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SITOX UNIPRO CONSENSUS DOCUMENT RELATIVO A: “VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA DI RESIDUI INEVITABILI DI METALLI PRESENTI COME IMPUREZZE IN PRODOTTI COSMETICI”

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SITOX UNIPRO

CONSENSUS DOCUMENT RELATIVO A:

“VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA DI RESIDUI

INEVITABILI DI METALLI PRESENTI COME IMPUREZZE

IN PRODOTTI COSMETICI”

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INDICE

1. INTRODUZIONE 3

2. CONTESTO NORMATIVO 4

2.1. IL QUADRO NORMATIVO GENERALE 4 2.1.1 LA DISCIPLINA COMUNITARIA 4 2.1.2 LA DISCIPLINA NAZIONALE 5 2.2 LA DISCIPLINA NAZIONALE E COMUNITARIA RELATIVA ALLA PRESENZA DI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI 6

3. CONFRONTO TRA METODOLOGIE PER LA DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO TOTALE

DEI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI 9

3.1 PREMESSA 9 3.2 METODOLOGIE ANALITICHE 10 3.3 METODI DI ANALISI PIÙ COMUNEMENTE UTILIZZATI NEI PRODOTTI COSMETICI 11

4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO 13

4.1 IDENTIFICAZIONE DEL PERICOLO 13 4.2 CARATTERIZZAZIONE DEL PERICOLO 14 4.3 VALUTAZIONE DELLʼESPOSIZIONE UMANA 16 4.4 ALTRI EFFETTI INDESIDERATI: ALLERGIA 17

5. VALUTAZIONE TOSSICOLOGICA E DEL POTENZIALE ALLERGENICO DEI METALLI PESANTI 19

5.1 ARSENICO 19 5.2 CADMIO 24 5.3 COBALTO 27 5.4 CROMO 29 5.5 MERCURIO 38 5.6 NICHEL 40 5.7 PIOMBO 43

6. ESEMPI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DEI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI 45

7. CONCLUSIONI 55

8. ABBREVIAZIONI 57

9. REFERENZE 59

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1. INTRODUZIONE

Il termine “metalli pesanti” viene sempre più spesso impiegato per identificare un gruppo di metalli e di semimetalli in relazione alla loro presenza come elementi in tracce nei prodotti e alle loro potenziali caratteristiche tossiche ed ecotossiche. Esistono varie definizioni di “metalli pesanti” che si basano principalmente sulla densità o sul peso atomico degli elementi considerati. Tuttavia non è mai stata formalizzata una definizione definitiva e consolidata da parte di nessun organismo internazionale autorevole quale, ad esempio, lo IUPAC. I metalli sono distribuiti in modo più o meno uniforme in tutto l’ambiente che ci circonda, sono diffusi nelle rocce e nella crosta terrestre e presenti negli alimenti e nell’acqua. Proprio a causa della loro presenza pressoché ubiquitaria nell’ambiente, è praticamente impossibile scongiurare completamente una quotidiana esposizione ai metalli pesanti. Sebbene storicamente alcuni metalli pesanti siano stati impiegati nell’antichità nei prodotti cosmetici (basti ricordare l’impiego di cosmetici a base di mercurio fatto dagli antichi romani e greci), i “metalli pesanti” non sono oggi mai utilizzati quali ingredienti dei prodotti cosmetici. Il loro impiego è infatti esplicitamente vietato dalla Direttiva 76/768/CEE sui prodotti cosmetici, che li inserisce all’interno dell’All. II, l’elenco che contiene le sostanze che non possono essere impiegate nella composizione dei prodotti cosmetici. Tuttavia, proprio in considerazione della loro ubiquitarietà, la normativa europea sui cosmetici, e lo stesso Regolamento europeo n. 1223/2009/CE, ammette la presenza di metalli nei prodotti finiti se a livello di tracce tecnicamente inevitabili, ferma restando l’osservanza delle buone pratiche di fabbricazione e, soprattutto, a condizione che il prodotto finale risulti sicuro nelle normali e ragionevolmente prevedibili condizioni d’uso, a seguito della valutazione effettuata dal valutatore della sicurezza. Ciò premesso, il legislatore si è limitato a rapportare la tollerabilità della presenza tecnicamente inevitabile di tracce di metalli nei prodotti al principio generale della valutazione del rischio, che incombe sul produttore con riferimento a ogni singolo prodotto, senza fornire parametri di valutazione condivisi o soffermarsi sulle sole caratteristiche di pericolosità dei metalli eventualmente presenti in tracce. Ciò, in stretta coerenza con l’approccio che guida di fatto tutta la normativa europea sui cosmetici. In questo contesto, il presente documento, frutto del lavoro di un gruppo di esperti in rappresentanza di diverse discipline scientifiche e mediche (tossicologia, dermatologia, chimica analitica) e di diverse competenze (legali, formulative, tecnologiche) e che ha lavorato sotto l’egida della Sitox, Società Italiana di Tossicologia, intende offrire una panoramica quanto più esaustiva sulla tematica della sicurezza dei prodotti cosmetici in relazione ad eventuali tracce di metalli pesanti,nonché di offrire agli operatori economici interessati ed alle autorità regolatorie e di controllo nazionali le informazioni ed i dati necessari per la valutazione della sicurezza di tali prodotti.

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2. CONTESTO NORMATIVO

2.1. IL QUADRO NORMATIVO GENERALE

L’analisi delle problematiche connesse alla presenza di metalli pesanti nei prodotti cosmetici muove da un esame delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano la produzione, la commercializzazione e, in particolare, i requisiti di sicurezza di tali prodotti. Il settore dell’industria cosmetica, infatti, è disciplinato da norme speciali che, seppur ispirate ai principi generali introdotti dal legislatore in materia di sicurezza e qualità di tutti i beni di consumo, regolamentano nel dettaglio e rapportano tali principi alle peculiarità, appunto, di tale categoria merceologica di prodotti.(1) 2.1.1 La disciplina comunitaria

La disciplina comunitaria in materia di cosmetici è stata introdotta dalla Direttiva 27 luglio 1976 n. 76/768/CE (“concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici”), ed ha subito molteplici aggiornamenti e modifiche nel corso degli anni mantenendo inalterato il principio ispiratore originario, per cui l’obiettivo di ottenere un sistema armonizzato di norme a garanzia della sicurezza e della qualità dei prodotti cosmetici deve essere conseguito da un duplice punto di vista. Da un lato, infatti, il legislatore comunitario ha attribuito in primis al produttore la responsabilità dell’immissione in commercio di cosmetici sicuri, stabilendo che “I prodotti cosmetici commercializzati all'interno della Comunità non devono causare danni alla salute umana se applicati in condizioni d'uso normali o ragionevolmente prevedibili, tenuto conto in particolare della presentazione del prodotto, dell'etichettatura, delle eventuali istruzioni per l'uso e l'eliminazione, nonché di qualsiasi altra indicazione o informazione da parte del fabbricante o del suo mandatario o di ogni altro responsabile della commercializzazione di questi prodotti sul mercato comunitario” (art. 2). Dall’altro, lo stesso legislatore ha previsto che, a prescindere dalle valutazioni del produttore, la sicurezza dei prodotti cosmetici debba essere subordinata al rispetto di disposizioni specifiche che, adeguandosi al progresso della tecnica, escludano, limitino o condizionino l’utilizzo di determinate sostanze nella loro composizione.(2)

(1)

La Parte IV Titolo I del D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206 (“Codice del consumo”) in materia di sicurezza generale e qualità dei prodotti, infatti, stabilisce che “ciascuna delle sue disposizioni si applica laddove non esistono, nell’ambito della normativa vigente, disposizioni specifiche aventi come obiettivo la sicurezza dei prodotti” e che “se taluni prodotti non sono soggetti a requisiti di sicurezza prescritti da normativa comunitaria, le disposizioni del presente titolo si applicano unicamente per gli aspetti ed i rischi o le categorie di rischio non soggetti a tali requisiti” (art. 102). (2)

L’art. 4 stabilisce che “fatti salvi gli obblighi generali loro imposti dall'articolo 2, gli Stati membri vietano l'immissione in commercio dei prodotti cosmetici che contengono: a) sostanze di cui all'allegato II; b) sostanze elencate nella parte prima dell'allegato III oltre i limiti stabiliti e al di fuori delle condizioni indicate…..”.

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Tale disciplina è stata recentemente sostituita dal Regolamento 30 novembre 2009 n. 1223/2009/CE (“Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui prodotti cosmetici”), entrato in vigore in seguito alla pubblicazione sulla G.U.U.E. il 22 dicembre 2009, la cui definitiva applicazione, tuttavia, avverrà il 11 luglio 2013. Il Regolamento – che, a differenza della direttiva 76/768/CE, è direttamente applicabile negli Stati membri e, pertanto, persegue l’obiettivo di definitivamente armonizzare le norme cosmetiche all’interno della Comunità europea – mantiene sostanzialmente inalterati i principi sopra menzionati e relativi alla sicurezza dei prodotti cosmetici, per cui è attribuito innanzitutto al produttore/”persona responsabile”, o meglio al “valutatore della sicurezza”, stabilire le condizioni di sicurezza di ciascun prodotto, fermi restando i limiti oggettivi relativi all’impiego di determinate sostanze.(3) 2.1.2 La disciplina nazionale

La disciplina nazionale di settore è posta con la Legge 11 ottobre 1986, n. 713 (“Norme per l’attuazione delle direttive della Comunità economica europea sulla produzione e la vendita di cosmetici”) emanata in attuazione della direttiva 76/768/CE e successive modificazioni e, in funzione della sua diretta applicabilità, dal Regolamento n. 1223/2009/CE la cui definitiva entrata in vigore, come detto, avverrà nel 2013. (4) La legge italiana – e non poteva essere diversamente – ha recepito le disposizioni della direttiva 76/768/CE, attribuendo innanzitutto al produttore il compito di valutare la sicurezza dei propri prodotti e introducendo specifiche sanzioni volte a punire, da un lato, l’immissione in commercio di cosmetici pericolosi per la salute umana e, dall’altro, l’impiego di sostanze vietate nella loro composizione. (5)

(3)

Gli artt. 3 e 10 stabiliscono che “i prodotti cosmetici messi a disposizione sul mercato sono sicuri per la salute umana se utilizzati in condizioni d'uso normali o ragionevolmente prevedibili, tenuto conto in particolare di quanto segue: a) presentazione, compresa la conformità alla direttiva 87/357/CEE; b) etichettatura; c) istruzioni per l'uso e l'eliminazione; d) qualsiasi altra indicazione o informazione da parte della persona responsabile.” e che “al fine di dimostrare la conformità di un prodotto cosmetico all'articolo 3, la persona responsabile garantisce che i prodotti cosmetici, prima dell'immissione sul mercato, siano stati sottoposti alla valutazione della sicurezza sulla base delle informazioni pertinenti e che sia stata elaborata una relazione sulla sicurezza dei prodotti cosmetici a norma dell'allegato I. La persona responsabile garantisce che: a) l'uso verosimile cui è destinato il prodotto cosmetico e l'esposizione sistemica anticipata ai singoli ingredienti in una formulazione finale siano presi in considerazione nella valutazione della sicurezza; b) nella valutazione della sicurezza sia utilizzato un approccio adeguato basato sulla forza probante per rivedere i dati provenienti da tutte le fonti esistenti; c) la relazione sulla sicurezza dei prodotti cosmetici sia aggiornata tenendo conto delle informazioni supplementari pertinenti disponibili successivamente all'immissione sul mercato del prodotto”. L’art. 14 stabilisce che “fatto salvo l'articolo 3, i prodotti cosmetici non possono contenere: a) sostanze vietate di cui all'allegato II; b) sostanze soggette a restrizioni non impiegate conformemente alle restrizioni indicate nell’allegato III……”. (4)

Ferma restando la permanenza in vigore della L. n. 713/1986, l’art. 39 del Regolamento stabilisce che “in deroga alla direttiva 76/768/CEE – e, dunque, anche alla L. n. 713/1986 – i prodotti cosmetici conformi al presente regolamento possono essere immessi sul mercato prima del 11 luglio 2013”. (5)

L’art. 10ter della L. 713/1986 stabilisce che “il produttore ……tiene ad immediata disposizione del Ministero della Sanità – Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza, …..le seguenti informazioni: d) la valutazione della sicurezza per la salute umana del prodotto finito. A tale riguardo, il fabbricante prende in considerazione il profilo tossicologico generale degli ingredienti, la struttura chimica e il livello d'esposizione. Prende in considerazione in particolare le caratteristiche peculiari dell'esposizione delle parti sulle quali il prodotto viene applicato o la popolazione alla quale il prodotto è destinato. In particolare, effettua, tra l'altro, una specifica

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2.2 LA DISCIPLINA NAZIONALE E COMUNITARIA RELATIVA ALLA PRESENZA DI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI

Se questo è il quadro regolatorio generale, la disciplina relativa alla tollerabilità dell’eventuale presenza di metalli pesanti nei cosmetici deve ricercarsi, innanzitutto, nelle norme nazionali e comunitarie sopra menzionate. I metalli, infatti, sono compresi nell’allegato II della direttiva 76/768/CE tra le sostanze che “non possono essere presenti nella composizione dei prodotti cosmetici” (art. 4 comma 1, recepito dall’art. 2 comma 1 della L. n. 713/1986). Il legislatore comunitario, tuttavia, – e qui iniziano le difficoltà interpretative – ha previsto che “si tollera la presenza di tracce delle sostanze elencate nell’allegato II a condizione che essa sia tecnicamente inevitabile, nonostante l’osservanza di procedimenti corretti di fabbricazione e purchè sia conforme all’art. 2” – relativo alla sicurezza del prodotto cosmetico finito – e che “sono determinati – dalla Commissione europea – i metodi di analisi necessari per controllare la composizione dei prodotti cosmetici e i criteri di purezza batteriologica e chimica dei prodotti cosmetici e i metodi di controllo di detti criteri” (artt. 4 comma 2 e 8 comma 1 della direttiva 76/768/CEE). Il legislatore nazionale ha recepito tale disposizione, stabilendo che “la presenza di tracce – di sostanze vietate – è tollerata a condizione che sia tecnicamente inevitabile, nonostante l’osservanza di procedimenti corretti di fabbricazione e purchè sia conforme alle disposizioni di cui all’art. 7 comma 1”, quindi “sicuro” e che “il Ministro della Sanità, tenendo conto delle direttive comunitarie, determina, con proprio decreto, i metodi di analisi necessari per controllare la composizione dei prodotti cosmetici ed altresì i criteri di purezza batteriologica e chimica e relativi metodi di controllo, nonché, se del caso, particolari prescrizioni per la conservazione” (art. 7 comma 2). L’introduzione del concetto di presenza di “tracce tecnicamente inevitabili”, dunque, unitamente al rinvio all’emanazione di norme armonizzate volte ad individuare i criteri di purezza chimica dei prodotti cosmetici, risponde all’esigenza di stabilire parametri certi cui rapportare la sicurezza dei prodotti in cui venisse riscontrata la presenza di sostanze vietate (quindi, nell’intenzione del legislatore, anche dei prodotti contenenti tracce di metalli pesanti) e garantire criteri di valutazione omogenei da parte degli Sati membri, nel rispetto del principio di libera circolazione delle merci sancito dagli articoli 28 e 30 del Trattato UE. Come noto, tuttavia, ad oggi non è stata emanata alcuna direttiva comunitaria volta a stabilire i criteri di purezza chimica e, di conseguenza, i limiti di tollerabilità delle eventuali tracce “tecnicamente inevitabili” di metalli pesanti nei prodotti cosmetici, il che ha indotto in qualche caso le Autorità dei singoli Stati membri ad adottare misure transitorie o a predisporre documenti orientativi di non sempre agevole decifrabilità e applicabilità, ingenerando una situazione di sostanziale incertezza in materia.

valutazione dei prodotti cosmetici destinati a bambini di età inferiore a tre anni e di quelli destinati unicamente all'igiene intima esterna”. Per la legge italiana, inoltre, costituisce reato la condotta di “chiunque produce, detiene per il commercio o pone in commercio prodotti cosmetici che, nelle normali o ragionevolmente prevedibili condizioni di impiego possono essere dannosi per la salute” (art.7) e di “chiunque impiega nella preparazione di cosmetici sostanze indicate nell’allegato II” (art. 3).

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Né il problema è stato affrontato e risolto in seguito all’emanazione del Regolamento n. 1223/2009/CE che, in linea con l’orientamento del legislatore del 1976, una volta precisato che “per garantire la sicurezza dei prodotti, le sostanze vietate dovrebbero essere ammesse solo sotto forma di tracce se tecnicamente inevitabili anche osservando procedimenti corretti di fabbricazione e a condizione che il prodotto in questione sia sicuro” (37° considerando) si è limitato a stabilire che “la presenza involontaria di una quantità ridotta di una sostanza vietata, derivante da impurezze degli ingredienti naturali o sintetici, dal procedimento di fabbricazione, dall'immagazzinamento, dalla migrazione dall'imballaggio e che è tecnicamente inevitabile nonostante l'osservanza di buone pratiche di fabbricazione, è consentita a condizione che tale presenza” non incida sulla sicurezza del cosmetico (art. 17). Il Regolamento, d’altra parte, ribadisce e sottolinea il principio per cui l’involontarietà e, di conseguenza, la tollerabilità della presenza di sostanze vietate deve essere valutata caso per caso in funzione della sua incidenza sulla sicurezza del prodotto finito; l’Allegato I, infatti, prevede espressamente che la “Relazione sulla sicurezza del prodotto cosmetico” deve contenere “prova dell’inevitabilità tecnica” delle eventuali tracce di sostanze vietate e che “va tenuto conto anche degli eventuali effetti sul profilo tossicologico dovuti a impurezze delle sostanze e delle materie prime utilizzate” (punti 4 e 8). Alla luce del quadro normativo vigente, dunque, si deve concludere che la presenza nei cosmetici di “tracce” di sostanze vietate (metalli) è tollerata alla triplice condizione (i) che tale presenza sia “involontaria” o “tecnicamente inevitabile”, (ii) che la stessa si verifichi nonostante “l’osservanza di buone pratiche di fabbricazione” e (iii) che il prodotto risulti sicuro “nelle ragionevolmente prevedibili condizioni d’uso”. A livello nazionale, negli ultimi anni il Ministero della Salute ha ritenuto di ovviare alla situazione d’incertezza venutasi a creare per l’assenza di norme armonizzate che individuassero parametri oggettivi ai quali rapportare la valutazione di sicurezza dei prodotti cosmetici in cui venisse riscontrata la presenza di metalli pesanti, chiedendo e ottenendo dall’Istituto Superiore di Sanità una serie di pareri nei quali, muovendo da analoghe iniziative intraprese dalle Autorità sanitarie di altri Paesi europei come la Germania, sono stati indicati dei limiti, considerati come valori massimi di metalli pesanti ritenuti accettabili in quanto tecnicamente inevitabili. (6) Si tratta peraltro di indicazioni orientative non vincolanti, in quanto espresse in documenti interni, mai diffusi o pubblicati, che il Ministero della Salute “intenderebbe acquisire e applicare”, previo parere del Consiglio Superiore di Sanità (Nota Min Sal 0018709 – P – 10/05/2010); peraltro, la recente giurisprudenza penale di merito ha ritenuto che il superamento dei limiti determinati in tali documenti non sia circostanza sufficiente a sancire la presunta pericolosità dei prodotti in assenza di un “Decreto del Ministero della Salute che stabilisca i limiti di concentrazione di metalli pesanti nei prodotti cosmetici”. (7) E’ pertanto auspicabile che, unitamente alle valutazioni scientifiche che hanno orientato la disciplina di altri Paesi quali ad esempio il Canada, i limiti in discussione possano finalmente ispirare la predisposizione e l’emanazione di Linee guida volte a regolamentare tale delicato

(6)

Il riscontrato superamento dei limiti indicati dall’Istituto Superiore di Sanità, così come il riferimento improprio a limiti di tollerabilità stabiliti da normative volte a regolamentare settori merceologici diversi – come la direttiva 76/769/CE in materia di sostanze pericolose, nella parte in cui definisce un limite di cessione del nichel da oggetti destinati a venire a contatto con la pelle – hanno recentemente indotto gli Organi di vigilanza ad applicare misure restrittive su taluni prodotti cosmetici in commercio, determinando una situazione di grave incertezza nel settore dell’industria cosmetica. (7)

Tribunale di Bergamo, sentenza del 24 novembre 2011.

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profilo di criticità dell’industria cosmetica fermo restando che l’eventuale emanazione delle stesse, laddove presupponesse l’introduzione di limiti dei metalli pesanti che devono essere considerati tollerabili, in quanto “tecnicamente inevitabili” nei prodotti cosmetici finiti, dovrà necessariamente rapportarsi ai principi generali espressi dal legislatore comunitario, per cui sembra doversi escludere che tale inevitabilità tecnica possa essere definita in maniera “rigida”, senza tenere conto delle peculiarità dei singoli cosmetici e in assenza di una valutazione caso per caso attribuita in primis al produttore, nonché essenzialmente finalizzata alla certificazione della sicurezza del singolo prodotto. In altre parole, l’intrinseca “rigidità” dei limiti, in quanto espressione numerica del livello di tollerabilità scientificamente condiviso, con riferimento alla presenza accidentale di determinati metalli nei cosmetici finiti, dovrebbe ragionevolmente essere rapportata ad un contesto articolato, tenuto conto degli elementi di seguito elencati: - ogni limite dovrebbe essere il risultato di una valutazione effettuata su singolo metallo che tenga conto in maniera separata ed autonoma del rischio tossicologico e del potenziale allergenico, sottolineando che l’esposizione ambientale ai metalli ha un impatto maggiore dal punto di vista allergenico rispetto all’uso dei cosmetici; - i limiti dovrebbero essere stabiliti a fronte di una valutazione della reale esposizione con l’obiettivo di individuare il rischio concreto derivante dalla presenza di ciascun metallo per ciascuna tipologia di prodotti cosmetici, considerata la durata e il numero di applicazioni degli stessi nelle ragionevolmente prevedibili condizioni d’uso. Ciò premesso, le Linee guida potrebbero coerentemente caratterizzare i limiti così individuati non in quanto valori assoluti, ma in quanto termini di riferimento ai quali gli addetti ai lavori dovrebbero rapportarsi in una valutazione presuntiva della sicurezza dei prodotti medesimi o della inevitabilità tecnica delle tracce. In particolare, in caso di superamento di detti limiti, sarebbe auspicabile che le stesse Linee guida prevedano che il produttore possa rapportare l’inevitabilità tecnica delle tracce a singole fattispecie (per singolo metallo e tipologia di prodotto) attraverso strumenti specifici (valutazione di sicurezza, norme di buona fabbricazione, analisi delle materie prime, studi di esposizione effettuati sul prodotto finito ecc.). Ferma restando una asseverazione positiva del profilo di rischio. Una siffatta impostazione delle Linee guida, peraltro, conseguirebbe il duplice obiettivo, da un lato di evitare a priori possibili profili di contrasto con l’ordinamento comunitario, rispettando il principio cardine della legislazione cosmetica per cui spetta sempre al produttore/persona responsabile valutare ed essere in qualunque momento in condizioni di dimostrare la sicurezza dei propri prodotti e dall’altro, di sciogliere il nodo relativo all’individuazione delle metodiche analitiche più idonee a ricercare i singoli metalli pesanti, metodiche che non sempre sono applicabili indistintamente alle materie prime analizzate dal produttore e ai prodotti finiti controllati dagli organi di vigilanza.

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3. CONFRONTO TRA METODOLOGIE PER LA DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO TOTALE DEI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI

3.1 PREMESSA

La presenza dei metalli nei prodotti cosmetici è in alcuni casi un evento inevitabile in quanto certi ingredienti come i coloranti/pigmenti possono contenere naturalmente dei residui di metalli pesanti, dal momento che la persistenza di tali elementi nell'ambiente e la loro presenza naturale nelle rocce, nel suolo e l'acqua comportano il loro ritrovamento come impurezze in pigmenti e altre materie prime utilizzate in vari settori, compresi i cosmetici. Pertanto la loro presenza in quanto tale è da considerarsi inevitabile, anche se è necessario determinare che ciò che può essere considerato tecnicamente inevitabile non provochi danno al consumatore. Diverso è il caso di coloranti/pigmenti in forma di sali/ossidi di metalli pesanti impiegati come ingredienti dei prodotti cosmetici la cui presenza deve essere sempre legata a quantità considerate prive di rischio per la salute umana Attualmente esistono svariate tecniche per l’analisi qualitativa e quantitativa dei metalli pesanti che si basano sulla misura dell’assorbimento o emissione di energia radiante (spettrometri) corrispondente alle transizioni elettroniche degli atomi eccitati termicamente con una fiamma o attraverso energia elettrica. I metodi di spettroscopia hanno in comune una sorgente di eccitazione che trasforma il campione dal suo stato iniziale in singoli atomi o ioni che per effetto dell’eccitazione, emettono energia principalmente sotto forma di radiazioni di lunghezza d’onda caratteristica dello stato di transizione dell’elemento (emissione atomica). La spettroscopia di fiamma può essere: di assorbimento atomico, di emissione atomica e di fluorescenza atomica. La spettroscopia di emissione per eccitazione elettrica fornisce energie superiori a quelle della fiamma e richiede degli spettrometri di alta risoluzione. Tutti gli strumenti sopra menzionati sono formati da un sistema di eccitazione (atomizzaziore), da uno spettrometro e da un rivelatore. Lo spettrometro è a sua volta costituito da un monocromatore, da un sistema ottico di specchi o lenti per collimare il raggio di luce in entrata ed in uscita e per focalizzare le lunghezze d’onda spettrali risolte su apposite fenditure che viene deviato su un dispositivo fotoelettrico di misura (rivelatore). Lo spettrofotometro di assorbimento atomico è l’unico strumento che richiede una sorgente luminosa specifica per ogni tipo di radiazione. Esistono molteplici apparecchiature commerciali che si differenziano per le prestazioni e per la affidabilità delle loro analisi e per il loro costo. In letteratura si possono riscontrare valori estremamente variabili circa il contenuto totale dei metalli pesanti nei prodotti cosmetici, a causa delle basse concentrazioni dei predetti metalli e per le difficoltà nella loro determinazione. Eventuali discrepanze nel contenuto di metalli pesanti rilevate nei prodotti cosmetici sono imputabili all’uso di metodologie di analisi chimiche e di estrazione molto diverse che possono determinare una certa confusione nella definizione dei contenuti totali e delle frazioni “biodisponibili” e quindi nella speciazione degli elementi pesanti. Per ovviare alla scarsa comparabilità dei dati relativi ai contenuti totali di metalli pesanti nei prodotti cosmetici si potrebbe pensare di introdurre, come già avvenuto nel caso dell’analisi dei suoli, l’uso di materiali certificati di riferimento o CRM (Certified Reference Materials) che permetterebbero di controllare i dati ottenuti da differenti laboratori, di verificare gli standard, di calibrare gli strumenti e di controllare le procedure di analisi. I CRM devono essere prodotti la cui

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composizione chimica sia stata determinata con estrema precisione (con diverse metodologie analitiche), e certificata da un documento che ne attesti i dati e le procedure di analisi. I CRM sono indispensabili per il “controllo qualità” ovvero per la verifica dell’errore sperimentale nella determinazione dei metalli pesanti e nella riproducibilità dei dati, ma presentano l’indubbio svantaggio di costi molto elevati che ne consentono un uso limitato. L’eventuale discostamento in eccesso o in difetto dei contenuti totali di metalli pesanti ottenuti in laboratorio rispetto ai valori teorici del CRM, implica la presenza di un errore casuale (non sistematico) dovuto all’operatore o di un errore sistematico che può dipendere dalle interferenze che si sono verificate durante l’analisi per il non corretto funzionamento dello strumento. 3.2 METODOLOGIE ANALITICHE

Le metodologie per la determinazione dei metalli pesanti possono essere suddivise in “non-distruttive” e “distruttive”. Le tecniche “non-distruttive” determinano il contenuto totale di metalli pesanti nel campione direttamente, senza che l’analisi comporti modifiche nelle proprietà e nella sua composizione chimica, mentre le tecniche “distruttive” implicano la totale distruzione delle componenti inorganiche fino ad ottenere tutti gli elementi in soluzione. Le metodologie “non distruttive” presentano molti vantaggi: generalmente non richiedono un pretrattamento del campione; il campione può essere utilizzato per altre indagini successive; utilizzano quantità estremamente piccole di campione, ma hanno il grande svantaggio rispetto a quelle “distruttive”, di una minore capacità di rilevazione e della necessità di utilizzare strumentazioni molto complesse e costose. Le tecniche “distruttive” pur essendo maggiormente affidabili (rappresentando le metodologie ufficiali per la determinazione dei metalli pesanti nel suolo), sono piuttosto laboriose e l’analisi quantitativa richiede due fasi:

1. una prima fase di pretrattamento del campione che consiste nella sua solubilizzazione totale o parziale attraverso un processo chimico di mineralizzazione o solubilizzazione con acidi o di fusione con alcali forti.

2. una seconda fase di determinazione quantitativa degli elementi presenti in soluzione per spettrofotometria in assorbimento atomico con atomizzazione a fiamma (FAAS), con fornetto di grafite (GF-AAS), per spettrometria di emissione atomica al plasma induttivamente accoppiato (ICP-AES) o per spettrometria di massa al plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS).

Tutte queste tecniche richiedono come condizione necessaria che tutti gli elementi del campione siano presenti in forma di ioni in soluzione. Hanno il vantaggio di una maggiore precisione per l’elevata capacità di rivelazione delle tecniche di analisi FAAS, ICP-AES e ICP-MS, ma per contro trovano il loro limite nel processo di solubilizzazione che è molto lento, laborioso e obbliga l’operatore all’uso di reagenti tossici. Il sistema ICP-MS è la strumentazione più indicata per l’analisi multielementare di elementi in tracce, in quanto presenta il vantaggio di associare alla sensibilità (in genere i limiti di rilevabilità, LOD, si attestano in concentrazioni inferiori a 1 parte per bilione 1012) la selettività: gli elementi vengono infatti identificati in base alla massa ionica, e non all’energia di transizione dell’elettrone di legame, contrariamente a quanto avviene utilizzando l’ICP ottico.

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Ricercatori della FDA (Center for Food Safety and Applied Nutrition) hanno recentemente sviluppato e convalidato un metodo di determinazione del piombo nei lipstick che prevede digestione acida del campione mediante l’impiego di microonde e successiva analisi ICP-MS (Hepp et al., 2009), con un limite di detection di 0,04 µg/g ed un valore medio riscontrato nei prodotti analizzati pari a 1,07 µg/g (1,07 ppm, mentre le attuali linee guida adottate dal Canada per le impurezze di Pb ammontano a 10 ppm, un valore considerevolmente più elevato). Nello stesso studio viene sottolineata l’importanza di effettuare una completa digestione del prodotto: in alcuni campioni la metodologia che prevede digestione solo con acido nitrico si traduce in una digestione incompleta, con conseguente diminuzione dei livelli di Pb determinabili. Questo significa che non sono facilmente prevedibili e impostabili a priori le condizioni ottimali da utilizzare per l’analisi dei metalli pesanti in matrice cosmetica complessa, specialmente per i prodotti di make-up, che possono contenere elevate quantità di composti minerali. In altre parole, senza considerare la diversa sensibilità strumentale delle diverse tecniche analitiche attualmente disponibili, che scandiscono il livello di rilevabilità di tracce, si deduce che risulta estremamente difficile standardizzare e convalidare una metodologia di trattamento del campione che possa essere universalmente applicabile a tutte le tipologie di prodotti cosmetici. Da notare che l’analisi del piombo effettuata a livello routinario da aziende italiane produttrici di prodotti make up si basa su una metodologia di preparazione del campione del tutto simile a quella sopra riportata, che prevede la dissoluzione con acidi ossidanti in ambiente chiuso di teflon, riscaldamento mediante irraggiamento in microonde (raggiungendo temperature e pressioni elevate) e successiva analisi strumentale mediante tecnica ICP-MS. .

Considerata la difficoltà nel delineare metodologie di preparazione del campione univoche per tutte le tipologie di prodotti cosmetici (altamente differenziati sulla base degli ingredienti, con caratteristiche chimiche e chimico-fisiche molto diverse), si può ragionevolmente proporre che i livelli di metalli pesanti presenti nei prodotti finiti possano essere desunti sulla base di un criterio di additività, applicato alle materie prime utilizzate per la realizzazione di ogni singolo prodotto finito. A tal fine potrebbero essere utilizzati i livelli massimi dichiarati dal produttore nelle specifiche di ogni singolo ingrediente per ottenere un’indicazione del contenuto totale, ammesso e non concesso che le materie prime, per la loro natura chimica, non presentino difficoltà analitiche simili a quelle del prodotto finito in termini di preparazione del campione Di seguito sono riportati alcuni riferimenti di metodi di analisi applicati sul prodotto cosmetico finito, e relativa preparazione del campione, che, come si è sottolineato precedentemente, può costituire un fattore non trascurabile per l'affidabilità del risultato. Solo la completa digestione del prodotto (Hepp et al., 2009) permette una ripetitività del risultato ottenuto, sebbene tale risultato non corrisponda alla reale cessione del metallo da parte del prodotto cosmetico. 3.3 METODI DI ANALISI PIÙ COMUNEMENTE UTILIZZATI NEI PRODOTTI COSMETICI

Hepp, N. M., Mindak, W. R., and Cheng, J., "Determination of Total Lead in Lipstick: Development and Single Lab Validation of a Microwave-Assisted Digestion, Inductively Coupled Plasma–Mass Spectrometric Method," Journal of Cosmetic Science, Vol. 60, No. 4, July/August, 2009.

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Il campione viene digerito a microonde con HNO3 e HF.

L’analisi viene effettuata con ICP-plasma. Heavy Metal Hazard - The Health Risks of Hidden Heavy Metals Face Makeup, May 2011- Environmental Defence (http://environmentaldefence.ca/) I campioni sono pretrattati a 550°C poi digeriti con sistema microonde ad alta pressione usando HF, HNO3 e HCl. L’analisi viene effettuata con ICP-OES e ICP-MS. Bundesgesundheitsblatt 7/1992, Nr. 4/1996. L’analisi del Nichel viene effettuata con la procedura prevista dalla norma DIN EN 71 su una soluzione simulante il sudore che permette la rilevazione del metallo potenzialmente ceduto dal cosmetico. A Simple Closed-Vessel Nitric Acid Digestion Method for Cosmetic Samples Kerry D. Besecker, Charles B. Rhoades, Jr., and Bradley T. Jones,Karen W. Barnes Atomic Spectroscopy Vol. 19(2), Mar./Apr. 1998 I campioni sono digeriti con sistema microonde ad alta pressione in recipiente chiuso usando HNO3. L’analisi viene effettuata con ICP-OES.

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4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO

La valutazione del rischio include l’identificazione del pericolo e la sua caratterizzazione, la valutazione dell’esposizione, e la caratterizzazione del rischio.

L’identificazione del pericolo consiste nell’identificazione degli effetti avversi (su una base qualitativa) prodotti dalla sostanza in esame, quali ad esempio, neurotossicità, epatotossicità, difetti nei nascituri, ecc., senza tenere in considerazione la dose alla quale si sono manifestati; è quindi l’identificazione della potenziale tossicità delle sostanze chimiche – di quello in altre parole che potrebbero fare – delle loro proprietà tossiche intrinseche.

La caratterizzazione del pericolo è invece incentrata sulla quantificazione dell’effetto avverso in base ad una relazione dose-risposta. In esperimenti ben fatti la caratterizzazione del pericolo dovrebbe essere in grado di identificare una dose senza effetto (tossico) (NOEL la più alta dose che non causa tossicità).

Queste due fasi derivano da appropriati esperimenti condotti su animali da laboratorio o sistemi alternativi purché convalidati.

La valutazione dell’esposizione è parte della valutazione del rischio ed è definita, in accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, come la valutazione quantitativa della probabile esposizione a una sostanza chimica, tenendo in considerazione tutte le fonti rilevanti (alimenti, acqua, aria, ecc.).

La caratterizzazione del rischio integra le informazioni derivate dalla caratterizzazione del pericolo e dalla valutazione dell’esposizione in un suggerimento utile a fini decisionali e nel gestire il rischio.

Questa è ovviamente una semplificazione di un processo in cui entrano a far parte molti altri elementi quali informazioni riguardanti la tossicocinetica, il meccanismo d’azione, le differenze fra specie e così via. Questo è l’unico metodo scientificamente accettato a livello internazionale, che può essere usato attualmente nella valutazione della gravità e della probabilità che un effetto avverso si verifichi in esseri umani o nell’ambiente in seguito all’esposizione in determinate condizioni ad una fonte di rischio, come ad esempio una sostanza chimica. 4.1 IDENTIFICAZIONE DEL PERICOLO

Il protocollo tradizionale ai fini dell’identificazione del pericolo necessita dell’esecuzione di un’esaustiva batteria di sperimentazioni tossicologiche che prevedono lo studio delle proprietà tossicocinetiche e tossicodinamiche della sostanza in esame al fine di conoscere gli aspetti quali-quantitativi legati all’assorbimento, al potenziale di bioaccumulo, alla distribuzione nei tessuti dell’organismo ospite, al metabolismo ed infine ai fattori legati alla sua eliminazione attraverso gli escreti (es. urine, feci, sudore, espirato, latte). Le prove proseguono con lo studio della tossicità

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acuta della molecola: la dose letale cinquanta (DL50), la dose acuta per via cutanea (DL50), la dose acuta per via inalatoria (LC50) e il potenziale irritante cutaneo, oculare e di sensibilizzazione cutanea. Gli effetti genotossici sono studiati al fine di chiarire la potenziale interazione con il materiale genetico cellulare con conseguenti effetti mutageni, clastogeni o di aneuploidia. Inoltre, sono previste prove di tossicità che prevedono la somministrazione giornaliera della sostanza per tre mesi in tre specie (topo, ratto e cane) e per un anno nel cane. Vengono condotti contemporaneamente degli esperimenti di tossicità dello sviluppo (teratogenesi) e altri, su più generazioni, per comprendere se la sostanza interferisce con il sistema riproduttivo degli animali e sulla fertilità. Le prove più rilevanti tossicologicamente sono senza dubbio quelle a lungo termine e/o di cancerogenesi di compiute somministrando la sostanza in esame, giornalmente, per la maggior parte della vita dell’animale da esperimento utilizzato, cioè circa due anni per i roditori (18 mesi per il topo e 24 mesi per il ratto); la scelta di condurre esperimenti così gravosi deriva dal fatto che i risultati, ottenuti applicando la regola del “caso peggiore” (cioè più punitivo per la molecola), sono in grado fornire delle basi ottimali per poter estrapolare all’uomo il rischio derivante dal contatto con la sostanza in esame anche per tutto l’arco della vita. 4.2 CARATTERIZZAZIONE DEL PERICOLO

Dose Giornaliera Ammissibile (DGA) e NOAEL La caratterizzazione del pericolo in seguito ad esposizione per via orale viene compiuta applicando una semplice formula:

NOAEL DGA (ADI) = -----------------

SF (UF) Ove: DGA = (Dose Giornaliera Ammissibile o ADI, Acceptable Daily Intake) è la dose, espressa in mg/kg di peso corporeo, che può essere assunta giornalmente da un individuo adulto del peso medio di 60 kg anche per tutto l’arco della vita senza rischio apprezzabile per la salute allo stato delle conoscenze attuali; NOAEL = (No Observed Adverse Effect Level o Dose senza alcun effetto avverso osservato) la più elevata concentrazione o quantità di una sostanza, espressa in mg/kg di peso corporeo, derivante da studi sperimentali, preferibilmente a lungo termine, o osservazioni epidemiologiche, che non causa effetti tossici (avversi), alterazioni morfologiche o funzionali, modificazioni della crescita corporea, dello sviluppo e della durata della vita del soggetto sperimentale in studio. SF = (Safety Factor o Fattore di Sicurezza, o di incertezza, UF, secondo una più recente denominazione) è il fattore utilizzato per trasformare il NOAEL in ADI, per estrapolare cioè i risultati ottenuti nell’animale alla popolazione umana; è variabile (10, 100, 1000) e dipende dalla

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natura dell'effetto tossico, dalla tipologia di popolazione a rischio esposta e dalla qualità delle informazioni tossicologiche disponibili al momento della decisione. Il fattore di incertezza può essere ridotto a 10 quando si hanno a disposizione dati derivanti da osservazioni compiute sulla popolazione umana o innalzato a 1000 quando il protocollo sperimentale utilizzato nell’animale ha previsto tempi ridotti (es. trattamento per soli 90 giorni). La maggior parte delle volte al NOAEL viene applicato un fattore di incertezza di 100 (10x10), che tiene quindi conto di fasce “sensibili” all’interno della popolazione (bambini, anziani, donne in gravidanza, ecc..). La determinazione del NOAEL, che ricordiamo è un valore OSSERVATO e non calcolato o estrapolato, dipende prima di tutto dalla scelta opportuna dei dosaggi nell’esperimento a lungo termine (cronico) condotto nell’animale, in modo tale che la dose più alta produca un effetto dannoso che non deve essere osservato alla dose più bassa. Vengono usati almeno tre dosaggi, in aggiunta al gruppo controllo non trattato, per determinare la correlazione dose-effetto. Conoscendo la natura della risposta alla dose più alta di una determinata sostanza, si può valutare in modo più sicuro il NOAEL ai dosaggi più bassi concentrandosi più a fondo su particolari organi bersaglio. In alternativa all’utilizzo del NOAEL come base nei calcoli per la valutazione del rischio, è stato proposto il metodo Benchmark Dose (BMD) o dose di riferimento, ottenuta tramite modelli matematici dai dati animali compresi nel range dei dati sperimentali. Essa attinge cioè dall’insieme delle informazioni raccolte con tutte le dosi impiegate nell’esperimento. In questo approccio, dopo aver modellato la curva dose-risposta viene calcolato il limite di confidenza inferiore di una dose corrispondente ad uno specifico livello di rischio o Benchmark Response (BMR). La BMR è di solito stabilita in 1, 5 o 10 per cento. Il BMDx (dove x rappresenta il percento assegnato alla BMR) viene utilizzato come alternativa al valore NOAEL per il calcolo della dose di riferimento. Si raccomanda l’utilizzo della Lowest Benchmark Dose BMDL10 (limite inferiore dell’intervallo di confidenza al 95% relativo a una BMR per una risposta del 10%), vale a dire la dose più bassa stimata, con un 95% di certezza di non superare la BMR, come responsabile del 10% al massimo dell’incidenza dell’effetto considerato nei roditori. L’approccio della dose di riferimento può essere applicato anche a dati umani, se disponibili. Nel caso degli ingredienti di prodotti cosmetici e quindi di un’esposizione per via cutanea, viene calcolato il MoS (margin of safety, margine di sicurezza) che è uguale a:

NOAEL MoS = ------------------

SED Il MoS è utilizzato per estrapolare dall’animale all’uomo, e successivamente dalla popolazione in generale a gruppi sensibili al suo interno. Un MoS superiore a 100 viene generalmente considerate sicuro. La SED (Systemic Exposure Dosage, dose di esposizione sistemica) di un ingrediente cosmetico è la quantità che si suppone possa entrare nel flusso sanguigno (e quindi essere disponibile per l’intero organismo) per kg di peso corporeo al giorno. E’ espresso in mg/kg peso corporeo/giorno (peso medio del corpo umano = 60 kg).

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Il valore della SED calcolato applicando la seguente formula:

Q (g/giorno) x 103 x C x A SED = -------------------------------------------

60 kg Ove: Q = quantità di prodotto cosmetico appilcata espressa in g/giorno C = % massima di metallo presente nel prodotto cosmetico A = % di assorbimento cutaneo del metallo 60 kg = peso corporeo medio Dato che la maggior parte dei prodotti cosmetici è applicato per via topica, la SED dipenderà fortemente dall'assorbimento cutaneo del composto. In assenza di dati che consentano di calcolare l’assorbimento cutaneo, si utilizzerà il dato di assorbimento orale, questo approccio è cautelativo in quanto l’assorbimento cutaneo è sempre molto inferiore all’assorbimento orale. Nella maggior parte dei casi l’esposizione cutanea viene confrontato con un NO(A)EL orale, cioè alla quantità che è stata somministrata per via orale, anche se non necessariamente alla disponibilità effettiva sistemica della sostanza dopo somministrazione orale. Anche SCCP riconosce che in tutti i calcoli del MoS, la biodisponibilità di una sostanza è pari a 100% se i dati di assorbimento per via orale non sono disponibili. Un'ultima osservazione per quanto riguarda il calcolo del MoS è se tali calcoli sono scientificamente rilevanti per gli ingredienti cosmetici, che non vengono utilizzati su base giornaliera. Confrontare il livello mensile di utilizzo con un NOAEL ottenuto dopo somministrazione giornaliera della sostanza, porta a una evidente sovrastima del rischio. Pertanto, è opportune decidere la rilevanza del MoS caso per caso, tenendo conto del profilo tossicologico generale della sostanza in esame, delle sue proprietà tossicocinetiche e la sua destinazione d'uso. 4.3 VALUTAZIONE DELLʼESPOSIZIONE UMANA

La fase finale dell’intero processo è rappresentata dal confronto delle conoscenze accumulate relativamente alla caratterizzazione del pericolo con i dati reali raccolti sull’esposizione umana. E’ evidente che maggiore è la distanza tra l’ADI o MoS e il valore di esposizione e più elevata è la probabilità che gli individui non vadano incontro a un rischio per la loro salute. Il temporaneo e/o limitato nel tempo “sfondamento” dell’ADI deve essere comunque giudicato con ragionevolezza, poiché si deve costantemente tenere presente che ADI e MoS derivano comunque da un NOAEL, cioè “la più elevata concentrazione o quantità di una sostanza, espressa in mg/kg di peso corporeo, derivante da studi sperimentali cronici o osservazioni epidemiologiche, che non causa effetti tossici (avversi)” che, inoltre, è stata ulteriormente divisa per un fattore di almeno 100. In altre parole ADI e MoS non devono assolutamente essere considerati una soglia di tossicità ma una soglia di sicurezza. Un discorso analogo deve essere ben chiaro nella mente del legislatore o

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da chi è preposto a giudicare la presenza di concentrazioni di una sostanza al di sopra dei “limiti di legge”; infatti superare i limiti imposti dalla legge, di solito estremamente cautelativi da un punto di vista sanitario, non è da correlare immediatamente ad un aumentato rischio tossicologico per le ragioni sopra esposte. 4.4 ALTRI EFFETTI INDESIDERATI: ALLERGIA

Negli ultimi anni è progressivamente cresciuto d’importanza il ruolo che i metalli pesanti svolgono in relazione alle affezioni dermatologiche, soprattutto per il notevole aumento, tanto che attualmente nessuno può evitarne il contatto: vengono assunti con il cibo, l’acqua, il fumo di sigaretta, gli scarichi industriali ed automobilistici, sono contenuti in cosmetici, detersivi, monili, ecc. e sono liberati dalla corrosione di materiali odontoiatrici, in particolare l’amalgama. I metalli pesanti sono metalli (componenti della litosfera) con densità superiore a 4,6 g/cm3, sono elementi con caratteristiche chimiche e peso molecolare molto diversi. La maggioranza delle reazioni cutanee ai metalli pesanti sembra essere dovuta a dermatiti irritative da contatto (DIC) non causate da vere e proprie reazioni allergiche, ma dalla capacità irritante intrinseca della sostanza, oltre che dalla sua concentrazione, dalla durata e dal modo di applicazione. Le DIC sono perciò espressione dell’azione tossica diretta delle sostanze che vengono a contatto con la pelle, e possono manifestarsi anche al primo contatto dell’agente irritante con la cute. Sono più frequentemente interessati da queste dermatiti gli individui atopici o semplicemente xerotici, la cui pelle è fisiologicamente meno resistente all’aggressione dell’agente irritante. La prevalenza di allergia ai metalli è elevata nella popolazione generale, e si stima che fino al 17% delle donne e al 3% degli uomini siano allergici al nichel (Ni) e che l’1-3% sia allergico a cobalto (Co) e cromo (Cr) (Thyssen et al., 2007). Nella popolazione europea la prevalenza della dermatite allergica da contatto (DAC) da Ni, Cr e Co è rispettivamente del 20%, 4% e 7% (The ESSCA Writing Group, 2001). I metalli in grado di indurre allergia sono presenti in molti prodotti e oggetti di uso quotidiano (gioielli, piercing, cosmetici, detersivi, accessori quali fermagli, cinture, spille, bottoni, monete,colori per tatuaggi, cuoio, tessuti, protesi dentarie/ortopediche, ecc.) e in numerosi prodotti alimentari (legumi, cioccolato, soia, frutta secca, verdure, cereali, tè, uova, ecc.). Statisticamente, i soggetti più colpiti da DAC da Ni e Co sono le donne e ciò non a caso, poiché tali metalli sono contenuti in gioielli e bigiotteria ed in molti prodotti cosmetici, quali ombretti, mascara, rossetti, fondotinta, detergenti e creme. Tradizionalmente, Ni, Co e Cr sono stati considerati i più importanti allergeni da contatto. Tuttavia, recentemente altri metalli il cui uso è in continuo aumento, come ad esempio alluminio (Al), oro (Au), berillio (Be), rame (Cu), mercurio (Hg), iridio (Ir), palladio (Pd), platino (Pt), rodio (Rh) e titanio (Ti), stanno assumendo un ruolo sempre più importante come cause di sensibilizzazione. Dal punto di vista fisiopatologico la DAC è il risultato di una reazione di ipersensibilità di IV tipo, cellulo-mediata, in cui sono implicati in particolare i linfociti T. Questi riconoscono il complesso aptene + proteina di superficie dell’epidermide, attraverso la presentazione da parte della cellula di Langerhans, che funge da APC (antigene presentig cell) per i linfociti. Le DAC prevedono una più o meno prolungata esposizione ad una sostanza sensibilizzante; quest’ultima, ad una successiva esposizione, viene riconosciuta in maniera ‘specifica’ dal sistema immunitario che, nel tentativo di difenderci, attiva una serie di meccanismi infiammatori responsabili della dermatite. Ad una prima fase di sensibilizzazione (in cui l’aptene viene applicato sulla cute), segue una seconda fase di incubazione, in cui vengono prodotti linfociti T sensibilizzati specificatamente per quell’aptene. In

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ultimo, c’è la fase di elicitazione, in cui l’aptene, applicato nuovamente sulla cute, provoca in 24-48 ore una tipica eruzione eczematiforme clinicamente apprezzabile. Alla eziopatogenesi della DAC concorrono diversi fattori; un terreno predisponente individuale genetico (idratazione, pH, temperatura cutanea), quindi un’integrità del mantello idrolipidico, ma anche il potere genericamente aggressivo dell’aptene (idrosolubiltà, lipofilicità, Peso Molecolare, veicolo, concentrazione…), durata ed estensione del contatto. Clinicamente l’eczema da contatto, in fase acuta, si presenta con eritema, edema, vescicolazione, mentre in fase cronica con xerosi, desquamazione, lichenificazione. Le sedi più frequentemente colpite sono le mani (per l’alta esposizione al contatto e per la presenza di fattori favorenti quali dermatiti irritative o disidrosi stagionali), il viso (per contatto diretto con cosmetici o farmaci, o mediato dalle mani, ma anche per esposizione ad allergeni micronizzati nell’aria), in particolare labbra e zone perilabiali ( a contatto con rossetti, dentifrici)e perioculari (trucchi, creme per il contorno occhi, colliri), cuoio capelluto (coloranti), ma anche braccia, collo (bigiotteria), ascelle (deodoranti), regione genitale e perianale (detergenti e farmaci topici), piedi, gambe. Dalla zona iniziale di contatto, tali lesioni tendono ad estendersi oltre l’area specifica, per fattori endogeni (sudore, pH, circolo distrettuale) ed esogeni (luce, aggressione chimica). Bisogna considerare anche le cosiddette “localizzazioni paradosse” (unghie e palpebre nel caso degli smalti), e le manifestazioni a distanza (eruzioni secondarie o “idiche”). Per quanto riguarda l’età di insorgenza, la DAC è sempre stata considerata eccezionale in età infantile, rara in adolescenza e molto comune in età adulta (tra i 20 e i 50 anni). In realtà, recenti evidenze dimostrano che tale dermatite è piuttosto comune anche in età pediatrica, soprattutto trai bambini atopici, con un’elevata positività dei patch test per i comuni allergeni, primo fra tutti il Ni (Lee et al., 2009). Le persone divenute allergiche ai metalli devono evitare ogni successivo contatto con l’allergene. Ciò risulta spesso difficile in quanto la possibilità di venire a contatto con i metalli è molto alta data la loro ubiquitarietà.

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5. VALUTAZIONE TOSSICOLOGICA E DEL POTENZIALE ALLERGENICO DEI METALLI PESANTI

5.1 ARSENICO

L’arsenico è un metalloide presente nell’ambiente in varie forme organiche ed inorganiche, di origine sia naturale che antropogenica. Le forme inorganiche dell’arsenico sono più tossiche di quelle organiche. Una valutazione del rischio che non tenesse conto delle diverse specie, ma considerasse l’arsenico presente come se fosse esclusivamente arsenico inorganico, condurrebbe a sovrastimare notevolmente il rischio per la salute derivante dall’esposizione ad arsenico. Rispetto all’esposizione alimentare, l’esposizione extra-alimentare ad arsenico ha probabilmente effetti meno rilevanti sulla popolazione complessiva dell’Unione europea (UE). Negli esseri umani, l’arsenico inorganico solubile viene assorbito rapidamente e quasi completamente dopo l’ingestione. L’assorbimento dei diversi composti di arsenico organico supera generalmente il 70%. Una volta assorbito, l’arsenico si distribuisce a quasi tutti gli organi e supera agevolmente la barriera placentare. La biotrasformazione dell’arsenico inorganico nei mammiferi comprende la riduzione dell’arsenico pentavalente in arsenico trivalente e la metilazione dell’arsenico trivalente. I principali effetti nocivi segnalati, che si associano all’ingestione a lungo termine di arsenico inorganico da parte di esseri umani, sono lesioni cutanee, tumori, effetti tossici sullo sviluppo, neurotossicità, malattie cardiovascolari, anormale metabolismo del glucosio e diabete. La neurotossicità si osserva principalmente nei casi di esposizione acuta causata da avvelenamento volontario o suicidio, oppure da elevate concentrazioni nell’acqua potabile. I dati relativi alle patologie cardiovascolari (malattia del piede nero, patologia vascolare periferica, cardiopatia coronarica, infarto miocardico e ictus) e al diabete, in zone in cui i livelli di esposizione ad arsenico inorganico sono relativamente bassi, non permettono di formulare conclusioni. Si fanno più frequenti i dati che segnalano impatti negativi sullo sviluppo fetale e infantile, soprattutto con la riduzione del peso alla nascita; occorre poi raccogliere dati ulteriori in merito alla relazione dose-risposta ed ai tempi di esposizione critici per il verificarsi di tali effetti. Esistono esaurienti informazioni sulla tossicocinetica nell’uomo e sul metabolismo. I livelli di arsenico nel sangue umano non aumentano fino a che l’assunzione giornaliera mediante l’acqua da bere non supera i 250 µg/die (circa 120 µg di arsenico/l) (Valentine et al., 1987). Le specie metilate sono di 10 volte meno tossiche e meno teratogene (Marcus e Rispin, 1988). Diverse evidenze suggeriscono che l’ arsenico sia un nutriente essenziale in diverse specie animali (NRC, 1989). Sia la forma penta- che trivalente dell’arsenico inorganico sono presenti nella acqua potabile. Sia nell’uomo che nell’animale arsenato As(V) è ridotto a arsenito As(III) e la forma trivalente da acido mononometilarsinico (MMA) e acido dimetilarsonico (DMA) (Vahter e Marafante, 1988).

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TOSSICITA’ Mutagenesi L’arsenico e i suoi metaboliti non si legano direttamente al DNA. Studi in vivo hanno mostrato come nel roditore l’esposizione orale a arsenato As(V) per 2-3 settimane risultava in aberrazioni cromosomiche nel midollo osseo (Datta et al., 1986) e esposizione di topi a As(III) nell’acqua per 4 settimane (250 mg As/l triossido di arsenico) causava aberrazioni cromosomiche nelle cellule del midollo ma non spermatogonia (Poma et al., 1987). Aberrazioni cromosomiche e sister chromatid exchange sono stati osservati in pazienti trattati con arsenico (Burgdorf et al., 1977) e lavoratori (Beckman et al., 1977) mentre nessun aumento su questi due parametri era osservabile in seguito all’esposizione nell’acqua da bere (linfociti) (Vig et al., 1984). Sodio arsenite (III) e sodio arseniato (V) sono mutageni a concentrazioni rispettivamente di 1-2 µg/ml e 10-14 µg/ml, mentre MMA e DMA richiedevano 2,5-5 mg/ml e 10 mg/ml. Cancerogenesi I dati concernenti i tumori alla vescica, ai polmoni e alla pelle (legati da un nesso causale all’esposizione orale all’arsenico inorganico) nonché le lesioni cutanee, possono fornire un punto di riferimento adeguato. Un limite di tutti gli studi disponibili sta nel fatto che non è stata misurata l’esposizione alimentare totale ad arsenico inorganico. In quasi tutti gli studi, come indice di esposizione è stata usata la concentrazione di arsenico nell’acqua potabile; l’arsenico presente nelle urine o nelle unghie dei piedi è stato usato in un numero minore di studi. Per formulare un parere sui rischi per la salute correlati alla presenza di arsenico inorganico nei generi alimentari, è necessario effettuare stime dell’esposizione alimentare totale delle popolazioni di cui sono stati studiati i rispettivi endpoint sanitari. L’acido dimetilarsonico (DMA), il metabolita finale predominante nell’uomo e nell’animale è risultato negativo in due ceppi di topo (Innes et al., 1969). E’ possibile che il roditore non sia un buon modello per la cancerogenesi da arsenico. Nell’uomo è stato condotto uno studio retrospettivo di coorte su 478 pazienti trattati fra 1945-1969 con Fowler's solution (potassio arsenito). Il trattamento era durato circa 8,9 mesi e il totale dell’arsenico assunto era circa di 1890 mg (dose giornaliera x durata). Non si sono riscontrati eccessi di morte per tumore ad eccezione del tumore alla vescica (Cuzick et al., 1982). La IARC ha classificato l’arsenico nel gruppo 1 – cancerogeno per l’uomo – sulla base di un’aumentata mortalità per tumore polmonare in popolazioni esposte per via inalatoria. Inoltre in popolazioni esposte ad alti livelli di arsenico inorganico nell’acqua da bere si è osservata un’aumentata mortalità per tumori a fegato, rene, polmone, vescica e cute. Sommario delle dosi senza effetto per l’arsenico

Effetti critici Dosi senza effetto (sperimentali)

Iperpigmentazione, keratosi e possibili complicazioni vascolari Esposizione cronica umana orale

(Tseng, 1977; Tseng et al., 1968)

NOAEL: 0,009 mg/l, equivalenti a 0,0008 mg/kg die LOAEL*: 0,17 mg/l equivalenti a 0,014 mg/kg die

*LOAEL= low observed adverse effect level, la dose più bassa di una sostanza a cui si è riscontrato un effetto avverso

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Teratogenesi Iniezioni intravenose di sodio arsenato a dosi di 15, 17,5 o 20 mg/kg p.c. in criceti all’8° giorno di gravidanza (Ferm e Carpenter, 1968) produceva malformazioni quali esencefalo, encefalocele, difetti scheletrici e genito-urinari. Questi ed altri effetti sono stati riprodotti in topi e ratti a dosi di circa 20 mg/kg p.c. Nessun effetto o effetti blandi sono stati osservati dopo esposizione orale cronica di topi e ratti a bassi livelli di arsenico nell’acqua da bere (Schroeder e Mitchner, 1971). L’intubazione di ratti con soluzioni di arsenico con dosi di 25 µg/kg/die per un periodo di 7 mesi, incluso il periodo di gravidanza, non ha prodotto effetti embriotossici e raramente lieve espansione dei ventricoli del cervello, delle pelvi renali e della vescica urinaria (Nadeenko et al., 1978; Hood et al., 1977). Una dose singola elevata di arsenato per via orale (120 mg/kg) per causare tossicità prenatale nel topo, mentre dosi multiple di 60 mg/kg per 3 giorni erano praticamente senza effetto. Cute Gli effetti tossici a carico della cute causati dall’arsenico sono prevalentemente dovuti all’esposizione attraverso l’acqua da bere. In uno studio sulle lesioni cutanee di persone esposte in due città in Messico, (1 con 296 persone esposte ad acqua da bere con 0,4 mg/l arsenico e 2 con esposizione a 0,005 mg/l, il gruppo più esposto mostrava incidenza di cheratosi palmare, iperpigmentazione e ipopigmentazione cutanea, e 4 tumori cutanei (non confermati istologicamente) (Cebrian et al., 1983). L’associazione fra cancro cutaneo e arsenico era debole. Nessun eccesso nell’incidenza di cancro cutaneo residenti in U.S. che consumavano livelli relativamente alti di arsenico nell’acqua da bere (Morton et al., 1976; Southwick et al., 1981). Il modello multistage è stato usato per predire la prevalenza di tumore cutaneo in relazione alla dose e all’età associata all’ingestione orale di arsenico inorganico. La massima stima probabile di tumore cutaneo per una persona di 70 kg che bevesse 2 l di acqua al giorno variava da 1-3 a 2-3per un’assunzione di arsenico di 1 µg/kg/die. Espresso come valore singolo, l’unità di rischio tumorale è 5-5 per (µg/l). Dettagli riguardo la valutazione sono riportati in U.S. EPA (1988). L’assorbimento cutaneo fra lo 0,6 e il 4,4% (Wester et al., 2004) è stato misurato in seguito a manipolazione di legname contaminato con arsenato di rame e cromo confermando l’affidabilità del valore proposto dall’EPA per l’assorbimento del As da suolo contaminato. Uno studio su campioni di pelle umana ha riscontrato un assorbimento dell’1,9% (Wester et al., 1993). ESPOSIZIONE L’esposizione alimentare minima e massima varia, tra i 19 paesi europei, secondo una proporzione da 2 a 3, a seconda delle diverse abitudini alimentari. Estrapolando dalle principali categorie alimentari della banca dati dell’EFSA sul consumo alimentare in Europa, si sono individuate nelle sottoclassi alimentari dei cereali in grani e dei prodotti a base di cereali, seguite da alimenti dietetici, acqua in bottiglia, caffè e birra, riso in grani e prodotti a base di riso, pesce e verdure, quelle che contribuiscono in larga misura all’esposizione giornaliera all’arsenico inorganico del complesso della popolazione europea. Si stima che in Europa i forti consumatori di riso subiscano un’esposizione alimentare giornaliera all’arsenico inorganico pari a circa 1 μg/kg di peso corporeo al giorno, mentre i forti consumatori di prodotti a base di alghe possono giungere a un’esposizione alimentare giornaliera all’arsenico pari a circa 4 μg/kg di peso corporeo al giorno. Gli scarsi dati disponibili non consentono di

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affermare che i vegetariani subiscano un’esposizione alimentare differente da quella della popolazione nel suo complesso, a meno che non consumino forti quantità di prodotti a base di alghe. I bambini di età inferiore a tre anni sono i più esposti all’arsenico inorganico. Le stime sull’esposizione presentate da due studi differenti mostrano un’assunzione di arsenico inorganico oscillante fra 0,50 e 2,66 μg/kg di peso corporeo al giorno. Per i bambini di età inferiore ai tre anni si stima che l’esposizione alimentare ad arsenico inorganico, compresa quella derivante da alimenti a base di riso, sia due o tre volte maggiore di quella subita dagli adulti. Tali stime non tengono conto dei bambini intolleranti al latte, che consumano bevande a base di riso anziché latte artificiale o latte vaccino. L’esposizione media tramite la dieta a arsenico varia da 0,45 a 4,31 μg/kg p.c. per giorno (per esposizioni basse) con una mediana di 0,94 μg/kg p.c./giorno, e da 0,65 a 4,6 μg/kg p.c./giorno per i paesi con più alti consumi, con una mediana di 1,22 μg/kg p.c./giorno. La media italiana per gli adulti è di 0,3-0,4 μg/kg b p.c./giorno, mentre per i bambini è circa due volte più alta (EFSA Journal, 2009). Sulla base delle informazioni disponibili, l’aria ambientale può dare un contributo di 0,001 μg/kg p.c. all’esposizione giornaliera, mentre il fumo di sigaretta contribuisce per circa 0,03 μg/kg p.c. per die. All’interno dell’Europa, però, i contributi diversi da quello alimentare sono ininfluenti. Nel 1988 il Joint FAO/ WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA) ha fissato una dose provvisoria accettabile settimanale (PTWI) per l'arsenico inorganico di 0,015 mg/kg peso corporeo. Di norma le concentrazioni di arsenico nelle acque di falda, principale fonte di acqua potabile nel mondo, sono inferiori a 10 µg/l, ma possono raggiungere i 5000 µg/l in alcune regioni. Specifici criteri di purezza inerenti gli edulcoranti, coloranti e altri additivi alimentari sono state stabilite in tre direttive della Commissione (2008/60/CE, 2008/84/CE e 2008/128/CE) che prevedono un limite massimo di 3 ppm per l'arsenico come impurezza. Il Codex Alimentarius ha stabilito diversi standard per l'arsenico. Per esempio la concentrazione massima ammissibile per l'arsenico totale è pari a 0,01 mg/l per le acque minerali naturali e 0,1 mg/kg per grassi e oli alimentari (incluso la margarina), olio d'oliva e di sansa e per 21 oli vegetali. Dall'Efsa Concise Food Consumption Database è inoltre emerso che gli alimenti più contaminati da arsenico inorganico sono i cereali e i prodotti a base di cereali; alimenti per particolari usi alimentari; acqua in bottiglia; caffè e birra; riso e prodotti derivati; pesce e verdure. Il Comitato Contaminanti ha pertanto concluso che non è più appropriata la dose settimanale accettabile provvisoria (PTWI) di 0,015 mg/kg di peso corporeo stabilita dallo JECFA nel 1988 in quanto i dati hanno dimostrato che l'arsenico inorganico induce non solo il tumore al polmone, alla pelle e alla vescica ma arreca anche effetti negativi a dosi inferiori di quelle esaminate dallo JECFA. L’EFSA Panel che valuta la tossicità dei contaminanti ha pertanto modellato i dati dose-risposta sulla base di studi epidemiologici chiave, selezionando una risposta di riferimento di extra rischio dell'1%. Per tumori al polmone, alla pelle e alla vescica e per le lesioni cutanee sono stati identificati valori di BMDL10 compresi tra 0,3 e 8 µg/kg di peso corporeo al giorno.

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VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI Per l’arsenico vari Paesi hanno adottato un limite fra i 5 e i 10 ppm per le concentrazioni tollerate nei prodotti cosmetici. Per un raffronto si ricorda che WHO (JECFA) aveva stabilito un PTWI per l’arsenico di 0,015 mg/kg p.c., l’EPA (Environmental Protection Agency) statunitense ha posto a 10 ppm lo standard per l’arsenico nell’acqua potabile (limite entrato in vigore nel 2006) e 3 ppm è il limite dell’arsenico come impurezza in additivi alimentari.

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5.2 CADMIO

Il cadmio è un elemento metallico del gruppo IIB (Zn, Cd, Hg) con valenza di +2. La chimica del cadmio è dominata dai suoi composti inorganici in stato di ossidazione 2. Il cadmio forma una serie di sali inorganici. In generale, questi composti del cadmio presentano proprietà simile ai composti di zinco corrispondenti. L’alogenuro e il nitrato di Cd2+ sono molto solubili in acqua, mentre l'idrossido è insolubile. Il cadmio è presente naturalmente nell'ambiente in forma inorganica. Le fonti antropiche hanno aumentato i livelli di fondo di cadmio nel terreno, negli organismi viventi e nell'acqua. Il cadmio viene rilasciato nell'ambiente dalle acque reflue e dall'incenerimento dei rifiuti, e la contaminazione dei prodotti agricoli può avvenire per l'uso di fertilizzanti, per la deposizione atmosferica. Alimenti come molluschi, crostacei e funghi sono accumulatori naturali di cadmio. Il cadmio non ha alcuna funzione biologica nota negli animali e nell'uomo, ma imita altri metalli bivalenti che sono essenziali per diverse funzioni biologiche. Il cadmio può attraversare le membrane biologiche e una volta all'interno delle cellule si lega a ligandi con affinità particolari (ad es metallotioneine). Tuttavia, non è facilmente eliminato dalle cellule e la scarsa efficienza dei sistemi cellulari di estrusione spiega il lungo tempo di permanenza di questo elemento in tessuti come l'intestino, il fegato e i reni. L’assorbimento in ratti e topi dopo somministrazione orale di cloruro di cadmio varia da 0,2 al 3% della dose somministrata, a seconda della dose e della durata dell’esposizione (ATSDR, 2008). Nell’uomo, l’assorbimento di cadmio dalla dieta è dell’ordine del 3-5% (Morgan e Sherlock, 1984). Solo circa lo 0,5% (0,3-0,8%) di cadmio viene assorbito attraverso la cute (ATSDR, 1999). I risultati di tutti gli studi suggeriscono che l'assorbimento cutaneo è lento, e diventa rilevante solo in situazioni in cui soluzioni concentrate sono poste a contatto con la pelle per diverse ore o più. Il cadmio assorbito dall'organismo viene eliminato molto lentamente, con una emivita biologica stimata in 10-30 anni. TOSSICITA’ L’esposizione continuata al cadmio è stata associata a nefrotossicità, osteoporosi, neurotossicità, cancerogenicità e genotossicità, teratogenicità, e tossicità endocrina e riproduttiva. Il cadmio non è direttamente genotossico, non è mutageno in batteri e debolmente mutageno in cellule di mammifero con prove contrastanti (per un esame approfondito dei dati sulla genotossicità vedere EC, 2007; ATSDR, 2008). Due meccanismi svolgono un ruolo importante nella genotossicità del cadmio:

induzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e

inibizione della riparazione del DNA. Il cadmio altera la trascrizione e la traduzione genica, regola la concentrazione del calcio intracellulare e gioca il ruolo di molecola alternativa di segnalazione controllando diverse vie di trasduzione (Chang e Shoback, 2004). Il Cadmio non è un metallo redox e non attiva la reazione di Fenton ma induce la produzione di ROS da processi indiretti, con una diminuzione di antiossidanti cellulari ed espulsione di ROS dai mitocondri. Mediante la modulazione dell'espressione genica e trasduzione del segnale il cadmio può influire sulla proliferazione cellulare, differenziazione, apoptosi e altre attività cellulari (Waisberg et al., 2003). La perturbazione di questi processi può contribuire alla cancerogenicità. Recenti studi dimostrano che il cadmio ha un forte effetto inibitorio sull'espressione di

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eritropoietina (Epo) sia in vitro che in vivo (Horiguchi et al., 2006). Ratti intossicati con cadmio hanno mostrato atrofia dei tubuli renali che esprimono Epo. Questi dati indicano che il cadmio potrebbe indurre anemia attraverso la lesione diretta delle cellule del tubulo prossimale renale responsabili della produzione di Epo. Una moderata esposizione ad alte dosi di cadmio (1 mg/kg per 5 giorni/settimana per 6 settimane i.p.) influenza la sintesi di steroidi negli organi riproduttivi di ratti femmina (Zhang et al., 2008). E' stato dimostrato che basse dosi di cadmio hanno una potente attività estrogeno- e androgeno-simile in vivo e in vitro, legandosi direttamente ai relativi recettori (Takiguchi e Yoshihara, 2006). Il cadmio, come l'estradiolo, può causare una rapida attivazione di ERK1/2 e AKT (Liu et al., 2008). Tuttavia, i meccanismi precisi alla base degli effetti del cadmio come interferente endocrino devono ancora essere chiariti. Cute Ci sono pochi dati tossicologici riguardo il trattamento per via cutanea. Pazienti con eczema sottoposti a patch-test con cloruro di cadmio 2%, 25 su 1502 hanno mostrato qualche reazione (Wahlberg, 1977). Dal momento che nessuna reazione è stata trovata a basse diluizioni (1% NOAEL) nei pazienti reattivi (Wahlberg, 1977), l'effetto era probabilmente dovuto ad un’irritazione diretta della pelle ed è indicato come un valore LOAEL. L’esposizione cutanea al cadmio non sembra influenzare il sistema immunitario in modo significativo. Non è stata rilevata sensibilizzazione da contatto in Guinea pigs a seguito di esposizione intradermica o topica di cloruro di cadmio in concentrazioni fino a 0,5% (Wahlberg e Boman, 1979). ESPOSIZIONE La popolazione generale è esposta al cadmio da fonti multiple (UNEP, 2008); nei non-fumatori gli alimenti sono responsabili di circa il 90% dell’assunzione. I principali prodotti alimentari che contribuiscono a l'esposizione al cadmio sono cereali e verdure, mentre carne e pesce in genere contengono un contenuto inferiore cadmio. Frattaglie animali come il rene e il fegato possono avere elevate concentrazioni di cadmio. La mediana delle medie dei livelli di assunzione attraverso gli alimenti per i singoli paesi europei, per i quali sono disponibili dati, è 2,27 µg/kg p.c. a settimana assumendo un peso corporeo di 60 kg (range: 1,89-2,96 µg/kg p.c. a settimana). La "esposizione media alta" è 3,02 µg/kg di peso corporeo a settimana (range tra 2,54 e 3,91 µg/kg di p.c./settimana). Meno del 10% dell'esposizione totale dei non fumatori è dovuta all'inalazione di basse concentrazioni di cadmio nell'aria (Vahter et al., 1991) e attraverso l'acqua potabile (Olsson et al., 2002). Il fumo e l'esposizione professionale possono prevalere sugli alimenti come principale fonte di esposizione. Una sigaretta contiene 1-2 µg di cadmio a seconda della provenienza del tabacco (WHO/IPCS, 1992). Secondo uno studio UE del 2007 circa il 10% di questo cadmio è inalato e si stima che il 25-

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50% del cadmio inalato sia assorbito (EC, 2007). Assumendo un contenuto medio di cadmio di 1,5 µg per sigaretta, di cui viene inalato il 10%, fumare 20 sigarette si tradurrà in una esposizione quotidiana 3,0 µg di Cadmio. Per un adulto di 60 kg ciò corrisponde a una esposizione settimanale di 0,35 µg/kg p.c. (Watanabe et al., 1987). VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI Nel 1972, JEFCA ha stabilito una dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) per il cadmio di 400-500 µg per persona (circa 7-8 µg/kg di peso corporeo a settimana e 60-70 µg al giorno per una persona di kg 60) (FAO/WHO, 1972; Nordberg et al., 1985; Chen et al., 2006). I livelli tollerabili di esposizione al cadmio sono basati su calcoli che coinvolgono le concentrazioni "normali" e"critiche" di cadmio nella corteccia renale (livello critico = 200 µg /g tessuto) e sul tasso di accumulo di cadmio in questo organo bersaglio. Le concentrazioni di cadmio nella corteccia renale di soggetti adulti non esposti professionalmente al metallo variano da 30 a 100 µg/g di peso fresco. Assumendo che livelli di cadmio nel rene non superino i 50 µg/g, un tasso di assorbimento del 5% e una escrezione giornaliera di solo 0,005% l'assunzione totale non deve superare di circa 1 µg/kg di peso corporeo di peso al giorno (valutati su 50 anni di esposizione). E’ stato quindi stabilito un PTWI di di 7 µg/kg peso corporeo. Nel 1993, l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il cadmio e i suoi composti nel Gruppo 1 (cancerogeni per l'uomo) sulla base di studi sull’uomo, soprattutto quelli sul cancro al polmone associato con inalazione occupazionale di cadmio e da studi su animali (IARC, 1993). Nel rapporto del Joint Research Centre of the European Commission (EU-JRC) l’ossido di cadmio è considerato un sospetto cancerogeno umano per inalazione (EC, 2007). La U.S. Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR) ha pubblicato nel suo profilo tossicologico del 1999 (ATSDR, 1999) un livello orale cronico rischio minimo (MRL) di 0,2 µg/kg p.c. al giorno. Questo limite è stato ottenuto dall’esposizione media più alta (2 µg Cd/kg di peso corporeo al giorno) che non era associata ad un eccesso di secrezione di beta-2-microglobulina (B2M) nelle urine e un fattore di incertezza di 10 tener conto delle variazioni interindividuali. Nel 2008 l’ATSDR ha rivalutato il profilo tossicologico di cadmio (ATSDR, 2008) e ha stabilito un nuovo livello cronico orale di rischio minimo di 0,1 µg/kg/die. Per rimanere al di sotto di 1 µg cadmio/g creatinina nelle urine, è stato calcolato che l'assunzione media giornaliera di cadmio nella dieta non dovrebbe superare 0,36 µg/kg di peso corporeo, e questo apporto giornaliero è stato utilizzato per ricavare il TWI di 2,5 µg/kg di peso corporeo (The EFSA Journal, 2011). La Direttiva 1998/83/EC9 stabilisce norme di qualità per le sostanze più comuni che possono essere presenti nelle acque destinate al consumo umano, tra cui il cadmio. Il limite per il cadmio nell’acqua è di 5,0 µg/l.

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5.3 COBALTO

Il Cobalto (Co) è un elemento metallico che si ritrova in composti più comuni in stato di ossidazione +2 o +3. Co(III) è l'atomo centrale della cobalamina (vitamina B12), di cui rappresenta circa il 4,3% del peso molecolare. E’ presente in acciai speciali, in leghe metalliche per protesi dentali ed ortopediche, per bigiotteria, nel cemento, in adesivi per superfici vetro/metallo, in grassi e oli lubrificanti, in fertilizzanti ed in mangimi animali, nella carta moschicida, in inchiostri e matite colorate, in detersivi, tinture per capelli, creme ad azione antiperspirante, in complessi vitaminici e nei nastri magnetici. È utilizzato come essiccante in alcune vernici, come pigmento per la colorazione del vetro, ceramiche e terraglia, come mordente in tintoria e come accelerante nella sintesi di resine poliestere e poliuretaniche. Le principali fonti alimentari sono quelle di origine animale: latticini, carne, molluschi. In ambito vegetale se ne trovano quantità significative nei funghi, nei cereali, in qualche frutto e ortaggio. Il Co è contenuto in tinture per hennè, in colori per tatuaggi, oltre che in prodotti cosmetici. Nei roditori l'assorbimento riportato per cobalto cloruro va dal 13 al 34%, mentre il Co ossido insolubile ha mostrato un tasso di assorbimento dall'1 al 3% (Kirchgessner et al., 1994; Ayala-Fierro et al., 1999). In volontari sani trattati con dosi di cobalto tra < 1 e 1,2 mg di metallo, l'assorbimento gastrointestinale varia da 5 a > 20% (Smith et al., 1972) e per i sali solubili può essere stimato intorno al 25% (Elinder e Friberg, 1986). La permeazione cutanea è stata calcolata con il metodo di cella di diffusione di Franz con pelle umana. Il metodo ha permesso di dimostrare il passaggio di cobalto attraverso la pelle. In stato stazionario di flusso la permeazione cutanea del cobalto è stato calcolata come 0,0123 ± 0,0054 μg cm-2 h-1 indicando un potenziale molto basso di assorbimento cutaneo. TOSSICITA’ Il cobalto può indurre dermatite, rinite, asma, e alveoliti allergiche in soggetti predisposti. Un'epidemia di cardiomiopatia si è verificata nel 1960 in Canada, Stati Uniti, e in Belgio tra le persone che hanno bevuto grandi quantità (diversi litri al giorno) di birra contenente cobalto. Secondo l’analisi post-mortem, il cuore dei pazienti era dilatato e le pareti della camera di sinistra erano ispessite. Tuttavia, si è ipotizzato che un eccessivo di alcool e carenze alimentari, oltre all'esposizione al cobalto, abbiano avuto un ruolo causale nella malattia (Heggtveit et al., 1970). Cobalto divalente ha dimostrato attività mutagena nei batteri e altri test in vitro. Molti sali di cobalto hanno indotto aberrazioni cromosomiche nelle cellule vegetali. Gli autori (Leonard et al., 1990) concludono che il cobalto e i suoi sali non hanno attività mutagena e clastogena in cellule di mammifero. Gli studi epidemiologici non hanno prodotto risultati definitivi circa il rischio di cancro negli esseri umani (IARC, 2006; OMS, 2006). Allergia Anche se non c'è allergia crociata tra metalli, sensibilizzazione al cobalto si incontra spesso in pazienti già allergici al cromo e/o nichel. Il Co può in parte sostituire il Ni nelle leghe con l’intento di renderle conformi ai requisiti della Direttiva 94/27/CE; tuttavia, lo sviluppo di una lega per gioielli contenente Co non ha dato risultati soddisfacenti considerando che il 18% di pazienti pre-sensibilizzati al Co erano positivi dopo 7-8 giorni di esposizione (Perryman et al., 2006). Sono descritti casi di eczema alle mani dovuti ai sali di Co contenuti nei prodotti per l’igiene della casa

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(Vilaplana et al., 1987). Negli ultimi anni, in particolare tra la popolazione giovanile, la moda del piercing ha aumentato l’incidenza di dermatite da Co. Anche l’abbigliamento può essere una via di contatto con il Co. Infine un’altra causa di sensibilizzazione cutanea è legata alla presenza di Co nelle resine in poliestere o in plastiche ABS (Acrilonitrile Butadiene Stirene). Nel 2004, l’ESSCA ha riportato reazioni positive al Co nel 6,74% di 10000 soggetti sottoposti al patch test. Il Co è risultato essere il terzo allergene più importante tra tutti gli allergeni e tra i metalli è il secondo dopo il Ni. La più bassa prevalenza di allergia al Co è stata osservata in Danimarca (1,1%) e la più alta in Italia (17,6%) (The ESSCA Writing Group, 2004). Anche la prevalenza di sensibilizzazione al Co è più alta nelle donne rispetto agli uomini, e ciò è dovuto all’uso di gioielli, bigiotteria, piercing e detersivi mentre l’età del soggetto sembra non modificare sensibilmente la distribuzione delle reazioni positive al Co (Dotterud e Smith-Sivertsen, 2007).

ESPOSIZIONE Per la popolazione in generale, gli alimenti rappresentano la principale fonte di esposizione cobalto. Tracce di cobalto sono presenti anche in cemento e vari prodotti per la casa. L'assunzione media di cobalto stimata della popolazione è stata valutata intorno a 0,12 mg/die nel Regno Unito, 0,005-0,04 mg Co/die negli Stati Uniti, 0,011 mg Co/die in Canada, e 0,02 mg Co/giorno in Francia. Tutti questi valori di assunzione sono molto al di sotto della soglia di 600 µg per via orale a persona. VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI Effetti sul cuore non si registrano nelle persone con anemia trattati con fino a 1 mg di cobalto/kg, o nelle donne in gravidanza con anemia trattati con 0,6 cobalto mg/kg. Effetti sulla tiroide sono stati trovati in persone esposte a 0,5 cobalto mg/kg per un paio di settimane. Disturbi visivi sono stati trovati in un uomo in seguito al trattamento con 1,3 cobalto mg/kg per 6 settimane, ma questo effetto non è stato visto in altri esseri umani o studi sugli animali. E’ stata stabilita dose giornaliera per via orale di 0,6 cobalto mg/kg (sulla base di un LOAEL di 1 mg/kg per la policitemia).

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5.4 CROMO

Cromo(III) Il cromo è ampiamente distribuito nella crosta terrestre. Può esistere in stati di ossidazione da +2 a +6. I terreni e le rocce possono contenere piccole quantità di cromo, quasi sempre nello stato trivalente Cr(III). Il cromo è usato per preparare l'acciaio inossidabile. E’ presente in tracce nel cemento, in collanti per pavimentazione, in colori ad olio, a tempera e a smalto, in inchiostri per ufficio, nella carta carbone e nelle carte fotosensibili per duplicazione, nel lucido da scarpe, nella cera da pavimenti, nei comuni detersivi e nei candeggianti, in leghe ed acciai speciali talora usati per protesi dentarie. È altresì utilizzato come anticorrosivo nelle vernici antiruggine, nelle miscele di raffreddamento per condizionatori d’aria e sistemi refrigeranti, in oli e grassi, come mordente, colorante e sbiancante nell’industria tessile e conciaria, come detergente ed intensificatore nel fissaggio e nello sviluppo delle pellicole a colori, come antimuffa per impregnare legnami, come pigmento per tatuaggi, come colorante in istologia e per cromature nell’industria galvanica. Dal punto di vista alimentare le principali fonti di derivazione del Cr sono: i cereali e loro derivati, il sedano, le carote, il fegato di bue; è utilizzato anche come conservante nell’industria casearia. In acqua il cromo(III) è uno ione positivo che forma idrossidi e complessi. Nelle acque di superficie il rapporto cromo(III)/cromo(IV) è molto variabile, e in certe aree si possono trovare concentrazioni relativamente alte di quest’ultimo. In generale i sali di cromo(VI) sono più solubili di quelli di cromo(III), e quindi relativamente mobili. Una modesta quantità – circa lo 0,5% di Cr(III) e 10% di Cr(VI) – passa attraverso la mucosa dell'intestino ed entra nel flusso sanguigno; uno studio su uomini sopra i 60 anni ha evidenziato un assorbimento orale di dicromo trivalente di circa 1,8%. Altre fonti riportano un assorbimento tra 0,5 e 2,0% (Lamson e Plaza, 2002). TOSSICITA’ La tossicità di questo metallo è ascrivibile principalmente alla forma esavalente Cr(VI). E’ quindi cruciale poter distinguere le due forme chimiche: quando questo non sia stato fatto o non sia possibile, si dovrà considerare quale, probabilmente è la forma presente estrapolando dal tipo di utilizzo. Ad esempio sali e ossidi di Cr(III) sono ampiamente utilizzati nella formulazione di pigmenti per prodotti da trucco Tossicita’ acuta LD 50 Cromo(III)

Specie Dose

Ratto, orale 185-615 mg/kg p.c.

Tossicità in studi a breve termine Cromo(III)

Specie Dose Tempo Osservazioni

Ratto, inbred BD

0, 2%, o 5% nella dieta =0, 480, e 1210 mg/kg p.c./die

90 giorni Assunzione del cibo, peso dell’animale e degli organi, analisi ematologiche, e analisi macro e microscopiche degli organi non hanno rilevato effetti legati al trattamento, ad eccetto di un aumento del peso del fegato e della milza (Janus e Krajnc, 1990).

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Tossicità riproduttiva Cromo(III)

Specie Dose Tempo Osservazioni

Ratto, BD 0, 0,2, 0,5% nell’acqua da bere

90 giorni (da 60 giorni prima dell’accoppiamento a tutta la gestazione)

Nessun effetto embrio o fetotossico, né teratogeno (Ivankovic et al., 1975).

Mutagenesi Cromo(III): nessun effetto. Cancerogenesi Cromo (III)

Specie Dose Tempo Osservazioni

Ratto, BD 0, 0,2, 0,5% nell’acqua da bere 0,5% = 1210 mg/ kg p.c./die

600 giorni Nessun effetto sull’incidenza di tumori

Il Cromo(III) figura nel gruppo 3 (non classificabile per la cancerogenicità per l’uomo). Tossicità cutanea e sensibilizzazione Ossidi di cromo L’irritazione e la corrosione oculare dell’ossido di cromo sono state esaminate in 2 studi sul coniglio. Non è stato osservato nessun effetto (Bayer, 1977; 1978). Lo stesso risultato negativo è stato ottenuto per quanto riguarda l’irritazione e la corrosione cutanea (Bayer, 1977; 1978). Non sono disponibili studi di irritazione oculare, cutanea e sensibilizzazione sul cromo ossido nell’uomo. Sali inorganici del cromo(III) C’è un unico studio sul cromo solfato e irritazione cutanea. La sostanza era applicata con un impacco occlusivo sulla parte interna dell’orecchio di coniglio per 24 ore, e le osservazioni condotte per 7 giorni (Bayer, 1979). La sostanza è risultata non irritante. Stessa conclusione per quanto riguarda l’irritazione oculare dopo applicazione di 50 mg nel sacco congiuntivale di coniglio (Bayer, 1979). Non sono disponibili studi di irritazione oculare e cutanea dei sali di cromo(III) nell’uomo. La sensibilizzazione cutanea nei lavori a contatto con sali di Cr(III) è un evento raro, ed in genere si ritiene che gli individui siano stati sensibilizzati da esposizione al Cr(VI), e quella osservata sia una reazione crociata. E’ stata tentativamente identificata una concentrazione soglia nell’elicitare la risposta allergica pari a 0,05% o 500 ppm o 500 mg/kg (Haines e Niebor, 1988; Bagdon e Hazen, 1991).

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Allergia La prevalenza dell’allergia a Cr nella popolazione europea è del 4,5%. Nella maggior parte dei casi, l’allergia al Cr è più frequente negli uomini che nelle donne. I casi di sensibilizzazione al contatto con il Cr presente nel cemento e nel cuoio sono i più frequenti. La tossicità associata alle due forme del Cr è differente: il Cr trivalente (III) ha una minore permeabilità cutanea di quella del Cr esavalente (VI) e, di conseguenza, meno frequentemente provoca dermatiti allergiche (Shelnutt et al., 2007). I dati relativi alla sensibilizzazione ad opera di composti a base di Cr(III) sono molto limitati e variano molto a seconda dei sali di Cr(III) esaminati (Fregert e Rorsman 1964). Alcuni autori hanno evidenziato una soglia intorno ai 500 ppm per lo scatenamento della reazione allergica. Nel 2003, una direttiva europea (2003/53/CE) ha limitato la commercializzazione e l'impiego di cemento contenente più di 2 ppm di Cr VI (Direttiva 2003/53/CE). Come per il Ni, alcune attività quotidiane come l’uso del telefono cellulare e di strumenti come la chitarra sono state associate a sensibilizzazione al Cr. Inoltre il Cr contenuto nei detersivi e detergenti può aumentare il rischio di DAC. In Italia, una quantità media di Cr pari a 4,12 μg/g nei detergenti è in grado di sensibilizzare l’8,4% di 65 pazienti (Nava et al., 1987). ESPOSIZIONE Il cromo è un metallo essenziale: il fabbisogno giornaliero di cromo è stato di recente stabilito in relazione a tipologie di stile di vita.

Valori di assunzione adeguata del cromo per gruppi (IOM 2006)

Gruppo Cromo (µg/die)

Maschio adulto 19-50 anni 35

≥ 51 anni 30

Femmina adulta 19-50 anni 25

≥ 51 anni 20

Gravidanza 19-50 anni 30

Allattamento 19-50 anni 45

L’assunzione media di cromo (totale) dall’acqua e gli alimenti supera sicuramente questa quota e varia da 52 a 943 μg/die. La stima dell’assunzione totale (aria acqua alimenti) nella popolazione in U.K. è di circa 78-106 μg/die. Gli alimenti contribuiscono per il 93-98% e l’acqua per l’ 1,9-7%. Nel 1997 UK TDS ha riportato una esposizione media di 100 μg/die e di 170 μg/die al 97.5° percentile. I dati TDS francesi del 2001 indicano un’esposizione media di 77 μg/die per gli adulti (> 15 anni) e di 68 μg/die per i bambini (3-14 anni) e al 97,5° percentile un’esposizione di 126 μg/die per gli adulti e di 124 μg/die per i bambini (Leblanc, 2004). Altri studi in Germania, Svezia e Spagna indicano un’assunzione media fra i 61 e i 160 μg/die (SCF, 2003). Le concentrazioni più elevate si trovane nella carne (230 ppm), seguita da oli e grassi (170 ppm), pane (150 μg/kg), noci e cerali (140 ppm), pesce e conserve (130 ppm) (EVM, 2003; The EFSA Journal, 2008). Non è nota per quanto contribuisce l’eventuale esposizione cutanea. Per il Cr(III) si è registrato un assorbimento del 2,2%/5 ore per una soluzione allo 0,5%, (Bagdon e Hazen, 1991; Van Lierde et al., 2006; Larese Filon et al., 2008).

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VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI Da un punto di vista regolatorio il cromo ha indicazioni specifiche nella normative dell’UE o di specifici Paesi comunitari o extra-comunitari fatta eccezione per la Finlandia che non pone limiti per il Cr(III) nei cosmetici e pone un limite di 2 ppm per il Cr(VI), e una proposta di linea guida rispettivamente di 1 e 5 ppm per il Cr(VI) e il Cr(III) dell’ISS. Quest’ultimo limite è pari però allo 0,0005%: considerando che alcuni coloranti a base di Cr(III) sono permessi senza indicazioni di quantitativo massimo nei cosmetici dalla normative europea, ci si chiede se questa soglia sia tecnicamente raggiungibile. Una RfD cronica orale di 1,5 mg di cromo (III)/kg/die è stata identificata da EPA per i sali insolubili di cromo (III) (ad esempio ossido di cromo e solfato di cromo) (IRIS 2008). La RfD si basa su un NOAEL per gli effetti sistemici in ratti trattati per via orale con 1800 mg di cromo (III)/kg/die per 5 giorni/settimana per 600 pasti (840 giorni totali) nello studio di Ivankovic e Preussmann (1975). EPA ha determinato che i dati sono insufficienti per lo sviluppo di una RfC per il cromo (III) a causa della mancanza di studi rilevanti di tossicità per gli effetti respiratori del cromo (III) (IRIS 2008). [RfD (reference dose) indica la dose a cui un uomo può essere esposto giornalmente senza che intervengano effetti dannosi per la sua salute]. Cromo (VI) Assorbimento, distribuzione, metabolismo, eliminazione Nell’uomo solo una piccola frazione (0,5‐3%) del cromo ingerito viene assorbito a livello gastrointestinale. La maggior parte del cromo ingerito si distribuisce in vari compartimenti dai quali viene eliminato rapidamente con una emivita plasmatica di 7‐48 ore. Una percentuale inferiore viene poi eliminata dai compartimenti a lento rilascio con un’emivita che va da 14 giorni ad anni (Christensen, 1995; Paustenbach et al., 1996). Studi su volontari hanno dimostrato che pressochè tutto il Cr(VI) ingerito viene ridotto a Cr(III) prima di essere assorbito nel sangue (Kerger et al., 1996). L’emivita plasmatica risulta di 36 ore, e lo steady‐state delle concentrazioni nelle urine e nel sangue viene raggiunto dopo ingestione continuativa per 7 giorni in caso di assunzione di 2 litri/die di acqua contenente 2 mg/litro di Cr(VI) somministrata a volontari per 17 giorni. Il ritorno a livelli basali si ha in pochi giorni dalla cessazione dell’assunzione. La concentrazione del cromo nei globuli rossi, inoltre, decresce lentamente dopo che il cromo vi è entrato in forma di Cr(VI) e una concentrazione ≤ 10 mg di Cr(VI)/litro nell’acqua da bere nell’uomo sembra essere completamente ridotta a Cr(III) prima della distribuzione sistemica (Paustenbach et al., 1996, Kerger et al., 1996). TOSSICITA’ Tossicità riproduttiva Una serie di studi ha riportato gli effetti sulla riproduzione di ratti e topi esposti a Cr(VI) per via orale. Gli studi hanno utilizzato concentrazioni simili di esposizione (da 250 a 1000 mg/l) di dicromato di potassio nell’acqua potabile di ratti e topi femmine prima dell'accoppiamento e durante la gestazione. L’esposizione costante a Cr(VI) ha comportato un aumento delle perdite preimpianto e post-impianto, dei riassorbimenti, della nascita di feti morti, una diminuzione nel

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numero di corpi lutei e nel numero di feti (vivi e morti) (Trivedi et al., 1989; Junaid et al., 1996a, b; Kanojia et al., 1996, 1998). Inoltre, queste ricerche hanno dimostrato che il Cr(VI) è tossico per lo sviluppo in ratti e topi. Al contrario, i risultati degli studi NTP in topi BALB/c e ratti Sprague-Dawley hanno dimostrato che il dicromato di potassio non era un tossico per la fertilità quando somministrato con la dieta per 9 settimane, seguite da un periodo di 8 settimane di recupero (NTP, 1996a, b). Tuttavia, ratti e topi trattati con dicromato di potassio con la dieta (8,4 e 9,8 mg di Cr(VI)/kg p.c./die per i ratti maschi e femmine, rispettivamente, 32,2 e 48 mg Cr(VI)/kg p.c./die per topi maschi e femmine, rispettivamente) comportavano una riduzione del volume medio dei globuli rossi e di emoglobina dei globuli rossi. Questo effetto non era osservabile a concentrazioni più basse. Diminuzioni simili sono state osservate in uno studio multigenerazionale in topi trattati con dicromato di potassio nella dieta. Le diminuzioni sono state osservate in BALB/c maschi trattati con Cr(VI) a 16 mg/kg al giorno e 36,7 mg/kg al giorno e in femmine che ricevevano Cr(VI) a 78 mg/kg al giorno (NTP, 1997). Per il rischio riproduttivo i composti di Cr(VI) rientrano nella classe B+ (effetti riproduttivi negli animali, ma nessun dato nell’uomo). Non è infatti mai stato riscontrato un effetto teratogeno nell’uomo per esposizione durate la gravidanza (Eizaguirre‐Garcia et al., 2000; Clarkson et al., 1985). Mutagenesi Il Cr(VI) è genotossico in una serie di test in vitro e in vivo, sebbene le risposte siano variabili e dipendano dal tipo di protocollo e tipo di sale di cromo utilizzato. Nel complesso, i dati indicano chiaramente che l’esposizione a Cr(VI) risulta in un aumento delle frequenze delle mutazioni e alterazioni cromosomiche. La vasta letteratura sulla mutagenicità di composti del cromo è stato valutato da una serie di autori, più di recente dalla IARC (1990) e da De Flora et al. (1990). Risultati positivi sono stati ottenuti in vitro con composti di Cr(VI) in test di mutazione genica con Salmonella typhimurium o Escherichia coli (più recentemente, NTP, 2007); mutazione in avanti e saggi in lievito; test di danno cromosomico in cellule di mammifero (comprese linee cellulari umane); induzione di mutazione a livello del locus tk in cellule di linfoma di topo L5178Y, e test di induzione di rotture del DNA o l'inibizione della sintesi del DNA in un varietà di cellule di mammiferi. In vivo, risultati positivi sono stati osservati nei roditori in test di induzione di danno cromosomico e micronucleo dopo somministrazione di Cr(VI) mediante iniezione intraperitoneale (CSGMT, 1986, 1988). La via di somministrazione si è dimostrata essere un fattore cruciale: infatti, la somministrazione iniezione intraperitoneale (fino a 80 mg/kg) di potassio bicromato dava risultati positivi, mentre la sonda gastrica orale (fino a 320 mg/kg) dava risultati negativi in due ceppi (MS/AE e CD-1) di topi maschi (Shindo et al., 1989). L’esposizione di topi adulti BDF1 o Swiss a Cr(VI) mediante iniezione intraperitoneale (50 mg/kg dicromato di potassio o dicromato di sodio biidrato) ha prodotto un aumento significativo di micronuclei negli eritrociti (De Flora et al., 2006). Tuttavia, nello stesso studio, non sono state rilevate alterazioni nella frequenza di eritrociti contenenti micronuclei nel sangue periferico di topi BDF1 o Swiss esposti a bicromato di sodio diidrato o dicromato di potassio in acqua potabile (fino a 500 mg di Cr(VI)/L per 210 giorni): gli autori hanno suggerito che l'assenza di genotossicità in seguito a somministrazione orale confermi le evidenze di una detossificazione del Cr(VI) a Cr(III) a livello gastrointestinale citate in precedenza.

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Differentemente NTP sull’induzione di micronucleo nel sangue periferico condotti in topi B6C3F1, BALB/c, e am3-C57BL/6 esposti a bicromato di sodio diidrato somministrato nell’acqua per 3 mesi hanno dato risultati contrastanti (NTP, 2007); sono stati visti aumenti significativi negli eritrociti con micronuclei solo in topi am3-C57BL/6. Kirpnick-Sobol et al. (2006) ha riferito che l'esposizione di topi C57BL/6J in gravidanza sia al dicromato di potassio (Cr(VI), 62,5 o 125,0 mg/l) o Cr(III) cloruro (1875 o 3750 mg/l) in acqua potabile durante la gestazione dal 10° al 20° giorno portava ad un aumento significativo della frequenza di delezioni del DNA nella nidiata esaminata a 20 giorni di età. Kirpnick-Sobol et al. (2006) ha riferito che in embrioni esposti a Cr(III), aumenti significativi nelle delezioni del DNA sono stati osservati a concentrazioni di cromo tre volte inferiori rispetto agli embrioni esposti a Cr(VI).

Cancerogenesi L'esposizione a composti di Cr(VI) per inalazione è da tempo riconosciuta come cancerogena per l'uomo. L’United States Department of Health and Human Services, l’EPA e l'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC) classifica i composti di Cr(VI) come cancerogeni per l'uomo sulla base di un'aumentata incidenza di tumori polmonari nei lavoratori del settore in cromo e negli animali esposti a queste sostanze per inalazione (IARC, 1990; Cohen et al., 1993; NTP, 1998) (classe 1 IARC; gruppo A per inalazione e come gruppo D per via orale EPA(8)) (EPA 1998; ATSDR, 2000). I composti specifici elencati come cancerogeni includono cromato di calcio, triossido di cromo, cromato di piombo, cromato di stronzio, e cromato di zinco. Gli studi epidemiologici effettuati in Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e gli Stati Uniti di lavoratori nel settore della produzione dei cromati hanno costantemente mostrato rischi in eccesso per il tumore polmonare. I lavoratori in questo settore possono essere esposti a una varietà di forme di cromo, tra cui composti di cromo (VI) e (III). Anche se composti di Cr(VI) sono risultati cancerogeni per inalazione, è stato suggerito che la capacità riduttiva a livello gastro-intestinale sia sufficiente per impedire Cr(VI) di essere un agente cancerogeno se ingerito (De Flora et al., 1997; Proctor et al., 2002). Esistono pochi dati sugli effetti sulla salute derivanti da ingestione di composti di Cr(VI). Una revisione dei pochi studi epidemiologici su popolazioni esposte a Cr(VI) attraverso l’acqua potabile o il suolo o discariche ha concluso che questi studi non hanno fornito prove definitive di causalità di un aumento dell'incidenza di cancro o dei tassi di mortalità (Proctor et al., 2002). Tuttavia, uno studio retrospettivo di mortalità su una popolazione che vive nei pressi di un impianto di cromo della Repubblica popolare cinese, ha trovato un'aumentata incidenza di tumori del polmone e dello stomaco rispetto a quelle della popolazione generale. Gli autori non riportano i livelli di esposizione nè la dimensione della popolazione considerata, né la presenza di eventuali altri contaminanti (Zhang e Li, 1987; ATSDR, 2000). Più di recente, Sedman et al. (2006) hanno rivalutato i risultati di questo studio e confermato il notevole aumento di neoplasie del polmone e dello stomaco. Tuttavia, la mancanza di alcune informazioni nello studio cinese rende impossibile attribuire l’incidenza dei tumori rilevati alla sola esposizione al cromo.

(8)

Non classificabile come cancerogeno, per evidenza inadeguata sia nell’uomo che negli animali da esperimento o

sostanza per cui non sono disponibili dati.

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A tale proposito una recente valutazione retrospettiva relativa all’incidenza di mortalità per carcinoma in generale e per carcinoma del polmone o dello stomaco in zone cinesi contaminate da Cr(VI) (20 mg/l nell’acqua di falda) ha fornito dati statisticamente non differenti da quelli di aree non contaminate da cromo (Kerger et al., 2009). Tossicità cronica A seguito di esposizione professionale cronica a cromo in ambienti di lavoro gli effetti più comunemente riportati risultano a carico di cute, mucose nasali, occhi, laringe e polmoni‐apparato respiratorio. Le segnalazioni di effetti tossici derivanti da esposizioni ambientali a bassi livelli di dose nell’uomo sono limitate. In zone degli USA (Hudson, NJ) con elevata contaminazione da cromo per presenza di impianti produttivi è stata riportata una ridotta produzione di citochine in individui esposti a cromati (Snyder et al., 1996). Studi a lungo termine in cui gli animali sono stati esposti a bassi livelli di cromo negli alimenti o nell’acqua non hanno prodotto effetti nocivi (ATSDR, 2000). Sono stati effettuati studi per cercare di identificare se e in quale proporzione il Cr(VI) presente nell’acqua corrente possa essere assorbito per ingestione e per contatto cutaneo, nonchè per valutare il possibile rischio sulla salute con questa modalità di esposizione. I risultati di queste valutazioni (Paustenbach et al., 2003) indicano che: - l’ingestione di concentrazioni di Cr(VI) inferiori a 2 mg/litro nell’acqua porta a una rapida riduzione a cromo trivalente Cr(III). Poichè il Cr(VI) colora di giallo l’acqua a concentrazioni già di 1‐2 mg/litro, gli studi rappresentano condizioni ben al di sopra del peggior scenario di esposizione umana involontaria ‐ l’esposizione a concentrazioni di Cr(VI) nell’acqua fino a 10 mg/litro non supera la capacità riduttiva dello stomaco e del sangue ‐ l’esposizione cutanea a Cr(VI) con acqua a concentrazioni fino a 22 mg/litro non supera la capacità riduttiva della cute e del sangue ‐ l’inalazione di una dose di Cr(VI) durante la doccia a concentrazioni fino a 10 mg/litro è troppo piccola per poter essere correlabile a un minimo rischio di cancerogenesi. Cute e annessi Il contatto cutaneo con soluzioni concentrate di cromati può produrre lesioni di tipo caustico note come “buchi da cromo” o “ulcere da cromo”, specie nelle zone in cui siano già presenti lesioni dell'epidermide. Dermatite da contatto e allergica. Il contatto cutaneo ripetuto con polveri di Cr(VI) può portare a una forma di dermatite eczematosa in individui sensibili (Fowler et al., 1999). Occhi Le polveri di cromati possono produrre irritazione della congiuntiva (Cohen e Costa, 1998), cheratiti croniche, bande scure o alterazioni del colore della superficie corneale (Grant, 1993). ESPOSIZIONE In generale, la concentrazione di cromo nelle acque sotterranee è bassa (< 1 µg/litro). Nei Paesi Bassi, è stata misurata una concentrazione media di 0,7 µg/l con un massimo di 5 µg/l (Slooff, et al., 1989); la concentrazione di cromo del 76% delle forniture idriche era inferiore a 1 µg/l e nel 98% inferiore a 2 µg/l . Nel 1986, in 17 campioni di fornitura di acqua provenienti da acque

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sotterranee e una di superficie i livelli superavano 50 µg/l (U.S. EPA, 1987); in acque sotterranee poco profonde, sono stati trovati livelli mediani di 2-10 µg/l (Deverel et al., 1988; U.S. EPA, 1987). La maggior parte delle forniture di acqua potabile in USA contiene meno di 5 µg/l. Circa il 18% della popolazione degli Stati Uniti è esposta a livelli di cromo nell’acqua potabile compresi tra 2 e 60 µg/l e lo < 0,1% a livelli tra 60 e 120 µg/l (U.S. EPA, 1987). Uno studio canadese sull’acqua potabile ha dato un livello medio generale di 2 µg/l di cromo, con massimi di 14 µg/l (acqua tal quale) e 9 µg/l (acqua trattata) (Méranger et al., 1979). L’assunzione media di cromo (totale) dall’acqua e gli alimenti supera sicuramente questa quota e varia da 52 to 943 μg/die (WHO, 1988). La stima dell’assunzione totale (aria acqua alimenti) nella popolazione in U.K. è di circa 78-106 μg/die. Gli alimenti contribuiscono per il 93-98% e l’acqua per l’ 1,9-7%. I dati TDS francesi del 2001 indicano un’esposizione media di 77 μg/die per gli adulti (> 15 anni) e di 68 μg/die per i bambini (3-14 anni) e al 97,5° percentile un’esposizione di 126 μg/die per gli adulti e di 124 μg/die per i bambini (Leblanc, 2004). Altri studi in Germania, Svezia e Spagna indicano un’assunzione media fra i 61 e i 160 μg/die (SCF, 2003). Le concentrazioni più elevate si trovane nella carne (230 ppm), seguita da oli e grassi (170 ppm), pane (150 μg/kg), noci e cerali (140 ppm), pesce e conserve (130 ppm) (EVM, 2003; The EFSA Journal, 2008). Del 1958 l'OMS ha raccomandato, come norme internazionali per acqua potabile, una concentrazione massima ammissibile di 50 µg/l per il Cr(VI). Nella prima edizione delle Linee guida sulla qualità dell’acqua da bere, pubblicata nel 1984, è stato mantenuto il valore indicativo di 50 µg/l per il cromo totale. Nelle Linee guida del 1993 il valore indicativo di 50 µg/l è stato messo in discussione per la cancerogenicità del Cr(VI) in seguito ad inalazione e la sua genotossicità, anche se i dati tossicologici a disposizione non hanno supportato la determinazione di un nuovo valore. Considerando improbabile che il valore di 50 µg/l possa dar luogo a un rischio significativo per la salute, ed è stato quindi mantenuto come valore guida provvisorio fino a quando ulteriori informazioni non siano disponibili e il cromo possa essere rivalutato. VALORI/PARERI/LIMITI La legge italiana prevede, per quanto riguarda l'acqua potabile, un massimo di 50 µg/l come MAC (massima concentrazione permessa), come cromo totale. Esiste la definizione di uno standard di qualità ambientale per il cromo negli ambienti acquatici superficiali a livello europeo (2005), che è stato ripreso anche dalla Direttiva europea 2008/105/EC, pari a 50 µg/l come cromo totale e 5 µg/l come Cr(VI). L’OMS, come già riportato, indica anch’essa un valore massimo di 50 µg/l come cromo totale nell’acqua potabile. EPA in base all’effetto sul peso corporeo e dell'acqua potabile assunta dagli animali nei gruppi a basso dosaggio (250 ppm), ha identificato un LOAEL di 67 mg/kg/die e 37 mg/kg/ rispettivamente per topo e ratto derivati dagli studi di embrio-fetotossicità di Junaid et al. (1996a) e Kanojia et al. (1996). L’applicazione del fattore di incertezza di 10 volte per estrapolare da LOAELs a NOAEL in questi studi genererebbe un NOAEL di 6,7 mg/kg/die e 3,7 mg/kg/die. Questi valori NOAEL sono simili, e sostengono l'uso, di un NOAEL di 2,5 mg/kg/die, già individuato dallo studio di MacKenzie et al. (1958) per il calcolo della dose di riferimento. Il NOAEL viene ulteriormente modificato da due fattori di incertezza di 10 volte per tener conto della variabilità inter- ed intraspecie. Un ulteriore fattore di incertezza di 10 è applicato al NOAEL per compensare per la durata di esposizione dello studio di MacKenzie et al, e un altro fattore viene applicato per rispondere alle preoccupazioni sollevate dallo studio di Zhang e Li (1987). Il fattore di incertezza

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totale applicato al NOAEL è 900 (U.S. EPA, 1998), dando luogo a una dose di riferimento di 2,7 × 10-3 arrotondato a 3 × 10-3 mg/kg al giorno (equivalente a una TDI di 0,003 mg/kg peso corporeo/die, o 3 µg/kg peso corporeo/die). Questo significa per un peso medio di 60 kg 180 µg/die di Cr(VI) e quindi 90 µg/l. I limiti tollerabili (TL) calcolati in base al TDI (3 µg/kg p.c.) sono: 3 µg/kg p.c. x 60 kg TL= ------------------------------------ = 9 µg/l 10% x 2 l Questo valore rappresenta la dose massima tollerabile che si può assumere giornalmente senza incorrere in alcun rischio sulla base della TDI definita nell’animale da esperimento.

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5.5 MERCURIO

Il mercurio è un contaminante ambientale che è presente nel pesce e prodotti ittici in gran parte come metilmercurio. Il metilmercurio è altamente tossico in particolare per il sistema nervoso e il cervello in via di sviluppo che si suppone sia l'organo bersaglio più sensibile. Sali di mercurio (Hg2+, ad esempio HgCl2) vengono assorbiti in misura limitata nel tratto gastrointestinale. L’assorbimento del mercurio inorganico in tutto il tratto intestinale è in gran parte dipendente dalla sua solubilità e la sua dissociazione nel lume. Composti mercurici sono più facilmente assorbiti rispetto a forme mercuriose a causa della loro solubilità. L’assorbimento varia anche a seconda della specie (ad esempio 20% per topi adulti, 30% per la capra, 7% negli uomini), età (38% in topi di una settimana), di fattori nutrizionali (leganti organici come fitati, proteine/aminoacidi, micronutrienti come selenio) e di fattori fisiologici (assunzione di cibo, tempo di transito intestinale, ecc.). Dopo assunzione orale le forme organiche vengono assorbite molto più rapidamente ed estesamente di quelle inorganiche. Oltre l'80% di metilmercurio e fenilmercurio è assorbito dagli esseri umani, animali da laboratorio e animali d'allevamento (pollame, i ruminanti e pesce) a seguito di esposizione orale. TOSSICITA’ Gli effetti sulla salute del mercurio sono altamente dipendenti dalla forma chimica coinvolta. L'esposizione al mercurio organico può causare neurotossicità e nefrotossicità (WHO, 1991), mentre le forme inorganiche sono più coinvolte in fenomeni di nefrotossicità. L'assorbimento di sali di mercurio inorganico nel tratto gastro-intestinale varia dal 2 al 38%. Il mercurio organico è quasi completamente assorbito. Il mercurio si accumula nei reni e si può trovare anche nel cervello. Cute Il mercurio elementare non è un irritante cutaneo. Tuttavia, una reazione allergica della pelle si può sviluppare a seguito di contatto con il mercurio. Allergia Sebbene sia stato riconosciuto come il quinto allergene più comune nei pazienti con patch test positivo, è risultato essere possibilmente rilevante nel 7,8% di 2252 pazienti esaminati e probabilmente rilevante in un singolo paziente (Rietschel et al., 2001). Anche tatuaggi, piercing e oggetti in PVC sono potenzialmente in grado di dare sensibilizzazioni ed allergie da Hg. I sali del Hg compongono i colori per tatuaggi e possono essere responsabili di reazioni allergiche; i pigmenti rossi, per esempio, includono il solfuro di Hg (rosso vermiglio e rosso cinabro) e danno reazioni di ipersensibilità ritardata. ESPOSIZIONE La principale fonte di esposizione a vapori di mercurio (Hg0) nella popolazione generale è l’amalgama dentale (Vahter et al., 2000; OMS, 1991). Il mercurio inorganico è presente nella dieta a basse concentrazioni, soprattutto come Hg2+, e la assorbimento se ingerito è basso. Una lunga esposizione a mercurio inorganico può avvenire anche tramite l’uso di creme e saponi per schiarire la pelle (la concentrazione può arrivare all’8%) (McRill et al., 2000; Soo et al., 2003) e farmaci a base di erbe (Li et al., 2000).

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L'esposizione al metilmercurio (MeHg), un noto neurotossico, si verifica quasi esclusivamente attraverso il consumo soprattutto di pesci predatori e di mammiferi marini,che possono contenere mercurio anche in quantità di in mg/kg (NRC, 2000). L'assunzione totale giornaliera di mercurio in Italia attraverso gli alimenti è di circa 8 µg/giorno (Council of Europe, 1994). VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI Il Comitato JECFA nel 2006 ha confermato la PTWI esistente di 1,6 μg/kg di peso corporeo, stabilita nel 2003, sulla base degli efffetti tossicologici più rilevanti (neurotossicità per lo sviluppo) nella specie più sensibile (gli esseri umani). Tuttavia, il Comitato ha osservato che le fasi di vita diverse da quelle dell'embrione e del feto possono essere meno sensibili agli effetti avversi del metilmercurio. Il JECFA ha stabilito una dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di 1,6 µg/kg di peso corporeo sulla base di due studi epidemiologici che hanno indagato la relazione tra esposizione materna al mercurio e sviluppo neurologico alterato nella progenie. In caso di adulti, il Comitato ritiene che l'assunzione di fino a circa due volte superiore alla PTWI esistente di 1,6 μg/kg di peso corporeo non pone alcun rischio di neurotossicità negli adulti, anche se nel caso di donne in età fertile, è opportuno ricordare che l'assunzione non dovrebbe superare la PTWI, per proteggere l'embrione e feto.

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5.6 NICHEL

Il nichel (Ni) è un metallo a diffusione pressoché ubiquitaria ed è difficile evitarne il contatto nella vita quotidiana. La presenza di una quantità sufficiente di Ni nella dieta di una persona sensibile al metallo può provocare dermatiti. Il nichel è un sottoprodotto di molte industrie; si trova nei carburanti per riscaldamento, nel fumo di sigaretta, in alcuni fertilizzanti e nei gas di scarico delle autovetture. È usato in molte leghe e come ricoprente attraverso elettrodeposizione per la sua resistenza alla corrosione. Con il Cd forma la coppia redox nelle batterie. È impiegato come catalizzatore e per la fabbricazione delle monete metalliche, per stampe su tessuti, colori per ceramiche, pigmento per materie sintetiche e lacche, come mordente per legno, leghe e acciaio. E’ presente in fermagli, ornamenti metallici, montature metalliche di occhiali, pace-maker, protesi dentarie, dispositivi contraccettivi intrauterini, lavelli metallici, liquidi per macchine duplicatici, tinture per capelli, alcuni fertilizzanti, alcuni tipi di cemento, grassi idrogenati per uso alimentare, vernici e smalti verdi per vetro, terracotta e porcellana. Viene utilizzato come mordente nell’industria tessile e metallurgica ed in galvanoplastica. È usato anche in odontoiatria per protesi dentarie. I grassi e gli oli idrogenati, come la margarina o i condimenti e gli alimenti raffinati e lavorati contengono questo minerale. Gli alimenti che lo contengono in maggiori quantità sono: legumi (principalmente lenticchie, fave, fagioli e piselli), vegetali (in particolar modo asparagi, broccoli, carciofi, carote, cavoli, cavolfiore, cipolla, fagiolini, finocchio, funghi, lattuga, pomodoro, radicchio, rucola, sedano, spinaci), alimenti in farina integrale e grano saraceno, aringhe, cacao, cibi in scatola, cioccolato, frutta secca, funghi, grassi cotti, oli/grassi idrogenati e non idrogenati, kiwi, ostriche, prugne, pere, rabarbaro, lievito in polvere. Il Ni è presente nel suolo, con una concentrazione che varia dal 5 μg/g fino a 500 μg/g e in acqua dolce il suo livello varia da 5 μg/l a 100μg/l. Non ci sono evidenze che il nichel abbia funzioni biochimiche negli esseri umani e nei mammiferi. Tuttavia nei roditori la deficienza di nichel è associata a ritardo della crescita, disturbi della funzione riproduttiva e ridotti livelli di emoglobina (Schnegg e Kirchgessner, 1977). Inoltre, il nichel appare essenziale per le funzioni catalitiche di alcuni piante ed enzimi batterici. Il nichel può essere assorbito per via orale e per inalazione; un piccolo ammontare può penetrare attraverso la cute. Una volta assorbito viene distribuito in tutto l’organismo ma principalmente nel rene da dove viene eliminato. In caso di assorbimento orale viene eliminato principalmente con le feci. L’assorbimento gastro-intestinale varia dal 12 al 33%, ed è a sua volta influenzato dalle condizioni di digiuno dell’individuo e dalla solubilità degli sali di nichel in esame (Emilson et al., 1993) I pochi dati disponibili riguardo la penetrazione cutanea indicano che lo ione nichel è scarsamente assorbito a questo livello (2% su cute umana in vitro). TOSSICITA’ In alcuni casi di esposizione per via inalatoria a polveri contenenti nichel in addetti ad impianti di lavorazione del nichel si sono riscontrati bronchite cronica, ridotta funzionalità polmonare, e tumore al polmone e ai seni nasali, quando l’esposizione raggiungeva concentrazioni molto elevate pari a 10 mg nichel/m³, e il nichel era sotto forma di subsulfuro (Ni3S2). Non ci sono evidenze di effetto teratogeno.

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Allergia L’effetto indesiderato più rilevante del nichel è la sua capacità di indurre reazioni allergiche. L’allergia al Ni è la più diffusa al mondo. Nel 2004, il sistema europeo di vigilanza sulle allergie da contatto (ESSCA) ha raccolto dati provenienti da 31 servizi dermatologici di 11 diversi paesi europei (Austria, Danimarca, Germania, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera) ed ha osservato che su circa 10000 soggetti sottoposti al patch test il 20,1% dei casi dava risposte positive al Ni, evidenziando come tale metallo fosse al primo posto tra tutti gli allergeni. L'Italia è il primo Paese in Europa con la più alta percentuale di soggetti allergici al Ni (32,1%) mentre la Danimarca è quella con la percentuale più bassa (9,7%) (The ESSCA Writing Group, 2004). Le donne sviluppano allergia al Ni in misura maggiore rispetto agli uomini (25,1% delle donne contro il 7,4% degli uomini) verosimilmente per il maggiore utilizzo che esse fanno di bigiotteria, piercing, cosmetici e prodotti per l’igiene della casa (Dotterud e Smith-Sivertsen, 2007). Attualmente la causa principale di sensibilizzazione al Ni, soprattutto nei giovani, è rappresentata dai piercing, ma è stato anche notato che la comparsa di DAC localizzate all'elice dell'orecchio può essere scatenata dal Ni contenuto nei cellulari. Inoltre l'uso di strumenti musicali quali il violino o la tromba possono essere responsabili di dermatiti alle dita o di cheiliti. Altri casi di allergie al Ni sono associati alla presenza di tale metallo nei bottoni dei blu jeans. Un’altra via di sensibilizzazione al Ni è rappresentata dai dispositivi ortodontici quali ponti, corone e amalgami. Uno studio italiano ha evidenziato che gli oggetti di bigiotteria comprati sul mercato italiano nel 2007 avevano un contenuto di Ni da 10 a 450 volte superiore al limite fissato dalla direttiva europea (Bocca et al., 2007). In più, è stato osservato che il Ni contenuto nelle monete da 1 e 2 euro è superiore al limite imposto e che le monete da 200 e da 500 lire ne contenevano una percentuale decisamente inferiore, pari al 2% e di conseguenza erano meno allergizzanti (Seidenari et al., 2005). L'Unione Europea ha regolamentato la presenza e il rilascio di Ni in tutti gli oggetti destinati al contatto diretto e prolungato della pelle. In particolare, la Direttiva 94/27/CE e il suo più restrittivo emendamento (Direttiva 2004/96/CE) sono state emesse con l’obiettivo di prevenire l’induzione della DAC da Ni (prevenzione primaria) e di evitare l’elicitazione della DAC in soggetti pre-sensibilizzati (prevenzione secondaria). La Direttiva 94/27/CE prevedeva una limitazione del contenuto del Ni nelle leghe che non doveva superare lo 0,05% in peso e quello rilasciato in una soluzione simulante il sudore che non doveva essere al di sopra di 0,5 μg/cm2/settimana. Tuttavia, allo stato attuale, l’efficacia che ha avuto tale normativa sulla reale riduzione della DAC da Ni è ancora sotto questione. Infatti, se in un paio di casi è stata osservata una diminuzione dell’allergia da Ni dal 24,8% al 9,2% in Danimarca e dal 36,7% al 25,8% in Germania (Jensen et al., 2002), (Schnuch e Uter, 2003), in Italia la percentuale di soggetti sensibilizzati al Ni sembra essere rimasta invariata (circa il 50% prima e dopo l’attuazione della Direttiva). Recentemente tali normative sono state abrogate e superate dal Regolamento 1907/2006 (REACH), allegato XVII, voce 27(b). Attualmente, dunque, le restrizioni sono estese a:

a) tutti gli oggetti metallici che vengono inseriti negli orecchi perforati e in altre parti perforate del corpo umano, a meno che il tasso di cessione di Ni da tali oggetti sia inferiore a 0,2 μg/cm2/settimana (limite di migrazione);

b) ad articoli destinati ad entrare in contatto diretto e prolungato con la pelle, quali orecchini, collane, bracciali e catenelle, braccialetti da caviglia, anelli, casse di orologi da polso, cinturini e chiusure di orologi, bottoni automatici, fermagli, rivetti, cerniere lampo e marchi metallici, se sono applicati agli indumenti, se il tasso di cessione di Ni dalle parti di questi articoli che vengono a contatto diretto e prolungato con la pelle è superiore a 0,5 μg/cm2/settimana;

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c) ad articoli come quelli elencati alla lettera b), se hanno un rivestimento senza Ni, a meno che tale rivestimento sia sufficiente a garantire che il tasso di cessione di Ni dalle parti di tali articoli che sono a contatto diretto e prolungato con la pelle non superi 0,5 μg/cm2/settimana per un periodo di almeno due anni di uso normale dell’articolo.

Anche i prodotti per la pulizia della casa contenenti Ni favoriscono lo sviluppo di eczema delle mani nelle donne. Dato l’alto numero di casi di DAC nelle casalinghe, nel 1993 è stato suggerito che la quantità di Ni nei prodotti per la casa non doveva superare i 5 μg/g al fine di evitare sensibilizzazioni. Nel 2003 questo limite è stato ulteriormente abbassato a 1 μg/g. ESPOSIZIONE L’esposizione orale a nichel avviene attraverso l’acqua e gli alimenti. L’assunzione media giornaliera è stata stimata intorno ai 2 µg/kg p.c., ma presenta un’elevata variabilità in funzione delle abitudini alimentari e dall’uso in cucina di utensili che possano rilasciare nichel. I dati mostrano che l'esposizione dal cibo è moderata e che una maggiore esposizione potrebbero essere venire dall’acqua potabile in considerazione delle circostanze in cui nichel naturalmente elevato è presente. VALUTAZIONI/PARERI/LIMITI In uno studio di due generazioni su ratti, è stato identificato un NOAEL di 1,1 mg di nichel per kg di peso corporeo al giorno per tutti gli end-point studiati, tra cui la letalità post-impianto/perinatale (SLI, 2000; UE, 2004). L'applicazione di un fattore di incertezza di 100 da un TDI di 11 μg/kg di peso corporeo. Da questo TDI può essere derivato un valore di sicurezza di 70 µg/litro (arrotondati da 66 µg/litro) assumendo che un adulto di 60 kg beve 2 litri di acqua al giorno e e che l’acqua potabile è il 20% del TDI.

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5.7 PIOMBO Il piombo è un contaminante ambientale che si trova sia in natura sia come risultato di attività umane. L’assorbimento del piombo a livello gastro-intestinale è maggiore nei bambini (assorbimento medio 40%) rispetto agli adulti (assorbimento 5-15%). Il piombo assorbito per via orale passa nel sangue e quindi trasferito ai tessuti molli, inclusi fegato e rene, e al tessuto osseo dove si accumula nel tempo. Può passare la barriera emato-placentare e arrivare al feto, come pure al neonato attraverso il latte materno. L’assorbimento percutaneo di piombo acetato da preparazioni coloranti dei capelli è risultato sostanzialmente zero con un range fra 0-0,3% della dose applicata sulla cute. Un moderato assorbimento era rilevabile in caso di epidermide danneggiata (Moore et al., 1980). Generalmente, si è osservato che la captazione di piombo organico in seguito ad applicazione topica è maggiore rispetto a quello inorganico. Inoltre, la captazione in vivo è minore di quella riscontrata in vitro (Pan et al., 2010). L’assorbimento del piombo attraverso la cute riportato del Pb Voluntary risk assessment (VRA) è < 0,01%. L’emivita del piombo inorganico nel sangue e nell’osso è rispettivamente di 30 giorni e di 10-30 anni. TOSSICITA’ A causa della lunga emivita, la maggiore preoccupazione per la salute umana nel caso del piombo è rivolta alla tossicità cronica. Studi in roditori e primati non umani hanno dimostrato che un’esposizione cronica a bassi livelli può causare neurotossicità, soprattutto caratterizzata da deficit cognitivi. Un certo numero di studi ha identificato un’associazione fra pressione sistolica elevata (SBP), danno renale cronico (CKD), a livelli relativamente bassi di piombo nel sangue. La International Agency for Research on Cancer ha classificato il piombo inorganico come probabile cancerogeno per l’uomo (Gruppo 2A) nel 2006. Sommario delle concentrazioni ematiche senza effetto per il piombo nell’uomo (VRA)

EFFETTI SULLA SALUTE NOAEL Popolazione esposta

Effetti renali 60 µg/dl 25 µg/dl

Adulti Bambini

Effetti ematologici 50 µg/dl 40 µg/dl

Adulti Bambini

Effetti riproduttivi 45 µg/dl 30 µg/dl

Maschio adulto Donne in età riproduttiva

Effetti sul sistema nervoso 40 µg/dl 10 µg/dl 5 µg/dl

Adulti Bambino (singolo) Limite basato su popolazione infantile

Effetti sul sistema nervoso fetale 10 µg/dl Donna gravida

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Cute Per quanto riguarda la tossicità acuta cutanea, non ci sono evidenze sperimentali di una marcata tossicità del piombo su questo tessuto, né di una sua potenzialità sensibilizzante. ESPOSIZIONE L'esposizione può avvenire attraverso l'acqua potabile, il cibo, l'aria. In un parere pubblicato ad aprile 2010 sui possibili rischi per la salute relativi alla presenza di piombo negli alimenti il gruppo Contaminanti (EFSA) ha ritenuto che siano i cereali, gli ortaggi e l’acqua potabile a contribuire in maggior misura all’esposizione alimentare al piombo attraverso la dieta per la maggioranza degli Europei. Il gruppo ha concluso che gli attuali livelli di esposizione al piombo costituiscono un rischio basso o trascurabile per la salute della maggior parte degli adulti, ma che esistono potenziali preoccupazioni in particolare in merito a effetti sullo sviluppo neurologico per feti, neonati e bambini. L’esposizione attraverso la dieta di un adulto in 19 Paesi europei varia da 0,36 a 1,24 μg/kg peso corporeo (p.c.) per die per i consumatori medi e da 0,73 a 2,43 μg/kg p.c./die per i grandi consumatori. I dati disponibili non indicano un’esposizione diversa per le donne in gravidanza. Per i bambini di 1-3 anni l’esposizione media va da 1,10 a 3,10 μg/kg p.c./die e da 1,71 a 5,51 μg/kg p.c./die per i forti consumatori. Per i bambini di 4-7 anni l’esposizione media varia da 0,80 a 2,61 μg/kg p.c./die; per i forti consumatori il range è di 1,30-4,83 μg/kg p.c./die. In confronto all’esposizione attraverso la dieta, le altre vie appaiono di minor importanza in Europa. La polvere di casa e del suolo potrebbero essere vie di esposizione per i bambini. Il CONTAM Panel ha concluso che l’attuale limite provvisorio di assunzione settimanale accettabile (PTWI) di 25 μg/kg p.c. stabilito dal Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA) e dal Scientific Committee of Food non è probabilmente più appropriato e che sia necessario di volta in volta calcolare il margine di esposizione. La stima dell’esposizione tramite la dieta al piombo per consumatori adulti in Europa sono più bassi del BMDL10 per quanto riguarda gli effetti sulla pressione (1,50 μg/kg p.c./giorno), ma varia per quanto riguarda gli effetti renali (0,63 μg/kg p.c./giorno). I MoEs rispettivi variano da 1,2 a 4,2 e da 0,51 a 1,81. Tuttavia, quando l’esposizione si avvicina ai limiti superiori del range non si può escludere un effetto sul consumatore (The EFSA Journal, 2010).

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6. ESEMPI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DEI METALLI PESANTI NEI PRODOTTI COSMETICI

ANTIMONIO NOAEL: 0,6 mg/kg p.c./giorno Il valore di NOAEL utilizzato è stato definito da un LOAEL pari a 6 mg/kg basato su un rallentamento di aumento di peso corporeo (WHO/SDE/WSH/03.04/74) proposto da Lynch et al. (1999) ottenuto da uno studio subcronico per somministrazione attraverso l’acqua da bere (90 giorni) condotto su ratti (Poon et al., 1998) ed al quale è stato applicato un fattore di sicurezza pari a circa 10 (3*3) considerando un primo fattore 3 per il passaggio dal LOAEL al NOAEL e ancora 3 per estrapolare il risultato dello studio a 90 giorni ad uno studio cronico. ASSORBIMENTO ORALE: 5% Analisi eseguite in quattro individui in seguito ad intossicazione involontaria da antimonio hanno rilevato un assorbimento gastrico del 5% (WHO/SDE/WSH/03.04/74; Iffland e Bosche, 1987; Lauwers et al., 1990). ARSENICO BMDL10: 0,0003 mg/kg p.c./giorno L’EFSA Contaminant Panel ha modellato i dati dose-risposta sulla base di studi epidemiologici chiave, selezionando un intervallo di valori relativi al limite inferiore dell’intervallo di confidenza 95% di una risposta di riferimento di extra rischio dell'1% (BMDL10). Per tumori al polmone, alla pelle e alla vescica e per le lesioni cutanee sono stati identificati valori di BMDL10 compresi tra 0,3 e 8 µg/kg di peso corporeo al giorno (The EFSA Journal, 2009). E’ stato quindi utilizzata la BMDL10

più restrittiva di 0,3 ug/kg di peso corporeo al giorno relativo al parametro più sensibile i tumori polmonari riscontrati nella popolazione. ASSORBIMENTO CUTANEO: 2% Il dato di assorbimento utilizzato risulta da un arrotondamento per eccesso di un valore di assorbimento cutaneo del 1,9% ottenuto da uno studio in vitro su campioni di pelle umana (Wester et al., 1993). Nello stesso studio i valori di assorbimento cutaneo di arsenico applicato sulla pelle di scimmie Rhesus risultavano essere 6,4 e 2% rispettivamente per dosi diluite e concentrate. CADMIO BMDL5: 0,0014 mg/kg p.c./giorno L’EFSA Contaminant Panel ha calcolato il valore di BMDL5 che produce un cambiamento specifico dei livelli urinari di B2M (beta-2-microglobulina) pari a 4 µg di cadmio/g creatinina nelle urine. Per rimanere al di sotto di 4 µg cadmio/g creatinina nelle urine, è stato calcolato che l'assunzione media giornaliera di cadmio nella dieta non dovrebbe superare 1,44 µg/kg di peso corporeo (The EFSA Journal, 2011).

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ASSORBIMENTO CUTANEO: 0,8% L’assorbimento cutaneo considerato è molto basso tra 0,3-0,8% (ATSDR, 1999). COBALTO NOAEL: 0,6 mg/kg p.c./giorno Partendo da 1 mg/kg considerata dose “minimum risk level for humans” attiva in grado di aumentare il numero di eritrociti in pazienti anemici dopo somministrazione di cobalto (The EFSA Journal, 2009), è stata stabilita una dose giornaliera per via orale di 0,6 mg/kg di cobalto, quantità considerata sufficientemente protettiva per la popolazione umana. ASSORBIMENTO ORALE: 25% Le stime di assorbimento gastrointestinale del cobalto variano dal 5 al 30%, a seconda della forma chimica e quantità ingerita; 10% è un valore tipico per individui adulti. Uno studio condotto da Elinder e Friberg (1986) ha stimato un assorbimento grastrointestinale di 25% per i sali solubili di cobalto. CROMO(III) NOAEL: 1800 mg/kg p.c./giorno Una RfD cronica orale di 1,5 mg di cromo(III)/kg p.c. al giorno è stata calcolata dall’Environmental Protection Agency americana EPA-USA per i sali insolubili di cromo(III). La RfD è basata su un NOAEL per effetti sistemici nel ratto alimentato con una dieta contenente 1800 mg di Cr2O3/kg peso corporeo per 840 giorni (Ivankovich e Preussmann 1975; IRIS, 2008). La Reference Dose (RfD) è una dose di riferimento operativa derivata dal NOAEL mediante l'applicazione di Fattori di Sicurezza, ed è la dose a cui un uomo può essere esposto giornalmente senza che intervengano effetti dannosi per la salute. ASSORBIMENTO ORALE: 2% L’assorbimento intestinale di cromo(III) è stato valutato in un intervallo tra 0,5% e 2% (Davis et al., 2002; Anderson et al., 1985; Offenbacher et al., 1986). CROMO(VI) NOAEL: 2,5 mg/kg p.c./giorno Una RfD cronica orale di 0,003 mg di cromo(VI)/kg p.c. al giorno è stata calcolata e verificata dall’Environmental Protection Agency americana EPA-USA per i sali solubili di cromo(VI). La RfD è basata su un NOAEL per effetti sistemici nel ratto esposto a 2,5 mg di cromato di potassio in acqua da bere per 1 anno in uno studio condotto da MacKenzie et al. (1958). ASSORBIMENTO ORALE: 3% Nell’uomo solo una piccola frazione (0,5‐3%) del cromo ingerito viene assorbito a livello gastrointestinale (Christensen, 1995; Paustenbach et al., 1996).

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MERCURIO NOAEL: 0,0015 mg/kg p.c./giorno Il Comitato JECFA nel 2006 ha confermato la PTWI esistente di 1,6 μg/kg di peso corporeo, stabilita nel 2003, sulla base degli effetti tossicologici più rilevanti (neurotossicità per lo sviluppo) nella specie più sensibile (gli esseri umani), partendo da una concentrazione giornaliera di mercurio presente nel sangue materno di 1,5 ug/kg p.c. Tuttavia, il Comitato ha osservato che le fasi di vita diverse da quelle dell'embrione e del feto possono essere meno sensibili agli effetti avversi del metilmercurio. ASSORBIMENTO ORALE: 7% L’assorbimento orale di composti di mercurio è 7% (The EFSA Journal, 2008). NICHEL NOAEL: 1,1 mg/kg p.c./giorno In uno studio di due generazioni su ratti, è stato identificato un NOAEL di 1,1 mg di nichel per kg di peso corporeo al giorno per tutti gli end-point studiati, tra cui la letalità post-impianto/perinatale (SLI, 2000; UE, 2004). ASSORBIMENTO CUTANEO: 2% Studi in vitro su pelle umana hanno indicato un assorbimento cutaneo di nichel di meno del 2% che si riduce all’1% considerando la quantità di nichel fissata dalle cellule dello strato corneo della cute (HEALTH RISK ASSESSMENT GUIDANCE FOR METALS - HERAG 01, 2007; Tanojo et al., 2001). PIOMBO BMDL10: 0,00063 mg/kg p.c./giorno La BMDL10 per quanto riguarda gli effetti cardiovascolari pressori è 1,5 μg/kg p.c./giorno ed è stata stimata dall’esposizione al piombo tramite la dieta per consumatori adulti in Europa. La BMDL10 per gli effetti renali è di 0,63 μg/kg p.c./giorno (The EFSA Journal, 2010). ASSORBIMENTO CUTANEO: 0,3% L’assorbimento percutaneo di piombo acetato da preparazioni coloranti dei capelli è risultato sostanzialmente zero con un range fra 0-0,3% della dose applicata sulla cute. Un moderato assorbimento era rilevabile in caso di epidermide danneggiata (Moore et al., 1980).

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Tabella 1: Dati forniti da UNIPRO e ricavati applicando i seguenti criteri:

- poiché i coloranti usati come ingredienti cosmetici sono regolamentati dalla normativa (Legge 713/86 e Regolamento 1223/2009) e per alcuni di essi è prevista la conformità ai requisiti di purezza dei coloranti ad uso alimentare, è stata identificata la massima quantità di impurezza (come As, Pb, Hg, Cd, Sb, Cr, Ni) prevista nelle specifiche di tali coloranti, ed è stato assunto, come caso estremo e peggiorativo della realtà, che il prodotto cosmetico sia formulato con il 100% del solo colorante contenente il massimo livello consentito di ciascun metallo pesante contemplato dalla legge.

- Per il Cobalto ed il Cromo VI la normativa alimentare non fissa il livello massimo in nessuno dei coloranti ad uso cosmetico, perciò il valore indicato in tabella è stato ricavato a partire dalle specifiche e dai dati analitici che caratterizzano le materie prime coloranti effettivamente presenti sul mercato assumendo, come situazione fortemente peggiorativa, che tutto il Cr presente sia Cr(VI) e che, anche in questo caso, il prodotto cosmetico sia formulato con il 100% del solo colorante.

Metallo

Quantità massima teorica di metallo

presente nei prodotti cosmetici (ppm)

Antimonio 100

Arsenico 5 Cadmio 5

Cobalto 70 Cromo III 100(1)

Cromo VI 25

Mercurio 1 Nichel 200

Piombo 20 (1) Indicando in 100 ppm la quantità massima teorica di Cromo(III) nel prodotto, si intende che

tale quantità corrisponde al Cromo totale presente, che quindi comprende anche il Cromo(VI) eventualmente presente, la cui quantità può raggiungere un valore massimo di 25 ppm come indicato nella tabella stessa. Il dato è valido per i prodotti cosmetici che non contengono coloranti a base di cromo esplicitamente ammessi dalla normativa.

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Tabella 2: Calcolo del MoS per l’Antimonio

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento

orale del metallo

(4)

(A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 100 0,01 5 0,0000425 0,6 14118

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 100 0,01 5 0,0000017 0,6 360000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 100 0,01 5 0,0000021 0,6 288000

matita 0,0025 2/giorno 0,005 100 0,01 5 0,0000004 0,6 1440000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 100 0,01 5 0,0000048 0,6 126316

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 100 0,01 5 0,0000417 0,6 14400

Tabella 3: Calcolo del MoS per l’Arsenico

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento cutaneo del

metallo (A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

BMDL10(6)

(mg/kg p.c./giorno)

MoS(5)

(BMDL10/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 5 0,0005 2 0,000000850 0,0003 353

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 5 0,0005 2 0,000000033 0,0003 9000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 5 0,0005 2 0,000000042 0,0003 7200

Matita 0,0025 2/giorno 0,005 5 0,0005 2 0,000000008 0,0003 36000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 5 0,0005 2 0,000000095 0,0003 3158

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 5 0,0005 2 0,000000833 0,0003 360

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50

Tabella 4: Calcolo del MoS per il Cadmio

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento cutaneo del

metallo (A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

BMDL5(6)

(mg/kg p.c./giorno)

MoS(5)

(BMDL5/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 5 0,0005 0,8 0,000000340 0,0014 4118

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 5 0,0005 0,8 0,000000013 0,0014 105000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 5 0,0005 0,8 0,000000017 0,0014 84000

Matita 0,0025 2/giorno 0,005 5 0,0005 0,8 0,000000003 0,0014 420000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 5 0,0005 0,8 0,000000038 0,0014 36842

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 5 0,0005 0,8 0,000000333 0,0014 4200

Tabella 5: Calcolo del MoS per il Cobalto

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento

orale del metallo

(4)

(A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 70 0,007 25 0,0001488 0,6 4034

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 70 0,007 25 0,0000058 0,6 102857

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 70 0,007 25 0,0000073 0,6 82286

matita 0,0025 2/giorno 0,005 70 0,007 25 0,0000015 0,6 411429

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 70 0,007 25 0,0000166 0,6 36090

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 70 0,007 25 0,0001458 0,6 4114

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51

Tabella 6: Calcolo del MoS per il Cromo(III)

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento

orale del metallo

(4)

(A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 100 0,01 2 0,0000170 1800 105882353

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 100 0,01 2 0,0000007 1800 2700000000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 100 0,01 2 0,0000008 1800 2160000000

matita 0,0025 2/giorno 0,005 100 0,01 2 0,0000002 1800 10800000000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 100 0,01 2 0,0000019 1800 947368421

polveri per il viso**

0,25 2/giorno 0,5 100 0,01 2 0,0000167 1800 108000000

Tabella 7: Calcolo del MoS per il Cromo(VI)

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento

orale del metallo

(4)

(A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 25 0,0025 3 0,0000064 2,5 392157

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 25 0,0025 3 0,0000003 2,5 10000000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 25 0,0025 3 0,0000003 2,5 8000000

matita 0,0025 2/giorno 0,005 25 0,0025 3 0,0000001 2,5 40000000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 25 0,0025 3 0,0000007 2,5 3508772

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 25 0,0025 3 0,0000063 2,5 400000

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52

Tabella 8: Calcolo del MoS per il Mercurio

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento

orale del metallo

(4)

(A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 1 0,0001 7 0,00000060 0,0015 2521

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 1 0,0001 7 0,00000002 0,0015 64286

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 1 0,0001 7 0,00000003 0,0015 51429

matita 0,0025 2/giorno 0,005 1 0,0001 7 0,00000001 0,0015 257143

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 1 0,0001 7 0,00000007 0,0015 22556

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 1 0,0001 7 0,00000058 0,0015 2571

Tabella 9: Calcolo del MoS per il Nichel

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento cutaneo del

metallo (A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

NOAEL (mg/kg

p.c./giorno)

MoS(5)

(NOAEL/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 200 0,02 2 0,0000340 1,1 32353

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 200 0,02 2 0,0000013 1,1 825000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 200 0,02 2 0,0000017 1,1 660000

matita 0,0025 2/giorno 0,005 200 0,02 2 0,0000003 1,1 3300000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 200 0,02 2 0,0000038 1,1 289473

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 200 0,02 2 0,0000333 1,1 33000

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Tabella 10: Calcolo del MoS per il Piombo

make-up quantità per applicazione

(g)(2)

frequenza di applicazione

(2)

quantità applicata

giornalmente (g/giorno)

(2)

(Q)

quantità massima di

metallo presente nei

prodotti cosmetici (ppm)

(3)

% massima di metallo

presente nei prodotti

cosmetici (C)

% di assorbimento cutaneo del

metallo (A)

SED (mg/kg

p.c./giorno)

BMDL10(6)

(mg/kg p.c./giorno)

MoS(5)

(BMDL10/SED)

fondotinta 0,51 1/giorno 0,51 20 0,002 0,3 0,000000510 0,00063 12353

ombretto 0,01 2/giorno 0,02 20 0,002 0,3 0,000000020 0,00063 315000

mascara 0,0125 2/giorno 0,25 20 0,002 0,3 0,000000025 0,00063 252000

matita 0,0025 2/giorno 0,005 20 0,002 0,3 0,000000005 0,00063 1260000

rossetto 0,0285 2/giorno 0,057 20 0,002 0,3 0,000000057 0,00063 110526

polveri per il viso

0,25 2/giorno 0,5 20 0,002 0,3 0,000000500 0,00063 12600

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(2) Dati recuperati da “THE SCCS'S NOTES OF GUIDANCE FOR THE TESTING OF COSMETIC INGREDIENTS AND THEIR SAFETY EVALUATION 7th REVISION”, 2010 (3) Vedi Tabella 1 (4) In assenza del dato di assorbimento cutaneo viene utilizzato il dato di assorbimento orale (5) Il MoS è calcolato come:

NOAEL MoS = ------------------ SED Il valore della SED è stato calcolato applicando la seguente formula:

Q (g/giorno) x 103 x C x A SED= --------------------------------------------

60 kg Ove: Q = quantità di prodotto cosmetico appilcata espressa in g/giorno C = % massima di metallo presente nel prodotto cosmetico A = % di assorbimento cutaneo del metallo 60 kg = peso corporeo medio (6) In mancanza del NOAEL è stato utilizzato il BMDL10. Questa operazione non inficia il metodo di valutazione del rischio nella sua proposta originaria in quanto il BMDL10 ha un valore precauzionale del tutto assimilabile al NOAEL: nel primo caso è un valore calcolato nel secondo un valore osservato.

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7. CONCLUSIONI

Il presente documento si è occupato della valutazione della sicurezza relativa ad una serie di metalli che possono figurare, fermo restando l’osservanza delle buone pratiche di fabbricazione, a livello di tracce tecnicamente inevitabili in materie prime e conseguentemente in prodotti cosmetici. L’approccio del documento è stato quello di fornire, attraverso basi documentali e constatata l’assenza di metodi convalidati, un’indicazione di massima delle metodologie analitiche per la rilevazione di metalli in matrici eterogenee come i prodotti cosmetici, raccogliere le informazioni relative al potenziale pericolo intrinseco di questi elementi e, infine, a seguito della valutazione effettuata dal valutatore della sicurezza, ammettere la presenza di metalli nei prodotti finiti se, e soprattutto a condizione che, il prodotto finale risulti sicuro nelle normali e ragionevolmente prevedibili condizioni d’uso. Dai dati raccolti e dalle simulazioni effettuate utilizzando metodologie convalidate da comitati scientifici in ambito comunitario, non emergono indicazioni di rischio per il consumatore, in seguito ad esposizione ripetuta. Il MoS (il Margine di Sicurezza) che, secondo il Scientific Committee on Consumer Safety (SCCS) della DG Sanco dell’Unione Europea, deve essere utilizzato per valutare la tossicità sistemica e che non deve essere inferiore a 100, per qualsiasi categoria funzionale esaminata (ombretti, rossetti, fondotinta, ecc.) e per qualsiasi metallo preso in considerazione, è quasi sempre maggiore di 1000. Bisogna sottolineare che, applicando il modello di SCCS, non si è usato il valore reale di metallo presente nel cosmetico, ma il valore teorico che potrebbe essere presente se un cosmetico fosse fatto al 100% di un unico ingrediente e quell’ingrediente contenesse il massimo accettabile di tracce tecnicamente inevitabili in materie prime, secondo la normativa (alimentare) di quel metallo. Quindi, in questi casi (caso peggiore), il primo passo è misurare la reale concentrazione di impurezza nel prodotto cosmetico per effettuare una valutazione più realistica. Un altro punto da considerare è che, data la generale mancanza di dati nella letteratura scientifica sull’assorbimento cutaneo, nel modello di SCCS sono stati utilizzati i dati di assorbimento orale, sicuramente di molto superiori e perciò peggiorativi. Di nuovo, nell’applicazione a casi reali la disponibilità di dati di assorbimento cutaneo potrebbe permettere di innalzare in maniera significativa il MoS aumentando così l’intervallo di sicurezza. Se per quanto riguarda la tossicità sistemica non si sono riscontrati problemi, un discorso diverso meritano le reazioni locali, che clinicamente si manifestano come irritazione o allergia. Diversi dei metalli considerati hanno proprietà irritanti, che però sono state studiate e messe in evidenza utilizzando in genere sali del metallo in soluzione acquosa. Molto diverso è il comportamento biologico dello stesso metallo quando è intrappolato in una matrice complessa quale quella del cosmetico. In questo caso, per arrivare ad una soglia di sicurezza, bisognerebbe determinare quanto metallo può realmente venire in

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contatto con la cute ed essere, quindi, disponibile per un eventuale assorbimento. Inoltre, questo valore avrebbe comunque un significato diverso a seconda del prodotto cosmetico, perché il tipo di esposizione, e quindi la biodisponibilità, può risultare diversa (in altre parole se una concentrazione X di un metallo Y può essere irritante in un rossetto, la stessa concentrazione può essere innocua in uno smalto per le unghie, una lacca per i capelli, un bagnoschiuma, ecc.). Diventa, quindi, praticamente impossibile per il legislatore stabilire una soglia (e adattarla di volta in volta alle nuove tipologie di prodotto!) e, di conseguenza, per il consumatore orientarsi. D’altra parte, come stabilito dalla normativa, è il valutatore della sicurezza del prodotto cosmetico che deve certificare, caso per caso e prodotto per prodotto, in base al tipo di metallo, alla reale concentrazione e alla tipologia del prodotto, l’eventuale rischio per il consumatore. Un approccio a parte merita l’allergia. Benchè indesiderata, la risposta allergica non è una risposta tossica. Infatti, esponendo individui non allergici anche ad altissime concentrazioni di un determinato allergene, queste non provocheranno alcun effetto. Quindi, per la gran parte della popolazione NON esiste una soglia di sicurezza per le sostanze allergogene, perché NON esiste una dose soglia; infatti, all’interno della popolazione allergica esiste una grande difformità di risposta e, al momento attuale, si sta ancora valutando se è possibile identificare una concentrazione soglia per i metalli più frequentemente coinvolti in casi di allergia, sotto la quale i soggetti sensibili non abbiano risposte cliniche. Fino a quel momento l’unica strategia possibile è qualitativa, cioè informare il consumatore che alcuni prodotti cosmetici possono contenere allergeni.

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8. ABBREVIAZIONI

ADI Acceptable Daily Intake

All. Allegato

APC Antigene Presenting Cell

Art. Articolo

Artt. Articoli

ATSDR Agency for Toxic Substances and Disease Registry

BMDL BenchMark Dose Lower limit

BMR BenchMark Response

CE / EC Comunità Europea / European Comunity

CE-ICP-MS Capillary Electrophoresis-ICP-MS

CKD Chronic Kidney Disease

CL50 Concentrazione Letale 50%

CRM Certified Reference Materials

DAC Dermatite Allergica da Contatto

DGA Dose Giornaliera Ammisibile

DIC Dermatite Irritativa da Contatto

D.L.vo Decreto Legislativo

DL50 Dose Letale 50%

DMA Acido Dimetilarsonico

EFSA European Food Safety Authority

EPA Enviromental Protection Agency

ESSCA European Survellance system of contact allergies

FAAS Flame Atomic Absorption Spectrometry

FAO Food and Agriculture Organization

FDA Food and Drug Administration

GF-AAS Graphite Furnace Atomic Absorption Spectrometry

G.U.U.E Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea

HPLC-ICP-MS High Performance Liquid Chromatografy-ICP-MS

IARC International Agency for Research on Cancer

ICP-AES Inductively Coupled Plasma Atomic Emission Spectroscopy

ICP-MS Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry

IOM Institute of Medicine

IC-ICP-MS Ion Chromatografy-ICP-MS

IPCS International Programme on Chemical Safety

IRIS Integrated Risk Information

IRSA Istituto di Ricerca Sulle Acque

ISO International Organization of Standardization

ISS Istituto Superiore di Sanità

IUPAC International Union of Pure and Applied Chemistry

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JECFA Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives

JRC Joint Research Center

L. Legge

LO(A)EL Lowest Observed (Adverse) Effect Level

LOD Limit of Detection

Min Sal Ministero della Salute

MMA Acido Monometilarsinico

MoE Margin of Exposure

MoS Margin of Safety

MRL Minimal Risk Level

n. Numero

NO(A)EL No Observed (Adverse) Effect Level

NRC National Research Council

NTP National Toxicology Program

p.c. Peso corporeo

PTWI Provisional Tolerable Weekly Intake

PVC Polyvinyl chloride

REACH Registration, Evaluation, Authorisation, and restriction of Chemicals

RfD Reference Dose

SBP Systolic Blood Pressure

SCCP Scientific Committee on Consumer Products

SED Systemic Exposure Dosage

SF Safety Factor

Sitox Società Italiana di Tossicologia

TDI Tollerable Dose Intake

TDS Total Diet Study

TL Tolerance Level

TWI Tolerable Weekly Intake

UE / EU Unione Europea / European Union

UF Uncertainty Factor

UNEP United Nations Enviroment Programme

UNICHIM Associazione per l’unificazione nel settore dell’industria chimica

UNIPRO Asociazione italiana delle imprese cosmetiche

UV-Vis Ultravioletto-Visibile

VRA Voluntary Risk Assessment

WHO / OMS World Health Organization / Organizzazione Mondiale della Sanità

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9. REFERENZE

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