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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI Dipartimento di teorie e ricerche dei sistemi culturali SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE DEI SISTEMI CULTURALI STORIA DELLE ARTI XXV CICLO DIRETTORE DELLA SCUOLA DI DOTTORATO: Prof. Massimo Onofri SPAGNA, ITALIA ED EUROPA SETTENTRIONALE NELLA PITTURA SARDA DEL XVI SECOLO: IL MAESTRO DI OZIERI Tutor: Prof. ALDO SARI Tesi di dottorato di MARIA GIOVANNA ARRAS Anno Accademico 2012-2013

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Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri

Tesi di dottorato in Storia delle Arti

Università degli Studi di Sassari

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

Dipartimento di teorie e ricerche dei sistemi culturali

SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE DEI SISTEMI CULTURALI

STORIA DELLE ARTI

XXV CICLO

DIRETTORE DELLA SCUOLA DI DOTTORATO:

Prof. Massimo Onofri

SPAGNA, ITALIA ED EUROPA SETTENTRIONALE NELLA

PITTURA SARDA DEL XVI SECOLO:

IL MAESTRO DI OZIERI

Tutor:

Prof. ALDO SARI

Tesi di dottorato di

MARIA GIOVANNA ARRAS

Anno Accademico 2012-2013

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INDICE

Introduzione pag. 2

Capitolo I:

Il Manierismo italiano pag. 4

Capitolo II:

Il Manierismo europeo pag. 27

Capitolo III:

Il Maestro di Ozieri pag. 45

Tavole pag. 81

Bibliografia pag.101

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INTRODUZIONE

Il progetto di ricerca è nato dal mio interesse verso uno dei protagonisti della

pittura sarda del Cinquecento, un anonimo pittore cui è stato assegnato il nome di

Maestro di Ozieri.

Attraverso una rilettura degli studi che a oggi sono stati fatti sulla sua figura, ho

voluto rilevare uno degli aspetti peculiari della sua arte: l’intreccio di relazioni

con altri linguaggi pittorici, diversi e distanti da quelli con cui poteva entrare in

contatto in ambito isolano.

Il discorso è valido, in generale, per la pittura ma è ancora più marcato per le

opere del Maestro che risentono in maniera fortissima d’influenze e arricchimenti

esterni.

La prima parte del lavoro è dedicata al manierismo italiano. Il percorso segue le

tappe fondamentali che hanno portato alla nascita in Italia, e più tardi in Europa,

della nuova espressione artistica attraverso le figure dei protagonisti che hanno

caratterizzato l’arte italiana del Cinquecento.

Una rilevanza maggiore è stata data a quei pittori del manierismo italiano – nello

specifico quello lombardo e campano – i cui richiami, leggibili nelle opere del

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Maestro di Ozieri, ne arricchiscono la produzione e ampliano la conoscenza di

tutta la pittura sarda del XVI secolo.

La seconda parte include il manierismo europeo.

I richiami alla pittura di area tedesca e spagnola, e gli influssi delle stesse nelle

opere del Maestro, trovano concordi i più grandi storici e critici dell’arte isolana.

Numerosi sono i legami con l’ambito iberico che tanto ha condizionato l’arte, la

storia e la cultura della Sardegna, ma anche la corrente Nord europea s’insinua

molto presto nella vicenda critica che ha interessato l’attività del Maestro tanto

che alcune delle sue opere erano state attribuite a Mathis Grünewald.

Il terzo capitolo è interamente riservato alla figura del Maestro e alla sua

produzione. In esso si tenta di definire e ampliare la figura del pittore e i legami

con la corrente manierista italiana ed europea.

Ampio spazio è dato a una ricerca svolta sul campo mirata all’osservazione

diretta delle opere conservate in diverse parti della Sardegna. Dal retablo di

Nostra Signora di Loreto, nella cattedrale di Ozieri, alle tavole superstiti del

retablo di Sant’Elena Imperatrice di Benetutti; dalla Crocefissione alla tavola del

San Sebastiano del Museo Sanna di Sassari; dalla tavola della Sacra Famiglia di

Ploaghe al retablo di Bortigali.

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CAPITOLO I

Maniera e Manieristi

I termini “Maniera” e “Manierismo” sono stati utilizzati dalla critica, fin dal

Cinquecento, per descrivere e qualificare i fenomeni stilistici che interessano

l’arte figurativa d’Italia e d’Europa nel periodo compreso tra l’apogeo del

Rinascimento, con Leonardo, Raffaello e Michelangelo, e l’inizio di un nuovo

periodo artistico inaugurato dai Carracci, Caravaggio e Bernini. 1

La lunga indagine sul problema del manierismo, iniziata con Vasari 2(1511 –

1574) e forse non ancora conclusa, ha prodotto nel tempo diversi atteggiamenti

critici che hanno ampliato la conoscenza di questo movimento. Tra concezioni

negative e revisioni di volta in volta più appassionate, è nata una letteratura

ampia e variegata sulla vicenda della “maniera” e del manierismo.

La stessa ha portato ad ampliare la visione e la conoscenza di tutta l’arte del

Cinquecento.

In un certo momento storico l’attenzione si sposta dai grandi maestri a quelle

correnti minori che fino ad allora erano state trattate come un riflesso della

grande arte, e alle quali non era stato dato un peso rilevante nel tessuto artistico e

1 Enciclopedia universale dell’arte, Firenze 1958, vol. VIII p. 802

2 Pittore, Architetto e storico dell’arte italiano, Arezzo 1511 – Firenze 1574.

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culturale del secolo. In esse si scopre una vitalissima elaborazione di fatti

figurativi, rimasti fino allora inavvertiti ma fondamentali a dare continuità al

tessuto storico e capaci di giungere alla chiarezza del capolavoro.

Il fatto più importante, fondamentale al rinnovarsi moderno del problema del

manierismo, è stata la riscoperta critica di quegli artisti fiorentini che erano stati

quasi rifiutati dal gusto del classicismo, dal Seicento all’Ottocento. Il

Goldschmidt per primo vede nella loro arte il rovesciamento delle norme più

solide del Rinascimento: la misura, l’equilibrio, la razionalità prospettica, la

naturalezza espressiva. E il Friedländer vede, nella deliberata volontà

anticlassica, l’origine di un nuovo stile, che avrebbe poi avuto gli esiti più

espressivi con il Pontormo,3 (1494 – 1557 )

4che in piena maturità, si accosta

all’arte di Dürer ( 1471-1528).5

Le aperture di Pontormo verso l’arte del nord non sorprendono più se si

considerano l’esito di quella rivoluzione figurativa iniziata nel primo decennio

del secolo.

I segni di una crisi profonda che sconquassa l’ordine tradizionale, proprio dello

spirito classico, sono già manifesti nelle opere di Leonardo (Vinci 1452- Cloux

3 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VII, p. 807

4 Jacopo Carucci detto Pontormo. Pittore italiano, Pontorme, Empoli 1494, Firenze 1557. È il protagonista

della svolta della pittura fiorentina dal pieno Rinascimento al Manierismo. Si forma nell’ambiente

fiorentino di inizio Cinquecento. Esordisce come allievo di Andrea del Sarto con affreschi nella

Santissima Annunziata e nei chiostri di Santa Maria Novella. 5 Albrecht Dürer. Pittore e incisore tedesco, Norimberga 1471-1528. È uno dei più grandi pittori e

incisori tedeschi e uno dei principali intellettuali del Rinascimento.

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1519), Michelangelo (Caprese 1475 – Roma 1564) e in misura minore di

Raffaello (Urbino, 1483 - Roma, 1520), protagonisti dell’<<età dell’oro>>.

Leonardo lo manifesta attraverso la difficile dialettica interiore e Michelangelo lo

affronta con il suo drammatico tormento spirituale. A loro appartengono le prime

espressioni della nuova tendenza: i cartoni delle Battaglie. Il dipinto incompiuto

della Battaglia di Anghiari e il cartone di quella di Cascina sono i modelli su cui

si esercitano fino alle estreme conseguenze i più antichi manieristi, prima di dare

sfogo alle loro esperienze personali.6

L’espressionismo formale e coloristico dell’arte gotica, contro la quale si è mossa

un’accesa polemica, diventa comprensibile in questo nuovo dinamismo formale.

E il Pontormo e anche il Rosso (1495 – 1540)7 guardando alle incisioni di Dürer

e di Luca da Leida (1489 circa – 1533) 8seguono e sostengono ampiamente le

spinte più vitali del momento. Se c’è in loro una reazione, è verso l’equilibrio

compositivo, presente nella pittura devozionale di Fra Bartolomeo (1472 –

1517)9 che neppure Andrea del Sarto (1486 – 1531)

10 riesce appieno a superare.

6 G. Briganti, La Maniera italiana, Firenze 1985, p. 10

7 Giovan Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino. Firenze, 1495 – Fontainebleau, 1540. Protagonista

della prima e fondamentale stagione del manierismo fiorentino, si forma insieme a Pontormo presso la

bottega di Andrea del Sarto ed esordisce con loro negli affreschi del chiostrino dei Voti della Santissima

Annunziata. L’evoluzione stilistica del pittore è documentata da opere di notevole importanza. Nel giro di

pochi anni passa dall’influsso fiorentino a quello romano di Michelangelo, fino al confronto con

Parmigianino. Nel 1530 si trasferisce a Parigi e per Francesco I realizza la grandiosa galleria del castello

reale di Fontainebleau monumento fondamentale per la diffusione dell’estetica manierista in Europa. 8 Incisore e pittore olandese. Leida, 1489 circa – 1533. Luca da Leida contribuisce a spingere verso nord

i confini dell’arte rinascimentale facendo di Leida una piccola capitale aperta al dialogo con gli artisti

internazionali. 9 Bartolomeo della Porta detto Fra’ Bartolomeo. Savignano, 1472 – Firenze 1517. È uno dei protagonisti

del primo Cinquecento fiorentino. La sua proposta stilistica, in dialogo con Raffaello, verrà scavalcata

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Vi riescono i discepoli seguendo l’impulso liberatore di Michelangelo.

La critica tende così a valutare con più forza il peso di Michelangelo negli artisti

italiani del primo manierismo.

Le opere dei primi manieristi ci danno la misura dell’inquietudine spirituale e

dell’introversione psicologica che caratterizza in maniera diversa le loro

espressioni.

La natura introversa dei vari temperamenti, gli umori solitari e bizzarri

conferiscono alle figure una sorta di estraniamento dalla società. In molti casi

queste personalità sono davvero particolari come si evince dalle biografie e

autobiografie, basti pensare al diario di Pontormo, ossessionato dalla morte, e

alla descrizione che dello stesso fa Vasari nelle Vite, o al Parmigianino (1503-

1540) 11

che lasciò la pittura per l’alchimia.

Le loro inquietudini animano il loro mondo figurativo di ambigui adolescenti,

fanciulle androgine, vecchi spiritati che nei loro incerti atteggiamenti rivelano un

erotismo represso ed esasperato. Le forme assumono aspetti bizzarri, le figure

dall’avvento dei primi manieristi. Inizia l’attività collaborando con Mariotto Albertinelli, ma in seguito

alle predicazioni del Savonarola conosce una profonda crisi mistica e nel 1500 abbandona la pittura per

prendere i voti. 10

Andrea d’Agnolo, Firenze 1486 – 1531. Erede della tradizione fiorentina del tardo Quattrocento, ne

propone un aggiornamento garbato e di ampio respiro, senza spingersi alle audaci polemiche dei primi

manieristi, che pure saranno suoi allievi. Formatosi presso Piero di Cosimo, accurato copista dei cartoni

di Leonardo e Michelangelo, Andrea apre una bottega autonoma a Firenze nel 1508. 11

Francesco Mazzola detto il Parmigianino. Parma, 1503 – Casalmaggiore, 1540. Dotato di un talento

precocissimo si confronta subito con Correggio, tanto da fare di Parma, durante gli anni venti e trenta,

uno dei più avanzati laboratori dell’arte cinquecentesca.

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umane subiscono estrose metamorfosi, un moto turbolento le assottiglia e le

allunga in pose improbabili, nella ricerca di un elegante equilibrio. 12

Queste profonde intemperanze non trovano il sostegno di una società forte, ma si

scontrano con un momento storico complesso e indebolito dagli avvenimenti, che

ostenta una potenza e una perfezione che non gli appartengono e che subisce la

crisi profonda e l’incertezza religiosa con la Riforma luterana.

Dopo un primo momento che vede Firenze accogliere opere dense di tensione

spirituale del Rosso, del Pontormo, del Berreguete, e Siena del Beccafumi, (1486

circa- 1551)13

l’attività si sposta a Roma, dove Michelangelo affresca la Sistina e

Raffaello le Stanze vaticane. 14

Gli affreschi della Scuola di Atene o della Disputa del Sacramento diventano il

paradigma universale dell’arte, dove confluiscono tutti gli apporti della cultura.

Nell’ultima impresa, la decorazione delle Logge Vaticane, che impegna una

schiera vastissima di aiuti, si riconosce la personale impronta di Giulio Romano

(1492 – 1546)15

, del Penni, di Perin del Vaga (1501 – 1547)16

, di Giovanni da

Udine, e di Polidoro da Caravaggio (1499 – 1543)17

.

12

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VII, p. 809 13

Domenico di Giacomo di Pace detto Beccafumi, Montaperti, 1486 circa - Siena, 1551. Principale

protagonista dell’arte senese della prima metà del Cinquecento lavora quasi ininterrottamente per

quarant’anni nella sua città. Ben aggiornato sulle ricerche leonardesche e sugli affreschi di Raffaello e

Michelangelo in Vaticano, esordisce con il Trittico della Trinità del 1513. 14

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 12-13 15

Giulio Pippi conosciuto come Giulio Romano, Roma, 1492 – Mantova, 1546. Prestigioso architetto e

grande pittore compie la sua prima formazione nella bottega di Raffaello, di cui diventa il più fidato

collaboratore nell’esecuzione di importanti opere nelle Stanze e nelle Logge Vaticane. Alla morte di

Raffaello nel 1520 assume la direzione della bottega, portando a compimento lavori di notevole impegno

come la Sala di Costantino.

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A Roma si incontrano i nuovi artisti, e Roma diventa la capitale della “maniera”.

In Italia, solo Venezia mantiene una posizione isolata rispetto alla nuova

tendenza. Ma Venezia, nel Cinquecento, ha una situazione storica diversa da

quella del resto d’Italia. Michelangelo e Tiziano (1490 circa – 1576)18

costituiscono due opposte concezioni dell’arte racchiuse nella formula di

<<disegno fiorentino>> e <<colorito veneziano>>. Secondo Michelangelo la

bellezza si raggiunge, non attraverso l’imitazione della natura, ma solo attraverso

un’idea interiore nata nell’animo dell’artista; secondo i veneziani la bellezza si

ritrova nella natura e si può rendere nella luce e nei colori.

Anche Tiziano, tuttavia, non rimane estraneo alle idee che da Firenze e da Roma

si diffondono per l’Italia. Il Tintoretto (1519 – 1594)19

fa ancora di più per

risolvere il contrasto della cultura figurativa italiana, e altrettanto fa il Veronese

(1528-1588)20

adottando moduli compositivi e scorci divergenti tipici del

manierismo. Il manierismo veneziano si limita, però, ad accogliere i moduli

16

Pietro Buonacorsi detto Perin del Vaga, Firenze, 1501 – Roma, 1547. Figura centrale del manierismo

italiano, uno dei più importanti artisti coinvolti nella fuga da Roma nel 1527, è stato definito “l’anello

mancante” tra l’ambiente raffaellesco e lo sviluppo delle arti figurative nell’età dei Farnese. 17

Polidoro Caldara detto da Caravaggio. Caravaggio, 1499 – Messina, 1543. Protagonista della diaspora

degli allievi di Raffaello svolge una parte considerevole della sua carriera in Italia meridionale. In seguito

al Sacco di Roma, infatti, mentre tutti i suoi amici e colleghi fuggono verso nord, Polidoro torna a Napoli

e poi a Messina. 18

Tiziano Vecellio, Pieve di Cadore, 1490 – Venezia, 1576. Dapprima allievo di Giovanni Bellini e poi

collaboratore di Giorgione, con la potenza della sua pittura si avvia ad assumere la supremazia

incontrastata sulla pittura veneziana. 19

Jacopo Robusti detto Tintoretto, Venezia, 1519 – 1594. 20

Paolo Caliari detto il Veronese, Verona, 1528 – Venezia, 1588. E’ uno dei principali protagonisti della

pittura veneziana.

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formali che arrivano da Firenze, da Roma o da Parma differenziandosene però

nella sostanza.21

Nonostante Roma prenda il posto di Firenze come teatro dell’arte e della cultura

italiana, non dobbiamo dimenticare che nel primo decennio del secolo, Firenze è

ancora il centro dell’arte e della cultura. Il progetto di decorare la Sala del

Maggior Consiglio richiama in patria vecchi e nuovi artisti. Rientra Leonardo

pronto ad assumere il ruolo di guida e si trova subito in contrasto con

Michelangelo, più giovane di lui ma già autorevole. Quando nel 1503 viene loro

commissionata la decorazione del salone di Palazzo Vecchio i contrasti sono

inevitabili. All’intellettualità di Leonardo e alle sue ricerche luministiche si

contrappone la spiritualità di Michelangelo e l’imponenza plastica delle sue

figure.22

L’arrivo a Firenze di Raffaello, nel 1504, la presenza di Fra Bartolomeo e di

Andrea del Sarto animano l’atmosfera artistica fiorentina. Nelle botteghe

circolano le novità artistiche, nascono discussioni e dispute e si riuniscono artisti

e cittadini. Il Vasari racconta: <<si facevano bellissimi discorsi e dispute

d’importanza. Il primo di costoro era Raffaello d’Urbino; dopo Andrea

21

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 15 22

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 18

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Sansovino, Filippino, il Maiano, Antonio e Giuliano Sangalli e alcuna volta, ma

però di rado, Michelangelo>>

Sono gli anni in cui Michelangelo realizza il Tondo Doni e il cartone per la

Battaglia di Cascina, opere di straordinaria potenza visiva in cui compaiono

quelle novità stilistiche che ne faranno i testi capitali della Maniera pittorica: il

vigore plastico, la potenza titanica, la conoscenza dell’anatomia fiorentina del

Quattrocento, il primato del disegno e la profonda coscienza dell’antico.

Sulle nuove generazioni si fa sentire anche l’influenza di Leonardo, meno

immediata di quella di Michelangelo perché più intellettualistica, più ermetica.

Emerge delicatamente la figura di Andrea del Sarto che raccoglie le idee di

Leonardo e Raffaello in una sintesi equilibrata di velata malinconia. Le sue opere

sono determinanti per la pittura fiorentina del secondo decennio del secolo. 23

Attraverso i suoi insegnamenti emergono due giovani artisti, i nuovi interpreti

della “maniera”: il Pontormo e il Rosso. Ai loro anni giovanili risale la

conoscenza diretta della maniera michelangiolesca, attraverso lo studio del

cartone della Battaglia di Cascina.

La loro attività inizia nel 1513 negli affreschi del chiostro dell’Annunziata. In

queste opere si avverte con immediatezza che qualcosa sta cambiando

nell’interpretazione delle cose e nell’impostazione formale. Nell’Assunzione del

Rosso, il gruppo degli apostoli è animato da un impeto improvviso, quasi

23

G. Briganti, La Maniera Italiana , cit. p. 20

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grottesco; nella Visitazione del Pontormo la scena è intrisa di fermento irrequieto

e bizzarro. Le novità introdotte dai due artisti non sono solo il frutto dell’influsso

michelangiolesco – anche perché Michelangelo era già andato a Roma – ma un

peso maggiore si deve alla presenza a Firenze dal 1508, dello spagnolo

Berreguete che vi rimane fino al 1518 e che ha avuto il merito a detta del Longhi

di <<aver mosso la maniera moderna.>>24

L’attività del Rosso e del Pontormo si diversifica subito dopo l’esordio. Il primo

opera nella sua città fino alla morte con uno stile che si arricchisce di fantasia.

L’adozione di uno spazio prospettico affollato e incombente, in pieno contrasto

con la chiarezza spaziale di Andrea del Sarto, è un immediato richiamo alle

stampe nordiche di Luca da Leyda e di Dürer. Il contatto coi Medici è

l’occasione per dipingere tra il 1520 e il 1521 la lunetta con Vertunno e Pomona,

nella villa di Poggio a Caiano, dove gli influssi nordici e lo spirito inquieto si

placano in un racconto arricchito di fantasia.

Nelle opere eseguite tra il 1522 e il 1525 il richiamo a Dürer è così diretto che

Vasari lo accusa di aver tradito la “maniera” toscana per quella tedesca. Con la

Deposizione, per la cappella Capponi a Santa Trinità, tocca il livello più alto

della sua pittura e di tutta la Maniera italiana del Cinquecento. 25

24

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 22 25

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 24

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Il Rosso ha una personalità opposta a quella del Pontormo. Vasari lo ritrae più

socievole, più allegro, interessato alla musica e alle lettere, e soprattutto più

indipendente dalle concezioni di Andrea del Sarto. Nel 1521 dipinge il suo

capolavoro: la Deposizione di Volterra. La sua interpretazione lascia sconcertati i

contemporanei per la violenta deformazione delle figure e per il colorismo deciso

che accosta e giustappone con un azzardo sorprendente.26

Altra variante della “maniera” in Toscana è data dall’opera di Domenico

Beccafumi a Siena. Comincia a dipingere nei primissimi anni del secolo, un

decennio prima del Rosso e del Pontormo, a contatto con l’ambiente classicista di

Fra Bartolomeo e di Albertinelli (1474 – 1515)27

. Le sue opere confermano la sua

netta aderenza al manierismo, tuttavia indipendente dai manieristi suoi coetanei:

Pontormo e Rosso. Lo accumuna ad essi l’estro bizzarro dell’invenzione.28

Come è stato precedentemente detto, Firenze non è più la capitale della cultura e

della politica, ha ceduto a Roma le redini del processo artistico e culturale e gli

artisti vivono appieno questo momento di isolamento e di disordine psicologico

espresso attraverso la loro stravaganza formale.

A Roma si vive una situazione completamente diversa, dal 1506 c’era

Michelangelo e due anni dopo arriva Raffaello, entrambi sostenuti da

26

AA.VV. La Storia dell’arte: Il Rinascimento, in La Biblioteca di Repubblica, Milano 2006, vol. 9,

pp. 590,591 27

Mariotto Albertinelli, Firenze, 1474 – 1515. Il suo stile si dimostra ben presto ampio e solenne, con

figure monumentali che si stagliano su paesaggi accurati, memori del gusto fiammingo mentre l’influsso

peruginesco addolcisce contorni e toni cromatici. 28

AA.VV. La Storia dell’arte: Il Rinascimento, cit., vol. 21 pp. 328-330

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un’atmosfera di fervore artistico che sarà determinante per esprimere la

grandezza del loro talento creativo.29

Si crede che la rinascita dell’Italia possa partire da Roma. E’ un momento di

illusione effimera destinato a precipitare nell’abisso più profondo con il Sacco

del 1527.

Nell’anno del Sacco Raffaello era morto e Michelangelo non era a Roma, l’aveva

lasciata per Firenze. Vi ritorna nel 1534 incaricato da Paolo III di dipingere il

Giudizio finale, sulla parete della Sistina. Il confronto tra questo e la volta, è

sufficiente a mostrare la sua risposta tormentata di fronte alla desolante infelicità

della condizione umana, trascinata dalla orrenda realtà di quegli anni. Un

tormento che si esprime con estrema contraddizione nell’imponente parete.

Durante l’assenza di Michelangelo da Roma, il linguaggio raffaellesco aveva

avuto ampio sviluppo. L’Urbinate si circonda di allievi e collaboratori che

diffondono le sue idee, detentori di un’eredità che non è solo formale ma anche

spirituale. Il suo stile si afferma in opere straordinarie che accompagnano la

cultura pittorica romana fino al terzo decennio del secolo. 30

Giulio Romano è il più autorevole degli scolari e collaboratori di Raffaello. Negli

anni che seguono la morte del Maestro la sua attività è ricchissima di esperienze

artistiche. L’amore appassionato per l’antica grandezza romana - che si esprime

29

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 29 30

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 30

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nelle decorazioni, negli stucchi, nelle grottesche, nelle Sacre Famiglie e nei

quadri d’altare - include una vena di malinconia per le passate glorie della città

antica, per ciò che resta delle grandiose vestigia. Dal fondo delle sue opere si

vedono monumenti semisepolti, macerie abbandonate, ruderi deserti e vestigia

solitarie. Il manierismo di Giulio Romano è molto diverso da quello spiritato di

Firenze e Siena, ma è stato fondamentale per gli anni successivi.31

Come per Giulio Romano e Polidoro da Caravaggio, anche la cultura di Perin del

Vaga si differenzia dal primo manierismo fiorentino, appassionata di archeologia

e stimolata dalle scoperte della città antica. Già nelle prime opere del periodo

romano appare profondamente manierista. Ben presto si differenzia dai colleghi

della cerchia raffaellesca per una fantasia più immediata, per una pratica più

estrosa alla ricerca di un’esasperata eleganza.

Nel 1524 giunge a Roma il Parmigianino, mentre Giulio Romano si prepara a

partire per Mantova e Polidoro per Napoli. Arriva da Parma con le nozioni tardo

rinascimentali del Correggio. Attratto più dalla grazia raffaellesca che dal

titanismo michelangiolesco, con la sua precoce maturità stupisce i contemporanei

proponendo una personale interpretazione del nascente manierismo.32

31

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 31 32

AA.VV. La Storia dell’arte, in La Biblioteca di Repubblica, cit., vol. 23, pp. 600-601

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16

La critica, fin dal Friedländer, ha avuto il merito di riconoscere l’importanza

dell’incontro romano tra il Parmigianino e il Rosso, negli anni intorno al 1524.

Il Freedberg rileva che già prima di venire a Roma, il Parmigianino aveva

acquisito, dal Correggio, una grazia di sapore arcadico, squisitamente

intellettualistico e il Longhi vi sospetta influssi del senese Beccafumi. Il suo

incontro col Rosso, che è avvenuto – si ricordi – nella cerchia dei seguaci di

Raffaello, non è quindi decisivo per il suo stile, ma anzi determina un complesso

gioco di influssi reciproci.33

Le esperienze del soggiorno romano sono evidenti nella pala con la Vergine, San

Giovanni Battista e San Girolamo conclusa nel ’27. Vi appaiono i moduli tipici

della maniera, nell’andamento serpentinato del San Giovanni, richiami a

Michelangelo nella figura della Vergine e un senso di grazia che riporta

direttamente a Raffaello.

Le creazioni del Parmigianino, con la loro luminosa grazia, rappresentano il lato

più dolce e più femminile del manierismo.

Il Sacco nel 1527 interrompe bruscamente lo sviluppo della complessa trama

culturale; l’esodo da Roma è completo: Il Parmigianino fugge a Bologna e poi a

Parma, dove tocca il punto più alto della sua pittura e da dove si diffonde la

33

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VII, p. 812

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maniera parmigianinesca; il Rosso a Perugia, Polidoro a Napoli e da lì a Messina,

il Peruzzi a Siena, Perin del Vaga a Genova.

La <<bella maniera>> si diffonde per l’Italia iniziando un nuovo capitolo delle

tendenze figurative cinquecentesche.

Mantova è la città che le accoglie attraverso l’opera di Giulio Romano, che è

giunto in città ancora prima del ‘27. Raffellismo e michelangiolismo si

intrecciano in un linguaggio classicheggiante talvolta eccessivo e retorico.

Tra i suoi allievi chi riesce a cogliere l’aspetto più morbido del suo linguaggio è

il Primaticcio (1504 – 1570)34

che collabora con il maestro fino al 1531.

Attraverso questa personalità, la sensibilità manierista si diffonde dall’Italia

all’Europa.

Nel quarto decennio del Cinquecento la situazione italiana è profondamente

cambiata.

Nel percorso artistico e culturale, interrotto dal Sacco e più tardi dall’assedio di

Firenze, si impone una nuova generazione di manieristi diversa da quella che

l’aveva preceduta.

34

Francesco Primaticcio, Bologna, 1504 – Parigi, 1570. Pittore, scultore e architetto è un vero maestro di

stile e di gusto per i cantieri del manierismo internazionale. Coinvolto nella bottega di Giulio Romano a

Mantova lavora a Palazzo Te. Nel 1532 si trasferisce a Fontainebleau dove, insieme al Rosso progetta e

decora la Galleria del Castello. Primaticcio traduce l’eleganza flessuosa di Parmigianino, combinata con

la robusta espressività di Giulio Romano e la forza di Michelangelo.

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18

In questo contesto si colloca Angelo Bronzino (1503 – 1572)35

, allievo e

collaboratore di Pontormo, che si rivela, ben presto, animato da uno spirito

diverso che lo porta in tempi più maturi a divergere dallo stile del maestro.

Attraversa la storia del manierismo ripercorrendone gli sviluppi, dalla ribellione

iniziale agli schemi tradizionali, fino a lambire il rigorismo controriformista.

Bronzino diventa il punto di riferimento per gli sviluppi del manierismo

europeo.36

Diversa è la natura dei maggiori esponenti della “seconda generazione” della

maniera, disorientati e sgomenti dall’incombente Giudizio di Michelangelo:<<

messaggio del più alto spirito figurativo alle coscienze di una generazione

inquieta >>. 37

Tra essi, Francesco Salviati (1509 – 1563) 38

che rientra a Roma nel 1541. Nelle

sue opere rivive l’antico spirito della maniera, nelle complesse pose dei

personaggi, nei dettagli descrittivi e nello svariare dei colori. 39

35

Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Firenze, 1503 – 1572. Attraversa e caratterizza la storia del

manierismo, accompagnandone gli sviluppi dall’iniziale ribellione rispetto agli schemi della pittura

quattrocentesca fino alla sua affermazione come movimento pittorico. Allievo e collaboratore del

Pontormo, partecipa insieme al maestro ad importanti imprese fiorentine. Attraverso il ritratto elabora uno

stile personale distinto da quello del Pontormo. 36

AA.VV. La Storia dell’arte in La Biblioteca di Repubblica, cit., vol. 21, pp. 496-498. 37

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 46 38

Francesco de’ Rossi detto Salviati, Firenze, 1509 circa – Roma 1563. Formatosi a Firenze ma quasi

sempre attivo a Roma, è uno dei protagonisti della “ seconda generazione” del manierismo, quando lo

stile, persa la forza dei primi interpreti ( Pontormo, Rosso e Parmigianino) diventa la corrente “ufficiale”

della pittura in Itali centrale. Salviati porta la grande decorazione manierista a livelli di suprema eleganza. 39

AA.VV. La Storia dell’arte in La Biblioteca di Repubblica, cit., vol. 24, pp. 232, 233

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Negli artisti di quella generazione, si rileva l’accentuarsi della tendenza

michelangiolesca in modo particolare nella figura di Daniele da Volterra (1509

circa – 1566.) 40

. Nel fregio di Palazzo Massimo a Roma emergono un

plasticismo delle forme e una solidità architettonica quasi esasperati. La sua

opera più celebre è La Deposizione della Trinità dei Monti del 1541, l’opera più

rappresentativa della “seconda maniera “ italiana. Dal confronto con la

Deposizione del Rosso, una delle più alte rappresentazioni della precedente

maniera italiana, si evince la profonda differenza che li separa, una tensione

dinamica caratterizza la prima, una pacata meditazione la seconda. Nonostante

questa diversità entrambe le opere sono partecipi dei pregnanti linguaggi del

manierismo.

Gli ultimi rappresentanti di questo ricchissimo momento pittorico sono Marco

Pino da Siena e Pellegrino Tibaldi (1527 – 1596) 41

. La loro formazione inizia a

Roma, nella sala Paolina di Castel Sant’Angelo a contatto con Perin del Vaga e

in un ambiente squisitamente manierista.

Con questi due artisti si giunge al momento in cui il manierismo – soprattutto a

Roma – esaurisce la vena inventiva e ripiega su se stesso. Si ripetono fino

40

Daniele Ricciarelli detto da Volterra. Volterra, 1509 circa – Roma, 1566. La sua prima formazione

avviene probabilmente a Siena nella bottega del Sodoma. A Roma, tra il 1538 e il 1539 realizza, accanto a

Perin del Vaga, alcuni dipinti a Trinità dei Monti. 41

Pellegrino Tibaldi, Puria in Valsolda, 1527 – Milano 1596. Compie a Bologna il proprio percorso

culturale, sia come pittore che come architetto, in un ambiente che risente delle novità portate da Giulio

Romano. Il soggiorno romano, dal 1547 al 1549 sarà fondamentale per i contatti con l’opera di

Michelangelo e di alcuni manieristi i cui frutti so no evidenti nella decorazione dell’appartamento di

Paolo III a Castel Sant’Angelo.

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all’esasperazione i motivi michelangioleschi e raffaelleschi, mentre si giunge al

culmine della Controriforma che dirigerà l’arte verso nuove forme e nuove

immagini sacre. E’ con Federico Zuccari (1542 – 1609)42

, fratello di Taddeo

(1529 – 1566)43

, che si avverte la prima reazione al manierismo che porterà con i

Carracci a un rinnovamento della pittura.

Nel contesto pittorico e artistico italiano di cui si è delineata una sintesi si riserva

una particolare attenzione a quelle figure del manierismo italiano che hanno

diffuso il nuovo linguaggio pittorico in diverse parti della penisola.

Tra i richiami, diretti e indiretti, a fonti figurative dell’Italia centrale e

meridionale della fine del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento,

leggibili nelle opere del Maestro di Ozieri è posta in risalto la vicinanza all’opera

di Polidoro da Caravaggio.

Il pittore lombardo è stato un po’ trascurato dalla critica, sebbene Giorgio Vasari

nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, dedichi a

Polidoro ampio spazio considerandolo tra i più grandi del momento.

42

Federico Zuccari, Sant’Angelo in Vado, 1542 – Ancona, 1609. 43

Taddeo Zuccari, Sant’Angelo in Vado, 1529 – Roma, 1566. I fratelli Zuccari sono attivi nella seconda

metà del Cinquecento a Roma.

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“ E’ veramente l’inclinazione della natura in tale arte per lui avuta fu si propria

e divina che sicuramente si può dire che è nascesse così pittore come Virgilio

nacque poeta e come veggiamo alle volte nascere certi ingegni maravigliosi”.44

Nel 1527 Polidoro lascia Roma per altre destinazioni.

Va prima a Napoli e più tardi a Messina e sarà uno dei divulgatori del linguaggio

raffaellesco in Campania e nel meridione d’Italia.

Nell’equipe raffaellesca, che lavora a Roma agli affreschi delle Logge Vaticane,

Polidoro è lo specialista del paesaggio. Con lui comincia il “genere” del

paesaggio classico e delle vedute con piccole figure che s’inseriscono nella

sequenza dell’ornato.

I suoi sfondi paesaggistici costituiscono una tappa fondamentale nella storia della

pittura di paesaggio. (affreschi in San Silvestro al Quirinale).45

Polidoro deriva dal linguaggio raffaellesco l’uso delle decorazioni a stucco e a

grottesche con cui decora a fresco molti palazzi romani.

Del periodo messinese, compreso tra il 1529 fino alla morte, tra le opere più

celebri è L’andata al Calvario, oggi a Capodimonte, eseguita entro il 1534 per la

chiesa della SS. Annunziata dei Catalani che presenta analogie tematiche e

compositive con lo Spasimo di Sicilia, di Raffaello, giunta a Palermo dopo

pericolose vicissitudini.

44

G. Vasari in “ Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino ai giorni

nostri”

Polidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino. Firenze 1550 45

G. C. Argan, Storia dell’arte Italiana, Firenze 1968, vol. 3, pag. 85

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22

Nella Deposizione, del 1527-28 (oggi a Napoli a Capodimonte), nella stesura del

colore libera e veloce e nelle tonalità fredde e intense, si riconosce grande

familiarità con la pittura. Il corpo di Cristo al centro della tavola è un tributo al

Cristo della Pietà vaticana di Michelangelo.46

Le potenzialità artistiche leggibili nelle sue opere si legano indubbiamente

all’influenza classicista di Raffaello e alla sua interpretazione, ma anche al pathos

espressivo più aderente alla pittura di Giulio Romano col quale Polidoro lavora

nella Sala di Costantino in Vaticano.

Del tessuto culturale che direttamente e indirettamente arricchisce il linguaggio

figurativo del Maestro di Ozieri fa parte anche Cesare da Sesto (1477 -1523)47

,

un pittore lombardo di formazione leonardesca.

Noto a Roma nella decorazione delle Sale di Giulio II in Vaticano, segue un

percorso simile a quello di Polidoro da Caravaggio.

Nel 1513 è a Messina e nel 1515 a Napoli. Negli anni seguenti farà la spola tra le

due città fino al suo ritorno definitivo a Milano.

È grazie a Cesare da Sesto che le più aggiornate novità romane, Raffaello e

Leonardo soprattutto, arrivano al Sud influenzando numerosi artisti tra cui

46

AA.VV., La storia dell’arte, cit., vol. 27, pagg. 138-139 47

Cesare da Sesto, Sesto Calende, 1477 – Milano, 1523. La fedeltà allo stile leonardesco fanno di Cesare

uno dei potenziali allievi di Leonardo durante l’ultimo decennio del Quattrocento. La prima notizia certa

ci viene da Roma dove, nel 1508, l’artista è presente in Vaticano e lavora a decorazioni negli

appartamenti di Giulio II. L’esperienza romana e l’imitazione di Raffaello e Michelangelo, e lo studio

appassionato dell’antico sono ingredienti fondamentali del suo sviluppo stilistico. La sua attività si

esprime ampiamente nel Meridione d’Italia dove realizza pale di grande importanza ma anche in

Lombardia dove rientra dopo il 1515.

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Andrea da Salerno, con cui Cesare dipinge un importante polittico per l’Abbazia

di Cava dei Tirreni.

Un rapporto equilibrato tra le figure e l’architettura antica contraddistingue le sue

opere (l’Adorazione dei Magi 1516-19) e rivela un’approfondita conoscenza

delle opere di Raffaello. Notevole è l’aspetto paesaggistico sullo sfondo con la

montagna boscosa e rupe aspra.48

Cesare da Sesto arricchisce gli elementi della sua formazione milanese con due

viaggi a Roma, durante i quali si avvicina all’Urbinate, diffondendo poi in Italia

meridionale il “leonardismo” e il “raffaellismo” aspetti più volte rilevati nelle

tavole del Maestro di Ozieri.

Tornato a Messina nel 1517 realizza la sua opera più celebre: l’Adorazione dei

Magi che diventa un modello da imitare per molti artisti del meridione.

Nel 1523 è documentato a Milano, è, infatti, riportata dalle fonti la data del

contratto stipulato dalla Confraternita di S. Rocco per l’esecuzione di un polittico

per l’omonima chiesa milanese: 28 gennaio 1523.

Nei pannelli che compongono il polittico sono ben leggibili i modelli pittorici cui

Cesare s’ispirò. Il leonardismo è inequivocabile nei paesaggi sullo sfondo del

pannello di S. Rocco e di San Cristoforo e nelle variazioni chiaroscurali.

48

AA.VV. La Storia dell’Arte, cit., vol. 27, pag. 137

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24

La lezione romana di Raffaello è evidente nella dolcissima figura della Vergine

col bambino, un richiamo diretto alla Madonna di Foligno nella posa della figura

adagiata sulle nuvole e nell’inclinazione della testa della Vergine.

La tavola con S. Giovanni Evangelista rievoca il profeta Daniele affrescato da

Michelangelo nella volta della Sistina, identica è la posa della mano sinistra

mollemente adagiata oltre il libro.

Trasferitosi in Italia meridionale, contribuisce alla diffusione della sua

elaborazione pittorica tra forme moderne e scenografiche e prime avvisaglie

manieristiche.

I cosiddetti “leonardeschi” si lasciano affascinare dagli aspetti più facilmente

deducibili del suo linguaggio: il ricorso allo sfumato e i proverbiali accennati

sorrisi.

Solo pochissimi tra i seguaci riescono a trasportare il proprio bagaglio ad un

ambito che va oltre quello lombardo, tra essi c’è proprio Cesare da Sesto che lo

diffonde nel meridione italiano.49

Oltre Leonardo che ama imitare attentamente, e Raffaello, conosce i fiorentini

del primo decennio del Cinquecento e la pittura romana del Peruzzi (1481 –

1563) 50

e di Sodoma (1477 – 1549)51

.

49

F. Debolini, Leonardo in Art Book, cit., vol 7, pp. 110-111 50

Baldassarre Peruzzi, Siena, 1481 – Roma, 1563. È una delle personalità più importanti della scena

artistica romana di inizio Cinquecento. Formatosi a Siena, fin da giovanissimo alterna progetti

architettonici con opere di pittura. A roma coinvolge numerosi colleghi che lavorano con lui per la

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Per rimanere nell’ambito meridionale – nello specifico campano – mi pare

doveroso riportare alcune notizie relative ad un altro pittore del Cinquecento

italiano che ha influenzato la pittura del Maestro di Ozieri: Andrea Sabatini

conosciuto col nome di Andrea da Salerno (1480 – 1530), che dopo Antonello da

Messina è il più notevole pittore rinascimentale del meridione italiano.

La sua attività si svolge quasi esclusivamente a Napoli e a Salerno. A Napoli

realizzò tele di argomento religioso I sette dottori della chiesa e l’Offerta dei

Magi conservati al museo di Capodimonte.

Secondo lo storico dell’arte Bernardo de Dominici, il Sabatini si formò nella

bottega del pittore Andrea Solario (1465 circa – 1524)52

, un ambiente artistico di

chiara influenza umbra legato a personalità come il Perugino (1450 circa-1524)53

e il Pinturicchio (1454 circa – 1513)54

.

Indubbia è per i più l’influenza raffaellesca e sarebbe confermata da un viaggio

che il salernitano avrebbe intrapreso a Roma intorno al 1511 proprio con

l’intenzione di incontrare il maestro urbinate e studiarne le opere.

decorazione della Farnesina, l’incantevole villa in riva al Tevere costruita per il banchiere senese

Agostino Chigi. 51

Giovanni Antonio Bazzi detto Sodoma. Vercelli, 1477 – Siena, 1549. 52

Andrea Solario, pittore italiano. Milano, 1465 circa-1524 53

Pietro Vannucci detto il Perugino. Città della Pieve, 1450 – Perugia 1524. È stato per lunghi anni il più

noto e influente pittore italiano. Il suo stile elegante e un po’ svagato, poco incline alla ricerca espressiva,

con pose trasognate impone una vera e propria moda dell’arte, da Milano a Napoli. Compagno di studi di

Botticelli presso la bottega del Verrocchio, è ben presto conteso da signori e d ecclesiastici d’Italia. Nel

1481 va a Roma, chiamato da Sisto IV per dirigere la decorazione delle pareti della Sistina. 54

Bernardino di Betto detto Pinturicchio. Perugia, 1454 – Siena, 1513. Maestro della grande decorazione

è l’autore di alcune delle più felici soluzioni ornamentali del Rinascimento umbro e romano. A Perugia

entra nella bottega del Perugino del quale diventa il principale collaboratore. Lavora intorno al 1480 agli

affreschi della Cappella Sistina.

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Del periodo napoletano è una Deposizione che mostra dei rapporti fortissimi con

Raffaello, soprattutto con la Madonna del pesce.

Le sue opere attestano l’evoluzione dello stile verso la cultura lombarda e

raffaellesca di Cesare da Sesto col quale Andrea entrò forse in contatto durante il

suo viaggio a Roma nel 1511.

La documentata presenza a Napoli di Cesare da Sesto nel 1515 e l’arrivo in città

della Madonna del Pesce di Raffaello accentuano il classicismo e la pittura dolce

del Sabatini ma presto i suoi modi evolvono verso una maniera più estrosa ed

espressiva aperta ai contatti con lo spagnolo Machuca (1485 – 1550)55

presente

nel Meridione nel secondo decennio del secolo.

Nelle opere successive, il pittore ripropone soluzioni più classicheggianti e

raffaellesche già sperimentate nella sua prima attività, che utilizza nelle opere

tarde dove compare massiccio l’aiuto della bottega.

Sul Sabatini, come per altre influenti personalità del primo Cinquecento è

gravato il disinteresse degli storici dell’arte del passato e contemporanei.

Il Summonte lo cita frettolosamente e il Vasari, nonostante un soggiorno a

Napoli, lo ignora, come fa del resto con quasi tutti gli artisti meridionali.

55

Pedro Machuca, Toledo, 1485 – 1550. Architetto e pittore spagnolo, la sua fama è legata alla

realizzazione del Palazzo di Carlo V a Granada che trae ispirazione dall’architettura rinascimentale e

manierista italiana, in particolare dallo stile di Raffaello, Bramante e Giulio Romano.

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CAPITOLO II

Il Manierismo europeo.

Il Sacco di Roma del 1527, l’episodio più drammatico della storia italiana del

XVI secolo, provoca la diaspora degli artisti che fuggono dalla città devastata e si

rifugiano in diverse parti d’Italia e d’Europa. Con la loro “dispersione” si

diffonde lo spirito del manierismo, romano e fiorentino, che darà i suoi frutti in

altre città della penisola.

In campo internazionale, la diffusione del manierismo italiano raggiunge

amplissime proporzioni. In Francia, nelle Fiandre, in Germania e in Spagna, dove

il Rinascimento non ha posto radici solide e il gotico ancora persiste nelle sue

differenti espressioni, il movimento assume una portata universale. 56

Conquista l’Europa e si diffonde ovunque nelle corti d’occidente. La corte di

Francesco I a Fontainebleau è la prima corte europea che adotta il nuovo stile

italiano. A Fontainebleau - come a Roma e a Firenze - si recano a studiare i

fiamminghi e gli olandesi che lavorano poi alle corti di Filippo II a Madrid, di

Rodolfo II a Praga, di Alberto V a Monaco. La circolazione del manierismo

56

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., p

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raggiunge la sua massima espansione verso la fine del secolo e, da quel momento

si può ben dire, che l’Europa parla lo stesso linguaggio figurativo.57

Dal 1530, lavora a Fontainebleau Rosso Fiorentino che si circonda subito di

numerosi artisti che costituiscono per decenni una vera tendenza: la scuola di

Fontainebleau. Nel 1532 arriva anche il Primaticcio, felice interprete della

raffinata maniera parmigianinesca, e il centro si avvia a divenire la nuova

capitale della maniera.

Il cammino dei due artisti segue una direzione parallela fino alla morte del Rosso

nel 1540. Con il Primaticcio lavora alla corte di Fontainebleau anche Nicolò

dell’Abate che da Bologna giunge in Francia tra il 1551 e il 1552;58

portando

con sé gli accesi cromatismi di eredità ferrarese.

Più tardi vi giungono il Cellini, il Serlio e il Vignola.

Dopo una breve interruzione la scuola riprende la sua attività e agli artisti

francesi si affiancano anche i fiamminghi che arrichiscono il movimento con una

potenza cromatica che caratterizza l’ultima evoluzione del manierismo europeo

sulla fine del secolo. 59

La critica riapre un’intensa discussione con l’Antal e il Kauffmann. Si discute

anche su quale tendenza italiana è stata più incisiva per il manierismo europeo: se

57

G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 14 58

G. Briganti La Maniera Italiana, cit., p. 16 59

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., VII p. 903

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Roma o Firenze. La difficoltà di una risposta sta nel fatto che vi confluiscono

entrambe le tendenze e gli artisti non solo le adoperano ma le rielaborano in tutte

le loro possibilità con un risultato che accomuna la conoscenza e l’invenzione, il

purismo formale e il capriccio.

In questa cornice s’inserisce l’arte di un grande maestro, lo Spranger (1546 –

1611) 60

che a Praga nel 1584, alla corte di Rodolfo II mantiene attivo il

movimento fino al Seicento.61

In Spagna gli influssi stranieri e in particolar modo quelli italiani e fiamminghi,

sono largamente determinanti di certi modi della pittura in cui sussistono taluni

sistemi tardo-gotici, nonché talune forme fiamminghe e tardo-quattrocentesche,

mentre vanno prendendo parallelamente sviluppo orientamenti derivati

dall’esperienza italiana, specie da quella leonardesca e raffaellesca. Più duraturo

è l’influsso fiammingo in Castiglia con Juan de Flandes, Juan de Borgogña,

Antonio Comontes, Pedro de Cisneros e il Maestro de Astorga.

L’attività dei pittori fiamminghi come Pedro de Campagña e Ferdinand Storm

esercita un grande influsso in Andalusia, dove è pure attivo Alejo Fernández.

60

Bartholomaeus Spranger, Anversa, 1546 – Praga, 1611. Pittore e incisore fiammingo. Dopo una prima

formazione ad Anversa, già fortemente permeata del gusto italianeggiante del pieno Rinascimento, nel

1565 si mette in viaggio verso l’Italia. Recepisce così gli stimoli della cultura artistica lombarda, del

Correggio e del Parmigianino. 61

Enciclopedia Universale dell’ Arte, cit., vol. XII, p.709

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30

Italianizzanti sono invece Fernando Yáñez e più tardi Vicente Masip e suo figlio

Juan de Juanes.62

All’inizio del XVI secolo lo stile raffaellesco, che fino a quel momento si era

manifestato in maniera episodica, s’impone pienamente nella maniera dei pittori

spagnoli. La scuola in cui il raffaellismo si manifesta in modo più evidente è

quella valenzana. Si distingue dalle altre - come quella di Siviglia – per la sua

omogeneità. Parlare di pittura raffaellesca valenzana è parlare di Juan de Juanes

(1523 circa -1579)63

. E’ il membro più conosciuto di una famiglia che produce

tre generazioni di artisti. La sua formazione si svolge a Valencia, alla scuola del

padre Vicente Masip, seguace e ammiratore dell’arte di Raffaello. Le opere di

Juanes sono fondamentalmente posteriori al 1550 e possono essere considerate

come appartenenti alla seconda generazione di raffaellisti spagnoli. Suo padre

Vicente Masip è il creatore dello stile che si evolverà assimilando novità

rinascimentali posteriori. 64

I motivi che hanno reso popolare la sua arte sono dovuti soprattutto alla dolcezza

espressiva dei personaggi. I volti esprimono un’emozione femminea, molto

apprezzata dalla maggior parte dei suoi estimatori.

Tecnicamente, Juan de Juanes insiste meno del padre nella precisione delle

forme, preferendo un certo sguardo di estrazione italiana – nello specifico quello

62

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. XII, p. 712 63

Vicente Juan Maçip detto Juan de Juanes, è un pittore spagnolo. Fuente la Higuera, 1523 circa –

Bocairente 1579. 64

D. Angulo Inígues, Pintura del Renacimiento, in Ars Hispaniae, Madrid 1955, vol. XII, p. 160

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leonardesco - cui si deve la sua tipica piacevolezza degli incarnati tanto differenti

dal tono forte e scultorio di quelli del padre. Il colorito è più luminoso e

rispondente al medesimo gusto per lo sfumato. I colori chiari si fondono nel

tipico tornasole del manierismo. In generale reagisce contro gli effetti della

prospettiva architettonica, propria dell’inizio del secolo, e vede nell’architettura

soprattutto la massa e la monumentalità Cinquecentesca.

I suoi spazi sono popolati di rovine classiche entro le quali si levano

frequentemente la piramide di Caio Sestio e sottili obelischi egizi, e nella sua

interpretazione si avverte la medesima grazia delle forme riscontrata nelle figure

umane. Il paesaggio è un altro elemento decorativo ma dipinto con naturalezza e

senza la curiosità e lo spirito narrativo di stampo quattrocentesco che distingue le

opere del padre. Se Masip può confrontarsi con Giulio Romano, Juan deve

relazionarsi con il Salviati, con il quale ha in comune molti aspetti.

Durante il periodo raffaellesco di cui si è detto, il livello della pittura in

Catalogna si abbassa notevolmente e diminuiscono i pittori di un certo rango.

Il più rilevante è il portoghese Pedro Nuñes, che lavora a metà del secolo a

Barcellona, insieme ad altri pittori della sua maniera.

Il suo stile scopre tensioni spirituali di estrazione più fiamminga che italiana. Il

suo raffaellismo è più somigliante con quello di Scorel (1495 – 1562)65

, del quale

65

Jan van Scorel, pittore olandese. Schoorl, 1495 – Utrecht, 1562. È stato determinante per

l’introduzione dell’arte rinascimentale italiana in Olanda.

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dovette essere coetaneo, piuttosto che con quello dei discepoli di Raffaello. Il

raffaellismo fiammingo e olandese è di moda in Spagna e in una scuola tanto

importante come quella di Siviglia. Lo svizzero Storm maestro e poi rivale di

Heemskerck (1498 – 1574)66

è uno dei pittori più eminenti del suo tempo e per

altra parte la stretta relazione commerciale e artistica tra Portogallo e fiandre è

ben conosciuta67

.

A Girona, la tappa rinascimentale e manierista è rappresentata nel retablo di

Saneja la cui composizione è tuttavia gotica e prossima al 1530, nel retablo di

Cornellà del 1563, in quello della cappella del cimitero di Cadaqués e quello del

santuario “ dels arcs” in Santa Pau, dove si copiano stampe di Dürer. In quello

dell’Ultima cena della cattedrale di Girona, del 1567, dove si utilizzano anche

composizioni del pittore tedesco, la corpulenza michelangiolesca dei personaggi

ci convince della piena adesione dell’autore al manierismo.

In Catalogna parallelamente all’assunzione isolata di italianismi e alla

ibridazione di schemi compositivi e di formule figurative tradizionali che

evolvono senza brusche rotture nei valori stabiliti, dobbiamo considerare

l’irruzione di una pittura più ampiamente rinnovata, di forme rinascimentali più

mature e più vigorose, nelle quali i legami con la tradizione gotica si vanno

riducendo a puro substrato. La sua importanza è quantitativamente minore delle

66

Maarten van Heemskerrck, pittore olandese attivo durante il periodo del “ rinascimento “ transalpino.

Heemskerck, 1498 – Haarlem, 1574. 67

D. Angulo Inígues, Pintura del Renacimiento, in Ars Hispaniae, cit., vol. XII, pp. 177-179

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opzioni moderate, come quelle di Pietro di Fontaines e di altri, però la sua alta

qualità stimola molto incisivamente diversi gruppi di pittori e clienti locali verso

posizioni innovatrici più decisive ed è significativo che questa opzione

all’italianismo sia importante anche per pittori nord europei.

Un artista come Aine Bru68

, che può essere considerato il maggiore di tutto il

Cinquecento in Catalogna, mostra una sensibilità e una tecnica ugualmente

prossima agli artisti fiamminghi e tedeschi. In questo senso diventa inevitabile

pensare ad Aine Bru come ad un artista itinerante, ricettivo e di grande valore che

ha vissuto nel nord Italia mosso da inquietudini simili a quelle che conosciamo

da Dürer con il quale ebbe non poche analogie.69

Fra i pittori che primeggiano nella seconda metà del XV secolo spicca un artista

di origine nordica, Joan di Borgogña attivo in Catalogna; è un artista meno

concentrato e preciso del Bru però più esuberante e appassionato.

Le insistenze di Joan di Borgogña nel movimento, nella torsione, e nella

sinuosità manieristica dei corpi, che non si accompagna ad uno studio anatomico

attento, si risolvono sovente in alterazioni e malformazioni. Una volontà

espressiva lo porta a caratterizzare i suoi personaggi al limite del grottesco e del

caricaturale seguendo criteri molto in voga, da Leonardo a Dürer. Queste opere

non possono essere concepite senza la conoscenza della grande pittura

68

Aine Bru , pittore del XVI secolo attivo in Catalogna. Nel 1502 stipulò un contratto per la

realizzazione di un retablo per l’altare maggiore della chiesa del monastero di Sant Cugat. 69

Garriga J., L’Època del Renaixement, s.XVI. Barcellona 1986, pp. 64-67

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fiamminga. Tuttavia, nelle sue ultime produzioni Juan de Borgoña mostra di

subire fortemente lo stile italiano. Nasce così un certo eclettismo, risultato di

influenze italiane e maniere fiamminghe.70

Nella cornice di una nuova pittura, caratterizzata da un italianismo

prioritariamente veneziano, evidente in artisti nord europei, poco per volta

emergono anche altri linguaggi come un certo leonardismo più o meno diluito in

mezzo a influenze di origine diversa. Sappiamo ancora poco dell’influenza o la

suggestione di Leonardo sui pittori dell’epoca in Catalogna. Un suo diretto

discepolo, Fernando Yáñez71

, che insieme a Fernando de Los Llanos condiziona

profondamente la pittura spagnola, assimila l’opera di Leonardo, la prospettiva

scientifica, il senso del volume e del movimento.72

Yáñez è documentato a

Barcellona nel 1515 in occasione del contratto di Santa Maria del P, però il suo

nome compare fino al 1531 a Girona, in un piccolo retablo dedicato a Sant Elena

– ora al museo della cattedrale- che mostra l’influenza leonardesca.

Il retablo, di una qualità alta, è posto dietro l’altare maggiore della cattedrale.

Sappiamo che per esso fu stipulato un contratto il 19 novembre del 1519, da

Antonio Norri e Pedro Fernández.

La data del maggio 1521 relativa alla conclusione dell’opera si trova nei

polvaroli laterali, dove sono raffigurati San Narciso e San Simone dipinti entro

70

Garriga J., L’Època del Renaixement, s.XVI. cit., pp. 68-70 71

Fernando Yáñez de la Almedina è un pittore spagnolo attivo tra la fine del XV e l’inizio del XVI

secolo. Lavora nella cattedrale di Valencia con Fernando Llanos al retablo dei Santi Cosma e Damiano. 72

AA.VV. La Storia dell’Arte, in La Biblioteca di Repubblica cit., vol IX , p. 356

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architetture romane sostenute da atlanti. Di Antonio Nurri si sa solo che risiedeva

a Girona e nel 1517 lavora al restauro del sepolcro gotico di San Feliu. Pedro

Fernández, anch’esso residente a Girona era originario della Mursia. La struttura

del Retablo presenta un’abbondante decorazione dorata di elementi alla romana

d’esecuzione non raffinata.

Tra le altre influenze che si sono avvertite, si sottolinea la disinvoltura nella

composizione tridimensionale delle storie con la soluzione dei volumi in

posizione variata e negli scorci delle figure sempre rispondenti a una concezione

molto evoluta della pittura e una tecnica di disegno molto matura di radice

lombarda.73

Per un gruppo di studiosi italiani il retablo di Sant’Elena riflette chiaramente la

cultura artistica derivata da Leonardo, Bramante e Bartolomeo Suardi detto

Bramantino. Per questa ragione l’opera è stata attribuita allo Pseudo-Bramantino

senza altri elementi di giudizio che quelli stilistici.

Pseudo-Bramantino è il nome provvisorio che gli esperti hanno dato a un

anonimo di supposta origine ispanica e formazione artistica intensamente

lombarda. In quel momento però non si conosceva il documento contrattuale del

1519 che ha permesso di identificare l’esecutore del retablo di Sant’ Elena con

Pedro Fernandez, pittore di Mursia residente a Girona almeno fino al 1519-21.

Appare chiaro come la formazione di Fernandez è legata alla conoscenza di fatti

73

D. Angulo Inígues, Pintura del Renacimiento, in Ars Hispaniae, cit., vol. XII, pp. 180- 183

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lombardi, progressivamente aggiornati alla luce delle esperienze che andavano

maturando nel Settentrione. 74

La pittura spagnola del XVI secolo conosce particolare splendore, anche grazie

all’arrivo di due grandi artisti stranieri che in modo diverso s’inseriscono nella

vita culturale del paese e sono destinati a lasciarvi una duratura traccia: El Greco

(151 – 1614)75

, che costituisce un’esperienza a sé, assolutamente originale e non

ebbe che pochi seguaci, e Anthonis Mor, che contribuisce all’affermazione del

realismo e dà vita a una vivace scuola.

L’esperienza rinascimentale va gradatamente trasformandosi, specie sotto

l’influsso della Controriforma. Si cercarono allora soluzioni nuove studiando

composizioni esuberanti, il movimento e le forme audaci che lasciavano

all’artista la più ampia libertà di espressione. 76

Nel manierismo europeo un ruolo artistico a sé occupano Dürer e Grünewald

(1480 circa – 1528) 77

che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del

Manierismo d’oltralpe, Dürer facendo conoscere i caratteri dell’arte italiana e

Grünewald portando alle estreme conseguenze un’esasperata ricerca formale.

74

J. Camón Aznar, La Pintura Española del siglo XVI, Madrid 1999, vol, XXIV, pp. 71-74 75

Domenikos Theotokopoulos detto El Greco in relazione alle sue origini. Creta, 1541 – Toledo 1614.

Totalmente misconosciuto fino al XX secolo è ora considerato uno dei più grandi geni dell’arte

occidentale. In Italia entra in contatto con i grandi artisti del pieno Rinascimento: Tiziano, Tintoretto e

Jacopo Bassano sono determinanti per il formarsi del suo stile. Lasciata l’Italia si reca a Toledo e la città

diventa la sua terra d’adozione. 76

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. XII p. 709 77

Mathis Niethard Gothart detto Mathis Grünewald è stato un pittore Tedesco. (Würzburg, 1480 circa –

Halle, 1528.

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La corrente Nord europea si insinua molto presto nella vicenda critica, lunga e

complessa, che ha interessato l’attività del Maestro di Ozieri. Alcune delle sue

opere per lungo tempo sono state attribuite a Mathis Grünewald.78

Gli influssi della cultura nordica in molte delle opere a lui attribuite sono

innegabili. Questa influenza si legge negli aspetti più eccentrici delle sue

raffigurazioni ma soprattutto in un espressionismo a tratti denso di dramma che

attesta una conoscenza diretta delle fonti nordiche da Dürer a Grünewald, da

Altdorfer (1480 circa- 1538)79

a Lucas Cranach il Vecchio (1472 – 1553) 80

, da

Hans Holbein (1497- 1543)81

a Luca da Leida82

Agli inizi del XVI secolo, gli anni del pieno Rinascimento e della Riforma, la

pittura tedesca tocca le sue espressioni più originali e autorevoli con artisti che la

svincolano dalla lunga tradizione medioevale. Lungo il corso del Reno

s’incontrano le città dove il Rinascimento ha avuto il suo più sfolgorante

78

Renata Serra Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, pag. 235. 79

Albrecht Altdorfer, pittore e incisore tedesco. Ratisbona o Altdorf, 1480 circa- Ratisbona, 1538. Si

afferma come il pittore di riferimento della “scuola danubiana”, la corrente pittorica del sud della

Germania. 80

Lucas Cranach il Vecchio, pittore e incisore tedesco. Kronack , 1472 – Weimar 1553. Considerato il

fondatore della scuola sassone , con Dürer, Altdorfer, Grünewald e Holbein il Giovane, è uno dei massimi

protagonisti della straordinaria generazione tedesca che si affaccia sul Cinquecento. Le sue opere sono

caratterizzate da una vitalità di natura fiabesca e da una forza incisiva dei personaggi. 81

Hans Holbein il Giovane. Pittore e incisore tedesco, Augusta, 1497 – Londra, 1543. È considerato uno

dei più importanti ritrattisti del Rinascimento europeo. Le opere sacre mostrano da un lato l’acquisizione

di una monumentalità classica, aggiornata sulle ultime novità dell’arte italiana, e dall’altro un intenso

realismo, una ricerca analitica del dettaglio descrittivo. 82

Marco Magnani Pittura del ‘500 nel Nord Sardegna, scoperte e restauri, Sassari 1992, pag. 16.

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sviluppo: Colmar, Strasburgo, Worms, Magonza, Basilea, tutte con un loro

eccezionale rappresentante.83

A Colmar è da sempre legato il nome di Mathis Grünewald, l’artista tedesco più

importante (insieme a Dürer) della sua epoca. Pur tenendo presenti i dubbi che

ancora sussistono sulla datazione delle opere, è stato comunque possibile dedurne

adeguati elementi per caratterizzare sia la poetica sia la cultura, rispetto

all’ambiente in cui egli è vissuto.

I documenti lo attestano come pittore di corte, con incarichi assai vasti. Si trova e

opera entro centri di altissima cultura, come Isenheim la cui fioritura si deve al

mecenatismo dell’italiano Guido Guersi.84

La singolarissima arte ed iconografia di Grünewald ha suscitato critiche e

perplessità. La biografia di Joachim von Sandrart (il Vasari tedesco), del 1675

parla di <<spirito sottile>>, di temperamento malinconico, di vita solitaria e

infelice, dando così un ritratto analogo a quello dei primi manieristi fiorentini, le

cui pale d’altare o religiose più esasperate sono del resto cronologicamente

coincidenti con quelle del Maestro tedesco.

Manierismo, Barocco, preromanticismo e Romanticismo hanno caratterizzato le

sue espressioni e contribuito a renderlo uno degli artisti più popolari, più studiati

e ammirati del mondo.

83

AA.VV. La Storia dell’Arte in La Biblioteca di Repubblica, cit., vol. 9, pp. 214, 215 84

Enciclopedia Universale dell’arte, cit., vol. VI, p. 906

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È considerato il simbolo vivente dell’interiorità, della capacità di sentire e vedere

con gli occhi dello spirito, e di trasfigurare in modo simbolico ed emotivo la

realtà. A questo si aggiunge il misticismo che pare essere il suo carattere

precipuo. Basti pensare all’Altare di Isenheim e alla potente suggestività che esso

trasmette.85

Tra il 1512 e il 1516, su incarico del precettore Guido Guersi, è impegnato

nell’altare di Isheneim. L’opera, in passato attribuita a Dürer, è tra le più

importanti della sua epoca. L’Altare è costituito da doppi sportelli a battenti con

entrambi i lati dipinti. Nel pannello centrale del lato esterno è raffigurata una

Crocifissione con i Santi Sebastiano e Antonio ai lati, e una Deposizione nella

predella. Nella facciata interna si trova la Natività al centro e ai lati

l’Annunciazione e la Resurrezione. Due sportelli più esterni mostrano i Santi

eremiti: Antonio e Paolo da un lato e le Tentazioni di Sant’Antonio dall’altro.

Uno dei temi trattati ampiamente da Grünewald è quello della Crocifissione. La

scena rappresenta un punto di riferimento all’inizio e alla fine della parabola del

pittore.86

Nella tavola realizzata tra il 1523 e il 1525 la composizione è essenziale, il

paesaggio è appena accennato sul fondo avvolto nell’oscurità che è il colore del

dramma.

85

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VI, pp. 910-912 86

E.H. Gombrich, La Storia dell’Arte, edizione tascabile 2006, pp.266-267

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Grünewald esaspera la visione del dolore: la croce si piega per il peso del corpo

senza vita, il panno che cinge i fianchi si lacera e si decompone, i piedi sono

smisurati e deformi, enfatizzano la presenza del chiodo conficcato nella carne da

cui sgorga ancora il sangue. Le mani si contraggono nell’ultimo spasmo di

dolore.87

Ricettivo all’armonia delle forme rinascimentali Grünewald mantiene tuttavia le

sue radici nella tradizione gotica e tardogotica. Supera però i suoi contemporanei

per istinto e fantasia. Padroneggia i segreti dei colori, si apre alle grandi scoperte

dell’arte italiana ma le interpreta in modo del tutto personale. L’arte per lui non

coincide con la ricerca della bellezza ma, come tutta l’arte religiosa del

Medioevo, deve avere una funzione didascalica, deve illustrare le Sacre verità

della fede. 88

Tutto in Grünewald è sacrificato a questo fine supremo. Non c’è traccia di

armonia o bellezza, come è concepita dai pittori italiani. La Crocifissione è una

raffigurazione spietata di Gesù Crocifisso e non risparmia nulla allo spettatore

per descrivere l’orrore dell’agonia. Il corpo di Cristo è deformato dalla tortura

della croce, le spine penetrano nelle ferite e i chiodi lacerano la carne. La

sofferenza non si limita a sconvolgere la figura del Salvatore ma si estende e

coinvolge i personaggi disposti ai lati della croce, culmina e si condensa nella

87

V. Sgarbi, I Grandi capolavori della pittura , Il Rinascimento, n. 9, vol. II, DVD “ARTE”, Milano 2006 88

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VI p. 910

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figura piccola della Maddalena che si torce le mani disperata, urlando e piegando

il suo corpo con una tensione che è l’espressione di un dolore incontenibile.

Le figure hanno dimensioni diverse quasi a voler allontanare le regole dell’arte

rinascimentale e riproporre invece un principio dell’arte antica e medioevale che

regola le dimensioni delle figure a seconda della loro importanza nella

composizione.89

Una potenza espressiva che è la testimonianza di una ricerca pittorica che vede

l’altra faccia del mondo, ed è “espressione” perché, quanto più insiste, quanto più

deforma, tanto più riesce a mostrare il volto segreto dell’uomo, la nostra parte

misteriosa e demoniaca, tutto quello che dentro di noi rappresenta gli incubi, i

tormenti, i misteri.

Mathias Grünewald rappresenta tutto quello che è stato celato o nascosto nella

dimensione apollinea della pittura italiana.90

La pittura italiana in tutte le sue manifestazioni è una pittura intimamente

classica, intimamente pacificata in cui tutto alla fine trova un ordine e

un’armonia, anche delle tensioni più dolenti espresse per esempio da

Michelangelo nella Cappella Paolina o da Pontormo e dal Rosso Fiorentino nelle

interpretazioni manieristiche dei modelli michelangioleschi, i pittori italiani, per

quanta tensione mostrino, sono alla fine pittori dell’armonia.

89

E.H. Gombrich, La Storia dell’Arte, cit., pp. 266-267 90

V. Sgarbi, I Grandi capolavori della pittura, cit., Il Rinascimento, n. 11, vol. II.

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Enorme è l’importanza di Albrecht Dürer per l’arte tedesca e in genere per il

Rinascimento settentrionale. Egli è, infatti, l’unico artista nord europeo a

comprendere veramente i principi del Rinascimento italiano, traducendo le novità

stilistiche in modo comprensibile per gli artisti e committenti d’oltralpe. Per fare

ciò è necessaria una grande familiarità con la cultura italiana, ma una profonda

esperienza con la tecnica tedesca e fiamminga. Dürer ha saputo conciliare la

teoria italiana con la pratica nordica. Le sue pitture sono certamente grandissime,

ma restano di gran lunga inferiori alle sue creazioni grafiche.

È documentato un suo soggiorno in Italia (dal 1494 alla primavera del 1495) tra

Venezia, Padova e Mantova. Rimane profondamente toccato dall’ambiente

culturale italiano e, benché non si abbiano testimonianze scritte, possiamo dire

che tale esperienza è stata assai importante. Non è colpito solo

dall’interpretazione rinascimentale, ma dalla capacità espressiva ed emotiva delle

opere d’arte italiane.

Il talento esplode nell’Apocalypsis cum figuri, un ciclo di quindici xilografie, una

delle maggiori creazioni dell’arte tedesca di tutti i tempi e fra i più alti capolavori

di Dürer. La sua grandezza consiste, anche, nella magistrale fusione tra la

tradizione grafica tedesca e il classicismo italiano. I paesaggi sono vasti e

pittoreschi con montagne, foreste, fiumi e castelli. Sopra queste visioni sono

figurati personaggi che incarnano tutte le nuove idee sulla bellezza e l’armonia. E

se i vasti paesaggi rientrano nella tradizione dei Paesi Bassi, le maschere della

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disperazione, la drammaticità dei personaggi hanno i loro prototipi in molti

quattrocentisti italiani che solo il talento di un artista di prima grandezza può

accordare e armonizzare in un ardore epico che tocca gli abissi delle coscienze

umane.91

La diffusione delle stampe permette di conoscere in nome dell’artista in tutta

Europa.

Tra le sue opere più famose si colloca L’Adorazione dei Magi del 1504.

La tavola è impostata su una sequenza di piani compositivi che estende

illusoriamente lo spazio. Fra i resti architettonici in primo piano, la farfalla, il

coleottero e il cervo volante, sono il segno dell’estremo interesse di Dürer per il

mondo animale.

Alle spalle dei Magi si apre uno squarcio prospettico molto suggestivo dominato

dalle rovine architettoniche; ricorre il motivo dell’arco che in questo periodo è

presente anche in altre opere di Dürer.

L’influenza del Rinascimento italiano è evidente nelle due tavole raffiguranti i

progenitori: Adamo ed Eva, dove importa il senso della monumentalità che si

riflette nella resa corpi morbidi e sinuosi accarezzati da una luce chiara che mette

in risalto la freschezza della loro gioventù.

91

Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol., IV, p. 443

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Nella tavola dell’Adorazione dei Magi di Bortigali del maestro di Ozieri il

particolare dell’intreccio dei rami e delle travi che delimitano la stalla rimanda a

soluzioni nordiche, (Durer) e italiane (F. Cossa).

Il rapporto figurativo con il Cossa allarga ulteriormente il bacino di riferimenti

cui il Maestro attinge e presuppone che egli abbia conosciuto la produzione

italiana del Quattrocento ferrarese.92

92

Marco Magnani Pittura del ‘500 nel Nord Sardegna,scoperte e restauri, Sassari 1992, p. 42

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CAPITOLO III:

IL MAESTRO DI OZIERI

Dalla metà del Quattrocento alla metà del Cinquecento la Sardegna conobbe un

periodo di grande fioritura artistica partecipando attivamente allo scambio

culturale che coinvolse i maggiori centri del circuito mediterraneo: Barcellona,

Napoli e Palermo, ed elaborando, per la prima volta, un’espressione artistica

locale sostenuta da influenze iberiche, italiane e nordiche ma caratterizzata da

peculiarità proprie.

La produzione pittorica isolana s’inserisce attivamente in un contesto artistico

che non è soltanto quello sardo ma nazionale e ancor più mediterraneo.93

Protagonisti di questa nuova fase culturale sono diversi pittori e scultori attivi in

Sardegna tra Quattrocento e Cinquecento. Personalità originalissime che con il

loro talento creativo rielaborano in assoluta libertà le diverse tendenze di un

circuito ampio e variegato realizzando opere pittoriche di grande pregio artistico

e notevole valore storico.94

Nel nord Sardegna l’artista veramente innovatore è il Maestro di Ozieri, una

figura tra le più misteriose della storia della pittura sarda del Cinquecento. Per la

93

M. Magnani, in Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, scoperte e restauri, cit., p. 11. 94

M. Magnani, in Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, scoperte e restauri, cit., p.13.

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conoscenza di questo anonimo pittore ebbe fondamentale importanza la mostra

dei suoi dipinti che si tenne ad Ozieri nel 1982. Non è stato facile per gli studiosi

stabilire, nel quadro culturale sardo del Cinquecento, lo stile del Maestro. La

definizione della sua figura, che oggi è abbastanza delineata, sebbene vi siano

aspetti ancora incerti e sfuggenti, è una conquista della storiografia recente.

Nel corso del tempo, studi attenti e ricerche accurate hanno permesso di

raggruppare un insieme di opere, per stile e fattura, attribuendone la produzione

all’anonimo cui è stato dato il nome di Maestro di Ozieri. 95

Per lungo tempo fu dimenticato e le sue opere attribuite ai grandi del momento,

sardi, italiani e stranieri: Giovanni Muru, i fratelli Cavaro, Filippino Lippi e

persino Grünewald.

Le maggiori difficoltà incontrate dagli studiosi sono state quelle di trovarsi nella

mancanza pressoché totale di documenti e notizie sulla cronologia e sugli

avvenimenti della sua vita.96

Per quanto riguarda l’identità anagrafica, si preferisce considerarla ancora ignota

nonostante le interessanti proposte recenti di identificarlo con Andrea Sanna, un

pittore attivo nell’ozierese alla fine del XVI secolo, autore di un dipinto – ora

95

R. Serra, in Storia dell’arte in Sardegna, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro,

1990, p. 235. 96

R. Serra, in Storia dell’arte in Sardegna. Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, cit., p.

236.

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scomparso – per la parrocchiale di Osidda.97

Anche in questo caso non si sono

conservate le opere, pertanto la prudenza scoraggia l’azzardo di dare per certo un

nome al pittore.

Al di là degli aspetti ancora incerti è importante valutare da un punto di vista

artistico l’attività del Maestro, unico pittore sardo del Cinquecento, che, oltre ai

Cavaro, si impone alla considerazione di un contesto che supera i limiti isolani.

Ancora prima di inquadrare la personalità, le sue opere attirarono l’attenzione dei

grandi viaggiatori di Sardegna, Valery, Alberto della Marmora, e degli studiosi

isolani dell’Ottocento quali Giovanni Spano ed Enrico Costa.

Giovanni Spano vedendo il polittico della Madonna di Loreto di Ozieri, l’opera

che più tardi darà il nome al Maestro, ne lodò il grande pregio attribuendone la

fattura a Giovanni Muru.98

Gli studi sulla sua produzione iniziarono quando Hermann Voss sostenne, nel

1930, che la tavola raffigurante una Crocefissione, vista presso un antiquario di

Wiesbaden 99

e attribuita fino allora a Grünewald, doveva essere opera di un

artista sardo del XVI secolo, lo stesso manierista che aveva eseguito una

97

F. Amadu, Individuazione del Maestro di Ozieri, in Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo, V- 1960, n.

25. 98

G. Spano, Tavola della chiesa di Loreto in Ozieri, in “Bullettino archeologico sardo”, Cagliari 1861, p.

111. 99

La tavola, proveniente dalla sardegna, è andata perduta.

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Crocifissione per il Retablo di Santa Croce a Cannero sul lago Maggiore, e una

tavoletta raffigurante una Crocifissione conservata al Museo Sanna di Sassari.100

Nel 1937 Raffaello Delogu coniò il nome di Maestro di Ozieri per l’autore del

Retablo di Nostra Signora di Loreto proveniente dalla chiesa omonima situata

alla periferia di Ozieri e oggi conservato nella cattedrale della città, considerando

l’autore un seguace di Michele Cavaro, attivo nella celebre scuola di pittura del

quartiere di Stampace a Cagliari. Sempre il Delogu, nel 1952, attribuì al Maestro

una serie di dipinti: la Crocifissione di Cannero, appartenente al Retablo di Santa

Croce, la Crocifissione di Wiesbaden, un Crocifisso conservato al Museo Sanna

di Sassari e quattro tavole superstiti del Retablo di S. Elena nella parrocchiale di

Benetutti.101

La figura del Maestro assume nel corso del tempo una posizione sempre più

definita nel panorama pittorico isolano della seconda metà del Cinquecento,

richiamando all’attenzione critica il Manierismo italiano.102

Nelle sue opere confluisce una varietà culturale che comprende elementi nordici -

specialmente tedeschi - emiliani, lombardi, toscani, romani, campani – nello

specifico napoletani – individuabili nei modi, nelle iconografie, nella ricerca di

100

L. Agus, in La Parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice e i retabli del Maestro di Ozieri. Bono 2001,

p. 119 101

L. Agus, in La Parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice e i retabli del Maestro di Ozieri., cit., p.121. 102

R. Serra, Storia dell’arte in Sardegna, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, cit., p.

236

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effetti luministici particolari, mostrando con uguale evidenza anche caratteri in

cui s’identifica la componente sardo-ispanica.103

Nel 1962 fu attribuita al Maestro di Ozieri una tavola raffigurante la Sacra

Famiglia appartenente ad un retablo smembrato della parrocchiale di Ploaghe, e

qualche anno più tardi una tavoletta raffigurante San Sebastiano conservata al

Museo Sanna di Sassari, proveniente verosimilmente dal Retablo di Santa Croce

della parrocchiale di Cannero. Nel 1969 si trovò, per questo gruppo di opere, una

collocazione cronologica alla fine del XVI secolo.104

A detta di Renata Serra il Retablo di Nostra Signora di Loreto potrebbe essere

stato eseguito fra il 1591 e il 1593. A sostegno di questa tesi giova il

ritrovamento di alcune fonti documentarie riferibili al convento francescano di

Ozieri. In quegli anni, infatti, i Cappuccini, devoti alla Vergine di Loreto, si

stabilirono nel convento che era stato abbandonato nel 1528.

Il Retablo di Santa Croce dovrebbe risalire agli anni intorno al 1596 quando

venne eretta la nuova chiesa della confraternita sassarese di Santa Croce.

Una Chiesa di Santa Croce, ora non più esistente, è documentata a Sassari. In origine era

probabilmente una sinagoga che dopo l’espulsione degli ebrei nel 1492, fu officiata dalla

confraternita omonima. Fu demolita nel 1824 per ampliare il seminario.105

103

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, Roma 1980, p. 35 104

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit., p. 95. 105 F.C. Casula, Dizionario Storico Sardo, Sassari 2003, p. 1500

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Di recente sono state assegnate a questo artista quattro tavole superstiti di un

antico retablo della parrocchiale di Bortigali.106

A questo gruppo di opere si è pensato di aggiungerne altre che per qualità

stilistiche si avvicinano alle opere del Maestro o della sua cerchia.

E’ il caso della Sacra Famiglia presso l’episcopio di Bosa,107

e del Retablo di

San Marco a Berchidda108

proveniente dall’omonima chiesa e collocato nella

nuova parrocchiale del paese.

Alla sua scuola andrebbe inoltre riferito il Retablo di San Giorgio di Perfugas,109

proveniente dalla chiesa campestre edificata in forme gotico-argonesi fra Quattro

e Cinquecento. 110

Nel 1982 in occasione della già citata mostra ad Ozieri sulle opere del Maestro,

Antonia D’Aniello ha proposto di anticipare la datazione del Retablo di Nostra

Signora di Loreto all’inizio del Cinquecento e di conseguenza retrodatare tutta

l’attività del Maestro.

La sua posizione è sostenuta da una serie di argomentazioni. La prima è che

l’artista è indubbiamente condizionato da tendenze riconducibili alla prima metà

del secolo come il “raffaellismo” diffuso in Italia meridionale da Andrea da

Salerno, il “leonardismo” mediato da Cesare da Sesto, intrapreso verosimilmente

106

G. Spano, Emendamenti e aggiunte all’itinerario dell’isola di Sardegna del Conte Alberto della

Marmora, Cagliari 1874, p.137. 107

Bosa è un comune di circa 8000 abitanti della provincia di Oristano. 108

Berchidda è un comune di circa 3000 della provincia di Olbia-Tempio 109

Comune di 2400 abitanti nella provincia di Sassari 110

L. Agus, in La Parrocchiale di S. Elena Impersatrice e i retbli del Maestro di Ozieri, cit., pp. 122-123.

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durante un soggiorno nel settentrione d’Italia, il primo “manierismo” di Pedro

Fernandez e la conoscenza diretta della cultura nordica che va da Dürer a

Grünewald a Cranach.111

Questa teoria fa pensare ad un’ampia circolazione di

artisti tra la penisola, la Sardegna e la Spagna e ad una formazione italiana del

Maestro nei primi decenni del secolo.

La seconda questione si basa sull’osservazione delle iconografie e della foggia

degli abiti femminili osservabile, per esempio, nella tavola dell’Invenzione della

Croce del Retablo di Sant’Elena di Benetutti112

. Questi particolari, secondo la

tesi della D’Aniello, riportano alla moda del primo Cinquecento, dai colori

chiari, gli scolli quadrati e le maniche affusolate diffuse in area tedesca, e non

alla moda spagnola diffusa in Europa alla fine del secolo, come sostenuto da altri

studiosi. 113

Alla tesi di D’Aniello si oppone Caterina Limentani Virdis che esclude la

collocazione delle opere in date precoci. Sostenendo i legami stilistici del

Maestro con artisti lombardi, campani e tedeschi - che riconosce ampiamente -, è

proprio attraverso questi aspetti che smentisce con forza la tesi della D’Aniello. Il

confronto con alcune opere di Grünewald, i cui richiami ricorrono nel retablo

ozierese, riguarda due pannelli datati al 1524. È impossibile pensare a

un’esecuzione dell’opera entro il 1528 poiché, per il Nostro, in quelle date si è

111

M. Magnani in Pittura del ‘500 nel nord Sardegna,scoperte e restauri, cit., p. 16. 112

Comune di 2000 abitanti nella provincia di Sassari. 113

M. Magnani in Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, cit., pp. 16-17.

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supposta la presenza a Napoli, con Cesare da Sesto e lo Pseudo-Bramantino. La

stessa storia della pittura sarda sarebbe stata diversa se altri pittori, operanti nella

prima metà del Cinquecento, avessero potuto conoscere le opere del Nostro. A

sostegno della tesi della Limentani Virdis, contribuisce anche la teoria del ritardo

culturale che ha riguardato la storia artistica, e non solo, della Sardegna. Il

Retablo di Nostra Signora di Loreto sarebbe dunque opera matura di un artista

che girò per l’Italia e l’Europa e che portò in Sardegna un considerevole bagaglio

di conoscenze che vanno dalle stampe nordiche, al manierismo italiano e alla

pittura campana. 114

Renata Serra e Corrado Maltese, sostenendo la tesi di Caterina Limentani Virdis,

collocano le opere del Maestro alla fine del Cinquecento. La loro datazione si

regge sulla teoria del ritardo culturale che ha sempre caratterizzato le espressioni

artistiche sarde rispetto al resto del mondo. Una teoria che non può essere

applicata, a detta della D’Aniello, ad un pittore di un così alto livello artistico

come il Maestro di Ozieri.

Marco Magnani, nei suoi studi sul Maestro sostiene che le opere di Bortigali

sono espressione dello stesso linguaggio pittorico e dello stesso momento storico

che è quello del primo Cinquecento. Una proposta di datazione aderente a quella

della D’Aniello e totalmente divergente da quella proposta da Renata Serra,

114

R. Serra, Storia dell’arte in Sardegna, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, cit., p.

241.

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Corrado Maltese e Caterina Limentani Virdis. Le suddette teorie si rifanno, oltre

che al ritardo culturale della Sardegna, al momento dell’occupazione da parte dei

Cappuccini, del convento della Vergine di Loreto di Ozieri, tra il 1591 e il 1593.

I frati però abbandonano quasi dubito la sede a causa dell’insalubrità dell’aria.

E’, pertanto, improbabile che abbiano pensato di commissionare un’opera di un

certo peso artistico per una chiesa che intendevano abbandonare. 115

Magnani

considera inverosimile anche la data del 1528 (proposta dalla stessa D’Aniello)

per la commissione di un retablo da parte dei Minori Osservanti che prima dei

Cappuccini occupavano lo stesso convento. Lo storico suppone invece che la

chiesa abbia continuato ad essere officiata per quasi tutto il secolo, dal 1528 al

1593, anche in assenza dei frati.

Stante queste considerazioni il retablo di Bortigali116

si colloca in quegli anni e

in prossimità della Sacra Famiglia di Ploaghe117

.

Nonostante le opinioni contrastanti sulla collocazione storica precisa, è stata

proposta una cronologia delle opere.

Le prime sarebbero le tavole raffiguranti la serie dei Crocifissi del tipo gotico-

doloroso che in Sardegna ha come modello il Crocifisso di Nicodeno nel San

Francesco di Oristano. Uno schema inaugurato nella bottega di Pietro Cavaro nel

retablo del Duomo di Cagliari, di cui il Maestro si serve costantemente nelle sue

115

M Magnani p. 14-15 116

Comune di 1400 abitanti nella Provincia di Nuoro 117

Comune italiano di 4700 abitanti della provincia di Sassari.

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crocifissioni. Seguirebbe il retablo per la cattedrale di Ploaghe, di cui faceva

parte la grande tavola della Sacra famiglia che riprende fedelmente, nella

posizione dei personaggi e nei dettagli ambientali, la famosa incisione di

Marcantonio Raimondi: la Madonna della gamba lunga realizzata intorno al

1527. 118

Altro chiaro riferimento che vi si coglie è ancora una volta il retablo del

Duomo di Cagliari con la Vergine ammantata da una veste di broccato intessuto

d’oro.

Successivamente sarebbero state eseguite le tavole delle Crocifissioni di Ozieri,

Cannero e Benetutti coi rispettivi retabli. Queste opere sono caratterizzate da una

maggiore complessità compositiva che interessa figure e paesaggi. 119

Le opere in questione si caratterizzano per omogeneità di stile e coerenza nella

tecnica pittorica, tuttavia sono evidenti i vari influssi che hanno contraddistinto di

volta in volta le diverse opere.

La tavola con la Sacra Famiglia di Ploaghe è ricca di spunti assorbiti a Napoli a

contatto con pittori di varia cultura attivi in Campania dalla prima metà del

Cinquecento. Altrettanto può dirsi delle quattro tavole del Retablo di Benetutti

che abbracciano più le tendenze di ambito campano, dove artisti come Cesare da

118

Le stampe e le incisioni ebbero un’importanza fondamentale nella cultura figurativa in Sardegna

durante tutto il Cinquecento. Spesso sono state l’unico modello per la creazione di iconografie, di

paesaggi, di architetture scenografiche di molte raffigurazioni pittoriche del periodo. Le stampe sono state

un vario repertorio iconografico cui attingere fisionomie e personaggi. 119

R. Serra, Storia dell’arte in Sardegna. Pittura e scultura dall’età romanica alla metà del ‘500, cit., p.

241.

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Sesto e Polidoro da Caravaggio diffondevano le novità della bottega romana di

Raffaello.120

Per il Maestro si è, infatti, supposto un soggiorno nel continente italiano che

spiegherebbe la sua ricca cultura pittorica a contatto con linguaggi figurativi

diversi, rivalutando il ruolo dell’Italia, e non solo della Spagna, come polo di

attrazione per gli artisti sardi. Si suppone inoltre la presenza del Maestro a

Cagliari, nella bottega dei Cavaro, per intraprendere l’attività o per perfezionare

la tecnica.

Nel retablo di Nostra Signora di Loreto i modelli per le iconografie sono Dürer

nella tavola della Visitazione e Tiziano per l’Annunciazione, mediati attraverso le

stampe di Marcantonio Raimondi e Giacomo Caraglio. Nel Retablo di Santa

Croce i richiami sono ancora a Dürer e, nella Deposizione, a Raffaello.

A proposito dell’influenza raffaellesca nelle opere di molti artisti sardi del

Cinquecento, fu il Delogu a distinguere tra chi accolse di prima mano il

“raffaellismo” e quanti invece lo accolsero attraverso una personalità mediatrice.

Secondo il Delogu, il Maestro di Ozieri rientra a pieno titolo nel primo gruppo

con la sua pittura di altissimo livello e di attestata qualità. 121

Come già detto in precedenza, i caratteri stilistici che contraddistinguono il

corpus di opere attribuite al Maestro svelano una formazione continentale ad

120

A. D’Aniello, Il Maestro di Ozieri: cultura locale e maniera italiana in un pittore sardo del ‘500, in

Maestro di Ozieri, catalogo della mostra, Ozieri 1982, p.12. 121

R. Delogu, Michele Cavaro, in Studi Sardi, 1937, pp. 46-47

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ampio raggio di esperienze culturali che vanno dallo studio della pittura nordica e

fiamminga in particolare al manierismo campano e alla cultura prospettica

lombarda.

Una Sacra Famiglia dell’Episcopio di Bosa, copia della Sacra Famiglia di

Francesco I al Louvre, tipicamente raffaellesca, è mediata da una stampa – con

ogni probabilità di Marcantonio Raimondi – e interpretata con accenti coloristici

secondo la maniera del Maestro di Ozieri.

Nelle opere del Maestro ricorre la novità strutturale delle tavole quadrate che

richiama un dipinto come la Visitazione, del convento di San Pietro di Silki a

Sassari, attribuito a Ferdinand Storm, pittore fiammingo attivo in Spagna tra il

1537 e il 1556. Altre presenze fiamminghe nel nord Sardegna sono la Madonna

dell’uva, al Museo Sanna di Sassari e la Madonna col Bambino di Ploaghe

assegnabili alla cerchia di Jan Gossaert detto il Mabuse. 122

OPERE

Il Retablo di Nostra Signora di Loreto.

E’ l’unica opera integra del Maestro, quella da cui il Delogu ha tratto il nome col

quale viene indicato. E’ conservata nell’aula capitolare della Cattedrale di Ozieri

122

R. Serra, Pittura e scultura dall’età romana alla fine del ‘500, cit., p. 247, 250

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e proviene dalla chiesa omonima ( Nostra Signora di Loreto) che sorge a poca

distanza dall’abitato e che fu sede del primo convento francescano della città,

fondato nel 1470 verosimilmente da Bernardino da Feltre. Fu abbandonato nel

1528 per essere rioccupato dai Cappuccini nel 1593. 123

Lo Spano che poté ammirare l’opera scrisse: << Ma il gran pregio di questo

sacro Tempio è quello di possedere una gran tavola che trovasi nell’altar

maggiore con sette diversi scompartimenti di stile antico e più bello. E’ attribuito

al Muru, quello che dipinse la grande assita di Ardara: e se non vi pose il suo

nome è perché non ebbe occasione di nominare quelli che gli avevano ordinato

l’opera come fece con quella di Ardara124

>>. L’attribuzione al Muru è oggi

molto distante dai risultati della critica d’arte, ma l’entusiasmo dello storico è

facilmente condivisibile. Lascia perplessi, invece, la mancata menzione

dell’opera da parte dei grandi viaggiatori quali il Valery e Alberto della

Marmora. Questa “lacuna” potrebbe essere spiegata con il fatto che il polittico si

trovava, allora, in una piccola chiesa fuori dell’abitato di Ozieri e solo nel 1870

fu trasferito nella Cattedrale.

Il polittico125

è formato da sette tavole. In alto è collocata la Crocifissione,

secondo la norma dei retabli sardo-ispanici, subito sotto la Madonna di Loreto, e

123

G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commercialedegli stati di S. M. il Re di Sardegna,

Torino 1845, p. 796. 124

G. Spano, Tavola della chiesa di Loreto in Ozieri, in Bullettino archeologico sardo, Cagliari 1861, p.

11 125

Eseguito con la tecnica di olio su tavola, ha le seguenti dimensioni: m. 2,30 x 1, 90.

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negli scomparti laterali l’Annunciazione a sinistra e la Visitazione a destra. Nella

predella: i Quattro dottori della chiesa e al centro l’Ecce Homo.

La tavola della Crocifissione ripropone l’iconografia del Cristo gotico-doloroso

che in Sardegna ha come modello il Crocifisso di Nicodemo nel San Francesco di

Oristano.

L’aderenza stilistica con la Crocifissione di Benetutti è altissima. Si confronti la

postura delle gambe fortemente piegate, il capo reclinato e la corona di spine.

L’ambientazione paesaggistica con lo sfondo che si perde in lontananza mostra

una città fortificata. I colori del cielo sono diventati cupi e lividi, testimoni del

dramma ineluttabile che si è compiuto.

Nella tavola centrale è la Vergine di Loreto. Tiene in braccio il Bambino e siede

sul tetto del tempio. E’ un tempio dalle forme classiche di ascendenza iberica

diffuse nel meridione dell’isola.126

Il Bambino, nella posizione leziosa e nella

resa delle rotondità morbide ricorda quello dipinto da Cesare da Sesto, fra il 1521

e il 1523, nella tavola della Madonna col Bambino nel polittico di San Rocco.127

Di quest’opera esiste una versione quasi identica dipinta da Andrea Sabatini per

l’abbazia di Cava dei Tirreni a Salerno.

126

C. Maltese, R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, Milano 1969, p. 334 127

Nel polittico di San Rocco, conservato a Milano nel Castello Sforzesco, è possibile rintracciare i

modelli pittorici a cui Cesare da Sesto guardò: Leonardo nelle soffuse sfumature dei paesaggi sullo

sfondo, Raffaello nella dolcissima figura della Vergine che riprende nella posa e nell’inclinazione del

capo la Madonna di Foligno. Il riferimento a Michelangelo si riscontra nella tavola del San Giovanni

Evangelista che ricorda il profeta Daniele della Sistina e le novità di Michelangelo e Raffaello che il

pittore conobbe durante il suo soggiorno a Roma tra il 1508 e il 1513.

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Alle spalle della Vergine quattro angeli musicanti sostengono un drappo rosso,

richiamo esplicito a Fra Bartolomeo nella Madonna della Misericordia del 1515,

e nel Matrimonio mistico di Santa Caterina del 1512.128

In entrambe le opere,

piccoli angeli svolazzanti sollevano morbidi drappi.

L’Annunciazione.

In questa tavola l’architettura ha una grande valenza scenica. In un ambiente

dalle strutture classicheggianti sono incluse le figure manieristicamente allungate

e deformate. Gli accenti di luce cangiante nei panneggi fanno pensare ad

un’esecuzione diretta da parte del Maestro.

I volti, in questa tavola e in quella della Vergine di Loreto, sono stati ridipinti

durante un restauro nel 1870 da parte di un pittore ozierese: Salvatore Ghisaura.

129

I richiami sono a Tiziano per il San Domenico Maggiore di Napoli, attraverso le

stampe del Caraglio.

La Visitazione

In questa tavola la fonte iconografica è Dürer mediato dalle stampe di

Marcantonio Raimondi. Il paesaggio si ripete secondo i moduli dei paesaggi

128

Le suddette opere di Fra’ Bartolomeo della porta si trovano rispettivamente al Museo Nazionale di

Villa Giunigi di Lucca e al Louvre di Parigi. 129

F. Amadu, Il Maestro di Ozieri, cit.

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nordici: rupi aspre si disegnano sul fondo e trasparenze azzurrine velano il cielo.

Le architetture hanno ancora un valore scenico. 130

La predella.

Della predella appartiene al Maestro forse soltanto lo scomparto centrale che

raffigura Cristo Deriso, d’ispirazione ancora nordica. Gli altri due pannelli

accolgono i Quattro dottori della chiesa che sembrerebbero eseguiti da aiuti

poiché si rileva un’inferiore qualità esecutiva. I personaggi, due per pannello,

sono raffigurati seduti. I due con barba bianca, che reggono piccole architetture

religiose, potrebbero rappresentare i padri della chiesa; gli altri sono un vescovo,

individuabile dalla mitra, e un papa per la tiara.131

La Sacra Famiglia di Ploaghe132

Si tratta dell’unico frammento di un altro retablo del Maestro, andato perduto. E’

un’opera di grande raffinatezza stilistica che ripropone la ricchezza di riferimenti

pittorici che vanno dalla cultura lombarda a quella napoletana e indirettamente a

quella romana, senza trascurare la componente ispanica. Rimanda alla maniera

raffaellesca, sia sotto il profilo formale che per le iconografie. E’ immediata

130

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, scoperte e restauri. Cit. p. 17 131

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit. p. 132

Dimensioni della tavola: m. 1,44 x 1,50.

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l’associazione con l’incisione di Marcantonio Raimondi detta la Madonna dalla

gamba lunga databile tra il 1518 e il 1519, a sua volta ispirata a un modello

raffaellesco. Altri spunti allargano il campo dei riscontri rivelando una

formazione maturata nel Continente, soprattutto a Napoli, a contatto con pittori di

varia cultura e provenienza che vi operarono nella prima metà del Cinquecento.

Fra questi rientrano a pieno diritto Pietro Cavaro e il figlio Michele. Il Maestro

stesso potrebbe essere stato a Cagliari alla bottega dei Cavaro per intraprendere

l’attività oppure perfezionarla.

Dal confronto con l’incisione di Raimondi si può vedere la perfetta assimilazione

delle forme e le profonde capacità interpretative. La scena è composta secondo le

due diagonali. Una si diparte dalla testa del ragazzo che regge il drappo, e

continua nella Vergine e San Giovannino, l’altra parte dalla figura di San

Giuseppe, passa per il San Giovannino e tocca infine Gesù. Il ragazzo, che

nell’incisione è solo uno spettatore nascosto dietro i ruderi, nella tavola del

Maestro partecipa alla scena sollevando il drappo damascato. In primo piano è la

figura bellissima di Giuseppe che rivolge lo sguardo allo spettatore. Il suo piede

allungatissimo richiama lontane influenze catalane. 133

La tavola di Ploaghe

manifesta la conoscenza delle novità raffaellesche mediate da Cesare da Sesto e

poi di Andrea Sabatini, da cui il Maestro aveva appreso la <<maniera

moderna>>. Al di là di questi adeguamenti alle novità italiane, la tavola di

133

A D’Aniello, IL Maestro di Ozieri, cultura locale e maniera italiana. Catalogo della mostra, cit., p. 12

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Ploaghe rinnova il ricordo dello spirito quattrocentesco nel drappo damascato,

nelle aureole dorate e decorate con scritte e archetti e nell’estofado de oro nel

manto della Vergine. 134

Il Retablo di Sant’Elena di Benetutti

Nella sacrestia della parrocchiale di Sant’Elena di Benetutti si conservano quattro

tavole dipinte ad olio, appartenenti sicuramente ad un’opera grandiosa e di

pregevole fattura. Lo Spano sostiene che l’opera sia stata smembrata durante i

lavori di ampliamento della parrocchiale.135

Due tavole raffiguranti ciascuna due evangelisti, che il canonico a suo tempo

ebbe modo di vedere, sarebbero state trafugate durante l’occupazione militare del

1943. La predella mancava completamente.136

Stranamente, lo Spano, non fa menzione della tavola raffigurante S. Elena che

forse, per ragioni a noi ignote, non ebbe la possibilità di vedere.

Nel tentativo di ricomporre l’ordine delle tavole così come dovevano essere

nell’antico retablo sostiene che al centro del polittico era collocata la tavola del

Ritrovameno della Croce.137

Le altre tavole raffigurano la Crocifissione, San Elena in trono e la Prova della

vera croce.

134

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, scoperte e restauri. Cit. p. 17 135

G. Spano, Acque termali di San Saturnino presso Benetutti, Cagliari 1870, p. 35. 136

G. Spano, Acque termali di San Saturnino, cit. pp. 35-40 137

G. Spano, Acque termali, cit., p. 36.

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Come nei cicli pittorici dedicati alla santa o al rinvenimento della Croce, anche

nel retablo di Benetutti sono raffigurati episodi legati alla vicenda dell’Inventio,

che la videro protagonista.

La fonte letteraria è la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Il racconto è molto

suggestivo e ricco di particolari di grande fascino finalizzati ad esaltare gli eventi

miracolosi fino al culmine della storia, cioè al tema dominante della narrazione:

il trionfo della Croce che guida l’uomo alla salvezza. Il racconto si snoda

attraverso i secoli e ha i suoi momenti salienti nella morte di Adamo, dal cui

corpo fiorirà l’albero della croce, nella visita notturna dell’angelo all’imperatore

Costantino con la predizione della vittoria su Massenzio, nel ritrovamento del

Sacro legno e nell’ingresso di Eraclio a Gerusalemme. Tuttavia l’interpretazione

che i pittori danno della leggenda spesso si discosta dalla tradizione o non segue

l’ordine del racconto. Talvolta come accadde con il Maestro di Ozieri, si decise

di raffigurare solo alcuni episodi.

Il più grande illustratore delle storie della Vera Croce è stato Piero della

Francesca nella grande impresa che lo impegna dal 1452 al 1459 nel coro della

chiesa di San Francesco ad Arezzo. 138

Prima di lui il tema iconografico è trattato da Masolino da Panicale ad Empoli e

da Agnolo Gaddi nella splendida cappella maggiore della basilica di Santa Croce

138

G. C. Argan, Storia dell’arte Italiana, Firenze 1968, vol. II, pp. 208-209.

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a Firenze, dove affresca la volta e le pareti con bellissime scene narrate in

successione.139

Se Giovanni Spano colloca al centro del polittico la tavola del Ritrovamento

della Croce, che definisce “il protagonista della tavola”, gli studiosi sono

propensi a utilizzare come modello per una ricostruzione attendibile del polittico

quello per molti aspetti simile, conservato nella cattedrale di Girona, datato 1521

e attribuito allo Pseudo-Bramantino, del quale sono state individuate non poche

affinità stilistiche con il Maestro di Ozieri. Il Retablo di Girona è suddiviso in

otto scomparti che raccontano nell’insieme la storia di Sant’Elena. Nello

scomparto più alto è posta la Crocifissione, secondo la più autentica tradizione

dei retabli catalani, al centro una tavola con la Santa in piedi che regge la Croce.

Il retablo di Benettuti seguirebbe questa impostazione: la Crocifissione in alto e

la tavola con Sant’Elena al centro.

Stando a questa ricomposizione ideale, sorge un dubbio a causa delle dimensioni

delle tavole. La differenza di venti centimetri di larghezza, della Crocifissione,

rispetto alla tavola con S. Elena fa pensare a una soluzione fuori dagli schemi, e

cioè che lo scomparto principale avesse una sorta di cornice decorata da intagli

verosimilmente dorati come quella ai lati della nicchia del Retablo di Ardara. 140

139

G. C. Argan, Storia dell’arte Italiana, cit., vol. II pp. 211, 212, 213. 140

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit.

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Mi pare interessante riportare le notizie riferite da Gionmaria Farina e Antonio

Serra trovate nei documenti dell’archivio capitolare di Alghero riguardanti le

visite pastorali compiute a Benetutti nel 1539, nel 1543 e nel 1549 nelle quali si

accenna ad un Retablo della Madonna col Bambino posto nell’altare Maggiore.

In uno dei documenti compare la seguente notizia: “Lo altar major ab lo retaule

nou sens pintar ab un quadro de la figura de Nostra Signora ab son fill…” e

ancora “ in cima dell’altar un quadro dorado frande con unos misterios de la

Crus de Cristo y de otros santos, en medio del quadro grande hay una imagen de

bulto de nostra Signora con santissimo hijo en brasos “.141

Queste notizie inducono a pensare che al centro ci sia una statua della Vergine

col Bambino. Un particolare che ricorre nel Retablo della chiesa di San Pietro di

Sorres a Borutta.

Nelle tavole di Benetutti è evidente la conoscenza dell’anonimo pittore che

eseguì nel 1521 il Retablo di Girona. L’influsso di questo maestro è documentato

in Sardegna fin dal 1534 attraverso il Retablo del Duomo di Cagliari. 142

Si hanno inoltre diverse prove nell’opera del Maestro del ruolo di filtro che ebbe

la pittura napoletana per il manierismo toscano, ma anche lombardo ed emiliano

e soprattutto romano.

141

G. Farina, Benetutti, appunti per una storia, Benetutti 1993, p. 193. 142

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit., p. 97, 98

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La tavola con Sant’Elena143

presenta la figura all’interno di una struttura

architettonica con un’impostazione scenica, quasi teatrale, ispirata alla lezione

lombarda dello Pseudo-Bramantino.

L’impostazione della figura al centro della tavola ha chiaramente l’intento di

mostrare la solennità e la dignità della Santa Imperatrice. Elena è seduta su un

basamento di marmo all’interno di un ambiente architettonico di stile

classicheggiante.

Le colonne ai lati, più che assolvere la funzione di strutture portanti, diventano

elementi esclusivamente decorativi che catturano e irradiano la luce. 144

La figura appare viva e reale, in una posa austera e dignitosa. La modulazione

plastica delle pieghe del manto conferisce un aspetto solenne e monumentale.

La ricerca cromatica e luministica raggiunge livelli altissimi raramente

riscontrabili nella pittura sarda del Cinquecento. Nel voluminoso e ampio

mantello che copre tutta la figura, dalla testa, alle spalle, alle ginocchia, si

impostano le modulazioni cromatiche nella gamma dei grigi e degli azzurri

volutamente sbiaditi: un richiamo all’altare Heller eseguito da Grünewald a

Francoforte.

Dietro la Santa un drappo rosso si contrappone, con un gioco raffinato di colori,

all’azzurro del manto, i cui lembi cadenti si adagiano sul pavimento.

143

Tavola con Sant’Elena: olio trasportato su tela, m. 1,04 x 1,33. 144

A D’Aniello, IL Maestro di Ozieri, cultura locale e maniera italiana. Catalogo della mostra, cit., p. 14

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La luce tersa colpisce la figura sul lato sinistro intensificando l’espressione del

viso rivolto con sguardo tenero e affettuoso allo spettatore.

Elena ha il capo velato e cinto da una corona d’oro; con la mano destra regge la

croce, con la sinistra esibisce i chiodi della passione, in atteggiamento in tutto

simile alla Sant’Elena della lunetta dell’Adorazione dei Magi di Andrea da

Salerno, ora a Capodimonte e alla Pentecoste di Pedro Rubiales nella Cappella

delle Summaria al Castelcapuano di Napoli.145

L’intensità luministica è molto forte, la modulazione plastica dei panneggi rivela

una profonda sensibilità nei confronti del volume e dello spazio, con un richiamo

alla plasticità delle figure di Holbein il Giovane.

Nella tavola della Crocifissione146

l’impostazione scenica pone al centro in primo

piano Cristo crocifisso, ai lati due figure inginocchiate, sullo sfondo una città

fortificata e un paesaggio ricco di particolari con gruppi di figure in movimento.

L’elemento protagonista dal punto di vista strettamente figurativo è il colore, con

i suoi accenti e variazioni di tono. Spicca il bianco del perizoma modellato sul

corpo del Cristo e i colori corposi delle vesti delle figure inginocchiate ai piedi

della croce: rosso intenso il mantello di Giovanni e azzurro cupo il manto della

145

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit., pp. 100 146

Dimensioni: m. 1,48 x 1,43.

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Vergine. Un colore tetro e bluastro crea la scenografia del paesaggio sul fondo,

oltre la scena in primo piano. 147

Nella raffigurazione di Cristo in croce è evidente il richiamo al Crocifisso gotico

doloroso che in Sardegna supera il medioevo mostrandosi di grande attualità non

solo per tutto il Cinquecento ma anche nel Seicento, ispirando opere pittoriche e

scultoree dei grandi maestri isolani.148

Questa di Benetutti è una grandiosa raffigurazione che raggiunge una qualità

drammatica e un livello stilistico notevolmente più alto rispetto alle stesse

raffigurazioni del Maestro. Un’esecuzione che nello spirito drammatico lo

accomuna a Grünewald, il pittore tedesco, straordinario interprete di spettacolari

crocifissioni tra le più belle della pittura nordica del Cinquecento.

Il Cristo del Maestro di Ozieri è meno straziato e cruento di quello di Grünewald.

Il dolore e la sofferenza, che nelle opere dell’artista tedesco raggiungono livelli

altissimi, sono resi in maniera meno violenta, con una tensione emotiva che si

affievolisce giungendo a risultati meno strazianti e spaventosi.

Cristo agonizzante ha il capo reclinato e le ginocchia fortemente piegate, sullo

stile dei crocifissi renani e italo - tedeschi diffusi in Italia, le cui gambe però non

disegnano mai un arco così pronunciato. 149

147

W. Paris, La Parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice e i ratabli del Maestro di Ozieri, cit., p. 43 148

W. Paris, Il Crocifisso gotico doloroso di Ozieri,Sassari 1991, p. 32 149

W.Paris, Il Crocifisso gotico doloroso di Ozieri, cit., p. 12

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Il perizoma, che in Grünewald è lacero e strappato, nella Crocifissione di

Benetutti è un panno bianchissimo che si annoda sui fianchi e scende lungo e

ampio oltre le ginocchia. Il corpo stesso di Cristo non è lacerato dalle piaghe e

straziato dalle contrazioni tetaniche che nelle crocifissioni di Grünewald

deformano le mani e i piedi. Nella tavola del maestro l’immagine è meno cruenta

pur rivelando un’intensa sofferenza che coinvolge anche la Vergine e San

Giovanni che con gesti eloquenti accompagnano l’espressione del dolore. Sullo

sfondo si disegna un ampio paesaggio. L’atmosfera è cupa e livida. La luce

spettrale è presagio di sconvolgimenti naturali e cosmici, espresso da forti

contrasti chiaroscurali che vanno dal nero intenso al bluastro del cielo, schiariti

da colpi di luce che si infrangono sulle mura fortificate della città.150

In questo paesaggio, tra profili di rocce e percorsi accidentati, si distinguono

gruppi di piccolissime figure in movimento, a destra e a sinistra, dirette verso

Gerusalemme che cinta da mura possenti ricorda le città fortificate spesso

ricorrenti nei dipinti cinquecenteschi.151

Giovanni Spano mette in risalto un particolare molto importante e di grande

effetto, collocato in fondo a destra rispetto alla scena principale in uno spazio in

penombra. È la scena della Deposizione vista in lontananza. Con essa il Maestro

sposta l’attenzione dello spettatore dal fatto compiuto, la Crocifissione appunto,

150

W. Paris, La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice, cit., p. 43 151

W. Paris, La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice, cit., pp. 43-44

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su ciò che accadrà dopo, la Deposizione e il trasporto al sepolcro. Un drappo

bianchissimo accoglie il corpo esanime, le figure attorno si caricano di dramma

che cresce e aumenta fino al gesto esasperato e spettacolare di una delle figure

che apre le braccia in uno slancio di disperazione.

Non manca in questo grandioso particolare un richiamo all’opera di Dürer il

Compianto sul Cristo morto, eseguito a Norimberga nel 155, nell’indagine

psicologica dei personaggi stretti intorno a Cristo morto, nella conoscenza

dell’anatomia umana e nella stessa impostazione della figura in diagonale al

centro della scena.152

Nella tavola dell’Invenzione della croce 153

l’episodio è narrato con pacatezza di

toni e devoto raccoglimento. Si rivela una finezza di tratto e una sapienza

cromatica e luministica che fanno pensare all’esecuzione diretta del Maestro. La

luce è tersa e fluida, i colori hanno toni vellutati, le fisionomie sono ben definite

e le ombre morbide esaltano i volumi.154

Nella scena i personaggi si dispongono in due gruppi. A destra uomini ammantati

e con il capo coperto partecipano con trasporto all’avvenimento. Uno di loro

sostiene due croci già estratte dalla fossa, un altro tiene tra le mani un vassoio

con i chiodi della passione. Un vecchio barbuto si china e guarda attento nella

152

W. Paris, La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice cit., p. 44. 153

Dimensioni della tavola, m. 1,22 x 1,00. 154

W paris, p. 57

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fossa, porta la mano destra alla bocca come per dire qualcosa a chi si è calato

dentro. Ivi stanno due uomini che hanno estratto l’ultima croce e la consegnano

ad Elena che si china e la afferra con entrambe le mani. L’espressività dei volti e

dei gesti è resa con forte intensità.

Il volto della Santa è dolcissimo, il capo velato e incoronato, la veste azzurra e il

manto rosso dai colori densi e corposi, sono rifiniti dal contorno esile e

raffinatissimo del bordo dorato.

Attorno alla santa si dispone un gruppo di ancelle dalle espressioni aggraziate. La

foggia degli abiti femminili riporta alla moda del primo Cinquecento dai colori

chiari, dagli scolli quadrati e dalle maniche affusolate diffusa in area tedesca.

Una certa somiglianza, infatti, pare riscontrabile tra la foggia dell’abito di Venere

nella tavola di Venere e Amore o di Laide di Corinto di Holbein il Giovane e

quella della ragazza che con estremo garbo regge il manto di Sant’Elena. 155

I volti femminili ricordano fisionomie più italiane che tedesche o fiamminghe, le

loro acconciature rimandano a quelle intrecciate da Raffaello per le sue figure

femminili così come le espressioni dolcissime dei volti. Basta osservare la serie

di Madonne, che Raffaello esegue durante il periodo fiorentino, dalla Madonna

del cardellino (1506) degli Uffizi, fino alla più celebre Madonna del Prato, nota

anche come Madonna Belvedere, di Vienna. La stessa somiglianza fisionomica si

riscontra nella figura di Santa Barbara e nella Madonna Sistina della

155

W. Paris, Pittura del Cinquecento nel nord Sardegna, scoperte e restauri, cit., p. 26.

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Gemaldegalerie di Dresda, che come la fanciulla del Maestro di Ozieri volge il

viso dolcissimo verso il basso. La figura ritratta di profilo sull’estrema sinistra

della tavola ricorda invece la figura di Saffo nel Parnaso, nella Stanza della

Segnatura in Vaticano, dipinta da Raffaello nella zona inferiore del lunettone

seduta e con il cartiglio in mano.156

Le figure velate e la stessa S. Elena riconducono ancora una volta all’ambito

d’oltralpe, a Lucas Cranach il Vecchio. Nella pala della crocifissione del pittore

tedesco realizzata nel 1503 e conservata all’ Alte Pinakothek di Monaco, la

figura della Madonna con un velo di lino bianco che le copre il capo e le spalle

ricorda le figure velate delle donne nella tavola dell’Invenzione della Croce e

ancora di più si avvicina alla figura di Elisabetta nella tavola della Visitazione del

Retablo della Madonna di Loreto di Ozieri. 157

Nella Prova della vera croce158

, il Maestro racconta l’episodio miracoloso

inquadrando la scena in un ambiente teatrale sullo sfondo di un’architettura di

tipo rinascimentale, secondo un gusto derivato dal mondo classico. 159

I personaggi si assiepano gesticolanti e concitati intorno alla figura seminuda del

miracolato inquadrata di scorcio. La figura è possente, dall’anatomia così

156

W. Paris La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice, cit., p. 57 157

W. La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice, cit., pp. 58-59 158

Dimensioni della tavola: m. 1,19 x 1,02 159

W. Paris, La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice e i retabli del Maestro di Ozieri, cit., p. 59.

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pronunciata da apparire quasi deforme, secondo il gusto pittorico dello Pseudo-

Bramantino.160

Sant’Elena in questa tavola ha un ruolo secondario, è inginocchiata a destra,

quasi irriconoscibile senza i suoi attributi. L’attenzione, infatti, ricade sulla figura

del miracolato e di quella quasi speculare dell’uomo che regge la croce.

Protagonista della scena è il miracolo che si compie attraverso la guarigione

dell’infermo.

La qualità pittorica di questa tavola è ritenuta più scadente rispetto alle altre, sia

nella resa plastica che in altri particolari, facendo supporre la presenza e

l’intervento di un aiuto nell’esecuzione dell’opera. 161

Certe espressioni, certi

gesti e scorci sono impensabili senza la conoscenza diretta del Retablo di Girona

e in questa tavola, come nell’Inventio, si leggono le tracce della maniera italiana

conosciuta dal Maestro a Napoli. Dal presepe di Pedro Rubiales, di collezione

privata romana, deriva il gesto del personaggio barbuto a sinistra del

miracolato.162

160

A D’Aniello, Il Maestro di Ozieri, catalogo della mostra, Ozieri, 1982, p. 31. 161

A. D’Aniello, Il Maestro di Ozieri, catalogo della mostra, cit., p. 31. 162

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit., p. 99

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Il Retablo di Santa Croce

Dello smembrato Retablo di Santa Croce, appartenuto all’omonima chiesa di

Sassari, restano la tavola con San Sebastiano163

conservata alla Pinacoteca

Nazionale di Sassari, una Crocifissione164

che si trova a Cannero sul Lago

Maggiore dove arrivò nel 1527 (a Sassari rimane una copia nella chiesa della SS.

Trinità) e un’altra opera raffigurante la Deposizione di cui si trova una copia

nella chiesa della SS. Trinità. L’esecuzione del retablo dovrebbe risalire agli anni

intorno al 1596, quando fu eretta la nuova chiesa della confraternita omonima. La

chiesa in questione, che il Costa sostiene esistente fin dal 1448, fu distrutta nel

1824 per allargare il seminario che le sorgeva accanto.

Attribuito inizialmente a Grünewald, fu assegnato (H. Voss) ad un anonimo

pittore sardo del XVI secolo.

La piccola tavola con San Sebastiano è stata assegnata al Maestro nel 1969. Viste

le dimensioni ridotte della tavola e la deformazione dell’anatomia, legata ad una

visione dal basso, Renata Serra sostiene che facesse parte dei polvaroli. L’analisi

stilistica ripropone la vicinanza alla cultura lombarda. Sono state riscontrate

numerose affinità con il San Rocco di Cesare da Sesto, (dal confronto si veda la

posizione del Santo, l’inclinazione della testa e la mano sinistra protesa in

avanti). L’anatomia possente e la muscolatura sviluppata risentono della

163

Olio su tavola, dimensioni: m 0,80 x 0,34. 164

Olio su tavola, dimensioni: m. 1,17 x 1,00

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conoscenza e dello studio attento dello Pseudo-Bramantino. In entrambi i dipinti

si inserisce in alto a destra una piccola figura angelica a cui i Santi rivolgono uno

sguardo supplice. Il paesaggio sullo sfondo è ancora un richiamo al

“leonardismo” di Cesare, anche se nell’opera del Maestro la natura è più sterile

con rupi aspre e alberi spogli e stecchiti dei quali non si intravvedono le foglie,

particolare che ricorre in altre sue opere.

Dallo stesso retablo proviene verosimilmente la tavola della Crocifissione di

Cannero. In Sardegna se ne possiede una copia eseguita nel Novecento da Enrico

Murtola. 165

Insieme alle Crocifissioni di Ozieri e di Benetutti presenta una maggiore

complessità compositiva. Il paesaggio riflette soluzioni spaziali e coloristiche

attraverso studiati effetti di luce.

Allo stesso retablo va attribuita la tavola con il Discendimento dalla croce che

riecheggia una stampa omonima del Raimondi. Da G. Spano 166

si apprende che

una tavola con questo tema esisteva nella chiesa di Santa Croce di Sassari, oggi

perduta.

165

R. Serra, Storia dell’arte in Sardegna. Pittura e scultura dall’età romanica alla metà del ‘500, cit., p.

236 166

G. Spano, Emendamenti ed aggiunte al viaggio in Sardegna di A. De La Marmora, Cagliari 1874, p.

202

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Il Valery che visitò Sassari nel 1837 annotò: << La Chiesa della Trinità, nella

cappella della confraternita di Santa Croce, conserva una Deposizione di Cristo

… il miglior quadro della città>>. 167

L’attribuzione al Maestro si basa sulle affinità stilistiche di queste tavole con

altre di sicura attribuzione.

Crocifisso

Sembra essere il più antico.168

La figura di Cristo ricalca quella del Crocifisso di

Nicodemo di Oristano, secondo la tradizione inaugurata in Sardegna nella

bottega stampacina di Pietro Cavaro con il Crocifisso eseguito intorno al 1527,

oggi conservato alla Corte d’Appello di Cagliari.

Lo schema si ripropone identico in tutte le crocifissioni del Maestro, dove

compaiono una sola croce e due personaggi ai suoi piedi: la Madonna e San

Giovanni. Si distingue per la qualità stilistica notevole soprattutto nel trattamento

anatomico del busto. 169

Crocifissione di Wiesbaden170

Oggi non più rintracciabile fu riconosciuta da Hermann Voss nel 1930 che lo

ritenne eseguito dallo stesso pittore della Crocifissione di Cannero e della

167

Valery, Viaggio in Sardegna, traduzione Cagliari 1931, p. 26 168

Olio su tavola, dimensioni: m. 0,46 x 0,30. Sassari, Museo Nazionale G. A. Sanna. 169

R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del 500, cit., p. 240 170

Olio su tavola, dimensioni: m. 0,61 x 0,39. Ubicazione sconosciuta.

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Crocifissione del Museo Sanna di Sassari. Un particolare rilevante è la croce

scanalata che si ripropone nella tavola del retablo di Santa Croce, ma non si

presenta nelle opere di Ozieri e di Benetutti. 171

Le tavole di Bortigali

Di recente sono state attribuite al Maestro quattro nuove tavole: i pannelli

superstiti dello smembrato retablo della parrocchiale di Bortigali. In questi si è

ritenuto di poter riconoscere la mano dell’artista e dei suoi collaboratori.

Le prime notizie relative a queste tavole derivano dall’attenzione di Giovanni

Spano: <<nella sagrestia di Bortigali vi sono tre grandi tavole di scuola

giottesca, una rappresenta l’Annunziata, la seconda l’Adorazione dei Magi e la

terza l’Assunzione. Quest’ultima è la più bella e la più ben conservata. Le teste

degli Apostoli sono le più espressive e di mano maestra. >>172

Marco Magnani osserva come il canonico Spano ritenga più bella e meglio

conservata quella tavola che al momento dell’ultimo restauro era in pessime

condizioni.

Le tipologie dei visi sono del tutto simili a quelle della Visitazione di Ozieri – si

veda il volto della Vergine - e alle comparse femminili del retablo di Benetutti. I

colori sono più vivi e aciduli. Il paesaggio richiama ancora l’ambito nordico così

171

R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, cit. 172

G. Spano, Emendamenti e aggiunte all’itinerario dell’isola di Sardegna del conte Alberto della

Marmora, Cagliari 1874, p. 137.

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come l’attenzione a piccoli dettagli. Le architetture trovano precedenti in Durer,

Mabuse e Pedro Fernandez.173

Ricorre, come a Ploaghe, l’uso del fondo d’oro

presente nella mandorla che circonda l’Assunta, e nelle figure della Madonna

nelle altre tavole. Nella Natività si estende anche a pezzi di cielo oltre le

architetture; nell’Annunciazione e nell’Adorazione è usato anche per le vesti dei

Magi. Si ripresentano le aureole dorate e decorate.

Con Ploaghe e Bortigali si raggiunge la più alta vicinanza a Raffaello tramite le

incisioni; l’Assunzione ricalca un’incisione del Maestro del Dado. 174

Gruppi di figure si assiepano attorno al sarcofago vuoto posto in prospettiva

frontale, in alto tra le nubi la figura della Vergine circondata da angeli musicanti,

del tutto simili a quelli di Ozieri; il cielo sfuma in tonalità azzurre e sulla sinistra

si ripropongono tronchi di alberi spogli, elemento caratteristico delle opere del

Maestro.

Esplicito richiamo a Durer - Assunzione e incoronazione della Vergine - è la

figura dell’Apostolo in primo piano che inginocchiato lascia completamente

scoperte le piante dei piedi. 175

L’incisione del Maestro del Dado è datata al 1532 circa e costituisce un punto di

riferimento sufficientemente valido per ricondurre, sostiene Magnani, Bortigali e

Ploaghe a date vicine, di poco posteriori alla datazione della D’Aniello.

173

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegn, scoperte e restauri, cit., p. 16-17 174

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, cit. ,p. 18 175

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, cit. ,p. 19

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Le opere del Maestro non possono discostarsi molto dalla data dell’esecuzione di

un’altra grande opera: il Retablo dei Beneficiati della cattedrale di Cagliari,

verosimilmente giunto nell’isola dopo il Sacco. Osservando l’opera si nota la

differenza della tavola con la Crocifissione dal resto del polittico che Giusti e De

Castris attribuirono al Maestro di Ozieri in collaborazione con Michele Cavaro.

Proposta che sembra condivisibile per valide ragioni stilistiche e per il dettaglio

della croce scanalata che ricorre in altre sue opere. Uno straordinario particolare

(che si ripropone in maniera quasi identica ) si presenta nelle tavole della Natività

e dell’Adorazione: la stalla costruita con tronchi e assi intrecciati a formare un

recinto da cui si affacciano gli animali, un motivo presente in Durer e in

Raffaello.

Manieristico è l’impianto spaziale e manieristiche sono le posizioni allungate

delle figure che raggiungono una deformazione bizzarra nell’improbabile

posizione dell’angelo nella tavola dell’Annunciazione. Nella tavola della Natività

si riscontra una vicinanza alla maniera fiorentina nella figura di Giuseppe.176

L’intervento di aiuti si coglie nell’Assunzione di qualità più bassa rispetto al

resto.

Prima di concludere il discorso sul Maestro di Ozieri è doveroso un accenno ad

altre opere che presentano stretti legami stilistici con la sua pittura.

176

M. Magnani, W. Paris, Pittura del ‘500 nel nord Sardegna, cit. p. 20

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Il Retablo di Ittireddu,177

di impronta popolareggiante, richiama nella scena della

Crocifissione raffronti con il Maestro (nelle figure di Cristo, della Madonna e di

Giovanni entrambi inginocchiati ai piedi della croce). La semplicità del tratto, la

resa del chiaroscuro e il paesaggio nel fondo denotano una consapevolezza

artistica non ancora matura. 178

Nella parrocchiale di Sorradile sono conservate le tavole della Crocifissione e

della Visitazione appartenenti sicuramente ad un retablo. In esse traspare la

conoscenza delle Crocifissioni del Maestro.

Echi della sua opera si collocano inoltre nel retablo di Nostra Signora di Coros a

Tula datato 1577. Il Crocifisso, le figure degli angeli e le architetture derivano da

quelle del Maestro. Il particolare del vaso con mascheroni, nel pannello in basso

a sinistra è del tutto simile allo stesso nella tavola dell’Annunciazione di Ozieri.

177

E’ un’opera di piccole dimensioni appartenente alla chiesa campestre di San Giacomo. 178

W. Paris, La parrocchiale di Sant’Elena Imperatrice e i retabli del Maestro di Ozieri, cit., p. 47

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TAVOLE

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Tavola 1: Retablo di Nostra Signora di Loreto, Ozieri

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Tavola 2: Elemento di polittico: San Sebastiano (Museo Sanna di Sassari)

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Tavola 3: Elemento di polittico: crocifissione (Parrocchiale di Cannero)

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Tavola 4: Elemento di polittico: Crocifissione. Scuola del Maestro di Ozieri.

(Museo Sanna di Sassari)

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Tavola 5: Sacra Famiglia, elemento di polittico. (Parrocchiale di Ploaghe)

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Tavola 6: Sacra Famiglia di Ploaghe: particolare di San Giuseppe

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Tavola 7: San Sebastiano del Maestro di Ozieri e San Rocco di Cesare da Sesto

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Tavola 8: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico: Sant’Elena.

Parrocchiale di Benetutti

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Tavola 9: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico: Invenzione della Croce.

Parrocchiale di Benetutti

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Tavola 10: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico: Prova della vera Croce.

Parrocchiale di Benetutti

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Tavola 11: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico:

Particolare della Prova della vera Croce.

Parrocchiale di Benetutti

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Tavola 12: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico:

Crocifissione. Parrocchiale di Benetutti

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Tavola 13: Retablo di Sant’Elena. Elemento di polittico:

Crocifissione: particolare della deposizione dalla croce

Parrocchiale di Benetutti

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Tavola14: Retablo di Bortigali. Annunciazione, Adorazione dei Magi, Assunzione.

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Tavola15: Retablo di Bortigali. Natività

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Tavola 16: Crocifissione, elemento di polittico. Scuola del Maestro di Ozieri

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Tavola 17: Sacra famiglia, elemento di polittico, interpretato alla maniera del

Maestro (Episcopio di Bosa)

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Tavola 18: Durer: Visitazione.

Maestro di Ozieri: Visitazione

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Tavola 19: Marcantonio Raimondi. La Madonna della gamba lunga

Maestro di Ozieri, Sacra famiglia

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