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SICUREZZA DEGLI IMPIANTI INDUSTRIALI Autore: L. Fedele Nome File: Dispensa 11 Elementi di manutenzione Revisione: n. 1 del 24/03/03 Pagina: 1 di 49 Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Cattedra di Sicurezza degli Impianti Industriali Appunti del Corso di Sicurezza degli Impianti Industriali Dispensa 11 LA MANUTENZIONE: ELEMENTI SULLE POLITICHE, SULLE STRATEGIE E SUI CRITERI PER LA PROGETTAZIONE E LA GESTIONE DEI SERVIZI DI MANUTENZIONE Lorenzo Fedele

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”Cattedra di Sicurezza degli Impianti Industriali

Appunti del Corso diSicurezza degli Impianti Industriali

Dispensa 11

LA MANUTENZIONE: ELEMENTI SULLE POLITICHE,SULLE STRATEGIE E SUI CRITERI PER LA

PROGETTAZIONE E LA GESTIONE DEI SERVIZI DIMANUTENZIONE

Lorenzo Fedele

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INDICE

1. LO SCENARIO Pag. 3

2. DALL’ANALISI DEL CICLO DI VITA AL PROGETTO DI MANUTENZIONE Pag 6

3. PROGETTARE LA MANUTENZIONE PER OBIETTIVI Pag 11

4. CENNI SULL’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE E DELLE STRATEGIE DIMANUTENZIONE Pag 12

5. LA SCELTA DEI CRITERI GESTIONALI E MANUTENTIVI “OTTIMI” Pag 23

6. LE TECNOLOGIE PER LA MANUTENZIONE SU CONDIZIONE Pag 25

7. TESTABILITÀ E PROGNOSTICA Pag 32

8. I SISTEMI ESPERTI Pag 409. TECNICHE INNOVATIVE PER LA VALUTAZIONE DELL’AFFIDABILITÀ DEI

SISTEMI COMPLESSIPag 44

10. TELEMANUTENZIONE Pag 46

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1. LO SCENARIO

L’evoluzione dei mercati e delle tecnologie induce inevitabilmente motivi di nuova e

crescente competitività, a fronte dei quali i macro-soggetti economici e sociali (Stato,

Imprese, Banche, Cittadini) reagiscono sviluppando meccanismi differenti a seconda delle

rispettive esigenze prioritarie. Fra questi, particolare rilievo - per complessità e diffusione - lo

assumono gli interventi di razionalizzazione, che incidono principalmente sulla struttura della

funzione rappresentativa del costo di produzione (attraverso progetti di automazione

flessibile, di esternalizzazione, di e-procurement e di gestione integrata in chiave di

miglioramento continuo) e gli interventi orientati alla soddisfazione delle parti interessate, i

clienti in primo luogo, che oggi trovano consistenza nei progetti di impostazione di sistemi di

gestione per la qualità, oltre che all’adozione, nel caso di organizzazioni particolarmente

evolute, di modelli gestionali ispirati a criteri di eccellenza (Figura 1).

Da una situazione in cui i fornitori di beni e servizi erano in grado di imporre i loro prodotti

sul mercato, si è passati - dagli anni ‘70 in poi - ad una situazione ben diversa, nella quale si è

reso indispensabile sviluppare fattori di competitività sempre nuovi e sempre più adeguati al

confronto domanda-offerta che si verifica sul mercato. Dall’economia di scala, infatti, cioè

dall’atteggiamento che porta alla ricerca della dimensione produttiva ottimale in relazione ai

costi da sostenere, alla dimensione degli altri operatori del settore e alla domanda che si

verifica, è sempre più evidente il passaggio ad un’economia di prospettiva. Questa è orientata

non solamente alla quantità, ma anche e soprattutto alla qualità, ovvero il grado in cui le

caratteristiche intrinseche dei prodotti e dei servizi offerti soddisfano i bisogni, sia espressi,

sia impliciti, dei Clienti o, più in generale, di tutti gli stakeholders (Figura 2) [1].

Quanto si va affermando, va anche detto, non riguarda solamente i sistemi produttivi

tradizionalmente intesi, quindi di tipo manifatturiero. In realtà, come è facile verificare, si può

pensare di applicare i concetti espressi pressoché indistintamente alle principali categorie di

attività produttive:

trasformazione;

assemblaggio;

trasferimento nel tempo (magazzini);

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trasferimento nello spazio (trasporti);

servizi in genere.

Automazione flessibile

Migliore compromesso

produzione/produttività

Flessibilità

Flexible Manufacturing

Systems (FMS) [2]

Robot [2]

Fabbriche snelle [2]

Esternalizzazione Focalizzazione sul business Consip1

Global service Migliore controllo dei processi di

esternalizzazione Consip1

E-procurement Razionalizzazione della funzione logistica Consip1

Distretti industriali [2]Razionalizzazione

Gestione integrata

Migliore comprensione dei processi aziendali

Miglioramento continuo

Integrazione delle funzioni orizzontali

(qualità, sicurezza, manutenzione, ambiente,

energia, etc.)

Sistemi di gestione per la

qualità (UNI EN ISO 9001)

[3]

Sistemi di gestione integrata

qualità-ambiente sicurezza

(UNI EN ISO 9001, UNI EN

ISO 14001, OHSAS 18001)

Sistemi di gestione

Standardizzazione dei processi aziendali

Monitoraggio della soddisfazione dei clienti

Rapporto bilaterale con i clienti (nella

definizione dei requisiti di prodotto e nel

feedback sul prodotto)

Carte dei servizi2

Soddisfazione degli stakeholders

Gestione eccellente Coinvolgimento degli stakeholders negli

obiettivi aziendali

Premio Qualità Italia

Premio EFQM [4]

Premio Deming

Malcolm Baldridge Award

Total Quality Management

(TQM) [5]

Total Productive

Maintenance (TPM) [6]

Just In Time (JIT) [7]

Meccanismi competitivi Strumenti Obiettivi Esperienze

Figura 1 – Scenario competitivo

1 Si fa riferimento alla società pubblica Concessionaria Servizi Informativi Pubblici (Consip SpA) impegnatanell’analisi del mercato dei servizi per la Pubblica Amministrazione e nella qualificazione dei fornitori migliori,in vista dell’acquisto di forniture di beni e servizi, anche in global service, anche via Internet (Decreti delMinistero del Tesoro del 24 febbraio 2000 e del 2 maggio 2001).

2 Si fa riferimento allo strumento obbligatorio per l’affermazione della qualità nel rapporto tra PubblicaAmministrazione e Cittadini (L. 481/95).

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La categoria dei servizi, in particolare, e fra questi quelli cosiddetti brain intensive (ad alto

contenuto intellettuale; ad esempio, i servizi di ingegneria) sta assumendo oggi, sia per

complessità, sia per rilevanza economica, una importanza crescente e ad essi occorre guardare

con attenzione crescente [8, 9].

I progetti di gestione e manutenzione, ai quali sempre più frequentemente le Organizzazioni

danno vita, si collocano in tale contesto (appena accennato e certamente non esaustivo della

rappresentazione dei fenomeni in corso, ben più articolati e complessi) come espressione

significativa di un’esigenza generalmente verificata, ovvero quella di migliorare in modo

sistematico le proprie prestazioni (sia in termini di efficienza, verso l’Organizzazione, sia in

termini di efficacia, verso l’Esterno) generando così, al contempo, i presupposti per nuove

iniziative imprenditoriali.

Figura 2 – Elaborazione della “Matrice di Porter” [10]

ristretto ampio

vantaggi

ambito di riferimento

costo

diversificazione

ECONOMIA DI SCALA

(PRODOTTI DI MASSA)

PRODUZIONE SU COMMESSA

(PRODOTTI DI NICCHIA)

PRODUZIONE DISCONTINUA

(PRODOTTI DI ALTA GAMMA)

ECONOMIA DI PROSPETTIVA

(PRODOTTI DIFFERENZIATI)

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Il bisogno di gestire e conservare in modo appropriato le risorse di cui si dispone, peraltro

suggerito dalla circostanza da ciascuno comunemente verificabile, per la quale oggi viviamo in

un mondo prevalentemente costruito nel quale le esigenze sociali ed ambientali assumono un

carattere preminente, fa si che si tenda ad incrementare continuamente i contenuti

ingegneristici della Manutenzione fino a fare divenire questa una nuova fondamentale

disciplina, essenziale per lo sviluppo tecnologico e sostenibile del nostro Mondo.

2. DALL’ANALISI DEL CICLO DI VITA AL PROGETTO DI MANUTENZIONE

La progettazione di un qualsivoglia sistema produttivo complesso (impianto, apparecchiatura,

immobile, infrastruttura, etc.), qualunque siano i processi che esso realizza e i beni o servizi

che deve generare, richiede la considerazione di modelli affidabilistici, di numerosi parametri,

con diversi gradi di criticità, campi di variabilità ed effetti differiti nel tempo, che creano un

quadro assai complesso, nel quale risulterebbe pressoché impossibile, in assenza di analisi

approfondite condotte con metodologie di indagine opportune, qualunque decisione in ordine

a scelte di sistema, di materiali, di tecnologie, di qualità dei componenti, d’ingegnerizzazione,

etc.

L’Ingegneria Logistica si propone appunto di fornire i criteri di progetto e i parametri che

garantiscono il contenimento dei costi lungo l'intero ciclo di vita del sistema e, in particolare,

nel corso della sua vita utile.

Affinché ciò avvenga efficacemente, è indispensabile la conoscenza delle fasi di vita del

sistema (principalmente, progettazione, realizzazione, esercizio, gestione, manutenzione,

dismissione e recupero dei materiali) e la corretta attribuzione dei costi in corrispondenza di

ciascuna di esse. Si tratta di operare una life-cycle cost analysis, vale a dire un processo di

valutazione sistematica delle configurazioni alternative del sistema e delle politiche gestionali,

promosso con l'utilizzo di figure di merito legate al ciclo di vita. Tale attività di valutazione

comincia già come parte dell'iniziale processo decisionale e, con successivi affinamenti, si

estende lungo le successive fasi di sforzo progettuale e di sviluppo, fino a pervenire alla

configurazione operativa del sistema. In questa fase si rende poi evidentemente necessario

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attualizzare i flussi dei costi stimati, attraverso la considerazione di un opportuno tasso di

interesse e secondo un modello di sconto assegnato, che tenga in conto anche le incertezze

inevitabilmente collegate. Infine, si deve tenere conto della curva di apprendimento (in

particolare, nel caso di processi su larga scala), secondo cui il costo di produzione va

assestandosi su livelli via via più contenuti in relazione, appunto, al naturale incremento

dell’efficienza dei processi. Tale circostanza è correlata alla familiarizzazione dei lavoratori

con i processo produttivi, allo sviluppo di metodi di lavoro più efficienti, all'uso di

attrezzature più moderne, allo sviluppo del management, etc.

In definitiva, la stima dei costi del ciclo di vita comporta l'utilizzo di svariate tecniche che

dipendono dalla disponibilità di dati ed informazioni e che vanno dalla definizione di una

struttura dei costi appropriata, alla architettura dei processi produttivi, etc.

Schematizzando, si può affermare che la vita di un prodotto/sistema inizia quando sul mercato

risultano verificate le condizioni di gradimento e/o di necessità da parte dei consumatori ed i

tempi sono sufficientemente maturi per il suo lancio commerciale. In tale momento, un primo

nucleo di risorse umane, nel tentativo di sviluppare un'idea iniziale, decide di affrontare la

sfida tecnologica in vista di un confronto con l'esterno che fornisca elementi sufficienti a

stabilire, con ragionevole grado di certezza, l'effettiva utilità, convenienza e potenzialità

commerciale del prodotto/sistema in questione.

Circa il 60 % dei costi totali dell’intero ciclo di vita del prodotto/sistema, sono imputabili al

tempo di vita utile, ovvero al periodo in cui il prodotto è in uso al cliente, come somma di

svariate voci:

Costi di esercizio: che, tendenzialmente, vanno riducendosi con l’aumentare

dell’automazione dei processi produttivi (riduzione del personale operatore) e con la

sempre maggior attenzione alla razionalizzazione dei consumi energetici;

Costi di manutenzione: che, a causa della riduzione dei finanziamenti per il rinnovo

periodico dei sistemi ed il conseguente prolungamento forzato della vita utile dei sistemi

già in servizio, assumono il carattere di cost drivers rispetto all’intero ciclo di vita del

prodotto;

Costi per mancato ricavo e costi per detrimento d’immagine: sono una categoria di costi

che variano a seconda della tipologia del sistema, ma che troppo spesso non vengono

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sufficientemente tenuti in considerazione, né dal fornitore, né dal cliente. Per un impianto

industriale, un’apparecchiatura per esami clinici o un’infrastruttura di trasporto, potrebbe

rientrare in questa categoria anche la perdita di vite umane;

Costi di dismissione: si tratta di costi che talvolta possono trasformarsi, almeno in parte, in

un ricavo, come vendita a terzi del sistema ormai obsoleto per il primo utente, ma che

altre volte (in casi complessi) può essere anche molto elevato, come negli impianti

nucleari, in alcuni impianti industriali o, in generale, laddove vi sia un impatto ambientale

all’atto della dismissione.

Il fatto che si sia riusciti a prolungare fino a 25 anni il tempo di vita utile di molti sistemi

deriva da una crescente attenzione in fase di progetto al problema della growth capability3,

che ha reso possibile una sempre più spinta modularità del sistema, così da consentire

successive modifiche e miglioramenti (middle life improvement) a costi inferiori rispetto al

passato.

I costi di manutenzione rappresentano una quota non indifferente del fatturato aziendale,

anche se la loro incidenza può variare a seconda della realtà a cui si fa riferimento e, spesso,

non sono di agevole stima, soprattutto a causa di una serie di voci di costo non facilmente

quantificabili4. Si capisce, quindi, come sia strategicamente importante riuscire a gestire in

modo bilanciato ed efficace i costi e i benefici legati alla manutenzione. Una buona gestione

deve, prima di tutto, essere in grado di definire le procedure e individuare i costi che fanno

parte della manutenzione nelle loro componenti di manodopera, materiali e prestazioni di

terzi, e il loro peso relativo. Il budget e il controllo devono essere standardizzati e seguiti dalla

totalità delle funzioni interessate, vale a dire non soltanto dalla Manutenzione. Queste attività,

poi, assumono veste e caratteristiche diverse a seconda delle dimensioni della società e delle

singole unità produttive. La formulazione del budget di manutenzione rappresenta un

momento altamente qualificante per l’azienda, nel quale si espongono le previsioni maturate

nel tempo su basi concrete [12, 13].

3 Capacità di crescita.4 Ad esempio, i danni di immagine associati ad una inefficace manutenzione, spesse volte considerati a parte.

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Tale documento deve costituire un appropriato strumento di controllo operativo, gestionale e

amministrativo con cui formulare e perseguire gli obiettivi aziendali, deve riflettere l’effettiva

domanda di servizi richiesti, nel tempo, dagli utenti e la sua elaborazione e il suo controllo

devono essere integrati nel processo gestionale della manutenzione.

Il controllo di gestione nella manutenzione, utilizza la contabilità analitica (o industriale) per

entrare nello specifico di ogni attività, nel tentativo di portare alla luce tutta quella serie di

costi indotti, e quindi di meno immediata rilevabilità, derivanti da carenze gestionali

manutentive. Lo scopo è quello di quantificare le spese di manutenzione, analizzarle,

eliminare i costi inutili, valutare insieme ai tecnici eventuali soluzioni più vantaggiose e

controllare, a date prefissate, i risultati in termini economici.

Tipici costi indotti da carenze di manutenzione sono quelli dovuti a [14]:

sottoutilizzazione dei sistemi produttivi fermi per guasto, spesso caratterizzati da

investimenti importanti e per i quali, in conseguenza, si renderebbero necessari ritorni in

esercizio più rapidi;

cattiva qualità dei processi produttivi con conseguente aumento degli scarti di produzione;

caduta di immagine presso il cliente per il mancato rispetto dei tempi di consegna;

calo della produttività a causa delle interruzioni del ciclo produttivo.

Nella fase di preventivazione, i costi di manutenzione sono riconducibili alle seguenti

componenti elementari:

prestazioni di officine interne;

prestazioni di imprese;

materiali (prelevati da magazzino e addebitati alla Manutenzione al momento

dell’utilizzo);

prestazioni di terzi specialisti (tecnici e/o consulenti saltuariamente impiegati con contratti

di assistenza).

Per potere oculatamente prevedere e controllare a consuntivo le spese imputabili al comparto

manutentivo, è indispensabile suddividere il totale del volume di manutenzione (formato da

manodopera, materiali e mezzi) raggruppando le singole categorie di spesa.

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In particolare, sembra potersi parlare di almeno 5 categorie principali:

assistenza operativa (lavori dovuti non al comportamento dei sistemi, ma a esigenze del

ciclo produttivo);

manutenzione conservativa (lavori che non rientrano nella precedente categoria, ma

necessari per ripristinare il corretto funzionamento degli apparati);

modifiche di manutenzione (lavori atti a migliorare le condizioni di esercizio di un

sistema, indipendentemente dalle necessità di ripristino dell’efficienza);

costruzione di parti di ricambio;

immobilizzi (lavori non di manutenzione eseguiti, almeno in parte, dal servizio

Manutenzione).

In quest’ottica può essere utile attuare la suddivisione contabile in centri di costo, intendendo

per centro di costo di Manutenzione un’unità autonoma e omogenea quanto a specializzazione

(elettrica, idraulica, meccanica, etc.) che assorbe tutti i costi che le competono, e li ribalta sul

parametro preso a riferimento (per esempio la manodopera manutentiva) e rappresentativo di

una certa attività, proporzionalmente al tempo che il centro stesso ha dedicato alla macchina

da riparare. In una struttura di certe dimensioni, quindi, esistono tanti centri di costo quante

sono le sezioni manutentive distaccate.

Oggetto del sistema di gestione della manutenzione, però, non devono intendersi solo gli

aspetti strettamente economici ad essa collegati, ma anche tutte le informazioni e i dati relativi

ad ogni oggetto codificabile per la durata del suo ciclo di vita. Si dovrà, in altri termini,

ottenere un’ordinata archiviazione della documentazione tecnica disponibile, in modo da

garantire ai manutentori la possibilità di conoscere la “storia manutentiva” della macchina,

comprensiva dei dati di affidabilità e manutenibilità, degli interventi effettuati e delle risorse

usate. E’ opportuno, inoltre, stabilire procedure adeguate che consentano ai tecnici di creare

delle vere pratiche di lavoro suscettibili di registrazione, raccogliendo tutti i dati storici e

statistici necessari.

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3. PROGETTARE LA MANUTENZIONE PER OBIETTIVI

La tecnologia al servizio dell’economia e dell’industria moderna ha portato verso

un’automazione sempre più spinta dei processi produttivi; tale fenomeno, in pieno sviluppo,

ha contribuito a focalizzare l’attenzione di molti operatori sui problemi manutentivi.

Non c’è alcun dubbio, quindi, sul fatto che negli ultimi anni gli operatori abbiano accresciuto

la loro consapevolezza sull’importanza della manutenzione, soprattutto in considerazione dei

costi che questa comporta.

A tale presa di coscienza collettiva, si è affiancato un contemporaneo sviluppo delle tecniche

e degli strumenti di monitoraggio, che ha contribuito ulteriormente a cambiare il quadro

d’insieme: molte aziende hanno compreso come le problematiche gestionali e manutentive

costituiscano una delle poche voci di costo “controllabili” nella conduzione di un impianto.

Non solo. Fin dall’inizio degli anni ’70, il mercato ha cominciato a superare la cultura del

basic black, quella che faceva dire a Henry Ford negli anni ’30 che “ogni americano potrà

avere un’automobile del colore che vuole, purché sia nera!”. Oggi più che mai l’utente finale

privilegia il fattore di servizio nel processo di acquisizione del bene: la tempestività di

fornitura, l’assistenza tecnica, il livello qualitativo, la personalizzazione del prodotto, anche al

di là del fattore prezzo. In altre parole, i bisogni mutano e il consumatore richiede sempre più

prodotti tailor made.

La risposta della fabbrica a queste esigenze del mercato è la massima flessibilità, la

progettazione di processi produttivi con riduzione drastica dei tempi di attraversamento e la

cura del processo logistico interno.

È necessaria, pertanto, una profonda revisione di tipo organizzativo e la messa a punto di

adeguati meccanismi operativi, come i sistemi informativi gestionali e i piani di interventi

ispettivi sistematici (in continuo o con frequenze definite), da sviluppare anche con l’ausilio

di adeguate apparecchiature. Si comprende come in questo panorama, la manutenzione diventi

una funzione altamente critica, per due ragioni fondamentali: la prima, per l’elevato livello di

integrazione e quindi di complessità dei sistemi produttivi; la seconda, per l’importanza che

va assumendo la disponibilità delle linee di produzione, accentuata dalla casualità del guasto,

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connessa con una presenza crescente, negli impianti stessi, di componenti, apparecchiature e

sistemi elettronici [11].

La ricerca di nuove soluzioni organizzative in grado di realizzare una manutenzione che offra

un buon livello qualitativo del servizio insieme alla sua economicità, si scontra con esigenze

evidentemente contrastanti, ma che trovano una strada percorribile nella terziarizzazione delle

attività manutentive secondo la formula del Global Service di manutenzione.

Si tratta di un contratto di servizi multidisciplinari di manutenzione nel quale l’assuntore è

chiamato a progettare, gestire ed erogare le attività di manutenzione con piena responsabilità

sul raggiungimento degli obiettivi, comunemente concordati tra le parti e nel tempo

chiaramente misurabili [15]. Può comprendere, quindi, una pluralità di servizi sostitutivi delle

normali azioni manutentive, quali la progettazione, la gestione e l’esecuzione della

manutenzione, con fornitura di struttura, risorse operative, materiali e tutto ciò che serve per

la conservazione e la disponibilità del patrimonio.

A fronte di ciò, l’organizzazione interna dovrà riconfigurarsi per una corretta gestione dei

rapporti con un fornitore di servizi che è, allo stesso tempo, partner dell’azienda. Terziarizzare

richiede innumerevoli conoscenze di natura gestionale e tecnica, in riferimento all’azienda e

al territorio. Da qui la necessità del permanere di una struttura interna di ingegneria di

manutenzione incaricata generalmente di:

valutare l’aderenza del servizio alle specifiche di fornitura;

misurare il livello di qualità del servizio;

effettuare audits sul corretto mantenimento del patrimonio aziendale.

4. CENNI SULL’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE E DELLE STRATEGIE DI

MANUTENZIONE

Volendo analizzare le diverse strategie di manutenzione occorre premettere come sia è facile

fare una certa confusione nell’identificazione dei vari approcci manutentivi, a causa del fatto

che gli Autori, sforzandosi di mettere in luce differenze spesso assai sfumate, utilizzano una

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terminologia non sempre univoca. Nel linguaggio e nella cultura italiana non esiste, ad

esempio, una distinzione tra manutenzione produttiva e Total Productive Maintenance

(TPM), così come non sempre appare chiaro il significato da attribuire alla cosiddetta

manutenzione produttiva: in genere ci si riferisce a esperienze maturate in certi settori

merceologici e con il rigoroso innesto della cultura e delle tecniche produttive giapponesi [6].

In alcuni testi, però, questa espressione starebbe ad indicare la cosiddetta Proactive

Maintenance, introdotta fra i primi da E.C. Fitch [16], che, nel seguito e per evitare ulteriori

confusioni, sarà bene tradurre come “Manutenzione Proattiva” e che del TPM rappresenta

soltanto alcuni aspetti. Ad ogni modo, l’intento dichiarato di questa trattazione non è quello di

colmare eventuali lacune presenti nella terminologia tecnica italiana, per le quali si rimanda

anche alla normativa volontaria in vigore [17, 18], bensì quello di fornire un quadro d’assieme

dei diversi approcci manutentivi possibili, ponendo in risalto, ove possibile, le interrelazioni e

le tappe che ne hanno segnato lo sviluppo.

Il concetto di manutenzione sottende un vasto insieme di problematiche, con innumerevoli

risvolti operativi, al punto da rendere piuttosto difficile una schematizzazione a grandi linee

dei possibili approcci che, nel tempo, hanno segnato lo sviluppo di questo settore. Tuttavia,

esigenze di sintesi e di chiarezza, suggeriscono di fornire a questo punto un quadro di insieme

dei possibili orientamenti cui fare seguire una disamina dei vari criteri specifici.

Uno dei primi aspetti da mettere in luce è la distinzione, che si evince dalle definizioni date

precedentemente, tra politica e strategia manutentiva. Quest’ultima si presenta in un secondo

momento, caratterizzando un approccio operativo ai problemi della manutenzione, da

sviluppare secondo i criteri forniti dalla politica manutentiva adottata. La politica manutentiva

sta ad indicare, invece, l’atteggiamento complessivo che un azienda assume nei confronti

delle problematiche manutentive, che può poi esplicitarsi nell’utilizzo (a seconda dei reparti,

della singola macchina, della convenienza economica, etc.) di varie strategie. È il caso, ad

esempio, della Total Productive Maintenance (TPM), un approccio manutentivo sviluppato in

Giappone in tempi relativamente recenti. Gli aspetti innovativi sono, principalmente,

l’applicazione innovativa delle teorie riguardanti la manutenzione a guasto, attraverso la

considerazione dell’affidabilità e della manutenibilità, la particolare attenzione rivolta alle

questioni legate all’efficienza economica del progetto e, in ultimo, l’introduzione di un

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onnicomprensivo sistema di gestione per la manutenzione che tocca l’attività di tutti gli

operatori, ad ogni livello dell’organizzazione.

Ancora a livello di politica, ma con un approccio meno pervasivo rispetto alla TPM, si situa

anche la cosiddetta Reliability Centered Maintenance (RCM).

Fu agli inizi degli anni ’60 che si decise di effettuare un’indagine approfondita sull’efficienza

della manutenzione preventiva e iniziò a prendere consistenza la possibilità di un’evoluzione

dei criteri adottati fino a quel momento nella prevenzione dei guasti. Assai frequentemente,

infatti, la Manutenzione Preventiva era applicata dogmaticamente, programmando le revisioni

a scadenze temporali prefissate, senza alcun riguardo per eventuali raffronti con i dati

derivanti dall’esperienza maturata. La RCM, invece, ha come obiettivo quello di consolidare

l’affidabilità intrinseca del progetto, con un’analisi complessa, che prevede un certo numero

di fasi significative (formazione del personale, raccolta informazioni, identificazione e

suddivisione del sistema, strategia, periodicità dei controlli, efficienza di costo) e che ha

condotto alla piena affermazione della Manutenzione Predittiva come logica evoluzione della

Manutenzione Preventiva.

La considerazione delle relazioni che sussistono tra i vari approcci manutentivi porta ad uno

schema (Figura 3) dal quale si evince come l’attività manutentiva si sviluppi in tre diverse

direzioni principali, dando luogo ad altrettante categorie di interventi:

interventi che sono posti in essere solo dopo che il guasto si è presentato (Manutenzione

non Programmata);

interventi che scaturiscono da un logico e predeterminato piano programmatico

(Manutenzione Programmata);

interventi incentrati sul tentativo di dar luogo ad un processo di miglioramento continuo

nella gestione di queste problematiche (Manutenzione Migliorativa), a partire dalle

procedure operative fino alla ridefinizione progressiva delle situazioni critiche, basandosi

sull’esperienza acquisita. Il comportamento al guasto del bene e il comportamento del

bene in relazione all’azione manutentiva svolta, infatti, sono fenomeni dinamici: il

miglioramento del sistema di manutenzione consente la continua taratura fra il sistema

stesso e il bene manutenuto, ottimizzando i costi globali di gestione.

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Fig. 3 – Quadro delle politiche e delle strategie manutentive

Manutenzione

Politiche

TPM

ManutenzioneProattiva

ManutenzioneMigliorativa

RCM ManutenzionePredittivaStrategie

Manutenzione nonprogrammata

Manutenzioneprogrammata

Manutenzione aguasto

Manutenzionemigliorativa

ManutenzionePreventiva

ManutenzionePredittiva

Manutenzione sucondizione

ManutenzioneProattiva

Prognostica

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Particolare importanza rivestono le possibili varianti della Manutenzione Programmata:

Manutenzione Preventiva, attuata ad intervalli predeterminati, in base al numero di

operazioni, al chilometraggio, etc., basata sull’utilizzo di dati affidabilistici (MTBF, Tasso

di Guasto, etc.);

Condition Based Maintenance (CBM), manutenzione effettuata in base alla conoscenza

delle effettive condizioni del sistema, maturata grazie ad un’attività di Condition

Monitoring. In realtà, la CBM rappresenta una notevole evoluzione rispetto alla

manutenzione preventiva tout court, ma può essere logicamente considerata come una sua

derivazione, poiché mira comunque ad anticipare il guasto, utilizzando, invece dei dati

affidabilistici, quelli forniti da un sistema di monitoraggio.

A sua volta, la CBM può dare luogo a due ulteriori orientamenti gestionali, ovvero la

Manutenzione Predittiva e la Manutenzione Proattiva (in grado di fornire il feedback

necessario per implementare la Manutenzione Migliorativa), in relazione al tipo di guasto che

si vuole scongiurare e rispetto al quale si tara il sistema manutentivo (Tabella 1).

Tipo di guasto Descrizione

Guasto catastrofico Una condizione di repentina e completa cessazione delleoperazioni e un totale deterioramento delle funzioni.

Guasto improvvisoUna condizione di degrado accelerato sia del materiale siadelle prestazioni, che si traduce in un parziale indebolimentodelle funzioni.

Guasto imminente Una condizione di percettibile degrado del materiale inpresenza di un serio deterioramento delle prestazioni.

Guasto incipiente

Una condizione nella quale l’utilizzo di opportuni mezzi didetezione permette di individuare i primi segni di degradodel materiale, senza che l’utente avverta alcuna modificanella performance del sistema.

Guasto condizionale

Una condizione di preallerta in cui non si è ancora verificatoun degrado né del materiale né della prestazione, ma taleche, se la situazione persiste, si arriverà inevitabilmente adun guasto funzionale.

Tab. 1 – Classificazione dei Guasti [16]

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Nell’ambito della Manutenzione Proattiva, infine, si inquadra il concetto di Prognostica

(Prognostics), inteso come parte della Testabilità5, consistente in un’attività di diagnosi

precoce di guasto (la Manutenzione Predittiva agirebbe nei riguardi dei guasti incipienti) o di

detezione di condizioni favorevoli al guasto (la Manutenzione Proattiva agirebbe nei riguardi

dei guasti condizionali), al fine di trasferire parte delle energie e delle risorse profuse nelle

azioni di manutenzione correttiva verso quella preventiva: la Testabilità (intesa come

diagnostica) serve a segnalare un guasto avvenuto, la Prognostica segnala invece un guasto

incipiente o condizionale.

Il processo storico che ha portato all’approfondimento delle tematiche affidabilistiche, prende

le mosse negli anni ’40, a causa delle necessità operative dell’ultima grande guerra: enti

militari e civili degli Stati Uniti realizzarono, in più fasi, uno sforzo organizzativo che

prevedeva la creazione di dipartimenti appositamente strutturati per lo studio di affidabilità,

sicurezza, manutenibilità e delle loro interrelazioni. Di “manutenibilità “come caratteristica di

un sistema e come disciplina ingegneristica si cominciò a parlare agli inizi degli anni ’50, con

il preciso obiettivo di ridurre i costi di manutenzione garantendo condizioni di funzionamento

prestabilite dei sistemi.

Fino al 1960 non c’è stato alcuno sforzo che mirasse ad effettuare un’indagine approfondita

sull’efficienza della Manutenzione Preventiva, intesa come un processo utile per evitare

guasti. Coloro che si occupavano di questo tipo di approccio manutentivo sembravano così

sicuri della correttezza del proprio operato, da non curarsi minimamente né di verificarlo, né

tantomeno di operarne una standardizzazione per via induttiva in base all’esperienza

acquisita. Intorno alla fine degli anni ’50, l’esigenza di dover gestire flotte di aerei a reazione

accrebbe l’interesse delle compagnie aeree verso un miglioramento dell’efficienza dell’attività

manutentiva nel trasporto aereo. Poiché era opinione diffusa che l’affidabilità di un sistema

diminuisse nel tempo, i primi studi esaminarono la relazione tra affidabilità ed età, mediante

tecniche già utilizzate nel settore delle assicurazioni sulla vita.

5 Caratteristica intrinseca di un sistema o apparato in base alla quale i mezzi di autodiagnosi interni ostrumentazioni esterne adeguate sono in grado di verificarne la funzionalità e di diagnosticarne le avarie.

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I risultati prodotti da questi studi sembrarono confutare alcune diffuse certezze: si scoprirono,

infatti, un numero elevato di casi di “mortalità infantile” riguardanti un campione

rappresentativo di diverse categorie di apparati; ciò sembrava comprensibile nel caso di

dispositivi elettronici, molto meno nel caso di sistemi meccanici.

Nel 1965 alcuni studi effettuati dalle compagnie aeree dimostrarono che le sostituzioni

programmate di sistemi complessi, in base ai criteri della Manutenzione Preventiva, non

avevano alcun effetto sulla affidabilità; queste considerazioni portarono alla definizione di un

nuovo approccio manutentivo, che fu sviluppato nel 1968. Si pensò di applicare, a questo

scopo, un albero logico delle decisioni, il quale permetteva di evidenziare immediatamente

l’importanza dell’impatto dell’inaffidabilità sulle varie operazioni.

Tale tecnica fu utilizzata quello stesso anno, quando rappresentanti delle principali compagnie

aeree e di alcuni fra i più importanti industriali costituirono il Maintenance Steering Group

(MSG), il cui primo atto fu quello di redigere un documento, l’MSG - 1, Handbook:

Maintenance Evaluation and Program Development, che conteneva le procedure necessarie

per sviluppare un programma di Manutenzione Preventiva per il Boeing 747. Analoghe

metodologie furono utilizzate per altri aeromobili (DC – 10, L – 1011, Concorde e A – 300).

Successivamente si decise di aggiornare alcuni dettagli, rendendo il documento in questione

uno strumento utile per implementare i programmi manutentivi per tutti gli aerei di nuova

concezione; il risultato di questo sforzo, pubblicato nel 1970, è noto come MSG – 2,

Airline/Manufacturers Maintenance Program Planning Document.

Queste metodologie furono inizialmente applicate agli aerei della Marina Militare (P-3A, S-

3A, F-4J) e furono tradotte in una serie di manuali che culminarono nel NAVAIR 00 - 25 -

400, un documento che è stato utilizzato per ridefinire le specifiche della Manutenzione

Preventiva sulla maggior parte dei velivoli della US Navy. Sebbene molti dei concetti espressi

nell’MSG – 2 avessero rivoluzionato le procedure per lo sviluppo dei programmi manutentivi,

si trascurò di riportarne alcuni aspetti nel NAVAIR 00 - 25 - 400: ad esempio, le procedure

per definire la frequenza delle ispezioni non furono trascritte. Per colmare questo tipo di

lacune e per aggiornare l’MSG – 2, il Department of Defense americano (DoD) sollecitò gli

stessi autori dei suddetti documenti a scrivere una relazione complessiva su tali tematiche:

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questo rapporto (Reliability Centered Maintenance – RCM) è del 29 dicembre 1978 e illustra

in maniera completa gli scopi e le procedure di questo programma.

La RCM nasce dal tentativo di trovare risposte a interrogativi che fino a quel momento erano

stati parzialmente ignorati:

- Cosa fa l’hardware?

- In che tipo di avarie funzionali incorre?

- Quali sono le probabili conseguenze?

- Che cosa si può fare per prevenirle?

Molto spesso l’approccio della manutenzione Preventiva era applicato dogmaticamente,

programmando le revisioni a scadenze temporali prefissate, senza alcun riguardo per eventuali

raffronti con i dati derivanti dall’esperienza maturata. La RCM ha come obiettivo quello di

consolidare l’affidabilità intrinseca del progetto; piuttosto che focalizzare l’attenzione

direttamente su ciascun sottosistema chiedendosi che tipo di Manutenzione Preventiva possa

essere attuata, la RCM parte fin dall'inizio affrontando le seguenti fasi:

1 - suddividere il prodotto in sistemi e sottosistemi da analizzare separatamente;

2 - identificare gli elementi funzionali significativi;

3 - determinare, per ogni elemento significativo, i requisiti manutentivi sulla base dell’analisi

delle sue funzioni e i possibili modi di guasto;

4 - determinare quando, come e da chi debba essere svolto ciascun compito;

5 - utilizzare le informazioni ricavabili dall’esperienza e le più idonee tecniche analitiche per

migliorare di volta in volta le caratteristiche di ciascuna fase precedente.

Si tratta, quindi, di considerare l’intero programma di Manutenzione Preventiva,

indipendentemente dal livello delle risorse assegnate per adempiere alle specifiche,

valutandone tutti gli aspetti. Tutto ciò richiede una struttura organizzativa integrata ed

efficiente, che sia completamente responsabile per gli aspetti di pianificazione e di

management della manutenzione:

- Formazione del personale. La preparazione di un programma manutentivo basato sulla RCM

richiede un periodo iniziale dedicato all’apprendimento dei concetti fondamentali di questa

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metodologia. È importante anche che l’analista abbia una conoscenza approfondita del

progetto, delle caratteristiche funzionali e delle esperienze operative del sistema in studio; in

questo senso può essere utile un approccio che preveda una forma di collaborazione con i

supervisori in possesso dell’esperienza richiesta sulle modalità di guasto, così da permettere

un’analisi di buona qualità. Non è consigliabile utilizzare, per la formazione del personale,

documentazioni preesistenti riguardanti il programma di manutenzione: ciò che si richiede è

invece un approccio innovativo, una ricerca creativa dei requisiti più adatti e di ciò che

dovrebbe essere fatto, piuttosto che un riesame di ciò che è già stato fatto.

- Raccolta di informazioni. Si richiedono le informazioni tecniche per ogni sistema e per i

suoi componenti: informazioni descrittive (caratteristiche progettuali, schemi di sistema,

disegni) e operative (istruzioni per la manutenzione, standards delle prestazioni, dati di

guasto).

- Identificazione e suddivisione del sistema. Fra le prime azioni da porre in essere vi à la

identificazione di tutti i sottosistemi presenti, effettuandone una suddivisione logica

attraverso la predisposizione di una System Work Breakdown Structure (SWBS).

- Analisi dei sistemi. La RCM prevede un’analisi dei requisiti manutentivi dei vari

sottosistemi, la quale prosegua fino ad un livello che è funzione della complessità del

sistema e dell’esperienza dell’analista.

- Strategia. La strategia descrive la metodologia da seguire quando ci si rende conto di non

essere in possesso di informazioni sufficienti: l’idea è che se non si può prendere un

decisione finale, bisogna comunque optare verso l’alternativa che minimizza il rischio, per

poi eventualmente aggiornare in presenza di nuovi elementi utili. Lo strumento operativo

che consente tale procedura è l’albero logico delle decisioni, in cui si utilizzano una serie di

domande (a cui è possibile rispondere solo si o no) per caratterizzare le eventuali avarie

funzionali. Le risposte permettono di formulare un giudizio sulla criticità di ciascun modo

di guasto e sulla possibilità di individuare un requisito manutentivo che ne permetta un

efficiente controllo.

- Periodicità dei controlli. Studi avanzati in questo settore hanno rivelato che, molto spesso,

non esistono correlazioni inverse tra il tempo e l’affidabilità: ciò non significa che i singoli

componenti non si usurano, bensì che gli istanti di tempo in cui si presentano i guasti sono

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distribuiti in modo da rendere inutile un programma di Manutenzione Preventiva. Al limite,

un approccio del genere può condurre ad un incremento del tasso medio di guasto. Ad ogni

modo, se si opta per una serie di revisioni a scadenza fissa, è importante scegliere

oculatamente la frequenza con cui procedere all’attività manutentiva: spesso, infatti,

l’intervallo temporale medio fra guasti (MTBF) non costituisce un dato significativo in

questo senso, in quanto non fornisce indicazioni su come l’affidabilità varia nel tempo, ma

solo sull’età media in cui si presenta il guasto. In quest’ottica, risulta conveniente adottare

una periodicità iniziale dettata dall’esperienza, ipotizzando una certa funzione di

distribuzione dei guasti, per poi modificarla in base alle conoscenze acquisite

operativamente sull’hardware.

- Efficienza di costo. Le problematiche economiche spesso, ma non sempre, giocano un ruolo

decisivo nelle scelte. Si parla allora di efficienza di costo, proprio intendendo misurare

l’efficienza raggiunta nell’utilizzare delle risorse per ottenere certi risultati. In pratica si

tratta di valutare i costi annuali derivanti dallo svolgimento delle singole attività

manutentive e compararli con i costi diretti annuali dei guasti che ciascuna attività mira a

prevenire.

La Total Productive Maintenance è stata definita da molti Autori come la Manutenzione

Produttiva svolta da tutti i lavoratori dell’azienda organizzati in piccoli gruppi di attività.

Come per la RCM, si tratta di un insieme di regole e di comportamenti organizzativi, volti al

raggiungimento della qualità e dell’efficienza della manutenzione in apparati produttivi

complessi, ove le tradizionali procedure non sono più sufficienti per la gestione dei fenomeni

e occorre coinvolgere tutte le strutture aziendali, mobilitare verso il raggiungimento

dell’eccellenza.

In altri termini [6] si tratta di un approccio globale ai problemi dei sistemi produttivi,

nell’ottica del miglioramento delle prestazioni dei mezzi produttivi e degli impianti, che tiene

conto della matrice giapponese e delle esperienze applicative fatte nell’industria italiana. Si è

cioè capito l’importanza di riportare sotto l’unica responsabilità di chi coordina, al livello

operativo, un segmento di produzione, alcuni dei fattori principali che determinano il

successo: principalmente, la manutenzione di linea e il controllo della qualità.

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Si manifesta, quindi, un ruolo nuovo sul piano organizzativo della funzione manutenzione, un

ruolo di servizio della produzione qualificato e proteso verso il miglioramento continuo della

propria efficienza ed efficacia. In un simile contesto, il responsabile di un impianto non può

più attribuire alla Manutenzione delle responsabilità che, invece, ora gli competono

direttamente o quasi, almeno in termini di disponibilità. Tale intimo legame fra la

manutenzione e le esigenze della produzione, insieme ad un forte orientamento al

miglioramento continuo e alla prevenzione mediante il monitoraggio, sono racchiusi nella

TPM.

In questo contesto, la TPM riconosce l’esistenza, all’interno della medesima azienda, di

diverse situazioni manutentive, che possono richiedere differenti tecniche per raggiungere un

buon risultato; conseguentemente, essa usa differenti metodologie, che possono differire da

impianto a impianto o da macchina a macchina, purché si rivelino costo-efficaci in una data

situazione. Molte delle strategie utilizzate non sono certamente nuove: ciò che è innovativo è

la cultura giapponese, l’impegno che essa prevede per tutti i dipendenti e l’utilizzo di piccoli

gruppi di attività.

Il maggior contributo del TPM nei confronti della teoria della manutenzione è dato dal

tentativo di abbattere la barriera artificiale, o linea di demarcazione, esistente all’interno di

un’azienda, tra la manutenzione e i reparti di produzione. L’implementazione della TPM

comporta, cioè, l’abbandono definitivo del “tu rompi, io riparo”, con il conseguente aumento

dell’efficienza produttiva [6].

Una completa definizione della TPM, quindi, comprende:

- il tentativo di massimizzare l’efficacia dei mezzi produttivi in termini di efficienza

economica e redditività;

- la concretizzazione di un complesso sistema di manutenzione produttiva, che includa una

manutenzione preventiva e un miglioramento continuo della manutenibilità per l’intero

ciclo di vita di ciascun componente;

- il coinvolgimento di tutti i dipendenti dell’azienda, dal top management in giù,

nell’implementazione della manutenzione produttiva;

- la promozione della manutenzione attraverso piccoli gruppi di attività.

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La manutenzione produttiva comporta una capacità professionale di tipo diffuso, volta alla

prevenzione, alla conduzione del sistema produttivo e al riassorbimento in tempi rapidi delle

fermate. Ciò si ottiene ricomponendo sul campo le responsabilità di gestione del sistema

produttivo, non solo per ciò che riguarda le attività tradizionali demandate all’operatore di

produzione, ma anche la responsabilità dell’attività manutentiva e della qualità del prodotto.

L’ottimizzazione della politica aziendale di manutenzione dovrebbe essere perseguita nel

quadro del miglioramento della redditività aziendale e del servizio erogato e, in particolare,

del miglioramento continuo del risultato operativo. Tale miglioramento continuo è

espressione di una stretta sinergia tra manutenzione e produzione che si concretizza nella

manutenzione produttiva.

5. LA SCELTA DEI CRITERI GESTIONALI E MANUTENTIVI “OTTIMI”

Partendo da una considerazione del tutto generale, si può affermare che l’attività manutentiva

mira ad ottenere una assegnata continuità del processo produttivo. Tale obiettivo, in passato,

era perseguito attraverso ridondanze operative e funzionali, oppure garantendo un calcolato

eccesso di capacità produttiva o, infine, applicando un aggressivo programma di revisione e

sostituzione dei sistemi critici.

Tutti questi approcci si sono dimostrati parzialmente inefficienti: sistemi ridondanti e capacità

in eccesso immobilizzano dei capitali che potrebbero essere più proficuamente utilizzati per

l’attività produttiva, mentre portare avanti una politica di revisioni eccessivamente prudente si

è rivelato un metodo piuttosto costoso per ottenere gli standard richiesti. La manutenzione si è

cioè trasformata, in termini di missione, da attività prevalentemente operativa di riparazione, a

complesso sistema gestionale, orientato più che altro alla prevenzione del guasto. Si tratta di

un passaggio non facile, implicante un considerevole mutamento culturale del management in

generale e del manutentore in particolare.

L’attuazione di una “politica aziendale di manutenzione” richiede criteri di progettazione

della manutenzione improntati alla logica della minimizzazione del costo globale (costi propri

e costi indotti). Tale logica presiede a tutte le azioni della manutenzione durante il ciclo di vita

del bene e nel rispetto dei vincoli legislativi in materia antinfortunistica e ambientale.

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Per avere un idea della diffusione che talune strategie manutentive hanno in Italia, va detto

che, attualmente, “la manutenzione a guasto è ancora molto diffusa e pesa per circa il 50%

delle risorse. La prevenzione di tipo statistico - opportunistico si attesta sul 20-30%, mentre

per il resto si ha manutenzione su condizione.

Quest’ultima, nelle sue diverse forme, è comunque la strategia verso cui tutte le aziende di

processo e manifatturiere si stanno indirizzando [6].

La scelta delle diverse strategie manutentive è determinata dal grado di criticità che il bene

riveste nel ciclo produttivo dell’azienda ed anche dalla valutazione economica delle possibili

scelte, fatti salvi i principi di sicurezza delle persone e dell’ambiente. In questo senso, risulta

molto utile l’utilizzo di metodologie come l’Analisi Costi - Efficacia (ACE) o l’Analisi Costi

- Benefici (ACB). Tali metodi presumono la valutazione del Costo Globale di Manutenzione,

il quale esprime sia il costo che l’azienda deve sostenere per effettuare una certa politica

manutentiva (costo proprio di manutenzione), sia tutti i costi indotti dal guasto. Il costo

proprio della semplice manutenzione a guasto è espresso da:

- manodopera,

- materiali e ricambi

- attrezzature

- costi generali di struttura.

A questi costi si aggiungono:

- per la manutenzione preventiva ciclica, i costi di preparazione e programmazione lavori;

- per la manutenzione su condizione, i costi di preparazione e programmazione, i costi di

controlli ed ispezioni e quelli relativi agli strumenti per il monitoraggio del bene.

I costi indotti dal tipo di politica di intervento sono dovuti essenzialmente agli immobilizzi dei

ricambi in magazzino (giacenza valorizzata in base al tasso di interesse correlato al possesso)

che saranno tanto più elevati quanto meno sviluppata sarà la programmazione dei lavori.

I costi indotti dal guasto sono:

- il costo di indisponibilità del bene e della conseguente mancata produzione;

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- il costo di immobilizzo delle scorte di prodotto finito o produzione non a specifica, per

fronteggiare la variabilità della produzione dovuta al basso grado di affidabilità degli

impianti;

- il costo conseguente al disservizio causato dalla mancata erogazione del servizio.

A scanso di equivoci, va detto che in ogni realtà aziendale convivono, in genere, varie

strategie di manutenzione, ognuna delle quali integra le altre, senza annullarle, assorbendo

una quota percentuale delle risorse disponibili: è possibile, cioè, applicare un mix di strategie

manutentive che, nel suo insieme, costituisce la politica aziendale. La scelta va fatta in base

alla criticità dei componenti, ad una valutazione economica delle alternative ed alle eventuali

raccomandazioni del fornitore.

6. LE TECNOLOGIE PER LA MANUTENZIONE SU CONDIZIONE

Il Condition Monitoring, cui si è fatto cenno quale strumento indispensabile per

l’impostazione di una strategia gestionale su condizione, sta a rappresentare il complesso

delle metodologie e delle tecnologie finalizzate alla valutazione delle condizioni attuali di un

assegnato sistema. Tali tecniche spaziano dall’uso di complesse strumentazioni

computerizzate allo sfruttamento della sensibilità umana, in modo da prevenire i guasti e da

mettere in atto la manutenzione solo in presenza di un‘avaria potenziale e quando risulti più

conveniente in base al programma di produzione [19].

Si tratta, in altri termini, di effettuare misurazioni comparative, periodiche o in modalità

continua, dei parametri che si ritiene ben rappresentino le condizioni del componente o

sistema oggetto dell’analisi, permettendo così di valutarne la situazione corrente e

l’andamento futuro di un suo possibile deterioramento. Tra le diverse tecniche di

monitoraggio possibili, cui si fa cenno, si ritiene di proporre un approfondimento su quelle

che hanno goduto di maggiore fortuna in campo industriale, ove gli sviluppi in campo

manutentivo appaiono oggi più consolidati: ad esempio, il monitoraggio delle vibrazioni e

l’analisi del lubrificante.

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La prima tecnica è ben supportata da dispositivi facilmente reperibili e relativamente poco

costosi e gode del vantaggio di una notevole flessibilità applicativa, di una certa semplicità

d’interpretazione dei segnali registrati dai sensori e di una buona affidabilità dei risultati.

Il secondo metodo è invece particolarmente indicato per i sistemi idraulici o, comunque, per

tutte le macchine a circolazione interna di lubrificante: in modo specifico è utile per

monitorare lo stato di salute di componenti come cuscinetti, camme, pistoni, ingranaggi, etc.

Rispetto all’analisi delle vibrazioni, questa tecnica è in grado di fornire indicazioni più chiare

sulla probabile causa di guasto, con l’ulteriore vantaggio di conseguire risultati indipendenti

dalla velocità operativa della macchina; è però più difficile implementarne una versione on -

line, cioè in grado di esplicare la sua funzione durante l’esercizio del sistema.

Il concetto di “monitoraggio della condizione” nacque intorno agli anni ’70, quando si rese

palese l’utilità di un rilevamento continuo dei dati operativi dei sistemi di produzione, per

ottenere informazioni sulla popolazione totale di componenti in servizio, sulla base delle quali

intraprendere eventuali modifiche ai sistemi stessi o al programma di manutenzione. Le

tecniche di monitoraggio più utilizzate per i sistemi meccanici/industriali possono essere

classificate nei seguenti tipi fondamentali:

- monitoraggio visivo;

- monitoraggio della performance;

- monitoraggio del rumore e delle vibrazioni;

- monitoraggio del particolato da usura;

- monitoraggio del calore.

In seguito si descrivono sommariamente queste tecniche per soffermarsi con maggiore

attenzione sulle due alle quali si è già fatto cenno perché hanno trovato più ampia diffusione

nell’industria: il monitoraggio delle vibrazioni e, soprattutto, il monitoraggio degli oli

lubrificanti.

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Monitoraggio visivo

Un primo tipo di monitoraggio, efficace nella sua semplicità, è quello svolto abitualmente

dagli stessi operatori di linea, i quali sono in grado di identificare i sintomi più evidenti del

degrado di un materiale. Si tratta semplicemente di osservare il sistema alla ricerca di

eventuali cricche, polvere in eccesso, difetti di saldatura, malfunzionamento dei filtri, etc. In

ciò personale può essere aiutato da opportuni strumenti, tra i quali ad esempio:

- specchi;

- comparatori;

- fibre ottiche (sufficientemente flessibili da essere usate per illuminare zone nascoste ed

ottenerne un immagine mediante scanner);

- televisione a circuito chiuso.

Monitoraggio della performance

Quando il degrado del materiale ha raggiunto uno stadio avanzato, si passa da uno stato di

“guasto incipiente” a quello di “guasto imminente” (Tabella 1). In presenza di un sistema

meccanico a fluido, è questa la fase in cui si è soliti effettuare il monitoraggio di alcuni

parametri indicativi di un certo peggioramento della performance, quali ad esempio la

pressione del fluido, il flusso, la temperatura, la velocità di rotazione, l’efficienza degli

scambi termici.

Applicando queste tecniche, il personale addetto alla manutenzione può valutare la

rispondenza delle prestazioni della macchina alle specifiche di progetto (per esempio

misurando la risposta della macchina sottoposta ad un carico standard), riuscendo a porre in

relazione i risultati ottenuti con precise anomalie. È’ così possibile mettere in evidenza

scorrimenti degli innesti o degli ingranaggi, variazioni d’assetto dei cilindri, fuoriuscite

interne di liquido, etc. in modo da prevedere per tempo l’inizio di una condizione di guasto.

Monitoraggio delle vibrazioni e del rumore

Tutti gli elementi di un qualsivoglia sistema in movimento tendono a vibrare a causa delle

imperfezioni presenti sulle superfici a contatto, negli allineamenti, nel bilanciamento delle

parti, etc. Tali vibrazioni, oltre a interessare tutte le masse ed i corpi comunque in contatto,

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finiscono per porre in vibrazione anche le particelle d’aria adiacenti alle superfici, circostanza

che produce una variazione della pressione atmosferica della zona e, in definitiva, un rumore

percepito del nostro orecchio insieme ai rumori propri prodotti dal funzionamento del sistema.

Ciò detto, è evidente che un operatore può ricorrere all’analisi sia delle vibrazioni sia del

rumore per investigare sui malfunzionamenti di un sistema. In particolare i componenti

meccanici producono rumore in eccesso a causa del disallineamento dei sistemi di guida,

dello sbilanciamento delle parti rotanti, dei cuscinetti difettosi, delle incastellature non rigide,

etc.. In presenza di un fluido evolvente nel sistema, il rumore può essere prodotto anche da

variazioni di flusso o di pressione: soprattutto un’insufficiente pressione di aspirazione può

causare fenomeni di cavitazione piuttosto rumorosi. Un generico operatore potrà allora

misurare i rumori originatisi nella struttura mediante un accelerometro, quelli causati dal

fluido con un trasduttore di pressione, quelli che hanno origine dal movimento delle particelle

d’aria per mezzo di un microfono, mettendo in risalto eventuali valori anomali.

L’andamento del rumore nel tempo può essere scomposto in relazione alle frequenze di

emissione in uno spettro acustico. Questo, caratteristico del sistema in buone condizioni di

funzionamento, si modifica quando un componente subisce un’anomalia, perciò potrebbe

essere sufficiente confrontarlo con quello “normale” per mettere in risalto ogni più piccola

variazione. Non bisogna del resto sottovalutare il fatto che un livello di rumore al di sopra

della norma va prontamente segnalato anche per gli effetti negativi che può produrre sugli

operatori: danni all’udito, affaticamento, stress, ed una generale azione di disturbo delle

capacità fisiche e mentali dell’individuo.

Per le vibrazioni, analogamente, si osserva che si tratta di fenomeni legati naturalmente

all’attività operativa, ma che se superano valori standard suggeriti dall’esperienza diventano

sintomi inequivocabili di una qualche anomalia. In quest’ottica, il parametro più espressivo è

probabilmente la velocità con cui si manifestano le oscillazioni. Ad esempio, un livello di

vibrazioni di 8 mm/s, in molti casi, è già indicativo di una certa irregolarità delle superfici a

contatto: l’operatore dovrà sottoporre la macchina ad un controllo per verificare la presenza di

eventuali elementi non bilanciati, di coppie non allineate e così via; tra 8 e 10 mm/s è

consigliabile programmare un intervento di revisione più approfondito, oltre i 10 mm/s si è in

presenza di un grado d’usura elevato, al punto da suggerire la sostituzione del pezzo.

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Monitoraggio del particolato da usura (wear debris)

Un’utile interpretazione della severità dell’usura cui è soggetto un sistema industriale

normalmente lubrificato è fornita dall’analisi dei frammenti generati dall’usura stessa e

dispersi nell’olio di lubrificazione.

Questo tipo di analisi rende possibile la valutazione suddetta a patto che siano verificate le

seguenti condizioni:

- esistenza di relazioni funzionali tra la concentrazione dei detriti e il tasso di usura, ottenute

attraverso opportuni tests di sensibilità al particolato sui vari componenti del sistema in

studio;

- disponibilità di campioni rappresentativi di fluido in base agli standard ISO;

- capacità di estrazione e misura dei detriti dall’olio, mediante le tecniche disponibili

(Spettrometria, Ferrografia, Conteggio delle particelle);

- capacità di interpretazione dei risultati ottenuti.

Studiando le caratteristiche chimico - fisiche delle particelle, la loro concentrazione, la

distribuzione dimensionale e morfologica, e rapportando questi dati a quelli delle precedenti

misurazioni, l’analista sarà in grado di formulare delle ipotesi attendibili sullo stato di salute

della macchina.

Monitoraggio del calore

Quando le superfici sono sollecitate eccessivamente, il materiale si flette, le forze di frizione

(e il carico dei cuscinetti) aumentano, i fenomeni di usura superficiale (adesione, abrasione)

accelerano. In condizioni del genere la produzione di calore (energia termica) in eccesso si

traduce in un aumento localizzato della temperatura che può essere misurato da opportuni

strumenti.

Da questo punto di vista è possibile individuare due tecniche utili nel condition monitoring:

Calorimetria. Si fa riferimento alla misurazione del calore assorbito o ceduto da un sistema,

per mezzo di sensori di temperatura di tipo sia termoelettrico sia resistivo, in particolare

termocoppie, termoresistenze, pirometri ottici, pirometri a radiazioni, termografi, etc.

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In ottica manutentiva, la misurazione della temperatura di una macchina assume un

significato ben preciso: qualunque dispositivo che genera, conduce o consuma potenza,

infatti, emette calore in conseguenza delle perdite di energia del sistema. Generalmente, ad

una diminuita efficienza di un componente corrisponde un aumento del calore emesso; quindi,

un dispositivo in avaria presenta una temperatura in rapido aumento, sintomo di un guasto

incipiente. In particolare i sistemi meccanici, più di quelli elettrici o chimici, ben si prestano

ad essere soggetti a questo tipo di rilevamento; ci sono molteplici possibilità applicative su

una serie di componenti di cui si cerca di valutare, con questa tecnica, la “normalità“ delle

condizioni operative: accoppiamenti per trasmissione di potenza, cuscinetti, scatole del

cambio, riduttori, circuiti di raffreddamento, etc.

Gli sviluppi futuri nel Condition Monitoring

I progressi compiuti nel campo dell’Information Technology (IT) 6 permettono oggi

un’acquisizione dei dati “in tempo reale” ed un’analisi di questi, pressoché contemporanea al

processo produttivo, consentendo l’implementazione di tecniche di Condition Monitoring in

passato ritenute solo teoricamente percorribili. Allo stesso, tempo l’IT rende possibile la

progettazione di sistemi di produzione avanzati, che fanno uso di “macchine intelligenti” per

garantire un maggior livello d’automazione. L’IT, cioè, rende possibile individuare

l’informazione, decifrarla, trasmetterla, riceverla, immagazzinarla, interpretarla e promuovere,

conseguentemente, azioni appropriate sul sistema [20]. In teoria, tutte queste attività

dovrebbero essere svolte automaticamente, sulla base della conoscenza delle condizioni

correnti in tempo reale (Real Time Actual Condition Knowledge - RTAK). Ciò implica

l’utilizzo di processi informatici in tempo reale, di una rapida interpretazione dei dati e

l’adozione di un processo logico – decisionale automatico.

In tale scenario, la Manutenzione deve evolvere in un’organizzazione efficiente, che utilizza

le capacità dell’Information Technology per metterle al servizio di sistemi industriali molto

complessi ed altamente tecnologici.

6Con una semplice definizione si può affermare che la IT è “il modo con cui noi raccogliamo, registriamo,elaboriamo ed usiamo l’informazione” [20].

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Oggi lo stato dell’arte è tale da consentire già l’implementazione di questi principi su

macchine utensili a controllo numerico (Computer Numerical Control - CNC) e su sistemi

flessibili di produzione (Flexible Manufacturing System - FMS), tramite metodologie di

controllo adattivo, con un conseguente aumento del tasso di utilizzo dei macchinari, della

qualità dei componenti e della vita del sistema, ed una riduzione del costo del lavoro e dello

spazio richiesto.

Il Controllo Adattivo (AC) è una tecnica che permette, ad un sistema equipaggiato di sensori,

di individuare un cambiamento nell’ambiente e, se tale variazione è sfavorevole, di

intraprendere automaticamente delle azioni correttive, in modo da ottimizzare il sistema sotto

controllo secondo un dato criterio [19]. In base a questa definizione è possibile classificare i

sistemi di controllo adattivo in due tipologie principali:

Technological Adaptive Control (TAC) che a sua volta contiene due distinte tipologie di

sistema:

- Adaptive Control of Constraints (ACC), tecnica che mira ad ottenere lo svolgimento

in sicurezza delle operazioni di sistema, nel rispetto di vincoli fisici correlati alla

macchina (è l’unica fra queste tecniche che abbia già avuto qualche consistente

applicazione commerciale);

- Adaptive Control of Optimization (ACO), tecnica che mira ad ottimizzare

l’economicità dei criteri di produzione;

Geometrical Adaptive Control (GAC), orientata al prodotto, ha lo scopo di perfezionare la

conformità dei componenti alle specifiche, tramite continui aggiustamenti della posizione

degli utensili in funzione, per esempio, della loro usura progressiva.

I recenti sviluppi nella tecnologia dei circuiti integrati e in optoelettronica, sono arrivati al

punto da rendere possibile l’assimilazione delle funzioni di più sensori, in una singola unità.

Inoltre, si possono combinare le informazioni provenienti da diverse sorgenti di dati, per dar

luogo a quello che si potrebbe chiamare “un sensore intelligente”. Questi sensori possiedono

anche la capacità di valutare, in un certo qual modo, i dati in ingresso, così da poter, ad

esempio, amplificare il segnale oltre il rumore di fondo, filtrarlo o combinarlo con altri

segnali provenienti da fonti diverse. Attualmente si è già in grado di costruire prototipi con

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queste caratteristiche e, grazie all’uso della microelettronica, è anche possibile incorporarli in

un sistema integrato di sensori. Le successive ricerche in tal senso sono mirate ad ottenere

sensori veloci, accurati e con capacità di autodiagnosi, dal design semplice, se possibile, e

preferibilmente affidabili, non intrusivi e tali da lasciare inalterata la complessità del sistema.

I metodi di misurazione optoelettronica sembrano rispettare queste specifiche abbastanza

bene, e potrebbero trovare presto delle interessanti applicazioni industriali. L’uso di questo

tipo di sensori in un sistema automatico dovrebbe consentire di:

- ridurre la frequenza di prodotti difettosi a meno di uno su un milione;

- eliminare la possibilità di un processo casuale di errore dovuto ad incontrollabili parametri

ambientali;

- fornire informazioni riguardanti il prodotto e il processo utili per un’attività di previsione

dei guasti, assicurazione di qualità, controllo e diagnostica.

7. TESTABILITÀ E PROGNOSTICA

Particolare rilievo assume, nell’ottica gestionale e manutentiva, il concetto di Testabilità del

sistema, recentemente introdotto e relativo alla attitudine di un sistema/apparato a consentire

ai mezzi di autodiagnosi interni, o a strumentazione esterna adeguata, di verificarne la

funzionalità e di diagnosticarne le avarie. Questo parametro logistico è oggetto di attenzione

già da tempo e per esso sono state definite numerose figure di merito, al fine di valutare la

bontà di un sistema di autodiagnostica o di stimare quanto un apparato sia testabile

dall’esterno.

Nell’ambito della Testabilità (Figura 3), si sono sviluppati gli studi relativi alla prognostica,

ovvero al complesso di attività di diagnosi precoce finalizzate a consentire l’individuazione

del momento della vita del sistema in cui appare più appropriato intervenire, al fine di evitare

il verificarsi di guasti più o meno imminenti (manutenzione predittiva in relazione ai guasti

incipienti; manutenzione proattiva in relazione guasto condizionale): la Testabilità (intesa

come diagnostica) serve a segnalare un guasto avvenuto; la Prognostica invece, ha come fine

la segnalazione di un guasto incipiente o condizionale.

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La Testabilità intrinseca del sistema, influenzando in modo notevole il tempo di ripristino

delle condizioni operative, costituisce uno dei parametri fondamentali che determinano il

valore medio dei costi di manutenzione: il cliente cerca di avere la massima visibilità su tutte

le fasi di progetto, allo scopo di renderlo rispondente ai criteri di Testabilità richiesti ed

evitare inutili riprogettazioni che innalzano il costo e rendono disomogeneo il prodotto.

I requisiti in questione sono diventati sempre più stringenti negli ultimi anni; essi si

differenziano a seconda dell’apparecchiatura, ma hanno in comune alcuni parametri che

servono a valutare la rispondenza dei dispositivi di test alle richieste contrattuali. Si tratta di

Figure di Merito (FOM) il cui valore può essere stimato attraverso dettagliate analisi

logistiche che, partendo dai dati progettuali, conducono, mediante metodologie perfettamente

definite dalle normative, alla determinazione del parametro richiesto.

Prima di elencare le figure di merito più spesso richieste contrattualmente, è bene chiarire il

significato di alcuni termini cui si farà riferimento in seguito:

Built - In - Test (BIT): la capacità interna di un sistema di individuare ed isolare un‘avaria;

comprende il Built – In – Test – Equipment (BITE), ovvero l’insieme dei programmi del

software, dei circuiti di test, dei pannelli per la manutenzione, degli indicatori, etc. che

concorrono a formare il sistema interno di diagnostica costituito da numerosi sensori che

hanno il compito di segnalare eventuali guasti 7.

External - Test - Equipment (ETE): di cui fanno parte gli Automatic Test Equipment (ATE) e

rappresentano dispositivi, esterni all’apparato, (per esempio un banco di prova ) preposti

all’individuazione e isolamento dell’avaria.

La gestione della Testabilità

Allorché le figure di merito che definiscono la Testabilità di un sistema sono state espresse

dai requisiti concordati con il cliente e messi a specifica ha inizio un’attività di “allocazione”

che consiste nel determinare le specifiche di Manutenibilità dei componenti dell’Apparato.

7 Si tratta di sistemi go - no go, cioè non forniscono indicazioni sul degrado della prestazione del sistema inquestione, bensì segnalano il guasto già avvenuto: è il caso, ad esempio, delle spie luminose che sull’autoindicano il non funzionamento di un faro. Sono poco costosi e quindi applicabili anche a componenti nonessenziali, la cui avaria cioè non comporta la perdita della funzionalità principale.

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Tale attività consiste nel distribuire, in modo logico ed in base a criteri di fattibilità economica

e tecnologica, le esigenze di Testabilità del sistema. L’allocazione della Testabilità deve

comunque essere preceduta dalla allocazione di Affidabilità e da un’analisi delle funzioni, in

modo tale da poter assegnare maggiori risorse di diagnostica ai guasti più probabili ed a quelli

più critici.

Altro aspetto da tenere ben presente è che in tutti i nuovi progetti vengono ormai richieste (ciò

che è indice del crescente interesse della clientela verso queste problematiche) particolari

analisi logistiche, specificate in una Data Requirement List (DRL). In particolare, ai fini della

Testabilità sono di importanza rilevante i seguenti elaborati:

Analisi di Testabilità, ovvero l’analisi della capacità dei sistemi di diagnostica interni

(BITE) ed esterni (ATE); vengono messe in particolare luce le interdipendenze e le

limitazioni dei vari mezzi di diagnostica ai vari livelli gerarchici del sistema.

Analisi del BITE, come sopra ma con un dettaglio maggiore per quanto riguarda la

valutazione dei dispositivi e degli algoritmi relativi alle varie figure di merito.

Analisi dei Modi di Guasto e degli Effetti (Failure Modes and Effects Analysis - FMEA).

Analisi degli effetti, classificati in base ai diversi modi con cui i guasti possono

presentarsi su ogni componente, al fine di determinare la probabilità che si verifichino

certe categorie di guasto, soprattutto la categoria dei guasti critici (si parla in questo caso

di FMECA, ove si aggiunge anche l’analisi di criticità: la “C” sta per Criticality). Si tratta

di un’analisi bottom - up che parte cioè dai componenti e dai loro modi di guasto per

analizzare, al termine della catena, l’effetto sulle funzioni del sistema, permettendo di

prevenire e limitare fenomeni di propagazione dei guasti stessi.

Analisi dell’Albero dei Guasti (Fault Tree Analysis - FTA). Analisi top - down che,

partendo dalle funzioni principali che il sistema deve espletare, permette di costruire

l’albero degli items fisici i quali, interconnessi tra loro, contribuiscono a svolgere la

funzione primaria sotto esame. La FTA costituisce uno strumento più immediato, anche se

meno analitico, della FMEA, di cui può essere corollario.

Catalogo dei Guasti (Fault Catalogue). Documento base in cui sono elencate, per ciascun

item, almeno il 95% di tutte le possibili modalità di guasto (corto - circuito, fuori -

tolleranza, contatto intermittente, assenza di segnale, etc.) e la loro probabilità di

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occorrenza. Tale documento non fornisce di per sé una vera analisi, ma costituisce la base

per la determinazione delle varie figure di merito (in cui, come si è visto, si fa riferimento

proprio al numero di “guasti possibili”) e per questo deve essere preventivamente

approvato dal cliente, soprattutto nel caso in cui questi richieda delle Dimostrazioni.

Dimostrazioni. Oltre alle analisi “sulla carta” fin qui descritte, il cliente in genere può

imporre altre due categorie di prove della rispondenza dell’apparato alle figure di merito

della Testabilità:

- dimostrazioni in fase di accettazione;

- dimostrazioni in fase di in - service.

Le prime sono effettuate sulla base di guasti simulati e, se si riscontrano valori al di sotto della

soglia di accettazione, s’impone al fornitore (a sue spese) di apportare le varianti necessarie e

di ripetere i tests a modifiche avvenute, fornendo poi evidenza cartacea del miglioramento

apportato.

Le Dimostrazioni sul campo sono ancora più penalizzanti: vengono calcolate le figure di

meito reali e, nel caso in cui nell’apparecchiatura venga costatato il fuori - specifica, viene

imposta la modifica migliorativa assicurandosi di poter disporre, durante tutto il tempo

richiesto per le modifiche, di apparecchiature analoghe (sempre a spese del fornitore).

La gestione della Prognostica

Quando si parla di Testabilità e di Prognostica è bene sottolineare fin da subito che non si fa

riferimento alla manutenzione programmata (scheduled), bensì alla gestione preventiva.

Queste discipline si rivolgono cioè verso quei componenti che hanno vita limitata, vale a dire

che sono caratterizzati da un tasso di guasto con andamento crescente nel tempo.

Generalmente si tratta di dispositivi meccanici (turbine, pompe, motori, etc.) o

elettromeccanici (motori elettrici, interruttori, condensatori elettrolitici, etc.), ma talvolta

anche di dispositivi elettronici (tubi a raggi catodici, travelling wawe tubes, etc.) e in

definitiva di tutti quei componenti in cui vi sia un processo di degrado graduale, fenomeni

d’usura, di stress meccanico o, comunque, eventi di avaria legati a fenomeni di

deterioramento a catena.

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La Prognostica sta a rappresentare una generale tendenza verso la manutenzione su

condizione: si sostituisce tutto ciò che si rompe o che in qualche modo, cioè tramite opportuni

sensori, rende evidente l’approssimarsi di una situazione di malfunzionamento. Essa, in altri

termini, si applica solo dove esiste una qualche forma di preavviso per un guasto incipiente,

evitando di basarsi esclusivamente sulle previsioni ricavabili dallo studio del tasso di guasto.

Si tratta di un approccio manutentivo già adottato, ma che ha visto, storicamente, una recente

evoluzione nelle sue possibilità applicative: si è passati da una manutenzione su condizione

attuata su impianti di produzione, all’idea di utilizzare questa pratica anche sui

sistemi/apparati, ovvero sui prodotti oggetto di commercializzazione diffusa. Vorrebbe dire,

in un futuro forse non molto lontano, avere a disposizione un segnale di preallerta che

avverte, ad esempio, che la nostra automobile sta per subire un guasto, o avvisa il conducente

di un autobus di linea di un’avaria imminente (consentendo comunque di terminare la corsa)

evitando spiacevoli attese per i passeggeri, oppure, fatto più importante, che informa il

capitano di una nave della necessità di effettuare delle riparazioni con un anticipo tale da

permettergli di raggiungere il porto più vicino, senza compromettere la funzionalità della nave

durante la missione, etc.

Tutto ciò ha ovviamente un costo, che può risultare conveniente sostenere quando le

conseguenze di un’avaria siano abbastanza gravi in termini di danno arrecato a persone o cose

(si pensi, per esempio, alla cinghia di distribuzione di un’automobile), e comunque in

presenza di guasti tipici dei componenti meccanici, caratterizzati da usura, o quando si abbia a

che fare con sistemi difficilmente ispezionabili, sistemi costosi, sistemi essenziali, etc.

Evidentemente, in una prima fase, considerazioni di fattibilità economica spingono ad

applicare queste metodologie ai soli sistemi complessi, costosi o critici, e a quelli prodotti in

larga serie (automotive); in un secondo momento però, l’esperienza acquisita può condurre

alla riduzione dei costi di gestione Prognostica, rendendone possibile una maggiore

diffusione. Al riguardo, occorre tenere nella giusta considerazione i benefici attesi in termini

di vita media utile dei sistemi attraverso l’applicazione della Prognostica.

Le procedure per applicare la Prognostica sono molteplici, ma anche qui, come nel caso della

Testabilità, è possibile evidenziare un’importante suddivisione: si può attuare una Prognostica

di tipo esterno, allorché i campioni da analizzare siano simili e quindi sia conveniente

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esaminarli attraverso un unico “probe” posto in un apposito reparto; oppure, una Prognostica

interna a ciascun apparato (qualora questa risulti una scelta economicamente valida). Il costo

di quest’attività diminuisce in maniera sostanziale nel momento in cui se ne sia già previsto

l’utilizzo in sede di progetto, invece di applicarla, come spesso accade in questa fase iniziale,

al “già progettato”.

Nel caso di apparecchiature prevalentemente elettroniche invece, per le quali è impossibile

prevedere il guasto (perché quest’ultimo si presenta in maniera casuale e improvvisa), si attua

una politica di Fault Tolerance, vale a dire si cerca di limitare le conseguenze del guasto, per

esempio attraverso una ridondanza effettiva o funzionale (quest’ultima è meno costosa e

comporta un degrado tollerabile della prestazione richiesta).

L’implementazione della Prognostica

La fase iniziale dell’implementazione della Prognostica di un sistema consiste in un’analisi

preliminare mirante a identificare le LRUs 8 critiche per la missione che il sistema stesso è

chiamato ad effettuare. Successivamente, occorre stabilire una scala di priorità basata sulle

frequenze di guasto tipiche dei vari items e sulla loro idoneità ad essere oggetto di raccolta di

dati utili.

Per esempio, le avarie che si verificano su dispositivi meccanici o idraulici bene si prestano ad

essere previste attraverso un monitoraggio ed un’analisi attenta dei dati disponibili rilevati

lungo un certo arco di tempo. Tali dispositivi, sottoposti alle procedure diagnostiche indicate,

possono dunque continuare ad operare normalmente per un certo periodo, anche se

severamente sollecitati. Molto più difficile risulta l’implementazione della Prognostica su

componenti elettrici/elettronici, caratterizzati, come detto, da guasti subitanei e casuali, che si

presentano nel momento in cui una particolare caratteristica, per esempio la tensione elettrica,

supera un certo valore di soglia. Stabilire criteri oggettivamente validi per la determinazione

di tale soglia è impresa quanto mai ardua, poiché essa viene raggiunta improvvisamente e

senza alcun apparente degrado graduale della prestazione.

8 LRU = Line Replaceable Unit.

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Le LRUs con vita limitata e/o con i più alti valori di frequenza di guasto sono i candidati

prioritari all’implementazione della Prognostica, a causa del forte impatto sulla Disponibilità

operativa. Ad esse possono essere applicate le tecnologie disponibili: particolarmente utile si

è rivelato l’utilizzo di MEMS, sensori progettati per il monitoraggio di temperatura,

vibrazioni, umidità, pressione, impurità dei fluidi e ultrasuoni. Tali dispositivi dovrebbero

essere incorporati in LRUs di nuova concezione che ne prevedano l’utilizzo fin dalla fase

progettuale, così da garantire una buona implementazione dei requisiti della Prognostica.

Quest’ultima si basa sull’idea che ogni LRU sia intrinsecamente diversa dalle altre; i sensori

hanno appunto la funzione di raccolta di un certo numero di dati lungo un congruo intervallo

di tempo, in modo da stabilire le caratteristiche che rendono unica la LRU e permettere lo

sviluppo di un software adatto alla determinazione, per ciascuna caratteristica, dei valori di

soglia, raggiunti i quali si avvia un processo che conduce al guasto. Nel momento in cui questi

valori vengono superati, il Sistema di Prognostica può notificare la presenza di un guasto

incipiente all’operatore responsabile, programmando inoltre una sostituzione del pezzo alla

prima occasione.

Quest’ultima attività è solo una tra quelle legate alla gestione della Prognostica, in analogia

con quanto detto per la Testabilità: anche in questo caso, cioè, si dovranno approntare una

serie di analisi logistiche che favoriscano una corretta allocazione delle esigenze di

Prognostica sul sistema. È ipotizzabile, altresì, il ricorso a elaborazioni come il Catalogo dei

Guasti o la FMECA, evidentemente adattati alle caratteristiche di questo diverso approccio

manutentivo. In particolare la FMECA dovrà tenere conto della necessità di rispettare le

nuove figure di merito definite per la Prognostica, anche al fine di identificare la categoria dei

guasti critici, mettendo in evidenza le avarie prognosticabili.

Il processo di progettazione della Prognostica

Da quanto si è visto, si comprende il livello di complessità di un Sistema di Prognostica che

sia in grado di svolgere anche solo parte delle funzioni indicate, soprattutto se si dà il giusto

peso al fattore tempo: infatti, una segnalazione di guasto imminente ha tanto più valore

quanto più essa è tempestiva, lasciando il maggiore intervallo di tempo possibile per

effettuare gli interventi del caso. Molti, però, sono i fattori che intervengono a rendere

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difficile tale passaggio. La grande quantità di dati che i sistemi produttivi sono in grado, oggi,

di mettere a disposizione del manutentore, per certi versi ostacolano e, a volte, paralizzano lo

svolgimento della diagnosi, per le difficoltà interpretative e per l’ambiguità con cui vengono

esplicitati i meccanismi di causa - effetto essenziali alla corretta valutazione dei fenomeni.

L’interpretazione della diagnostica (spesso on board) deve essere affidata a specialisti, il che

comporta una minore tempestività di intervento, dovuta sia all’azione contemporanea di

diverse figure professionali, sia alla necessità di impegnare addetti di professionalità

specifiche, ammesso che siano disponibili. Tale situazione di incertezza è resa ulteriormente

drammatica allorché i dati diagnostici vengano rilevati con continuità (monitoring o controllo

continuo della condizione) e si pone l’esigenza di isolare le poche informazioni importanti

dalle molte non significative [6].

In questo panorama, un ruolo fondamentale può giocarlo un Sistema Esperto, più o meno

integrato con un sistema informativo di manutenzione, allo scopo di migliorare l’efficacia

della diagnosi tecnica, sia consentendo una maggiore interattività con l’utente, sia fornendo

un supporto attivo per la rapida individuazione dei guasti.

Le prestazioni degli attuali sistemi informativi sono limitate dalla struttura in cui questi sono

inseriti, all’interno dei tradizionali sistemi per l’elaborazione dei dati (computer,

minicomputer). Manca, infatti, nella logica procedurale dei calcolatori tradizionali, una

struttura che filtri le informazioni e le riproponga eliminando le ridondanze e i casi banali,

consentendo al manutentore di concentrarsi sui casi più significativi. Per questo è importante

che il manutentore stesso interagisca con strumenti intelligenti, in grado di sviscerare almeno

in parte la complessità dei problemi, e di offrire sui fenomeni in esame, oltre che una raccolta

organizzata di informazioni, anche valutazioni effettive sullo stato dei sistemi.

La diffusione dei Sistemi Esperti in Italia, tuttavia, è ancora abbastanza limitata e riguarda

solo il 2 - 3% delle applicazioni, tra l’altro prevalentemente in campo industriale

manifatturiero. Questo perché, tra l’altro, i sistemi esperti attualmente realizzati per la

manutenzione, sono altamente specializzati e orientati a risolvere un particolare problema.

Non si prestano, quindi, ad un uso generalizzato di “caccia ai difetti” sulla base di

informazioni introdotte dal manutentore con l’ausilio di un modello preesistente.

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I recenti studi e progressi anche in questo settore aprono prospettive del tutto nuove. Basti

pensare che, fino a qualche anno fa, i sistemi esperti erano ancora considerati troppo lenti,

richiedendo tempi di risposta rilevanti per la soluzione dei quesiti. Si trattava, inoltre, di

apparati generosamente dimensionati, che si adattavano solo al funzionamento con macchine

dedicate o con grandi elaboratori: ciò richiedeva un costo elevato sia in termini di hardware

sia di software. Oggi, invece, la diffusione dei personal computer di moderna concezione

rende queste problematiche via via sempre meno pressanti.

C’è da aggiungere, comunque, che sebbene l’80% delle industrie italiane possieda una banca

dati di manutenzione (per il 50% gestita con sistemi computerizzati), solo il 20% delle

aziende ha un sistema informativo di manutenzione che ha carattere di completezza [6] e che

comprende, quindi, i moduli fondamentali:

- archivi tecnici;

- gestione dei guasti;

- gestione delle risorse;

- controllo dei costi.

8. I SISTEMI ESPERTI

Un Sistema Esperto è un dispositivo artificiale che formula un’ipotesi plausibile su una

probabile causa e successivamente la verifica. Ci si muove, quindi, utilizzando modelli di

inferenza Bayesiana, secondo cui, appunto, si parte da una situazione ipotizzata (per esempio

una distribuzione dei guasti) per poi modificarla in base alle conoscenze acquisite

operativamente.

Le procedure di ricerca dei guasti seguono la medesima logica: si osserva che cosa non

funziona, lo si analizza, si valuta la plausibile causa, la si verifica e si itera il ragionamento

finché non si trova la causa del malfunzionamento. Successivamente si rimuove la causa

individuata e si verifica che il sintomo sia scomparso. Si tratta, in sostanza, di un processo di

ricerca delle cause a partire dagli effetti definito tecnicamente backward chaining

(concatenamento all’indietro): concatenamento, cioè, di fatti (misure e controlli) per risalire

alle cause (danneggiamenti, stato di degradazione) e consigliare sul da farsi. L’analisi delle

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cause di guasto trae fondamento dalla seguente considerazione: non solo i guasti sono

circoscritti ad un numero limitato di componenti, ma sono spesso ripetitivi. La ripetitività è

proprio la ragione per cui ha un senso individuarne le cause, per cercare di rimuovere i

problemi alla radice.

Un Sistema Esperto, in generale, è un programma informatico che si comporta come un

esperto in un dato campo: esso deve operare dando giustificazione delle sue “decisioni” e

mostrando il ragionamento che sta alla base. Per costruire un sistema esperto è necessario

sviluppare le seguenti funzioni principali: una funzione di risoluzione di problemi, una

funzione di interazione con l'utente ed una funzione per il trattamento dell'incertezza. La

struttura tipica di un sistema esperto contempla le seguenti componenti:

- la base delle conoscenze, che comprende le conoscenze sono specifiche al dominio di

applicazione: semplici fatti riguardanti il dominio, regole che descrivono relazioni o

fenomeni nel dominio e, eventualmente, anche metodi, euristiche ed idee per risolvere i

problemi in tale dominio;

- il motore inferenziale, capace di utilizzare le conoscenze che sono contenute nella base;

- l'interfaccia utente, che permette di gestire la comunicazione fra l'utente ed il sistema e

fornisce all'utente un'idea del processo di risoluzione che viene eseguito dal motore

inferenziale.

In generale, appare conveniente considerare il motore inferenziale e l'interfaccia come un

unico modulo, detto di solito guscio del sistema esperto, o semplicemente guscio.

Il sistema esperto è, comunque, solo uno degli elementi che possono essere necessari per dar

luogo ad un sistema informativo di manutenzione: quest’ultimo dovrà essere “integrato”,

ossia in grado di comunicare sia con il mondo delle risorse produttive (front end, rilevazione

dello stato in tempo reale, etc.), sia con il mondo della progettazione (analisi delle modalità di

guasto, delle criticità, manutenzione migliorativa, investimenti, retrofitting, etc.). Ciò

consente di attivare il miglioramento della diagnosi, attraverso la definizione e

l’aggiornamento di modelli di comportamento al guasto del sistema, la taratura del modello

consentita dall’analisi dei dati provenienti “dal campo”, la rielaborazione in tempo reale dei

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segnali deboli e di tutte le informazioni che riguardano il comportamento dei mezzi di

produzione.

L’omologazione dei criteri di raccolta ed elaborazione delle informazioni, inoltre, consente di

confrontare le prestazioni di imprese appartenenti al medesimo settore merceologico e, più in

generale, fra industria e servizi. Tale sistema informativo non può risiedere totalmente

all’interno di una struttura centralizzata, poiché necessita di altri dispositivi, diversi dal

calcolatore elettronico che sovrintende alla gestione, quali [6]:

Sensori. Hanno il compito di rilevare i segnali elementari provenienti dai componenti e

dalle funzioni del mezzo di produzione. Spesso si trovano già installati sulle macchine o

vi è già una struttura pronta ad accoglierli.

Rete di comunicazione. Le informazioni raccolte dai sensori debbono essere concentrate

in “nodi” che, opportunamente collegati in rete fra loro e con un front end, consentono la

trasmissione economica delle informazioni provenienti dai sensori. Spesso strutture

siffatte sono già installate sui mezzi di produzione per trasmettere i dati relativi al

processo.

Front end. Si tratta di un calcolatore che provvede al continuo monitoraggio dei dati

provenienti dai sensori attraverso la rete di comunicazione e che ha il compito di filtrare le

informazioni non banali, passandole - successivamente - al sistema esperto cui è collegato.

Preferibilmente questo dispositivo deve essere dedicato.

Sistema esperto. Una struttura hardware/software che consente l’analisi delle informazioni

provenienti dal campo, attraverso il front end, confrontando la situazione anomala con la

“base di conoscenze” alimentata ad esempio dalla FMECA e dalle informazioni ricavate

operativamente; è anch’esso un dispositivo dedicato.

Attualmente, la tecnologia dei PC di nuova generazione consente, dipendentemente dalla

complessità del sistema, di unificare le funzioni svolte dal Front end e dal Sistema Esperto.

Per meglio comprendere la successione delle fasi manutentive legate al sistema descritto, è

utile entrare un po’ più in dettaglio nel funzionamento del front end. Esso raccoglie i segnali

deboli (piccole anomalie, sintomi), e i segnali forti (guasti, fermate del sistema produttivo)

riconoscibili in base ai seguenti criteri:

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- I segnali rientrano nelle tolleranze previste dal sistema (è la situazione di regime); il front

end non trasmette ai sistemi ad esso collegati alcuna informazione e il mezzo di

produzione è in esercizio.

- I segnali non rientrano nelle tolleranze previste dal sistema, tuttavia non è in corso nessun

evento critico per il mezzo di produzione. Il front end trasmette i segnali anomali al

sistema esperto affinché li sottoponga ad analisi; il mezzo di produzione è in esercizio.

- I segnali non rientrano nelle tolleranze previste dal sistema ed è in corso un evento critico

che ha causato la fermata del sistema produttivo o di una parte di esso. Il front end

trasmette l’informazione di fermo/guasto al sistema informativo di manutenzione, affinché

provveda ad attivare il pronto intervento; allo stesso tempo trasmette al sistema esperto i

segnali anomali che, opportunamente elaborati, serviranno successivamente al

manutentore a supporto della diagnosi; il mezzo di produzione è fermo.

In una fase successiva, il manutentore interagisce con il sistema esperto per capire se è

necessario eseguire un intervento preventivo a seguito dei segnali rilevati, oppure per

diagnosticare la causa del guasto. In ogni caso, dall’interazione con il sistema esperto il

manutentore ricaverà informazioni sufficienti per regolarsi sulle azioni da intraprendere. La

retroazione del sistema viene garantita dallo stesso manutentore che, in seguito alla

segnalazione avuta, registra nel sistema esperto l’intervento effettuato, che può essere una

semplice regolazione, la riparazione di un guasto oppure un semplice controllo. In

quest’ultimo caso, egli segnalerà al sistema esperto che quella particolare condizione non è da

ritenersi critica. In questo modo si ottiene il continuo aggiornamento della base di conoscenze

del sistema esperto che, con questo processo, è in grado di apprendere dall’esperienza e di

tararsi costantemente sui problemi che deve risolvere. È da sottolineare, comunque, che la

procedura di allerta è diversa da sistema a sistema: un Sistema Esperto dedicato alla

Prognostica, avrà già, immagazzinate nella sua base di conoscenza iniziale, tutte quelle

situazioni che tendono a presentarsi prima del guasto e che, quindi, bisognerà evitare che si

verifichino.

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Un‘ultima considerazione merita di essere fatta: è fortemente auspicabile la creazione e

l’utilizzo di banche dati integrate, nelle quali confluiscano informazioni relative ad un’intera

tipologia di macchine/apparati/sistemi, in modo da mettere in comune le conoscenze acquisite

sul campo, valorizzandole in un confronto continuo con altre realtà applicative. Un tale modo

di procedere, basato sulla messa in comune delle informazioni condivisibili, diventa strategico

in svariate applicazioni particolari, come non è difficile immaginare.

9. TECNICHE INNOVATIVE PER LA VALUTAZIONE DELL’AFFIDABILITÀ DEI

SISTEMI COMPLESSI

Negli ultimi anni si è assistito, prevalentemente in campo industriale, alla nascita di un vivo

interesse nei confronti dei sistemi di processo automatico delle informazioni di tipo soft–

computing. Con tale espressione vengono indicate tutte quelle metodologie di trattamento dei

dati che si basano su algoritmi che non si limitano semplicemente ad elaborare le

informazioni che ricevono, bensì creano altri algoritmi e procedure adatti a questo compito.

In sostanza, si può parlare di meta - algoritmi in grado di generare gli algoritmi necessari al

trattamento dei dati che ad essi vengono sottoposti.

Il soft - computing è a ragione ritenuta una branca di quell’interessantissimo campo di ricerca

che si occupa della cosiddetta intelligenza artificiale.

Sono tre le strade principali che afferiscono al soft–computing:

la Fuzzy Logic;

gli Algoritmi genetici;

le Reti Neurali.

La Fuzzy Logic, o logica sfumata, altro non è che un ampliamento della logica classica.

Mentre in quest’ultima un elemento può solamente appartenere o no ad un insieme, nella

Fuzzy Logic viene introdotto un grado di appartenenza di un elemento ad un insieme, per cui è

possibile trovare asserzioni del tipo: “l’elemento x è caratterizzato da un grado di

appartenenza 0,34 alla classe A ed un grado di appartenenza 0,56 alla classe B”. In questa

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logica vengono quindi ampliati i concetti di intersezione ed unione di insiemi fino a rivedere

in questa chiave tutti i teoremi della logica classica ed a stilarne di nuovi. Il suo obbiettivo è

di trarre relazioni da dati che possiedono una incertezza di fondo ed estrarne le informazioni

che comunque possiedono, consentendo il raggiungimento di obiettivi utili altrimenti

raggiungibili a meno di approssimazioni talvolta anche grossolane.

Gli Algoritmi Genetici si utlizzano per l’ottimizzazione. Si crea un algoritmo parametrizzato

per trovare l’ottimo di una funzione e svariate stringhe di parametri casuali. Si fa “girare”

l’algoritmo con i parametri di ognuna delle stringhe e si selezionano le stringhe che hanno

raggiunto i migliori risultati, eliminando le altre. A questo punto vengono fatte riprodurre le

stringhe vincenti con un cross-over genetico (da cui il nome). Ossia si crea un nuovo insieme

di stringhe creato dal mescolamento degli elementi delle stringhe vincenti, insieme ad una

modesta quantità di stringhe casuali. A questo punto si selezionano nuovamente le stringhe

che raggiungono il miglior risultato e se ne ottengono di nuove dal loro “accoppiamento”. Il

processo si itera sino a trovare la stringa “evoluzionisticamente adatta” a risolvere il problema

nel migliore dei modi.

Le Reti Neurali sono dei sistemi adattivi che imparano a risolvere il problema che viene loro

posto dopo un adeguato periodo di addestramento. Si sono sviluppate di pari passo con le

ricerche in campo fisiologico del cervello umano. Le prime reti neurali altro non erano che

modelli matematici del comportamento, a livello di attività sinaptica e quindi di trasmissione

di informazioni, dei neuroni biologici. La ricerca sulle reti neurali si è poi svincolata dalla sua

indagine in campo fisiologico (che comunque prosegue) ed ha cominciato ad abbracciare un

vasto campo di applicazioni industriali che ha portato a risultati incoraggianti, tanto da essere

oramai considerato uno strumento di lavoro al pari dei tradizionali sistemi di processo delle

informazioni.

Queste tecniche, alle quali ci si è limitato a fare solo un breve cenno, affiancano i Sistemi

Esperti quali strumenti innovativi per la progettazione di sistemi di gestione per la

manutenzione e alla loro implementazione operativa. Ciascuna di esse, come si è visto, è

caratterizzata da funzionalità diverse che possono trovare un impiego efficace nel campo della

gestione dell’affidabilità di sistemi complessi qualsivoglia, non necessariamente industriali.

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Interessante appare anche il ricorso a sistemi manutentivi soft – computing ibridi, ovvero

basati sull’impiego contemporaneo di divesrse tecnologie del tipo di quelle a cui si è fatto

cenno.

Fra le tecniche innovative, infine, vale senz’altro la pena di citare anche il ricorso alla

modellizzazione e alla simulazione di sistemi e fenomeni9, che può essere di grande beneficio

quando si accetti di monitorare lo stato di un apparato attraverso un suo modello funzionale,

implementato generalmente al calcolatore.

In tal modo, tra l’altro, si apre anche la possibilità alla realizzazione di dispositivi utili alla

gestione stessa dei sistemi, quando si immagini che il modello venga fatto funzionare in

parallelo al sistema reale e fornisca informazioni utilizzate per impostare i comandi di

controllo del sistema stesso.

10. TELEMANUTENZIONE

Nel concludere questo quadro sulle politiche, sulle strategie e sulle tecniche e tecnologie

manutentive sembra appropriato offrire un riferimento su una delle modalità gestionali alle

quali oggi si attribuisce maggiore credito, per gli sviluppi futuri che sembra destinata ad

avere, ovvero la cosiddetta Telemanutenzione, o gestione a distanza di un sistema.

Tale possibilità, resa possibile anche in questo caso dagli sviluppi tecnologici degli ultimi

anni, in particolare in campo sensoristico e telecomunicativo, rappresenta un traguardo

estremamente interessante non solo in campo prettamente industriale, ove le applicazioni sono

già numerose, ma anche in campo civile, immobiliare, impiantistico tecnologico e

infrastrutturale. La possibilità di verificare il funzionamento di un macchinario o di tenere

sotto controllo l’esercizio di un impianto, anche a distanza, rappresenta una esigenza oggi

particolarmente sentita e sempre più pressante sotto la spinta di fenomeni quali la

globalizzazione dei mercati e l’outsourcing di processo.

9 Ad esempio, la cosiddetta simulazione Montecarlo, basata sulla generazione di numeri casuali (o megliopseudocasuali) rappresentativi di altrettante situazioni che nella realtà si potrebbero presentare.

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Ai fornitori, ad esempio, si richiede non più di fornire il macchinario o l’impianto, ma lo si

coinvolge all’interno dei processi aziendali affidandogli il service del proprio prodotto,

eventualmente assorbendo anche il personale precedentemente assegnato a tale funzione.

Sempre più spesso, infatti, i produttori non vendono più le loro macchine ai clienti, ma

divengono responsabili del funzionamento del macchinario e dell’assistenza continua.

La necessità di fornire assistenza in remoto ha posto le basi per lo sviluppo di soluzioni

nell’ambito della Telemanutenzione. Gli attuali sviluppi delle tecnologie informatiche hanno

reso possibile la realizzazione di sistemi che utilizzano hardware e software ampiamente

diffusi, a costi decisamente contenuti.

La telemanutenzione intelligente degli impianti tecnici (ascensori, etc.)

A titolo esemplificativo, si consideri il problema della gestione e della manutenzione degli

impianti tecnici installati negli edifici (ad esempio, impianti ascensore).

Tali attività richiedono significative azioni di pianificazione e, successivamente, di controllo,

rese complicate, ad esempio, quando tali impianti siano dislocati sul territorio urbano, ove lo

spostamento delle squadre di manutenzione è reso maggiormente difficile dalle distanze e dal

traffico veicolare.

Tali condizioni, unitamente alla circostanza per cui una impresa di manutenzione si trova a

gestire e manutenere parchi impianti anche molto numerosi (dell’ordine delle centinaia e più),

rendono difficile l’attuazione di logiche di tipo preventivo, determinando, così, livello di

rischio suscettibili talvolta di sensibile miglioramento.

Al fine di rendere più efficaci le azioni gestionali e manutentive sugli impianti tecnici, in

particolare rendendo più tempestivi gli interventi, o, addirittura, prevenendo il verificarsi di

guasti, si può ipotizzare il ricorso ad un sistema di manutenzione a distanza (tele-

manutenzione), che consenta la rilevazione, registrazione, analisi ed elaborazione distanza di

grandezze significative relativamente al funzionamento degli impianti.

Si può immaginare tale sistema come costituito dalle seguenti parti principali:

a) sub-sistema di rilevazione delle grandezze di interesse;

b) sub-sistema di trasporto e conversione dei segnali;

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c) sub-sistema di registrazione e segnalazione;

d) sub-sistema di elaborazione intelligente delle grandezze monitorate.

L’adozione di sistemi di tele-manutenzione per impianti tecnici risulta agevolata dal fatto che

sugli impianti ascensore di nuova costruzione, ad esempio, è prevista per legge l’installazione

di un sistema di comunicazione bidirezionale che colleghi costantemente gli utenti

dell’impianto con un punto di risposta. Il medesimo sistema, dunque, può oggi essere

ragionevolmente anche impiegato per il trasferimento di segnali relativi allo stato di

funzionamento dell’impianto.

L’elaborazione delle informazioni relative al funzionamento dell’impianto, inoltre, può essere

agevolmente attuata per mezzo delle reti neurali, ovvero di quegli strumenti informatici

ispirati alle logiche dell’intelligenza artificiale, in grado di assicurare la previsione di

fenomeni qualsivoglia, anche non lineari, ovvero consentire l’attuazione delle auspicate

logiche di tipo preventivo nella manutenzione degli impianti tecnici.

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