Utopia e città

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Tesina di maturità per l'anno 2009/2010 di Gianluca Maffoni. Argomento della tesi: la visione della città, un agglomerato di spazi, edifici, oggetti e persone, come risultato della continua tensione dell’ingegno umano verso l’utopia.

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«Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela.»

Oscar Wilde

La mente umana è talvolta persuasa dalla creazione di immaginarie realtà, intangibili, ideali, evanescenti, utopiche, sublimi evasioni dal mondo reale, di cui l’uomo contemporaneo è succube.Emblema di tale affermazione è appunto l’utopia, termine coniato per la prima volta da Thomas More (italianizzato Tommaso Moro) nell’omonimo scritto del 1516. Il lemma deriva dal greco (ou, non e tópos, luogo) che significa letteralmente “non luogo”, cioé “luogo che non esiste”.1

Utopia è una meta ideale ma irraggiungibile, è un progetto, un’idea, un sogno, utopia è una mera illusione, un falso ideale, è l’orizzonte

luogo meraviglioso, che unisce e allo stesso tempo divide. Città che altro non è se non un contenitore, un contenitore di vite, una sorta di ventre materno.Ma la seguente trattazione non vuole essere un presuntuoso tentativo di svelare chissà quale verità universale, tantomeno tediare, con banali capitoli correlati tra loro, in una qualche manie-ra, da un comune argomento; l’obiettivo, invece, è quello di esporre riflessioni e pensieri, talvolta di non immediata comprensione, talvolta nascosti dietro ad un’opera. Riflessioni di grandi personaggi, artisti, letterati, geni, menti brillanti che hanno meditato sull‘argomento, che hanno rivolto un pensiero, scritto un libro, scattato una foto, creato un’opera d‘arte o diretto un film, che più semplicemente hanno voluto comunica-re un’idea, forse di non univoca condivisione o particolarmente illuminante, ma che esprime un singolare punto di vista, certamente degno di nota.

1AA.VV., Enciclopedia di Filosofia, pagina 1157: 2004, Garzanti, Milano.

paradigmatico a cui il genio anela, la forza propulsiva della storia. L’ingegno umano, che da sempre aspira ad un ideale, da sempre si capacita della creazione di scenari, paesaggi, luoghi, città. È forse la città ciò che di più umano e tangibile si avvicina all’utopia.Dalla polis greca al municipium romano, dal comune urbano medievale alla metropoli moderna, la città ha sempre recitato un ruolo egemone sul territorio, sulle vite e sui pensieri delle persone.È questo luogo un po’ magico, intrinseco di vita, l’utopia del costruibile, fatta di oggetti, struttu-re, edifici, palazzi, ma soprattutto di persone che vi interagiscono, che sono la linfa vitale della metropoli.Le loro idee, i loro, pensieri, le loro vite nascono, si intrecciano, si incontrano, si scontrano tra loro ogni giorno, e forse senza mai entare in relazione, come passeggeri distratti, indifferenti, alienati. Niente rende meglio l‘idea del pezzo di una famosa canzone di un celebre cantautore italiano: «...ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno immerso dentro ai fatti suoi...», ma tutti parte essenziale di questo

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Gabriele Basilico San Francisco 2007

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letteratura inglese L’Utopia di Thomas More

storia dell’arte La Cittá futurista di Antonio Sant’Elia e La Berlino di Ernst Ludwig Kirchner

psicologia Le Luci della cittá di Charlie Chaplin (analisi della comunicazione non verbale)

letteratura italiana Le Cittá invisibili di Italo Calvino e L’Ultimo viaggio di Giovanni Pascoli

storia della fotografia Il Paesaggio urbano secondo Gabriele Basilico

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«Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere.»

Thomas More

Umanista, scrittore e politico inglese, Thomas More (o Tommaso Moro) nacque a Londra il 7 Febbraio 1478.All’età di quindici anni iniziò a seguire, presso l'Università di Oxford, gli studi umanistici, un anno più tardi, quelli legali, prima al New Inn di Londra e poi al Lincoln's Inn.Nel 1516 pubblicò Utopia, la sua opera maggior-mente riconosciuta, nella quale descrisse un’immaginaria isola, abitata da una societa’ ideale, priva del concetto di proprieta’ privata.Ricevette nel 1521 la nomina di Cavaliere presso la corte di Enrico VIII.Fù, inoltre, un acceso difensore della dottrina cattolica durante la riforma luterana.Moro divenne Lord Cancelliere nel 1529, si dimise in seguito alla dichiarazione di Enrico VIII.

Dichiarazione nella quale nomi-nava egli stesso, co-me capo della Chiesa d’Inghilterra. Storica reazione provocata dal rifiuto di Papa Clemente VII, riguardo il divorzio voluto dal re nei confronti della moglie Caterina D’Arago-na, presa di posizione del pontefi-ce che sostenne anche Moro. Quando nell’aprile del 1535 Moro venne chiamato a prestare giuramento, riguardo l’atto di successione che riconosceva come legittimi i figli del re e di Anna Bolena, il suo rifiuto gli costò la reclusione nella Torre di Londra. Venne processato, condannato, incarcerato e quindi giustiziato a Tower Hill il 6 luglio 1535. La sua testa venne mostrata sul London Bridge per un mese, successivamente recuperata, dietro pagamento di una tangente, da parte della figlia, Margaret Roper.

Thomas More

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«Così facilmente s'acquisterebbe il vivere, se il desio di accumulare denari non impoverisse gli altri.»

Thomas More

Thomas More fù l’autore de L’Utopia. Il manoscritto è stato pubblicato in latino nel 1516 e tradotto in inglese per la prima volta nel 1551. L’opera è composta sottoforma di una conversazio-ne tra More e un viaggiatore immaginario, Raffael-lo Itlodeo, colui che ha visitato molte terre stranie-re. É diviso in due libri, il primo dei quali rappre-senta l’Inghilterra agli inizi del sedicesimo secolo, prima della Riforma. Si tratta di una denuncia alla corruzione del paese, l’abuso della proprietà privata e all’avidità dei nobili e del clero che convertirono i loro campi in pascoli, causando disoccupazione e povertà.Il secondo libro, d’altra parte, descrive l’isola immaginaria di Utopia, che é l’esatto opposto dell’Inghilterra. A Utopia, infatti, la proprietà privata è assente; vi é tolleranza religiosa; il sovrano è scelto dal popolo e può essere deposto se diventa un tiranno; la guerra e il lusso sono disprezzati;

tutti, comprese le donne, hanno il diritto all’istruzione; la caccia è abolita; le leggi sono chiare e di facile comprensione; nessuno ha bisogno di lavorare più di nove ore al giorno, come scritto nel testo seguente.

Utopia, Book II, Of Sciences, Crafts, and Occupation

«[...] they dividing the day and the night into twenty-four just hours, appoint and assign only six of those hours to work; three before noon, upon the which they go straight to dinner: and after dinner, when they have rested two hours, then they work three and upon that they go to supper. About eight of the clock in the evening (counting one of the clock at the first hour after noon) they go to bed: eight hours they give to sleep. All the void time, that is between the hours of work, sleep, and meat, that they be suffered to bestow, every man as he liketh best himself. Not to the intent that they should misspend this time in riot or slothfulness: but being then licensed from the labour of their own occupations, to bestow the time well and thriftly upon some other good science, as shall please them. [...] After supper they bestow one

hour in play: in summer in their gardens: in winter in their common halls: where they dine and sup. There they exercise themselves in music, or else in honest and wholesome communication. Diceplay, and such other foolish and pernicious games they know not. But they use two games not much unlike the chess.»

Il testo sopracitato, tratto dall’opera di More, descrive come gli abitanti di Utopia, suddividono ed occupano, il tempo nell’arco della giornata.

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The Humanist English writer and politician, Sir Thomas More, was born in London on February 7, 1478. At fifteen he began to study humanities at Oxford University. Then at sixteen he began to study Law at the New Inn in London and then at Lincoln's Inn. He wrote Utopia, his masterpiece, in 1516. There he described an imaginary island inhabited by an ideal society where the concept of private property did not exist. In 1521 he was appointed Knight at the court of Henry VIII, enthusiastic defensor of Catholic doctrine during the Lutheran Reformation. More became Lord Chancellor in 1529. Then, when the King Henry VIII declared himself as Head of the Church of England he resigned and supported the historic reaction provoked by the refusal of Pope Clement VII to recognize Henry VII's decision to divorce from his wife Catherine D ' Aragon. When in April 1535 he refused to take an oath about the act of succession which recognized as legitimate the children of the king and Anne Boleyn, he was imprisoned in the Tower of London. He was tried, convicted, and then executed in Tower Hill, on 6th July , 1535. His head was displayed on London Bridge for a month, then reclaimed by his daughter Margaret Roper upon payment of a bribe.

Thomas More is the author of Utopia. The manuscript Utopia was published in Latin in 1516 and first translated into English in 1551. The original title was “Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia”. The work is in the form of a dialogue between More and an imaginary traveler, Raphael Hytloday, who has visited many foreign lands. It is divided into two books: the first of represents England at the beginning of the 16th century, before the Reformation. It denounces the corruption of the Country, the misuse of private property and the greed of the nobles and abbots who go on conver-ting their fields into pastures, thus causing unemployment and poverty. The second book, on the other hand, describes the imaginary island of Utopia, which is quite the opposite of England. In Utopia, in fact, private property has disappeared and there is religious toleration. The sovereign is chosen by the people and may be deposed if he becomes a tyrant. War and luxury are despised and all, including women, have the right to education. Hunting is abolished and the laws are clear and easy to understand. Nobody need to work longer than nine hours.

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«La formidabile antitesi tra il mondo moderno e quello antico é determinata da tutto quello che prima non c’era.»

Antonio Sant’Elia

Antonio Sant’Elia nacque a Como il 30 Aprile 1888. Sin da bambino scoprì una predilezione verso il disegno oltre a doti sportive nella corsa e nel salto.Nel 1903, completati gli studi tecnici, si iscrisse presso la scuola di Arti e Mestieri G. Castellini.Tre anni più tardi si diplomò come capomastro e si trasferì in seguito a Milano per frequentare, fino al 1909, l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove ebbe modo di conoscere e frequentare, tra gli altri, Carlo Carrà.Nel 1912 ottenne la licenza di professore di disegno architettonico, superando l’esame con ottimi risultati, licenza che gli permise di insegnare a Bologna.L’anno successivo, associato con l’amico Mario Chiattone, aprì uno studio di architettura presso Milano, avvicinandosi al movimento futurista, probabilmente grazie agli inviti di Umberto

grado di sotto-tenente e guadagnò, nel 1916, la prima Medaglia d’Argento al valor militare.Era il 10 Ottobre, dello stesso anno, quando Sant’Elia, schierato col suo reparto nei pressi di Monfalcone, morì colpito alla fronte da un colpo di mitragliatrice, durante l’operazione d’assalto.Architetto di talento, firmatario del manifesto futurista, visionario utopi-sta, Antonio Sant’Elia, nei suo studi per una Città Nuova, mai realiz-zati, profetizzò lo sviluppo volumetrico architettonico delle metropoli avvenuto nel secolo successivo alla sua morte.

Boccioni e Carlo Carrà.Furono gli anni tra il 1912 e il 1914 che, influen-zato dallo sviluppo architettonico delle città industriali statunitensi e dallo stile degli architetti viennesi, quali Otto Wagner e Josef Maria Olbrich, Sant’Elia cominciò lo studio, attraverso una serie di abbozzati disegni, per una Città Nuova, che altro non era se non la visione utopica del capoluogo lombardo, in stile futurista. Gran parte dei quali venne esposta alla prima ed unica mostra del gruppo delle Nuove Tendenze, di cui era membro, nel 1914.Lo stesso anno, Sant’Elia, pubblicò il Manifesto dell’architettura futurista, rielaborando, in chiave architettonica, il Manifesto redatto da Marinetti cinque anni prima.Manifesto nel quale descrisse la sua visione utopica di città futura, estremamente industrializzata e meccanizzata, composta da un’enorme conurba-zione, un’agglomerato urbano di volumi, multi-livello, interconnessa ed integrata, disegnata attorno alla vita della città.Nonostante provasse approvazione verso il sociali-smo, all’avvenire del primo conflitto mondiale, in conformità con gli ideali del movimento futurista, si schierò sul fronte interventista, arruolandosi nel 1905 nel Regio Esercito Italiano, dove ottenne il

Antonio Sant’Elia

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Antonio Sant’Elia Grande centrale elettrica 1914 Antonio Sant’Elia Studio per complesso residenziale 1914

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«Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari; ma dei grandi alberghi, delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.»

Antonio Sant’Elia

L’architetto Antonio Sant’Elia abbozzò una serie di disegni riguardanti la Città nuova nei quattro anni che precedettero la sua morte sul campo di battaglia. Innovativi, audaci, razionali quanto avveneristici, iniziati all’alba della Grande Guerra, gli schizzi del visionario architetto comasco, raccontano la profetica visione della città che verrà.Un’utopia fatta di grattacieli, strade sopraelevate che entrano nelle case, appartamenti rientrati, ascensori esterni, imponenti blocchi volumetrici composti di ferro, cemento e vetro, che dominano una vita urbana all’insegna della velocità.Studio per la Città nuova fa parte di una numerosa raccolta di progetti, che illustrano edifici monumentali, iniziati nel 1909 e mai realizzati strutturalmente. Un corpus di altissima qualità

grafica sul paesaggio urbano, fatto di palazzi, centrali elettriche, porti e stazioni e immagini quasi profetiche delle megalopoli contemporanee, interpretato secondo il nuovo concetto di estetica futurista, inneggiante al traffico e al rumore.Maestose centrali elettriche composte da alte ciminiere, monumentali masse verticali che si ergono, analoghe ad un tempio antico, su un paesaggio industriale composto di imponenti mura e serbatoi. Utopiche installazioni prive di afunzio-nali ornamenti decorativi e orpelli, in chiara polemica alla tendenza architettonica dei primi anni del Novecento, schiacciata dal peso di un generico e diffuso eclettismo, dove predominava l’effetto decorativo tradizionale su quello funziona-le della struttura. Imponenti grattacieli, destinati ad abitazione che come grossi contenitori si innestano in un raccordo di passaggi coperti e scoperti, conlivelli stradali che prevedono differen-ti modalità di spostamento. Gli ascensori diventano corpi cilindrici esterni dalla forma affusolata e in quanto strutture funzionali, sono rigorosamente mostrati; non é contemplata, invece, la presenza di scale, sconsiderate obsolete e passatiste.La città del futuro, frutto della mente brillante di Sant’Elia, é (a livello ipotetico) abitata da un cittadino in continuo movimento del quale il

progettista deve tenere conto.Questi disegni delineano una completa accettazio-ne di un mondo di macchine ed un’abilità, dell’architetto, di realizzare e rappresentare simbolicamente questa accettazione in termini di semplici ed efficaci forme geometriche.Conturbanti strutture che si evolvono in verticale, volumi monolitici, che come ziqqurat, si stagliano sul paesaggio e dominano lo skyline urbano, come scenografie del regista Fritz Lang (nel film Metropolis del 1927).Tuttavia la natura utopica della Città nuova proget-tata da Sant’Elia, ne rendeva impossibile l’effettiva realizzazione a livello architettonico e urbanistico, ma questo non intacca il valore delle sue progetta-zioni.

«Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca.»

Antonio Sant’Elia

Città nuova

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«La prima cosa che ho visto nella mia vita sono stati i treni e le locomotive in corsa: le ho disegnate sin da quando avevo tre anni. Forse ne è conseguenza il fatto che l'osservazione del movimento mi stimola all'opera.»

Ernst Ludwig Kirchner

Ernst Ludwig Kirchner, nacque ad Aschaffen-burg nel 1880, studiò architettura alla Technische Hochscule di Dresda dal 1 901 al 1903 quando venne ammesso ai “Lehr- und Versuchs-Atelier für angewandte und freie Kunst” (Laboratori di insegnamento e di sperimentazione per l’arte appplicata e le belle arti) tenuti a Monaco da Wilhelm von Debschitz e Hermann Obrist. Nel 1904 tornò a Dresda per concludere gli studi di architettura, diplomandosi nel 1905. In quello stesso anno fondò con Fritz Bleyl, Erich Heckel e Kari Schmidt-Rottluff il gruppo di artisti Die Brücke (il Ponte), cui si unirono nel 1906 Max Pechstein ed Emil Nolde. Nel 1910 Kirchner aderì alla Nuova Secessione di Berlino e nel 1911 si trasferì nella capitale tedesca dove fondò con Pechstein l’istituto “Moderner Unterricht in

Malerei” (insegnamento moderno della pittura) che non ebbe, tuttavia, grande successo. Negli anni precedenti l’artista aveva cercato un contatto diretto e stringente con la natura, effettuando ripetuti soggiorni nell’isola di Fehmarn nel mar Baltico. D’altra parte, Kirchner, sentiva molto forte il ritmo della città moderna che allo stesso tempo lo attraeva e spaventava. Nella sua pittura i due temi si incontrano e a volte si scontrano, esemplificando bene qual è il suo stato d’animo. Tutto questo si ripercosse profondamente in lui, soprattutto dopo la fine del Die Brücke nel 1911, innescando nel pittore una profonda crisi esistenziale, che esplose durante i primi mesi di ferma militare (si arruolò come volontario nel 1914) e che lo portarono, su sollecitazione degli amici, al ricovero nel sanatorio di Davos in Svizzera nel 1917. A Davos restò poi per il resto dei suoi giorni, minato dalla crisi esistenziale che nel 1938 lo portò al suicidio.

Erns Ludwig Kircher Autoritratto malato 1931

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Ernst Ludwig Kirchner Potsdamer Platz 1914 Ernst Ludwig Kirchner Cinque donne per strada 1913

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«...Se non si fosse soli, così soli. Se non si fosse i soli a morire in questa città. Se ci fosse qualcuno, uno almeno, almeno un altro. Per avere meno paura. Per avere paura insieme.»

Ernst Ludwig Kirchner

Le opere di Kirchner, dipinte durante il periodo berlinese, ritraggono le vie e le piazze della città di Berlino,il primitivismo che si riflette bene nelle sue opere, é un vero lume della pittura espressionistica di inizio novecento.In Potsdamer Paltz (figura a sinistra), l’autore, ritrae due figure femminili, alte e magre, con il volto coperto da bizzarri cappelli, che procedono spedite, e indifferenti l’una all’altra, in due direzio-ni diverse. I loro passi sembrano incrociarsi, mentre non succede lo stesso con i loro sguardi. Chiuse ciascuna nel proprio isolamento, le due donne si ignorano e Kirchner mette perfettamente a fuoco questo comportamento di separatezza e indifferenza, anche, “rinchiudendo” sotto la veletta del cappello, come una sorta di gabbia, il volto della donna di sinistra, volto che rimanda alle maschere africane di tempi passati. La piazza é dominata da personaggi che non interagiscono,

che non stabiliscono nessun dialogo tra loro.Un’altra opera nella quale il pittore, con abile maestria, rappresenta la folla berlinese é Cinque donne per strada (figura a destra). Le donne, probabilmente prostitute, sono vestite di nero e blu scuro, hanno un aspetto severo, inquietante e malinconico.Lo sfondo non esiste, il mondo non c’è, solo quelle donne rappresentano il nostro pianeta in una visione sconfortante e cinica della vita.La fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, che porterà in europa guerra e distruzione, si riscon-trano bene nei suoi quadri, con figure taglienti e rapide pennellate nervose, dotate di rabbia e incertezza.Nei due quadri emerge l’abilità di Kirchner nel rappresentare la solitudine che vige tra la folla, una delle “malattie” più tipiche della metropoli.Studiando ogni dettaglio formale e cromatico, Kirchner, riesce a trasmettere una sensazione di malessere quasi palpabile. Le sue composizioni rappresentano ambienti urbani fatti di edifici, marciapiedi e persone, nelle quali la violenza cromatica aggredisce lo spettatore.Toccando il tema della solitudine, attraverso la contrapposizione di forme e l’utilizzo di dissonan-za cromatiche, Ernst Ludwig Kirchner, rappresen-

ta la vita della città, in perfetta aderenza allo stile espressionista del Die Brücke, di cui é considerato il massimo esponente, le visioni del maestro differiscono dalle rappresentazioni delle festose boulevard parigine dipinte dagli impressionisti.All’alba dello scoppio del Primo Conflitto Mondia-le, Kirchner, come quasi tutti gli artisti dell’epoca, respirò e riprodusse la tragica atmosfera dell’imminente catastrofe.

«Il peso più grande di tutti è la pressione della guerra e la superficialità in aumento. Mi dà continuamente l'impressione di un carnevale di sangue. Mi sento come se il risultato fosse nell'aria e tutto fosse sottosopra... e così tutto il resto, continuo a cercare di ottenere un qualche ordine nei miei pensieri e creare un quadro come nell'età di confusione, che è dopo tutto la mia funzione.»

Ernst Ludwig Kirchner

Le strade di Berlino

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«Non si può non comunicare.»

Paul Watzlawick

Il linguaggio del corpo ha interessato numerosi ambiti, fra i quali quello artistico, dal cinema all’arte. I pionieri del linguaggio del corpo come mezzo per comunicare sullo schermo furono, intorno agli anni venti del Novecento, gli attori del cinema muto.In questo genere cinematografico, i protagonisti riuscivano a trasmettere emozioni e sentimenti al pubblico usando solamente gesti e segnali corporei, ovvero tutto ciò che oggi rientra sotto il concetto di Comunicazione Non Verbale.Tra questi, Charlie Chaplin é indubbiamente la figura più rappresentativa e, talvolta, di rottura rispetto agli orientamenti politici in auge, si pensi al noto film Il Grande Dittatore con il quale riuscì a trattare, in chiave satirica, lo scottante tema della comunicazione dei dittatori verso la massa.Nell’ambito della comunicazione non verbale, é noto come l’essere umano comunichi mediante una serie di canali ad essa predisposti. Di essi si sono occupate, in particolare, le discipline della

cinesica e della prossemica.La cinesica, nello specifico, si occupa di studiare il movimento e le posizioni del corpo, dei gesti effettuati con una o più parti del corpo, la mimica facciale e la postura. La cinesica si occupa quindi di analizzare le parti del corpo, sia nella individual-mente che in relazione, affini alla Comunicazione Non Verbale, come le mani, la testa, il viso, gli occhi, la bocca.La prossemica, invece, si occupa di esaminare le posizioni che assume il corpo nello spazio rispetto agli altri, quindi l’orientamento e la distanza.Orientamento e distanza dipendono dalla tipologia di relazione tra gli interlocutori su quattro gradi di coinvolgimento (in ordine crescente, distanza intima, personale, sociale e pubblica), tuttavia le distanze talvolta dipendono e sono obbligate dalla situazione contingente in cui si trovano gli interlo-cutori o dalla cultura di appartenenza.Grazie alle ricerche di tali discipline, gli studiosi, hanno individuato i cinque canali attraverso i quali avviene la Comunicazione Non Verbale:Le spressioni facciali del volto, hanno la funzione di comunicare le emozioni, gli atteggiamenti verso gli altri e di sostenere il discorso, interferendo con il linguaggio e inviando un feedback all’interlocutore.

Lo sguardo,volontario o involontario, é in grado di comunicare il contatto diretto con l’interlocutore determinando diversi stati emotivi.I gesti e gli altri movimenti del corpo, durante l’interazione, assolvono diverse funzioni in relazione ai messaggi verbali e agli stati emotivi, differenziandosi a loro volta in gesti emblematici, illustratori, regolatori dell’interazione, indicatori dello stato emotivo, di attamento.Il comportamento spaziale, cioé l’insieme dei movimenti del corpo nell’ambiente fisico, la distanza che una persona tende a stabilire tra sé e gli altri, la sua postura, che contribuiscono ad una migliore comprensione di alcuni aspetti della personalità, degli stati emotivi e degli atteggiamen-ti, ma anche dei condizionamenti culturali e sociali.La voce, in quanto canale rivelatorio degli stati emotivi e degli atteggiamenti interpersonali, variando per tono, volume, accento e velocità.

Paul Watzlawick

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Charlie Chaplin scena tratta dal film “City Lights”

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«Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L'animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.»

Charlie Chaplin

Il film, Luci della città (City Lights), interpretato e diretto da Charlie Chaplin uscì per la prima volta nelle sale cinematografiche nel 1931.La pellicola é considerata, a buon diritto, il capola-voro del regista americano. Nel lungometraggio, Chaplin, veste nei panni di Charlot, il ruolo di un clochard, un vagabondo abitante della città di Pace e Prosperità. Charlot, povero vagabondo dall'ani-mo sensibile e pieno di generose aspirazioni, acquista una rosa da una giovane fioraia cieca che per un equivoco lo scambia per un milionario. Vagabondando per la città, Charlot arriva sul molo dove salva dal suicidio un vero milionario, in vena di generosità solo quando è ubriaco. Deciso ad aiutare la fioraia di cui si è innamorato, bisognosa di una costosa operazione chirurgica che le potreb-be restituire la vista, Charlot fa mille mestieri tra i

quali lo spazzino e il pugile, prima di reincontrare il milionario da cui riceve finalmente il denaro sufficiente per l’operazione. Nonostante la divertente comicità, tipica di Chaplin, il finale ha un sapore malinconico. Charlot infatti è finito per un equivoco in prigione e dopo un anno ritrova la ragazza guarita e ora proprietaria di un negozio di fiori, che lo riconosce solo nel momento in cui gli prende la mano per fargli l’elemosina.Affrontando ancora i temi della solitudine e dell'illusione, il film, è tuttavia un inno alla vita e alla sua bellezza, che mette perfettamente a fuoco i comportamenti caratteristici di chi abita la città. Ciò che sembra solo un sottofondo di passeggeri distratti, un contorno alle vicende del protagonista, mette in chiara luce come ci si possa sentire soli anche in mezzo a molta gente. Attraverso un magistrale utilizzo della pantomima1, l’interprete riesce a trasmettere allo spettatore il susseguirsi di emozioni ambivalenti, quali la rabbia e la gioia, la felicità e il dolore, la tristezza e l’allegria. Il cinema di Chaplin, infatti, rappresenta per eccellenza, attraverso un’atmosfera tragicomica, le vicissitudi-ni alterne della vita.

1 Pantomima: Azione scenica compiuta dai semplici gesti degli attori (Dizionario Zanichelli).

Charlie Chaplin scena dal film “City Lights”

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licenza liceale, nel 1941, si iscrisse alla facoltà di Agraria dell’Università di Torino. Dopo l‘8 Settembre del ‘43, Calvino si astenette all’aruolamento forzato nell‘esercito fascista. Nel 1944 si arruolò come partigiano della “Brigata di Garibaldi” sulle Alpi Marittime. Dopo la liberazio-ne, aderì al Partito Comunista Italiano, collaborò alla stesura di giornali e riviste e, usufruendo dei vantaggi concessi ai reduci, si iscrisse al terzo anno della Facoltà di lettere di Torino, dove nel 1947 si laureò con una tesi su Joseph Conrad. Lo stesso anno partecipò al premio Mondadori con Sentiero dei nidi di ragno, dove grazie ad una amicizia con Pavese, esordì come scrittore. Dopo una scalata professionale all’interno della casa editrice Einaudi, nel 1957 pubblicò Il barone rampante e nel ‘59 Il cavaliere inesistente. Il 19 Febbraio 1964 a L’Avana sposò Chichita. Nel ‘67 si trasferì con la famiglia a Parigi dove restò fino al 1980. Nel 1972 pubblica Le città invisibili. Dopo Parigi, si trasferì con la famiglia a Roma e l’anno dopo, nel 1981, ricevette la Legion d’onore. Giunto alla fine di una vita piena, spesa a

viaggiare e scrivere, il 6 Settembre 1985 venne colpito da un attacco di ischemia. Morì all’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena, la notte tra il 18 e il 19 a causa di una emorragia cerebra-le.

Italo Giovanni Calvino Mameli nacque a Santiago de Las Vegas, presso L’Avana, il 15 Ottobre 1923. Il padre, Mario, era un agronomo sanremese, la madre, Evelina Mameli, di origine sassarese, laureata in scienze naturali era assistente botanica all‘Università di Pavia. Era lo stesso Calvino a descrivere i suo genitori come due figure austere, rigide e severe. Nel 1925, la famiglia Calvino fece ritorno in Italia, dove visse tra la Villa Meridiana e la campagna avita di San Giovanni Battista. Il padre dirigeva una stazione sperimentale di floricoltura. I genitori di Calvino erano scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori, dediti agli studi scientifici, cosi’ come gli altri suoi familiari. Egli tendeva a definirsi come la pecora nera, poiché l’unico letterato della famiglia. Nel 1927 frequentò l’asilo infantile al St. George College; lo stesso anno nacque il fratello Floriano, futuro geologo di fama mondiale. Dal 1929 al 1933 frequentò le Scuole Valdesi. Nel 1934, superato l’esame di ammissione, frequentò il ginnasio-liceo G.D. Cassini. Scoprì il piacere della lettura, a dodici anni, con Kipling, il primo e il secondo libro della giungla. Oltre ad opere lettera-rie, il giovane Italo leggeva con interesse le riviste umoristiche, attratto dallo “spirito d’ironia”, tanto lontano dalla retorica del regime. Conseguita la

Italo Calvino

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Kublai Khan ritratto del 1294 d.C. Marco Polo XVI secolo

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«Che cos’è oggi la citta’ per noi?Penso di aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle citta’, nel momento in cui diventa sempre piu’ difficile viverle come citta’.»

Italo Calvino

Laprima edizione delle Città invisibili fu pubbli-cata nel 1972.Nel romanzo non si trovano città riconoscibili, nascono tutte dalla mente di Italo Calvino, il quale attribuisce a ciascuna nomi femminili che rimanda-no ad un’era antica di splendore.Attraverso la tecnica della letteratura combinato-ria, l’autore, crea un opera composta di brevi capitoli, ognuno dei quali offre uno spunto di riflessione che vale per ogni città o per la città in genere.Il protagonista del romanzo é lo storico viaggiatore Marco Polo che, giunto alla corte dell’imperatore dei tartari, Kublai Khan1, fornisce una serie di relazioni di viaggio al Sovrano, descrivendo le 163 città toccate dai suoi viaggi all’interno dell’impero.Divise in nove capitoli intervallati da dialoghi tra l’esploratore e il Sovrano, le descrizioni si dividono

scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città. Città che, secondo l’autore, sono l’insieme di tante cose, di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio, città che sono luoghi di scambio, non soltanto merceologico, ma di parole, di desideri, di ricordi.

«Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura.»

Italo Calvino

1 Kublai Khan, discendente di Gengis Khan, imperatore dei Mongoli, ma che Marco Polo chiama nel suo libro Gran Khan dei Tartari.

in undici gruppi di cinque città, che definiscono il punto di vista dai quali sono descritte, ovvero: le città e la memoria, le città e il desiderio, le città e i segni, le città sottili, le città e gli scambi, le città e gli occhi, le città e il nome, le città e i morti, le città e il cielo, le città continue, le città nascoste. Curiosa la scelta di Calvino di alternare al narratore esterno dei dialoghi, il narratore interno (Marco Polo) delle descrizioni.Nelle narrazioni delle sue città, Marco Polo, parla di coloro che le hanno costruite, della forma architettonica che hanno assunto, delle relazioni tra i loro abitanti; città inesistenti, se non nella mente del viaggiatore veneziano, che descrivendo-le sia loro complessità che nei minimi particolari, guarda dove altri non guardano, verso dettagli che ad altri paiono invisibili.Un melanconico imperatore, consapevole che la sterminatezza dei suoi domini conta ben poco in un mondo in rovina, ascolta estasiato i dispacci di un viaggiatore visionario che racconta di città impossi-bili.Descrizioni di utopie che non evocano una sempli-ce riflessione atemporale sulla città, ma un ottimo spunto di riflessione sulla città moderna in partico-lare.Ciò che sta a cuore, al Marco Polo di Calvino, é

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«Il sogno è l'infinita ombra del vero.»

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli, nacque il 31 Dicembre 1855, a S.Mauro di Romagna. Il padre, amministratore della tenuta Torlonia, grazie al suo impiego permise alla famiglia di vivere in maniera agiata e ai figli di poter studiare. Passò l’infanzia in campa-gna, esperienza decisiva, durante la quale prese forma la sua sensibilità e la sua attenzione verso la natura.Il 10 Agosto 1867, Giovanni aveva undici anni, era il giorno in cui il padre venne assassinato. La tragedia sconvolse la famiglia, che abbandonò la casa in campagna per trasferirsi nella casa materna a S. Mauro. Indelebile nella mente del poeta questo tragico evento, dove vittima era la famiglia, come una nidiata cacciata dal prorpio riparo e resa orfana dalla cattiveria del mondo. L’anno dopo rimase orfano anche di madre, insieme ai sei fratelli. Frequentò il liceo a Rimini e poi a Firenze. Nel 1873 vinse una borsa di studio dell’Universita’ di Bologna.Seguirono anni segnati da lutti e gravi problemi

economici. Pascoli partecipò alle agitazioni sociali-ste e diventa un attivo sostenitore del partito; la sua attività politica gli costò alcuni mesi di carcere.Conseguita la laurea in lettere nel 1882, intraprese la carriera di insegnate, lavoro che gli permise di acquistare casa a Castelvecchio in Garfagnana e riavvicinare a sè le due sorelle, Ida e Maria, per ricostruire con loro il vecchio nucleo familiare, il nido.La serenita ritrovata, l’idillio del nido ricostruito, venne turbata dalle nozze della sorella Ida, che il poeta visse come un tradimento.Nel 1895 venne nominato professore di grammati-ca greca e latina presso l’Università di Bologna, insegnò poi a Pisa e a Messina. Nel 1905 divenne successore del suo maestro, Carducci, a Bologna, nella cattedra di letteratura italiana.Il 6 Aprile 1912, già malato di cirrosi epatica, si spense a Bologna, a causa di un cancro al fegato, all’età di cinquantasei anni.La formazione di Pascoli avvenne nel posistivismo ma il suo itinerario poetico si sviluppò dal Naturali-smo al Simbolismo. Poeta del quotidiano, cantore dei sentimenti, vate delle piccole cose, Giovanni Pascoli fu un intelletuale italiano il cui operato aprí le strade alla nuova poetica del ‘900.

Giovanni Pascoli

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William Turner Ulisse deride Polifemo 1829 Annibale Carracci L’ira di Polifemo affresco del Palazzo Farnese di Roma 1600 circa

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Pascoli, autore dell’opera L’ultimo Viaggio, facente parte della raccolta Poemi Conviviali, del 1904, scrive rifacendosi al poema dell’Odissea, una sorta di “sequel” dell’opera omerica.Il maestro vuole raccontare un viaggio, l’ultimo viaggio compiuto da Ulisse, che ormai vecchio, decide di ripercorrere, ritrovare, riscoprire i luoghi mitici, utopici, del viaggio compiuto nell’Odissea.L’ambiziosa opera, che porta l’autore italiano al paragone, al confronto diretto con il poeta greco Omero, autore dei massimi poemi epici della letteratura antica, ovvero l’Odissea e L’Iliade.Il poeta vuole raccontare come Ulisse, compiendo questo nuovo viaggio, si renda conto dell’evanescenza del viaggio odisseico; rivisitando quei luoghi, Ulisse, scopre l’angosciosa realta’: quei luoghi erano solo frutto della sua mente, inesistenti, inverosimili, assurdi, paradossali.E’ come se Pascoli attraverso quest’opera, attraver-so il viaggio rivelatorio di Ulisse, volesse svelare l’inesistenza del mito, nessun viaggio fantastico, se non quello dell’immaginazione, nessuna meta ideale, nessuna utopia.

che aveva solo un occhio tondo, in fronte,come uno scudo bronzeo, come il sole,acceso, vuoto. Verga un pino gli era,e gli era il sommo d'un gran monte, pietrada fionda, e in mare li scagliava, e tuttobombiva il mare al loro piombar giù...Ed il pastore, tra i suoi pastorelli,pensava, e disse all'altocinta moglie:Non forse è questo che dicea tuo padre?Che un savio c'era, uomo assai buono e grandeper qui, Telemo Eurymide, che vecchiodicea che in mare piovea pietre, un tempo,sì, da quel monte, che tra gli altri montiera più grande; e che s'udian rimbombinell'alta notte, e che appariva un occhionella sua cima, un tondo occhio di fuoco...Ed al pastore chiese il moltaccorto:E l'occhio a lui chi trivellò notturno?Ed il pastore ad Odisseo rispose:Al monte? l'occhio? trivellò? Nessuno.Ma nulla io vidi, e niente udii. Per naveci vien talvolta, e non altronde, il male.Disse: e dal fondo Iro avanzò, che disse:Tu non hai che fanciulli per aiuto.Prendi me, ben sì vecchio, ma nessunoveloce ha il piede più di me, se debbocercar l'agnello o rintracciare il becco.

Canto XX, La gloria

E l'uomo entrò, ma l'altocinta donnagli venne incontro, e lo seguiano i figlimolti, e le molte pecore e le caprel'una all'altra addossate erano impaccio,per arrivare ai piccoli. E infinitoera il belato, e l'alte grida, e il fischio.Ma in breve tacque il gemito, e ciascunosuggea scodinzolando la sua poppa.E l'uomo vide il vecchio Eroe che in cuoremeravigliava ch'egli fosse un uomo;e gli parlò con le parole alate:Ospite, mangia. Assai per te ne abbiamo.Ed al pastore il vecchio Eroe rispose:Ospite, dimmi. Io venni di lontano,molto lontano; eppur io già, dal cantod'erranti aedi, conoscea quest'antro.Io sapea d'un enorme uomo giganteche vivea tra infinite greggie bianche,selvaggiamente, qui su i monti, solocome un gran picco; con un occhio tondo...Ed il pastore al vecchio Eroe rispose:Venni di dentro terra, io, da molt'anni;e nulla seppi d'uomini giganti.E l'Eroe riprendeva, ed i fanciulligli erano attorno, del pastore, attenti:

La gloria e il vero

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Per chi non ebbe un tetto mai, pastore,quest'antro è buono. Io ti sarò garzone.

Nella poesia sopra citata, ossia la numero venti, dell’opera pascoliana, intitolata la gloria, Ulisse tenta di ripercorrere la vicenda del ciclope Polifemo.Giunto sul luogo, incontra un anziano pastore, domanda a lui del giagante con un occhio solo, che scagliava in mare grosse pietre. Dopo la breve conversazione, Ulisse scopre che il gigante con un solo occhio in fronte altro non è se non un monte, con al centro un enorme “occhio” di fuoco, un vulcano, che eruttando scagliava grosse pietre nel mare.Scoprendo la verità, l’inesistenza del mito, muore l’utopia di questo luogo.

Canto XXIII, Il vero

Ed il prato fiorito era nel mare,nel mare liscio come un cielo; e il cantonon risonava delle due Sirene,ancora, perché il prato era lontano.E il vecchio Eroe sentì che una sommessa

E su la calma immobile del mare,alta e sicura egli inalzò la voce.Son io! Son io, che torno per sapere!Ché molto io vidi, come voi vedeteme. Sì; ma tutto ch'io guardai nel mondo,mi riguardò; mi domandò: Chi sono?E la corrente rapida e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E il Vecchio vide un grande mucchio d'ossad'uomini, e pelli raggrinzate intorno,presso le due Sirene, immobilmentestese sul lido, simili a due scogli.Vedo. Sia pure. Questo duro ossamecresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,prima ch'io muoia, a ciò ch'io sia vissuto!E la corrente rapida e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E s'ergean su la nave alte le fronti,con gli occhi fissi, delle due Sirene.Solo mi resta un attimo. Vi prego!Ditemi almeno chi sono io! chi ero!E tra i due scogli si spezzò la nave.

In questo canto, l’ultimo dell’opera, ossia il ventitreesimo intotalato il vero l’Ulisse pascoliano,

forza, corrente sotto il mare calmo,spingea la nave verso le Sirenee disse agli altri d'inalzare i remi:La nave corre ora da sé, compagni!Non turbi il rombo del remeggio i cantidelle Sirene. Ormai le udremo. Il cantoplacidi udite, il braccio su lo scalmo.E la corrente tacita e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E il divino Odisseo vide alla puntadell'isola fiorita le Sirene,stese tra i fiori, con il capo erettosu gli ozïosi cubiti, guardandoil mare calmo avanti sé, guardandoil roseo sole che sorgea di contro;guardando immote; e la lor ombra lungadietro rigava l'isola dei fiori.Dormite? L'alba già passò. Già gli occhivi cerca il sole tra le ciglia molli.Sirene, io sono ancora quel mortaleche v'ascoltò, ma non poté sostare.E la corrente tacita e soavepiù sempre avanti sospingea la nave.E il vecchio vide che le due Sirene,le ciglia alzate su le due pupille,avanti sé miravano, nel solefisse, od in lui, nella sua nave nera.

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giunge ora nel luogo dove, in compagnia del suo equipaggio, fece l’incontro delle sirene.Giunto sul posto, Ulisse, pone loro diverse doman-de riguardo l’esistenza: «Chi sono? Per cosa ho vissuto?!», domante che nn trovarono alcuna risposta.Le sirene si rivelano quindi per la loro reale entità di faraglioni, un miraggio, un’ultima illusione che per il viaggiatore omerico, questa volta, si rivelerà fatale, appunto, a causa di tali scogli contro i quali la nave di Ulisse finirà per abbatersi.Con quest’ultima paoesia, Pascoli, non “uccide” solo l’utopia, il mito omerico delle sirene, ma anche Odisseo, L’Ulisse emblematico dei miti ellenici, come per rivelare che non vi é alcun mito su questa terra, non vi é utopia che non sia sinoni-mo anche di menzogna e illusione.

Herbert James Draper Ulisse e le sirene 1909

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Gabriele Basilico nasce a Milano nel 1944, fotografo di fama internazionale, é noto per le sue ricerche sul paesaggio urbano.Nel 1973 si laurea come architetto al Politecnico di Milano, già viva in lui la passione per la fotografia, con particolare predilezione verso soggetti urbani, città e strutture. Nel 1983 realizza la sua prima mostra fotografica: Milano, ritratti di fabbriche, un lavoro condotto nella periferia ex-industriale di Milano, tra il 1978 e il 1980. É l’unico italiano invitato dal governo francese a partecipare alla Mission Photographique de la D.A.T.A.R., ossia la più vasta e articolata campagna fotografica realizza-

dagli stessi punti di osservazione del lavoro condotto nel ‘91. Nel 2007 partecipa alla cinquan-taduesima edizione della Biennale Internazionale d’Arte di Venenzia, presentando una selezione di scatti fotografici del lavoro condotto a Beirut. Sempre quest’anno, inizia un lavoro di documenta-zione sulle torri staliniane a Mosca, scatti che verranno poi raccolti nel folder Mosca Orizzontale. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni internazionali pubbliche e private e il suo lavoro é stato esposto presso musei e istituzioni, gallerie private italiane ed europee.

ta in Europa in tutto il XX secolo, durata dal 1983 al 1988. Due anni più tardi, grazie alla mostra Porti di mare, riceve il Prix Mois de la Photo. Alla VI mostra di Architettura della Biennale di Venezia, riceve il premio Osella d’oro per la fotografia di architettura contemporanea. Il tema dell’identità della città tra preesistenza storica e sviluppo contemporaneo, tra distruzione e ricostruzione postbellica, tra utopia urbanistica e cantiere per il futuro, é, tra gli altri, ben rappresen-tato dal lavoro sulla città di Berlino del 2000. Nel 2003 ritorna a Beirut, dove fotografa per la rivista Domus la parte centrale della città, ora ricostruita,

Gabriele Basilico

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Gabriele Basilico Beirut 1991

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«La città é il teatro dove si svolge il ritmo dell’attività urbana.»

Gabriele Basilico

La fotografia di Basilico insiste nel tempo e nel metodo quanto é necessario per diventare compiu-ta esperienza, trascende il campo urbano dello sviluppo industriale, dotato di vita e al quale sono legate emozioni ed affetti, per considerarne le parti o l’insieme cercando di non fermarsi semplicemen-te a guardarlo ma tentare di comprenderlo.Attraverso immagini “metafisiche” che rimandano ai paesaggi neorealisti di un De Chirico, dove regna un clima fuori dalla dimensione temporale, Basilico tenta “romanticamente” l’impresa di rappresentare il mondo, grazie anche ad una lentezza nello sguardo che gli permette di cogliere i più minimi particolari.Il fotografo milanese nelle sue fotografie, mette a fuoco la malinconia e l’instancabile sviluppo caratteristico del paesaggio urbano, le città fotografate sembrano prive di quella vita, quel ritmo, quel movimento che le percorre costante-mente, per diventare ieratiche e monumentali

realizzazioni dell’ingegno umano.Basilico tende, quindi, a sacralizzare il risultato del lavoro umano, le strutture, gli edifici, il costrutito, il paesaggio creato (o distrutto) dall’uomo, piuttosto che l’uomo stesso.

«É certo che io faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza estetica della “visione”. In questo senso io sono pienamente fotografo. Ma é anche vero che la fotografia, e non solo come linguaggio, é entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte. Sono convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica é un’idea troppo riduttiva: una cosa é usare la fotografia come linguaggio per comunicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’istallazione), un’altra cosa é pensare “fotograficamente”, interprentandola, la realtà.»

Gabriele Basilico

Gabriele Basilico Modena Cimitero di San Cataldo 2007

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«Ricordo il giorno in cui sono arrivato. Malgrado fosse pomeriggio era tutto buio. Ho comunque chiesto di fare subito un giro per la città. C’era un silenzio profondo e ogni tanto il rumore dei generatori elettrici di qualche albergo. Si vedevano i contorni degli edifici. Era una specie di cimitero imponente.»

Gabriele Basilico

Gabriele Basilico realizza nel 1991 una serie di scatti fotografici della

città di Beirut, coinvolto dalla scrittrice libanese Dominique

Eddé.Il progetto aveva come

obiettivo la documen-tazione fotografica

dell’area centrale della città.

Il lavoro era

Gli scatti di Basilico mettono perfettamente a fuoco quella che é la realtà tragica della distruzione provocata dalla guerra, scorci toccanti di una metropoli senza vita, visioni apparentemente fuori dal mondo di una città resa in macerie dall’irrazionale violenza umana, una città uccisa dal suo creatore, un’utopia ormai distrutta o una “distopia”1 infernale perfettamente compiuta.

1 Considerando l’utopia come luogo ipotetico dove regna benessere e felicità, la distopia é, d’altro canto, sempre un luogo ipotetico ed inesistente ma di tipo infernale e invivibile, dove regna malessere e infelicità.

stato pensato per un gruppo di fotografi le cui esperienze si sarebbero liberamente incrociate, tra i quali lo stesso Basilico. L’area topografica individuata era uguale per tutti. La parte centrale della città limitata a nord dal mare, a sud dalla tangenziale chiamata Ring, a est dal quartiere cristiano e a ovest da un quartiere misto. Non si trattava di realizzare un reportage o di produrre un inventario, bensì di comporre uno “stato delle cose”, un’esperienza diretta del luogo affidata ad una libera interpretazione, in un momento delicatissimo e irripetibile della storia di Beirut, quale la fine, nel 1990, di un’estenuante guerra iniziata quindici anni prima (13 aprile 1973), e l’attesa di una ricostruzione annunciata.Il risultato è un documento fotografico che propone una riflessione su ciò che resta di una città dopo il conflitto bellico e che si appresta a “ricominciare”. L’occhio del fotografo ritrae i luoghi con discrezio-ne e rispetto, con uno sguardo chiaro e preciso e con una attenzione al dettaglio che rivela la formazione architettonica dell’artista milanese.Basilico infatti mette a fuoco il tema della distruzio-ne, la distruzione di Beirut, o di una città in genere, la furia distruttiva dell’essere che riduce in rovina anche ciò di cui è creatore.

Beirut

Gabriele Basilico Beirut 1991

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Gabriele Basilico Beirut 1991

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Antonio Sant’Elia Stazione

Antonio Sant’Elia Bozzetto per Città Nuova

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letteratura inglese L’Utopia di Thomas MoreThomas More, ideatore del termine e del concetto di Utopia, é l’autore dell’opera letterario-filosofica L’Utopia. Era un politico, intellettuale ed umanista inglese nel ‘500, durante il regno di Enrico VIII e il periodo della riforma luterana. More nella sua opera, originariamente scritta in latino aulico nel 1516, poi tradotta in lingua inglese, narra di un ipotetico dialogo con un viaggiatore, il quale descrive un’isola immaginaria dominata da una realtà sociale che é l’opposto di quella inglese del sedicesimo secolo. Nell’isola di Utopia, pensata da More, il concetto di proprietà privata é inesistente.

storia dell’arte La Cittá futurista di Antonio Sant’Elia e La Berlino di Ernst Ludwig KirchnerLa visione utopica di un uomo, un architetto, che con i suoi disegni profetizzò la città del futuro, Antonio Sant’Elia. Una città composta da immensi volumi, edifici monumentali, spazi abitativi estremamente funzionali, il tutto attraverso i nuovi ideali dettati dal manifesto futurista, della quale, Sant’Elia é firmatario. Differisce la visione di Ernst Ludwig Kirchner, che con i suoi dipinti esprime enfaticamente la realta dei rapporti interpersonali degli abitanti di Berlino, la muta indifferen-za reciproca che si stabilisce tra loro.

psicologia Le Luci della cittá di Charlie Chaplin (analisi della comunicazione non verbale)Charlie Chaplin, regista e protagonista del film le Luci della città, capolavoro cinematografico, girato nel 1931 prima dell’avvento del sonoro e del colore. Attraverso il suo tipico umorismo tragicomico, Chaplin, racconta attraverso la sua pellicola la vicenda di un uomo e della vita in genere all’interno di una metropoli, le relazioni interpersona-li, la comunicazione non verbale, singolare ed usuale che si sviluppa tra gli interlocutori di questo grande contenitore di persone, che é la città.

letteratura italiana Le Cittá invisibili di Italo Calvino e L’Ultimo viaggio di Giovanni PascoliItalo Giovanni Calvino Mameli, é stato uno scrittore italiano, intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, autore del romanzo Le città invisibili. Protagonista del romanzo é Marco Polo che, alla corte di Kublai Khan, descrive le città che vengono toccate dai suoi viaggi. Queste città però esistono solo nella mente del viaggiatore veneziano: Marco Polo infatti le descrive sia nell’insieme che nei particolari, sempre guardando dove tutti gli altri non guardano, verso dettagli che ad altri paiono invisibili. L’ultimo viaggio di Giovanni Pascoli, opera che si proprone come una sorta di sequel-rivelazione all’Odissea. Pascoli immagina un secondo viaggio compiuto da Ulisse, che ripercorrendo i luoghi mitici dell’Odissea, tragicamente scopre la nuda finzione, l’immaginazione che vi si nascondeva, “uccidendo” il mito e l’utopia dei luoghi omerici.

storia della fotografia Il Paesaggio urbano secondo Gabriele BasilicoGabriele Basilico, fotografo milanese contemporaneo. Dopo gli studi in architettura inizia la professione di fotografo dedicandosi alla fotografia di paesaggio e più in particolare alla fotografia di architettura. Lavora per lo più con banco ottico e pellicole in bianco e nero. Celebre il suo lavoro su Beirut, fotografata dopo la guerra. Gli scatti di Basilico mettono perfettamente a fuoco quelle che é la realtà tragica della distruzione della guerra, scorgi toccanti, visioni fuori dal mondo, di una città in macerie a causa dell’irrazionale violenza umana, una città uccisa, un’utopia ormai distrutta.

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«L'utopia è come l'orizzonte:irraggiungibile, ma serve per continuare a camminare.»

Eduardo Huges Galeano

Per concludere la trattazione a sostegno della tesi, forse non immediatamente deducibile, quale: la visione della città, un agglomerato di spazi, edifici, oggetti e persone, come risultato della continua tensione dell’ingegno umano verso l’utopia.Città come utopia del costruito, concetto paradossalmente contrapposto al significato di utopia stessa, in quanto non-luogo, ma adattato alla concezione di utopia come ideale, come orizzonte, come forza propulsiva che spinge il genere umano alla creazione di un mondo migliore.Che se non vi é nella città un completo raggiun-gimento di tale scopo, vi é in essa senza dubbio un primo passo in direzione “dell’isola di Utopia” (ovvero dell’utopia stessa).Menti brillanti, liberi pensatori, personaggi

dell’opera omerica, per mettere in luce che l’uomo non si capacita solo ed esclusivamente della creazione di utopie mentali o città costruite ma le distrugge anche, come tragicamente visibile neglie scatti alla città di Beirut fatti da Gabriele Basilico, un’utopia distrutta dal suo stesso creatore, una città resa in rovina dalla distruzione della guerra, un sogno distrutto dalla follia del genere umano.In queste pagine, ambiziosamente é stato trattato il tema dell’utopia, perché forse proprio tale concetto, così astratto nella sua concretezza ma così concreto nella mente, come ragione di fondo di ogni azione umana, ogni uomo ha in cuor suo un mondo ideale nel quale vorrebbe vivere ed ogni sua azione é tesa alla realizzazione di tale realtà, che così fortemente soggettiva, non potrebbe mai essere univocamente accetta-ta, quindi destinata a rimanere sempre e solo un’utopia.

geniali, hanno rivolto pensieri e riflessioni alla città e all’utopia, pensieri rilevanti, degni di nota, anche se talvolta fortemente soggettivi e personali.Partendo da Thomas More, che potrebbe ssere considerato come il “padre” dell’utopia, la trattazione si é evoluta in direzione dei pensieri, dei progetti e delle opere di altri geni, come la visione della Città Nuova di Sant’Elia fortemen-te utopica al suo tempo, ma una visone profetica della metropoli contemporanea, per passare poi ad una visione introspettiva della città stessa come nelle opere di Kirchner dove emerge la realtà della solitudine tra la folla, tipica dell’ambiente urbano, tipico comportamento degli abitanti della città; pur non dialogando tra loro essi comunicano, anche solo di non voler comunicare, come sostenuto dal primo assioma della comunicazione di Watzalwich. Ecco come la città possa prendere essa stessa la forma di non-luogo quando é solo un’immagine nella mente, come le città invisibili nell’opera di Calvino o come l’utopia possa rivelarsi solo una mera illusione come espresso ne L’Ultimo viaggio di Pascoli, dove il poeta “uccide” il mito e l’entità utopica dei luoghi emblematici

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Ernst Ludwig Kirchner Nollendorfplatz 1912

Gabriele Basilico Milano 2007

A. Sant’Elia Bozzetto 1914

Scena tratta dal film Metropolis di Fritz Lang

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Piero Della Francesca (scuola) Veduta della Città Ideale Galleria Nazionale delle Marche (Palazzo ducale di Urbino)

Gabriele Basilico Napoli 2004

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Letteratura inglese

Dispensa di approfondi-mento fornita dall’insegnante

L’Universale (edizione speciale per Il Giornale), Enciclopedia Generale

it.wikipedia.org

en.wikipedia.org

Psicologia

Visione personale del film: Citylights di C. Chaplin

Lezioni frontali con l’inegnante

Dispensa di approfondi-mento fornita dall’insegnante

Psicologicamente, manuale di psicologia della comunica-zione, Clitt

Il Morandini, dizionario dei film, Zanichelli Editore (consultazione online)

it.wikipedia.org

Storia dell’arte

Lezioni frontali con l’insegnante

Il tempo dell’arte, dal neoclassicismo all’arte globale, Ghisetti e Corvi Editori

Primi Piani, corso di storia dell’arte, vol.5 (il Novecen-to), Archimede edizioni

Antonio Sant’Elia, Arnoldo Mondadori Editore

Storia dell’architettura, vol.14 (Novecento), La biblioteca di Repubblica-L’Espresso, Electa

exibart.com

web.tiscali.it/antonio_santelia

letteratura italiana

Lettura personale del romanzo: Le città invisibili di Italo Calvino

Italo Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori

Lezioni frontali di approfondimento con l’insegnante

Paesaggi della scrittura, manuale modulare di letteratura, dal Novecento ai giorni nostri, Editori Laterza

it.wikipedia.org

Storia della fotografia

Lezioni frontali con l’inegnante

Dispensa di approfondi-mento fornita dall’insegnante

Basilico/Beirut, La Chambre Claire, 1994 (consultazione online)

www.fotologie.it/Basilico.html

it wikipedia.org

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