019: Capitale Europea della Cultura” si basa su alcuni punti elaborati a Treviso e a Milano, che potranno essere implementati e arricchiti.

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Rapporto

Cultura

Città

Expo

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IL PROGETTO SPERIMENTALE.I tre Wg su Culture, Città ed Expo di veDrò2011 fanno parte di un progetto sperimentale che ha visto un processo di avvicinamento in due tappe: VersoveDrò Culture (Treviso il 30 aprile e Milano 7 Luglio). L’obiettivo, con il gruppo di persone che ha contribuito alla riuscita degli eventi, è quello di promuovere, durante l’inverno 2011-2012, ulteriori approfondimenti dei temi attraverso l’elaborazione di una serie di progetti coordinati e di proposte concrete per gli attori pubblici e privati del settore urbano, culturale e dei grandi eventi. Ogni working group ha una sua autonomia di elaborazione, ma resta connesso agli altri.

LE PERSONECon questo obiettivo, Luca Scandale ha predisposto questo testo “Città, Culture, Expo: il Mind in Italy 2020”, cui hanno contribuito, in misura diversa, Angelo Argento e Francesca Colombo che coordinano il Wg Culture, i coordinatori del Wg Città Alessandro Maggioni e Mario Citelli ed Ernesto Carbone che coordina il Wg di sull’Expo 2015.

CITTA’, CULTURE, EXPO: IL MIND IN ITALY 2020.

Il filo conduttore dei Wg Culture – Città – Expo è quello di affrontare, nell’anno dell’Unità d’Italia, il tema della cultura, delle città e di un grande evento come Expo, come l’elemento che unifica e rende al meglio l’idea di Italia nel mondo. Lo scopo è quello di costruire una piattaforma programmatica che possa trasformarsi in una serie di proposte concrete che partono dalla visione di “Italia 2019: Capitale Europea della Cultura”: un progetto di veDrò per fare in modo che l’evento, già assegnato ad una città italiana, diventi nazionale e coinvolga tutte le città candidate, a prescindere da chi vincerà. Il progetto “veDrò l’Italia 2019: Capitale Europea della Cultura” si basa su alcuni punti elaborati a Treviso e a Milano, che potranno essere implementati e arricchiti.

veDrò l’Italia 2019: Culture, Città, Expo.

Ministero CreativitàMIND IN ITALY.

Piano StrategicoEventi Culturali e CittàExpo 2015

Basta con l’Unesco?PartenariatoPubblico Privato

Cluster CreativiCreate a “buzz”

Politica Estera Culturale “Saper fare” e “Far sapere” .

Obiettivo:Progetto/i di veDrò per

ITALIA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019.

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INTRODUZIONE.

La cultura conta. La cultura pesa. La cultura vale. Anche dal punto di vista economico. Esiste infatti una serie di imprese piccole, medie e grandi in settori innovativi, dalla creatività al design, dal fashion alla moda, dal lusso e ovviamente al turismo, al benessere urbano e sociale. Come mettere a valore questo patrimonio di relazioni umane ed economiche?

In questo ambito abbiamo elaborato a Treviso e a Milano una serie di proposte che intendiamo approfondire:

a) Nuove strategie di partenariato pubblico-privato con particolare riferimento alle Fondazioni coordinate per la valorizzazione dei beni culturali e artistici con diverse priorità, partendo dai Beni dell’Unesco, senza farlo diventare un mantra che si ripete nei secoli dei secoli. In particolare stiamo pensando ad progetto vedroide di mecenatismo diffuso anche in relazione ai “paesi fantasma”.

b) Strategia per la costituzione di un “Pentagono della cultura” in Italia: uno strumento di politica estera culture-based per l’export nazionale che sia utile al Ministero degli Affari Esteri perché il cuore della nostra strategia verso l’internazionalizzazione sia la cultura.

c) Affermazione del concept “Mind In Italy” che nasce a veDrò nel 2005 per promuovere la produzione creativa, cognitiva e culturale come forma di supporto al Made in Italy, non in contrapposizione ad esso. Obiettivo: la trasformazione del MiBac in Ministero dei Beni Culturali e dell’Industria Creativa.

d) Creazione di eventi locali organizzati da veDrò sul modello “create a buzz” per la crescita dei cluster creativi in ambito urbano, stimolando così il riconoscimento da parte delle città (e dell’Anci) dell’importanze delle reti sociali, dei luoghi di produzione/consumo (prosuming) della cultura.

e) Piano strategico degli eventi culturali urbani dal 2011 al 2020, passando per il Fourm delle Culture di Napoli 2013, Expo Milano 2015 e ovviamente la Capitale Europea della Cultura 2019, progetto-bandiera di veDrò per la cultura. Una visione e una strategia dell’Italia per la Cultura nel 2019 che utilizzi sapientemente l’evento per rimettere al centro del dibattito la cultura e il suo ruolo nel Paese.

LA CULTURA CONTA. LA CULTURA VALE. LA CULTURA PESA.

La Cultura conta anche economicamente. Conta perché attrae e trasforma patrimoni materiali e immateriali. Le esternalità culturali si diffondono in ambiti ampi, lungo una catena del “valore” attraverso la costruzione di un mondo di simboli e brand. Gli impatti culturali alludono all’identità plurale, multi-culturale, glocale delle nostre città e dei territori. Oltre che ovviamente al turismo, al marketing, all’agro-industria. Ma non solo: oggi un luogo culturalmente vibrante attrae investimenti esteri e localizzazioni di imprese innovative. Con la cultura si mangia, dunque? Sì, si mangia e c’è anche il contorno.Proprio in questi giorni, nello studio ‘L'Italia che verrà - Industria culturale, made in Italy e territori’ dell’Istituto Tagliacarne del Giugno 2011, c’è una risposta molto dettagliata. La cultura frutta infatti al Paese quasi il 5% della ricchezza prodotta (4,9%, per l’esattezza: 68 Miliardi di Euro) e dà lavoro a un milione e mezzo di persone (il 5,7% dell’occupazione nazionale). Superiore, ad esempio, al settore della meccanica e dei mezzi di trasporto. Viene smentito dunque chi descrive la cultura come un settore statico e rivolto al passato, la cultura va inquadrata invece come fattore trainante. Partendo da un dato già rilevante del 2007 che collocava l’industria culturale e creativa al quarto posto del rapporto valore aggiunto/pil in Italia. Nel triennio nero 2007-2010 poi, la crescita del valore aggiunto delle imprese del settore della cultura è stata del 3%, 10 volte l’economia italiana nel suo complesso (+0,3%).

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sempre limitandosi alle sole attività di concezione e produzione, il valore aggiunto prodotto dalle industrie culturali e creative in Italia è pari a quello delle attività finanziarie, più del doppio dei settori di fabbricazione di macchinari, dell’energia e delle poste e telecomunicazioni, e quattro volte il settore di produzione dei mezzi di trasporto ( Tabella n. 4).

Tabella n. 4 – Confronto con altre industrie in termini di attività di concezione e produzione

4. Analisi comparata degli approcci alla creatività e produzione di cultura L’esercizio di definizione e stima del valore economico del Macrosettore italiano delle industrie culturali e creative può essere comparato con i diversi approcci che nell’arco dell’ultimo decennio sono stati adottati in altri paesi. In questo modo, è possibile comprenderne con maggiore chiarezza i contenuti e definire la posizione dell’Italia nel panorama internazionale.

Sono stati individuati sette studi di vari paesi o istituzioni che definiscono e analizzano lo stato delle industrie culturali e creative. Questi studi offrono un panorama molto eterogeneo sia per la differenza di approccio nella definizione del perimetro delle industrie culturali e creative, sia per la metodologia di analisi economica e statistica utilizzata.

I sette studi presi in considerazione sono i seguenti:

il valore aggiunto sul Pil delle Industrie Creative (Libro Bianco sulla Creatività, Mibac, 2007) Dato che si riflette sul numero di occupati, saliti di quasi un punto percentuale (+0,9%, +13 mila posti) a fronte della pesante flessione del 2,1% subita a livello complessivo. Ancora: il saldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2010 ha registrato un attivo per 13,7 miliardi di euro. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava 29,3 miliardi. L’export di cultura vale circa 30 miliardi di euro e rappresenta l’8,9% sull’export complessivo nazionale. E nel saldo della bilancia dei pagamenti la cultura è quasi la metà dell’economia italiana (46.7%) La cultura dunque, oltre ad essere un aspetto decisivo del brand Italia nel mondo, un elemento distintivo del nostro paese in ogni forma di comunicazione estera, oggi rappresenta un punto decisivo delle nostre esportazioni e nella bilancia dei pagamenti. In un contesto in cui cresce il capitalismo cognitivo e l’aspetto estetico intrinseco dei prodotti e dei servizi diventa decisivo, l’Italia ha nel suo Paese (che cresce poco) un’industria che cresce: la cultura. Per queste ragioni ha senso pensare a un Pentagono della cultura. A una vera e propria strategia di “difesa” e di “attacco” dai mercati esteri e dei mercati esteri, che si fondi sull’aspetto immateriale più fluido e decisivo nella competizione mondiale. La cultura è il nostro pane quotidiano, il nostro contorno, la nostra arte del saper fare. Dobbiamo però convincerne, superando, anche numeri alla mano, l’idea che non c’è un buon pasto con la cultura, convincendoci che c’è anche un contorno: fatto di turismo, nuove imprese, localizzazioni straniere, investimenti esteri, talenti che decidono di tornare o di arrivare nelle nostre città. Per questo ha senso la predisposizione di un progetto con il Ministero degli Esteri e le Ambasciate Italiane, i Centri di Cultura Italiana all’Estero. Perché pensare che non si mangia con la cultura è una questione di cultura. E il nostro saper fare deve diventare il cuore del nuovo rinascimento italiano. Ma insieme al “saper fare”, dobbiamo mettere in campo il “far sapere”: il Pentagono della Cultura serve a questo.

La proposta dunque di veDrò del Pentagono della Cultura è quella di utilizzare la Cultura come strumento di comunicazione all’estero per promuovere l’Italia sia come sistema di imprese che come brand. Un vero Pentagono, che alluda a una strategia di lungo periodo, tipico delle pianificazioni ‘militari’, ma con finalità pacifiche, culturali e commerciali, da promuovere con il Ministero degli Esteri.

BASTA CON ‘STA STORIA DELL’UNESCO.La Cultura è l’Italia. L’Italia è la Cultura. Nel mondo la cultura italiana è apprezzata come un marchio di successo. Nonostante le aporie e le immagini devastanti di Pompei. Nonostante il flusso turistico sia in calo rispetto ai trend di crescita globale. Nonostante una politica culturale, - nel senso industriale - non appartenga alla nostra “cultura” troppo “heritage-centrica”. Concentrata sulla tutela e difesa degli asset fisici. Distratta invece nell’economia dei servizi, delle relazioni, della creatività. In questo quadro, veDrò si propone di coltivare un approccio proiettato al 2019. E cerca di partire da un presupposto. Se è vero, come è vero, che nel rapporto abitanti/beni Unesco siamo i primi in Europa. Dimentichiamoci solo per un minuto questo aspetto e guardiamo al futuro. Evitiamo soprattutto di lanciare numeri a caso sul 70% dei beni culturali del mondo. Perché non è così.

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De Michelis diceva negli anni ’80 che la cultura è il nostro petrolio. E’ vero oggi? Sarà vero nel 2019? Sull’argomento la retorica è stucchevole e dura da oltre trent’anni. Evitiamo che duri all’infinito. Anche perché il petrolio è una risorsa scarsa. Di fatto sempre “sfruttata”. Il tema dunque non è replicare questa litania e ragionare su come sarebbe bello se. Sull’argomento esistono numerosissime pubblicazioni e interessantissimi saggi. Il tema che veDrò propone è: esiste nell’ottica del Paese, una strategia per venire fuori con intelligenza? Forse non è meglio pensare alla cultura come un gas nobile piuttosto che come il petrolio? Una risorsa che possa permeare l’intero sistema economico nei suoi aspetti industriali? Consapevoli dell’importanza dei beni culturali e del patrimonio artistico come asset fisici e nelle certezza che questi ultimi vadano valorizzati, non possono però essere l’unico punto di forza. E in questo ambito, vanno operate delle scelte strategiche per la valorizzazione del patrimonio con delle scelte precise. Proposta: Fondazioni Bancarie e veDrò per Progetti di Riqualificazione e valorizzazione degli asset culturali. Promozione del partenariato pubblico-privato nell’ottica del federalismo demaniale, attraverso una selezione dei beni culturali a partire da quelli dell’Unesco. Idea di progetto-veDrò su un “paese fantasma”.

DAGLI ASSET CULTURALI ALL’INDUSTRIA CREATIVA.Il cuore del problema sta quindi nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane o negli studi professionali. L’Italia è il Paese con la più alta concentrazione di emittenti radiofoniche a livello europeo, in Emilia ci sono coloro che vengono considerati i geni dei motori a livello mondiale, si va dalle piastrelle o dalle ceramiche di Caltagirone all’alta sartoria veneta, della pasta, all’olio e al cibo pugliese, alle calzature marchigiane, fino a Napoli dove si concentrano le migliori sartorie di capospalla del mondo, dalla Toscana del marmo di Carrara, al tessile di Prato e dalla nautica di Lucca, alla nascente filiera dell’animazione fortemente votata all’export. Passando per i nuovi musei di arte contemporanea di Roma o di Rovereto e ovviamente il design, il fashion di Milano e della Brianza.La creatività e la cultura sono fondanti in Italia per il valore aggiunto: mass-media e performing arts trainano il settore nell’ultimo triennio. Crescono le imprese creative (architettura, design, Made in Italy e comunicazione e branding), con un +2,9% di valore aggiunto e un +1% di occupazione. Risultati analoghi per le imprese della comunicazione e delle tecnologie (mass-media, musica, videogiochi) con un +2,5% di valore aggiunto e uno +0,7% di occupazione. Notevole l’espansione delle perfoming arts e delle arti visive, che nel triennio fanno registrare +9,3% di valore aggiunto e +4,3% di occupazione. Segno meno, invece, per le imprese legate al patrimonio storico-artistico: -8,7% in valore aggiunto e -0,6% di occupati.

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Inoltre vi è da sottolineare un buon mix tra grandi, piccole e medie città anche nella classifica dell’incidenza del valore aggiunto sul pil prodotto: se spiccano evidentemente Roma e Milano con Firenze nelle prime 3 come valore assoluto, nelle prime dieci ci sono anche Vicenza, Arezzo, Pisa, Treviso che si ritagliano ruoli di follower.

Prime dieci province secondo l'incidenza del valore aggiunto del sistema produttivo culturale sul totale economia provinciale Anno 2010 (valori assoluti e percentuali)

Province

Valore aggiunto a prezzi correnti

Valori assoluti (mgl di euro)

Incid. % su totale economia

Composizione % per settore

Industrie creative

Industrie culturali

Patrimonio storico-artistico

Performing arts e arti visive Totale

Arezzo 746.749 8,5 83,0 14,8 0,7 1,5 100,0Pordenone 643.066 8,0 73,4 24,3 0,4 1,9 100,0Vicenza 1.876.071 7,8 76,8 21,5 0,4 1,3 100,0Pesaro e Urbino 686.709 7,5 77,6 19,6 0,7 2,1 100,0Pisa 794.450 7,4 70,1 25,8 0,9 3,2 100,0Treviso 1.615.531 7,2 75,1 22,7 0,5 1,7 100,0Milano 9.168.059 7,0 34,9 60,3 0,5 4,3 100,0Roma 8.598.759 6,9 21,5 71,7 1,8 5,0 100,0Firenze 1.884.727 6,9 66,3 28,9 0,7 4,1 100,0Macerata 490.036 6,7 67,2 29,5 0,6 2,7 100,0Fonte: Fondazione Symbola, Unioncamere e Istituto Tagliacarne

Proposta di veDrò: la trasformazione del Ministero della Cultura in Ministero per i Beni Culturali e l’Industria Creativa. L’idea è quella di costruire un processo di ripensamento delle politiche industriali del Paese verso un approccio sistemico alla cultura e alla creatività.

“CREATE A BUZZ” NEI CLUSTER CREATIVI. IL MIND IN CITY.A partire dagli ultimi v enti trenta anni molte città post-industriali hanno iniziato a progettare e attuare strategie di city marketing per attrarre nuovi investitori, turisti, imprese, talenti creativi L'approccio faceva parte di un modello di riqualificazione urbana in cui la cultura era percepita come un vettore di miglioramento dell’immagine, ma non solo.

Le città attrattive hanno investito nella soft economy dei festival e in ambito hard con nuovi musei, teatri o altre infrastrutture. Alcune strategie, e le conseguenti politiche di marketing territoriale, hanno avuto esiti di relativo successo, come Bilbao con il Museo Guggenheim. Tuttavia, ciò accade solo in una piccola percentuale di casi e anche il relativo impatto economico risulta discutibile. Perché molte città hanno cercato di copiare le strategie dei casi successo: il bechmark non è una religione e spesso non serve. Questo perché cultura e città sono beni territoriali con una specificità del contesto locale molto forte e idiosincratico.

Negli ultimi anni si sta affacciando una nuova generazione di politiche culturali e urbane, che parte invece da un approccio bottom-up piuttosto che top-down. L'obiettivo principale di questo nuovo approccio sono le industrie creative di piccole e medie dimensioni e le menti creative delle persone che ne fanno parte. Queste nuove strategie culturali hanno un orientamento più ampio e aspirano a creare e stimolare nuovi spazi urbani per la produzione culturale e per la creatività: parliamo dei cosiddetti “cluster creativi”.

Un cluster creativo deve avere una corrispondenza con la cultura locale e l'approccio migliore per stimolare il cluster creativo è quello di attrarre un numero sufficiente di produttori creativi e consumatori al fine di generare un “buzz” (brusio) e un passaparola.

Questo modello di clustering spaziale industriale è il modello social-network, che critica l'approccio neo-classico di istituzionalizzare la fiducia all'interno del sistema economico tipico dei distretti industriali che abbiamo studiato negli anni ‘70. “Clustering” non significa soltanto economia di agglomerazione e di scala, ma è integrazione di carattere culturale e radicamento all'interno delle reti sociali.

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In particolare, i processi sociali da sviluppare per la crescita dei cluster sono quelli relativi a interessi e valori comuni, crescita di capitale e controllo sociale (in una certa misura) per raggiungere alcuni vantaggi reciproci.

Il vantaggio competitivo dei cluster infatti nasce nelle relazioni tra le imprese e non nelle imprese singole. E l’Italia per la sua compattezza urbana, per la sua innata capacità di capitale relazionale che riesce naturaliter a mettere in campo è oggi favorita in questa industria a rete che è la cultura/creatività. Da questo nasce l’idea del Mind in Italy (Rizzo, Scandale, in “Le Città” di Enrico Letta, Edito da Arel, il Mulino 2008): creare relazioni è infatti diventato decisivo nell'economia odierna e noi siamo maestri in questa forma nuova di produzione di beni semifori. I vantaggi competitivi si ottengono anche con lo scambio di “conoscenze tacite” che diventano sempre più importanti, l’aspetto spaziale cruciale del modello social-network sta nell’importanza della vicinanza geografica informale con i contatti personali (face-to-face) e dunque la creazione di fiducia. Il clima e la dimensione delle città italiane permette un'elevata frequenza di comunicazione e di incontri personali, la vicinanza geografica stimola la creatività, l’innovazione e la creazione di nuove imprese. Questo è il cuore (ancora potenziale) del Mind in Italy.

Come fare crescere l’economia creativa urbana? La pratica dimostra come i cluster culturali e creativi si evolvano seguendo un ciclo di vita che inizia con l’emersione di imprese pubbliche, private o no-profit, localizzate in prossimità, e prosegue e si realizza, nel corso degli anni, attraverso la rete di relazioni che si instaura al suo interno, creando le sinergie necessarie per la crescita e la stabilizzazione dell’industria e dei talenti creativi.

Secondo il modello proposto ci sono diversi “step” che interessano l’evoluzione dei cluster creativi metropolitani: pre-cluster, cluster in crescita, cluster emegente, cluster star.

L’Italia, per la sua caratteristica urbana e culturale, nel senso immateriale del termine, per l’estetica dei suoi luoghi, si propone come lo scenario perfetto per l’evoluzione dei cluster creativi.

I cluster infatti hanno una loro evoluzione che segue un ciclo di vita.

1 Pre-cluster: prima fase del ciclo di vita del cluster culturale e creativo metropolitano. Non vi è interdipendenza tra asset, imprese, individui e istituzioni culturali. La fase di nascita è associata ad attori pubblici o privati, che individuando le aree di forza e si muovono da pionieri.

2 Cluster emergente: questi attori favoriscono la nascita di relazioni funzionali che portano a una seconda fase, in cui i leader conducono alla nascita di una massa critica e iniziano la fase di organizzazione delle capacità.

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3 Cluster in crescita: essa si configura con l’aumento delle imprese e il supporto politico e sociale. Il successo dei leader è manifestato dalla crescita del valore dei prodotti culturali, dell’occupazione nel settore e dei salari dell’industria.

4 Cluster Star: fase dell’affermazione definitiva che manifesta un alto tasso di innovazione e di ricerca, effetti di spill-over su tutto il territorio, diventando elemento trainante dell’economia urbana.

Ovviamente la “scalata” verso i cluster star può anche subire l’effetto contrario, portando ad una inversione di direzione verso livelli più elementari di agglomerazione.

In quante città italiane siamo in presenza di cluster star? Pur non esistendo una dinamica certa per i cluster creativi, esiste però una politica urbana, culturale, locale e nazionale che possa favorire la crescita del valore aggiunto nell’industria creativa urbana? Un primo passo, banalmente e fatalmente, è quello di riconoscerne l’importanza. E l’esistenza.

Progetto Vedrò: elaborare una serie di eventi “create a buzz” (creare un brusio) per favorire la costruzione di network sociali all’interno dei cluster creativi delle città italiane per la crescita del valore aggiunto e del Mind in City. Non solo, essendo tipicamente interconnessi i cluster, veDrò si propone di mettere in rete i cluster creativi delle città italiane, in particolare quelle che si stanno candidando a Capitale Europea della Cultura.

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LE CITTÀ ITALIANE NEL 2020.

In veDrò culture in città, appuntamento del filone VersoveDrò2011 che si è svolto alla Triennale di Milano lo scorso 7 luglio, abbiamo strutturato il lavoro del working group di veDrò2011 Caosity, affrontando cinque questioni centrali:

1. In una fase di empowering delle città nel mondo, come si gioca la partita complessa dei sindaci italiani tra federalismo e spinta dal basso? Quale futuro per le città italiane?

2. Mentre le grandi trasformazioni promosse dagli archistar crescono, si evolvono le banlieux metropolitane e aumenta la dispersione dei non-luoghi: esiste una strategia urbana in Italia? Abolendo le province si può partire delle metropoli per un Piano strategico delle città per l’Italia 2020? Perché non pensare a un Ministero per le Politiche urbane, come accade in Francia, Germania e Gran Bretagna?

3. Le nuove forme di capitalismo cognitivo cambiano le città che diventano intelligenti, comunità che apprendono, vere e proprie learning organization: chi fa che cosa in questo contesto? Quale ruolo hanno i cittadini?

4. Le città hanno un disperato bisogno di energia e, al tempo stesso, sono al centro di una rivoluzione possibile determinata dall’auto elettrica che potrebbe abbassare i livelli di inquinamento e innovare sul piano energetico. Come progettare città smart e sostenibili?

5. I grandi eventi, le opere pubbliche, il marketing territoriale diventano strumento di competitività urbana: come superare le aporie della “cricca” e vincere le sfide rappresentate dall’Expo 2015, dalla Capitale Ue della Cultura 2019 e dalle Olimpiadi 2020?

UN MONDO CITTÀ. MILANO E L’ITALIA IN CALO.

Il mondo è alle prese con uno spostamento radicale della popolazione dalla campagna alla città. La popolazione urbana mondiale è in crescita di 65 milioni medi annui, pari all’aggiunta di sette nuove Chicago ogni anno. E, per la prima volta nella storia, più di metà della popolazione mondiale vive nelle città. Alla base di questa trasformazione ci sono le economie di scala, che rendono i centri urbani concentrati più produttivi. Questo miglioramento di produttività da urbanizzazione ha già contribuito a una sostanziale crescita economica e alla drastica riduzione della povertà in paesi emergenti come la Cina. Nel 2025 il mondo sarà in mano a 600 città nelle quali sarà prodotto il 60% della ricchezza globale e nelle quali vivranno 735 milioni di famiglie, con un prodotto interno lordo medio pro capite di 32.000 dollari. E di queste famiglie 235 milioni abiteranno in città di paesi in via di sviluppo, con un reddito di oltre 20.000 dollari all'anno.Sono alcuni dati rilevati da uno studio redatto dal McKinsey Global Institute che prende in esame la crescita economica e l'evoluzione demografica in 2000 città del mondo, di cui 23 italiane, dal 2007 al 2025. E le città italiane rimarranno ferme: Milano, che nel 2007 figurava all'11° posto tra le prime 20 città per prodotto interno lordo, nel 2025 non comparirà più nella classifica (Milano è nel gruppo “drop-out” nell’immagine seguente).

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La città più ricca del pianeta sarà New York, con 1,77 miliardi di ricchezza prodotta. Per le 23 città italiane prese in considerazione la crescita economica sarà addirittura nulla: nel 2025 contribuiranno al Pil globale con 1.100 miliardi di dollari, cifra identica a quella del 2007. Nel complesso, dalle 23 città si determinerà il 53% della ricchezza italiana. Milano nei prossimi 15 anni rallenterà anche se continuerà a crescere (+0,4%), arrivando a 393 miliardi di Pil stimato nel 2025, al contrario di Torino, che avrà una crescita nulla, o di Roma, con un +0,2%.Che fare dunque per recuperare competitività? Come possono Milano, Roma, Torino, Genova, Bologna, Napoli, Bari, Catania, Palermo, Venezia recuperare competitività? Come si può reagire al calo di attrattività del nostro territorio?

UN PIANO STRATEGICO PER LE METROPOLI ITALIANE.

A fronte di un generale ridimensionamento delle politiche pubbliche, di un allargamento dei confini nazionali e della globalizzazione dei processi economici, è emersa nell’ultimo decennio la necessità di un approfondimento della nozione di “competitività urbana”. Con questa espressione si è iniziato a fare riferimento alla capacità di una regione urbana di produrre e introdurre in maniera efficiente prodotti e servizi sul mercato, competendo (esplicitamente o implicitamente) con altri territori paragonabili e con prodotti esportati da altre regioni urbane. E si fa sempre più riferimento alla necessità delle città di governare i processi con la consapevolezza di essere esposte alla sfida di altri territori vicini e lontani, senza il paracadute delle politiche pubbliche. Da un approccio prevalentemente passivo si è passati così a un approccio pro-attivo dei sistemi urbani e sono emersi studi che considerano la città come un’impresa che compete sul mercato dei prodotti-città. Le città si stanno pertanto orientando a una politica imprenditoriale e pro-active, secondo un approccio riconosciuto dalla letteratura come quelli della città-impresa e di città in vendita. La città, considerata secondo questo principio, è paragonabile a una grande macchina per produrre che entra in competizione con altre macchine (altre città) per collocare sui grandi mercati aperti i propri prodotti. Perché una città prosperi, deve raggiungere livelli significativi di competitività, che possono essere conseguiti valorizzando le vocazioni territoriali e integrando in specifiche filiere produttive le attività industriali e i relativi servizi. Si parla inoltre dei vantaggi competitivi di una città, città-regione, regione urbana, regione metropolitana, o regione economica rispetto ad altre, per indicare i fattori che le permettono di produrre beni e/o servizi che si impongono nella competizione rispetto a quelli prodotti da altri sistemi territoriali. Secondo Porter, ogni luogo, sia esso una nazione, una regione o una città, detiene infatti una serie di condizioni locali che sostengono l’abilità delle imprese per competere all’interno di una industria. Per queste ragioni, i sistemi urbani manifestano sempre più un’attitudine competitiva tipica delle imprese in un ambiente altamente dinamico e complesso: dagli anni ’90, le politiche degli enti pubblici sono diventate market-oriented e hanno cominciato a sviluppare strategie di city marketing. Le città pianificano strategicamente e determinano vision e mission includendo gli stakeholders nelle scelte; attivano partnership con altri enti, partecipano a reti strategiche per lo sviluppo economico, si dotano di una politica finanziaria propria. Lo sviluppo economico urbano è competitivo quindi se le città sono in grado sviluppare le proprie strategie di

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export-led per affrontare i benefici e gli effetti economici di apertura dei mercati locali ai mercati globali e, contestualmente, se sono in grado di favorire l’efficienza delle relazioni interne.

Sistemi metropolitani e urbani in Italia (elaborazioni Cresme su dati ISTAT).

Proposta: un Piano strategico delle metropoli Italiane. La proposta è quella di elaborare un piano che tenga insieme aspetti di governance come l’abolizione delle province nelle città metropolitane e accordi di programma per ogni metropoli con degli urban challenge al 2015 e al 2020, con un grande obiettivo comune: Italia 2020. Un’idea che tenga insieme l’Expo 2015, la Capitale Europea della Cultura 2019 e le Olimpiadi 2020.

Città Intelligenti, Città Cognitive: il Mind in Italy è un concetto urbano. Le città cognitive e i prosumers. Nel contesto indicato delle evoluzioni urbane e delle possibili strategie da applicare, vanno però messe da parte le teorie classiche che riguardano le città e le osservano solo per gli aspetti materiali. Nel quadro dell’evoluzione del capitalismo verso forme cognitive, e nel superamento del fordismo, si supera anche l’idea stessa di città fordista basata su spazi e automobili. All’interno della città cognitiva, la figura del singolo come “mente creativa” inizia ad affermarsi in maniera più spiccata, inserendosi nel contesto produttivo in maniera attiva, partecipativa, “viva”.

Per questo la cultura e la creatività possono considerarsi le premesse di un procedimento circolare che ripropone sé stesso in maniera sempre nuova, permea diverse aree in maniera fluida, dinamica ed eterogenea, inserendosi nelle fondamenta di un approccio economico differente, come colonna assolutamente portante.

La prosumer economy in questo modo si alimenta da sé. È un approccio learning by prosuming quello che si considera, in cui chi produce e consuma allo stesso tempo assorbe, metabolizza e ripropone a modo suo i diversi aspetti dei prodotti. È dunque un rapporto continuativo, mai fine a sé stesso.

Allo stesso modo, l’idea di città che apprende, di learning city, è quella di un luogo efficiente e sostenibile che, superando il fordismo, pensa a forme di sviluppo fondato sulla partecipazione dei cittadini e anche su tecnologie innovative verso una vera e propria formula di città intelligente che utilizza anche forme di auto elettriche ed energie rinnovabili, ricicla e riusa i propri rifiuti.

Proposta: costruire progetti innovativi nell’ambito delle città cognitive che possano vedere protagonisti imprese e cittadini con le amministrazioni locali. Sia sulla sostenibilità ambientale che sulla partecipazione.

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Cosi come sulle forme di prosuming attraverso le tecnologie informatiche.

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IL MIND IN ITALY E LE IDEAPOLIS.

L’Italia, con le sue tradizioni secolari, la sua cultura, la sua bellezza, ma, soprattutto, con il suo sapore mediterraneo potrebbe essere un contenitore di idee e creatività, di capacità, di sapienza, di conoscenza tramandata nel tempo che potrebbe diventare la base di un processo di innovazione nostrano ed esclusivo.

L’Italia, per le sue caratteristiche intrinseche, potrebbe dunque essere il luogo adatto alla creazione di molteplici ideapolis? Partiamo dal concetto stesso di “ideapolis”, definibile come “quei sistemi urbani in cui gli individui creativi riescono attivamente ad aumentare le loro conoscenze e le possibilità innovatrici nei luoghi di lavoro, di apprendimento, di cultura e per la strada”.

Nelle ideapolis la cultura e la creatività sono l’essenza della vitalità urbana, sono i driver della generazione di valore economico e sociale, poiché strutturano un immaginario collettivo che si riflette nell’ambito locale e internazionale, diventando fonti di ispirazione creativa, di rafforzamento di identità e di turismo.

Se le ideapolis per alimentare sé stesse e per essere competitive devono nutrirsi di interazioni sociali (che formano la base dei processi cognitivi urbani), l’Italia, grazie alle sue strutturazioni urbane uniche, alle sue piazze, ai suoi borghi, ai suoi punti di incontro esclusivi, è teatro di un enorme accumulo di “socialità” fatta di creatività, idee, concetti, credenze religiose e intellettuali.

L’Italia è un mix di tutto questo: tutte le attività in cui i processi cognitivi riflettono una forte rappresentazione sociale, fatta anche di un’identità unica sviluppatasi grazie a interazioni avvenute fra il territorio e le diverse etnie provenienti da tutto il Mediterraneo.

Le idee, quindi, come la cultura e la creatività della città, le identità collettive, la memoria dei luoghi, i valori socialmente condivisi rappresentano una dotazione di saperi e conoscenze che è la cornice essenziale necessaria per orientare e determinare lo sviluppo competitivo di ideapolis”, l’orgware della città.

La cultura e la creatività diventano dunque asset urbani, la corsia preferenziale per lo sviluppo di un’economia moderna basata sulla conoscenza che trasforma le città.

La cultura diventa vettore sul quale si costituisce un milieux urbano innovativo e si fornisce valore aggiunto al territorio in termini di stimolo alla creatività e all’innovazione.

Il territorio, le regioni e le città diventano dunque il contenitore di una serie di conoscenze e di idee, diventano learning regions o learning cities ovvero “sistemi urbani attivamente interessati ad aumentare le possibilità innovatrici nel commercio, nella formazione e nelle arti in modo che i loro diversi cittadini siano ispirati da un apprendimento costante”. È in questo contesto che si inserisce il concetto di “Mind in Italy” (Rizzo, Scandale in “Le Città” di Enrico Letta, Arel, il Mulino 2008) un way of thinking, una tipicità tutta italiana che si accorda più con la postmodernità che con la tradizione, ma che da essa discende.

Proposta: una serie di iniziative nelle città italiane per favorire il riconoscimento del Mind In Italy nelle singole aree metropolitane e urbane. Una mappatura del Mind In Roma, Mind in Milano, Mind in Palermo per la costruzione di brand urbani finalizzati allo sviluppo territoriale.

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MILANO CITTÀ INTELLIGENTE. NODO DI UNA RETE EUROPEA.

Fondamentale è, però, essere in rete con altre città intelligenti partendo da Milano, centro di una rete europea di cluster creativi e culturali.

Intelligent Cities

9/13/07 INTELLIGENT CITIES - INTA 6

Three levels of Knowledge-based Development The numerous Knowledge management approaches as well as knowledge-based Development (KBD) programs can be distinguished on the basis of the focus of their development actions, i.e., on how knowledge is understood. Basically, knowledge tends to be understood either as an object (content) in most cases, or with increasing frequency as a capacity transfer or else, in the edge of KM practice, as a value context. For each of these three levels one can define the knowledge concept, then the development process that is associated and the resulting KBD approach. Level I KBD: social knowledge infrastructure Most KBD programs start focusing on the most immediate area of impact: the instrumental base that leverages the capacities of productive agents, particularly ICTs infrastructure. An example of this approach is the World Bank’s Global Knowledge Partnership, which focuses on the multiplication of information, experiences and resources through ICTs. ICT releases people's creative potential and knowledge ICT are the enablers of change. They do not by themselves create transformations in society. ICT are best regarded as the facilitators of knowledge creation in innovative societies. The new economics looks at ICT not as drivers of change but as tools for releasing the creative potential and knowledge embodied in people. However, the ICT sector has a powerful multiplier effect in the overall economy compared with manufacturing. A 1995 study of the effect of software producer Microsoft on the local economy revealed that each job at Microsoft created 6.7 new jobs in Washington State, whereas a job at Boeing created 3.8 jobs. Wealth-generation is becoming more closely tied to the capacity to add value using ICT products and services. The value of accumulated knowledge is an important indicator of its future growth potential. These experiences are well documented. There is a growing consensus that ICTs and social knowledge infrastructure in general (Universities, libraries, R&D centres, technoparks, etc.) constitute a necessary but not sufficient condition for generating development. Numerous infrastructural efforts have produced rather poor results with regard to the volume of investments.

La pianificazione di città intelligenti, oltre a contribuire alla loro crescita sostenibile, rappresenterebbe un volano per le nuove economie basate sulle tecnologie energetiche sostenibili e sulla cosìddetta società dell’informazione: un’opportunità da non perdere se l’occidente vuole in qualche modo tenere il passo, ben più rapido, delle economie emergenti. Pertanto, sfide ambientali ed esigenze di crescita economica, sono i driver che spingono alla pianificazione di città intelligenti. Ma cos’è una smart city?Una città intelligente (smart city) è una città capace di investire sulle infrastrutture materiali e sul capitale umano dei propri cittadini per promuovere un nuovo paradigma energetico più sostenibile di quello attuale, basato su sistemi energetici ed utilizzatori più efficienti, in tutti i settori, dagli edifici civili ai trasporti, su un più massiccio ricorso di vettori energetici più puliti (in primo luogo energia elettrica e nel lungo periodo idrogeno) in tutti i settori degli usi finali, inclusa la diffusione del trasporto elettrico privato, sulla diffusione della cogenerazione e trigenerazione, sulla generazione rinnovabile integrata con gli edifici e le infrastrutture. Uno strumento abilitante l’utilizzo ottimale dell’energia elettrica anche in ambiente urbano sono le smart grids: “reti elettriche in grado di integrare intelligentemente il comportamento e le azioni di tutti gli utenti connessi– generatori di energia e consumatori– al fine di rendere disponibile l’energia elettrica nella maniera più efficiente, sostenibile, economica ed affidabile possibile”. Grazie a queste tecnologie sarà possibile integrare l’energia prodotta da fonti rinnovabili diffuse, sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie messe a disposizione dalla domotica, raggiungere significative riduzioni di consumo grazie all’efficienza energetica, favorire l’utilizzo di energia elettrica per il condizionamento degli edifici per i trasporti privati. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, in particolare il fotovoltaico e il solare termico, le città sono un luogo privilegiato per la loro diffusione su larga scala, attraverso lo sfruttamento di superfici altrimenti inutilizzate. Discorso analogo vale per le misure di efficienza energetica poichè gli interventi su unità abitative di grande taglia consentono economie di scala, accorciando i tempi di ritorno degli investimenti.

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In generale, le analisi di scenario per il medio-lungo periodo mostrano che un sistema energetico più sostenibile prevede un cambio profondo sul lato della domanda, in particolare nel settore civile e dei trasporti, al fine di aumentare la quota di energia elettrica nei consumi finali (penetrazione elettrica), soprattutto in considerazione della possibilità di generazione elettrica con un mix di fonti a bassa emissione di CO2. E’ in questo scenario che, costruendo le condizioni per garantire la diffusione su larga scala della mobilità elettrica, intervenire nel settore dei trasporti è una delle principali azioni verso città più sostenibili. Anche in questo caso le città, visti i limiti della attuale generazione di veicoli elettrici (autonomia limitata), rappresentano il luogo d’elezione per la prima fase di penetrazione commerciale necessaria a studiarne le prestazioni al fine di migliorarle.

L’AUTO ELETTRICA.

L’auto elettrica è più volte sembrata sul punto di esordire a livello commerciale nel mercato dell’auto, tuttavia a causa dei prezzi elevati, della scarsa autonomia, oltre che per l’assenza dell’infrastruttura necessaria alla sua ricarica, la sua penetrazione è sempre fallita. Il contesto oggi è molto cambiato, sia per il numero degli stakeholders interessati al suo sviluppo (dai produttori di elettronica, ai produttori di batterie, alle case automobilistiche, alle utilities elettriche), che per i passi in avanti fatti a livello tecnologico ed infine, per le esigenze di riduzione di emissioni di CO2 e di altri agenti inquinanti (per esempio polveri sottili). Grazie a questa serie di condizioni oggi le previsioni sulla diffusione dell’auto elettrica sembrano essere più rosee che in passato. Riguardo i gradi di penetrazione dell’auto elettrica, esistono molteplici scenari, spesso in contrasto tra loro, elaborati da organizzazioni internazionali e istituti di ricerca. Il Cives, la Commissione Italiana Veicoli Elettrici Stradali a Batteria, Ibridi e a Celle a Combustibile, stima che al 2020 i veicoli elettrici rappresenteranno all’incirca il 6% dell’intero parco automobilistico italiano. A livello europeo, lo studio promosso nel 2010 dalla European Climate Foundation, Roadmap 2050: a practical guide to a prosperous, low-carbon Europe, prevede da qui al 2050 un tasso di crescita di poco inferiore all’ 1% all’anno per i veicoli elettrici. Tuttavia, indipendentemente dagli scenari considerati, è interessante individuare le misure idonee a favorire la più ampia diffusione possibile di veicoli elettrci. Una prima fondamentale considerazione riguarda il modello da adottare per l’infrastruttura di ricarica. Ad oggi i modelli di riferimento sono principalmente tre: · Il modello distributore in cui il servizio di ricarica è garantito dall’impresa di distribuzione di energia elettrica e dove ogni punto di ricarica è considerato come un punto di fornitura condiviso da più clienti finali;· Il modello service provider in esclusiva dove il servizio di ricarica è garantito da un soggetto terzo rispetto all’impresa di distribuzione di riferimento, che opera però sulla base di convenzioni di esclusiva in riferimento ad un determinato territorio;· Il modello service provider in concorrenza in cui il servizio, analogamente alle attuali aree di servizio per la somministrazione di carburanti, è garantito da soggetti che competono tra di loro. Questi tre modelli non sono da considerarsi alternativi tra loro ma possono coesistere considerando, in particolar modo, che l’errore più grande sarebbe chiudersi in un sistema prima ancora di conoscerne in maniera esaustiva tutti i vantaggi e gli svantaggi. Una seconda considerazione riguarda, invece, il livello istituzionale più idoneo per attuare le politiche necessarie allo sviluppo del mercato. Infatti, dal punto di vista della normativa tecnica, come ad esempio gli standards per la ricarica e per le batterie, è necessario raggiungere uno standard operativo a livello europeo per permettere a chiunque di ricaricare senza intoppi. Invece, da un punto di vista della normativa che favorisca lo sviluppo del mercato, le decisioni potrebbero essere prese su due livelli: 1) centralizzato, prevedendo una regolazione unitaria definita nelle sue linee generali dal Governo e nel dettaglio dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, all’interno della quale il ruolo delle Regioni si limiterebbe a tradurre i principi generali dettati dalla legge tenendo conto delle specificità locali del territorio di competenza; 2) decentralizzato, in cui il ruolo degli Enti locali è fondamentale, addirittura più importante degli incentivi e dell’infrastruttura. Il presupposto di base di questa seconda ipotesi è che per cambiare le proprie abitudini il cittadino deve avere ragioni molto concrete nella fase iniziale del mercato: occorre quindi “inventare” l’elemento motivante per innescare un cambiamento di mentalità, di abitudine, di cultura. Il cittadino deve beneficiare di qualche privilegio, ad esempio poter accedere a zone a traffico limitato, poter correre su corsie preferenziali o poter usufruire di alcune aree di posteggio dedicate. È facoltà delle amministrazioni locali determinare questi “elementi positivi”, che pur essendo a costo zero si traducono in incentivi individuali fortissimi, che eventualmente potranno essere rimossi una volta che l’auto elettrica diverrà abitudine. Inoltre, alcuni servizi gestiti a livello comunale (posta, rifiuti, etc) ben si presterebbero alla sperimentazione iniziale dei veicoli elettrici. La terza considerazione riguarda le misure da adottare per promuovere la diffusione dell’auto elettrica. Sotto questo aspetto, è necessario sottolineare come le diverse proposte di legge attualmente in discussione in Parlamento tengano

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in considerazione una serie di agevolazioni capaci di garantire un più rapido sviluppo del mercato dell’auto elettrica. Queste agevolazioni possono essere così riassunte: · semplificazione nelle procedure autorizzative amministrative per lo sviluppo della rete di distribuzione: prevedere che l’installazione di colonnine di ricarica non sia sottoposta alla disciplina della concessione edilizia ma a procedure agevolate previste dagli strumenti amministrativi di volta in volta indicati dalle Regioni, Provincie e Comuni;· prevedere il c.d. “diritto alla presa” che attribuisce ai condomini il diritto di installare infrastrutture di ricarica all’interno del condominio senza la necessità di avere particolari autorizzazioni e/o maggioranze qualificate;· prevedere che gli edifici di nuova costruzione pubblici e privati dovranno essere progettati prevedendo la realizzazione/predisposizione di prese di ricarica per i veicoli elettrici nelle aree di parcheggio; · prevede inoltre la possibilità per il proprietario di un immobile di usufruire di agevolazioni finanziarie; · prevedere incentivi economici per l’acquisto dei veicoli elettrici · Prevedere inoltre una serie di agevolazioni fiscali tra cui: a) un’esenzione dall’applicazione delle addizionali dell’accisa (comunali e provinciali) all’energia elettrica impiegata per la ricarica degli accumulatori installati sui veicoli elettrici ; Per quanto riguarda lo sviluppo dell’auto elettrica, l’Italia parte da una posizione di vantaggio avendo già avviato una serie di progetti sperimentali in città come Milano, Roma, Pisa e presentando una filiera industriale, nel settore elettrico, all’avanguardia dal punto di vista della realizzazione delle infrastrutture e delle tecnologie ICT. Anche considerando i principali limiti ad oggi dell’auto elettrica, come ad esempio la scarsa autonomia (in media 150 km) e la velocità ridotta (in media 130-14 km/h), bisogna sottolineare come l’Italia presenti dei presupposti ottimali per lo sviluppo dell’auto elettrica.. Infatti, in Italia il 90% dei percorsi quotidiani sono contenuti entro i 150 km, quindi già oggi l’auto elettrica potrebbe soddisfare il 90% delle esigenze di mobilità, e oltre il 60% delle famiglie ha possibilità di accedere a un punto di ricarica a casa propria.

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NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA.

Mentre da un lato cresce la dimensione urbana, la preoccupazione è rivolta – come diverse fonti di informazione segnalano - a un massiccio fenomeno, denominato “land grabbing”, che molti definiscono come “neo colonialismo agricolo” (e che ha visto l’acquisizione di decine di milioni di ettari di terreni agricoli a scopi produttivi nel continente africano da parte di investitori pubblici come la Cina e gli Stati del Golfo).Durante la crisi del 2007/2008 molte commodity agricole hanno visto incrementi dei prezzi di centinaia di punti percentuali, facendo aumentare in breve il numero delle persone con problemi di sotto-nutrizione di oltre 2 miliardi, per poi scendere velocemente ai livelli pre-crisi e far ritornare, nei primi mesi del 2011, l’indice dei prezzi Fao sugli stessi picchi sperimentati pochi anni prima.In questo quadro, il tema della volatilità dei prezzi è divenuto uno dei punti prioritari dell’agenda del G20, in corso sotto la presidenza francese, che sta valutando misure per mitigare e gestire in maniera più efficace i rischi associati alla volatilità dei prezzi delle commodity agricole, che colpiscono soprattutto le popolazioni più povere del pianeta, ma che iniziano a stimolare riflessioni in termini di sicurezza degli approvvigionamenti anche nei Paesi più sviluppati.I prezzi delle materie agricole sono aumentati nel periodo 2006- 2011 in termini reali del 40% rispetto al quinquennio precedente. Nel 2011 l’indice Fao ha polverizzato i record fatti registrare nel 2008. Alcune materie prime come grano, mais e zucchero hanno visto incrementi rilevantissimi, anche del 300%. I mercati sono oggi estremamente volatili con il duplice effetto di spingere all’ampliamento delle aree vulnerabili dal punto di vista dell’accesso al cibo e di minacciare il potenziale agricolo, soprattutto laddove è meno “industrializzato”. La sistematica instabilità dei prezzi agricoli è stata, da sempre, un fattore chiave attorno al quale è avvenuta la costruzione delle politiche agricole in tutto il mondo. Un fattore di rischio che non ha solo riflessi settoriali, ma che tocca aspetti sociali per il suo impatto sulla sicurezza degli approvvigionamenti.Numerosi studiosi sostengono l’ipotesi di un incremento della volatilità dei mercati agricoli nel prossimo futuro. Le cause di questo fenomeno sono molteplici. Prime fra tutte, la crescita e le aspettative di crescita della domanda globale di cibo. L’aumento della popolazione e dei redditi nei Paesi in via di sviluppo porterà nel 2050, secondo le stime Fao, a un incremento tra il 70% e il 100% della domanda di cibo, all’interno di un trend che, ormai da diversi anni, vede la crescita della domanda supera- re quella della produttività. La conseguenza è che all’interno di mercati caratterizzati da un equilibrio precario gli shock di do- manda e di offerta portano a sensibili incrementi della volatilità (Ifpri, 2010). Quando la volatilità si manifesta in forme estreme crea impatti negativi generalizzati (Adinolfi, Little, Massot 2010) che coinvolgono produttori, trasformatori, commercianti, consumatori e governi.Allo stesso modo, l’offerta non può rispondere rapidamente alle variazioni della domanda a causa della lunghezza dei cicli produttivi, e questo spazio temporale (tra il segnale di prezzo e la ri- sposta) porta ad aggiustamenti ciclici della domanda che produ-cono ulteriore volatilità. In effetti, i prezzi bassi si sono registrati nei periodi caratterizzati da basse scorte strategiche e dalla co- presenza di diversi eventi calamitosi che hanno ridotto le aspettative sulla produzione. Infatti, così come nel 2007/2008 gli eventi climatici portarono alla riduzione dei raccolti in Australia e Canada (due importanti fornitori di materia prime strategiche sui mercati mondiali).

L’EXPO UNIVERSALE DI MILANO.

Nutrire il pianeta, Energia per la Vita è il tema scelto per l’Esposizione Universale di Milano 2015. veDrò intende contribuire all’evento, con un progetto articolato su più livelli (ricerca, divulgazione, proposte) e spalmato cronologicamente negli anni che precedono l’Expo.

- Il primo tassello del piano veDrò L’Expo prevede la costruzione di una rete interattiva di tutti i principali think tank europei e mediterranei, attivi nel settore della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale. L’obiettivo è quello di dare vita ad un network virtuoso di confronto, analisi e brainstorming internazionale sulle tecnologie, l'innovazione, la cultura, le tradizioni e la creatività legati al settore dell'alimentazione e del cibo.

- Il secondo step prevede la raccolta, la sistematizzazione e l’analisi dei dati disponibili – a livello internazionale – sul settore agroalimentare. Un mastodontico lavoro di conoscenza e di archiviazione che sarà portato a compimento grazie anche alla collaborazione dell’On. Paolo De Castro, Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo.

- Negli anni che precedono l’Esposizione Universale, veDrò vuole fornire il proprio supporto per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi cardine dell’Expo di Milano. Per realizzare quest’obiettivo, la nostra associazione si propone di pianificare un percorso a tappe di incontri nelle principali città italiane, un vero e proprio road show con ospiti internazionali, convegni, dibattiti, workshop. Con lo stile informale e orizzontale che caratterizza tutti gli appuntamenti di

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veDrò, saranno organizzati appuntamenti per discutere, ad esempio, di sicurezza alimentare, tracciabilità e rintracciabilità della filiera di produzione, diritto alle calorie, ricerca in agricoltura e Ogm, mancanza di materie prime, domanda di cibo e colonialismo del III millennio. Il piano di lavoro per veDrò L’Expo sarà costantemente monitorato da uno specifico test-lab, composto da professionalità di alto profilo, che si riunirà in un working group tematico durante il nostro main event estivo e, successivamente, in appuntamenti spin-off appositamente dedicati. Un gruppo di lavoro per controllare, valutare e implementare le attività previste.

E’ possibile immaginare che i contenuti più rilevanti emersi dal suddetto lavoro di ricerca, possano essere oggetto di pubblicazione ed essere raccolti in uno o più saggi (collana veDrò L’Expo) o in un dvd, da diffondere, in lingua inglese e in tutto il mondo, grazie alle ramificazioni della think tank net precedentemente creata.

E’ possibile altresì la creazione di un’applicazione scaricabile (per iphone, ipad, smartphone) con cui sia possibile leggere sinteticamente i principali dati raccolti.

VEDRÒ L’EXPO.

Ecco alcuni spunti preliminari di discussione in campo:

- Rafforzare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, vale a dire la sicurezza di avere cibo a sufficienza per vivere e la certezza di consumare cibo sano e acqua potabile;• Assicurare un’alimentazione sana e di qualità a tutti gli esseri umani per eliminare la fame, la sete, la mortalità infantile e la malnutrizione che colpiscono oggi 850 milioni di persone sul Pianeta, debellando carestie e pandemie;• Prevenire le nuovi grandi malattie sociali della nostra epoca, dall’obesità alle patologie cardiovascolari, dai tumori alle epidemie più diffuse, valorizzando le pratiche che permettono la soluzione di queste malattie;• Innovare con la ricerca, la tecnologia e l’impresa l’intera filiera alimentare, per migliorare le caratteristiche nustritive dei prodotti, la loro conservazione e distribuzione;• Educare ad una corretta alimentazione per favorire nuovi stili di vita in particolare per i bambini, gli adolescenti, i diversamente abili e gli anziani;• Valorizzare la conoscenza delle “tradizioni alimentari” come elementi culturali e etnici.

La genuinità e la diffusione di prodotti agro-alimentari è innanzi tutto una necessità sociale, oltre a rappresentare un importante valore economico. Centrale è il ruolo del territorio, in quanto la qualità e la genuinità del cibo vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle attività di coltivazione e di allevamento dei popoli e delle comunità locali, frutto d’esperienze millenarie sulle quali oggi si innestano forti innovazioni scientifiche e tecnologiche.Le istituzioni pubbliche, le imprese private, le associazioni umanitarie, le organizzazioni non governative, le rappresentanze dei consumatori e dei produttori promuovono, lungo l’intera filiera agro-alimentare, lo sviluppo dei sistemi economici e sociali di tutto il Pianeta.

All’Expo sono in mostra la frontiera della scienza e della tecnologia che hanno come obiettivi: • preservare la bio-diversità, rispettare l’ambiente in quanto eco-sistema dell’agricoltura, tutelare la qualità e la sicurezza del cibo, educare alla nutrizione per la salute e il benessere della Persona;• individuare strumenti migliori di controllo e di innovazione, a partire dalle biotecnologie che non rappresentano una minaccia per l’ambiente e la salute, per garantire la disponibilità di cibo nutriente e sano e di acqua potabile e per l’irrigazione;• assicurare nuove fonti alimentari nelle aree del mondo dove l’agricoltura non è sviluppata o è minacciata dalla desertificazione dei terreni e delle foreste, delle siccità e dalle carestie, dall’impoverimento ittico dei fiumi e dei mari.

All’Expo molte opportunità di promozione e di comunicazione:

L’Expo 2015 offrirà una grande opportunità di comunicazione e di promozione alle comunità produttive di base, agli agricoltori, alle imprese alimentari, alla catena della logistica e della distribuzione, al comparto della ristorazione, ai centri di ricerca e alle aziende che intendono:• divario tra domanda e offerta di cibo. Aumento della popolazione mondiale che consuma. Il modello italiano• accesso alle calorie• come si affronta il problema agroalimentare. Paure e fobie.

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• valorizzare le innovazioni e le tecnologie produttive che generano un prodotto alimentare sano;• operare nella preparazione e conservazione dei cibi, accrescendo le competenze professionali dei loro dirigenti e dei loro dipendenti e migliorando la comunicazione con il consumatore;• garantire la qualità del cibo con appropriati sistemi di tutela e monitoraggio delle contraffazioni e delle adulterazioni.

Come comunicare l’Expo? Che senso ha un progetto VeDrò l’Expo? Quali dinamiche glocal si possono mettere in campo per il 2015?Il progetto VedDrò l’Expo è articolato lungo 2 direttrici di City Marketing che per definizione è sia interno che esterno. E si configura all’interno di una esperienza, quella di VeDrò che dal 2005, si propone di proiettare in chiave futura i temi della Città, della Cultura, dello Sviluppo del Paese.

MARKETING INTERNO, COUNT DOWN E CLUSTERING.

La prospettiva di una metropoli come Milano che si accinge ad ospitare l’Expo 2015 è necessariamente quella di entrare nel solco delle grandi trasformazioni urbane. E’ certamente superfluo citare i casi del Secolo XIX e XX, in cui Barcellona ha ad esempio ha ridisegnato la sua espansione proprio in occasione degli Expo Universali (1888 e 1929). O quello di Parigi del 1900. Sia Barcellona che Parigi son passate alla storia e sono città comparabili con Milano per rank-size e per la loro caratteristica Europea che le distingue dalle altre metropoli globali. Al netto della Torre Eiffel o della Gare de Lyon, del Parc della Ciutadella o del Montjuic che sono luoghi ormai dell’immaginario collettivo, lo stress che VeDrò intende porre sul tema dei Grandi Eventi è di natura più complessa e articolata.Barcellona offre lo spunto per una riflessione che prescinde dall’Expo “di per sé”. Un Grande Evento in Italia oggi è tristemente legato ad un concetto di “cricca” che è inutile eludere. Dal punto di vista del MARKETING INTERNO per la città di Milano, questo rischio è dietro l’angolo, se non già presente.Durante i Giochi Olimpici del ’92 il successo non fu solo mediatico e globale. Non fu solo la rinanscita dei “catalani” nel mondo. L’uscita dal franchismo e la affermazione di un brand per il mondo che usciva dalla Guerra Fredda. Barcellona passa alla storia per “I VOLONTARI”. Una piazza nei pressi di Barceloneta è dedicata appunto ai volontarii. Quando nel 2004 Barcellona organizza e ospita il Forum Universale delle Culture per trasformare una intera area oltre la Diagonal, il sistema della partecipazione va in crisi e nascono fortissimi dissensi. La città vive e percepisce come un business, ma la l’effetto indiretto di MARKETING INTERNO è da considerarsi fallimentare. Allo stesso modo già oggi son presenti comitati CONTRO EXPO.In questa logica la proposta di VeDrò l’Expo, nell’ottica del Marketing Interno è:

- COUNT DOWN 2015. VeDrò l’Expo: I Cantieri Evento. Molto opportunamente sul sito di Expo2015 è presente un conto alla rovescia che allude ai giorni mancanti per l’inizio della manifestazione. Questa logica ampiamente condivisibile andrebbe replicata per ogni Cantiere Evento. Il concetto è quello di trasformare ogni Cantiere in un Evento. Con specifiche operazioni di branding del Cantiere. Con una cartellonistica multimediale che richiami Ore Minuti Secondi all’apertura/chiusura. Questa proposta di VeDrò si sostanzia in una vera e propria attività di Marketing Urbano rivolta a cittadine/i milanesi. Abitanti del territorio. Comitati di quartiere. Con un modello partecipativo sperimentato da VeDrò: i working group. E con un modello comunicativo ampiamente legato alle nuove tecnologie. L’obiettivo è creare empatia tra il Cantiere e l’Evento. Tra il Cantiere e il Quartiere. Tra il Quartiere e l’Evento. Favorire la costruzione collettiva di MILANO DREAM condiviso. (ex: Forum NIMBY_PIMBY organizzato da VeDrò).

- EDUCATION, EDUCATION, EDUCATION. VeDrò l’Expo: Noi ragazzi del 2015.VeDrò nasce con un approccio “generazionale” slegato da logiche sindacali e opportunistiche, giovanilistiche. Questo però non reprime la voglia di VeDrò di costruire una classe dirigente consapevole. Nel solco dell’accordo tra Expo Spa e le Università Lombarde, VeDrò propone di contribuire a costruire un modello nuovo di accordo tra Expo 2015 e le Scuole di Milano. In particolare i Licei. Se nel caso del Cantiere Evento l’idea è lavorare al contrario 2015-14-13-12-11… nel caso di Noi Ragazzi del 2015 l’idea è quella di lavorare dal 2011-12-13-14-15… L’obiettivo è costruire un percorso con gli studenti che nel 2012 iniziano il Secondo Anno di Liceo e che sosterranno l’Esame di Maturità nel 2015. VeDrò con la sua esperienza si propone di organizzare un social network e una piattaforma congitiva (fisica e multimediale). Lo scopo è quello di strutturare idee per il post Expo 2015. (Ex: VeDrò social network).

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- CLUSTERING CULTURE. VeDrò: MIND IN MILAN, MIND IN ITALY.I Grandi Eventi sono occasioni non solo materiali di costruzione fisica e rinascita urbana. Il Marketing Urbano prevede azioni interne di costruzione di relazioni. Nell’economia post-fordista, nel capitalismo cognitivo, conta il milieux, il contesto in cui le persone, i talenti, vivono e si relazionano.L’Expo2015 si propone istituzionalmente di esportate il Made in Italy. In Milano però l’occasione è propizia per lavorare con atti, comunicazione e relazioni alla evoluzione del cluster della industria creativa e culturale, lavorando sul concept di Mind in Milan.Obiettivo del progetto è quello vertebrare il distretto urbano della moda, del fashion, del design. Con l’inserimento dell’eno-gastronomia, del gusto, del “buono” che va benissimo con il “bello”. VeDrò propone l’organizzazione di un vero e proprio piano strategico del cluster culturale intenso nel senso ampio e postmoderno del termine.

IL MARKETING ESTERNO. ITALIA 2015. MILANO GLOBAL EVENTS. MILANO EUROMED2020.

Anche in questo caso è superfluo ricordare come i Grandi Eventi siano uno strumento formidabile di Marketing Esterno per le città. Le sfide per vincere l’assegnazione di Giochi Olimpici Invernali ed Estivi, Campionati del Mondo ed Europei di Calcio, la Capitale Europea della Cultura, sono spesso cruente e senza esclusione di colpi.Le città evidentemente comprendono l’importanza, sia sul piano interno che per il booster, che questi eventi generano nelle trasformazioni immobiliari. Ma comprendono anche benissimo l’approccio multi-mediale; il “putting on the map” o in alcuni casi il ri-posizionamento della propria immagine.E’ evidente che in alcuni si ottenga un successo, ma in altri casi i Grandi Eventi possono anche amplificare i difetti delle città ospitanti. Quello che veDrò propone non è esattamente un Piano Marketing come tutti gli altri. veDrò, nella sua logica di thinktank e centro di elaborazione di idee, vorrebbe configurare una strutturazione della comunicazione esterna con finalità di sviluppo economico, culturale e ambientale.Le idee da sottoporre all’attenzione comune sono 3: una rivolta all’Italia. Una rivolta al Mondo. Una al Mediterraneo.

I GRANDI EVENTI CULTURALI NELLE CITTÀ ITALIANE: UN PIANO STRATEGICO.

Sulla base di ciò che è stato detto precedentemente, quale può essere una via da imboccare, affinché l’Italia acquisti un vantaggio competitivo in questo ambito?

La strada non può essere certo quella dei grandi eventi culturali modello “one night”, né tantomeno l’eccessiva festivalizzazione delle politiche urbane e nazionali.

Allo stesso tempo però non possiamo dimenticare quale importanza rivesta l’evento culturale – come la Capitale Europea della Cultura nel 2019- che può diventare lo spunto per una riflessione sistemica e di prospettiva strategica. Oltre che un progetto Nazionale.

I grandi eventi nascono da un ampio lavoro di progettualità e concretezza, che inizia dalla prima ipotesi di candidatura e che, nei fatti, per la gestione dell’eredità post evento, è destinato a non concludersi. Per questo devono essere necessariamente considerati progetti di squadra, in cui tutte le singole componenti di un territorio - le persone, le imprese, le istituzioni - lavorano in modo coordinato per il raggiungimento degli stessi obiettivi.

La legacy positiva (se l’evento viene pianificato correttamente) che si concretizza nel luogo ospitante è durevole, ma raggiungere quest’obiettivo non è facile. Ci si riesce se l’evento - che funge da strumento di urban management - è basato su un solido piano strategico a medio-lungo raggio.

Gli eventi si inseriscono in un macro-contesto che, come già accennato in precedenza, è caratterizzato dalla cosiddetta “morte della distanza” per via dello sviluppo della tecnologia e della comunicazione, che si pensava avrebbe portato alla fine degli spostamenti e delle interazioni fisiche, per far spazio ad un mondo basato sul virtuale. In questo contesto globalizzato si è affermata l’idea delle “imprese footloose”, come protagoniste di una dispersione fatta di reti transnazionali, non più legate ad un determinato luogo, che da anni dominano il linguaggio con termini come: delocalizzazione, costi del lavoro, produttività.

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Tutti questi termini penalizzano l’Italia, ma non nel settore della cultura e della creatività, e gli eventi potrebbero invertire questa tendenza. Perché, come detto, la morte della distanza è superata dal concetto di cluster, che necessita invece di interazione fisica e conseguentemente si è verificata la crescita del ruolo svolto dagli eventi globali, conferendo un valore unico ai momenti in cui si riesce a interagire di persona.

Grazie agli eventi, i cluster culturali e creativi sono chiamati alla co-ompetition, a cooperare per competere con altre città e regioni: viene dunque stimolata la concorrenza interna ed esterna, fattore essenziale per l’ innovazione e lo sviluppo. Queste manifestazioni dunque esplicano le loro potenzialità al di là del proprio concetto intrinseco, coinvolgendo di riflesso altri tipi fattori economici, sociali e istituzionali, allungando l’orizzonte degli effetti al lungo termine - non solo nella durata limitata che li caratterizza.

Gli eventi si diversificano tra loro per natura, dimensione e contenuto. Una delle classificazioni più diffuse è quella proposta da Maurice Roche:

Proposta: l’idea di veDrò è quella di utilizzare il decennio che ci aspetta, a partire da quest’anno fino al 2020, con un piano strategico degli eventi culturali in Italia, coinvolgendo Napoli 2013 Forum Universale delle Culture, Expo 2015 di Milano, la Capitale Europea della Cultura 2019, le (auspicate) Olimpiadi di Roma 2020, oltre che un insieme di altri eventi in corso di pianificazione o già predisposti e annualmente riconosciuti, che potrebbero/dovrebbero essere messi a sistema per organizzare l’offerta e la domanda su scala nazionale.

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VEDRO’: L’ITALIA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019.

L’idea di veDrò, in conclusione, che riprende alcune idee emerse negli anni passati nei Wg Culture e, mettendo a frutto i VersoveDrò Culture di Treviso del 30 Aprile e di Milano del 7 Luglio, le collega con il Wg Città e il Wg Expo 2015, è quella di proporre alle città che si candidano a Capitale Europea della Cultura 2019, un progetto a livello nazionale che valorizzi i loro programmi, a prescindere da chi vincerà la sfida.

Costruendo, dunque, come scritto nei precedenti paragrafi, una serie di Progetti veDrò in collaborazione:(i) con il MiBac, per avviare il percorso di trasformazione in Ministero dei Beni Culturali e dell’Industria Creativa, che realizzi politiche industriali per la cultura e la creatività,

(ii) con il Ministero degli Affari Esteri, per promuovere il “Pentagono della Cultura”, favorendo l’export attraverso l’Italia della Cultura e del Saper Fare,

(iii) con le Fondazioni, per i progetti concreti di riqualificazione degli asset fisici, partendo dal Patrimonio Unesco e dai “paesi fantasma”,

(iv) con le città italiane (Anci), per un progetto di evoluzione dei cluster creativi che favorisca il Mind in Italy, secondo il modello create a buzz,

(v) con partner pubblici e privati, imprese, ministeri e città, per elaborare un piano strategico degli eventi culturali in Italia e creare così una visione condivisa fino al 2020.

L’idea è quella di lavorare in rete con il Wg Città e il Wg Expo 2015, puntando sulla Capitale Europea della Cultura 2019, nel modus operandi tipico di veDrò.

Per il progetto Italia 2019 Capitale Europea della Cultura, partiamo dal presupposto che la cultura si muova con un approccio reticolare, globale e nazionale, urbano e di quartiere: “a cluster”. E consideriamo che ci sia una tipicità che integra il genius loci e la produzione creativa in Italia, che noi definiamo “Mind in Italy”. Immaginiamo che la cultura sia un vettore possibile di politica estera. Rendiamoci consapevoli che abbiamo un patrimonio Unesco inestimabile, ma dobbiamo saper scegliere cosa tutelare, puntando insieme sulla tutela e sulla industria creativa. Tutto ciò premesso, noi pensiamo che l’Italia e la cultura italiana possano trarre giovamento da un “grande evento” che consegni al Paese una mission e una vision di lungo periodo, con un sforzo di coordinamento pluriennale ed un piano strategico che diventi priorità per i prossimi anni, con linee guida e obiettivi condivisi e convergenti.La Capitale europea della cultura verrà assegnata all’Italia nel 2019 e porterà seri benefici alla città ospitante. Il titolo di Capitale europea della cultura ha lo scopo di avvicinare i popoli europei mediante la valorizzazione della ricchezza culturale e di migliorare la conoscenza che i cittadini europei hanno gli uni degli altri, favorendo il senso di appartenenza a una medesima comunità. Per il periodo di un anno la città designata avrà la possibilità di mettere in mostra la propria vita e il proprio sviluppo culturale. Diverse città europee hanno utilizzato questo periodo per trasformare completamente la loro base culturale, e di conseguenza la loro economia, oltre che il loro brand.

La città non viene designata Capitale unicamente per quanto ha fatto, ma soprattutto per il programma di eventi e per la riqualificazione urbana e dei legami culturali che intende realizzare nell’anno designato. E non possiamo tacere la coincidenza importante che in quell’anno, il 2019, ricorra il quinto centenario della morte di Leonardo, icona del genio italiano nel mondo.

Città Candidate per la Capitale Europea della Cultura 2019:

L'Aquila

Matera

Palermo

Bari

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Ravenna

Siena

Venezia e il NordEst

Torino & provincia

Urbino

Perugia

Catanzaro

Agrigento

Proposta: L’idea originale di veDrò è quella di costruire un network tra tutte le città candidate. A vincere sarà una sola, ma in tal modo non andranno disperse le progettualità delle altre candidate, che in questi anni investiranno nella progettazione/programmazione culturale di lungo periodo. Il progetto è di reperire risorse pubbliche e private perché quei programmi si realizzino comunque in “veDrò ITALIA 2019 CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA”.

Da Expo 2015 a Italy 2020. Infine, tenendo presenti i ragionamenti iniziali sull’evoluzione globale delle città e dei cluster creativi e volendo collegarsi all’idea del piano strategico dei grandi eventi, è lecito porsi alcune domande: come si organizza un Grande Evento? Che senso ha un progetto per un Grande Evento? Quali dinamiche glocal si possono mettere in campo per la riuscita? Quali sono i rischi che bisogna correre per evitare una sconfitta certa? L’esempio dell’Expo Universale di Milano 2015 è utile per un’articolata riflessione su passato e futuro, che ha senso fare in Italia, ma anche in Europa. Utilizzando il filo rosso dell’Expo 2015 è possibile affrontare il tema dei Grandi Eventi nella sua complessità: costi-benefici, fase pre e fase post, successi e fallimenti, infrastrutture e marketing, partecipazione e speculazione, cricche e grandi trasformazioni, ruolo delle città e dei Paesi ospitanti.

Un Grande Evento Urbano solitamente è articolato lungo 2 direttrici: il City Marketing, che per definizione è sia interno che esterno, spesso legato al “soggetto” del grande evento; e la Trasformazione Urbana, cioè l’“oggetto” del Grande Evento, che spesso è slegata dal “soggetto”. I due aspetti si configurano all’interno di una dimensione esperienzale, unica, semifora, estetica, partecipativa, cognitiva: una città, una metropoli, una fabbrica sociale che si propone di proiettare sé stessa in chiave futura. Città: non solo infrastrutture, conta la partecipazione.La prospettiva di una metropoli come Milano che si accinge ad ospitare l’Expo 2015 è necessariamente quella di entrare nel solco delle grandi trasformazioni urbane. Qual è il senso di Milano nel 2015? E quale è il senso di un Expo su un tema così vago e complesso, ma attualissimo come “Nutrire il Pianeta”? E’ la grande trasformazione immobiliare? Come si fa ad apprendere dal passato? Per i concetti di “legacy” o di costi-benefici-esternalità?Come fare? Molto opportunamente sul sito di Expo2015 è presente un conto alla rovescia che allude ai giorni mancanti all’inizio della manifestazione. Questa logica, ampiamente condivisibile, andrebbe replicata per ogni Cantiere Evento. Il concetto è quello di trasformare ogni Cantiere in un Evento. Con specifiche operazioni di branding del Cantiere. Con una cartellonistica multimediale che richiami Ore Minuti Secondi all’apertura/chiusura.

La proposta si sostanzierebbe in una vera e propria attività di Marketing Urbano rivolta a cittadine/i milanesi. Abitanti del territorio. Comitati di quartiere. Con un modello partecipativo sperimentale. E con un modello comunicativo ampiamente legato alle nuove tecnologie. L’obiettivo e il successo dei Grandi Eventi è creare empatia tra il Cantiere e le Persone. Tra il Cantiere e il Quartiere. Tra il Quartiere e l’Evento.

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Dagli eventi un piano strategico per il Mind in Italy 2020.

I Grandi Eventi sono uno strumento formidabile di Marketing Esterno per le città. Le sfide per vincere l’assegnazione di Giochi Olimpici Invernali e Estivi, Campionati del Mondo e Europei di Calcio, la Capitale Europea della Cultura, sono spesso cruente e senza esclusione di colpi.Le città evidentemente comprendono l’importanza sia sul piano interno (per il booster che questi eventi generano nelle trasformazioni immobiliari), sia rispetto a un approccio multi-mediale; il “putting on the map” o in alcuni casi il ri-posizionamento della propria immagine.E se in alcuni casi la sfida è vincente, in altri casi i Grandi Eventi amplificano i difetti delle città ospitanti. Ma rimangono comunque una questione “nazionale”. Basti pensare agli Europei o ai Mondiali di Calcio, o anche a eventi brevi come l’America’s Cup o i Gran Premi di Formula Uno che hanno visto per esempio Valencia fare un balzo in avanti di rango e dimensione, in meno di un decennio. Quello che Milano dovrebbe proporre all’Italia non è esattamente un Piano Marketing come tutti gli altri, ma un centro di elaborazione di idee, con l’obiettivo di configurare una strutturazione della comunicazione esterna con finalità di sviluppo economico, culturale e ambientale. Per il Paese, per l’Italia, non solo Per Milano. Gli accordi e protocolli di intesa che Milano e l’Expo stanno mettendo in campo, coinvolgendo numerosi Enti Locali Italiani, sono la dimostrazione che Milano interpreta se stessa come driver per lo sviluppo del Paese. E il sistema Paese questo lo riconosce a tutti i livelli di governance, dal governo ai Comuni, con una logica di messa a sistema delle risorse comunitarie e dei fondi Cipe, sulla base di una programmazione coerente e pluriennale: i Fondi Strutturali 2007-13, per le regole n+2 esauriranno il loro effetto diretto nel 2015. Allo stesso modo, ad esempio i Fondi Fas e il Piano per il Sud vanno in questa logica pluriennale e guardano al 2015. L’idea di Milano come driver italiano sarebbe quella di progettare un vero e proprio sistema di urban challenge per le città che lo desiderano (in particolare nel Sud) mettendo a sistema i fondi strutturali, nazionali e regionali per 7, 10 progetti di trasformazione urbana collegata all’Expo 2015.Bisognerebbe elaborare una proposta strutturata da sottoporre al Ministero delle Regioni e al Ministero dell’Economia e Finanza, congiuntamente alle Regioni del Sud (ma non solo) e alle Città Metropolitane. L’obiettivo è quello di collegare un ampio progetto di Comunicazione per le Urban Challenge a progetti concreti connessi al sentiment dell’Expo2015 e alle trasformazioni in corso a Milano. (Ex: Parchi a Tema, Uso delle Acque, Infrastrutture Culturali).Allo stesso modo, nell’ottica degli obiettivi di “Europa 2020”, bisognerebbe proporre di delineare un filo rosso che vada oltre l’Expo 2015, che lo preceda e lo superi. Torino è “madre” di Italia 150 nel 2011. Napoli nel 2013 ospiterà il Forum Universale delle Culture. Milano ospiterà l’Expo 2015. Nel 2019 la Capitale Europea della Cultura sarà una città italiana: Venezia e il Nord Est, Bari e la Puglia, Matera, Ravenna, Siena, L’Aquila si stanno autorevolmente candidando. E in quest’ottica sarebbe indispensabile strutturare un Sistema Italia 2019 Capitale Europea della Cultura che tenga insieme i progetti migliori anche di chi – com’è fisiologico – non avrà vinto la sfida. Roma nel 2020, infine, si propone di ospitare i Giochi Olimpici. E’ una sfida italiana questa che non dovrebbe avere distinzioni di sorta e vedere Milano e Roma iniziare insieme una serie di partnership per connettersi con Londra 2012 prima e Rio de Janeiro 2016 poi, con un approccio consapevole e sostenibile alla organizzazione di Eventi Urbani.L’idea è convogliare su Milano una grande iniziativa che coinvolga i Paesi Euro Mediterranei, quelli della sponda Sud del Nord Africa, quelli dei Balcani e del Medio Oriente finalizzata alla costruzione di network stabili che consolidino Milano e l’Italia come la Capitale del Mediterraneo. Bisognerebbe dunque sin da oggi pensare al 2020 e a Milano come Capitale Euro Mediterranea della Pace. Ecco cosa significa progettare un grande evento: pensare già al dopo e rilanciare.

Proposta: partendo dalle città già coinvolte, realizzare un progetto di urban challenge (sfide urbane) da qui al 2015. Le città metropolitane coinvolte potrebbero essere ad esempio:

- Roma: Le due metropoli hanno firmato un protocollo d’intesa che prevede l’impegno, da parte della capitale, a mettere a disposizione dell’evento le proprie eccellenze culturali, artistiche e turistico-ricettive, nonché a favorire la nascita di sinergie tra la Fiera di Roma e l’Expo.

- Firenze: L’Expo è anzitutto cultura e in questo Firenze è un punto di riferimento. Da qui è nata, nell’ottobre del 2008, la partnership tra Milano e le istituzioni culturali pubbliche e private di Firenze, nell’ottica della reciproca valorizzazione delle eccellenze culturali. Firenze sarà ‘coinvolta’ in occasione di eventi, manifestazioni, incontri ufficiali, forum e dibattiti tematici, happening internazionali e altre iniziative previste nel periodo di preparazione dell’Expo.

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- Genova: Questi gli elementi essenziali: il porto di Genova intende mettere in campo un’area di circa settecento ettari, oltre al polo urbano dell’Expo costruito da Renzo Piano per le ‘Colombiadi’ del ‘92. Nella sostanza, si punta a un piano di razionalizzazione del porto di Genova in grado di accogliere tutti quei visitatori che potranno spingersi fino al mare, trovandosi di fronte un’offerta articolata di proposte presentate dalla città portuale. E’ inoltre allo studio l’organizzazione di una edizione speciale del Salone della Nautica e il potenziamento del piano delle crociere per consentire ai crocieristi visite all’Expo.

- Torino: Città partner di progetto nella fase di candidatura, ma anche punto di riferimento della Fondazione delle Province del Nord-Ovest, Torino ha avviato un confronto con il Comitato organizzatore dell’Expo 2015, per una partecipazione concertata dell’intero macro-territorio all’evento e per la promozione della food valley italiana.

- Palermo: Palermo e Milano hanno stretto un’alleanza fondata sulla valorizzazione delle eccellenze turistiche, enogastronomiche, artistiche e culturali e per la promozione degli eventi della città siciliana nel contesto dell’Esposizione Universale.

- Bari: La Fiera del Levante, una delle principali fiere italiane e del Mediterraneo, si è dichiarata disponibile a collaborare con Milano, in particolare avanzando l’ipotesi di creare in terra pugliese una sezione decentrata dell’Expo 2015, legata alla Dieta Mediterranea di cui la Puglia è un’ eccellenza per quel che riguarda coltivazione e produzione di vino, olio, grano e prodotti eno-gastronomici.

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