Up for it e NPR - 17 marzo 2012

16
E ccoci di nuovo qui, in uno stadio tanto immenso quanto stracolmo. Un grande giro per ritrovarsi un po’ al punto di partenza di sempre, ovvero come evitare l’ennesimo cucchiaio di legno, obiettivo minimo del nostro Sei Nazioni. E a contendersi il per nulla agognato trofeo ci sono quelle che erano le candidate principali della vigilia: Scozia e Italia. Sia il XV in maglia blu che la banda Brunel per evitarlo devono vincere. Ad essere pignoli agli scozzesi andrebbe bene anche un pareggio per via della migliore differenza-punti, ma sono dettagli che non ci devono interessare. Oggi conta solo vincere, se poi si gioca pure bene tanto meglio, ma quello viene dopo. Dove eravamo rimasti? Al sold-out “boicottato” dalla neve di Italia-Inghilterra, mi pare. Settantatremila biglietti venduti e 53mila tifosi presenti sugli spalti: in ventimila rimasti bloccati dal maltempo che ha impedito loro di arrivare all’Olimpico di Roma per assistere a quella che finora è stata la migliore prestazione dell’Italia nel torneo. Per 70 minuti o giù di lì la nazionale di Sua Maestà ha subito il gioco azzurro, con una squadra azzurra mai così vicina a una vittoria davvero storica. A regalare ai maestri inglesi la fine di quello che per loro era qualcosa di molto simile ad un incubo sono stati i nostri errori. Un ko, inutile nasconderlo, che fa ancora una rabbia pazzesca. Poi le sfide con Irlanda e Galles, con qualcosa da salvare, altro da rivedere, un po’ da dimenticare. Oggi però sugli spalti siamo nuovamente in tantissimi, in 73mila. Come per l’Inghilterra. Una enormità. Se lo era per gli inglesi, figuriamoci per la Scozia… Un risultato tanto inaspettato quanto clamoroso. Un pubblico che merita – ce lo auguriamo tutti – una prova che metta il degno sigillo alla fine di un ciclo. A fine maggio/inizio giugno, quando il gruppo azzurro partirà per il tour nel continente americano che lo porterà a sfidare in tre gare l’Argentina, gli Stati Uniti e il Canada, vedremo infatti parecchie facce nuove e molte di quelle che conoscevamo, che ci erano diventate abituali, non ci saranno più. Quel tour segnerà il vero inizio dell’era Brunel. Ma quello è il futuro che inizia domani. Oggi c’è da battere la Scozia. Non so voi, ma io di cucchiai di legno ormai ne ho fin troppi. Paolo “il grillotalpa” Wilhelm scrive su www.ilgrillotalpa.com Dalla collaborazione tra il network Portaportese e il sito NPR – Non Professional Rugby (www.nprugby.it), nasce Up For It, versione Ovale. Un giornale dedicato al mondo del rugby: dalla Nazionale al rugby femminile, dalla serie C fino al minirugby. Il tutto analizzato e approfondito da giornalisti, allenatori, esperti del settore ed ex – giocatori professionisti. NPR è un sito che parla di quel rugby giocato per passione, per puro divertimento, fatto di sfide colossali e terzi tempi epici, ma anche di entusiasmo e attaccamento ad una maglia o ad una città. Quel rugby dove i protagonisti sono spinti da tutti i valori che contraddistinguono da sempre questo fantastico sport: passione, rispetto, entusiasmo e amicizia. Perché per essere “eroi”non serve scendere in campo davanti a 80.000 persone, basta calcare almeno una volta nella vita un campo da rugby

description

dalla collaborazione tra il network Portaportese e il sito www.nprugby.it, il primo giornale cartaceo dedicato al mondo del rugby non professionistico

Transcript of Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Page 1: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Eccoci di nuovo qui, in uno stadio tanto immenso quanto stracolmo. Un grande giro per ritrovarsi un po’ al punto di partenza di

sempre, ovvero come evitare l’ennesimo cucchiaio di legno, obiettivo minimo del nostro Sei Nazioni. E a contendersi il per nulla agognato trofeo ci sono quelle che erano le candidate principali della vigilia: Scozia e Italia. Sia il XV in maglia blu che la banda Brunel per evitarlo devono vincere. Ad essere pignoli agli scozzesi andrebbe bene anche un pareggio per via della migliore differenza-punti, ma sono dettagli che non ci devono interessare. Oggi conta solo vincere, se poi si gioca pure bene tanto meglio, ma quello viene dopo.

Dove eravamo rimasti? Al sold-out “boicottato” dalla neve di Italia-Inghilterra, mi pare. Settantatremila biglietti venduti e 53mila tifosi presenti sugli spalti: in ventimila rimasti bloccati

dal maltempo che ha impedito loro di arrivare all’Olimpico di Roma per assistere a quella che finora è stata la migliore prestazione dell’Italia nel torneo. Per 70 minuti o giù di lì la nazionale di Sua Maestà ha subito il gioco azzurro, con una squadra azzurra mai così vicina a una vittoria davvero storica. A regalare ai maestri inglesi la fine di quello che per loro era qualcosa di molto simile ad un incubo sono stati i nostri errori. Un ko, inutile nasconderlo, che fa ancora una rabbia pazzesca.

Poi le sfide con Irlanda e Galles, con qualcosa da salvare, altro da rivedere, un po’ da dimenticare.

Oggi però sugli spalti siamo nuovamente in tantissimi, in 73mila. Come per l’Inghilterra. Una enormità. Se lo era per gli inglesi, figuriamoci per la Scozia… Un risultato tanto inaspettato

quanto clamoroso. Un pubblico che merita – ce lo auguriamo tutti – una prova che metta il degno sigillo alla fine di un ciclo.

A fine maggio/inizio giugno, quando il gruppo azzurro partirà per il tour nel continente americano che lo porterà a sfidare in tre gare l’Argentina, gli Stati Uniti e il Canada, vedremo infatti parecchie facce nuove e molte di quelle che conoscevamo, che ci erano diventate abituali, non ci saranno più. Quel tour segnerà il vero inizio dell’era Brunel. Ma quello è il futuro che inizia domani. Oggi c’è da battere la Scozia. Non so voi, ma io di cucchiai di legno ormai ne ho fin troppi.

Paolo “il grillotalpa” Wilhelm scrive su www.ilgrillotalpa.com

Dalla collaborazione tra il network Portaportese e il sito NPR – Non Professional Rugby (www.nprugby.it), nasce Up For It, versione Ovale.

Un giornale dedicato al mondo del rugby: dalla Nazionale al rugby femminile, dalla serie C fino al minirugby. Il tutto analizzato e approfondito da giornalisti, allenatori, esperti del settore ed ex – giocatori professionisti.

NPR è un sito che parla di quel rugby giocato per passione, per puro divertimento, fatto di sfide colossali e terzi tempi epici, ma anche di entusiasmo e attaccamento ad una maglia o ad una città. Quel rugby dove i protagonisti sono spinti da tutti i valori che contraddistinguono da sempre questo fantastico sport: passione, rispetto, entusiasmo e amicizia. Perché per essere “eroi”non serve scendere in campo davanti a 80.000 persone, basta calcare almeno una volta nella vita un campo da rugby

Page 2: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

La storia più recente del rugby italiano parla di tre passaggi: una ottima idea (l’ingresso in Celtic

League oggi Pro12) una incompiuta (la nostra Nazionale), una non pervenuta (la sistemazione del massimo campionato italiano ovvero l’Eccellenza).

Il rischio tangibile di questa inagibilità parziale del movimento ovale italiano è

la sua spaccatura: la divaricazione delle singole prospettive dei tre livelli è già oggi evidente a causa di una diversa attenzione del loro massimo organismo. La FIR ha infatti lavorato fino ad oggi con una metodologia che puntava all’ampliamento del movimento partendo dall’alto. Dopo il deludente Mondiale neozelandese si è imposta una inversione di rotta. Brunel al suo arrivo ha esposto chiaramente il suo progetto, ha visitato le Accademie ma ha girato i campi di Eccellenza, ha convocato i veterani ma ci ha messo dentro qualche giovanottone. Brunel parla di rugby che sale dal basso, di crescita strutturata su più livelli. La sua filosofia ci pemette allora un paio di considerazioni sul futuro del nostro rugby.

La Nazionale potrà nel breve periodo godere dei frutti delle Accademie FIR, punti di incontro di valore per il rugby di oggi ma che non possono essere “il movimento intero”, ottimi selezionati ma selezionati fra chi? I conclamati successi della Benetton e la recente sorpresa Aironi, vincente con il Munster, fanno pensare ad una stabilizzazione dell’ambito Pro12 italiano nel breve periodo, gli accordi su stranieri e permit players, economics e spazi di gestione tecnica fra i team celtici e la FIR arriveranno di sicuro ed allora avremo due team pronti alla gestione day by day dell’Alto Livello e delle sue giovani promesse. C’è un terzo livello più sotto, il primo e l’unico tutto “Made in Italy”: l’Eccellenza. Questo livello soffre della forte crisi economica di quasi tutti i club, di una proliferazione di giocatori stranieri e soprattutto di una divisione evidente sia nella lettura della classifica ma prima ancora negli organici fra i 10 team. In pratica sotto i due team celtici non ci sono oggi 10 club di “eccellenza” in grado di alimentare il rugby ma al massimo 4 o 5. Recuperare il valore di questo livello può essere la vera scommessa per portare in alto il rugby italiano, si tratta di dare alla fascia di club di “eccellenza” la possibilità di essere “scuola del rugby” diffusa nel territorio, essere centro di aggregazione territoriale, soluzione tecnica di base

del nostro movimento. Questo è il livello che manca. E’ in questa “eccellenza” che vogliamo vedere tecnici inglesi, irlandesi, neozelandesi e giocatori italiani e non sempre e solo il contrario. E’ il creare un parallelismo tangibile fra l’Italia che gioca a rugby e gli Azzurri del rugby il punto di arrivo che crea continuità e garantisce futuro al nostro sport in Italia.

Stefano Franceschi, giornalista e blogger, gestisce una (lui stesso la definisce così) “raccolta di commenti sul

mondo del rugby”. La sua “web club house” è su www.ilneroilrugby.com

Per un futuro rugbistico vincente è necessario rinnovare a partire dalle fondamenta

di Stefano Franceschi

www.ilneroilrugby.com

Page 3: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Gente. Tanta. Una marea. Di gambe e cappellini. Di sciarpe e sorrisi. Di ragazzini a cavallo sulle spalle. Di famiglie e bandiere. Traffico. Di auto

e bancarelle. Di panini e di birre. Di strette di mano e di abbracci. Di chi si rivede solo in queste occasioni. Di appuntamenti alla prossima. Di vecchi racconti di vecchie partite. Di campionati passati e di favolose abbuffate. Di intere famiglie. Di parenti e rugbisti.

Un fiume. Che si getta in un mare azzurro. E si riversa in un catino. Le cui pareti grigio-calcestruzzo, un attimo prima del fischio d’inizio, si colorano di azzurro.

Si colorano di sguardi di migliaia di occhi. Di migliaia di frasi e di voci. Di migliaia di suoni e profumi. Di colpi di tosse. Di sospiri e sobbalzi. Di silenzio assoluto. Di emozioni e di urla.

Cessano all’improvviso rumori e parole. Le squadre in campo. Allineate. Tutti al proprio posto. Parte la musica.

Persone. Tante. Tutte. Insieme. Con la mano destra sul petto. A sinistra. Dove sta il cuore. Che cantano. A squarciagola. Stonate. In piedi. Le strofe di un inno. Di un elmo di Scipio.

Fratelli. Con la stessa passione. Che unisce. Dialetti e abitudini. Di sopra e di sotto. Da un capo all’altro. Per un attimo e per sempre. Sconosciuti e subito amici. Compagni. Amanti di una squadra. Della stessa. Dell’unica. Che quasi mai vince. Ma che ogni tanto, qualche soddisfazione si toglie.

Innamorati di una maglia. Quella azzurra. Di una e di tante storie. Di chi l’ha indossata. E di chi l’ha sognata. Di atleti irruenti. Di matti sinceri. Di pionieri e ricordi. Di polvere e sogni. Di campi sterrati e di gambe sfinite. Di vittorie sfiorate. Di calci piazzati e di calci sbagliati.

Nazionale. Quella di tutti. Che quando gioca in casa. Lo stadio diventa un grande mare azzurro.

Tutto l’azzurro del mondo sta lì. Confluisce. Da ruscelli di facce sorridenti. Mescolandosi. Con quello del cielo. Che si tuffa negli occhi. Di tutti. Di bambini e di zii. Di uomini e donne. Di appassionati tifosi e addetti ai lavori. Di giornalisti e fotografi. Con la stessa ammaliante passione.

Perché di rugby si tratta. Di palla ovale. Bislunga. Melonica. Limonica.

Stretta e lunga. Quella che rimbalza strana. Quando vuole. Che si porta per il campo. Tra le mani. Verso la linea bianca. La meta. Alle spalle degli altri. Quelli con l’altra maglia.

Di un altro paese. Di un’altra nazione. Dal diverso linguaggio.

Perché quando gioca la Nazionale, l’altra è sempre una squadra straniera. Una di quelle volte, forse poche, che ci si sente veramente uniti. Un unico corpo. Un solo obbiettivo. Che non sempre è possibile. Tuttoggi. Ancora. Dopo centocinquant’anni.

Che ci fa sentire tanti. Milioni di milioni. Di milioni di emozioni. Felici comunque vada. Accontentandosi. Di un bicchiere mezzo pieno. Di quel poco che basta. Per provare a sognare. Aspettando. Ancora una volta. La “nostra” prossima partita.

Antonio Falda nasce a Cautano, un paesino in provincia di Benevento, nel 1962. Da dieci anni vive a Capoterra, dove per alcuni anni è stato dirigente della società locale di rugby.Autore del celebre “Novelle Ovali” (Davide Zedda Editore), scrive di rugby e non solo su www.antoniofalda.it

A sinistra, una delle sedici fotografie finaliste del concorso “Facebook 6 Nazioni 2012”.

d a w w w. f a ce b o o k . co m /federugby: “Una giornata da ricordare in ogni caso, un concorso speciale rivolto a tutti gli oltre ventimila fan della FIR su Facebook, il più famoso dei social-network. In occasione di Italia v Inghilterra di sabato allo Stadio Olimpico, la Federugby ha lanciato una speciale iniziativa che, con pochi clic, darà la possibilità a quindici tifosi dell’Italrugby di portare a casa uno speciale ricordo della prima volta dell’RBS 6 Nazioni nel più importante impianto sportivo della Capitale. Tutti i presenti potranno caricare le proprie foto sulla pagina ufficiale della FIR per tutta la settimana successiva alla partita contro l’Inghilterra. Le quindici migliori fotografie votate con il maggior numero di “Mi piace” dagli stessi utenti verranno stampate in alta risoluzione e fatte firmare agli atleti della Squadra Nazionale per poi essere consegnate ai rispettivi autori al termine dell’RBS 6 Nazioni 2012.”

per info: Ufficio Stampa FIR – [email protected]

Top XV serie C – Top 7 Coppa Italia FemminileNpr – Non Professional Rugby e Ladies Rugby Club si muovono insieme per promuovere e valorizzare il rugby a livello nazionale.

Da un’idea di Lorenzo Cirri (Ladies Rugby Club) e della redazione di Npr, abbiamo dato il via alle “selezioni” per il secondo Top XV della serie C e per il primo Top 7 della Coppa Italia Femminile, suddivisa tra centro nord e centro sud.

Per segnalare gli atleti basterà inviare una mail a [email protected], con i seguenti dati:

Nome del giocatore/giocatrice:Cognome del giocatore/giocatrice:Ruolo Primario:Ruolo Secondario:Società di appartenenza:Honours:

Quando gioca la Nazionaledi Antonio Falda

Page 4: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Torniamo a parlare di serie C, di quel rugby giocato per pura e semplice passione.

Più passa il tempo e più ricordo con assoluto piacere il mio esordio in questa affascinante e fantomatica serie rugbistica. Ok a livello di gioco non sarà come giocare in Celtic League, ma a livello di spirito e agonismo non è seconda a nessuno. Ci si trovano squadre organizzate, veterani che picchiano come fabbri, ex giocatori professionisti che chiudono la carriera, magari nella città dove sono nati, e giovani promesse che iniziano a farsi le ossa.

Io al tempo avevo 17 anni, tanta voglia di imparare e tanta voglia di mettermi in gioco, il tutto condito da una buona dose di follia. Quella mattina, la ricordo come fosse ieri, mia madre mi chiese dove stessi andando così di buon’ora: io risposi che forse mi facevano esordire in prima squadra. Lei alzò gli occhi al cielo e mi disse di stare attento, di non sporcarmi troppo e di tentare di non farmi troppo male. Io sorrisi, salii in bicicletta e sentii il suo classico commento: “Chissà poi perché il rugby, tra tante cose che potevi fare proprio il rugby!”. Sapevo che approvava la mia scelta di vita, lei da donna non sportiva mi avrebbe ostacolato solo se avessi scelto il calcio (sul momento, non capii il perché. Poi sì) e il rugby le piaceva tantissimo, anche se non aveva mai visto una partita dal vivo.

Ricordo che la corsa in bicicletta verso il campo fu notevole, sfrecciai tra le strade sterrate e arrivai in men che non si dica davanti al portone ancora chiuso dello stadio. Ero il primo.

Parcheggiata la mia vecchia bicicletta rossa

e scavalcata la recinzione, mi sedetti sugli “spalti” (il virgolettato è messo a proposito, perché la struttura in ferro rappresentava tutto, ma non proprio degli spalti) e iniziai ad immaginare la partita. L’aria che si respirava era primaverile, la temperatura accettabile e il cielo terso. Tutti fattori che mi ispiravano. Pochi minuti di pensieri sul rugby e l’urlo del custode mi fece ritornare alla realtà: si lamentava del fatto che avessi scavalcato, che il campo non era casa mia e via dicendo… le solite cose. Chiaramente la sua arrabbiatura passò in pochi istanti e il passo successivo fu quello di offrirmi un caffè e un goccino della sua grappa. Un rito che tutti gli esordienti avevano superato. Io in malo modo, non ho mai capito cosa fosse, ma era alcolica in un modo indefinibile (probabilmente la usava anche per muovere il suo motorino di fine ‘800, ne sono sempre stato sicuro).

Mi sedetti sulla panchina fuori il piccolo bar del club e aspettai i compagni di squadra, “alla spicciolata” arrivarono tutti, dal capitano, il primo (io ero troppo piccolo per essere arrivato per primo), alle ali, le ultime e più addormentate. La preparazione fu intensa e mirata, io ero assolutamente teso e più occupato a guardare gli avversari che altro, cosa che mi fruttò una navetta in solitaria, “perché bisogna pensare alla squadra non ad altro in un pre – partita” dissero giustamente. Poi l’arrivo dei primi tifosi, l’entrata in campo e quasi alla fine dell’incontro la mia entrata in campo. Di quella giornata ricordo in particolare:

- Lo sguardo fiducioso dell’allenatore che guardando la panchina mi disse: “Dai su fai una corsetta che entri, sei giovane fammi vedere un po’ di freschezza

(ragionamento da approfondire, ma che in fondo ha un senso)”;

- La “pacca” sulla spalla del capitano, tutto sporco di fango! Che tutt’ora rappresenta uno dei momenti più alti della mia carriera rugbistica: quello sguardo mi riempii di orgoglio personale, sapevo di non dover sbagliare nulla;

- Il primo impatto in gioco, nel rugby vero, non in giovanile. A me capitò un “nano barbuto” alla Gimli del Signore Degli Anelli. Mi sorprese in una X con l’apertura e mi “stagnò” al suolo;

- La corsa di “ben 22 metri” alla seconda X della partita. Dopo aver steso il nano di prima con un frontino, mi si aprì un corridoio e segnai la mia prima meta;

- L’abbraccio di tutta la squadra, piloni compresi, che mi sommerse una volta girato verso il campo dopo la segnatura. ero uno di loro, uno della squadra. Era una meta, niente di più, ma quella sensazione di gruppo e di approvazione me la sono portata dietro in tutte le vittorie e le mete che ho avuto la fortuna di segnare negli anni a venire.

Che dire…questa è la serie C, tanto bistrattata dai più, quanto fondamentale per il rugby! Intensa, bella e ricca di sensazioni fortissime, perché non bisogna giocare davanti a 80.000 persone per essere “eroi”: basta scendere in campo in una qualsiasi partita di rugby.

per contattare l’anonimo rugbista potete scrivere a: [email protected]

Diario di un anonimo rugbista: L’esordio in serie C

La redazione di NPR - Non Professional Rugby è composta da:

Andrea Amodeo• ([email protected]) - esperto di marketing, si occupa delle pubblicità sul sito e sul cartaceo.

Valerio Amodeo • ([email protected]) - blogger, conoscitore di rugby e coordinatore della rubrica sul Lazio su nprugby.it.

Davide Macor • ([email protected]) - collaboratore presso il Messaggero Veneto, aspirante scrittore e blogger.

Enrico Turello • ([email protected]) - webdesigner, appassionato di rugby e di comunicazione, ha curato l’impaginazione di questo numero.

Un doveroso ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato a questo numero (in rigoroso ordine alfabetico):

Pancrazio Auteri• - professionista di comunicazione sociale e per l’infanzia dal 1994 come consulente di Relazioni Pubbliche associato FERPI, l’organismo nazionale che riunisce i professionisti del settore. Ma è fin dagli anni settanta che segue e scrive di Rugby; è il vignettista di Npr e Up for It.

Lorenzo Cirri• - insegnante, scrittore e blogger. Conosciuto nel mondo ovale per aver creato la pagina Ladies Rugby Club, un vero e proprio punto di riferimento per il rugby femminile in Italia e a poco a poco anche in Europa.

Antonio Falda • - scrittore e gran conoscitore di rugby. Celebre il suo libro “Novelle Ovali”.

Stefano Franceschi • - giornalista e blogger. Gestisce un blog sul rugby, o come lo definisce lui un insieme di commenti sul mondo del rugby, www.ilneroilrugby.it. Molto conosciuto anche per la sua esperienza come critico di vino, www.stefanoilnero.com il suo seguitissimo blog d’enologia.

Davide Libertucci•

Matteo Mazzantini• - giocatore di livello internazionale, ex mediano di mischia dell’Italia e giocatore di numerosi club come Viadana e Benetton. Blogger per passione, giornalista per esperienza sul campo. Cura per Nprugby.it una rubrica di critica al mondo del rugby, denominata L’Impertinente Ovale.

Roberto Pecoraro•

Andrea Pelliccia• - scrittore di rugby, ha pubblicato:

- Rugby in Paradiso - Absolutely Free (Roma) - Collana: Collana: Fingerbooks;

- Up & Under, racconti di rugby - Absolutely Free (Roma) - Collana: sport.doc;

- Nino non ha avuto paura - Absolutely Free (Roma) - Collana: Fingerbooks.

Paolo • Wilhelm: giornalista sportivo, autore del blog ilgrillotalpa.com e giornalista presso radio R101.

Per le “• Notizie dal territorio” ringraziamo Davide Dalle Rive, Jacopo Malachin, Nazzareno Marangon, Luana Pioppi e Luca Telli.

Crediti fotografici: pag.1 Marco Turchetto, pag.2 Riccardo d’Achille, pag.7 Ladies Rugby Club e Sabrina Conforti, pag.15 Absolutely Free editore.

Page 5: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Qual è quello sport che si gioca con la palla ovale, e che è duro, veloce, potente e molto comprensibile dai neofiti? E’ il rugby a 13 o rugby league.

Nata alla fine del XIX secolo in Inghilterra, questa disciplina - che va considerata una pratica sportiva autonoma ed indipendente - è oggi molto diffusa anche in Australia, in alcune città della Nuova Zelanda, in Papua Nuova Guinea e nel sud della Francia. A differenza del rugby a 15 (o rugby union), che lo proibiva fino al 1995, il league ha accettato fin dall’inizio il professionismo: le principali manifestazioni nazionali sono la National Rugby League (Australia) e il Rugby League Championship (Inghilterra) , a cui si aggiungono a livello internazionale la Rugby League World Cup e il Four Nations, in cui si affrontano le rappresentative di Francia, Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda.

Il rugby league si differenzia dal rugby union, oltre che per la mancanza di 2 giocatori nella formazione iniziale, per l’assenza di contesa del pallone durante le varie fasi di gioco: ogni volta che un giocatore con la palla viene bloccato in piedi o placcato il gioco si ferma (non esistono quindi nè rucks nè mauls). La squadra in attacco ha 6 tentativi per andare in meta, e il possesso cambia solo quando i tentativi sono stati esauriti senza successo, o è stato commesso un fallo o un in avanti.

Non solo rugby a 15: scopriamo il rugby league...

CAMPO DA GIOCOFEDERAZIONE ITALIANA RUGBY LEAGUE

Anche in Italia c’è la possibilità di giocare a rugby league con la Federazione Italiana Rugby League, la quale si pone come obiettivo la diffusione dello sport del rugby a 13, in maniera concreta e trasmettendo a tutti coloro i quali si affiliano le basi di questo splendido sport.Ma “chi è” la F.I.R.L.? La Federazione Italiana Rugby League, sorta nel gennaio 2008 come naturale evoluzione della Italia Rugby League per riportare nel nostro Paese il rugby a 13 scomparso dagli anni’60, è un’associazione no-profit che ha come obiettivo quello di realizzare un circuito associativo per diffondere e sviluppare il gioco del Rugby League e di creare in Italia un centro di riferimento, per giocatori, club o semplici tifosi, per apprendere o migliorare le conoscenze tecniche e tattiche di questo grande sport. La F.I.R.L., oltre a lavorare a livello interno, partecipa alle varie manifestazioni organizzate dalla Rugby League European Federation.

ESPANSIONE E FORMAZIONE

La F.I.R.L., in questi anni, ha effettuato un percorso per lo sviluppo delle conoscenze tecniche e tattiche di base del rugby league, e per la formazione dei futuri allenatori e arbitri di rugby league italiani. Fortie delle conoscenze dei comitati FIRL in Australia, Francia ed Inghilterra, la FIRL è in grado di poter formare la futura base del rugby league italiano. Per il 2012 sono in programma un corso di allenatori di primo livello, che un corso arbitri sempre di primo livello.Per i giocatori la F.I.R.L. ha organizzato uno stage di rugby league per il 16-17-18 marzo 2012, che sarà tenuto dal sig. Paul Broadbent (Ex nazionale Inglese, ex Leone Britannico), allenatore di Super League ed Allenatore della Nazionale Italiana.

LA NAZIONALE ITALIANA

La Nazionale Italiana di rugby league ha ottenuto grandi successi a livello internazionale: ha conquistato il torneo dell’EUROPEAN SHIELD nel 2008 e 2009, ha partecipato alla EUROPEAN CUP del 2009, nel 2010 è riuscita a sconfiggere il Galles e ha vinto il torneo di qualificazione alla Coppa del mondo, assicurandosi l’ultimo posto per la rassegna iridata del 2013 nel Regno Unito.Per quanto riguarda la stagione 2012, la nazionale Italiana è impegnata su un duplice fronte: parteciperà nuovamente all’European Shield con Germania, Serbia e Russia e ad ottobre, in preparazione alla Coppa del Mondo del prossimo anno, giocherà la European Cup sfidando Inghilterra, Scozia e Irlanda.

COPPA DEL MONDO

La prossima Coppa del Mondo di rugby reague verrà disputata nel mese di ottobre 2013: sarà un evento sportivo di alto livello con un’ampia copertura mediatica, al quale parteciperanno le 14 migliori selezioni nazionali del mondo.La Nazionale Italiana, che disputerà per la prima volta il mondiale di rugby a 13, è inserita nel girone 3 con Scozia e Tonga.

CONTATTI

Per approfondire la conoscenza del rugby league in Italia o dell’attività della F.I.R.L. potete visitare il sito www.firl.it o rivolgervi all’indirizzo mail: [email protected]

La Lega Italiana Touch Rugby e’ una associazione sportiva dilettantistica nazionale nata nel 2008 per la gestione e lo sviluppo del touch rugby in Italia.

La sede ufficiale dell’associazione si trova presso gli impianti del C’e’ L’Este Rugby che festeggia quest’anno i 40 anni di attivita’ e che ospito’ i primi passi del consiglio direttivo sostenendolo attivamente. Nel 2010 Lega Italiana Touch Rugby ha avuto dei contatti diretti con l’International Rugby Board, l’organo di governo mondiale del rugby, in merito alla stesura del primo regolamento internazionale di touch rugby IRB pubblicato a novembre 2010. Nel regolamento IRB sono presenti tre modalita’ di gioco differenti e adattabili alle situazioni sul campo. Una delle tre modalita’ e’ quella del regolamento ufficiale della Lega Italiana Touch Rugby utilizzato per tutte le competizioni ufficiali nel paese. Sabato 17 marzo, in occasione di Italia Scozia del sei nazioni 2012, si giochera’ presso il campo del CUS Roma Rugby un primo evento fra Selezioni Zonali di Touch Rugby IRB - LITR. Dalle ore 17 le tre squadre (Nord, Centro e Sud) si sfideranno in un triangolare per la presentazione del progetto franchigie zonali e del progetto di sviluppo LITR per i prossimi tre anni.

L’ingresso sara’ libero e sono previsti spazi dedicati all’avvicinamento al gioco per neofiti e volontari fra il pubblico.

...e il touch rugby

Page 6: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

D: Parlaci un po’ di te. Come ti sei avvicinata al rugby, cosa fai fuori dal campo.. insomma, chi è Vanessa?

R: Partiamo subito dicendo che sono una ragazza normalissima come molte altre, ma con un grandissimo amore per il rugby! A 19 anni mi sono avvicinata a questo sport per caso, grazie ad un’amica che con la scusa di farmi correre mi ha portata al campo “Menta” (il campo del Fiumicello Rugby) e mi ha messa subito al lavoro con placcaggi e tecnica di gioco... è stato amore fin da subito, ho provato una grandissima emozione che ancora oggi mi accompagna prima di ogni partita. Ho 33 anni e lavoro come odontotecnico a Brescia, leggo molto e di tutto, amo la musica, e quando non gioco mi dedico ad altri sport, sono fidanzata da amolti anni con un ex rugbista che sostiene e capisce questa mia passione. Di tempo libero non ne ho molto, anche se non sono un’atleta professionista il mio senso del dovere non mi permette di saltare un solo allenamento. Quando la sera finisco di lavorare mi precipito al campo del rugby Borgo Poncarale maschile che mi ospita e mi fa allenare con loro da anni, poi il venerdì sera mi trasferisco a Monza per l’allenamento collettivo con le altre compagne. Nei giorni in cui non ci si allena vado in palestra per rinforzare il fisico, e la domenica finalmente si gioca; tempo che mi resta è veramente poco e lo divido fra i miei familiari, il mio ragazzo e la sua famiglia e i miei nipoti, che spero diventino rugbisti come me. Conduco una vita semplice senza troppi eccessi, solo qualche volta mi concedo qualche birra nel week end con gli amici, sempre che la domenica non si giochi. Diciamo che il rugby è proprio uno stile di vita.

D: Cosa ti ha dato il rugby in generale e cosa come donna?

R: Quello che questo sport ti dà è moltissimo, ma lo ottieni solo con grande disciplina: ti fa capire cosa sia

il rispetto per l’avversario in campo e per le persone nella vita. Ti fortifica il carattere, ti insegna a cadere e rialzarti più forte di prima, a lottare per quello in cui credi, a non arrenderti mai, a gioire e soffrire. Il rugby è uno sport che ti prepara ad affrontare la vita di tutti i giorni e le difficoltà. Come donna mi ha fatto comprendere un pochino meglio il mondo maschile e capire che le donne che giocano a rugby hanno una marcia in più, sono donne di carattere e con una grande personalità.

D: Tu sei uno dei volti nuovi della squadra azzurra: come ti vedi all’interno del gruppo? Qual è il tuo ruolo in campo, quali sono i tuoi pregi e dove, invece, devi ancora migliorare?

R: La convocazione è arrivata proprio quando meno me lo aspettavo e mi sono sentita subito onorata e orgogliosa di poter vestire la maglia della nazionale, soprattutto per tutte le ragazze che credono in noi. Anche se è ancora presto, io mi sento parte integrante di questo gruppo ed in campo cerco sempre di dare energia positiva, grinta e fiducia alle mie compagne. Io posso ancora migliorare e non mi precludo nulla.

D: Quanto è distante il movimento femminile italiano rispetto a quello di paesi come Francia e Inghilterra?

R: Considerando che in altre squadre nazionali le ragazze sono semiprofessioniste, la differenza si vede soprattutto sul piano fisico. Quindi non possiamo far altro che prendere esempio da questi movimenti per costruire un futuro quanto meno simile, poter migliorare ed avvicinarci al loro livello.

D: Quanto è difficile oggi per una ragazza giocare a rugby in Italia e perchè?

R: Oggi, in Italia, per poter giocare a rugby le ragazze devono essere molto fortunate e avere una squadra vicino a casa, altrimenti come me devono andare fuori città per poter giocare ed i sacrifici sono davvero grandi, non solo fisicamente ma anche a livello economico. Purtroppo, in Italia le squadre che giocano a 15 sono ancora un numero esiguo e le partite in campionato sono proprio poche. Questo non ci permette d’alzare il livello. A complicare le cose poi ci sono le società che non investono quasi mai nel settore femminile e quelle poche che lo fanno devono affrontare molti sacrifici. In Italia ancora oggi questo sport è visto principalmente dal punto di vista maschile e quindi si pensa che non sia adatto alle donne. Questo

Vanessa Chindamo e Maria Cristina Tonnadue interviste per capire meglio il rugby femminile

D: L’Italia è ancora a zero punti dopo le prime tre giornate del torneo Sei Nazioni 2012. Al di là delle sconfitte, come si possono analizzare le partite e quali sono gli spunti su cui lavorare in vista degli ultimi due impegni?

R: Non era facile partire con questo calendario: abbiamo affrontato subito le più forti, ma per noi che amiamo definirci “diesel” va bene così! Con la Francia, dopo un’avvio stentato, abbiamo fatto un bel secondo tempo. Con l’Inghilterra abbiamo provato per tutti gli 80 minuti a reggere la sfida, ma il loro strapotere fisico ha avuto ovviamente la meglio; siamo però uscite dal campo con delle buone sensazioni, con la voglia di continuare a provare a fare il nostro gioco. La gara di Dublino è quella che lascia maggiormente l’amaro in bocca….lo scarto di punti è troppo grande e nonostante una gara giocata in attacco per larga parte non siamo state capaci di concretizzare due segnature che ci avrebbero portato al pareggio; l’ultima meta, poi, ce l’hanno rifilata in un momento di deconcentrazione per l’uscita in barella di Manuela Furlan, che per fortuna non ha riportato alcun infortunio. Peccato perché abbiamo ben giocato, ma onore all’Irlanda che esprime veramente un bel rugby, basato sui principi e su una grande manualità. Per me sono le migliori del Sei Nazioni, al dì là dei risultati, e dopo l’Italia s’intende!!!

D: La squadra è mediamente molto giovane: pensa che questo Sei Nazioni possa essere un inizio per porre le basi si quello che in gergo si definisce ciclo? Mi spiego meglio: pensa che questo gruppo di atlete possa essere il gruppo base che vestirà la maglia azzurra per i prossimi anni (un po’ come è capitato alla nazionale maschile con i vari Parisse, Castrogiovanni, Bergamasco, ecc)?

R: Direi che il ciclo attuale è cominciato nel 2009/2010, dopo l’esclusione all’ultima Coppa del Mondo, anche se la squadra è composta anche da giocatrici che hanno una esperienza ben più solida alle spalle, in promis Tondinelli, Campanella e Schiavon. L’inserimento delle giovani avviene ormai da vari anni, gli innesti sono importanti per avere un ricambio continuo: soprattutto in prima linea stiamo “sfornando” delle atlete veramente interessanti.

D: Contro il Galles giocherete al Millenium Stadium. Questo può essere un segno della crescita del rugby femminile, anche a livello mediatico? Crede che questo possa influire sulla partita delle ragazze?

R: Senza dubbio la gara del Millenium sarà un’avvenimento, anche se sono ormai diversi anni che si gioca nei grandi stadi, dopo le gare dei colleghi uomini, sia in Inghilterra che Francia. Sarà emozionante, ma sono certa che le nostre ragazze, una volta fischiato il calcio d’inizio, vedranno solo rosso!

D: Cosa crede si debba fare per far crescere l’interesse nei riguardi del rugby femminile?

R: Stiamo continuando a crescere, sono sicura che il lavoro paga, e non parlo solo della Nazionale, ma di tutto il settore femminile. Il rugby sta diventando sempre più anche in Italia uno stile di vita, ed anche le donne vi vogliono appartenere. Certo che se avessimo una copertura televisiva dei nostri incontri, le persone potrebbero vedere che quello che proponiamo è uno spettacolo piacevole, anche al femminile!

intervista a cura di Valerio Amodeo

Per avvicinarci all’'altro lato' della palla ovale abbiamo intervistato due donne del rugby, che tutti i giorni si allenano e lavorano con passione e determinazione fuori dal comune per con-tribuire alla crescita del movimento in Italia: Valentina Chindamo, uno dei volti nuovi della Nazionale Italiana impegnata nel 6 Nazioni di quest’anno, ci spiega cosa vuol dire essere una dellle “Azzurre”, mentre con Maria Cristina Tonna, che della Nazionale Femminile è la general manager, parliamo delle partite fin qui disputate dalle ragazze e dei prossimi impegni.

limita moltissimo le opportunità delle ragazze.

D: Cosa ne pensi della nostra pagina Ladies Rugby Club? Come possiamo migliorare secondo te?

R: La vostra pagina (facebook.com/pages/Ladies-Rugby-Club) è sicuramente una nota positiva per il movimento femminile, ricca d’informazioni e

propaganda per tutto il movimento: continuate così migliorandovi sempre senza mai limitarvi. Un saluto a tutti i lettori ed a tutte le ragazze del rugby.

intervista a cura di Lorenzo Cirri

Vanessa Chindamo, atleta in forza al Rugby Monza 1949, 5 caps in Nazionale

Maria Cristina Tonna, ex-capitano e ora Team Manager della Nazionale Italiana

Page 7: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Da Twickenham ad Ashbourne, passando per Recco e Stirling, anche il 6 Nazioni femminile è arrivato a metà strada.

Ci sono state vittorie per Inghilterra, Francia, Irlanda e Galles, mentre Italia e Scozia sono alla ricerca del loro primo successo.

Per il momento le cose sono andate più o meno come previsto: saranno infatti le ultime due giornate a riservare gli incroci più interessanti, come Italia – Scozia, ma soprattutto l’attesissimo “Le Crunch” come i francesi chiamano lo scontro con Inghilterra che si giocherà a Parigi nell’ultima giornata e che rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria finale del torneo.

La Francia ha dovuto faticare più del previsto nella battaglia di Pau con l’Irlanda e l’Inghilterra è stata messa in difficoltà dal Galles nella bella partita di Twickenham. Il fattore campo potrebbe questa volta fare veramente la differenza.

L’Irlanda per il momento rimane la terza forza del torneo e nel prossimo turno riceverà l’Inghilterra. Il pronostico vede favorito il XV della Rosa, ma come ha confermato il coach irlandese Doyle che ha grande fiducia nella sua squadra “le inglesi non sono più così lontane”. Sarà sicuramente una bella partita.

Il Galles in questo momento viaggia tra alti e bassi, dopo la vittoria con la Scozia, una prestazione muscolare non è bastata contro l’Inghilterra. Nel prossimo turno ci sarà l’esordio per la nazionale femminile al Millenium Stadium di Cardiff in quella che si prospetta come la partita chiave contro un’Italia che fino a questo momento ha raccolto molto poco.

Le “Azzurre” hanno affrontato le tre squadre più forti del torneo e pur riuscendo a limitare i danni contro le inglesi sul sintetico di Recco, le prestazioni di Riom ed Ashbourne hanno lasciato qualche perplessità. E’ tuttavia vero che saranno le ultime due partite a determinare il bilancio del 6 Nazioni azzurro, due vittorie contro Galles e Scozia potrebbero dare un sapore molto dolce al torneo (soprattutto in chiave qualificazione alla Coppa del Mondo 2014).

Nella stessa situazione c’è la Scozia, squadra molto giovane che sta cercando di

tornare competitiva. La distanza dal Galles (scelto come termine di paragone dal coach Findlay) però è ancora enorme. Qualche infortunio e la mancanza di esperienza hanno portato fino a questo momento a tre sconfitte con Galles, Inghilterra e Francia. Non è un mistero che le ragazze del cardo puntino adesso molte delle loro speranze di una vittoria sulla partita di Rovato il 18 marzo.

Ci auguriamo che le ultime due giornate ci riservino ancora rugby di altissimo livello e vi aspettiamo tutti a Rovato per tifare le nostre ragazze.

Il punto sul 6 Nazioni femminiledi Lorenzo Cirri

Sabrina Conforti: la fotografa dei “Rugby Gentlemen”

C’è chi il rugby lo guarda seduto sugli spalti, chi in tribuna d’onore, chi da bordo campo…e chi ha la fortuna di viverlo e immortalarlo da dietro un obiettivo. Questo è il caso di Sabrina Conforti (www.scstile.it), una fotografa che rappresenta

l’elite italiana della categoria, conosciamola un po’ meglio:

Ciao Sabrina e grazie per la disponibilità. Senza troppi giri di parole, entriamo subito nel vivo: perchè il rugby? Cosa ti ha spinto ad avvicinarti a questo sport?

Ho fatto il percorso inverso, ho conosciuto prima il terzo tempo, iniziando ad uscire in gruppo con i ragazzi del Calvisano. Mi si è aperto un mondo incredibile. Ed ecco la

prima “cavia”, Alejandro Moreno. Viene in studio da me, non sapevo da che parte iniziare, non era facile comporre un’immagine con fisicità del genere. E’ lui in

copertina, simboleggia il mio inizio nel rugby.

Vivere il rugby significa molte cose, tu hai il piacere e la fortuna “di osservarlo da un differente punto di vista”. Come ti sembra questo mondo?

Questo mondo è parte integrante della mia vita, il rugby è il mio “nucleo”. E’ come avere una seconda famiglia...allargata. Non lo si può delimitare a 80min di

gioco, ci entri a capofitto per non volerne uscire più.

Progetti per il futuro? Il rugby rimarrà uno dei capisaldi della tua produzione?

Sicuramente dopo i due mesi passati in Nuova Zelanda per i mondiali si chiude un importante ciclo, sottolineato appunto dal libro “Rugby Gentlemen”. Il rugby

non si tocca, sia chiaro, ma non escludo un’ulteriore apertura verso l’estero. Lavoro già molto con la Francia, il parametro di misura lìnon è “chi ti manda”, ma “cosa sai fare”. Se volete che resti in Italia, trovatemi qualcuno che la pensi così...

intervista di Davide Macor

Un’immagine di Italia - Inghilterra, giocata a Recco il 12 febbraio e vinta dalle britanniche per 43 a 3.foto courtesy of Ladies Rugby Club

www.scstile.it

Page 8: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

E se invece di buttare i soldi li usassimo per le giovanili?

di Matteo Mazzantini

Oggi sento di voler dire due cosette a tutti gli amici che amano questo sport e che

cercano di mandare avanti una attività rugbistica.

In Italia negli ultimi anni si sono moltiplicate le squadre dei campionati minori, la serie C in molte regioni è ormai formata da tantissimi gironi. E’ un fatto ed è positivo. In genere si comincia in vari modi: un gruppo di persone decidono di fondare una società di rugby giovanile, che negli anni “produce” giocatori che vorranno giocare anche da adulti. Un gruppo di ragazzi adulti si appassionano al rugby e decidono di mettere su una squadra seniores. Oppure qualche giocatore di una squadra già esistente, non in accordo coi vecchi dirigenti, fonda una squadra diversa, in ogni caso, il fatto positivo è che in Italia, il movimento cresce e tutti siamo felici.

Nel caso in cui la squadra Seniores si è costituita coi giocatori formati dal vivaio, si può prevedere che quest’ultima abbia anni di prosperità, almeno a livello

sportivo… Ma negli altri due casi, alla neo società si presenta subito un problema molto importante. Come sopravvivere al “passar delle stagioni”?

Tutti sanno, o dicono di sapere, che per resistere è necessario che ci sia, negli anni, un continuo apporto di giocatori giovani. Non tutti, però, si comportano in modo che questo flusso di giovani arrivi in prima squadra.

Cosa deve fare allora una nuova società, che per la prima volta si iscrive ad un campionato? E’ facilissimo! Oltre all’attività seniores, deve impostare subito un lavoro per almeno un’altra squadra giovanile! Ed ogni anno, l’obbiettivo deve essere quello di aggiungere una squadra a quelle già presenti.

Bella forza! Ci volevi te, Matteo Mazzantini, a dirci che servono le giovanili…

Lo so che questo concetto sembra una banalità, ma non lo è affatto. Ho girato l’Italia in lungo e largo per giocare a rugby e mi sono reso conto, personalmente, come è facile confondere le priorità di un Club sportivo. Lo spirito di competizione, se pur bellissimo, può portare a facili entusiasmi, che possono destabilizzare, fino al punto di distruggere, un’intera società. Succede anche ad alti livelli, a grandi realtà: basta pensare all’Amatori Milano, che un paio di anni fa per non affrontare le spese di un vivaio ritenuto superfluo, ha delegato l’attività giovanile ad un’altra realtà della zona e, quando c’è stato bisogno di quella linfa nuova per alimentare la 1° squadra, pluff… finito tutto, quella linfa non c’era più. Una storia gloriosa cominciata nel 1927 e adesso quasi finita. Ora in questo esempio ci sarebbero da dire anche altre cose importanti, ma il mio scopo non è analizzare quella realtà.

Il Rugby Livorno, che adesso milita in serie A1, ha sofferto di quello che si può descrivere come il “fare il passo più lungo della gamba”: nelle stagioni passate si è fatto prendere da quel morbo della competizione sportiva abbandonando in parte il settore giovanile

ed investendo troppo su stranieri che poi sono fuggiti. Si è trovato ad avere un buco di 3-4 anni di buoni giocatori provenienti dal vivaio e adesso soffre terribilmente militando in ultima posizione e con ben poche speranze di tenere la categoria.

Questi sono esempi di squadre importanti che hanno fatto quell’errore che prima o poi tutti fanno: trascurare il vivaio.

Ecco, cari amici, io voglio rinforzare questo concetto. Da subito e per sempre, una società deve puntare molte sue risorse sul settore giovanile, non fatevi raccontare la favola del “se non vinciamo non troviamo soldi” è una grandissima bufala. Solo un solido settore giovanile può mantenere una forte prima squadra e in più con buone giovanili si hanno molti genitori che allargano, rinforzano, aiutano, creano quell’ambiente genuino di cui il Rugby ha sempre bisogno!

Matteo Mazzantini, 9 caps con la maglia della Nazionale Italiana di rugby, ha giocato come mediano di mischia per Benetton, L’Aquila, Rovigo, Viadana, Parma e Livorno, sua città natale, dove ha ricoperto anche ruoli tecnici e manageriali.

Sulle pagine della rubrica L’impertinente Ovale di NPR Matteo cerca di “mettere i puntini sulle i” a varie questioni che riguardano il rugby in Italia, dai problemi dei settori giovanili alle diatribe su oriundi ed equiparati in maglia azzurra.

www.nprugby.it/category/limpertinente-ovale

Roma scent of rugbydi Davide Libertucci

Batte forte il cuore ovale della città eterna, fucina di giovani talenti poi “emigrati” per fare le fortune delle compagini del nord Italia, attrezzate economicamente e con budget ancora non raggiungibili all’interno del

raccordo anulare. Giulio Toniolatti, Valerio Bernabò, Ludovico Nitoglia e i fratelli Pratichetti sono un esempio lampante di quale altissimo livello sia la preparazione dei rugbisti in erba tra le società capitoline. Abituati a parlare del Veneto come “Piccolo Galles” e del reclutamento spontaneo di ragazzi dediti alla palla ovale in terra abruzzese, lo scenario romano fa notizia con l’avanzamento costante nelle classifiche di Eccellenza e serie A delle squadre seniores tanto quanto la crescita dei settori giovanili a suon di scudetti e convocazioni nelle nazionali di categoria. La Mantovani Lazio, la squadra più antica d’Italia e al secondo anno nel massimo campionato, vanta una rosa quasi esclusivamente romana e rappresentata da Capitan Mannucci, giocatore che a più riprese non si è fatto ammaliare dalle sirene dei club più ricchi ribadendo candidamente in un’intervista di due anni fa al Corriere dello Sport a firma di Christian Marchetti :”Alla Lazio a vita? Perchè può farlo Totti nella Roma ed io no?!”. L’attaccamento a questi colori passa soprattutto da quel filo indissolubile tra squadra seniores e giovanile che arricchisce costantemente la rosa grazie ad una preparazione seria e che ha portato l’U20 per ben due volte alla finale per contendersi lo scudetto nell’ultimo triennio. Si scende di una categoria e ai vertici della serie A troviamo le Fiamme Oro Roma allenate dal duo Valsecchi-Salvan. La società cremisi in quattro anni è riemersa dalla serie B programmando una spettacolare ascesa che li vedrà contendersi la

promozione in Eccellenza fino all’ultima giornata di campionato e non solo. Sono infatti più di 160 i bambini dai 6 anni in su a rappresentare la società nelle categorie giovanili, oltre ad un’importante presenza nelle scuole del litorale romano ad insegnare i dogmi della palla ovale nelle ore di educazione fisica (fonte: Polizia Moderna). L’altro gioiello dello scenario rugbistico romano risponde al nome Unione Rugby Capitolina. La società di Via Flaminia, dopo aver conquistato a tempo di record la promozione in Eccellenza è tornata nelle categorie inferiori (presto tornerà ai vertici ndr) a produrre giovani che si guadagneranno lo scenario nazionale ed internazionale. Con ben quattro scudetti in 16 anni di storia, l’URC ha il pregio di far crescere i suoi piccoli campioni in un ambiente sereno e competente sotto lo sguardo attento del “Director of Rugby” Daniele Pacini. Sami Drissi e Alain Moriconi sono in pianta stabile nella nazionale U20 mentre l’U18 che ha battuto recentemente l’Irlanda ha in Filippo Buscema l’apertura che potrebbe finalmente interrompere il digiuno dei numeri 10 di caratura internazionale che l’Italia soffre dai tempi di Dominguez. Particolare attenzione anche ai settori giovanili di Primavera e Cus Roma che hanno sempre offerto il loro contributo alla causa rugbistica. La grande assente è la Rugby Roma per le note vicende che hanno portato al fallimento della scorsa stagione. Il riferimento rugbistico di Roma Sud ha riaperto però presto i battenti con le categorie giovanili. Nel rugby non si muore mai. Al limite si passa la palla…

Page 9: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Una proposta di cambiamento per la Serie C Lazio

di Valerio Amodeo

Arrivati a questo punto della stagione, dove i giochi per i posti playoff promozione sono ormai fatti nei due gironi della serie C laziale, sento il bisogno di rendere nota un’idea che penso

ormai da parecchio tempo.I due gironi della serie C del Lazio sono divisi per collocazione geografica e non in maniera meritocratica. Questo, secondo il comitato, favorirebbe le società da un punto di vista economico. Fermo restando che il risparmio è minimo, credo che si debba porre una maggiore attenzione sull’apporto che la serie C può dare al movimento rugbistico italiano e quindi alla crescita dei giocatori piuttosto che al portafoglio delle società. Inoltre negli ultimi anni sono state diverse le società nate, ma poche quelle che sono cresciute o che comunque sono riuscite a continuare la loro militanza nel campionato laziale. Infatti, da due o tre anni, si assiste a ritiri precampionato o addirittura durante la stagione, che portano ad alterazioni della competizione (lunghe soste, differenza punti alterata, ecc.). Ultima, ma non meno importante, è la necessità di prendere coscienza che entrambi i gironi sono effettivamente spaccati in due tra le prime e le ultime della classe: non a caso si leggono risultati incredibili, con distacchi che superano i sessanta punti, segno che tra le due compagini in campo c’è una netta differenza . Per ovviare a queste problematiche avrei una proposta da sottoporre, in primis a voi lettori e in seguito al comitato regionale: ritornare alla serie C meritocratica.Creare quindi un campionato composto sempre da due gironi: Il primo, che, di fatto, sarebbe una serie C1, composto dalle prime sei classificate nei due gironi attuali (in caso di promozione dalle retrocesse in serie B), e il secondo formato invece dalle ultime sei, che parteciperanno alla serie C2.Il campionato vedrebbe alla fine la promozione delle prime due classificate del girone 2 al primo e la retrocessione delle ultime due della C1 nella serie minore.Per quel che riguarda i play off, si potrebbe mandare la prima del girone 1 e la vincente tra la seconda classificata del girone 1 e la prima del girone 2 (che in caso di sconfitta sarebbe comunque promossa in C1). Le società neo iscritte sarebbero inserite di diritto nel secondo girone.Questa formula permetterebbe di creare due gironi competitivi per le squadre che vi partecipano.Nel primo girone si affronterebbero tutte le società che puntano alla serie B o che comunque sono cresciute e hanno cominciato a sviluppare un buon rugby con il conseguente aumento della competitività del campionato (di fatto ora le prime tre si giocano la qualificazione ai play off ed è veramente difficile che perdano una partita contro le altre squadre). Le classifiche sarebbero più corte, le partite più intense e quindi per vincere bisognerà, di fatto, migliorare il proprio livello di gioco e quindi quello globale del girone.Anche nel girone due ci sarebbero netti miglioramenti: innanzi tutto si affronterebbero squadre dello stesso livello, evitando che neofiti si debbano scontrare con squadre di esperienza o formazioni (vedi il Rugby Viterbo quest’anno) costruite per la serie B. Inoltre, eventuali ritiri, non andrebbero a intaccare la corsa promozione. Il discorso delle promozioni, inoltre, è uno sprono per quelle società che hanno voglia di crescere e migliorarsi, e il passaggio dal girone due al girone uno permetterebbe una crescita più serena e graduale.Detto questo lascio a voi decidere cosa ne pensate di questa mia idea, di rivoluzionare dei due gironi per tornare “all’antico”. Credo non sarebbe male parlarne con il comitato regionale e cominciare questa nuova formula già dall’anno prossimo. Ai posteri l’ardua sentenza o decisione.

Trecento tesserati, una squadra seniores che partecipa al campionato di serie C – CIV Elite, un settore giovanile che lavora, gioca e ama il rugby, innumerevoli

volontari che promuovono la palla ovale con dedizione e costanza…questo è il rugby Feltre! Una realtà, ad oggi, sfrattata dai propri impianti.

Lo stadio di Mugnai era una struttura momentanea, ma nel corso degli anni è stata migliorata dalla società veneta, grazie anche al sostegno della Federazione Italiana Rugby. Un lavoro di decenni, smontato e reso vano da uno “sfratto”: dall’oggi al domani il rugby si è ritrovato a dover ripartire da zero, costretto ad utilizzare una struttura in cui manca tutto, dall’elettricità, all’acqua. «Siamo sconcertati» dichiara Giovanni Pelosio, addetto stampa e consigliere del Club «la cosa che più ci affligge è vedere il progetto Rugby Feltre, messo in seria difficoltà dalle decisioni di altri. L’impianto a cui siamo destinati è una struttura, per quanto ci è dato sapere a oggi, inagibile e per di più sorge su una discarica. Voi mandereste i vostri figli a giocare su un terreno così? La cosa che però mi preme sottolineare è che ci vuole maggior rispetto verso tutti i tesserati della nostra società sportiva e verso tutti i volontari, che orbitano attorno al rugby. Dal 31 marzo il nostro impianto sarà destinato ad

uso esclusivo del calcio, a quel punto noi dove andremo?». Parliamoci chiaro: il rugby, nonostante il successo mediatico che sta avendo in questi ultimi anni, è e rimarrà ancora a lungo, uno sport “minore”. Eh si, perché se non giochi a calcio in Italia fai fatica ad esistere.

Dovrebbe far riflettere, però, il fatto che uno sport considerato minore sia riuscito a riempire stadi come San Siro e l’Olimpico; inoltre, ogni volta che la Nazionale scende in campo si assiste ad una vera e propria mobilitazione globale di rugbisti, appassionati e semplici curiosi. Questo non è di per sé un successo e una dimostrazione d’interesse nei confronti di questo sport? Puntiamo i piedi e facciamo valere i nostri diritti! Le categorie minori hanno il diritto di esistere, anche perché è da qui che di norma si “scovano” i talenti che poi smuovono le masse, una volta arrivati a giocare in nazionale: come ad esempio i vari Bergamasco, Zanni, Staibano e perfino Burton, che in Italia iniziò da Benevento la sua avventura. Ribadisco ancora una volta che è dal basso che si costruiscono le grandi opere e le piccole società rappresentano le fondamenta di ogni sport, in questo caso del movimento ovale italiano. Tuteliamole!

Il “caso Feltre”: uno spunto di riflessione per tutto il movimento ovaleDi Davide Macor

La struttura frammentaria dei gironi della serie C

Di Roberto Pecoraro

Il problema che ho preso in considerazione è la struttura frammentaria e non uniforme dei tanti gironi (regionali,

interregionali, meritocratici, elite e chi più ne ha più ne metta) che porta ad una fase spareggi cervellotica e veramente assurda. La proposta che rientra nel disegno di riforma di tutti i campionati nazionali, prevede una serie “C nazionale” (da chiamare in qualche maniera precisa) composta da 6-8 gironi territoriali con egual numero di squadre partecipanti. Le vincitrici dei gironi andrebbero direttamente in B senza passare per i complicatissimi e, a volte, inutili spareggi.

Risultati della proposta:

far giocare le squadre più forti e più attrezzate in un •campionato competitivo;

ridurre le spese di trasferte con la creazione di più gironi •territoriali (rispetto ai teorici 4 in cui è divisa l’Elite);

affidare alla Federazione nazionale l’organizzazione del •campionato.

Un esempio pratico: l’area 4, quella da Roma in giù per capirci, non organizza da 2 anni l’Elite per il fatto che le squadre che vi vorrebbero partecipare devono affrontare spese di trasferta pari a quelle di una squadra di B.

Se quest’area geografica venisse divisa in 2/3 gironi e si riducesse il numero di squadre per gironi, si potrebbe ottenere un taglio alle spese e un campionato molto più “prestigioso”, lasciando ai comitati regionali l’organizzazione di una serie C di “propaganda” indispensabile per il movimento. Reputo sia necessario creare dopo la serie B un’altra categoria nazionale, che includa tutte quelle squadre che partecipano all’elite (che come sapete da 2 anni non si organizza al centro sud), più le migliori delle varie C regionali. Se si creassero 6 – 8 gironi da 8 squadre si potrebbero avere dei campionati maggiormente competitivi dove poter formare e far crescere sempre un maggior numero di giovani sportivi ed appassionati.

Mi auguro che le riforme per un rugby più semplice e strutturato partano dal basso perché non esiste solo un vertice della piramide su cui lavorare.

Page 10: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Samuel James Morton ( per tutti “Sam”), nato nel 1987 a Cardiff, è alla sua terza stagione come head coach del Rugby Lido Venezia, che quest’anno partecipa al Girone 4 della Serie C CIV. Da sempre innamorato del rugby,

ha iniziato la sua esperienza di allenatore nel 2008 con gli Scottish Exiles, per poi passare al ruolo di community coach dei Cardiff Blues. Nel luglio del 2009 è arrivato a Venezia e oggi ci racconta la sua esperienza.

Cominciamo dall’inizio: da Cardiff al Lido di Venezia la strada non è breve, quindi raccontaci come sei entrato in contatto con questa società e perché hai deciso di venire

a fare questa esperienza in Italia.

E’ stata questione di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, e con un bel po’ di duro lavoro già fatto alle spalle. Stavo lavorando per un club di Cardiff quando il presidente del Lido ha chiesto al presidente del mio Club se conoscesse qualcuno interessato ad un lavoro a Venezia come head coach, è stato fatto il mio nome e come si dice… il resto è storia!

In termini rugbistici per me è stata una scelta facile: avevo solo 22 anni e mi era stato offerto il ruolo di primo allenatore di una squadra seniores di rugby; la cosa più difficile è stata accettare la sfida di imparare da zero una nuova lingua.

Per preparare questa intervista ho riletto la pagina in cui si parla di te sul sito www.rugbylidovenezia.org e una frase mi ha colpito particolarmente: “Ho subito cercato di conoscere i giocatori e di far loro capire cosa mi aspetto da ognuno di loro individualmente all’inizio della stagione. Questo è sembrato un concetto totalmente nuovo per la squadra”. E’ stato difficile passare da un ambiente professionale come quello di Cardiff, in cui tutto (o quasi) si muove intorno al rugby, ad

uno profondamente amatoriale in cui spesso lo sport è visto come un passatempo o poco più?

Arrivare da Cardiff e dall’ambiente “professionale” a cui ero abituato nella mia esperienza di allenatore non è stato così difficile come si potrebbe pensare: io mi sofrzo di comportarmi in modo professionale in qualunque situazione, quindi la cosa non ha colpito tanto me quanto forse i miei giocatori. Tra l’altro prima di iniziare ad allenare avevo giocato in una squadra di rugby amatoriale per circa 15 anni e credo che questo mi abbia aiutato a capire meglio l’ambiente in cui sono arrivato. Ho cercato comunque di introdurre alcuni elementi “professionali”, attribuendo ai giocatori responsabilità all’interno della squadra e facendo in modo che fossero loro stessi a stabilire regole e abitudini da seguire in partita e in allenamento. Credo che in questi tre anni questi accorgimenti ci abbiano consentito di creare un ambiente amatoriale ma allo stesso tempo competitivo, che aiuta la crescita individuale di ogni giocatore.

In ogni caso credo che tu ti sia trovato bene in Italia e a Venezia, visto che è la tua terza stagione qui! Quali sono le cose che ti sono piaciute di più, sia dal punto di vista sportivo che umano?

L’Italia, e Venezia in particolare, sono fantastici. Adoro la cultura e lo stile di vita che ho trovato, e tutti sono sempre stati amichevoli e disponibili con me. Dal punto di vista rugbistico, io sono un giovane allenatore che vuole con tutte le sue forze migliorare e aumentare le sue potenzialità, quindi ho sempre considerato la mia esperienza al Lido come un periodo di crescita nella mia carriera: ho imparato molto su quello che succede fuori dal campo nell’ambito di una squadra di rugby,

e ho capito di più sui punti forti e sulle debolezze del mio modo di lavorare.Sono sicuramente un allenatore migliore grazie a questa esperienza.

Parliamo del rugby in Italia un po’ più in generale: cosa pensi del livello del nostro sport in questo paese? Secondo te cosa manca all’Italia per arrivare a competere con le migliori squadre del mondo? E’ un problema di cultura troppo “giovane”, di mancanza di tecnici preparati, di strutture.. o magari di tutte queste cose insieme?

Sicuramente l’ingresso delle squadre italiane in Celtic League è stato un passo in avanti decisivo, che aiuterà la crescita di uno sport che si trova sempre a dover competere con discipline tradizionalmente più forti come il calcio, il basket e la pallavolo. Sarebbe fondamentale per il prossimo futuro prevedere anche l’ingresso di una terza franchigia in Pro 12, magari con base nel sud Italia, per fare in modo che lo sviluppo del rugby di alto livello non rimanga limitato solo al nord, dove ci sono già risorse e una tradizione più radicata.

Quello che però ancora manca, secondo me, è un deciso intervento della federazione a supporto dei settori giovanili e delle serie inferiori. Un esempio: ci sono squadre che vengono regolarmente penalizzate o retrocesse (e in alcuni casi addirittura subiscono entrambe queste “punizioni”) per non aver schierato nei rispettivi campionati le formazioni under 14 e under 16. Non sarebbe forse più utile supportare i programmi di sviluppo nelle scuole per reclutare nuovi giocatori, o fornire palloni o altri materiali per fare in modo che le società possano dare un vero servizio rivolto ai giovani delle comunità in cui si trovano? Si tratta secondo me di una buona idea, cioè stimolare lo sviluppo del settore giovanile, ma realizzata con modalità punitive e non propositive.

E a proposito del campionato in cui gioca la tua squadra, cosa pensi del livello medio? In questa stagione, per voglia o per necessità, stai facendo giocare molti ragazzi giovani: in questi anni al Lido li hai visti migliorare? Pensi di essere riuscito a trasmettere ai tuoi giocatori qualcuna delle tue competenze?

Dal mio punto di vista di giovane allenatore è stata fino a qui una stagione interessante, e per la prima volta ho dovuto integrare un gruppo di giocatori giovani e relativamente inesperti in una squadra che aveva già una sua struttura da alcune stagioni. Ho cercato di farlo creando una vera competizione tra i ragazzi per ottenere un posto da titolare, ed è stato interessante vedere come hanno reagito sia i giovani che i più esperti. Il livello generale del campionato mi ha consentito di far giocare tutti senza troppe preoccupazioni, anche se alcuni hanno sofferto un po’ del maggiore sforzo fisico richiesto in prima squadra rispetto all’under 18. In conclusione sono soddisfatto dei miglioramenti fin qui ottenuti dalla squadra, anche se i miei giocatori sicuramente ti direbbero che non sono mai contento e voglio da loro sempre di più! Staremo a vedere quanto lontano possiamo ancora arrivare tutti insieme.

intervista di Enrico Turello

From Cardiff to Venice:il ‘mestiere’ dell’allenatore in Galles e in Italia

Page 11: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Domenica 18 marzo saranno disputate le gare di semifinale di andata dei play off per determinare le formazioni ammesse agli spareggi per la promozione in Serie B

a Caltanissetta, Campo Pian Del Lago:Nissa Rugby ASD vs Ragusa Rugby Club S.Padua ASD

a Catania, Campo Cittadella Universitaria:ASD CUS Catania Rugby vs Unione Rugby Aquile del Tirreno ASD

Il ritorno è previsto per domenica 25 marzo, a campi invertiti.

SERIE C LAZIO GIRONE 1 - CLASSIFICA

VITERBO 84CIVITA CASTELLANA 71TIVOLI 65FIUMICINO 55NOTABILIA 45CORSARI 35ALL REDS 30NUOVO SABINA 29ROMA URBE 29ORIOLO 23SPARTACO 11VANTAGGIO 0

classifica aggiornata al 12 marzo 2012

Il Padua Ragusa si prepara per i play offPer la settima volta nella sua lunga e gloriosa storia il Padua Rugby Ragusa ha vinto il campionato di serie C Sicilia - girone 1.

E se nelle precedenti sei occasioni c’è stata la gioia della prima volta (1973), della promozione in B (1994 e 2000), oppure la tristezza per non essere riusciti a fare il salto di categoria, questa vittoria ha un sapore del tutto particolare: quello della programmazione.

Tre anni fa, al momento della diaspora interna a questa società, che aveva portato alla nascita del Clan Rugby Ibleo, la dirigenza paduina non si era persa d’animo (e ne avrebbe avuto motivo, considerando che gran parte dei titolari aveva fatto la scelta di imbarcarsi nella nuova avventura) e aveva messo in cantiere un progetto che nel giro di un quinquennio avrebbe dovuto portare la società a lottare per la

promozione in serie B.

La vittoria di oggi conferma la bontà del progetto e dimostra che, quando si lavora bene, si può ottenere qualunque risultato.

SERIE C SICILIA GIRONE 1 - CLASSIFICA FINALE

PADUA RUGBY RAGUSA 63

AQUILE DEL TIRRENO 47

CUS CATANIA 46

AUDAX RAGUSA 41

CATANIA 2009 35

AQUILE ENNA 11

MISTERBIANCO 9

LOGARITMO MESSINA 2

Serie C - Notizie dal territorio

Un nuovo inizio per il Rugby Guastalla 2008a cura di Nazzareno Marangon

Il Rugby Guastalla 2008, piccola società che milita nella serie C dell’Emilia Romagna, attualmente occupa la terza posizione in classifica grazie ad un campionato fin qui molto soddisfacente.

La squadra della bassa reggiana, nata nel maggio 2008, è al suo quarto campionato ma ha già ottenuto significativi risultati sportivi, anche al di fuori della regione, ad esempio vincendo nel maggio del 2011 la Spitfire Cup, organizzata e messa a disposizione dal Canterbury Rugby.

Il nucleo della squadra seniores è rimasto sostanzialmente invariato fin dal 2008: ragazzi e amici che hanno voglia di giocare e migliorare, guidati dal mister storico Gianni Baraldi, che da quest’anno può contare sul valido aiuto di Fabrizio Nolli, persona stimata nell’ambiente e grande conoscitore di rugby.

La stagione 2011/2012 in casa rossoblu è iniziata con alcune novità importanti: è stata aggregata la società femminile delle Co.Mete, che partecipa alla Coppa Italia seven, e ad ottobre è arrivata la tanto attesa concessione per il nuovo campo da gioco, ricavato all’interno dell’anello di atletica, con adiacenti palestra e piscina (all’interno della quale si svolgono i terzi tempi).

Si può quindi dire che per il Rugby Guastalla il futuro sia già iniziato: l’indipendenza ottenuta grazie al nuovo campo da gioco permetterà a tifosi ed appassionati di rimanere sempre vicini alla squadra, e alla società di continuare la costante ricerca di giovani da avvicinare al rugby.

Prime Sigma Rugby Viterbo: la stagione del riscattodi Luca Telli

Ci sono macchine che non si inceppano mai. Ci sono macchine che pure quando il motore rallenta riescono lo stesso mettere la ruota davanti agli altri. Ecco, la Prime Sigma Rugby Viterbo è una di quelle. Parlano i numeri di un campionato di C che dice zero sconfitte in 16 partite. 15 gare vinte con il bonus, mille punti e spiccioli segnati e meno di cento subiti. Roba da cannibali. Roba che neanche Eddy Merckx. Un percorso netto che quando si legge spinge gli avversari a guardare il quindici di Donato Scorzosi allo stesso modo di come una scottona osserva un treno passare. Come a dei marziani con tutine d’amianto coi riflessi argentati atterrati sulla terra, che però marziani non sono.

Ma sono ragazzi bambini con la palla ovale nel sangue, che spingono tutti insieme verso il traguardo della B nonostante gli ultimi due tristissimi anni. Due retrocessioni, la prima abolita dalla burocrazia, la seconda no. Ciao ciao campi d’erba. Benvenuti campi di terra. Duri sì, ma dannatamente romantici. Dannatamente difficili. Dannatamente rugby. Poi ad aprile ci saranno i playoff, l’avversario – il primo di tanti – si dice potrebbe essere il Paganica. Si dice, ma poi, non è che conti più di tanto.

Rugby Perugia - il punto sulla Bartondi Luana Pioppi

E’ la squadra dove trovano spazio per la maturazione i ragazzi delle giovanili e gli studenti universitari che si sono avvicinati da poco alla pratica agonistica. E’ la Barton Rugby Perugia Senior, che milita nel campionato interregionale di serie C (girone Umbria e Marche).

A due giornate dalla fine della stagione la squadra, allenata da Carlo Gagliardoni e Gianluca Mencaroni, è quarta in classifica. Una posizione che, con molta probabilità, resterà tale fino alla fine, per la grande soddisfazione del Rugby Cus Perugia.

La società biancorossa, che vanta oltre 400 iscritti suddivisi in 10 compagini, prende parte a diversi campionati: dalla serie B all’Under 16 e ai concentramenti di minirugby. Sempre con il marchio della Barton il team del presidente Federico Baldinelli ha confermato anche per quest’anno la partecipazione alla Coppa Italia di rugby a 13, inaugurata lo scorso anno e di cui la squadra perugina detiene già il titolo.

Page 12: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Il Rugby Cilento investe sui giovanidi Davide Macor

Il Cilento Rugby è una realtà che vuole investire sui giovani e per i giovani. Nell’ultimo periodo è salita agli onori della cronaca per aver dato la massima visibilità ad una Associazione come Emergency, che lavora ogni giorno condividendo gli stessi valori del rugby.

«Siamo una società piccola, ma che ha una gran voglia di emergere» dichiara Francesco Lucca, presidente del Cilento Rugby ASD, «il nostro lavoro è rivolto ai giovani, sono loro il futuro ed è su di loro che vogliamo e dobbiamo investire. I nostri corsi sono rivolti a bambini dai 5 ai 12 anni: lavoriamo assiduamente e gratuitamente nelle scuole e, se mai decideremo di creare una squadra seniores, la vogliamo fare con i ragazzi che hanno abbracciato questo progetto fin da bambini. Un percorso ambizioso, ma realizzabile».

«Il rugby è uno sport ricco di valori», continua il presidente, «caratterizzato da princìpi indissolubili come la lealtà e l’amicizia. Per questo il legame con Emergency è importante, perché in quest’Associazione un rugbista si può rivedere: non riceve aiuti dallo Stato, aiuta chi ha bisogno ed è sempre disponibile al lavoro pur di ottenere un risultato concreto».

Il Rugby Cilento c’è, Emergency pure, ora tocca davvero a tutti noi trovare un modo per sostenere questa meritevole società.

Giovanili - Notizie dal territorio

Minirugby protagonista a Città di Castello

Giada Bastianoni, accompagnatrice dell’under 10 del Asd Città di Castello Rugby e una della “anime” della società stessa, ci accompagna alla scoperta di questa realtà che vanta l’iscrizione ai campionati delle categorie Under 6, 8, 10 e 12, oltre ad Under 20 e Prima Squadra nelle così dette categorie Seniores. A Giada abbiamo chiesto come pensa che si possano incentivare i giovani ad avvicinarsi al mondo del rugby, e se a suo modo di vedere ci sono davvero ancora molti pregiudizi verso questo sport.

«Sarebbe, secondo me, molto importante lavorare in sinergia con le scuole: noi avevamo approntato un piccolo progetto lo scorso anno, ma purtroppo non è andato a buon fine. E sì, ci sono ancora molti pregiudizi legati a questo splendido sport. La maggior parte delle persone associa il rugby al contatto fisico visto solo sotto l’aspetto del farsi male, sopratutto quando si cerca di coinvolgere i bambini. Per quella che è la nostra/mia esperienza il rugby giovanile, come il rugby in generale, ha bisogno di uscire dalla nicchia in cui è stato messo in Italia: forse così più persone si renderebbero conto che il rugby non è solo contatto fisico, ma rispetto del compagno, dell’avversario e del prossimo in generale. Valori che aiutano i piccoli rugbisti a crescere sia come uomini che come sportivi».

Per quanto riguarda i “grandi” del Città di Castello, in questa stagione si stanno comportando davvero bene: in particolare l’Under 20, che ha sfiorato l’ingresso nel girone Elite, venendo fermata solamente dal Modena Rugby.

«Per il futuro spero sempre nel meglio», conclude Gaia, «per noi come per tutta la grande famiglia del Rugby!»

Il Rugby Viadana Under 14 vince e convincedi Davide Dalle Rive

Dopo aver ottenuto l’accesso nella fase a giorni, una sorta di “elite” della categoria, sono stati ben sette i giocatori giallo neri convocati al 1° Festival Under 14, un’attività di selezione volta a creare una squadra per il prossimo “Torneo delle Regioni” e per i futuri incontri internazionali. Di seguito i convocati: Bacchi Leonardo, Boroni Patrick, Dalle Rive Gionata, Domeneghini Nicholas, Gozzi Maicol, Pasetti Giona e Simoni Alessandro.

Per quanto riguarda il campionato sono stati costituiti 4 gironi, per una terza fase che si presenta competitiva e che permetterà a tutte le squadre di giocare partite di notevole livello.

Il rugby Viadana è stato inserito nel girone A con: Caimani, Botticino, Rovato, Vallecamonica, Schiantarelli Asola, Metanopoli, Brescia, Amatori Jr, Elephant Gossolengo e Oltremella.

La prima partita si terrà a Bondanello di Moglia (MN) il 17 marzo alle ore 17:00 contro i Caimani del Secchia.

Leonorso Rugby Udine: giovani promesse crescono

di Enrico Turello

La Leonorso Rugby Udine è una società che da più di vent’anni dedica tutti i suoi sforzi all’insegnamento ed alla diffusione del rugby nella provincia di Udine. A partire dalla stagione in corso la società ha deciso di iscrivere ai rispettivi campionati anche l’Under 20 e la squadra Seniores, in modo da permettere ai suoi ragazzi di fare un percorso completo, dai 6 anni in poi.

A testimoniare dell’ottimo lavoro svolto fino ad ora, oltre al numeroso e affiatato gruppo di atleti e genitori che animano ogni domenica i concentramenti e le partite, ci sono gli eccellenti traguardi raggiunti da alcuni dei ragazzi cresciuti nel vivaio della società udinese. Oltre ai già “noti” Alessandro Zanni, pedina fondamentale della Benetton e della Nazionale, e Roberto Bertetti, da alcuni anni in forza al Petrarca Padova, altri tre giovani si trovano ora ad affrontare sfide di caratura internazionale. Si tratta di Marco Lazzaroni, entrato a far parte dell’Accademia Federale di Mogliano Veneto e convocato per lo stage della Nazionale Under 17 del febbraio scorso, e Luca Scarsini e Riccardo Della Rossa, appartenenti al gruppo che sta disputando il 6 Nazioni Under 20.

«Siamo entusiasti» ha commentato Massimo Rizzi, consigliere della società udinese: «Sapere di aver contribuito alla crescita e formazione di questi ragazzi è il più grande degli stimoli a continuare nel nostro lavoro, con la speranza che siano in molti a seguire le orme di chi come loro è stato di esempio di sportività e impegno, sul campo e nella vita».

E per proseguire nel migliore dei modi questo lavoro, dalla prossima stagione la Leonorso avrà uno strumento in più a disposizione: il nuovo centro sportivo, costruito in collaborazione con l’Istituto Salesiano Bearzi, che diventerà la “casa” di tutte le squadre della società. L’inaugurazione ufficiale è prevista per il 27 maggio prossimo, quando i primi a calcare i nuovi campi saranno i ragazzi delle scuole di Udine, che daranno vita ad un avvincente torneo.

Page 13: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Tryears - rugby in Sicily è una mostra che nasce da un bisogno tanto essenziale quanto ingenuo: provare a fermare il tempo della nostra vita

per un istante, per un solo istante, giusto la frazione di uno sguardo, di un’emozione, di una rivelazione. Di uno scherzo.

Una mostra che si propone di raccontare gli anni del rugby in Sicilia per svelare attraverso il rugby chi sono e cosa non sono i siciliani, quali sono stati ieri o diventeranno negli anni a venire.

Gli anni della meta… la meta come ragione d’essere uomini, donne, bambini o comunità… la meta che ciascuno pone dove vuole, dove sa o può.

Per rimodellare quello che sarà il futuro di un popolo eternamente incagliato nel mare e nella sua gibigiana accecante…incessantemente in viaggio verso il sogno, la speranza, la disillusione e il ritorno. Si è detto che noi siciliani siamo la metafora di qualcosa che è oltre noi e che è più di noi.

Si è detto che siamo la somma di tanti che in noi siciliani sono diventati uno solo e poi centomila altre anime inquiete in giro per il mondo. Perché un siciliano è sempre un essere concluso e solitario nella sua capacità di vedere e sentire le sfumature degli altri e di nascondere dentro la propria immaginazione i suoi indicibili segreti pronti a far traballare gli equilibri della logica e delle convenzioni. Per questo forse siamo stati giganti e ciclopi, forse abbiamo costruito officine come le divinità dentro i vulcani, forse siamo stati mostri e gorghi nello stretto; forse

siamo stati Shakespeare e la Fata Morgana, Al Capone e Falcone. Sarà così… non lo sarà… che importanza ha correre dietro ai sogni e alla realtà se ciò che conta è correre sapendo dov’è la meta?

Mentre gli occhi dei fotografi vanno più veloci dei piedi di un’ala; fissano situazioni che sono più forti di un ingaggio; sono istinto e intelligenza audace più dell’apertura di un raffinato mediano; sono la speranza dell’attesa di una prova senza appello a cui nessun estremo può sottrarsi.

Ecco perché chiediamo ai fotografi di raccontare il rugby in Sicilia.

Tryears - rugby in Sicily si sviluppa in tre sezioni, ciascuna delle quali sviluppa il suo percorso narrativo a partire da temi guida che rappresentano i criteri di selezione dei contenuti:

We were: il passato, la tradizione, le regole, l’evoluzione, la rivoluzione•

We are: la realtà, i campi da gioco, le partite, i club •

We’ll be: il minirugby, i genitori, il sociale, le scuole, gli educatori•

Web view•

Ogni sezione è introdotta da testi di commento a questi momenti scritti da non siciliani, blogger esperti in settori correlati (il passato, il presente, il futuro del rugby) che, ciascuno da una prospettiva diversa, “scrivono dei siciliani” liberamente e in modo volutamente paradossale.

Le loro riflessioni saranno lo specchio di come la Sicilia del rugby viene percepita da fuori, dal mondo connesso.

La chiave che fungerà da metro di paragone in positivo o in negativo di ciò che le fotografie racconteranno.

Al visitatore trovare i significati e tirare le conclusioni

TrYears - rugby in Sicily photosTaormina - Palazzo Duchi Di Santo Stefano4 - 27 maggio 2012

a cura del Comitato Regionale Siciliano della Federazione Italiana Rugby

con il patrocinio della Fondazione Mazzullo e del Comune di Taormina

media partner: www.nprugby.it; www.minirugby.it

TRYEARS - Rugby in Sicily photos

Il Rugby conquista la Triennale di Milano grazie a OpenPer la prima volta lo sport entra alla Triennale di Milano e lo fa grazie al Rugby!

Luca Tramontin e Gianluca Veneziano (http://vfopen.vodafone.it/evento/410) hanno fatto della loro grande professionalità in materia ovale, della loro gran conoscenza in campo rugbistico, un progetto per spiegare questo sport a tutti, anche quelli che non l’hanno mai provato in prima persona.

Guardare una partita di rugby può essere un’esperienza umoristica e cerebrale. Luca e Gianluca, i telecronisti italiani con il pallino della semplificazione, offriranno un commento personalizzato per gli ospiti che arriveranno giustamente scettici e usciranno definitivamente contagiati. Si proverà a far conoscere questo fantastico sport, attraverso le regole di base, la logica del gioco, lo spirito che lo caratterizza, il regolamento che ne sancisce i ritmi, la fisicità che contraddistingue i ruoli.

Tutti i partecipanti torneranno a casa un’altra idea del rugby, con un numero sulla schiena che rappresenterà a 360° l’essere un rugbista.

Page 14: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

“Così tu pensi di saper distinguere il Paradiso dall’Inferno,i cieli azzurri dal dolore.”Pink Floyd, Wish You Were Here

In Paradiso i pali delle porte da rugby sono infiniti. Non “prolungati idealmente all’infinito” come recita, con insolita poesia, il regolamento del gioco.

Sono proprio di lunghezza infinita. Farebbero la gioia del matematico greco Euclide, se solo potesse vederli. Due semirette bianche, lucide, perfettamente parallele.

Isaac Newton, che invece ha potuto ammirare quei pali da vicino, si è domandato più volte come quell’esile e allo stesso tempo immensa struttura non crollasse, vinta dal proprio peso. Ma l’esimio scienziato ha dovuto ammettere che le leggi della fisica della Terra sono diverse da quelle del Paradiso.

Non sempre, però. Ad esempio ci fu quella volta in cui, spinto da alcuni connazionali inglesi che in vita erano stati giocatori di rugby più o meno famosi, decise di scendere in campo per una partitella tra amici. Entra subito nel vivo del gioco anche se, nella posizione di tre quarti ala in cui è schierato, non vede giungere molti palloni dalle sue parti.

Poi un attacco avversario. L’ala di fronte a lui, un irlandese, lo punta, si dirige dritto verso di lui, poi all’ultimo momento, con un’abile finta, cambia direzione ed evita il placcaggio. Il povero Newton, disorientato da quella repentina accelerazione, perde l’equilibrio e cade pesantemente a terra.

Gli ci vuole poco per rendersi conto che le leggi del moto che hanno regolato la sua caduta su quel campo del Paradiso sono identiche a quelle che lui stesso aveva descritto e codificato molti anni prima sulla Terra.

A parte i pali, i campi da rugby del Paradiso sono identici a quelli della Terra. Ma non ci sono spalti. Né curve né tribune.

I vecchi allenatori amano posizionarsi ai bordi del campo per rivivere l’emozione di dare indicazioni e suggerimenti ai giocatori in campo.

I vecchi tifosi amano librarsi a mezz’aria per poter osservare da vicino le gesta dei propri beniamini.

“I piloni hanno il posto garantito in Paradiso”, recita un saggio proverbio. Ed è vero. Tanti piloni si sono guadagnati il posto in Paradiso per la fatica, per lo spirito di sacrificio. Sempre allo scontro, sempre a contatto con l’avversario per guadagnare pochi preziosissimi centimetri e per garantire l’avanzamento e il possesso della palla alla propria squadra. Generosi in campo, generosi fuori dal campo.

Ma in Paradiso ci sono anche tante seconde linee, terze linee, tre quarti.Fra questi c’è un giovane neozelandese, un tre quarti centro. Robert George

Deans, detto Bob.La sua vita terrena è stata molto breve. Bob faceva parte della leggendaria spedizione che nel 1905 partì dalla Nuova

Zelanda per raggiungere le Isole Britanniche. Il rugby di due mondi a confronto. Quaranta giorni su una nave passati a giocare a carte e ad allenarsi, immaginando il momento dello sbarco nella terra dei propri avi. La Nazionale Neozelandese, che in quella tournée si guadagnò il soprannome di All Blacks, si mostrò nettamente superiore a tutti gli avversari: un gioco dinamico e innovativo, una capacità organizzativa mai vista. Le squadre che li fronteggiavano si ritrovavano quasi sempre a contare alla fine della partita passivi molto pesanti. Nelle trentacinque partite disputate totalizzò quasi mille punti subendone poco più di cinquanta. Dominio assoluto. Gli All Blacks stravinsero, tra lo stupore generale, tutti gli incontri. Tranne uno. Quello con la maggiore potenza britannica dell’epoca: la Nazionale del Galles.

Una partita straordinaria. Il Galles, a metà del primo tempo, segna una meta con Teddy Morgan. Tre a zero, in base ai punteggi in vigore all’epoca. I Neozelandesi non riescono a esprimere il loro rugby migliore, sia per la giornata di scarsa vena di alcuni giocatori sia per l’atteggiamento dell’arbitro, lo scozzese John Deaver Dallas, fortemente penalizzante nei confronti del loro gioco.

Ma nel secondo tempo, dopo varie occasioni mancate da entrambe le squadre, i Neozelandesi hanno la possibilità di pareggiare. Bob Deans riceve l’ovale. È lì, vicinissimo alla fatidica linea bianca. Si tuffa. Viene bloccato. Con uno scatto di reni riesce a guadagnare quei pochi centimetri che gli permettono di schiacciare l’ovale appena oltre la linea. Esulta. È meta!

Anzi, no. L’arbitro, lontano dall’azione, accorre sul posto e sancisce che il pallone non ha varcato la linea. Bob, disperato, sostiene di essere stato trascinato indietro da un giocatore gallese dopo aver segnato la meta. Tutto inutile. L’arbitro non cambia decisione. Il punteggio resta tre a zero e Galles – Nuova Zelanda del 1905 resta nella storia come la più intensa e controversa partita di rugby mai giocata.

Bob Deans disputò le restanti partite della tournée. Poi tornò con la squadra in Nuova Zelanda. Ma in mente continuò ad avere sempre quella maledetta meta contro il Galles.

Pochi anni dopo, un’operazione di appendicite. Routine, normalità. Ma qualcosa va storto. La malattia. La consapevolezza che la vita si sta spegnendo. A soli ventiquattro anni. Sul letto di morte la mente si affolla dei ricordi di una vita breve e intensa. Bob, solo ossa e sudore, raccoglie le poche forze rimaste. Guarda le persone intorno a lui, venute lì per l’estremo saluto. Sorride. «Io ho segnato quella meta», riesce a dire con un filo di voce. Poi chiude gli occhi.

Li riapre subito dopo. Lentamente. Colpito da una luce non accecante ma strana, non familiare. I sensi si risvegliano, poco alla volta. Si rende conto di non essere nella posizione supina del letto di morte ma di trovarsi a pancia sotto. Sente sotto di sé qualcosa opprimergli il petto. Comincia a tastare quell’oggetto con le mani. Gli ci vuole davvero poco per capire di che cosa si tratti. Un pallone da rugby. Sente anche il piacevole tocco dell’erba umida sugli stinchi e sugli avambracci.

Un campo da rugby. Poi, un suono. Il silenzio assoluto squarciato da un suono. Quello, inconfondibile, di un fischietto. Bob solleva lentamente lo sguardo e vede quell’uomo accanto a sé, con il fischietto in bocca e il braccio alzato. «Bella meta, Mr. Deans», gli dice l’uomo con un largo sorriso.

Bob si rialza e si guarda intorno. L’area di meta. Ma lì vicino nessun giocatore. Nemmeno spettatori. Solo lui e l’arbitro. Che gli ha appena confermato che lui quella meta, quella famosa meta l’ha segnata. Capisce che quel campo da rugby sarà la sua nuova, piacevolissima casa.

Stringe la mano all’arbitro. «Grazie del complimento».

Rugby in Paradisodi Andrea Pelliccia

Page 15: Up for it e NPR - 17 marzo 2012

Mette il pallone sotto il braccio e comincia una corsa blanda verso il centro del campo, mentre una lacrima di commozione gli scende lungo il viso.

All’epoca in cui arrivò Bob Deans non c’erano molti rugbisti in Paradiso. Il gioco era nato solo da poche decine di anni. Molti giocatori arrivarono soprattutto durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Il coraggio e la tenacia mostrati sui campi da rugby diventavano valore sui campi di battaglia. Per terra, per mare, per cielo. Soldati francesi, marinai italiani, piloti britannici.

Fra questi addirittura un principe. Russo. Alexander Obolensky il suo nome. Un principe russo che gioca a rugby? E che poi finisce anche in Paradiso? La bellezza e l’universalità del rugby contemplano anche questo.

Seconda metà degli Anni Trenta. Gli studi svolti in Inghilterra, la nascita della passione per il rugby. La piacevole scoperta di possedere doti eccezionali come tre quarti ala. Le belle partite disputate con la selezione dell’Università di Oxford gli fecero guadagnare, a vent’anni non ancora compiuti e da cittadino non britannico, un’inopinata convocazione per la Nazionale Inglese.

L’impegno era proibitivo. Gli All Blacks erano in tournée nelle Isole Britanniche e avevano perso pochi giorni prima di un solo punto contro il Galles. L’esordio di Alexander sarebbe stato proprio contro i Neozelandesi, fino ad allora mai battuti dagli Inglesi. Succede l’incredibile. Alexander porta a termine nel primo tempo due azioni da manuale. Attraversa indisturbato la metà campo neozelandese, supera gli avversari sconcertati e segna due mete straordinarie, ancora oggi considerate fra le più belle mai realizzate dalla Nazionale Inglese. Punteggio alla fine del primo tempo: sei a zero per gli Inglesi. Nel secondo tempo ci si aspetta una reazione furiosa degli All Blacks. Punteggio finale: tredici a zero. Un trionfo.

Pochi mesi dopo Alexander divenne cittadino britannico. Disputò altre tre partite ufficiali con l’Inghilterra. Poi nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si arruolò nella Royal Air Force, l’Aeronautica Militare Britannica. Immaginava di poter schivare gli attacchi degli aerei nemici con la stessa facilità con cui evita i placcaggi degli avversari.

Marzo 1940, ventiquattro anni appena compiuti, un volo di esercitazione. L’atterraggio al campo di volo di Martlesham Heath, vicino Ipswich. Le ruote dell’aeroplano si incastrano in una buca sulla pista. Le cinture si sganciano per il contraccolpo, Alexander è sbalzato fuori dall’abitacolo. Un volo di alcuni metri, l’impatto violentissimo con il suolo, una mano che lo afferra. Spalanca gli occhi. Davanti a lui John Mulligan, compagno di squadra e di studi ai tempi di Oxford.

«Tutto bene, Alexander? Un po’ irruente il placcaggio di quel pilone scozzese. Ce la fai a stare in piedi?». «Sì, credo di sì», balbetta Alexander. È scosso, disorientato. Si guarda intorno. È in piedi su un prato verde, ma non è quello di Martlesham Heath. È su un campo da rugby. Lo capisce dalle linee, lo capisce dalla porta a forma di acca dei cui pali, stranamente, non riesce a vedere la fine.

Ai bordi del campo non ci sono né spalti né spettatori. Ci sono allineati alcuni aerei da combattimento. Tra questi riconosce il suo Hawker Hurricane. È intatto. Nessun graffio, nessuna ammaccatura. Come se non fosse mai decollato. Come se la guerra non ci fosse mai stata. Né quella né tutte le altre prima di quella. Anche il suo corpo è miracolosamente intatto. Ha indosso un completino bianco, quello della Nazionale Inglese. Ad alcuni metri di distanza, all’interno del campo, una mischia aperta, giocatori che si contendono l’ovale. Sorride e corre verso di loro.

Il mediano di mischia sta per far uscire il pallone. Alexander va a schierarsi nella propria posizione, quella di ala destra.

«Forza, signori», grida, «facciamo uscire quel pallone e giochiamolo fino in fondo!».

In Paradiso c’è molto interesse per le vicende terrene. Il rugby giocato sui campi della Terra viene seguito con passione anche dall’alto.

Particolare fermento nel periodo in cui si disputano i Mondiali e il Sei Nazioni. Fra gli appassionati addirittura qualche Santo. San Patrizio, ad esempio, il Patrono d’Irlanda.

Sta per iniziare una partita. San Patrizio si rivolge a un giovane ragazzo italiano.

«Oggi giocate nel Sei Nazioni contro la Francia».«Sì, proprio così», gli risponde il ragazzo imbarazzato. È timido e non gli

capita certo tutti i giorni di dialogare con un Santo.«È da molto tempo che non battete la Francia, vero?», chiede San Patrizio.Un velo di malinconia sembra posarsi sul volto del ragazzo. «In tanti anni di

sfide li abbiamo battuti una volta sola, quattordici anni fa a Grenoble», risponde. «Quel giorno io c’ero», prosegue orgoglioso, «e ho segnato anche una meta».

«Mio caro Ivan Francescato, ricordo bene quella partita e ricordo anche che pochi mesi prima avevate battuto la mia Irlanda a Dublino».

Il ragazzo ha imparato che in Paradiso non ci si deve meravigliare di nulla, soprattutto quando a parlare con te è un Santo. Quindi decide di non chiedere al Santo come faccia a conoscere il suo nome e come mai sia così preparato sul rugby.

San Patrizio prosegue. «So che voi Italiani tenete molto a questa partita. Che ne pensi di seguirla insieme? Magari oggi succederà qualcosa di buono», conclude strizzando l’occhio.

«Con vero piacere», risponde Ivan.Si sistemano su una delle poche nuvole presenti sul cielo azzurro dello Stadio

Flaminio. La partita è appena iniziata. Mirco Bergamasco sta per battere un calcio piazzato. Se il pallone centra i pali sono i primi tre punti per l’Italia.

A Lorenzo Sebastiani, bravo e generoso. Come tutti i piloni.

Pubblicato per gentile concessione dell’autore e di Absolutely Free Editore.

Andrea Pelliccia è l’autore di “Up & Under - racconti di rugby” (216 pagine, Absolutely Free Editore), tentativo (riuscito e molto fortunato, viste le recensioni e le vendite) di coniugare rugby, rock e narrativa.

Andrea cura su NPR la rubrica “Silver & Old”, che si occupa dell’attività degli old e del rugby giocato prima dell’avvento del professionismo.

www.nprugby.it/category/silver-and-old/

Page 16: Up for it e NPR - 17 marzo 2012