Uno stile cristiano di vita Pina Cannas · ché don Franco stava comincian-do a mettere il semino...

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S iamo cinque figli, tre maschi e due femmine, entrambe numerarie ausi- liari. Prima ha chiesto l’ammis- sione all’Opus Dei mia sorella, poi io. Il mio paese è Terralba, provincia di Oristano, non lonta- no dal mare. Mia madre invece proviene da un paesino di monta- gna, e ogni fine settimana da bambini andavamo tutti insieme a trovare i nonni, stipati in una Fiat 850. Mio nonno era pastore, e a noi bambini piaceva molto andare in questa fattoria piena di animali, con greggi di pecore, il pagliaio dove cercavamo le uova. Ho bei ricordi dell’infanzia per- ché siamo stati sempre una fami- glia molto unita. Si facevano molte gite per la Sardegna con i parenti – si formava una colonna di quattro-cinque macchine – e, grazie ai miei genitori, ho cono- sciuto bene la Sardegna. La prima volta che ho messo piede in un centro dell’Opera è stato nel 1980, per un corso esti- vo di orientamento che si faceva per le allieve della Scuola alber- ghiera Samara a Milano. Ci andai non perché mi interessasse parti- colarmente quel tipo di lavoro, ma perché avevo l’opportunità di viaggiare, conoscere persone, sentire un senso di libertà. A casa mio padre era molto rigido per le uscite: tramontava il sole e dove- vo tramontare anch’io. Mentre tornavo a casa vedevo gli altri uscire. Volevo andare in discote- ca ma mi veniva risposto che ero troppo giovane. Così a volte ci andavo di nascosto. L’unica volta che mio padre mi ha dato il per- messo fu quando venne in paese un cantante che allora andava molto, Alberto Camerini. Due amici miei vennero a casa per invitarmi e mio padre non disse niente. Miracolo! pensai. Quella fu la prima e ultima volta che andai in discoteca rilassata. Erano le vacanze natalizie, finite le quali tornai al Samara. Mi volevano mandare via Mancavano cinque mesi alla fine della scuola, a maggio avrei fatto gli esami. Avevo conosciuto alcuni ragazzi e uno di questi venne a trovarmi a Milano, ma per motivi di opportunità non lo fecero entrare. Mi arrabbiai tan- tissimo, ricordo che chiamai casa per sfogarmi pensando di trovare solamente mia madre e invece il Signore volle che mio padre fosse a casa con l’influenza e mi Uno stile cristiano di vita Pina Cannas Chi è la numeraria ausiliare La maggior parte dei fedeli della Prelatura dell'Opus Dei è costituita dai membri sopran- numerari: si tratta per lo più di persone sposate, donne o uomini, per i quali la santifi- cazione dei doveri familiari e del lavoro professionale costi- tuisce parte fondamentale della propria vita cristiana. Il restante dei fedeli della Prelatura, numerari e aggre- gati, si impegnano a vivere il celibato per motivi apostolici. Fra le donne, alcune, ed in particolare le numerarie ausil- iari, si dedicano professional- mente alle attività domestiche nei Centri della Prelatura per favorire lo stile familiare tipico dell'Opus Dei. Spesso eserci- tano attività docenti nelle scuole alberghiere promosse dalla Prelatura dell'Opus Dei. Pina Cannas è una nume- raria ausiliare. Davanti alla Fiat 850

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Siamo cinque figli, tremaschi e due femmine,entrambe numerarie ausi-

liari. Prima ha chiesto l’ammis-sione all’Opus Dei mia sorella,poi io. Il mio paese è Terralba,provincia di Oristano, non lonta-no dal mare. Mia madre inveceproviene da un paesino di monta-gna, e ogni fine settimana dabambini andavamo tutti insiemea trovare i nonni, stipati in unaFiat 850. Mio nonno era pastore,e a noi bambini piaceva moltoandare in questa fattoria piena dianimali, con greggi di pecore, ilpagliaio dove cercavamo le uova.Ho bei ricordi dell’infanzia per-ché siamo stati sempre una fami-glia molto unita. Si facevanomolte gite per la Sardegna con iparenti – si formava una colonnadi quattro-cinque macchine – e,grazie ai miei genitori, ho cono-sciuto bene la Sardegna.

La prima volta che ho messopiede in un centro dell’Opera èstato nel 1980, per un corso esti-vo di orientamento che si facevaper le allieve della Scuola alber-ghiera Samara a Milano. Ci andainon perché mi interessasse parti-colarmente quel tipo di lavoro,ma perché avevo l’opportunità diviaggiare, conoscere persone,

sentire un senso di libertà. A casamio padre era molto rigido per leuscite: tramontava il sole e dove-vo tramontare anch’io. Mentretornavo a casa vedevo gli altriuscire. Volevo andare in discote-ca ma mi veniva risposto che erotroppo giovane. Così a volte ciandavo di nascosto. L’unica voltache mio padre mi ha dato il per-messo fu quando venne in paeseun cantante che allora andavamolto, Alberto Camerini. Dueamici miei vennero a casa perinvitarmi e mio padre non disseniente. Miracolo! – pensai.Quella fu la prima e ultima voltache andai in discoteca rilassata.Erano le vacanze natalizie, finitele quali tornai al Samara.

Mi volevano mandare via

Mancavano cinque mesi allafine della scuola, a maggio avreifatto gli esami. Avevo conosciutoalcuni ragazzi e uno di questivenne a trovarmi a Milano, maper motivi di opportunità non lofecero entrare. Mi arrabbiai tan-tissimo, ricordo che chiamai casaper sfogarmi pensando di trovaresolamente mia madre e invece ilSignore volle che mio padrefosse a casa con l’influenza e mi

Uno stile cristiano di vitaPina Cannas

Chi è la numeraria ausiliare

La maggior parte dei fedelidella Prelatura dell'Opus Dei ècostituita dai membri sopran-numerari: si tratta per lo piùdi persone sposate, donne ouomini, per i quali la santifi-cazione dei doveri familiari edel lavoro professionale costi-tuisce parte fondamentaledella propria vita cristiana. Il restante dei fedeli dellaPrelatura, numerari e aggre-gati, si impegnano a vivere ilcelibato per motivi apostolici.Fra le donne, alcune, ed inparticolare le numerarie ausil-iari, si dedicano professional-mente alle attività domestichenei Centri della Prelatura perfavorire lo stile familiare tipicodell'Opus Dei. Spesso eserci-tano attività docenti nellescuole alberghiere promossedalla Prelatura dell'Opus Dei.Pina Cannas è una nume-raria ausiliare.

Davanti alla Fiat 850

chiese: «che succede?». Feci unabellissima chiacchierata-sfogocon lui, che mi diede tantissimiconsigli, e, a un certo punto, midisse – lui che non era certo vici-no ai sacramenti: «perché non vaia sfogarti con don Franco, vedraiche ti saprà consigliare con la suaesperienza». Io non volevo, per-ché don Franco stava comincian-do a mettere il semino della voca-zione. «Ma vedrai, don Franco sale persone che hanno vocazione».

Nel frattempo la direttriceaveva chiamato mio padre dicen-do che non mi sopportavano più emi avrebbero rimandato inSardegna. Si era creato unambiente non buono a causa dialcune ragazze.

Mio padre, che aveva ricevutoi due sfoghi – quello mio e quellodella direttrice – le chiese di averepazienza ancora fino alla fine delmese: se non cambiavo potevarimandarmi indietro.

Mi chiedevo cosa non andassebene in me: certo, non partecipa-vo ai momenti di vita insieme,facevo solo finta di seguire le atti-vità formative di tipo religioso ma

non mi sentivo tanto cattiva.Quelle ragazze se ne andaro-no e cominciai a stare piùtranquilla, e ad aprile in resi-denza si cominciò a parlaredel viaggio a Roma per parte-cipare al convegno Univ, unincontro internazionale distudenti con udienza dal

papa. C’ero già stata l’anno pre-cedente e mi era rimasta impressala figura di Giovanni Paolo II,tant’è che cominciai a pregare perlui (nel frattempo c’era statoanche l’attentato). In quel tempoce l’avevo con tutti, però mi rima-

neva una devozione per sanJosemaría: non potevo vedere lepersone dell’Opus Dei, ma luinon si toccava. E sentii crescerein me il desiderio di andare aRoma, a vedere il papa.

Anche a Roma feci la ribelle,mi si accennava alla vocazionema io non la sentivo proprio den-tro di me. Per questo dico che, senon hai dentro una vocazione,nessuno dall’esterno può influen-zarti: è una cosa impossibile.Durante quei giorni andai a parla-re con un sacerdote da molti anninell’Opera e che adesso è in cielo.Mi sfogai tantissimo con lui, chepure non conoscevo, e ricordoche gli gridai nel confessionale«Ma io non voglio esseredell’Opera!» e lui mi tranquiliz-zava, calmissimo. Più mi agitavo,più lui era calmo. «Ma nessuno tichiede niente, magari il Signorevuole altro da te: che so, diventa-re carmelitana scalza…» E io:«Nooo!».

Un ritiro spirituale decisivo

Tra aprile e maggio c’era inprogramma un corso di ritiro e ionon volevo andarci. Ne parlaicon una mia compagna di scuola.Lei mi disse: «Ma sì, ci vado, èl’ultimo ritiro che faccio in vitamia, poi me ne torno a casa e chile vedrà più queste persone…», edecisi di partecipare. Tornai con-tentissima, e sono convinta che èintervenuta la Madonna con lasua intercessione, perché da allo-ra non ho avuto più tranquillità:non mangiavo, non dormivo, nonmi divertivo più a fare la scemacon le altre – «perché ridono perogni cretinaggine?» pensavo. Fuil mio periodo di travaglio, e

Mio nonno era pastore,e a noi bambini piacevamolto andare in quellafattoria con le pecore e il pagliaio dove cercavamo le uova

In alto, sono con un amichettod’infanzia, all’età di 3 anni.Qui sopra, io tra mio fratelloRoberto e mia sorella Ausi.

capivo che era il Signore che melo chiedeva, non erano né ladirettrice, né il sacerdote, né altri.Nessuno poteva convincermi dal-l’esterno. Furono bei momenti,perché ci fu l’incontro con Gesùa livello personale, una cosameravigliosa che non si può spie-gare. E ricordo che chiedevo allaMadonna: «o chiedo l’ammissio-ne nel mese di maggio (mesemariano), altrimenti niente».Perché sentivo anche il desideriodi sposarmi, divertirmi, e nel-l’immediato fare delle bellevacanze al mare, la discoteca, iragazzi… E concludevo: «Gesù,ti dico di no, basta». E allo stessotempo: «Madonnina, il mese dimaggio sta per finire, dammi unarisposta».

«Basta, ho deciso: Ti dico di sì»

Arrivò il 20 di maggio, miamadre mi chiamò per ricordarmiche era il compleanno di miopadre e mi disse: «Figlia mia, mihanno detto che sei cambiata,sono contenta!» e si mise a pian-gere. Anche a me veniva da pian-gere, ho attaccato il telefono esono entrata in oratorio. «BastaGesù, ho capito. Ti dico di sì,basta». Quand’è così non si puòresistere, non si può. Mi ricordoche, appena detto di sì, ho sentitodentro di me una pace così gran-de, ma così grande che non è pos-sibile spiegare, e che non cambie-rei con nessuna cosa al mondo.Un altro pensiero che mi aiutavaera questo: «Dio mi chiede diessere tutta sua, però a me piac-ciono anche i ragazzi: chi migarantisce che Dio dà la felicità?Beh, Dio è onnipotente, sa tutto,quindi mi fido più di Dio che di

un ragazzo, perché lui, bene omale, delude sempre».

Decisi così di fidarmi di Dio equest’atteggiamento ce l’ho anco-ra dentro, nelle situazioni difficiliin cui mi trovo – perché la vitanon è certo tutta rose e fiori – mirivolgo al Signore dicendogliche mi fido di Lui, perché soche Lui mi ha chiamato, hascelto una via precisa per mesapendo tutti i miei difetti.Così in tante occasioni dico:«Signore, mi fido di te. Sonodentro un tunnel ma so che tumi toglierai di qui». E nellamisura in cui dico «non socosa fare, non ho forze, nonso a chi rivolgermi se non ate» ricevo subito una luce. Ioquesto lo griderei, perché èproprio così.

La vita vissuta così è una cosameravigliosa, che non cambiereicon nulla al mondo, anche se mispaccassero la testa. La tranquil-lità e serenità che si ricevonosono qualcosa di non umano, per-ché Dio può fare quello che glipare e piace, e se chiama qualcu-no non lo abbandona mai.

A 14 anni ero propriouna capretta - così

affettuosamente michiamava anche una

tutor - ma mi colpìmolto sentire che Diosta dappertutto e ci sipuò santificare anche

nel divertimento, nellostare con le persone

cui voglio bene

Nel giardino del centro convegni di Castelromano,

nel maggio 1988

L’Opus Dei e i miei genitori

Quando comunicai a casa que-sta mia decisione mio padre eraun po’ preoccupato. «Non tipreoccupare papà, che forse non èsicuro» cercai di minimizzare, malui mi guardò bene negli occhi emi disse: «No. Una volta presauna decisione non si deve tornareindietro». Questa sua frase mi èservita per sempre. Sicuramente imiei genitori hanno sentito ildistacco, anche perché io ero laseconda figlia che se ne andava.Per mia madre era un gran dispia-cere che non ci sposassimo. Peròsi sono resi conto che in realtànon hanno perso due figlie, mahanno guadagnato tantissimo,perché per loro tutte le personedell’Opera sono come figlie.

Hanno poi avuto la fortuna diessere ricevuti due volte da donAlvaro Del Portillo – quando eraprelato dell’Opus Dei – la primavolta con tutta la famiglia nel

venticinquesimo anniversariodel loro matrimonio. Lì hannopotuto constatare che effetti-vamente l’Opera è una fami-glia e che il Prelato è veramen-te un padre e non lo si chiama“Padre” per formalità. Questacosa la commentò proprio miopadre, e proseguì: «ma se ilPadre attuale è così, chissàcome sarà stato l’altro» (rife-rendosi a san Josemaría).Anche i miei fratelli, cheerano un po’ agguerriti, perchéper loro l’Opus Dei aveva la

colpa di aver portato via le sorel-le, si resero conto. E uno di loro,da sempre molto affezionato ame, si è sciolto davanti alla figuradi don Alvaro. Hanno capito chese non andiamo a casa così spes-so come vorrebbero è perché

abbiamo una famiglia sulle spal-le, non perché non ci va o perchénon ci fanno andare. Mia madrein fondo fece lo stesso: non hamai lasciato mio padre o i figliper andare al paese dei suoi geni-tori. O andavamo tutti insieme oniente. Così io torno ogni tanto acasa ma non partecipo a tutti glianniversari, altrimenti sarei sem-pre lì. E ho una famiglia – l’OpusDei – che richiede la mia presen-za. Ai miei genitori voglio unsacco di bene, e più passa iltempo, maggiore è questo amore.Starei più tempo con loro, macapita che non posso andare, eallora dico: «Signore, io sto quiper te, tu stai lì con loro, e daglipace e serenità».

Un sì ripetuto ogni giorno

La libertà è una cosa moltointeriore. Dall’esterno ti possonoanche bombardare ma è all’inter-no che puoi aprire la famosaporta. Non ricordo quale autorediceva che, se non apri tu dall’in-terno la porta, nessuno può farlodall’esterno. Più passano gli anni,più profondo deve essere il mododi esercitare questa libertà.Perché non è scontato che unadica di sì una volta e automatica-mente vada avanti. Io ogni giornomi rendo conto che devo dire di sìin tante piccole cose, a tante pic-cole richieste. Ed è a Dio che dicodi sì, non alla direttrice. Questoaiuta ad essere veramente liberi.Non so spiegarlo meglio, peròquando sento dire «Sono statacostretta» o «non ho la libertà»dico «Scusami, vai all’essenziale:tu perché stai qua? Perché haidetto di sì?». Io voglio vivere lospirito dell’Opus Dei perché sta lìla mià libertà, sta lì la mia gioia,

Non è la stessa cosamettere la forchettasotto il piatto oleggermente spostata,così come il modo dipiegare un tovagliolo.Sono cose di cui magari non ci sirende conto, ma io soche quel dettaglio ècurato apposta perchi riceve quel servizio

Mons. Álvaro del Portillo, prelato dell’Opus Dei

sta lì il senso della mia vita. Nonavrebbe senso stare nell’Opus Deia spintoni. Se così fosse me neandrei a godermi la vita da un’al-tra parte.

A volte prendo in giro alcunepersone che dovrebbero decidersie non lo fanno, per tanti motivi,dicendo loro scherzosamente:«Guarda, io sono tanto più fortu-nata di te, perché se proprio nonne posso più di stare in un Centroposso chiedere con grande libertàil favore di mandarmi da un’altraparte. Tu una volta che ti sposi ilmarito te lo tieni, la suocera te latieni e i figli certamente non libutterai dalla finestra». E la cosafinisce con una risata.

Insieme a Dio nelle cose che amo

A 14 anni ero proprio unacapretta – così affettuosamentemi chiamava anche una tutor –ma mi colpì molto sentire che ci

si poteva santificare nel lavoroprofessionale, che si potesse tro-vare Dio nelle situazioni quotidia-ne. Mi si aprirono orizzontinuovi, pensai alle cose che dasempre amavo e sognavo fare: iviaggi, le navi, le crociere, lamusica, il canto, il mare. Dio stadappertutto e ci si può santificareanche nel divertimento, nellostare con le persone cui vogliobene, nel fare una gita. ConDio non ci sono limiti. Questascoperta mi ha fatto sentirecome se fossi salita su unamontagna, a vedere un panora-ma sconosciuto.

Ho sempre lavorato nel set-tore alberghiero. Gli studi cheho fatto nella mia vita li homessi a disposizione delle atti-vità dell’Opus Dei, per dareformazione alle altre, perprendermi cura delle personeattraverso il lavoro materiale. Cisono vari modi di prendersi cura

Mi aiuta tantissimopensare a mia madre,ho sempre presente il

suo senso di donazionenel preparare bene unpranzo, con la fettina

cotta al momento perché sia mangiata

ben calda, col pensieroal piatto preferito

di ciascuno

Agosto 2007. Con Benedetto XVI

a Castelgandolfo

frase significativafrase significativa

delle persone: mostrando loroaffetto, servendole, stando lorovicino quando sono tese e preoc-cupate, partecipando alle lorogioie.

Il mio lavoro specifico è sem-pre stato nei servizi di sala e bar,e ho sempre cercato di farlo conaffetto, che si può dimostrareanche nel modo di porgere un

piatto: lo si può fare con ilmuso, senza badare alla perso-na, oppure guardando negliocchi, cercando di capire se ècontento del servizio.

A volte le persone non levedo, e allora l’affetto si puòimpiegare nel preparare unafruttiera, in modo che sia siste-mata in modo gradevole allavista, con quel dettaglio giu-sto, la ciliegina, le fogliemesse in un certo modo…oppure la tavola con le stovi-

glie: non è la stessa cosa metterela forchetta sotto il piatto o leg-germente spostata, così come il

modo di piegareun tovagliolo.

Sono cose di cuimagari non ci sirende conto, ma ioso che quel detta-glio è curato appo-sta per chi ricevequel lavoro. È unvalore aggiuntoche nessuno michiede di fare mache io mi esigo perfare contenti glialtri, un insieme dipiccole cose nasco-ste che nessunovede, ma che quan-do mancano, ce nesi accorge.

L’esempio di mia madre

Mi aiuta tantissimo pensare amia madre, non quando eravamopiccoli, ma adesso che mi rendosempre più conto del valoredella mia vocazione di numera-ria ausiliare. Mai l’ho sentitalamentarsi per le cose da fareogni giorno, tutti i giorni, nelservizio del marito e dei figli. Eho sempre presente il suo sensodi donazione nel preparare beneun pranzo, con un’attenta prepa-razione, con la fettina cotta almomento perché sia mangiataben calda, col pensiero al piattopreferito di ciascuno.

Inoltre mi aiuta l’esempio dichi sa dire di sì fino all’ultimo det-taglio, quando si è stanchi e maga-ri c’è da preparare un vassoiettocon una camomilla per qualcunoche sta male. Sono momenti in cuiserve un pensiero soprannaturale,perché umanamente la vogliasarebbe a zero. «Gesù, voglio pre-

Io sono contenta quando so che Dio ècontento. Questa cosala sto approfondendocon il passare deglianni, quando nasce ilpericolo di accontentarsi di unavita piatta. San Josemaría dicevache dobbiamo essere“innamorati perenni”.

Ricordo che quando chiesil'ammissione all'Opus Deiespressi al Signore un miogrande desiderio: «Vorrei tantovivere vicino al Papa e alPadre». Il Signore mi ha dato lagrazia di avere molte occasionidi stare vicino a Giovanni PaoloII, di parlargli personalmente,di dirgli molte volte che glivolevo bene

parare questacamomilla per te»,oppure «Questovassoietto me l’hachiesto la Madon-na» e così ci mettoquell’ingredientein più di affetto. Lapersona che ricevela camomilla nonverrà mai a saper-lo. Soprattutto miaiuta tanto sapereche Dio mi vedesempre e checonosce le mie ten-sioni, i miei sforzi,sa che magaridopo una primareazione di pocavoglia c’è unosforzo di volontà.

Al contrario degli uomini, Luiqueste cose le vede tutte, e io soche è contento. E io sono conten-ta quando so che Dio è contento.Questa cosa la sto approfondendocon il passare degli anni, quandonasce il pericolo di imborghesirsi,di accontentarsi di una vita piatta.San Josemaría diceva che dobbia-mo essere “innamorati perenni”.

Più il volume è alto, meglio è

Mi piace la musica, mi piaccio-no le canzoni, e mi piace cantare,soprattutto ciò che posso capire.E più il volume è alto, meglio è.Mi piace molto la canzone diBaglioni “Strada facendo” ancheperché è legata al periodo dellamia vita in cui stavo decidendo didire di sì. “Strada facendo /vedrai che non sei più da solo”,dice la canzone, ed effettivamentea me è successo così: stradafacendo mi sono resa conto che

non ero mai sola. Nella vita puòsuccedere che nascano scontri dicarattere con altri e che alcunegiornate siano proprio storte -siamo persone umane, e il fatto difar parte dell’Opus Dei nonrende immune da niente –tanto da farci chiedere “machi me l’ha fatto fare?”, peròsubito dopo viene il pensiero:ma io non sono mai sola, Dioè con me. Quando sono arrab-biata aiuta moltissimo metter-mi a cantare. “Canta che tipassa”, si dice.

Una numeraria ausiliaredeve essere come unamamma, deve saper fare ditutto perché in famiglia devisaper cucinare, preparare latavola in modo gradevole,usare la lavatrice, conoscere i capidi biancheria, ecc. Il mio specifi-co, la cosa che più mi piace è ilservizio della sala da pranzo, cheprevede la preparazione dei tavoli,la scelta dei menu, l’abbinamento

Mi piace la musica, mipiacciono le canzoni,

e mi piace cantare,soprattutto ciò che

posso capire. Mi piace molto la

canzone di Baglioniche fa: “Strada facendo,vedrai che non sei più

da solo”. A me è successo così:

strada facendo mi sonoresa conto che non ero

mai sola

I miei genitori, con mia sorellae me, con il prelato dell’OpusDei, mons. Javier Echevarría

cibo-vini, l’organizzazionedelle prime colazioni. E que-sto servizio l’ho insegnatoper dodici anni nelle scuolealberghiere a delle adole-scenti. Compito per nientefacile, perché al giorno d’og-gi il lavoro domestico vieneconsiderato un’attività diseconda categoria.

Il pensiero che mi piacevaè che attraverso l’insegna-mento avrei potuto trasmet-tere dei valori molto grandialle ragazzine. Vivendo que-sta esperienza sono riuscitaa mettermi nei loro panni, ecapire quali erano gli aspetti

più divertenti di questo lavoro.Certo, le lezioni sono serie, macerchiamo anche di divertirci: adesempio abbiamo partecipato adei concorsi di cocktail.

È stato bello, ci ha fatto capirecome si preparano i drink, e che lacosa comporta la cura di tanti det-tagli, l’opportunità di intavolareuna conversazione con il cliente,cercare di capire i suoi gusti equindi cercare di rendergli la vitagradevole.

Una gioia che nessuno ti toglie

Ricordo che quando chiesil’ammissione all’Opus Dei espres-si al Signore un mio grande desi-derio: «Vorrei tanto vivere vicinoal Papa e al Padre». Il Signore miha dato la grazia di avere molteoccasioni di stare vicino aGiovanni Paolo II, di parlargli per-sonalmente, di dirgli molte volteche gli volevo bene. Lui mi piace-va perché sapeva stare con tutti, enon scansava nessuno, non facevapreferenze di persone e non chiu-deva le porte a nessuno, neanche achi gli voleva male.

Questo mi colpiva molto, enella vita quotidiana mi serve pernon escludere nessuno dalla miaamicizia. Per questo ho tante ami-cizie, perché la gente si sentevoluta bene. E tanto più con colo-ro che vivono con me, cerco ognigiorno di voler bene alle personecosì come sono e dar loro tuttol’affetto possibile e immaginabi-le, anche senza essere ricambiata.Questa è la cosa più bella: si fati-ca a capirlo, ma quando ci sei riu-scita la gioia non te la toglie piùnessuno.

Intervista video

La testimonianza di Pina Cannassi può vedere su internet in formasintetica nel sito dell’Opus Dei(www.opusdei.it) e in forma integrale su You Tube(www.youtube.it). In entrambi i sitiricercare la voce “Pina Cannas”

Invito a cena con le mie allieve A cura dell'Ufficio Informazioni dell'Opus Dei per l'Italia