vdossier cover 2 Ciessevi - csvlombardia.it · Vdossier rivista trimestrale Centro servizi per il...

43
Perché una rendicontazione di qualità è vitale per il volontariato Propersi L’abc per misurare e comunicare il capitale sociale Vittadini Senza investimenti sul capitale umano non ci sarà futuro Testa Creatività e ironia miscela vincente per il Terzo settore IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO SI CMP ROSERIO [MILANO] PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE S’IMPEGNA A PAGARE IL DIRITTO FISSO DOVUTO dossier Centro Servizi per il Volontariato nella Provincia di Milano Rivista trimestrale Anno 1 numero 2 ottobre 2010

Transcript of vdossier cover 2 Ciessevi - csvlombardia.it · Vdossier rivista trimestrale Centro servizi per il...

Perché una rendicontazione di qualità è vitale per il volontariato PropersiL’abc per misuraree comunicareil capitale sociale

VittadiniSenza investimentisul capitale umanonon ci sarà futuro

TestaCreatività e ironiamiscela vincenteper il Terzo settore

IN C

ASO D

I M

AN

CATO

RECAPIT

O I

NVIA

RE A

LL’U

FFIC

IO S

I CM

P R

OSERIO

[M

ILAN

O]

PER L

A R

ESTI

TUZIO

NE A

L M

ITTE

NTE

CH

E S

’IM

PEG

NA A

PAG

ARE I

L D

IRIT

TO F

ISSO D

OVU

TO

dossier Centro Servizi per il Volontariato nella Provincia di MilanoRivista trimestrale Anno 1 numero 2 ottobre 2010

dossier

piazza Castello, 3 - 20121 Milano - tel. 02.4547.5850 - fax 02.4547.5458 www.ciessevi.org

Vdossierrivista trimestrale

Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano

ottobre 2010anno 1numero 2

Registrazione del Tribunale di Milano n. 550 del 1/10/2001

EditoreAssociazione Ciessevipiazza Castello 320121 Milanotel. 02.45475850fax 02.45475458email [email protected]

Direttore ResponsabileLino Lacagnina

RedazioneElisabetta BianchettiPaolo Marelliemail: [email protected]

Hanno Collaborato a questo numeroAdriano PropersiFrancesca PasiGiovanni StizFrancesco AurisicchioGiuseppe GuzzettiSilvia Rapizza

Progetto EditorialePaolo Marelli

Progetto Grafico e ImpaginazioneFrancesco CamagnaSimona Corvaiaemail [email protected]

StampaIl Papiro soc. coop. soc. Onlusvia Baranzate 72/7420026 Novate Milanese (MI)

Stampa in carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) che garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Inchiostri derivati da fonti rinnovabili (oli vegetali).

È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purchè venga citata la fonte.

dossier ottobre 2010 Sommario

L’editorialeComunico dunque sono. L’importanza strategica dell’accountability A PAGINA 7

In cattedra L’abc della rendicontazione per misurare e comunicareil capitale sociale degli enti A PAGINA 11

La parola all’esperto Una “famiglia” di strumenti per una relazionedi fiducia con istituzioni e stakeholder

A PAGINA 23

L’esperienza Le associazioni a scuola studiano per diplomarsiin competenza ed efficienza A PAGINA 31

GuzzettiNon c’è sviluppo economico senzail ricco patrimonio di attività del Terzo settore A PAGINA 38

Business non profitLa sfida di Banca Prossima, quando il credito finanzia la solidarietà A PAGINA 46

VittadiniSenza investimenti nel capitale umanonon ci sarà futuro A PAGINA 51

TestaCreatività, ironia e rigore: così la pubblicitàdiventa l’anima del volontariato A PAGINA 58

Lezione americana Il valore sociale si pesa soltanto con l’interazione tra domanda e offerta A PAGINA 65

L’editoriale

7

Le associazioni non giudicano cruciale farsi conoscere.

Anzi giudicano spesso dannoso einutile dedicare del tempo aillustrare la propria attività e

quali risultati portano a beneficio della comunità

‘‘

’’

Comunico dunque sonoL’importanza strategicadell’accountability

Lo scenario

di Lino Lacagnina, presidente Ciessevi

VOGLIO PRIMA DI TUTTO RINGRAZIARE i nume-rosi lettori che hanno fatto pervenire i lo-ro apprezzamenti per il primo numero di Vdossier. Ci fa

molto piacere essere confermati sia nella scelta della formula del-l’approfondimento, sia per l’argomento e i contenuti dello scor-so numero della nostra rivista.

Non è stato facile decidere il tema numero due da affrontare,sia riguardo alle molte urgenze su cui confrontarsi, sia per esse-re in grado di mantenere alto il profilo che abbiamo cercato didare al nostro trimestrale.

La scelta è andata sulla rendicontazione sociale, o accounta-bility, come più propriamente viene definita non tanto in osse-quio agli anglofoni, ma quanto perché la traduzione italiana nonrende pienamente il significato del termine inglese.

In fondo, forse, l’obiettivo principale che si pone questo nu-mero di Vdossier è proprio quello di chiarire bene che cos’è il bi-

L’editorialedossier ottobre 2010

98

lancio sociale e l’importanza strategica che oggi riveste per le or-ganizzazioni di volontariato e il Terzo Settore. Saranno gli inter-venti degli illustri e competenti amici che abbiamo coinvolto asviluppare esaurientemente quanto ho appena accennato. Io milimiterò qui di seguito a spiegare in modo essenziale, perché èstrategico, oggi più di ieri, che le associazioni si facciano caricoognuna di redigere il proprio bilancio sociale.

Siamo in momento di crisi generalizzata e, quindi, non solo eco-nomica e per uscirne bisogna puntare alle forze sane del Paese.

Molto spesso queste forze non hanno la consapevolezza di es-sere tali e lavorano nell’ombra, con l’unico obiettivo di rendere unservizio concreto alla propria comunità locale e contemporanea-mente esprimere, con solidarietà e impegno, la loro vicinanza achi ha bisogno e il proprio contributo per la realizzazione diun’ideale che varia su molteplici campi: educativo, sportivo, am-bientale, culturale, sanitario e altro ancora.

Questa massa operosa sparsa capillarmente non giudica im-portante farsi conoscere. Anzi giudica persino dannoso utiliz-zare parte del tempo dedicato all’impegno per far sapere cosafanno e quali risultati a beneficio della comunità ha portato il la-voro svolto.

La mancanza di questo protagonismo è una perdita che il Pae-se non si può più permettere. Soprattutto non possiamo più per-metterci noi che altri si approprino delle idee, delle iniziative, del-le realizzazioni che le organizzazioni di volontariato, giorno dopogiorno, mettono in campo per il bene della nostra comunità. È il fa-

moso e tanto virtuoso bene comune,quello di cui molti si riempiono la boc-ca e qualcuno anche le tasche, ma cheil mondo del volontariato è l’unico arenderne una ragione di vita.

Abbiamo detto più volte che i Cen-tri di servizio non rappresentano il vo-lontariato, ma sono osservatorio pri-vilegiato di questa realtà.

Come Ciessevi di Milano e pro-vincia, attraverso il lavoro costantecon le associazioni, vediamo l’evol-

versi di questo mondo, le difficoltà che lo attraversano, le tensio-ni ideali, i successi, l’inadeguatezza strutturale ad affrontare lacomplessità della società attuale.

Il nostro impegno, anche attraverso Vdossier, sarà quello diindividuare ogni singolo fenomeno, perché possano essere piùchiari i termini delle questioni e, di conseguenza, più facile in-dividuare negli ambiti preposti, le soluzioni.

Per questo occorre avere una visione sempre più precisa e ogget-tiva della realtà. E per sfuggire a tentazioni ideologiche che inficianoalla base questa oggettività bisogna imparare a RENDERE CONTO.

Rendere conto delle proprie finalità, delle sinergie con le altrerealtà; rendere conto del proprio territorio per evidenziare che nonsi fanno doppioni inutili, ma si collabora e si integrano le azioni.

Rendere conto della propria organizzazione della facilità di ac-cesso ad essa, della reale democraticità degli organismi direttivi.

Rendere conto delle attività svolte, dei risultati raggiunti inrapporto a quelli preventivati.

Rendere conto del proprio bilancio di esercizio con traspa-renza, ma anche valorizzando il proprio lavoro volontario, perchéla comunità, gli stakeholders e in particolare gli enti e le istitu-zioni pubbliche si rendano conto del risparmio che la collettivi-tà ha potuto effettuare grazie all’impegno dei volontari.

Rendere conto del proprio bilanciodi esercizio è importante perchégli stakeholderssappiano che la collettività ha ottenuto dei risparmi grazie ai volontari

‘‘

’’

11

Il bilancio sociale come documento di misurazione del valore globale

dell’ente, nonché base dell’elaborazionedella strategia sociale, ma anche

come importante leva di comunicazionedell’attività volontaria

‘‘ L’ accountability, cioè il “rendere conto” delle proprieazioni a tutti i soggetti interessati, è un valore per tuttele attività umane svolte in forma organizzata, siano es-

se pubbliche, profit o non profit. Nel caso del settore non pro-fit il “rendere conto” è particolarmente importante in relazioneai caratteri del Terzo settore, ove sono assenti gli interessi pro-prietari, non esistono gli azionisti che finanziano la gestione e,sebbene vengano svolte funzioni sociali o ideali, generalmente di

interesse pubblico, non vi sono finan-ziamenti pubblici prestabiliti. Gli am-ministratori degli enti non profit, per-tanto, devono rendicontare a tutti isoggetti interessati come si è svoltal’attività ideale e sociale che l’ente hacondotto. Le informazioni economi-che e finanziarie che si traggono daibilanci di esercizio degli enti non pro-

’’

L’abc della rendicontazioneper misurare e comunicare il capitale sociale degli enti

In cattedra

Gli amministratoridegli enti non profitdevono rendicontarea tutti i soggettiinteressati come si è svolta l’attivitàideale e sociale chel’ente ha condotto

di Prof. Adriano Propersi Professore di Economia aziendale presso il Politecnico di Milano e Consiglieredell’Agenzia per le Onluse Avv. Francesca Pasi Collaboratore del Servizio Indirizzo e Vigilanza dell’Agenzia per le Onlus

In cattedradossier ottobre 2010

fit, ancorché costruiti secondo gli schemi ad hoc predisposti1,non sempre sono sufficienti per rappresentare le attività svolte,proprio in relazione ai particolari caratteri gestionali e alle mo-dalità di “governance” di questi enti. Gli enti non profit presen-tono, tra le altre, le seguenti peculiarità:

˜ sono realtà che perseguono finalità socialmente rilevanti, dinatura complessa, occupandosi nelle fasi deboli dei processisociali unitamente, o in alternativa, all’istituto pubblico;

˜ sono realtà che nascono da motivazioni di natura etica, mo-rale, di solidarietà, di altruismo ecc. in cui è presente gene-ralmente un naturale orientamento all’economica gestionedelle risorse;

˜ presentano sistemi di governance difformi rispetto alle im-prese, soprattutto in relazione all’assenza di interessi pro-prietari che alimentino, indirizzino e controllino costante-mente la gestione, con tendenza quindi a essere menoefficienti;

˜ la credibilità ‘agli occhi della comunità’ di riferimento costi-tuisce una risorsa fondamentale degli enti non profit, e, inquanto tale, va costantemente costruita e sviluppata, creandosolide relazioni di fiducia tra gli enti e la comunità esterna,relazioni generatrici di risorse monetarie, in natura, e di per-sonale fondamentali per lo sviluppo del mondo non profit,

˜ la comunità di riferimento costituisce il principale beneficia-rio e controllore dell’operato degli enti non profit; essi nasco-no per il diretto soddisfacimento dei bisogni della comunità,traggono dalla stessa i mezzi per il loro sostentamento econo-mico e morale, concorrendo direttamente al suo progredire.

Il rapporto, quindi, tra le realtà non profit e la comunità di riferi-mento assume, molto più di quanto si verifica con riferimento al-le altre tipologie di aziende, un carattere meramente fiduciario. Leorganizzazioni del Terzo settore sono chiamate a costruire tale re-lazione di fiducia non solo con il ben agire ma anche attraversogli strumenti della comunicazione sociale della trasparenza, del-

la responsabilizzazione nei confronti della comunità, in sintesidi accountability.

Diventa, quindi, importante per gli enti non profit il passaggiodal bilancio di esercizio, che fornisce le informazioni economi-che, finanziarie e patrimoniali atte a rappresentare i risultati diesercizio e la situazione dell’ente, al bilancio sociale, quale stru-mento di rendicontazione delle responsabilità, dei comportamentie dei risultati sociali, ambientali ed economici delle attività.

1. Dai conti morali al bilancio socialeLa redazione del bilancio sociale non può considerasi una pras-si di recente introduzione in quanto essa trova un prodromo neicosiddetti conti morali delle I.P.A.B. disciplinati dal legislatorenel 1890 ed ancor prima nella dottrina aziendalistica dell’otto-cento. Già allora i cultori della ragioneria usavano il termine ‘con-to morale’ per riferirsi al rendiconto degli enti con finalità eroga-tive, che doveva fornire un’informazione suppletiva, di caratteremorale, dei dati di bilancio, e nella prassi usavano inserire nellerelazioni al bilancio considerazioni sulla missione in atto. Per tut-ti si ricorda Michele Riva che nel 1887 scriveva “Quando il po-tere esecutivo si presenta al potere ordinativo non deve solamentedire: - ecco vi furono tante spese, tante rendite e tanto profittonetto (…) - Il vero resoconto generale è ben altra cosa e deve nonsolo comprendere il resoconto economico e giuridico dell’ammi-nistrazione ma bisogna che (…) metta a confronto i bisogni chesi avevano da soddisfare coi mezzi adoperati per farvi fronte; fad’uopo che dimostri e le cause di queibisogni e le difficoltà vinte, è mestieriche metta in evidenza quali furono irisultamenti sia economici, sia giuri-dici, sia morali (…) è mestieri che di-mostri per quali vicende è passatol’ente e in quali condizioni è rima-sto”.2.

Anzi la forza della dottrina era ta-le che ha convinto il Legislatore ademanare la legge del 17 luglio 1890,che ha regolato e reso obbligatoria la

1 L’Agenzia per le Onlus ha adottato con un proprio atto di indirizzo “linee guida e schemiper la redazione del bilancio di esercizio degli enti non profit”.

2 M. Riva, Opere pie ed altri istituti pubblici minori. Lezioni d’amministrazione e ragioneriapubblica secondo le leggi italiane, Loescher, Roma 1887.

Già nei rendicontidelle Ipab di fine‘800 esistevano dei “conti morali”che affiancavano ai dati di bilancio,informazioni econsiderazioni sullamissione degli entidi tipo benefico

‘‘

’’ 1312

In cattedradossier ottobre 2010

redazione annuale del conto morale. Il Legislatore dispose, in-fatti, esplicitamente che le amministrazioni delle IstituzioniPubbliche di Assistenza dovessero redigere annualmente, neitermini e nei modi fissati con regolamento, il bilancio preven-tivo ed il conto consuntivo corredato dal conto del tesoriere eda una relazione morale della propria gestione (art. 20 dellaLegge 17 luglio 1890, n. 6972). Il relatore della camera dei De-putati3 sulla legge sopra richiamata, in merito a tale disposi-zione normativa precisava che “Nella relazione suddetta [mo-rale] l'amministrazione deve:1. far constare del modo onde sono avvenute le riscossioni e le spese; 2. esporre la condizione finanziaria e morale della istituzio-

ne ed enti della medesima amministrati, le difficoltà su-perate, i criteri seguiti, i miglioramenti creduti opportuni.Al quale effetto saranno passati in esame le qualità dellerendite, i mezzi ed i modi di aumentarne la produttività edi semplificarne l'amministrazione, nonché la possibilitàe la convenienza di mantenere, ridurre o sopprimere al-cune spese’. Notasi che se tale relazione può essere in fat-to l’opera di uno solo, in diritto deve essere l’opera di tut-to il consiglio o collegio che rappresenta l’ente. Devequindi essere approvata dalla maggioranza, con le osser-vazioni e i voti di scissura che i singoli amministratori sti-mino fare inserire nel verbale, ovvero mandar per iscritto

come tanti allegati alla relazione.”.Quanto sopra evidenzia, quindi, chela redazione dei cosiddetti conti mo-rali delle I.P.A.B. rappresenta un pro-dromo della recente e diffusa prassidegli enti non profit di redigere il bi-lancio sociale, in aggiunta al bilanciodi esercizio. È ormai opinione conso-lidata, infatti, che la legittimazionedegli enti non profit non deriva piùsoltanto dal riconoscimento pubblicodella funzione che svolgono, quantodalla loro dimostrabile capacità direalizzare la propria “mission”.

2. Il sistema informativo e destinatari dell’informazione socialeIn prima approssimazione ed in via generale il bilancio socialepuò essere definito come lo strumento informativo che consentela rendicontazione a tutti gli stakeholder dell’attività svolta e chepresenta i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi dichiarati e im-pliciti nella mission dell’ente, dando conto sia degli aspetti eco-nomici e finanziari della gestione, sia di quelli sociali ed ancheambientali4. Non esiste, tuttavia, una definizione univoca e rigo-rosa dei contenuti del bilancio sociale e non è semplice arrivaread una nozione sintetica del termine e ciò per due principali mo-tivi: (i) nonostante lo sviluppo di nuovi modelli e standard di mi-surazione sociale, non è stato ancora trovato un accordo precisoe generale su cosa e come misurare, a differenza di quanto avvie-ne nell’ambito del bilancio di esercizio (questo è dovuto soprat-tutto ai diversi punti di vista secondo i quali viene considerato ilrapporto tra azienda e società); (ii) il bilancio sociale è spesso in-teso come un documento finalizzato a scopi di parte, i cui risul-tati sono accettati solo dagli interessati, a cui sembrano conveni-re, o che comunque presenta solo quei dati che sostengono lescelte di determinati centri di interesse5.

L’espressione “bilancio sociale”, anche nelle imprese, trovaspesso significati e contenuti diversi in base al contesto in cuipuò venire impiegata. La difficoltà di pervenire ad una defini-zione univoca del bilancio sociale se vale per le imprese, a mag-gior ragione si riscontra negli enti non profit, così diversi ed ete-rogenei per origine, forma giuridica, attività svolta e dimensione.Occorre però ricordare che per queste organizzazioni senza fini dilucro è viva l’esigenza di garantire un’informazione più estesa ecomprensibile, rispetto ai rendiconti di esercizio.

È proprio l’esigenza di soddisfare le attese degli stakeholders

3 O. Luchini, Le istituzioni pubbliche di beneficenza nella legislazione italiana, G. BarberaEditore, Firenze 1894.

4 Per un approfondimento si veda Bruni G., Il bilancio di missione delle aziende non profitin “Rivista Italiana di ragioneria e di economia aziendale”, maggio-giugno 1997, Chiesi A.- Martinelli A .- Pellegatta M., Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale diimpresa, Il sole 24 Ore, Milano 2001; Garelli R. La rendicontazione sociale: il bilanciosociale in A.A.V.V. Impresa sociale: verso un frutto possibile, De Ferrari, Genova 2003;Hinna L. Il Bilancio sociale, Il Sole 24 ore, Milano 2002.

5 A. Propersi, Il sistema di rendicontazione degli enti non profit, Dal bilancio di esercizioal bilancio sociale, Vita e Pensiero, Milano, 2004

15

La legittimazionedegli enti non profit non derivapiù solo dalriconoscimentopubblico dellafunzione chesvolgono, quantodalla loro capacità di realizzare la propria “mission”

‘‘

’’14

In cattedradossier ottobre 2010

a cui i dati di bilancio non forniscono le informazioni adeguate,che spinge a valutare l’importanza di un simile documento.

L’impiego del bilancio sociale può rispondere a una serie discopi così sintetizzabili:1. il bilancio sociale come leva di comunicazione. In questo ca-

so tale documento è impiegato come un tipico strumento dimarketing, in quanto, evidenziando un’immagine positiva del-l’ente, si attendono ritorni economici indiretti. Il rischio prin-cipale è quello di adottare il bilancio sociale senza procederea un reale cambiamento;

2. il bilancio sociale come leva organizzativa. Si tratta di unamodalità orientata al potenziamento, e miglioramento, dellacultura aziendale, nonché alla valutazione dei risultati rag-giunti nei confronti di alcuni stakeholders che possono in-fluire sull’andamento competitivo dell’azienda;

3. il bilancio sociale come documento per la misurazione del va-lore globale dell’azienda, nonché base dell’elaborazione del-la strategia sociale. È questo, l’utilizzo più consono attribuibileal bilancio, ma allo stesso tempo difficile in quanto occorremisurare in termini quantitativi l’efficienza sociale, attraver-so l’aggiunta di proventi e oneri, attività e passività che espri-mono le esternalità nonché fornire tutta una serie di informa-zioni riguardanti l’effetto indotto che l’attività producenell’ambiente (maggiore occupazione, iniziative a sostegnodel territorio locale, miglioramento delle condizioni socio-economiche dei cittadini ecc..), tutte quantità non oggettiva-mente e sicuramente determinabili.

Gli enti non profit per poter redigere un bilancio sociale devono di-sporre di un sistema informativo utile sia ad orientare le scelte ge-stionali sia a verificare il perseguimento delle finalità sociali.

Il settore non profit, tuttavia, presenta alcune peculiarità cheinfluiscono sulla configurazione del sistema informativo, quali:

˜ la necessità di individuare specifici parametri per il control-lo dei risultati di carattere sociale;

˜ la coincidenza temporale tra la fase di creazione e quella di di-stribuzione della ricchezza;

˜ l’assenza di un prezzo del bene/servizio fornito (anche lad-dove c’è un prezzo esso non esprime il risultato economico

della gestione poiché ha implicazioni sociali).La legislazione civilistica e soprattutto fiscale impone ancheagli enti senza fini di lucro la redazione di bilanci o rendicon-ti che informino sulla situazione economica, finanziaria e pa-trimoniale ed anche in assenza di obblighi legislativi, è ormaidiffusa la prassi, soprattutto tra gli enti di maggiori dimensio-ni, di redigere il bilancio di esercizio. Ma è il passaggio dal-l’informativa economica-finanziaria-patrimoniale a quella chedia conto dei risultati sociali ed economici raggiunti che gli en-ti devono compiere, al fine di dare un quadro completo delledinamiche gestionali loro proprie.

Il sistema informativo aziendale negli enti deve, quindi,strutturarsi in modo tale da consentire l’acquisizione di tuttequelle informazioni necessarie a rappresentare, innanzitutto,il perseguimento dello scopo ideale dell’ente. I destinatari del-le informazioni (sia interni che esterni) devono, infatti, poter ri-cavare elementi sufficienti per giudicare la gestione sociale nonsolo economica. La collettività mette, infatti, a disposizione ri-sorse per premiare non l’efficienza ma l’efficacia ossia la capa-cità di offrire un servizio volto a migliorare le condizioni diesistenza di determinati soggetti.

Un ente deve, pertanto, costruire il proprio sistema informati-vo avendo ben presente quali sono gli interlocutori dell’azienda,cosa si aspettano da essa e, attraverso quali strumenti cercheran-no di influenzarne la gestione. È fondamentale per una correttarendicontazione sociale avere una visione chiara di quelli che so-no gli stakeholder in modo tale dastrutturare un bilancio sociale che siaconforme alle aspettative e alle esi-genza informative degli stessi. Soltan-to l’attenzione rivolta verso i differen-ti destinatari della comunicazioneconsentirà all’ente di elaborare la pro-pria rendicontazione sociale in mododa raggiungere tutti gli interessati.

Premesso che ogni ente, quindi, de-ve svolgere un’accurata analisi dei pro-pri interlocutori, la cui individuazione

Il sistemainformativo degli enti devestrutturarsi in modotale da consentirel’acquisizione delle informazioniutili a rappresentareil perseguimentodello scopo ideale

‘‘

’’1716

condividendo tale assunto, non si è limitato ad assoggettare leimprese sociali ad obblighi informativi ma ha anche provvedutoa qualificarli, integrandoli, in considerazione della specifica na-tura non profit di tali imprese. Analogamente con riferimento al-le cooperative sociali anche i legislatori regionali (Friuli, Lom-bardia) hanno introdotto l’obbligo di redazione del bilanciosociale sebbene assegnandogli, finalità differenti nelle singole Re-gioni (condizione per l’accesso agli incentivi o per la stipula dicontratti con il sistema pubblico o, ancora, per il mantenimentodell’iscrizione all’Albo delle cooperative), così come diverse so-no le indicazioni in merito ai criteri di redazione ed ai contenu-ti informativi del bilancio sociale.

Quanto sopra evidenzia che l’intervento legislativo sul bilan-cio sociale è limitato a poche categorie di organizzazioni non pro-fit, oltre che frammentato e disomogeneo sul piano dei contenu-ti. Si noti, inoltre, che il settore non profit non ha trovatoriferimenti univoci neanche nelle linee guida di rendicontazionesociale più accreditate a livello nazionale (documento del GBS –Gruppo di studio per il Bilancio Sociale) e internazionale (LineeGuida della GRI – Global Reporting Initiative), che - a partire dal2001 - sono state definite con riferimento alle realtà profit per in-dividuare standard utili ai fini della rendicontazione sociale subase volontaria. Solo in tempi molto recenti è stato adottato daGRI un protocollo specifico per le organizzazioni non profit.

In questo contesto si è assistito in Italia ad una progressiva pro-liferazione di bilanci sociali slegati da qualsiasi linea guida, non-ché di modelli di rendicontazione sociale “self made” proposti dasingole realtà o da categorie di orga-nizzazioni non profit, non sempre pie-namente efficaci e a volte molto di-stanti dai principi e dai criteri piùaccreditati proposti dal GBS e dal GRIcon ciò generando una grande confu-sione sulle finalità del bilancio socia-le - spesso usato come strumento dicomunicazione autoreferenziale, anzi-ché come strumento di rendicontazio-ne - ed un diffuso scetticismo sulla sua

dossier ottobre 2010

18

è quasi sempre strettamente influenzata dalle caratteristiche del sin-golo ente, dalla sua storia e dal suo rapporto con l’ambiente circo-stante, si possono individuare alcuni interlocutori tipici degli enti.

Si possono così distinguere gli stakeholder interni (ammini-stratori, soci, prestatori d’opera, e volontari) da quelli esterni, a lo-ro volta distinguibili in diretti (committenti pubblici, sostenitori,sovventori o donatori, fruitori, finanziatori, fornitori) e indiretti(comunità di riferimento, reti non profit e altri enti, sindacato deilavoratori, ambiente, collettività e Stato).

Una volta identificati i destinatari del bilancio sociale occor-re ora entrare nel merito del suo contenuto tenendo conto che alriguardo non esistano regole codificate o generalmente accettate.

A tale scopo, un punto di riferimento importante è rappre-sentato dalle “Linee guida per la redazione del bilancio socialedelle organizzazioni non profit”, adottate dall’Agenzia per le On-lus con delibera n. 418 del 12 novembre 2009.

3. Il contenuto del bilancio sociale: le linee guida dell’Agenzia per le OnlusPrima di entrare nel merito del contenuto dell’atto di indirizzodell’Agenzia per le Onlus si ritiene utile inquadrare brevementeil contesto normativo e di prassi nel quale si è inserita l’iniziati-va dell’Agenzia.

L’obbligo normativo di redigere il bilancio sociale è stato in-trodotto per la prima volta6 dal Legislatore con riferimento al-l’impresa sociale (D.lgs. 155 del 24 marzo 2006 e D.M. 24 genna-io 2008). Con tale provvedimento si è riconosciuto sul pianolegislativo un principio importante (già da tempo evidenziato dal-la dottrina come rilevato nel precedente paragrafo) ovvero cheper le organizzazioni non profit la rendicontazione economico-patrimoniale non si rivela sufficiente per fornire ai terzi un’in-formativa completa ed esaustiva e, quindi, deve essere integratacon una rendicontazione di natura sociale. Il legislatore, dunque,

In cattedra

6 L’unica eccezione era costituita in passato dalle previsioni dettate dal Decreto Legislativon. 153 del 17.5.1999; il provvedimento, peraltro, non impone la redazione di un vero eproprio bilancio sociale, bensì obbliga le Fondazioni bancarie a redigere un più circoscritto“bilancio di missione”, inteso come sezione specifica della relazione sulla gestione edaggiuntiva rispetto alla sezione dedicata agli aspetti economico-finanziari, da allegare albilancio di esercizio.

C’è una proliferazionedi rendicontazionisociali “self made”non sempre efficaci edistanti dai criteri piùaccreditati. Questo hagenerato confusione sulle finalità di talestrumento

‘‘

’’ 19

dossier ottobre 2010

utilità ai fini della valutazione esterna. In ragione di quanto so-pra, l’Agenzia per le Onlus, in attuazione dei poteri di indirizzoad essa attribuiti dal D.P.C.M. 21 marzo 2001 n. 329, ha emanatoun documento in tema di bilancio sociale7 “linee guida per la re-dazione del bilancio sociale degli enti non profit” che fornisce alterzo settore uno schema specifico ed uniforme per la pluralità ditipologie di organizzazioni non profit in esso comprese. Si trattadi un modello raccomandato ma non vincolante, di cui gli entiche intendono “dare conto” del proprio agire ai vari portatorid’interesse, possono avvalersi.

Con questo documento l’Agenzia ha voluto sollecitare l’orien-tamento allo sviluppo di una rendicontazione sociale, più con-sona ai fini della rappresentazione delle modalità di persegui-mento della missione e della capacità di rispondere ai bisognied alle istanze della società civile, che consente alle organizza-zioni non profit di acquisire una crescente consapevolezza delproprio ruolo, del grado di efficacia delle proprie attività e del-le azioni correttive che, nel tempo, possono rendersi necessariein considerazione delle condizioni interne ed esterne alla strut-tura. Letto in questa ottica, il processo di rendicontazione chealimenta il bilancio sociale può contribuire al miglioramento del-la capacità di pianificazione, gestione e controllo delle attività subasi “informate”, nonché allo sviluppo di una “gestione perobiettivi” più attenta alle esigenze della pluralità degli interlo-cutori dell’organizzazione non profit (i cosiddetti stakeholder)e, in ultima istanza, ad una crescita professionale ed operativa

del terzo settore, a vantaggio dell’in-tera società8.

Il Bilancio Sociale, redatto secondole Linee Guida adottate dall’Agenzia:a. consente agli enti non profit direndere conto ai propri stakehol-ders del grado di perseguimentodella missione e, in una prospettivapiù generale, delle responsabilità,degli impegni assunti, dei compor-tamenti e soprattutto dei risultatiprodotti nel tempo;

In cattedra

21

b. costituisce un documento informativo importante che per-mette ai terzi di acquisire elementi utili ai fini della valuta-zione delle strategie, degli impegni e dei risultati generatidall’Organizzazione nel tempo;

c. favorisce lo sviluppo, all’interno dell’ente, di processi direndicontazione e di valutazione e controllo dei risultati,che possono contribuire ad una gestione più efficace e coe-rente con i valori e la missione.

Per questa ragione l’indice del Bilancio sociale proposto è ar-ticolato in modo da evidenziare le motivazioni, gli obiettivi el’approccio seguito dall’organizzazione non profit nel proces-so di rendicontazione sociale; le caratteristiche dell’organizza-zione non profit, ovvero chi e, quali obiettivi si propone di per-seguire e quale forma giuridica e modello organizzativo hascelto per operare; le attività che l’organizzazione non profitha sviluppato per raggiungere i propri obiettivi ed i risultati ge-nerati dalla propria gestione nel periodo di rendicontazionenonché da ultimo il feedback dei lettori e gli obiettivi futuriche l’organizzazione si propone di perseguire al termine delperiodo di rendicontazione.

4. ConclusioniGli enti non profit hanno caratteri gestionali propri che li ren-dono molto diversi rispetto alle imprese. In particolare la mis-sione ideale, non finalizzata alla massimizzazione di risultatieconomici, bensì all’attuazione al meglio degli obiettivi idealistabiliti nelle tavole di fondazione dell’ente, caratterizza tuttala struttura organizzativa aziendale e impone l’utilizzo di stru-menti di comunicazione dei risultati differenti rispetto alle im-prese commerciali.

Le finalità ideali, perseguite da una struttura organizzata nonsussumibile a quella delle imprese, implicano la necessità di ga-rantire informazioni sull’attività svolta, che rispondano alle esi-

7 Il documentotto di indirizzo è stato adottato dal Consiglio dell’Agenzia per le Onlus èconsultabile anche sul sito www.agenziaperleonlus.it.

8 A. Propersi e C. Schena, Le “Linee Guida per la redazione del Bilancio Sociale delleOrganizzazioni Non Profit” dell’Agenzia per le ONLUS, in Riv. Terzo Settore n. 5/2010, Ilsole 24ore.

Il processo di rendicontazioneche alimenta il bilancio socialepuò contribuire al miglioramentodella pianificazione,gestione e controllodelle attività delle associazioni

‘‘

’’20

dossier ottobre 2010

genze degli enti, con il fine precipuo di creare fiducia e consensonella comunità di riferimento, che è destinataria dell’attività espesso conferente dei necessari “fattori produttivi” (lavoro volon-tario, contributi pubblici, erogazioni liberali).

Data la natura particolare delle attività svolte, consistenti ge-neralmente nello svolgimento di servizi secondo modelli chenon hanno sempre l’obiettivo di realizzare corrispettivi adegua-ti ai consumi di risorse, è necessario costruire un’informazionespecifica per ciascun ente e non solo attinente ai dati economi-co-patrimoniali. Non è, quindi, sufficiente costruire il bilancio diesercizio ma occorre integrare le informazioni di tale strumentocomunicativo con altri dati, notizie e indicatori specifici.

Ecco, quindi, la ragione di attivare un particolare sistemainformativo negli enti senza fini di lucro, che consenta di ren-dere edotti tutti gli interessi convergenti sui dati economici pa-trimoniali e finanziari oltre che su quelli relativi al persegui-mento al meglio della missione ideale propria dell’ente stesso.

In sostanza, il bilancio sociale, con l’evolversi del sistemasociale e lo sviluppo del terzo settore diventa lo strumento ne-cessario per consentire l’esistenza stessa degli enti e il loro svi-luppo sul particolare mercato sociale ove essi operano.

È per rispondere a questa esigenza che l’Agenzia per le Onlusha ritenuto utile fornire indicazio-ni essenziali per garantire la massi-ma trasparenza e completezza delleinformazioni ed anche per rendereuniformi e comparabili le informa-zioni nello spazio e nel tempo.

Il successo dell’iniziativa pro-mossa dall’Agenzia per le Onlussarà certamente determinato dal-la sensibilità del terzo settore altema della trasparenza informati-va e dalla percezione dell’impor-tanza della pubblicazione perio-dica del bilancio sociale da partedi un numero crescente di orga-nizzazioni non profit.

23

Adriano PropersiIl sistema di rendicontazionenegli enti non profit.Dal bilancio d'esercizioal bilancio di missioneVita e Pensiero, 2004

Manni FrancescoResponsabilità socialee informazione esternad'impresa. Problemi,esperienza e prospettivedel Bilancio socialeGiappichelli, 1998

M. RivaOpere pie ed altri istitutipubblici minori. Loescher, Roma 1887

webwww.agenziaperleonlus.it

GRANDANGOLO

22

SCRIVEVA PIÙ DI UN DECENNIO FA Luciano Tavazza, uno dei padrifondatori del Volontariato italiano, nell’articolo1 “Trasparen-za necessaria”: «Non esiste ancora chiarezza presso la gente

né sul modo con cui gestiamo denaro, pubblico e privato, né sullefinalità, gli obiettivi strategici che vogliamo conseguire (..) Non ba-sta dire che il volontariato esiste, fa, opera: a tutti deve essere chia-ro anzitutto da dove parte, con che mezzi, con quali finalità (..)Chiarezza vuol dire limpidità e soprattutto trasparenza. Dobbiamoconsentire agli altri di guardare dentro le nostre associazioni, di ca-

pire aspetti di forza e di fragilità (..)Non è solo un problema tecnologico dicomunicazione, ma piuttosto di deci-dere di porre la gente nelle condizionidi sapere quello che fa il volontariato,di fidarsi di coloro che operano corret-

Una “famiglia” di strumentiper relazioni di fiducia con istituzioni e stakeholder

Parola all’esperto

Trucchi e segreti per rendicontare con trasparenzaed efficacia.Un’accountability ad hoc è un balzo inavanti nella gestionedell’associazione

di Giovanni Stiz Consulente società Seneca

1 Pubblicato su Rivista del Volontariato, novembre1999.

Parola all’espertodossier ottobre 2010

25

tamente (..) Si tratta anzitutto di un’operazione culturale, di unaconquista di democrazia (..) Dall’assumere una simile decisione dimoltiplicare la trasparenza, di rendere tutto visibile a tutti non po-tremo che guadagnarne in prestigio e credibilità. Ma impegniamo-ci subito su questa linea che può diventare una delle sorgenti di unnuovo impegno etico per noi, il modo di comunicare l’avventuradel volontariato a chi ancora oggi sta ai margini, in attesa di vedere,di capire, di comprendere la nostra strada».

Da allora l’esigenza di trasparenza è diventata sempre più forte perle organizzazioni non profit, anche a fronte di un certo indeboli-mento della funzione di advocacy e di innovazione a favore dellaproduzione di beni e servizi di committenza pubblica, dell’intro-duzione di significative forme di finanziamento quali il cinque permille, della diffusione di situazioni di abuso per godere delle age-volazioni fiscali e dei finanziamenti riservati a tali organizzazioni.

Strumento principe – anche se certamente non esclusivo – ditrasparenza per ogni tipo di organizzazione è dato dal bilancio, in-teso come insieme coordinato di documenti volto a rendicontare atutti i soggetti interessati, in modo chiaro, sintetico, attendibile, sul-l’andamento ed i risultati dell’organizzazione.

In questi anni, grazie alle esperienze pionieristiche di nume-rose organizzazioni e al contributo del mondo della ricerca e del-le professioni, si sono progressivamente delineate, precisate econdivise le principali caratteristiche di un “sistema di bilancio”coerente con la specifica identità delle organizzazioni non profit

e con le esigenze informative dei loro“portatori di interessi, diritti ed aspet-tative legittime” (con terminologia an-glosassone, gli stakeholder).

L’Agenzia per le Onlus ha cercatodi fornire un quadro organico e com-pleto di tale sistema pubblicando, nel2008 e nel 2010, due documenti di in-dirizzo al riguardo2, che prendono inesame entrambe le “dimensioni” chesi ritiene debbano essere adeguata-mente rendicontate da un’organizza-

24

zione non profit: la dimensione economica e la dimensione so-ciale, quest’ultima relativa in particolare al perseguimento dellamissione dell’organizzazione.

Non si può certo dire che con questi documenti le discussioni sisiano chiuse e tutti i problemi risolti. Esistono ancora numerosequestioni da approfondire, incertezze applicative, opinioni discor-danti, necessità di maggiore personalizzazione rispetto alle esigen-ze di componenti importanti del settore non profit (a partire dallepiccole organizzazioni). Tali documenti non possono quindi essereconsiderati allo stato attuale né definitivi né unici punti di riferi-mento per una corretta rendicontazione economica e sociale.

Essi sono però sufficientemente autorevoli, chiari e completi percostituire un valido aiuto e punto di riferimento per le organizza-zioni che vogliano migliorare la loro rendicontazione, sulla base diconsiderazioni di “necessità etica” – sulla scia di Luciano Tavazza- o anche di “necessità strategica”, nell’ambito di una gestione con-sapevole delle relazioni fiduciarie con gli interlocutori dell’orga-nizzazione, in particolare con quelli più interessati e capaci di va-lutare i documenti di rendicontazione (quali per esempio lefondazioni erogative). Peraltro, in una prospettiva se non di breve,almeno di medio periodo, esiste la concreta possibilità che si de-termini anche una situazione di “necessità giuridica”, derivante dal-l’introduzione di obblighi rendicontativi.

Relativamente alla rendicontazione sociale – a cui faremoesclusivo riferimento di seguito, non sviluppando il tema dellerendicontazione economica – alcuni primi interventi in questadirezione sono già stati realizzati. Per le imprese sociali3 il legi-slatore ha previsto l’obbligo di redazione del bilancio sociale, se-condo le indicazioni di uno specifico decreto4. La Regione Lom-bardia5 e la Regione Friuli Venezia-Giulia6 hanno inserito laredazione del bilancio sociale come una delle condizioni neces-sarie per l’iscrizione nell’Albo Regionale delle Cooperative So-

2 Le “Linee guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit”(2008, poi approvato, con qualche leggera modifica, come atto di indirizzo nel 2009) e le“Linee guida per la redazione del bilancio sociale delle organizzazioni non profit” (2010).

3 Introdotte nel nostro ordinamento dalla legge delega n. 118/2005 e disciplinate dal relativoD.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 e successivi decreti attuativi.

4 Il decreto è stato emanato il 24 gennaio 2008 dal Ministero della Solidarietà Sociale.5 Con delibera della Giunta del 10 ottobre 2007.6 Con la L. R. 26 ottobre 2006, n. 20.

Negli ultimi annisono state definite le principalicaratteristiche di un “sistema di bilancio” coerentecon le specificheidentità delle orgnizzazioninon profit

‘‘

’’

sovrastimate le risorse necessarie e le difficoltà, anche in ragionedel fatto che si prende come riferimento lo strumento più evolutodi rendicontazione sociale (il bilancio sociale). L’organizzazione ri-mane così in una situazione di attesa – che in molti casi permanenel tempo - che si creino tutte le condizioni ritenute essenziali. Nelcaso opposto si ha invece una sottovalutazione delle risorse ne-cessarie e delle difficoltà, con effetti negativi sull’efficacia del pro-cesso che possono portare alla stessa interruzione dell’esperienza.

L’approccio che mi sembra più corretto e lungimirante è di con-siderare la rendicontazione sociale come una “necessità” a cuinon è più possibile – o comunque non è più opportuno – sot-trarsi, la cui realizzazione può costituire una significativa oppor-tunità per l’organizzazione, a condizione però che essa sia ogget-to di una gestione consapevole che:

˜ focalizzi i principali benefici attesi, esplicitando le caratteri-stiche necessarie in tal senso sia del documento sia del pro-cesso di elaborazione e comunicazione;

˜ effettui una realistica analisi delle difficoltà, nel caso ridefi-nendo in termini più realistici le aspettative precedentemen-te identificate;

˜ scelga di conseguenza lo strumento di rendicontazione socia-le più idoneo;

˜ garantisca continuità al processo di rendicontazione, ponen-dosi in una prospettiva di miglioramento continuo.

Questa scelta di criterio si basa sullaconsiderazione che esiste una “fami-glia” di strumenti di rendicontazionesociale volti a rappresentare operato erisultati complessivi di un esercizio,che possono essere visti (in una pro-spettiva dinamica) come tappe suc-cessive di un possibile (ma non stret-tamente necessario per tutte le realtàorganizzative) processo di sviluppo. Una classificazione che si propone èillustrata nella tabella seguente:

Parola all’espertodossier ottobre 2010

2726

ciali (in assenza della quale una cooperativa sociale non può sti-pulare convenzioni con gli enti pubblici e godere dei benefici fi-scali previsti dalla normativa regionale).

Dato questo scenario in che prospettiva dovrebbe porsi un’orga-nizzazione non profit? Quale approccio adottare? Quali rischi evi-tare? Quali opportunità cogliere?

Due elementi che concorrono in modo fondamentale a deter-minare l’approccio di un’organizzazione verso la rendicontazionesociale sono relativi alla valutazione, da un lato, della sua utilità(“benefici”), dall’altro, delle risorse necessarie (“costi”), delle diffi-coltà da affrontare, della sussistenza delle condizioni ritenute indi-spensabili per poter realizzare il processo.

Rispetto al primo elemento di valutazione, una posizione tut-tora significativamente diffusa è di considerare aprioristicamen-te la rendicontazione sociale come un ulteriore inutile peso dicui un’organizzazione deve farsi carico, il cui unico effetto è di di-strarre preziose risorse umane e finanziarie dalle attività svolteper perseguire la missione. In questa prospettiva il documento direndicontazione sociale viene visto alla stregua di un modulo dacompilare, un adempimento burocratico, per il quale bisogna cer-care di ridurre al minimo l’impegno necessario, in particolare deivertici dell’organizzazione. Viene così a configurarsi una “profe-zia che si autoavvera”: un lavoro così realizzato risulta sostan-zialmente inutile, se non per adempiere ad eventuali obblighinormativi. L’approccio esattamente opposto – spesso veicolato daconsulenti “in conflitto di interessi” - consiste nell’attribuire al-la rendicontazione sociale poteri quasi taumaturgici, in grado dirisolvere problemi di varia natura e di aprire opportunità straor-dinarie ad un’organizzazione7. In tal caso è facile prevedere co-centi delusioni e la conseguente interruzione del processo di ren-dicontazione (o il passaggio all’”approccio burocratico” primadelineato, in caso di obbligo normativo).

Anche rispetto al secondo elemento di valutazione, si riscon-trano spesso posizioni opposte ed ‘estreme’. In un caso vengono

Occorre focalizzare i benefici, analizzare ledifficoltà, garantireuna continuità dellarendicontazione e scegliere lostrumento piùidoneo per il proprioobiettivo

‘‘

’’7 Si veda per esempio quanto scritto nell’home page del sito www.bilanciosociale.it: “Il

Bilancio Sociale è uno strumento straordinario, rappresenta infatti la certificazione di unprofilo etico, l'elemento che legittima il ruolo di un soggetto, non solo in termini strutturalima soprattutto morali, agli occhi della comunità di riferimento”.

Tale classificazione si fonda innanzitutto sulla identificazione di dueambiti fondamentali di rendicontazione sociale per una organizzazio-ne non profit: quello relativo al perseguimento della missione istitu-zionale dell’organizzazione (e quindi degli obiettivi strategici in cui que-sta viene declinata), corrispondente agli interessi e aspettative dispecifiche classi di stakeholder, e quello (che contiene il precedente)

che si riferisce a tutti gli aspetti e questio-ni rilevanti per tutti gli stakeholder del-l’organizzazione . Per esempio la rendi-contazione sul comportamento in ambitoambientale (energia, trasporti, rifiuti, ecc.)di un’organizzazione in linea generalenon viene effettuata nel primo caso, men-tre deve esserlo nel secondo caso.

Ciascuno dei due scopi informativipuò essere perseguito a livelli crescentidi completezza e qualità.

Rispetto al perseguimento della mis-

sione si passa così da un “rapporto di attività” a una “relazione dimissione” (le cui caratteristiche sono precisate nelle linee guida sul-la redazione del bilancio di esercizio dell’Agenzia per le Onlus citatein nota 2), fino al “bilancio di missione” (per il quale si può fare rife-rimento al documento di CSVnet citato nella nota 8). Rispetto alla piùampia prospettiva di rendicontazione sociale si passa invece dalla“relazione sociale” al “bilancio sociale”, che costituisce lo strumentopiù complesso ed impegnativo (oggetto di numerose linee guida, inparticolare di quelle dell’Agenzia per le Onlus citate in nota 2).

Un’organizzazione dovrebbe quindi individuare lo strumento piùidoneo, tenendo conto da un lato delle risorse - umane, finanziarie,informative - disponibili, dall’altro dei benefici che ritiene di poterottenere , avviando un processo di miglioramento continuo che con-senta di consolidare ed affinare lo strumento o, se giudicato oppor-tuno, di “passare” ad uno strumento più evoluto.

Una delle difficoltà principali che molto spesso le organizza-zioni non profit si trovano a dover affrontare in una fase iniziale del-la rendicontazione è data dalla mancanza di un adeguato sistema dirilevazione ed elaborazione dei dati, che li renda disponibili in mo-do efficiente e tempestivo e ne garantisca la qualità. In tal caso larealizzazione del documento di rendicontazione sociale costituiscela “spinta” e fornisce gli indirizzi per la progressiva creazione di ta-le sistema, i cui vantaggi vanno ben oltre le pure esigenze di rendi-contazione. In altri termini è lo stesso processo di rendicontazioneche crea le condizioni per un suo ulteriore sviluppo, e nel far que-sto determina un miglioramento di ordine più generale.

Queste considerazioni aprono il te-ma dei benefici che la rendicontazionesociale può determinare, benefici che,se non “straordinari”, possono comun-que essere significativi e che in molticasi riguardano principalmente propriola capacità di governo e gestione del-l’organizzazione.

Il processo di rendicontazione puòcostituire infatti, se gestito con modali-tà partecipate e aperte alla discussione eal cambiamento, un’occasione fonda-

Parola all’espertodossier ottobre 2010

Ambito precedente, esteso a tuttele ulteriori questioni rilevanti pergli stakeholder ell’organizzazione(prospettiva ampia diresponsabilità sociale)

Relazione sociale

Bilancio sociale

MISSIONE E OBIETTIVI

LIVELLI CRESCENTI DI:

capacità di esprimere il ‘senso dell’azione’, ovvero la connessione tra missione,bisogni individuati, obiettivi e strategie, risorse utilizzate, attività svolte, risultatiottenuti

individuazione e misurazione di aspetti cruciali di performance che vadano oltreun approccio solo descrittivo (anche se supportato da dati quantitativi)

completezza informativa

comparabilità spaziale e temporale

coinvolgimento degli stakeholder interni ed esterni

……

AMBITO DI RENDICONTAZIONE STRUMENTO DI RENDICONTAZIONE

Perseguimento della missione Rapporto Relazione Bilancioe degli obiettivi strategici di attività di missione di missione

Il processo di rendicontazionepuò costituireun’occasionefondamentale per interrogarsi sulla propria identitàe sui propri valoriche diventano agire concreto

‘‘

’’

Una delle principalidifficoltà che le organizzazionisi trovano ad affrontare è la mancanza di un adeguatosistema di rilevazione dei dati

‘‘

’’28 29

dossier ottobre 2010

3130

mentale per interrogarsi sistematicamente sulla propria identità, in-dagare se e come lo scopo ed i valori dichiarati diventano agire con-creto, cercare modi per valutare la coerenza con la propria missioneed i risultati determinati, stimolare – come si è detto sopra – ed orien-tare lo sviluppo di altri strumenti di governo e gestione. In partico-lare, per molte organizzazioni che stanno vivendo una fase di tra-sformazione, tutto ciò può assumere un ruolo importante per evitarefenomeni di “scostamento dalla missione”, equilibrando la dimen-sione imprenditoriale con quello sociale e valoriale, o, meglio, svol-gendo una funzione di integrazione tra le varie dimensioni della ge-stione e tra i vari strumenti utilizzati. A ciò si aggiungono i potenzialibenefici legati alla comunicazione del documento di rendicontazio-ne ai vari interlocutori interessati alla valutazione delle attività svol-te e dei risultati conseguiti da un’organizzazione. Anche in questoambito i benefici non devono però essere dati per scontati e devonoessere oggetto di specifica attenzione, tenendo conto delle diversemodalità di approccio degli stakeholder ad un simile documento ecercando di conseguenza di favorirne l’effettivo utilizzo.

In conclusione, sembra che stia avvenendo il passaggio da unperiodo pionieristico della rendicontazione sociale delle orga-nizzazioni non profit, caratterizzato da poche esperienze volon-tarie tra loro fortemente disomogenee, ad un periodo di più largadiffusione, sostenuto da riferimen-ti sufficientemente stabili e ricono-sciuti – anche se non definitivi - eda una sempre maggiore importan-za attribuita alla trasparenza, chepotrà portare anche alla creazionedi obblighi normativi. La questionecruciale per il mondo non profit èdi acquisire consapevolezza del ri-lievo etico e della valenza strategi-ca della trasparenza e della rendi-contazione sociale, evitando diadottare approcci burocratici o diattesa, ma assumendo l’iniziativain modo da garantirne utilità e so-stenibilità.

G.Ecchia, G. Marangoni, L. ZarriIl bilancio sociale e dimissione per le organizzazioninon profitFranco Angeli, 2005

Davide Maggi Il bilancio di missionedelle aziende non profit Giuffrè, 2008

L. Fazzi, G. Giorgetti Il bilancio sociale per leorganizzazioni non profit Guerini e Associati, 2005

Donatella Bruno, Maurizio SartiRendicontazione epartecipazione sociale:dal bilancio sociale al bilanciopartecipativo Franco Angeli, 2009

GRANDANGOLOMI È CAPITATO DI LEGGERE un articolo su alcune esperienze

significative statunitensi avviate a New York, e inizial-mente realizzate a Indianapolis, da Steven Goldsmith in

merito alla partecipazione attiva della cittadinanza alle politichesociali di natura pubblica e realizzate anche con finanziamentiprivati. L’articolo ovviamente era contornato di dati e informazio-ni circa l’iniziativa: fondi, numero cittadini coinvolti, il privatosociale e i progetti attivati, gli indicatori di successo dell’iniziati-va. Nessuna novità, una grande novità.

Ciò che ha colto la mia attenzionenella lettura dell’articolo, non è statotanto quanto ciò che è riportato rap-presenti per gli Stati Uniti un possibi-le cambiamento epocale nel sistemadi welfare sin qui adottato, e che purporta con sè degli elementi di rifles-sione e innovazione, se poi assunti dalpiù grande motore economico mon-

Le associazioni a scuola Studiano per diplomarsiin competenza ed efficienza

L’esperienza

di Francesco Aurisicchio, Centro studi coordinamentoregionale CSV Lombardia

Acli, Agesci, Arci,Auser e Ciessevihanno organizzatoper il Terzo settoredue cicli di seminariformativi ponendo al centro il dibattitosull’accountability

L’esperienza

33

dossier ottobre 2010

32

diale, quanto la capacità di chiarezza dei dati e delle informazio-ni forniti e messi in evidenza. È stata la capacità di aver quantifi-cato e reso in dati “non discutibili”, il problema su cui sono in-tervenuti, il processo (relazioni attivate, coinvolgimento delpubblico e del privato, finanziamenti raccolti), le risorse impie-gate (risorse umane ed economiche coinvolte), i risultati sociali ela ricaduta economica sulla società: elementi chiari, oggettivi, di-retti, inequivocabili, immediatezza e coerenza tra progetto e ri-sultato. Il tutto in mezza pagina di giornale.

Il 2009, in Italia, è stato un anno particolare per il mondo delTerzo settore, ed in particolare per quello associativo. Il Governo,nella lotta contro la crisi economica, ha deciso, tra le varie misure,di promuovere un provvedimento rivolto a tutto il mondo associa-tivo italiano. Tale atto ha introdotto l’assolvimento di un modello di-chiarativo (denominato EAS) “conditio sine qua non” per la per-manenza dello status di ente non commerciale con una ricadutaanche per le attività esercitate negli anni precedenti. Non entro nelmerito del provvedimento, mi soffermo su alcuni processi che si so-no sviluppati. Il contenuto del modello, la rilevanza di alcune do-mande, le modalità con le quali sono state avanzate, la tempisticaentro la quale era necessaria la consegna, hanno rappresentato l'oc-casione per attivare processi di supporto da una parte e innescatopercorsi di riflessione dall'altra tra le associazioni e tra queste e ilmondo istituzionale rispetto alle richieste avanzate, tramite il mo-dello, da parte dell'Agenzia delle Entrate.

In Lombardia, nello specifico, è stata creata una rete di suppor-to tra alcune delle più autorevoli centrali associative regionali, qua-li ACLI, AGESCI, ARCI, AUSER, e i Centri di Servizio per il Volon-tariato lombardi per far fronte alla rilevante domanda espressa dalleassociazioni della regione: oltre 220 sportelli attivati per risponde-re a 15.000 enti associativi in 45 giorni. Non solo: tali azioni sono sta-te strutturate e definite tramite la sottoscrizione di un apposito ac-cordo mettendo in luce la necessità di andare oltre l'urgenza impostadall'evento e avviare altre azioni volte a rafforzare tutti quegli ele-menti che il Modello EAS richiama nella sua compilazione e che so-no oggetto di controllo rispetto all'agire associativo quotidiano.

Per questo nel giugno di quest'anno dai sottoscrittori dell'accor-do sono stati proposti e realizzati due momenti formativi e semina-

riali che hanno posto al centro del dibattito l'accountability (è uti-lizzato tale termine in quanto si avvicina con più completezza alconcetto del “dovere di rendere conto” e quindi è da intendersi insenso ampio non solo in merito agli esiti economici e finanziari maanche agli esiti sociali e culturali delle attività di una associazione).

I seminari hanno rappresentato indubbiamente un momento im-portante per rafforzare competenze e capacità di analisi e di con-fronto delle situazioni e realtà del mondo eterogeneo del Terzo set-tore, ma soprattutto è stato un momento importante di elaborazionedelle associazioni sugli elementi di accountability: riflessioni, pen-sieri, difficoltà di applicazione partendo soprattutto dalle propostesino ad oggi elaborate e sviluppate in Italia da diversi interlocutoriistituzionali e non, ma anche desideri, volontà, trasparenza.

La ricetta per sconfiggere le debolezze del non profitNel dibattito complessivo sono emerse considerazioni riconduci-bili a diversi aspetti quali: la consapevolezza, le proposte in esse-re, le competenze, le criticità.

Consapevolezza. Il principale aspetto rappresenta la necessitàdi stimolare il Terzo settore, e segnatamente le esperienze di tipoassociativo, a una maggiore attenzione al tema dell'accountability,ma soprattutto una consapevolezza del suo ruolo rispetto alle di-verse relazioni istituzionali nella definizione di strumenti di ren-dicontazione. All'interno del medesimo settore è forte la richiestadi trovare strumenti che mettano in rilievo la capacità di incisio-ne e di contributo in termini di impatto sociale ed economico chele azioni dei diversi soggetti sociali ri-versano sulla comunità nel suo com-plesso. Ora più che mai la mancanzadi strumenti formalmente riconosciu-ti, atti a rappresentare nei modi e nel-le forme idonee quanto “prodotto” daquesto settore, mette in luce la debo-lezza intrinseca del sistema. È una de-bolezza che però si riversa nei con-fronti della comunità e della pubblicaamministrazione, determinando cosìun'immagine confusa e aleatoria da

Nel Terzo settore è sempre più forte la richiesta di trovare strumentiche mettano in rilievo l’impattosociale ed economicodelle azioni svoltedalle associazioni di volontariato

‘‘

’’

L’esperienza

35

dossier ottobre 2010

34

parte di chi si rapporta con questo mondo. La necessità di una ren-dicontazione sociale si pone con maggior forza nel momento incui i diversi attori, che interagiscono con il terzo settore, applica-no sistemi di misura che partono da assunti culturali non idoneialla rappresentazione del sistema (vedi Modello EAS). Come nonevidenziare, in questo senso, la strumentalità delle risorse econo-miche, la redazione del bilancio, il documento che attesta la pre-senza o meno di profitti, l'equilibrio delle risorse in entrata e inuscita rispetto al raggiungimento dei obiettivi sociali dell'organiz-zazione, come nel caso dell'esperienza americana citata all'iniziodell'articolo. Ma data la centralità della disciplina economica, co-me unico attuale strumento riconosciuto, si conferma per le real-tà di cui si sta parlando l'inconsistenza, l'intrinseca fragilità edestemporaneità del Terzo settore.

Le proposte in essere. Nel corso degli ultimi due anni da di-versi interlocutori istituzionali, quali l’Agenzia per le Onlus e ilmondo accademico, sono stati proposti strumenti quali “schemi dibilancio per gli enti non profit” relativamente alla necessità di pro-muovere regole comuni nel settore sulla rendicontazione econo-mica-finanziaria e l'atto d'indirizzo “Linee guida per la redazionedel bilancio sociale delle organizzazioni non profit” in merito allarendicontazione sociale. È importante evidenziare che l’Agenziaper le Onlus, già nella proposta degli schemi di bilancio, introdu-ce la redazione della “relazione di missione” (maggio 2008), nel-l’ottica del riconoscimento che la medesima Agenzia attribuisce alTerzo settore relativamente al dato che «i valori quantitativo-mo-

netari tipici del bilancio di esercizionon sono, infatti, sufficienti a soddi-sfare pienamente tali obiettivi informa-tivi». Questo è il preludio alle proposteche saranno avanzate due anni più tar-di (febbraio 2010), all'interno dell'attod'indirizzo in merito al bilancio socialeper gli enti non profit. È una breccia chesi è aperta e sulla quale è opportuno la-vorare per approfondire le proposteavanzate nel loro complesso. Il profes-sor Mario Molteni (Direttore di ALTIS)

nella presentazione dell'Atto d'indirizzo ha messo in luce quanto«in assenza di un apposito quadro normativo in materia, il “rende-re conto” delle proprie attività con trasparenza, fornendo informa-zioni complete e comparabili nel tempo, è infatti un evidente valo-re per il Terzo settore che, per la sua specificità, non può ricorrereagli strumenti adottati dalle comuni imprese commerciali». È il ri-conoscimento di quanto sopramenzionato relativamente alla stru-mentalità degli elementi economici e quindi «accanto ad una ade-guata illustrazione dei dati contabili, per chiarire la natura delleattività svolta dalle organizzazioni non profit, è necessario illustra-re la “missione” svolta in armonia con i rispettivi scopi statutari».

Competenze. È conseguenza diretta che le competenze in gio-co sono oggetto di verifica e di sviluppo delle organizzazioni,consci del fatto che sia opportuno salvaguardare lo spirito e la vo-cazione dei singoli per il raggiungimento della missione dellasingola organizzazione da una parte, ma nel contempo realizzar-lo con metodo proprio per le responsabilità pubbliche semprepiù forti che ricadono sul non profit a più livelli (dal locale – cit-tadini e amministrazioni locali – al regionale/nazionale attraver-so le forme di controllo o di programmazione delle politiche so-ciali). Per questo non si può prescindere dal presupposto chel'accountability rappresenti il risultato di un processo organizza-tivo e gestionale determinato e programmato quotidianamente.Quindi le proposte di schemi articolate dall'Agenzia per le Onluspongono una forte attenzione ai processi che li determinano: lacapacità dell’ente di gestire una tipologia di contabilità, la capa-cità di gestire gli aspetti amministrativi e fiscali, la capacità di ge-stire gli aspetti organizzativi connessi all’attività istituzionaledell’ente, la capacità di definire indicatori di verifica, la capacitàdi dare coerenza tra il proprio agire, le scelte esercitate e la mis-sion della propria organizzazione.

Criticità. Sono proprio questi ultimi aspetti che, se appa-rentemente risultano semplici e immediati, portano con sé lemaggiori difficoltà in termini di traduzione organizzativa e ge-stionale. Che cosa serve per dare corpo ad un processo organiz-zativo volto a sviluppare un percorso che porti alla rendiconta-zione sociale? E perchè risulta più “immediato” agire per larendicontazione economica? È evidente che l'aspetto più rile-

Gli Atti di indirizzosottolineano che accanto a un’adeguataillustrazione dei dati contabili, è necessario ancheillustrare la “missione”dell’associazione

‘‘

’’

L’esperienza

37

dossier ottobre 2010

36

vante, come abbiamo avuto modo di verificare, è la consapevo-lezza del soggetto associativo, di chi la compone e di come si dàcorpo ai valori e agli obiettivi sociali della propria organizza-zione. La rendicontazione economica è un assunto obbligatorio,porta con sé elementi di norma dal quale non è possibile pre-scindere in quanto hanno una ricaduta fiscale e di norma spe-ciale al quale bisogna rispondere (le norme speciali quali la L.266/91 e la L. 383/2000 o il D.Lgs 460/97 con diverse forme emodalità prevedono statutariamente quantomeno la redazionedel bilancio o del rendiconto se non l'approvazione assemblea-re). Anche in assenza di strumenti specifici, si fa riferimento co-munque alla dottrina societaria. Ciò si traduce in cura di taliaspetti investendo sulle figure necessarie ad adempiere agli ob-blighi normativi e statutari. La rendicontazione sociale, al con-trario, non parte da un assunto obbligatorio quanto dalla neces-sità di informare ed essere “trasparente” nella relazione con ipropri stakeholder a partire ovviamente dai propri soci: più èelevata la necessità di informare come si stanno utilizzando lerisorse più la rendicontazione sociale attiverà all'interno del-l'ente percorsi organizzativi e gestionali, simili in termini di cu-ra, alla rendicontazione contabile. Le Linee guida dell'Agenziaper le Onlus hanno il pregio di introdurre elementi specificivolti a facilitare la redazione della rendicontazione. Ma la reda-zione non è un atto singolo bensì il risultato di un processo or-ganizzativo che - a differenza della rendicontazione contabile incui le figure referenti interne o esterne all'organizzazione sonomolto precise, definite e limitate - coinvolge l'intera struttura a

partire dalla governance dell'orga-nizzazione, passando per i responsa-bili delle diverse attività. È l'interocorpo associativo che è coinvolto nelcorso dell'anno sociale alla raccoltametodica e organizzata, secondo cri-teri predefiniti dai medesimi, e i ter-minali hanno solamente la funzionedi estensori redazionali. Le modalitàdi raccolta dei dati e il coinvolgi-mento delle diverse articolazioni or-

ganizzative dell'ente sono determinanti per la qualità/veridici-tà della propria rendicontazione sociale. La cura di questo pro-cesso richiede uno sforzo organizzativo rilevante e dispendiosoin termini di energia e di risorse economiche.

Promuovere un sistema integrato fra le organizzazioniCon l'introduzione delle proposte avanzate dall'Agenzia per leOnlus sul tema della rendicontazione sociale, le organizzazioniavvertono l’opportunità di avviare un cambiamento culturale sianel settore sia nel rapporto con la pubblica amministrazione. Perquesti motivi i firmatari dell'accordo, assunti molti dei nodi cri-tici evidenziati, hanno il mandato di operare per creare le con-dizioni più idonee per lo sviluppo all'interno delle diverse orga-nizzazioni, di rafforzare la cultura della rendicontazione socialenei diversi contesti associativi e di fornire i supporti strumenta-li per rendere agevoli percorsi di rendicontazione sociale. Ognirealtà rappresenta una unicità che deve trovare modi e forme dirappresentazione nella rendicontazione. È anche una questionedi metodo. Per questo l'obiettivo è operare, da un lato, per raf-forzare competenze e capacità di analisi e di elaborazione delleassociazioni sugli elementi di ac-countability; dall'altro di promuo-vere un sistema integrato tra le me-desime organizzazioni volte araccogliere situazioni e realtà delmondo eterogeneo del Terzo setto-re. L'obiettivo è avviare un percor-so di sperimentazione che crescapasso dopo passo, in cui strumen-ti modalità e forme del “rendereconto” siano il risultato di un iti-nerario sviluppato attraverso ilcontributo diretto delle realtà as-sociative. E ancora: generare unprocesso culturale organizzativoall'interno delle associazioni inmerito alla rendicontazione conta-bile e sociale.

Paolo Venturi e Sara RagoQualità e Valore nel TerzoSettore - VIII edizione delle Giornate di BertinoroAICCON, 2009

Giulio Ecchia e Luca ZarriCapitale sociale eaccountability: il ruolo del bilancio di missione nella governancedelle organizzazioni nonprofitFacoltà di Economiadell’Università di Bologna sede di ForlìWorking Paper n. 3, 2004

Gianfranco Rusconi Il bilancio sociale. Economia,etica e responsabilitàdell'impresaEdiesse, 2006

webwww.aiccon.it

GRANDANGOLO

Le Linee guidadell’Agenzia delle Onlus hanno il grande pregio di introdurreelementi specifi per facilitare la redazione dellarendicontazione

‘‘

’’

Guzzettidossier ottobre 2010

siddetta rendicontazione sociale, che punta dritta al cuore delproblema: le organizzazioni di volontariato devono dimostrarecome siano in grado di fare delle buone cose (spesso in sostitu-zione del pubblico), con una miglior capacità relazionale, congrande empatia rispetto ai bisogni della gente e con migliori ri-sultati in termini di funzionalità.

Il Forum per il Terzo settore ha recentemente presentato unrapporto che fa lo stato dell’arte; la ricerca aveva l’obiettivo distudiare il fenomeno delle reti che operano in questo mondo, matra le altre cose ha analizzato molti aspetti e raccolto numerosidesiderata tra gli operatori; ecco, dunque, che tra le priorità e gliauspici, in testa alla classifica si trovano, nell’ordine: 1) il raffor-zamento delle reti, 2) il rafforzamento del lavoro comune 3) lacollaborazione tra soggetti sociali e 4) strumenti per la trasparen-za e sviluppo della rappresentanza nazionale. Seguono poi altreotto voci a conferma che la voglia e il bisogno di rendicontazio-ne sociale è ancora molto alta.

Un percorso che ci coinvolge tutti, anche le fondazioni di ori-gine bancaria, anche Fondazione Cariplo. Quando abbiamo av-viato, cinque anni fa, un nuovo corso nella comunicazione, ab-biamo immediatamente definito l’obiettivo che è innanzitutto latrasparenza; non è un caso che la nostra organizzazione possacontare al suo interno proprio di un apposito gruppo di lavoro,formato da membri dell’organo di indirizzo -la Commissione Cen-trale di Beneficenza – denominato Commissione consultiva Co-municazione e Trasparenza.

Il focus di ciò che si trasforma ininiziative di comunicazione (eventi,conferenze stampa, pubblicazionicartacee e on line) è proprio l’ac-countability. Il nostro patrimonio èuna risorsa per tutti ed è bene chesiano chiare le regole di utilizzo eche vi siano pari condizioni di ac-cesso per gli enti non profit che si ri-volgono alla Fondazione per chiede-re un contributo.

Il primo passaggio è ovvio: stabili-

39

IL 2011 SARÀ L’“ANNO EUROPEO DEL VOLONTARIATO” e sarà ancheil ventesimo compleanno di Fondazione Cariplo, e ovvia-mente delle fondazioni di origine bancaria. Singolare e felice

ricorrenza. Perché, dopo un lungo e – in taluni momenti - acci-dentato cammino le Fondazioni di origine bancaria hanno otte-nuto il pubblico riconoscimento di essere parte integrante del Ter-zo Settore, organismi che operano per l’innovazione, per fare dacollettore e per sostenere le organizzazioni non profit. Il tema èampio e complesso. Soprattutto se affrontato alla luce del rapporto

con le organizzazioni di volontariato.Le Fondazioni, e il Terzo settore più ingenerale, hanno guadagnato quel rico-noscimento non solo per le tante ca-pacità dimostrate nel “fare”, ma ancheper aver impiegato risorse e pensierinel sviluppare azioni di accountabili-ty, cioè attività che mostrino l’uso ef-ficiente delle risorse impiegate, la co-

Non c’è sviluppo economicosenza il ricco patrimonio di attività del Terzo settore

Guzzetti

Le Fondazioni e il Terzo settorehanno guadagnatoun riconoscimentoanche perché dal fare sono passatial comunicare con trasparenza

di Giuseppe Guzzetti Presidente di Fondazione Cariplo

Le organizzazioni di volontariatodevono dimostrarecome siano in gradodi fare buone cose,con una migliorecapacità di relazione,e con grande empatiarispetto ai bisognidella gente

‘‘

’’38

dossier ottobre 2010

41

Guzzetti

re le regole e metterle per iscritto. A noi, per esempio, è successonel delineare i Piani d’azione (cioè i documenti programmatici,quelli che stabiliscono gli ambiti strategici di intervento: ne ab-biamo scelti alcuni, ne restano esclusi altri, del resto proprio permassimizzare il grado di efficienza è bene delimitare i campi diazione e su questi concentrare gli sforzi) e nel definire strumentidi selezione: i bandi. Eppure sappiamo quanto sia difficile farcomprendere, spiegare, chiarire i perché di certe scelte strategi-che; e dunque abbiamo capito – riscoprendo a fianco dei moder-ni sistemi di comunicazione – quanto sia importante ancora og-gi incontrare le persone, perciò abbiamo creato occasioni e ambitiin cui questo potesse realizzarsi, con momenti di presentazionee approfondimento. Non solo abbiamo cercato di interpretare ilbisogno, più volte espresso dagli enti non profit, di sentire una vi-cinanza fisica tra loro e la Fondazione. Per questo abbiamo ri-scoperto il valore dell’incontrarsi a casa loro, andando ogni annosul territorio, con giornate intere dedicate a questo scopo, dove daun lato si intensificano le relazioni, da un altro ne nascono dinuove, allargando la platea degli enti che lavorano con noi, cer-cando di ridurre l’autoreferenzialità. Ogni anno incontriamo vis-à-vis migliaia di persone, mettendo evidentemente sotto sforzola nostra macchina organizzativa (lo ricordo: Fondazione Cariploconta una cinquantina di dipendenti e collaboratori), eppure que-sto produce effetti importanti. Tutto ciò per dire che l’accounta-bility, prima ancora della fase necessaria (direi obbligatoria) del-la rendicontazione formale (il bilancio sociale o di missione come

lo intendiamo noi) deve vivere neces-sariamente una fase di condivisione amonte, altrimenti rimarrebbe relegataalla stregua dell’informativa (che samolto di tecnico, non di sociale).

Aggiungo che, molto spesso, percostruire quelli che prima ho defini-to piani di intervento, siamo solitiavviare delle audizioni, coinvolgen-do stakeholder e potenziali destina-tari degli interventi, così da poterascoltare in diretta e di persona le

esperienze, i desiderata, la visione dei problemi. Non basta: per avere una visione completa occorre raccogliere

dati, numeri e cifre che sintetizzino i fenomeni, che ne traccinouna fotografia reale, al di là delle emotività in gioco. Per questo ab-biamo creato in Fondazione Cariplo un Osservatorio che studia iproblemi sui quali ci proponiamo di intervenire. Solo con un qua-dro chiaro si può decidere come agire. Con questo modo di opera-re si delinea una modalità che spesso è condivisa – pur con diver-si livelli di intensità – anche dalle realtà che operano nel profit.

Va detto che il Terzo settore si è dimostrato efficiente quandoalle tradizionali modalità operative del non profit ha saputo af-fiancare, rimodulare o riadattare modelli organizzativi dal profit.Lungo questo percorso di maturazione è giunto a saper offrire ec-cellenti esperienze di comprovata accountability. Sebbene nonsempre i premi siano la riprova della effettiva bontà di un’inizia-tiva, non è un caso che il Premio Oscar di Bilancio che ogni an-no viene organizzato con il coinvolgimento di organizzazioni epersonalità di diversa estrazione e provenienza (profit e non pro-fit) abbia come momento culmine e di sintesi la celebrazione dicoloro che hanno pubblicato bilanci e rendicontazioni socialichiare e diffuse.

I concetti espressi fin ora stanno a significare una cosa: nonsi può fare un buon bilancio sociale se non si è prodotta a mon-te un’attività efficiente. Il momento dell’accountability formale(la stampa del documento) è la sintesi di qualcosa che esprimeil modo di lavorare e il modo di essere. Se non sono chiari que-sti elementi, ovviamente, l’accounta-bility ne risentirà.

Oggi poi a rendere più complicatala situazione è il generale contesto chesta intorno, che aggiunge un impegnoancor più forte rispetto al passato; conla scarsità di risorse causata dalla cri-si (la recente ricerca dell’Istituto ita-liano della donazione conferma che latendenza delle persone è donare menoalle organizzazioni non profit), usareal meglio ciò che si ha, e dimostrarlo,

Non si può fare un buon bilanciosociale se non si è prodottaun’attivitàefficiente, una chiara sintesi che esprima il modo di lavorare e il modo di essere

‘‘

’’

L’accountability,prima dellarendicontazioneformale, deve viverenecessariamente unafase di condivisionea monte, altrimentirimarrebbe relegataalla streguadell’informativa

‘‘

’’40

Guzzettidossier ottobre 2010

4342

è un obbligo a cui non possiamo sottrarci. Stiamo ancora facen-do i conti con una situazione che non accenna a dare segni di ri-presa concreta. La crescita italiana resterà «piatta».

Anzi i pessimisti sostengono che il sistema in cui viviamo cicostringerà forse a vivere in costanti periodi di crisi. La fitta in-terconnessione tra le economie dei Paesi (lontani o vicini che sia-no) segna un elemento nuovo nei fattori che incidono sulla ri-presa. A frenare è soprattutto la spesa delle famiglie coninvestimenti e risparmi in totale stagnazione. Sono dunque rin-viate al 2011 le effettive possibilità di riavvio di un ciclo. All’Os-servatorio privilegiato della Curia di Milano che gestisce il Fon-do Famiglia Lavoro arrivano ancora segnali allarmanti: le famigliehanno finito anche le risorse dei nonni. Sono attesi tagli su di-versi fronti. Ecco allora che in un momento come questo che ilruolo della filantropia si fa ancora più importante: guai se in unmomento come questo venisse a mancare. Lo vediamo dal nostroosservatorio, lavorando al fianco del volontariato. Lo dicono gliesperti, dal governatore della Banca d’Italia, all’Ocse. In casi co-me questi è a rischio addirittura la coesione sociale.

Se queste maglie si sfaldano, se il tessuto sociale non regge, se lepersone non hanno più la consapevolezza di poter avere un paraca-dute, inevitabilmente lo stato d’animo del Paese crolla, la tranquilli-tà psicologia della nostra nazione traballa. Le Fondazioni come la no-stra dunque hanno, in questo momento di difficoltà, un impegnoancor più forte: tenere insieme questo tessuto sociale. Come? Met-tendo a disposizione le loro risorse, che pur importanti, però, è bene

che si sappia, non possono risolvere ilproblema di un Paese in difficoltà comeil nostro; possono però infondere nelleorganizzazioni una certa tranquillità,utile per avere la forza di rimettersi a la-vorare senza farsi scoraggiare, o farsiprendere dal panico; è successo questo,ad esempio, proprio quando di fronte al-la schizofrenia dei mercati dovuti allacrisi delle banche in borsa, le Fondazio-ni hanno annunciato la loro disponibi-lità ad intervenire a salvaguardia.

Le braccia, la forza, il cuore in tutto questo li mettono le mi-gliaia di volontari che operano in tutta Italia in diversi ambiti. LeFondazioni dunque possono giocare un doppio ruolo: sul pianopratico devono mettere in campo le loro risorse e le loro intui-zioni la loro capacità di anticipare i problemi e di sperimentarele relative soluzioni; sul piano psicologico possono servire da sta-bilizzatori nella paura, nell’incertezza.

È in momenti come questi che non può venire a mancare la so-lidarietà. Se anche la beneficenza privata si ritira, con lo Stato indifficoltà e le imprese che arrancano a chi ci si dovrà rivolgere?

L’anno che ci aspetta possa fornire l’occasione per un appro-fondimento su questo tema: Non c’è sviluppo economico, né sipuò parlare di competitività di un Paese, se quest’ultimo non èricco di quel tesoro che abbiamo definito capitale sociale. In que-sto caso, per capitale sociale si intende quella rete di relazioni equei comportamenti fiduciosi che, intrecciandosi oltre la cerchiafamiliare e la corporazione, fanno di un certo numero di indivi-dui una comunità: un sistema a più o meno alto tasso di senso ci-vico. Diversamente da quello espresso in azioni, questo capitaleè difficilmente misurabile, ma fondamentale. Di questo capitaleè ricco il Terzo settore.

Il problema è che non può crescere il capitale sociale in con-dizioni non favorevoli, dove persistono povertà di fondo, insta-bilità economica, disoccupazione, dove la criminalità la fa da pa-drona, dove non esistono infrastrutture adeguate, scuole,ospedali, centri ricreativi ed educativi all’altezza.

Le Fondazioni hanno sempre cer-cato di favorire i progetti sani, quelliche possono portare vantaggi al siste-ma, al Paese – alle prese con il supe-ramento di un ritardo strutturale neiconfronti della concorrenza interna-zionale. I destinatari finali di questivantaggi però, si badi bene, non sonole fondazioni ma le comunità localiche traggono dall’attività filantropicarisorse importanti, spesso fondamen-tali, per avviare o mantenere in vita

Non può crescere il capitale sociale in condizioni non favorevoli, dovepersistono povertàdi fondo, instabilitàeconomica,disoccupazione e dove la criminalitàla fa da padrone

‘‘

’’

Le Fondazionihanno, in questodifficile momento,un impegno ancorpiù forte: tenereinsieme il tessutosociale. Come? Mettendo a disposizione le loro risorse

‘‘

’’

Guzzetti

45

dossier ottobre 2010

iniziative che altrimenti non troverebbero finanziamento alcuno,né dal settore pubblico, né dal settore privato.

E da qui ecco il rapporto fondamentale col mondo del volonta-riato e i Centri di servizio per il volontariato. Nei mesi passati iCentri di servizio per il volontariato avevano denunciato la scar-sità di risorse a loro disposizione: la colpa sarebbe stata attribuita(anche) alle fondazioni di origine bancaria. Chi ha sollevato que-ste polemiche lo ha fatto impropriamente.

I Centri di servizio per il volontariato sono finanziati da unanorma della legge 266/1991 che stabilisce che le fondazioni de-stinino ai Centri di servizio un quindicesimo dell’avanzo del-l’esercizio, dedotto l’accantonamento alla riserva obbligatoria, in-dipendentemente dalle scelte strategiche che invece adottiamoin altri settori. Nei periodi pre crisi, Fondazione Cariplo ha fornitoun importante sostegno ai Centri di servizio della Lombardia, conoltre 32 milioni di euro (considerando il periodo 2005-2009).

A partire dal 2008 inoltre Fondazione Cariplo, i Centri di ser-vizio e il Comitato di Gestione del Fondo Speciale hanno lan-ciato due iniziative congiunte (un bando e un progetto) volte asollecitare la capacità progettuale delle organizzazioni di volon-tariato. Il bando, finanziato con 2 milioni e mezzo di euro cheprovengono dal Fondo speciale per il Volontariato ai sensi dellaL. 266/91, ha sostenuto 164 iniziative volte a promuovere la coe-sione sociale e a contrastare le cause che generano fragilità, disa-gio, frammentazione. Il progetto, per la cui realizzazione sono sta-

ti stanziati € 650.000 da FondazioneCariplo e € 600.000 dal Fondo specia-le per il volontariato, intende sostene-re la diffusione e il consolidamentodell’istituto dell’amministratore di so-stegno nel territorio lombardo. In en-trambi i casi si è ritenuto che il vo-lontariato in Lombardia possa giocareun grande ruolo, ancora una volta,per attutire gli effetti disgreganti giàin atto e quelli della crisi economicain corso, con l’annunciata ipotesi di

recessione dagli effetti ancora imponderabili sull’economia rea-le, sulle famiglie, sul tessuto sociale.

Ovvio che, con le difficoltà finanziarie emerse nel corso del2008, la Fondazione, nel pieno rispetto della legge, ha destinato aiCentri di servizio un quindicesimo dei propri rendimenti, anche sec’è stata una grave flessione causata dal ridursi degli accantona-menti. Però, sempre per l’attenzione che le Fondazioni hanno mo-strato nei confronti di questo settore, a giugno di quest’anno Acri,Forum Terzo settore, Convol, Consulta nazionale volontariato pres-so il Forum Terzo settore, Csvnet e Consulta nazionale Co.ge hannosottoscritto un accordo che, per il quinquennio 2010-2014, dà cer-tezza delle risorse che saranno destinate ai Centri di servizio e con-sentirà a questi di programmare le loro attività.

Solidarietà, sussidiarietà, supplenza sono temi cardine in cui si tro-va incastonato l’agire del Terzo settore. Io credo che le Fondazionidebbano continuare ad occupare e svolgere il loro ruolo, quello chesta nel mezzo. E non è un caso che forse la parola sussidiarietà siastata messa tra le altre due.

Ancora una volta, il volontariato in Lombardia può giocare un grande ruolo per attutire gli effetti disgregantigià in atto e quellidella crisi economicaancora in corso

‘‘

’’44

Business non profitdossier ottobre 2010

4746

BANCA PROSSIMA È COSTITUZIONALMENTE, una banca come tut-te le altre. Ma è una banca specializzata nel servire e fi-nanziare esclusivamente i soggetti giuridici del Terzo set-

tore. Una banca che valuta le imprese del non profit, ne valuta iprogetti, ne soppesa le capacità economiche e le finalità sociali.Ma con quali criteri? «Valutare un’impresa non profit – spiegaMarco Morganti, Amministratore delegato di Banca Prossima, labanca del Terzo settore nata nel Gruppo Intesa Sanpaolo nel no-vembre 2007 – è complesso per il mondo tradizionale del credito.

Infatti, spesso si tratta di realtàeconomicamente fragili, anche sehanno grandi potenzialità e ungrande valore sociale. Non ci sonosistemi di valutazione adeguati e,soprattutto, manca una capacitàdi stimare risorse intangibili co-me il capitale umano e il capitalesociale. Ecco perché la rendicon-tazione è un biglietto da visita im-

portantissimo per l’associazione,la cooperativa o la fondazione cherichiede un finanziamento, cosìcome la rendicontazione è unostrumento fondamentale per Ban-ca Prossima allo scopo di inter-cettare tutti gli aspetti che carat-terizzano la singola impresasociale. Ecco perché i nostri clien-ti non riuscirebbero nemmeno adaprire un’istruttoria per un presti-to se si rivolgessero a un normaleistituto di credito, perché, a diffe-renze di Banca Prossima, si senti-rebbero rispondere che “mancanoi fondamentali” di garanzie patri-moniali e finanziarie».

La crisi economica ha avuto rifles-

si pesanti anche sul volontariato.

L’ultimo anno sono stati dodici

mesi di lacrime e sangue anche

per Terzo settore. Dall’osservato-

rio privilegiato di Banca prossima,

che cosa dobbiamo aspettarci per

il futuro?

La crisi dell’economia misura lacrisi della fiducia. Nessuno di noiè in grado da solo di ricostruire lebasi di questo delicato meccani-smo sociale. Come è inevitabile,poiché tutti l’abbiamo perduta neiconfronti di tutti. La Caritas in Ve-ritate ha l’enorme merito di avermesso al centro della scena una ri-flessione morale sull’economia,riconducendo a unità alcuni con-cetti chiave: limiti del mercato,bene comune, ridistribuzione. Di-fatti in un passaggio si legge che«L’attività economica non può ri-solvere tutti i problemi sociali me-diante la semplice estensione del-

la logica mercantile. Questa va fi-nalizzata al perseguimento del be-ne comune, di cui deve farsi cari-co anche e soprattutto lacomunità politica. Pertanto, va te-nuto presente che è causa di graviscompensi separare l’agire econo-mico, a cui spetterebbe solo pro-durre ricchezza, da quello politi-co, a cui spetterebbe di perseguirela giustizia mediante la ridistribu-zione». Frasi come questa fannorimpiangere le occasioni che lasocietà e la Chiesa stessa hannoperduto in passato di rifletteresull’economia come mezzo perraggiungere il bene comune.

In questa prospettiva il peso e il

ruolo del Terzo settore sono sem-

pre più cruciali.

In Italia abbiamo 250mila orga-nizzazioni liberamente costitui-tesi per produrre bene comune.Vi operano, tra lavoratori e vo-lontari, circa quattro milioni dipersone, che hanno scelto dimettersi al servizio quotidiano dialmeno quaranta milioni di ita-liani. Nell’insieme, questi pro-

La sfida di Banca Prossimaquando il credito finanzia la solidarietà

Business non profit

Per Marco Morganti, Ad di Banca Prossima, valutareun’impresa non profit è complesso per il mondotradizionale del credito.Manca una capacità distimare risorse intangibilicome il capitale sociale

La Caritas in Veritate ha l’enorme merito di aver messo al centro della scena unariflessione sull’economia,imperniata su alcuniconcetti chiave: dai limiti del mercato al bene comune

‘‘

’’

Business non profitdossier ottobre 2010

49

il prestito universitario, che staconsentendo a migliaia di giova-ni di completare prima e megliogli studi. Abbiamo aperto la viadel prestito ai cassintegrati inCigs, perché ritenevamo che ilritardo dell’Inps non dovesse es-sere una punizione ulteriore eperché sapevamo che poter ave-re subito quella somma li avreb-be mantenuti lontani dalle varieforme velate o sfacciate di usura.Abbiamo lanciato PAN, un pro-getto per l’apertura di asili nidononprofit che in quattro anni hafatto nascere 380 strutture dovelavorano 2.200 educatrici lau-reate e sono ospitati 11.000bambini. La banca eroga alle im-prenditrici finanziamenti sullafiducia, e allo stesso tempo ra-teizza la retta mensile, che la fa-miglia non paga più in due main sei anni.

Di recente abbiamo sentito par-

lare di Terzo Valore, che cos’è?

Terzo valore è la nostra ultimarisposta al bisogno di sosteni-bilità del Terzo settore. BancaProssima a breve inizierà que-sta esperienza rivoluzionaria incui tutti i cittadini italiani po-tranno sostenere il Bene Comu-ne non solo donando, ma an-che prestando denaro alleorganizzazioni nonprofit a con-dizioni anche migliori di quel-le della banca stessa. Più capa-cità economica, miglioricondizioni, più coinvolgimen-to, più mutualità. In una paro-la, più società.

“Più società”, come ha detto, ma è

una svolta economica sostenibile?

Con Banca Prossima abbiamocambiato metro di valutazione.Un po’ meno ricerca del tangibilee un po’ più sensibilità all’intan-gibile: non per chiudere gli occhidi fronte a quanto si riteneva da fi-nanziare comunque perché “mo-ralmente buono” ma per formareun nuovo modello di rating, basa-to su fattori sinora ignorati, comela governance, la capacità di rac-colta fondi, la reputazione. Inuna organizzazione nonprofitcerchiamo capitale fiduciario datradurre nella premessa decisivaper una valutazione tecnica disostenibilità. Cerchiamo l’imma-teriale in economia, che è comecercare l’anima di una organizza-zione. Farlo è necessario, ma an-che possibile.

duttori e consumatori di serviziformano il più grande sistema so-ciale del Paese. Agiscono dall’as-sistenza sociosanitaria alla cultu-ra, dal turismo alla ricerca, dallasalvaguardia ambientale all’in-serimento lavorativo di personecon disabilità, dalla rappresen-tanza civile all’istruzione e for-mazione. Senza il loro sforzo,iniziato secoli prima che la pa-rola sussidiarietà fosse pensata,semplicemente la società nonesisterebbe. Queste organizza-zioni erogano servizi di altissi-mo livello a prezzi contenuti; omeglio, possono farlo quandoStato, Regioni, Province e Co-muni, che ne sono i maggioricommittenti, glielo consentono.Dove questo accade, il non pro-fit si qualifica e si traduce inuno straordinario, esemplareelemento di tenuta sociale, cheproduce servizi e buona occupa-zione. Nei molti casi opposti ilnonprofit è bacino di collaterali-smo e di ricerca di consenso perla politica, che non ha mai co-minciato a fare in Italia quanto è

normale in altri paesi come Re-gno Unito e Stati Uniti. In questipaesi le politiche sociali sonouna concertazione basata su unpatto a due sensi: il Terzo setto-re viene qualificato e seleziona-to e “in cambio” il Pubblico loinserisce come parte integrantee sussidiaria in ogni politica at-tiva, con pari dignità e diritti, apartire da quello, basilare, allatutela del lavoro e alla regolaritàdei pagamenti dovuti per i servi-zi resi. Invece vi sono Regioniitaliane che pagano i loro debiti700 giorni dopo la scadenza;perfino il “5 per 1000” salutatocome una rivoluzione sussidia-ria ha esordito con quasi tre an-ni di ritardo tra le scelte dei cit-tadini e le erogazione alleorganizzazioni destinatarie. Èchiaro che d’ora in poi dovremofare altrimenti.

In un periodo contrassegnato da

una crisi economica, ma anche

sociale, relazionale e culturale,

quale domanda di credito fa il

Terzo Settore a Banca Prossima?

Il Terzo settore ci chiede di im-pegnarci a renderlo sostenibile,soprattutto in questo momentostorico in cui – come abbiamogià detto – collimano crisi di va-ria natura, dall’economica allasociale, dalla relazionale, alla fi-nanziaria. In tutte queste crisiprevale la parziale assenza diservizi alla persona e alla cultu-ra. Per questo ci siamo impegna-ti in azioni economiche inclusi-ve: abbiamo introdotto in Italia

Le politiche sociali sonouna concertazione a doppio senso: il Terzo settore vieneselezionato e “in cambio”il Pubblico lo inseriscecome parte integrande dell’attivitàpolitica

‘‘

’’

Francesco Cesarini, Gian PaoloBarbetta, a curaLa finanza specializzata per il terzosettore in Italia Bancaria Editrice, 2004

Antonio Andreoni, Vittorio PelligraMicrofinanza. Dare credito allerelazioniIl Mulino, 2009

C. SchenaL’analisi dell’offerta di prodotti e servizi finanziari al terzo settoreCRC, 2004

Leonardo Becchetti Il microcreditoIl Mulino, 2008

A. Sen Lo sviluppo è libertàMondadori, 2001

webwww.progettocreso.it

GRANDANGOLO

48

51

L A MISURAZIONE DEL VALORE SOCIALE del non profit, l’analisi delpeso del capitale sociale e della sua rendicontazione, è untema che cammina a braccetto con una riflessione sul capitale

umano, anch’esso uno dei pilastri su cui si basano le organizzazionidi volontariato e, in generale, il Terzo settore. Giorgio Vittadini,docente di statistica metodologica all’Università di Milano Bicocca,presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che ha fondato nel2002 come strumento di approfondimento culturale attraversoattività formative, di ricerca ed editoriali. All’importanza del capitale

Senza investimenti nel capitale umano non ci sarà futuro

Vittadini

umano il professor Vittadini hadedicato un libro dal titolo “Capi-tale umano la ricchezza dell'Euro-pa” edito da Guerini e Associati.

Professor Vittadini, oggi c’è

maggiore consapevolezza rispet-

to al passato di questo binomio?

Dopo anni in cui si è pensato chei meccanismi finanziari fossero il

Il capitale umano è uno dei pilastri del volontariato, così come la misurazionedel valore sociale e la sua rendicontazione. Su entrambi bisognacontinuamente investire

La qualità del lavoro delle organizzazioniè legata alla qualità e quantità

di educazione e formazione dei volontari.Questa è la strada maestra

che le associazioni non profit devonoseguire per produrre beni per il welfare

‘‘

’’

fattore centrale della produzionedi ricchezza, si sta tornando aguardare all’importanza dell’eco-nomia reale centrata sulla pro-duzione di beni e servizi, il cuivalore di scambio deve rimanerelegato al valore d’uso. Così, si ri-scopre anche la qualità del lavo-ro, condizione imprescindibileper produrre beni e servizi com-petitivi; e la qualità del lavoro èlegata alla qualità e quantità dieducazione e formazione, secon-do la teoria del capitale umano,importantissima nella storia del-l’economia, tanto da valere ilpremio Nobel a economisti GaryBecker e James Heckman.

In che modo, dunque, questo ha

nesso con il capitale sociale?

Come risulta evidente nell’attua-le momento di crisi, le reti socia-li sono il fattore determinanteper assorbire le conseguenze dimolte situazioni di difficoltà. Ilprincipale ammortizzatore è lafamiglia, ma anche le reti fami-liari e le associazioni hanno la

Vittadinidossier ottobre 2010

5352

pensare che tra i servizi assicu-rati da realtà non profit, prepon-derante è il comparto della sani-tà e dell’assistenza. Ma quello che secondo me è piùimportante ricordare è l’originedi tali attività. Le opere educati-ve, sanitarie, culturali, ricreative,e sociali in generale (un universoimmenso anche oggi, che va dal-le opere di Madre Teresa, al Ban-co Alimentare) non nascono daun’ingegneria sociale pensata atavolino, ma nascono dalla capa-cità di qualcuno di vedere certibisogni, farsene carico e rispon-dervi. Nella storia della Chiesasono i grandi santi che hannocreato le grandi opere sociali delTerzo settore, e nel mondo laico,le grandi organizzazioni non pro-fit sono nate da persone che han-no desiderato auto-organizzarsiper rispondere a bisogni colletti-vi, come per esempio quello delgrande consumo con la rete del-le cooperative. In tutti questi ca-si non c’è un progetto a tavolino,ma ci sono persone che inventa-no, costruiscono, creano legamie “dal basso” danno risposte(una società umana cresce natu-ralmente secondo il principio disussidiarietà). Senza queste per-sone non esisterebbe il Terzo set-tore. E queste persone non sonomai geni isolati: nascono nelcontesto di confraternite di laici,di ordini religiosi, di movimenti– cattolico, operaio… -, di asso-ciazioni imprenditoriali. Nasco-no dal capitale umano che ha da-to i suoi frutti nel contesto

sociale. La formazione professio-nale moderna è stata inventatada don Bosco. Non era un mini-stro che pianificava o uno chevoleva guadagnarci, ma un gran-de santo che, per la sua genialitàreligiosa e umana si è fatto caricodei bisogni della gente povera edei ragazzi emarginati e ha creatoun nuovo tipo di scuola per loro,non da solo, ma contornandosi diamici, collaboratori, addiritturadando vita a un grande ordine, isalesiani, che potremmo definireun grande punto di crescita di ca-pitale umano e capitale sociale.

Le organizzazioni di volontaria-

to in Italia, secondo lei, curano

con particolare attenzione il

proprio capitale umano?

Le organizzazioni che reggono, so-prattutto in un momento di crisi,sono quelle che investono in ca-pitale umano e continuano a tenerdeste le motivazioni ideali. Lo sivede da ciò che in Italia sta mo-rendo e ciò che si sta sviluppan-do. Chi si sviluppa ha capito che

loro importanza. Questo indicache ai fini di una migliore cre-scita di capitale umano nel mon-do lavorativo, occorre quell’hu-mus umano e sociale che sitrasmette da persona a persona e“contagia” il desiderio di impa-rare, di migliorare, di costruire.Da questo punto di vista c’è undato che ci si dimentica spesso:si parla sempre e solo del Pil, mala speranza di vita, che è un’in-dicatore sintetico del benessere,ci dice che l’Italia è al secondoposto dopo il Giappone e ben aldi sopra di Paesi che hanno unfortissimo sviluppo del Pil. Equesto perchè la speranza di vitaè strettamente legata anche aicontesti umani e sociali in cui lapersona vive ed influenza positi-vamente anche la generazione dicapitale umano.

Perché il tema del capitale uma-

no è particolarmente cruciale

per il Terzo settore?

Innanzitutto un dato: il TerzoSettore non è ormai più relegatoad attività secondarie, ma sta di-ventando fattore sempre più im-portante nel garantire quei livel-li di welfare che né Stato némercato riescono più a garantire.Da qualche decennio a questaparte, questo settore continua adessere interessato da un aumentooccupazionale e da un aumentooccupazionale sempre più quali-ficato: circa il 94,7% è collocatonel settore dei servizi alla perso-na, dove la qualificazione pro-fessionale è più rilevante; basti

Per una migliorecrescita del capitaleumano occorrequell’humus socialeche si trasmette da persona a personae contagia il desideriodi imparare, di migliorare, di costruire

‘‘ Le opere del non profitnon nascono da un’ingegneria sociale pensata a tavolino, ma dalla capacità di qualcuno di vedere certi bisogni e farsene caricorispondendovi

‘‘

’’’’

Vittadinidossier ottobre 2010

5554

Avvalersi nelle organizzazioni di

volontariato di persone “forma-

te”, aumenta l’efficacia e la

qualità dell’azione volontaria?

Sì, certamente. Trent’anni fa il vo-lontario era una persona con unospirito ideale e del tempo liberoda dedicare agli altri, anche senon istruito. Come ho detto pri-ma, oggi una qualsiasi organizza-zione di volontariato deve saperecon precisione in quale contestosi inserisce e possedere strumen-ti professionali per operare. Ri-tengo che oggi sia impossibileconcepire un uomo del Terzo set-tore e del volontariato che non siaun uomo moderno, con capacitàumane e organizzative anchemaggiori rispetto a chi opera nelprofit. Il bohemien ha dato uncontributo fondamentale, ma hafatto il suo tempo.

Il capitale umano come si co-

struisce?

Innanzitutto un dirigente dovreb-be “contagiare” le persone che haintorno dello spirito ideale, dellamission dell’organizzazione dacui è partito. Non deve dare perscontato questo aspetto, non deveparlare solo di cose tecniche, madeve parlare soprattutto del moti-vo per cui è nata la sua organizza-zione e far sì che sia condivisodalle persone che ha intorno. Poi,come un genitore conosce tutti imezzi che rendono migliore laqualità della vita del proprio fi-glio, deve analogamente dotarsi distrumenti, perché il nostro mondoè complesso, ci sono regole e per-

corsi obbligati che devono esseretenuti presente. Pertanto occorredotarsi di strumenti adeguati alloscopo dell’opera. Senza l’ideale lepersone se ne vanno, senza glistrumenti si è sopraffatti da unmondo che non perdona errori.

È chiaro che la formazione è

l’architrave: ma come farla? Me-

glio una formazione permanen-

te, oppure cadenzata a cicli?

Tanto permanente quanto cadenza-ta. Oggi una tecnologia diventa ob-soleta in media in cinque anni, maanche i cambiamenti nei settori ti-pici del Terzo settore avvengono inmodo molto rapido. Bisogna conti-nuamente tornare in università, tor-nare a formarsi alternando momen-ti di lavoro a momenti di studio,perché altrimenti si rimane indie-tro. Questo vuol dire attuare unaformazione permanente nel Terzosettore che deve anche avvenire,come nel mondo nordamericano,

le realtà assistenziali vecchia ma-niera, che prendono soldi dal pub-blico e li re-distribuiscono, hannofatto il loro tempo. Oggi, più chemai, c’è bisogno di persone allaguida di realtà che sappiano valo-rizzare e far crescere le risorseumane e così possono dare un’or-ganizzazione efficiente alle strut-ture, offrire risposte efficaci ai bi-sogni cui rispondono e stare sulmercato. Se all’inizio di San Patri-gnano c’era papà Muccioli, un ge-nio dell’umano, adesso c’è AndreaMuccioli, un grande imprendito-re sociale, anche lui un grande uo-mo, ma necessariamente piùistruito, preparato, che considerail capitale umano un investimen-to fondamentale. Oggi una rete dicooperative, nate da un impeto“garibaldino” dei fondatori, ha bi-sogno di una organizzazione effi-ciente, altrimenti non regge, per-ché i nessi tra mercato e Terzosettore, in una società complessa

come la nostra, sono tali da impe-dire un impegno filantropico chenon sia anche efficiente, che nonrichieda competenze nell’uso enell’investimento dei soldi, chenon sia organizzato al meglio. Nel-lo stesso tempo, è fondamentaleche una realtà sociale non snaturimai lo spirito ideale da cui è nata,da cui può continuare a tenere vi-vi motivazioni, spirito d’iniziati-va, creatività...

Quali sono le parole d’ordine che

sono alla base per una crescita

del capitale umano e quindi

dell’economia civile?

Prima ancora dell’istruzione c’èl’educazione a valori e ideali taliper cui si moltiplichi l’impeto dicostruzione e di lavoro e quindianche la voglia di attrezzarsi. Per-ché, se io non ho voglia di intro-durmi nella realtà con tutti i suoifattori, non voglio neanche istruir-mi, non mi interessa essere com-petente, essere moderno, saperecom’è fatto un bilancio, organiz-zare le risorse umane, costruiremarketing sociale. Strumenti chenascono perché ho un ideale, unoscopo. Quindi la parola che le-gherei a capitale umano è la paro-la educazione a valori, a ideali. Soche la mia è un’affermazione im-popolare perché parlare di idealiè un po’ come tornare alle origini,ma il tentativo tecnocratico finan-ziario è fallito. E quindi, soprat-tutto, il Terzo settore deve capireche senza questo impeto idealenon può attirare risorse che sonoin grado di farlo crescere.

Un’organizzazione se non è efficiente non regge, perché i nessi fra mercato e non profit, in una società complessa come la nostra, non consentono di portare avanti un progetto filantropico

‘‘

’’

Trent’anni fa il volontariato era una persona con uno spirito ideale e del tempo libero. Oggi ritengo che sia impossibile concepire un Terzo settore senza grandi capacità umane

‘‘

’’

dossier ottobre 2010

56

È necessarioattuare una formazionepermanente nel Terzo settore, che deve avvenire, come nel mondonordamericano,attraverso corsi in etàformativa e corsi durante tutta la vita

‘‘

’’

attraverso corsi in età formativa ecorsi durante la vita lavorativa.

Ma a Milano e nella sua provincia

la situazione qual è?

Anche a Milano l’università, a dif-ferenza che nel mondo nordame-ricano, non è il fulcro della for-mazione permanente del nonprofit. Perché questo succeda de-ve avvenire una rivoluzione cul-turale, sia dal punto di vista del-l’università, sia da quello deglioperatori. Gli operatori devonosentire il bisogno di continuare aistruirsi e l’università deve attrez-zarsi per rispondere a questa do-manda di istruzione. Io prendosempre come esempio la WagnerSchool della New York University,dove si tengono master dedicati almondo del non profit che formanodirigenti ad alto livello.

Il bilancio sociale e il bilancio di

missione sono alcuni degli stru-

propone lo spettacolo “Il prezzo delle cose

che non hanno prezzo”

Un’opportunità di promozione del volontariatoattraverso il teatro.

A disposizione degli enti interessati a sfruttarne le opportunità in termini di promozione e sensibilizzazione ai temi della solidarietà e della cittadinanza attiva.

È possibile acquistare una sola replica o più repliche, usufruendo in questo caso di un’offerta più vantaggiosa.

È necessario prenotare lo spettacolo almeno due mesi prima dell’effettiva messa in scena.È possibile utilizzare lo spettacolo per progetti anche di promozione della propria

immagine o per iniziative di raccolta fondi.

InformazioniCiessevi – Area Promozione - tel 02.45475851 - [email protected]

Michele Bertani Risorse, reti e capitale socialeQuiEdit, 2010

P. Di Nicola, S. Stanzani, L. Tronca Reti di prossimità e capitale sociale in Italia FrancoAngeli, 2008

Pierpaolo Donati, Luigi TroncaIl capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismoFranco Angeli, 2008

Mario Morcellini, Barbara Mazza Oltre l'individualismo. Comunicazione,nuovi diritti e capitale socialeFranco Angeli, 2008

webwww.socialcapitalgateway.org

GRANDANGOLO

menti per mezzo dei quali le or-

ganizzazioni misurano il capitale

sociale. Secondo lei ci sono stru-

menti idonei per misurare il capi-

tale umano di cui le associazioni

potrebbero avvalersi?

Introdurre il bilancio sociale e dimissione ha permesso di valutare leesternalità positive delle realtà nonprofit. Introdurre misure adeguatedi valutazione del capitale umanosignifica rivoluzionare l’idea di ri-sorse umane, che è ancora mecca-nicistica, considera l’uomo comestock al pari di macchinari e mezzifinanziari, secondo una riduzioneaziendalista da anni ’80. Occorreconsiderare non le “risorse umane”,ma le persone nella loro globalità epersonalità, nell’evoluzione delleloro capacità e competenze, nell’in-cremento delle loro conoscenze da-te da istruzione e formazione. Glistrumenti statistici provenienti dal-la letteratura sul capitale umano cisono, basta volerli usare.

Testa

59

dossier ottobre 2010

58

L’ HANNO DEFINITA «UNO DEI PIÙ BRILLANTI CREATIVI ITALIANI»,È Annamaria Testa, milanese, «solo un’omonimia congli eredi di Armando Testa», dice. Perché ci tiene a sot-

tolineare che lei si è fatta da sé. E racconta che alla fine degli anniSessanta studiava Lettere: ma, un giorno, decise che doveva man-tenersi da sola. Si presentò in un’agenzia di pubblicità con alcuni di-segni sottobraccio. «Invece mi misero davanti a una macchina dascrivere. “Inventa”, mi dissero. Io nemmeno sapevo che esistesse ilmestiere del copywriter, l’autore dei testi pubblicitari.

Buttai giù qualcosa. Mi guardaro-no con sufficienza: “E, vabbè, ri-mani”, mi dissero».

Da allora non si è più fermata.Dagli esordi lavorativi nel 1974,ha fondato una propria agenzia dipubblicità nel 1983, è stata diret-tore creativo e presidente dellasede italiana del gruppo interna-zionale Bozell tra il 1990 e il

1996 e consulente tra il 1997 e il2004. Ha fondato “Progetti Nuo-vi” nel 2005, una società che sioccupa di progetti integrati di co-municazione. È giornalista pub-blicista dal 1988. Ha collaboratocon diverse testate e con la Rai esi è occupata di comunicazionepolitica. Ha insegnato pressol'Università La Sapienza di Roma(1994-95), l'Università degli Stu-di di Torino e l'Università degliStudi di Milano (2001-02), l'Uni-versità IULM (1998-2006). Dal2007 insegna all'Università Boc-coni di Milano. Ha pubblicatonumerosi saggi sulla creatività, lapubblicità e la comunicazione eun libro di racconti. L'ultimo vo-lume si intitola “La trama lucen-te” (Rizzoli).

Ha scritto testi per le canzonidi Milva, è eclettica, effervescen-te, brillante. Lavoratrice infatica-bile, ha inventato slogan che so-no entrati nella storia dellapubblicità: “Liscia, gassata, oFerrarelle?”, “Nuovo? No, lavatocon Perlana”. Eppure Annama-ria Testa non nasconde un certogusto per i ragionamenti, comequello che segue sulla comuni-cazione e il volontariato.

Che tipo di relazione instaurare

fra l’universo del non profit e la

comunicazione?

Fra questi due mondi ci sono tan-ti fili di relazione. Il primo filo pas-sa tra chi fa volontariato e i suoiutenti, cioè coloro che beneficianodell’azione dei volontari. Premes-so che fare volontariato è un’agire

sociale, allora esso riesce a espri-mersi attraverso i gesti e quello chei gesti comunicano in termini divisione e di considerazione del-l’altro. Questa è una dimensioneche intuitivamente è chiara, manon è sempre così esplicita. Tutta-via è importante tenerla presente,perché può fare la differenza intermini di efficacia della comuni-cazione. Il secondo filo coinvolgeil rendere conto al tessuto socialedi quanto si sta facendo. E più si èbravi nel comunicarlo, più si am-plifica l’agire del volontariato e lasua risposta a un bisogno. Peresempio, nel momento in cui ope-ro con i rom, se parlo della mia at-tività, sensibilizzo anche ulterioripersone al problema dei rom. Ilterzo filo, che è uno dei più fragi-li, è quello della comunicazionefra diverse realtà di volontariatoche spesso confliggono, oppureche talvolta nemmeno si parlanofra loro. Per questo, a volte, si so-vrappongono; oppure lasciano deibuchi comunicativi. Ci tengo a sot-tolineare che le associazioni di vo-

Creatività, ironia e rigore:così la pubblicità divental’anima del volontariato

Testa

La milanese AnnamariaTesta, uno dei più brillanticreativi italiani, in questaintervista prova a legare i fili delle relazioni che si intrecciano fra comunicazione e mondo del volontariato

Il rendere conto al tessuto sociale di quanto si sta facendo è cruciale. E più si è bravi nel comunicarlo, più si amplifica l’agire del volontariato e la sua risposta al bisogno

‘‘

’’

Testa

61

dossier ottobre 2010

60

vio rischia di decrescere anche secresce la quantità di materiale in-viato. Spesso sono spedite gigan-tesche buste che contengonoomaggi, brochure, giornalini, let-tere di richiesta d’aiuto, modulidi bollettino postale e quant’al-tro. Mi chiedo: quanto è costatoall’associazione tutto questo? Equanti dei fondi che hanno a di-sposizione stanno sprecando permandare in giro tutta quella mon-tagna di carta?

C’è una sorta di “overdose” di

invii postali?

Certamente. E il picco lo si rag-giunge nel periodo di Natale o inprossimità della scadenza per ladichiarazione dei redditi. Maquesto bombardamento serve?Sarebbe, forse, più opportunoche le sigle si riunissero insiemeper dividersi il ricavato del 5, odell’8 per mille, su progetti con-divisi. Così ci sarebbe meno con-fusione, sovrapposizione e mag-giore efficacia comunicativa.

A suo avviso, il volontariato pos-

siede sufficienti competenze ed

esperienza per una comunica-

zione di qualità?

Dipende. Se prendiamo, peresempio, Greenpeace rispondodi sì. Loro hanno una storia dicomunicazione molto virtuosa,sono bravi ad usare i media, so-no bravi a fare operazioni sulterritorio e a usare il web. E nondimentichiamoci mai che inter-net è un territorio ancora pocousato come percorso di comuni-

cazione da parte del volontaria-to, mentre sarebbe un territoriofertile per il reclutamento so-prattutto dei ragazzi. OppureEmergency comunica con unacerta qualità, aiutata dal fattoche ha un eccezionale testimo-nial che è Gino Strada. Emer-gency mostra quello che fa, dàla sensazione d’investire e rea-lizzare progetti concreti con isoldi dei donatori. E poi prendedelle posizioni molto chiare, echi le condivide si sente rap-presentato. Emergency è riusci-ta a lavorare su più piani: coin-volgendo personaggi famosi,facendo operazioni sul territo-rio, lavorando in maniera moltoseria, su eventi ad alto impattoemotivo. Un’altra organizzazio-ne con un’efficace comunica-zione è la Comunità di San-t’Egidio. Perché è riuscita asviluppare un’identità distinti-va, ossia quello che si definisceun proprio tono di voce, un pro-prio modo di presentare un pro-blema e di parlarne.

lontariato sono una realtà meravi-gliosa, in quanto sostengono il tes-suto sociale d’Italia, però sotto ilprofilo della comunicazione devo-no migliorare. E il primo passo dacompiere è quello di non conside-rarsi delle realtà in competizione,ma piuttosto come degli alleati al-la ricerca della soluzione a un bi-sogno. Il quarto filo che un’asso-ciazione deve tener ben presente,è la comunicazione di ciò che si faper ottenere le risorse per conti-nuare a farlo. E su questo terrenosi innesca la competizione a cuiaccennavo prima.

Come conciliare queste due di-

mensioni in attrito fra loro?

Ci vuole un bell’ingegno. Ma ilpunto di partenza deve esserequello di costituire una sorta difederazione su progetti più gran-di. È retorico: ma è solo l’unitàche fa la forza. E il volontariato habisogno di alleanza non di batta-glie, per essere sempre più solidoe competente.

Quali strategie possono miglio-

rare la comunicazione del vo-

lontariato?

Dipende sempre dall’oggettodella comunicazione. Occorre,anzitutto, che le organizzazionidi volontariato si pongano delledomande e si sforzino di trovarele risposte, con un pizzico di sa-na ironia e molta flessibilità.Perché le associazioni voglionocomunicare? Per essere più visi-bili? Ma per ottenere che cosa?Per conquistare peso politico?Per accaparrarsi più fondi? Perottenere nuovi incarichi? Per au-mentare il numero dei volonta-ri? Se, per esempio, l’obiettivofosse quest’ultimo, sono senz’al-tro più efficaci campagne di re-clutamento sul territorio o sulweb, piuttosto che l’acquisto dipagine di pubblicità sui giorna-li. Quindi è necessario semprepensare al perché si vuole otte-nere visibilità e quale sia l’obiet-tivo della visibilità che si sta cer-cando di perseguire.

Questo significa fare dei conti

ragionevoli?

Occorre evitare di ricorrere a me-todi, da una parte, un po’ usuratie poco efficaci; e, dall’altra con-traddittori. Prendiamo la quanti-tà di mailing che vengono invia-te. Anni fa, un cittadino ricevevain un anno al massimo dieci in-vii di materiali per una richiestadi sostegno in danaro. Oggi ne ar-rivano venti volte tanto di richie-ste di questo tipo. Ciò significache l’efficacia di ogni singolo in-

Per una strategia di comunicazione efficace occorre che le organizzazioni non profit si ponganodelle domande e si sforzino di trovare le risposte con un pizzico di ironia

‘‘

’’

Bisogna evitare di ricorrere a metodi comunicativi, da una parte, un po’usurati e poco efficaci; e, dall’altra,contraddittori. Ormai la quantità di mailing inviate sono troppe

‘‘

’’

Testa

63

dossier ottobre 2010

62

il biberon vuoto dopo l’alluvio-ne in Pakistan. Ecco quella foto-grafia ha raccontato il drammapakistano più di mille articoli.Questo non significa che se ve-diamo altre quaranta immaginidi bambini coperti di mosche, lacomunicazione funziona in ma-niera altrettanto efficace.

Qual è, secondo lei, un valore

che il volontariato dovrebbe co-

municare ?

La visione di un futuro miglioree una buona dose di speranza:questi sono valori importanti.Se una donna, un uomo, o unragazzo mi spiegassero perchédedicano il loro tempo gratuita-mente ai malati, ai bisognosi, aipoveri farebbero una straordi-naria comunicazione.

La testimonianza diretta del vo-

lontario è sempre efficace?

È una possibilità. Ma dato chenon esistono ricette che funzio-nano sempre e meglio di altre, bi-sogna usare la creatività e l’in-ventiva per ideare qualcosa diemozionante e brillante, di inci-sivo e persuasivo.

In questa logica come giudica il

ruolo dei testimonial.

Anche qui, non c’è un assoluto.Qualche volta i testimonial sonoun ottimo stratagemma per esse-re più visibili. Ma, se tutti ricor-ressero ai testimonial, verrebbemeno la loro funzione. E poi ilrisultato dipende anche da qua-le testimonial. In sostanza, non

c’è una ricetta univoca.

Allora cosa aguzza l’ingegno co-

municativo? L’esperienza, lo

studio, la lettura?

Prima di tutto occorre capirebene qual è il problema. Occor-re far piena luce sulla questio-ne con domande semplici: chisono? Che cosa voglio ottenere?Chi è il mio pubblico? Qual è lamia sfera di attività? Che risul-tati ho ottenuto in passato? Cherisultati voglio ottenere in futu-ro? Qual è il mio motivo distin-tivo, cioè che cosa sto facendoin maniera impeccabile e via diquesto passo. Progettare nellacomunicazione è un’operazionedi problem solving. Quindi, inprimo luogo, si parte dalle co-ordinate del problema. E quan-to più il problema è chiaro tan-to più si raggiunge un risultatopreciso ed efficace.

I suoi esempi sono tutti calibra-

ti su grandi associazioni di vo-

lontariato, mentre la maggior

parte delle organizzazioni sono

di medie e piccole dimensioni.

Per le medie e piccole organiz-zazioni ci sono soltanto due so-luzioni. La prima, è che bisognapuntare maggiormente sulla co-municazione, destinando più ri-sorse, oppure usando quelle adisposizione con più ingegno.Una pagina sul web, o su Face-book ben curata è già una grossarisorsa. La seconda, è l’alleanza.Organizzazioni che operano nel-lo stesso settore possono accor-darsi per sviluppare un piano dicomunicazione sinergico e be-neficiare del risultato positivoche otterranno. Se le associazio-ni si unissero non sarebbe diffi-cile andare da un grande editoree chiedere, magari, spazi pub-blicitari omaggio. Invece prefe-riscono muoversi individual-mente e si accontentano di unapagina di pubblicità gratuita, manell’ultima sezione di una rivi-

sta fatta di trecento pagine. E an-cora: bisogna conoscere il mez-zo. Per esempio, per beneficiaresulla stampa periodica e quoti-diana, o in televisione, di spazipubblicitari a prezzi più bassi ogratuiti bisogna ricordarsi deimesi che sono maggiormentevuoti di pubblicità come ago-sto, oppure il periodo gennaio-febbraio. È ovvio che sarebbemeglio il mese di dicembre,perché a Natale le persone sonopiù propense alla solidarietà,ma in quel periodo la pubblici-tà è molto cara oltre che ad es-sere anche molto “affollata”.Quindi anche le organizzazionidi volontariato devono esserepiù attente al mercato, alle sueregole. Anche perché, con unacampagna pubblicitaria origi-nale, a volte si riesce ad ottene-re parecchia visibilità anchelontano dal periodo natalizio.Insomma, bisogna saper coglie-re le opportunità e, soprattutto,usare internet, usare i blog, per-ché sono una miniera di risorsea costi bassi.

Spesso, negli ultimi tempi, nel-

la pubblicità si comunica con lo

“spettacolo del dolore”, mo-

strando un volto sofferente, pur

di raccogliere fondi. Quale giu-

dizio dà?

Ci vuole delicatezza, sensibilitàe onestà. È vero che ciò che ve-diamo ci scandalizza molto piùdi ciò che sfugge al nostro sguar-do: pensiamo alla recente im-magine del bambino che mostra

Più comunicazione per ottenere più visibilitàe una solida alleanza fra enti non profit, ma occorre destinare un maggior quantità di risorse e usando quelle a disposizione con più ingegno

‘‘

’’

Annamaria TestaLa trama lucente. Che cos'è la creatività, perché ci appartiene, come funzionaRizzoli, 2010

Annamaria TestaLa parola immaginataPratiche Editrice, 2000

Arieti SilvanoCreatività. La sintesi magicaIl Pensiero Scientifico, 1990

H. Jaoui Creatività per tutti. Strumenti e metodi da impiegare nel quotidianoFranco Angeli, 1993

webwww.nuovoeutile.it

GRANDANGOLO

65

N EL CORSO DEGLI ULTIMI DECENNI in molti hanno cercato dimisurare ciò che è chiamato “valore sociale” o “valorepubblico” o “civile”; cioè il valore creato dalle organiz-

zazioni non profit, dalle imprese sociali, e dai programmi di in-tervento sociale1.

La richiesta di poter disporre di questi sistemi di misurazioneè sorta un po’ in tutti i settori per ragioni diverse: le fondazionivorrebbero poter indirizzare le loro sovvenzioni ai programmi e aiprogetti più efficaci; i funzionari pubblici, i politici, e gli uffici del

bilancio statale devono sistematica-mente rendere conto delle loro deci-sioni di spesa; gli investitori vorrebbe-ro disporre di sistemi di dati analoghia quelli derivanti dalla misurazionedel profitto e le organizzazioni nonprofit hanno la necessità di dimostra-re l’impatto sociale del loro operato afinanziatori, partner e beneficiari.

Il valore sociale si pesasoltanto con l’interazionetra domanda e offerta

Lezione americana

di Geoff Mulgan, direttore della Fondazione Young(traduzione a cura di Silvia Rapizza)

Un sistema di misurazioneefficace e rigoroso è un utile strumentoper far conoscere la propria attività a fondazioni, politici e donatori

Mostrerò come i responsabili del settorenon profit possano utilizzare

le informazioni della rendicontazioneper misurare ciò che non può essere

misurato e senza pretendere di misurare ciò che non può esserlo

‘‘

’’

Lezione americanadossier ottobre 2010

66

Aveva quindi necessità di un insieme di strumenti affidabilie flessibili che potessero essere di supporto al processo decisio-nale e di valutazione.

Abbiamo trovato centinaia di strumenti diversi tra loro e usatisia dal non profit che dal pubblico da fondazioni e da accademici.

Oltre a scoprire questa segmentazione, la nostra ricerca sug-geriva due altre ragioni per spiegare come mai solo raramente ledecisioni reali di basano su sistemi di misurazione.

In primo luogo, la maggior parte dei sistemi di misurazione as-sume che il valore misurato sia oggettivo e quindi rilevabile at-traverso l’analisi. Eppure, come gran parte degli economisti mo-derni ormai condivide, il valore non è un fatto oggettivo.

Anzi, il valore che emerge è il frutto dell’interazione tra do-manda e offerta, e riflette in ultima analisi, ciò che le persone ole organizzazioni sono disposte a pagare.

Poichè solo pochi strumenti riflettono tutto questo, c’è unainevitabile discrepanza tra essi e le priorità operative e strategichedell’organizzazione.

La seconda ragione per cui le attuali misurazioni del valoresociale non riescono a influenzare i decisori è che finiscono perfondere e confondere tre funzioni molto diverse: la rendiconta-zione a soggetti esterni; la gestione delle attività interne; la valu-tazione del’impatto sociale.

Nel settore delle imprese, i decisori utilizzano strumenti di-versi per ognuno di queste funzioni. Un costruttore di velivoli,per esempio, utilizza strumenti di misurazione definiti da leggi eregolamenti per spiegare ai portatoridi interesse esterni come spende isuoi soldi. La società, inoltre, utilizzaun secondo tipo di strumenti di mi-surazione per decidere come allocarele risorse nella costruzione di aerei.

La società, infine, utilizza un terzotipo di strumenti totalmente differen-ti per mostrare come la propria attivi-tà influenza importanti indicatori eco-nomici, quali per esempio il prodottointerno lordo.

Per rispondere a tali esigenze negli ultimi quarant’anni si èassistito alla proliferazione di sistemi di misurazione, con il ri-sultato di dar vita a numerosi metodi di calcolo in reciproca com-petizione2. Nonostante l’entusiasmo per tali sistemi, sono peròpochi a basare le proprie decisioni su queste misurazioni.

Nel settore non profit, anche tra quei manager particolar-mente rigorosi nel monitoraggio delle spese e delle entrate, so-no in pochi ad usare sistemi di misurazione sofisticati per allo-care meglio le risorse.

E allo stesso tempo nel settore pubblico il giudizio politicoconta più delle valutazioni dei costi-benefici.

Mi sono occupato di sistemi di misurazione del valore socia-le in diversi ruoli: come direttore dell’Unità di Strategia del go-verno britannico con a capo Tony Blair; come direttore della Fon-dazione Young, una ONG che ha creato decine di iniziative edinfine come consulente per molti altri governi. Ricoprendo que-ste posizioni ho avuto modo di capire non solo perché i sistemidi misurazione del valore sociale sono ignorati, ma ho anche com-preso come renderli più utili.

Una recente collaborazione tra il il servizio sanitario nazio-nale (NHS) del Regno Unito e la Fondazione Young si è rivelataessere un progetto particolarmente istruttivo.

L’NHS ha commissionato alla Fondazione Young lo sviluppodi uno strumento per la valutazione delle innovazioni dei servi-zi e per l’orientamento delle decisioni di investimento.

L’NHS è una grande organizzazione con un bilancio di circa 150miliardi dollari, una forza lavoro composta da 1,2 milioni di dipen-denti e con contratti stipulati con più di 30.000 imprese sociali.

Gli enti non profithanno la necessità didimostrare l’impattosociale del lorooperato e per taleesigenza negli ultimi40 anni si è assistitoad un proliferare di sistemi di misurazione

‘‘

’’ 67

1 Questo articolo si basa su diverse fonti principali, tra cui: Geoff Mulgan, Gavin Kelly eStephen Muers, “Creazione di Valore Pubblico”, Londra - Ufficio del Gabinetto del RegnoUnito, 2002; Geoff Mulgan, Gareth Potts, Matteo Carmona, Claudio de Magalhaes, e LouieSieh " Rapporto sul valore della Commissione di Architettura e l'ambiente edificato",Londra - Fondazione Young, 2006; Informazioni e dettagli su molti sistemi di misurazionesono stati recuperati dal sito internet della Fondazione Young.

2 I libri che seguono hanno fornito una buona panoramica: CJ Barrow, “Valutazionedell’Impatto Sociale: una introduzione”, London - Hodder Arnold, 2000; Henk A. Beckere Frank Vanclay (a cura di), “Il Manuale internazionale della valutazione dell’impattosociale”, Cheltenham, nel Regno Unito - Edward Elgar Publishing, 2006; "Individuare lecause ambientali delle malattie: come decidere in cosa credere e quando agire?" Accademiadelle Scienze Mediche, 2008; John Dewey “Teoria della Valutazione”, Università diChicago, 1939; Luc Boltanski, Thévenot Laurent, Catherine e Porter, “Sulla giustificazione:Economie di ciò che conta”, Princeton, NJ, Università di Princeton Press, 2006.

Lezione americanadossier ottobre 2010

68

pria mente e sono soggetti a molte forze sociali, psicologiche edambientali. Molti anni di impegno in processi decisionali basatisu elementi di prova mi hanno mostrato che sebbene le prove do-vrebbero dare forma a tutte le azioni, pochi ambiti consentono diprevedere con esattezza quali cause conducano a determinati ef-fetti. Le scienze sociali (compreso l’ambito del business) sempli-cemente non sono regolati da leggi simili a quelle proprie della fi-sica. Anche principi economici apparentemente solidi, come peresempio la regola secondo cui la domanda cala quando i prezzisalgono, presentano molte eccezioni.

Un secondo motivo che rende la misurazione del valore so-ciale particolarmente ardua è rappresentata dal fatto che in mol-ti dei campi più importanti di azione sociale, (prevenzione dellacriminalità, assistenza all’infanzia, scuola ecc.), le persone nonhanno una visione comune su ciò dovrebbe essere il risultato de-siderato e atteso.

In altre parole, il pubblico discute non solo di valore sociale,ma anche di valori sociali: non c’è accordo nemmeno su quelliche consideriamo valori sociali. Molte persone ritengono neces-sario imprigionare i criminali per punirli, anche se l’incarcera-zione costa di più e comporta meno benefici delle soluzioni al-ternative al carcere. Gli psicologi indicano questo atteggiamentocome la volontà di penalizzare altre forme di punizione altruisti-ca. Poichè l’etica, la morale e le priorità delle persone possono va-riare, le valutazioni del valore sociale che guardano solo ai costi ebenefici non saranno necessariamente in grado di influenzare mol-ti membri della collettività e i politiciche la rappresentano. I filosofi, da JohnDewey a Luc Boltanski, hanno ricono-sciuto da tempo che le società sono co-stituite da sistemi di valutazione e digiustificazione reciprocamente con-correnti e conflittuali . Ma i sistemi divalutazione del valore sociale hannospesso cercato di negare tale evidenza.

Anche senza questi problemi, mol-ti parametri del valore sociale sono in-trinsecamente inaffidabili. Le misura-

Eppure, nel settore pubblico e sociale, alcuni sostenitori dinuove misurazioni del valore sociale sostengono che i loro siste-mi possono giocare tutti e tre i ruoli.

Non sorprende che, malgrado sforzi coraggiosi, questi ten-tativi di fare tre cose insieme abbiano portato a non farne benenemmeno una.

Qui proverò a descrivere un modo migliore di pensare al va-lore sociale: il prodotto dell’interazione dinamica tra domanda eofferta nell’evoluzione dei mercati per il valore sociale. Mostropoi come i responsabili delle decisioni nel settore pubblico e nelsettore non profit possano utilizzare queste informazioni per mi-surare ciò che può essere misurato senza pretendere di misurareciò che non può esserlo.

Infine, raccomando modalità migliori per determinare sistemidi misurazione sociale.

Il mio consiglio principale è che le organizzazioni non profit re-sistano alla tendenza attuale di sviluppare strumenti di valutazioneseparatamente dalle politiche pubbliche e dalle scienze sociali ac-cademiche e che, invece, cerchino di collaborare con tutti i settori.

Un obiettivo difficile da perseguireIl fallimento del settore pubblico e sociale nel misurare il valoreda essi creato non deriva da carenza di intelligenza o di buoneintenzioni. Piuttosto riflette quattro complessità inevitabili cheintralciano la misurazione del valore sociale.

Prima fra tutte è la mancanza di leggi e convenzioni precise incampo sociale.

Molte persone vorrebbero consi-derare e trattare il settore sociale co-me le scienze naturali, in modo da po-ter, per esempio, prevedere conprecisione gli effetti di un investi-mento, diciamo, di 10 milioni di dol-lari in un programma di prevenzionedella criminalità. Ma a differenza del-le molecole, che seguono le regole del-la fisica in modo piuttosto fedele, gliesseri umani hanno ognuno una pro-

Non è possibiletrattare il settoresociale come le scienze naturali: il volontariato è soggetto a una molteplicità di sfumature che sono difficili da quantificare

‘‘

’’

Il pubblico discutenon solamente di valore sociale, ma anche di valorisociali. E fra le persone non c’èaccordo nemmenosu quelli checonsideriamo valorisociali condivisi

‘‘

’’ 69

Lezione americana

71

dossier ottobre 2010

70

non facciano i mercati commerciali. Un’analisi più dettagliatadei tassi di sconto ci fa ritenere che sia davvero così3. Nel setto-re della sanità molti Paesi applicano un tasso di sconto moltobasso o pari a zero, per far si che le giovani generazioni non sia-no svantaggiate rispetto a quelle che le hanno precedute. I Go-verni non prendono in considerazione i tassi di sconto quandosi tratta di investire nel settore dell’istruzione e delle tecnologiedi difesa. E nell’ambito delle politiche sul cambiamento clima-tico si è sviluppato un dibattito molto accesso su quale sia il tas-so di sconto da applicare. Di nuovo si fa sentire una questionemorale nel decidere e definire come valutare e pesare i bisognidelle generazioni future contro le esigenze di quelle attuali. Que-sti esempi rispecchiano la mia considerazione di partenza: il va-lore sociale non è un fatto oggettivo, ma emerge dall’interazionetra domanda e offerta, e quindi può cambiare a seconda del pe-riodo temporale considerato, delle persone coinvolte, dei luoghie delle situazioni.

La costruzione del valore socialePrendere a prestito pratiche e strumenti propri del mondo eco-nomico e degli affari, ha portato a commettere molti errori nellamisurazione del valore sociale. Eppure questi campi possono an-cora offrire lezioni e spunti importanti al settore dell’innovazio-ne sociale.

Per gran parte della storia, filosofi ed economisti hanno rite-nuto che il valore fosse un fatto oggettivo. Aristotele, per esempio,pensava che ci fosse un "giusto prezzo"per ogni cosa. E Karl Marxpensava che il valore fosse generato dal lavoro.

Ma più di recente, la maggior parte degli economisti ha ac-cettato che l’unico concetto di valore che abbia senso nasce dal-la interazione tra domanda e offerta sui mercati.

In altre parole, qualcosa ha valore solo se qualcuno è dispostoa pagare per esso. Questo approccio così netto irrita molte perso-ne perché implica che non ci possa essere un valore economico inun bel tramonto, in una specie minacciata, o in una meravigliosa

zioni del ritorno sociale degli investimenti (SROI), per esempio,spesso stimano in modo arbitrario i costi e i dividendi, con note-vole conseguente pregiudizio sul calcolo del valore finale. Il cal-colo del SROI (social return on investment) può contribuire a de-finire previsioni di massima, ma non è di nessun aiuto in caso didecisioni più precise. Altri metodi - preferenza rivelata e prefe-renza asserita - sono notoriamente inaffidabili. Anche se cercanodi fornire cifre precise, non sono metodi rigorosi se guardiamo aglistrumenti utilizzati per ricavare questi numeri. Ne risulta che que-sti metodi confondono spesso il rigore con la precisione. Un datoche REDF (n.d.r. REDF sta per Venture philantropy fund è unostrumento di misurazione messo a punto negli Stati Uniti) e SROIriconoscono sempre più.

Un ultimo elemento che rende difficoltosa la misurazione delvalore sociale è rappresentato dal tempo, dal valutare cioè l’am-montare delle conseguenze positive di un’azione che si manife-steranno nel tempo, rapportate al costo sostenuto per la sua mes-sa in atto. Nelle previsioni dei rendimenti commerciali sugliinvestimenti (ROI), gli imprenditori utilizzano tassi di sconto percalcolare se una data quantità di denaro oggi avrà meno valore infuturo. Con un tasso di sconto del 5%, per esempio, 100 dollaridi oggi, varrebbero solo 35,85 dollari tra 30 anni, e solo 7,69 dol-lari tra 50 anni.

Molte delle attuali misure del valore sociale, come SROI, usa-no tassi di sconto di tipo commerciale, forse a causa dell’errataconvinzione che trattare i tassi di sconto sociali allo stesso mo-

do di quelli commerciali possa farsembrare più rigorosi i sistemi di mi-surazione del valore sociale. Ma nonè chiaro perché le organizzazioni so-ciali e i Governi dovrebbero usare itassi di sconto commerciali, tanto piùche questi tassi svalutano radical-mente il futuro. Anzi, dovremmo spe-rare che le persone che operano inqueste organizzazioni prendano mol-to più in considerazione gli interessidelle generazioni future di quanto

Un elemento cherende difficoltosa la misurazione del valore sociale è il tempo, cioèl’ammontare delle conseguenzepositive dell’azionevolontaria in unfuturo prossimo

‘‘

’’3 Per un'analisi più completa dei tassi di sconto, tassi esponenziali, tassi iperbolici,

consultare il capitolo sul valore del libro “The Art of Public strategy” di Geoff Mulgan,Oxford University Press, 2009.

Lezione americanadossier ottobre 2010

piscono un bisogno come sufficientemente urgente da giustifica-re l’impiego delle loro risorse. Per esempio, alcuni Stati non sonodisposti a finanziare l’educazione sessuale o il trattamento farma-cologico delle persone dipendenti da droghe. In altri casi, molti go-verni sono disposti a impiegare risorse per ridurre l’obesità, mal’offerta di interventi è limitata. In queste situazioni qualsiasi de-scrizione del valore sociale è destinata a essere più sperimentaleed esplorativa.

In altri casi ancora, entrambi i lati dell’equazione domanda-offerta possono essere torbidi o complessi. Molti responsabili del-le politiche sociali, per esempio, hanno capito che soluzioni di ti-po olistico spesso danno risultati migliori. Ma approcci olisticihanno necessariamente a che fare con gli acquirenti, cioè con ladomanda, che è espressa da una molteplicità di soggetti (enti pub-blici, organizzazioni non profit, ecc.) ognuno con una propria vi-sione su ciò che realmente conta come valore.

Anche il lato dell’offerta può essere frammentato: aiutare isenzatetto, per esempio, può dipendere dal contributo di nu-merosi organismi diversi che garantiscono un servizio di tera-pia, il trattamento per non far uso di alcol, la formazione al la-voro, e l’alloggio. Anche in questi campi il valore sociale puòdiventare chiaro solo attraverso processi che permettano a do-manda ed offerta di interagire attraverso la discussione e la de-liberazione. Anche il più brillante ricercatore non può misura-re o persino descrivere il valore sociale se non si trova immersoin queste discussioni.

Numeri utili e la scala di giudizioQuesti elementi sono emersi con chia-rezza nel lavoro svolto per il sistemasanitario nazionale (NHS - NationalHealth Service) del Regno Unito cheha preso in considerazione tutto: dal-le visite di controllo di routine agliambulatori; da interventi per favorireil cambiamento dei comportamenti, aiprogrammi comunitari. Il vantaggio diun unico servizio sanitario integrato

opera d’arte. Ma questa definizione di valore è utile perché co-stringe gli economisti ad osservare il comportamento reale, piut-tosto che cercare di scoprire realtà nascoste.

I tempi sono maturi affinché il settore sociale trovi un altret-tanto semplice punto di partenza, e affinché il valore sociale siapercepito come il risultato della reciproca interazione tra ciò cheio chiamo la domanda effettiva e l’offerta effettiva.

Per domanda effettiva si intende che qualcuno sia disposto apagare per un servizio o un risultato. Quel “qualcuno” può esse-re un ente pubblico, una fondazione, o singoli cittadini.

Per offerta effettiva ci si riferisce ad un servizio o ad un esitodi lavoro conveniente, ed implementabile. Io uso l’aggettivo "ef-fettivo" perché i problemi sociali rinviano sempre ai concetti dimera domanda ed offerta. Ma per misurare il valore sociale, le for-niture e le richieste devono essere effettive nei sensi di cui sopra.

Mercati, conversazioni e negoziazioni creano dunque un le-game tra persone e organizzazioni che portano bisogni e necessi-tano risorse da una parte e dall’altra persone e organizzazioni cheoffrono soluzioni e servizi.

I sistemi di misurazione del valore sociale sono utili quandosono in grado di dare forma a questi mercati, conversazioni e ne-goziazioni. In alcuni settori, i legami tra domanda e offerta sono or-mai maturi. Per esempio, molti elettori sono disposti a pagare letasse per le forze di polizia e le scuole primarie, e molti Governisono in grado di fornire questi servizi. Allo stesso modo, molti do-natori sono disposti a finanziare l’assistenza sanitaria per i bam-

bini nei paesi in via di sviluppo, emolte associazioni locali e Chiese sonoin grado di fornire tale assistenza. Inquesti ambiti, analizzare il valore so-ciale non è difficile, perché i legami traciò che vogliono i finanziatori e ciòche i fornitori possono offrire è chiaro.

Ma per altre questioni sociali, i lega-mi tra domanda e offerta sono carenti.

In alcuni casi, la domanda effetti-va può mancare perché finanziatori,politici o privati cittadini non perce-

I tempi sono maturiaffinché il settoresociale trovi unpunto di partenza e affinché il valoresociale sia percepitocome il risultato di una reciropcainterazione fradomanda e offerta

‘‘

’’

Il valore sociale può diventare chiaro soloattraverso processiche permettano a domanda e offertadi interagire attraverso la discussione e ladeliberazione

‘‘

’’72 73

Lezione americana

75

dossier ottobre 2010

74

cora allo stato di promessa da parte di un gruppo di medici o in-fermieri, a un’idea che è già stata sperimentata su piccola scalao a una iniziativa pronta per il salto di qualità. Gli utenti posso-no anche effettuare un commento che espliciti meglio i voti as-segnati. In alcuni casi, i decisori possono contare su dati solidi,per esempio dati provenienti da un processo controllato di estra-zione casuale. In altri casi, dovranno poter contare in minore mi-sura su numeri certi. Per cogliere questa variabilità, lo strumen-to prevede anche misure dell’affidabilità delle prove su cui igiudizi sono basati. La presentazione visiva dei risultati dimostrapoi in modo chiaro i giudizi. Una volta appreso, lo strumento diNHS è veloce da usare e trasparente. Più utenti possono prenderevisione dei giudizi e delle valutazioni e, a tempo debito, con-frontarli con quanto è effettivamente accaduto.

Dieci fondi regionali per l’innovazione (valore di circa 350milioni dollari in totale) stanno usando questo sistema come ba-se per le decisioni e invitano coloro che fanno richiesta di finan-ziamento a utilizzare lo strumento per valutare se stessi.

I decisori possono anche utilizzare lo strumento per riesami-nare il loro reciproco lavoro, per assicurare la coerenza delle lo-ro decisioni, e per comunicare con gli altri enti pubblici.

Il risultato netto dello strumento NHS è una fotografia del va-lore sociale che esplicita quanto ha valore e quanto no, che noncerca di combinare tutto in un unico numero, che è inoltre tra-sparente e interrogabile e che è abbastanza semplice da poter es-sere usato dai decisori quando devono far fronte a una grandequantità di esempi. E infine evita l’errore di applicare un unicotasso di sconto a misurazioni diverse.

La creazione dei mercatiHo descritto questo strumento perché è un approccio che rendefunzionale il valore sociale e capace di bilanciare la coerenza, laconsistenza e la semplicità con la flessibilità necessaria per af-frontare fenomeni complessi e disordinati. Il suo sviluppo è sta-to favorito dal fatto che il sistema sanitario nazionale (NHS) èun’organizzazione che esplicita in modo chiaro quanto necessitae quanto è in grado di offrire. Ma, per la maggior parte delle or-ganizzazioni non profit, la domanda e l’offerta sono più sfumate

come il NHS consiste nel fatto che deve esplicitare le proprie esi-genze/richieste, cioè che quello di cui ha bisogno, e ciò che è di-sposto a pagare. L’offerta efficace del NHS è anche ragionevol-mente facile da definire e comprende medici, infermieri,manager, imprese sociali, fornitori privati, e membri del pubbli-co. Per aiutare il sistema sanitario nazionale a prendere le deci-sioni migliori e ad allocare le proprie risorse nel modo più effi-cace, la Fondazione Young ha creato uno strumento che rendeesplicito il valore sociale delle varie alternative.

Poco fa ho descritto i tre diversi ruoli che i sistemi di misurazio-ne del valore sociale possono giocare - rendicontare verso l’esterno,supportare il processo decisionale interno e valutare il più ampio im-patto sociale. Lo strumento che abbiamo sviluppato si concentra esat-tamente sul secondo di questi obiettivi. Cerca di misurare il valoreche deriva al singolo individuo dall’essere sano, piuttosto che mala-to, a coloro che si occupano della cura, alla comunità più ampia (peresempio dal controllo delle malattie infettive) e al contribuente.

Lo strumento che abbiamo creato non è un semplice program-ma informatico o di calcolo, è un quadro di riferimento per pensa-re al valore. Come molti degli strumenti utilizzati per valutare il va-lore sociale, anche questo richiede una serie di giudizi valutativi.

I giudizi possono ricadere in quattro categorie principali diinformazioni:1. il modello strategico: in che modo l’innovazione proposta ri-

sponde alle esigenze del servizio sanitario; 2. esiti potenziali per la salute: che considera anche il probabi-

Lo strumento che abbiamo creatonon è un sempliceprogrammainformatico oppure di calcolo, ma è un quadro di riferimento per pensare al valore sociale

‘‘

’’

le impatto sulla qualità della vitanegli anni e la soddisfazione delpaziente;

3. risparmio di costo ed effetti eco-nomici;

4. rischi connessi con l’attuazione.Di fronte a una proposta, gli uten-

ti dello strumento applicano una sca-la di giudizio da 0 a 5 per votare laproposta su elementi di ciascuna diqueste categorie.

Le proposte vanno da un idea an-

Lezione americanadossier ottobre 2010

Molti gruppi, come i senzatetto, i lavoratori migranti e le perso-ne che soffrono di malattie mentali, sono portatori di bisogni evi-denti, ma mancano delle risorse e del potere politico necessario pertradurre i loro bisogni in domanda. Le fondazioni possono trasfor-mare questa domanda latente in domanda effettiva.

Per esempio, molte fondazioni europee che supportano im-migrati privi di documenti hanno contribuito a sviluppare il latodella domanda di questo mercato sociale emergente, incorag-giando le organizzazioni non profit più grandi e le autorità pub-bliche ad allocare le risorse (per esempio l’alloggio e l’assistenzasanitaria) per rispondere a questo problema. Dal lato dell’offerta,tali fondazioni hanno finanziato progetti promettenti che sonopiù efficaci nel soddisfare le esigenze di questo gruppo.

Alcune fondazioni stanno altresì sviluppando un mercato (do-ve domanda ed offerta si possono incontrare) per affrontare il pro-blema degli abusi sugli anziani.

Dal lato della domanda, hanno finanziato la ricerca per evi-denziare le dimensioni del problema e cercano di influenzare icommissari del Governo ad allocare risorse e attenzione ad esso.Dal lato dell’offerta, hanno sostenuto programmi innovativi perprevenire o far diminuire gli abusi. In entrambi i casi, le risorsedei governi sono di gran lunga superiori quelli delle fondazionie delle organizzazioni non profit.

Tutti coloro che vogliono generare un rilevante impatto so-ciale, devono “immischiarsi” con il mondo della politica e del-le prestazioni pubbliche.

I buoni conti in campo sociale Il campo dell’innovazione sociale puòimparare alcune lezioni dal mondodell’economia e del commercio. Masenza essere ingenui. Come il crollodella Enron e di Lehman Brothers han-no rivelato, anche parametri apparen-temente oggettivi come il profitto, noncorrispondono esattamente a quantostudiato sui libri di economia. E nelmondo degli affari, i conti sono proprio

e ogni diverso ambito di azione porta con sé un diverso insiemedi preoccupazioni.

Le istituzioni per la formazione scolastica, per esempio, creanovalore per gli studenti e la società più ampia. Esse si affidano ad unaricerca strutturata per decidere che tipo di istruzione offrire e conquali ritorni verso precisi destinatari.

La formazione professionale, al contrario, presenta un diver-so insieme di considerazioni. Certi tipi di abilità possono essereutili ad un solo settore, o ad un piccolo gruppo di datori di lavo-ro. Un programma che offre supporto intensivo ad un tossicodi-pendente porterà un insieme di valori e utilità ancora più com-plesso, che comprende l’utilità per l’individuo (sia sul pianofinanziario che su quello sanitario), l’utilità per la comunità (de-rivante per esempio, dalla diminuzione della criminalità), ma an-che utilità per una vasta gamma di enti pubblici (dagli ospedali icui servizi di emergenza saranno utilizzati di meno, alla polizia,prigioni, e alle agenzie di welfare).

Visto da questo punto di vista, il lavoro di finanziatori non è quel-lo di soffermarsi su un particolare metodo di misurazione del valo-re. Anche se esistono utili quadri di riferimento per riflettere sul va-lore, i finanziatori devono di volta in volta adattare questi quadriall’organizzazione e al settore in esame. In effetti, il più grande con-tributo che può essere offerto dai finanziatori, non è costituito dallamisurazione del valore, ma dal rafforzare i vincoli tra domanda ed of-ferta che poi genererà valore. Per esempio, possono rafforzare l’of-

ferta effettiva sostenendo dei progettipromettenti e raccogliendo elementi diprova su quanto può funzionare. Essipossono investire in domanda effettiva,convincendo i Governi a utilizzare leloro risorse, di gran lunga maggiori alleloro, per finanziare nuovi servizi. E pos-sono usare il loro potere di convocazio-ne per mettere in relazione acquirenti efornitori e poi incoraggiarli a parlarsi.Le fondazioni possono anche aiutare leparti in gioco meno influenti ad averevoce sul mercato.

Il più grandecontributo che puòessere offerto dai finanziatori non è costituito dalla misurazionedel valore, ma dalrafforzare i vincoli di domanda e offerta chegenererà valore

‘‘

’’

Le organizzazioni piùgrandi dovrebberodistinguere con attenzione le misurazioni che servono a rendicontareesternamente da quelle cheaiutano la gestione interna

‘‘

’’ 7776

dossier ottobre 2010

78

questo: conti. Sono modi per spiegare cosa si sta facendo, con unocchio verso gli interessi spesso in conflitto di cui sono portatori in-vestitori, manager, enti regolatori e consumatori.

Essi coinvolgono valutazioni così come fatti. Chiunque voglia fi-nanziare beni sociali e chiunque abbia voglia di fornire questi benidovrebbe utilizzare parametri e sistemi di misurazione per chiarirecome le risorse investite possono contribuire ai risultati, così comeper chiarire le decisioni prese e le compensazioni. Ma dovrebbero ab-bandonare quei sistemi di misurazione che mettono in ombra que-ste scelte o che pretenderebbero di offrire una falsa obiettività.

Inoltre, dovrebbero usare i parametri di misurazione solo inmodo proporzionato. Non è ragionevole per una piccola organiz-zazione investire le scarse risorse in stime di valore sociale ela-borate e complesse, anche perché queste stime sono destinate asbriciolarsi a seguito di controlli seri.

Le organizzazioni più grandi, che invece necessitano di mi-surazioni del valore sociale, dovrebbero distinguere con atten-zione quelle che servono a rendicontare esternamente da quelleche aiutano la gestione interna e da quelle su cui si fondano le va-lutazioni di più ampi modelli di impatto sociale.

Se l’organizzazione utilizza lo stesso metodo per tutti e tre gliobiettivi, le sue conclusioni saranno quasi certamente errate.

Le persone che si occupano di finanziare attività che produ-cono valore sociale, necessitano di precisi quadri di riferimentocomuni, sia che si tratti di innovazioni promettenti o di iniziati-ve di più ampie dimensioni.

Un uso più ampio di questi framework condivisi sarebbe piùutile della proliferazione di stru-menti di valutazione sempre piùnumerosi.

Sulla base di questi quadri diriferimento ciò che conta è laqualità della discussione e dellanegoziazione e la profondità diquanto sarà appreso qualche an-no più tardi, quando i parteci-panti potranno riflettere su ciòche ha o non ha funzionato.

CJ Barrow Social Impact Assessment: An Introduction London: Hodder Arnold, 2000

Luc Boltanski, Laurent Thévenot,and Catherine Porter On Justification: Economies of Worth Princeton University Press, 2006

webwww.youngfoundation.orgwww.ssireview.org

GRANDANGOLO

Chi legge Vdossier cambia

la società

IN C

ASO D

I M

AN

CATO

RECAPIT

O I

NVIA

RE A

LL’U

FFIC

IO S

I CM

P R

OSERIO

[M

ILAN

O]

PER L

A R

ESTI

TUZIO

NE A

L M

ITTE

NTE

CH

E S

’IM

PEG

NA A

PAG

ARE IL

DIR

ITTO

FIS

SO D

OVU

TO

Centro servizi per il volontariato nella provincia di MilanoRivista trimestraleAnno 1 numero 1 maggio 2010

Perché la crisi sarà un bene per il volontariatoMagattiNon profit, via d’uscitaalla dittatura del desiderioe al capitalismo illiberale

NervoUna supplica ai politici«Ascoltate i poveriprima di ogni scelta»

ZamagniI corsi di formazione?Non bastano piùOra servono vere scuole

dossier

Ann

o 1 num

ero 1 maggio 20

10

dossier