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Valerio Massimo Manfredi. LA TOMBA DI ALESSANDRO. L'enigma. La gloria è il sole dei morti. Honoré De Balzac. INDICE. Premessa. 1° Ritorno a Babilonia. 2° Il re muore. 3° Le cause della morte. 4° Il corpo. 5° La sepoltura. 6° La tomba di un re. 7° Illustri visitatori. 8° Da Menfi ad Alessandria. 9° Le fonti antiche. 10° Eclissi di un mito. 11° Du el Karnayn. 12° Il faraone scomparso. 13° Cacciatori di tombe. 14° Cimitero latino. 15° Dov'è Alessandro? Conclusione. PREMESSA. Questo libro ripercorre l’avventura di una tomba, quella del più famoso personaggio dell'antichità, Alessandro Terzo di Macedonia chiamato "il Grande", e il mito che attorno ad essa si formò e si sviluppò attraverso i secoli anche oltre la fine del mondo antico. Fu la tomba più venerata e visitata per sette secoli e oscurata in parte solo da un'altra, quella ritenuta di Gesù di Nazareth, da sempre vuota perché simbolo del mistero della Resurrezione, identificata dalla nuova religione cristiana a Gerusalemme nel Quarto secolo della nostra era. Il sepolcro di Alessandro, eretto da Tolomeo 1° nella città che ne portava il nome, Alessandria, scomparve misteriosamente quasi d'improvviso circa nello stesso periodo, come a indicare la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra. Di un monumento tanto famoso e tanto frequentato in pochi anni si persero completamente le tracce: inondazioni, terremoti, eventi bellici, turbolenze, lotte di religione ne cancellarono prima le vestigia e poi la memoria. Eppure il fantasma di Alessandro continuò ad aleggiare sulla sua città e la sua immagine a circolare come talismano al collo di uomini e donne già cristiani dalla nascita. Riprese forza quando Alessandria era ormai divenuta musulmana e per parecchi secoli la tradizione popolare indicò la tomba del Macedone in vari punti della città, sotto chiese e moschee, dove sorgevano le ultime colonne dell'antica metropoli ormai anch'essa sepolta, finché all'inizio dell'era contemporanea, con il risveglio della cultura e delle scienze dell'antichità, fu cercata con incredibile entusiasmo e ostinazione dagli archeologi e dagli studiosi dell'antichità, ma anche da avventurieri, cacciatori di tombe e di tesori, così come da gente comune, incolta e ingenua, affascinata dalla figura di un giovane invincibile, luminoso e fosco, pensoso e feroce, incarnazione dello splendore e della paura e di

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Valerio Massimo Manfredi. LA TOMBA DI ALESSANDRO. L'enigma. La gloria è il sole dei morti. Honoré De Balzac. INDICE. Premessa. 1° Ritorno a Babilonia. 2° Il re muore. 3° Le cause della morte. 4° Il corpo. 5° La sepoltura. 6° La tomba di un re. 7° Illustri visitatori. 8° Da Menfi ad Alessandria. 9° Le fonti antiche. 10° Eclissi di un mito. 11° Du el Karnayn. 12° Il faraone scomparso. 13° Cacciatori di tombe. 14° Cimitero latino. 15° Dov'è Alessandro? Conclusione. PREMESSA. Questo libro ripercorre l’avventura di una tomba, q uella del più famoso personaggio dell'antichità, Alessandro Terzo di Mac edonia chiamato "il Grande", e il mito che attorno ad essa si formò e s i sviluppò attraverso i secoli anche oltre la fine del mondo antico. Fu l a tomba più venerata e visitata per sette secoli e oscurata in parte solo da un'altra, quella ritenuta di Gesù di Nazareth, da sempre vuota perch é simbolo del mistero della Resurrezione, identificata dalla nuova religi one cristiana a Gerusalemme nel Quarto secolo della nostra era. Il sepolcro di Alessandro, eretto da Tolomeo 1° nella città che ne portava il nome, Alessandria, scomparve misteriosamente quasi d'impr ovviso circa nello stesso periodo, come a indicare la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra. Di un monumento tanto famoso e tanto fre quentato in pochi anni si persero completamente le tracce: inondazioni, te rremoti, eventi bellici, turbolenze, lotte di religione ne cancella rono prima le vestigia e poi la memoria. Eppure il fantasma di Alessandro continuò ad aleggiare sulla sua città e la sua immagine a circolare come talismano al collo di uomini e donne già cristiani dalla nascita. Ripres e forza quando Alessandria era ormai divenuta musulmana e per pare cchi secoli la tradizione popolare indicò la tomba del Macedone in vari punti della città, sotto chiese e moschee, dove sorgevano le ul time colonne dell'antica metropoli ormai anch'essa sepolta, finc hé all'inizio dell'era contemporanea, con il risveglio della cultura e del le scienze dell'antichità, fu cercata con incredibile entusias mo e ostinazione dagli archeologi e dagli studiosi dell'antichità, ma anch e da avventurieri, cacciatori di tombe e di tesori, così come da gente comune, incolta e ingenua, affascinata dalla figura di un giovane inv incibile, luminoso e fosco, pensoso e feroce, incarnazione dello splendo re e della paura e di

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tutte le contraddizioni del genere umano. Studi im portanti e autori di prestigio si sono occupati dell'ardua investigazion e: li troveremo citati in queste pagine. Chi scrive ha cercato di s eguirne il percorso verso una meta enigmatica e sfuggente come i miragg i del deserto, e di portare osservazioni e spunti di riflessione ovunqu e se ne presenti l'occasione. Quando gli scrittori cristiani si trovarono a descr ivere l'uomo nuovo e a illustrare i valori del mondo cristiano contrappost o a quello pagano, Alessandro fu particolarmente preso di mira perché uomo simbolo di un'era dominata dal maligno. Orosio, nel suo Adversus paga nos, ne fa un ritratto agghiacciante e tutto negativo di un essere violent o e sanguinario, insaziabile di guerra e di potere, sovvertitore di ordini consolidati, distruttore implacabile. Eppure questo non valse a deturparne la figura. In lui i posteri hanno continuato a vedere l'eroe, il guerriero arcaico che tutti portiamo inconsciamente nella memoria, ma anche il costruttore di mondi nuovi e di saperi sconosciuti. L'instanca bile ricerca dell'ultima sua reliquia è la prova dell'immortalit à del suo fascino e del suo carisma. 1° RITORNO A BABILONIA La morte di Alessandro Magno, come quella di Gesù, di Giulio Cesare, di Socrate, è uno di quegli eventi in sé negativi che però ebbero un impatto enorme nella storia dell'umanità. Tre su quattro di questi personaggi vennero considerati dopo la morte, anche se in modo e con significati diversi, delle divinità. La scomparsa di questi uo mini insomma non venne accettata dai contemporanei e si volle credere in u na loro diversa e più alta esistenza dopo la fine della loro avventura um ana. Fra costoro solo Gesù è tuttora considerato Dio da grandi moltitudin i di persone, perché il suo messaggio di amore, di perdono, di pace, di visione eterna del divenire umano e per di più il rinvenimento del suo sepolcro vuoto, attestato dalle fonti evangeliche tre giorni dopo l a sua morte in croce, ne hanno caricato la figura di potentissime valenze mistiche ed escatologiche. Socrate, benché solo ed esclusivame nte umano, gli è in qualche modo vicino in quanto pensatore intenso e p rofondo, uomo non violento ed egli pure martire di una violenza immot ivata e cieca. Il discorso è diverso per Cesare, fondatore di un impe ro plurisecolare, e ancora di più per Alessandro, che morì giovane e al colmo della gloria e della potenza dopo aver compiuto imprese sovrumane, innescando una leggenda destinata a durare per millenni. La Bibbia stessa lo nomina nel libro dei Maccabei con parole di attonita ammirazio ne: Et siluit terra in conspecto eius, "E la terra ammutolì al suo cospett o." Nessuno prima di lui aveva compiuto simili imprese, nessuno si era m ai spinto con un esercito a tale distanza dal suo paese, nessuno ave va mai concepito un disegno politico di quelle proporzioni e infine nes suno era mai stato consapevole come lui delle conseguenze che quel dis egno avrebbe avuto nel futuro dell'umanità. La sua morte precoce e al colm o della fortuna scatenò l'immaginario collettivo e suscitò una seri e di interrogativi su come sarebbe stato il mondo se egli avesse potuto c onsolidare la sua costruzione e riunire la maggior parte del genere u mano sotto la sua egida. L'eco delle sue imprese si moltiplicò a dis misura fino a risuonare nei poemi medievali e nelle canzoni dei g riot della Guinea, la sua immagine scolpita nel marmo, dipinta negli affr eschi, risplendente nei mosaici, invase tutto il mondo di allora. L'art e da lui promossa e diffusa era ancora riconoscibile tre secoli dopo ne lle valli impervie dell'Afghanistan e dell'Hindu Kush: lo stile Gandha ra. E ancora oggi fra le tribù montane si tramanda che i cavalli di quell e terre sono

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discendenti di Bucefalo, lo stallone di Alessandro. Esiste una tradizione secondo la quale ancora pochi decenni fa nelle notti di tempesta le donne delle isole greche, in attesa ang osciosa dei mariti rimasti al largo sulle loro barche, si portavano su lla riva del mare e gridavano a gran voce per superare il fragore dei f rangenti: «Pou ine o Megalexandros?», «Dov'è il grande Alessandro?». E r ispondevano con la stessa forza: «Zi ke vasilevi!», «Vive e regna!», come se quel nome possente avesse la forza di calmare la furia dei ma rosi. Né Achille, né Teseo o Eracle, non Romolo o Enea né tantomeno Cesa re o Scipione ebbero mai un simile tributo dal popolo. Quale ne fu dunqu e la causa? La morte prematura, come si è detto prima, proprio nel momen to in cui si apprestava a completare la sua opera, la consapevol ezza che egli fosse l'unico in grado di condurla a compimento, la fede nell'idea che un mondo da lui plasmato sarebbe stato migliore di qualunque altro, ma soprattutto il carisma, il dono di natura che faceva sì che tut ti lo amassero: gli uomini come le donne, i cani e i cavalli, e gli dèi se esistevano. La sua capacità di sognare e di innamorarsi del suo sogno al punto di rinunciare a tutto pur di renderlo vero e credibile, inclusa l a sua patria di origine, tanto da stabilirsi nell'immota calura di una capitale acquitrinosa, distesa sulle rive di un fiume fangos o, e da dimenticare per sempre gli abeti azzurri e le fonti cristalline delle sue montagne. E ancora il coraggio temerario, la forza inesauribi le con cui aveva abbattuto sul campo avversari molto più prestanti d i lui, la resistenza sovrumana che gli aveva permesso di sopravvivere a ferite devastanti che avrebbero stroncato chiunque. A queste verità si ag giungeva l'agiografia: il naturale profumo della sua pelle ancora percepib ile dopo giorni che giaceva senza vita sul suo cataletto, l'armonia del la voce, l'occhio nero e l'occhio blu che avrebbero ispirato i versi di un poeta quasi ventitré secoli dopo: Piange dall'occhio nero come morte. Piange dall'occhio azzurro come cielo. Illustri accademici hanno dichiarato in privato che se il mondo fosse stato quello di Alessandro anziché quello di August o l'umanità avrebbe conosciuto una civiltà dell'armonia e dell'arte, de lla fantasia e dell'equilibrio, un mondo in cui l'agonismo avrebbe sostituito la violenza, la filosofia avrebbe regnato al posto de lla legge. Sogni, anche questi, inconfessabili sulle pagine della co municazione scientifica, pensieri che se da un lato hanno fors e un fondo di verità, dall'altro sono comunque sintomo di una fede più c he di una scienza. Si ha fiducia negli uomini ma si ha fede solo negli d èi. Per tutte queste ragioni e anche per l'immagine che Alessandro da vi vo seppe forgiare e diffondere di sé, la cura meticolosa ch'egli ebbe delle proprie sembianze fisiche, affidata a geni come il pittore Apelle e lo scultore Lisippo, la sua persona assunse dopo la morte il ca rattere di una reliquia malinconica, simbolo del rimpianto per un mondo mai costruito e solo sognato, di un impero smembrato e distrutto p rima di nascere, di un bambino fragile e indifeso nelle cui vene scorreva il suo sangue e che se fosse sopravvissuto si sarebbe chiamato Alessan dro Quarto. Attorno al suo corpo, crisalide disseccata, si sviluppò un culto; nacque una dinastia fondata da uno dei suoi generali che se ne proclamò custode nella terra d'Egitto nella città da lui fondata e c he portava il suo nome: Alessandria. Tolomeo, primo di quei re, compa gno e guardia del corpo dell'eroe conquistatore fu l'autore della più importante e accreditata biografia di Alessandro e della sua imp resa. La tomba sorgeva a poca distanza dal suo palazzo, nella necr opoli reale, e ogni volta che Tolomeo entrò solo in quel mausoleo e con templò pensoso le sembianze dell'amico spento, del re mummificato, do vette sovvenirgli

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delle visioni febbrili che avevano popolato la sua mente, del lampo insostenibile dei suoi occhi, della voce imperiosa nel comando e soave nella conversazione, stridula nella collera infrena bile. Dovette stupire e provare vertigine per la sterminata distanza che separava il tumulto impetuoso di una vita che aveva conosciuto e condiv iso, dall'assoluta, arida immobilità della morte che aveva davanti. Ep pure mentre egli ogni giorno invecchiava e si rendeva conto che neppure lui sarebbe più tornato in patria, mai avrebbe rivisto gli abeti c urvi sotto il peso della neve né sentito il profumo delle rose di Pier ia in primavera, Alessandro restava giovane come tutti gli eroi, per sempre nella memoria di chi l'aveva conosciuto, amato, invidiato, odiato forse. Scrisse la sua storia, la migliore e più accurata fra quante n e furono scritte, perché a quel punto della sua vita, alla testa del più potente fra i regni dei Successori, Tolomeo poteva permettersi di essere ragionevolmente sincero. Venne anche per lui il mo mento di essere tumulato nella necropoli reale, non lontano dal suo amico che già vi riposava da quasi quarant'anni. La storia della to mba di Alessandro e delle infinite fantasie che la circondarono è la s toria di un mito consegnato all'eternità nel buio del sepolcro, leg genda fino al giorno d'oggi, simbolo dell'illusione che quel corpo si p ossa ancora ritrovare. Queste pagine raccontano la storia di quel mito, de l lungo oblio che cadde sul luogo che ospitava il sepolcro e del suo rinascere dopo la campagna napoleonica dell'Egitto alla fine del Sett ecento. Il mito originò dalla sua morte, che lo colse inaspettatam ente al suo ritorno dalla gigantesca campagna d'Oriente. Alessandro ar rivò a Babilonia all'inizio dell'estate del 324 a.C., un'estate afo sa e umida in una metropoli gremita e soffocante. Aveva concluso la sua impresa. Al di là di ogni aspettativa e immaginazione il giovane re aveva sottomesso tutti i grandi regni del mondo conosciuto e si era ferma to solo quando il suo esercito, sulle rive dell'Ifasi in India, si era r ifiutato di proseguire. I soldati, sfiancati dal clima tropica le, dalle piogge monsoniche, dai parassiti, dai combattimenti conti nui, da marce estenuanti, da ferite e malattie, non ce la facevan o più a seguire i sogni e le chimere del loro condottiero. Alessandr o, benché anch'egli gravemente segnato da ferite in ogni parte del cor po e da dieci anni di strapazzi inauditi, aveva acconsentito a riportarl i indietro dopo un lungo braccio di ferro e a malincuore, ma anche il ritorno non era stato certo cosa da poco. Mentre la flotta di Nearco nav igava lungo la costa meridionale della Persia, l'esercito avanzava attra verso il deserto salato di Dasht-e-kabir, ancora oggi durissimo ed e stremamente pericoloso. La flotta perse ben presto contatto co n l’esercito che dovette così diventare completamente autosufficien te per i rifornimenti di cibo e di acqua e affrontare difficoltà terribi li a ogni tappa del lunghissimo viaggio. Si sarebbero ritrovati alla f ine, per puro caso, quando due gruppi in avanscoperta, uno dalla flott a e uno dall'esercito, si incontrarono sulla spiaggia. Alessandro perdet te ancora migliaia di uomini in quell'impresa impervia, ma condivise con loro la fame e la sete, gli stenti, le veglie, gli scontri. Il tipo di comportamento che avrebbe alimentato la sua leggenda e per il quale i suoi uomini l'avevano seguito per anni e anni senza discutere né lamentarsi. Giunto a Babilonia il re trovò una situazione non facile. Molti dei suoi governatori macedoni si erano abbandonati a ogni ti po di eccessi: arbitrii, malversazioni, corruzione, prevaricazioni , pensando evidentemente che Alessandro non sarebbe mai più t ornato dalle profondità dell'Asia. Il suo tesoriere Arpalo fugg ì addirittura con una parte del tesoro reale. Alessandro punì i colpevoli in modo esemplare e pose mano a una serie di riforme che avrebbero port ato a integrare nell'esercito macedone e nella burocrazia amministr ativa gli indigeni persiani e babilonesi. Poi decise di congedare i ve terani macedoni, che sarebbero stati sostituiti da persiani, ma questo a tto venne vissuto

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dall'esercito come un'umiliazione intollerabile e s coppiò un ammutinamento. Per giorni Alessandro rifiutò di ri cevere i rappresentanti dei suoi soldati, poi si decise a p arlare. Fu un discorso memorabile, aspro per tanti aspetti, ma pronunciat o con una partecipazione emotiva che colpì i suoi uomini dir ettamente al cuore. Alessandro voleva in realtà congedare solo i veter ani malati o feriti o in qualche modo non più abili al combattimento, ma non poteva tollerare di dover rendere conto ai suoi sudditi delle propr ie decisioni. In ogni caso nella sua autodifesa egli aveva un elemento f ortissimo e incontrovertibile da mettere in evidenza: "... Non ho preso niente per me, e nessuno può rinfacciarmi che io nasconda dei tesori... io mangio lo stesso cibo che mangiate voi... mi sveglio prim a di voi mentre voi ancora dormite tranquilli nelle vostre brande. Qua lcuno di voi poi potrebbe pensare che mentre voi avete fatto queste conquiste con fatiche e sofferenza io me ne appropriavo senza alcuno sfo rzo. Ma chi di voi è convinto di aver durato più fatiche per me che non io per lui? Guardate, chi di voi ha delle ferite si spogli e le mostri. Anche io mostrerò le mie. Perché non c'è una parte del mio corpo, almen o davanti, che non ha cicatrici; non c'è arma corta o da lancio da lontan o che non mi abbia lasciato un segno. Sì, sono stato ferito di spada i n corpo a corpo. Sono stato trafitto da frecce, colpito da una catapulta, battuto da pietre e mazze, per voi, per la vostra gloria e per la vostr a ricchezza. Vi ho guidato vittoriosi attraverso ogni terra, ogni fium e, montagna e pianura... e finché io vi ho guidati nessuno di vo i è morto fuggendo...". Si rinchiuse di nuovo, corrucciato, nel suo alloggio. Il suo rapporto con l'esercito era di tipo molto perso nale, si potrebbe dire passionale. Nessuno dei due poteva vivere senz a l'altro, anche se l'esercito non era una persona singola, era una plu ralità molto articolata e variabile. Il fatto che Alessandro no n volesse parlare con i suoi soldati, che non volesse riceverli divenne per loro intollerabile. Dopo cinque giorni di angoscia alla fine si recarono da lui, senza armi, rivestiti della sola tunica, come dei servi, un modo per umiliarsi ai suoi occhi, per chiedere perdono. Alla fine Alessandro cedette e parlò di nuovo. Garantì loro una pension e per il resto della loro vita, una decorazione al valore militare che potevano portare nelle occasioni ufficiali, il diritto di sedere nelle pr ime file a teatro o alle corse o ai giochi. Garantì alle vedove dei su oi soldati caduti in battaglia un decoroso sostentamento, ai loro orfan i il mantenimento finché non fossero giunti alla maggiore età. Così Alessandro li salutò mentre partivano per tornare a casa. Erano partiti insieme dalla loro terra: grandi pianure attraversate da fiumi di acq ua limpida, montagne coperte di abeti, boscaglie di querce e di frassin i da cui erano state ricavate le aste delle loro invincibili picche; lo ro sarebbero tornati affrontando l'ultima marcia di quasi tremila chilo metri: la Caldea, l'Arabia, la Siria, la Fenicia, la Cilicia, la Cap padocia, la Frigia, la Misia, la Caria, la Troade, la Tracia... Alessandr o no. Lui non sarebbe mai più tornato. Ma i suoi soldati, una volta fatto ritorno, avrebbero diffuso la sua leggenda in ogni villaggio, in ogni casa, in ogni porto. Ognuno di loro avrebbe raccon tato le imprese del proprio reparto e quelle del condottiero, di come l o aveva visto, ascoltato, seguito, acclamato, amato e maledetto. Mesi prima, mentre attraversava la Persia sudorientale, il suo guru i ndiano Kàlanos (impossibile ricostruire il nome indù originale) fu preso da un malessere strano, più spirituale che fisico, a quan to sembra. Un male che non gli dava tregua, una sorta di acuta soffere nza del vivere. Nulla valeva contro quel malessere misterioso. Al punto che un giorno Kàlanos decise di morire. Fece innalzare una pira, si fece adornare e profumare, porre collane di fiori attorno al collo e poi cond urre su una portantina fino al luogo del funerale. Là fu posto sulla pira e ordinò di appiccare

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il fuoco. E dicono le fonti che mentre le fiamme l o avvolgevano, rivolto ad Alessandro avrebbe gridato: «Ci rivedremo a Bab ilonia! ». Una profezia post eventum, si dirà. Può darsi, come può darsi che l'episodio per come è stato tramandato possa rivelare il senso di un diffuso malessere, di un cupo presentimento che gravava com e una cappa sull'esercito e sui generali. Poco dopo Alessandro perdette anche Efestione, il suo amico e amante, probabilmente per una appendicite che oggi sarebbe risolta senza grandi problemi e che a lui fu fatale. Come lo fu per il medico che lo lasciò solo per andare a lle corse dei cavalli. Alessandro lo fece passare per le armi. P oi celebrò un funerale grandioso, innalzando una pira alta come un palazz o di sette piani adorno di pannelli scolpiti con scene mitologiche, con protomi di animali e di mostri fantastici. Tutto sarebbe stat o arso; in pochi minuti l'immensa costruzione si sarebbe dissolta i n cenere e faville e il suo teatrale dolore avrebbe rafforzato e trasme sso un messaggio propagandistico più volte ribadito: Alessandro era il nuovo Achille come Efestione il nuovo Patroclo. Anche se Patroclo era morto in battaglia indossando le armi del suo amico ed Efestione inve ce per essersi ingozzato di cibo e di vino quando avrebbe dovuto osservare una dieta rigorosa. Finalmente Alessandro entrò a Babilonia, nonostante i sacerdoti caldei gli dicessero di tenersene lontan o. La morte dei grandi è sempre preceduta da cupi presagi. 2° IL RE MUORE Tutte le fonti sono concordi nel riportare una seri e di eventi forieri di sventura verificatisi durante il periodo in cui Ale ssandro si trovò a Babilonia, e cioè nel giugno del 323 a.C. Alcuni di questi eventi appaiono di carattere religioso, altri hanno l'asp etto di fatti reali che avrebbero anche potuto accadere ma che, alla l uce di quanto si verificò in seguito, vennero definitivamente inter pretati come prodigi e presagi di sventura. Plutarco, che scrive all'età di Adriano (quattrocento anni dopo i fatti) ma legge fonti d' epoca, racconta che alcuni caldei, forse dei maghi, misero in guardia Alessandro, tramite il suo ammiraglio Nearco, dal mettere piede in Babilo nia.l Gli riferirono anche, quasi con l'intenzione di fare una denuncia , che il comandante del presidio di Babilonia con funzione di governat ore, Apollodoro, aveva sacrificato agli dèi al fine di conoscere il desti no di Alessandro. La cosa in sé poteva essere sospetta sotto diversi pu nti di vista. Se immaginiamo per esempio che qualcuno avesse intenz ione di assassinare il re (c'erano già state altre congiure), far precede re il fatto da un presagio di sventura avrebbe scaricato la responsa bilità sul fato ineluttabile piuttosto che sui colpevoli. Alessand ro sembrò non far caso a questo aspetto della faccenda, ma convocò subito un indovino di nome Pitagora a cui chiese quale fosse stato l'esito de l sacrificio. Gli fu risposto che era stato trovato il fegato delle vit time senza lobi. Alessandro avrebbe esclamato: «Che brutto presagio !»2 e si astenne dall'entrare in città. Restò all'accampamento a pa recchie miglia di distanza e si mise a navigare sull'Eufrate. La no stra fonte riporta altri eventi dal significato sinistro: un asino ab itualmente mitissimo uccise a calci il più bello e il più grande dei su oi leoni addomesticati. Il leone era il re degli animali com e Alessandro lo era degli uomini: un evento casuale e facilmente spiega bile per noi moderni poteva (sempre post eventum) essere interpretato c ome un presagio di morte. Un giorno Alessandro si lasciò convincere d agli amici a giocare una partita a palla. Si tolse mantello e diadema, li appoggiò su uno scranno e si mise a giocare. Nella foga della part ita nessuno si accorse di nulla ma quando, finito il gioco, Alessandro and ò per riprendere i

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suoi attributi reali vide che uno sconosciuto li av eva indossati e stava seduto sullo scranno, muto e immobile. «Chi sei?» gli chiese il re profondamente turbato. Ma quello non rispose. Solo più tardi avrebbe detto di essere originario della Messenia e di ess ere un prigioniero in attesa di venire giudicato. Il dio Serapide gli er a apparso, gli aveva sciolto i ceppi, lo aveva condotto lì e gli aveva detto di sedersi sul trono in silenzio. Questo episodio risente quasi c ertamente di rielaborazioni più tarde ed è infiltrato da elemen ti soprannaturali che lo caricano di mistero e di stupore. Più credibile sembra invece la versione riportata da Arriano che cita come fonte Aristobulo, autore di una storia della spedizione e ingegnere capo di Al essandro. Qui non siamo su un campo da gioco dove sembra strano che Alessandro si fosse presentato con mantello e diadema, ma in un accamp amento militare. I suoi generali Peucesta, Filosseno e Menandro aveva no portato contingenti indigeni dalla Persia e da altre regioni dell'inte rno per addestrarli e integrarli nei ranghi dell'armata macedone e il re stava presiedendo all'operazione da un podio. Assetato, Alessandro s i allontanò dal podio forse per cercare un posto più ombreggiato oltre c he dell'acqua, lasciando il trono vuoto e incustodito. Accanto c' erano i seggi con piedi d'argento dei suoi compagni che pure si eran o alzati per seguire il re. A quel punto un individuo, probabilmente un prigioniero agli arresti, passò attraverso le linee dei ciambellani e si sedette sul trono. I ciambellani, tutti eunuchi di corte, non si opposero, ma secondo l'uso orientale, testimoniato anche dalla Bibbia, si stracciarono le vesti e si batterono il petto e il volto come se si fosse verificata una catastrofe. Alessandro fece t orturare l'uomo per scoprire se dietro quel gesto ci fosse qualche com plotto, ma l'uomo rispose che aveva agito di sua iniziativa. Perciò quello che oggi verrebbe percepito come il gesto di uno squilibrat o, come probabilmente in realtà fu, venne interpretato dagli eunuchi com e segno di una tremenda disgrazia incombente. Una versione analog a è riportata anche da Diodoro ma ambientata nel palazzo reale. Alessandr o si faceva massaggiare con l'olio dopo aver deposto il diadem a e il mantello sul trono. E allora che uno sconosciuto, tenuto prigio niero dalle guardie, si liberò spontaneamente dai ceppi, attraversò il p alazzo e andò a sedersi sul trono e lì rimase, impassibile. Appena Alessandro lo venne a sapere lo interrogò. Voleva capire perché avesse f atto una cosa simile, ma quello non rispose. I sacerdoti, consultati, in terpretarono l'evento come un cattivo presagio. Gli consigliarono di off rire sacrifici propiziatori agli dèi, cosa che il re fece ripetut amente. Al fine di stornare il sinistro presagio il misterioso person aggio venne ucciso per ordine dello stesso Alessandro. Diodoro riferisce altri presagi: quando era morto Efestione Alessandro aveva ordinato ai p ersiani di spegnere il fuoco sacro di Ahura Mazda in segno di lutto, cosa che fu fatta senza che i macedoni si rendessero conto che quell'atto veniva compiuto solo quando un re moriva. Un ultimo episodio, inoltre, sembra ricalcare quello del personaggio seduto sul trono del re e p oi messo a morte. Alessandro, racconta ancora Diodoro, manifestò il d esiderio di visitare le paludi a sud di Babilonia e si imbarcò con una f lottiglia insieme ai suoi amici. Durante il viaggio la sua imbarcazione perse contatto con le altre per diversi giorni tanto che il re temette di non uscire vivo da quel labirinto di canali, barene e bassifondi. Ment re avanzava lungo uno stretto canale coperto da una fitta vegetazione il diadema gli rimase impigliato in uno stelo di vimini e poi cadde in ac qua. Uno dei rematori si tuffò prontamente, lo recuperò e poi, per poter nuotare a mani libere, se lo mise in testa tornando indietro. Ales sandro riuscì a ritrovare la via per rientrare alla base dopo tre g iorni, e di nuovo interrogò i sacerdoti e gli indovini sul significat o di quell'evento e questi gli consigliarono ancora di offrire sontuosi sacrifici agli dèi e

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di mandare a morte il rematore che si era messo il diadema sulla testa. Questi eventi finirono per allarmarlo al punto che cominciò a sospettare di chiunque. È abbastanza plausibile che alcuni de i fatti riportati dalle fonti siano effettivamente accaduti in quant o appaiono verosimili e, alla nostra mentalità di moderni, del tutto casu ali. Ovviamente assunsero la valenza di presagi dopo che si fu veri ficata la morte del sovrano macedone. Da questo momento in poi gli eve nti precipitarono e le nostre fonti principali descrivono gli ultimi giorn i di Alessandro con abbondanza di particolari. La quasi totalità si fon da sul testo, per noi perduto, di Eumene di Cardia, che teneva con scrupo lo il diario di corte. È una relazione drammatica che con il passare del t empo assume le caratteristiche di un vero e proprio bollettino med ico sulle condizioni sempre più critiche del sovrano. Tutto cominciò co n la solenne cerimonia sacrificale che il re officiò seguendo il consiglio degli indovini e a cui fece seguito una festa che si prolungò fino a t arda notte. Quando Alessandro, ormai stanco, si accingeva a ritirarsi fu invitato a un altro banchetto da un amico di nome Medio, e la baldoria proseguì per il resto della notte. Esausto, verso mattina fece il bagno e andò a dormire finché non venne ora di cena. Alessandro di nuovo vi prese parte sempre in casa dell'amico. Trascorse la notte bevendo senza riteg no vino schietto. Le fonti specificano questo particolare perché i grec i erano soliti aggiungere notevoli quantità d'acqua al vino e cons ideravano cosa da barbari bere vino non annacquato. Erodoto pensava c he una simile abitudine provocasse la pazzia. Questa è la success ione degli eventi. Primo giorno. A un certo punto della notte, riferisce Diodoro Ale ssandro riempì una coppa enorme e la tracannò in un fiato, ma subito a vvertì un dolore acuto al fianco come se fosse stato trafitto da un colpo di lancia e urlò di dolore. I ciambellani lo assistettero immediatament e e chiamarono i medici che constatarono che aveva la febbre molto a lta. Poco dopo cercò sollievo in un bagno, poi mangiò qualcosa e andò a dormire spossato lì dove si trovava, e cioè in casa di Medio secondo Ar riano (che si basa su Tolomeo). Diodoro invece riferisce che i suoi amici lo portarono a braccia ai suoi appartamenti. Torneremo più oltre s u questo sintomo del dolore acuto al fianco riferito solo da Diodoro, ma sicuramente di importanza fondamentale per capire le cause della m orte di Alessandro. Da questo momento in poi la relazione di Diodoro si fa succinta e giunge a conclusione in poche righe. Arriano invece riferisc e in modo esplicito di riportare fedelmente il diario e il bollettino medi co del giornale di corte redatto da Eumene. Sfortunatamente il medico personale di Alessandro, Filippo, che già lo aveva salvato da un a pericolosa congestione dieci anni prima, era in quel momento a ssente, ma se anche fosse stato presente non avrebbe certo potuto fare gran che. Secondo giorno. Alessandro si fece portare in lettiga sul luogo in cui doveva officiare i sacrifici, poi si fece ricondurre nei suoi appartam enti dove tenne una riunione dello stato maggiore dando disposizioni pe r la partenza della spedizione destinata a conquistare l'Arabia. L'eser cito di terra avrebbe dovuto mettersi in marcia tre giorni dopo, la flott a invece dopo quattro giorni. Dal luogo dove si trovava fu portato distes o sul suo giaciglio dall'altra parte del fiume in barca fino al parco d ella reggia dove fece il bagno e riposò fino a notte. Terzo giorno.

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Alessandro officiò nuovamente un sacrificio poi rie ntrò e conversò sdraiato sul letto con l'amico Medio. Si può suppor re che si sentisse meglio e che la febbre gli concedesse una tregua. C onvocò di nuovo la riunione dello stato maggiore per il giorno dopo di buon mattino. Venuta l'ora di cena mangiò qualcosa. Lo riportarono poi i n camera da letto, dove passò la notte con la febbre alta. Quarto giorno. Alessandro prese un bagno, officiò il consueto sacr ificio, quindi tenne la riunione con i suoi ufficiali e spiegò loro come si sarebbe svolta la spedizione in Arabia e ne discusse con Nearco mante nendo inalterato il giorno della partenza. Forse pensava ancora di pote r guarire. Forse l'esame delle interiora delle vittime aveva lasciat o qualche spiraglio di speranza. Quinto giorno. Alessandro fece ancora il bagno e offrì un altro sa crificio, mentre la febbre non accennava a calare. Nonostante le sue co ndizioni convocò ancora gli ufficiali facendo loro presente che tutt o era pronto per la partenza della spedizione arabica. Prese un altro b agno nel pomeriggio ma subito dopo le sue condizioni si aggravarono. Quest a frequenza dei bagni era probabilmente dovuta al tentativo di abbassare la temperatura corporea cui si aggiungeva la grande calura del cli ma locale. Ancora oggi a Baghdad in estate la temperatura può facilmente r aggiungere i quaranta gradi di giorno. Sesto giorno. Il re venne condotto al luogo dove si celebravano i sacrifici e dove c'era anche la piscina per il bagno. Stava molto ma le ma nondimeno continuò le riunioni con lo stato maggiore per la m essa a punto della spedizione arabica. Settimo giorno. A stento si fece portare fuori per il sacrificio e continuò a istruire gli ufficiali riguardo alla spedizione. È probabi le che i suoi geografi e gli addetti alla logistica avessero pronto un lun go promemoria che veniva comunicato con delle riunioni successive dal re in persona, che evidentemente non intendeva dare segno di volersi a rrendere alla malattia. Ottavo giorno. Le sue condizioni continuavano a peggiorare, ma off rì ugualmente il sacrificio e ordinò che i generali lo aspettassero nella corte e gli ufficiali superiori davanti alle porte. Stava malis simo e fu portato dal parco dove aveva offerto il sacrificio e dove abitu almente faceva il bagno dentro alla reggia. Quando i generali entrar ono li riconobbe ma non riuscì a pronunciare parola. Per tutta la notte la febbre non gli diede tregua. Nono giorno. Febbre altissima che si protrasse fino a mattina. Alla fine il male stava avendo la meglio sulla sua fibra e sulla sua indomabile voglia di vivere.

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Decimo giorno. Febbre altissima, senza remissione alcuna. Intanto i soldati facevano ressa fuori dal palazzo. Volevano assolutamente ve derlo temendo che fosse già morto e che i suoi compagni (li chiamavan o guardie del corpo) tenessero segreto il suo decesso. Furono ammessi n ella sua camera da letto e sfilarono uno dopo l'altro, muti e con le l acrime agli occhi davanti al re morente. Alessandro non poteva più pa rlare, ma per ognuno ebbe un cenno, uno sguardo. Alcuni fra i suoi gener ali, Attalo, Peithon, Demofonte, Peucesta con Cleomene, Menida, e Seleuc o vegliarono tutta la notte nel tempio di Serapide e chiedevano ai sacerd oti se non fosse più opportuno portare il re dentro al tempio perché il dio lo guarisse. Ma un oracolo dei sacerdoti disse che era meglio che rest asse dove si trovava. Evidentemente il bollettino medico arrivava anche a l tempio e non lasciava spazio per guarigioni miracolose. Poco do po Alessandro spirò. 3° LE CAUSE DELLA MORTE I corrieri partirono da Babilonia in tutte le direz ioni e ben presto il mondo restò attonito alla notizia della morte di Al essandro. Un evento che nessuno si aspettava e per il quale nessuno si era preparato. Alessandro non aveva ancora compiuto trentatré anni e nemmeno lui si aspettava di morire. Lo prova il fatto che continuò fino all'ultimo a riunire lo stato maggiore e a preparare la spedizio ne in Arabia. Come abbiamo anticipato, soltanto un anno prima durante l'assalto alla roccaforte dei Malli, una popolazione dell'odierno Pakistan, era stato ferito gravemente a un polmone ed era rimasto tra la vita e la morte per circa tre mesi. Anche allora l'esercito aveva prete so di vederlo perché non credeva più alle parole dei suoi compagni che a ssicuravano che era ancora vivo. Alessandro dovette passarli in rassegn a a cavallo reggendosi a malapena in sella. Purtroppo per lui, e si potrebbe dire per il mondo, questa volta il suo fisico non resse e la sua gigantesca opera restò incompiuta. Già da allora ci si interr ogò sulle cause della morte di un giovane che sembrava immortale, soprav vissuto a molte e gravi ferite, che aveva affrontato fatiche immani e stravizi non meno devastanti per il suo organismo. In dieci anni di campagne ininterrotte aveva percorso a piedi e a cavallo diciassettemila chilometri, attraversato catene montuose ritenute invalicabili , affrontato situazioni climatiche estreme: le sabbie ardenti d ei deserti africani, le steppe del Medio Oriente, le cime innevate dell 'Hindu Kush, le interminabili piogge monsoniche dell'India. Più vo lte era caduto ammalato, ma sempre si era ripreso. Sembrava che n ulla potesse piegarlo. Si pensò quindi subito al veleno. Diodoro, le cui fonti sono molteplici e non sempre identificabili, riferisce che secondo alcuni Alessandro sarebbe stato avvelenato per ordine di Antipatro, il suo luogotenente in Europa. Il re infatti aveva incaricato Cratero di riportare in patria i soldati congedati e di trasmettere ad Antipatro l' ordine di raggiungerlo a Babilonia con un nuovo esercito reclutato in Mac edonia e in Grecia. L'ordine poteva suonare strano. Perché mai affidar e al suo viceré in Macedonia un incarico tanto banale come un semplic e trasferimento di truppe? Antipatro sapeva bene che la regina madre O limpiade lo odiava e scriveva continuamente lettere al figlio per lament arsi delle umiliazioni che riceveva da lui. Non era quindi da escludere ch e il re volesse dare soddisfazione alla madre sacrificando il vecchio e sempre fedele generale. Il veleno avrebbe viaggiato nascosto nell o zoccolo di un mulo, l'unico contenitore adatto per quella sostanza corr osiva e sarebbe stato

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portato dal figlio di Antipatro Iolla, o dall'altro figlio Cassandro. Si sarebbe trattato di un veleno ad azione lenta per n on destare sospetti. Una fonte molto più tarda, Paolo Orosio, accetta pu re l'ipotesi del veleno attribuendo la morte di Alessandro all'azion e della sostanza tossica. Alessandro, resosi conto della cosa, avreb be tentato di vomitare e uno dei suoi compagni per aiutarlo lo av rebbe solleticato in gola con una penna anch'essa però intrisa di veleno . Un'altra diceria identificava addirittura Aristotele nel mandante di Iolla. Il movente sarebbe stato l'intenzione di punire Alessandro per aver fatto uccidere suo nipote Callistene. In realtà la gran parte del le fonti antiche, comprese quelle più affidabili, respingono l'ipote si come improbabile, anche se non sono in grado di spiegare le cause de lla morte di Alessandro. Noi moderni, potendo contare sul bolle ttino medico di corte che è presumibilmente esatto, possiamo invece tent are una diagnosi perché le nostre conoscenze scientifiche sono imme nsamente più avanzate di quelle dei medici di Alessandro. I moderni, co me gli antichi, sono divisi fra alcuni (pochi) che credono al veleno e altri (i più) che pensano a una causa naturale. Più di venti anni fa una biografia di Alessandro di Mario Attilio Levi portava in append ice l'analisi del professor Antonio Pecile, il quale illustrava le c aratteristiche tossicologiche dell'anidride arseniosa, un compost o dell'arsenico noto già nell'antichità. L'arsenico, al contatto con l' umidità dell'aria, può dare origine all'anidride arseniosa, che ha l'aspe tto di una polvere bianca impalpabile di fatto inodore e quasi insapo re, facile quindi a confondersi nei cibi e nelle bevande di sapore più deciso. In dosi piccole, fra i quaranta e i sessanta milligrammi d à sintomi non molto evidenti. In dosi più forti, fra i sessanta e i cen toventi milligrammi, produce reazioni più violente con vomito e diarrea e conduce in tempi abbastanza brevi alla morte. Per quanto riguarda il nostro caso si sarebbe trattato di una somministrazione reiterata che avrebbe provocato un "effetto a caduta" e cioè ad accumulo progressiv o. Il professor Pecile non afferma che Alessandro sarebbe morto avv elenato con l'arsenico, ma è evidente che ritiene l'eventualità possibile sulla base dei sintomi riferiti dalle fonti. In particolare gl i sembra che la comparsa di febbre alta sia propria dell'avvelename nto da arsenico, spesso scambiato per un'infezione. Inoltre ritiene che una certa remissione dei sintomi fra il terzo e il quarto gi orno dalla comparsa del primo malessere sia propria di quel tipo di av velenamento. Il vomito e la diarrea possono infatti espellere buona parte del veleno e dare l'impressione che il paziente stia meglio. A volte, si verificano addirittura manifestazioni di una certa euforia. La somministrazione di altre dosi porta però all'aggravarsi della patologi a con forme anche di delirio e poi alla morte. Questa ipotesi appare, n ella fattispecie, poco convincente. In primo luogo bisogna considerare ch e Alessandro aveva già scoperto almeno due congiure per assassinarlo ed è immaginabile che si cautelasse contro il veleno. Il fallimento delle p rime congiure e quindi il rischio mortale di un ulteriore tentativo dovev a poi dissuadere chiunque: perché affrontare il rischio di essere s coperti e torturati a morte quando in fondo la vita con Alessandro porta va ai suoi compagni più vantaggi che svantaggi? Senza contare che molt i dei suoi amici lo amavano e gli erano sinceramente fedeli. Le nostre fonti poi non fanno riferimento a vomito e a diarrea e nemmeno parlano di delirio, ma semplicemente di un dolore improvviso e così acuto da far urlare Alessandro, quindi la febbre sempre più alta fino al coma e alla morte. Esiste anche un'altra ipotesi di avvelenamento dovu ta, si suppone, all'assunzione in dosi eccessive di elleboro, un fa rmaco usato nell'antichità contro molti mali, che diventa toss ico quando si assume in dosi eccessive. L'ipotesi è puramente speculati va e di fatto infondata, poco più che una trovata giornalistica. Ma allora che cosa uccise Alessandro? Le ipotesi sono più di una. Sec ondo alcuni avrebbe

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contratto una forma di malaria perniciosa mentre n avigava nelle zone paludose del sud. Ma come mai non risulta che ness un altro dei suoi compagni che lo avevano seguito fosse stato infetta to dalla malattia? Altri ancora pensano che Alessandro avesse contrat to l'infezione anni prima nell'Asia centrale e che l'ultima ricaduta g li sarebbe stata fatale, debilitato com'era sia dalle fatiche soppo rtate in dieci anni di campagne sia dagli stravizi a cui si era abbandona to a Babilonia. Si tratta di teorie plausibili ma non dimostrabili. U n'altra ipotesi è stata recentemente avanzata da Philip A. Mackowiak, direttore del dipartimento di Medicina del Baltimore Veterans Af fairs Medical Center, nell'ambito di una sua curiosa ricerca che tenta d i svelare le cause di morte di famosi uomini del passato: da Erode il gr ande a Mozart, passando per Pericle, Alessandro, Napoleone. In pa rticolare a causare la morte del condottiero macedone sarebbe stata una f ebbre tifoidea. Anche in questo caso il tifo avrebbe dovuto causare diar rea violenta e vomito, mentre questi sintomi non risultano dalle fonti. I l diario di corte riferisce dei pasti leggeri presi da Alessandro ma non dice altro. L'unico accenno al vomito è quello già riportato c he avrebbe dovuto essere provocato da una piuma e che non è il nostr o caso. Il dottor J.S. Marr del Department of Health di Richmond, Vir ginia, ha notato una testimonianza di Plutarco che racconta di un altro presagio di sventura: mentre Alessandro si trovava nei pressi di Babiloni a vide un gruppo di corvi aggredirsi l'un l'altro e alcuni cadere morti ai suoi piedi. Un fenomeno anche questo del tutto naturale e che il dottor Marr interpreta come un'infezione aviaria del virus West Nile, tra smesso dalle zanzare agli uccelli e da questi, forse, agli umani. Bench é confinato a un'area a ovest del Nilo, il virus si è diffuso anche in a ltre zone e il dottor Marr ebbe modo di osservarlo anche negli Stati Uni ti. Il comportamento degli uccelli infetti era come quello descritto da Plutarco, ma nel caso di passaggio del virus a esseri umani provoca una febbre altissima che a sua volta genera encefalite che conduce in alcuni giorni alla perdita della vista e della parola, poi al coma e infine a lla morte. Le osservazioni del dottor Marr sono abbastanza convin centi e coincidono in parte con la sintomatologia descritta dalle nostre fonti. In più il particolare dei corvi che cadono morti ai piedi di Alessandro è molto suggestivo, ma anche qui ci troviamo di fronte a un a grave malattia infettiva che avrebbe dovuto contagiare altri, fatt o di cui non c'è assolutamente traccia nella testimonianza dei testi antichi. Lo stesso dottor Charles Calisher, che si è dedicato alla ric erca insieme a Marr, dichiara che questa diagnosi non può essere fatta c on precisione e che l'encefalite è un'ipotesi come un'altra. Ciò che p rovocò la morte di Alessandro insomma riguardò lui e lui soltanto. T orniamo allora alla descrizione di Diodoro. Alessandro ha trascorso una giornata di intensi festeggiamenti mangiando e bevendo smodatamente, e quando si accinge a ritirarsi esausto arriva un messo da parte dell'am ico Medio che lo invita a un'altra festa a casa sua: Alessandro acc etta e continua a fare baldoria anche per la notte successiva. A un cert o punto beve in un fiato "la coppa di Eracle", ossia un enorme boccal e di vino schietto. Subito dopo urla come se avesse ricevuto un colpo fortissimo ed è condotto via a braccia dagli amici nei suoi appart amenti dove viene messo a letto, ma il dolore aumenta anziché diminu ire e vengono chiamati i medici. È da questo episodio, a nostro avviso, c he comincia il decorso della malattia mortale di Alessandro e non da altr o. È interessantissimo ciò che racconta Plutarco al proposito. Nell'inten to di confutare questa testimonianza, la cita in modo ancora più preciso d i quanto non faccia Diodoro: ... E lo prese un attacco di febbre. Non è vero che aveva bevuto la tazza di Eracle, né lo aveva preso all'im provviso un dolore di schiena paragonabile a un colpo di lancia come poi alcuni hanno ritenuto

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di dover scrivere quasi volessero costruire la fine tragica e dolorosa di un grande dramma. Aristobulo invece ci dice che in preda a una febbre violenta, colto da gran sete, Alessandro continuò a bere vino perciò e ntrò in delirio e morì... La fonte che Plutarco vuole confutare è pr obabile sia la stessa che Diodoro invece accetta e che riferisce di un d olore simile a un colpo di lancia. Per noi comunque la testimonianza di Aristobulo da lui citata come affidabile non ha senso. Per lui la ca usa della morte è il fatto che Alessandro beve vino per placare la sete che la febbre gli procura, ma non si chiede il perché aveva la febbre . D'altra parte Aristobulo era un ingegnere e non un medico. Dunq ue se prendiamo invece per buono il fatto del dolore improvviso e fortiss imo come un colpo di lancia alla schiena, dobbiamo pensare a un evento acuto e traumatico estremamente doloroso che poi avrebbe procurato la febbre alta. Quel sintomo, cioè la sensazione di essere trapassati d a una lama, è stato descritto esattamente a quel modo dai pazienti col piti da pancreatite acuta. E questa, con ogni probabilità, la patologi a che ha condotto a morte il sovrano macedone e l'ipotesi è stata sost enuta da diversi autori fra cui, recentemente, C.N. Sbarounis dell'Hippokration Hospital di Thessa loniki. Vediamo come. Alessandro durante i festeggiamenti del primo giorn o mangia e beve smodatamente, si potrebbe dire fino al limite della sopportazione, tanto che si sente esausto e vuole coricarsi, ma giunge l 'invito di Medio e non sa resistere. Continua quindi a ingerire cibo i n quantità esagerate e vino schietto a fiumi, e alla fine l'ultima brava ta: la coppa di Eracle. Già stimolato all'eccesso nell'attività enz imatica a quel punto il pancreas si liquefa e il succo pancreatico anzic hé riversarsi nel duodeno si spande nella cavità peritoneale e la agg redisce. Ecco il dolore lancinante come un ferro di lancia che penet ra nella carne. La percezione del dolore alla schiena è spiegabile con il fatto che il pancreas ha collocazione retroperitoneale e quindi il dolore viene percepito più verso la schiena che verso la parete anteriore dell'addome. La conseguenza quasi immediata è quella di una peri tonite acuta, ma poi, con il passare dei giorni, gli enzimi del pancreas attaccano anche l'intestino perforandolo, sicché il suo contenuto s i versa nella cavità addominale provocando una infezione devastante da c ui la febbre altissima che non gli dà mai tregua. Alla fine la p erdita della parola, il coma e la morte. Un'altra ipotesi plausibile po trebbe essere la rottura della colecisti, che coincide con il forti ssimo dolore al fianco destro, e un ittero evidente. Cosa di cui non si t rova traccia nelle fonti, anzi il suo colorito viene descritto sempre come roseo e immutato anche dopo la morte. Può essere un particolare agi ografico, ma può anche essere un'osservazione realistica. Uno studioso i nglese, W.W. Tarn, ha detto di Alessandro: Alla fine morì di una malatti a che avrebbe potuto risparmiarlo se lui avesse saputo mai risparmiare se stesso. Nulla di più vero se consideriamo che la causa della sua mo rte sia stata quella che abbiamo appena descritto. Il condottiero maced one veniva da dieci anni di strapazzi inauditi, di fatiche sovrumane, di ferite e traumi di ogni genere, non solo fisici ma anche psicologici. Un comportamento più misurato gli avrebbe evitato probabilmente la mort e. Almeno quel tipo di morte. A quanto ci risulta, durante le campagne mi litari Alessandro era di fatto molto austero, nel cibo, nel vino e forse anche nel sesso. La tensione emotiva e lo stress lo tenevano concentra to soltanto sull'obiettivo. Quella tensione doveva essere tant o spasmodica che quando veniva a cessare tutti i freni inibitori sp arivano e perdeva di fatto il controllo di sé. E’ famoso l'aneddoto pr esente nella maggior parte delle fonti, e quindi presumibilmente vero, che riferisce le sue ultime parole. Essendo ormai chiaro che non si sar ebbe più ripreso,

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Perdicca gli avrebbe chiesto: «A chi lasci il tuo regno?». Alessandro gli avrebbe consegnato il suo anello con il sigill o reale rispondendo: «Al migliore ». T..tsf, che significa "al migliore" ma anche "al più forte". Una risposta ambigua come chi l'aveva pron unciata. 4° IL CORPO Quando Alessandro morì la regina Sisigambi, madre d i Dario Terzo, che da lui era sempre stata trattata con il massimo onore e rispetto, si chiuse in un lutto strettissimo, rifiutò il cibo e l'acqua finché morì in capo a cinque giorni, come dice Diodoro, dolorosamente m a non in modo inglorioso, parole lapidarie, probabilmente non sue . Da questo momento in poi Diodoro è lo storico più importante nel seg uire le vicende del corpo di Alessandro, a parte un breve capitolo con clusivo della biografia di Plutarco che fa presente come la maggi or parte delle fonti rigetti l'ipotesi del veleno. Per dimostrare l’imp lausibilità di questo evento riferisce che, mentre i generali dell'eserc ito si fronteggiavano minacciosamente ognuno per far prevalere la propri a posizione e il proprio interesse, il corpo di Alessandro era stat o dimenticato e benché si trovasse d'estate in luoghi caldi e umidi era r imasto intatto e non aveva dato alcun segno di decomposizione e quindi di avvelenamento? Si riteneva infatti che il corpo di un uomo ucciso da l veleno si decomponesse molto rapidamente e ne mostrasse i se gni evidenti. Il corpo dell'eroe che non si corrompe e conserva inve ce nell'afa di giugno a Babilonia il suo naturale profumo è il primo elem ento della nascita della leggenda di Alessandro. Ancora oggi nelle pro cedure di canonizzazione di un santo è prevista la ricognizio ne del corpo per verificare se si sia mantenuto incorrotto. La testi monianza è stata invece da alcuni presa in considerazione seriament e nel tentativo di trovare una spiegazione razionale: il corpo del con dottiero macedone non si sarebbe corrotto semplicemente perché Alessandro non era ancora morto ma era solo in coma profondo. Questo comunque non era stato il solo elemento straordinario che aveva caratterizzato la fine del sovrano. Gli viene attribuita anche una sorta di profezia (pera ltro non difficile data la situazione) sulle aspre lotte che sarebber o scoppiate fra i suoi compagni per la successione. "Ci sarà un grande co mbattimento fra i miei amici e questi saranno i miei giochi funebri." Era uso infatti che in occasione dei funerali di un grande personaggio av essero luogo dei combattimenti di tipo gladiatorio di solito fra pr igionieri di guerra. Poco dopo la nostra fone ricorda i preparativi per il funerale affidati a un tale Arrideo, da non confondersi con Filippo Arr ideo, fratellastro di Alessandro a cui era stata affidata la reggenza sot to la supervisione di Perdicca finché non fosse nato un erede da Roxane. Si sarebbe dovuto costruire un carro funebre per il trasporto del cor po di Alessandro al santuario di Amon nell'oasi di Siwa in Egitto. E se nza alcun dubbio la fonte di Diodoro afferma che dopo due anni di lavor o per costruire il carro funebre il convoglio lasciò Babilonia diretto in Egitto. È un'affermazione che potrebbe avere un senso per il viaggio di Alessandro al santuario di Amon in mezzo al deserto, ma lascia comunque perplessi e in parte, come vedremo, è contraddetta da altri. D 'altro canto, se da un lato è accettabile l'idea che Alessandro volesse e ssere sepolto al santuario di Amon dove aveva ricevuto una investitu ra divina, è ipotizzabile che Perdicca, che allora aveva la regg enza del regno, volesse tumularlo nella necropoli reale dell'antica capitale macedone di Ege, la stessa in cui vent'anni fa fu trovata da Ma nolis Andronikos la tomba inviolata poi attribuita a Filippo Secondo, p adre di Alessandro. Per la leadership macedone di quel tempo l'Egitto e ra pur sempre un paese straniero e barbaro secondo il concetto greco e Alessandro non

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avrebbe dovuto esservi inumato. Torneremo sull'argo mento nei capitoli successivi. Per ora le nostre fonti ci trasmettono l'immagine desolata del corpo di Alessandro abbandonato e incustodito mentre i suoi compagni si azzuffano per far prevalere ciascuno il proprio interesse sulla successione. La prima forma di accordo fra i compa gni di Alessandro intervenne quando Roxane diede alla luce un maschi o cui fu imposto il nome di Alessandro Quarto Tale accordo prevedeva c he a ognuno di loro sarebbe stato affidato il governo di una delle pro vince, mentre Perdicca avrebbe tenuto la reggenza dell'impero in attesa c he il bambino raggiungesse la maggiore età. Non sappiamo quanto tempo trascorse prima che qualcuno si prendesse cura della spoglia morta le del grande condottiero. Plutarco dice alcuni giorni, il tempo necessario a Perdicca per stabilizzare la propria leadership anche se in via provvisoria. Una leadership che aveva un significato politico e ide ologico fondamentale: l'unità dell'impero. Quando questo fu chiaro si pensò a prendersi cura d el corpo di Alessandro per il semplice motivo che era il simbolo fisico di quell'unità. Del resto l'iniziale abbandono era forse dovuto anche a ll'incertezza sul futuro assetto dello stato. Anche la decisione di r iportarlo in patria perché venisse sepolto nella necropoli reale di Ege sarebbe stata importante da questo punto di vista: avrebbe signif icato che l'impero era uno ed era sostanzialmente macedone. Va ribadit o tuttavia che allo stato attuale delle nostre conoscenze non è possibi le stabilire con certezza quale fosse la destinazione del feretro di Alessandro. Si iniziò dunque a organizzare il funerale e a costrui re il carro funebre che avrebbe dovuto ricondurlo alla sua ultima dimor a, forse anche in patria. Il corpo nel frattempo venne imbalsamato da imbalsamatori caldei ed egiziani e ricoperto di sostanze aromatiche fors e per prepararlo a un lungo viaggio. La descrizione del carro funebre è i mpressionante e deriva forse da Ieronimo di Cardia, un funzionario della cancelleria di Alessandro che era quasi certamente presente a Bab ilonia in quei giorni e assistette ai lavori. Questa è probabilmente la sua descrizione che ci giunge tramite Diodoro: Innanzitutto fu realizzato un sarcofago in lamina d'oro martellato a misura del corpo di Ales sandro che vi venne deposto e sommerso con grande abbondanza di spezie per conservado e profumarlo. Sopra vi fu posto il coperchio pure d' oro massiccio perfettamente adattato all'orlo del sarcofago. Sul coperchio venne deposto un drappo di porpora ricamato d'oro e su q uesto la sua armatura ... il carro che doveva portarlo fu dotato di una volta d'oro rivestita di scaglie. Attorno alla base di questa volta c'er a una cornice pure d'oro adorna di teste di ariete dalle quali pendev ano degli anelli d'oro che reggevano un festone a vivaci colori. Alle est remità c'erano delle nappe di rete da cui pendevano delle campane, di m odo che quando il carro si muoveva il loro suono potesse essere udit o a grande distanza. In ogni angolo della volta da ogni parte c'era una Vittoria d'oro che reggeva un trofeo. La volta era poi sorretta da un colonnato in stile ionico. All'interno del colonnato c'era una rete d 'oro ... dalla quale pendevano quattro quadri decorati, congiunti l'uno all'altro in sequenza, e ognuno delle dimensioni del lato in cu i si trovava. Su una di queste tavole era rappresentato un carro decora to con ornamenti in rilievo e sopra c'era Alessandro con in mano un mag nifico scettro. Intorno al re c'erano gruppi di armati, uno di mac edoni, un secondo di persiani ... della guardia del corpo. Il secondo p annello mostrava degli elefanti bardati da guerra guidati dai loro mahout indiani e dietro truppe macedoni in pieno assetto e con il loro equ ipaggiamento al seguito. Nel terzo pannello si vedevano reparti di cavalleria in formazione di battaglia. Nel quarto pannello era r appresentata una squadra navale in assetto di combattimento. Accant o all'ingresso della cella che conteneva il sarcofago c'erano due leoni ... inoltre sulle

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colonne c'erano dei racemi di acanto che si estend evano fra la base e il capitello. Alla sommità di questa costruzione, in piena aria, c'era uno stendardo di porpora che portava come stemma una c orona di olivo in oro di grande dimensione che brillava al sole con così grande splendore che si poteva vedere lampeggiare da grande distanza. I l carro aveva due assi su cui giravano quattro ruote persiane con i mozzi e i raggi dorati ... le parti sporgenti degli assi erano a forma di tes te di leone che tenevano fra i denti dei ferri di lancia. Al centro ognuno degli assi aveva un ammortizzatore piazzato in modo che anche su terreno accidentato il feretro non subisse contraccolpi. C 'erano quattro stanghe e a ognuna di esse erano aggiogate quattro mute di quattro muli ciascuna, in tutto sessantaquattro selezionati acc uratamente per la loro forza e dimensioni. Ognuno aveva una corona dorata attorno al capo, due campanelle d'oro pendenti ai lati della testa e un collare ornato di pietre preziose. Benché molti particolari tecnici siano ancora poco chiari e l'interpretazione di certi termini non sicura, l'i mpressione che si ricava da questa descrizione è comunque quella di una grande macchina barocca decisamente Kitsch per i nostri gusti di m oderni, un vero e proprio tempio semovente costruito per stupire col oro che lo vedevano passare. Il problema vero però è un altro. Se è at tendibile la descrizione che ci è pervenuta, non si capisce com e un simile arnese avrebbe mai potuto viaggiare. Difficile immaginare come potessero trovare spazio fra le stanghe sessantaquattro muli e soprattutto come si potessero manovrare. Calcolando che il traino foss e di sedici muli ogni fila, sarebbe stato largo almeno diciotto metri e lungo otto-dieci, il che è palesemente impossibile. Nessuna strada di a llora era così larga. Ma se anche immaginiamo che i muli fossero aggiogat i a coppie avremmo comunque una larghezza di nove-dieci metri, concepi bile in certe strade urbane di grandi metropoli come Babilonia ma non ce rto per le strade che attraversavano il territorio. Anche la lunghezza de l traino sarebbe stata eccessiva: da un minimo di una decina di metri nell a prima ipotesi a un massimo di una ventina nella seconda. Possiamo imm aginare che i muli fossero in realtà divisi in due mute di trentadue che si davano il cambio (assai più probabile), da cui risulta una s ituazione più ragionevole di quattro coppie di muli ogni stanga, ma siamo sempre di fronte a un veicolo molto difficile da gestire. In oltre, visto che il corpo centrale del feretro era 5,6 x 3,7 metri e il carro in totale doveva essere non molto più grande, l'uso di sessan taquattro muli per il traino appare quindi di gran lunga sproporzionato s e consideriamo un peso complessivo che non doveva essere maggiore di due t onnellate supponendo, come è logico, che il colonnato ionico fosse di leg no. In sostanza, se la descrizione di quel carro è più o meno veritiera, n on possiamo immaginare come avrebbe potuto viaggiare fino in Macedonia att raverso zone montagnose e spesso impervie o addirittura attraver sare le Porte Cilicie dove per unanime ammissione di tutte le nostre font i poteva transitare solo un cammello per volta, a meno che il carro non venisse smontato ogni volta che c'era questo tipo di problema e trasporta to a pezzi. Meno problematico sarebbe invece supporre un itinerario verso l'Egitto, perché il territorio è più o meno tutto pianeggiant e, ma gli ostacoli non mancano di certo: le zone paludose dei Laghi Am ari e del Delta, i quattrocento chilometri di deserto rovente e di pis ta quasi certamente insabbiata in più tratti che congiungeva il Mediter raneo all'oasi di Siwa, se è là che il carro era diretto. Ci troviamo di fronte a un rompicapo da qualunque parte vogliamo considerarlo. Forse l'unico significato di quell'immenso treno era comunicare l 'idea che su quel carro viaggiasse la spoglia di un essere sovrumano. Purtroppo non conosciamo con precisione l'itinerario e non sappia mo nemmeno quale destino ebbe il carro, visto che da quel momento in poi non se ne sente

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più parlare. Forse viaggiò solo per un certo tratto , forse a partire da un certo punto -non sappiamo dove- fu smantellato e il corpo di Alessandro proseguì il suo viaggio in modo più disc reto. In altre parole il carro sarebbe stato preparato in maniera tanto s pettacolare per l'uscita da Babilonia e per un primo tratto di stra da e in seguito ridotto all'essenziale così che quattro coppie di m uli per volta sarebbero bastate a trainarlo. Gli altri muli avreb bero potuto trasportare le parti smontate da riassemblare in s eguito al momento di giungere al luogo della sepoltura. In questo modo il corpo di Alessandro avrebbe potuto arrivare dovunque, anche in Macedonia. Senza contare la possibilità di un trasporto per mare gi à dagli scali della Cilicia. Un'osservazione particolare merita la ser ie di pannelli (pinakes) che circondavano, nascondendolo, il fere tro, decorati con scene che evocavano i trionfi e la potenza di Ales sandro. Quella specie di tempio su ruote, che poi sarebbe stato imitato nella copertura di molti sarcofagi tanto greci quanto romani soprattu tto in età imperiale, doveva anche essere il veicolo di propaganda della grandezza del condottiero divinizzato, mostrando a chiunque lo v edesse la sua potenza e la vastità del dominio che aveva conquistato sia per terra sia per mare. Lo scampanio continuo ne annunciava il passa ggio e il grande stendardo di porpora con la corona d'olivo in oro che lampeggiava in lontananza doveva simboleggiare la gloria delle su e vittorie insieme alle statue in oro di Nike, dea della Vittoria, ch e si ergevano ai quattro angoli. Il tutto doveva suscitare meravigl ia e stupore, e l'autore stesso dice che qualunque descrizione era inadeguata rispetto al suo reale impatto visivo. La testimonianza di Diodoro, a dire il vero, ci permette di seguire il feretro per un cer to tratto, anche se la descrizione dell'itinerario è vaga. Dice che la fa ma di questo tempio funebre semovente richiamava una grande folla: gli abitanti delle città in cui stava per arrivare uscivano incontro al con voglio per scortarlo a destinazione e di là in seguito per un certo tratt o in direzione della città successiva. Ma a sostegno di quanto finora a bbiamo osservato risulta che il carro, per avanzare, avesse bisogno di uno stuolo di meccanici e di stradini. La parola greca per quest i ultimi è óSo~oloí, che letteralmente significa "costruttori di strade ", oltre, ovviamente, a una nutrita scorta armata. Questo significa che letteralmente si costruivano o si allargavano o riparavano le strade a mano a mano che il carro avanzava. Se furono necessari due anni per a pprontare il carro, non è immaginabile quanti ne sarebbero stati neces sari per permettere a un trasporto -è il caso di dirlo- tanto eccezional e di giungere a destinazione. E proprio per quanto concerne la des tinazione, come si è visto, le testimonianze sono discordi. Per Diodoro -che comunque si rifà a una fonte più antica- la destinazione è senz'alt ro l'oasi di Siwa. Pausania invece dice che prima della morte di Perd icca, assassinato dalla sua guardia del corpo mentre stava per invad ere l'Egitto, Tolomeo andò incontro al feretro e convinse poi i macedoni incaricati di portare a Ege il corpo di Alessandro a consegnarlo a lui. Dunque la destinazione secondo Pausania era senz'altro Ege. Anche un framm ento di Arriano giunto a noi tramite una citazione lascia chiaramen te intendere che il corpo non doveva andare in Egitto. Meno chiaro è S trabone, che descrivendo il sito della tomba di Alessandro (su questo torneremo in seguito), dice che Tolomeo lo aveva portato là sot traendolo a Perdicca mentre questi lo portava con sé da Babilonia e sta va per entrare in Egitto allo scopo di impadronirsene. Non si dice q uindi dove Perdicca stesse andando, ma si direbbe che quella verso l'E gitto fosse una specie di deviazione per occupare la terra dei faraoni. Da Diodoro sembra invece di capire che Tolomeo fosse venuto a prende re in consegna il corpo ai confini con la Siria per portarlo alla su a ultima destinazione. A quel punto erano trascorsi due anni e mezzo dalla morte del re.

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5° LA SEPOLTURA Abbiamo considerato una serie di testimonianze che conducono in due direzioni diverse: una verso la Macedonia, l'altra verso l'Egitto. Il loro esame mette comunque a fuoco i termini del pro blema. Primo: Alessandro ha davvero chiesto sul suo letto di mort e di essere sepolto all'oasi di Siwa? E se sì, quale ne sarebbe stato i l motivo? Secondo: dov'era diretto il carro funebre, in Macedonia o in Egitto? Terzo: Tolomeo aspettava ai confini della Siria di prende re in consegna il corpo di Alessandro o se ne è impadronito con la f orza? Perdicca era alla testa del corteo come dice Strabone o c'era q ualcun altro? Possiamo tentare di dare risposte verosimili a ques te domande. Secondo Curzio Rufo e Diodoro, Alessandro sul letto di mort e avrebbe chiesto ai suoi compagni di essere sepolto in Egitto al santua rio di Amon. Si trattava di un tempio oracolare del dio con la test a d'ariete, che si trovava nell'oasi di Siwa nel cuore del deserto del Sahara ai bordi della depressione di el Qattara, circa quattrocento chilometri a sud dell'attuale el Alamein. Un luogo magico, di straor dinario fascino, un miracolo della natura in mezzo a un mare di sabbia incandescente, con sorgenti termali, un immenso palmizio, una vasta l aguna, imponenti rocce di calcare bianchissimo che si stagliano nelle not ti di luna contro un cielo blu cobalto. I grandi santuari dell'antichità , basti pensare a Delfi, si trovano sempre in luoghi dove le manifest azioni della natura sono così spettacolari da far pensare a una presenz a fisica degli dèi. Dieci anni prima Alessandro, al suo primo arrivo in Egitto, vi si era recato con una lunga e pericolosa marcia nel desert o e lì aveva avuto la risposta che cercava. Il dio lo aveva riconosciuto come suo figlio e questo faceva di lui il faraone d'Egitto. Come tale sarebbe stato rappresentato sui piloni dei templi e ricordato ne lle iscrizioni. Prima di recarvisi aveva fondato sul braccio canopico del Nilo attorno a una rada chiusa da una lunga isola una città con il suo nome, Alessandria, destinata a un futuro di splendore e di incredibile prosperità e sviluppo. E possibile che egli volesse davvero esse re sepolto in quell'oasi nel cuore del deserto? Può essere, ma n on è così probabile. Nemmeno da morto Alessandro avrebbe voluto che avv enisse di lui qualcosa che non avesse un senso preciso. Essere sepolto a Siwa non avrebbe comportato nessuna conseguenza apprezzabile. Né è immaginabile che volesse soltanto riposare vicino al padre divino p er motivi religiosi. Alessandro era del tutto consapevole che suo padre si chiamava Filippo, e non lo aveva mai dimenticato. Proprio all'oracol o di Amon aveva chiesto per prima cosa se gli assassini di suo pad re erano stati tutti sterminati o se qualcuno era sopravvissuto. Inoltr e la cronaca che le fonti ci tramandano concordemente dei suoi ultimi giorni descrive un uomo che, finché ha un poco di energia, continua a tenere le riunioni di stato maggiore per la sua spedizione in Arabia, po i piomba in una condizione di totale prostrazione in cui forse si può accettare che abbia pronunciato, e a stento, le poche parole di risposta alle domande di Perdicca. Altri discorsi suonano posticci e agg iunti in seguito. E se le cose stanno così sarebbe giusto chiedersi da ch i e cercare un cui prodest: a chi conveniva. A Tolomeo? È un dato d i fatto che Tolomeo, il più intelligente fra i compagni di Alessandro, voleva l'Egitto e a quella condizione aveva riconosciuto la supremazia di Perdicca. Non aveva mai creduto che l'impero potesse sopravviver e alla morte di Alessandro ed era convinto che l'unica cosa saggia da fare fosse spartirselo nel modo più tranquillo possibile e ch e a lui dovesse toccare l'Egitto, per sempre, come re, come faraon e. L'Egitto che era la terra più ricca, più antica, più prestigiosa e p iù civile, uno scrigno di tesori infiniti, il corpo possente di un a grande civiltà

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indigena su cui innestare una testa greco-macedone: la sua. E quella dei suoi discendenti che si sarebbero chiamati tutti co me lui, nessuno escluso. Morto Alessandro, Tolomeo si oppose a quan ti volevano affidare tutto l'impero ad Arrideo figlio di Filippo e fu il maggior responsabile della divisione dei popoli in regni diversi. Passa to in Egitto, egli uccise Cleomene al quale Alessandro aveva affidato la satrapia... Queste le parole di Pausania. Per condurre a compimento q uel piano gli serviva un simbolo immortale, un segno che era un corpo, q uello di Alessandro. Forse Tolomeo si mise d'accordo con l'uomo incarica to di guidare il corteo funebre, qualcuno dovette avvertirlo che er a partito da Babilonia ed egli si fece trovare là dove sarebbe passato, p er rendergli onore come riferisce Diodoro e poi per prenderlo in cons egna in ottemperanza alle ultime volontà del re scomparso. Secondo un f rammento pervenuto di Arriano Perdicca, venuto a sapere della cosa, inviò Attalo a intercettare il convoglio, mala cosa non riuscì e Tolomeo portò il corpo di Alessandro in Egitto. Una terza possibilità, come già sappiamo, è quella riferita da Strabone secondo il quale era Perdicca in persona a guidare il convoglio, la cui destinazione però non è dichi arata, e aveva con sé i re, sia Filippo Arrideo che Roxane con il piccol o Alessandro Quarto Tolomeo riuscì a sottrargli il corpo di Alessandro . Perdicca invase l'Egitto con l'intenzione di annetterlo, ma morì in seguito all'ammutinamento dei suoi soldati che lo trafisser o con le sarisse. Il fatto che con Perdicca ci fossero i re farebbe pens are che si andasse in Macedonia, tant'è che loro proseguirono dopo la sua morte per quella destinazione. Se questo è vero si dovrebbe ipotizza re che Tolomeo attaccò proditoriamente il convoglio impadronendosi del corpo di Alessandro. Perdicca lo attaccò in Egitto ma fu ucc iso. Il corpo di Alessandro sarebbe rimasto per sempre nella terra d el Nilo. Non a Siwa però. Il che fa pensare che la sottrazione della sa lma non rispondesse alla esigenza di dare corso alle ultime volontà del sovrano ma a un punto molto importante dell'agenda di Tolomeo: il c orpo del grande conquistatore avrebbe dovuto essere il simbolo di u n nuovo mondo il cui centro sarebbe stato Alessandria. Esiste, a questo proposito, anche un'altra teoria più recente che interpreta questi eventi in modo del tutto opposto Non sarebbe stato Tolomeo a dirottar e il feretro di Alessandro, bensì Perdicca: il convoglio era regol armente diretto in Egitto, secondo la volontà del sovrano defunto app rovata da tutti. Saputo che la regina Olimpiade gli offriva in sposa sua figlia Cleopatra, ossia la sorella di Alessandro rimasta vedova, Perd icca avrebbe capito che ciò poteva significare per lui l'investitura uf ficiale alla successione dinastica e pertanto avrebbe cambiato i dea decidendo che lui in persona avrebbe dovuto ricondurre il corpo del r e a Ege in Macedonia. Da cui l'invio di Attalo per fermare il convoglio c on ciò che seguì. È una teoria interessante, mala testimonianza di Stra bone può benissimo essere interpretata nell'altro senso: il carro fune bre stava andando in Macedonia quando Tolomeo "precedette" o forse megl io "sorprese" Perdicca e si impadronì del corpo. In seguito, o forse anch e nello stesso tempo, Tolomeo avrebbe fatto circolare la diceria che l'u ltima volontà del sovrano era di essere sepolto in Egitto, e quella versione dei fatti sarebbe stata definitivamente consacrata nella sua storia della spedizione di Alessandro. D'altra parte pare stran o che Arriano, di solito molto vicino a Tolomeo, se ne scosti propri o in questo punto se non fosse perché non crede alla sua versione dei f atti. Dal canto suo Diodoro dichiara che Tolomeo per fare onore ad Ale ssandro andò incontro al feretro con un esercito e gli eserciti servono prima di tutto a combattere. Per gli onori una scorta come quella c he accompagnava il feretro sarebbe stata sufficiente. Come in parte a bbiamo anticipato, il corpo del re non fu trasportato a Siwa secondo la supposta sua volontà, ma prima a Menfi e poi, in via definitiva, ad Ales sandria. E anche questo ribadisce il fatto che non si stava rispett ando la volontà del

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defunto, ma quella di Tolomeo. Un'altra diceria rip ortata da Pausania e con ogni probabilità diffusa dalla propaganda ales sandrina nell'ambito della stessa operazione ideologica raccontava che Tolomeo non era affatto figlio di Lago se non di nome. Sua madre i nfatti sarebbe stata data in moglie a Lago da Filippo Il quando era già incinta di lui. Questo ulteriore elemento ci fa capire che Tolomeo , pur ritenendo impossibile mantenere unito politicamente un imper o che si estendeva dal Danubio all'Indo, dall'Adriatico al Golfo Persico e che non era per nulla stabilizzato, aspirasse comunque a una sorta di le adership che potremmo definire morale e culturale e che questa leadershi p sarebbe stata rappresentata da Alessandria come vera e propria c apitale del nuovo mondo nato dall'incontro fra Oriente e Occidente e dalla presenza del corpo-simbolo di Alessandro, che quel mondo aveva creato senza peraltro poterne vedere l'evoluzione. E infine dalla Grande Biblioteca e dal Museo che ne incarnavano l'eccellenza culturale. Alle due destinazioni antagoniste di quel corpo, Eg e e Siwa, ne va aggiunta una terza, quella di Babilonia che pare Al essandro meditasse di fare capitale del suo impero. Era una scelta logica perché la metropoli mesopotamica era in una posizione centrale rispetto alle estreme province indiane e alla ancestrale e periferica Mac edonia. Di fatto è molto probabile che una tomba sia stata eretta a Ba bilonia per i due anni che furono necessari ad approntare il carro fu nebre, o meglio a stabilizzare l'accordo fra i compagni del re, e dur ante quei due anni forse i persiani premettero affinché quella fosse l a tomba del sovrano, per sempre. Senza esito. La storia del carro sembra comunque un pretesto. Dal momento che era una struttura componi bile dividendo le singole parti fra un numero adeguato di artigiani a vrebbe potuto essere portato a termine in pochi mesi. A meno che, anche su come avrebbe dovuto essere quel carro, non si sia discusso molto a lungo. Se Babilonia interessava ai persiani e ai caldei non p oteva interessare a Perdicca che non aveva mai capito l'idea ecumenica di Alessandro e che difendeva l'unità dell'impero solo perché era stato creato dal re dei macedoni e il re era uno. Tanto meno interessava a Tolomeo. La sepoltura babilonese, se vi fu, dovette avere carattere provv isorio. Un episodio riportato da Eliano, benché abbia un carattere evid ente di aneddoto che lo rende poco credibile all'autore stesso (Se dobbi amo credere alla storia), è però interessante e a suo modo significa tivo. Vale la pena richiamarne la conclusione: ... (Aristandro) dunqu e disse che Alessandro fra tutti i re della storia era stato il più fortu nato, sia in vita che in morte. Gli dèi gli avevano rivelato che la terr a che avesse ricevuto il suo corpo, la prima sede della sua anima, avreb be goduto della più grande fortuna e sarebbe stata invincibile attrave rso i secoli. A quel punto i presenti cominciarono a contendersi il corpo che fino ad allora era stato trascurato volendo conquistare que l privilegio, ma Tolomeo lo rubò e in gran fretta lo portò ad Alessa ndria in Egitto. Perdicca si gettò al suo inseguimento e quando i du e eserciti giunsero a contatto ci fu una grande battaglia per la salma de l re. Alla .fine Perdicca ebbe la meglio, ma presto si rese conto ch e Tolomeo lo aveva ingannato mettendo su un carro persiano meraviglios amente ornato con oro, argento e avorio un manichino vestito e truccato co me Alessandro mentre il vero corpo era già lontano. Quando Perdicca si accorse dell'inganno era già troppo tardi. E probabile che ci troviamo di fronte a una storia divertente elaborata in ambiente egiziano per mett ere in contrasto l'astuzia di Tolomeo e la dabbenaggine di Perdicca . L'aspetto interessante è che vi si parla di un combattimento , di uno scontro violento che ebbe luogo per il possesso della salm a di Alessandro, e questa potrebbe essere comunque la memoria di un f atto realmente accaduto. Tolomeo portò poi il corpo a Menfi come attestano Curzio Rufo

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e Pausania. Curzio racconta che, quando finalmente i compagni di Alessandro a Babilonia avevano deciso di occuparsi della sua salma, gli egiziani e i caldei avevano ricevuto l'ordine di pr eparare il cadavere al loro modo, il che farebbe pensare che fosse stat o imbalsamato con la tecnica delle mummie egiziane, mala relazione di Cu rzio si vale di elementi misti della tradizione come il fatto che i l sarcofago fu riempito di spezie e sostanze aromatiche per conser vare e profumare il cadavere. La scelta di Menfi, capitale dell'Antico Regno, come vedremo fu provvisoria ma nondimeno prestigiosa, essendo p robabilmente collocata non lontano dalle piramidi di Gizah. Pausania comun que aggiunge che il re fu sepolto secondo il costume macedone, il che p otrebbe significare "secondo il rituale macedone" oppure in una tomba di tipo macedone, ossia a camera sormontata da un tumulo. La notizia della sepoltura a Menfi è confermata da un breve passo del Marmor Pa rium, una iscrizione su marmo proveniente dall'isola di Paro che riport a la tavola cronologica degli eventi della storia dei greci da l mitico re Cecrope fino alla metà circa del Terzo secolo a.C. In una data corrispondente al 321-320 a.C. vi si dice che "Alessandro fu colloca to a Menfi e Perdicca, avendo condotto una spedizione contro l'Egitto, mo rì". 6° LA TOMBA DI UN RE "Alla maniera macedone" sarebbe dunque stato sepolt o Alessandro a Menfi. E tutto fa pensare che non si sia trattato soltanto di un rituale liturgico, ma di un complesso di elementi funerari che avevano a che fare con la forma, i materiali, la struttura e l'ar redo della tomba stessa. Qui siamo all'inizio del progetto politico di Tolomeo e in questo periodo il suo esercito, il suo stato maggi ore, e la sua stessa reputazione erano strettamente legati al mondo mac edone, alle tradizioni e agli usi che noi oggi chiameremmo "occidentali". Violarli, specie in presenza dell'esercito sarebbe stato sconsigliabile . Né dobbiamo dimenticare che i momenti più critici dell'impresa di Alessandro si verificarono quando adottò i costumi della corte a chemenide che l'esercito e i compagni rifiutavano nella maniera più assoluta. Questo tipo di mentalità si sarebbe propagato nei secoli e avrebbe avuto un peso determinante nelle guerre civili di Roma tardo -repubblicana nel duello fra Marco Antonio e Ottaviano. La carta vinc ente di Ottaviano fu il mettere le mani sul testamento di Marco Antonio e leggerne in pubblico il passo in cui dichiarava di voler essere sepolto ad Alessandria con i riti della liturgia egizia e lasc iava eredi di tutto i figli avuti dalla regina egiziana Cleopatra. Questo gli alienò completamente il favore popolare che prima era in g ran parte a suo vantaggio. Tolomeo era troppo accorto per cadere i n un simile errore, e quindi seppellì il corpo di Alessandro con gran po mpa tributandogli un culto eroico ma non ancora divino e seguendo i can oni del rito funerario macedone. Menfi era la capitale storica dell'Antic o Regno e nelle vicinanze sorgeva la necropoli monumentale che si estendeva per quasi quindici chilometri dalla piana di Gizah a Saqqara e al deserto di Dashur, dove le più antiche piramidi si ergevano d alle sabbie dorate cosparse di ciottoli di alabastro lucidati dal ven to come pietre preziose. Le fonti non ci dicono dove venne sepolt o e i moderni hanno fatto varie supposizioni, fra le quali una in part icolare sembra avere un certo peso. Secondo questa ipotesi Alessandro s arebbe stato sepolto nei pressi del Serapeo, ossia la catacomba monumen tale di Osiride-Apis dove si conservavano le mummie di centinaia di tori Api, considerati l'incarnazione di Osiride? Ma com'era "la maniera macedone"? La documentazione in nostro possesso è vasta e ricca e si moltiplica a mano a mano che procede l'esplorazione archeologica del le necropoli di

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Macedonia. Un ritrovamento, in particolare, avvenu to nell'ultimo quarto del secolo scorso, ha destato enorme impressione e , almeno nel mondo scientifico, un interesse forse secondo solo alla scoperta della tomba di Tutankhamon a opera di Carter e Carnarvon il no vembre 1922. Esattamente cinquantacinque anni dopo, l'8 novembre del 1977, il mondo intero fu scosso dalla notizia che l'archeologo gre co Manolis Andronikos aveva scoperto a Verghina (l'antica Ege dei re mace doni) la tomba di Filippo Secondo, il padre di Alessandro. Era un suc cesso straordinario e unico che coronava quindici anni di ricerche e di s forzi, e la scoperta si era verificata quasi alla fine della campagna di scavo con i fondi ormai agli sgoccioli e la cattiva stagione che inco mbeva. Andronikos aveva deciso questa volta di abbassare la trincea d i scavo nettamente sotto il piano di campagna del Quarto secolo a.C. e di dirigersi verso il centro del tumulo. Dopo aver incontrato tracce d i offerte funerarie e di piccoli animali sacrificati intercettò prima un muro di contenimento e poi una struttura a volta, inconfondibilmente app artenente a una grande tomba a camera. La presenza al centro della volta dell'ultimo blocco di chiusura, la chiave di volta, appunto, co n la sua malta di cementazione intatta, rivelava senza ombra di dubbi o che si trattava di una tomba inviolata. L'emozione era incontenibile. Uno degli assistenti di Andronikos si calò all'interno con una fune per vedere se ci fosse spazio libero per appoggiare una scala a pioli sen za fare danni, dopo di che anche l'archeologo poté scendere nell'ipogeo, primo essere umano a toccarne il pavimento dopo quasi ventiquattro seco li. In quel momento l'emozione aveva ceduto il passo al senso di respo nsabilità: l'ambiente si era conservato tale e quale, solo l'azione del tempo aveva portato mutamenti: le armi di bronzo ossfidate di verde, l a corazza di ferro così corrosa dalla ruggine che ne erano coperte an che le finiture in lamina d'oro, la kline funeraria ridotta in bricio le, il materasso polverizzato, le applique in avorio e oro sparse i n piccoli frammenti, un grande scudo cerimoniale tutto in avorio con fig urine a bassorilievo di squisita fattura e motivi a greca frantumato in tanti pezzi, un puzzle minuto e affascinante che lasciava al momen to solo intuire la visione dell'intero ricomposto. Presso la porta il rivestimento di una faretra in oro puro sbalzato di evidente impronta tracio-scitica, forse preda di guerra, forse dono di un qualche capo vas sallo di area danubiana, fasci di frecce ancora uniti da nastri d'oro. Ogni movimento falso avrebbe potuto compromettere una situazione irripetibile e unica al mondo in assoluto, ogni minimo errore avrebbe p otuto avere conseguenze disastrose. Una coppia di schinieri sb alzati, in bronzo dorato, un gruppo di vasi d'argento di squisita fa ttura... dovunque volgesse gli occhi Andronikos si trovava davanti o ggetti di sconvolgente bellezza. A un tratto uno in particolare attirò la sua attenzione: una testina in avorio di un paio di centimetri che, vi sta a distanza ravvicinata, rivelò le fattezze di Filippo Secondo così come appariva nel medaglione di Taso. Possibile? A poca distanza un altro minuscolo ma stupendo ritratto che quasi certamente riprendeva le fattezze di Alessandro. Andronikos si sentì quasi venir meno p er l'emozione: anche se non poteva ancora dirlo con certezza, sentiva d i trovarsi nella camera sepolcrale di Filippo Secondo di Macedonia, il padre di Alessandro Magno. E proprio Alessandro doveva aver la eretta dopo che il padre era stato assassinato nel 336 a.C. Seppellir e un re era come affermare il proprio diritto alla successione, e i l giovane principe non aveva certo perso tempo. Aveva probabilmente assis tito al rogo, aveva dato ordine di eseguire la deposizione e forse, se nza nemmeno attendere che la tomba venisse sigillata, era corso al galop po a Pella per presentarsi davanti all'esercito. In fondo, addoss ato al muro, c'era il sarcofago coperto da una lastra di pietra. Androni kos lo aprì e restò sbalordito alla vista di un'urna d'oro massiccio c he portava a rilievo la stella argeade a dodici punte. All'interno le o ssa bruciate del re,

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su cui si era stampata la tinta del drappo di porp ora con cui erano state avvolte e del vino con cui erano state lavat e, e una corona d'oro di foglie di quercia. E quando in seguito fu in gr ado di liberare la facciata del mausoleo si trovò di fronte un fregio affrescato con una scena di caccia sullo sfondo di un paesaggio invern ale. Un dipinto di una bellezza impressionante, opera di un grande maestr o: Filippo a cavallo in atto di trafiggere un leone con un colpo. di la ncia, dall'altra parte Alessandro distinguibile dal diadema che gli cinge va la fronte, e poi alberi scheletriti dal gelo e un cielo liquido, tr asparente, una luce algida e diffusa, un'atmosfera irreale. Nel vesti bolo della tomba c'era un altro sarcofago con un'urna d'oro simile alla p rima ma più semplice e meno ornata. Le ossa erano quelle di una giovane d onna fra i ventitré e i ventisette anni. Andronikos la identificò con l' ultima moglie di Filippo Secondo, Euridice (Cleopatra in altre font i), fatta assassinare subito dopo la morte di Filippo dalla regina madre Olimpiade. Oppure una delle sue mogli "barbare" che avrebbe potuto esser e stata sacrificata sulla tomba del marito come era nelle loro usanze. Una seconda tomba intatta, rinvenuta a poca distanza dalla prima, co nteneva i resti di un giovinetto di età fra i tredici e i sedici anni. Fu chiamata perciò la "Tomba del principe". La datazione agli anni 315310 a.C. ha fatto pensare che potrebbe trattarsi del giovane Alessand ro Quarto, fatto assassinare da Cassandro nel 310 a.C. quando aveva quattordici anni. Le tombe macedoni fin qui trovate sono una sessantina, ma solo pochissime sono state rinvenute intatte e con il loro corredo in situ, ed è ciò che ci ha permesso di identificare con precisione il ri tuale di sepoltura dei sovrani e le caratteristiche delle tombe. Dunqu e ecco il rituale alla maniera macedone, una tomba a camera, sormonta ta da un tumulo di terra, una facciata che riproduce un edificio o un tempio, un vestibolo e poi la camera sepolcrale in cui è collocato il sa rcofago con l'urna cineraria. Davanti la kline funeraria, ossia il let to da simposio, non necessariamente realizzato per il funerale, ma già in uso nel palazzo reale, che diventava il divano per il banchetto ete rno del defunto. Unica differenza: il corpo di Alessandro era stato imbalsamato. Questa potrebbe essere una ragione a favore dell'ipotesi c he il corpo fosse diretto in Egitto e perciò era stato mummificato, m a il trattamento conservativo del corpo potrebbe essere spiegato con il fatto che doveva percorrere una lunga distanza fino in Macedonia, e quindi doveva essere preservato finché non si celebrasse il rito funebre e non venisse cremato sulla pira prima di essere sepolto a Ege ne lla necropoli reale. L'incinerazione in ogni caso non è il solo rito fun ebre sia in Macedonia sia in Grecia dove non di rado veniva praticata anc he l'inumazione del corpo intero. C'è stato un periodo a partire dagli scavi archeologici dei primi dell'Ottocento in cui si associava il rit o funerario a una etnia specifica ma ben presto ci si rese conto che l'ipotesi non reggeva e che ambedue i riti erano praticati all'interno d ella stessa cultura. D'altra parte ancora oggi nella nostra società si pratica sia l'inumazione che l'incinerazione senza un motivo s pecifico. In ogni caso, quando arrivò in Egitto, Tolomeo dovette deci dere di conservarlo com'era, così che divenne famoso come il 6w~a, "il corpo". Una sorta di reliquia carica di un significato ideologico intens issimo che rendeva sacro il luogo che la ospitava e ne faceva il centr o del mondo nuovo. Questo premesso, si può presumere che fosse stata costruita a Menfi una tomba a camera sormontata da un tumulo, che all'in terno fosse stato disposto il sarcofago, la kline funeraria e i doni. Ma quella era per Alessandro soltanto una sepoltura provvisoria bench é illustre e prestigiosa. Fino a quel momento Tolomeo si era mo sso con straordinario tempismo e con eccezionale abilità. Aveva giocato Perdicca sottraendogli il corpo di Alessandro grazie a una impeccabile azi one di intelligence che gli aveva permesso di sapere esattamente quando il carro sarebbe transitato dalla Siria verso Damasco, dove, si supp one, avrebbe preso la

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direzione nord attraverso le Porte Siriache e le Po rte Cilicie. Aveva dirottato il convoglio dopo aver persuaso, con le b uone o con le cattive, i capi della scorta contando comunque sull a superiorità schiacciante dal suo esercito. Perdicca, dal canto suo aveva commesso l'errore di allontanarsi troppo dal teatro degli e venti, partendo per una spedizione in Cappadocia che avrebbe ben potut o rimandare ad altro momento. Si era dimostrato troppo incerto quando a veva ricevuto le due proposte di matrimonio, una da parte di Antipatro viceré in Macedonia per sua figlia Nicea, l'altra dalla regina madre O limpiade per Cleopatra sorella di Alessandro, non calcolando quale consegu enza avrebbe avuto l'una o l'altra scelta. Dopo era seguita la sciagu rata spedizione in Egitto, culminata con una sconfitta cocente che la splendida vittoria del suo fedele alleato Eumene contro Antipatro non era riuscita a ribaltare. Perdicca era un ottimo combattente e ne aveva dato prova più volte, ma era anche uno sventato, e di questo avev a avuto modo di pentirsi ma senza mai imparare la lezione. Purtrop po Tolomeo, che aveva tutte le qualità di un leader, audacia, cinismo, i ntelligenza, sangue freddo, mancava di ciò che l'avrebbe veramente res o grande: il cuore, l'entusiasmo, la capacità di pensare in grande, le qualità di Alessandro. A lui bastava il sicuro dominio della regione più ricca, più compatta, più sicura, difesa dal deserto e dal mar e. L'idea di controllare sterminati territori, deserti roventi, montagne ghiacciate, foreste impenetrabili non solo non gli diceva null a, ma addirittura gli ripugnava. L'idea di rintuzzare continuamente la t urbolenza di tribù barbare e selvagge annidate in sedi inaccessibili gli era insopportabile: lo aveva fatto per anni e anni seg uendo il suo amico che cavalcava Bucefalo. Aveva passato i quarant'anni, v oleva realizzare il suo scopo. Ma per dare importanza al suo territori o, di più, per dare un senso a quella scelta comunque rinunciataria, gli serviva un simbolo così forte che nulla avrebbe potuto stargli a fron te, nessuno avrebbe potuto metterlo in discussione: il corpo stesso de l conquistatore, le spoglie del più grande che fosse mai esistito. Ora l'aveva. Alessandro era sepolto in terra d'Egitto proprio là dove per la prima volta aveva reso onore agli dèi di quel paese diventandone egl i stesso parte a tutti gli effetti. Ammesso che Alessandro avesse veramen te espresso il desiderio di essere sepolto a Siwa presso l'oracol o di Amon, comunque non sarebbe stato esaudito. Il suo corpo imbalsamat o non era meno inerte e impotente del pupazzo con cui si diceva che Tolom eo avesse ingannato Attalo, ma aveva una valenza ideologica infinita. A Siwa sarebbe stato dimenticato o sarebbe divenuto oggetto di un culto sporadico, officiato da sacerdoti distratti, mendicanti di offerte. Occo rreva che fosse collocato in un luogo nevralgico e carico di energi a, in un corpo vivo e palpitante: la città che Alessandro stesso aveva fo ndato dieci anni prima e mai più rivisto; la città delle meraviglie, la perla del Mediterraneo, il luogo più affascinante e turbolent o, il più magico e il più eccitante, quello in cui tutto era possibile e tutto poteva accadere: Alessandria! 7° ILLUSTRI VISITATORI Già prima del regno di Tolomeo circolava in Egitto una storia curiosa che riguardava la nascita di Alessandro. Questa sto ria narrava che l'ultimo faraone Nectanebo Secondo, sconfitto da Ar taserse Terzo Ocho imperatore dei persiani nel 343 a.C. e scomparso m isteriosamente, era in realtà migrato in Macedonia e si era presentato com e un possente mago egiziano alla regina Olimpiade durante un periodo i n cui il re Filippo Secondo era lontano, impegnato in una campagna mili tare. Le aveva annunciato che il dio Amon (che i greci identificav ano con Zeus)

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l'avrebbe visitata e insieme avrebbero concepito un figlio. Poi, camuffato da Amon, era apparso nella sua camera da letto. Da quell'unione era in seguito nato Alessandro. Si tratta di una s toria bizzarra e grottesca sicuramente elaborata in ambiente egizia no, forse nel primo periodo dopo la visita di Alessandro a Siwa. Il co ndottiero macedone sapeva bene che per regnare in Egitto era necessar io diventare egiziani. Sapeva quante sanguinose rivolte i persiani avevan o dovuto domare e per questo si era recato a Siwa, dove aveva probabilme nte fatto doni molto generosi ai sacerdoti di quel tempio e dove era st ato proclamato dall'oracolo figlio di Amon e non di Filippo. Poi , allo scopo di far accettare definitivamente al popolo un dominatore straniero, si era voluto rafforzare il concetto. Si era così costruit a la storiella dell'avventura magico-erotica dell'ultimo faraone i ndigeno d'Egitto e ultimo della Trentesima dinastia, Nectanebo Secondo , in terra macedone. In virtù di questa storia Alessandro diveniva il ba stardo di un faraone, ma pur sempre rampollo di sangue egiziano, e quindi in qualche modo accettabile come sovrano della terra del Nilo. D'al tra parte era già accaduto che uomini di sangue non propriamente nobi le, saliti al trono per meriti militari o di altro genere, avessero fat to circolare la storia di essere figli naturali dell'ultimo legitti mo sovrano. Anche nella Roma imperiale accadde qualcosa di simile qua ndo Settimio Severo lasciò che si diffondesse la notizia di essere figl io naturale di Marco Aurelio. Si potrà osservare che in questa storia l a regina Olimpiade non fa una bella figura e men che meno il re Filippo e che neppure l'immagine di Nectanebo Secondo esce particolarment e nobilitata da una simile prodezza da guitto di strada, ma l'importan te era il risultato. Viene da chiedersi se Alessandro ne sia mai stato al corrente o se abbia tollerato in qualche modo, se non approvato, una s imile versione del suo concepimento. Per quanto ci consta la sua origine divina non è mai stata accettata dai suoi compagni e in taluni casi le fo nti ci riportano motti di spirito e sarcasmi al riguardo, ma non è da esc ludere che la cultura popolare in Egitto potesse accettare una simile ver sione dei fatti che poi sarebbe entrata a far parte del celebre Romanzo di Alessandro dello Pseudo Callistene, una storia perlopiù fantasiosa d ell'avventura del macedone che sarebbe stata assai nota anche durante il nostro Medioevo. È verosimile che Tolomeo incoraggiasse anziché repr imere questo tipo di aneddoti nel tentativo di rafforzare la legittimità del potere macedone in Egitto, tanto più che il possesso della mummia d i Alessandro veniva a costituirne il simbolo fisico e ideologico. Non sap piamo per quale motivo avesse voluto prima seppellire il corpo del re a Menfi: forse per vere il tempo di costruire la tomba ad Alessandria dove restò per almeno cinque secoli oggetto di visite e pellegrinaggi, d i venerazione, di grandiose cerimonie commemorative. La sepoltura a Menfi è attestata da Pausania ("alla maniera macedone") e Curzio Rufo c on poche parole, ma è accettata come vera dalla maggior parte degli stud iosi. Anche lo Pseudo Callistene attesta il trasporto del corpo di Aless andro a Menfi, ma non la sepoltura: Questo responso (dell'oracolo di Zeu s Amon) mise fine alle questioni: tutti convennero con Tolomeo di traspor tare il corpo alla città di Menfi, dopo averlo imbalsamato. Il sacerd ote di Menfi, però, pronunciò un oracolo sfavorevole dicendo che la ci ttà che avesse ospitato quel corpo sarebbe stata travagliata da m olte guerre e battaglie. Allora Tolomeo lo portò ad Alessandria e fece costr uire un monumento funebre, nel tempio che fu chiamato "Soma ('corpo') di Alessandro". Colà dunque fu collocata la sua salma. Il trasporto ad Alessandria sarebbe avvenuto invece dopo pochi anni a detta di Curzio Rufo, mentre Diodoro afferma Egli ( Tolomeo 1°) decise per il momento di non mandarlo ad Amon (Siwa) ma di sep pellirlo nella città

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che Alessandro aveva fondato... là preparò un recin to sacro degno della gloria di Alessandro in dimensioni e architettura. Seppellendolo in questo luogo e onorandolo con sacrifici del tipo di quelli che si offrono agli eroi e con magnifici giochi funebri, s i conquistò la gratitudine non solo degli uomini ma anche degli dè i... È un'affermazione in aperto contrasto con ciò che dic ono Rufo e Pausania. Non c'è traccia in Diodoro della sepoltura a Menfi e l'inumazione del corpo ad Alessandria sembra avvenire poco prima del l'invasione di Perdicca. Il testo di Diodoro continua poi dicendo che Tolomeo, per la sua generosità e nobiltà d'animo si ingraziò la pop olazione e molti accorsero ad arruolarsi al suo fianco benché l'eser cito reale stesse per assalire quello di Tolomeo. È interessante notare c he secondo la versione di Diodoro, che ha una fonte filo-tolemaic a, il popolo stava dalla sua parte anche se si trattava di combattere contro i re eredi diretti di Alessandro. Si vede insomma che gli egiz iani lo consideravano un sovrano legittimo: Tolomeo si identificava con A lessandro che era il figlio di Amon e la sua presenza nella città era f onte di legittimità per il suo potere. Abbiamo qui anche un accenno al luogo della sepoltura: si tratta di un témenos, ossia di un re cinto sacro in cui viene innalzata la tomba, una struttura di origini molto antiche che troviamo già nella necropoli dell'età del bronzo p resso la Porta dei Leoni a Micene. Quanto alle cerimonie di culto, so no quelle tributate agli eroi, ossia ai semidèi, come Eracle o Achille suoi antenati, ma non a un dio. Perfino Alessandro aveva voluto chiedere al santuario oracolare di Siwa se si potessero tributare onori divini a Efestione; e Tolomeo non poteva fare diversamente, soprattutto per la presenza delle sue truppe macedoni che forse non avrebbero accett ato un culto divino. È anche interessante notare che la tomba di Alessand ro non è qui associata a nessun'altra come accade per esempio in Strabone , probabilmente perché la sua era la prima, e questo deporrebbe a favore d el fatto che fu Tolomeo I a seppellirlo ad Alessandria e non Tolom eo 2°. Zenobio, un raccoglitore di proverbi greco vissuto nel Secondo secolo d.C., dice che fu Tolomeo Filopatore, cioè Tolomeo 4°, a costruir e il monumento funerario "nel centro della città" o "in mezzo all a città" che poi venne chiamato serra ("segno"), e che lì venne sepolto Al essandro. Da questo momento coloro che hanno investigato sull a tomba di Alessandro cominciano a considerare le testimonianze di fonti in un certo senso dirette, ossia di autori che personalmente hanno vi sto o sentito parlare delle caratteristiche e dell'ubicazione del monumen to in tempi a loro più vicini o contemporanei: dobbiamo infatti tenere presente che nessuna delle numerose fonti contemporanee ad Alessandro è sopravvissuta e che tutto ciò che abbiamo risale come minimo a tre sec oli dopo. Una testimonianza molto interessante è quella di Lucano , il poeta latino nipote di Seneca morto a soli ventisei anni di età, costretto al suicidio da Nerone per i suoi sentimenti repubblica ni e per aver preso parte alla congiura dei Pisoni per assassinarlo. Di lui ci rimane il poema epico intitolato Pharsalia che narra la guer ra civile fra Cesare e Pompeo e dedica lcuni versi alla sepoltura di Aless andro e dei Tolomei. È un passo cui gli studiosi prestano attenzione per ché lo zio di Lucano, Seneca, aveva trascorso del tempo in Egitto e aveva scritto un'opera dedicata agli edifici sacri: Lucano poteva averla c onsultata o aver parlato direttamente con lo zio. In questo passo il poeta narra della tomba di Alessandro e di quelle dei Tolomei che dov evano essere nei pressi, sormontate da piramidi e mausolei. Non bis ogna qui pensare a piramidi vere e proprie, ma a imitazioni di dimens ioni ridotte come dovevano essere quelle che ispirarono la piramide Cestia che ancora si può vedere incorporata nel tratto delle mura Aurel iane vicino a Porta San Paolo. Per quanto riguarda i mausolea, si deve invece pensare a monumenti funebri di tipo greco che prendevano il nome dalla grandiosa

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sepoltura di Mausolo, dinasta di Caria, che era st ata da poco costruita quando Alessandro conquistò Alicarnasso e di cui n on ci rimane praticamente nulla. Era annoverata fra le sette me raviglie del mondo. Lucano in un altro passo della Pharsalia descrive C esare che, trascurata ogni altra meraviglia della città di Alessandria, d iscende nella tomba dell'eroe macedone: effossum ... cupide descendit i n antrum, "impaziente discese nella tomba sotterranea". Effossum signific a infatti "scavato" e dovremmo quindi intendere che la camera sepolcrale in cui riposava la mummia del condottiero fosse sotto, scavata rispett o al piano di campagna. Siamo quindi sempre nella tipologia messa in luce da Manolis Andronikos a Verghina. Come è noto, Cesare, sconfi tto Pompeo a Farsalo nel 48 a.C., lo inseguì in Egitto dove il giovane re Tolomeo Quattordicesimo lo aveva fatto uccidere su consigl io e iniziativa dei suoi ministri e generali pensando di fargli cosa g radita. Cesare ne fu molto contrariato e subito si insediò ad Alessandr ia, dove però rimase intrappolato per diversi mesi, assediato dalle mil izie egiziane fedeli alla dinastia, e più volte rischiò di morire. L'op era che racconta questi eventi, il Bellum Alexandrinum, fa parte de l corpus cesariano ed è attribuita a uno dei suoi generali, Aulo Irzio c he sarebbe morto nel 43 a.C. nella guerra civile di Modena mentre rives tiva il consolato, ma l'attribuzione è tuttora discussa. Stupisce comunq ue il silenzio totale di questa fonte sulla tomba di Alessandro e sul fa tto che Cesare possa averla visitata. Infatti, come vedremo in seguito, la tomba doveva essere situata nella zona del palazzo reale dove C esare era asserragliato. Si può dire che la cosa è altamente probabile, masi tratta di un evento che possiamo soltanto immagina re. Si dice che Cesare, quando era questore in Spagna, lamentasse di non avere ancora compiuto alcuna impresa significativa, mentre Ales sandro molto più giovane aveva già sottomesso gran parte del mondo conosciuto. Forse quelle parole gli vennero in mente mentre contempl ava le sembianze del grande conquistatore. In un altro passo del poema$ si parla di un extructus mons che sormontava la tomba e anche que sto ci riconduce alla tipologia delle tombe reali di Verghina. Dunque, i ntegrando Diodoro e Lucano, possiamo pensare a un recinto in muratura che delimitava un'area sepolcrale in cui sorse dapprima il solo sepolcro di Alessandro, costituito probabilmente da un dromos (corridoio d i accesso) o da un vestibolo e da una camera sepolcrale che conteneva il sarcofago d'oro ed era sormontato da una collinetta artificiale, l'ex tructus mons ricordato da Lucano. Il prossimo visitatore illustre attest ato dalle fonti è Ottaviano, che raggiunse l'Egitto in modo analogo a quello di Cesare e cioè inseguendo il rivale Antonio dopo aver vinto la battaglia di Azio. Non ci fu un vero e proprio scontro. Gli uomini di Antonio passarono al nemico e a lui non restò che suicidarsi. Sua mogli e Cleopatra, ultima sovrana della dinastia tolemaica, lo seguì poco dop o nella tomba essendosi fatta mordere, come vuole la tradizione, da un aspide. Si era nel settembre del 30 a.C. Ottaviano era il signore incontrastato di tutto il mondo romano e poteva anche dedicarsi a visitare Alessandria, forse a quell'epoca una delle più belle e avanzate città de l mondo, ed è qui che Svetonio nella sua biografia di Augusto, descrive l a visita alla tomba di Alessandro: In quello stesso tempo, fatta tirar fuori dalla tomba l'arca con il corpo di Alessandro, lo guardò a lung o, quindi vi pose una corona d'oro e vi sparse fiori e poi richiesto se volesse vedere anche quelle dei Tolomei rispose che era venuto per vede re un re, non dei morti. Dione Cassio narrando lo stesso episodio racconta c he Augusto toccò la mummia di Alessandro in modo tale che gli ruppe il naso. Non volle invece vedere la salma di Tolomeo, nonostante le in sistenze degli alessandrini, dicendo che era venuto a vedere un re e non dei morti. Evidentemente sia Svetonio che Dione Cassio attingo no dalla stessa fonte

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perché riportano la stesso sa risposta di Ottavian o a chi gli vuole mostrare le tombe dei Tolomei (o di Tolomeo). Dion e in più riferisce il particolare della rottura del naso, che qualcuno p ensa sia avvenuta mentre Ottaviano cercava di appoggiare sul capo de lla mummia la corona. Dalle parole di Svetonio sembra di capire che la n ecropoli reale fosse sorta tutto attorno al serra, ossia al recinto in cui si trovava il tumulo di Alessandro, ma ne fosse separata. Anche Dione Cassio sembra distinguere la sepoltura di Tolomeo da quella di A lessandro. Fra gli illustri visitatori della tomba è spesso annoverato anche l'imperatore Caligola (Caio Giulio Cesare Germanico) sulla base di un passo di Svetonio. In realtà il passo non autorizza necessar iamente a pensare che Caligola non si sia mai recato ad Alessandria, ma c he semplicemente si sia fatto portare la corazza del conquistatore per indossarla: Portò con frequenza le insegne trionfali e talora anche la c orazza di Alessandro Magno fatta togliere (repetitum) dalla sua tomba. Un gesto in qualche modo spiegabile: suo padre Germanico si era attegg iato più volte come un nuovo Alessandro e gli storici individuano in lui quel tipo di comportamento e di cura della propria immagine che viene chiamato imitano Alexandri: è plausibile che il giovane Caligola do vette restarne impressionato. Sappiamo comunque che sul sarcofago d'oro di Alessandro era stata posta la sua armatura durante il viaggio del convoglio funebre da Babilonia. È probabile che vi fosse rimasta fin o al momento in cui Caligola la fece prelevare. Dopo di questo non abbi amo altre notizie. Non sappiamo quindi se il prezioso ci melio sia stato r estituito o sia andato perduto. Se non sparì durante i tumulti dei pretor iani che seguirono il suo assassinio il 24 gennaio del 41 d.C., non si p uò escludere che il successore Claudio l'abbia discretamente fatta rip ortare indietro. Claudio era un appassionato di antichità e uno stu dioso di notevole livello e la cosa non sarebbe inverosimile. Dopo di che non abbiamo notizia diretta di altri illustri visitatori fino a Settimio Severo, di cui diremo in seguito. È però assai probabile che altri imperatori romani vi abbiano fatto visita nei loro soggiorni alessandrini: quasi sicuramente Adriano, che di Alessandro fu un ferve nte ammiratore e che proprio in Egitto perdette l'amato Antinoo, annega to nel Nilo in circostanze non chiare. Conviene comunque, a quest o punto, tornare per un momento indietro agli anni fra il 24 e il 20 a. C. quando Strabone, famoso storico e geografo dell'età augustea (di lu i ci è pervenuta soltanto l'opera geografica) si trovò ad Alessandr ia ed ebbe modo di visitare e poi descrivere la tomba di Alessandro. In quel momento Alessandria era una delle città più grandi e cosmo polite del Mediterraneo ed erano trascorsi soltanto pochi ann i dalla morte dell'ultima regina d'Egitto, Cleopatra Settima. 8° DA MENFI AD ALESSANDRIA Non sappiamo dove esattamente e per quanto tempo il corpo di Alessandro sia stato sepolto a Menfi, ma possiamo ritenere che vi sia rimasto per diversi anni, come abbiamo già detto. C'è chi pensa che la sua collocazione fosse nei pressi del Serapeo, ossia ne l santuario di Serapide, un dio di nuova invenzione il cui nome er a la crasi di Osiride-Apis (Serapis) in quanto nei suoi sotterranei erano sepolte, in giganteschi sarcofagi di pietra, le mummie dei tor i Api venerati come incarnazione di Osiride. Alla nuova personificazion e del dio fu dato anche un aspetto certo più accettabile per i greci: cioè quello di un dio dal volto solenne e maestoso con folta barba e baffi e florida chioma, molto simile a Zeus. Solo il copricapo a fo rma di cesto (kjàlathos) gli conferiva un'allure orientalizzant e ed esotica Qui furono rinvenuti i frammenti di una decina di stat ue di filosofi greci:

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per questo si pensò alla sepoltura di Alessandro, ma si tratta di una eventualità non dimostrabile. Questa dimora trans itoria delle spoglie di Alessandro potrebbe essere dovuta all'incertezz a di dove stabilire la capitale del nuovo Egitto tolemaico. Lo scontro co n Perdicca e la vittoria inattesa di Tolomeo avevano fatto del vin citore il vero padrone dell'Egitto, mala situazione richiedeva prudenza. In teoria i generali di Alessandro erano e restavano governatori delle province dello sterminato impero, formalmente sottomessi al pover o Filippo Terzo Arrideo infermo di mente, in attesa che il piccolo Alessandro Quarto raggiungesse la maggiore età e succedesse a suo pa dre a tutti gli effetti. In realtà nessuno di loro lo credeva, nem meno quelli che erano sostenitori dell'unità dell'impero. Perdicca era m orto, ma se avesse vinto, unendosi a Cleopatra sarebbe divenuto membr o della famiglia reale e avrebbe quasi certamente mirato a diventare il s uccessore di Alessandro, ma quanti avrebbero accettato di sotto mettersi a lui? Tutti da anni erano abituati all'autorità e al carisma d i una sola persona: Alessandro. Nella migliore delle ipotesi poteva es serci chi pensava di essere l'unico in grado di mantenere l'unità dell' impero. Gli altri non aspettavano altro che l'immensa e debole compagine andasse in pezzi per spartirsene le spoglie. Tolomeo, forse il più reali sta fra i Successori, aveva già fatto la sua scelta anche se non la dich iarava. Il corpo di Alessandro in quella situazione così precaria aveva un peso e un valore enormi, per cui andava amministrato con estrema cau tela: ogni suo spostamento veniva ad assumere un significato, pote va suscitare inquietudini, sospetti, diffidenze e perfino reazio ni pericolose. Nulla si poteva dare per scontato: lo spirito del re era ancora presente, era lui la fonte di tutto, era per lui che ognuno dei S uccessori poteva aspirare a una eredità. Il ricordo dell'impresa imp ossibile e l'eco dell'epos erano ancora vivi e, benché la cosa possa sembrare incredibile, gli ex compagni di mille avventure, pu r combattendo gli uni contro gli altri aspramente, mantenevano spesso la memoria della passata e non ancora estinta amicizia. Nella battaglia sugl i Stretti Eumene cercò di recuperare il corpo di Cratero maciullato dagli zoccoli dei cavalli e di rianimarlo in virtù dell'antica amiciz ia e al primo vertice di Babilonia, quando i convenuti erano sull'orlo de lla rissa, lo stesso Eumene gettò sul trono vuoto di Alessandro il suo m antello e il suo scettro e si fece silenzio nella sala, come per mir acolo. Qualche anno dopo Tolomeo accolse con amicizia in Egitto Seleuco fuggiasco e anche durante le successive "guerre siriache" permase fra i due il ricordo dei vecchi tempi e un comportamento cavalleresco. Menf i era la capitale dell'Egitto antico, l'Egitto rurale che viveva con il respiro del suo grande fiume, ma Tolomeo guardava ad Alessandria, ancora in costruzione sul piano voluto da Alessandro e realizzato da Din ocrate sulla striscia di terra distesa fra la palude Mareotide e il Medi terraneo, schermata dall'isola di Faro su cui un giorno sarebbe sorta la gigantesca torre di segnalazione per i naviganti. Una città che guarda va a nord, a est e a ovest, al mondo dei traffici e delle esplorazioni, alle nuove tecnologie, ai nuovi giganteschi vascelli da carico e da guerra. Quella città avrebbe avuto un cuore prima o poi: il corpo del suo stesso Fondatore che l'avrebbe resa sacra, forte, invincib ile, ma anche accogliente, tentatrice, affascinante. Tolomeo dove va mantenersi in equilibrio fra mondo greco e mondo indigeno, doveva tener conto che lui e i suoi erano per il momento un piccolo gruppo ali eno rispetto alla grande nazione nilotica; doveva prima consolidare l a sua posizione, le sue relazioni con il clero e con la classe dirigent e, conquistarla, cooptarla e alla fine costruire la tomba per Alessa ndro e riportarlo nella sua città perché vi rimanesse per sempre. Tut to però in modo graduale. Le nostre fonti sono estremamente avare a questo proposito: alcune, come abbiamo visto, nemmeno conoscono il s oggiorno menfitico, altre ne sono informate ma non ci danno alcuna not izia sul trasferimento

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definitivo della salma. Altre sono in contraddizion e fra loro: Curzio Rufo nelle ultime righe della sua operai afferma ch e dopo pochi anni il corpo fu trasferito ad Alessandria e quindi -dobbia mo presumere- durante il regno di Tolomeo Primo. Pausania invece afferma esplicitamente che fu il figlio Tolomeo Secondo Filadelfo (così detto per ché sposò la sorella Arsinoe) a trasportare ad Alessandria il corpo di A lessandro e a tumularlo nella sua tomba definitiva. Una risposta conclusiva non c'è e ci sono ottime ragioni sia per optare a favore di Tolomeo 1° che a favore di suo figlio Tolomeo Filadelfo. La cosa co munque più importante è che alla fine sicuramente il corpo di Alessandro fu sepolto nella sua tomba monumentale ad Alessandria dove rimase per d iversi secoli. La gradualità con cui fu realizzato questo ultimo col locamento della salma dipese quindi dal tempo necessario a completare l' opera urbana e a conferire alla città una dignità che almeno potess e avvicinarsi a quella del Fondatore, cosicché il trasferimento della sal ma consentisse l'identificazione della dinastia regnante con la f igura di Alessandro. A quel punto il ruolo della nuova città come capital e del paese sarebbe stato evidente nonostante la sua situazione eccent rica rispetto al resto del territorio. L'operazione fu condotta magistral mente e in tempo tutto sommato molto limitato. Una volta stabilita questa identificazione, i Tolomei procedettero per tappe prima a deificare A lessandro e a tributargli onori divini, poi a divinizzare anche se stessi. L'iconografia divenne fondamentale e molto caratte rizzante. Sui monumenti egizi i nuovi sovrani si fecero rapprese ntare in tutto e per tutto come faraoni, mentre sulle monete destinate alla circolazione "internazionale" si fecero rappresentare come grec i con fisionomie realistiche e con il capo cinto da un semplice dia dema (nastro). Questi attributi vennero assunti e manifestati solo dopo che Cassandro, figlio di Antipatro, ebbe assassinato la madre di Alessand ro Olimpiade nel 316 a.C. e poi nel 310-9 prima Roxane e poi il piccolo Alessandro Quarto. Poco dopo diede ordine a uno dei suoi generali di a vvelenare Alessandro Eracle, il figlio di Alessandro e Barsine. A quel p unto, estinta l'intera famiglia reale, la strada era spianata per i Successori: prima Tolomeo e poi tutti gli altri si proclamarono re de lle rispettive satrapie. È ora fondamentale capire la struttura d ella città di Alessandria se vogliamo tentare di comprendere la collocazione della tomba che per tanti secoli è stata cercata da scie nziati, sognatori e avventurieri. Alessandro la fondò mentre si recava a Siwa nel 332-331 a.C. e probabilmente non la rivide mai più. Racco nta Vitruvio che mentre si trovava accampato nei pressi del mare gl i si presentò un tale con una pelle di leone sulle spalle e disse di chi amarsi Dinocrate e di essere un architetto. Aveva da proporre ad Alessan dro un progetto: una statua gigantesca scolpita nella rupe del Monte At hos, che lo rappresentava in atto di versare in mare una libag ione da una tazza riempita da una sorgente a tale scopo incanalata, che poi avrebbe originato una cascata. Nell'altra mano egli avrebbe tenuto una nuova città che avrebbe portato il suo nome. Alessandro rispose che la cosa gli sembrava eccessiva e che si sarebbe accontenta to di un progetto più semplice. Si tolse la clamide macedone, un mantell o a forma di trapezio, e la distese per terra a indicare la forma della c ittà distesa lungo il mare. Quello avrebbe dovuto essere lo schema urban istico della nuova città, la prima a chiamarsi con il suo nome. Dino crate obbedì di buon grado e disegnò la città come gliel'aveva richiest a il committente. Si verificò però un inconveniente increscioso. Avendo esaurito il gesso per tracciare la pianta della città, gli operai utiliz zarono della farina, ma gli uccelli scesero in frotta e la mangiarono t utta. Alessandro preoccupato del presagio consultò gli indovini che diedero un responso incoraggiante: il presagio era che la città sarebb e diventata ricchissima e avrebbe attirato visitatori e mercant i da tutto il mondo. Vero o falso, l'aneddoto ebbe una grande fortuna ne ll'antichità e

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comunque la città sorse rapidamente sulla striscia di terra fra la palude Mareotide e un vasto golfo delimitato a nord da un'isola stretta e lunga, l'isola di Faro. Aveva una pianta di tipo i ppodamico e cioè una griglia di strade perpendicolari con andamento est- ovest, nord-sud che s'intersecavano con incroci ad angolo retto. Gli as si principali erano dei veri e propri boulevard e si calcola che l'asse più importante, la via Canopica, con andamento est-ovest fosse largo t renta metri. Il circuito delle mura era di circa quindici chilometr i per cui la città era fra le più grandi del Mediterran eo se calcoliamo l'impianto urbano in sé. Già al tempo di Tolomeo 1° si cominciò a costruire l’Eptastadion, un molo lungo più di un c hilometro che collegava la terraferma all'isola di Faro portando anche un acquedotto e dividendo il golfo in due porti: il porto grande a est e l’Eunostos ("porto del buon ritorno") a ovest. L'ingresso del porto grande era piuttosto stretto, fra il promontorio Lochias su c ui sorgeva il complesso dei palazzi reali e la punta orientale d ell'isola di Faro. Qui fu innalzata la torre di segnalazione marittima ch e prese il nome dall'isola e che ha dato il suo nome alle torri da cui risplende la luce per i naviganti nel mondo fino a oggi: il Faro. Er a alta centotrentacinque metri su tre piani: il primo a fo rma di parallelepipedo rastremato in alto, il secondo a fo rma di prisma esagonale, il terzo cilindrico. Sulla cima una stat ua reggeva uno specchio parabolico in grado di riflettere il fuoco del braciere a quasi cinquanta chilometri di distanza. All'interno c'era una rampa elicoidale che consentiva agli asini carichi di legna di raggi ungere la sommità e poi di scendere. Il Faro era una specie di grattaci elo dall'aspetto spettacolare e fu annoverato fra le sette meravigli e del mondo. All'interno dell'insediamento urbano c'erano una qu antità di giardini, parchi con uccelli esotici e fontane, e spesso vi c ompariva l'immagine gloriosa di Alessandro, quella canonizzata dal suo scultore personale, Lisippo. Più grande del naturale, con il collo legg ermente piegato, gli occhi grandi e profondi, i capelli mossi e il ciuff o alto sulla fronte e scriminato in due, la mitica anastolé. Sul promonto rio Lochias, che si estendeva dirimpetto alla punta orientale di Faro, sorse il quartiere reale con i palazzi dei sovrani, poi con il passare del tempo, ma forse già durante il regno di Tolomeo 1°, fu costruita la Grande Biblioteca e accanto il Museo, il primo istituto di ricerca scie ntifica pura di cui si abbia conoscenza nel mondo antico. La Biblioteca, t uttora uno dei grandi miti culturali dell'Occidente, rappresentò il sogno di raccogliere in un unico luogo tutto lo scibile umano e raggiunse il n umero per quei tempi inverosimile di settecentomila volumi fra cui la st essa Bibbia tradotta in greco dai "Settanta", Alessandria incarnava lo s pirito stesso del suo Fondatore: iperbolica, turbolenta, audace, sognatri ce, ma anche colta, ordinata, razionale; la città nasceva per attirare talenti da ogni parte del mondo perché si presentava come il luogo in cui tutto era possibile, in cui ogni sogno poteva diventare realtà. Qui la p resenza di Alessandro non era quella di una mummia incartapecorita, ma di uno spirito forte, vibrante, ispiratore. Il suo sepolcro si ergeva a p oca distanza dal più frequentato incrocio della città, dai quartieri più eleganti e pulsanti di vita, dai luoghi dove si progettava il futuro de l mondo e dove se ne custodiva la memoria. L'incredibile progresso della nuova metropoli mediterranea è ben percepibile nella pagina di Diod oro: Egli (Tolomeo) decise per il momento di non mandarlo ad Amon ma di seppellirlo nella città che era stata fondata da Alessandro stesso e che mancava poco non fosse la più rinomata del mondo abitato. Alessandria non era priva di problemi: la sua posiz ione era molto eccentrica rispetto al resto del paese, alle spall e aveva solo il deserto, l'ingresso al porto grande, piuttosto ang usto, nei giorni di vento poteva essere rischioso, le comunicazioni co n il resto dell'Egitto

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non facili, tanto che si progettò subito un canale che collegasse la palude Mareotide al braccio occidentale del Nilo. Inoltre era priva di acqua potabile che veniva fornita dal Nilo. Per qu esto nel corso dei secoli furono scavate decine e decine di cisterne, strutture sotterranee colonnate e voltate comunicanti l'una con l'altra, dove l'acqua torbida del canale poteva decantare più volte fino a diven tare più o meno limpida. L'oscurità impediva il proliferare di alg he. Il Bellum Alexandrinum, che descrive la situazione al tempo d ell'occupazione di Cesare (47 a.C.), dice che le cisterne erano numero sissime, ma che l'acqua veramente potabile vi rimaneva scarsa tanto che Cesare stesso fece scavare diversi pozzi risolvendo parzialmente il problema. In una situazione non molto diversa la visitò Strabone las ciandoci una descrizione della tomba di Alessandro che rappresen ta il punto di riferimento più affidabile per la sua localizzazion e. L'aspetto moderno di Alessandria è notevolmente mutato a causa del t umultuoso sviluppo edilizio degli ultimi cinquant'anni, ma prima, qua ndo era molto più ridotta di dimensioni, lasciava meglio intuire la sua configurazione originaria. L'Eptastadion, a causa delle sedimentaz ioni marine, si è trasformato in un istmo che forma un tutt'uno con l'isola di Faro; il porto orientale ha assunto una forma quasi circolar e e ha un imbocco più largo che in passato per il fatto che parte del Loc hias è andato sommerso. Del Faro non rimane oggi quasi nulla ma s i sa che restò in funzione fino al 1300 quando fu distrutto da due su ccessivi terremoti (1303-1323). Tolomeo 1° l'aveva fatto costruire per segnalare le secche e i bassifondi sparsi poco lontano dall'ingresso d el porto ed è probabile che, qualora sia vera la testimonianza di Flavio Giuseppe che parla di una gittata di una cinquantina di chilomet ri, gli scienziati alessandrini avessero fatto uso di specchi paraboli ci. Il Faro mandava segnali anche di giorno con l'uso di grandi specchi concavi lucidati. Nel luogo in cui si ergeva la grandiosa torre sorge ora il forte Qaitbey dal nome di Ashraf Qaitbey che lo fece costruire fr a il 1477 e il 1480. Recenti esplorazioni subacquee hanno individuato su l fondo tutto attorno al forte una quantità di elementi architettonici e di statuaria antica risalenti all'epoca tolemaica che molto probabilmen te dovevano appartenere al Faro o al porticato che lo circondav a. Per la maggior parte sono stati recuperati e restaurati, mala rice rca prosegue anche nell'area del promontorio Lochias dove sorgevano i palazzi reali. 9° LE FONTI ANTICHE È arrivata fino a noi la tomba di Ciro il Grande, a ncora integra sull'altopiano di Pasargade, combinazione fra una z iggurat mesopotamica e una tenda nomade; è arrivata quella di Augusto, b enché spogliata e ridotta a una nuda mole cariata, è giunta quella di Adriano, di Tamerlano, del Cid Campeador, di Maometto il Conqui statore, quella intatta del faraone Tutankhamon e quella di Antioco I, piccolo re di Commagene, alta su un monte di duemila metri, vigil ata da quattordici giganti di pietra e tuttora inviolata, a parte i gu asti perpetrati dagli archeologi; pare impossibile che quella di Alessand ro si sia dileguata nel nulla. Eppure la tomba del più grande uomo del mondo antico è di fatto perduta e la documentazione che la riguarda s i riduce in tutto a pochissime righe. Oltre a ciò nessuna delle fonti a noi pervenute la descrive in modo esauriente, come se si trattasse d i un oggetto di scarso interesse, specie se consideriamo l'abbondan za di particolari con cui è stato descritto il carro funebre dell'eroe da Ieronimo di Cardia, che leggiamo in trasparenza dietro le pagine di Dio doro. Per ironia della sorte, le misere testimonianze che ci restano sono vaghe e contraddittorie a parte quella di Strabone che ha v eduto il monumento e

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ne ha parlato con un minimo di cognizione di causa. Ma anche qui ci si sente quasi beffati leggendo da una parte la descri zione del sito e della baia di Alessandria talmente precisa, estesa e dettagliata da reggere il confronto con una qualsiasi relazione te cnica moderna, e dall'altra le poche, avare parole, dedicate al maus oleo di Alessandro. È quasi certo che descrizioni più ricche e particol areggiate esistessero o, addirittura, che il progetto architettonico foss e conservato negli archivi reali o negli scaffali della Grande Bibliot eca. Fatto sta che dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo e sopratt utto evitare la tentazione di colmare i vuoti con l'immaginazione. Più di un commentatore pensa a una costruzione grandiosa, stupefacente, ma ciò contrasta in modo stridente con l'avarizia descrittiva delle fon ti e con l'assenza pressoché totale, in una civiltà del meraviglioso, di una memoria adeguata. L'epoca che seguì fu proprio quella dei p rodigi e delle meraviglie: la più grande biblioteca del mondo, la più grande nave mai costruita, la statua più alta mai fusa nel bronzo, la torre d'assedio semovente, l'organo idraulico, gli specchi ustori, le gru basculanti, la macchina a vapore di Erone e la colomba volante, la stessa torre di Faro sorta proprio ad Alessandria, in uso ancora nel 13° secolo, e l’Eptastadion, sempre ad Alessandria, lungo più di un chilometro, con due varchi per la navigazione interna scavalcati da due ponti e da un acquedotto. Perché il monumento funebre del Fondato re di quell'epoca straordinaria fu tale da non impressionare l'immagi nario collettivo se non per il fatto di essersi perduto nel nulla? Ma torniamo alle nostre fonti, le stesse da cui tutti i commentatori cerca no di ricavare le informazioni possibili: alcune le abbiamo già cita te, altre le citeremo ora e le porremo a confronto per vedere che cosa c i dicono e che cosa ci tacciono e quanto di verità sono ancora in grado d i trasmetterci e come sono state interpretate. Conviene ovviamente parti re innanzitutto da Strabone, da noi in parte già citato, che si recò ad Alessandria fra il 24 e 1120 a.C. e vi soggiornò a lungo: ... E il corpo di Alessandro fu portato via da Tolo meo e sepolto ad Alessandria dove ancora oggi giace, non comunque ne llo stesso sarcofago di allora perché quello di oggi è va~,ívr~ (yaline) mentre quello in cui lui lo pose era d'oro. Se ne impadronì infatti Tolo meo (Undicesimo) quello chiamato Kokkes o anche Pareisactos ("illegi ttimo") che arrivò dalla Siria e fu subito cacciato via cosicché non e bbe alcun profitto dal suo furto. Annota giustamente il Warmington ne l suo commento all'edizione Loeb che quel "subito" deve essere ri ferito alla sostituzione del sarcofago e non alla salita al tr ono perché Tolomeo Undicesimo regnò a lungo, dall'80 al 58 a.C. Nella stessa edizione la traduzione di H.L. Jones rende yaline con glass, " vetro", riportando però in nota: or, possibly, alabaster ("o, forse, alabastro"). Una versione -la seconda- che ci sentiamo di preferire perché una fusione di vetro di quelle dimensioni avrebbe presentato prob lemi tecnici insormontabili a quell'epoca pur tecnicamente avan zatissima. Dunque il sarcofago doveva essere di alabastro o al massimo di cristallo di rocca. Quanto al sarcofago in cui Tolomeo 1° lo pose, era d'oro e non c'è motivo per dubitare che fosse quello stesso in cui il corpo di Alessandro era giunto da Babilonia. Questo ha fatto pensare ad alcuni che il carro funebre sia arrivato prima a Menfi e poi addirittura ad Alessandria, anche se di quella che dovette essere una cerimonia memorabile non rimane alcuna traccia in nessuna fo nte pervenuta. Ora è pur vero che il silenzio delle fonti giunte fino a noi non implica di per sé che un evento non si sia verificato, ma può essere significativo se si associa ad altri elementi indiziali. Strabo ne, nella sua bellissima descrizione di Alessandria, poche righe prima dice: ... e la città contiene splendide aree pubbliche e anche i palazzi reali che occupano un quarto o forse addirittura un terzo de ll'intera estensione

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urbana perché ognuno dei re per amore di splendore ha voluto aggiungere altri ornamenti ai pubblici monumenti e anche ha v oluto dedicarsi a proprie spese a costruire una residenza in aggiunt a a quelle già esistenti... tutte comunque sono collegate l'una a ll'altra e anche con il porto. Anche il Museo è parte dei palazzi reali ... anche il Sema, come viene chiamato, è una parte dei palazzi reali ed è il recinto in cui c'erano le tombe dei re e quella di Alessandro . Dunque Strabone ci dice che Alessandro fu sepolto d a Tolomeo 1° ad Alessandria dove ancora oggi giace. E già qui v'è chi ha posto un problema: quel "dove" (opou) significa esattamente "nello stesso luogo" o semplicemente ad Alessandria? Ossia è possibile che Alessandro fosse stato sepolto dappri ma in un luogo differente della città? Non pochi studiosi lo soste ngono e alcuni danno questo fatto per acquisito Strabone, che non ne fa menzione, lo avrebbe dato per sottinteso in quanto sarebbe stata una cos a risaputa, ma il fatto risulterebbe evidente sulla base della testim onianza di Zenobio, vissuto nel Secondo secolo d.C. Scrive costui: Aven do Tolomeo Filopatore posto sotto custodia la madre Berenice nel palazzo e avendola affidata a Sosibio da sorvegliare, quella non sopportando la punizione bevve (l'infuso di) un'erba mortale e avendo bevuto il ve leno morì. Sconvolto dagli incubi, costruì in mezzo alla città il rnemor iale che ancora oggi è chiamato Sema e vi depose, assieme a lei, tutti gli antenati e anche Alessandro il Macedone, e a lei costruì un tempio sulla riva del mare che chiamavano di Berenice Salvatrice. Questo pass o è interpretato abitualmente come risolutivo: Tolomeo Quarto Filop atore, alla fine del Terzo secolo, decise di seppellire la madre, morta suicida per colpa sua, in una nuova area monumentale in cui depose t utti i suoi antenati e Alessandro di Macedonia. Questo implicherebbe che Alessandro prima si trovava altrove, molto probabilmente in una zona c entrale della città che avrebbe preso il suo nome. Secondo questa ipot esi si sarebbe trattato di una costruzione gigantesca, forse ispi rata addirittura al Mausoleo di Alicarnasso oppure non troppo dissimil e dalla pira di Efestione che forse avrebbe dovuto servire da mode llo per il monumento funebre che non venne mai eretto. Di questa costru zione si sarebbe persa ogni traccia nel volgere di meno di cento anni e a nche la memoria. Una interpretazione delle fonti così elaborata è riusc ita a convincere anche studiosi di grande spessore scientifico che accett ano l'idea che Alessandro abbia avuto due tombe nella sua città. Tutto ciò anche grazie alla confusione che genera la comparsa nei testi a ntichi di due nomi spesso letti come intercambiabili: soma (corpo) e serra (segno, monumento). A complicare ulteriormente le cose uno dei nomi nelle edizioni critiche può apparire nel testo e l'altro in nota a piè di pagina come lettura alternativa, cosicché può acca dere che uno studioso accetti l'una piuttosto che l'altra versione a sec onda che sia più o meno funzionale alla propria teoria. Sembra comun que difficile credere che un monumento (la supposta prima tomba di Aless andro) che doveva essere grandioso e imponente, e in una posizione c entrale dove poteva essere visto da tutti, sia stato completamente dim enticato in un tempo tanto breve. E comunque l'ipotesi contraddice l'id ea che Strabone non ne faccia parola perché pensa che tutti lo sappiano. In realtà si sa che la tomba dell'ecista, ossia del fondatore, era spesso in un'area pubblica della città (di solito l'agorà), in quanto oggetto di venerazione da parte dei discendenti dei coloni; è il caso di Cir ene e di Poseidonia, per esempio, ma per Tolomeo la tomba di Alessandro doveva avere un significato ideologico profondamente diverso: Ales sandria non era la fondazione di un gruppo di coloni in cerca di fort una, ma il centro di un impero il cui sovrano (Tolomeo 1°) doveva stabi lire un concetto di legittimità dinastica collegando la propria famigl ia al sovrano che

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ufficialmente era stato dichiarato dall'oracolo di Amon come suo figlio, ossia come faraone d'Egitto. Per questo la sua tom ba doveva prima di tutto essere collegata al centro del potere, all'a rea del palazzo. Strabone, come aveva fatto notare Achille Adriani, ha sentito il dovere di ricordare che il sarcofago in cui era deposto A lessandro al tempo della sua visita ad Alessandria non era quello ori ginale in oro massiccio, ma quello di alabastro con cui l'aveva sostituito Tolomeo Undicesimo. Come avrebbe potuto Strabone passare s otto silenzio il cambiamento tanto più importante, quello dell'inte ro sepolcro? L'archeologo italiano attivo ad Alessandria negli a nni Trenta ritiene che Alessandro sia sempre rimasto inumato in quella che in seguito fu la necropoli reale e che Tolomeo 4° Filopatore, meno d i cento anni dopo, in occasione della morte drammatica della madre Bereni ce Secondo ristrutturò. E questo collima perfettamente con l'a neddoto riportato da Svetonio circa la visita di Ottaviano al sepolcro d i Alessandro. Il rifiuto di visitare anche le tombe dei Tolomei rive la tutto il suo disprezzo per la dinastia per lui corrotta e decad ente che aveva avuto come ultima rappresentante l'odiata Cleopatra. Qui Adriani cita poi due passaggi della Pharsalia di Lucano, cui già abbiam o fatto riferimento. Ciò che colpisce nel suo poema è l'accanito dispre zzo che ostenta per Alessandro rappresentato come un predone sanguinar io e fortunato cui quegli stessi persiani (parti) che avevano massacr ato i legionari di Crasso a Carre obbedivano invece docilmente e gli si prostravano davanti. Abbiamo già fatto presente il sorprendent e silenzio del Bellum Alexandrinum sulla tomba di Alessandro, ma a Lucan o non è sfuggita l'occasione di evocare l'incontro fra i due grandi conquistatori rappresentando Giulio Cesare che scende, impazient e, nella camera sepolcrale del grande sovrano scavata sotto terra: Effossum tumulis cupide descendit in antrum. In precedenza aveva ri cordato ancora la tomba di Alessandro: ... Mentre custodisci presso d i te in una grotta consacrata il Macedone, e le ceneri dei re riposano sotto un monte artificiale. Sono due brevi passaggi ma degni di a ttenta considerazione. Chugg prende in esame la possibilità che Lucano av rebbe potuto durante il suo viaggio ad Atene tornare via Alessandria e visitare la tomba di Alessandro, cosa che sembra poco probabile proprio per il profondo disprezzo che il poeta ostenta per la figura del co nquistatore macedone. Più probabile che abbia attinto all'esperienza dell o zio, il filosofo Seneca, che aveva soggiornato in Egitto e aveva scr itto un'opera, per noi perduta, sui santuari del paese del Nilo. Dai particolari che ricorda, l'effossum antrum, cioè la camera scavata sotto terra, e l’extructus mons, ossia il monte artificiale, non a bbiamo dubbi nell'identificare la più classica delle tombe maced oni a camera, sormontata da un tumulo come quella di Filippo Seco ndo che già abbiamo descritto. E sulla base di quanto abbiamo visto nel lo scavo di Manolis Andronikos, possiamo a ragione immaginare che all'i nterno vi fosse la kline funeraria per il banchetto eterno del re. Er a questo il "modo macedone" che probabilmente si era praticato anche a Menfi, dove lo stesso Lucano ricorda un culto ad Alessandro: summ us Alexander regum quem Memphis adorat, "il più grande dei re, Alessa ndro, che Menfi adora". V'è chi pensa che l'espressione di Lucano extructus mons significhi semplicemente la mole architettonica ch e sovrastava la camera funeraria. Ma è qui che sta il problema. Le tombe a tumulo sono antichissime e sono diffuse dall'Europa fino alla Cina attraverso i Kurgan delle steppe. Sono state in uso presso gli etruschi, i lidi, i frigi i traci, i macedoni, i celti, gli sciti, i mo ngoli, i cinesi e una quantità di altre popolazioni. Sostanzialmente rapp resentano la monumentalizzazione del semplice tumulo che resta sul terreno dopo che si è interrata una salma, come a indicare che la c ollina artificiale che appare alla vista sovrasta il corpo di un gigante, di un uomo superiore, di un sovrano o di un semidio. Se dunque le parole di Diodoro dicono che

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Alessandro fu dapprima sepolto a Menfi secondo la maniera macedone e se lo scavo di Verghina ci dimostra esplicitamente di che cosa si sta parlando, se la descrizione di Lucano ci conferma in pieno un sepolcro costituito da una tomba a camera sotto scavata ris petto al piano di campagna e sormontata da un tumulo, come si spiega una interruzione della continuità rituale e ideologica fra la prima e la terza tomba? Perché Tolomeo 4° già molto permeato dalla civiltà egizia avrebbe abbandonato una tipologia di architettura grandios a e monumentale come quella del Mausoleo di Alicarnasso per tornare a un a più modesta tomba a tumulo? Non sappiamo forse che gli altri Tolomei f urono sepolti sotto "piramidi e mausolei"? Perché mai solo alla tomba di Alessandro sarebbe stata riservata la tipologia più arcaica? E in tono minore per giunta rispetto al primo mausoleo alessandrino? Non è più facile pensare che le tombe dei primi Tolomei e quella di Berenice Second o siano state raggruppate attorno a quella del Fondatore all'inte rno del recinto che veniva così a creare una sorta di parco memoriale p er i primi sovrani della dinastia? Ma c'è un'espressione nei preceden ti versi di Lucano che va spiegata, là dove ricorda le ceneri dei re che riposano sotto la mole di un monte artificiale. A cosa si riferisce quel plurale? Se riteniamo con Adriani che Tolomeo Filopatore abbia ristruttu rato la necropoli reale, si può pensare che nella tomba di Alessandr o trovassero posto anche i primi fra i Tolomei (anche nella tomba di Filippo a Verghina c'è una seconda camera con un'altra urna cineraria), me ntre gli altri sarebbero stati collocati nelle "piramidi e mausol ei" nel resto della necropoli, piramidi che possiamo immaginare simili alla piramide Cestia a Roma. Nel configurare l'aspetto della tomba di A lessandro Adriani si spinge oltre pensando che il mausoleo di Augusto a Roma potrebbe in qualche modo esservi stato ispirato: una struttura interna in muratura in cui avrebbe trovato posto l'imperatore con i su oi famigliari (il primo a esservi sepolto fu il nipote Marcello) sor montata da un grande tumulo. Il mausoleo di Augusto, che ebbe un'evoluz ione ancora più monumentale in quello di Adriano (oggi Castel Sant' Angelo), secondo alcuni studiosi si ispira anche alla tipologia dei tumuli etruschi su tamburo di pietra che possiamo vedere a Cerveteri o a Populonia. Si potrebbe ancora retrocedere nel tempo fino alla tom ba di Lavinium che gli antichi credevano l’heroon di Enea e che fu sca vata negli anni Ottanta da Sommella e Guaitoli non lontano da Prati ca di Mare. Si trattava in realtà della tomba a cassone sotto un t umulo, di un capo indigeno dell'età del ferro monumentalizzata in seg uito tra il Quarto e il Terzo secolo a.C. Il fatto che il mausoleo di Augusto fosse preceduto da due obelischi è segno comunque chiaro della grande moda egittizzante, sia a livello monumentale che a livel lo religioso e culturale, che pervase Roma dopo l'annessione dell' Egitto come provincia romana. In realtà la domanda degli alessandrini ad Augusto se volesse vedere anche le tombe dei Tolomei non avrebbe molto senso se già si fossero almeno in parte trovate nella stessa tomba di Alessandro e a questo punto ha forse più senso pensare come fa il Chugg a un problema testuale e leggere regem anziché regum. A Verghin a la tomba di Filippo passò inosservata per secoli proprio per il suo as petto esterno poco appariscente. Mutatis mutandis qualcosa di simile potrebbe essere successo anche a ciò che rimaneva della tomba di A lessandro, quando si trovò ad attraversare un lungo periodo di abbandon o. Se accettiamo l'ipotesi che il serra menzionato da Strabone fosse il recinto architettonico entro il quale sorgevano il tumulo d i Alessandro e i monumenti funebri dei Tolomei, ci si deve porre il problema di dove collocarlo. E qui tutti gli studiosi si rifanno all a testimonianza di un autore, Achille Tazio, vissuto all'età dell'imperat ore Adriano, che scrisse un romanzo intitolato Le avventure di Leuci ppe e Clitofonte, una storia d'amore ambientata ad Alessandria. Abbiamo q uindi uno sfondo scenografico per l’avventura del protagonista che e ntrato dalla Porta

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del Sole, ossia dalla porta orientale della via Can opica, imbocca il grande boulevard longitudinale a doppio senso di ci rcolazione che attraversava la città da una parte all'altra. Il pr otagonista parla in prima persona e racconta di essersi trovato, dopo a ver percorso pochi stadi, nel luogo che prende il nome da Alessandro, in mezzo ai colonnati. Anche qui, come vediamo, gli elementi di identificazione sono estremamente scarni, ma tuttavia preziosi nel panor ama generale della nostra documentazione. Si ritiene comunemente che "il luogo che prende il nome da Alessandro" dovesse essere quello della sua tomba, che non doveva quindi essere lontano dal grande incrocio f ra la via Canopica e la traversa principale comunemente denominato R1 d ai topografi dell'antica Alessandria. Ciò non esclude che non e sistesse anche un santuario dedicato al culto di Alessandro che però si sarebbe trovato in un altro luogo, forse nell'agorà o in una vasta ar ea pubblica. La tomba di Alessandro è di nuovo menzionata da Dione Cassio quando descrive il ritorno ad Alessandria di Settimio Severo dopo la sua campagna vittoriosa contro i parti: (Settimio Severo) indagò su tutto, incluso tutto ciò che era accuratamente nascosto. Era infat ti il tipo di persona che non trascura di investigare su qualunque cosa sia umana che divina. Di conseguenza fece rimuovere da quasi tutti i san tuari tutti i libri che poté trovare che contenessero qualunque storia segreta e sigillò la tomba di Alessandro. Questo perché nessuno in futu ro potesse né vedere il corpo di Alessandro o leggere ciò che c'era scr itto nei libri di cui si è detto. Si tratta di una notizia assai enigmatica, e non me no enigmatiche sono le espressioni dell'autore che ci trasmette la noti zia. C'è chi collega le due azioni dell'imperatore in una sola, per cui il brano che abbiamo citato andrebbe inteso nel senso che i libri confis cati sarebbero stati rinchiusi nella tomba di Alessandro? Siccome un sim ile atto sembra privo di significato è possibile che si sia trattato di d ue provvedimenti separati. Che cosa significhi qui "sigillare" è di fficile a dirsi: forse il dromos venne bloccato e l'accesso ostruito o fo rse la porta di accesso venne semplicemente sbarrata con chiaviste lli. Forse l'imperatore romano si rese conto che la custodia del recinto delle tombe reali non era efficiente e pensò che potesse essere violata o vide una situazione di abbandono. Forse la grande diffu sione di ogni sorta di superstizioni in una città dove convivevano non se nza problemi molte religioni ed etnie diverse poteva ritorcersi contr o la mummia di Alessandro che avrebbe potuto essere danneggiata d al prelievo di amuleti e reliquie. L'imperatore, così sensibile alle memo rie del passato da volere con sé nella spedizione contro i parti, ere di dei persiani, gli ultimi discendenti degli Uguali di Sparta (sia pur e come mossa propagandistica), fece quello che poteva per prote ggere un simbolo che per cinque secoli aveva tenuto in vita un concetto unico e straordinario di civiltà. 10° ECLISSI DI UN MITO Non è chiaro se i sigilli di Settimio Severo furono rispettati quando, quattro anni dopo la sua morte, intervenuta nel 211 a York in Britannia, suo figlio Caracalla, fanatico ammiratore e grottes co imitatore di Alessandro, visitò prima il Serapeo, principale san tuario di Alessandria dove fece offrire sontuosi sacrifici, poi la sua to mba e su di essa posò il suo manto di porpora, i suoi anelli con pietre p reziose, le sue cinture in segno di omaggio. Anche nella pagina di Erodiano che narra l’evento abbiamo, ancora una volta, un termine vago , "tomba" (ià~os), per cui possiamo pensare sia che Caracalla abbia fo rzato i sigilli per

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entrare nella camera sepolcrale, sia che abbia posa to i suoi doni all'esterno su un altare per le offerte. Dato il su o fanatismo è più probabile la prima ipotesi. Da questo momento in p oi non sappiamo più nulla della tomba di Alessandro il Grande se non p er una notizia in negativo che ricaviamo da una omelia di San Giovan ni Crisostomo che datiamo verso la fine del Quarto secolo d.C., anni in cui ebbe l'incarico di predicare nella cattedrale di Antioc hia, sede importantissima perché prima cattedra di Pietro se condo la tradizione apostolica. Dov'è, dimmi, la tomba (sema) di Alessandro? Mostra mela, e dimmi in che giorno morì! La citazione compare ovviamente in tutti gli studi sulla tomba di Alessandro ed è quella che, se ci si passa la taut ologia, mette la pietra tombale sulla vicenda del corpo del fondato re di una delle più grandi civiltà del nostro mondo. Che cosa possiamo dedurre da queste poche ma tanto significative parole? Innanzitutto il fatto che il termine sema è definitivamente consolidato con il s ignificato di mausoleo, o di complesso funerario come abbiamo vi sto dalle precedenti considerazioni. E poi il fatto che verso la fine d el Quarto secolo nessuno sapeva più dove fosse la tomba stessa di A lessandro o anche, non volendo prendere la frase di Crisostomo alla lette ra, che pochi lo sapevano e se ne curavano. Giovanni Crisostomo in siste con un'altra domanda: qualcuno sa in che giorno morì? Certo lui lo sapeva e lo ricordava benissimo, male sue parole recano qui un duplice messaggio: il primo è che la gloria umana è effimera, chi è stato venerato come un dio è poi del tutto dimenticato. Il secondo che questo oblio completo è il segno del trionfo della nuova fede che ha oscurato e cancellato i valori e i simboli del mondo pagano. Che cosa era success o alla tomba di Alessandro? Sappiamo che l'intera area dei palazzi reali aveva subito, anche dopo la visita di Caracalla, danni gravissim i in varie circostanze. Caracalla aveva creato una enclave fo rtificata chiamata Bruchion e circondata da mura possenti che include va anche il Bema. Durante l'assedio di Aureliano e la riconquista di Alessandria occupata dalla regina Zenobia e poi dal ribelle Firmo il Br uchion aveva subito seri danni: dopo molti anni, sotto l'impero di Aur eliano, allorché degenerarono le lotte civili in conflitti mortali e vennero distrutte le mura, perdette la maggior parte del distretto chia mato Bruchion che per lungo tempo fu residenza di personaggi illustri, i l Museo era stato quasi completamente distrutto e forse anche la gra nde Biblioteca e un certo numero di edifici e di monumenti. In teoria nessuno fra i contendenti aveva interesse a danneggiare la tomba di Alessandro ma in situazioni di grande confusione può succedere di t utto e il fatto che la nostra fonte non ne parli non significa né che il monumento fosse illeso né che esistesse ancora. Altri gravi danni la cit tà subì durante l'assedio di Diocleziano e la violenta persecuzion e anticristiana nel 297. Ci avviciniamo ormai all'età di Costantino e q uindi al lungo processo che vide il cristianesimo diventare in po co più di mezzo secolo da religione perseguitata a religione di stato con tutto ciò che questo comportò. Dapprima l'imperatore fece convocare il concilio di Nicea per stabilire con il Credo il principio dell'ortodossi a e in seguito la persecuzione sia dei pagani che degli eretici. Per far in modo che la nuova religione si radicasse solidamente, Costanti no volle ancorarla a dei luoghi fisici che divenissero punto di attrazi one per la pietà popolare e per i culti canonici. Incoraggiò quindi , per così dire, il patriarca di Gerusalemme Macario a dedicarsi alla ricerca del sepolcro di Cristo, prontamente portato alla luce, e all'er ezione di una serie di basiliche nei luoghi identificati come teatro dell e più famose manifestazioni del potere divino del Cristo.

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Saunders propone una sua brillante intuizione, e cioè che il vescovo Osio di Cordova gli avesse dato un preciso suggerim ento in tal senso dopo essere passato da Alessandria e aver visto qua nto importante era per i pagani la tomba con il corpo di Alessandro. Ciò ovviamente implicherebbe che la tomba esistesse ancora, del ch e non siamo affatto sicuri, ma è un dato di fatto che sia Costantino si a i membri più autorevoli del clero si resero conto che una religi one del tutto spirituale avrebbe stentato a conquistare le masse. Fu quindi trovato il sepolcro di Cristo, l'unico, come abbiamo detto nel primo capitolo di questo libro, che nei secoli a venire e fino ai nos tri giorni abbia avuto una importanza e un impatto sulla nostra cult ura superiore a quello di Alessandro. Il motivo lo conosciamo bene: la superiorità del sepolcro di Cristo consiste nel fatto che era vuoto . L'esistenza di un piano preciso in questo senso è provata dal success ivo, rapido rinvenimento da parte dell'imperatrice madre Elena della croce di Gesù, e in seguito dall'introduzione dei luoghi santi nel la topografia ufficiale dell'impero. La Tabula Peutingeriana, l'u nica mappa in nostro possesso risalente a un originale romano di probabi le età adrianea, reca la traccia degli interventi di completamento di Qua rto secolo con l'aggiunta della basilica di San Pietro a Roma, del monte degli Ulivi e del monte Sinai. Abbiamo ancora notizia da Ammiano Marcellino di un grande cataclisma che investì Alessandria nel 365. La descrizione è impressionante e coincide perfettamente con quanto accadde con lo tsunami nel 2004 a Sumatra. Dapprima il mare si ri tirò e molti si avvicinarono incuriositi alla spiaggia, poi si sca tenò un maremoto. Un'onda anomala gigantesca devastò le zone costier e, rase al suolo interi quartieri di Alessandria e scaraventò le im barcazioni sui tetti delle case. Una nave di grosso tonnellaggio fu tro vata a diversi stadi di distanza nell'entroterra. Una simile catastrof e dovette anche interessare il serra che non era molto distante da l mare, ma non sappiamo quali fossero le condizioni della necropo li reale una volta che il mare si fu ritirato né quali fossero le condizi oni della mummia e del sepolcro di Alessandro che era sotto, scavato risp etto al piano di campagna. È da pensare che il tutto sia stato rido tto in stato di totale degrado e che il tumulo sia stato in parte spianato , il che non significa necessariamente che se ne sia subito perduta la me moria. In ogni caso non v'è dubbio che l'affermazione finale del cristi anesimo sia stata determinante per il suo abbandono se non addirittur a per la sua distruzione definitiva. Gli dèi e gli eroi possono esistere soltanto finché gli uomini vi credono. Con l'editto di Tessa lonica promulgato da Graziano e Teodosio nel 380 d.C. il cattolicesimo d ivenne religione ufficiale dell'impero e credo obbligatorio per tutt i. I pagani vennero chiamati dementes atque vesanos, "pazzi e dementi", e venne loro proibito di offrire sacrifici agli dèi. In seguito un altro editto del 391 estese le proibizioni anche ad Alessandria che godeva di speciali esenzioni. A quel punto il vescovo della città, Teo filo si ritenne autorizzato ad abbattere i santuari antichi e guidò la distruzione del Serapeo iniziando lui stesso la demolizione della s tatua colossale di Serapide. Poi fu la volta della biblioteca del tem pio, una specie di succursale della Grande Biblioteca che andò comple tamente perduta. Come si è detto prima, non sappiamo quali fossero le co ndizioni della tomba di Alessandro né se il furore dello zelo cristiano abbia distrutto ciò che di essa era rimasto.Sappiamo che vi furono a v arie riprese atti di vandalismo nei confronti delle sedi della civiltà " pagana" e vi furono gravissime violenze contro i suoi esponenti cultura li, come l'uccisione di Ipazia nei primi anni del Quinto secolo a opera di un gruppo di monaci e di fanatici facinorosi cristiani guidati da un ta le Pietro detto il Lettore. Ipazia, accusata di impedire la riconcilia zione fra il prefetto Oreste e il vescovo Cirillo era in realtà odiosa pe rché scienziato, filosofo e donna bellissima e perché teneva scuola , allevava un gruppo

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di solidi intellettuali che avrebbero a loro volta trasmesso i valori di una civiltà ritenuta manifestazione dell'Errore. Fu strappata dal suo carro, denudata e trascinata nel Cesareo, il tempio che Cleopatra aveva dedicato al culto di Cesare, ora chiesa cristiana, e massacrata. Il suo corpo fu scarnificato con cocci acuminati di vasi, gli ostraka (secondo alcuni quando era ancora viva) e poi bruciato. La cosa più verosimile è che tali violenze e atti vandalici abbiano coinvol to in varie e diverse situazioni anche l'area delle tombe reali qualora ancora esistessero. Quel luogo era pieno di simboli, di immagini, di me morie di una civiltà ritenuta corrotta e simbolo del dominio del Malign o. V'erano sepolti i re cui era stato tributato un culto divino che era di per sé una bestemmia e v'era la tomba di Alessandro. La poten za simbolica e semantica che per molti secoli era stata l'inespug nabile presidio di quel monumento ne era ora l'estrema debolezza. C'è solo una fonte che sembra alimentare l'ipotesi di una sopravvivenza d ella tomba di Alessandro: un passo di Libanio. Questo straordinar io intellettuale che visse dal 314 al 394 d.C., audace voce critica e d i dissenso, fu amico e consigliere dell'imperatore Giuliano, noto con il nome di Apostata, e poi maestro di retorica ad Antiochia dove contò fr a i suoi allievi alcuni dei personaggi di più alta statura intellett uale e morale del suo secolo: due padri della Chiesa, Basilio di Cesarea e Giovanni Crisostomo, e il grande storico Ammiano Marcellino. In una delle sue orazioni inveisce contro la corruzione dei pubblic i funzionari che avendo mano libera contro i templi e i santuari pa gani ne approfittano per accumulare enormi ricchezze, e questo accade d ovunque: E questa peste ... è universalmente diffusa: a Palto o ad A lessandria dove è esposto il corpo di Alessandro o a Balanae o nella nostra stessa Antiochia. Come dire nelle grandi metropoli come n ei piccoli centri. Ed eccoci di nuovo a fronteggiare un enigma: che cosa significano quelle parole? Che il sepolcro del conquistatore macedone aveva resistito alle devastazioni degli uomini e della natura, ai terrem oti e maremoti, alle incursioni e ai saccheggi, alle guerre e il suo cor po poteva ancora essere visto alla fine del Quarto secolo? Non sapre mo mai se questa frase deve essere presa alla lettera o è solo una forma d i epiteto della città di Alessandria o se Libanio si esprime in questo mo do perché non ha notizie da molto tempo. Eppure la fonte della cata strofe del 365 era Ammiano Marcellino, un suo discepolo... alla fine b isogna ammettere che il caso ha selezionato per noi la sopravvivenza di fonti così esigue e isolate che la loro interpretazione è straordinaria mente ardua. Sarebbe bello pensare che i sigilli di Settimio Severo foss ero stati tali da proteggere il sonno dell'eroe o che qualche sacerdo te ne avesse nascosto il corpo per difenderlo dalla profanazione proprio come avvenne agli antichi faraoni portati via dalle loro tombe in seg reto e nascosti nelle grotte di Deir el Bahri, ma gli scenari più probabi li sono assai meno suggestivi. Il corpo di Alessandro fu distrutto in un modo o nell'altro, la sua tomba spogliata e forse anche smembrata nell e sue componenti architettoniche per essere riusata in qualche altro modo. Giovanni Crisostomo poté così chiedere dal suo pulpito di An tiochia: «Dov'è Alessandro?». Una domanda che a distanza di tanti s ecoli continuiamo a porci. 11° DU EL KARNAYN La fine del mondo antico è simboleggiata da eventi passati quasi sotto silenzio ma di enorme portata. Fu una fine violent a imposta per decreto. Certo i cristiani non avevano dimenticato le persec uzioni, le torture, le morti atroci cui erano stati condannati i martir i di Cristo e aspettavano il loro momento. All'inizio, con Costa ntino avevano goduto

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della libertà di culto a lungo negata, ma quando r aggiunsero finalmente le leve del potere e la conseguente impunità ai tem pi di Teodosio si comportarono di conseguenza. Come abbiamo già dett o, il 16 giugno del 391 d.C. ad Alessandria il vescovo Teofilo distrus se il Serapeo, il più grande santuario della città. Nel 392 con un altro decreto e sulla base di un principio coercitivo ammesso anche da Agosti no venne comminata la pena di morte a chiunque fosse sorpreso a offrire sacrifici agli dèi. Nel 393 fu posta fine per ordine dell'imperatore T eodosio e forse per ispirazione di Ambrogio ai Giochi Olimpici. I gran diosi santuari dell'Altis vennero devastati, le statue abbattute o sfigurate. A Roma venne spento il fuoco sacro che ardeva nel santuar io di Vesta da più di mille anni, il collegio delle Vergini Vestali venn e disciolto. Il tempio oracolare di Delfi, il più sacro e venerando di tu tto il mondo antico, venne chiuso. Il suo immenso patrimonio di conosce nze che serbava memorie risalenti fino al Miceneo andò quasi certam ente disperso. Pochi decenni prima aveva dato all'imperatore Giuliano l 'ultimo vaticinio con cui profetizzava la propria stessa fine. Invano a Roma Simmaco supplicò l'imperatore di non rimuovere dal senato l'altare e la statua della Vittoria, simbolo della gloria di Roma Ambrogio fu irremovibile e l'imperatore fece eseguire l'ordine. Di quel monum ento non rimane oggi che il basamento all'interno della Curia Giulia. N on mancarono i linciaggi e le esecuzioni sommarie come quella, atr oce, che abbiamo già ricordato, di una persona nobilissima e innocente come Ipazia di Alessandria, denudata, trascinata a pugni e calci per le vie della città e infine massacrata e scarnificata all'interno del Cesareo ora trasformato in cattedrale cristiana della città e i n mattatoio. Quale può essere stata in un simile clima la sorte della tomba di Alessandro? Le parole già citate di Giovanni Crisostomo inducon o a pensare che non se ne sapesse più nulla, ma è pur sempre il punto d i vista di un vescovo cristiano. Ciò che colpisce è che l'ombra del sovra no macedone continuò ad aleggiare sulla città che portava il suo nome, anche durante il periodo dell'occupazione islamica, a partire dal 6 42 d.C. Il motivo, secondo gli studiosi, sta nel fatto che Alessandro era citato nel Corano (se è giusta l'identificazione) quasi come un prof eta con il nome Du el Karnayn, "Il signore dalle due corna". In realtà i l personaggio del Corano, citato in una delle sure più venerate del libro, la Diciottesimo, non era necessariamente Alessandro-Is kander e anzi la sua identità originaria rimane abbastanza misteriosa. L 'identificazione prese piede sia da immagini che lo raffiguravano coronato da una luna crescente e forse anche dall'immagine molto frequente e diffu sa sulle monete che lo ritraeva con le corna di ariete simbolo di Amon o a nche con lo scalpo di elefante con le zanne rivolte verso l'alto a ricord are le sue campagne indiane? D'altra parte anche la Bibbia lo ricorda a ll'inizio del libro dei Maccabei con parole solenni e impressionanti. E stupisce anche la descrizione che i cronisti sia cristiani che arabi fanno di Alessandria come di una città delle meraviglie con centinaia di palazzi e teatri, colonnati di marmo, bagni, nonostante i terribili d anni subiti da invasioni, guerre, catastrofi naturali, lotte intes tine. D'altra parte il destino di Roma e anche di Bisanzio-Costantinopo li-Istanbul non fu molto dissimile. Le grandi città che continuano a v i vere attraverso i secoli e i millenni continuano anche a riciclarsi. I materiali dei monumenti antichi vengono reimpiegati in forme spes so non meno impressionanti degli originali smantellati. Le chie se e le basiliche cristiane avevano sostituito o trasformato i templi degli dèi, poi il paesaggio era di nuovo cambiato con moschee e minar eti che svettavano sulla città che si andava però sempre riducendo di dimensioni con il passare del tempo. La nuova capitale era diventata il Cairo, il commercio (soprattutto esportazione di grano) con l 'impero bizantino che le aveva garantito una certa prosperità ora languiv a e l'area urbana si riduceva mano a mano entro una nuova e più ristrett a cinta di mura fatta

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costruire dal sultano Ibn Tulun nel Nono secolo. L a città aveva perso gradualmente di importanza durante la sua lunga st oria pur con periodi di relativa prosperità e non aveva mai più raggiunt o le dimensioni e lo splendore della capitale dei Tolomei, anche se l'E gitto, con l'avvento al potere di Ibn Tulun, conobbe una certa ripresa essendosi liberato dal pesante tributo al califfato abbaside. Con il peri odo di stabilità e di pace che venne a determinarsi anche la cultura ebb e modo di svilupparsi e le memorie del passato greco-romano ripresero vig ore. Fraser cita una lista delle moschee di Alessandria opera di Abdul Hakim da cui risulta esistere una moschea di Du el Qarnayn nei pressi d ella porta della città. Una notizia ripresa verso la metà del secol o successivo da Al Massoudi. Proprio questo scrittore ci sorprende co n un racconto che sembra la contaminazione della testimonianza di St rabone da noi più volte citata su Tolomeo Undicesimo. Secondo lo scrittore arabo Alessandro morente avreb be chiesto a Tolomeo di inviare il suo corpo alla madre che stava ad Ale ssandria. Costei, quando ebbe visto il sarcofago d'oro, lo fece sosti tuire con uno di marmo per timore che il prezioso sepolcro attirasse la cupidigia di predoni e invasori e il corpo fosse di conseguenza profanato. Fece poi deporre il sarcofago su un basamento di blocchi di marmo che al suo tempo, cioè nel 954 d.C., era ancora visibile e ven iva chiamato "la tomba di Alessandro". Alessandro è ormai inglobato nella cultura musulmana come un natii, ossia un profeta o comunq ue un grande uomo che può stare a petto degli altri grandi profeti del L ibro, Gesù incluso. D'altra parte ad Alessandria erano ancora presenti delle vivaci comunità ebraiche e greche, anche se l'élite bizantina avev a abbandonato la città con le sue proprietà quando si era avvicinato l'es ercito di Amr ibn al As nel settembre del 642 d.C. E c'erano i giacobit i, ossia cristiani copti che ancora oggi esistono in Egitto e sono co nsiderati sostanzialmente i discendenti della popolazione in digena del paese. La città aveva una tradizione plurisecolare di conviv enza non sempre pacifica fra diverse etnie e religioni, ma è comun que comprensibile una contaminazione-assimilazione di differenti tradizio ni culturali. Ciò che colpisce è la forza con cui il mito di Alessandro e della sua tomba sopravvissero a ogni tipo di rivolgimenti e di cala mità, mentre non è detto che la collocazione di questa moschea marcass e necessariamente il luogo della sua antica tomba. E questo non è l'uni co accenno. Un'altra notizia dell'esistenza della tomba di Alessandro a d Alessandria è riportata in un'opera scritta in italiano da un ar abo, un personaggio straordinario e pittoresco le cui fattezze sembra siano state ritratte da Sebastiano del Piombo: Della descrizione dell'A frica e delle cose notabili che quivi sono per Giovan Lioni Africano, pubblicato da Ramusio a Venezia nel 1550. Nato in Spagna, subito dopo la fine del califfato di Granada, migrò con i genitori in Marocco, poi viag giò con vari incarichi nell'Africa sahariana, poi nel Maghreb, in Arabia, finché non fu catturato da una nave spagnola e condotto in Itali a dove fu tenuto prigioniero a Castel Sant'Angelo. Come Giuseppe ne lle prigioni del faraone, il nostro avventuroso personaggio fece pe rvenire la fama della propria dottrina fino alla corte pontificia dove, saputo della sua grande esperienza il papa Leone Decimo lo volle co noscere e poi battezzare in San Pietro nel 1520 imponendogli il proprio stesso nome. In quest'opera Leone dichiara che in mezzo alla ci ttà di Alessandria fra altre rovine c'è una piccola casa con una cappella che contiene una tomba in cui sta sepolto Alessandro il Grande, pro feta e re. E che la tomba è visitata da una moltitudine di viaggiatori da ogni parte. Altri due viaggiatori, C. Marmol e G. Sandys, fra la metà del Sedicesimo e l'inizio del Diciassettesimo secolo ricordano la st essa cappella in cui sarebbe la tomba di Alessandro, forse sulla base s i direbbe di Leone Africano. Marmol ne parla subito dopo aver descrit to una chiesa di San

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Marco ma senza metterle in relazione una con l’alt ra. L'annotazione è comunque interessante perché San Marco è in qualch e modo l’ecista sostituto della città in quanto a lui si attribuiva la fondazione della Chiesa di Alessandria e se ne indicava la sepoltura nella sua basilica. Di là, nel corso del Nono secolo le sue spoglie sar ebbero state avventurosamente "traslate", come recita l'eufemis mo edificante, da due mercanti veneziani "sulla loro isola" nella basilic a che ancora porta il suo nome. La nuova fondazione, quella della rinasci ta nella fede e nel messaggio evangelico doveva sostituire quella del f ondatore fisico della città, il cui fantasma continuava però a ripresenta rsi di tanto in tanto fra i quartieri e i ruderi di Alessandria. La "tomba" di Abdul Hakim risultava nei pressi di u na Porta, quella di Leone nel mezzo della città fra le rovine, e pertan to non dovevano essere la stessa cosa. Evidentemente il tema della tomba perduta del grande sovrano e profeta affascinava ancora e diffo ndeva fra la gente dicerie di ogni genere. Una di esse sarebbe divenu ta particolarmente famosa perché riguardava un antico sarcofago egizi o di breccia verde coperto di geroglifici riciclato forse come vasca per le abluzioni all'interno della moschea Attarine che sorgeva sul sito dell'antica chiesa di Sant'Atanasio. Per qualche motivo che ig noriamo (a meno di non pensare al racconto di Al Massoudi che parlava di un sarcofago d'oro sostituito dalla regina Olimpiade con uno di marmo ), fra i musulmani che frequentavano la moschea si era diffusa la convinz ione che lo aveva attribuito al più famoso fra i personaggi della ci ttà: il suo fondatore. La storia dovette prendere piede tanto che altri vi sitatori la videro e la descrissero, anche se nessuno, a quello che cons ta, ne ha dato descrizione come di una vasca per le abluzioni. La notizia che nella moschea Attarine c'era la tomba di Alessandro si di ffuse anche in Occidente, cosicché molti cercarono di vederla susc itando anche la diffidenza delle autorità locali che finirono per p roibire l'ingresso ai non musulmani. Con l'avvento del secolo dei lumi l e notizie che riguardavano così importanti reperti del passato a ffascinavano le intelligenze, la semplice curiosità del viaggiator e per gli aspetti esotici e misteriosi diventava sempre di più qualc osa di simile alla curiosità scientifica. Quando l'inglese William Br owne vide e descrisse il sarcofago nel 1792, in Italia erano già cominci ati da quasi mezzo secolo, anche se in forma non scientifica e princi palmente allo scopo di recuperare oggetti preziosi, gli scavi di Pompei p er ordine del re di Napoli Carlo di Borbone. Di lì a sei anni con la c ampagna napoleonica dell'Egitto sarebbe nata l'Egittologia moderna e p oco più di vent'anni dopo Champollion avrebbe decifrato il geroglifico della stele di Rosetta. È quindi verosimile che i visitatori euro pei di Alessandria in quel periodo si rendessero perfettamente conto che ciò che si diceva sulla tomba di Alessandro e sulle sue possibili co llocazioni erano soltanto storie prive di fondamento. E la ragione principale di tutto ciò era che il mondo antico era morto con l'afferma zione definitiva del cristianesimo come religione di stato e poi con l’a vvento dell'Islam in Nord Africa, per cui ogni trasmissione diretta dell e tradizioni era di fatto impossibile e la memoria storica intesa come patrimonio culturale che spontaneamente passa di generazione in generazi one era da secoli estinta. Quanto al sarcofago di breccia verde dell a moschea di Attarine, si deve probabilmente riconoscere nella menzione c he ne fa uno studioso ed esploratore scozzese, Richard Pococke, che in un a sua relazione ricorda che i musulmani pensano di custodire il cor po di Alessandro Magno in una moschea di Alessandria 9 Se Pococke ri ferisce sostanzialmente delle dicerie, alcuni decenni più tardi altri studiosi prendono il discorso molto sul serio fino a ritener e che la moschea Attarine fosse in realtà il soma di Alessandro. Al tri ancora credettero di riconoscerlo nelle rovine del Serapeo, sulla ba se forse di una fonte

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copta che ricordava una grande colonna che reggeva la sua statua e che qualcuno pensava di riconoscere nella cosiddetta c olonna di Pompeo, in realtà innalzata da Diocleziano e ancora esistente . Secondo questa testimonianza Alessandro era seppellito in un sarc ofago che recava inciso il suo nome da cui si può forse pensare all a contaminazione di due versioni, quella del Serapeo e quella del sarc ofago di breccia della Attarine, che fu finalmente visto e studiato con l 'attenzione necessaria una volta che Napoleone fu sconfitto ed esiliato e gli inglesi prepararono il suo trasporto al British Museum dov e tuttora si trova. Della cosa venne incaricato Edward D. Clarke che si recò ad Alessandria poco dopo la sconfitta della flotta francese ad Abo ukir. Il racconto di Clarke esposto in un libro che pubblicò nel 1805 è affascinante. Appena arrivato fu accompagnato all'interno della moschea Attarine, detta anche moschea di Sant'Atanasio dalla prima consacrazione dell'edificio. Il minareto con la sua forma prima esagonale, poi qua drangolare e infine cilindrica sembrava riecheggiare il Faro; all'inte rno, in un angolo del vasto porticato moresco, sorgeva un piccolo santua rio quadrangolare dagli angoli smussati (per cui c'è chi lo consider a esagonale) sormontato da una cupola e con quattro aperture ad arco moresco su ciascuno dei quattro lati. Clarke venne subito avvicinato dai notabili locali che gli espressero tutto il loro entusiasmo nel poter servire gli ingl esi dopo la sconfitta di Napoleone e gli fecero presente che i francesi a vevano la tomba di Alessandro che prima stava all'interno del santuari o e chiesero se lui si stesse interessando a questa cosa. Clarke rispo se di sì, che anzi quello era proprio lo scopo del suo viaggio. A que l punto gli dissero che sapevano esattamente dove i francesi lo avevan o nascosto dopo averlo sottratto al santuario. Si trovava su una nave osp edale all'interno del bacino portuale. Clarke prese una barca e raggiuns e la nave: il sarcofago era là, pieno di sporcizia e coperto dag li stracci dei malati che stavano a bordo. Quando finalmente Clarke poté contemplarlo nella sua imponenza ne fu profondamente impressionato. N essuna meraviglia che potesse essere creduto quello di Alessandro: era s plendido, di breccia verde, pesante sette tonnellate, coperto di gerogl ifici, arrotondato dal lato della testa e purtroppo trapanato da dodici f ori nella parte inferiore. I suoi accompagnatori gli dissero che l a cosa era praticamente certa, che da molto tempo venivano in visita molti viaggiatori e pellegrini da ogni parte del vicino oriente, dall'Anatolia e finanche da Costantinopoli, per contemplare il s epolcro. Il sarcofago diventò proprietà inglese secondo una clausola del trattato franco-britannico del 1802; recuperato e restaurato fu inv iato al British Museum. Clarke pubblicò The Tomb of Alexander che riscosse molto interesse, dove identificava il complesso della mo schea come il soma e la cappella centrale con il sarcofago come il sepo lcro vero e proprio. Ora, mentre è stato giustamente osservato che la pi ccola casa in forma di cappella descritta da Leone Africano era la stes sa cosa del santuario che conteneva il sarcofago di breccia verde della m oschea Attarine, gli argomenti portati da Clarke non convinsero gli stud iosi perché si basavano prevalentemente sulle testimonianze e le a ffermazioni che l'autore raccolse sul luogo. In ogni caso il sarcof ago avrebbe riservato comunque una sorpresa e costituito un enigma quando , di lì a poco, la stele di Rosetta e la decifrazione del geroglifico avrebbe consentito di leggere il testo inciso sulle sue pareti. 12° IL FARAONE SCOMPARSO

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Nel 1822 Jean François Champollion pubblicò la deci frazione della scrittura geroglifica, impresa resa possibile dalla consapevolezza che il copto non era altro che la trascrizione greca de ll'antico demotico, che a sua volta era una forma semplificata della sc rittura ieratica (geroglifico), un paradigma che poté essere verifi cato appieno con la scoperta dell'iscrizione della stele di Rosetta (an ch'essa consegnata al British Museum) redatta in tre diversi linguaggi: i l geroglifico, il greco e il demotico. Nasceva così l'Egittologia sc ientifica, che in capo a pochi anni conobbe uno sviluppo straordinario gr azie anche al gran numero di specialisti e di studiosi che avevano seg uito Napoleone nella sua spedizione egiziana. Fu così possibile tradurr e il testo inciso sul sarcofago della moschea Attarine e scoprire che si trattava del sepolcro di Nectanebo Secondo, l’ultimo faraone indigeno de ll'Egitto, sconfitto dai persiani di Artaserse Terzo Ocho nel 343 a.C. e scomparso misteriosamente. Il suo nome era in qualche modo c ollegato alla saga di Alessandro tramite un mito elaborato e diffuso in area alessandrina e confluito nelle pagine dello Pseudo Callistene che narrava gli eventi miracolosi connessi alla nascita di Alessandro. Il faraone, come già abbiamo raccontato, sotto le mentite spoglie del d io Amon, si era congiunto alla regina Olimpiade che aveva concepit o il conquistatore del mondo. L'identificazione del sarcofago destò stupo re perché dalle fonti risultava che il faraone sconfitto era fuggito pri ma a Menfi, poi di là si era rifugiato nell'Alto Egitto e quindi in Nubi a dove se ne erano perse definitivamente le tracce. Lo stesso Fraser considerò il problema di interpretazione costituito da un sarcofago di q uell'importanza e di quelle dimensioni ad Alessandria e per giunta cost ruito per un faraone che, stando alle fonti, non vi era mai stato seppe llito e inoltre collegato al mito sia pure tardo, della nascita di Alessandro. Poteva essere forse stato utilizzato per seppellirvi lo s tesso Alessandro? La cosa era stata presa in considerazione dal Wace, i l quale pensava che Rakhotis, la città che preesisteva ad Alessandria e ne diventò in seguito il quartiere egiziano, fosse abbastanza im portante da ospitare la sepoltura di Nectanebo Secondo, e che quando il faraone si perdette nell'Alto Egitto e in Nubia avrebbe potuto essere utilizzato per la sepoltura di Alessandro, fatto dal quale derivereb be la tradizione collegata alla moschea Attarine. Fraser tuttavia r espinse sia l'una che l'altra possibilità: non c'erano ragioni per cui N ectanebo Secondo fosse sepolto a Ralchotis e men che meno un simile sarco fago avrebbe potuto essere usato per Alessandro. D'altra parte la gran diosità e bellezza del manufatto e le sue imponenti dimensioni proprio pe r le premesse stabilite da Fraser escludono anzitutto che si fos se sempre trovato dove lo vide Clarke e prima di lui anche altri viaggiat ori. Ciò, come è stato giustamente osservato, avrebbe comportato, prima d ella fondazione di Alessandria, addirittura l'esistenza di una necrop oli reale in un centro periferico come Rakhotis. Poiché questo era chiara mente impossibile il sarcofago di Nectanebo doveva essere stato portato appositamente ad Alessandria e con un trasferimento non di poco con to dato il peso esorbitante del manufatto. Ma per chi e da chi? C ome abbiamo già ricordato, Chugg non ritiene impossibile che in fi n dei conti il sarcofago, mai usato dal faraone per cui era stato costruito, sia stato impiegato in effetti per il corpo di Alessandro nel suo temporaneo soggiorno menfitico. La presenza nella zona del Ser apeo di statue greche e di due leoni scolpiti alla maniera greca (simboli di regalità) sembrerebbe confermare questa ipotesi, e il sarcofa go avrebbe potuto trovare posto in una camera laterale del santuario funebre di Nectanebo, scavato da Auguste-Edouard Mariette, il fondatore del Museo egizio del Cairo e del Servizio delle Antichità. Inoltre ques to accostamento avrebbe potuto ispirare la favola della paternità egizia di Alessandro. Si suppone quindi che successivamente il corpo di A lessandro, da Menfi dove era rimasto sepolto due o tre anni, sarebbe gi unto fino ad

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Alessandria dentro a una bara pesante sette tonnell ate la cui estrazione dal primitivo mausoleo sarebbe stata operazione dec isamente impegnativa. A parte la poca praticità di un simile trasporto, r esta il fatto che dovremmo dimenticare ciò che dice Strabone, e cioè che al tempo di Tolomeo Undicesimo Kokkes il corpo del sovrano mace done riposava ancora nello stesso sarcofago d'oro massiccio in cui aveva viaggiato da Babilonia, e che solo allora fu deposto in un più economico sarcofago di alabastro. Una cosa è certa: un trasporto così comp lesso non fu fatto per nulla e sicuramente fu utilizzato o per una sep oltura reale o per qualche altro scopo di non minore importanza. D'al tra parte il sarcofago di breccia verde era da tempo avulso dal suo conte sto originale quando fu recuperato da Clarke, quindi avrebbe potuto pro venire da luoghi e situazioni che possiamo solamente circoscrivere, c on una certa approssimazione, alla necropoli reale del Lochias. Il solo collegamento alla leggenda di Nectanebo e Olimpiade e a una dic eria locale di matrice islamica, vecchia al massimo di due o tre secoli, non è sufficiente per una attribuzione di tale importanza. Una prima pos sibilità è, a nostro avviso, che il sarcofago sia stato trasportato ad Alessandria per servire da sepoltura a qualche importante personag gio, ma difficilmente per un re che ne avrebbe perso in prestigio. Più p robabilmente per servire da ciò che in realtà era: un cenotafio in memoria dell'ultimo sovrano dinastico della terra del Nilo, dell'ultim o faraone che si era battuto con tutte le forze contro il nemico invaso re e meritava di essere ricordato. Portare il suo sepolcro ad Aless andria avrebbe potuto essere un altro modo per la nuova dinastia venuta da un paese lontano di legittimare il proprio potere e legare per sempre il proprio destino alla terra del Nilo. Con l'inizio dell'Egittologia e delle prime esplorazioni scientifiche si scatenò un'autentica caccia al tesoro in ogni angolo del paese. Pochi erano gli scienziati mentre pullulavano personaggi pittoreschi: predoni, sensitivi, appass ionati di magia, cacciatori di tombe e di tesori, che si muovevano in lungo e in largo su incarico dei musei europei e in seguito di quelli americani, e anche di singoli privati ansiosi di arricchire le proprie c ollezioni di antichità. Uomini come Giovanni Battista Belzoni, un gigante italiano che si esibiva nei circhi in prove di forza, giunt o in Egitto per vendere una pompa idraulica di sua invenzione al k hedivé del Cairo e divenuto invece il più grande esploratore di antic hità del suo tempo, eccitavano la fantasia popolare. Non c'erano regol e allora, non c'erano strutture pubbliche di protezione del patrimonio ar cheologico e ognuno poteva fare più o meno ciò che voleva. Nei primi an ni dell'Ottocento Lord Elgin era riuscito a smontare l'intero fregio di sc uola fidiaca della cella del Partenone con la processione delle panate nee e a portarlo a Londra. Si cercò addirittura di smantellare l’Eret teo per rimontarlo sempre nella capitale inglese, e per poco non subì la stessa sorte il bassorilievo dei leoni sulla porta nord di Micene. L'imperialismo europeo poteva permettersi quasi tutto, e infatti interi monumenti furono smontati e trasportati a migliaia di chilom etri di distanza per essere esposti nei musei: basti pensare all'Altare di Pergamo e alla Porta di Ishtar di Babilonia rimontata oggi al Per gamon Museum di Berlino, ai fregi e ai rilievi frontonali del temp io di Atena Aphaia di Egina ora al Museo di Monaco di Baviera. Perpetrar ono dei furti e degli arbitrii inconcepibili ai nostri giorni, ma in mol ti casi salvarono la memoria di momenti irripetibili della nostra civil tà che sarebbero altrimenti andati perduti. Gran parte di questa p assione si rivolgeva all'Egitto faraonico per cui Alessandria rimase in un certo senso più nell'ombra, ma non il mito del suo fondatore. L'in teresse per la sua tomba si concentrò a quel punto sulla moschea di N abi Daniel distante dalla Attarine cinque o seicento metri in linea d' aria e in direzione sud-est e posta sul lato ovest dell'altura di Kom el Demas (poi Kom el Dick): "la collina dei corpi" o "delle sepolture", un toponimo

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indubbiamente suggestivo . Nabi Daniel significa " profeta Daniele" e pertanto viene spontaneo collegarlo con il noto pe rsonaggio biblico che visse con il suo popolo in Mesopotamia durante l'e silio babilonese seguito alla distruzione di Gerusalemme da parte d i Nabucodonosor nel 587 a.C. In realtà le imprese attribuite dalla tra dizione al personaggio sepolto nella moschea in una sorta di camera ipoge a sono tali che non può corrispondere al profeta dell'esilio d'Israele . Le vicende del supposto Nabi Daniel ci sono pervenute tramite il racconto di due astronomi arabi del Nono secolo d.C., al Farghani e Abu Mashar. Secondo loro Nabi Daniel aveva conquistato l'Asia e fondat o Alessandria, il che lo farebbe indubbiamente coincidere con Alessandro , tanto più che il racconto ha a che fare con la sua sepoltura e semb ra un'altra contaminazione del passo di Strabone su Tolomeo Un dicesimo. Nabi Daniel, come Alessandro, sarebbe stato sepolto in un sarco fago d'oro che poi gli ebrei avrebbero sostituito con uno di pietra usand o il metallo per fare delle monete. Anche Ventesimo usò il sarcofago per coniare monete d'oro con cui pagare i mercenari e se si eccettua il particolare degli e brei, tradizionale bersaglio della xenofobia in Alessandria, in qualun que epoca il racconto sembra coincidere molto bene con quello di Strabone , come peraltro il racconto di Al Massoudi che già abbiamo citato. Ovv iamente non si può pensare che una semplice tradizione orale si sia p erpetuata per tanti secoli e l'unicità della notizia di Strabone esclud e che vi siano di mezzo altre fonti a noi note. Non resta che ritener e con Saunders che durante il Medioevo Strabone sia stato conosciuto in Oriente molto prima che in Occidente, dove poté essere letto solo nel Rinascimento insieme ad altri importanti testi della classicità greca. Non sono molti in effetti gli elementi che legano la moschea di Nabi Daniel ad Alessandro, a parte la posizione vagamente nel centro della ci ttà e il ricordo di una preesistente "chiesa di Alessandro"; vista l'i mpossibilità assoluta per il profeta Daniele di essere mai stato ad Ales sandria, che ai suoi tempi non esisteva, sembrerebbe più probabile che si sia trattato di un sant'uomo di questo nome proveniente da Mosul, che fondò una scuola coranica in quel luogo dove poi sarebbe stato sepp ellito e dove è ancora visibile il suo sarcofago coperto da un panno verd e. È stato anche messo in relazione il toponimo di Kom el Demas ("c ollina dei corpi") con il soma (corpo) di Alessandro, ma anche qui la con nessione è troppo debole e vaga. Di fatto l'equivoco potrebbe essere nato da quanto attestava Leone Africano che ricordava i molti pel legrini che si recavano sulla tomba del grande conquistatore che sorgeva nei pressi della chiesa di San Marco. Le interpretazioni ottoc entesche di questa testimonianza tenevano quindi conto della presenza di una chiesa copta di San Marco a pochissima distanza da Kom el Dick e dalla moschea di Nabi Daniel. Per confermare l'identificazione del sito, che peraltro anche topograficamente non coincide con l'antico g rande incrocio fra la via Canopica e la R1 e con la figura di Alessandro , si è inventato di tutto, persino che sia il profeta Daniele sia il s ovrano macedone fossero ambedue morti ad Alessandria. Eppure, nono stante la confusione degli indizi, la vaghezza dei collegamenti, l'impr ecisione topografica l'ipotesi radicò al punto da convincere studiosi se ri e reputati a considerare Nabi Daniel come il luogo della tomba d i Alessandro ancora nel Ventesimo secolo. Fra essi l'archeologo italian o Annibale Evaristo Breccia, direttore del Museo greco-romano di Alessa ndria d'Egitto dal 1904 e accademico dei Lincei, e l'ingegnere e topog rafo egiziano Mahmoud Bey el Falaki, autore per conto dell'imperatore Na poleone Terzo di una mappa dell'antica Alessandria che godette di grand e considerazione. A maggior ragione si può immaginare quanto si siano f atti suggestionare gli ingenui da ciarlatani e avventurieri. Famoso l' episodio di Ambrose Schilizzi, dragomanno del consolato russo di Alessa ndria che pare

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facesse la guida ai visitatori della città nel suo tempo libero. La parola dragomanno viene dal turco targiuman che sig nifica "interprete" e con essa si indicavano le persone che prestavano se rvizio nelle ambasciate straniere facendo da tramite con le auto rità locali in virtù della loro conoscenza della lingua araba. Ora ques to Schilizzi (o Skilitzi) intorno al 1850 dichiarò a certi visitato ri europei di essere sceso nei sotterranei della moschea di Nabi Daniel e di essersi trovato a un certo momento davanti a una porta tarlata e d i aver sbirciato nell'interno. Ciò che aveva visto lo aveva lettera lmente paralizzato per la meraviglia: davanti a lui stava il corpo di un uomo assiso in trono dentro a una teca di cristallo. Portava un diadema sul capo e tutto attorno era pieno di rotoli di papiro. Schilizzi a vrebbe voluto condurre a termine la sua esplorazione, ma ne venne impedit o dai religiosi che custodivano la moschea. Un racconto molto meno bis lacco di quanto non sembri: Chugg ha giustamente fatto osservare che l 'uomo era decisamente colto e la sua visione si basava sulla contaminazi one di Strabone (la teca di cristallo -yaline), di Svetonio (la corona posta da Augusto sul capo della mummia di Alessandro) e di Dione Cassio per l'episodio di Settimio Severo che rinchiuse (se così si vuole in terpretarlo) tutti i libri proibiti e di magia dentro la tomba di Aless andro. Va dato atto al dragomanno di aver voluto almeno vendere una sto ria culturalmente accettabile e quasi credibile per chi avesse letto le fonti. In realtà la moschea era troppo a sud e troppo a ovest per po tersi candidare come punto di riferimento per il soma di Alessandro. Ma i miti sono duri a morire, e benché questo fosse al massimo di origine medievale-rinascimentale per molti anni ancora vi furono avve nturieri ma anche uomini di scienza e fior di accademici che si miser o alla ricerca della tomba perduta fra Nabi Daniel e Kom el Dick. Perfin o il grande Schliemann, lo scopritore della civiltà micenea e d ella rocca di Ilio, sbarcò nel porto grande nel 1889 con il preciso int ento di trovare la tomba di Alessandro. Purtroppo i primi saggi furono deludenti: il piccone di Schliemann intercettò solo resti di età romana e siccome le pratiche per le concessioni di scavo di altri siti andavano per le lunghe piantò tutto e se ne andò. L'anno dopo sarebbe morto a Nap oli colto da un malore mentre camminava per le vie della città pensando ai suoi prossimi scavi. I successi clamorosi a cui si era abituato o forse il presagio di una fine imminente dovevano averlo reso impaziente e og ni intoppo doveva sembrargli una perdita di tempo insopportabile. Qu elli furono anni irripetibili per Alessandria. Al tempo dello sbarco di Napoleone la città era ridotta a un villaggio di pescatori di ci nque-seimila abitanti, quasi tutti raggruppati sull'istmo che si era creat o con i sedimenti che avevano inglobato l’Eptastadion. Il resto della ci ttà si sarebbe potuto scavare senza problemi essendo in stato di quasi t otale abbandono; in particolare la zona del promontorio Lochias e dei palazzi appare quasi del tutto sgombra nella mappa napoleonica del 1798 . In realtà qualcosa si fece, ma in scala ridotta e senza risultati par ticolarmente eclatanti. Non mancarono invece nei decenni succes sivi le polemiche fra gli archeologi e particolarmente fra i topografi: nel 1895 David George Hogarth ed Edward Frederick Benson della Scuola ar cheologica britannica di Atene stabilirono che la carta di Alessandria r edatta da Mahmoud Bey non era affidabile e contestarono la collocazione e il tracciato della via Canopica che invece venne confermato dai succe ssivi sondaggi di Freddrich Noack nella zona orientale dell'antica c ittà. Le cose sarebbero cambiate (ma solo fino a un certo segno) con la costituzione del Museo greco-romano della città in cui giocarono un ruolo importante gli archeologi italiani. Purtroppo a quel tempo sia mo ormai ai primi del Novecento la città era già cresciuta di quasi diec i volte rispetto alle sue dimensioni in epoca napoleonica. Molte informaz ioni e testimonianze fondamentali erano perdute per sempre.

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13° CACCIATORI DI TOMBE Schilizzi non fu certo il solo né l'ultimo ad affer mare di aver scoperto la tomba di Alessandro, anzi si può dire che i cerc atori di tombe si moltiplicarono senza sosta soprattutto nel secolo s uccessivo. Un altro famoso mistificatore fu un tale Joannides, greco di Alessandria, che dichiarò di aver scoperto nella necropoli di Shatby sia la tomba di Alessandro sia quella di Cleopatra, rispettivamente a una profondità di sedici e di dodici metri, e le aveva descritte: por te di bronzo con inciso in greco il nome di Alessandro, sarcofago co n piedi a zampa di leone, papiri (forse qui era influenzato dalla narr azione di Schilizzi?) e una quantità di preziosi. La notizia fu pubblica ta sui giornali, ma tutto finì in una bolla di sapone. Fra l'altro il luogo del presunto ritrovamento era completamente fuori dalla cerchia delle mura tolemaiche. Il fenomeno comunque è ben spiegabile: la presenza di Alessandro era di gran lunga l'elemento fantastico più potente nella città da molto tempo periferica e di importanza li mitata ed era tale da eccitare la fantasia della gente. Le dicerie, le f avole prese per verità, il gusto del narrare e dell'ascoltare, il sogno di mettere le mani su un favoloso tesoro o di divenire famosi pe r aver fatto la scoperta del secolo facevano il resto. Fino a poch i decenni fa non c'era villaggio si può dire in Europa dove non si raccon tassero storie di tesori sepolti, di passaggi segreti, di castelli i nfestati da fantasmi. La narrazione, la consolidata tradizione popolare conferivano poi al racconto un crisma di autenticità o quanto meno di probabilità. In un luogo così carico di memorie come Alessandria il f enomeno si moltiplicava a dismisura. Purtroppo il pullulare d i tanti cacciatori di tombe dilettanti finì per gettare discredito sull' oggetto stesso delle ricerche, un po' come accade adesso per certi feti cci misterico-archeologici come il Graal o il tesoro dei Templar i. Nondimeno anche uno studioso illustre come Annibale Evaristo Breccia, divenuto direttore del Museo greco-romano di Alessandria a soli ventotto a nni, si lasciò affascinare dalla tradizione) e ritenne che il som a di Alessandro si dovesse cercare sotto la moschea di Nabi Daniel. B reccia non era un ingenuo, tutt'altro: scavando a Ossirinco fu prota gonista di scoperte straordinarie come i frammenti dei papiri degli Ait ia di Callimaco, di Eschilo e delle famose Elleniche di Ossirinco, un' opera del cui autore ancora si ignora l'identità, ma che si rivelò impo rtante per capire alcuni momenti della storia greca. La collocazion e del soma di Alessandro sotto la moschea di Nabi Daniel aveva co munque alcuni elementi a favore. Si trovava nelle vicinanze di Kom el Dick , un tumulo che sorgeva al centro della città, già spianato al temp o di Adriani e che quindi poteva coincidere con l'indicazione di Zenob io (.. µ... t.p.e.), "in mezzo alla città"). Nei pressi doveva esserci u n'altra piccola altura, Kom el Demas ("la collina dei corpi"), il c ui nome faceva pensare che fosse luogo di sepolture e quindi indicativo de lla presenza del µ..µa, il "memoriale" in cui Tolomeo 4° Filopatore aveva riunito le sepolture di sua madre Berenice, dei suoi predecess ori e dello stesso Alessandro. Ma c'è la possibilità che i due tumuli Kom el Dick e Kom el Demas fossero in realtà uno solo o che se ne confo ndessero i nomi nelle antiche cronache con una certa facilità. Inoltre poneva in relazione il toponimo di Kom el Demas con il nome di un'antica chiesa chiamata Daymas dove si diceva fosse stato trovato un tesoro dell' epoca di Alessandro. Nelle vicinanze c'era la chiesa copta di San Marco che si faceva corrispondere a una più antica chiesa dell'Evangel ista, che il Marmol in qualche modo metteva in relazione con la tomba di Alessandro; a questo

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profeta Daniele si attribuivano nella tradizione i slamica azioni proprie di Alessandro-Du-el-Karnayn, come la conquista dell 'Asia e la fondazione della città. Il tumulo poi ricordava il monte arti ficiale di Lucano sul quale già ci siamo soffermati, e infine c'era una quantità di testimonianze "oculari" come quella di Ambrose Sch ilizzi e numerosi altri fra cui addirittura lo stesso Mahmoud Bey, c he sarebbe disceso nei sotterranei della Nabi Daniel e avrebbe visto dei corridoi che conducevano alla tomba di Alessandro. Anche a lui prima che a Schilizzi i custodi della moschea avrebbero proibito di cond urre a termine la sua ricerca. Tanto comunque era bastato a Breccia per affermare con sorprendente sicurezza che Kom el Dick era il luog o della sepoltura di Alessandro e che le strutture sotterranee della mo schea di Nabi Daniel corrispondevano a quelle delle tombe macedoni. Per quanto riguarda l'associazione della chiesa di San Marco con Kom el Dick o el Demas, A.M. Chugg ritiene invece che si f osse trattato di un abbaglio. La chiesa di San Marco non poteva essere nei pressi di Nabi Daniel o di Kom el Dick e Marmol doveva invece esse rsi riferito alla moschea Attarine che conservava il sarcofago di Ne ctanebo Secondo. In realtà la chiesa di San Marco di cui si parlava dov eva trovarsi più a est, vicino alla Porta di Rosetta, dove la collocav a la mappa cinquecentesca di Braun e Hogenberg di cui l'autor e dà una riproduzione da uno dei pezzi della sua straordinaria collezione privata. Subito dietro le mura si vede infatti la sagoma inconfondi bile di una chiesa cristiana con un campanile sul fianco destro che re ca la scritta: sub hoc lapide corpus sancti Marci inventum et Venetia est delatum, "sotto questa pietra è stato trovato il corpo di San Marco e portato a Venezia". Pare strano l'errore del nome Venetia in ablativo a nziché in accusativo, a meno che il segno dopo la "a" finale simile a due punti non si debba leggere come una "m". L'osservazione di Chugg, come vedremo, è foriera di una ipotesi tanto audace quanto stupefacente. D all'altra parte della cinta muraria riprodotta nella mappa si legge la s critta Porte du Caire, "Porta del Cairo", ossia Porta di Rosetta. Il mecc anismo intellettuale per cui qualunque nuova ipotesi tende a coagularsi attorno a una tradizione consolidata somiglia al principio della gravitazione per cui un corpo di massa sufficientemente grande tende ad attrarre tutti i corpi più piccoli che intersecano la sua orbita e distaccarsene diventa sempre più arduo. Adriani riporta inoltre una seri e di altre testimonianze che in una diversa situazione non avr ebbero avuto il minimo peso e che invece contribuirono a rafforzare l'ipotesi che la moschea di Nabi Daniel nascondesse la tomba di Ales sandro. Si diede importanza perfino all'osservazione di un operaio c he era stato incaricato di certi lavori di restauro nei sotterra nei della moschea, il quale aveva affermato che le gallerie sotterranee e rano di età antica e pagana. Una considerazione quanto mai vaga e di poc o senso. La tradizione sarebbe poi continuata con altri pittore schi personaggi praticamente fino ai nostri giorni, quando è ancora possibile calarsi nel sotterraneo della moschea e visitare parte delle ca vità che si dipartono dal mausoleo. Il più famoso di questi cacciatori d i tombe è senza dubbio Stelios Komoutsos, un cameriere dell'Elite café ba r di Alessandria che nel 1956 iniziò una instancabile e appassionata ri cerca della tomba di Alessandro e la continuò caparbiamente per quasi tu tta la vita, essa stessa un romanzo. Il suo convincimento si basava s u un libro che affermava di aver ereditato e che lui chiamava Il libro di Alessandro. Da questo libro egli dichiarava di essere in grado di identificare la tomba del sovrano macedone. La notizia dilagò sui g iornali ed ebbe una tale risonanza che le autorità furono costrette qua si a furor di popolo a concedergli un paio di volte permessi di sondaggi di scavo che finanziava con il suo lavoro e le mance che molti a vventori gli elargivano per simpatia e che mai approdarono ad a lcunché. Nel 1961

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Komoutsos incontrò finalmente nel suo caffè il prof essor Peter Fraser, il cui lavoro è tuttora la miglior base di partenza per chiunque voglia addentrarsi in un problema di topografia dell'antic a Alessandria, inclusa la ricerca del soma, e gli mostrò finalment e il suo tesoro, il suo Libro di Alessandro. Seduti a un tavolino erano testa a testa il luminare di Oxford e il cameriere, l'instancabile c ercatore della tomba, sorbendo una tazza di tè. Il grande studioso si as pettava di poter trattenere presso di sé il libro ed esaminarlo con la dovuta attenzione e per il tempo necessario, ma Komoutsos era molto geloso del suo tesoro e glielo lasciò appena sfogliare. Ci volle poco a Fraser per rendersi conto che il libro era una volgare e grossolana co ntraffazione, un'accozzaglia di elementi incongruenti ispirati a iscrizioni già note agli studiosi, forse addirittura false esse stesse , e a temi iconografici malamente imitati, e pubblicò un artic olo$ in sede scientifica per sgombrare il campo da ogni dubbio s ull'autenticità del supposto reperto. Si rese però anche conto che Komo utsos non era un imbroglione, ma piuttosto un ingenuo, e si sentì ma le a disilludere un uomo che inseguiva un sogno con tale totalizzante passione. Komoutsos comunque non si arrese e continuò inflessibile la s ua ricerca sia per vie legali che clandestine. Jean Yves Empereur, che ha consultato gli archivi della soprintendenza alessandrina, ha trova to nel fascicolo ufficiale delle sue richieste di autorizzazioni ben 322 documenti a partire dal 1956. La sua passione e la sua fede inc rollabile erano tali che in città divenne una specie di eroe popolare a prescindere dalla consistenza delle sue ipotesi e dai risultati otten uti dalle sue ricerche, spesso basate su poco più che dicerie che raccoglieva fra i frequentatori del caffè in cui lavorava. In due ca si identificò il sito della tomba in aree dove anticamente c'era il mare ; esempio unico, commenta sarcastico Empereur che ha fatto soprattu tto prospezioni sul fondo della baia, di tombe subacquee. Una volta ch e aveva circoscritto l'area della sua ricerca attorno alla chiesa copta di San Marco non lontano dalla moschea di Nabi Daniel di cui già ab biamo parlato, non potendo ottenere il permesso per fare un sondaggio s'introdusse nottetempo nel giardino del patriarcato e si mise a scavare al punto che il patriarca, allarmato da quell'attività notturna , dovette chiamare la polizia per scacciare l'intruso. In un racconto a lui attribuito si narrava di un tale Mohammed Aly el Toraby che da g iovane aveva imboccato un corridoio sotto la moschea di Nabi Daniel che c onduceva alla tomba di Alessandro e che, dopo aver vagato nel buio comple to alla ricerca della tomba, era rimasto a letto tre giorni per riprende rsi dalla paura. Era disposto a raccontare al direttore del Museo il pa ssaggio segreto. Komoutsos proseguì la sua ricerca per tutta la vita senza mai ottenere il minimo risultato: ma forse il suo scopo non era di ottenere risultati, il suo scopo era la caccia stessa, la possibilità d i coltivare l'illusione, forse addirittura la speranza che l'o mbra di Alessandro avrebbe finito per guidarlo sul luogo dove il suo corpo giaceva, dove forse nessuno avrebbe mai immaginato di cercarlo. Morì nel 1991 in povertà dopo aver tentato di vendere gli appunti s ulle sue ricerche in cambio di un piccolo vitalizio e una Mercedes. Str anamente neppure il suo nome sembra aver pace: Koumatsos per Saunders, Komoutsos per Chugg, Coumoutsos per Empereur, Kamoutsos per Adriani... Jean Yves Empereur, l'autore di uno dei più spettacolari salvataggi di reperti archeologici nella baia di Alessandria e nella zona del Faro, si è preso la briga, come abbiamo detto, di consultare gli archivi della Direzione delle Antichità scoprendo che vi erano state quindici ric hieste di scavo solo negli ultimi venticinque anni. Ha constatato che i fanatici di Alessandro erano un esercito fra cui figuravano operai, impieg ati, persino un'infermiera. Un tale riferiva la scoperta fatta d al suocero: una cavità che portava a un corridoio rivestito di marmo. Il l uogo era situato a un chilometro a est delle mura tolemaiche, ma evidente mente la cosa non

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aveva la minima importanza. Non bisogna stupirsi. Mentre nessuno si sognerebbe mai di fare per diletto il neurochirurgo nel tempo libero o l'avvocato penalista o l’anatomo-patologo, moltissi mi invece pensano di potersi improvvisare archeologi e tacciano di ottus ità chi, abituato al rigore di un metodo, non è così pronto ad abbraccia re la prima bislacca teoria che gli venga sottoposta, sia pure con entus iasmo. Fra il 1925 e il 1930 Breccia condusse una serie di sondaggi di s cavo nella moschea e nelle sue immediate vicinanze e la pubblicazione d elle sue campagne suscitò un enorme interesse nel mondo intero in qu anto lo studioso era serio e tutti sapevano che cosa stava cercando. Ne l 1931 fu costretto a lasciare il suo posto per motivi di salute e a int errompere le sue attività di scavo che peraltro si sarebbero rivelat e deludenti. Oggi siamo in grado di affermare che nessuno degli eleme nti architettonici che furono posti in luce ed esaminati nella zona de lla moschea di Nabi Daniel si possono far risalire a un periodo anterio re all'età romana e nulla è mai stato trovato che possa ricondurre alla città dei Tolomei che è a una profondità molto maggiore. Eppure un s arcofago di Alessandro era già stato trovato : non ad Alessandria ma in L ibano, nell'antica Sidone, una delle due più grandi città della Fenic ia, nel 1887 quando quella regione era ancora parte dell'impero ottoma no. Era stato un artista turco di nome Osman Hamdi, appassionato di antichità, a trovarlo insieme a una serie di altri stupefacenti sarcofag i miracolosamente intatti, alcuni in stile egittizzante altri invece scolpiti chiaramente secondo i canoni dell'arte greca del Quarto secolo . Alcuni portavano e portano tuttora chiarissime tracce dei colori orig inali. Fra questi il più spettacolare era quello che rappresentava in u na serie di altorilievi, quasi a tutto tondo, scene di battagl ia tra greci e persiani e di caccia al leone, nelle quali Alessand ro Magno, riconoscibilissimo per la foggia dell'elmo oltre ch e per le sue già canonizzate fattezze, è il protagonista assoluto su ognuna delle bande scolpite sui lati del sarcofago. Il sepolcro è di prezioso marmo pentelico, lo stesso di cui è fatto il Partenone, ha la forma di un'arca e il coperchio riproduce il tetto di un tempio a d ue spioventi adorno di acroteri e di antefisse, elementi decorativi in fo rma di palmette o di maschere. L'esecuzione è di altissima qualità, l'efficacia delle rappresentazi oni impressionante. Quel sarcofago non era il solo, ve ne erano altri d i straordinaria bellezza e tutti quanti vennero imbarcati e spedit i a Istanbul dove il Museo archeologico fu realizzato espressamente per ospitarli. Gertrude Lowthian Bell, nobildonna inglese, scrittrice, arch eologa, e probabilmente agente segreto di Sua Maestà Britanni ca, uno dei personaggi più affascinanti fra fine Ottocento e primi Novecen to, molto vicina per stile, atteggiamenti, gusto romantico per l'esotism o a T.E. Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d'Arabia, vide il s arcofago nel 1889 e ne rimase folgorata. Non ebbe dubbi che si trattass e del sarcofago di Alessandro Magno e che il cranio trovato all'intern o fosse il suo.Noi sappiamo che non è vero e che l'opera risale probab ilmente alla fine del Quarto secolo a.C., forse realizzata intorno al 310 da artisti greci o per un sovrano seleucide o per un principe locale. C'è chi ha voluto riconoscere nel committente un personaggio di cui parlano Curzio Rufo e Giustino. Si chiamava Abdalonimo ed era un umile o peraio. Alessandro aveva incaricato Efestione di cercare una persona retta a cui affidare il trono di Sidone e lui si era dato da fare. Pass ando per le vie della città aveva visto un bellissimo giardino ed era en trato. Era un posto meraviglioso e come fuori dal mondo, con fiori e p iante di ogni specie, tenuto con cura attenta e amorevole da un solo uom o. Efestione gli chiese chi fosse e quello rispose di essere Abdalon imo, il giardiniere. Efestione si informò allora di dove fosse il padron e e quello rispose che di lui non aveva più notizie da tanto tempo; tu ttavia, anche senza essere pagato, custodiva e coltivava il suo giardin o perché lo trovasse

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impeccabile quando fosse tornato. La ricerca di Efe stione era giunta a termine: l'uomo che con tanta onestà e fedeltà avev a assolto al suo dovere avrebbe saputo reggere la città allo stesso modo con cui aveva tenuto il giardino. Lo fece re di Sidone. Era sta to lui, Abdalonimo, a farsi costruire quel magnifico sarcofago che narra va le imprese del suo nuovo signore? E un'ipotesi suggestiva che ha pres o piede presso alcuni studiosi, anche se sembra troppo bella per essere vera. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra possibilità di fare coll egamenti fra fonti letterarie e archeologia è sempre fortemente condi zionata dal poco che sappiamo e dal pochissimo che è giunto fino a noi. Meglio sarebbe pensare come rispondere ai nostri interrogativi se non ci fosse giunta la storia, anzi la parabola di Abdalonimo, il giar diniere. Non soltanto Tolomeo aveva bisogno di legare strettamente il su o diritto dinastico all'eroe, tutti i Successori derivavano l'ideologi a del loro potere dalla figura di Alessandro, dalla sua vittoria sul l'Asia e sul Mondo. 14° CIMITERO LATINO Alla fine anche Evaristo Breccia, una volta preso a tto dei risultati dei suoi scavi, dovette arrendersi. Non c'era nulla nel l'area della moschea di Nabi Daniel, né a livello dei sotterranei né dei dintorni e nemmeno a Kom el Dick che si potesse riferire alla città tole maica e quindi il capitolo per lui era chiuso. Può darsi che, anche i n quell'area, a differenti livelli, sarebbe stato possibile incont rare tracce dell'insediamento ellenistico, male difficoltà di una simile impresa sarebbero state di fatto insormontabili. Questo no n comportò l'archiviazione del caso Nabi DanielKom el Dick, a nzi, le ricerche a vario titolo e a vari livelli di preparazione cont inuarono ugualmente. Anche la stampa di settore come "Archeologia Viva" continuò ad avvalorare l'ubicazione della tomba di Alessandro alla moschea di Nabi Daniel. D'altra parte, per chi operava sul campo e ra venuto il momento di guardare altrove, verso est, verso l'incrocio f ra la via Canopica, o L1, e la principale trasversale, la R1, nell'area che si estendeva alla base del promontorio Lochias che avrebbe dovuto co ntenere il mnema, il parco funerario con la tomba di Alessandro e quell a dei primi Tolomei. Fu il successore di Breccia nella direzione del Mu seo greco-romano, l'archeologo Achille Adriani, a muoversi in quella direzione e a formulare un'ipotesi che rompeva decisamente con i l passato. Nel cimitero latino di Alessandria, nella zona a sud de lla penisola del Lochias, erano stati portati in luce, già agli iniz i del secolo scorso, i resti di un edificio monumentale di straordinaria q ualità e imponenza che in seguito erano stati dimenticati per lungo te mpo. Evaristo Breccia li aveva notati e soprattutto aveva descritto, ma p urtroppo non fotografato né rilevato, anche altri elementi che o ra non esistono più: un recinto molto vasto, di andamento trapezoidale c ostituito da un muro di blocchi di calcare, "alto e largo parecchi metri "? lo stesso calcare, si suppone, che formava il piano di appoggio del mo numento stesso. Inoltre mancano quelli che egli definì "i resti di un naos" (ossia di un tempietto votivo?) e dell'architrave di una porta c he doveva essere quella nord ora del tutto mancante. Dove siano fin iti questi materiali nessuno lo sa, ma la cosa desta non pochi interrog ativi visto che non è facile demolire e poi trasportare strutture così gr andi e pesanti senza che ne rimanga traccia. L'unica cosa certa è che la loro perdita è inestimabile ai fini della formulazione di una ipot esi forse definitiva sulla tomba di Alessandro. Breccia, anche se pare m olto strano, non aveva mai avuto tempo né possibilità, assorbito com'era d a una quantità di altri impegni sia amministrativi che scientifici, d i occuparsene. Achille Adriani invece si applicò già nei primi anni del su o incarico a

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restaurarli e successivamente a studiarli. Si trat tava di quattro blocchi monolitici giganteschi di alabastro del pe so di varie tonnellate che, una volta riassemblati, costituirono una stru ttura coerente e di grande imponenza. Sostanzialmente i blocchi formav ano un vano con un ingresso a porta dal lato sud e del tutto aperto v erso nord (a causa della sparizione del secondo architrave). Non pote vano esserci dubbi sul fatto che fossero coerenti fra di loro, perché il blocco che ne formava il soffitto era inciso all'interno con la parte su periore della cornice della porta che continuava sul blocco verticale so ttostante nei due stipiti dell'apertura. La parte superiore della co rnice di tipo dorico era marcata da un listello in lieve aggetto. All'i nterno i blocchi erano levigati accuratamente rivelando meravigliose vena ture e disegni a macchie con coloriture vivaci, dal color avorio fi no all'ocra e al rossiccio, che oggi si evidenziano molto bene inum idendo la superficie con un po' d'acqua e che nell'antichità dovevano e ssere valorizzate da una lucidatura a cera. L'esterno dei blocchi era i nvece del tutto grezzo, nel senso che non c'era nemmeno una minima sgrossatura e presentava una superficie quasi naturale con visib ili i bulbi creati dalla percolazione delle acque e un colore grigio chiaro. Il manufatto era stato rinvenuto a poca distanza dalla necropol i di Shatby sul lato orientale della città, in una zona che doveva anti camente trovarsi all'interno dell'area dei palazzi reali e delle lo ro immediate adiacenze e con ogni probabilità doveva aver fatto parte di una tomba. Da testimonianze raccolte Adriani, come già si è dett o, si rese conto che parti del monumento erano state asportate per altr i usi o reimpieghi non meglio specificati. La stessa sorte che era toccat a, secondo la descrizione che ne lasciò Breccia al "peribolo" tr apezoidale. Ed è curioso qui notare come Breccia utilizzi, forse in consapevolmente, lo stesso termine straboniano che definiva il recinto sacro della tomba di Alessandro. Una volta che Adriani ebbe terminato i l restauro nel 1936 risultò una camera rettangolare mancante della par ete nord e con una porta di passaggio nella parete sud che forse era stata anch'essa di alabastro con cardini e cornici in bronzo. Questa porta dava quasi certamente su un altro ambiente che Adriani suppon e la vera e propria camera funeraria. Restano sul pavimento di calcare le sedi dei cardini a testimoniare questa situazione. Breccia intuì subi to di trovarsi di fronte a un monumento funerario e pensò al Nemesei on fatto costruire da Cesare durante il suo turbolento soggiorno alessand rino per seppellirvi la testa di Pompeo fatto uccidere a tradimento e de capitare da Tolomeo 14° Di fatto, osserva Adriani, non esisteva alcun c onsistente supporto a una simile ipotesi se non una vaga coincidenza topo grafica con l'area in cui si identificava a quel tempo il luogo che Cesa re avrebbe scelto per esprimere il suo cordoglio per colui che era stato suo genero e poi rivale assassinato. Il suo gesto fu visto allora c ome una manifestazione di ipocrisia, mentre è possibile che egli avvertiss e un sincero disgusto per l'azione vile di un regolo di nessuna statura umana e politica contro un grande uomo e un grande romano. Il conce tto del parce sepulto per cui la morte interrompeva immediatamente qualu nque animosità per lasciare spazio alla pietas era inoltre profondame nte radicato nella mentalità di Cesare che l'aveva dimostrato più vol te. Ma quel monumento sembrava troppo lussuoso e troppo importante per c ostituire solo la parte di un sacello quale dovette essere il tempie tto funerario eretto da Cesare, che per di più in quella situazione dis poneva di assai poco tempo. Adriani ebbe un'intuizione rivoluzionaria c he espose prima con una certa cautela e poi con maggiore convinzione a dducendo una quantità di indizi di carattere storico, documentale, tipolo gico-architettonico e topografico estremamente significativi e in ultima analisi convincenti. Il segnale più importante era di carattere tipologi co: quella camera era stata costruita per essere coperta da un terrapieno ; in quel modo si spiegava la superficie esterna completamente grezza , inoltre l'enormità

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dei blocchi, veri e propri macigni, dimostrava che il terrapieno soprastante doveva essere imponente. In altri term ini doveva trattarsi di una tomba di tipo macedone. Proprio come quella di Filippo a Verghina, cui lo s tesso Adriani fa riferimento, pur con qualche riserva sull'identità di chi vi era sepolto. Chi dall'interno osserva attraverso la porta sud la scala che scende dal livello superiore ha l'impressione di vedere la sce na che immaginò Lucano nel suo poema, quella di Cesare che scende a nsioso nella camera sotterranea per contemplare le fattezze di Alessand ro. Sulla camera poi doveva ergersi l’extructus mons, ossia il tumulo, i l che giustifica la potenza della struttura portante della camera e l'e normità dei blocchi. Se così stavano le cose è molto più verosimile che la sepoltura di Alessandro all'interno del mnema di Tolomeo 4° Fil opatore dovesse essere, esclusa quella di Menfi, la prima e l'ultim a. Non si spiegherebbe per quale motivo la supposta prima tomba di Alessan dro nella sua città dovesse essere di tipologia monumentale e, si suppo ne, ispirata a mausolei come quello di Alicarnasso e quella costru ita successivamente nel mnema di Tolomeo 4° Filopatore della tipologia più antica, per non dire arcaica. Adriani riteneva quindi che la strut tura in alabastro del cimitero latino fosse il vestibolo che portava, at traverso una seconda porta ora mancante, in una camera più interna, oss ia in quella del sarcofago dove si trovava anche la kline funeraria come in quella di Verghina. Adriani inoltre adduceva un indizio di c arattere topografico, ossia l'insistenza della tomba di Alessandro nella necropoli reale che era certamente annessa al grande distretto dei pal azzi. In effetti, ciò che aveva guidato tanti ricercatori fino a Breccia a cercare nelle vicinanze della moschea di Nabi Daniel erano eleme nti non determinanti: in primo luogo l'affermazione di Zenobio che ponev a il soma en mese te polei, non è detto si debba prendere alla lettera n el senso di "nel centro della città", ma semplicemente nel senso di "in mezzo alla città", non fuori dove di solito stavano le necropoli, e po i quella di Achille Tazio. La posizione del cimitero latino inoltre non è così periferica: se osserviamole ultime ricostruzioni ideali della c ittà di Alessandria in età tolemaica è tutto sommato abbastanza vicino al centro. La descrizione in Achille Tazio della "passeggiata" de l suo eroe a partire dalla Porta orientale non confligge con una colloca zione a sud della penisola del Lochias. Per quello che riguarda l'uso del materiale Bonacasa , su autorizzazione della Direzione del Mu seo greco-romano, ha fatto effettuare delle accurate analisi mineralogic he su un piccolo campione prelevato dall'esterno della tomba. La str uttura e la composizione chimica del materiale è stata poi conf rontata con quella delle cave antiche presenti nel medio Egitto e si è arrivati in un primo momento a circoscrivere la possibile provenienza da un gruppo di cave alla base del delta: Bosra, Gizah, Wadi Gerrawi, Wa di Sannur, Sheikh Said e Zawiet Sultan, per concludere che i grandi blocchi della tomba potrebbero verosimilmente essere derivati da quest 'ultima. L'alabastro è comunque presente su quasi tutto il percorso del N ilo ed è spesso visibile in superficie in forma di bellissimi ciot toli levigati di tutti i colori, dall'avorio all'ocra al rossiccio come p er esempio nell'area di Dashur. Non stupisce quindi che Tolomeo Undices imo abbia utilizzato questo materiale così bello e abbondante per reali zzare il secondo sarcofago di Alessandro dopo essersi impadronito d el primo di oro massiccio, e non si può escludere che questa scelt a sia stata suggerita dal fatto che il resto della tomba era già costrui to in questo prezioso materiale. In una situazione generale così comples sa il problema non può certo dirsi risolto e vi è chi continua nella rice rca convinto che sia ancora possibile trovare la tomba o addirittura il corpo di Alessandro o ciò che resta di lui. Una di queste ipotesi in par ticolare è effettivamente impressionante per quanto è audace e volendo concludere

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una panoramica dello stato della ricerca e dei ris ultati conseguiti conviene esaurire, nei limiti che ci siamo dati, l 'argomento. 15° DOV'È ALESSANDRO? Abbiamo visto come la tomba di Alessandro sia stata cercata un po' dovunque ma sempre nei quartieri di Alessandria. C' è chi l'ha segnalata in luoghi dove ai tempi dei Tolomei c'era l'acqua d el mare e chi nei sotterranei della moschea di Nabi Daniel, altri l'h anno cercata alla moschea Attarine dove c'era il magnifico sarcofago di Nectanebo Secondo. Proprio a questo proposito sappiamo che A.M. Chugg aveva pensato che il sarcofago fosse stato il primo contenitore del corp o di Alessandro nel Serapeo di Menfi-Sagqara e nel sepolcro scavato da Mariette aveva anche individuato un vano in grado di contenerlo. Il rec ente studio di N.J. Saunders avanza un'ipotesi interessante sulla prov enienza di quel sarcofago. Esaminando i fori praticati nella vasca si rende conto che sono più larghi verso l'esterno e più stretti verso l'interno e ne deduce che questo servisse ad aumentare dall'intern o la pressione del getto e a dilatarlo nella sua uscita esterna creand o un effetto scenico notevole. Non intravede quindi una destinazione fun zionale a questo oggetto, ossia per le abluzioni rituali dei fedeli della moschea ma una funzione estetica. Il sarcofago sarebbe stato riuti lizzato nel soma di Alessandro come vasca ornamentale all'interno di u n ninfeo nel parco funerario della necropoli reale. Questo sulla base del fatto che i Tolomei avevano spesso riutilizzato e riciclato ele menti architettonici sottratti ad altri complessi monumentali. Plinio ra cconta di un grande obelisco di Nectanebo Secondo (Nechtebi) trasportat o da Heliopolis ad Alessandria con una nave. Non c'è dubbio che cose del genere avvenissero di frequente e in tutte le epoche, mentre mi sembr a più difficile che addirittura il sarcofago del presunto padre di Ale ssandro venisse trapanato per farne una -sia pur sacra - fontana. Ho già espresso il mio parere in proposito e in ogni caso mi sembra una s piegazione accettabile che nei fori esterni più larghi praticati nel sarc ofago venissero inseriti dei rubinetti in legno o in fusti di cann a che regolavano il flusso per le abluzioni. La svasatura avrebbe potu to servire per alloggiarvi un qualche tipo di guarnizione o una g hiera di raccordo con il tubo in uscita. Bisogna immaginare che in un ni nfeo quale Saunders ipotizza la vasca venisse alimentata continuamente da un getto che arrivava dall'alto. In questo caso poi, visto che i fori erano praticati sui quattro lati della vasca, significherebbe che doveva essere visibile da ogni lato e questo rende molto difficile la rea lizzazione di un getto di alimentazione che avesse un vettore così lungo da permettere di lasciare un grande spazio per la visibilità anche dalla parte posteriore. Oggetti di questo genere di solito sta nno all'interno di un'esedra dove facilmente possono essere alimentat i da un primo getto che sgorga dal muro di fondo e i getti di scarico della vasca sono soltanto sul davanti. Più facile invece immaginarl o riutilizzato come vasca delle abluzioni posta al centro del sacello della moschea Attarine per cui i fedeli potevano sedersi tutto attorno e fare la rituale lavanda dei piedi. Mi sembra quindi proponibile l' idea che potesse in origine trattarsi di una sorta di cenotafio, ossia di una tomba vuota collocata all'interno del peribolo del Bema di Ale ssandro in occasione della sua ristrutturazione a opera di Tolomeo 4°. Quando in realtà e da chi siano stati praticati questi fori ha comunque un'importanza relativa; quello che più interessa è il fatto che i l sarcofago pesante sette tonnellate di un faraone che fu intimamente c ollegato dai Tolomei alla loro dinastia tramite Alessandro fu trasportat o per vie d'acqua fino ad Alessandria perché il legame fosse fisicame nte visibile. Fino a

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ora abbiamo visto che la tomba di Alessandro è stat a cercata o situata all'interno della città o nelle sue immediate vicin anze, sia nel Medioevo sia nelle età successive fino al giorno d' oggi. Vi è però chi ha cercato Alessandro ben lontano dalla città da lu i fondata. Sono due ricercatori: un'archeologa greca di nome Liana Sou valtzi che sosteneva si trovasse nell'oasi di Siwa, e lo studioso ingle se A.M. Chugg, da noi più volte citato, che ritiene potrebbe trovarsi a Venezia. Liana Souvaltzi dichiarò nel 1989 in un contributo al ses to convegno internazionale di Egittologia a Torino che a Siwa c 'era una tomba macedone che quasi certamente era di Alessandro. La cosa ebbe una risonanza limitata, mala signora si preparava a met tere il mondo a soqquadro con dichiarazioni ancora più esplosive. Liana Souvaltzi si rivolse alla stampa nel 1992 affermando di avere i ndividuato nel tempio dorico di Bilad el Rum nell'oasi di Siwa la tomba d i Alessandro Magno e pubblicò nell'anno successivo il suo contributo al convegno di Egittologia. L'edificio cui faceva riferimento era già noto ai visitatori ottocenteschi di Siwa, fra cui il consol e tedesco Heinrich von Minutoli che lo descrisse nel 1820, un anno pr ima che la Grecia iniziasse la sua guerra d'indipendenza. La prima r icognizione sistematica con una serie di sondaggi venne condott a nel 1938 da Ahmed Fakhry che pubblicò il monumento nel 1944. Proprio in quell'edificio Liana Souvaltzi riconobbe la tomba di Alessandro Magno e nel 1995 dichiarò senza alcuna riserva di aver trovato la sepoltura del condottiero macedone. Una simile sicurezza indusse un gruppo di esperti egiziani a controllar e quali carte la Souvaltzi avesse in mano per fare una simile clamo rosa affermazione. L'archeologa greca diceva di aver individuato, inci si su un blocco di calcare, delle foglie di quercia, che indubitabilme nte richiamavano quelle della corona di Filippo nella tomba scavata da Andronikos a Verghina, e inoltre la stella argeade a otto punte, che chiaramente indicavano la presenza di un personaggio di rango reale in quel luogo. E di chi altri poteva mai trattarsi se non di Aless andro che aveva esplicitamente disposto prima di morire di essere sepolto nell'oasi di Amon? Il fatto che le fonti antiche fossero concor di nel riportare la tomba di Alessandro ad Alessandria sembrava non im pensierirla, e quella sua spavalda certezza finì per far breccia anche s ulle autorità egiziane. Ormai la notizia era rimbalzata sui gior nali più importanti del mondo con grandi articoli con richiamo dalla p rima pagina e molti spedivano i loro inviati a Siwa. Giornalisti delle pagine culturali di molte testate e troupe televisive si stavano preci pitando a Siwa per accertarsi se davvero l'enigma millenario della to mba di Alessandro Magno fosse veramente e definitivamente risolto. P er di più la Souvaltzi scoprì del tutto le sue carte calando gli assi, oss ia delle inconfutabili, a suo avviso, prove epigrafiche, tre diverse iscrizioni: una sarebbe stata di Tolomeo 1° che dichiarava che Alessandro era stato avvelenato e che la sua mummia era stata portata i n quel luogo, un'altra era la prova di una visita alla tomba del sovrano macedone dell'imperatore Traiano. Una terza era stata scrit ta da un altro ignoto personaggio. Il gruppo di esperti si recò all'oasi avvalorando i n sostanza ciò che aveva detto la Souvaltzi. Su molti giornali la cosa venne recepita come una conferma e la scoperta della tomba di Alessandr o veniva data per probabile con buona pace delle fonti antiche, ma il grande scoop era rimandato di almeno un mese. Il Ramadan ferma lo sc avo della Souvaltzi titolò il "Corriere della Sera" e l'aspettativa mon tò fino al parossismo. Esperti e archeologi venivano interpell ati al telefono e intervistati per esprimere qualificati pareri e que sti, non ancora in possesso di una comunicazione scientifica, non pote vano che rispondere

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che bisognava attendere. La Souvaltzi dal canto suo si mostrava invece tranquilla: non c'era dubbio che presto la sepoltur a di Alessandro sarebbe venuta alla luce. L'unica cosa su cui si di ceva incerta erano le condizioni in cui la mummia sarebbe stata rinvenuta . Dopo il primo shock le reazioni del mondo accademico non tardarono a f arsi sentire: il ministero greco della cultura inviò degli esperti che visitarono il sito e ripartirono molto perplessi non avendo trovata p lausibile alcuna delle prove annunciate, mentre la Souvaltzi accusava la delegazione di ingerenza indebita nel suo scavo e senza il suo pe rmesso. A quel punto la Direzione generale delle Antichità egiziana, res asi conto della inconsistenza delle prove, non poté che gettare acq ua sul fuoco richiamando tutti a una condotta più seria e pruden te. Anche il modo in cui lo scavo era stato condotto fu considerato poco professionale e tale da produrre più danni che risultati. Le tre iscrizi oni erano di fatto una sola e di età imperiale romana, e la lettura sc ientifica del testo demolì senza difficoltà la teoria dell'archeologa g reca, che per giunta venne definita dai suoi stessi compatrioti come poc o affidabile e di fatto sconosciuta alla comunità scientifica. Voci s u alcune sue affermazioni da cui sembrava che avesse avuto rivel azioni o misteriosi segni premonitori contribuirono, nonostante le smen tite dell'interessata, a smontare, nella generale delusione, sia le sue af fermazioni sia l'intero circo mediatico che su di esse si era mobi litato. Le autorità egiziane rifiutarono di prorogare la concessione di scavo e il silenzio calò finalmente sull'intera, imbarazzante vicenda. Mala speranza è dura a morire e molti ferventi sostenitori della teoria della Souvaltzi rimasero incrollabili nella loro fede. Io stesso so no stato testimone di un episodio significativo. Durante un mio viaggio prima al cimitero latino di Alessandria e poi a Siwa ebbi modo di all oggiare in un albergo dell'oasi. Era una notte di luna piena; il bianco del calcare e della luce lunare diluiva il blu cupo del cielo in una at mosfera azzurrina, magica e fuori dal tempo. La mensa, ricavata all'ap erto in un blocco di nudo calcare era apparecchiata con lini, argenti e cristalli e la persona che ne aveva la gestione apparve a salutare me e gli amici con cui viaggiavo. Era una signora di straordinario fa scino, drappeggiata in una lunga tunica di foggia etnica e contribuiva a sua volta a intensificare l'impressione che tutti avevamo di u n luogo incantato. La conversazione cadde ben presto sul tema della tomb a di Alessandro e la signora si rivelò una convinta sostenitrice della teoria di Liana Souvaltzi. Cercai di farle presenti tutti gli argom enti che, a mio avviso, la rendevano improbabile, ma senza convince rla. Mi disse che ero troppo freddo e attaccato a pregiudizi accademici e mi invitò a leggere il romanzo di uno scrittore italiano sulla vita di Alessandro Magno che l'aveva emozionata per scoprire una dimensione div ersa che mi avrebbe aperto la mente e suggerito un diverso approccio a l problema. Per caso avevo con me un mio romanzo, quello a cui, evidente mente, la signora si riferiva, e le mostrai la quarta di copertina con l a mia foto, dimostrandole che due atteggiamenti tanto diversi p otevano convivere in una stessa persona ma in modo nettamente distinto. Lei restò del suo parere, pur apparendo molto sorpresa di una simile coincidenza. Il caso era chiuso, ma non la perenne ricerca della tomba d i Alessandro. L'ultima e più sorprendente ipotesi è invece di uno studioso scrupoloso e serio benché non specialista della materia: il gi à citato A.M. Chugg. La sua ipotesi è che ciò che resta del corpo di Alessandro si trovi nella basilica di San Marco a Venezia, anz i esattamente dentro l'urna che da più di mille anni si ritiene contenga le reliquie dell'evangelista. La sua ricerca muove dalle fonti antiche che testimoniano come San Marco fosse il fondatore del la chiesa di Alessandria e che già alla fine del Quarto secolo la Storia Lausiaca racconta di un pellegrinaggio al martyrion (ossia al luogo del martirio)

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dell'evangelista$ che si sarebbe trovato sul mare d alla parte orientale del promontorio Lochias. Secondo la tradizione il c orpo di San Marco non sarebbe stato distrutto dall'incinerazione e sarebb e stato deposto in una chiesa probabilmente più ampia e di certo più recen te di quella originale. Il fatto che il corpo non fosse stato in cenerito potrebbe forse implicare che la reliquia era costituita da u na mummia. Là comunque avrebbe riposato in pace fino agli inizi del Nono s ecolo d.C. in piena età islamica quando due mercanti veneziani, Buono d i Malamocco e Rustico di Torcello, giunsero ad Alessandria e visitarono la chiesa di San Marco. Lì trovarono il clero molto preoccupato per l'integrità delle reliquie perché i musulmani stavano depredando la chiesa di alcuni marmi preziosi per costruire un altro edificio. Di buon grado quindi i resti di San Marco furono consegnati ai due mercant i che li portarono a Venezia. Più probabile è che i due avessero convint o con una generosa offerto i custodi del santuario a cedere il loro te soro. Poi, per superare l'ispezione delle autorità portuali, copr irono le reliquie con carne di maiale: i doganieri musulmani, inorriditi, si guardarono bene dal fare ulteriori controlli. La scena è rappresent ata nell'intradosso di un arco della basilica a Venezia, dove il corpo del santo che viene traslato appare intero e con tanto di barba, anche se poco dopo vediamo i due mercanti passare con una cesta mentre i dogan ieri, come in un fumetto, gridano (vociferantur): kanzir, kanzir!, " maiale, maiale!". Chugg si domanda se il fatto che il corpo è rappres entato intero nel mosaico non significhi che forse era una mummia, ma poi diventerebbe difficile spiegare come le reliquie siano state por tate via in una cesta coperte con carne di maiale: il corpo era forse sta to fatto a pezzi? La cosa sicura è che sia le testimonianze iconografich e che cartografiche segnalano la presenza di una chiesa di San Marco vi cina alla porta orientale della città islamica, il che la porrebbe nella vicinanza del luogo in cui, secondo non pochi studiosi, era antic amente il serra di Alessandro. Secondo Chugg dunque la chiesa di San M arco non solo avrebbe rimpiazzato e di fatto sostituito il mausoleo di Al essandro, ma sarebbe sorta anche nello stesso posto. L'idea di una sosti tuzione di per sé è più che plausibile. Era usanza della Chiesa sostitu ire i culti pagani con culti cristiani, non soppiantarli semplicemente. N elle nostre campagne ancora adesso le edicolette della Madonna si trova no sempre all'incrocio di tre vie perché sostituirono nel passato la trip lice immagine di Ecate trivia; il Natale ha preso il posto della festa de l Deus Sol invictus; i santi in coppia, Cosma e Damiano per esempio, hann o sostituito talvolta i dioscuri Castore e Polluce, la Madonna in altri casi ha sostituito Iside e così via. Nulla di più facile che la Chies a alessandrina per eradicare il culto pagano del Fondatore della citt à lo abbia sostituito con un altro fondatore e cioè colui che aveva dato vita alla prima comunità cristiana ad Alessandria, cioè San Marco. Più difficile è dimostrare perché mai il corpo stesso di Alessandro sarebbe stato spacciato per quello di San Marco. Chugg pensa a qu alche suo ammiratore cristiano, un alto esponente del clero forse che a vrebbe voluto salvare le sue spoglie mortali dalla furia iconoclasta sca tenatasi in seguito agli editti teodosiani del 391 che diedero di fatto mano libera ai fanatici che volevano distruggere ogni traccia dell a religione antica. Il nostro personaggio quindi con un colpo solo avre bbe salvato il corpo di Alessandro dalla distruzione e creato una nuova importantissima reliquia destinata a divenire il fulcro attorno a cui avrebbe ruotato la nuova città cristiana. In realtà questi ragionamen ti servono a spiegare all'autore ciò di cui è già convinto sulla base di indizi che ritiene determinanti. Fra questi indizi ve n'è uno fondame ntale: una pietra rinvenuta durante i lavori in basilica nel 1963 pe r realizzare le vasche idriche per l'impianto antincendio. La pietra, del peso di una tonnellata e mezzo, era posta praticamente in test a alla basilica nella fondazione dell'abside e fu pubblicata da Ferdinan do Forlati, ingegnere

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e Proto della basilica di San Marco, che la consid erò un blocco di trachite, elemento della tomba di un soldato roman o. In effetti la mancanza assoluta di materiali da costruzione nell e isole della laguna, tutte di sedimentazione fluviale, indusse i venezi ani a cercarli fra le rovine di Altino, sulla costa. Si riciclarono non solo marmi e pietre ma anche mattoni. Su alcuni è possibile leggere il bo llo laterizio che identifica la fornace che li produsse. La pietra, ora nel chiostro di Santa Apollonia, reca rilievi sulla facciata princ ipale che rappresentano la stella argeade a otto punte, due schinieri e una lunga lancia, probabilmente una sarissa. Su uno dei lati una spada appesa a un balteo, identificata come una kopis, la tipica spa da macedone. Dopo la pubblicazione del Forlati la pietra giacque pratic amente dimenticata per anni finché nel 1977 la stella argeade ricomparve improvvisamente sull'urna d'oro della tomba reale di Verghina attr ibuita da Andronikos a Filippo Secondo risvegliando così l'interesse per la pietra emersa dalle fondamenta di San Marco. È questo il punto nevralg ico della costruzione di A.M. Chugg: in San Marco c'è un oggetto apparte nente a una tomba reale macedone proveniente quasi certamente da Ale ssandria e di fatto pertinente alla prima basilica di San Marco, fatta costruire per disposizione testamentaria dal doge Giustiniano Pa rticiaco, e quindi quasi coeva alla "traslazione" delle reliquie dell 'evangelista a Venezia, insomma un frammento lapideo del Bema di Alessandro. Da qui ad associare anche la reliquia trafugata da Rustico d i Torcello e Buono di Malamocco al corpo stesso del macedone il passo è breve. La teoria di Chugg che, secondo Maria Bergamo, ha provocato una spettacolarizzazione più mediatica che scientifica, in realtà ha portato anche seri approfondimenti. In primis le analisi della pietra che non è risultata trachite come aveva detto Forlati bensì pietra di A urisina, un marmo che si estrae nella località omonima non lontano da Tri este. In un convegno tenuto a Padova al palazzo del Bo nel settembre 20 06 Monica Centanni ha annunciato di avere chiesto una expertise al profe ssor Lorenzo Lazzarini del laboratorio di analisi dei materiali antichi a ll'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, il quale ha dato tramite e-mail e su richiesta di Alessandra Coppola dell'Univ ersità di Padova il seguente responso: Sì, ho eseguito io lo studio pet rografico di un campione della stele su richiesta della collega Mon ica Centanni: il risultato indica senza ombra di dubbio che la stele è stata scolpita nella pietra di Aurisina, un calcare che ancora si estrae nella località omonima in provincia di Trieste. Naturalmente non so rispondere per ciò che riguarda la datazione del manufatto a cui sta lavorando un gruppo di ricerca che fa capo a Monica. In realtà aveva già risposto Eugenio Polito in un suo studio del 1998 dove confermava c he la pietra di Santa Apollonia era da considerarsi come un manufatto el lenistico: Il blocco doveva appartenere a un grande monumento collocabi le genericamente fra il Terzo e gli inizi del Secondo secolo a.C. A qu esto punto la situazione si complicava perché se da un lato la da tazione proposta da Polito contribuiva ad appoggiare la teoria di una possibile derivazione alessandrina del blocco, dall'altra la provenienza della pietra di cui era fatto lo rendeva altamente improbabile. Chugg non si arrese e riuscì a venire a conoscenza che in una località prossima al braccio occidentale del delta esisteva una pietra che aveva una composizione analoga ed era contraddistinta dallo stesso fossile presente nella pietra di Aurisina. Ma non sta solo qui il problema : Nicholas Saunders ritiene di dedurre da Strabone che il serra fosse più probabilmente nella parte nord-orientale della città e più vicino ai palazzi reali piuttosto che al grande incrocio. Inoltre fa presen te l'estrema difficoltà a localizzare con precisione la chiesa d i San Marco costruita in età romana dopo la morte dell'evangelista: insom ma non c'è alcuna prova che il soma di Alessandro e il martyrion di S an Marco sorgessero nella stessa zona. In più Saunders ritiene che non ci sia motivo per cui

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il misterioso prelato ammiratore di Alessandro avr ebbe dovuto trasportare nella nuova dimora insieme al suo corpo anche una lastra pesante una tonnellata e mezza solo perché portava incisa la stella argeade di cui quasi certamente ignorava il signifi cato, e men che meno se ne sarebbero curati i due mercanti veneziani che portarono via le ossa di San Marco A dire il vero non si può esclud ere in assoluto che i due spregiudicati cacciatori di reliquie avessero preso la pietra solo perché era a portata di mano (il che implicherebbe che il soma non era poi così lontano) usandola come zavorra per la lor o nave, un'abitudine diffusissima fra i marinai veneziani, ma resta sem pre da risolvere il problema del materiale che fino a prova contraria non viene da Alessandria o dai suoi dintorni. Certo il suggeri mento di Chugg di sottoporre a esami scientifici i resti attribuiti a San Marco sarebbe in teoria da seguire, e la Chiesa cattolica che ha permesso il test del radiocarbonio 14 sulla sindone di Torino ha dimostr ato di non aver paura dei responsi della scienza. Tuttavia l'assai lonta na probabilità di scoprire che si trattava di Alessandro invece che dell'evangelista Marco dovrebbe essere pagata con la dissoluzione di un i ntero universo mitico, quello costruito dalla Serenissima in metà del Med iterraneo. Nell'itinerario che abbiamo cercato di seguire sia sul piano delle fonti antiche che su quello degli studi moderni è risulta to evidente quanto aleatoria possa essere stata la sorte di reliquie c osì importanti. Le ricerche che hanno buone probabilità di portare nu ovi contributi devono essere condotte a termine, e quindi ben venga un'an alisi scientifica dei resti contenuti nell'urna conservata nella basilica di San Marco. Qualunque ne sia l'esito, i due grandi miti non ces seranno comunque di vivere: il Leone di San Marco continuerà a ruggire dall'alto dei suoi piedistalli e il corpo perduto del più grande perso naggio dell'antichità ad affascinare sempre nuove generazioni tenendo viv a la memoria di una civiltà straordinaria e irripetibile. CONCLUSIONE Non più tardi di tre o quattro mesi fa ricevetti la telefonata di un amico greco che mi annunciava molto eccitato che f inalmente si poteva affermare dove era sepolto Alessandro e che la scop erta si poteva considerare acquisita. Si trattava, lo seppi in se guito, di un'idea del tenente generale Papazois che si era dedicato con grande passione allo studio dei resti rinvenuti nell'urna d'oro della t omba reale di Verghina da Manolis Andronikos nel 1977. Confrontando lo st ato di quelle ossa con ciò che raccontano le fonti riguardo alle ferite p atite da Filippo ne deduceva che non si potevano vedere né il segno de lla ferita che gli aveva tolto la vista all'occhio destro, né di quel la che lo aveva reso zoppo. In realtà quell'urna d'oro conteneva le oss a di Alessandro. In Egitto c'era andato un manichino, un pupazzo che n e riproduceva le sembianze mentre la sua salma era stata riportata segretamente nella necropoli degli antenati a Ege, in patria. Abbiam o già visto da dove viene questa storia del pupazzo e quanto alla teor ia è una delle tante e certo non fra le più convincenti. L'aspetto più ev idente è quello di una volontà molto forte di riportare Alessandro in Mac edonia quale simbolo potente di orgoglio e di identità nazionale. Rico rdo che proprio verso la fine degli anni Novanta fui invitato a Salonicc o a tenere una conferenza solo perché ero intervenuto con un arti colo su "il Giornale" nella diatriba contro il nuovo stato macedone e il suo diritto a utilizzare il nome di Macedonia. Ancora N.J. Saunde rs pensa che questo sia il fine vero di quella teoria: il radicare anco ra di più in Macedonia il senso di identità del paese, restituen dole il suo figlio

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più illustre proprio in reazione alla pretesa del n uovo stato balcanico di assumere la stessa identità e addirittura approp riarsi della stella argeade come simbolo nella bandiera nazionale. La gelosia dei greci e in particolare dei greco-macedoni per il loro eroe è enorme: Quando uscì il film di Oliver Stone Alexander ci fu in America fr a gli emigrati ellenici una levata di scudi e una reazione scanda lizzata per le scene, peraltro castissime, che rappresentavano l'amore f ra Alessandro ed Efestione e vennero minacciate azioni legali per s alvaguardare l'onore del condottiero. Ciò che più colpisce anche nel caso dell'ipotesi di Papazois è l'immenso valore che viene attribuito alla figura, alla memor ia e, se fosse possibile, alle reliquie di Alessandro. Ricordo con quanta passione il mio amico mi chiedeva di interessarmi a questa teor ia, e non si può non restare stupiti di fronte alle incredibili avventur e di Stelios Komoutsos che dedicò inutilmente la sua vita a cercare la tom ba del sovrano macedone. Eppure l'ombra di Alessandro è ancora pre sente nella sua città, la sua presenza è percepita da qualche parte nei meandri sotterranei che si estendono dovunque. Jean Yves Em pereur ricorda un episodio impressionante. Una sera, mentre un gruppo di cittadini faceva la fila davanti a un cinema, si aprì improvvisament e una voragine e inghiottì una donna che non venne mai più ritrovata . Si disse che Alessandro la desiderava e se l'era presa. Il fasc ino dell'invincibile condottiero ha conquistato i grandi in tutte le ep oche: un fenomeno che gli studiosi chiamano imitano Alexandri, "imitazio ne di Alessandro". Contagiò Scipione, Cesare e Pompeo, Germanico, Cal igola e Traiano e poi Caracalla e perfino Shapur I re di Persia, Maomett o Secondo e infine Napoleone: finché si pensò che il sepolcro di Nect anebo fosse quello di Alessandro sembra che il sarcofago sarebbe stato d estinato ad accogliere le sue spoglie mortali quando fosse giunto il mome nto. E l’imitatio Alexandri contagiò addirittura Fidel Castro, che s celse mentre combatteva nella Sierra Maestra il nome dì battagl ia di Alejandro. Il mausoleo sulla Piazza Rossa, monumentale contenitor e della mummia di Lenin, è in fondo una riedizione moderna del soma d i Alessandria e l'eco di quella città straordinaria si percepisce nella t orre centrale dell'Università di Mosca, così simile al Faro, sett ima meraviglia del mondo che vigilava l'ingresso fra l'isola omonima e la punta del Lochias. Ma quali sono i motivi di questa passione ? Perché tanta gente si illude tuttora di trovare il suo corpo dissecca to da qualche parte nei sotterranei di Alessandria o pensa che potrebb e trovarsi nell'immensa necropoli di Baharya in Egitto dove g iacciono forse diecimila mummie? Perché anche studiosi distaccati e professionali non rinunciano del tutto alla speranza di ritrovarlo? Trovare una risposta è quasi impossibile perché non tutto nella storia è spiegabile a causa delle sue poderose componenti ca otiche: si pensa alla morte prematura che stroncò il più grande progetto strategico-ideologico di tutti i tempi, la combinazione straordinaria e d irompente riunita nella sua persona di guerriero e filosofo, la giova ne età in cui fu vinto dalla morte dopo averla sfidata mille volte e fino alla fine ignorata, l'impressionante capacità demiurgica di f ondere insieme mondi lontani e diversi, l'indomabile coraggio, la resist enza quasi sovrumana alle fatiche, alle ferite, alla fame, alla sete, al gelo e alle veglie, la capacità rarissima di pensare in grande senza li miti e senza confini, la fede cieca nel proprio destino, la capacità di c omportarsi allo stesso tempo come un dio e come un uomo, il raziona lismo e la furia cieca e barbarica. E infine il carisma del suo sgua rdo di tigre e del suo volto apollineo per cui chiunque lo vedesse era pronto a seguirlo

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fino all'inferno. Tutto questo certo, e anche qualc he cosa d'altro che rimane inspiegabile. La ricerca del suo corpo è in definitiva la ricerca di una chimera, dell'enigma che cercavano di capire tutti coloro che affluivano a visitare il soma, è la curiosità e l' inquietudine che spinse molti grandi del passato a contemplarne le fattezze, a scendere nell'oscurità dell'antro sotterraneo sotto la mole del tumulo immenso per restare soli a tu per tu con il mistero. È l'i llusione che qualora arrivassimo un giorno e per assurdo a toccarlo, co me Cesare, come Ottaviano, potremmo, chissà, finalmente capire.