Uranio impoverito: i danni da esposizione e le responsabilità · Danno e responsabilità 5/2012...

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Danno e responsabilità 5/2012 543 Interventi Danno alla salute Danni da uranio impoverito Uranio impoverito: i danni da esposizione e le responsabilità di Alessandro Mantelero I danni correlati all’esposizione all’uranio impoverito che hanno colpito i militari italiani rivestono caratteristi- che peculiari, tali da farli rientrare nella categoria dei danni di massa. Questa connotazione ha inciso sul coin- volgimento dello Stato nel far fronte a simili pregiudizi, specie alla luce degli orientamenti assunti dalle corti in materia. In tale prospettiva, lo scritto si sofferma sui diversi profili inerenti la responsabilità del Ministero della Difesa. 1. La peculiarità delle dinamiche A quasi otto anni dalla prima pronuncia sui danni ai militari impegnati in aree ove sono state usate mu- nizioni all’uranio impoverito (in seguito UI) (1), guardando alle diverse sentenze che si sono sussegui- te in crescente frequenza, va constatato come le stesse siano andate via via a comporre un quadro or- ganico sino a diventare un vero e proprio orienta- mento giurisprudenziale avente una sostanziale omogeneità di valutazioni nel riconoscere la respon- sabilità del Ministero della Difesa per i danni occor- si ai militari. Prima però di analizzare nel dettaglio i diversi aspet- ti emersi nella lettura dei fatti data dai giudici, oc- corre sottolineare la peculiarità della vicenda in sé, che si differenzia dalla casistica usuale dei danni alla persona. Siamo infatti in presenza di un’elevata nu- merosità di soggetti danneggiati, stimata fra circa 600 ed oltre 2.500 quanto ai casi di patologie corre- late all’esposizione all’UI ed in oltre un centinaio di deceduti. A fronte di tali numeri, la categoria giuri- dica che pare più idonea a descrivere compiutamen- te la fattispecie è quella dei danni di massa. Di que- st’ultimi le vicende in esame condividono i tratti in- trinsecamente caratterizzanti, ma soprattutto ne ri- propongono le peculiari dinamiche che li differen- ziano dalle pretese atomistiche, ancorché ricorrenti, dei comuni danni alle persone. All’interno della nozione di danno di massa (2) si suole infatti ricomprendere quei pregiudizi che, pur potendo derivare da cause diverse o mostrando dif- ferenze tanto con riguardo alle forme assunte dal- l’elemento soggettivo riferibile all’agente, quanto alle modalità con cui i danni si verificano, risultano accomunati dalla numerosità dei soggetti lesi e, con- seguentemente, dalla sproporzione rispetto alla di- mensione ordinaria dei danni. Proprio tale ordine di grandezza risulta essere un fattore scatenante di di- namiche processuali, sociali e politiche assenti lad- dove i soggetti lesi siano in numero ridotto o, seppur in molti danneggiati da eventi analoghi, non risulti- no accomunati dall’unicità della vicenda. Nello specifico l’aspetto che merita maggiore atten- zione è rappresentato dalla correlazione sussistente fra danno di massa e coinvolgimento attivo dello Stato nella “gestione” dello stesso. In simili casi, in- fatti, la concomitanza di eventi dannosi rispetto ai quali il ricorso agli ordinari strumenti risarcitori non sempre risulta agevole (costi di accesso alla giustizia, incertezza del nesso causale, durata dei processi) con la numerosità dei soggetti lesi ingenera una valenza politica delle vicende. Rilevanza che viene ad essere acuita laddove, come nella fattispecie in esame, sia la stessa amministrazione statale ad essere chiamata in causa. Accade allora che vengano messe in cam- po soluzioni diverse e complementari rispetto ai ri- medi aquiliani, più orientate in un’ottica di inter- vento di sicurezza sociale. La dimensione “di massa” delle vicende finisce dun- que per coinvolgere i mediatori politici e le associa- zioni dei soggetti lesi, ma anche esperti e professio- Note: (1) Cfr. Trib. Roma 9 giugno 2004, inedita. (2) Cfr. in tema: G. Ponzanelli, Mass tort nel diritto italiano, in Resp. civ. e prev., 1994, 173 ss.; P.G. Monateri, I mass torts: dal- la r.c. al contratto ”politico”, in Resp. civ. e prev., 2003, 13 ss.; E. Poddighe, I “Mass Torts” nel sistema della responsabilità civile, Milano, 2008.

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InterventiDanno alla salute

Danni da uranio impoverito

Uranio impoverito: i danni da esposizione e le responsabilitàdi Alessandro Mantelero

I danni correlati all’esposizione all’uranio impoverito che hanno colpito i militari italiani rivestono caratteristi-che peculiari, tali da farli rientrare nella categoria dei danni di massa. Questa connotazione ha inciso sul coin-volgimento dello Stato nel far fronte a simili pregiudizi, specie alla luce degli orientamenti assunti dalle cortiin materia. In tale prospettiva, lo scritto si sofferma sui diversi profili inerenti la responsabilità del Ministerodella Difesa.

1. La peculiarità delle dinamiche

A quasi otto anni dalla prima pronuncia sui danni aimilitari impegnati in aree ove sono state usate mu-nizioni all’uranio impoverito (in seguito UI) (1),guardando alle diverse sentenze che si sono sussegui-te in crescente frequenza, va constatato come lestesse siano andate via via a comporre un quadro or-ganico sino a diventare un vero e proprio orienta-mento giurisprudenziale avente una sostanzialeomogeneità di valutazioni nel riconoscere la respon-sabilità del Ministero della Difesa per i danni occor-si ai militari.Prima però di analizzare nel dettaglio i diversi aspet-ti emersi nella lettura dei fatti data dai giudici, oc-corre sottolineare la peculiarità della vicenda in sé,che si differenzia dalla casistica usuale dei danni allapersona. Siamo infatti in presenza di un’elevata nu-merosità di soggetti danneggiati, stimata fra circa600 ed oltre 2.500 quanto ai casi di patologie corre-late all’esposizione all’UI ed in oltre un centinaio dideceduti. A fronte di tali numeri, la categoria giuri-dica che pare più idonea a descrivere compiutamen-te la fattispecie è quella dei danni di massa. Di que-st’ultimi le vicende in esame condividono i tratti in-trinsecamente caratterizzanti, ma soprattutto ne ri-propongono le peculiari dinamiche che li differen-ziano dalle pretese atomistiche, ancorché ricorrenti,dei comuni danni alle persone.All’interno della nozione di danno di massa (2) sisuole infatti ricomprendere quei pregiudizi che, purpotendo derivare da cause diverse o mostrando dif-ferenze tanto con riguardo alle forme assunte dal-l’elemento soggettivo riferibile all’agente, quantoalle modalità con cui i danni si verificano, risultano

accomunati dalla numerosità dei soggetti lesi e, con-seguentemente, dalla sproporzione rispetto alla di-mensione ordinaria dei danni. Proprio tale ordine digrandezza risulta essere un fattore scatenante di di-namiche processuali, sociali e politiche assenti lad-dove i soggetti lesi siano in numero ridotto o, seppurin molti danneggiati da eventi analoghi, non risulti-no accomunati dall’unicità della vicenda.Nello specifico l’aspetto che merita maggiore atten-zione è rappresentato dalla correlazione sussistentefra danno di massa e coinvolgimento attivo delloStato nella “gestione” dello stesso. In simili casi, in-fatti, la concomitanza di eventi dannosi rispetto aiquali il ricorso agli ordinari strumenti risarcitori nonsempre risulta agevole (costi di accesso alla giustizia,incertezza del nesso causale, durata dei processi) conla numerosità dei soggetti lesi ingenera una valenzapolitica delle vicende. Rilevanza che viene ad essereacuita laddove, come nella fattispecie in esame, siala stessa amministrazione statale ad essere chiamatain causa. Accade allora che vengano messe in cam-po soluzioni diverse e complementari rispetto ai ri-medi aquiliani, più orientate in un’ottica di inter-vento di sicurezza sociale.La dimensione “di massa” delle vicende finisce dun-que per coinvolgere i mediatori politici e le associa-zioni dei soggetti lesi, ma anche esperti e professio-

Note:

(1) Cfr. Trib. Roma 9 giugno 2004, inedita.

(2) Cfr. in tema: G. Ponzanelli, Mass tort nel diritto italiano, inResp. civ. e prev., 1994, 173 ss.; P.G. Monateri, I mass torts: dal-la r.c. al contratto ”politico”, in Resp. civ. e prev., 2003, 13 ss.; E.Poddighe, I “Mass Torts” nel sistema della responsabilità civile,Milano, 2008.

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nisti che sovente (e non sempre in maniera oggetti-va ed imparziale) prestano il proprio sapere per sup-portare l’una o l’altra parte del negoziato. Quella cuisi assiste, a fronte di danni così diffusi, è infatti spes-so una vera e propria negoziazione tesa a determina-re le modalità e l’entità dell’intervento pubblico; unintervento che si differenzia da quello delle corti perl’essere - in una sintesi forse un poco sommaria - “aprima richiesta”. I rappresentanti delle categorie deisoggetti lesi solitamente ambiscono infatti ad otte-nere una qualche forma indennitaria da parte delloStato, incentrata su di un accertamento della sussi-stenza del danno e del nesso causale che sia più age-vole rispetto a quello posto in essere in sede giudi-ziaria, in termini di onere probatorio e di tempo. Afronte di ciò i soggetti lesi e le associazioni che lirappresentano sono disponibili ad accettare una ri-duzione degli importi percepiti a titolo di ristoro e,talora, anche a risolvere l’intera vicenda in via tran-sattiva (3).Le dinamiche cui si è sinteticamente accennato fi-niscono poi per attribuire un ruolo rilevante alle as-sociazioni delle vittime, in virtù del quale divienedeterminante la correttezza dei loro rappresentanti,posto che - data l’entità globale degli indennizzi - laloro accondiscendenza ad un’eventuale riduzione,anche contenuta, degli importi pro-capite si traduceimmediatamente in un significativo contenimentodella spesa per l’amministrazione. In sistemi politicicaratterizzati da significativi indici di corruzionequesta correlazione potrebbe dunque dar luogo a for-me di negoziazione scorretta attraverso la concessio-ne di benefici personali da parte dell’amministrazio-ne ai rappresentanti delle associazioni più influenti,non solo nella forma di mera elargizione di denaro,bensì anche avvalendosi di modalità più indirette,quali la nomina ad incarichi remunerati, pur atti-nenti al ruolo ricoperto (ad es. consulenze inerenti idanni, nomine in commissioni o autorità ad hoc),ma concessi al solo fine di condizionare la libertà delsoggetto, sino all’attribuzione di incarichi politici odistituzionali.Guardando allo specifico dei danni occorsi ai milita-ri, fatta eccezione per i fenomeni da ultimo descrit-ti, pare potersi ritenere che, nel tempo, siano emer-se le diverse dinamiche cui si è fatto cenno. Ricorro-no inoltre elementi comuni ad altre ipotesi di dannidi massa, quali la lungolatenza del danno, la rilevan-za assunta dai rischi da innovazione tecnologica nel-la generazione dello stesso, l’importanza delle misu-re di prevenzione e del controllo pubblico. Profiliche, in termini giuridici, si traducono in una mag-gior complessità dell’onere probatorio con riguardo

all’insorgere della patologia in capo al singolo sog-getto danneggiato ed all’accertamento dello statodelle conoscenze scientifiche esistenti all’epoca deifatti (4).

2. La risposta dello Stato e delle Cortialle pretese risarcitorie: benefici,indennizzi, elargizioni e risarcimenti

In ragione delle peculiarità cui si è accennato, nelcaso di danni di massa, il tradizionale rimedio aqui-liano viene affiancato dalle misure specifiche messein campo dal legislatore recependo le istanze prove-nienti dai vari soggetti interessati e, non di rado, fat-te proprie dalla politica. Non è poi inusuale che l’in-tervento sociale si inserisca in un quadro normativoche già conosce forme di assistenza e sicurezza socia-le, mostratesi però inadeguate a soddisfare le pretesedei soggetti lesi nella vicenda di specie.Nel caso dei danni da UI entrambe le dinamiche so-no ravvisabili, posto che un primo strumento di tu-tela delle vittime era già esistente - il riconoscimen-to della c.d. causa di servizio -, ma, rivelatosi insuffi-ciente, sono stati predisposti, con successive normespecifiche, interventi ad hoc volti a far fronte allaparticolare situazione in cui si trovavano i soggettiesposti alle conseguenze dell’impiego di munizioniall’UI.A tal riguardo va da subito sottolineato come l’inte-grazione del quadro delle misure di sostegno ai dan-neggiati da parte del legislatore non necessariamen-te muova da finalità di giustizia, equità o reale com-prensione del dramma umano di chi è andato a la-vorare in zone di guerra ed è ritornato ammalato ditumore, non parendo estraneo ad essa un intentomolto più pragmatico volto a contenere e ridurre ilcontenzioso potenziale. Nella vicenda dell’UI, comesovente avviene nei danni di massa, il numero deisoggetti lesi ed il correlato ingente ammontare deipotenziali risarcimenti da liquidare qualora sorgesseun diffuso contenzioso, induce infatti i responsabiliad optare per soluzioni transattive o comunque di

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Note:

(3) Si pensi ad esempio al caso dei danni da emoderivati infetti,su cui, in ragione dell’economia del presente scritto, sia consen-tito rinviare alle considerazioni più ampiamente espresse ed ai ri-ferimenti richiamati in A. Mantelero, I danni di massa da farma-ci, in A. Belvedere-S. Riondato, Le responsabilità in medicina,nel Trattato di Biodiritto, diretto da S. Rodotà-P. Zatti, Milano,2011, 507 ss.

(4) Le conoscenze scientifiche rilevano sia per quanto concernela consapevolezza del rischio connaturato al prodotto ed al suoimpiego sia con riferimento alla possibilità di individuare ed adot-tare opportune misure di sicurezza atte ad escluderne la perico-losità.

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contenimento del contenzioso, specie dopo le primepronunce di condanna. Il diretto coinvolgimento ingiudizio dello Stato comporta poi che all’istitutodella transazione si possa affiancare un più variegatostrumentario di interventi sociali ed assistenzialivolti a compensare a diverso titolo i soggetti lesi ri-spetto agli svantaggi subiti.Ripercorrendo dunque i comportamenti tenuti neltempo dai danneggiati al fine di ottener ristoro daipregiudizi patiti, va osservato come in una prima fa-se diversi militari abbiano cercato una risposta alleloro istanze attraverso il procedimento amministra-tivo volto al riconoscimento della causa di servizio edei benefici correlati consistenti nella concessionedella pensione privilegiata e dell’equo indennizzo dicui alla l. n. 1094 del 1970 (5). La natura limitatadei benefici unitamente agli effetti delle patologie dispecie, tumori con esito in diversi casi letale, hannotuttavia circoscritto significativamente l’efficacia diquesti rimedi (6), inducendo azioni in giudizio fina-lizzate ad ottenere il risarcimento integrale dei dan-ni.In tal contesto si inserisce il primo precedente inmateria, del 2004 (7), in cui viene riconosciuta lasussistenza di un nesso causale fra la condotta colpo-sa del Ministero della Difesa, omissiva nell’adozionedelle opportune misure di protezione nei confrontidei militari, ed il danno patito in seguito all’esposi-zione all’UI, la cui nocività per l’uomo era da rite-nersi nota (8).A partire dal 2005 il legislatore pone poi in esserespecifici interventi volti a rendere più nitido il pre-vigente quadro normativo (9) ed a superare le ac-cennate criticità. In proposito va sottolineata la vi-cinanza temporale fra l’esito della prima vicendaprocessuale e l’introduzione delle nuove norme di si-curezza sociale (10). In maniera simile un significa-tivo stanziamento di fondi viene previsto nella leggefinanziaria 2008 (11) proprio a ridosso di una secon-da sentenza di condanna del Ministero al risarci-mento, questa volta ad opera di un giudice ammini-strativo (12). Stanziamento che diviene poi operati-vo con il d.P.R. n. 37 del 2009 che definisce il “Re-golamento per la disciplina dei termini e delle mo-dalità di riconoscimento di particolari infermità dacause di servizio per il personale impiegato nellemissioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basimilitari nazionali”. Anche quest’ultimo interventolegislativo si colloca a ridosso di altre due sentenzedi rilievo, ovvero quella con cui la Corte di appellodi Roma (13) conferma la prima decisione di con-danna del Ministero della Difesa del 2004 e quelladel Tribunale di Firenze in cui, con ampia motiva-

zione, vengono ricostruiti il nesso causale ed i profi-li di responsabilità, con condanna del Ministero alpagamento di oltre 500.000 euro a titolo di risarci-mento (14).Le previsioni in favore dei soggetti lesi introdottedal d.P.R. n. 37 del 2009 (15) definiscono un più or-ganico e significativo intervento, incentrato sullaconcessione di un’elargizione speciale in favore diuna pluralità di soggetti (16) - non solo militari -«che abbiano contratto menomazioni all’integritàpsicofisica permanentemente invalidanti o a cui èconseguito il decesso, delle quali l’esposizione el’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la di-spersione nell’ambiente di nano-particelle di mine-

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Note:

(5) Cfr. artt. 2, 4, e 5 l. n. 308 del 1981. In relazione all’eventuali-tà che un soggetto abbia riportato infermità o lesioni, dipenden-ti da fatti di servizio, cfr. altresì art. 67, d.P.R. n. 1092 del 1973. Siveda inoltre art. 7. d.P.R. n. 1032 del 1973.

(6) Ulteriore restrizione al riconoscimento del pregiudizio «percausa di servizio o durante il periodo di servizio» è derivato daun’errata formulazione normativa dell’art. 1, l. n. 308 del 1981,come modificato dall’art. 1, l. n. 280 del 1991, laddove la previ-gente individuazione dei destinatari della norma ne «gli allievidelle scuole e collegi militari, i militari volontari o trattenuti» eramutata facendo riferimento agli «allievi delle scuole e collegi mi-litari volontari o trattenuti», creando una categoria (gli allievi vo-lontari o trattenuti) priva di riscontro reale. Cfr. ora artt. 603 e1907 D.Lgs. n. 66 del 2010 ed artt. 1078 ss. d.P.R. n. 90 del2010, che hanno previsto il riconoscimento della causa di servi-zio correlata a patologie conseguenti da «particolari condizioniambientali od operative» o comunque l’esposizione «a particola-ri fattori di rischio». Il riferimento all’UI compare tuttavia nelle di-sposizioni attuative dei suddetti artt. 603, 1907 e 2185, cfr. artt.1078 ss. d.P.R. n. 90 del 2010.

(7) Cfr. Trib. Roma 9 giugno 2004, cit.

(8) Si legge a tal proposito nella sentenza: «gli effetti pregiudi-zievoli per la salute umana dell’uranio impoverito sono assoluta-mente notori, in quanto ampiamente comprovati scientificamen-te».

(9) Cfr. art. 1, commi 563 e 564, l. n. 266 del 2005 ed art. 6 d.P.R.n. 243 del 2006, sul riconoscimento della «causa di servizio perparticolari condizioni ambientali od operative di missione», conpossibilità di beneficiare dell’elargizione speciale di cui all’art. 3 l.n. 466 del 1980.

(10) Più in generale ed approfonditamente sul ruolo degli inter-venti di sicurezza sociale nel contesto delle dinamiche della re-sponsabilità civile, cfr. G. Ponzanelli, La responsabilità civile, Bo-logna, 1992, 131 ss.

(11) Cfr. art. 2, commi 78 e 79, l. n. 244 del 2007.

(12) Cfr. T.a.r. Campania Napoli, sez. VI, 28 novembre 2007, n.15430, in banca dati Pluris.

(13) Cfr. App. Roma, 17 novembre 2008, inedita.

(14) Cfr. Trib. Firenze, 17 dicembre 2008, in Nuova giur. civ.comm., 2009, I, 690.

(15) Il d.P.R. n. 37 del 2009, unitamente alla l. n. 308 del 1981 dicui supra note 5 e 6, sono stati abrogati ai sensi degli artt. 2268,comma 1, n. 782, e 2269, comma 1, D.Lgs. n. 66 del 2010; cfr.ora artt. 1078 ss. d.P.R. n. 90 del 2010.

(16) Cfr. art. 2, comma 2, d.P.R. n. 37 del 2009.

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rali pesanti prodotte da esplosione di materiale bel-lico abbiano costituito la causa ovvero la concausaefficiente e determinante» (17). L’entità dell’elargi-zione è fissata nella misura di 2.000 euro a punto diinvalidità, con divieto di cumulo con altri beneficispecificatamente indicati (18).L’intervento così realizzato, pur rappresentandoun’indubbia presa d’atto da parte dello Stato dellacriticità delle vicende, mostra tuttavia alcuni limiti.In termini generali, appare contraddittorio l’atteg-giamento dello Stato che da un lato riconosce l’esi-stenza del pregiudizio e del nesso causale che legaquest’ultimo all’attività svolta dai propri militari,mentre dall’altro canto non ammette le proprie re-sponsabilità, né si attiva per un accertamento dellestesse attraverso seri e mirati studi ed anzi in sede giu-diziale contrasta le pretese risarcitorie avanzate dalleparti lese. Guardando invece ai profili di maggiordettaglio, va rilevato come la determinazione del-l’ammontare massimo del danno risarcibile in200.000 euro rimanga ben al di sotto di quanto liqui-dato in sede giudiziale; non solo, tale valore risulta inparte teorico, poiché suscettibile di ulteriore conte-nimento a seguito dell’attuazione del piano di ripar-to previsto dall’art. 4 del d.P.R. n. 37 del 2009 (19).Stanti tali limiti si comprende come l’interventonormativo non abbia costituito un argine efficace anuove pretese in sede contenziosa, laddove anchel’eventuale applicazione della teoria del c.d. scom-puto, già adottata nei danni da emotrasfusioni edemoderivati (20), non farebbe venir meno le ragio-ni di agire in giudizio per la parte eccedente di dan-no non compresa nell’elargizione speciale percepita.A favorire il ricorso all’autorità giudiziaria è anchel’uniformità della giurisprudenza in materia (21), siain merito al riconoscimento della responsabilità incapo al Ministero della Difesa per omessa adozionedelle opportune misure di protezione dei militari(22), sia con riguardo alla liquidazione di somme in-genti a titolo risarcitorio (23).Nell’elaborazione giurisprudenziale ha invece subitoun’evoluzione meritevole di attenzione il fonda-mento giuridico alla luce del quale sono state rite-nute legittime le pretese avanzate dalle parti attrici.Mentre infatti in un primo tempo veniva indistinta-mente invocato l’art. 2043 c.c., successivamente al-cune corti hanno più correttamente ravvisato unaduplicità di riferimenti normativi a seconda chel’azione venga proposta dal soggetto leso o dai con-giunti jure successionis, avente in entrambi casi natu-ra contrattuale, ovvero esperita jure proprio da terzidanneggiati in maniera indiretta, quali i familiari,avente invece natura extracontrattuale (24). Va in-

fatti ricordato come nello specifico l’omissione con-testata al Ministero sia concernente le misure diprotezione di dipendenti pubblici (militari) nel-l’esercizio delle proprie funzioni, con la conseguenzache la norma cui far riferimento nel giudicare la vi-cenda del soggetto leso in prima persona è l’art.2087 c.c., piuttosto che l’art. 2043 c.c.Rinviando ad altra sede per una più puntuale disa-mina dei profili giuridici inerenti tale qualificazionedell’azione (25), va tuttavia osservato come nei casidi pregiudizio dell’integrità psico-fisica del dipen-dente pubblico, ove il fatto lesivo costituisca con-temporaneamente violazione sia del generale princi-pio del neminem laedere, che dei diritti che scaturi-scono dal vincolo giuridico contrattuale, è ritenutopacifico in giurisprudenza (26) il concorso dell’azio-

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Note:

(17) Cfr. art. 2, comma 1, d.P.R. n. 37 del 2009, nonché il prece-dente art. 2, comma 78, l. n. 244 del 2007 su cui supra nota 11.Con riguardo al rilievo sotto il profilo causale delle “nanoparticel-le di minerali pesanti”, richiamate nelle citate disposizioni di leg-ge, cfr. infra § 3.

(18) Cfr. art. 4, comma 1, d.P.R. n. 37 del 2009 ed ora art. 1084,comma 1, d.P.R. n. 90 del 2010.

(19) Cfr. ora art. 1080, comma 5, d.P.R. n. 90 del 2010.

(20) Cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584, in Foro it.,2008, I, 451 ss.

(21) Queste le decisioni ad oggi note, molte delle quali inedite: Trib.Roma, 9 giugno 2004, cit.; T.a.r. Campania, 28 novembre 2007, cit.;App. Roma, 17 novembre 2008, cit.; Trib. Firenze, 17 dicembre2008, cit.; Trib. Roma, 15 luglio 2009, in Resp. civ. e prev., 2009,2489; Trib. Roma, 1° dicembre 2009, in Nuova giur. civ. comm.,2010, I, 737; T.a.r. Campania, 5 agosto 2010, in banca dati Pluris;Trib. Cagliari, 4 agosto 2011, ivi; Trib. Roma (est. R. Parziale), s.d.,ma 2011, inedita; Trib. Firenze, 14 novembre 2011, inedita.

(22) Per una più dettagliata disamina dei profili inerenti le omis-sioni colposamente poste in essere ad opera del Ministero dellaDifesa, si rinvia ad A. Mantelero, Impiego di munizioni ad uranioimpoverito ed attività militare: un caso di danno di massa, in Riv.trim. dir. e proc. civ., 2010, 1287 ss., consultabile anche al se-guente indirizzo: http://staff.polito.it/alessandro.mantelero/depleted_uranium.htm.

(23) L’entità del danno risarcito risulta essere assai contenutanelle recenti decisioni Trib. Roma (est. R. Parziale), 2011, cit., eTrib. Firenze, 14 novembre 2011, cit., laddove però nel primo ca-so si è avuta l’asportazione della massa tumorale e nel secondola guarigione, a fronte invece dei diversi casi di decesso delle re-stanti pronunce.

(24) Cfr. in particolare Trib. Roma, 15 luglio 2009, cit., e Trib. Ca-gliari, 4 agosto 2011, cit.; si vedano anche cenni in App. Roma,17 novembre 2008, cit.

(25) Cfr. A. Mantelero, La svolta nelle controversie sull’uranio im-poverito, in Resp. civ. e prev., 2009, 2489.

(26) Cfr. ex multis: Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5468, in Lebanche dati de Il Foro it.; Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5785,ivi; Cass., sez. un., 8 luglio 2008, n. 18623, ivi; Cons. Stato, sez.VI, 22 febbraio 2007, n. 969; Cass., sez. un., 7 febbraio 2006, n.2507; Cass., sez. un., 2 luglio 2004, n. 12137. Le pronunce ri-chiamate sono tutte pubblicate in Le banche dati de Il Foro it., adeccezione della decisione del Consiglio di Stato, pubblicata inGuida al dir., 2007, 11, 76.

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ne extracontrattuale ex art. 2043 c.c., incentrata suldanno alla persona e di competenza del giudice ordi-nario, con quella contrattuale basata sulla violazio-ne degli obblighi di sicurezza posti a carico del dato-re di lavoro, rientrante nella giurisdizione esclusivadel giudice amministrativo nel caso di controversierelative a rapporti di pubblico impiego non soggettialla privatizzazione, quale è quello dei militari. Se-condo la giurisprudenza di Cassazione la qualifica-zione giuridica dell’azione posta in essere non dipen-de tuttavia dalla prospettazione della domanda atto-rea e dalle norme invocate a fondamento della stes-sa, bensì dal petitum sostanziale, specie laddove ven-ga avanzata una generica richiesta di risarcimentodei danni patiti in occasione dell’attività lavorativaprestata (27).Pur dunque ammettendo la duplicità di azione, laCassazione finisce per qualificare la pretesa attiva-ta in ragione dell’elemento materiale dell’illecitoposto a base della stessa, seguendo l’orientamentosecondo cui «la riconduzione della pretesa risarci-toria proposta dal dipendente con riguardo alla le-sione della propria salute deve essere ritenuta“contrattuale” ... non già sulla base della prospetta-zione attorea o della invocazione dell’art. 2087c.c., bensì alla stregua della identificazione deglieffetti della violazione delle norme attribuibile allaAmministrazione, nel senso che la sua incidenzasulla sola sfera dei lavoratori dipendenti ne restrin-ge l’imputazione alla violazione (contrattuale) de-gli obblighi di “protezione” nel mentre la sua diffu-sività verso la generalità dei cittadini evidenzia laresponsabilità extracontrattuale dell’autore dellacondotta» (28).Poiché nelle vicende in esame le Corti hanno tutteritenuto che i danni fossero conseguiti dall’omessaprotezione dei militari rispetto ai rischi di contami-nazione strettamente correlati all’attività svolta inarea bellica e poiché tali misure non riguardavanogenericamente tutti i soggetti presenti in tali conte-sti, né il rischio derivante dall’impiego di proiettiliall’UI (coinvolgente tanto i militari quanto i civilipresenti nelle aree di conflitto) è stato ingeneratodirettamente dal Ministero della difesa, si deve con-cludere che la condotta lesiva della pubblica ammi-nistrazione sia stata tale da avere effetto solamentesui propri dipendenti e che quindi trovi applicazionel’art. 2087 c.c. In tal senso si sono espressi sia i pochiprecedenti specifici sottoposti all’attenzione dei giu-dici amministrativi (29), sia alcune recenti decisio-ni dei tribunali ordinari (30).Si deve dunque ritenere che, stante il regime di dirit-to pubblico che caratterizza il rapporto di lavoro dei

militari (31), la competenza giurisdizionale sui casiin questione spetta al giudice amministrativo (32).Se però l’azione in giudizio del soggetto leso, o deicongiunti jure successionis, hanno entrambe naturacontrattuale (33), diversamente quella esperita jureproprio da terzi danneggiati in maniera indiretta,quali i familiari, conserva natura extracontrattuale(34) e, in quanto tale, sarà soggetta alla giurisdizio-ne del giudice ordinario.

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InterventiDanno alla salute

Note:

(27) Cfr. Cass., ord., sez. un., 13 ottobre 2006, n. 22101, in Foro it.,2007, I, 427 ss.; Cass., sez. un., 9 ottobre 2009, n. 21474, ord., inbanca dati Pluris e Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5468, cit.

(28) Cfr. Cass., sez. un., ord., 9 ottobre 2009, n. 21474, cit. Cfr.anche in tal senso: Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5785, cit.;cfr. altresì: Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5468, cit.; Cass.,sez. un., 8 luglio 2008, n. 18623, cit.; Cass., sez. un., 13 ottobre2006, n. 22101, cit.; Cass., sez. un., 7 febbraio 2006, n. 2507,cit.; Cass., sez. un., 2 luglio 2004 n. 12137, cit.

(29) Cfr. T.a.r. Campania, 5 agosto 2010, cit., e T.a.r. CampaniaNapoli, 28 novembre 2007, cit., in cui venne risarcito il danno pa-tito da un militare riconoscendo all’esposizione all’UI un ruoloquantomeno concausale nel pregiudizio alla salute; cfr. ancheCons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3767, inedita, laddove inun caso analogo, benché con nel contesto di una pronuncia in-terlocutoria, non viene negata la competenza del giudice adito.

(30) Cfr. supra nota 24. Non convince l’opinione espressa in App.Roma, 17 novembre 2008, cit., volta a negare la competenza delgiudice amministrativo argomentando che le patologie sarebbe-ro conseguenti all’esposizione «a sostanze e materiali cancero-geni non esclusivamente connessi all’esercizio dell’attività nel-l’esercito ... ma regolarmente presenti nel terreno ovvero di-spersi nell’aria in tutte le aree di attività dell’esercito», ragion percui la condotta dell’Amministrazione «si atteggia in circostanze econ modalità tali da configurarsi come illecita nei confronti di unnumero indeterminato di persone anche non legate da alcun ti-po di rapporto contrattuale con essa». Tale valutazione pare vi-ziata da errore logico: la condotta illecita dell’Amministrazionenon consiste nell’inquinamento ambientale da UI, ascrivibile al-l’azione della N.A.T.O. o di altre coalizioni, che colpisce indiscri-minatamente militari e non, bensì nell’omissione di misure deiprotezione riguardanti la sola attività svolta dai soggetti in armi,con conseguente necessaria qualificazione in termini contrattua-li dell’azione.

(31) Cfr. art. 3, D.Lgs. n. 165 del 2001.

(32) Cfr. Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5785, cit., e Cass., sez.un., 13 ottobre 2006, n. 22101, cit. Cfr. altresì Cass., sez. un., 6marzo 2009, n. 5468, cit.; Cass., sez. un., 31 luglio 2008, n.20751, in Le banche dati de Il Foro it.; Cass., sez. un., 8 luglio2008, n. 18623, cit.; Cass., sez. un., 20 aprile 2006, n. 9153, ivi;Cass., sez. un., 7 febbraio 2006, n. 2507, cit.; Cass. sez. un., 2luglio 2004 n. 12137, cit. Con riguardo ai danni da UI, cfr. in talsenso Trib. Roma, 15 luglio 2009, cit.

(33) Sulla possibilità, e sulla necessità, di cumulare l’azione con-trattuale del soggetto leso, o dei di lui congiunti jure successio-nis, con un’azione a titolo extracontrattuale da parte degli stessiattori, cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foroit., 2009, I, 120 ss.

(34) Cfr. in argomento P. Albi, Adempimento dell’obbligo di sicu-rezza e tutela della persona. Art. 2087, in Il Codice Civile. Com-mentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli,Milano, 2008, 128, nota 7, ed in giurisprudenza Cass., sez. un.,8 luglio 1993, n. 7477, in Banche dati giuridiche Platinum.

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L’attrazione delle cause nell’ambito della giustiziaamministrativa non pare, stanti i precedenti già esi-stenti, essere comunque destinata ad incidere signi-ficativamente sull’orientamento giurisprudenzialematurato sino ad ora, posto che i giudici ammini-strativi hanno già avuto occasione di pronunciarsiquantomeno sull’effetto patologico dell’UI ricono-scendo allo stesso natura concausale nel pregiudizioalla salute (35).Rinviando ad altra sede l’analisi del profilo attinen-te gli elementi di colpevolezza caratterizzanti la con-dotta del Ministero della Difesa (36), rispetto alquale si registra una sostanziale omogeneità dei ve-dute nella giurisprudenza in esame, occorre inveceporre attenzione al nesso di causalità. Su quest’ulti-mo aspetto le corti hanno ravvisato un rapportoeziologico fra la suddetta condotta colposa ed i dan-ni subiti dai militari e, con riguardo al fattore gene-ratore di quest’ultimi, tutte le pronunce note sullamateria - pur con alcune differenze argomentative -hanno individuato la causa, o quantomeno la con-causa, delle patologie riscontrate nell’esposizione al-le polveri di uranio impoverito conseguenti agli ef-fetti dei bombardamenti (37), sottolineando la ge-nesi di carattere multifattoriale delle patologie me-desime. In tale panorama si distingue solamente unarecente decisione del Tribunale di Cagliari, in cuiviene invece dato rilievo all’azione patogena dellenano-particelle di minerali pesanti (38).La ricostruzione causale ricorrente trova d’altro can-to conferma sia negli studi scientifici (39) che, indi-rettamente, nelle disposizioni militari volte a defini-re le opportune misure di protezione (40), da cuiemerge l’effetto patogeno dell’esposizione internadel corpo umano (principalmente per inalazione edingestione) alle radiazioni emesse dalle polveri diuranio, nonché la tossicità di natura chimico-fisicadelle stesse. Né l’eventuale enfatizzazione del rischiochimico-fisico dell’UI rispetto a quello radioattivo èin grado di incidere sulle conclusioni cui la giuri-sprudenza è addivenuta, ritenendo causa scatenantedelle patologie le nano-polveri di uranio, o di leghedi uranio, conseguenti agli impatti di dardi all’UI odalla successiva bonifica dei luoghi, durante la qualeviene fatto brillare il munizionamento ad UI a ri-schio di esplosione accidentale. Trattasi infatti an-che in questo caso di un rischio per la salute già no-to, sin dal rapporto stilato fra il 1978 e il 1979 dal-l’Air Force Armament Laboratory della base diEglin in Florida (41).Va infine rilevato come la ricostruzione del nesso cau-sale con riferimento all’UI trovi persino conferma nel-le parole stesse del legislatore, a partire dal dettato del-

l’art. 2, comma 78, l. n. 244 del 2007 che stanziavauna specifica dotazione di spesa «al fine di pervenire alriconoscimento della causa di servizio e di adeguati in-dennizzi» correlati all’aver «contratto infermità o pa-

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Note:

(35) Cfr. T.a.r. Campania, 5 agosto 2010, cit., e T.a.r. Campania,28 novembre 2007, cit.

(36) Cfr. supra nota 22.

(37) Le munizioni all’uranio impoverito sono in grado di sviluppa-re temperature molto elevate al momento dell’impatto capaci diperforare le corazzature, tali da fondere e polverizzare tanto l’ura-nio stesso quanto i materiali di cui è composto l’obiettivo. Il ri-sultato finale è dunque un aerosol composto di frammenti finis-simi di uranio e di altri materiali, che investe il luogo del bombar-damento e vi permane per lungo tempo, dando vita ad un inqui-namento persistente, derivante da polveri depositate ovunque,destinate ad essere risospese nell’aria per effetto dei venti. Cfr.Air Force Armament Laboratory, Morphological Characteristicsof Particulate material Formed from High Velocity Impact of De-pleted Uranium Projectiles with Armor Targets. Final Report forperiod October 1977-October 1978, Air Force system Com-mand-United States Air Force-Eglin Air Force Base, Florida, 8 ss.e 13.

(38) Cfr. Trib. Cagliari, 4 agosto 2011, cit. Sulla rilevanza causaledell’esposizione a nano-polveri di minerali pesanti cfr. più diffu-samente infra § 3.

(39) Cfr. Air Force Armament Laboratory, Morphological Charac-teristics of Particulate material Formed from High Velocity Im-pact of Depleted Uranium Projectiles with Armor Targets. FinalReport for period October 1977-October 1978, cit.; gli studi citatiin D. Fahey, The Emergence and Decline of the Debate Over De-pleted Uranium Munitions 1991-2004, 20 June 2004, 3 e 9, inwww.wise-uranium.org; A.C. Miller et al., Potential late healtheffects of depleted uranium and tungsten used in armor-piercingmunitions: comparison of neoplastic transformation and geno-toxicity with the known carcinogen nickel, in Mil. Med., 2002,167(2 Suppl), 120 ss. Cfr. inoltre M. Cristaldi-A. Di Fazio-C. Pona-A. Tarozzi-M. Zucchetti, Alcune tesi e fatti sull’uranio impoverito(DU), sul suo uso nei Balcani, sulle conseguenze sulla salute deimilitari e popolazioni, 15 gennaio 2001, in www.scienzaepace.it,3. Si veda anche Trib. Roma, 1° dicembre 2009, cit., in cui vienerichiamato il parere di un esperto oncologo, secondo cui l’UI ri-sulta essere «dannoso e pericoloso, non solo come agente tos-sico chimico, ma anche dal punto di vista radiologico, qualora in-gerito o inalato».

(40) Cfr. a riguardo: comunicazione del Defence Support dellaN.A.T.O. del 20 dicembre 1984; linee guida USA Peace time li-mits on the intake of depleted uranium, pubblicate nella appen-dix B top art 20, 1001 thru 2401, page 23409, Federal Registerdel 21 maggio1991; comunicazione dell’Headquarters Depar-tment of the Army-Office of the Surgeon General, con riferi-mento all’impiego delle forze armate statunitensi in Somalia del14 ottobre 1993; rapporto del General Accounting Office-Natio-nal Security and International Affairs Division del 1993; direttivaN.A.T.O. sulle basse radiazioni del 1996. Purtroppo nelle argo-mentazioni del giudicante non si dà conto di tali fonti, ma solodella pur significativa relazione del “Comitato Scienziate e Scien-ziati contro la Guerra”, cfr. M. Cristaldi-A. Di Fazio-C. Pona-A. Ta-rozzi-M. Zucchetti, Alcune tesi e fatti sull’uranio impoverito (DU),sul suo uso nei Balcani, sulle conseguenze sulla salute dei mili-tari e popolazioni, cit.

(41) Cfr. Air Force Armament Laboratory, Morphological Charac-teristics of Particulate material Formed from High Velocity Im-pact of Depleted Uranium Projectiles with Armor Targets. FinalReport for period October 1977-October 1978, cit., 8 e 19; cfr. al-tresì supra nel testo ed in nota 37.

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tologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzodi proiettili all’uranio impoverito e alla dispersionenell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesantiprodotte dalle esplosioni di materiale bellico». La sus-sistenza di tale nesso verrà poi sistematicamente riba-dita nelle successive disposizioni in materia (42).Poiché tuttavia le corti hanno riconosciuto un ruo-lo con-causale all’UI (43), occorre porre brevemen-te attenzione anche agli altri fattori di rischio po-tenzialmente rilevanti, al fine di valutarne la consi-stenza e l’incidenza sulla configurazione della fatti-specie di responsabilità. Nello specifico ci si riferisceai tre seguenti fattori: uso nelle operazioni di puliziadelle armi di benzina, oli minerali e solventi (qualilo xilene o il benzene); assoggettamento a program-mi vaccinali; generico inquinamento ambientaledelle aree belliche.Con riguardo al primo gruppo di agenti causali, rile-vante per i soli addetti alla manutenzione delle armi(44) e già di per sé dunque inidoneo a giustificareautonomamente l’intero quadro patologico dei sog-getti lesi, va rilevato come spetti al Ministero dellaDifesa definire la natura e le modalità delle sostanzeimpiegate per le attività indicate, nonché vigilaresull’ottemperanza alle disposizioni impartite. Quan-d’anche fosse quindi ravvisabile un nesso fra similiimpieghi e le patologie nulla varierebbe circa la sus-sistenza di una condotta colposa omissiva.Ad analoghe conclusioni, con la differenza che inquesto caso il fattore di rischio rileva indistintamen-te per tutti i militari, si addiviene nel caso di assog-gettamento alle prassi vaccinali, rientrando tali atti-vità nell’ambito dei compiti dell’amministrazione(45). Qualora infatti fossero stati somministrati vac-cini scaduti o notoriamente difettosi, ovvero le mo-dalità di somministrazione fossero state in contrastocon i principi di cautela, per mancato rispetto deitempi di intervallo o per eccessivo cumulo di vacci-ni (46), con conseguente diminuzione delle difeseimmunitarie dei soldati e maggior sensibilità a svi-luppare neoplasie in caso di esposizione a sostanzecancerogene - quali le polveri di UI -, in entrambe leipotesi risulterebbe comunque ravvisabile un agirecolposo della sanità militare in relazione ad un ri-schio scientificamente noto qual è quello correlatoall’assunzione di vaccini. Per altro l’esclusività delnesso causale è anche in questo caso messa in dub-bio dalla semplice constatazione del fatto che pato-logie analoghe a quelle riscontrate nei nostri milita-ri risultano comuni anche alle popolazioni presentinei luoghi in cui è avvenuto il bombardamento conmunizionamento all’UI, indubbiamente escluse dal-le prassi vaccinali adottate per i soldati italiani (47).

Neppure l’individuazione della causa delle patologienel generico inquinamento proprio delle aree belli-che pare incidere sulle dinamiche sin qui delineate.Anche in questa ipotesi infatti, benché risulti diffi-cile individuare gli specifici agenti patologici, si puòaffermare che fosse comunque compito dell’ammini-strazione della Difesa provvedere all’analisi preven-tiva dei rischi ed alla conseguente adozione delle op-portune misure di sicurezza, tanto più laddove ci sisia avvalsi dell’operato degli esperti in difesa nuclea-re, biologica e chimica (48) e siano state adottate

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InterventiDanno alla salute

Note:

(42) Cfr. art. 2, d.P.R. n. 37 del 2009, laddove viene anche indica-ta la natura multicausale delle patologie, ed ora art. 1079, d.P.R.n. 90 del 2010.

(43) Anche l’art. 1079, d.P.R. n. 90 del 2010 fa riferimento all’im-piego dell’UI come causa o concausa delle menomazioni.

(44) Cfr. Corte dei Conti, sez. giurisd. Reg. Sardegna, 29 dicem-bre 2003, inedita, ove in un caso di militare affetto da carcinomaviene riconosciuta natura concausale all’esposizione continuativaper diversi anni alle esalazioni di benzina, oli minerali e solventi.

(45) Cfr. d.m. Difesa, 19 febbraio 1997 ed il successivo d.m. Di-fesa 31 marzo 2003. Cfr. altresì audizione del Generale di Corpod’Armata Fabrizio Castagnetti, Comandante del Comando ope-rativo di vertice Interforze (COI), in Commissione Parlamentared’inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito ilpersonale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, neipoligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti,nonché le popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adia-centi le basi militari sul territorio nazionale, con particolare atten-zione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito edella dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pe-santi prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, istituita condeliberazione del Senato dell’11 ottobre 2006, seduta n. 7 del 17maggio 2007, 5° Resoconto stenografico, 7, pubblicato sul sitoufficiale del Senato della Repubblica, www.senato.it, ove il Gen.Castagnetti afferma che «la schedula vaccinale e la tempisticarelativa agli intervalli di somministrazione vengono elaborati incollaborazione con le autorità scientifiche istituzionali nazionali,tenendo anche conto di segnalazioni di organizzazioni internazio-nali, quale l’Organizzazione mondiale della sanità, e delle autori-tà sanitarie locali dei teatri di operazione».

(46) Cfr. Commissione Parlamentare d’inchiesta sui casi di mor-te e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italianoimpiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizionidella conservazione e sull’eventuale utilizzo di uranio impoveritonelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, Relazione alPresidente del Senato ai sensi dell’articolo 2 della deliberazionedel Senato del 17 novembre 2004 sulle risultanze delle indaginisvolte dalla Commissione, 28, ove si afferma che nel corso del-le audizioni è emerso «come, specie in presenza di necessità didislocamento accelerato nei teatri operativi delle unità militari,non sempre le strutture della Sanità militare hanno garantito il ri-spetto degli schemi vaccinali in questione».

(47) Cfr. anche T.a.r. Campania, 28 novembre 2007, cit., secon-do cui «non va riconosciuta alcuna efficienza concausale ai ciclivaccinali, ancorché incompleti».

(48) Si tratta del nucleo del 7º Reggimento di difesa nucleare, bio-logica e chimica (NBC) dell’Esercito, cui vanno affiancati ulterioristrutture competenti per l’analisi e prevenzione dei rischi, quali ilCentro tecnico logistico interforze (CETLI), il Centro interforzestudi per applicazioni militari (CISAM) ed il Centro studi e ricerchedi sanità e veterinaria del Comando logistico dell’Esercito.

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tutte le misure preventive e successive di force pro-tection (49).Comunque si ricostruisca dunque il nesso causale, intermini di esposizione alle polveri di uranio di cui ènota la tossicità, ovvero di esposizione ai solventi oagli inquinanti presenti nell’ambiente a seguito del-le operazioni belliche o di assoggettamento a prassivaccinali errate, in ogni caso il Ministero della Dife-sa era a conoscenza del pericolo e, in virtù dei propricompiti di vigilanza sulla salute dei dipendenti eser-citati anche attraverso la sanità militare, era nellecondizioni ed aveva l’obbligo di adottare le opportu-ne misure di sicurezza.

3. Le criticità in tema di nesso di causalità

Rispetto alla dominante ricostruzione del nesso dicausalità nelle vicende di specie, occorre prestare at-tenzione ad una diversa argomentazione, recente-mente accolta in un’isolata pronuncia (50), che at-tribuisce l’origine delle patologie che affliggono imilitari all’incorporazione di nanoparticelle di mi-nerali pesanti (51). In proposito bisogna da subitodistinguere fra nanoparticelle contenenti UI e na-noparticelle di materiali diversi. Mentre infatti perle prime il rischio chimico-fisico per la salute umanacorrelato all’esposizione ad aerosol di polveri nano-metriche costituisce un dato noto (52), diversamen-te con riguardo alle nanoparticelle di minerali pe-santi differenti dall’UI la nocività delle stesse, non-ché l’eziologia degli effetti, appare più controversa ecostituisce oggetto di studi recenti.Queste criticità vengono poi ad acuirsi quando si ri-tenga addirittura di prescindere del tutto dall’esposi-zione alle polveri di uranio per ascrivere in toto gli ef-fetti patologici alle sole particelle submicroniche diminerali pesanti, essendo noto sin dai primi studimilitari che all’esito dell’impatto del proiettile al-l’UI sul bersaglio entrambi vengono polverizzatidando vita ad un aerosol di polveri sottili compostodi particolato ultra-fine di UI puro ovvero in legacon altri elementi componenti l’obiettivo (53).L’interpretazione che ravvisa nell’inquinamentoambientale da nanoparticelle di minerali pesanti unulteriore e diverso agente causale di tipo chimico-fi-sico sembra invece negare un ruolo causale all’UI oquanto meno non considerarne i noti rischi radiolo-gici e chimico-fisici (54).Occorrerebbe poi usare maggior prudenza nei con-fronti della teoria delle nanoparticelle, onde valu-tarne attentamente il fondamento scientifico primadi asserirne le implicazioni giuridiche. Al riguardo,pur non essendo questo il contesto per un’analisi di

tipo medico e chimico-fisico, va tuttavia dato contodi alcune criticità destinate a rilevare anche nelledecisioni dei giudici (55):– l’attuale ignoranza circa il meccanismo tossicolo-gico proprio del particolato in generale (a prescin-dere dalle dimensioni);– la difficoltà ad attribuire con certezza all’ambientebellico la provenienza del particolato rinvenutonei reperti analizzati;– la criticità dei processi di indagine;– la discrepanza fra le patologie attribuite dalla let-teratura scientifica agli effetti delle particelle fi-ni e quelle riscontrate nei militari.Sotto il primo profilo, va tenuto presente che, men-tre è pacifica in letteratura la capacità mutagena eteratogena delle radiazioni ionizzanti - potendosisemmai discutere sul livello di esposizione e sull’effi-cacia delle dosi assorbite in relazione all’insorgeredelle singole patologie -, ben minori certezze si han-no con riguardo alle nanoparticelle, essendoneignoto il meccanismo tossicologico ed essendo di-sponibili solo riscontri epidemiologici da cui si evin-

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InterventiDanno alla salute

Note:

(49) Cfr. audizione del Generale di Corpo d’Armata Fabrizio Ca-stagnetti, cit., 6 s., ove tra l’altro il generale afferma: «in sintesi,ogni territorio ove sono chiamati ad operare i nostri militari vienesottoposto ad approfondite e ripetute verifiche ambientali fina-lizzate ad accertare l’esistenza di agenti o aggressivi chimici, bio-logici, radiologici e nucleari».

(50) Cfr. Trib. Cagliari, 4 agosto 2011, cit.

(51) Stante l’economia del presente contributo, per una più am-pia disamina del profilo qui trattato sia consentito rinviare alleconsiderazioni espresse in A. Mantelero, Danni da uranio impo-verito tra dubbi di giurisdizione e “rischio dell’alchimista” con-nesso alle nanoparticelle, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 744ss.

(52) Cfr. Air Force Armament Laboratory, Morphological Charac-teristics of Particulate material Formed from High Velocity Im-pact of Depleted Uranium Projectiles with Armor Targets. FinalReport for period October 1977-October 1978, cit., 8 e 18 s.; cfr.anche Department of Army-US Army Belvoir Research & Devel-opment Center, Uranium Depletion Course, 1981, 243 e 253.

(53) Cfr. Air Force Armament Laboratory, Morphological Charac-teristics of Particulate material Formed from High Velocity Im-pact of Depleted Uranium Projectiles with Armor Targets. FinalReport for period October 1977-October 1978, cit., 8 e 13.

(54) Cfr. in tal senso Trib. Cagliari, 4 agosto 2011, cit.

(55) A tal proposito assumono rilievo le valutazioni espresse nel-la richiesta di archiviazione avanzata il 21 aprile 2008 dalla Pro-cura di Rovigo per il presunto caso di inquinamento da nanopar-ticelle derivanti dalla centrale ENEL di Porto Tolle, in cui la CTUvenne affidata alla studiosa cui va attribuita la teoria delle nano-particelle con riguardo alle vicende qui in esame. Nello specificola consulenza effettuata sui reperti biologici delle persone offeseè stata ritenuta dagli stessi pubblici ministeri viziata «a causa del-l’uso di metodologie ... che non comportano una prova scientifi-ca valida» in ragione di critiche che paiono in parte estensibili an-che alle presenti fattispecie. Cfr. Procura di Rovigo, richiesta diarchiviazione, 21 aprile 2008, in www.lexambiente.it.

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ce una correlazione lineare fra concentrazione diparticolato ed insorgenza di malattie respiratorie(anche tumorali) e cardiovascolari (56). Peraltro lerisultanze in tal senso si riferiscono a studi effettuatiin luoghi non contaminati da inquinamento bellico,benché sia stato sottolineato da esperti come «la pe-ricolosità e non compatibilità di gran parte delle na-noparticelle sono legate ancor prima che alla lorocomposizione alle loro dimensioni» (57).Venendo alla composizione del particolato, va osser-vato come la presenza di metalli pesanti possa essereriscontrata anche in contesti urbani o comunque in-dustrializzati; ne consegue che il semplice rinveni-mento all’interno di campioni bioptici o chirurgicidi “particelle inorganiche di origine esogena” nellamaggior parte dei casi “classificabili come compostimetallici” (in cui predominano Bismuto, Titanio,Zirconio, Ferro, Zinco o Cromo), può solo far dire,anche ai sostenitori della rilevanza delle nanopolve-ri che nei casi di specie “si intravede la possibilità diuna correlazione” con l’attività svolta dai militarinei luoghi di missione (58). Tuttavia ai fini probato-ri occorrerebbe un più preciso riscontro sulla prove-nienza di tali particelle da detti contesti e non dadifferenti luoghi in cui il soldato ha vissuto. Mentreinfatti l’esposizione alle radiazioni è fenomeno ecce-zionale nella vita del singolo, e dunque temporal-mente individuabile, non altrettanto può dirsi del-l’esposizione alle polveri sottili e nano-polveri, co-me documentato da tempo da ricerche svolte sia inambienti urbani che rurali. In specie, guardando aglistudi effettuati negli USA sulle PM2.5 (particolatocon diametro aerodinamico inferiore a 2.5 µm)(59), risultano essere presenti nell’aria ben 52 ele-menti chimici, tra cui figurano 7 degli 8 metalli pe-santi di cui alla definizione legislativa di nano-parti-celle (60). D’altra parte la presenza di metalli pesan-ti è stata registrata anche a Roma, L’Aquila ed inprovincia di Rovigo (61).Sulla base di questi dati, v’è da chiedersi come saràpossibile per i giudici raggiungere una certezza, an-che probabilistica, sul fatto che le patologie esami-nate siano conseguenti alla «dispersione nell’am-biente di nano-particelle di minerali pesanti prodot-te da esplosione di materiale bellico» (62) e noncausate da particelle di eguale natura chimica con-seguenti a fenomeni erosivi o inquinanti presentinei diversi luoghi in cui il soggetto è vissuto.Peraltro, ammesso che si tratti di polveri derivantidalle aree di conflitto, occorre dimostrare il nesso fraluogo di esposizione, presenza nel corpo dei metallied effetto patologico ingenerato da tali elementiestranei (63).

La contaminazione ad opera delle nanoparticellepotrebbe poi derivare anche da criticità inerenti glistessi processi di indagine (64). Può infatti esservi

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Note:

(56) Cfr. a riguardo: WHO, Air quality guidelines for particulatematter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide. Global update2005. Summary of risk assessment, 2006, 9; WHO, Particulatematter air pollution: how it harms health, Berlin, Copenhagen,Rome, 14 April 2005, 2; C.A. Pope III et al., Lung Cancer, Car-diopulmonary Mortality, and Long-term Exposure to Fine Partic-ulate Air Pollution, in J. Am. Med. Ass., 2002, 287 (9), 1132 ss.;A. Nemmar et al., Passage of Intratracheally Instilled UltrafineParticles from the Lung into the Systemic Circulation in Ham-ster, in Am. J. Respir. Crit. Care Med., 2001, vol. 164, 1665 ss.;A. Nemmar et al., Passage of Inhaled Particles Into the BloodCirculation in Humans, in Circulation, 2002, vol. 105, 411 ss.;D.W. Dockey et al., An Association between Air Pollution andMortality in Six U.S. Cities, in N. Engl. J. Med., 1993, vol. 329, n.24, 1753 ss.; C.A. Pope III et al., Particulate air pollution as a pre-dictor of mortality in a prospective study of U.S. Adults, in Am.J. Crit. Care Med., vol. 151, 1995 (3), 669 ss.

(57) Cfr. Procura di Rovigo, richiesta di archiviazione, 21 aprile2008, cit. Vanno inoltre ponderati con molta cautela gli esiti diisolate risultanze sperimentali, secondo cui il particolato nano-metrico sarebbe in grado di passare dai polmoni al sistema cir-colatorio nell’arco di pochi minuti, cfr. A. Nemmar et al., Passageof Intratracheally Instilled Ultrafine Particles from the Lung intothe Systemic Circulation in Hamster, cit., e A. Nemmar et al.,Passage of Inhaled Particles Into the Blood Circulation in Hu-mans, in Circulation, 2002, cit. Trattasi infatti di esperienze avve-nute in laboratorio con instillazione diretta di particelle di 0.08 µme fra i 0.005 e 0.01 µm, dunque in condizioni non necessaria-mente riscontrabili nell’ambiente naturale, essendo nota la ten-denza delle polveri ultrafini a coagulare in aggregati di maggioridimensioni; cfr. a quest’ultimo riguardo e con specifico riferi-mento all’UI, Air Force Armament Laboratory, MorphologicalCharacteristics of Particulate material Formed from High Veloci-ty Impact of Depleted Uranium Projectiles with Armor Targets.Final Report for period October 1977-October 1978, cit., 19,mentre con riguardo al particolato in generale K.W. Lee-S.Kwon, Aerosol Nanoparticles: Coagulation Theory, in J.A.Schwarz-C.I. Contescu-K. Putyera, Encyclopedia Dekker Ency-clopedia of Nanoscience and Nanotechnology, I, New York,2004, 35 ss.; J.S. Lighty, Combustion Aerosols: Factors Govern-ing Their Size and composition and Implications to HumanHealth, in J. Air & Waste Manag. Ass., 2000, vol. 50, 1565 ss.

(58) Cfr. Trib. Roma, 1° dicembre 2009, cit.

(59) Cfr. M.L. Bell-F. Dominici-K. Ebisu-S.L. Zeger-J.M. Samet,Spatial and Temporal Variation in PM2.5 Chemical Compositionin the United States for Health Effects Studies, in EnvironmentalHealth Perspectives, vol. 115, n. 7, July 2007, 991.

(60) Cfr. art. 1, lett. c, d.P.R. n. 37 del 2009 ed ora art. 1078 d.P.R.n. 90 del 2010.

(61) Cfr. L. Paoletti et al., Inquinamento da polveri e da particola-to fino in siti con differenti caratteristiche ambientali, in Ann. Ist.Super. Sanità, 2003, 39 (3), 381 ss.

(62) Cfr. art. 2, d.P.R. n. 37 del 2009 ed ora art. 1079 d.P.R. n. 90del 2010.

(63) Sul punto già nella citata Procura di Rovigo, richiesta di ar-chiviazione, 21.4.2008, era emerso dalle perizie come l’esito po-sitivo delle analisi circa la presenza di nanoparticelle non fosse diper sé sufficiente a provare il nesso causale in assenza di ulte-riori elementi sull’eziologia della patologia nel singolo caso.

(64) Cfr. Procura di Rovigo, richiesta di archiviazione, 21 aprile2008, cit.

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stata contaminazione dei campioni esaminati in ra-gione del loro stato di conservazione e del loro “pro-cessamento”, derivante dal contatto con strumentichirurgici, con contenitori, con il metallo di cui ècostituita la lama del microtomo usato per sezionarei reperti (composta da acciaio che, oltre a ferro, cro-mo e nichel, può contenere altri elementi quali tun-gsteno) oltre che (ove impiegati) dal contatto coneventuali reattivi, fissativi e coloranti.Sempre in merito alle ricerche sul ruolo patogenodelle nanoparticelle con riguardo ai militari inviatinei teatri di guerra, va sottolineato come per giun-gere a deduzioni corrette occorrerebbe una valuta-zione comparativa attraverso indagini analoghe suorgani di persone non malate, onde verificare se par-ticelle simili siano presenti nella popolazione sana.Per quanto concerne il profilo metodologico, devepoi essere rilevato come attraverso il solo impiego diun’indagine microscopica elettronica a scansione,non sia possibile individuare lo stato di speciazionedella materia, ovvero l’esistenza di un legame fra glielementi (65). In generale va altresì considerato co-me, trattandosi di analisi strumentali sofisticate, i ri-sultati sono necessariamente influenzati dalle condi-

zioni operative e dai limiti tecnici della rilevazione,ragion per cui la variazione degli stessi può incideresignificativamente sugli esiti.Da ultimo occorre notare come, mentre fra i soldatiprevalgono linfomi, melanomi, leucemie, tumori al-l’intestino, al testicolo ed alla tiroide, gli studi scien-tifici attribuiscono alle nanoparticelle patologie re-spiratorie e cardiovascolari. Bisognerebbe dunquenon limitarsi a provare la presenza di nanoparticel-le, ma altresì provare come esse siano in grado di in-generare simili patologie, o quanto meno dimostrareuna correlazione causale sulla base di studi epide-miologici con gruppo di controllo.

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Nota:

(65) Legame invece asserito nel parere citato in Trib. Roma, 1°dicembre 2009, cit., ove si fa riferimento a “composti”. Vannosul punto ricordate le osservazioni critiche formulate dai pubbliciministeri in Procura di Rovigo, richiesta di archiviazione, 21 apri-le 2008, cit., secondo cui «per arrivare a definire i composti chi-mici presenti nelle particelle analizzate nelle biopsie, si sarebbedovuto fare un’analisi quantitativa e da questa bilanciare tutti glielementi trovati. Infatti, l’estrapolazione della forma chimica deimetalli... è puramente ipotetica se non arbitraria, cosicché tuttigli accoppiamenti fatti tra i metalli (es. ferro-cromo, nichel-piom-bo ecc. …) sono semplicistici e le conseguenti conclusioni inter-pretative hanno carattere non dirimente».

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Danni da uranio impoverito

Lesioni alla salute da uranioimpoverito: le difficoltà causalidi Roberto Pucella

La tutela risarcitoria dei militari italiani che hanno operato in ambienti bellici contaminati da uranio impoveri-to incontra le difficoltà tipiche dei mass torts; l’uranio impoverito è cancerogeno ma le patologie tumoralicontratte dai danneggiati potrebbero avere un’eziologia indipendente dall’esposizione all’agente tossico. Leprime pronunce dei giudici italiani optano tra due diverse alternative: valorizzare l’approccio causale al pro-blema - e dunque ritenere dimostrata, alla luce delle acquisizioni probatorie assunte in giudizio, la sequenzaeziologica tra esposizione e patologia; o fondare la tutela delle vittime sull’inadempimento del datore di la-voro all’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore di cui all’art. 2087 c.c.; scelta, questa, che deter-mina una virata sul piano probatorio dalla dimostrazione del nesso di causa a quello dell’allegazione di un ina-dempimento qualificato.

Diverse pronunce di giudici civili hanno negli ulti-mi anni riconosciuto la risarcibilità del danno allasalute patito da soldati italiani che nel corso di mis-sioni militari all’estero hanno contratto patologieassociate all’esposizione ad uranio impoverito, fre-quentemente utilizzato nella preparazione di muni-zioni, grazie alla sua elevata capacità di penetrare icorpi (c.d. “sindrome dei Balcani” (1)).In rapida sequenza il Tribunale di Firenze (sent. 17dicembre 2008), il Tribunale di Roma (sent. 15 lu-glio 2009 e 1° dicembre 2009) il T.a.r. Napoli Cam-pania (sent. 5 agosto 2010) e, da ultimo, il Tribuna-le di Cagliari (sent. 4 agosto 2011) e, nuovamente,il Tribunale di Firenze (sent. 14 novembre 2011)hanno liquidato importi ingenti a ristoro di danni dapatologie tumorali, di varia gravità e natura, dellequali è stata accertata l’associazione causale conl’esposizione all’uranio impoverito.Indiscussa la colpa del Ministero della Difesa, peravere ignorato studi scientifici e raccomandazioniespresse in diversi Rapporti e Direttive emanati daautorità mediche e militari, soprattutto americane,che evidenziavano i gravi rischi per la salute dellepersone esposte al contatto, soprattutto per inalazio-ne, dell’uranio impoverito, la partita si gioca sul ver-sante del nesso di causa.È interessante rilevare che il percorso argomentati-vo seguito dai nostri giudici per riconoscere la re-sponsabilità per danni in capo all’ente convenuto sisnoda lungo due distinte direzioni; l’una imboccacon decisione la via della correlazione tra esposizio-

ne alla sostanza cancerogena e comparsa della pato-logia tumorale; l’altra si sposta sul versante dei do-veri incombenti sul Ministero quale datore di lavorodei soldati e del personale impiegato nelle missionimilitari all’estero.Il primo fronte tocca uno degli aspetti più delicatidell’indagine causale; le patologie connesse all’espo-sizione ad uranio non rivestono carattere di specifi-cità in ragione dell’agente causante, come inveceavviene, ad esempio, per il mesotelioma pleuricoche consegue all’esposizione a fibre aerodisperse diamianto.Linfomi, tumori del retto, carcinomi tiroidei ed altrepatologie neoplastiche contratte da soggetti espostiall’uranio impoverito possono essere originati dauna pluralità di fattori scatenanti, indipendenti dal-l’esposizione all’uranio.La scansione della sequenza “esposizione all’uranio-sviluppo della patologia” non appare pertanto suffi-ciente alla configurazione di un nesso eziologico giu-ridicamente rilevante, in quanto la malattia puòavere cause diverse dall’esposizione a quell’agentepatogeno.Il quadro appare complicato dal fatto che l’arco di

Nota:

(1) Sul tema A. Mantelero, Impiego di munizioni ad uranio impo-verito ed attività militare: un caso di danno di massa, in Riv. trim.dir. e proc. civ., 2010, 1287 ss.; più in generale, sui problemi cau-sali legati ai danni “di massa” cfr. R. Pucella, La causalità «incer-ta», Torino, 2007, spec. 285 ss.

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tempo intercorrente tra l’esposizione all’uranio el’insorgenza dei segni della malattia è solitamente ditale ampiezza da consentire l’ingresso nella catenacausale di altri possibili fattori che, in autonomia oin concorso con la sostanza radioattiva, interferisco-no nella sequenza causa-effetto lungo uno spettro dipossibilità che spazia dall’irrilevanza causale del fat-tore sopravvenuto, al possibile suo ruolo di concau-sa, sino all’interruzione vera e propria del nesso tral’esposizione originaria alla sostanza radioattiva ed ildanno.La questione, ben nota, evidenzia il conflitto - diportata generale e su larga scala - che si crea tra dan-neggiati che cercano ristoro per patologie che li ac-comunano ad una molteplicità di altri individui,tutti ugualmente esposti a sostanze tossiche, e pre-sunti danneggianti che contestano la fondatezza del-la domanda di danno in ragione della ritenuta as-senza, a distanza di anni dall’avvenuta esposizioneall’agente nocivo, di adeguati elementi di prova checonsentano l’accertamento di relazioni di causa-ef-fetto giuridicamente significative tra esposizione edanno; e negano che l’evidenza statistica od epide-miologica consenta l’accertamento del rapportoeziologico sotteso alla pretesa risarcitoria.La correlazione, in termini di incidenza statistica,tra esposizione all’uranio e malattie tumorali è fattaoggetto di plurimi studi a livello di popolazione ge-nerale; ma quale rilievo una relazione eziologica, lacui significatività è accertata a livello di popolazio-ne (c.d. causalità generale), possa rivestire nella de-terminazione della rilevanza causale della singolaesposizione (c.d. causalità particolare) è aspetto for-temente dibattuto nella letteratura epidemiologicaprima ancora che giuridica.Un’ulteriore insidia deriva dalla progressiva presa dicoscienza della complessità dei nessi; la radicale tra-sformazione del concetto di causalità in medicinaha, infatti, indebolito i tradizionali canoni di accer-tamento della relazione tra eventi; di fatto, il passag-gio da una concezione deterministica e monocausa-le dell’insorgenza della malattia ad una concezioneprobabilistica, attenta alla combinazione della mol-teplicità dei fattori che possono intervenire a deter-minarla, complica per il giudice l’accertamento del-le responsabilità.Sotto questo aspetto l’argomentazione del giudicepenale e di quello civile divergono sensibilmente.Per il primo la pronuncia di condanna è subordinataal solo accertamento che il fatto imputabile sia statoquanto meno concausa dell’evento dannoso, ai sen-si dell’art. 41 c.p.; per il secondo si può porre l’ulte-riore questione problematica legata alla misura degli

apporti causali, ove si sia in presenza di concause, inragione dell’esigenza di modellare l’obbligazione ri-sarcitoria alla luce dell’effettiva compartecipazioneal danno (si immagini un carcinoma polmonare ef-fetto, nel contempo, sia dell’esposizione alla sostan-za radioattiva che della condizione di accanito fu-matore della vittima).Ciononostante l’accertamento del nesso di causa ap-pare - ancor più nei recenti approdi della Cassazione- sensibilmente più rigoroso nel giudizio penale.Ciò dipende, in parte, dal diverso ruolo ed implica-zioni propri della responsabilità penale, tradizional-mente ricollegabili al principio dell’oltre ogni ragio-nevole dubbio; ma si spiega, per altra parte, proprioin ragione della consapevolezza che la patologiamultifattoriale sfugge alle logiche del “tutto o nien-te” e rappresenta l’emersione di delicate, quantouniche, combinazioni di fattori concausali, non su-scettibili di assurgere a modelli standard di ricostru-zione del nesso causale.La recente Cass. pen., sez. IV, n. 11197/2012, depo-sitata il 22 febbraio 2012, sulla premessa che per lepatologie multifattoriali il giudice non può ricercareil legame eziologico sulla base di una nozione di con-causalità meramente medica, dovendo le conoscen-ze scientifiche essere ricondotte nell’alveo di unacausa condizionalistica necessaria, ha affermato cheper poter affermare la sussistenza del nesso di causa-lità in relazione alla condotta omissiva degli imputa-ti, ritenuta causa dell’insorgenza di un tumore pol-monare contratto da un lavoratore poi deceduto, eranecessario dimostrare che la malattia non avevaavuto un’esclusiva origine dal prolungato ed intensofumo di sigarette, ma che l’esposizione all’amiantoera stata una condizione necessaria per l’insorgere oper una significativa accelerazione della patologia.Invero - osserva la Corte - il rapporto causale va ri-ferito non solo al verificarsi dell’evento prodottosi,ma anche e soprattutto in relazione alla natura e aitempi dell’offesa nel senso che dovrà riconoscersi ilrapporto in questione non solo nei casi in cui siaprovato che la condotta omessa avrebbe evitato ilprodursi dell’evento verificatosi, ma anche nei casiin cui sia provato che l’evento si sarebbe verificatoin tempi significativamente più lontani ovveroquando, alla condotta colposa omissiva o commissi-va, sia ricollegabile un’accelerazione dei tempi di la-tenza di una malattia provocata da altra causa.Di prova “certa” dell’evento, che escluda la coesi-stenza di un’alternativa ipotesi eziologica, parlaCass. pen., sez. IV, n. 9479/2012, depositata il 12marzo 2012 e prima ancora la più nota Cass., sez. IV,n. 43786, depositata il 17 settembre 2010, ha richia-

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mato la necessità di ricostruire l’eziologia dell’even-to alla luce di «definite e significative acquisizionifattuali».Le decisioni di merito che hanno accordato il risar-cimento dei danni civili ai militari esposti all’uranioimpoverito hanno battuto, sul versante della causa-lità, percorsi paralleli ma non sempre coincidenticon quelli seguiti dai giudici penali.Comune è l’evidenziazione del dato scientifico, chedimostra con sicurezza, a livello di popolazione, l’ef-fetto cancerogeno dell’esposizione all’uranio impo-verito.Più sfumato, invece, il rilievo dato al criterio diesclusione di altre possibili cause; la sentenza del di-cembre 2008 del Tribunale di Firenze - che più dellealtre affronta il tema causale - si limita ad osservareche «pur accettando un’altra causa preponderante[id est il benzene] … non si può escludere - anzi sipuò ammettere … - un ruolo concausale dell’esposi-zione al DU [id est uranio impoverito] nell’ottica diuna plausibile genesi multifattoriale della patologianeoplastica». Altre pronunce (2) enfatizzano so-prattutto le “evidenze” scientifiche a livello di popo-lazione, pur seguite - e confortate, quanto alle fatti-specie oggetto di giudizio - da conclusioni sintoni-che dei medici legali.Vanno, sul punto, fatti due rilievi.Il primo riguarda il fatto che le possibili concause (ocause esclusive) delle patologie tumorali lamentate -in particolare l’esposizione, non adeguatamente pro-tetta, a solventi largamente utilizzati in ambientebellico, come il benzene, o l’effetto immunodepres-sivo cagionato dalle massicce campagne vaccinalicui i soldati sono sottoposti - sono fatti comunqueimputabili al medesimo soggetto giuridico chiamatoa rispondere dell’effetto cancerogeno dell’uranio;ciò sembra sollevare i giudici dalla preoccupazionedi doversi maggiormente addentrare nel tema del-l’interferenza tra concause.Il secondo riguarda il criterio probatorio accolto dal-la giurisprudenza civile in tema di causalità, ora - co-me noto - assestato sul più mite standard del “piùprobabile che non”; una forte evidenza statisticadella correlazione causale a livello di popolazionepuò convincere il giudice della maggior probabilitàche la patologia lamentata sia frutto dell’esposizionealla sostanza tossica, a meno che non esistano con-crete evidenze probatorie della riferibilità del dannoad un fattore eziologico alternativo.Il rischio di esiti giudiziali discordanti (assolutorio ilpenale, di condanna il civile) può essere evitato se,nel solco di alcune delle decisioni richiamate (3), sifonda la responsabilità dell’Ente convenuto sulla

specifica violazione, avente natura contrattuale, de-gli obblighi di tutela dell’integrità fisica del presta-tore di lavoro, di cui all’art. 2087 c.c.La natura contrattuale della responsabilità invocataincide, invero, sul regime dell’onere della prova.È pur vero, quanto al nesso di causa, che l’onere di di-mostrarne l’esistenza continua a gravare sul danneg-giato, che dunque, per tale aspetto, non dovrebbe be-neficiare del più favorevole assetto dell’onere proba-torio predicato da Cass., sez. un., n. 13533/2001; ma èaltrettanto vero che la stessa Cassazione pare, di fat-to, aver incluso la prova del nesso di causalità nelladimostrazione del c.d. “inadempimento qualificato”,cioè astrattamente efficiente alla produzione del dan-no; con la conseguenza - di non poco peso sul pianodell’onere probatorio - che «avendo l’attore provatoil contratto relativo alla prestazione sanitaria … ed ildanno assunto (epatite), allegando che i convenutierano inadempienti avendolo sottoposto ad emotra-sfusione con sangue infetto, competeva ai convenutifornire la prova che tale inadempimento non vi erastato, poiché non era stata effettuata una trasfusionecon sangue infetto, oppure che, pur esistendo l’ina-dempimento, esso non era eziologicamente rilevantenell’azione risarcitoria proposta, per una qualunqueragione, tra cui quella addotta dell’affezione patologi-ca già in atto al momento del ricovero» (4).Secondo questo schema argomentativo pare evi-dente che l’omissione in capo al Ministero dellaDifesa di protezioni specifiche per il personale mi-litare operante in zona contaminata dall’uranioimpoverito utilizzato per la fabbricazione del mate-riale bellico rappresenti certamente inadempimentoefficiente alla produzione del danno; con la conse-guenza, per i danneggiati, di poter sfuggire alle sab-bie mobili delle cause alternative ipotetiche, la-sciando al convenuto il più gravoso onere di dimo-strare l’esistenza di altro fattore eziologico capacedi interrompere il nesso tra la propria condottaomissiva ed il danno sofferto dalla vittima del-l’esposizione tossica.Un secondo percorso, non battuto dalla giurispru-denza richiamata, ma per certi versi rinvenibile nel-le pieghe delle motivazioni di alcune delle decisioni,può essere quello di ipotizzare una responsabilità perrischio creato, in un contesto nel quale l’obbligo diadottare misure di protezione delle persone a fini di

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Note:

(2) Trib. Roma, 1° dicembre 2009 e 15 luglio 2009, ad esempio.

(3) Trib. Roma, 15 luglio 2009 e T.a.r. Napoli Campania, 5 agosto2010.

(4) Cass., sez. un., n. 577/2008.

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prevenzione sanitaria era, alla luce delle evidenzescientifiche, indiscusso ed acclarato.L’obbligazione risarcitoria in tal caso ristorerebbenon il danno finale (neoplasia) ma la sola probabilitàche l’evento ultimo sia stato causato dall’esposizionealla sostanza tossica, secondo costruzioni concettua-li elaborate nel contesto di alcune teorie in tema dimass torts, che ripartiscono la responsabilità in pro-porzione all’ampiezza della probabilità che l’eventofinale sia stato originato da una determinata causa.Oppure, volendo adottare un modello risarcitorio a

noi più familiare, pur se non esente da critiche, unaresponsabilità da incremento del rischio potrebbegiustificarsi secondo lo schema del danno da perditadi chances, inteso - qui - come perdita della probabi-lità di evitare un effetto sfavorevole.Sarà interessante verificare se gli argomenti utilizza-ti dai giudici di primo grado per fondare l’obbligazio-ne risarcitoria del ministero supereranno, in fatto, ilgiudizio di appello e incroceranno, per il tempo incui saranno sottoposti al vaglio di legittimità, i prin-cipi causali che oggi la S.C. fa propri.

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Danni da uranio impoverito

La responsabilità per dannoambientale da attività bellica. Il“problema” dell’uranio impoveritodi Claudia Sartoretti

L’impiego dell’uranio compromette allo stesso tempo la salute umana e l’ambiente, sicché garantire un’ade-guata tutela di quest’ultimo costituisce la premessa indispensabile per proteggere e salvaguardare il benes-sere della nostra generazione e di quelle future. Durante i recenti conflitti bellici sono state utilizzate muni-zioni ad uranio impoverito che hanno finito per inquinare l’ambiente circostante, pertanto ci si interroga sul-la possibilità di far valere una responsabilità per danni ambientali conseguenti all’impiego del materiale inquestione. Il presente studio esamina dunque gli strumenti giuridici - per lo più di diritto internazionale - dicui oggi si dispone per poter far valere la responsabilità giuridica per danneggiamento dell’ecosistema intempo di guerra. Accanto al profilo della responsabilità ambientale, l’impiego dell’uranio impoverito e l’in-certezza scientifica che lo accompagna mettono a fuoco anche l’aspetto precauzionale della questione, sug-gerendo una rivisitazione della normativa giuridica applicabile in tempo di guerra affinché venga garantita lamessa in atto di strumenti atti non solo a “curare” ma anche a “prevenire” il danno incerto.

1. Introduzione

L’uranio impoverito è uno dei materiali di scartodella raffinazione dell’uranio naturale ed è larga-mente utilizzato nell’industria bellica che ne sfruttal’elevato peso specifico per creare proiettili dotati diuna consistente massa perforante.Seppur meno radioattivo di quello naturale, l’uranioimpoverito (d’ora in avanti DU, depleted uranium)resta un agente contaminante altamente pericoloso,sia per la sua particolare persistenza che per la facili-tà con la quale le particelle di ossido di DU, traspor-tate dal vento, si diffondono nell’ambiente, anche amolti chilometri di distanza rispetto al luogo in cuisi è verificato l’impatto.Al potere inquinante del manufatto di DU rimastointatto al suolo si aggiunge poi quello molto più ele-vato delle nanopolveri sprigionate al momento del-l’esplosione dei proiettili, e tali da contaminare, nonsoltanto a livello chimico ma anche radiologico, ci-bo ed acqua, laddove, una volta disperse nell’aria, ri-cadono al suolo, depositandosi sul terreno, sulle ver-dure e sull’erba di cui si nutrono gli animali e pene-trando nelle falde acquifere.L’impiego dell’uranio impoverito compromette dun-que allo stesso tempo ambiente e salute umana, met-tendo, così, ancora una volta in evidenza la stretta

interdipendenza tra l’uomo ed il suo ambiente,un’interdipendenza che, pur non negando la centra-lità del primo, evidenzia però come il valore della vi-ta si estenda anche a tutto ciò che circonda l’essereumano.La lotta per la difesa dei diritti umani e quella per laprotezione della natura possono, infatti, coincidere,dal momento che entrambe si muovono lungo diret-trici che convergono verso quello stesso scopo che èla salvaguardia del diritto alla vita, in tutte le sueforme ed estrinsecazioni, ed il sostegno di una cre-scita “sostenibile” finalizzata al miglioramento am-bientale e sociale oltre che economico (1).Come ha limpidamente precisato la Corte di Gius-tizia Internazionale nell’Advisory Opinion dell’8luglio 1996 sulla Legality of the Use by a State of Nu-clear Weapons in Armed Conflict, «the environmentis not an abstraction but represents the living space,the quality of life and the very health of human be-ings, including generations unborn. The existenceof the general obligation of States to ensure that ac-tivities within their jurisdiction and control respect

Nota:

(1) V., sul punto, A. Cassese-P. Gaeta, Le sfide attuali del dirittointernazionale, Bologna, 2008, 231.

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the environment of other States or of areas beyondnational control is now part of the corpus of inter-national law relating to the environment» (2).La necessità di indagare più approfonditamente laquestione “ambiente” in riferimento alle attivitàbelliche si spiega anche alla luce del fatto che oggi leguerre non vengono più combattute in un circo-scritto e ben definito campo di battaglia: le armi, gliobiettivi e le tattiche moderne estendono, infatti, ilconflitto oltre l’area del tradizionale e delimitatoluogo di scontro, visto che i loro effetti possono ri-percuotersi e diffondersi su un più vasto spazio geo-grafico, senza arrestarsi ai confini dei singoli Stati,con conseguenze catastrofiche per l’ambiente.E il mondo - come è stato osservato (3) - non puònon prendere atto della nuova portata dei più recen-ti conflitti nei quali il disastro ecologico può addirit-tura assurgere a modalità alternativa, a vera e pro-pria strategia di guerra, consapevolmente adottata,allo scopo di raggiungere in modo più rapido ed effi-cace il risultato sperato. Non è, infatti, un caso chenel 1976 sia stata stipulata la Convenzione interna-zionale che introduce il divieto di tecniche di modi-ficazione ambientale per scopi militari o ostili (c.d.Convenzione ENMOD), ad ulteriore conferma delfatto che l’ambiente risulta essere sempre piùun’emergenza internazionale, una questione “globa-le” da affrontare a tutto tondo, in qualsivoglia con-testo geo-politico essa emerga, sia in tempo di paceche in tempo di guerra.A partire dal secondo dopoguerra, si assiste così aduna sempre più forte e consapevole presa di coscien-za della responsabilità dell’uomo nei confronti del-l’ambiente naturale, accompagnata dalla convinzio-ne che la natura possa essere meglio conservata e va-lorizzata ricorrendo a specifiche disposizioni a livel-lo internazionale che puntualmente ne disciplininoe garantiscano la salvaguardia.L’attenzione per l’ambiente trova così, come è noto,il suo più ampio e chiaro riconoscimento quando latutela dell’equilibrio ecologico viene ad essere inse-rita nei programmi di nuova formulazione delle or-ganizzazioni internazionali.A partire dalla Dichiarazione sull’ambiente umanoelaborata nel corso della Conferenza di Stoccolmadel 1972 vengono, infatti, ufficialmente riconosciu-ti l’importanza ed il valore dell’ambiente e viene al-tresì formalizzato il dovere dell’uomo di tutelare lanatura non soltanto per la propria generazione maaltresì per quelle future.Le risposte insufficienti fornite dalle leggi nazionalidei singoli paesi e le preoccupazioni per la salute delpianeta hanno persuaso gli Stati dell’opportunità di

stipulare convenzioni multilaterali (4) e dell’utilitàdi predisporre tutti gli strumenti necessari a garanti-re la tutela dell’ambiente nei suoi elementi più vari,nella sempre più crescente consapevolezza che l’am-biente medesimo rappresenti ormai un problema dipolitica mondiale che supera la soglia nazionale e siestende oltre il limite della giurisdizione del singoloStato (5).Ora se la protezione dell’ecosistema, a partire dagliAnni ’70, ha iniziato a porsi al centro dell’attenzio-ne della comunità internazionale, con la conseguen-te instaurazione di una governance a livello mondia-le capace di avviare politiche globali di tutela am-bientale, è vero anche che a tutt’oggi manca unanormativa specifica, unitaria e coerente che offra unvalido strumento giuridico a livello internazionaleatto a vietare o imporre limiti ai disastri ambientalicausati dalla guerra.Fin quando, infatti, si affronta la questione “am-biente” con riferimento alla normativa applicabilein tempo di pace non ci si può esimere dal constata-re la particolare attenzione che la comunità mon-diale ha prestato all’argomento; prova ne siano lenumerose iniziative internazionali che si sono pro-gressivamente susseguite nel corso degli anni e alquale va il merito di aver «avviato un fecondo per-corso a carattere discendente, dalle regolazioni so-pranazionali a quelle domestiche» (6), passando na-turalmente attraverso l’esperienza comunitaria.Allorché invece ci si trovi ad indagare la problema-tica ambientale nel diverso contesto dei conflitti ar-mati, il quadro normativo che si presenta agli occhidel giurista appare in parte lacunoso e in una certamisura frammentario e privo di organicità. Innanzi-

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Note:

(2) Il testo integrale della sentenza può essere consultato alla pa-gina internet:www.icj-cij.org. Per un commento v. N. Ronzitti, LaCorte internazionale di giustizia e la questione della minaccia odell’uso di armi nucleari, in Riv. dir. int., 1996, 861 ss.

(3) Così Pekka Haavisto, nel suo discorso tenuto in occasione delConvegno di civitas 2001 a Padova. Il testo tradotto in italiano èconsultabile sul sito www.balcanicaucaso.org.

(4) Sui profili di diritti internazionale dell’ambiente vi è una nutri-ta letteratura. V. ex multis, per un’attenta ricostruzione A. Cro-setti-R. Ferrara-F. Fracchia-N. Olivetti Rason, Diritto dell’ambien-te, Roma-Bari, 2008, passim, ma spec., 10-11; G. Cordini-P. Fois-S. Marchisio, Diritto ambientale. Profili internazionali europei ecomparati, Torino, 2008; F. Munari, Tutela internazionale dell’am-biente, in S. Carbone-R. Luzzatto-A. Santa Maria, Istituzioni di di-ritto internazionale, Torino, 2003, 4006 ss.; P. Sands, Principlesof international environmenal law, Cambridge, 2003; D. Bodan-sky, The Art and Craft of International Law, USA, 2009.

(5) V. l’art. 21 della Dichiarazione di Stoccolma sull’ambienteumano del 16 giugno 1972.

(6) Così A. Crosetti-R. Ferrara-F. Fracchia-N. Olivetti Rason, Dirit-to dell’ambiente, cit., 4.

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tutto va osservato come parte della disciplina giuri-dica sia contenuta in statuizioni di soft law che - co-me è noto - non sempre hanno efficacia immediata-mente vincolante, mentre le norme contenute neitrattati o facenti parte delle consuetudini interna-zionali trattano della protezione ambientale non invia diretta ma per lo più in via mediata, attraversodisposizioni che si preoccupano di regolare l’impattodella guerra sulla popolazione civile e sui beni chevengono coinvolti, o rischiano di rimanere coinvol-ti, nelle ostilità. A ciò si aggiunga poi un’ulterioreconsiderazione: la maggior parte delle norme inter-nazionali da applicarsi in tempo di guerra (c.d. dirit-to umanitario) si sono invero sviluppate in un’eracaratterizzata per lo più da conflitti interstatali (val-ga per tutti l’esempio della Convenzione ENMODstipulata in risposta alle discutibili tattiche militariimpiegate dagli USA nella guerra del Vietnam);pertanto, alcune disposizioni risultano inapplicabiliquando ci si trovi al cospetto di conflitti interni, os-sia di quei conflitti che coinvolgono il territorio diun solo Stato e sono per lo più condotti da gruppiprivati, privi di una chiara struttura di comando,non addestrati all’arte della guerra ma, soprattutto,con una scarsa familiarità con i principi e le normedel diritto umanitario internazionale (7).Ciò premesso, una qualsivoglia indagine dei profilidi responsabilità per danno ambientale causato daattività bellica, non può allora prescindere da unadisamina generale della disciplina giuridica in mate-ria di protezione dell’ecosistema durante i conflittiarmati, che permetta di tracciare un preciso quadronormativo di riferimento in cui poter trovare le giu-ste risposte ai numerosi interrogativi sollevati dallaquestione ambiente in tempo di guerra.

2. La protezione dell’ambiente in tempo diguerra: la disciplina giuridica internazionale

Due sono i contesti normativi rilevanti in materia diprotezione dell’ambiente nel corso dei conflitti ar-mati, e in cui vanno anche ricercate le risposte ainumerosi interrogativi che l’impiego di armi DUsollevano.Il primo ambito è rappresentato dal diritto bellico,ossia dalle norme giuridiche stabilite per regolamen-tare le ostilità, il secondo è invece costituito dal di-ritto internazionale ambientale in senso stretto, ossiada quelle regole che si sono progressivamente svilup-pate a partire dagli anni ’70, quando inizia a farsistrada l’idea che i problemi ambientali hanno una ri-levanza “globale” e non più solo a livello nazionale.In quest’ultimo caso, si tratta, in particolare, di veri-

ficare se e quali norme di diritto ambientale si possa-no comunque applicare, stante il principio della ge-nerale sospensione dei trattati applicabili in tempodi pace, a causa del carattere di eccezionalità che lostato di guerra comporta (8); occorre cioè accertarequali di queste disposizioni possano essere ricondotteallo jus cogens (9), ossia a quel diritto imperativo edinderogabile finalizzato a servire gli interessi fonda-mentali della comunità internazionale nel suo insie-me piuttosto che quelli dei singoli Stati.L’art. 19 del Progetto di articoli sulla responsabilitàinternazionale degli Stati, nella sua originaria edi-zione, menzionava tra i crimini internazionali com-piuti dai singoli paesi, l’inquinamento massicciodell’atmosfera e dei mari. Questa disposizione, adot-tata in prima lettura dalla Commissione di dirittointernazionale, fu successivamente soppressa mapuò a tutt’oggi rappresentare un utile punto di riferi-mento per l’individuazione concreta delle normecogenti, ritenute fondamentali in ragione della na-tura dell’interesse tutelato.La maggioranza della dottrina e della prassi, sia in-ternazionale che interna, riconosce ormai l’esistenzadi questo diritto di natura consuetudinaria, non su-scettibile di deroga né da parte di accordi, che risul-terebbero altrimenti nulli, né da parte di consuetu-dini “ordinarie”, che verrebbero invece disapplicateperché in contrasto con norme imperative (10).La dottrina ha poi annoverato fra i principi di lega-lità, il divieto di arrecare gravi danni ambientali equello di ostacolare lo sviluppo sostenibile (11).Certamente il riconoscimento della tutela ambien-tale fra gli obblighi ritenuti essenziali per garantiregli interessi fondamentali della comunità interna-zionale rappresenta un ulteriore passo avanti. Tutta-via gli Stati non l’hanno pressoché mai invocata e itribunali internazionali vi sono ricorsi solo in pocheoccasioni. Se, infatti, sembra esserci accordo sull’esi-

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InterventiDanno alla salute

Note:

(7) Cfr., sul punto, I Palumbo, Il significato attuale delle Conven-zioni di Ginevra nel mondo contemporaneo: una sfida per il futu-ro, in www.micr.it/notiziarionuovo/66.htm.

(8) L’effetto della guerra sui trattati internazionali è in sostanza ri-conducibile alla clausola rebus sic stantibus, di cui all’art. 62 del-la Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969. Cfr., sulpunto, per tutti, B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, 2006,123 ss.

(9) V. Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, art.53.

(10) Sul punto, v. N. Ronzitti, Introduzione al diritto internaziona-le, Torino, 2007, 158 ss.; A.Cassese, Diritto internazionale, Bolo-gna, 2006, 199 ss.; Conforti, Diritto internazionale, cit.

(11) G. Ziccardi Capaldo, Diritto globale, Milano, 2010, passim,ma spec., 300 ss.

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stenza di norme cogenti, vi sono invece molti dubbisu chi, ad esempio, possa far valere la responsabilitàdello Stato inottemperante (la violazione di normeimperative legittimerebbe di fatto qualsiasi paese,diverso da quello direttamente leso, a invocarla e adadottare contromisure) e quale debba essere l’autori-tà deputata alla soluzione di questo tipo di contro-versie.Risposte dunque più concrete e capaci di soddisfareil bisogno di tutela dell’ambiente in tempo di guerravanno piuttosto cercate nella disciplina giuridicadei conflitti armati, nella quale occorre però sind’ora distinguere le regole di ius ad bellum (che disci-plinano l’uso della forza e si occupa delle ragioni percui ha inizio una guerra) dalle norme di jus in bello(ossia norme di diritto internazionale umanitario,volte a regolamentare la condotta delle ostilità, aprescindere dal motivo per cui esse hanno avuto ini-zio).L’attenzione va naturalmente focalizzata sul secondoambito normativo poiché il problema della protezio-ne dell’ambiente nei conflitti armati ha a che vede-re con le modalità e i mezzi scelti per nuocere il ne-mico.Non esiste, come si è già precisato, una normativainternazionale relativa alla protezione ambientale intempo di guerra chiara e definita ma un crogiuolonon ordinato di regole di carattere consuetudinarioe pattizio, alle quali vanno poi aggiunti i parametridi condotta contenuti in strumenti internazionali,molti dei quali sprovvisti di forza vincolante, e i ca-se law, ossia le decisioni assunte dalle giurisdizioni alivello nazionale ed internazionale, utili a risolvere idubbi interpretativi che possono sorgere con riguar-do all’applicazione dei trattati e delle norme gene-ralmente riconosciute.Questo è il complesso e disarticolato quadro norma-tivo che si presenta agli occhi del giurista, un quadrola cui lacunosità e la cui incertezza sembrano, fral’altro, essere una delle cause dell’insuccesso del di-ritto internazionale e della sua incapacità di frenarela violenza bellica, che finisce sempre più per dan-neggiare i civili ancor più che i militari (12).Più specificatamente, con riguardo alle norme di ca-rattere consuetudinario, si possono individuare al-cuni principi e, segnatamente, il principio di neces-sità, proporzionalità, distinzione ed umanità e la c.d.clausola Martens.Si tratta, per tutti quanti, di regole fondamentali,successivamente codificate nelle convenzioni di di-ritto umanitario e che forniscono una sorta di metrodi valutazione per regolare il modo in cui le ostilitàdebbano essere condotte, così da garantire «un mi-

nimo di ragionevolezza in quella “summa” di irrazio-nalità che è la guerra» (13).In particolare, il principio di “necessità militare” po-stula l’obbligo dei combattenti di impiegare soloquei mezzi che appaiono indispensabili a sconfiggereil nemico. In tal senso, la necessità militare risultaessere strettamente collegata al secondo principiosopra menzionato, ossia quello di proporzionalità, ilcui scopo è di circoscrivere e limitare la libertà discelta da parte dei belligeranti circa i metodi e i mez-zi con i quali condurre la guerra. Più specificatamen-te, e alla luce della sua codificazione nell’art. 57, par.2 (ii), del Primo protocollo aggiuntivo del 1977 alleConvenzioni di Ginevra, il principio di proporzio-nalità proibisce gli attacchi che causano perdite in-cidentali tra i civili, lesioni ai civili o danni adobiettivi civili che risultino eccessivi rispetto alvantaggio militare diretto e concreto che si prevededi conseguire. Qualora invece, a dispetto di tale di-sposizione, venga sferrato un attacco indiscriminato(ossia deciso pur sapendo che esso produrrà danni“eccessivi” alla popolazione civile), la parte che hacompiuto l’azione sarà responsabile per aver com-piuto un’infrazione grave e, dunque, un crimine diguerra (art. 85).Secondo il principio di distinzione, in guerra è d’ob-bligo evidenziare sempre le differenze tra bene civilee obiettivo militare e allo stesso tempo, secondo ilprincipio di umanità, è dovere degli Stati intrapren-dere qualsiasi sforzo per limitare le sofferenze super-flue.Infine, vi è la c.d. Clausola Martens, la quale, incor-porata nel Preambolo della Convenzione dell’Ajadel 1907, prevede che in attesa di una completa co-dificazione del diritto dei conflitti armati, le popola-zioni e i belligeranti restano sotto la salvaguardia el’imperio dei principi dettati dal diritto delle genti,quali risultano dagli usi stabiliti fra le nazioni civili,dalle leggi di umanità e dalle esigenze della coscien-za pubblica.Per “giusta” che sia, dunque, la causa per cui unaguerra è fatta, essa risulterà tuttavia ingiustificata seper vincerla è necessario violare i canoni fondamen-tali dello ius in bello (14).

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Note:

(12) In questo senso, A. Cassese-P. Gaeta, Le sfide attuali del di-ritto internazionale, cit., 97.

(13) Così, testualmente, A. Cassese-P. Gaeta, op. cit., 76.

(14) G. Pontara, Guerre, disobbedienza civile, non violenza, Tori-no, 1996, passim, ma spec. 42; M. Walzer, nella Prefazione alsuo libro Guerre giuste ed ingiuste. Un discorso morale conesemplificazioni storiche, Roma-Bari, 2009; T. Mazzarese, Guer-ra e diritti: tra etica e retorica, in Ragion pratica, 1999, 13 ss.

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In questo senso i principi consuetudinari appenamenzionati, oggi codificati in norme scritte, mettonoa dura prova la scelta di mezzi che accidentalmente oconsapevolmente conducono al degrado delle risorsenaturali. E in tale ottica sembra allora lecito chieder-si quanto possano essere considerate legittime e ri-spettose del principio di distinzione, quelle guerre incui vengono impiegate armi ad uranio impoverito,capaci di generare danni all’ambiente a tutt’oggi dif-ficilmente quantificabili. O, ancora, quale sia la so-glia oltre la quale l’inquinamento ecologico derivan-te dall’impiego di armi DU o dal versamento in maredi petrolio cessa di essere proporzionalmente accetta-bile rispetto al vantaggio militare conseguito controil regime serbo di Milosevic o quello di Saddam Hus-sein nella prima guerra del Golfo?Non va tuttavia dimenticato che i principi menzio-nati non sono invero sorti con il precipuo e imme-diato scopo di garantire un’adeguata protezione del-l’ambiente, ma per rispondere invero ad altre neces-sità. Queste regole, come si evince anche dal tenoredelle disposizioni in cui sono state trascritte, si pro-pongono, infatti, di assicurare in via diretta e imme-diata la tutela delle popolazioni civili, e l’ambiente,pertanto, non potrà che beneficiare di tali previsio-ni in via esclusivamente mediata. Ciò che sollevadubbi sulla possibilità di poter far valer una respon-sabilità per danni all’integrità ambientale, indipen-dentemente dal fatto che si siano verificate anchelesioni alla integrità psico-fisica delle persone coin-volte nel conflitto. L’ambiente verrebbe cioè in ri-lievo solo nella sua interrelazione meramente “utili-taristica” con il diritto alla salute delle persone, an-ziché secondo una prospettiva che permetta di cu-stodire la qualità dell’ambiente come obiettivo ulti-mo per pervenire ad uno sviluppo sostenibile (15).In secondo luogo, va poi osservato come la protezio-ne ambientale sia subordinata all’esigenza primariarappresentata dall’annientamento del nemico, ciòche mette in evidenza il limite dei suddetti principiattraverso i quali la natura verrebbe protetta soltan-to in maniera indiretta, con tutte le difficoltà di ca-rattere probatorio che ne possono successivamentederivare. Per sostenere l’effettiva violazione di talinorme occorrerebbe, infatti, riuscire a dimostrareche gli obiettivi militari avrebbero potuto essereperseguiti attraverso azioni ed attacchi meno vio-lenti (16).

3. (Segue)

Focalizzando ora l’attenzione sul diritto pattizio, ciòche emerge già da una prima lettura delle disposizio-

ni contenute nelle Convenzioni internazionali èl’espressa menzione del termine “ambiente.In particolare, l’art. 35.3, del Primo Protocollo allaConvenzione di Ginevra sopra menzionato, vietal’impiego di metodi concepiti con lo scopo di provo-care, o dai quali ci si può attendere che provochino,danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.La norma va letta in combinato disposto con l’art.55 che impone la salvaguardia dell’ambiente controqualsivoglia sua alterazione che possa arrecare pre-giudizio alla salute o alla sopravvivenza della popo-lazione.Le disposizioni, nel loro insieme, assicurano così unapiena tutela dell’ambiente nella sua duplice accezio-ne - ambiente “sano” e “salubre” - laddove sono fina-lizzate rispettivamente a garantire la salvaguardiadell’integrità ecologica in sé considerata e la tuteladell’ambiente come bene di carattere civile, il cui in-quinamento rivela solo se rischioso per l’uomo (17).A ciò si aggiunga poi anche l’art. 56, il quale, vie-tando l’attacco di opere ed installazioni che racchiu-dono «forze pericolose» (come, ad esempio, dighe ecentrali nucleari), la cui liberazione potrebbe causa-re gravi perdite alla popolazione civile, offre un’ulte-riore tutela, seppur in via indiretta, all’ambiente.Ora, se l’espresso richiamo all’ambiente va certa-mente salutato come una novità apprezzabile, in li-nea con il progressivo consolidamento di una sem-pre più forte coscienza ambientale, non ci si può esi-mere dall’evidenziare le insufficienze e i limiti deglistrumenti legali atti a garantire la salvaguardia del-l’equilibrio ecologico in tempo di guerra.Si rammenti innanzitutto che solo alle norme con-suetudinarie è riconosciuta una generale e genericaportata precettiva. I Trattati hanno effetto solo trale parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto, affinchéle disposizioni contenute nelle convenzioni sopramenzionate vengano a concretizzare un obbligo ge-nerale, occorre che ne venga riconosciuta altresì lanatura consuetudinaria. Esse devono cioè essere ilfrutto di una codificazione di regole generalmente

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Note:

(15) V., ex multis, A. Tanzi-M. Arcari, The U.N. Convention on theLaw of International Water Courses: a framework for sharing,London-The Hague-Boston, 2001, 68 ss.

(16) V., in tal senso, E. Ruozzi, La tutela dell’ambiente nell’ambi-to dei conflitti armati: il contributo della commissione di com-pensazione delle Nazioni Unite, in IANUS, 2/2010.

(17) G. Venturini, La tutela dell’ambiente durante i conflitti arma-ti: la questione dell’uranio impoverito alla luce del diritto interna-zionale, in A. De Guttry (a cura di), Le nuove sfide nella protezio-ne internazionale dei diritti dell’uomo, Pisa, 2002, 76.

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riconosciute che, come tali, anche se formalizzate,conservano la loro valenza originaria (18).In subordine, va osservato come la natura «grave,estesa e durevole» del danno ambientale, rimanda,invero, a concetti-soglia che, oltre ad essere di diffi-cile definizione, vanno intesi in senso cumulativoanziché alternativo, ciò che riduce sensibilmente icasi suscettibili di rientrare nell’ambito di applica-zione delle norme summenzionate (19).Non solo. Proprio l’assenza di criteri univoci idoneia specificare la portata ed il significato degli aggetti-vi utilizzati ha reso difficile la dimostrazione dellagravità, estensione e durevolezza del danno ambien-tale arrecato dall’impiego dei proiettili ad uranioimpoverito. È noto, infatti, che il DU lasciato sulcampo di battaglia, oltre ad essere una fonte radioat-tiva, può diffondersi perché trasportato dal vento epuò penetrare nelle falde acquifere ed entrare nellacatena alimentare, producendo così effetti non visi-bili nell’immediato ma che possono emergere neltempo. Quella che oggi può sembrare una contami-nazione non estesa ma circostanziata potrebbe, infuturo, rivelarsi un vero e proprio disastro ecologicoe umano, frutto della disseminazione incontrollata eincontrollabile del metallo in questione.Va infine menzionata tra le norme di diritto convenzio-nale, l’accordo ENMOD che vieta le manipolazioni de-liberate dei processi naturali allo scopo di belligeranza.Anche in questa Convenzione si ritrova un’espres-sione in parte analoga a quella prevista nel I Proto-collo e cioè il richiamo ai danni estesi, durevoli ogravi, ma questa volta si tratta di tre condizioni di-stinte che non devono pertanto essere soddisfattecumulativamente per ritenere l’accordo violato. LeIntese interpretative formulate durante la negozia-zione della Convenzione hanno poi precisato il con-tenuto di tali requisiti, affermando che il termine“esteso” debba interpretarsi come riferito ad una su-perficie di alcuni chilometri quadrati; “durevole”come implicante una permanenza degli effetti perun periodo di mesi, ovvero circa una stagione; “gra-vi”, come comportanti una perturbazione o un dan-no serio o importante per la vita umana, le risorsenaturali ed economiche o altri beni (20).Se la Convenzione ENMOD ha dunque il merito diaver specificato la portata degli effetti derivanti dal-l’impiego di tecniche di modifica dell’ambiente na-turale e di aver facilitato l’applicazione della norma(là ove essa stabilisce che è sufficiente la presenza dianche una sola delle tre condizioni, perché l’accordosi consideri violato), essa permette tuttavia di colpi-re soltanto i metodi di guerra “concepiti” per causa-re deliberatamente danni all’ambiente.

Resterebbero così esclusi dall’applicazione delle di-sposizioni previste nel trattato, tutti quei metodi emezzi impiegati nel conflitto armato le cui conse-guenze dannose durevoli, estese e gravi risultino es-sere semplicemente “prevedibili” e non anche vo-lontarie (21).Così se sembra doversi escludersi a priori l’applicabi-lità della Convenzione alle azioni militari finalizzateal sabotaggio di installazioni petrolifere (poiché nonè riscontrabile la “manipolazione di processi natura-li” richiesta dalla normativa), analoghi dubbi po-trebbero essere avanzati con riferimento all’impiegodi armi ad uranio impoverito, laddove non si riuscis-se a dimostrare che il loro utilizzo ha avuto comeobiettivo premeditato quello di cambiare le dinami-che, la composizione o la struttura della Terra.Il diritto internazionale rivela così anche su questoterreno tutta la sua straordinaria capacità suggestivae maieutica ma anche la sua cronica debolezza chederiva, tra l’altro, non solo dall’assenza di un quadronormativo coerente ed omogeneo, ma anche e so-prattutto dal fatto che le opzioni messe in campo nonrisultano sempre assistite da un congruo apparatosanzionatorio, apprezzabile sul piano dell’effettività.Lo stesso Statuto della Corte Penale Internazionaleche ha criminalizzato la violazione delle norme delI Protocollo, prestandosi così a completarne ideal-mente il contenuto, non sembra offrire risposte suf-ficientemente concrete ed efficaci in tema diresponsabilità (in questo caso solo penale) per idanni arrecati all’ambiente nel corso di un conflittoarmato. Le stesse ipotesi delittuose previste (genoci-dio (art. 6 Statuto) e crimini di guerra (art. 8)) nonconsentono, infatti, di configurare un reato diaggressione ambientale e danneggiamento all’ecosi-stema in quanto tale, poiché risultano funzionalialla protezione di ulteriori e differenti beni giuridi-ci, quali la vita, l’integrità fisica e la dignità umana.

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Note:

(18) G. Venturini, op. loc. cit., osserva che la Corte internaziona-le di giustizia ha, invero, attribuito agli artt. 35.3 e 55 del PrimoProtocollo aggiuntivo la natura di un obbligo generale di tutelarel’ambiente dai danni estesi, durevoli e gravi, ma evidenzia altresìcome la natura consuetudinaria del suddetto obbligo non sia deltutto pacifica, e pertanto gli Stati che non hanno ratificato il I Pro-tocollo del 1977 (fra i quali gli Stati Uniti) potrebbero non tener-ne conto. Si rinvia all’Autrice altresì per ulteriori riferimenti bi-bliografici.

(19) In questo senso, v. E. Ruozzi, op. cit., 12.

(20) Per una più ampia analisi, cfr., E. Greppi-G. Venturini, Codicedi diritto internazionale umanitario, Torino, 2003, 140.

(21) G. Venturini, Fattori di crisi ed elementi di sviluppo del dirit-to internazionale umanitario alla luce dei conflitti recenti, in Co-municazioni e studi, XXIII, 471-472.

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Pertanto, qualsiasi condotta venga a concretizzareun’aggressione di tali beni non potrà che importareun’indiretta lesione all’ambiente a cui verrà tuttaviaattribuito «un disvalore penale mediato dalla stru-mentalità del comportamento rispetto alla lesionedei beni primariamente tutelati» (22).Bisogna allora attendere la Risoluzione n. 687 del1991 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Na-zioni Unite in occasione della prima guerra del Gol-fo per vedere riconosciuto ed affermato esplicita-mente l’obbligo degli Stati di risarcire i danni al-l’ambiente causati da conflitti armati (23).L’accertata responsabilità di un paese sovrano (inquesto caso l’Iraq) per danni da inquinamento nonsoltanto giunge in tempi piuttosto recenti rispetto altentativo operato dal diritto convenzionale e daquello consuetudinario di costruire una base giuridi-ca per l’obbligo di riparazione dei pregiudizi arrecatiall’ambiente, ma muove da un particolare tipo diprovvedimento - la risoluzione - a cui non sempre gliStati riconoscono vincolatività giuridica.Come è noto, infatti, non tutte le risoluzioni hannoefficacia obbligatoria: in taluni casi si tratta di stru-menti di soft law, «emblematici di tendenze moderneemergenti nella comunità internazionale» (24), fi-nalizzati per lo più a suggerire parametri di compor-tamento per gli Stati, senza imporre loro alcuna pre-scrizione imperativa, vista anche la particolare ritro-sia di questi ad essere assoggettati ad un potere nor-mativo che non sia il proprio. Il che, naturalmente,non esclude che questi atti abbiano però comunqueun loro rilievo sul piano internazionale e che sianoin grado di produrre conseguenze sul piano giuridi-co, quantomeno indirette, prestandosi così a diveni-re un terreno fertile per la graduale formazione dinorme consuetudinarie o per la stipulazione di trat-tati internazionali (25).A ciò fanno comunque eccezione le risoluzioni ap-provate dal Consiglio di Sicurezza la cui obbligato-rietà giuridica è di fatto riconosciuta loro dalla Car-ta delle Nazioni Unite. La Risoluzione n. 687 è unadi queste e ad essa va il merito di aver fornito unabase giuridica per affermare una serie di principi ge-nerali, con cui fissare importanti e decisive lineeguida in materia di protezione ambientale in tempodi guerra (26).Il provvedimento aveva, infatti, affermato espressa-mente la responsabilità internazionale dell’Iraq perdanno ambientale e degrado delle risorse naturali,prevedendo al tempo stesso la creazione di un Fondoatto a consentire la compensazione di tutti i pregiu-dizi (compresi dunque quelli all’ambiente) subiti da-gli Stati e dalle persone fisiche e giuridiche, diretta-

mente imputabili all’illecita invasione ed occupazio-ne del Kuwait (27).Per garantire l’applicazione della Risoluzione era poistata individuata un’apposita Commissione per lacompensazione delle Nazioni Unite, alla quale veni-va riconosciuta una funzione istruttoria finalizzataad esaminare i reclami, valutare i danni ed assicura-re i pagamenti stabiliti a titolo di risarcimento.Il contributo “giurisprudenziale” offerto dalla Com-missione in quell’occasione resta a tutt’oggi indi-scusso anche se naturalmente esso va ricondotto al-le particolari circostanze del caso per le quali è in-tervenuto. La dottrina è concorde nel ritenere chela Commissione abbia di fatto sviluppato una sortadi “schema di ragionamento” che potrebbe essereadattato anche a situazioni diverse da quella esami-nata in quel momento, soprattutto laddove esso as-segna priorità alle misure di ripristino piuttosto chea quelle compensatorie e ove riconosce la necessitàdi un monitoraggio continuo delle misure stesse.E non è tutto.Con riferimento al concetto stesso di danno am-bientale, il giudice internazionale sembra optare inmodo inequivoco per una prospettiva di tutela che

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Note:

(22) V. C. Tovo, Tutela dell’ambiente e alternative possibili a unaCorte Internazionale dell’Ambiente, in www.diarioeuropeo.it.

(23) V., in questo senso M. Alberton, La quantificazione e la ripa-razione del danno ambientale del diritto internazionale, Milano,66, la quale richiama altresì l’opinione di chi (J. Crook, The Uni-ted Nations Compensation Commission. A New Structure to En-force State Responsability, AJIL, 87, 1993, 144 ss.) ha addirittu-ra evidenziato come l’attività svolta dalla Commissione ONU egli indennizzi comminati da questa rappresentino invero una con-creta manifestazione dell’impegno della comunità internazionaleverso il rispetto dei principi di responsabilità internazionale degliStati.

(24) Così, testualmente, A. Cassese, Diritto internazionale, Bolo-gna, 2006, 279.

(25) Nella vasta letteratura si rinvia, sul punto, fra gli altri, a N.Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, cit.; V., anche, E.Mostacci, La Soft Law nel sistema delle fonti: uno studio com-parato, Padova, 2008, 60 ss.

(26) Sulla base di tali principi il Comitato Internazionale della Cro-ce Rossa ha elaborato nel 1994 un Progetto di articoli sulla pro-tezione dell’ambiente durante i conflitti armati e analogamentel’organizzazione non governativa per la conservazione della natu-ra (IUCN). V., sul punto, I. Papanicolopulu, Brevi considerazioni inmateria di ambiente marino e guerra, in Id.-T. Scovazzi (a cura di),Conflitti armati e situazioni di emergenza: la risposta del dirittointernazionale, Milano, 2007, 203 ss.

(27) V., sul punto, più approfonditamente, M. Castellaneta, La re-sponsabilità internazionale degli Stati per danni all’ambiente cau-sati nel corso di conflitti armati, in Riv. dir. int., 1998, 632 ss., KP.Manus, Civil Liability for Wartime Environmental, Damage:adapting the United Nations Compensation for the Iraq War, inBoston College Environmental Affairs Law Review, 2006, 416ss.; Y. Dinstein, Protection of the Environment in InternationalArmed Conflict, in Max Plank UNYB, 2001, 523 ss.

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non sia meramente antropocentrica. Nella pronun-cia si ammettono, infatti, reclami contro qualsivo-glia tipo di pregiudizio arrecato all’ambiente, com-preso quello ecologico o c.d. puro. La stessa Risolu-zione, su cui il giudizio della Commissione si basa,afferma d’altra parte la risarcibilità di tutti i danni operdite di cui si ha le prove per stabilire il nesso ezio-logico con l’atto di aggressione, mentre non vienerichiesto di provare che il bene danneggiato avesseun qualche valore commerciale.Tutto ciò ha così permesso alla Commissione di po-ter interpretare la nozione di “danno ambientale” inmaniera ampia e tale da poter ricondurre nel noverodei pregiudizi riparabili anche i danni temporanei equelli arrecati a beni privi di qualsivoglia funzionali-tà rispetto alle esigenze economiche e sociali dell’in-dividuo e della collettività. La decisione in esame mette in luce poi un altroaspetto interessante per ciò che concerne più speci-ficatamente le misure riparatorie del danno derivan-te da un’aggressione all’ecosistema. In essa, infatti,la Commissione non ha contemplato solo forme dicompensazione dei reclami ma ha previsto altresìl’obbligo di ripristino dell’equilibio ecologico com-plessivo del territorio, ciò che implica l’adozione dimisure che non si limitino soltanto a rimuovere spe-cifiche sostanze o a ristabilire una determinata con-dizione fisica pregressa, ma che intendano assicurareun valido strumento idoneo a fronteggiare ogni pos-sibile rischio per l’ambiente (28).In questo complesso quadro appare dunque evidenteil ruolo giocato dalla soft law, laddove essa sembrasuggerire nuove strade da percorrere al fine di imple-mentare e rafforzare la disciplina della salvaguardiadell’ambiente custodita negli accordi e nelle con-suetudini esistenti. Non tutte le risoluzioni sono sta-te attuate, come è avvenuto invece per la n. 687;spesso capita che questi provvedimenti passino inos-servati, tuttavia ciò non esclude che anch’essi possa-no comunque fornire spunti di riflessione interes-santi e nuovi per un’eventuale rivisitazione dellenorme hard law in una prospettiva sempre più atten-ta alla salvaguardia ambientale.In questi termini sembrano allora particolarmenteinteressanti le recenti Risoluzioni dell’Assembleagenerale dell’ONU del 2007 e 2009 in materia diuranio impoverito: la prima (n. 62/30 del dicembre2007) riguarda gli effetti del metallo sulla saluteumana, la seconda (n. 63/54 del gennaio 2009)prende invece in considerazione l’impatto che il DUpuò avere sull’ambiente.Quest’ultima, più specificatamente, riconosce il po-tenziale effetto nocivo delle armi a uranio impoveri-

to e la necessità che vengano adottate immediata-mente tutte le misure necessarie ad assicurare la tute-la dell’ambiente.Si tratta di un primo passo verso la presa di coscien-za dei rischi che l’impiego dell’uranio impoveritopossa avere sull’ambiente.A dire il vero un primo studio di valutazione di im-patto ambientale post-conflitto finalizzato a indaga-re gli effetti del DU sull’ambiente è avvenuto nel1999 ad opera dell’Unità operativa nei Balcani, ungruppo di lavoro creato per volontà dell’UNEP(Programma Ambientale delle Nazioni Unite) alloscopo di raccogliere e confrontare informazioni cre-dibili sulle conseguenze ambientali della crisi delKosovo (29). Seppur il rapporto finale della BalkanTask Force escluda qualsivoglia contaminazioneestesa del territorio dal punto di vista chimico e ra-dioattivo, l’indagine svolta appare comunque inte-ressante sotto un duplice profilo. Da un parte, infat-ti, il rapporto lascia aperti numerosi interrogativi suirischi che l’uso di uranio impoverito implica; dall’al-tra, questo studio conferma la crescente sensibilitàper la questione ambiente e ribadisce come oggi leguerre, proprio per il tipo di armi e di metodi adot-tati, vanno valutate secondo prospettive nuove edifferenti rispetto al passato, le quali prendano in se-rio esame anche i possibili rischi per le popolazionicivili, indirettamente coinvolte nel conflitto, equelli per l’ecosistema.

4. Tutela dell’ambiente ed uranioimpoverito alla luce del principio di precauzione

Ad oggi la questione dei rischi relativi all’impiegodell’uranio impoverito in guerra non trova ancorauna risposta soddisfacente ed univoca in grado di af-fermare in modo definitivo e certo la pericolosità ditale metallo per la salute dell’uomo e per l’ambiente.Come si è già osservato, l’uso di una determinata ar-ma può considerarsi lecito secondo il diritto inter-nazionale se esso appare tale alla luce del diritto pat-tizio vigente e delle consuetudini eventualmentecodificate nei trattati. L’assenza di una specifica di-sciplina internazionale relativa alla fabbricazione oall’uso di armi contenenti DU obbliga lo studioso a

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Note:

(28) Sul contributo della Commissione di Compensazione delleNazioni Unite, v., E. Ruozzi, op. cit., alla quale si rinvia altresì perulteriori riferimenti bibliografici; M. Alberton, Il danno ambienta-le in un’ottica multilivello: spunti di riflessione, in IANUS, 2/2010.

(29) Il Final Report: Depleted uranium in Kosovo: Post-ConflictEnvironment Assessment, è disponibile sul sito http: //Balka-ns.unep.ch/du/reports/report.html.

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indagare la legittimità dell’impiego di tali strumentialla luce della normativa vigente riguardante i mez-zi e i metodi di guerra in generale, a partire dalle di-sposizioni che sanciscono il divieto di armi, proietti-li o sostanze che possano causare mali superflui osofferenze non necessarie ai combattenti.Non è certo questa la sede per poter affermare o ne-gare la pericolosità dell’uranio impoverito e certa-mente non è compito del giurista accertare scientifi-camente gli effettivi rischi che possono derivare dal-l’impiego di armi DU.Ciò che invece spetta allo studioso di diritto è l’esa-me degli strumenti giuridici applicabili a questa de-terminata fattispecie, anche al fine di riuscire a for-nire risposte soddisfacenti sul piano normativo ainumerosi interrogativi che il problema uranio impo-verito solleva da tempo.In questi termini il giurista deve innanzitutto pren-dere atto del fatto che a tutt’oggi - come precisato -manca una disciplina ad hoc che regoli espressamen-te l’impiego dell’uranio impoverito in guerra, un si-lenzio normativo, questo, che è forse specchio del-l’incertezza che ancora regna in questo campo.Qualche timido tentativo di disciplinare in modospecifico la questione del DU durante i conflitti ar-mati si riscontra a livello comunitario e segnata-mente nella recente risoluzione del Parlamento eu-ropeo (17 gennaio 2001) che, seppur indirizzata soloagli Stati membri dell’Unione, costituisce comun-que un primo passo verso un’eventuale e futura re-golamentazione a livello internazionale della mate-ria. In essa si legge, infatti, una espressa raccoman-dazione da parte dell’istituzione europea affinché siaddivenga ad un progressivo divieto di impiego del-le munizioni ad uranio impoverito.Ora, ferma la valenza meramente propositiva dellarisoluzione del Parlamento europeo, a giudizio di chiscrive, vi è un aspetto particolarmente interessantedell’appello lanciato a Strasburgo, che merita una ri-flessione. Si tratta dell’espresso richiamo al princi-pio di precauzione, in applicazione del quale vieneappunto chiesta una moratoria sull’uso delle armi aduranio impoverito, poiché la ricerca scientifica nonha saputo fornire fino ad ora prove conclusive a so-stegno della pericolosità del DU.Si osservi, d’altra parte, come l’approccio interna-zionale all’ambiente abbia avuto fino agli anni Ot-tanta una connotazione per lo più riparatoria, cheha prediletto una politica ecologica non preventivama incentrata essenzialmente sul rimedio del dannoprodotto. Tuttavia, a partire dagli anni Novanta èemersa una nuova prospettiva improntata a preveni-re e ridurre il degrado dell’ambiente, attraverso mi-

sure cognitive ed operative in grado di fronteggiarela minaccia di un danno serio ed irreversibile (30).Così come codificato già nella Dichiarazione di Riodel 1992, il suddetto principio viene ad integrare ilnovero dei criteri guida ai quali devono ispirarsi lepolitiche pubbliche nel campo ambientale, aggiun-gendosi al principio di prevenzione e al principio“chi inquina paga”, ed assicurando una vera e pro-pria strategia di controllo del rischio, anche e a for-tiori di quello scientificamente incerto (31).Ora ciò che qui - a giudizio di chi scrive - rileva è uncambio di prospettiva dalla quale affrontare la que-stione dell’impiego dell’uranio impoverito nei con-flitti armati e, più generale, il problema della tutelaambientale in tempo di guerra. La questione am-biente non può soltanto essere analizzata da un pun-to di vista di responsabilità per i danni arrecati: an-che in guerra vanno, infatti, imposti obblighi di tu-tela preventiva e soprattutto precauzionale atti aconsentire una valutazione a priori della portata deimezzi e dei metodi di combattimento.L’incertezza scientifica che fa da padrona nella que-stione dell’uranio impoverito e l’assenza dunque dielementi probatori sufficienti a stabilire l’effettiva econcreta pericolosità delle munizioni DU non pos-sono fungere da elementi risolutivi per negare inmodo perentorio la presenza di rischi eventuali perla salute e l’ambiente.La conoscenza degli effettivi tardivi dei prodotti didecadimento dell’uranio impoverito è invero lacu-nosa e comunque tale da non consentire di esclude-re a priori la possibilità che nel tempo si verifichinocasi di tossicità ad oggi non previsti o prevedibili.Ed è proprio attorno a questa incapacità di prevede-re esattamente l’entità degli effetti delle moderneattività dell’uomo che gravita il principio precauzio-

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Note:

(30) R. Ferrara, Modelli e tecniche della tutela dell’ambiente: ilvalore dei principi e la forza della prassi, in Foro amm., 2009,1956.

(31) Così, R. Ferrara, I principi comunitari della tutela dell’am-biente, in Id. (a cura di), La tutela dell’ambiente, Torino, 2006, 19.Si osservi che sul principio di precauzione la letteratura è davve-ro sterminata, ci si limita pertanto qui a richiamare i manuali di di-ritto ambientale e a rinviare a titolo esemplificativo, ex multis, R.Ferrara, I principi comunitari della tutela dell’ambiente, cit.; D.Amirante, Il principio precauzionale tra scienza e diritto. Profili in-troduttivi, in Dir. e gestione dell’ambiente, 2001, 23 ss.; S. Gras-si, Prime osservazioni sul principio di precauzione come normadi diritto positivo, in Dir. e gestione dell’ambiente, 2001, 38 ss.;N. De Sadeleer, Les principes du pollueur - payeur, de preven-tion et de pecaution. Essai sur la genése et la porte juridique dequelques principes juridique du droit de l’environnement, Brux-elles, 1999; M. Martuzzi-J.A. Tickner, The precautionay principle:protecting public health, the environment and the future of ourchildren, World Health Organisation, Copenaghen, 2004.

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nale, principio la cui applicazione dovrà allora amaggior ragione essere garantita anche nell’ambitodel diritto umanitario e non soltanto nel diritto in-ternazionale applicato in tempo di pace.Sul punto la dottrina ha evidenziato l’assenza di nor-me che impongono agli Stati vincoli di natura pre-cauzionale e la ragione starebbe nella natura intrin-seca del diritto umanitario che lo vede strettamentefunzionale alla necessità bellica (32).Pertanto, anche laddove si parli espressamente dimisure precauzionali - come ad esempio agli artt. 56e 57 del I Protocollo aggiuntivo - si tratterebbe in-vero di disposizioni riconducibili all’applicazione deiprincipi di proporzionalità e di necessità, i quali nonsarebbero di per sé sufficienti a configurare nel dirit-to umanitario la presenza di un vero e proprio prin-cipio di precauzione. Ciò che infatti mancherebbe èla previsione di uno dei requisiti essenziali del crite-rio in esame, ossia il fondamento scientifico dell’in-certezza del rischio per la salute e per l’ambiente.Analogamente può dirsi del diritto consuetudinarioin cui finora non sembra si possano scorgere normeche assicurano il riconoscimento di un obbligo pre-cauzionale in capo ai soggetti internazionali checonducono le ostilità.Tuttavia, proprio partendo dal caso dell’uranio im-poverito e alla luce dell’acceso dibattito che vede lacomunità scientifica divisa sulla pericolosità o menodi questo metallo, si può iniziare a rivalutare la ne-cessità di addivenire ad una configurazione di taleprincipio anche nei conflitti armati.Il comportamento cauto che gli Stati (e segnata-mente l’Unione europea) mostrano dinnanzi allaquestione dell’impiego di munizioni DU, motivatodalla scarsità di informazioni che possano rassicurar-ci circa l’innocuità di tale sostanza, potrebbe forseaprire un varco per il riconoscimento esplicito in viadi prassi del principio in esame.Dalla responsabilità ambientale al principio di pre-cauzione, dalla cura cioè del danno alla prevenzionedel medesimo, ovvero alla non-violenza contro lanatura e le popolazioni civili: come una sorta di juscogens il principio di precauzione, così come espres-samente menzionato nei trattati applicabili in tem-po di pace, andrebbe allora garantito anche in tem-po di guerra.L’assenza di certezze scientifiche in merito al possibi-le rischio per l’ambiente naturale e la salute dei sin-goli individui, siano essi combattenti o civili, nonpuò infatti, essere letto come un lascia passare di fat-to per l’impiego in guerra di qualsivoglia tecnologia.L’orrore di Hiroshima e Nagasaki deve essere diesempio per tutti.

Dinnanzi ad una scienza ed una tecnologia semprepiù fallibili e provvisori, la risposta non potrà allorache venire nuovamente dal diritto, il quale - comeosserva un’acuta dottrina (33) - è chiamato a risol-vere normativamente questioni dall’esito incerto,fornendo soluzioni il più possibile affidabili per iproblemi che la moderna “società del rischio” (34)pone oggigiorno. Ed in tal senso, il principio di pre-cauzione sembra soddisfare efficacemente quest’esi-genza di «integrazione tra scienza e diritto che costi-tuisce uno dei nodi problematici più complessi checaratterizzano in linea generale il diritto contempo-raneo», e che trovano nella disciplina giuridica del-l’ambiente «uno dei campi di maggior sviluppo delcosiddetto “diritto della scienza incerta”» (35).

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Note:

(32) V. F. Bassan, Gli obblighi precauzionali nel diritto internazio-nale, Roma, 2004, 9 ss.

(33) V. le riflessioni di M. Tallacchini, Ambiente e diritto nellascienza incerta, in S. Grassi-M. Cecchetti-A. Andronio, Ambien-te e diritto, Firenze, 1999, 57 ss.

(34) Il rinvio è naturalmente alla contemporanea dottrina della“società del rischio”, sulla quale, per tutti, v. U. Beck, La societàdel rischio. Verso una nuova modernità, trad. it., Roma, 2000.

(35) Così., S. Grassi, op. cit., 40.

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Danni da uranio impoverito

La responsabilità per dannidello Statodi Chiara Pasquinelli

Lo studio di un tema complesso, come quello dei danni da uranio impoverito, non può prescindere da un in-quadramento nel più generale ambito della responsabilità civile dello Stato. L’A., con un’attenzione alle im-plicazioni delle categorie civilistiche e delle regole operazionali richiamate, compie una rassegna critica del-la casistica, soprattutto in materia di illecito delle Pubbliche Amministrazioni, nell’indispensabile confrontocon la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

1. La responsabilità dello Statonell’esperienza giuridica italiana

La questione dei danni da uranio impoverito nonpuò essere affrontata isolandola dal più esteso temadella responsabilità dei pubblici poteri. Sebbene ac-costabile in modo diretto al settore dell’illecito del-le Pubbliche Amministrazioni - di cui si esamineràuna recente casistica - merita di essere attentamen-te valutata nel confronto con il diritto UE e la giuri-sprudenza della Corte di Giustizia.È fuor di dubbio che l’attenzione suscitata, negli ul-timi vent’anni, dall’istituto della responsabilità sta-tale sia debitrice tanto della nota sentenza n.500/1999 della Cassazione quanto della giurispru-denza europea (1); tuttavia, più di recente - benchéin contrasto con alcune prese di posizione delle Cor-ti, in primis delle Sezioni Unite in materia di dannida tardivo o inesatto recepimento di direttive (2) -,si fanno evidenti i segni di un’influenza reciproca tragli orientamenti della Corte di Giustizia in tema diillecito degli Stati membri e le sentenze italiane cheapplicano l’art. 2043 c.c. alla responsabilità civiledello Stato.

2. L’illecito delle PubblicheAmministrazioni. Problemi qualicatori

Una prima questione, di natura qualificatoria, rive-ste sicuro interesse sul piano dei danni da uranio im-poverito (qualora non si acceda alla tesi della re-sponsabilità contrattuale del Ministero della Difesaverso i dipendenti militari dello Stato e, in ogni ca-so, con riferimento ai danni dei familiari delle vitti-me).Il dibattito dottrinario e giurisprudenziale intorno

alla natura giuridica dell’illecito statale affianca almodello extracontrattuale di responsabilità per attiamministrativi illegittimi, sostenuto dalle SezioniUnite n. 500 e riprodotto in numerose successivesentenze, schemi alternativi o del tutto innovativi,come la c.d. responsabilità da contatto amministra-tivo qualificato.Sorgono dubbi in merito all’adeguatezza, sul pianosoprattutto della scarsa selettività, di letture giuri-sprudenziali volte ad intravedere, nel rapporto tracittadino ed Autorità, un elemento di contiguitàsufficiente a determinare il sorgere di una genericaobbligazione della P.A. alla correttezza della suaazione (3). L’immediata incidenza della natura giuri-dica dell’illecito statale su profili operativi di impor-tanza decisiva (quali l’onere probatorio, il regime diprescrizione e l’area del danno risarcibile) induce

Note:

(1) Ci si riferisce alla nota sentenza Cass. civ., sez. un., 22 luglio1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, 2487; e, per la giurisprudenzaeuropea, alle sentenze sul caso Francovich (Corte giust., 19 no-vembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, in Foro it., 1992, IV,145) e sul caso Brasserie du Pêcheur - Factortame (Corte giust.,5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, in Foro it., 1996,IV, 185 ss.).

(2) Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147, in Nuova giur. civ.comm., 2009, I, 1012, che, in tema di danni da tardivo o inesattorecepimento di direttive europee, si discostano dall’orientamen-to della Corte di Giustizia, da sempre favorevole ad una respon-sabilità extracontrattuale, optando per una ricostruzione in termi-ni di mero indennizzo (di recente sostanzialmente smentite dallaLegge di stabilità 2012 che richiama, in materia, l’operatività del-le regole aquiliane, imponendo un termine di prescrizione quin-quennale al diritto di risarcimento).

(3) Su tale aspetto sia consentito rinviare, amplius, a C. Pasqui-nelli, La responsabilità dello Stato - legislatore tra illecito “comu-nitario” e illecito “costituzionale”. Prime riflessioni, in Riv. dir.civ., 2009, II, 171, spec. 186 ss.

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tuttavia a riflettere se, in luogo di un regime specia-le di responsabilità o di una vera e propria responsa-bilità da inadempimento, l’applicazione dell’art.2043 c.c. non sia forse più adeguata di fronte all’irri-ducibile diversità della casistica che vede lo Stato investe di danneggiante.Una larga parte della recente giurisprudenza, nel re-spingere l’istituto del “contatto amministrativo qua-lificato” (4), sembra aderire ad una visione dell’ille-cito statale riconducibile all’area del diritto comune,ricostruito però alla luce della flessibilità delle cate-gorie aquiliane: il binomio tra la tradizione giuridicadella responsabilità extracontrattuale e le rinnovateistanze del pluralismo normativo sembrerebbe me-glio bilanciare le contrapposte esigenze di tutela delcittadino e di non eccessiva compromissione del-l’agire pubblico.Significativo, sul piano qualificatorio, il progressivoattestarsi della giurisprudenza sull’idea di un’imputa-zione soggettiva della responsabilità alla PubblicaAmministrazione.La Cassazione torna a ribadire, anche di recente,l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. e la necessità di unaccertamento giudiziale che, accanto all’ingiustiziadel danno e alla riferibilità, sotto il profilo causale,dell’evento dannoso alla condotta dell’autorità pub-blica, verifichi l’imputazione del fatto illecito, avutoriguardo non già alla sola obiettiva illegittimità delprovvedimento amministrativo ma ad una valuta-zione circa l’esistenza della colpa della P.A. (5); l’im-putazione della responsabilità alla Pubblica Ammi-nistrazione non potrà avvenire né sulla base del me-ro dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione ammi-nistrativa in relazione alla normativa applicabile néalla luce della valutazione della colpa del funziona-rio agente riferita ai parametri della negligenza odell’imperizia (6).Non ci si può soffermare in questa sede sul peso, so-prattutto a livello operazionale, di un’opzione inter-pretativa che rifiuti di identificare assolutisticamen-te colpa del soggetto pubblico ed illegittimità del-l’atto amministrativo ovvero di rintracciare, in mo-do semplicistico, la prima nella condotta negligentedel funzionario. Tuttavia, già nel compiere una ras-segna degli orientamenti giudiziali in materia, emer-gono dati rivelatori del tendenziale affermarsi deglischemi di diritto comune, subordinatamente ad unavalorizzazione delle peculiarità che coinvolgonol’area dell’illecito statale.È interessante constatare come una tendenza so-stanzialmente analoga si sia col tempo affermatapresso la giurisprudenza amministrativa.Numerosi sono i precedenti che attestano l’impor-

tanza di individuare tutti gli elementi costitutividell’illecito extracontrattuale e, specificamente, ipresupposti di una rimproverabilità del comporta-mento dannoso ascrivibile all’autorità amministrati-va. È soprattutto da segnalare il frequente accosta-mento, nelle motivazioni dei giudici amministrativi,tra uno sganciamento dell’indagine sulla colpa dellaP.A. dal riscontro della mera illegittimità del prov-vedimento adottato - sulla scorta delle Sezioni Uni-te n. 500 - ed il richiamo alla giurisprudenza dellaCorte di Giustizia in materia di responsabilità risar-citoria degli Stati membri per violazione del dirittoUE: il rinvio (talvolta implicito, altre volte espres-so) alla nozione di “violazione grave e manifesta” odi “violazione sufficientemente qualificata” non vie-ne percepito come un sostanziale ritorno ad una im-medesimazione tra colpa ed illegittimità ma vengo-no posti in primo piano proprio quegli aspetti dellagiurisprudenza Francovich - Brasserie du Pechêur piùattenti, nell’imputare la responsabilità risarcitoriaallo Stato, alle peculiarità del caso concreto (7).In tal senso suscitano interesse le pronunce che ri-propongono, in una lettura nuova, fortemente in-fluenzata dalla prassi applicativa europea, l’istitutodell’errore scusabile (che, com’è noto, è uno dei pa-rametri, dettati dalla Corte di Giustizia, per valutareuna violazione sufficientemente qualificata di nor-me UE). Si stabilisce che, se la responsabilità dellaP.A. può ricorrere solo quando la violazione risultigrave, tale gravità deve essere collocata in un conte-sto di circostanze di fatto e in un quadro di riferi-menti normativi e giuridici in grado di palesare la

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Note:

(4) In tal senso, tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2005,n. 32, in Urbanistica app., 2005, 825; Cass., sez. un., 23 aprile2004, n. 7733, in Giust. civ., 2004, I, 2000; Cons. Stato, sez. VI,15 aprile 2003, n. 1945, in Giur. it., 2004, 416; ma v. anche Cons.Stato, sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114; T.a.r. Sardegna Cagliari, 19febbraio 2010, n. 204, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. IlConsiglio di Stato ribadisce anche più di recente la natura aqui-liana della responsabilità per danni della P.A.: v. Cons. Stato, sez.V, 22 febbraio 2010, n. 1038, in www.diritto.it.

(5) Cfr., in particolare, Cass., sez. III, 15 luglio 2009, n. 16456, inForo it., Mass. 2009.

(6) Cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2010, n. 5561, inForo it., Mass. 2010; Cass., sez. I, 29 gennaio 2010, n. 2122, inUrb. e app., 2010, 442.

(7) In tal senso v., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio2010, n. 1038, in www.diritto.it, che, sebbene non espliciti il ri-chiamo alla giurisprudenza UE, dichiara come, ai fini del risarci-mento del danno, la mera illegittimità del provvedimento ammi-nistrativo non sia di per sé sola sufficiente ad integrare una con-dotta colposa e considera tra gli elementi idonei a valutare la col-pa della P.A. l’esistenza di particolari circostanze, quali l’equivoci-tà e contraddittorietà della normativa applicabile, la novità dellequestioni, le oscillazioni giurisprudenziali nella materia, che pos-sano avere influito sul comportamento dell’Amministrazione.

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negligenza o l’imperizia dell’organo nell’assunzionedel provvedimento viziato; ciò sempre che non ri-corra un errore da ritenersi scusabile per la sussisten-za di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadronormativo di riferimento o per la complessità dellasituazione di fatto (8).Il Consiglio di Stato ha più volte escluso la respon-sabilità della P.A. per mancanza dell’elemento sog-gettivo, anche a fronte di un atto amministrativo il-legittimo, quando ha ritenuto di incerta interpreta-zione il quadro fattuale e giuridico in cui l’autorità siera trovata a pronunciarsi (9).Già ad una superficiale lettura dei precedenti giuri-sprudenziali si possono formulare alcune osservazio-ni, su cui è opportuno che la dottrina rifletta. In par-ticolare va rilevato: a) il richiamo, sempre più evi-dente nella giurisprudenza italiana, al modello di re-sponsabilità statale tratteggiato dalla Corte di Giu-stizia; b) la tendenza ad accertare soprattutto il pro-filo di una “sufficiente qualificazione” della violazio-ne statale che, sulla scorta degli indici sintomaticielaborati dalla Corte UE, è, in buona parte, nozionedi impronta soggettivistica.Ciò quantunque taluni più recenti pronunciamentieuropei abbiano indotto ad un’interpretazione di se-gno contrario (10). Non va negato come tali prece-denti rivelino la progressiva tendenza della Corte diGiustizia ad una oggettivazione del criterio di impu-tazione della responsabilità, soprattutto nel settoredegli appalti pubblici. Tuttavia non si pongono so-stanzialmente in contrasto con il modello europeodi responsabilità degli Stati membri, prevalendol’esigenza, cui da sempre la Corte UE è attenta, digarantire l’effettività del diritto europeo, qui perse-guita attraverso l’opzione per uno schema di respon-sabilità (extracontrattuale) di tipo oggettivo. La cre-scente preferenza della Corte UE per schemi ogget-tivanti, che assicurino una più ampia tutela del cit-tadino danneggiato, deve peraltro essere attenta-mente soppesata come monito contro una letturadella colpa statale che riproduca il sorpassato istitu-to della colpa del funzionario agente o non soppesiadeguatamente la peculiare natura del soggetto pub-blico, certo non equiparabile ad una persona fisica.Non c’è dubbio che se la direzione che la Corte diGiustizia intraprenderà dovesse essere nel senso diuna generalizzazione dell’imputazione oggettiva del-la responsabilità statale, anche i giudici italiani nonpotranno che adeguarvisi, pur a fronte della profi-cuità, sul piano funzionale e selettivo (11), del ri-chiamo alla colpa statale. Sul versante dei danni dauranio impoverito, ad esempio, l’opzione per una re-sponsabilità soggettiva consentirebbe, se adeguata-

mente ricostruita la nozione di colpa, di sottoporread un peso non eccessivo la vittima - certo maggior-mente gravata dalla prova del nesso causale - bilan-ciando un’insopprimibile esigenza di tutela dei citta-dini con quella di evitare azioni pretestuose.La tendenza oggettivante, emersa in alcuni prece-denti europei, non pare comunque modificare il piùgenerale orientamento della Corte UE in materia diillecito statale e violazione sufficientemente qualifi-cata. Nel recente caso Commissione c. Repubblica Ita-liana, tornando, in seguito alla nota sentenza Tra-ghetti del Mediterraneo, sui profili di contrasto tra di-ritto europeo e L. n. 117/1988, la Corte non escludeun’indagine sulla colpa statale ma si limita a negareche essa possa presupporre “...requisiti più rigorosi diquelli derivanti dalla condizione di una manifesta viola-zione del diritto vigente” (12).Residua tuttavia un profilo di notevole criticità sulpiano operazionale: la distribuzione dell’onere pro-batorio tra privato e Amministrazione danneggianterispetto alla colpa e alla scusabilità dell’errore.Qui il dato giurisprudenziale propone la questionein termini problematici: se, da un lato, talune sen-tenze, ritenendo per tale via di meglio aderire al mo-dello di diritto comune, ritengono che la colpa deb-ba essere provata dal danneggiato, che si troverebbe

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Note:

(8) Tra le pronunce del Consiglio di Stato v., ex multis, Cons. Sta-to, sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5124, in www.giustizia-ammini-strativa.it (come le pronunce di seguito citate); tra le molte sen-tenze dei Tribunali amministrativi, che si muovono in analoga di-rezione, si segnalano T.a.r. Sicilia-Catania, sez. I, 9 ottobre 2009,n. 1681; T.a.r. Lazio-Roma, 11 settembre 2009, n. 8577, che è trale sentenze che si richiamano espressamente alla giurispruden-za della Corte di Giustizia; T.a.r. Liguria, sez. I, 26 marzo 2009, n.1236; T.a.r. Sardegna-Cagliari, 17 febbraio 2010, n. 186; T.a.r.Provincia Bolzano, 16 aprile 2010, n. 114 (per quanto discutibil-mente ritenga il danno in re ipsa ogniqualvolta ricorrano i pre-supposti dell’illecito statale).

(9) Cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 9 settembre 2009, n.5419, in www.giustizia-amministrativa.it. Negli stessi termini v.Cons. Stato, sez. VI, 25 settembre 2009, n. 5775, inwww.diritto.it.

(10) Cfr., in particolare, Corte giust., 30 settembre 2010, C-314/2009, Stadt Graz c. Strabag AG, in http://curia.europa.eu,che, con riferimento all’applicazione della normativa europea inmateria di appalti pubblici, stabilisce che con essa confliggereb-be una normativa nazionale imponente l’accertamento, anche invia presuntiva o tramite il richiamo alla nozione di errore scusa-bile, della colpa della stazione appaltante nell’illegittima adozionedi un provvedimento. Cfr., inoltre, in precedenza, Corte giust., 14ottobre 2004, causa C-275/03, Commissione c. Portogallo, ibid.

(11) Per brevità si rinvia nuovamente a Pasquinelli, op. cit., 186ss.

(12) Cfr. Corte giust., 24 novembre 2011, C-379/10, Commissio-ne c. Repubblica Italiana, in http://curia.europa.eu, che ribadiscequanto già espresso con la ricordata Corte giust., 13 giugno2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo, in Foro it.,2006, IV, 417.

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sostanzialmente gravato da un carico probatoriopiuttosto significativo (13), altre pronunce - nume-ricamente prevalenti (14) - sembrano propendereper una sorta di inversione dell’onere probatorio, ri-tenendo prova presuntiva della colpa statale la di-mostrata illegittimità dell’atto e ponendo a caricodella P.A. di dimostrare che l’errore da essa compiu-to era da reputarsi scusabile alla luce di concrete cir-costanze (complessità del fatto, contrasti giurispru-denziali sull’interpretazione della norma, influenzadi altri soggetti).Se l’opzione per l’una o per l’altra chiave di letturaporta con sé conseguenze ben diverse a livello appli-cativo, la carenza di entrambe le ricostruzioni sem-bra rintracciabile nel disinteresse verso un’elabora-zione coerente e tendenzialmente uniforme dellanozione di colpa statale: quest’ultima, se da un latonon può non tener conto del quadro di diritto co-mune che esige dal danneggiato la prova del com-portamento colposo del danneggiante, dall’altro la-to deve anche considerare - e i precedenti poco so-pra richiamati ne sono una buona testimonianza - lapeculiarità dell’agire statale.Una più recente giurisprudenza del Consiglio di Sta-to, pur rinunciando a misurarsi con il delicato com-pito di individuare il contenuto del giudizio di col-pa, mostra maggiore attenzione per il problema ri-spetto alle sentenze secondo le quali il danneggiatopotrebbe limitarsi ad allegare la sola illegittimità delprovvedimento, quale elemento idoneo a fondareuna presunzione di colpa, spettando alla convenutadimostrare che l’illegittimità è dovuta ad errore scu-sabile. Si riconosce, al contrario, maggiore credibili-tà all’orientamento che, pur escludendo, in man-canza di un’espressa previsione normativa, l’esisten-za di una generalizzata presunzione relativa di colpaper i danni conseguenti ad un atto illegittimo, tendecomunque a dare risalto al valore delle regole di co-mune esperienza e delle presunzioni semplici (15).

3. L’illecito omissivo della P.A.Danni da ritardo. Danni da contagioe da esposizione a sostanze nocive

Spunti altrettanto interessanti, sul piano qualifica-torio, emergono qualora si analizzi l’approccio dellagiurisprudenza al problema della selezione degli in-teressi meritevoli di tutela.Occasioni di riflessione intorno al tema che ci occu-pa - i danni da esposizione a uranio impoverito - pos-sono trarsi ove si trascorra dall’ambito dell’attivitàprovvedimentale illegittima a quello dell’inerziadella P.A.

Un dato normativo ed uno giurisprudenziale merita-no particolare attenzione.Il primo riguarda i danni da ritardo nell’adozione diprovvedimenti amministrativi a seguito di istanza diparte. La l. 18 giugno 2009, n. 69, nel modificare lal. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo,stabilisce la responsabilità risarcitoria della P.A. pernon aver rispettato, dolosamente o colposamente, iltermine del procedimento, cagionando un dannoingiusto al privato istante (16).L’interesse che, in una prospettiva di più ampio re-spiro, tale intervento normativo suscita è duplice.Sul piano della natura giuridica della responsabilitàdella P.A., si pone marcatamente l’accento su unaqualificazione in chiave aquiliana dell’illecito, testi-moniata dall’esplicito richiamo agli elementi costi-tutivi dell’art. 2043 c.c. (danno ingiusto; dolo o col-pa). L’importanza attribuita alla nozione di ingiusti-zia del danno impedisce ogni forma di automatismonel concedere il risarcimento, imponendo un’inda-gine sulla lesione di un interesse meritevole di tute-la risarcitoria.Tuttavia la l. n. 69/2009 si pone in sostanziale con-traddizione con il trend giurisprudenziale che non dirado identifica l’accertamento della responsabilitàper attività provvedimentale illegittima con un me-ro giudizio di spettanza e ritiene di poter riconoscereil risarcimento solo qualora l’Amministrazione ab-bia riesercitato il proprio potere ed adottato, anchea seguito di giudicato, il provvedimento, consenten-do al privato di conseguire il bene della vita cui il

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Note:

(13) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4689, inwww.giustizia-amministrativa.it.

(14) V., da ultimo, T.a.r. Toscana, 15 aprile 2010, n. 955; T.a.r.Campania-Napoli, 17 febbraio 2010, n. 980; T.a.r. Sardegna - Ca-gliari, 19 febbraio 2010, n. 204, cit.; v, inoltre, ex multis, Cons.Stato, sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527; Cons. Stato, sez. VI, 23 lu-glio 2009, n. 4628; Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 775;Cons. Stato, 12 gennaio 2009, n. 65; Cons. Stato, sez. VI, 18marzo 2008, n. 1137; Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2007, n.1114, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. Cfr., inoltre, T.a.r.Veneto, 23 ottobre 2008, n. 625, in www.diritto.it, secondo ilquale tale ricostruzione dell’onere probatorio in materia di colpadella P.A. sarebbe da ricondurre a quel filone giurisprudenzialeche, escludendo la piena applicabilità degli artt. 2043 ss. all’ille-cito statale, si richiama all’istituto della responsabilità da contat-to amministrativo qualificato.

(15) Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2010, n. 1272, inwww.personaedanno.it, che esplicitamente ritiene di non doverentrare «... nella diatriba sul contenuto del giudizio di colpa ...»;v. anche Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3723, inwww.giustizia-amministrativa.it. Negli stessi termini pare espri-mersi T.a.r. Liguria-Genova, sez. II, 13 maggio 2009, n. 1026,ibid.

(16) Cfr., inoltre, art. 30, comma 4, D.Lgs. n. 104/2010 (Codiceprocesso amministrativo).

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procedimento mirava. Tale orientamento, che,muovendo di norma da una lettura della responsabi-lità statale come responsabilità da inadempimentodi un’obbligazione (senza prestazione) nascente daun “contatto amministrativo”, reputa operante il ri-medio risarcitorio solo a fronte di un’attività vinco-lata della P.A., finisce per sottrarre a tutela un ampioventaglio di posizioni individuali ed identificare ildanno da attività provvedimentale nell’unica tipo-logia del danno da ritardo: difatti, se il provvedi-mento illegittimamente negato è solo quello chenon attiene ad un sfera di discrezionalità dell’Am-ministrazione, una volta adottato quest’ultimo, inconformità alla legge, non rimarrà che risarcire idanni derivanti dal ritardo con cui è stato consegui-to (17).Al contrario il legislatore, con la l. n. 69/2009, pareporre un freno ad azioni pretestuose - ipotizzabili nelsettore dei ritardi dell’azione amministrativa - inmodo più stringente rispetto al regime, molto favo-revole al danneggiato, della responsabilità da ina-dempimento, evitando altresì di riprodurre surretti-ziamente un’area di immunità della P.A. che si trovia dover rispondere solo per l’illegittimità della suaattività vincolata.Il danno da ritardo torna ad avere una sua autono-mia concettuale ed operativa anche a fronte dell’esi-genza, percepita soprattutto dagli operatori profes-sionali e dal mercato, di disporre di uno strumentoin grado di sollecitare l’azione amministrativa afronte della sua ben nota lentezza e farraginosità: seil danno da ritardo ex se non può ritenersi risarcibi-le, in quanto estraneo alle dinamiche del rimedioaquiliano, non è da escludere - sebbene la giurispru-denza amministrativa sia di contrario avviso (18) -che possa ipotizzarsene il risarcimento, a prescinde-re dal successivo ottenimento del provvedimento inprecedenza illegittimamente negato; ciò qualora sipossa in concreto accertare la lesione di un interessemeritevole di tutela (non necessariamente coinci-dente con l’interesse pretensivo sotteso al consegui-mento del provvedimento richiesto) e la sussistenzadi conseguenze dannose.Di più. L’orientamento dei giudici amministrativi,che àncora il risarcimento del danno da ritardo allesole ipotesi di successivo esito positivo del procedi-mento a seguito di giudicato, non tiene conto del-l’eventualità, certo più problematica sul piano del-l’onere probatorio del danneggiato, che anche unprocedura amministrativa, protrattasi oltre i terminidi legge e che pure non avesse possibilità di esito po-sitivo (in termini di spettanza del bene della vita),produca una lesione ingiusta e tangibili conseguen-

ze dannose (si pensi all’ipotesi di un tardivo diniegodi permesso ad un costruttore che riesca a dimostra-re, ad esempio, di aver subito un pregiudizio per lalunga attesa del pronunciamento della P.A. (19)).Va detto che una parte della più recente giurispru-denza, sulla scorta dell’intervenuta novità normati-va, tende ormai a ritenere che anche il tempo costi-tuisca un bene della vita per il cittadino e che il ri-tardo nella conclusione di un procedimento ammi-nistrativo (soprattutto di natura autorizzatoria) co-stituisca pur sempre un costo, traendo argomentidalla l. n. 69/2009 per sostenere che il danno sussi-sterebbe anche qualora il procedimento non si siaancora concluso e finanche se l’esito sia stato nega-tivo per il privato richiedente (20).Anche l’analisi dei precedenti giudiziali, in materiadi illecito omissivo dello Stato, fa emergere ulterioririflessioni.

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InterventiDanno alla salute

Note:

(17) Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945,in www.giustizia-amministrativa.it.

(18) Cfr., sostanzialmente in linea con quanto statuito da Cons.Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7, in www.giustizia-am-ministrativa.it (che pure, come negli intenti del legislatore del2009, esclude che una responsabilità per danni consegua auto-maticamente al ritardo nell’emanazione di un atto amministrati-vo), Cons. Stato, 20 luglio 2010, n. 4660, ibid., secondo cui «...appare, altresì, innegabile che i ritardi in questione (di cui è pos-sibile tener conto ai fini risarcitori, trattandosi di ritardata attribu-zione di una utilitas sostanziale la cui spettanza in capo al richie-dente risulta accertata) abbiano determinato in capo all’Aziendaappellante un pregiudizio patrimoniale meritevole di ristoro. Siosserva al riguardo che, una volta conseguita da parte della ri-corrente (sia pure, con colpevole ritardo da parte dell’Ammini-strazione) l’effettiva disponibilità delle aree, si sia determinata lareintegrazione nella posizione giuridica oggetto dell’originariapretesa, con la conseguenza per cui la pretesa risarcitoria debbaessere limitata alle conseguenze dannose del ritardo nell’attribu-zione dell’utilitas originariamente richiesta ...». In analoga dire-zione sembrano porsi T.a.r. Lazio-Roma, 16 marzo 2009, n. 2693;e T.a.r. Lazio-Roma, 16 marzo 2009, n. 2694, che ritengono il ri-sarcimento del danno da ritardo inscindibilmente legato alla po-sitiva finalizzazione del procedimento.

(19) Quanto al dibattito in tema di danno meramente patrimonia-le, la questione va qui soppesata in termini problematici, tenen-do presente come il giudice, indagando in merito alla ricorrenzadell’iniuria damni, sia in grado di discernere, in un caso comequello ipotizzato nel testo, la lesione di un interesse sostanzialegiuridicamente rilevante, e eventualmente meritevole di tutelarisarcitoria, dal prospettarsi di un mero danno al patrimonio.

(20) Cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, 4 novembre 2010, n. 1368, inwww.giustizia-amministrativa.it, che ricorda come il fattore tem-po costituisca, ad esempio, una significativa variabile nella predi-sposizione ed attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi in-tervento o opera bisognosa di autorizzazione amministrativa,condizionandone la relativa convenienza economica. Negli stes-si termini, benché in obiter, sembra esprimersi anche Cons. Sta-to, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271, in www.personaedanno.it,che difatti richiama in motivazione la pronuncia siciliana. Perun’applicazione dell’art. 2 bis ai danni da ritardo v. anche T.a.r. Si-cilia, sez. II, 23 giugno 2011, n. 1160, in www.personaedanno.it.

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Una ricognizione della giurisprudenza italiana suidanni da contagio consente, intanto, di constatareche l’applicazione dell’art. 2043 c.c. ricorre ogni-qualvolta non vi sia una diversa ed esplicita previ-sione di legge che introduca un’ipotesi tipica di re-sponsabilità o, ancora, un mero indennizzo, comeverificatosi, in passato, con i sistemi di sicurezza so-ciale introdotti dal legislatore in materia di danni davaccinazioni obbligatorie e da emotrasfusioni infet-te (21). Non è un caso che tali fenomeni dannosiabbiano parallelamente formato oggetto di un in-tenso contenzioso giudiziario orientato ad applicarele regole codicistiche di responsabilità civile (22).In ogni altro caso, non potendosi ammettere, nelnostro ordinamento, un principio di generale inden-nizzabilità correlato all’attività dei soggetti pubblici,il giudice, di norma preposto a valutare condotte il-lecite, non avrebbe la facoltà di disporre un’(equa)riparazione per i pregiudizi discesi da atti leciti delloStato. Ne costituisce sicura conferma il fatto che laConsulta abbia dichiarato l’illegittimità costituzio-nale della l. n. 210/1992 nella parte in cui, mentrericonosceva un sostegno economico a quei soggettiche avevano contratto infezioni da HIV a seguito siadi trasfusioni di sangue sia di somministrazione diemoderivati, irragionevolmente concedeva analogobeneficio a chi avesse contratto l’epatite solo nel ca-so in cui la patologia fosse derivata da una trasfusio-ne; in tal modo l’indennizzo per i danni da emoderi-vati infetti trova estensione a casi cui il giudice co-mune non avrebbe altrimenti potuto riferirlo a cau-sa della (incostituzionale) disparità di trattamentointrodotta dal legislatore (23).Nella giurisprudenza sui danni da contagio la diver-sità strutturale e funzionale tra indennizzo e risarci-mento trova dunque la sua più recente formulazio-ne, confermando l’impossibilità di porre in esserecommistioni tra l’area dell’illecito (atipico) e quelladello strumento equitativo di volta in volta intro-dotto dal legislatore a copertura di vicende reputatedegne di un qualche ristoro. Ne è conferma anchel’orientamento che ha ritenuto ammissibile, doponotevoli contrasti, il cumulo tra l’azione aquiliana -volta a conseguire l’integrale riparazione dei danniderivanti dal contagio - e la misura meramente assi-stenziale rappresentata dall’indennizzo, concessoogniqualvolta la somministrazione di sangue infettoabbia determinato una lesione permanente della sa-lute; ciò sebbene rimanga incerta la posizione dellagiurisprudenza sulla possibilità che al cumulo forma-le possa associarsi anche la cumulabilità tra risarci-mento e indennizzo - come la diversità di presuppo-sti dei due rimedi indurrebbe a ritenere - in luogo di

una necessaria scomputazione del beneficio assisten-ziale dall’ammontare del risarcimento ottenuto (op-zione, quest’ultima, cui la Cassazione sembra peral-tro voler dare preferenza) (24).Se i precedenti in tema di danni da contagio costi-tuiscono un punto fermo contro indebite commi-stioni tra l’area del lecito e dell’illecito (statale),certo ipotizzabili anche in vicende complesse e deli-cate come quella dell’esposizione a sostanze nocivedi militari in missione di pace, essi si segnalano an-che per affrontare il nodo dogmatico della responsa-bilità per omissione dello Stato.Le Sezioni Unite, nel 2008, rammentano come lasottoposizione dei medicinali alla c.d. “farmacosor-veglianza” da parte del Ministero della Salute, tenu-to a stabilire le modalità di esecuzione del monito-raggio sui farmaci a rischio e ad emettere provvedi-menti cautelari sui prodotti in commercio, impones-se, ancor prima dell’entrata in vigore della l. 4 mag-gio 1990, n. 107 sulla disciplina per le attività tra-sfusionali e la produzione di emoderivati, un obbligodi controllo, direttiva e vigilanza in materia di san-gue umano. Se ne trae come l’omissione, da partedelle autorità ministeriali, di attività funzionali allatutela della salute pubblica le esponga a responsabi-

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InterventiDanno alla salute

Note:

(21) Ci si riferisce, in particolare, alla l. 25 febbraio 1992, n. 210e, per i soli casi di vaccini obbligatori, alla più recente l. 29 otto-bre 2005, n. 229. Conferma la natura assistenziale e non risarci-toria dell’indennizzo per i danni da vaccinazioni obbligatorieCass. 10 novembre 2008, n. 26883, in Resp. civ., 2009, 1, 91.

(22) Cfr., in particolare, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576,in Corr. merito, 2008, 694, che, a fronte di alcune pronunce cheleggevano la responsabilità del Ministero della Salute come ipo-tesi di responsabilità per esercizio di attività pericolosa ex art.2050 c.c., confermano l’orientamento che riconduce i danni dacontagio nella regola generale dell’art. 2043 c.c.; negli stessi ter-mini Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, in questa Rivista,2009, 667; in precedenza v. Cass. 31 maggio 2005, n. 11609, inResp. civ. prev., 2006, 294; Trib. Roma 30 agosto 2005, in Corr.merito, 2005, 1268; Trib. Roma 14 giugno 2001, in questa Rivi-sta, 2001, 1067. Il principio di non alternatività tra indennizzo e ri-sarcimento, che consente comunque al danneggiato di ottenerein giudizio l’integrale riparazione dei danni subiti, è stato più vol-te riaffermato dalla Corte costituzionale (si veda, ad es., la sen-tenza n. 423 del 2000).

(23) Cfr. Corte cost. 6 febbraio 2009, n. 28, in Foro it., 2009, 4, 1,954, che dichiara l’incostituzionalità dell’art. 1, comma 3, l. n.210/1992 per violazione dell’art. 3 Cost.

(24) V. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, cit., che am-mette espressamente il cumulo tra azione aquiliana e indenniz-zo ex l. n. 210/1992. Per la giurisprudenza di legittimità v., tra lealtre, Cass. 31 maggio 2005, n. 11609, in Guida al dir., 2005, 26;Cass., sez. lav., 12 novembre 2003, n. 17047, in Arch. civ., 2004,1112; Cass., sez. lav., 9 maggio 2003, n. 7141, in questa Rivista,2003, 1239; Cass., sez. lav., 21 ottobre 2000, n. 13923, in Dir.giust., 2000, 61; tra i giudici di merito v., ex multis, Trib. Pavia 9maggio 2008; Trib. Torino 14 marzo 2008; Trib. Bari 12 febbraio2008; App. Roma 19 novembre 2007; Trib. Benevento 27 marzo2007; Trib. Rimini 22 luglio 2006; Trib. Bologna 19 giugno 2003.

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lità extracontrattuale ogniqualvolta ne sia derivatala lesione di interessi che, in concreto, possano rite-nersi meritevoli di tutela aquiliana (25).La giurisprudenza si pone l’interrogativo più com-plesso in tema di illeciti omissivi, ossia se possa con-figurarsi un comportamento antigiuridico (in sensoampio) per il soggetto che ometta di assumere undato comportamento, cagionando ad altri un pre-giudizio, in assenza di uno specifico dovere giuridicodi attivarsi. Le Corti risolvono, però, il problema ri-tenendo le autorità ministeriali sottoposte dall’ordi-namento al dovere di tutela della salute pubblica e,segnatamente, di sorveglianza in materia di sangueed emoderivati.Un approccio analogo, sotto il profilo di un concre-to dovere di tutela della salute pubblica, pare poter-si estendere al contenzioso in materia di danni dainalazione o contatto con sostanze nocive.Rispetto all’orientamento dei giudici francesi che, piùvolte, hanno sancito la responsabilità per fatto illeci-to del Ministre de l’Emploi et de la Solidarité per avercolpevolmente omesso, anteriormente al 1977, diadottare misure idonee a prevenire i rischi per la salu-te dei lavoratori esposti a polveri di amianto (26), inItalia la giurisprudenza sembra disinteressarsi al profi-lo della responsabilità statale prestando attenzione al

solo risarcimento a carico dei datori di lavoro per idanni subiti dai lavoratori a causa del mancato rispet-to della normativa (l. n. 257/1992) che ha sostanzial-mente introdotto il divieto di ricorso a tali sostanze omateriali (27).Al di là del contrasto sulla natura della responsabili-tà, sembrano al contrario rivolgersi in tale direzionele pronunce di merito - su cui i precedenti relatori sisono soffermati - che addossano al Ministero dellaDifesa i danni derivanti dall’esposizione ad uranioimpoverito dei militari in missioni di pace, non ade-guatamente informati né dotati dell’equipaggiamen-to necessario ad evitare i rischi del contatto con so-stanze altamente cancerogene.

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InterventiDanno alla salute

Note:

(25) Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, cit.; in termini ana-loghi, tra i giudici di merito, v. App. Roma, sez. I, 8 febbraio 2010,ined.; Trib. Torino, 18 novembre 2009, n. 7790, ined.

(26) Cfr. CE, 3 marzo 2004, Ministre de l’Emploi et de la Solidari-té c/ Consorts Bourdignon; Id., 3 marzo 2004, Ministre de l’Em-ploi et de la Solidarité c/ Consorts Botella; Id., 3 marzo 2004, Mi-nistre de l’Emploi et de la Solidarité c/ Consorts Thomas; Id., 3marzo 2004, Ministre de l’Emploi et de la Solidarité c/ ConsortsXueref, pubblicate in R.F.D.A., 2004, 621 ss.

(27) Cfr., ex multis, Cass., sez. lav., 11 luglio 2011, n. 15156, inDir. e pratica lav., 2012, 9, 582; e Cass., sez. lav., 1° febbraio2008, n. 2491, in Dir. e prat. lav., 2008, 36, 2111.

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Danni da uranio impoverito

Danneggiamento del DNAcellulare ad opera di radioisotopialfa-emettitori: necessitàdi idonea legislazionedi Evandro Lodi Rizzini

Nelle linee generali sono individuate le motivazioni che portano alla necessità di introdurre nella nostra legi-slazione opportune salvaguardie giuridiche per persone coinvolte in gravi patologie a seguito della presenzanell’ambiente di radioisotopi.

Le gravi situazioni di salute che si sono registrate inmolti individui, militari e civili, coinvolti in attivitàmilitari che hanno visto l’impiego del cosiddettoUranio Impoverito (DU, Depleted Uranium) nei si-ti bombardati, o utilizzati per prove di munizioni,necessitano di una seria riflessione sulla tutela lega-le ad opera dello Stato italiano di cittadini e dei lo-ro familiari che ne sono rimasti coinvolti con esitianche estremi. Una tale legiferazione deve partiredalla conoscenza delle motivazioni scientifiche checaratterizzano i processi fisici e/o chimici che sonoall’origine dei processi degenerativi di tessuti e orga-ni dell’individuo.L’ambiente molecolare che caratterizza l’evoluzionecellulare può essere gravemente compromesso in or-dine alla realizzazione del corretto DNA nelle nuo-ve cellule, anche a seguito di situazioni gravi nel tra-smettitore RNA. Non si possono, per questo, con-fondere i processi chimici che intervengono su tes-suti, o parte di questi, attraverso reazioni chimichecoinvolgenti contemporaneamente numeri elevatis-simi di queste ultime e di cellule con i processi nu-cleari che si hanno a seguito della presenza di ra-dioisotopi nel nostro organismo.Una reazione nucleare si caratterizza per energie ingioco che sono mediamente un milione di volte piùelevate in ogni singolo processo rispetto ad una sin-gola reazione chimica. È come confrontare le transa-zioni commerciali giornaliere tra i produttori ed igrandi gestori della vendita del carburante da un la-to, e quelle tra i benzinai ed i singoli utenti dall’al-

tro. Le cifre in gioco sono di ben diverso ordine digrandezza. Non solo ma ci vogliono migliaia e mi-gliaia di acquirenti finali per pareggiare il bilancio diuna singola vendita iniziale giornaliera a livello del-la produzione e sua commercializzazione. Per capireancor meglio la necessità di leggi specifiche in ordi-ne a gravi situazioni ambientali per la salute umanaad opera di radioisotopi e distinguerla da quelle chi-miche, è possibile ricorrere ad un esempio tratto dalmondo del calcio.Una partita di calcio può essere interrotta da variecause quali improvvisi, forti temporali, o abbondan-ti nevicate, od ancora per gravi disordini sulle gradi-nate ad opera di tifosi, ed altre ancora, tutte comun-que riconducibili a situazioni che non sono correla-bili alla terna (o quaterna) arbitrale. Viceversa è ac-caduto, seppur raramente, che sia stato proprio ilcomportamento, lo stato fisico di uno di questi atto-ri, ad imporre la sospensione della partita. È chiaro atutti che la legislazione che sovraintende alla valu-tazione di queste ultime situazioni è completamen-te diversa da quella che è chiamata a sanzionare lesituazioni del primo tipo. Queste ultime sono benconosciute e quantificabili con certi parametri edaddirittura si possono prendere, e vengono prese,adeguate contromisure tese a scongiurarle.Vi è cioè un rapporto causa-effetto noto, stimabile,attribuibile. Siamo in presenza di situazioni che intermini di Scienza Statistica vengono dette tipichedei processi deterministici. Così nelle situazionicoinvolgenti alterazioni dell’ambiente, e le correlate

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ricadute sulla salute degli esseri viventi, è possibilemettere dei valori di soglia al verificarsi dell’accadi-mento. È poi possibile anche correlare l’intensità ele conseguenze di questa in funzione dei valori dellevariabili che hanno caratterizzato l’evento. La rela-zione causa-effetto è stimabile sia in ordine ai tempidi accadimento che all’intensità di questi e delleconseguenze.Che all’arbitro accada viceversa di mettere un piedesu una zolla di terreno e di procurarsi una distorsio-ne che gli impedisce di proseguire nella sua funzioneè un evento assolutamente imprevedibile sia neltempo che nel luogo di accadimento. È un evento ditipo stocastico nella terminologia statistica. Chiara-mente non si potrà sapere se la zolla incriminata èstata volutamente divelta da un giocatore dell’una odell’altra squadra per procurare quel danno all’arbi-tro. Nessuna delle due società calcistiche può essereincriminata per quel singolo episodio assolutamentecasuale. Restando nel campo delle emissioni alfa daparte di radionuclidi sarà poi necessario ricordareche le diverse catene di reazioni nucleari con emis-sione alfa possono differenziare notevolmente la lo-ro pericolosità, che sarà poi diversa per ingestione oinalazione.Le differenti caratteristiche dei decadimenti del-l’uranio e del torio e dei nuclidi figli, osservando chequest’ultimo è connotato da una catena di decadi-mento più veloce di quella del primo, e, in partico-lare, che i decadimenti finali si verificano in tempimolto contenuti, con emissione di particelle alfa adalta energia, fanno si che il torio sia più suscettibiledell’uranio nel pregiudicare l’integrità del DNA. Iltorio può essere inalato o ingerito e in caso di inala-zione la sua pericolosità è notevolmente superiore aquella che può derivare in caso di ingestione. Si trat-ta comunque di un livello di nocività più elevato ri-spetto a quello dell’uranio.Occorre altresì considerare che gli effetti nuclearihanno una latenza di decenni: nel caso del torio, ilmassimo di pericolosità si raggiunge nell’arco diventi anni, come si è potuto constatare in sede spe-rimentale. Dati relativi agli effetti della presenza diossido di torio nei tessuti cellulari del fegato di sog-getti ai quali fu a suo tempo inoculato il thorotrast,sostanza utilizzata in passato come mezzo di contra-sto per radiografie ed ora vietata a causa della suacomprovata nocività, hanno permesso di caratteriz-zare queste nostre conoscenze.Se si considera la differenza tra processi chimici - de-terminabili statisticamente e connotati da effetticerti - e processi fisici con un andamento stocasticoe caratterizzati da una latenza molto levata, occorre

riflettere sull’esigenza di dettare norme giuridicheadeguate ed idonee ad assicurare tutele effettive al-le persone a vario titolo coinvolte nell’esposizione asostanze radioattive. In tali circostanze, infatti, laprevenzione è fondamentale e deve essere impo-sta, poiché in assenza di disposizioni che obblighi-no ad adottare un certo tipo di precauzioni - comead esempio ‘utilizzazione di dosimetri da sottopor-re a controlli periodici - si possono determinare si-tuazioni molto difficili e penalizzanti per chi èprofessionalmente esposto a questi rischi radiolo-gici, differenti da quelli di radiografia.Da quanto detto si può infatti dedurre che è moltodifficile pensare di ottenere chiare indicazioni dastudi epidemiologici, data in genere l’esiguità delcampione e la dispersione nel tempo degli esiti ne-gativi per l’organismo degli individui.Questi in genere non potranno mostrare singolar-mente alcuna relazione causa-effetto.

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