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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA LA DISCIPLINA DEL MERCATO ASSICURATIVO E LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA Relatore: Chiar.mo Prof. Michele Siri Candidato: Marco D’Oro Anno Accademico: 2006/2007

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA

LA DISCIPLINA DEL MERCATO ASSICURATIVO E LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA

Relatore: Chiar.mo Prof. Michele Siri

Candidato: Marco D’Oro

Anno Accademico: 2006/2007

I

Note e ringraziamenti

Il lungo lavoro di ricerca e compilazione è stato possibile solamente grazie

alla collaborazione ed infinita pazienza dei miei genitori, Bruno ed Angela, ai

quali dedico questo importante passo della mia vita.

Colgo altresì l’occasione per manifestare profonda gratitudine al professor

Michele Siri per la grande disponibilità nei miei confronti.

Infine ringrazio le persone che mi sono state vicino, aiutandomi a trovare la

volontà di dedicarmi con impegno e passione tanto al lavoro, quanto allo studio:

Diana, Valentina, gli amici tutti, i colleghi.

I

INDICE

Introduzione VII

Capitolo I

Financial Services Action Plan

1.1 Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione 1

1.2 Il “Financial Services Action Plan” 11

1.3 Monitoraggio delle attività 16

1.4 FSAP Evaluation Part I 23

1.5 Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati Membri 29

1.6 L’attività del Financial Services Policy Group 32

1.7 L’attività del Forum Group of Market Experts 35

Capitolo II

-Il mercato assicurativo-

Introduzione 38

2.1 Il mercato assicurativo da “protetto” a “libero” e da “nazionale” 39

Ad “internazionale”

2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile 44

2.3 La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” 48

2.4 L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. 50

Parallelismi e differenze con il sistema bancario

2.5 La costituzione del mercato assicurativo unico 53

2.6 La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE 57

2.7 Le violazioni delle direttive in materia assicurativa: 61

Il procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con

l’implementazione della DIA

I

Capitolo III

-Il margine di solvibilità-

3.1 Il rischio 64

3.2 Il margine di solvibilità 69

3.3 Da Solvency 0 a Solvency II 73

3.4 Solvency II: le domande chiave 75

3.5 Cos’è Solvency II 78

3.6 In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II 81

3.7 I tre pilastri 85

3.8 Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità 90

3.9 L’attività di CEA e CEIOPS 93

3.10 Quantitative Impact Study I 96

3.10.1 QIS1: osservazioni generali

3.10.2 QIS1: conclusioni generali

3.11 Quantitative Impact Study II 101

3.11.1 QIS2: obiettivi e contenuti

3.11.2 QIS2: valutazione dell’esercizio

3.12 Alcune criticità di Solvency II 108

3.13 I Consultation Papers del CEIOPS 112

Capitolo IV

-Il ramo vita-

4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita 116

4.2 L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito 120

del sistema finanziario

4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita

4.2.2 La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese

del ramo vita, in chiave solvibilità

4.3 La disciplina: Direttiva 2002/83/CE 140

I

4.4 La disciplina in Italia: Circolare ISVAP 551/d “Le norme di 149

trasparenza delle polizze vita”

4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile 152

4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs.209 07/09/05 “La tutela del 156

consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni”

4.7 Un confronto europeo sui conti economici delle imprese 161

di assicurazione

4.8 Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale 165

Capitolo V

Le prospettive di integrazione europea in materia di previdenza

complementare

5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro 168

comunitario

5.2 Normativa comunitaria 171

5.3 Previdenza complementare: perché? 173

5.4 Il ruolo del settore privato 176

5.5 La libera circolazione dei lavoratori 179

5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea 184

5.6.1 Francia

5.6.2 Germania

5.6.3 Paesi Bassi

5.6.4 Gran Bretagna

5.6.5 Gli schemi di previdenza complementare all’interno del

mercato UE

5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering 197

5.8 La previdenza complementare in Italia 210

5.8.1 I fondi pensione in Italia

5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime,

prospettive per il futuro: un intervento del presidente di

V

Covip, settembre 2007

5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni 223

dell’Ania

Capitolo VI

L’intermediazione assicurativa

6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE 232

6.2 Analisi della Direttiva 2002/92/CE 235

6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali

6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari

6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri 240

6.3.1 Austria

6.3.2 Belgio

6.3.3 Francia

6.3.4 Germania

6.3.5 Italia

6.3.6 Paesi Bassi

6.3.7 Spagna

6.3.8 Regno Unito

6.4 Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD 245

6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione

dell’IMD

6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering)

6.4.3 La scelta e lo stile regolatorio dell’autorità competente

6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità

6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla

protezione dei capitali dei clienti, al margine di solvibilità

6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori

6.4.7 I costi di implementazione

6.5 Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle Assicurazioni 256

V

6.6 Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006 260

6.7 Regolamento ISVAP n.5/2006: tutela dell’assicurato nei casi di 268

insolvenza dell’intermediario

6.8 La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di 273

intermediari ed assicuratori

6.9 Il registro unico degli intermediari 289

6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato 292

assicurativo

6.11 Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e 295

sulla professione

Bibliografia 300

V

Introduzione

L’importanza dell’assicurazione nell’economia moderna è indubbia ed è

stata riconosciuta per secoli.

L’assicurazione è praticamente una necessità per le attività produttive e per le

imprese, e non è trascurabile il suo ruolo nella protezione del tenore di vita delle

persone. Essa diventa il mezzo mediante il quale “il disastro di uno viene

condiviso da tanti, il disastro di una comunità viene condiviso da altre comunità,

le grandi catastrofi vengono attenuate e possono essere riparate”. In pratica è un

elemento essenziale per il funzionamento delle economie nazionali: senza

copertura assicurativa l’intero settore commerciale pubblico e privato non

potrebbe funzionare.

L’assicurazione permette alle attività produttive di operare in un’ottica di costi

effettivi, fornendo loro meccanismi di trasferimento dei rischi. Permette alle

imprese di assumere crediti che altrimenti sarebbero inaccessibili senza

un’adeguata copertura dai rischi, e fornisce protezione contro i rischi collegati

all’espansione dei business in territori non familiari (nuovi mercati, prodotti,

servizi), elemento essenziale per creare crescita economica.

Oltre al mondo delle imprese, l’assicurazione è di vitale importanza per gli

individui. La carenza di copertura assicurativa lascerebbe gli individui e le

famiglie priva di protezione dalle incertezze della vita quotidiana: l’assicurazione

è perciò un requisito fondamentale per la stabilità finanziaria, per il benessere, per

il tenore di vita dell’individuo.

In Europa la cultura assicurativa è in crescita. Il bisogno assicurativo è cresciuto

enormemente in seguito a diversi fattori, tra i quali il miglioramento del tenore di

vita medio dei cittadini dell’Unione, l’incremento culturale, l’aumento della

durata della vita, l’impatto di determinati eventi storici, che hanno portato

all’attenzione delle persone l’esistenza di nuovi rischi, come il terrorismo. Infine

non va trascurata l’importanza assunta dal mercato assicurativo come collettore

del risparmio privato, soprattutto nell’ambito della previdenza.

V

Si può tranquillamente affermare che il mercato assicurativo è uno degli elementi

cardine dell’economia europea, assolutamente non trascurabile in un’ottica di

sviluppo.

Il legislatore europeo, nell’ambito della creazione di un mercato unico dei servizi

finanziari, ha dedicato in questi anni ampio spazio alla materia assicurativa,

soprattutto allo scopo di armonizzare le discipline nazionali, in modo da realizzare

degli standard omogenei in tutti gli Stati Membri.

Il titolo di questa tesi “la disciplina del mercato assicurativo e le

prospettive di integrazione europea”, ne riassume efficacemente l’ambizioso

obbiettivo: fornire al lettore una visione a trecentosessanta gradi del mondo

assicurativo e della sua disciplina legislativa, e le prospettive di realizzazione del

“mercato unico”, fondamentale chiave di volta del mercato assicurativo dei nostri

giorni.

Le conclusioni alle quali sono giunto non sono univoche: da un lato è inevitabile

osservare la portata innovativa del progetto in corso di realizzazione, il mercato

unico europeo. I miglioramenti sono evidenti sotto molteplici aspetti: alti standard

professionali degli intermediari, maggior tutela del consumatore,

razionalizzazione dei margini di solvibilità delle compagnie, abbattimento delle

frontiere per la prestazione dei servizi finanziari.

Il rovescio della medaglia non è comunque trascurabile: non sempre si è assistito

ad una implementazione omogenea delle Direttive Europee, realtà che potrebbe

creare notevoli discussioni e problematiche. Parallelamente alcuni elementi

dell’impianto legislativo in via di sviluppo non sembrano essere adeguati allo

standard che l’Unione ha intenzione di realizzare. E’ il caso ad esempio della

Direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, che ha ampi margini di

miglioramento, soprattutto in chiave di tutela dei consumatori.

All’interno della dissertazione questi argomenti sono trattati in maniera

approfondita, con lo scopo precedentemente accennato di fornire il quadro più

completo possibile dello stato di realizzazione del mercato unico assicurativo.

Si può concludere osservando semplicemente che il grande progetto UE è in corso

di realizzazione, e che, sebbene vi siano alcune criticità non trascurabili, un lavoro

costante delle Istituzioni europee in sinergia con i legislatori nazionali e con i

I

protagonisti del mercato assicurativo, porterà sicuramente alla realizzazione di un

mercato unico pienamente funzionante, con elevati standard di professionalità,

sicurezza, competitività e tutela dei consumatori. I tempi per conseguire questo

importante risultato, però, sembrano essere ancora lunghi.

1

Capitolo I

FINANCIAL SERVICES ACTION PLAN

Sommario: 1.1 Servizi finanziari: elaborazione di un quadro d’azione – 1.2 Il Financial

Services Action Plan – 1.3 Monitoraggio delle attività – 1.4 FSAP Evaluation Part I – 1.5

Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli stati membri – 1.6 L’attività del “Financial

Services Policy Group” – 1.7 L’attività dei “Forum Group of Market Experts”

1.1 Servizi Finanziari: elaborazione di un quadro d’azione

Nel Giugno 1998 il Consiglio europeo di Cardiff ha invitato la

Commissione “a presentare un quadro di azioni intese a migliorare il mercato

unico dei servizi finanziari”. Rispondendo a tale invito, la Commissione ha

pubblicato una comunicazione1 nella quale ha individuato una serie di temi da

sviluppare urgentemente per beneficiare appieno dei vantaggi della moneta unica

e assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario europeo.

Sono state evidenziate cinque linee di azione essenziali:

a. l’UE va dotata di un dispositivo legislativo che consenta di

affrontare le nuove sfide in materia di regolamentazione;

b. va eliminata qualsiasi frammentazione residua del mercato dei

capitali, in modo da ridurre il costo dei capitali raccolti sui mercati

dell’UE;

c. gli utenti ed i fornitori di servizi finanziari devono essere messi in

grado di sfruttare liberamente le opportunità commerciali dal

mercato finanziario unico, assicurando nel contempo un livello

elevato di protezione dei consumatori;

d. va incoraggiato un maggiore coordinamento tra le autorità di

vigilanza;

1 COM (1998) 625 del 28.10.1998: “Servizi finanziari: elaborazione di un quadro di azione”.

2

e. va sviluppata una infrastruttura integrata a livello UE per le

operazioni finanziarie al dettaglio e all’ingrosso.

a) Un apparato normativo più snello ed efficace

Secondo la Commissione, il raggiungimento di un apparato normativo più

snello e più efficace può essere perseguito innanzitutto mediante un

aggiornamento della legislazione. Elementi fondamentali di questo aggiornamento

sono la razionalizzazione delle tecniche legislative (legiferare meno e meglio) e

una maggiore rapidità della legislazione.

In secondo luogo è auspicabile il miglior utilizzo possibile della normativa

già esistente i cui difetti attuali possono essere corretti da una migliore attuazione

a livello nazionale, da un controllo più rigoroso da parte della Commissione e da

un’interpretazione più chiara ed uniforme delle norme comunitarie.

LINEE D’AZIONE

La commissione:

eserciterà pressione affinché le direttive siano attuate in modo efficace ed entro i termini

previsti;

elaborerà comunicazioni interpretative contenenti orientamenti per gli Stati membri e gli

operatori;

metterà sul tappeto nuove proposte per l’elaborazione della futura legislazione

prudenziale in materia di servizi finanziari.

Il Consiglio e il Parlamento europeo

sono invitati a collaborare con la Commissione per esaminare la possibilità di concludere

un accordo interistituzionale che precisi le modalità di elaborazione di una legislazione

snella, flessibile e più rapidamente adottabile;

dovrebbero impegnarsi ad esercitare un certo grado di autorestrizione nel processo

legislativo per evitare una legislazione troppo complessa.

Gli Stati membri

dovrebbero invitare le loro autorità di vigilanza ad aumentare il loro ruolo di

3

autoregolamentazione approfondendo e potenziando i processi volti a rafforzare le norme

regolamentari e le pratiche operative per un mercato unico efficace;

dovrebbero impegnarsi ai fini di un’attuazione efficace e tempestiva delle direttive.

b) L’eliminazione della frammentazione residua del mercato dei capitali

La Commissione non ritiene che l’introduzione della moneta unica possa

essere condizione sufficiente per provocare l’integrazione dei mercati finanziari, i

quali rimarranno frammentati a causa della sussistenza di barriere regolamentari,

amministrative e fiscali.

Per quanto riguarda la domanda, gli emittenti devono poter accedere con

facilità ai mercati finanziari paneuropei, in condizioni di concorrenza. Per

realizzare questo obiettivo si impongono nuove misure nei settori del mutuo

riconoscimento dei prospetti, e del finanziamento delle giovani imprese

innovatrici non quotate.

Nell’ambito dell’offerta gli investitori devono essere liberi di investire le

loro attività senza scontrarsi con barriere giuridiche o amministrative, né con

problemi di informazione. Si prospetta una maggiore armonizzazione contabile al

fine di stimolare gli investimenti transfrontalieri con una maggiore trasparenza ed

una migliore comparabilità dei bilanci, e l’eliminazione delle restrizioni

quantitative e qualitative agli investimenti: i gestori di fondi pensione e di

assicurazione vita, infatti, gestiscono una porzione crescente delle riserve di

risparmi dell’Unione. Un miglioramento, per quanto minimo, dei rendimenti

potrebbe generare utili sostanziali per i membri dei fondi pensione e contribuire

ad alleggerire il costo del finanziamento pubblico delle pensioni. Ciò potrebbe, in

ultima analisi, contribuire alla creazione di posti di lavoro, rafforzando nel

contempo la sicurezza dei risparmi per la pensione.

Prodotti come fondi pensione e assicurazione vita sono sottoposti a

trattamenti prudenziali e fiscali che variano da Stato membro a Stato membro.

Questa situazione può creare differenze arbitrarie tra prodotti e far pendere

ingiustamente la bilancia a favore di un gestore piuttosto che di un altro. Per

4

ovviare a questo problema la Commissione si adopererà per il realizzarsi di

condizioni di concorrenza uniformi per prodotti finanziari analoghi.

I prestatori di servizi di investimento devono altresì poter esercitare le loro

attività in tutta l’Unione senza dovere espletare formalità giuridiche e

amministrative ridondanti.

Nel quadro della direttiva relativa ai servizi d’investimento, il mantenimento delle

regolamentazioni locali in materia di negoziazione di attività dà luogo ad un

mosaico di requisiti molto diversi e rende arduo ai prestatori di servizi di

investimento avere accesso ai mercati regolamentati di altri Stati membri e

competervi in modo efficace.

La Commissione ritiene che le attività transfrontaliere non devono essere soggette

a regole di negoziazione inutili imposte dal paese ospitante, in quanto

l’autorizzazione del paese di origine e la vigilanza delle istituzioni offrono

all’investitore professionale le garanzie necessarie.

LINEE D’AZIONE

La Commissione:

proporrà miglioramenti alle direttive relative ai prospetti, in modo tale da eliminare le

discordanze tra normative nazionali e permettere il mutuo riconoscimento di tali prospetti;

esaminerà la possibilità di incentivare, con iniziative giuridiche adeguate, i fondi

specializzati nel capitale di rischio a raccogliere a livello europeo i capitali necessari al

finanziamento delle nuove imprese di piccole dimensioni;

esaminerà se le opzioni in materia di informazione contabile previste dalle direttive

contabili siano inadeguate, tenuto conto della necessità di una maggiore armonizzazione

delle norme in materia;

elaborerà, sulla base di una comunicazione, una direttiva che mira allo smantellamento

delle misure che limitano gli investimenti dei fondi di previdenza integrativa e non sono

motivate da considerazioni di congruenza monetaria;

si sforzerà di addivenire ad un consenso sul ruolo del revisore legale dei conti nel contesto

dell’informazione degli investitori e dei mercati finanziari;

5

continuerà a lavorare al miglioramento della normativa relativa al governo societario in

cooperazione con gli organismi privati e pubblici competenti;

si adopererà per preservare la concordanza tra le norme contabili europee e le norme

contabili internazionali elaborate dalla IASC, in particolare introducendo la contabilità al

volore equo nel quadro normativo della’UE;

individuerà i mezzi più vantaggiosi (legislativi e non) per migliorare l’efficacia delle

direttive sui servizi di investimento promuovendo la necessaria convergenza delle

impostazioni nazionali relative alle regole di condotta.

Il Consiglio e il Parlamento europeo

sono invitati a fare progressi nell’adozione delle proposte di direttive relative alle

procedure di offerta pubblica di acquisizione e allo statuto della società europea (SSE);

sono invitati ad adottare rapidamente la legislazione necessaria basata sulle proposte della

Commissione nel settore degli OICVM.

c) I mercati al dettaglio degli Stati membri non sono ancora aperti

Allo stato delle cose valutato dalla Commissione nella comunicazione,

l’interpenetrazione dei mercati si è realizzata soprattutto attraverso lo stabilimento

di succursali o di controllate, spesso mediante l’acquisizione di operatori già

insediati in un altro mercato nazionale. Ad esempio, nel mercato

dell’assicurazione sulla vita, le imprese di assicurazione della maggior parte

degli stati membri non effettuano vendite transfrontaliere.

Per realizzare un autentico mercato interno occorre contemperare due

obiettivi a volte contrastanti: innanzitutto, i consumatori dovrebbero poter

scegliere con cognizione di causa nella certezza che i loro interessi sono tutelati

da solidi meccanismi di garanzia; un secondo obiettivo è accrescere la

concorrenza e ampliare le possibilità di scelta dei consumatori consentendo a tutti

gli intermediari finanziari di prestare i loro servizi a clienti/consumatori in

qualsiasi parte dell’UE, sulla base dell’autorizzazione rilasciata loro dall’autorità

di vigilanza nel paese d’origine. Gli stati membri si preoccupano legittimamente

di proteggere i consumatori dall’esposizione al rischio finanziario, ma l’esigenza

di garantire un elevato livello di protezione non dove essere utilizzata come

pretesto per ostacolare l’attività transfrontaliera.

6

La Commissione ritiene che continuerà ad essere impossibile sviluppare un

prodotto paneuropeo per quanto riguarda i prestiti ipotecari, l’assicurazione sulla

vita o i fondi pensione, in mancanza di un coordinamento e del riconoscimento

reciproco delle differenze di fondo delle disposizioni nazionali in materia.

Occorre dunque sviluppare soluzioni pragmatiche per riconciliare l’obiettivo della

promozione della piena integrazione dei mercati finanziari con quello di

assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori e mantenere la loro

fiducia.

Occorre avviare iniziative mirate a migliorare il grado di protezione dei

consumatori attraverso la convergenza delle prassi nazionali. In

particolare, il coordinamento delle prassi nazionali per quanto riguarda gli

intermediari di assicurazione può dare un contributo sostanziale sia alla

protezione dei consumatori che alla più larga commerciabilità dei prodotti

assicurativi.

Occorre individuare le differenze sostanziali tra le norme giuridiche che

tutelano i consumatori nei diversi paesi. Sono necessari meccanismi che

consentano alle istituzioni comunitarie di tracciare un quadro sistematico

delle fattispecie in cui si applicano le normative nazionali degli stati

membri.

La Commissione perseguirà una politica che distingua tra consumatori ed

operatori professionali2, limitando l’applicazione delle norme del paese

ospitante ai casi in cui è in gioco la sicurezza dei consumatori3.

Occorre sviluppare una strategia che protegga i consumatori da pratiche

commerciali aggressive e sleali ma che allo stesso tempo consenta loro di

cercare il prodotto più conveniente.

2 Il principio della protezione differenziata dei consumatori è stato sancito negli anni ottanta dalla Corte di giustizia quando ha dichiarato, in materia di esigenze di protezione dei consumatori, che si deve anche ammettere che tali ragioni non hanno la stessa importanza per tutti […] e che possono esistere casi in cui, dato il carattere del rischio e del contraente […] non vi è alcuna necessità di tutelare quest’ultimo mediante l’applicazione delle norme imperative del suo ordinamento nazionale. (causa 205/84, Racc. 1986, pag 3755). La Commissione ha già applicato questo principio nei settori dell’assicurazione e dei servizi d’investimento. 3 Il termine “consumatore” è stato definito nella legislazione in materia di protezione dei consumatori: si tratta di una persone fisica che agisce al di fuori della sua attività professionale o lavorativa.

7

Occorre mettere a disposizione mezzi di ricorso efficaci a livello

transfrontaliero. Si devono assumere iniziative in materia di risoluzione

extragiudiziale delle controversie e di trattamento dei reclami.

LINEE D’AZIONE

La Commissione:

metterà in atto le iniziative annunciate nel Libro verde “Servizi finanziari –

Promuovere la fiducia dei consumatori”;

presenterà proposte per introdurre mezzi di ricorso e procedure di trattamento dei

recliami di levello adeguato per i clienti dei servizi finanziari;

individuerà e catalogherà le differenze tra le disposizioni adottate dagli Stati

membri invocando “l’interesse generale” a protezione dei consumatori nel settore

dei servizi finanziari, in vista dell’elaborazione di misure concordate, mirate e

proporzionate;

adotterà una politica basata sulla distinzione tra operatori professionali all’ingrosso

e comuni consumatori al dettaglio, per concentrare l’azione di regolamentazione

sugli ambiti nei quali è più necessaria e per evitare costi di adempimento

indebitamente elevati;

studierà nuove incisive peoposte per assicurare che gli intermediari di

assicurazioni debbano soddisfare rigorosi requisiti professionali e di altra natura

allo scopo di migliorare la protezione dei consumatori e il funzionamento del

mercato unico delle assicurazioni;

affronterà gli ostacoli giuridici fondamentali alla diffusione dei prodotti finanziari

seguendo una strategia graduale, viste le radicate differenze delle tradizioni

giuridiche.

d) L’esigenza di cooperazione tra le autorità regolamentari e di vigilanza

La cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali è fondamentale per la

gestione del rischio istituzionale/prudenziale, e deve svilupparsi organicamente

sia per rafforzare la capacità di far fronte a problemi transfrontalieri, sia per

elaborare un’impostazione di vigilanza comune per affrontare nuove forme di

rischio prudenziale sui mercati bancari, assicurativi e mobiliari.

8

Occorrerà altresì una stretta cooperazione tra le autorità di vigilanza e l’autorità

monetaria competente per la gestione della liquidità all’interno del sistema; tale

cooperazione deve fondarsi su una chiara attribuzione delle responsabilità.

Il coordinamento delle autorità di vigilanza deve essere basato su modalità

attentamente studiate: la Commissione riterrebbe assai utile l’elaborazione di una

“carta delle autorità di vigilanza” che attribuirebbe chiaramente le competenze per

lo svolgimento dei diversi compiti di vigilanza su base transfrontaliera.

Ulteriori elementi sottolineati dalla Commissione sono: l’importanza della

cooperazione internazionale sotto il profilo regolamentare, e soprattutto

l’esportazione dell’ordinamento della Comunità per assicurare la stabilità

finanziaria nei paesi dell’Europa orientale, che stanno compiendo progressi

costanti, anche se non uniformi, nel recepire la legislazione UE sui servizi

finanziari.

LINEE D’AZIONE

La Commissione:

contribuirà all’elaborazione di una “carta delle autorità di vigilanza” che definisca

le responsabilità rispettive e meccanismi per il coordinamento dei diversi

organismi aventi funzioni di vigilanza al livello UE.

riesaminerà le norme comunitarie in materia di requisiti patrimoniali degli enti

creditizi.

Il Consiglio e il Parlamento europeo:

dovrebbero adottare le proposte di direttiva in materia di risanamento e

liquidazione degli enti creditizi e delle imprese di assicurazione.

Gli Stati membri:

dovrebbero spingere le loro autorità di vigilanza a contribuire al massimo al

miglioramento dell’infrastruttura di vigilanza globale.

e) Condizioni generali per un mercato finanziario UE pienamente integrato

9

La Commissione ritiene che un quadro normativo elastico e aggiornato

non può da solo assicurare un funzionamento ottimale del mercato finanziario

unico, ed auspica perciò la realizzazione di una serie di condizioni più ampie.

A livello di infrastrutture un mercato pienamente funzionante presuppone

l’esistenza di mezzi tecnici e pratici necessari perché il regolamento delle

operazioni transfrontaliere possa essere effettuato con la stessa facilità ed

efficienza del regolamento delle operazioni nazionali. Devono perciò essere

colmate le lacune giuridiche dei sistemi di pagamento e di regolamento delle

operazioni su titoli, e dei sistemi di pagamento al dettaglio.

Riguardo la politica di concorrenza la Commissione riconosce un effetto

positivo alla coperazione tra banche ed altre imprese di servizi finanziari nei limiti

delle norme del trattato che vietano gli abusi di posizione dominante e

accertandosi che gli accordi conclusi non implichino restrizioni della concorrenza.

La Commissione ritiene anche che eventuali interventi degli Stati membri sotto

forma di aiuti di Stato rischia di avere effetti distorsivi della concorrenza, e si

impegna ad adoperarsi con energia per assicurare la parità delle condizioni di

concorrenza, applicando rigorosamente le disposizioni del trattato in materia di

aiuti di stato.

Le politiche fiscali sono destinate a influenzare pesantemente la

prestazione di servizi su scala transfrontaliera. I risparmi delle persone fisiche, ad

esempio, sono fortemente sensibili alle differenze di tassazione dei redditi da

capitale. Le distorsioni derivanti da tali differenze devono perciò essere

minimizzate.

Altri esempi di situazioni “patologiche” si riscontrano in materia di fondi

pensione e assicurazione sulla vita, soprattutto per quel che riguarda le formalità

relative ad adempimenti fiscali ed obblighi di informativa previsti negli Stati

membri, che causano una lievitazione dei costi degli operatori. In materia di

assicurazione sulla vita, infine, solo i premi versati ad un operatore nazionale

beneficiano di un trattamento fiscale favorevole.

La mobilità del lavoro costituisce un altro fattore indispensabile per il

corretto funzionamento di un mercato paneuropeo. Le società che operano in più

Stati membri non dovrebbero essere costrette ad istituire un fondo pensioni

1

distinto in ciascun paese, con conseguenti ripercussioni negative sul costo del

lavoro4.

LINEE D’AZIONE

La Commissione:

presenterà proposte per accrescere la certezza giuridica per quanto riguarda

l’impego di garanzie su base transfrontaliera.

ridurrà gli ostacoli di ordine statistico all’esecuzione di bonifici di importo

modesto al dettaglio.

preseterà proposte per eliminare gli ostacoli fiscali all’affiliazione tranfrontaliera

ai fondi pensione, agevolando così lo sviluppo di strutture societarie paneuropee

e incoraggiando la mobilità del lavoro.

Il Consiglio e il Parlamento europeo:

dovrebbero adottare la proposta di direttiva sulla tassazione del risparmio.

Consiglio e gli Stati membri:

dovrebbero impegnarsi ad applicare il codice di condotta sulla tassazione delle

imprese.

4 Questo problema è stato in parte affrontato dalla legislazione comunitaria nella direttiva 98/49/CE, relativa alla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno della Comunità europea.

1

1.2 Il “Financial Services Action Plan”

La comunicazione della Commissione COM(1999)232, 11.05.99 “Messa

in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano d’azione” (Financial

services action plan) dà corpo alle iniziative la cui necessità è stata affermata nella

precedente comunicazione del 28/10/1998 sui “Servizi finanziari: elaborazione di

un quadro di azione”.

IL FSAP è il risultato di un lungo processo di costruzione di un mercato

unico dei servizi finanziari che ha avuto inizio negli anni settanta, e si pone il fine

di confermare gli obiettivi ispiratori della politica in materia di servizi finanziari

negli anni successivi, e di determinare l’ordine di priorità di tali obiettivi,

delineando un calendario indicativo per il loro conseguimento e consigliando una

serie di meccanismi strumentali alla loro realizzazione.

Essenzialmente, le azioni contenute nel documento si suddividono in tre capitoli:

mercati all’ingrosso, mercati al dettaglio e strutture di vigilanza.

Viene dedicata attenzione anche alle modalità di messa in atto dello schema

d’azione.

a) Mercati all’ingrosso

Innanzitutto il FSAP pone come priorità l’aggiornamento della direttiva

sui servizi d’investimento (DSI), la cui applicazione viene ostacolata

dall’atteggiamento delle autorità competenti del paese del cliente. Sorgono quindi

urgenti esigenze di regolamentazione e nuovi problemi dovuti agli sviluppi dei

mercati e delle tecnologie, soprattutto per quel che riguarda le borse, i sistemi

alternativi di negoziazione, la raccolta di capitali su scala europea.

Molta attenzione viene rivolta ai fondi pensione, e all’obiettivo che i

gestori dovrebbero poter operare in un quadro coerente in tutto il mercato unico,

la cui mancanza scoraggia la mobilità del lavoro e impedisce tutti i benefici che

deriverebbero da un mercato unico dei sistemi pensionistici integrativi. Infatti,

essendo fonte di capitale a lungo termine, i fondi pensione “comunitari”

accrescerebbero il flusso di risorse disponibili per gli investimenti del settore

1

privato, stimolerebbero la creazione di posti di lavoro, abbassando il costo

indiretto del lavoro, e allevierebbero il crescente onere del finanziamento delle

pensioni di vecchiaia. La messa a punto di tale quadro è stata considerata dai

membri del Gruppo per i servizi finanziari una priorità così importante da

giustificare un dibattito specifico.

Riguardo le operazioni di negoziazione transfrontaliera di valori mobiliari

il FSAP sottolinea la necessità dell’accettazione reciproca e l’esecutorietà delle

garanzie su scala transfrontaliera. Attualmente queste condizioni non sono

soddisfatte e vi è un rischio più elevato che i contratti di garanzia transfrontalieri

vengano invalidati e regna l’incertezza sulla loro esecutorietà in caso di

insolvenza di chi ha fornito la garanzia.

Il quadro sui mercati all’ingrosso si conclude con l’auspicio di una rapida

adozione della direttiva sulle offerte pubbliche di acquisizione e dello statuto della

società europea, che porterebbero ad un’organizzazione più razionale delle società

nel mercato unico e aprirebbero la strada ad importanti proposte di direttiva sulle

fusioni transfrontaliere di società e azioni, e sul trasferimento della sede sociale.

Le ristrutturazioni societarie (fusioni, acquisizioni, OPA, ecc..) dovranno essere

monitorate dalle autorità di vigilanza secondo criteri prudenziali, di trasparenza e

di non discriminazione. Vanno però evitati ingiustificati ostacoli sulla base di

considerazioni di ordine prudenziale, e di conseguenza qualsiasi procedura di

autorizzazione deve essere fondata su un insieme di criteri obiettivi resi noti e

mantenuti costanti nel tempo.

b) Mercati al dettaglio

Nonostante alcuni importanti adattamenti siano già stati applicati,

rimangono numerosi ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi.

L’applicazione da parte degli Stati membri di norme nazionali per difendere i

consumatori da pratiche commerciali sleali e garantire la solidità e l’integrità dei

servizi finanziari rende impossibile per consumatori e fornitori il godimento dei

benefici che il mercato unico produrrebbe in termini di scelta più ampia e

condizioni concorrenziali.

1

Questi problemi di regolamentazione devono, secondo il FSAP, essere affrontati

con determinazione, in quanto un’adeguata e progressiva armonizzazione delle

regole in materia di commercializzazione e di informazione nell’insieme

dell’Unione, offre la prospettiva di un mercato al dettaglio autenticamente

integrato, che tenga nel debito conto gli interessi tanto dei consumatori quanto dei

fornitori.

La Commissione ha individuato sei aree di intervento fondamentali:

informazione e trasparenza: i consumatori devono disporre di

informazioni che consentano loro di valutare le caratteristiche del

contratto, il prestatore del servizio, e l’investimento proposto;

procedure di ricorso: occorre trovare un sistema efficiente ed

efficace di soluzione per via giudiziaria ed extragiudiziale delle

controversie per infondere la necessaria fiducia nell’attività

transfrontaliera;

un’applicazione equilibrata delle norme di tutela dei consumatori;

preparare la strada per servizi finanziari al dettaglio basati sul

commercio elettronico;

intermediari assicurativi: occorre definire un chiaro approccio

comune per la regolamentazione degli intermediari assicurativi,

facilitando la libera prestazione di servizi e consolidando, ad un

livello elevato, la protezione dei consumatori;

pagamenti transfrontalieri al dettaglio: è necessario colmare le

lacune tecniche e amministrative che rallentano e rendono costose

le operazioni di bonifico e di pagamento mediante carta.

c) Strutture di vigilanza

Sotto il profilo della regolamentazione, secondo il FSAP, l’Unione

dovrebbe tentare di applicare sempre alle sue istituzioni finanziarie una normativa

prudenziale conforme agli standard più elevati. Questi devono essere sempre

aggiornati agli sviluppi del mercato e i requisiti patrimoniali devono rispecchiare

1

con esattezza i rischi patrimoniali cui sono esposte le banche, le imprese di

assicurazione e gli intermediari mobiliari nell’Unione.

Per quanto riguarda invece la vigilanza, la più stretta integrazione dei

mercati ha messo in primo piano l’esigenza di un rafforzamento della

collaborazione nell’ambito dell’UE. Attualmente le decisioni in merito alle norme

e alle modalità di vigilanza dei settore delle banche, delle assicurazioni, e dei

mercati mobiliari viene condotta prevalentemente a tale livello. La fiducia

reciproca nell’efficacia dell’opera di vigilanza e di regolamentazione condotta dai

paesi partner è il fattore chiave di una efficace vigilanza transfrontaliera.

d) La messa in atto dello schema d’azione

La Commissione non sottovaluta le modalità della messa in atto dello

schema d’azione, utili ad evitare che il processo si areni. Viene sottolineata la

necessità di monitorare con frequenza le priorità di regolamentazione, valutandole

in maniera olistica ed intersettoriale, e naturalmente quella di evitare il protrarsi

oltremodo dei processi decisionali. Si auspica anche che le soluzioni adottate a

livello UE debbano essere caratterizzate da una certa flessibilità in modo da non

essere rese immediatamente obsolete dal rapido ritmo dei mutamenti dei mercati.

Per ottenere le migliori soluzioni tecniche disponibili, la Commissione intende

coinvolgere le altre istituzioni comunitarie e i rappresentanti delle categorie

interessate a livello UE nelle discussioni sui lineamenti generali di qualsiasi

iniziativa.

Infine è di fondamentale importanza la rapida messa in atto delle soluzioni

concordate, che allo stato attuale è penosamente lenta (non è insolito che per

portare a termine una procedura legislativa occorrano tre o quattro anni).

Piano D’azione per i servizi finanziari

Il piano d’azione elaborato nel FSAP conferma gli orientamenti da seguire per

trarre pienamente beneficio dell’introduzione della moneta unica e garantire la

stabilità e la competitività dei mercati finanziari dell’UE.

1

Per ogni misura prevista nel piano d’azione è indicato un livello di priorità,

secondo una scala articolata in tre gradi:

1. azioni con grado di priorità 1.

Esiste un ampio consenso sul carattere estremamente urgente di

queste azioni. Si tratta delle iniziative che devono essere realizzate

nel termine più breve possibile.

2. azioni con grado di priorità 2.

La Commissione considera queste azioni importanti perché

adeguando la legislazione esistente o le strutture attuali alle nuove

sfide poste dall’evoluzione dei mercati.

3. azioni con grado di priorità 3.

Azioni su temi importanti, per i quali esiste un consenso chiaro e

generale sul fatto che fatto che occorre lavorare in vista della messa

a punto di una politica coerente in tempi medi (fine del periodo

transitorio dell’euro).

1

1.3 Monitoraggio delle attività

Il primo progress report5 riguardo il Financial Services Action Plan è

stato pubblicato al Congresso ECOFIN, il 29 Novembre 1999. In esso la

Commissione stessa nota che, pur essendo trascorsi soltanto cinque mesi

dall’adozione dell’Action Plan, alcuni progressi sono già stati fatti, anche se in

molte aree si denota la necessità di un maggiore impegno.

Per realizzare molte delle azioni pianificate, la Commissione ha istituito il

Financial Services Policy Group (FSPG), organo comprendente i rappresentanti

dei ministeri dell’economia e delle finanze degli Stati membri e i rappresentanti

della banca centrale europea.

La relazione sottolinea i progressi compiuti in diversi settori in seguito

all'adozione di un certo numero di misure previste, come la preparazione di una

direttiva in materia di fondi pensione, l’adozione dela Comunicazione “Risk

Capital Action Plan”, le proposte riguardo E-Money, e la proposta di

regolamentazione dell’intermediazione assicurativa.

La relazione fornisce inoltre una valutazione globale, positiva, degli sforzi fatti

nell'elaborazione del lavoro di base per iniziative specifiche del piano d'azione, e

invita in seguito la Commissione ad adoperarsi nei prossimi mesi per presentare

una serie di misure importanti in conformità al calendario previsto dal piano

d'azione (fondi pensione, Libro verde sulla direttiva relativa ai servizi

d'investimento, modernizzazione delle disposizioni contabili, Libro verde sul

commercio elettronico). La relazione, infine, sottolinea una mancanza di progressi

in alcune aree, ed invita a prendere provvedimenti tempestivi.

Il secondo progress report6 viene presentato al congresso ECOFIN del

31/05/2000, e il suo incipit “il consiglio europeo di Lisbona: una svolta” è

indicativo sui contenuti. A Lisbona infatti, i capi di Stato e di governo hanno

manifestato la volontà comune di realizzare gli obiettivi del FSAP entro l’anno

2005 e il Piano d’azione per il capitale di rischio entro il 2003. Queste scadenze

5 Comunicazione del 29/11/1999 6 COM(2000) 336 Final

1

diventano il nuovo punto di riferimento per i citati obiettivi, nonché per tutte le

successive verifiche dei Piani d’azione.

La Commissione constata che sono stati compiuti dei progressi sostanziali. Alcuni

settori tuttavia hanno registrato pochi miglioramenti: statuto della società europea,

frodi e contraffazioni nei sistemi di pagamento e recepimento da parte degli Stati

membri della direttiva sul carattere definitivo del regolamento.

Per rispettare la scadenza del 2005, deve essere accelerata l'attuazione del piano

d'azione in cinque settori prioritari: un "passaporto europeo" per gli emittenti

azionari, una maggiore comparabilità dell'informativa finanziaria sulle società,

l'eliminazione degli ostacoli agli investimenti dei fondi pensione e degli organismi

d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), un miglior funzionamento

del mercato transfrontaliero dei pronti contro termine e accordi di riacquisto dei

titoli e una revisione della direttiva sui servizi d'investimento.

Nel terzo progress report7 del Novembre del 2000, la Commissione

manifesta la convinzione che in assenza di un coordinamento e una dinamica

maggiori, non sarà possibile rispettare la scadenza del 2005. Su richiesta del

Consiglio Ecofin, la Commissione ha riesaminato il FSAP per precisarne le

priorità e ha indicato, per ciascuna di esse, un percorso critico da seguire per poter

rispettare la scadenza del 2005. La Commissione suggerisce, per ciascuna

istituzione, una serie di priorità critiche per i successivi sei mesi, che potranno

essere riesaminate e sviluppate nelle prossime relazioni di avanzamento per

mantenere lo slancio verso la scadenza del 2005. La Commissione tiene peraltro a

sottolineare che tutte le misure del Piano d'azione devono progredire

parallelamente, se si vuole che le politiche dell'Unione relative ai mercati dei

capitali e ai servizi finanziari producano tutti i risultati voluti.

Al fine di migliorare il coordinamento fra le istituzioni è stato creato il cosiddetto

“Gruppo 2005”8, e ad esso è stato affidato il controllo del dettagliato calendario

delle scadenze del FSAP.

7 COM(2000) 692/2 Final 8 Il Gruppo 2005 comprende il presidente del comitato degli affari economici e monetari, i rappresentati della Presidenza e il commissario responsabile dei servizi finanziari. Obiettivo di questo Gruppo 2005 - un gruppo informale - è allineare i calendari di lavoro sulle misure del

1

A Giugno del 2001 la Commissione pubblica il quarto progress report9.

La relazione valuta i progressi delle proposte e direttive in materia. Indica che la

decisione spetta ormai al Consiglio ed al Parlamento europeo. Infatti, dalla

presentazione del Piano d'azione, 18 misure sono già state presentate e benché

siano stati raggiunti accordi su alcuni punti, altre questioni costituiscono ancora

delle vere e proprie sfide. Occorrerà una autentica volontà politica per attuare il

Piano in tutti i suoi elementi entro le scadenze del 2003/2005; ciò vale ad esempio

per l'istituzione dei due comitati sui valori mobiliari raccomandato dalla relazione

Lamfalussy10.

La relazione segnala inoltre che occorre tenere conto dei rapidi

cambiamenti intervenuti nel settore bancario, poiché la revisione della

regolamentazione (sorveglianza) è più urgente di quanto previsto. Il testo tratta

anche la cooperazione transfrontaliera delle borse, ed illustra infine i progressi

compiuti (conglomerati finanziari, opuscolo da pubblicare per i titoli offerti al

pubblico o quotati, abuso di mercati, rischio legato ai titoli depositati in garanzia

ed al credito) così come gli ostacoli (fondo pensione e commercio elettronico).

Il quinto progress report11 del 30 Novembre 2001 sottolinea la necessità

urgente di far fronte alle più recenti evoluzioni che hanno interessato il settore,

quali l'introduzione dell'euro, la flessione dell'economia, il perturbamento dei

mercati finanziari a seguito degli attentati dell'11 settembre 2001 e la lotta contro

il finanziamento del terrorismo.

La relazione nota con soddisfazione i progressi realizzati, quali l'adozione della

direttiva antiriciclaggio, l'accordo sul regolamento relativo ai pagamenti

transfrontalieri, l'adozione dello statuto di società europea, l'accordo politico sulla

direttiva relativa sulla vendita a distanza e l'istituzione, nel settore dei valori

mobiliari, dei comitati raccomandati nella relazione Lamfalussy. Tuttavia, le FSAP per evitare ritardi, scambiare pareri sugli aspetti politici chiave di tali misure, e aggiornarsi sui progressi compiuti. 9 COM(2001) 286 Final 10 Il Committee of Wise Men on the Regulation of European Securities Markets, presieduto da Alexandre Lamfalussy, ha pubblicato nel Novembre del 2000 una relazione sugli scenari economici del mercato unico e sui possibili sviluppi. 11 COM(2001) 712 Final

1

proposte relative ai fondi di pensione, agli opuscoli, ai conglomerati finanziari e

alle norme contabili internazionali, così come la nuova proposta sulle offerte

pubbliche d'acquisto rappresentano altrettante misure chiave che dovranno essere

adottate rapidamente.

In una conferenza stampa, il commissario per il mercato interno Frits

Bolkenstein rilascerà questa dichiarazione: "Progress so far has been broadly

satisfactory, but is not sufficient in itself to guarantee the integration of financial

markets in the near future. After the 11 September attack we responded very

rapidly with the adoption of the anti-money laundering Directive and the

Regulation on cross-border bank transfers was agreed in record time. We need

the same resolve to tackle all the remaining issues. An integrated European

financial sector will be a motor for economic growth and jobs and a shield

against financial instability. It will enable EU citizens and businesses to reap the

full benefits of euro. The European Parliament and the Council must deliver on

time." In essa traspare tutta la preoccupazione per un periodo che si presenta

socialmente ed economicamente instabile, ma anche estrema fiducia nel cammino

svolto dall’UE, auspicando la massima velocità nella realizzazione degli obiettivi

del FSAP: un mercato interno pienamente integrato, infatti, potrebbe permettere ai

cittadini e all’economia di godere appieno dei benefici portati dall’Euro.

Il sesto progress report12 del 03/06/2002 è accompagnato da ottimistiche

dichiarazioni di Romano Prodi e Frits Bolkenstein, che rispecchiano il contenuto

della relazione stessa il cui incipit è indicativo: “il clima migliora: ma c’è ancora

abbastanza da fare”. In essa si constata che progressi tangibili sono stati realizzati

ma ritiene che i quindici Stati membri debbano fare di più. Ricorda che in

particolare devono essere adottate in tempi brevi le proposte che vertono sugli

abusi di mercato, le garanzie finanziarie, la vendita a distanza dei servizi

finanziari, gli intermediari assicurativi, gli opuscoli, i conglomerati finanziari, le

norme contabili internazionali ed i fondi di pensione integrativa.

Le presidenze belga e spagnola hanno contribuito a dare il necessario impulso

politico affinché l’invito a compiere progressi concreti e tangibili del quinto

12 COM(2002) 267

2

progress report potesse essere accolto. Rimangono comunque molte perplessità

sul raggiungimento degli obiettivi secondo il calendario stabilito a Lisbona, e

preoccupazioni riguardo la direttiva sui fondi pensione, e altre direttive di non

minore importanza.

Il settimo progress report13 conclude che il FSAP è ad un buon punto di

realizzazione. La relazione sottolinea che l’entrata in vigore delle nuove misure

deve concentrare l’attenzione dell’UE sulla corretta e tempestiva implementazione

ed applicazione. Vengono evidenziati i notevoli progressi conseguiti

nell'integrazione del settore, in particolare per quanto riguarda i servizi

d'investimento, l'adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese

d'investimento, la compensazione ed il regolamento, la nuova proposta sulle OPA,

gli opuscoli, i fondi pensione, i conglomerati finanziari e gli abusi di mercato.

Infatti, quasi tutte le misure considerate prioritarie per il 2001 sono state adottate.

Il testo sottolinea tuttavia che lo stesso slancio deve essere mantenuto se si vuole

rispettare la scadenza fissata dal FSAP (2005) nonostante i problemi incontrati dai

mercati finanziari e la perdita di fiducia degli investitori. Per garantire un migliore

seguito del FSAP, la Commissione svilupperà una serie di indicatori al fine di

ottenere una migliore classificazione, per ordine di priorità, delle misure di

politica finanziaria. È anche auspicabile estendere il metodo "Lamfalussy" che

permette di rispondere rapidamente ed in modo flessibile agli sviluppi del mercato

per l'insieme dei settori finanziari. Infine, si deve elaborare fin dal 2003 un Piano

d'azione per il diritto societario, compreso il governo societario.

La Commissione pubblica l’ottavo progress report14 a metà del 2003

dichiarando che il positivo panorama economico globale è un’importante impulso

verso la realizzazione di un mercato integrato europeo, e che i progressi politici

verso il raggiungimento dell’obiettivo sono molti ed evidenti: 32 delle 42 misure

legislative originali sono infatti già state realizzate. La relazione giunge così ad

una conclusione importantissima: per permettere l’implementazione del FSAP

13 Bruxelles 03/12/2002 14 Bruxelles 03/06/2003

2

entro la deadline del 2005, tutte le misure legislative dovranno essere adottate

entro nove mesi (Aprile 2004) dal progress report stesso.

A testimonianza di questo orientamento ottimista e del desiderio di portare a

termine il programma nel più breve tempo possibile, la dichiarazione del

commissario per il mercato interno Frits Bolkestein: "The clock is ticking. We

have nine months to deliver the remaining parts of the Financial Services Action

Plan. Most of the Commission proposals are on the table: it is now up to the

European Parliament and the Member States to ensure that European businesses

and consumers can reap the benefits of financial integration. There is a huge

economic prize out there estimated at a direct windfall gain of at least 130 billion

euros for the financial services sector, not to mention the knock on effects of

cheaper capital for Europe's businesses. The end result will be renewed

confidence, more economic growth and more jobs. We must not let that slip. "

A Novembre del 2003 una relazione intermedia, il nono progress

report15 giunge alla conclusione che il FSAP è stato uno dei motori dello

sviluppo del mercato dei capitali europeo. Il FSAP ha infatti migliorato le

prospettive di crescita sostenibile derivante dagli investimenti e le prospettive di

occupazione.

Tuttavia la relazione sottolinea che per via delle elezioni del Parlamento europeo e

dell'allargamento dell'Unione europea a Maggio e Giugno 2004, è essenziale

giungere ad un accordo nel corso dei quattro mesi successivi sulle misure

importanti del FSAP che devono essere ancora adottate, ovvero: la direttiva sui

servizi di investimento, la direttiva sulla trasparenza e la direttiva sulle offerte

pubbliche di acquisto.

Infine la relazione pone l'accento sulle iniziative prese dalla Commissione per

valutare l'attuale stato di integrazione dei mercati finanziari europei.

Il 2 Giugno 2004, come stabilito, viene pubblicato il decimo e ultimo

progress report16 di monitoraggio sull’implementazione del FSAP. Il 93% delle

misure legislative previste è stato completato, e tutto ciò grazie ad un sapiente 15 Bruxelles 25/11/2003 16 Bruxelles, 02 Giugno 2004

2

lavoro di pianificazione e coordinazione tra le strutture dell’Unione. Ma per

valutare effettivamente il successo o meno del lavoro iniziato nel 1999 con la

pubblicazione dell’Action Plan, sarà necessario attendere un periodo di tempo

durante il quale sarà possibile valutare, mediante una buona e puntuale

implementazione delle misure, l’effettivo impatto del FSAP.

E’ proprio Frits Bolkenstein a pronunciarsi riguardo questo argomento: “This

report brings good news. The progress already made on the FSAP is a substantial

achievement by all the European Institutions and by national regulators and

supervisors, based on high quality input from market participants and experts.

But we must keep the champagne on ice for now. The time for celebration will be

once all the FSAP measures are working smoothly on the ground and when

Europe’s economy is reaping the full benefits. I am sure that time will come, but

we have a long way to go yet.”

La relazione quindi enfatizza che è ancora troppo presto per poter valutare se il

FSAP abbia raggiunto o meno i suoi obiettivi. Molte delle misure legislative

chiave sono entrate in vigore da pochissimo tempo mentre altre non sono ancora

state recepite dagli Stati membri.

Ciononostante il FSAP funziona come impulso per il cambiamento del mercato, in

quanto tutti i mercati finanziari si stanno riorganizzando su base extra-nazionale.

2

1.4 FSAP Evaluation Part I

Il Financial Services Action Plan, lanciato nel 1999 è stato portato a

termine quasi completamente alla scadenza del 2004, con l’adozione di 39 misure

legislative su 4217. Questo risultato da considerare un grande successo in termini

di procedura legislativa, soprattutto tenendo conto della vastità e della portata

innovativa del programma, il cui impatto sul mercato ha prodotto effetti mai

sperimentati nell’area dei servizi finanziari.

Raggiunto il termine finale per il completamento del FSAP si è sentita la

necessità di valutare oggettivamente il grado di successo delle misure legislative,

apprenderne lezioni per le politiche future, e ottenere dei feedback da parte degli

operatori e delle istituzioni. Per questi motivi il 7 Novembre del 2005, la

Commissione ha pubblicato la prima parte della valutazione dell’Action Plan:

“FSAP Evaluation – Part I: process and implementation”, che risponde appunto

all’esigenza di ottenere valutazioni ex-post dell’impatto dell’Action Plan stesso.

Nella relazione vengono analizzate le modalità nelle quali le varie misure

legislative e non legislative sono state adottate. Oltre a questo il testo esamina le

procedure, i progetti e le modalità di lavoro.

In occasione della conferenza stampa di presentazione della relazione,

Charlie McCreevy, commissario per il mercato interno e i servizi ha dichiarato:

“It is our job to ensure that the measures we adopt are of the highest possible

quality, reflect the reality on the ground and have the potential to bring tangible

benefits. That is why we’re now asking for comments on the adoption process of

the FSAP. Such input will be invaluable when we come to analyse whether there

are things we could do better in future.”

Questa richiesta di feedback sulla prima parte della valutazione del FSAP dà la

possibilità a tutte le parti interessate di esprimere le proprie opinioni riguardo il

processo di adozione delle misure. La Commissione è particolarmente interessata

a conoscere opinioni sulla percezione generale del FSAP, sulla consultazione, sul

processo Lamfalussy e sulle lezioni imparate dal FSAP, come:

17 Altre due misure legislative sono state adottate durante il 2005, portando la percentuale di completamento al 98%.

2

qual è stata la tua personale esperienza sul processo di

implementazione delle misure del FSAP?

qual è stata la tua percezione del volume di consultazioni

finalizzate all’elaborazione delle misure del FSAP?

qual è la tua valutazione dei lavori della struttura Lamfalussy fino

ad ora?

Tutte le risposte provenienti dalle parti interessate, sono da Febbraio 2006 oggetto

di studio e analisi per poter essere incoroporate all’interno del report finale.

Analisi della struttura del FSAP

L’ ”evaluation Part I” si apre con una dettagliata analisi della struttura del

FSAP, per poter rispondere alle domande: “qual è stato l’effetto della costruzione

di un piano d’azione a così ampio raggio?” e “le priorità iniziali hanno influenzato

il calendario per l’adozione delle misure finali, e in che maniera?”.

La relazione pone la sua attenzione sul “framework” del 1998 e sull’Action plan

stesso: in essi sono state delineate le iniziative finalizzate alla creazione di un

unico mercato finanziario che potesse servire come motore per la crescita, la

creazione di posti di lavoro, e per accrescere la competitività dell’economia

Europea.

Pur essendo difficile quantificare l’effetto della pubblicazione di un progetto così

vasto, si può comunque sostenere che il lancio di tali iniziative sia stato un

elemento chiave dell’eventuale successo del FSAP.

Diventare l’economia più dinamica del mondo entro il 2010, obiettivo delineato a

Lisbona, fece diventare il FSAP il fulcro di questo cambiamento. Le istituzioni

infatti, con l’avvicinarsi della deadline, hanno dovuto lavorare coralmente e con

celerità, poiché su di esse pesava tutta la pressione dell’opinione pubblica, della

politica, e di un mercato in fase di transizione.

Altri fattori cruciali sono entrati in campo: prima di tutto il lancio

dell’Euro, che ha creato i presupposti per un mercato finanziario fortemente

integrato, e secondariamente l’utilizzo da parte della Commissione, a supporto del

suo programma, di analisi economiche accolte favorevolmente dai maggiori

2

esperti di economia europei, alimentando il clima di fiducia nei confronti del

mercato unico.

Tutto ciò, come detto, ha portato ad un estremo e mai sperimentato grado di co-

operazione tra le istituzioni, con tempi di adozione delle misure molto inferiori

alla media e persino il recupero di iniziative che sembravano giunte ad un punto

morto. Nell’Action Plan del 1999, ognuna delle misure previste era accompagnata

da uno specifico livello di priorità, da 1 a 3.

Tutte le proposte legislative, tranne quella sulle offerte pubbliche di acquisto18,

dotate di priorità 1 sono state realizzate puntualmente entro Aprile del 2002.

Le priorità 2 (sia legislative che non legislative) sono state realizzate entro la

deadline del 2004, tranne la direttiva sui requisiti patrimoniali minimi19. Si ritiene

però che quest’ultima non potesse essere implementata nei tempi previsti in

quanto prematura.

Le misure con priorità 3 comprendono anche le ultime due azioni (su 42) che non

sono state portate a termine entro la deadline del 2004: le proposte di direttiva

sulle fusioni20 e i trasferimenti di sede.

Nonostante molte delle misure con grado di priorità 1 (soprattutto quelle

non legislative) fossero già in avanzato stadio di lavorazione al momento della

pubblicazione dell’Action Plan nel 1999, il fatto stesso che siano state tutte

completate entro i tempi previsti dà una dimostrazione di quanto possa essere

efficace e vantaggioso affrontare un ampio e vario progetto con scadenze definite,

quando vi è un forte supporto politico per la realizzazione degli obiettivi.

Il calendario dell’introduzione delle varie misure del FSAP è stato

influenzato da una varietà di fattori, come l’applicazione dell’approccio

Lamfalussy21, l’intensità delle consultazioni portate avanti per molte delle misure,

18 La direttiva sulle OPA è stata completata entro la deadline del 2004. 19 Approvata dal Parlamento Europeo il 28 Settembre 2005 20 Dopo un voto positivo del Parlamento Europeo la direttiva sulle fusioni è stata adottata il 19/09/2005. 21 Il processo Lamfalussy è un approccio a quattro livelli per elaborare la legislazione. Il primo livello è quello di progettazione, seguito dal secondo nel quale la Commissione implementa le misure. Al terzo livello si provvede a delineare una comune e definitiva guida interpretativa; il quarto livello conclude il processo con la Commissione che controlla i tempi e i modi di trasposizione della disciplina comunitaria negli Stati membri.

2

e alcuni eventi esterni che possono aver rafforzato la pressione per la conclusione

entro la deadline del 2004.

Il processo Lamfalussy è stato lodato da molti per aver velocizzato in

maniera non trascurabile i tempi di adozione della legislazione, ma ha subito

anche alcune critiche. Spesso infatti i termini per la trasposizione delle direttive

sono stati considerati eccessivamente stringenti, i tempi per le consultazioni ridotti

rispetto al normale, e i calendari di realizzazione non pienamente realistici.

Ciononostante, nel Novembre del 2003, la Commissione ha lanciato un pacchetto

di misure finalizzate all’estensione del processo Lamfalussy all’area dei fondi

d’investimento, delle banche e delle assicurazioni.

Riguardo l’influenza delle consultazioni, quando esse sono state condotte,

la reazione generale è stata sicuramente positiva sui risultanti testi legislativi.

Indubbiamente la preparazione, le risposte, la ricerca di conclusioni dopo

l’esercizio di consultazioni ha prolungato i tempi necessari per preparare le

proposte legislative. Comunque, le proposte derivanti da consultazioni si sono

dimostrate di qualità superiore, integrando al loro interno i differenti punti di vista

delle parti interessate, in maniera tale da diminuire l’opposizione di obiezioni

quando i testi venivano sottoposti al Parlamento e al Consiglio. Quindi i tempi

maggiori richiesti dalle consultazioni vengono poi recuperati nelle fasi successive:

ad oggi questo metodo è diventato uno standard.

E’ discussa anche l’eventuale influenza sulle azioni previste dal FSAP da

parte di elementi esterni. Sicuramente alcune iniziative intraprese nell’ambito del

FSAP hanno ricevuto un maggiore impulso dagli eventi di mercato che si sono

verificati durante il processo di realizzazione, in particolare: l’affare Enron22 negli

22 Nel 2002 la Enron, società energetica americana, improvvisamente fallì. L’avvenimento giunse del tutto inaspettato poiché ufficialmente l’azienda negli ultimi 10 anni aveva avuto una crescita molto rapida, decuplicando il proprio valore e raggiungendo il 7° posto nella classifica delle più importanti multinazionali degli USA. Tuttavia nel giro di pochissimo tempo le azioni Enron, da tutti considerate solidissime, persero tutto il loro valore, passando dalla quotazione di 86 dollari a 26 centesimi, bruciando così circa 60 miliardi di dollari nel giro di tre mesi. Ciò portò numerosi dipendenti a gravi difficoltà, poiché gli era stata fatta una proposta che permetteva loro di acquistare le azioni della società e non poterono far nulla per ripararsi dal disastro. I più alti dirigenti della società invece non subirono alcuna perdita, poiché avevano venduto le loro azioni prima del crack, realizzando così enormi guadagni; per essi infatti non era prevista alcuna clausola che gli impedisse di liberarsi delle proprie quote. L’opinione pubblica pretese chiarimenti, poiché pareva inspiegabile che una multinazionale che aveva un fatturato di circa 130 miliardi di dollari all’anno crollasse così rapidamente senza segnali premonitori.

2

Stati Uniti e lo scandalo Parmalat23 in Italia. Questi eventi focalizzarono

l’attenzione delll’opinione pubblica e della politica sulle regole del controllo delle

società, sul diritto societario, e sul ruolo dei revisori contabili, causando

indirettamente un’accellerazione del processo di realizzazione delle iniziative in

materia, previste dal FSAP.

Indubbiamente un altro elemento importante è stato l’introduzione dell’Euro, che

ha dato un’impulso decisivo alla conclusione di affari da parte dei consumatori in

tutta l’area della moneta unica.

Non va sottovalutata infine, nell’ambito dei fattori che hanno influenzato la

realizzazione del FSAP, la pressione della deadline sulle istituzioni comunitarie.

Questo fattore, combinato con la pressione addizionale causata dalla fine della

legislatura del sesto Parlamento Europeo e con il termine della Commissione di

Romano Prodi, fu stimolo importante per la realizzazione di tre direttive

prioritarie tra il primo quarto del 2003 e la l’inizio del 2004, nonché di altre

numerose azioni di grande importanza.

Comparazione tra il risultato finale e il progetto iniziale

Ci sono sicuramente alcune differenze sostanziali tra i contenuti originali

dell’Action Plan e quanto poi è stato realizzato. Ciò è dovuto alla necessità

sopravvenuta di rendere di più ampio respiro molte delle misure legislative

originariamente previste.

Le azioni che non hanno subito particolari variazioni sono principalmente quelle

che erano già ad un avanzato stadio di lavorazione al momento della

pubblicazione del FSAP. Altre misure invece non si sono discostate dagli obiettivi

23 Il crack Parmalat è stato soprannominato “la Enron d’Europa”. Nel dicembre 2003, il gigante italiano di latticini e alimenari, Parmalat, ha fatto fallimento. La caduta drammatica della Parmalat fu scatenata quando la Bank of America dichiarò che un documento attestante 4 miliardi di Euro sul conto di una loro filiale alle Isole Cayman era contraffatto. Solo un paio di mesi prima, i manager della Parmalat avevano dichiarato di essere in pareggio con 4,2 miliardi di Euro, ma il 19 dicembre 2003 ammisero di l’esistenza di un buco pari a 4 miliardi di Euro nelle finanze della compagnia. Data la complessita’ degli espedienti finanziari usati dai manager della Parmalat, associata a transizioni finanziarie (come ad esempio derivati) fuori dal bilancio e fondi nascosti in consociate offshore alle Isole Cayman, non esiste una valutazione esatta del debito complessivo della compagnia. Le stime variano da 8 a 14 miliardi di Euro, mentre le autorita’ stanno ancora indagando sullo stato reale delle finanze della compagnia.

2

originali previsti dall’Action Plan, ma hanno richiesto in seguito ulteriori lavori e

azioni correttive.

Un esempio a riguardo si ha in materia di assicurazioni. Verso la scadenza del

termine infatti, sono venute in essere una quantità di iniziative nell’area

assicurativa non previste dall’Action Plan: gli schemi di garanzia assicurativa, che

proteggono i contraenti dal fallimento delle Compagnie, la Supervisione sulla

Riassicurazione, e la solvibilità.

Considerando però l’Action Plan come un corpo unico, e non come un insieme di

iniziative separate tra loro, si giunge facilmente alla conclusione che tutte le

azioni intraprese al di fuori del progetto originario, possano essere considerate

anch’esse realizzazione degli obiettivi del FSAP.

Conclusioni

Le misure introdotte durante il FSAP non sono certamente diventati

dogmi. E’ chiaro che l’ambiente legislativo debba essere continuamente

aggiornato per tenere il passo con l’evoluzione dei servizi finanziari in Europa e

nel mondo.

Sicuramente il completamento del FSAP nei tempi previsti è da considerarsi un

successo d’importanza fondamentale, soprattutto per il nuovo approccio alla

legislazione che potrebbe conseguirne. L’utilizzo del metodo Lamfalussy ha

dotato l’Unione di una maggiore flessibilità per rispondere agli eventi di mercato,

ed in generale di maggiore ponderazione, razionalità, e qualità delle misure

introdotte.

Va detto però che ci sono sicuramente alcuni difetti visibili nel Financial

Services Action Plan dovuti principalmente ai termini stringenti nei quali sono

state realizzate tutte le azioni. Questo argomento ha avviato una fase di

valutazione riguardo la velocità a discapito della qualità, anche qui tenendo il

dovuto conto dell’utilizzo innovativo del metodo Lamfalussy.

L’ Evaluation Part II verrà pubblicata tra il 2006 e il 2008, dopo che tutte

le misure legislative del FSAP saranno state implementate negli Stati membri, per

poterne osservare l’effettivo impatto economico sul campo.

2

1.5 Monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri

Il monitoraggio dell’adozione delle direttive negli Stati membri è

un’attività fondamentale per la realizzazione degli obiettivi del FSAP. Senza di

essa infatti i soddisfacenti risultati ottenuti nella fase legislativa comunitaria

verrebbero fortemente compromessi dall’inerzia degli Stati membri. Per questo

motivo il monitoraggio viene effettuato in maniera costante e completa, in modo

da permettere alla Commissione di intervenire ove ritenga vi sia necessità.

Due volte al mese vengono pubblicati tre documenti di monitoraggio, che

analizzano la trasposizione delle direttive del Financial Services Action Plan:

l’analisi direttiva per direttiva (allegato 5);

la percentuale di completamento in base alle direttive (allegato 6);

la percentuale di completamento in base allo Stato membro (allegato 7).

Il report che analizza la trasposizione direttiva per direttiva si compone di più

colonne. Nella prima da sinistra viene descritta “l’azione” (es. direttiva sulla

mediazione assicurativa), nella seconda colonna il tipo di misura (direttiva,

comunicazione), nella terza la deadline per la trasposizione negli Stati membri.

Dopo di queste sono presenti numerose colonne, ognuna delle quali analizza la

situazione Stato per Stato. La legenda del report contempla alcune voci, in base ad

ognuna delle quali si delinea una situazione diversa della trasposizione della

direttiva:

CP: parzialmente notificata alla Commissione;

NC: nessuna notifica ricevuta dalla Commissione;

EX: notifica ricevuta e sotto esame della Commissione;

OK: notifica approvata dalla Commissione, oppure nessuna notifica

richiesta;

NA: non applicabile (= ok)

D: derogabile (=ok).

Dal report più recente (17/07/2006) si evince che molte delle direttive hanno

ottenuto completa trasposizione nelle legislazioni degli Stati membri, anche se

rimane ancora una grande mole di lavoro da fare.

3

Ad esempio, analizzando nel particolare la direttiva 2002/92/EC sulla mediazione

assicurativa, la cui deadline per la trasposizione era il 15/01/2005, si nota che la

situazione Stato per Stato è abbastanza altalenante. Ritardi significativi si

segnalano in Germania, Grecia, Spagna, Portogallo, mentre l’adozione è solo

parzialmente completata in Francia e a Malta.

Ben più problematica è la situazione per altre direttive, come la 2004/109/EC

sulla Trasparenza, la cui deadline è il 20/01/2007 e che a tutt’oggi non ha trovato

applicazione in nessuno degli stati membri.

Ma la scadenza futura non sembra essere l’unico motivo dell’inerzia degli Stati, in

quanto anche per direttive la cui deadline è già stata superata (come la

2004/25/EC, deadline 20/05/2006 “Take Over Bids”) si nota ancora una

bassissima percentuale di trasposizione.

Il fatto che nessuna delle direttive, il cui termine non è ancora scaduto, abbia

ricevuto trasposizione può significare che gli Stati abbiano bisogno dell’intero

margine di tempo a disposizione, o che preferiscano ritardare il più possibile

l’azione per motivi di risorse.

Chiaramente c’è un lavoro considerevole da svolgere nell’area della trasposizione,

e il fatto che molti degli Stati non rispettino le scadenze è insostenibile, in quanto

questo ritardo incide negativamente sui benefici che il mercato unico potrebbe

apportare.

L’unico mezzo a disposizione dell’Unione per migliorare questa situazione è la

pressante minaccia di procedimenti d’infrazione contro gli Stati membri

inadempienti. Oltre a questa considerazione si ritiene comunque necessaria una

maggiore e continuata co-operazione tra gli Stati stessi.

Procedendo nell’analisi dei report, alcune interessanti osservazioni

possono essere effettuate sullo stato di trasposizione in percentuale delle direttive

la cui deadline sia già passata. Solo metà delle direttive raggiunge il 100%, inteso

come trasposizione in tutti gli Stati membri. Delle restanti direttive, molte hanno

comunque una percentuale alta di trasposizione, superiore all’80%. I risultati

maggiormente negativi si evidenziano in relazione alle direttive sui Prospetti,

quella sui Cambi di Gestione (take-over bids), e all’importantissima direttiva sulle

Società Europee.

3

Il report che analizza la situazione Stato per Stato invece mostra come il

livello generale di trasposizione sia superiore al 70% in tutti gli Stati, con punte

del 95% in Repubblica Ceca, Estonia, ed Olanda. Si posizionano intorno alla

percentuale minima la Francia, la Lituania e il Portogallo, mentre l’Italia si attesta

intorno all’80%.

Naturalmente questi dati vanno analizzati in un contesto politico, sociale ed

economico che varia a seconda dello Stato, e quindi non possono essere

pienamente indicativi solo su base numerica.

3

1.6 L’attività del Financial Services Policy Group

La comunicazione 625 del 1998, “elaborazione di un piano d’azione”

istituisce il Financial Services Policy Group (FSPG), il cui compito è quello di

realizzare un dettagliato calendario del FSAP mediante l’assegnazione di priorità

a determinate azioni. Il Policy Group è composto dai ministri Ecofin, dai

rappresentanti della Banca Centrale Europea ed è diretto dalla Commissione

stessa.

Oltre all’identificazione delle priorità lo scopo del FSPG è quello di segnalare alla

Commissione le condizioni di mercato ideali per assicurare il funzionamento

ottimale del mercato unico.

La prima riunione del Gruppo si tiene a Bruxelles il 28 Gennaio 1999, su

stimolo della Commissione, per dare un rinnovato impeto alla realizzazione del

mercato integrato europeo. In questa prima seduta al Gruppo viene richiesto di

esaminare quattro aree: dove siano necessarie immediate misure legislative, dove

sia necessario un aggiornamento della legislazione esistente, dove la legislazione

esistente debba essere semplificata, ed infine dove essa debba essere resa

maggiormente coerente.

Nel documento che ne è risultato vengono delineate appunto le priorità

immediate. Il FSPG invita le istituzioni Europee a realizzare in tempi brevi una

legislazione nel campo della liquidazione delle banche e delle assicurazioni, in

quello dei cambi di gestione e nel campo dello Statuto della Società Europea. In

campo invece di aggiornamento legislativo il Gruppo focalizza l’attenzione sulla

disciplina dell’antiriciclaggio, delle OPA e del riconoscimento dei prospetti.

Questa prima seduta del Financial Services Policy Group avrà un

considerevole impatto sulla formazione dell’Action Plan, che verrà pubblicato

pochi mesi dopo.

Il 19 Ottobre del 1999 il FSPG, sotto la direzione del Commissario

Europeo per il Mercato Interno Frits Bolkenstein, si riunisce per la quarta volta,

per monitorare lo stato dell’implementazione dell’Action Plan. Sono trascorsi

soltanto cinque mesi dalla pubblicazione del FSAP e il Gruppo, nella relazione

pubblicata, sostiene che i progressi possano essere considerati soddisfacenti e

3

pianifica un successivo monitoraggio a Giugno del 2000. Nella relazione

vengono evidenziate nuove priorità, come in materia di fondi pensione ed e-

commerce.

Il secondo report sull’implementazione dell’Action Plan viene pubblicato

in occasione del settimo incontro del Gruppo, l’11 Maggio 2000,

successivamente al Congresso Straordinario di Lisbona. Questo Congresso ha

avuto un’importanza chiave nello scadenziario del FSAP poiché ha posto il

termine ultimo per il completamento delle misure previste dall’Action Plan

all’anno 2005, per quel che riguarda il piano d’azione sui Capitali di Rischio

all’anno 2003.

Il Gruppo quindi, nell’analizzare i progressi realizzati fino a quel momento tiene

conto anche della portata innovativa di una deadline così stringente. Nella

relazione viene sottolineata l’importante approvazione della disciplina in materia

di e-commerce, e gli sforzi per quel che riguarda l’approvazione della disciplina

sulla liquidazione degli istituti di credito. Secondo il FSPG il cammino svolto

verso il mercato unico si sta rivelando soddisfacente, ma non sufficiente

nell’ottica della deadline, perciò in questa occasione il Gruppo richiede alle

istituzioni Europee un maggior impegno nell’implementazione delle priorità.

Nell’Aprile del 2001, in occasione del decimo congresso, il Gruppo

assume una posizione simile, con lo scopo di spronare ed ottenere un maggior

impegno in determinate materie da parte delle istituzioni. A Stoccolma, infatti, il

Congresso ha richiesto una rapida implementazione dell’Action Plan,

un’accelerazione del processo legislativo, oltre a confermare la scadenza del 2005.

Per rispondere rapidamente alle sfide del Congresso il FSPG ha rielaborato il

proprio piano di lavoro per collaborare al meglio con la Commissione alla

tempestiva realizzazione delle priorità.

Verso la fine del 2001 il policy group si occupa di valutare l’impatto sul

mercato degli eventi successivi all’ 11/09 americano. La preoccupazione di un

rallentamento del progetto dovuto ad un crollo dell’economia è forte, ma il

Gruppo nell’undicesimo e nel dodicesimo report assicura che i mercati hanno

retto abbastanza bene. Preoccupazione permane nell’ambito dei servizi finanziari.

3

A Giugno del 2002, in seguito ad un suggerimento della Commissione, il

Consiglio Ecofin ha considerato appropriato riconfigurare il Financial Services

Policy Group sotto la presidenza degli Stati Membri, per indirizzare la politica e

dare valutazioni sugli elementi del mercato finanziario al Consiglio Ecofin. Per

riflettere il suo nuovo ruolo e status, il Financial Services Policy Group può essere

rinominato come Financial Policy Committee (FPC).

Oltre alle finalità già esposte, il FPC ha il compito di colmare il distacco tra

l’ambiente politico e i giudizi di natura tecnico-economica, elaborando relazioni

sulle strategie da seguire in tutti i settori del mercato finanziario, influenzando

così il processo legislativo.

In particolare il FPC ha un ruolo di indirizzamento della politica, creando una

connessione con il consiglio Ecofin:

definendo le strategie a medio e lungo termine (ad esempio per il periodo

successivo al FSAP);

considerando le necessità di breve periodo (ad esempio: il controllo del

finanziamento del terrorismo, la riassicurazione, la fase attuale del FSAP);

valutando i progressi e l’implementazione del FSAP.

Oltre a tutto questo il FPC deve anche occuparsi di valutare politicamente e dare

visioni d’insieme sia riguardo il mercato interno sia quello esterno.

L’FPC naturalmente ha l’obbligo di rispettare le prerogative istituzionali

esistenti, soprattutto il diritto d’iniziativa della Commissione e il ruolo di controllo

di essa. In generale il Committee deve contribuire a creare un clima di

cooperazione e fiducia reciproca tra le istituzioni comunitarie.

Nella sua attività il Policy Group deve evitare di impegnarsi in materie

eccessivamente tecniche e i suoi membri non devono essere coinvolti nei comitati

legislativi, ma devono collaborare attivamente con essi.

Si riconosce quindi al Financial Policy Committee un ruolo importante, ma che

richiede considerazioni prudenziali. Il gruppo comunque deve godere di

autonomia e flessibilità nelle proprie attività e decisioni.

3

1.7 L’attività del “Forum Group of Market Experts”

Il Financial Services Action Plan ha istituito una serie di gruppi di esperti

di mercato con la finalità di assistere la Commissione nell’identificazione delle

imperfezioni e degli ostacoli pratici al funzionamento di specifiche aree del

mercato unico.

Tra il 1999 e la fine del 2001 sono stati istituiti sei Forum Groups of Experts. Il

lavoro di ogni Forum Group è partito da un indice di argomenti sulla base del

quale si è sviluppata la discussione. Comunque i gruppi avevano la possibilità di

discutere altri argomenti che consideravano rilevanti per il lavoro del gruppo

stesso.

Il primo Forum Group inizia i lavori nell’Ottobre del 1999 ed affronta

l’argomento dell’ISD24 (Investment Services Directive).

L’ISD, adottato nel 1993, ha liberalizzato per la prima volta la diffusione dei

servizi d’investimento in tutta la Comunità. Ma gli effetti positivi di questa

direttiva non si sono potuti produrre appieno a causa del ritardo nella

trasposizione da parte degli stati membri.

L’obiettivo della discussione del Forum Group è quello di mettere a disposizione

una relazione tecnica specifica, imparziale, dettagliata, dell’importanza dell’ISD

dal punto di vista del mercato.

I temi principali trattati in questa prima discussione sono vari: le linee guida da

seguire per creare uno schema di lavoro per i servizi finanziari, le attività

all’ingrosso, l’allargamento delle prerogative disciplinate dall’ISD anche a

soggetti pubblici, la regolazione del mercato disciplinando in maniera più precisa

le condizioni standard, il diritto delle società di investimento di partecipare ai

mercati anche a distanza, lo studio di sistemi alternativi di trattativa.

I lavori di questo primo Forum Group sono stati poi raccolti in un “Green Paper”

del 2000, nella fase iniziale dell’action plan.

24 Direttiva 93/22/EEC, adottata il 10 Maggio 2003. Questa direttiva può essere considerata una pietra miliare del mercato dei capitali Europeo. L’ISD ha varie finalità, come la creazione di una sorta di “passaporto europeo” per le compagnie d’investimento mobiliare, la possibilità di trattazione degli investimenti mediante la borsa valori in tutti gli Stati Membri, la realizzazione di un mercato regolato che opera senza una sede materiale, ma attraverso la rete telematica.

3

Le discussioni del secondo gruppo vertono sulle manipolazioni del

mercato. Innanzitutto la discussione verte sull’individuazione delle pratiche di

mercato di natura manipolativa più comuni, che dovrebbero essere dichiarate

illegali a livello europeo (ad esempio le transazioni artificiali, la diffusione di

informazioni fuorvianti, la manipolazione dei prezzi).

In seguito gli esperti identificano quali strumenti finanziari fossero oggetto delle

malpratiche, quali fette del mercato, quale categoria di soggetti era più portata

verso l’utilizzo di queste pratiche scorrette, quali potessero essere i mezzi per

arginare il fenomeno.

Anche in questo caso i lavori del Forum Group, iniziati ad Ottobre del 1999, si

sono conclusi nel 2000 con una consultazione con gli Stati Membri e con una

proposta di direttiva.

Gli argomenti oggetto degli altri Forum Group of Experts sono stati i

contratti transfrontalieri e lo sviluppo di un’informazione che possa essere chiara

e comprensibile per i consumatori, tematiche riguardo le quali, dopo un anno di

consultazioni, si è giunti a proposte di direttive fondamentali per il FSAP.

Nel 2000, mentre si dipana il calendario dell’Action Plan, vengono svolte

altre due importanti consultazioni di Market Experts: la prima finalizzata al

superamento dei restanti ostacoli al mercato unico, e la seconda a facilitare

legalmente gli investimenti transfrontalieri.

E’ discussa l’utilità dell’attività dei gruppi di esperti sugli argomenti

oggetto delle misure legislative dell’Action Plan. La finalità dei Forum Groups è

sicuramente quella di ottenere relazioni tecnico giuridiche precise, puntuali e,

come si è detto, imparziali. Indubbiamente però l’esercizio di queste

consultazioni, che nei casi analizzati in questa sede si sono prolungate

dall’Ottobre del 1999 alla fine del 2000, ha rallentato la fase dell’iniziativa

legislativa. Ma come è stato sostenuto dal metodo Lamfalussy, diventato oggi lo

standard dell’iter legislativo dell’UE, queste consultazioni devono considerarsi

necessarie all’ottenimento di proposte di direttiva più complete, che meno si

prestino alla presentazione di obiezioni, traducendosi quindi in un risparmio di

tempo e risorse in una fase successiva.

3

La maggior parte delle relazioni degli Expert Groups citano l’argomento del

volume delle misure legislative introdotte praticamente in contemporanea, e

chiedono una “pausa di regolazione” dopo la conclusione dell’Action Plan. Il

Securities Expert Group addirittura arriva a concludere che la deadline politica del

FSAP enfatizzi la velocità, facendo sì che le scadenze siano troppo stringenti per

poter effettuare una sufficiente consultazione industriale e un adeguato studio

dell’impatto.

L’Asset Management Group ha commentato a sua volta: “some of the legislative

measures adopted ad EU level have not been as effective as expected. In some

instances, […] provisions which are intended to open markets have been watered

down or suffered from ambiguites which hamper consistent implementation”25.

Anche questa dichiarazione potrebbe essere una conseguenza dell’imperativo

politico di completare le misure oggetto dell’Action Plan entro i tempi prestabiliti,

che non sempre ha portato a far sì che esse raggiungessero il livello di qualità

previsto.

I gruppi hanno constatato che, con alle spalle l’esperienza del FSAP, le

istituzioni Europee dovrebbero dare maggior considerazione alle misure non

legislative, come l’autoregolazione da parte dei settori dell’industria, i codici di

condotta, ecc.. Gli Expert Groups hanno anche menzionato che, oltre alla proposta

di nuove azioni, gli sforzi dovrebbero essere concentrati nella semplificazione,

correzione o rimozione delle regole esistenti, pratica che non era stata inclusa nel

FSAP. Infine viene sottolineata la necessità di evitare le regole conflittuali o

ridondanti.

Le proposte dei Market Groups of Experts sono oggetto di grande

considerazione per la pianificazione dell’era successiva all’Action Plan.

25 Expert Group Report, Asset Management Expert Group, Section 2, paragraph 23.

3

Capitolo II

IL MERCATO ASSICURATIVO

Introduzione - 2.1 Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad

“internazionale” – 2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile - 2.3 La

concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi” – 2.4 L’internazionalizzazione delle

compagnie assicurative. Parallelismi e differenze con il sistema bancario – 2.5 La

costituzione del mercato assicurativo unico – 2.6 La direttiva sull’intermediazione

assicurativa: 2002/92/CE – 2.7 Le violazioni delle direttive in materia assicurativa: il

procedimento sanzionatorio contro gli Stati in ritardo con l’implementazione della DIA

Introduzione

Il mercato assicurativo all’interno dello spazio economico europeo conta

circa 5000 imprese assicuratrici, con oltre un milione di dipendenti, e una raccolta

premi che supera i 970 miliardi di Euro. Le statistiche mostrano che le grandi

compagnie europee detengono il 95% del mercato assicurativo mondiale.

In questo capitolo si affrontano diverse sfaccettature di un settore così sviluppato

e complesso: studi sulle prospettive di integrazione europea, un’analisi di quanto è

già stato fatto a riguardo e quanto ancora rimane da realizzare. Si pensi ad

esempio al fatto che il sistema assicurativo dovrà affiancarsi e sostituirsi sempre

di più al sistema previdenziale degli Stati, e che si è sviluppata una grande

discussione – ad esempio dopo gli attentati terroristici dell’11/09/2001 – sulla

copertura dei cosiddetti nuovi rischi.

In ambito legislativo le direttive UE hanno profondamente modificato

l’aspetto del mercato assicurativo, sebbene gli Stati membri non si sono dimostrati

in alcuni casi sufficientemente pragmatici a convertirne il contenuto in leggi

nazionali, come nel caso della Direttiva sull’intermediazione assicurativa,

2002/92/CE, i cui effetti in Italia, ad esempio, sono stati recepiti con direttiva

Isvap del 16/10/2006.

3

2.1 Il mercato assicurativo: da “protetto” a “libero” e da “nazionale” ad

“internazionale”

Il quadro legislativo del mercato unico ha facilitato la crescita dell’attività

assicurativa transfrontaliera particolarmente per quanto riguarda i grandi rischi

industriali e commerciali, ma l’impatto di questa apertura è notevolmente minore

per i rischi privati. Questo anche perché le compagnie che operano in tutta legalità

in uno stato membro possono essere dissuase ad estendere la propria attività in un

altro stato a causa di fattori ostativi alla concorrenza che tuttora permangono.

Innanzi tutto, in relazione alla possibilità di nuovi entranti potenziali nel mercato,

i produttori, già presenti su quest’ultimo, possono adottare strategie

rispettivamente collusive, accomodanti, o, in termini di prezzi praticati.

Un elemento che può condizionare il comportamento concorrenziale dei soggetti

economici, nel mercato, è costituito dall’esistenza di barriere all’entrata, le quali

scoraggiano nuovi entranti potenziali. Queste, infatti, fanno sì che i produttori

esistenti possano imporre, per un periodo di tempo prolungato, prezzi di vendita al

di sopra dei costi medi di produzione e distribuzione, senza che ciò spinga nuovi

potenziali produttori ad entrare nel mercato.

Tra le ragioni che rendono difficile l’entrata in un nuovo mercato si possono

ricomprendere le economie di scala, la differenziazione dei prodotti e le

asimmetrie dei costi che si traducono in vantaggi assoluti per le imprese già

operanti sul mercato. Più in generale le principali barriere all’entrata possono

essere classificate in: barriere amministrative, barriere non strategiche, barriere

strategiche.

Quando la pubblica amministrazione subordina l’accesso al mercato alla

concessione di specifiche autorizzazioni (o al soddisfacimento di particolari

requisiti ) le barriere si definiscono amministrative.

In particolare le condizioni imposte da uno stato in materia di tutela del

consumatore possono dissuadere le compagnie ad estendere la propria attività in

un altro stato membro. Questo è largamente imputabile alla mancanza di un

quadro giuridico comunitario per gli intermediari, che permetta a questi ultimi di

4

trarre vantaggio dalla libertà di stabilimento e di fornire i propri servizi in altri

paesi.

La regolamentazione comunitaria attuale ha contribuito ad armonizzare le

regolamentazioni nazionali, ma permangono tuttavia molte divergenze e il

mercato europeo rimane frammentato.

Tra le barriere non strategiche sono da comprendere le, già ricordate, economie di

scala. La loro presenza, infatti, consente di stabilire il prezzo ad un livello tanto

più elevato, quanto maggiore è la condizione minima ottimale di produzione

richiesta, affinché un potenziale concorrente possa realisticamente pensare di

entrare sul mercato e di restarvi profittevolmente.

Tra le barriere strategiche rientrano, invece, i comportamenti che le imprese

esistenti intraprendono per scoraggiare l’ingresso di nuovi entranti. Pensiamo

all’esistenza di particolari condizioni che facilitano l’atto di acquisto del prodotto-

servizio. L’importanza attribuita alla prossimità del punto vendita, per esempio,

dipende dalla frequenza delle transazioni riguardanti lo specifico bene o servizio,

ovvero, dalla esigenza di mantenere relazioni correnti con un fornitore di prodotti

o servizi plurimi.

Nel caso specifico delle polizze vita, sia per la natura del servizio (incorporata nel

prodotto offerto), sia per la frequenza limitata del singolo atto di acquisto, non

sembra che la prossimità dei punti di vendita possa costituire un fattore talmente

importante da determinare la scelta della compagnia con cui assicurarsi.

Ancora, la differenziazione dei prodotti può costituire un’ulteriore barriera

strategica all’entrata o, in altri termini, un vantaggio per l’operatore già presente

sul mercato nei confronti di un potenziale concorrente che dovrà sostenere costi di

distribuzione e di pubblicità (qualora quest’ultima, in particolare, risulti decisiva

nel condizionare le scelte dei consumatori). Le realizzazione di prodotti

diversificati è possibile variando il mix delle condizioni e termini delle polizze.

Del resto, nello specifico, l’introduzione di nuovi prodotti, che effettivamente

presentino una cesura rispetto a quelli tradizionalmente offerti, è facilmente

imitabile dalle altre imprese, non esistendo barriere produttive e conoscitive tali

da impedirne, in tempi ravvicinati, la replicabilità da parte di una compagnia.

4

Tuttavia quella della differenziazione è ormai una strategia che dovrebbe essere

necessariamente perseguita.

L’economista J. Sutton mette in evidenza che le probabilità di entrata in un

mercato sono più elevate quando i prezzi praticati sono più vicini a quelli

riscontrabili nelle forme di mercato monopolistico, dove le imprese operano con

costi elevati. Se, invece, i profitti complessivi si posizionano ad un livello

intermedio, si configura un mercato di “accomodamento” e, pertanto, l’entrata

sarà moderatamente conveniente. Qualora ci si trovi in una situazione di

concorrenza accesa sul prezzo, i profitti saranno molto contenuti e l’entrata non

particolarmente attraente per il tratto aggressivo della concorrenza in quel

mercato.

Del resto, le compagnie, oggi, nel definire i confini della loro arena competitiva

devono tenere conto, non solo della presenza di un elevato numero di compagnie,

bensì, anche della presenza di nuovi intermediari, quali le SIM (società di

intermediazione mobiliare) e le banche. In particolare il fenomeno della vendita

attraverso banche di prodotti assicurativi del ramo vita (cd. Bancassurance) è

importante, e come l’esperienza, estera ed italiana, confermano non è destinato a

scomparire. Non si tratta, dunque, di un fenomeno momentaneo, ma costituisce un

fenomeno che tenderà a svilupparsi sempre più nel corso del tempo. Questo

rapido passaggio che ha interessato il mercato assicurativo, e che lo ha

trasformato da “protetto” a “libero”, da “nazionale” ad “internazionale”,

unitamente alle modifiche legislative, ha determinato un brusco risveglio per tutti

coloro che vi operavano. Oggi appare sempre più necessario valorizzare e

sfruttare ogni potenzialità esistente e creare vantaggi competitivi difendibili su

scala globale. In particolare, dall’attenzione al prodotto, che ha caratterizzato

l’orientamento degli ultimi decenni, si è passati ad un forte orientamento verso il

cliente. Questo cambiamento ha richiesto, e richiede, un cambio culturale del

management e una revisione del front office e del back office.

In definitiva il mercato assicurativo sta affrontando importanti sfide.

Quella conseguente alla ristrutturazione dello stato sociale che dovrà portare il

sistema assicurativo privato a fornire un importante contributo nella Previdenza e

nella Sanità. Quella del mercato che chiede prodotti più efficienti e più flessibili.

4

Quella derivante dalle innovazioni nella distribuzione, dove accanto ad agenti,

brokers, sportelli bancari, promotori finanziari vanno sempre più crescendo le

vendite per telefono e via Internet.

Una sfida non meno importante è quella della trasparenza e dell’orientamento

dell’impresa al cliente che deve diventare una strada obbligata con l’obiettivo di

migliorarne la soddisfazione e quindi fidelizzarlo, laddove di fronte ad un mercato

che cresce lentamente, ogni cliente sottratto alle imprese concorrenti ha costi

elevati e crescenti.

Stiamo passando ad una fase caratterizzata da un’intensa creatività e da una

profonda opera di deregulation. All’interno dei vari settori le politiche competitive

tendono a svilupparsi tipicamente mediante l’utilizzo di leve caratterizzate dalla

maggiore facilità di implementazione e dalla maggiore flessibilità. Questo fatto si

giustifica per la naturale tendenza delle imprese ad adottare comportamenti che

implicano un contenuto sforzo di cambiamento rispetto alle situazioni esistenti e

che possono attivarsi con i minori interventi a livello strutturale, nel tentativo o

nella convinzione di evitare implicazioni di lungo periodo. Facendo riferimento ai

fattori dell’offerta, il prezzo è quello dotato di maggiore facilità di utilizzo e

flessibilità, potendo essere modificato in tempi brevi, senza sostanziali

adattamenti strutturali o comportamentali all’interno dell’impresa. Ad uno stadio

di complessità superiore la comunicazione richiede tempi di attuazione più lunghi

a fronte di una più intensa attività progettuale; più difficoltoso si rileva l’utilizzo

di parametri di offerta attinenti al prodotto con riferimento sia ai tempi di

attuazione, sia alle implicazioni di lungo termine connessi agli investimenti e

cambiamenti nei processi organizzativi e produttivi.

Ne segue, data la relazione fondamentale della teoria economica secondo

la quale prezzo e domanda sono legati da una correlazione inversa, che le imprese

attuino riduzioni di prezzi nel tentativo di ottenere maggiori volumi di vendita in

modo da ridurre i costi di produzione, considerando “dati” gli altri fattori

dell’offerta.

L’adozione di questa logica può determinare l’acquisizione di vantaggi

competitivi da parte delle imprese per determinati periodi di tempo; ma in

prospettiva di lungo termine il predominio di manovre basate sulla diminuzione

4

dei prezzi si può tradurre in una riduzione dei profitti a livello settoriale che si

verifica secondo modalità differenti e tempi differenti in relazione alle

caratteristiche del settore (concentrazione e numero di imprese) e a livello di

“collusione” esistente tra le imprese che vi operano.

La facilità di utilizzo del prezzo determina infatti un’elevata imitabilità delle

manovre attuate da parte dei concorrenti tale da ottenere vantaggi solo fino a che

la domanda complessiva mostra un’elasticità positiva al prezzo; altrimenti la

riduzione dei prezzi può generare la caduta dei profitti a livello settoriale.

Allora le imprese costrette a modificare la gestione competitiva agiscono sui

fattori dell’offerta in modo più equilibrato. Il prezzo perde il suo ruolo di unico

strumento competitivo per assumere quello di controprestazione a carico del

cliente a fronte delle prestazioni rese.

L’attenzione si sposta sui fattori dell’offerta (prodotto, gamma, servizi,

comunicazione, immagine) non più ritenuti come “dati” ed alla base dei

comportamenti competitivi vi è la ricerca di un equilibrio di detti fattori e il

prezzo come valorizzazione di questi.

4

2.2 Il consolidamento transfrontaliero: un cammino difficile

Nel paragrafo precedente è stata sottolineata la presenza di numerose

barriere all’entrata che rendono difficoltoso il processo di internazionalizzazione

del mercato assicurativo (ed in generale dei mercati finanziari). Una scorciatoia

verso l’internazionalizzazione è sicuramente l’utilizzo di fusioni ed acquisizioni

transfrontaliere (cross border mergers & acquisitions).

Per consolidamento transfrontaliero si intende ogni fusione ed acquisizione,

totale o parziale, che coinvolga due o più società finanziarie (società di credito,

investimento, assicurazioni) stabilite in due Stati Membri differenti.

La Commissione stessa, almeno stando agli studi pubblicati nel 200526, non è stata

in grado di valutare l’effettiva incidenza delle M&A sul mercato unico,

dichiarando però l’incontrovertibile necessità di abbattere gli ostacoli che

rallentano questo settore. Il consolidamento transfrontaliero è il prodotto di

decisioni commerciali prese dai partecipanti al mercato. Pur non essendo un fine

in sé, resta di certo un mezzo per arrivare ad una maggiore efficienza.

Secondo la Commissione sarà di certo il mercato a stabilire l’importanza del

consolidamento, fermo restando che, in un mercato finanziario completamente

integrato, fusioni e acquisizioni transfrontaliere devono essere opzioni a totale

disposizione degli istituti finanziari.

I vantaggi del consolidamento transfrontaliero sono comunque abbastanza

autoevidenti: in un mercato unico che conta 25 Stati Membri con una popolazione

di 450 milioni di persone, le compagnie che operano su base europea possono

offrire i loro prodotti e servizi ad un numero significativamente più alto di

potenziali clienti rispetto al mercato domestico. Allargando il loro target di

clientela, le compagnie possono beneficiare delle economie di scala come della

maggior diversificazione dei rischi.

Di conseguenza un’elevata facilità di ingresso su mercati stranieri permetterebbe

alle compagnie di avere grandi vantaggi, che si tradurrebbero quasi certamente

26 Commission Staff Working Document - SEC(2005)1398: Cross-border consolidation in the EU financial sector

4

anche in grandi vantaggi per i consumatori (maggiore scelta di prodotti, migliori

rendimenti per gli investimenti, ecc..).

Nel 2004 però, il congresso Ecofin ha lanciato un allarme sul basso livello delle

M&A, invitando la Commissione a preparare una relazione su quali fossero i

problemi che rallentavano lo sviluppo di questo settore.

La Commissione ad Aprile del 2005 ha indetto un sondaggio online per

comprendere al meglio quali potessero essere gli elementi frenanti, e sulla base

dei risultati di tale sondaggio ha pubblicato a Novembre del 2005 uno studio, che

ha portato infine, nel Settembre del 2006 ad una proposta di direttiva27.

La proposta di direttiva mira a migliorare considerevolmente la certezza giuridica,

la chiarezza e la trasparenza del processo di approvazione, da parte della

vigilanza, delle acquisizioni e degli incrementi di partecipazioni nei settori

bancario, assicurativo e mobiliare.

Un aspetto importante del mercato unico è l’eliminazione di tutti gli ostacoli

ingiustificabili che impediscono il buon funzionamento del mercato interno.

Qualsiasi ingerenza indebita da parte delle autorità nazionali o delle autorità

sopranazionali nell’attuazione di una decisione commerciale che avrebbe portato

ad un consolidamento potrebbe effettivamente ostacolare il buon funzionamento

del mercato.

Il sistema di vigilanza prudenziale esistente attualmente nell’Unione europea si

basa sul principio della responsabilità delle autorità competenti dello Stato

membro di origine e su un implicito obbligo di stretta collaborazione tra le

autorità competenti dello Stato membro d’origine e di quelle dello Stato membro

ospitante nella vigilanza delle attività degli enti operanti in Stati membri diversi

da quello in cui hanno l’amministrazione centrale.

27 Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/49/Cee e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario.

4

L’attuale quadro giuridico28 regolamenta la situazione in cui un soggetto,

denominato “candidato acquirente”, desideri acquisire o incrementare una

partecipazione in un istituto finanziario o in un’impresa di investimento sia in

ambito nazionale che nel contesto transfrontaliero. Le autorità nazionali

competenti possono opporsi ad un’acquisizione se non sono convinte dell’idoneità

del candidato acquirente a garantire una gestione sana e prudente dell’ente. Il

quadro giuridico attuale non prevede tuttavia criteri specifici per valutare

l’idoneità del candidato acquirente e ha pertanto lasciato alle autorità competenti

una notevole discrezionalità nell’accettare, scoraggiare o respingere un progetto di

acquisizione. Inoltre le attuali direttive non definiscono nel dettaglio la procedura

di valutazione delle acquisizioni.

La proposta di direttiva modifica considerevolmente il quadro esistente per quanto

concerne la procedura ed i criteri che le autorità competenti devono applicare

quando valutano un candidato acquirente.

Le direttive modificate definiscono l’intera procedura che le autorità competenti

dovranno applicare per valutare le acquisizioni da un punto di vista prudenziale.

Esse introducono inoltre un processo di notifica e decisione chiaro e trasparente

per le autorità competenti e per le imprese. I termini vengono abbreviati e la

sospensione del loro decorso da parte delle autorità competenti viene limitata ad

un solo caso e assoggettata a chiare condizioni.

Vengono inoltre definiti chiaramente i criteri da applicare per la valutazione

prudenziale che saranno pertanto noti in anticipo ai partecipanti al mercato. Ne

deriverà una maggiore certezza e prevedibilità per quanto concerne i criteri

applicati dalle autorità competenti quando valutano la solidità finanziaria di

un’acquisizione.

Le direttiva modificate prevedono un elenco chiuso di criteri per valutare

l’idoneità dell’acquirente, determinando così un’armonizzazione completa in

materia di valutazione dell’idoneità a livello di Unione europea. Questi criteri

sono: la reputazione del candidato acquirente, la capacità di continuare a rispettare

28 Articolo 19 della direttiva 2000/48/CE, articolo 15 della direttiva 92/49/CEE, articolo 15 della direttiva 2002/83/CE, articoli da 20 a 23 della direttiva 2005/68/CE e articolo 10 della direttiva 2004/39/CE.

4

le direttive settoriali applicabili, il rischio di riciclaggio dei proventi di attività

illecite e di finanziamento del terrorismo.

Per quel che riguarda la valutazione dell’impatto, invece, sono state esaminate

alcune opzioni, tra le quali il mantenimento dello status quo, l’opzione di

regolamentazione giuridicamente vincolante e quella giuridicamente non

vincolante. Dopo un esame delle diverse alternative si è giunti alla conclusione

che per raggiungere gli obiettivi di certezza giuridica, chiarezza e trasparenza, a

beneficio sia delle autorità competenti che dei partecipanti al mercato, è

necessaria una soluzione di regolamentazione giuridicamente vincolante. Per

centrare i predetti obiettivi ed assicurare coerenza all’interno di ciascun settore e

tra i singoli settori, è opportuno mirare ad un livello elevato di armonizzazione per

quanto riguarda la procedura e i criteri per la valutazione prudenziale. Un livello

inferiore di armonizzazione –che lasci un considerevole livello di flessibilità agli

Stati membri e alle loro autorità competenti- non consentirebbe di raggiungere gli

obiettivi dichiarati di maggiore certezza giuridica, prevedibilità e coerenza per

quanto riguarda le valutazioni prudenziali delle acquisizioni e degli incrementi di

partecipazioni in enti finanziari e in imprese di investimento.

4

2.3 La concorrenza tra imprese e i c.d. “nuovi rischi”

Il trattato CE vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di

associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il

commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di

impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato

comune.

Lo stesso trattato consente peraltro alla Commissione di disporre deroghe ai

divieti previsti e pertanto sin dal 1992, in ragione della particolarità dell’attività

assicurativa basata sulla mutualità, il regolamento 3932/92/CEE ha disposto

specifiche deroghe per determinate categorie di accordi, decisioni e pratiche

concordate dalle imprese di assicurazione aventi per oggetto: la cooperazione

riguardante la fissazione in comune di certi tipi di rischi; il regolamento dei

sinistri; la valutazione e il riconoscimento di apparecchiature di sicurezza; i

registri e le informazioni per i rischi aggravati.

Il 27 Febbraio 2003 la Commissione ha emanato il regolamento n. 358/2003/CE

che verrà a scadere il 31 Marzo 2010. Il nuovo regolamento di esenzione

conferma, nella sostanza, l’impianto e la disciplina del precedente e risulta, anzi,

più liberale di quest’ultimo, a dimostrazione del fatto che il diritto della

concorrenza può essere applicato all’attività assicurativa soltanto in parte e con

tutta una serie di opportuni adattamenti.

Tra le novità di maggior rilievo introdotte si ricorda, in particolare, quella

concernente la copertura in comune dei “nuovi rischi”. Per tali rischi, infatti, le

imprese sono autorizzate a provvedere alla prestazione della garanzia mediante

consorzi di coassicurazione o di coriassicurazione senza limiti di sorta e quindi, a

prescindere dalla quota di mercato del consorzio.

La nozione di “nuovi rischi” fatta proprio dal 325/2003/CE suscita perplessità.

Essa infatti ha riguardo di rischi che in precedenza non esistevano affatto e per la

cui copertura è necessario creare prodotti assicurativi assolutamente nuovi. Una

nozione così rigorosa ed astratta suscita motivate riserve: l’assicurazione consiste,

4

infatti, nella garanzia dei rischi e in assicurazione è dunque nuovo non solo il

rischio mai prima registratosi dal punto di vista fenomenologico, ma anche quello

mai prima garantito per la mancanza, appunto, dei necessari elementi di

conoscenza statistico-attuariale.

C’è il pericolo, quindi, che la nuova disciplina non consenta un concreto

approccio assicurativo a rischi come quelli del terrorismo di ultima generazione o

delle catastrofi naturali.

Più in generale, è tutta la disciplina della copertura in comune dei rischi,

attraverso consorzi di coassicurazione o di coriassicurazione, a risultare

semplificata e più incentivante rispetto alla normativa precedentemente in vigore.

Da un lato, infatti, scompare ogni distinzione tra rischi ordinari, aggravati e

catastrofali, con la conseguenza che la quota di mercato del consorzio non potrà

che essere calcolata sull’intero mercato di riferimento anziché su sottoinsiemi di

questo di problematica individuazione; dall’altro, le quote massime di mercato

che detti consorzi possono legittimamente detenere passano, per i consorzi di

coassicuazione, dal 10% al 20% e, per quelli di coriassicurazione, dal 15% al

25%.

5

2.4 L’internazionalizzazione delle compagnie assicurative. Parallelismi e

differenze con il sistema bancario.

Il processo di internazionalizzazione dei servizi finanziari è stato oggetto

di un significativo numero di ricerche, sia teoriche che empiriche. Due aspetti, in

particolare, hanno attratto l’attenzione dei ricercatori: gli effetti della presenza di

intermediari stranieri sul paese ospitante, e i percorsi generali di

internazionalizzazione del settore finanziario.

Tra l’anno 1999 e il 2003, periodo di intensi cambiamenti a livello

legislativo per quel che riguarda l’integrazione dei mercati finanziari, è stato

condotto uno studio29 sui parallelismi e le differenze che intercorrono tra il

sistema bancario e quello assicurativo.

Gli autori, Dario Focarelli30 e Alberto Franco Pozzolo31 hanno condotto un’analisi

su tutti i paesi interessati dall’integrazione transfrontaliera dei servizi finanziari. I

risultati mostrano che l’internazionalizzazione delle banche e delle compagnie

assicurative seguono percorsi similari. In particolare, l’integrazione economica è

un elemento determinante per le strategie internazionali sia delle banche che delle

compagnie assicurative, mentre la diversificazione dei rischi è più importante in

campo assicurativo.

Infine, i risultati supportano la tesi secondo la quale le barriere all’entrata di

operatori stranieri negli stati del G10 spiegano più agevolmente il comportamento

delle banche che quello delle compagnie assicurative.

Fusioni e acquisizioni internazionali sono alcuni dei metodi maggiormente

utilizzati dalle società finanziarie per espandere le loro attività al di fuori dei

confini nazionali32, e l’incidenza di essi all’interno del mercato finanziario è

variegata. Il mercato assicurativo è certamente quello più internazionalizzato, con

una percentuale significativamente più elevata rispetto al sistema bancario.

29 Cross Border M&A In the financial sector: is banking different from insurance? 30 Focarelli: Ania, research department and university of Rome La Sapienza, Actuarial Science Department 31 Pozzolo: università del molise, Dipartimento di Scienze economiche gestionali e sociali and Ente Luigi Einaudi 32 Focarelli e Pozzolo dimostrano che il cross-border M&A ha avuto un’incidenza inferiore nei servizi finanziari che nel settore industriale, che risulta essere quello maggiormente internazionalizzato.

5

Questo dato sembra essere dovuto a due considerazioni: studi di risk management

che sembrano condurre ad un diffuso scetticismo nei confronti

dell’internalizzazione delle banche, e il fatto che il settore assicurativo sta, negli

ultimi anni, sperimentando un’intensa fare di deregolamentazione e di

internazionalizzazione.

I ricercatori sembrano concordi riguardo al fatto che il grande potenziale di

crescita, specialmente nelle economie emergenti, sia uno dei fattori che attraggono

maggiormente l’ingresso di compagnie assicurative straniere. Alcuni studi

accademici tendono comunque ad essere più prudenti a riguardo33.

Dati empirici comunque dimostrano che i paesi dove si localizza la maggior

concentrazione di investitori assicurativi stranieri sono quelli dove è maggiore

l’integrazione tra il paese d’origine e quello di destinazione. In addizione a questo,

la presenza straniera è superiore nei paesi dove la competizione nel mercato è

maggiore, e, in caso di mercati meno competitivi, dove viene dato intenso

supporto politico a politiche liberali.

In definitiva, lo studio “Cross Border M&A In the financial sector: is

banking different from insurance?” propende per la presenza di numerosi punti in

comune nel percorso di internazionalizzazione delle banche e delle compagnie

assicurative, sebbene quest’ultimo settore abbia conosciuto un maggior impulso

negli ultimi anni.

Emergono però anche fondamentali differenze.

Innanzi tutto le caratteristiche del paese di origine hanno un’influenza diversa nei

due settori. Le compagnie assicurative tendono ad espandersi all’estero

maggiormente delle banche, se sono stabilite in un paese con un più altro reddito

pro capite, un più ampio sistema bancario, e un minor mercato assicurativo. Una

possibile spiegazione potrebbe essere che le compagnie assicurative hanno una

maggior propensione ad espandersi all’estero quando il loro mercato locale è

33 Secondo uno studio di Swiss Reinsurance (Sigma Re, 2000), vi sono alcuni fattori che possono spiegare l’espansione delle compagnie assicurative in paesi meno sviluppati. Essi sono: a) l’incentivo di “raggiungere il cliente” operando all’estero; b) la maggior crescita attesa in paesi meno sviluppati; c) la possibilità di beneficiare di maggiore efficienza mediante una maggiore differenziazione e le economie di scala. Vi sono però anche alcuni fattori frenanti: a) la maggior domanda di garanzie richiesta dai paesi in via di sviluppo; b) maggiori requisiti di capitali in relazione all’aumento dei rischi e ad una più stringente regolamentazione della solvibilità; c) l’esigenza di maggiore know-how.

5

relativamente piccolo e le prospettive di crescita non sono elevate, mettendo in

evidenza la considerazione che esse potrebbero incontrare delle difficoltà ad

espandersi sul mercato domestico, in quanto il mercato assicurativo è

maggiormente legato alla domanda rispetto a quello bancario.

Un’altra importante differenza con le banche è che le decisioni delle compagnie

assicurative sembrano essere meno influenzate dalla tassazione e dalla struttura

demografica della popolazione, probabilmente perché queste caratteristiche sono

già elementi insiti nella grandezza dei mercati stessi.

Passando alle caratteristiche del paese di destinazione, risulta che le compagnie

assicurative subiscono in maniera inferiore rispetto alle banche la presenza di

barriere implicite o esplicite all’entrata nei mercati stranieri.

5

2.5 La costituzione del mercato assicurativo unico

Il processo di armonizzazione comunitaria, talvolta discontinuo e non

sempre lineare, ha inteso realizzare come obiettivo ultimo l’istituzione di un vero

e proprio “mercato unico assicurativo”, al fine di garantire la liberalizzazione dei

servizi assicurativi attraverso l’espressione di condizioni che consentano, da un

lato, la libertà di stabilimento delle imprese assicuratrici di uno Stato Membro in

un altro Paese della CE, e che, dall’altro lato, assicurino la libera prestazione dei

servizi da parte di un’impresa stabilita in uno degli Stati della Comunità ad un

altro Stato Membro; tenuto conto, comunque, di talune imprescindibili esigenze,

quali:

Tutelare la generalità degli assicurati dall’eventuale insolvenza delle

imprese, dalla difficile comprensione delle clausole contrattuali e dalla

pubblicità distorsiva;

Assicurare medesime condizioni di concorrenza a tutte le imprese

assicuratrici operanti nel territorio comunitario, principalmente per mezzo

del coordinamento delle norme in materia di trattamento fiscale, regime

valutario, condizioni contrattuali e costituzione delle riserve tecniche;

Proteggere gli interessi dei Governi nazionali.

La prima fase del suddetto processo di liberalizzazione ha condotto

all’applicazione del principio della libertà di stabilimento attraverso soprattutto le

direttive 73/239/Cee e 79/267/Cee, note come prima direttiva danni e prima

direttiva vita, le quali hanno dato luogo in Italia, rispettivamente, alle leggi

295/1978 e 742/1986. Le stesse direttive avevano, inoltre, stabilito i compiti delle

Autorità di vigilanza sulle imprese assicurative, in regime di libertà di

stabilimento, determinando l’istituzione dell’Isvap.

La seconda fase, invece, finalizzata all’applicazione del principio della

libera prestazione dei servizi assicurativi, ha determinato nel nostro ordinamento

l’emanazione del D.L.vo 49/1992, in attuazione della direttiva 88/357/Cee, nota

come seconda Direttiva danni, che coordinava le disposizioni legislative,

regolamentari ed amministrative riguardanti l’assicurazione diretta diversa

5

dall’assicurazione sulla vita, fissava le disposizioni volte ad agevolare l’esercizio

effettivo della libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 73/239/Cee;

nonché l’emanazione del D.L.vo 515/1992, in attuazione della Direttiva

90/619/Cee, nota come seconda direttiva vita, che coordinava le disposizioni

legislative, regolamentari ed amministrative riguardante l’assicurazione diretta

sulla vita, fissava le disposizioni destinate a facilitare l’esercizio effettivo della

libera prestazione dei servizi e modificava la direttiva 79/267/Cee.

La terza ed ultima fase del citato processo di liberalizzazione ha consentito

la libera prestazione da parte di tutte le imprese assicuratrici, qualsiasi ramo

esercitino, ed a favore di tutti gli stipulanti polizze assicurative. L’obiettivo di

quest’ultima fase è stato quello di garantire all’impresa di assicurazione

un’autorizzazione unica all’esercizio della propria attività, valida per tutti i Paesi

comunitari: la c.d. “licenza assicurativa unica” analogamente a quanto previsto

per il settore bancario. In tal modo il compito primario di vigilanza spetta alle

Autorità dello Stato membro di origine, mentre le Autorità dello Stato Membro

destinatario del servizio, pur non venendo private di tutti i poteri di vigilanza,

assumono invece un ruolo accessorio.

La costituzione del mercato assicurativo unico è stata realizzata con le

direttive 92/96/Cee sull’assicurazione vita, e 92/49/Cee sulle assicurazioni diverse

da quella sulla vita, che hanno trovato attuazione in Italia attraverso i decreti

legislativi n.174 e n.175 entrambi del 17 Marzo 1995.

Con le cc.dd. direttive di “terza generazione” è così divenuto effettivo il

mercato unico delle assicurazioni in Europa. Con tali provvedimenti l’intera

materia assicurativa è stata fatta rientrare sotto il regime dell’ “home country

control”, in base ai principi dell’autorizzazione unica rilasciata alle imprese di

assicurazione dal proprio Stato di origine e del mutuo riconoscimento delle

legislazioni nazionali.

I menzionati decreti hanno, pertanto, contribuito a dilatare l’ambito dei

poteri di vigilanza, che non sono più limitati al territorio nazionale, bensì sono

estesi a livello comunitario, essendo l’Isvap tenuto a svolgere attività di controllo

su tutte le imprese aventi la sede legale in Italia che svolgono attività assicurativa

all’estero in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi.

5

In merito occorre precisare che è in regime di stabilimento l’attività che

l’impresa esercita da uno stabilimento situato in uno Stato membro assumendo

obbligazioni con contraenti aventi il domicilio o la sede nello stesso Stato.

E’, invece, libera prestazione dei servizi l’attività che l’impresa esercita da uno

stabilimento allocato in uno Stato assumendo obbligazioni con contraenti aventi il

domicilio o la sede legale in un altro Stato.

Nel capitolo precedente si è valutato l’importanza del Financial Services Action

Plan sul mercato unico dei servizi finanziari. Tra il 2000 e il 2004 l’Ue ha dato un

grande apporto per uno sviluppo armonico e veloce del mercato transfrontaliero,

con risultati che ancora oggi sono oggetto di valutazione.

Dopo una, relativamente breve, pausa di regolamentazione l’Unione europea sta

preparando un nuovo framework di regole per il settore assicurativo allo scopo di

superare le barriere nazionali e rafforzare il mercato unico. Le nuove regole

consentiranno alle compagnie di operare in tutti i 25 stati membro una volta

soddisfatti i requisiti richiesti dal supervisore del paese ospitante. La nuova

regolamentazione armonizzerà inoltre le norme riguardo la quantità di capitale

assicurativo da mettere a disposizione per affrontare gli impegni presi.

La legislazione è stata proposta dalla Commissione europea nel 2004/2005 ma i

lavori hanno subito una brusca frenata a causa di una disputa sulla possibilità da

parte del supervisore, di richiedere garanzie assicurative accessorie per i

potenziali danni coperti.

Francia e Portogallo chiedono attualmente tali garanzie, ad esempio, in forma di

lettere di credito, o bond. Il settore assicurativo si è a lungo opposto a tali

richieste, sostenendo che bloccherebbero il capitale senza una giustificazione

valida.

Il parlamento europeo e gli stati membri sono giunti ad un punto d’accordo

sostenendo che tali richieste dovranno essere introdotte per gradi come parte della

nuova direttiva in materia assicurativa.

La nuova regolamentazione UE probabilmente aumenterà le pressioni sugli Usa

ad abbandonare la serie di requisiti aggiunti richiesti alle compagnie straniere.

5

Bruxelles ha largamente cercato di spingere gli Usa a eliminare tali restrizioni ma

la sua posizione è stata fino ad ora compromessa dalle decisioni di Francia e

Portogallo che hanno introdotto le stesse misure restrittive.

Peter Skinner34 ha preparato a Marzo del 2005 un report che sostiene con

fermezza l’obbligo di introdurre per gradi dei requisiti aggiunti nell’Ue. Il

deputato europeo ha dichiarato che le nuove regole in preparazione rappresentano

una buona chance di definire standard globali, sottolineando che i gruppi europei

rispondono al 95% circa del mercato assicurativo mondiale.

Skinner ha dichiarato: “La nuova regolamentazione crea un unico mercato

nell’Unione consolidando il sistema di norme intorno ad un processo altamente

efficiente di market-led. Grazie a questo nuovo sistema le compagnie hanno

accesso a mercati in paesi dove attualmente gli è negato”.

34 Deputato europeo del partito laburista britannico

5

2.6 La direttiva sull’intermediazione assicurativa: 2002/92/CE

Nel 2002 l’UE emana una direttiva sull’intermediazione assicurativa, che

nelle premesse viene considerata attività fondamentale per lo sviluppo del mercato

unico.

Il legislatore ritiene infatti che nonostante le disposizioni precedenti avessero

contribuito notevolmente al riavvicinamento delle legislazioni nazionali, fossero

ancora sussistenti notevoli differenze tra le normative, ostacolo allo svolgimento

dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa nel mercato interno.

La direttiva tende a rafforzare il corretto funzionamento del mercato unico delle

assicurazioni attraverso l’instaurazione della licenza unica per gli intermediari

assicurativi e riassicurativi, il riconoscimento della parità di trattamento tra gli

operatori che esercitano l’intermediazione, l’adozione di criteri che garantiscano

un elevato livello di tutela del consumatore.

Inizialmente la direttiva chiarisce il concetto di “intermediario

assicurativo”, elencando quali soggetti non possono rientrare in questa categoria.

Vanno esclusi coloro che svolgono un’altra attività professionale, come i

consulenti, o chi esercita l’attività di intermediario, sussistendo rigorose

condizioni, come attività secondaria.

La direttiva altresì raccomanda l’istituzione di un albo professionale, sia per

monitorare gli esercitanti l’attività, sia per sanzionare chi opera senza

autorizzazione: si tratta, quindi, di un provvedimento inquadrabile nell’esigenza di

tutela dei consumatori.

La registrazione ha tuttavia un’altra importante caratteristica: permette

all’intermediario di esercitare l’attività in qualunque Stato membro.

Sempre nell’ottica della tutela dei consumatori non viene trascurata l’importanza

della trasparenza nell’attività di intermediazione. L’intermediario deve, infatti,

rispettare rigorosamente le legislazioni in materia di informazioni da fornire ai

consumatori, e deve altresì motivare le proprie scelte qualora dichiari di fornire

consulenze su prodotti offerti da una vasta gamma di imprese di assicurazione.

5

La direttiva, effettuate queste premesse sulla figura dell’intermediario,

giunge quindi ad una definizione dell’attività di “intermediazione assicurativa”: si

tratta delle attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione,

o compiere altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero

nel collaborare, segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione.

Viene definito anche “l’intermediario assicurativo collegato”, che agisce sotto la

responsabilità di una o più imprese di assicurazione, per i prodotti che le

riguardano rispettivamente.

Il Capo II della direttiva è dedicato ai requisiti per la registrazione,

nell’apposito albo istituito dagli Stati membri. Gli Stati possono istituire un unico

registro, o registri separati per assicuratori e riassicuratori, decidere se rilasciare

un documento tale da consentire agli interessati di verificare la registrazione.

Come si è detto, la registrazione, subordinata a precisi requisiti professionali

disciplinati dall’articolo 4 della direttiva, permette agli intermediari assicurativi e

riassicurativi di svolgere l’attività di intermediazione nella Comunità in regime di

libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Gli intermediari devono possedere adeguate cognizioni e capacità determinate dai

rispettivi Stati membri d’origine. Gli Stati possono modulare le condizioni

imposte in materia di cognizioni e capacità, in base all’attività svolta e ai prodotti

offerti. Coloro che esercitano un’attività professionale diversa

dall’intermediazione, possono esercitare l’attività di intermediazione solo se un

intermediario che soddisfi i requisiti dell’articolo 4 o un’impresa di assicurazione

assumono l’intera responsabilità dell’attività.

Gli Stati hanno anche la facoltà di verificare le cognizioni e le capacità degli

intermediari, e mettere a disposizione dei mezzi di formazione adatti.

Un altro elemento importante è il requisito dell’onorabilità, inteso come

certificato penale, o analogo documento nazionale, immacolato da illeciti penali

connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività

finanziarie e non devono essere dichiarati falliti.

Gli intermediari assicurativi devono essere in possesso di un’assicurazione per la

responsabilità professionale per i danni derivanti da negligenza nell’esercizio

5

della loro professione. Gli Stati devono altresì dotarsi delle misure necessarie per

tutelare i consumatori contro l’incapacità dell’intermediario di trasferire i premi

all’impresa di assicurazione o di trasferire all’assicurato gli importi della

prestazione assicurativa. Queste misure ad esempio possono essere l’istituzione di

un fondo garanzia, o la rigida separazione del patrimonio dell’intermediario dai

cc.dd. conti cliente.

L’articolo 8 della direttiva è dedicato alle Sanzioni, che possono essere

previste ed erogate dagli Stati membri nei confronti di chiunque eserciti l’attività

di intermediazione assicurativa o riassicurativa senza essere registrato in uno degli

Stati, nei modi previsti dalla direttiva stessa. Sanzioni possono essere previste

anche nei confronti di imprese di assicurazione che si avvalgono di intermediari

non registrati.

Queste disposizioni possono essere ricollegato ad uno dei principi fondamentali:

la maggior tutela del consumatore. A dimostrazione di ciò, gli Stati possono

prevedere anche l’inibizione ad avviare nuove attività nei confronti dei soggetti

sanzionati.

Le sanzioni erogate devono, naturalmente, essere motivate e comunicate

all’intermediario, di modo che egli possa impugnare in sede giurisdizionale il

provvedimento che ritiene ingiusto.

Il principio di tutela del consumatore ha sicuramente ispirato il legislatore

comunitario negli articoli 12 e 13 della direttiva, riguardo gli “obblighi

d’informazione degli intermediari” e le “modalità dell’informazione”.

L’articolo 12 disciplina il contenuto minimo delle informazioni che

l’intermediario deve fornire al consumatore: la sua identità e il suo indirizzo e i

mezzi per verificare la registrazione, se è detentore di una quota di partecipazione

superiore al 10% del capitale sociale di una determinata impresa di assicurazione,

o se, viceversa, un’impresa di assicurazione è proprietaria di almeno il 10% del

capitale sociale dell’intermediario, ed infine le procedure (articolo 10) che

consentono agli interessati di presentare ricorso nei confronti dell’intermediario,

nonché le procedure di reclamo e risoluzione stragiudiziale (articolo 11).

6

Riguardo il contratto proposto, l’intermediario ha il dovere di effettuare un’analisi

imparziale e di comunicare eventuale obblighi contrattuali ad esercitare l’attività

di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più imprese di

assicurazione.

Nel caso l’intermediario fornisca consulenza sulla base di un’analisi imparziale,

egli deve comunque fondare tale consulenza sull’analisi di un numero sufficiente

di contratti di assicurazione disponibili sul mercato.

All’articolo 13 la direttiva disciplina le “modalità dell’informazione”, disponendo

che qualsiasi informazione da fornire ai clienti deve essere comunicata su un

supporto adeguato (principalmente cartaceo), in modo chiaro, preciso e

comprensibile per il consumatore.

6

2.7 Le violazioni delle direttive europee in materia assicurativa: la

procedura sanzionatoria contro gli Stati in ritardo con l’implementazione

della DIA.

La maggior parte dei procedimenti sanzionatori in corso nel settore

assicurativo, riguardano l’errata implementazione delle direttive comunitarie nelle

legislazioni nazionali. Questo riguarda soprattutto le direttive vita e non vita di

terza generazione e le direttive sull’assicurazione dei veicoli a motore.

Negli ultimi due anni sono stati avviati dalle istituzioni europee più di dieci

procedure contro le infrazioni degli Stati membri: solo una di esse è relativa alla

trasposizione della direttiva sui gruppi assicurativi.

Il 12 Ottobre 2005 la Commissione Europea ha spedito a dieci stati inadempienti

le cosiddette reasoned opinions, seconda fase delle procedure sanzionatorie, che

prevedono per gli Stati l’obbligo di adeguarsi alla Direttiva sull’intermediazione

assicurativa entro un tempo massimo di due mesi, pena la comunicazione alla

European Court of Justice.

I dieci stati coinvolti non hanno adempiuto all’obbligo di notificare alla

Commissione Europea per tempo di aver recepito la DIA nella legislazione

nazionale.

Il termine entro il quale gli Stati membri erano tenuti ad adeguarsi a questa

normativa comunitaria giuridicamente vincolante, diretta a consentire agli

intermediari di esercitare la propria attività in tutto il territorio europeo con la sola

licenza ottenuta nel proprio paese, ma a condizione di un significativo

miglioramento del livello di protezione dei consumatori di quest’area, era il 15

Gennaio 2005.

Eppure, a dieci mesi dalla deadline fissata di comune accordo dagli stessi Stati

membri solo il 60% di questi ha recepito con legge nazionale la direttiva.

I risultati del monitoraggio effettuato dalla Commissione in data 1 Ottobre 2005,

mettono in evidenza come questa legge sia una delle misure più scarsamente

implementate tra quelle concordate dai Capi di Governo con il Financial Services

Action Plan votato nel Giugno 1999.

6

Per il Bipar35, queste inadempienze fanno sì che si venga a creare un clima di

incertezza giuridica e confusione circa i passporting rights che la DIA riconosce

agli intermediari. Tali diritti, consentono all’intermediario di creare attività in un

altro Stato dell’UE, o di estendere il proprio business oltre il confine a seguito di

semplice notifica, qualora lo Stato dell’intermediario abbia messo in atto le poste

condizioni imposte dalla direttiva. Ma tale meccanismo non può funzionare senza

intoppi in quei paesi che stanno portando ritardo nell’implementazione della

direttiva, con conseguente impossibilità per gli intermediari di far valere il

passaporto europeo.

Con lo spirare del termine per l’attuazione di due anni, il Bipar, assieme alle

associazioni nazionali ha esortato i governi nazionali inadempienti a non

provocare ulteriori ritardi, affinché sia reso effettivo e funzionante il mercato

unico dell’intermediazione assicurativa.

La Commissione Europea ha sollecitato gli stati inadempienti per ulteriori dieci

mesi, fino a quando non è stata presa la decisione di avviare la procedura

sanzionatoria.

La direttiva è ritenuta di cruciale importanza, perché, una volta attuata

uniformemente, permetterà agli intermediari di effettuare i servizi previsti dalle

assicurazioni ai propri clienti anche quando questi sono esposti ad altri stati

membri, come accade sempre più spesso. Allo stesso tempo gli intermediari

assicurativi potranno soddisfare i propri clienti avendo a disposizione una più

ampia gamma di prodotti presenti nel mercato unico, esercitando maggiormente il

loro ruolo di catalizzatori di competizione a livello europeo.

Il ritardo con cui alcuni Stati stanno dando attuazione alla direttiva, ostacola il

perfezionamento del mercato unico d’intermediazione assicurativa.

35 Ubicato dal 1989 a Bruxelles il Bipar (European Federation of Insurance Intermediaries) è riconosciuto dalle istituzioni europee e internazionali come la federazione rappresentativa degli intermediari assicurativi europei, le cui attività possono avere un impatto sul settore. Aderiscono al BIPAR circa 42 associazioni nazionali rappresentative di agenti assicurativi e intermediari professionisti appartenenti a tutta l’area geografica dell’Europa e del Mediterraneo. Essa rappresenta circa 100 000 intermediari assicurativi professionisti, sia autonomi che dipendenti, in 27 paesi, che sono attivi in praticamente tutti i paesi del mondo e danno lavoro a più di 250 000 persone.

6

Il Bipar infatti segnala regolarmente alla Commissione le numerose difficoltà cui

gli intermediari devono far fronte; vi sono testimonianze di intermediari francese

che non si sono visti riconoscere il passaporto per operare in Inghilterra o Spagna.

Le loro certificazioni, basate sulla licenza presa in Francia, sono state respinte dai

due paesi.

E’ stata quindi avanzata la proposta che il CEIOPS36 fissi un accordo provvisorio,

da far valere nell’attesa che tutti gli Stati abbiano adempiuto agli obblighi della

direttiva, con il quale consentire agli intermediari di far valere da subito i

passporting rights.

Il CEIOPS inoltre, in cooperazione con la Commissione, dovrà fornire indicazioni

chiare e dettagliate sulle conseguenze della tarda implementazione sugli

intermediari dell’UE e sulle soluzioni sperimentate dagli Stati membri per limitare

l’impatto negativo nelle attività di intermediazione cross-border.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, è possibile che gli

intermediari invochino gli effetti obbligatori della DIA per chiedere risarcimento

dei danni agli Stati per non essere in grado di assicurare l’esercizio del business

nei mercati europei. Allo stesso modo i clienti possono citare per danni gli Stati

per non aver potuto godere della tutela a livello europeo prevista dalla legislazione

comunitaria.

Paul Carty, vice presidente del comitato UE del Bipar ha affermato: “Il mercato

assicurativo unico non diventerà una realtà e anzi sarà fallimentare fintanto che

la DIA non verrà implementata consentendo agli intermediari, che sono il vero

motore del mercato, di esercitare la propria professione senza impedimenti in

tutta l’Unione”.

36 Commettee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors

6

Capitolo III

IL MARGINE DI SOLVIBILITA’

Sommario: 3.1 Il rischio – 3.2 Il margine di solvibilità – 3.3 Da Solvency 0 a Solvency II -

3.4 Solvency II: le domande chiave – 3.5 Cos’è Solvency II – 3.6 In particolare: le

ragioni giustificatrici del progetto Solvency II – 3.7 I tre pilastri – 3.8 Ipotesi sull’impatto

del nuovo sistema di solvibilità – 3.9 L’attività di CEA e CEIOPS – 3.10 Quantitative

Impact Study I – 3.11 Quantitative Impact Study II – 3.12 Alcune criticità di Solvency II –

3.13 I Consultation Papers del CEIOPS

3.1 Il rischio

Il rischio è definito dall’imprevedibilità degli avvenimenti futuri, e quindi

dalla possibilità che la manifestazione concreta di un qualsiasi fatto incerto possa

dare risultati diversi da quelli previsti37.

I rischi generano incertezza legata agli effetti derivanti dalla destinazione delle

risorse economiche generate dall’attività stessa.

Ciò che preoccupa l’impresa sono le conseguenze negative del verificarsi dei

rischi. Queste sono definite come rischio d’impresa che è un rischio economico

generale, il quale al suo interno può essere suddiviso in una serie di rischi correlati

ed interdipendenti.

Nella prassi si distinguono rischi puri e statici, che producono solo effetti negativi,

speculativi e dinamici, che possono produrre sia effetti positivi che negativi.

Soprattutto i rischi puri possono generare grosse perdite alle imprese, limitandone

la libertà d’azione, creando ostacoli alla creazione di reddito, non essendo mai del

tutto eliminabili.

37 F. Brambilla ,“Trattato di statistica” , vol. 2, ed. Utet, Torino, 1968, pag. 9.

6

Per questo motivo le imprese si rivolgono alle compagnie di assicurazione, le

quali dietro versamento di un premio si assumono le conseguenze negative

all’avverarsi del rischio38.

I rischi assicurati sono quelli definiti puri che l’impresa non può eliminare: tra

questi però non tutti sono assicurabili. L’impresa d’assicurazione per assumersi

tali rischi richiede il verificarsi di date condizioni per far sì che il rischio puro

diventi assicurabile.

Tali condizioni si ritrovano in alcune caratteristiche che sono:

1) il rischio deve riguardare un gran numero di unità, perché solo così è

possibile calcolare la probabilità di manifestazione dell’evento.

2) le unità assunte devono rispondere a requisiti di omogeneità qualitativa e

quantitativa per controllare meglio gli effetti negativi da imputare

all’imprevedibilità.

L’omogeneità qualitativa identifica meglio le caratteristiche delle unità

assicurate per meglio classificarle all’interno di gruppi il più possibili

omogenei. L’omogeneità quantitativa realizza invece un livellamento dei

valori delle prestazioni per evitare sproporzioni eccessive nei rimborsi per

rami diversi, e valori troppo alti in relazione ai beni assicurati.

3) la frequenza di accadimento deve essere determinabile a priori; ciò per

poter definire il prezzo della copertura assicurativa.

4) il danno producibile deve dipendere solo da eventi aleatori e deve essere di

entità considerevole. Questo è richiesto per due motivi: far sì che

l’intervento dell’uomo non possa in nessun modo modificare o alterare la

probabilità di accadimento e per creare interesse alla copertura

assicurativa, che altrimenti se il danno fosse modesto non comporterebbe

nessun bisogno di assicurarsi.

5) il costo connesso alla copertura assicurativa deve invece essere di importo

modesto, affinché si crei una collettività abbastanza numerosa. Sì da luogo

38 Lo stesso codice civile all’art. 1882 definisce il rapporto del contratto assicurativo come

“l’assicurazione è il contratto con il quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si

obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro,

ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.

6

qui al verificarsi della legge dei grandi numeri che afferma che

all’aumentare del gruppo e delle frequenze dell’evento stimate, ne deriva

che la differenza tra la frequenza stimata e la sua probabilità matematica

tende a zero, quindi la frequenza si stabilizzerà intorno ad un dato valore.

6) occorre infine, che la probabilità di accadimento del rischio sia

indipendente dagli altri rischi: in poche parole che il verificarsi di un

rischio su un soggetto, in un dato gruppo, non influenzi la probabilità di

accadimento degli altri rischi.

Viste le condizioni necessarie per l’assicurabilità di un rischio puro, possiamo

vedere sinteticamente le principali tipologie di rischi presenti in un’impresa di

assicurazione, questi sono:

- rischi riguardanti le persone39

- rischi riguardanti le cose e i beni

- rischi riguardanti la responsabilità civile per danni alle

persone o a cose

Dunque l’impresa di assicurazione ha come oggetto principale della sua

attività l’assunzione di tali rischi. Questo avviene appunto mediante la riscossione

anticipata di un premio, rispetto al possibile evento dannoso.

Si crea così l’inversione del ciclo economico, fatto caratteristico non riscontrabile

in altri tipi di imprese. Si creano anche maggiori complessità nella gestione

dell’attività assicurativa, rispetto alle altre attività economiche, perché tutte le

decisioni, nell’ambito della determinazione del premio, sono prese prima di

conoscere con precisione quali saranno i costi40 (a seconda che sia

39 Questi possono essere suddivisi in : - rischi riguardanti la vita umana riconducibili alle

assicurazioni in caso di vita e di morte - rischi riguardanti gli infortuni sul lavoro, invalidità,

vecchiaia, disoccupazione, malattie. Tra queste assicurazioni rientrano anche quelle obbligatorie di

natura sociale che hanno una regolamentazione speciale. 40 Nella normalità l’impresa di assicurazione non dovrebbe mai avere problemi di

autofinanziamento, appunto perché acquisisce con anticipo i ricavi rispetto ai costi. Gli unici costi

sostenuti anticipatamente sono quelli relativi alle provvigioni e spese di incasso dovute agli agenti

6

un’assicurazione su cose o persone distinguiamo risarcimento, capitale maturato,

rendita).

Collegate al problema della non conoscenza degli effettivi costi, vi sono anche

tutte le decisioni riguardanti gli investimenti delle grandi somme di denaro

incassate, che l’impresa di assicurazione sa dovranno essere accantonate per far

fronte agli esborsi futuri41, ma che contemporaneamente dovranno anche essere

fonte di reddito per l’impresa in quanto non si sa quanto in la nel tempo

avverranno i pagamenti; ed anche perché in ogni caso il fine dell’impresa di

assicurazione, come per tutte le imprese economiche, è quello di produrre reddito.

A fianco del rischio puro, che rappresenta la centralità della sua attività, sorgono

una serie di altri rischi accessori che vanno tenuti sotto controllo al fine di

garantire la solvibilità42 dell’impresa di assicurazione nei confronti degli

assicurati.

e i costi amministrativi di gestione dell’impresa. Questi non dovrebbero mai generare problemi di

deficit di cassa; quindi la loro incidenza al rischio d’insolvenza è trascurabile. 41 In realtà non tutti i rischi genereranno costi. Una parte di questi non vedrà il verificarsi di

nessun evento dannoso. In questo caso l’intero premio andrà a costituire il reddito di pertinenza

dell’impresa. 42 Per solvibilità si intende la capacità dell’impresa di assicurazione di far fronte ai propri

impegni verso gli assicurati. Riguardo alla solvibilità nel settore assicurativo tale espressione è

generalmente usata per indicare lo stato di benessere di un’impresa, sia dal punto di vista

dell’autorità di vigilanza sia da quello del management della compagnia stessa. Va però detto che i

due soggetti interessati si prefiggono istituzionalmente obiettivi diversi. Mentre l’autorità di

vigilanza deve garantire agli assicurati e ai danneggiati la solvibilità della compagnia, e a tal fine

effettua periodicamente un monitoraggio a breve termine sulla stessa, il management invece è

responsabile principalmente nei confronti degli azionisti, della prosecuzione dell’attività

dell’impresa, non solo nel breve ma anche nel lungo termine, dovendo garantire una congrua

remunerazione del capitale investito. I soggetti sopra menzionati fanno quindi riferimento a due

diversi concetti di solvibilità. Per tale ragione spesso si parla di solvibilità quando l’esaminatore è

l’autorità di vigilanza, mentre si parla di solidità finanziaria quando è indagata la capacità

dell’impresa di fronteggiare le fluttuazioni sfavorevoli e quindi garantire la continuazione nel

lungo periodo della propria attività. N. Savelli nella rivista “Finanza imprese e mercati” n. 2 1994.

6

Per far fronte a tali peculiari caratteristiche sono molteplici gli strumenti previsti

dalla normativa. I principali metodi vanno dalle riserve tecniche43, ottenute

dall’applicazione di metodologie statistiche ed attuariali ai premi incassati, alla

costruzione di premi mediante metodi probabilistici basati sull’osservazione sia

del numero degli eventi accaduti negli anni sia del loro costo medio, alla

previsione di capitali supplementari che permetteranno all’impresa di

assicurazione di coprire qualsiasi perdita emergente e quindi di sopravvivere.

I fattori di instabilità si ritrovano principalmente nel passivo per la

possibilità che le basi statistiche e finanziarie sottostanti ai premi si dimostrino

inadeguate e che quindi le riserve tecniche costituite con tali fonti a loro volta

risultino inadeguate.

Le diverse tipologie di rischi possono essere raggruppate e classificate in

tre macro classi:

rischi tecnici (sottotariffazione, sovrasinistralità, errate riserve

tecniche, tipologie di riassicurazione).

rischi di mercato (di investimento, di credito, di tasso di interesse, di

cambio, di liquidità).

rischi diversi (di inflazione, legati al comportamento del management,

dell'andamento dell'economia in generale, condizioni socio politiche).

43 Le riserve tecniche, iscritte nel passivo indicano la complessiva esposizione debitoria

della compagnia per effetto dei contratti stipulati e per la quale ad una certa data (la chiusura

dell’esercizio) non ha ancora assolto le proprie obbligazioni. Nei rami danni le principali riserve

tecniche sono “la riserva premi” e “la riserva sinistri”. Nel ramo vita è “la riserva matematica”.

Tratto da “Il margine di solvibilità delle imprese di assicurazione: confronto tra i sistemi europeo

ed americano” Quaderno ISVAP n. 6. 1997.

6

3.2 Il margine di solvibilità europeo

L’esigenza anche in Europa di accrescere gli strumenti a disposizione delle

imprese di assicurazione per tenere maggiormente sotto controllo la solvibilità, è

cresciuto nel tempo per i soliti motivi: crescita della componente finanziaria nei

prodotti assicurativi, soprattutto nel ramo vita, e maggiore competitività che

spinge ad assumere sempre maggiori rischi d’investimento da parte delle imprese

di assicurazione.

La tendenza è venuta crescendo nel tempo, con l’emanazione di direttive sempre

più improntate a liberalizzare il mercato per garantire la massima trasparenza e

competitività. Dall’altra parte, mediante la creazione di un sistema di norme volte

a garantire maggiormente la solvibilità dell’impresa.

Queste ultime (a parte le norme riguardanti il livello di capitalizzazione minima)

si riflettono nel Margine di Solvibilità, che trova origine negli studi svolti negli

anni ‘60 e poi introdotto con le direttive di prima generazione (direttiva n. 239 del

1973 per i rami danni e direttiva n. 267 del 1979 per i rami vita).

Questo deve essere costituito con quella parte del capitale libero da impegni verso

gli assicurati, quindi patrimonio interamente a disposizione dell’impresa

d’assicurazione.

Il Margine di Solvibilità viene di volta in volta inteso come un’ulteriore riserva

dell’impresa, ma non tecnica, o come un livello supplementare di patrimonio

libero: in generale può essere inteso come un cuscinetto supplementare che serve

per far fronte ai possibili imprevisti, che data l’attività assicurativa possono

manifestarsi e intaccare la solidità finanziaria dell’impresa.

Il Margine di Solvibilità è uno strumento complementare al capitale minimo e alle

riserve tecniche. A differenza di queste ultime, il margine è però determinato

riguardo all’attività svolta dall’impresa e a quella che si prevede per il futuro.

Quindi non gode del principio di funzionamento tipico dell’attività assicurativa

nel quale le riserve tecniche sono costituite con i premi raccolti (inversione del

7

ciclo economico). Deve essere quindi costituito con capitali apportati dagli

azionisti o in generale utili e attività dell’impresa stessa44.

In tal modo guardando la gestione dell’impresa di assicurazione possiamo

affermare che il Margine di Solvibilità garantisce e determina la capacità di

solvibilità dinamica dell’impresa, mentre le riserve tecniche garantiscono la

capacità di solvibilità statica45.

Il Margine di Solvibilità deve essere costituito da valori non destinati a

copertura di impegni verso gli assicurati.

Le varie direttive che regolano il margine e l’attività assicurativa precisano quali

beni possono entrarne a far parte, e quali valori ne sono invece esclusi. In linea di

massima, la scelta comunitaria privilegia la costituzione del margine con attività

che presentano un buon grado di liquidità e non eccessivamente rischiose, in

modo tale da rendere la volatilità del margine minima, garantendo la massima

solvibilità46.

Il margine, è poi differenziato nella fase di calcolo per il ramo vita e per il ramo

danni. Ogni formula cerca di prendere in considerazione i fattori rilevanti del

ramo. Riserve matematiche e capitali sotto rischio per i rami vita; riserve tecniche

e premi per i rami danni.

Oltre a questi fattori principali, è preso in considerazione anche il ricorso a

politiche riassicurative (passive) che riducono gli impegni dell’impresa

assicurativa e quindi il margine minimo da possedere.

44 Donati-Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni., Giuffrè, 2000 pag. 44-45: <<la funzione del Margine di Solvibilità è una funzione di garanzia in senso lato della solvibilità dell’impresa, poiché si risolve nell’obbligo di mantenere un’eccedenza delle attività rispetto alle passività, proporzionata al volume di affari dell’impresa. Sotto il profilo patrimoniale, il Margine di Solvibilità assorbe la garanzia offerta dal capitale sociale, che in quanto componente del patrimonio netto concorre alla costituzione del margine, ma sul piano giuridico capitale sociale e Margine di Solvibilità sono entità che vanno debitamente distinte e alle quali si applicano normative diverse>>. 45 Op. cit. .Rischio d’impresa in campo assicurativo. di F. Gismondi T. Di Gregorio, ed. Il Mulino, Bologna 1997, pag. 77,78. 46 In realtà per tutti gli investimenti, l’U.E. privilegia e raccomanda criteri di prudenza evidenziando il rispetto dei requisiti di: redditività, liquidità.

7

Tale fenomeno è però in parte frenato per evitare il massiccio ricorso alla

riassicurazione, di fronte a rapidi accrescimenti produttivi non sorretti da adeguati

mezzi patrimoniali, dove il ricorso alla riassicurazione passiva potrebbe essere

massiccio, con conseguente calo del Margine di Solvibilità: per questo è fissato un

limite massimo alla cessione dei rischi, che risiede nel 50% dei sinistri e capitali

sotto rischio47 e nell’85% delle riserve matematiche.

Va precisato che le imprese di riassicurazione sono esentate dalla costituzione del

Margine di Solvibilità, mentre chi esercita sia riassicurazione che assicurazione,

vede rientrare anche le operazioni di riassicurazione nel calcolo del Margine di

Solvibilità.

La formula in sostanza si presenta molto rigida, anche se sono in atto proposte per

modifiche ai parametri per renderla sempre più attenta all’evolversi delle

situazioni rischiose nel mercato assicurativo.

Oltre al valore del Margine di Solvibilità, la normativa stabilisce un livello

minimo di questo, che deve essere obbligatoriamente mantenuto sempre

dall’impresa di assicurazione, dal momento della sua costituzione, detto in Italia

quota di garanzia, ma definito dall’Unione Europea fondo di garanzia.

Il fondo di garanzia è costituito da un terzo del Margine di Solvibilità, ed ha come

scopo principale quello di fornire sempre un livello di capitalizzazione minimo

all’impresa di assicurazione, che possiamo definire come un livello minimo di

sicurezza, senza il quale all’impresa non è consentito continuare l’attività48.

La normativa europea sul Margine di Solvibilità dà delle linee generali da seguire

nel calcolo e composizione. I singoli stati, con le loro autorità di vigilanza,

47 I capitali sotto rischio, presenti nelle assicurazioni che prevedono un pagamento sia in caso di vita che di morte, sono pari alla differenza tra il capitale caso morte previsto dalla polizza e la riserva matematica accantonata. Esprime in pratica il capitale necessario all’assicuratore da integrare con la riserva (matematica) già accumulata per fronteggiare il pagamento del capitale in caso si verifichi la morte dell’assicurato prima del previsto. 48 Per le imprese vita in ogni caso, la quota di garanzia non può essere inferiore a . 800.000, fatti salvi limiti specifici per le mutue. Nei rami danni la quota minima non può essere inferiore a prefissati limiti d’importo legati alla tipologia di rischio assunto stabiliti nell.art. 39, D. Lgs n. 175 del 1995.

7

possono in alcuni punti modificare, ma non stravolgere, alcuni criteri alla base del

calcolo o valori di attività ammissibili nel margine.

Questo perché le singole normative tra i paesi membri dell'U.E. non sono ancora

del tutto armonizzate, soprattutto nell’ambito della corretta contabilizzazione a

bilancio di alcune classi di attività49.

Infine, le soglie di intervento da parte delle autorità di vigilanza variano secondo

la mancanza del Margine di Solvibilità richiesto, e si differenziano tra i vari paesi

membri dell’U.E. non ritrovando ancora quell’armonia più volte necessaria per un

mercato libero e competitivo che offra le stesse condizioni a tutti gli operatori.

In tutti i paesi si hanno due distinte soglie: la prima, quando si scende al

di sotto del Margine di Solvibilità, che prevede diversi interventi che si possono

differenziare da paese a paese in linea di massima riconducibili ad integrazioni di

capitale, ricorso obbligato alla riassicurazione passiva, riduzione del volume di

attività, riqualificazione del portafoglio di assicurati.

La seconda, quando si scende al di sotto del fondo minimo di garanzia, che può

portare ad immediati piani di risanamento, all’amministrazione controllata e alla

liquidazione coatta amministrativa se la situazione è insanabile.

Come si può osservare la gran parte degli interventi è di origine finanziaria,

rivolta a suoi miglioramenti indiretti (riqualificazione del portafoglio,

riassicurazione) o diretti (apporto di nuovi capitali) e di rapido effetto.

Il Margine di Solvibilità può essere così visto anche come un istituto, che regola

con particolari meccanismi di controllo, l’attività delle imprese assicuratrici che,

pur trovandosi in una situazione di rischio elevato, sono ritenute

in ogni caso in grado di predisporre misure idonee al superamento dello stato di

squilibrio in cui versa50.

49 Per esempio in alcuni paesi date attività sono contabilizzate a valore di mercato, mentre in altri gli stessi valori sono contabilizzati al costo storico. È attualmente allo studio da parte dello IASCO un’armonizzazione dei principi contabili europei. 50 Op. cit. Riserve tecniche e margine di solvibilità nelle imprese di assicurazione di F. Rubino, ed. Franco Angeli, Milano 2000 pag. 116, 117.

7

3.3 Da Solvency 0 a Solvency II

Il progetto Solvency 0 deriva da studi compiuti negli anni ’60; recepito

nelle direttive assicurative di prima generazione (anni ’70).

Solvency 0 ha introdotto il requisito patrimoniale minimo (“margine minimo di

solvibilità”) e lo ha rapportato ad indicatori semplici quali premi e sinistri

nell’assicurazione danni, riserve matematiche e capitali sotto rischio

nell’assicurazione vita.

Solvency I aggiorna Solvency 0 senza mutarne la logica. Si tratta di una riforma

avviata nella seconda metà degli anni ’90 e recepita in due direttive del 2002.

Solvency II è una riforma radicale che non abbraccia le sole metodologie di

calcolo del requisito patrimoniale ma riguarda l’intero sistema di vigilanza

prudenziale.

Si tratta di un progetto avviato dalla Commissione Europea nel 2000 allo scopo di

riformare l’intero sistema di vigilanza prudenziale delle imprese di

assicurazione.

L’obiettivo non è solo quello di modificare i criteri quantitativi per il calcolo del

margine di solvibilità, ma di rivedere il complesso di regole a presidio della

stabilità delle imprese.

Il sistema di solvibilità europeo (“Solvency I”) finora ha tenuto, ma presenta

diversi limiti:

non considera l’insieme dei rischi cui è esposta un’impresa dal lato

dell’attivo e del passivo;

non tiene conto dei rischi specifici di una compagnia (a parità di premi e di

sinistri, la rischiosità di due imprese può essere molto diversa);

non tiene conto delle interconnessioni fra le regole relative a riserve

tecniche, attivi a copertura, margine di solvibilità;

non tiene conto della qualità del risk management / controllo interno delle

diverse imprese.

Di conseguenza Solvency II si pone l’obiettivo di definire un sistema di regole

prudenziali che:

rifletta meglio i rischi effettivi assunti dalle imprese;

7

incentivi le imprese di assicurazione a conoscere e gestire meglio i propri

rischi;

consenta alla vigilanza di cogliere per tempo i segnali di difficoltà;

migliori confrontabilità e trasparenza fra imprese e tra mercati;

sia flessibile in modo da riflettere con tempestività gli sviluppi del

mercato.

7

3.5 Solvency II: Le domande chiave

a) Perché è necessario un nuovo sistema di regole sulla solvibilità?

L’attuale struttura di regole denominata Solvency I51, in vigore dai primi

anni ’70, usa un modello semplice e robusto per calcolare i requisiti di capitali.

Questo modello può essere implementato ad un costo molto basso e produce

risultati apprezzabili sul mercato assicurativo. Il suo difetto risulta quello di essere

troppo semplice e di non dirigere i capitali accuratamente dove di questi vi è

necessità: dove, cioè, sono presenti i rischi.

Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che il margine di solvibilità

delineato da Solvency I risulta non essere più adeguato, e di conseguenza la

regolamentazione in numerosi paesi ha dovuto subire un rafforzamento: ciò ha

prodotto un patchwork di regole differenti in tutta l’Europa.

La lezione appresa tra il 2002 e il 2003, quando i mercati finanziari crollarono

improvvisamente, causando il fallimento di più di una compagnia assicurativa, ha

accresciuto la coscienza, sia degli operatori che del legislatore, dell’importanza di

una miglior pratica del risk management.

b) In cosa il nuovo sistema si differenzierà dal vecchio?

Il nuovo sistema, denominato Solvency II, si baserà sui principi

dell’economia per calcolare i requisiti di capitali delle imprese di assicurazione.

Sarà anche un sistema basato sull’analisi del rischio, e su di esso verranno basate

tutte le misurazioni del margine di solvibilità.

Una struttura di fattori semplici, come quella usata in Solvency I, non è più

adeguata alla grande quantità e diversificazione dei rischi che si riscontra in

un’odierna compagnia assicurativa. Le compagnie più avanzate hanno realizzato

dei sofisticati modelli interni per misurare gli effetti di eventi avversi sui loro

portafogli. Questi modelli, dopo accurate analisi e studi, vengono utilizzati come

base per realizzare la nuova struttura di regole. 51 Solvency I è un termine di ampio respiro che comprende tutto il sistema di direttive che regolamenta l’attuale sistema prudenziale del mercato assicurativo

7

Le compagnie che, invece, non si sono dotate di modelli interni potranno

utilizzare un sistema di approccio standard52, che comunque risulta molto più

evoluto del sistema attualmente in vigore.

Lo scopo di Solvency II non è semplicemente quello di elevare in maniera

generica i livelli minimi dei requisiti patrimoniali ma essenzialmente quello di

assicurare un alto standard di valutazione del rischio e un’allocazione efficiente

dei capitali.

c) Che impatto avrà Solvency II sui governi, sull’industria assicurativa, e

sull’economia europea?

La necessità che le compagnie migliorino la loro pratica del risk management e

che esse possiedano adeguati livelli di capitali, darà ai governi una miglior

protezione contro il rischio di fallimento delle compagnia.

Un secondo vantaggio sarà sicuramente quello di una miglior allocazione dei

capitali, che dovrebbe riflettersi positivamente sulla riduzione dei costi per i

consumatori, accresciuta concorrenza e trasparenza, e potrebbe altresì produrre un

miglioramento dei prodotti, collegato ad una sensibile diminuzione dei prezzi.

Per quel che riguarda l’industria assicurativa, invece, i miglioramenti nel

campo del risk management sono stati sensibili in questi ultimi anni. Solvency II

incoraggerà ulteriormente l’intera industria a adottare queste pratiche. E’ atteso

che lo standard generico di valutazione dei rischi si elevi abbastanza rapidamente.

L’industria assicurativa europea include un grande numero di piccole e medie

compagnie che dovrebbero affrontare ingenti costi per realizzare modelli interni

atti a calcolare i propri requisiti patrimoniali per la solvibilità. Esse potranno

utilizzare il cosiddetto approccio standardizzato che permetterà loro di aggirare il

problema degli ingenti costi, a discapito però della precisione: questo approccio

infatti, essendo meno personalizzato, dovrebbe rivelarsi anche maggiormente

approssimativo.

52 L’approccio standardizzato al calcolo del margine di solvibilità prescrive un metodo da seguire obbligatoriamente: ad esempio nell’assicurazione non-vita esso deve essere calcolato in ogni caso mediante formule.

7

La progettazione e i possibili effetti dell’approccio standard sono attualmente in

fase di approfondita valutazione nel secondo c.d. Quantitative Impact Study (QIS

2) condotto dal Ceiops53.

Se il progetto Solvency II dovesse realizzarsi al meglio, esso non solo

condurrà ad una più efficiente allocazione dei capitali in tutta l’industria

assicurativa, ma dovrebbe anche condurre ad un’industria meglio amministrata

che possa aspirare a realizzare la propria stabilità finanziaria in un mondo di

rischi.

Una più efficiente allocazione dei capitali conduce all’abbassamento dei prezzi

per i consumatori. Un minor rischio per le compagnie assicurative crea maggior

fiducia nella stabilità industriale e finanziaria.

In più, la nuova struttura regolamentatoria si applicherà uniformemente in tutta

l’Unione Europea. Accoppiato ad una maggior trasparenza e ad una maggior

informazione al pubblico, questo dovrebbe accelerare la realizzazione di un vero e

funzionante Mercato Unico nei servizi finanziari.

53 Ceiops: Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors

7

3.6 Cos’è Solvency II

Solvency II è sia un concetto che un processo. Il concetto è molto

semplice: che assicuratori e riassicuratori dovrebbero rendersi conto appieno dei

rischi inerenti alla loro attività e allocare sufficienti risorse per coprire questi

rischi.

Il processo atto a realizzare questo concetto è però molto più complesso. Esso

coinvolge i legislatori dell’UE, della Svizzera, della Norvegia, del Liechtenstein e

dell’Islanda. Nonostante i principi guida del processo siano comuni, sono tuttora

presenti numerose diversificazioni nell’implementazione, che non si completerà

del tutto prima dell’anno 2010.

L’approccio raccomandato dalla commissione è praticamente quello di

richiedere alle compagnie di assicurazione e riassicurazione di produrre modelli

finanziari. Sono previsti comunque meccanismi semplificati per le operazioni più

piccole e meno sofisticate.

Le proposte sono basate su tre pilastri:

1. il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di

sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio,

eventualmente, ai modelli interni;

2. il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del

rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al

monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di

controllo uniformi da parte dell’autorità di vigilanza;

3. il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri

precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio

effettivo (I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II

pilastro) non può non comunicare al mercato in maniera trasparente il suo

modo d’essere e di operare”.

La Commissione Ue ha definito, dopo una prima fase di ricognizione del

modus operandi delle principali compagnie, il timesheet dei lavori per la

7

costruzione dell’apparato di solvibilità seguendo il cosiddetto approccio

Lamfalussy54.

Il Committee of European Insurance and Occupational Pension Supervisors

(CEIOPS), comitato di terzo livello, ha prima di tutto formulato i pareri relativi

alla forma e agli elementi costitutivi del II pilastro (giugno 2005) e del I pilastro

(ottobre 2005) sulla base della consultazione con gli operatori del mercato. Nel

febbraio del 2006 ha formulato il parere sul III pilastro. Spetterà poi all’European

Insurers e Occupational Pension Committee (EIOPC) il parere definitivo

sull’adozione delle misure.

L’assetto attuale della vigilanza prudenziale si fonda sull’istituto del

margine di solvibilità. Esso corrisponde ad un coefficiente fisso degli impegni

assunti nell’ultimo anno (ramo vita) o alle risorse raccolte o erogate nell’ultimo

triennio (ramo danni), senza tenere conto di nessun’altra tipologia di rischio quale,

ad esempio, il rischio finanziario connesso all’investimento delle risorse raccolte a

titolo di premi o il rischio di disallineamento tra i tassi riconosciuti sulle polizze e

i tassi relativi al portafoglio investimenti.

Le risorse disponibili per il soddisfacimento del requisito prudenziale devono

essere almeno pari al margine di solvibilità.

Il requisito patrimoniale soffre di un limite intrinseco: la misura unica del

coefficiente di rischio di sottoscrizione finisce per equiparare compagnie con

caratteristiche assai diverse penalizzando, ad esempio, con vincoli di solvibilità

più stringenti, le imprese più grandi. Queste, potendo contare su un portafoglio di

maggiori dimensioni, conseguono, per la legge dei grandi numeri, un minor

scostamento tra le basi demografiche adottate e la mortalità effettiva per il ramo

vita, una stabilizzazione della sinistrosità per il ramo danni.

Esistono, quindi, esigenze di patrimonializzazione individuali diverse a seconda

del soggetto considerato, del ramo esercitato all’interno del business vita e danni

(si pensi all’impegno a fronte dei sinistri con bassa frequenza e di importo

elevato), del rischio conservato.

54 L’approccio Lamfalussy prevede l’implementazione delle misure tecniche che avviene grazie al fondamentale contributo dei comitati a diversi livelli.

8

Esistono una serie di ulteriori istanze presenti nel mondo assicurativo, e

non solo, che spingono per una completa revisione dell’intero impianto di

solvibilità.

Da una parte il fondamentale principio dell’allocazione del capitale in base al

rischio, ha indotto a una continua evoluzione del sistema finanziario, in primis del

settore bancario (Basilea 2). Dall’altra, le esigenze di confrontabilità nei settori

aperti alla concorrenza ha spinto alla previsione di standard comuni di valutazione

e di rappresentazione dei risultati (i principi contabili internazionali)”.

“Solvibilità II nasce come risposta alla necessità di creare un sistema di sicurezza

calibrato sul profilo di rischio effettivo della singola impresa di assicurazioni

(“one size does not fit all”) in un contesto concorrenziale. Pertanto, non più

coefficienti fissi, ma un sistema di determinazione della dotazione patrimoniale

minima, frutto dell’individuazione, dell’eventuale autonoma misurazione e della

gestione di tutte le fonti di rischio di soggetti che fanno del rischio il proprio

business”. In altre parole, diffusione della cultura del rischio55”.

55 Professor Claudio Porzio, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università degli Studi di Napoli e docente presso la Divisione Intermediari Finanziari ed Assicurazioni della SDA Bocconi di Milano, in un’intervista su www.soldionline.it

8

3.7 In particolare: le ragioni giustificatrici del progetto Solvency II

Il vigente sistema di Solvibilità è stato introdotto nei primi anni ’70. Da

allora, la scienza del risk management ha progredito considerabilmente. Molte

grandi compagnie hanno sviluppato sofisticati modelli di risk management, sia per

definire i requisiti patrimoniali, sia per porre in essere strutture manageriali atte a

identificare, misurare, e controllare i livelli di rischio.

Nella vigente struttura di Solvency I, sono presenti alcuni elementi per la

valutazione della solvibilità che non sempre sono appropriati, e addirittura talvolta

contraddittori. Alcune regole sono tali da essere contrarie alla teoria corretta del

risk management: ad esempio una compagnia che incrementa i propri premi non-

vita senza incremento della sinistrosità riduce il rischio di insolvenza, ma i

requisiti patrimoniali aumentano.

In Solvency II, lo scopo è quello di realizzare una struttura coerente con tutte le

altre misure legislative riguardanti la solvibilità nell’intero campo dei servizi

finanziari, che tenga in considerazione gli studi di risk management e

l’accuratezza della valutazione dei rischi.

Negli ultimi anni, in molti paesi dell’Unione, si è verificato un progressivo

rafforzamento della legislazione in materia assicurativa per correggere le

inadeguatezze conosciute, ma questo processo è stato realizzato in maniera

abbastanza frammentaria.

L’UE, di conseguenza, ha sentito l’esigenza e la necessità di dare una svolta

univoca alla materia assicurativa.

Solvency II è un’opportunità per migliorare la regolamentazione delle

assicurazioni introducendo:

un sistema basato sul rischio;

un approccio che integri le previsioni assicurative e i requisiti patrimoniali;

una struttura onnicomprensiva per il risk management;

requisiti patrimoniali definiti o da un approccio standardizzato oppure da

modelli interni;

una migliore valutazione, e di conseguenza mitigazione, dei rischi.

8

Un sistema basato sul rischio permette di allocare i capitali accuratamente

proprio dove i rischi si annidano. Se il sistema si dimostrasse inaccurato, le

compagnie dovrebbero sostenere costi superiori rispetto al necessario per coprire

determinati rischi, con la conseguenza dell’incremento del costo delle

assicurazioni per i consumatori. Per altri rischi, invece, verrebbero accantonati

capitali inadeguati, aumentando il pericolo di fallimento.

Idealmente, un sistema basato sulla valutazione dei rischi dovrebbe misurare

accuratamente il livello dei rischi in portafoglio, ed indicare un ammontare di

capitali ad esso proporzionato, al fine di utilizzare i capitali nella maniera più

efficiente possibile.

Solvency I specificava i requisiti patrimoniali mediante un semplice set di

fattori da applicare alle riserve tecniche ed ai premi. Questi fattori definivano il

cosiddetto margine di solvibilità che doveva essere mantenuto dalle imprese

ulteriormente ed esternamente alle riserve tecniche.

Il problema di questo approccio è che non sempre le previsioni si sono dimostrate

adeguate, soprattutto a causa della varietà di prodotti e delle differenze tra paesi.

Solvency II offre l’opportunità di rileggere questi principi con un approccio

estremamente rivolto verso i principi di mercato.

Solvency II non si limiterà a definire i requisiti di capitali, ma richiederà

anche alle compagnie di dotarsi di sistemi, processi, e controlli per la

valutazione dei rischi. Le compagnie in grado di adattarsi al meglio a queste

richieste, verranno ricompensate con inferiori requisiti patrimoniali, facendo sì

che esse possano riscontrare tutti i vantaggi possibili del migliorarsi nel campo del

risk management.

Il livello di rischio in un portafoglio assicurativo dipende da una molteplicità di

fattori.

Il livello delle tariffe può incidere quando un’impresa riesce ad emettere un

prodotto con più ampio margine di profitto. L’esistenza di opzioni e garanzie

diversificate nell’ambito del prodotto incide, come incide la politica di

investimenti della compagnia.

8

Elementi di grande incisività sul tasso di rischio possono essere certamente la

sinistrosità, il rapporto tra sinistri e premi incassati, una strategia di investimenti

aggressiva, e tutto ciò va ad incidere sulle richieste di capitali.

Le tecniche di risk management, come l’uso della riassicurazione e della

coassicurazione, può ridurre il livello dei rischi.

Infine, il livello della diversificazione all’interno del portafoglio può avere un

effetto significante sui requisiti patrimoniali.

La diversificazione si basa sul principio per il quale non tutti i rischi si

cristallizzeranno nello stesso momento. Una compagnia assicurativa che

sottoscrive un ampio numero di rischi difficilmente dovrà trovarsi nella

condizione di risarcirli tutti nello stesso momento. Maggiore è il numero dei

rischi, maggiori sono le probabilità che la sinistrosità si attesti sui livelli attesi.

Gli effetti della diversificazione operano su livelli diversi: ad esempio, tra rischi

individuali all’interno di un portafoglio, tra diverse aree geografiche, ecc..

Grazie alla diversificazione, i requisiti di capitali per l’intero portafoglio di rischi

saranno inferiori alla somma dei singoli capitali richiesti per ogni componente

separatamente.

Vista la grande quantità di elementi che incidono sul livello di rischio è

impossibile, o comunque molto difficile, sviluppare un set di fattori semplice che

possa catturare efficacemente tutti questi elementi.

Molte compagnie hanno, di conseguenza, sviluppato sofisticati modelli

computerizzati atti a testare gli effetti di differenti eventi sui loro portafogli

assicurativi.

Questi modelli possono essere usati per calcolare la quantità di capitali necessari

per affrontare la varietà di circostanze avverse che potrebbero insorgere.

Tenuto conto che tali modelli devono essere sottoposti a robuste procedure di

verifica e controllo, essi provvedono comunque i migliori mezzi disponibili per

determinare i requisiti patrimoniali perfettamente adeguati ad un particolare

portafoglio.

Non tutte le compagnie però hanno sviluppato questi sofisticati modelli

interni, o non tutti i modelli hanno ottenuto l’autorizzazione dopo essere stati

sottoposti ai controlli dell’autorità competenti.

8

Per di più, le compagnie piccole e medie potrebbero avere grosse difficoltà nel

sostenere i costi dello sviluppo di tali modelli interni. Il progetto Solvency II

prevede un approccio alternativo detto “Standard Approach”, che potrà essere

utilizzato nei suddetti casi. Questo approccio sarà risk-based e in linea di massima

seguirà gli stessi principi dei modelli interni e la sua struttura sarà disegnata in

modo tale da ottenere risultati similari, ma necessiterà anche di incorporare

margini conservativi per il fatto che l’approccio non è perfettamente adeguato allo

specifico profilo di rischio.

Nonostante l’approccio standardizzato sarà certamente più economico rispetto allo

sviluppo di modelli interni, visualizzando questa materia in un’ottica di lungo

periodo sarà sicuramente più vantaggioso ed incentivante per le compagnie,

muoversi verso un approccio maggiormente sofisticato.

In ogni caso, la decisione sull’approccio da scegliere, rimarrà a totale

appannaggio della compagnia.

Solvency I non fa riferimenti diretti alla diversificazione e alla mitigazione dei

rischi, non procurando alcun incentivo per le compagnie che organizzano il

proprio business in maniera tale da ottenere un alto livello di diversificazione o

sviluppano strategie per mitigare i rischi.

Solvency II invece provvede l’opportunità di riconoscere sia gli effetti della

mitigazione dei rischi che quelli della diversificazione, affidando queste materie

ad appropriate regole riguardanti la mobilità dei capitali.

8

3.8 I tre pilastri

Il progetto Solvency II prende come riferimento la struttura a tre pilastri

lanciata da Basilea II per il settore bancario, anche se le similitudini tra i due

modelli sono molto limitate, data la specificità del settore assicurativo. In

particolare il nuovo sistema di solvibilità prevede la possibilità di adottare misure

nuove non solo dal punto di vista quantitativo (indicatori, modelli, rapporti), ma

anche dal punto di vista qualitativo (risk management, controlli di rischio interni,

stress test). Il progetto in esame, lanciato dalla Commissione Europea per la

completa revisione del sistema attuale di controllo prudenziale delle compagnie

assicurative vita e danni, è in piena fase di implementazione, che dovrebbe

completarsi intorno all’anno 2010.

Il I pilastro quantifica i presidi patrimoniali a fronte dei rischi di

sottoscrizione (underwriting), di mercato e di credito lasciando spazio,

eventualmente, ai modelli interni.

Vengono insomma definite le risorse finanziarie che una compagnia deve

possedere per essere considerata solvente.

Due sono le soglie contemplate: la prima è quella denominata Solvency Capital

Requirement (SCR). Quando le risorse di una compagnia scendono al di sotto di

questa soglia viene immediatamente attivata l’attività di supervisione, secondo i

parametri definiti nel secondo pilastro.

La seconda soglia, Minimum Capital Requirement (MCR) definirà il livello

raggiunto il quale le autorità di vigilanza potranno invocare severe misure, incluso

il divieto alla compagnia di sottoscrivere nuovi affari.

Il SCR, calcolato con modelli interni o con l’approccio standardizzato, permetterà

alle compagnie di affrontare le circostanze avverse, anche di severa entità.

La Commissione, nel Novembre del 2002 ha pubblicato un documento

contenente le idee della Commissione in merito all’architettura generale del nuovo

sistema di solvibilità delle imprese di assicurazioni, con specifico riferimento alla

struttura a tre pilastri.

8

Per ciò che concerne il primo pilastro la Commissione si è pronunciata riguardo le

riserve tecniche, gli investimenti, i mezzi patrimoniali delle compagnie, i modelli

interni che si possono utilizzare, ed il capitale minimo richiesto. In particolare, le

raccomandazioni riguardano sia il ramo danni che il ramo vita, ma in modalità

separate. Uno dei punti principali di Solvency II è l’uso di modelli interni per il

calcolo del capitale minimo richiesto, e l’armonizzazione dei metodi ai fini del

calcolo delle riserve tecniche.

Riserve tecniche nel ramo danni

L’armonizzazione delle riserve sinistri è uno dei punti centrali del nuovo

regime di solvibilità, per questo motivo la Commissione raccomanda che

vengano definite le condizioni seguenti: un benchmark quantitativo di

riferimento per il livello prudenziale delle riserve tecniche, una riserva

tecnica standard.

La Commissione riconosce la difficoltà di determinare la relativa

probabilità di distribuzione dei sinistri, ma crede che l’approccio suggerito

sia utile per costruire una procedura strutturata di calcolo delle riserve

tecniche, in grado di facilitare il compito delle Autorità di Vigilanza, e di

incoraggiare lo sviluppo di modelli interni da parte delle Compagnie. Le

tecniche ed i metodi utilizzati per calcolare la “riserva standard”, dovranno

risultare coerenti e compatibili con quelli utilizzati per redigere i conti

economici delle compagnie, secondo i nuovi principi contabili

internazionali IAS.

Riserve tecniche nel ramo vita

Le regole attuali per il calcolo delle riserve tecniche dal ramo vita

dovranno essere confrontate con il nuovo sistema di solvibilità a due livelli

(il cosiddetto target capital ed il livello minimo assoluto di capitale), e con

le nuove regole contabili IAS. Con le regole date dagli IAS, le riserve

tecniche dovranno essere calcolate mediante un tasso d’interesse risk free

applicato ai flussi di cassa futuri. In quest’ottica, ci potrebbe essere

l’esistenza di un sitema standard futuro di calcolo delle riserve che preveda

8

margini prudenziali ed una riserva aggiuntiva da costituire a fronte di

scenari negativi di redditività degli investimenti.

Regole sugli investimenti

La Commissione raccomanda di considerare in maniera adeguata i rischi

degli investimenti a fronte delle riserve tecniche, soprattutto nel ramo

danni, infatti, le compagnie di assicurazione hanno rilevato che il rischio

sugli investimenti non è considerato in maniera adeguata dalle regole

attuali di solvibilità. In tal senso, la Commissione raccomanda di

considerare i rischi legati agli investimenti, soprattutto nella

determinazione del capitale richiesto alle imprese (target capital level). La

Commissione, inoltre, ritiene opportuno che dovranno essere soggetti a

regole di sicurezza e copertura anche gli attivi che costituiscono il

patrimonio netto, non solo gli attivi a copertura delle riserve tecniche.

Regole sul capitale proprio delle compagnie

La Commissione propone due livelli obbligatori di capitale della

compagnia: il target capital ed il livello minimo assoluto di capitale. Il

target capital deve riflettere il capitale economico necessario all’impresa

per operare con una determinata probabilità di fallimento piuttosto bassa.

Il calcolo relativo dovrà tenere conto dei rischi principali cui un

assicuratore è esposto. Il target capital, inoltre, dovrà essere l’indicatore

principale utilizzato dal Controllo delle Compagnie che operano in

condizioni considerate normali.

Ai fini del calcolo del target capital dovrà essere stabilito un sistema

standard di quantificazione, mediante l’ausilio delle Associazioni

Internazionali degli Attuari, utilizzando un insieme di coefficienti standard

definito a livello europeo. Pertanto il nuovo sistema di calcolo consentirà

l’uso di modelli interni, regolarmente validati dalle Autorità di Controllo.

In particolare i criteri di validazione dovranno essere decisi a livello

europeo anche sulla base del supporto che potrà essere fornito dalla

professione attuariale (in particolare dal Group Consultatif e IAA). Il

8

capitale minimo assoluto fungerà da “campanello d’allarme per le

Autorità di Controllo”. Tale capitale minimo assoluto deve essere

determinato in modo semplice ed oggettivo e può essere calcolato in modo

autonomo oppure come percentuale del target capital (in questo caso

potrebbe essere calcolato con regole attuali, rinforzando alcuni requisiti

patrimoniali). La Commissione afferma che per le assicurazioni danni, il

livello risultante che si ottiene con il calcolo attuale può essere approvato,

mentre per le assicurazioni vita si ritiene che questo calcolo abbia bisogno

di ulteriori approfondimenti.

Il II pilastro è indirizzato, da un lato, alla diffusione della cultura del

rischio all’interno dell’impresa, attraverso la costituzione di presidi volti al

monitoraggio del rischio, e, dall’altro, alla previsione di metodologie di controllo

uniformi da parte dell’autorità di vigilanza.

Il secondo pilastro riguarda il controllo interno, il risk management, trasparenza e

regole di calcolo, soprattutto in riferimento ai fattori di rischio più rilevanti. Esso,

comunque, è stato progettato soprattutto per incoraggiare le compagnie di

assicurazione ad utilizzare al meglio le tecniche di risk management e migliorare

costantemente i propri rischi. In questo caso verrà data particolare importanza alle

procedure di Asset and Liability Management, ed alla struttura di programmi

riassicurativi della Compagnia.

Al fine della gestione dei rischi sono molto utili gli stress test con i possibili

adattamenti ai singoli mercati nazionali ed un insieme di statistiche minime

comuni a livello europeo. In particolare gli stress test dovrebbero rispondere alla

domanda: “qual è la massima perdita se lo scenario ipotizzato si verifica?”.

Pertanto l’analisi con gli stress test prevede l’ipotesi di alcuni scenari

(generalmente l’analisi per scenario prevede che l’economia evolva in tre possibili

modi diversi, chiamati, rispettivamente, best case, middle case e worst case. In

pratica si ipotizzano tre scenari in cui ciascuno dei fattori chiave (tassi d’interesse,

rendimento, debito, ecc..) evolvano, rispettivamente, nel migliore dei modi (best

8

case), in modo normale (middle case) e nel peggior modo immaginabile (worst

case)56.

Le procedure delle Autorità di controllo dovrebbero prevedere anche una analisi

dello sviluppo a lungo termine delle compagnie, al fine di verificarne la solvibilità

finanziaria sulla base di uno scenario di continuazione del business.

Il III pilastro, rappresenta, in un certo senso, il corollario dei due pilastri

precedenti, ovvero un’impresa che quantifica il proprio livello di rischio effettivo

(I pilastro) e lo monitora attraverso idonee infrastrutture (II pilastro) non può non

comunicare al mercato in maniera trasparente il suo modo d’essere e di operare.

L’obiettivo del terzo pilatro è quello di migliorare la trasparenza e l’informativa

delle compagnie di assicurazione. La Commissione ritiene, infatti, che il processo

informativo assume una rilevanza fondamentale, soprattutto nel caso in cui si

ricorra a metodologie interne di valutazione.

Queste informazioni servono a rinforzare i meccanismi di mercato (concorrenza,

comparazione, ecc.) ed a contribuire a creare un sistema di controllo basato sul

profilo di rischio delle compagnie. A questo fine, è necessaria l’esigenza di

allineare lo schema informativo agli standard contabili internazionali.

Altro aspetto importante riguarda l’opportunità o meno che talune informazioni

vengano rese pubbliche. In particolare le imprese di assicurazione dovrebbero

definire politiche di informativa pubblica approvate dal consiglio di

amministrazione. Tali politiche dovrebbero dichiarare gli obiettivi e le strategie

della compagnia di assicurazione in materia di pubblicità delle informazioni sulla

sua situazione economico – finanziaria. Di conseguenza, la direzione dovrà

decidere quali e quanti dati pubblicare, considerando la possibilità di creare sul

mercato un effetto indesiderato (aggravamento della situazione, sfiducia da parte

degli assicurati, ecc.).

56 E’ da notare che spesso la realtà supera la fantasia: si fa riferimento alle “Twin Towers” di New York, in cui, per la polizza assicurativa è stato ipotizzato che due aerei si potessero scontrare davanti ai due grattacieli, senza ipotizzare il disastro che è effettivamente accaduto.

9

E’ molto importante che i tre pilastri non si sovrappongano tra di loro.

Combinata con l’armonizzazione europea, è la natura del business e dei rischi a

determinare la solvibilità, e non il paese d’origine della compagnia.

I tre pilastri sono stati appunto progettati rispettando un principio di coerenza: il

secondo pilastro è supplementare al primo, mentre il terzo si occupa di completare

la struttura. In questo modo si cerca di evitare la sovrapposizione e l’ingenerarsi di

confusione, che potrebbe rallentare il processo di implementazione.

9

3.8 Ipotesi sull’impatto del nuovo sistema di solvibilità

Riguardo il progetto Solvency II, molte questioni rimangono aperte e sono

oggetto di studio. Considerato che l’implementazione non avverrà prima dell’anno

2010, è possibile effettuare solamente delle ipotesi riguardo molti dei punti focali.

Innanzitutto è necessario uno studio, che ad oggi non è ancora stato

realizzato, per quantificare quale possa essere il costo dell’implementazione del

nuovo sistema di solvibilità.

Alcune compagnie sono già in possesso dei sistemi e dei processi per

implementarlo con successo, ma altre dovranno certamente affrontare dei costi.

L’approccio standard permetterà ad esse di diventare operative in materia di

solvibilità senza un eccessivo dispendio in termini di sistemi e processi, fermo

restando che in questo modo si resterà in un ambito maggiormente conservatore

rispetto allo sviluppo di modelli interni.

Uno dei costi che potrebbe realizzarsi per queste compagnie è da valutare in

termini di aumento dei capitali richiesti se esse operano nell’ambito di rischi

elevati.

D’altra parte, si potrebbe argomentare che i costi dello sviluppo di migliori

sistemi e processi interni, dovrebbero essere considerati indipendentemente da

Solvency II, come voci del normale esercizio dell’attività. Le compagnie piccole e

medie che affronterebbero costi significativi se fossero obbligate a sviluppare

modelli interni da sottoporre ad approvazione esterna, usando l’approccio

standard, potranno adeguarsi al nuovo framework gradualmente.

Le compagnie che non investiranno in tali sistemi e processi, infatti, dovranno

lottare per rimanere competitive, in quanto i loro sistemi di allocazione dei

capitali non sono risk-based e comunque inefficienti.

Il principale vantaggio per i consumatori sarà sicuramente quello di una

miglior protezione contro il rischio di fallimento delle compagnie, assicurando

che il capitale accantonato sia appropriato ai rischi sottoscritti, e promuovendo

migliori pratiche di risk management.

9

Un secondo vantaggio verrà dalla migliore e più efficiente allocazione dei capitali

all’interno del mercato, che si rifletterà nella riduzione dei costi per i

consumatori.

Infine, una miglior realizzazione dei prodotti, unita ad una attenta tariffazione

creerà le condizioni per un’accresciuta concorrenza tra le imprese e una maggior

trasparenza.

Il sistema di regole è stato basato su principi economici, ed esso si

applicherà uniformemente nell’UE. Una precondizione per un efficiente

mercato unico dei servizi assicurativi è che gli standard di supervisione (inclusi e

requisiti di solvibilità) sono gli stessi per tutti i paesi.

Il CEIOPS, maggior organo consultivo addetto dalla Commissione allo

sviluppo di Solvency II, ha recentemente operato il secondo Quantitative Impact

Study (QIS 2).

All’interno di questo studio, un’ampia selezione di compagnie assicurative sono

state interrogate per ottenere un calcolo degli effetti delle varie proposte del primo

e secondo pilastro sul loro business. Ciò ha una doppia finalità. Prima di tutto esso

provvede dati realistici per calibrare il nuovo sistema. Secondariamente, e forse

ciò ha maggiore importanza, ingenera nelle compagnie assicurative una maggiore

consapevolezza riguardo la struttura di Solvency II e le aiuta ad iniziare a

prepararsi al meglio per la sua introduzione.

Parallelamente la Commissione Europea ha iniziato a lavorare su un Impact

Assessment da allegare al lancio della Direttiva. L’impatto da tenere in

considerazione è quello che si ripercuote sull’economia in generale e sulla

stabilità finanziaria, sulle compagnie assicurative e sulle autorità di supervisione,

sui prodotti assicurativi e sul mercato stesso, ed infine sui consumatori.

La Commissione si sta avvalendo della collaborazione del CEIOPS e della CEA.

Vi sono elementi che potrebbero rallentare e diminuire il potenziale di

Solvency II. Un grande numero di parti, in molti paesi europei, dovranno aderire

al progetto: a volte, la necessità di ottenere consensi porta con se il bisogno di

scendere a compromessi.

9

Questi compromessi non devono però essere infedeli al principio di un approccio

economico coerente. Se questo venisse sostituito da un sistema misto che sia

carente in coerenza tra le varie giurisdizioni, gli obiettivi originali di Solvency II

verrebbero totalmente snaturati.

Un sistema misto potrebbe facilmente incorporare un “doppio conto” dei rischi,

che aumenterebbe i costi sia per le compagnie che per i consumatori.

Un’altra obiezione è che, se i requisiti patrimoniali esulano dalle regole dettate dai

principi economici, si possono creare condizioni adatte ad escamotage. Per

esempio, le compagnie cercherebbero di evitare gli onerosi requisiti patrimoniali

spostando i rischi all’estero, distorcendo in questo modo il mercato.

Potenzialmente Solvency II dovrebbe avere un importante impatto sul

comportamento dell’industria assicurativa a livello di investimenti. Introducendo

un sistema basato sul rischio, Solvency II enfatizza l’importanza di una buona

pratica di risk-management.

Alcune obiezioni sono state sollevate riguardo la possibilità che il progetto possa

modificare le linee di investimento delle compagnie, causando repentini

movimenti di capitali che potrebbero deprimere il mercato. Non è ancora chiaro se

Solvency II possa alterare l’attrattività di una particolare classe di

9

3.9 L’attività di CEA e CEIOPS

Solvency II, l’ambizioso progetto avviato dalla Commissione Europea allo

scopo di creare un nuovo sistema di solvibilità per le compagnie assicurative

europee ha compiuto passi significativi tra il 2005 e il 2006, e nel 2007 sta

entrando in una

fase di grandissima importanza.

Il CEIOPS ha finalizzato il proprio processo di consultazioni e pubblicato i

risultati nel primo Quantitative Impact Study, che è stato prontamente seguito,

nel maggio del 2006, dall’avvio di un secondo studio quantitativo, i cui risultati

sono stati recentemente pubblicati.

L’industria assicurativa e riassicurativa ha mostrato un fronte comune sulle

istanze chiave, che ha direzionato non poco il processo regolatorio verso la giusta

direzione.

Solvency II continuerà a dominare l’agenda dell’industria assicurativa con sempre

maggiore intensità, mentre il nuovo sistema di solvibilità prende forma, fino alla

pubblicazione della direttiva UE che è attesa per la metà dell’anno 2007.

Il contributo del CEA è basato su due pilastri chiave. Prima di tutto, il

CEA ha concentrato i proprio sforzi sulle fondamenta del nuovo sistema di

solvibilità: lavorando a soluzioni tecniche, e ricercando consenso politico

dell’industria con l’obiettivo principale di assicurarsi il supporto delle piccole e

delle grandi compagnie.

Secondariamente, CEA ha contribuito alla discussione e alla cooperazione con gli

altri soggetti parte del progetto, incrementando la conoscenza di Solvency II ed

intensificando il dialogo riguardo gli argomenti tecnici e politici.

Facendo ciò, CEA, ha sviluppato un eccellente grado di cooperazione sia con la

Commissione che con il CEIOPS.

La posizione dell’industria assicurativa è basata su un set di chiari principi

economici. Questi principi chiave, sui quali Solvency II dovrebbe basarsi, sono

presentati in due documenti guida, CEA Building Blocks for the Solvency II

Project (Maggio 2005) e Solutions to Major Issues for Solvency II –Joint Paper-

9

(Febbraio 2006): pietre miliari del periodo 2005/2006, durante il quale la CEA ha

partecipato alla richiesta di consultazioni da parte del CEIOPS, così come è stato

parte attiva del Quantitative Impact Study I, e della preparazione del QIS2.

Il Joint Paper è il prodotto di una fruttuosa cooperazione tra CEA e forum CRO,

in esso sono contenute delle proposte di soluzione alle sei principali istanze su

Solvency II:

1. Ai fini della solvibilità il Minimum Capital Requirement (MCR) e il

Solvency Capital Requirement (SCR), dovrebbero riflettere margini

prudenziali addizionali rispetto alle canoniche riserve tecniche.

2. L’approccio standardizzato per il calcolo dell’SCR dovrebbe essere basato

sugli stessi principi economici che caratterizzano i modelli interni, ma

semplificati il più possibile.

3. La diversificazione dovrebbe essere riconosciuta sia nei test individuali,

sia nei test multipli, perché, ignorandola, si potrebbe giungere ad un

eccessivo accantonamento di capitali.

4. Un approccio all’ammissibilità degli strumenti di mitigazione del rischio

basato sui principi, assicurerà che alcune forme di mitigazione non

vengano arbitrariamente preferite ad altre. La mitigazione del rischio

dovrebbe essere riconosciuta appieno nel calcolo dei requisiti patrimoniali.

5. Solvency II dovrebbe basarsi su principi, non su regole, creando adesione

ai principi economici e non istituendo restrizioni arbitrarie e non

necessarie.

6. Dovrebbero essere chiarite le competenze dei supervisori, per garantire

l’adeguata armonizzazione dell’applicazione della disciplina di Solvency

II e per mantenere la struttura pratica, coerente, ed efficiente.

La sinergia tra CEA e CEIOPS ha anche permesso di recepire al meglio,

mediante le consultazioni, le istanze sollevate dall’industria assicurativa e

riassicurativa europea.

Alcune soluzioni proposte dal CEIOPS, però, sono fonte di perplessità: ad

esempio la possibilità di sviluppare un sistema misto, oppure l’idea di un

approccio a Solvency II molto prudente e graduale, quasi conservatore.

9

Cionondimeno, sarà essenziale che le consultazioni tra organi di supervisione e

mercato assicurativo continuino incessantemente, e si rinforzino ad ogni stadio del

progetto.

Il Joint Paper ha preparato la strada per i lavori di implementazione del, più volte

citato, European Standard Approach (ESA) per la determinazione dei requisiti

patrimoniali.

L’argomento ESA ha sicuramente aiutato la prosecuzione del dibattito tecnico, e

direzionato costruttivamente le proposte del CEIOPS.

I principi economici alla base dell’ESA sono allineati a quelli applicati nei

modelli interni, offrendo così una solida e funzionale alternativa alle compagnie

che decideranno di non sviluppare i propri modelli. L’ESA è anche stato sfruttato

per aumentare il grado di consapevolezza dell’importanza di Solvency II

nell’industria assicurativa, ad esempio sensibilizzando le compagnie riguardo

l’importanza del risk-management.

CEIOPS, oltre alle suddette attività ha dedicato molto spazio ai propri

Consultation Papers, dei quali si parlerà più approfonditamente nei paragrafi

successivi (3.13).

9

3.10 Quantitative Impact Study I

La Commissione Europea ha richiesto al CEIOPS di acquisire dati

approfonditi sul possibile impatto quantitativo del nuovo sistema di solvibilità

mediante studi di impatto quantitativo (QIS). I risultati dei QIS sono un elemento

chiave del rapporto della Commissione a riguardo di Solvency II.

Il CEIOPS ha condotto un primo QIS (QIS1) durante l’autunno / inverno del

2005, con l’obiettivo di testare il livello di prudenza nelle riserve tecniche in

diverse condizioni. Il documento redatto dal CEIOPS mette in evidenza le

tendenze generali degli organi di supervisione nazionale, e mira a dare una visione

chiara e concisa dei risultati della ricerca. Nel QIS1 si sottolinea che solamente i

rapporti dei singoli Stati membri possono dare un’immagine completa di quella

che è la realtà di essi.

Di conseguenza il CEIOPS ha richiesto ad ogni organo di supervisione nazionale

che intendesse partecipare al QIS1 di invitare un range abbastanza ampio di

compagnie a rispondere al questionario che era sto predisposto per riassumere i

risultati.

In totale, 150 compagnie attive nel ramo vita, 190 attive nel ramo danni, e 4

riassicuratori57, hanno inviato i suddetti dati ai rispetti organi di supervisione

nazionale. I numeri del QIS1 forniscono alcuni dati interessanti. Ad esempio il

fatto che i paesi che avrebbero dovuto partecipare al rapporto erano più numerosi

di quelli che poi effettivamente hanno inviato i rapporti: ciò è dovuto al fatto che

la complessità delle operazioni di calcolo sulla base dei dati forniti, non ha

permesso ad alcuni paesi di rispettare la deadline prevista.

Rispetto alle aspettative iniziali, invece, il numero di piccole e medie imprese

partecipanti è stato superiore, così come è stata superiore al numero atteso, la

partecipazione delle compagnie operanti nel ramo vita.

Diciannove supervisori nazionali hanno inviato i loro rapporti, tre dei quali hanno

coperto solo l’assicurazione non-vita. Non tutti i report forniscono dati o risposte

qualitative a tutte le domande espresse.

57 Poiché molte compagnie sono attive in più rami, il totale delle imprese che hanno partecipato al QIS1 è di 312.

9

Il CEIOPS ha chiesto, altresì, ai supervisori nazionali che hanno deciso di

non partecipare, le ragioni di questa decisione. Tra le motivazioni addotte vi sono

state la mancanza di esperienza, di risorse, e di tempo. Ma, come ha menzionato

uno dei supervisori, alcune delle compagnie partecipanti sono sussidiarie di grandi

gruppi internazionali, di modo che è possibile imparare dagli studi anche senza

esserne parte attiva.

La struttura del report richiama fedelmente la struttura dei country

reports inviati dai supervisori nazionali.

1. il primo capitolo presenta le osservazioni generali e le conclusioni.

Aspira a presentare un quadro riassuntivo conciso dei risultati, e a

dare le conclusioni che possono essere tratte dall’intero QIS1;

2. nel secondo capitolo vengono mostrati i risultati quantitativi di tutti

i country reports;

3. il terzo capitolo mette a fuoco la metodologia utilizzata dalle

compagnie,

4. il quarto capitolo mette in luce le risorse richieste alle compagnie

per calcolare le riserve tecniche e i margini di rischio;

5. infine, il quinto capitolo, riassume ogni commento addizionale o

studio presentato dai supervisori nazionali e dalle compagnie

assicurative partecipanti.

9

3.10.1 QIS1: osservazioni generali

Il primo capitolo del report pubblicato dal CEIOPS contiene osservazioni

generali e conclusioni. Ecco un estratto delle osservazioni generali di maggior

interesse.

1. Gli obiettivi del QIS1 erano duplici. Prima di tutto il QIS1 poneva

attenzione sul livello di prudenzialità delle attuali riserve tecniche,

eseguendone un monitoraggio. Questo potrebbe dare una rozza

indicazione sull’impatto delle delle regole proposte sulle riserve. In più, il

CEIOPS sperava che l’esercizio di questo monitoraggio potesse garantire

informazioni riguardo la praticabilità delle relative operazioni di calcolo, e

per questo motivo l’organo comunitario ha invitato tutte le compagnie vita

e non-vita a partecipare. Benché delle indicazioni precise non siano

arrivate dal QIS1, le approssimazioni possono dare indicazioni utili, e le

informazioni qualitative ricevute riguardo i metodi ed i modelli usati dai

partecipanti sono considerate di grande importanza. Paradossalmente,

anche gli studi incompleti sono stati ben accetti dal CEIOPS, che ha

ritenuto utile assumere tutti i dati possibili.

2. Il CEIOPS ha riconosciuto che il primo studio sull’impatto quantitativo ha

delle limitazioni, dovute sia alle stringenti deadlines, sia alla novità degli

approcci oggetto di studio.

3. La percentuale di mercato coperta dai paesi partecipanti al QIS1 è di circa

il 44% dell’intero mercato vita, e del 43% per il non-vita. Questo dato è

comunque relativo in quanto le percentuali sono variabili all’interno di

ogni singolo paese.

4. Poiché alcuni paesi non hanno partecipato, il CEIOPS non è stato in grado

di raggiungere conclusioni e sviluppare un modello che potesse

rappresentare l’intera area economica europea. Solo cinque supervisori

nazionali hanno considerato il rapporto valido per l’intero mercato

nazionale, mentre nove lo hanno ritenuto rappresentativo solo per le grandi

1

imprese, quattro, invece, hanno considerato il modello proposto

inadeguato per il rispettivo mercato interno.

5. Il trend generale riguardo le compagnie partecipanti sembra essere quello

di aver completato solo in parte i test e le domande poste dal QIS1.

Naturalmente la percentuale e il tipo di risposte subisce molte variazioni a

seconda dello Stato Membro e soprattutto degli interventi di guida e

collaborazione eseguiti dai singoli supervisori nazionali.

6. Una generica mancanza di tempo, risorse ed esperienza è stata addotta

come principale motivo di difficoltà nell’interpretare ed eseguire i test

richiesti. Nei country reports si incontrano richieste esplicite di un

superiore framework di linee guida e comunque di deadline meno

stringenti.

7. Un’ampia discussione si è sviluppata riguardo la contemplazione dei rischi

finanziari nel calcolo delle riserve, oggetto di maggior attenzione per le

imprese operanti nel ramo vita, scarsa invece l’attenzione dedicata ad essi

dalle compagnie operanti nell’assicurazione non-vita. Tra le motivazioni

addotte riguardo la non contemplazione dei rischi finanziari, spicca quella

secondo la quale non è corretto inserirli nel calcolo delle riserve poiché

essi incidono solamente sui capitali posseduti dalla compagnia e non sulle

riserve.

8. Altro elemento di discussione del QIS1 è stata la quantità di risorse

addizionali necessarie per eseguire i calcoli richiesti, seguendo i principi e

la metodologia proposta. Questo è sicuramente un elemento chiave per il

successo del progetto Solvency II, in quanto andrà ad incidere sul bilancio

delle compagnie operanti nel mercato che dovranno decidere quale

approccio scegliere. Il QIS1, a riguardo, è stato un fallimento in quanto

pochissime compagnie sono state in grado di calcolare precisamente la

quantità di capitali necessari. Ciò non ha permesso di giungere ad un

quadro generale.

9. In generale è stata espressa soddisfazione, sia dalle autorità di supervisione

nazionale, sia dalle compagnie, riguardo la qualità e la plausibilità dei

metodi e degli approcci proposti. Nonostante ciò sono state espresse anche

1

numerose riserve riguardo l’adeguatezza dei sample proposti, e questo non

deve far dimenticare che il progetto è ancora ad uno stadio primitivo.

1

3.10.2 QIS1: conclusioni generali

Il primo Quantitative Impact Study ha dato al CEIOPS considerevoli quantità

di dati relativi al possibile impatto del best estimate e dei margini di rischio sul

calcolo delle riserve tecniche, che erano due dei principali obiettivi dello studio.

La prima conclusione generale è quella che il best estimate sommato al margine di

rischio tende ad essere inferiore alle riserve calcolate sulla base attuale, e che i

margini di rischio tendono ad essere piccoli per la maggior parte delle compagnie.

Queste osservazioni mostrano che le proposte inserite in Solvency II avranno un

significativo impatto, fermo restando che l’effetto totale può solamente essere

valutato dopo l’esercizio definitivo del QIS2, che include anche gli effetti dei

requisiti di solvibilità.

L’Impact Study fornisce anche una buona visione delle metodologie di

lavoro che i calcoli richiedono. Per quel che riguarda l’assicurazione vita, le

metodologie sono state differenti da compagnia a compagnia, diversificandosi

soprattutto a livello nazionale. Per di più è stato dimostrato che è proprio questo

tipo di compagnie ad affrontare le maggiori difficoltà nel completare le rilevazioni

richieste.

Un dato notevolmente diverso proviene dall’analisi delle metodologie utilizzate

dagli assicuratori non-vita, che, nonostante l’utilizzo di approcci totalmente

differenti, hanno ottenuto risultati tendenzialmente simili.

Comunque, come si è detto, i risultati non possono essere considerati

rappresentativi per l’intera l’area economica europea. Non tutti gli Stati membri

hanno deciso di partecipare, mentre all’interno dei paesi che hanno scelto la

partecipazione allo studio quantitativo sembra esserci una notevole

differenziazione dei dati a seconda della grandezza delle compagnie stesse. Ci si

aspetta che specialmente le piccole compagnie siano quelle che inglobano una

maggior componente nazionale: cosicché le informazioni sull’impatto dei calcoli

richiesti sulle loro riserve tecniche, dovrebbe dare una migliore indicazione sugli

effetti per un mercato nazionale, rispetto alle informazioni ricevute dalle grandi

compagnie, per loro stessa natura maggiormente internazionali.

1

3.11 Quantitative Impact Study II

Il 06/12/2006 il CEIOPS ha pubblicato il suo Report58 riguardante i

risultati del Quantitative Impact Study II (QIS2).

Basato su una maggior partecipazione dell’industria (23 paesi coperti, con una

percentuale superiore al 50% del mercato), esso ha dato al CEIOPS importanti

dati per redire la propria opinione sul progetto.

In generale, l’esercizio ha mostrato che l’impatto sulla solvibilità delle

compagnie assicurative sembra differenziarsi in modo eterogeneo, esso sembra

sicuramente dipendere da una combinazione di fattori contrastanti. Mediamente,

le riserve tecniche sembrano decrescere, il SCR aumentare, e così anche il capitale

disponibile. La percentuale di solvibilità sembra invece decrescere.

A questo stadio però, ogni valutazione sull’impatto della solvibilità, così come

ogni comparazione con il sistema vigente, dev’essere fatta in maniera molto cauta.

I dati e i parametri usati nel QIS2 erano solamente preliminari e di prova. Per di

più, Solvency II si basa su una struttura completamente diversa da Solvency I:

mettere in paragone i requisiti di capitale senza confrontare l’intero sistema,

potrebbe essere assolutamente fuorviante.

Le lezioni imparate dal QIS2 saranno utilissime per i futuri studi, ed in

particolare, per la realizzazione del QIS3, che dovrebbe condurre il CEIOPS a

finalizzare il proprio parere sui requisiti di capitale.

L’esperienza ha oltretutto insegnato che i futuri Impact Studies dovranno essere

semplificati in metodologia e procedimento, essere cioè, maggiormente user

friendly.

Come si è accennato in precedenza, un numero sostanzioso di compagnie

europee hanno partecipato a questo secondo studio sull’impatto quantitativo, di

molto superiore alla percentuale di partecipazione ottenuta dal QIS1.

Ciò rende i risultati del QIS2 decisamente più rappresentativi dello status quo.

Il numero totale di compagnie rispondenti è stato di 514, un incremento del 65%

rispetto al QIS1, che aveva avuto 312 rispondenti. Di queste 514, 161 esercitano il

ramo vita, 22 esercitano il mercato salute, e 237 esercitano il ramo non-vita.

58 CEIOPS-SEC 71/06S QIS2 – Summary Report

1

Altre 81 compagnie esercitano entrambi i rami, sia perché si tratta di compagnie

composite, sia perché si tratta di gruppi contenenti imprese attive nei rispettivi

rami.

Infine, 13 riassicuratori hanno partecipato al QIS2.

Il numero dei paesi partecipanti si è incrementato dai 19 paesi del QIS1 ai 23

presenti del QIS2.

Le statistiche mostrano che tutti i tipi di compagnia, dalla piccola alla

grande sono stati rappresentati abbastanza sostanzialmente dai partecipanti allo

studio. Ma, mentre per le compagnie medie e grandi, il modello può essere

considerato rappresentativo dell’intero mercato, per le piccole compagnie il

numero dei partecipanti è stato ancora troppo ridotto per essere sufficiente. I

risultati, quindi, riguardo quest’ultima tipologia di imprese può essere considerato

semplicemente indicativo.

Si è accennato che la percentuale di mercato coperta dal secondo studio

sull’impatto quantitativo è sostanziale sia per il ramo vita che per quello non-vita.

Nella la maggior parte dei paesi partecipanti è stata raggiunta una quota media di

mercato superiore al 50%.

L’analisi delle statistiche, infine, mostra come non tutte le compagnie

hanno risposto ai quesiti posti dal QIS2, ed alcune hanno addirittura fornito

solamente dati qualitativi, rispecchiando in parte il fenomeno verificatosi

nell’esercizio del QIS1.

1

3.11.1 QIS2: obiettivi e contenuti

Il QIS2, ha i seguenti obiettivi:

verificare l’adeguatezza e l’affidabilità di vari approcci utilizzabili come

formula standard per il calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR);

verificare la disponibilità presso le imprese dei dati ritenuti necessari;

ottenere una prima stima dell’impatto quantitativo, in termini di

patrimonio richiesto, delle formule proposte;

non rientra, invece, fra gli scopi dello studio testare la calibrazione. La

calibrazione proposta in QIS2 è, pertanto, da ritenersi meramente

indicativa.

I contenuti del QIS2 vertono su quattro elementi fondamentali:

1. La valutazione delle poste di bilancio

Per gli attivi si considerano i valori di mercato; ove tali valori non siano

disponibili, si ricercano possibili approcci alternativi purché coerenti con

le informazioni desumibili dai mercati.

Per le riserve tecniche si utilizzano valori market consistent per i rischi

hedgeable (ad esempio i rischi finanziari), il best estimate59 sommato al

risk margin60 per tutti gli altri rischi (ad esempio i rischi assicurativi).

2. Gli elementi ammessi alla copertura dei requisiti

Da considerare nella determinazione del capitale disponibile sono: plus e

minusvalenze latenti degli attivi, differenze tra valori di bilancio delle

riserve tecniche e loro valore secondo lo standard Solvency II (best

estimate + risk margin).

Per l’assicurazione vita, gli utili futuri da riconoscere agli assicurati su

base discrezionale (differenza tra le riserve attuali e riserve calcolate al

59 Best Estimate: valore attuale dei cash flows netti, calcoltato utilizzando un approccio market consistent che catturi i rischi hedgeable e includa anche i costi delle garanzie e delle opzioni implicite. 60 Risk Margin: margine prudenziale su tutto il run off del portafoglio, che serve a far fronte ai rischi non hedgeable. La metodologia di calcolo del Risk Margin è basata su metodi diversi: i percentili, il cost of capital, e metodi alternativi.

1

minimo garantito) possono essere considerati come elementi del capitale

disponibile, se utilizzabili per far fronte a “general losses”, oppure come

fattore di mitigazione del capitale richiesto, se utilizzabili per far fronte a

perdite solo entro certi limiti. In tal caso l’ammontare delle riserve per utili

futuri utilizzabile come “risk mitigant” è definito dall’applicazione di un

coefficiente (k-factor), dipendente dal gradi di discrezionalità di cui

godono le imprese nel riconoscere gli utili ai propri assicurati.

Per l’assicurazione danni, analoga funzione è svolta dagli utili attesi per

l’esercizio successivo.

3. La formula standard e i modelli interni per il calcolo del SCR

Il calcolo del SCR tiene conto dei due “risk mitigants” sopra menzionati.

Nel calcolo vengono considerati tutti i rischi:

rischi di mercato;

rischio di credito;

rischio operativo;

rischio assicurativo vita;

rischio assicurativo danni;

rischio assicurativo malattia;

4. Il calcolo del MCR

E’ previsto che le imprese partecipanti:

calcolino un MCR transitorio, basato sulle regole di Solvency I;

calcolino un MCR post-transizione, basato sulla formula standard

SCR;

forniscano informazioni sulle spese aggiuntive che si sosterrebbero

in caso di run-off.

1

3.11.2 QIS2: valutazione dell’esercizio

Per comprendere al meglio quanto siano stati complessi i risultati forniti

dal QIS2 è necessario analizzare in profondità i dati presenti nel report pubblicato

dal CEIOPS. In esso vengono discussi, punto per punto gli elementi focali

dell’intero studio.

Il potenziale impatto sull’intero sistema assicurativo differenzia il ramo vita da

quello non vita. Il cambiamento medio della solvibilità per le sottoscrizioni vita

può variare sostanzialmente da compagnia a compagnia. E non è facile tirare le

somme su quali siano i cambiamenti effettivi apportati dal nuovo sistema rispetto

al vecchio.

Più semplice sembrano le conclusioni relative al ramo non-vita, che vede una

generica diminuzione delle riserve tecniche, e di conseguenza un aumento dei

capitali disponibili. Il report di molti paesi però dimostra come vi sia ancora

un’alta percentuale di compagnie che abbiano comunque avuto un risultato di

solvibilità superiore al 100%, sebbene inferiore a Solvency I.

Alcuni supervisori nazionali hanno identificato specifiche tipologie di compagnie

che dovrebbero accantonare quantità significative di nuovi capitali per riscontrare

i parametri del SCR: le piccole compagnie attive nel ramo non-vita,

principalmente attive in un’unica linea e/o mutue assicuratrici.

Un elemento di discussione è stata la ricerca del margine tra il MCR e il

SCR, di modo che una compagnia che sfora i requisiti del SCR, non sia

immediatamente in pericolo di superare anche il MCR. Per far ciò si è cercato di

creare una statistica, grazie all’aiuto dei supervisori nazionali, di compagnie con

un rapporto SCR/MCR del 75%. Anche in questo caso i risultati sono stati molto

variegati, soprattutto tra paesi diversi. Il QIS2 però, non puntava specificamente a

tirare conclusioni specifiche su questo punto, rimandando approfondimenti in

materia al QIS3.

Il report si occupa di differenziare l’impatto quantitativo a secondo dal

tipo di compagnia. I supervisori nazionali sono stati interrogati sugli effetti del

nuovo SCR ed MCR a seconda della “grandezza” e del “tipo” di compagnia

1

Le differenziazioni in materia però non possono essere che indicative, visto il

dinamismo del mercato e l’incompletezza dei dati ricevuti da molti partecipanti.

Per quel che riguarda la grandezza, l’impatto sembra essere maggiore nelle

compagnie più piccole, e principalmente in quelle attive nel ramo non-vita.

Un supervisore nazionale ha evidenziato come ci sia una relazione tra la struttura

della compagnia e il mercato finanziario: le entità indipendenti subiscono un

maggior impatto rispetto alle compagnie appartenenti a dei gruppi. Questo

potrebbe essere collegato alla forte correlazione tra la grandezza delle compagnie

e la struttura di esse, dato che le compagnie indipendenti tendono ad essere

piccole.

Tre supervisori nazionali non hanno trovato differenze nell’impatto su compagnie

basate su strutture legali diverse. Altri tre supervisori invece hanno fornito dati

su questo tipo di impatto, sottolineando un maggior impatto nei confronti delle

entità mutualistiche. Il dato però non è certo, in quanto i fattori in campo

potrebbero fuorviare, ad esempio potrebbe essere stata la grandezza o il tipo di

ramo esercitato a determinare differenze.

Sei supervisori nazionali hanno trovato prove di un effetto delle linee

commerciali sull’impatto nel QIS2. Questi supervisori sottolineano un maggior

effetto sulle compagnie monolinea, specialmente non-vita.

Il modello di business applicato non sembra aver avuto alcun effetto per alcuni

supervisori nazionali, mentre per altri vi sono stati dei rilievi degni di attenzione

ma probabilmente influenzati da altri fattori.

Sembra evidente quindi che, in generale, il QIS2 abbia fornito risultati

abbondanti, ma non interpretabili in maniera univoca.

Il QIS2 ha anche messo a nudo una serie di elementi positivi e alcune criticità

preoccupanti.

Innanzitutto ha destato soddisfazione che:

sia stato considerato anche l’approccio di tipo cost of capital, che è un

approccio decisamente più semplice, robusto e verificabile;

si tenga pienamente conto della riassicurazione61;

61 In materia si discute molto su come risolvere il problema creato dal poter disporre di dati

al lordo della riassicurazione.

1

si tenga conto della correlazione dei rischi62;

si preveda che la differenza tra le riserve statutory e quelle solvency non

sia ammessa a copertura del capitale;

si preveda un trattamento di riduzione del requisito per le gestioni

separate63.

Parallelamente, ha destato notevole preoccupazione la mancanza di chiarezza

sulla ripartizione tra riserve e capitale e il ruolo del MCR, e su quale livello di

capitalizzazione si punti ad imporre.

62 Riguardo la correlazione dei rischi vanno testate le matrici di correlazione proposte. 63 Si pone il problema di come realizzare questo elemento in Italia. Dal punto di vista teorico K è più alto quando in una gestione ricorrano i seguenti elementi: gli assicurati hanno tutti lo stesso minimo garantito, gli attivi sono obbligazioni e non azioni, il consolidamento dei rendimenti non avviene anno per anno.

1

3.12 Alcune criticità di Solvency II

Gli studi sull’impatto quantitativo hanno sollevato alcune criticità, temi

sicuramente di rilievo, anche per il mercato italiano.

Innanzitutto la problematica delle partecipazioni discrezionali agli utili futuri

nell’assicurazione vita (K-factor). Se Solvency II è destinata a fondarsi su

principi economici, deve tener conto della capacità di tutti gli strumenti a

disposizione dell’impresa per assorbire perdite in caso di shock.

Un aspetto importante deriva dalla presenza di prodotti vita con partecipazione

agli utili, che riconoscono agli assicurati – oltre ad un rendimento minimo

garantito – un rendimento aggiuntivo che dipende dai risultati ottenuti

dall’assicuratore gestendo i fondi raccolti64. Nei vari paesi, gli assicuratori

normalmente hanno un certo grado di discrezionalità nel riconoscere agli

assicurati la parte di utile eccedente il minimo garantito; discrezionalità che varia

in base alle caratteristiche dei prodotti, al quadro giuridico di riferimento, alle

regole contabili applicate. Di tali fattori occorre tenere conto nel valutare i

requisiti di capitale.

In Italia elementi di discrezionalità derivano dal fatto che:

gli assicuratori decidono, nel rispetto dei limiti di legge, il mix di

investimenti che fa parte della gestione separata;

gli attivi della gestione sono valutati, ai fini del calcolo del rendimento da

riconoscere agli assicurati, secondo il criterio del costo storico, per cui

l’assicuratore può decidere il momento in cui realizzare eventuali plus o

minusvalenze di portafoglio.

Grazie a tali aspetti, la volatilità dei rendimenti delle gestioni separate è

drasticamente ridotta: nessun rendimento sul mercato finanziario è smooth come

quello delle gestioni separate.

Ogni paese presenta le proprie specificità in materia.

In Germania le compagnie di assicurazione possono decidere, per le polizze with

profit, quale livello di rendimento riconoscere ogni anno a ciascun assicurato.

Possono utilizzare i proventi della gestione per far fronte a general losses della 64 In Italia si tratta delle polizze rivalutabili collegate a gestioni separate, che rappresentano circa il 60% del mercato vita.

1

compagnia. Naturalmente si tratta solo di una facoltà, ma ciò determina che

l’apposita riserva contabile per future profit sharing non si configuri come un

debito, ma possa essere utilizzata come elemento di copertura di capitale, anche

nel sistema Solvency I.

In Francia, se le compagnie vendono un titolo e realizzano una plusvalenza,

questa plusvalenza viene contabilizzata come una riserva che deve essere

attribuita agli assicurati entro otto anni. Essa può però essere assorbita da una

minusvalenza registrata successivamente. Non è chiaro se questa caratteristica sia

tale da far ritenere che la riserva possa assorbire general losses. Certamente è una

situazione molto diversa da quella italiana, in cui la plusvalenza deve essere

attribuita agli assicurati nell’anno in corso.

Il QIS2 ha cercato di misurare la capacità degli utili futuri di assorbile

perdite, distinguendo due casi:

se la riserva per utili futuri può essere usata per coprire general losses

della compagnia, allora tutta la riserva viene considerata come elemento

di capitale;

se invece la riserva ha una capacità limitata di assorbire perdite, viene

introdotto il cosiddetto “fattore k”, originariamente proposto dal CEA, che

rappresenta la parte di riserva utilizzabile per ridurre il requisito

patrimoniale.

Il QIS2 ha evidenziato l’esistenza di una molteplicità di situazioni e una estrema

diversita di approcci, sia in generale nel considerare le riserve per utili futuri sia

nell’applicazione del “fattore k”.

La sfida, al momento, è di individuare, a livello europeo, criteri oggettivi che

consentano di stimare, nei vari paesi e nelle singole imprese, la quota delle riserve

per utili futuri che può essere utilizzata come fattore di assorbimento delle perdite

in presenza di shock.

Per l’assicurazione italiana si tratta di veder riconosciuta la loss absorbing quality

di parte di tali riserve, che discende dalle specificità delle polizze rivalutabili.

Qualunque sia la natura riconosciuta ai fini di solvibilità alle riserve per

partecipazioni discrezionali agli utili (fattore di riduzione del requisito

1

patrimoniale o elemento del capitale disponibile) occorre che, a parità di

assorbimento dei rischi, il trattamento sia analogo.

Se così non fosse, vi sarebbe un forte incentivo alla modifica delle caratteristiche

dei prodotti. In Italia diventerebbero troppo costose una serie di tutele per gli

assicurati che sino ad oggi hanno dimostrato di essere molto apprezzate.

Un secondo profilo rilevante attiene al trattamento degli investimenti

azionari nel calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR). Al momento

attuale, l’impostazione del CEIOPS (applicata nel QIS2) prevede il calcolo del

requisito tramite la valutazione dell’impatto di shock azionari su un orizzonte

temporale di un anno. L’applicazione di tale approccio ha evidenziato alcuni

problemi:

la dimensione dello shock applicato (40%) è troppo elevata;

il considerare una dimensione annuale non tiene conto delle strategie di

asset-liability management delle imprese di assicurazione, ossia del fatto

che gli assicuratori gestiscono i propri investimenti (e fare essi anche le

azioni) con una logica di medio-lungo termine, in coerenza con passività,

specie nel vita, anch’esse di lungo termine;

l’inclusione degli attivi detenuti a fronte del patrimonio libero, in aggiunta

a quelli a copertura delle riserve tecniche, fra quelli assoggettati a shock

risulta oltremodo penalizzante, con l’effetto paradossale di imporre

requisiti più elevati alle imprese più patrimonializzate. Le azioni detenute

a fronte del patrimonio libero sono quasi sempre costituite da

partecipazioni, tipicamente gestite con logiche di lungo periodo, per le

quali, dunque, shock annuali non avrebbero molto senso.

E’ ovvio che Solvency II avrà un impatto sull’attività di investimento degli

assicuratori europei, così come l’introduzione del Risk Based Capital, all’inizio

degli anni ’90, lo ha avuto su quelli statunitensi, ma le nuove regole devono essere

coerenti con l’economicità dell’attività assicurativa e tener conto delle logiche di

gestione finanziaria tipicamente orientate al lungo periodo.

1

L’assicurazione si fonda sulla diversificazione dei rischi, per cui è

essenziale che le regole di solvibilità tengano conto delle capacità delle imprese di

diversificare, ma senza penalizzare indebitamente quelle che, per dimensione, non

sono in grado di farlo (ma magari mitigano i rischi ricorrendo alla

riassicurazione).

L’incidenza del size-factor nel non-life underwriting risk, un fattore dipendente

dalla dimensione dell’impresa che si ipotizza incidere sulla volatilità dei risultati

tecnici dei singoli rami, ha evidenziato l’esistenza di un problema di calibrazione.

CEIOPS, nel Consultation Paper n.20, propone alcune modifiche in vista del

QIS3.

Molti altri punti sollevano perplessità, ad esempio la scarsa attenzione

rivolta ad una realtà in forte espansione, i gruppi di imprese, oppure la prospettiva

di un lead supervisor. Oggetto di discussione è anche il contenuto della direttiva

stessa, che, secondo la procedura Lamfalussy, dovrebbe contenere i principi

essenziali e generali del futuro regime. La questione è cosa si debba intendere per

principi essenziali e in particolare se essa debba includere la definizione del

requisito, le questioni di vigilanza cross-border sui gruppi, la previsione di

specificità nazionali (ad esempio nel Pillar II). Più in generale la questione è

quanto debba essere lasciato alle implementing measures di Livello II.

1

3.13 I Consultation Papers del CEIOPS

CEIOPS, come si è detto in precedenza, oltre all’importante attività svolta

nei Quantitative Impact Study, è molto attivo nella pubblicazione di frequenti

Consultation Papers, sulle tematiche e sugli elementi di discussione di Solvency

II.

Seguono alcuni dei principali pareri espressi dal CEIOPS.

CP17: Draft advice to the European Commission in the framework of the

Solvency II project on Pillar II capital add-ons for solo and group undertakings”

Riguarda il potere dell’Autorità di vigilanza di imporre alle imprese requisiti

patrimoniali aggiuntivi (“capital add-ons”) rispetto a quelli derivanti dall’utilizzo

della formula standard o di un modello interno. Il CEIOPS si dichiara a favore

dell’introduzione, nella Direttiva “quadro”, di principi generali relativi

all’esercizio di tale potere. Al fine di promuovere l’armonizzazione delle pratiche

di vigilanza, il CEIOPS propone un approccio strutturato, per gradi,

nell’applicazione degli eventuali requisiti aggiuntivi.

Ulteriore tema trattato nel Paper è quello dell’imposizione di “capital add-ons”

nell’ambito dei gruppi di imprese.

CP18: Draft advice to the European Commission in the framework of the

Solvency II project on Supervisory powers – further advice”

Contiene alcuni pareri aggiuntivi in materia di poteri della vigilanza. Vengono

ribaditi alcuni principi che dovranno guidare l’attività dei supervisors e sono

elencati alcuni fra i più importanti poteri di cui essi dovranno disporre. Si

sottolinea l’obiettivo della maggiore armonizzazione anche per quanto riguarda il

2°pilastro, il che significa che tutti i supervisors europei dovranno avere gli

stessi poteri, esercitabili alle medesime condizioni.

In particolare, il potere di consentire deroghe ai requisiti generalmente previsti da

Solvency II sarà assoggettato a condizioni pienamente armonizzate.

1

CP19: “Draft advice to the European Commission in the framework of the

Solvency II project on safety measures (limits on assets)”

E’ dedicato al tema della disciplina degli investimenti delle imprese di

assicurazione. Come è noto, nel passaggio ad un regime di solvibilità basato sul

rischio, il CEIOPS prevede di adottare, sul piano degli investimenti ammessi,

l’approccio definito come “prudent person plus”. Tale approccio consiste nella

statuizione di alcuni principi generali che dovrebbero guidare l’attività di

investimento (sicurezza, redditività, liquidità), con l’aggiunta di pochi limiti

quantitativi finalizzati a circoscrivere quei rischi di investimento di cui non si

riesce a tenere conto nella determinazione dei requisiti patrimoniali (ad esempio,

rischi di concentrazione e di liquidità). L’ipotesi formulata dal CEIOPS è di

limitare l’applicazione dei limiti quantitativi ad un periodo transitorio

(esempio: 5 anni), nel quale testare la capacità della Standard Formula di riflettere

efficacemente i rischi di investimento.

CP20: “Draft advice to the European Commission in the framework of the

Solvency II project on Pillar I issues – further advice”

Di particolare rilievo il Consultation Paper n.20, perché contiene ulteriori pareri

tecnici su temi del primo pilastro. Fa seguito alle risposte alla “second wave of

calls for advice” dello scorso anno.

I principali elementi del Consultation Paper n.20 sono:

criteri di valutazione;

criteri di ammissibilità degli elementi patrimoniali;

SCR (standard formula e modelli interni totali e parziali);

MCR;

safety measures e casi particolari (piccole imprese, assicurazione malattia,

riassicurazione).

Riguardo i criteri di valutazione il CP20 si occupa degli hedgeable e non-

hedgeable risks, e sostiene un ampliamento dei poteri dei supervisori nel

richiedere un rafforzamento delle riserve tecniche nell’ambito delle procedure di

secondo pilastro.

1

Riguardo il SCR, viene radicalmente mutato il framework della Commissione, che

si amplia rispetto al progetto originario.

CEIOPS sostiene anche novità relative alla Formula Standard, rimandandone il

testing alla fase del QIS3.

Relativamente ai modelli interni CEIOPS raccomanda che l’approvazione di essi

venga subordinata ad una serie di requisiti:

qualità statistica;

calibrazione;

use test.

Il CP20 contiene anche un’ammissione di problemi di metodo ed approccio

nell’esercizio del QIS2.

1

Capitolo IV

IL RAMO VITA

Sommario: 4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita – 4.2 L’attività delle imprese di

assicurazione sulla vita nell’ambito del sistema finanziario - 4.3 La disciplina: direttiva

2002/83/CE – 4.4 La disciplina in Italia: Circolare Isvap 551/D “le norme di trasparenza nelle

polizze vita” – 4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile – 4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs. 209

07/09/05 “la tutela del consumatore nel nuovo codice delle assicurazioni” – 4.7 Un confronto

europeo sui conti economici delle imprese di assicurazione del ramo vita – 4.8 Alcune

osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale

4.1 In generale, l’assicurazione sulla vita

In assicurazione per rischio65 si intende la probabilità che si verifichi un

evento in un determinato momento. Il rischio assicurato dal ramo vita è “il

verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 C.C.).

Tradotto in pratica si può assicurare:

la morte dell’assicurato entro una certa data

la permanenza in vita dell’assicurato a una certa data.

Per determinare il giusto prezzo da pagare per assicurare la vita di una persona è

necessario stabilire: la sua probabilità di vita ad un certo momento [ipotesi

demografica], il rendimento finanziario delle somme via via incassate [ipotesi

finanziaria], il costo di acquisizione e di gestione del contratto da parte

dell’impresa [ipotesi di spesa].

La probabilità di vita di una persona è determinata da fattori demografici che

possono essere ricavati dai censimenti della popolazione che si tengono ogni 10

anni (l’ultimo è del 2001). 65 Il Rischio è la probabilità che un certo evento si verifichi e l’entità dei danni che ne possono derivare. Nell’assicurazione Vita, l’alea dipende dalla durata della vita umana; questa, a sua volta, dipende dall’evento morte o dal suo non verificarsi entro un dato momento (sopravvivenza).

1

Dai dati rilevati si è notato che i fattori da considerare sono:

l’età (più si invecchia più elevate sono le probabilità di morte);

il sesso (le donne vivono più a lungo degli uomini e il divario tende ad

allargarsi);

lo stato di salute (la presenza di determinate malattie eleva la probabilità di

morte);

il tipo di lavoro (alcune professioni espongono ad alti rischi);

alcuni comportamenti (ad es. il fumo: un fumatore vive mediamente meno

di un non fumatore).

Da tutte queste analisi si realizzano le tavole di mortalità che sono lo strumento

base per la determinazione del giusto premio.

Le tavole di mortalità66 vengono costruite sulla base delle elaborazioni statistiche

applicate a una popolazione campione di 100.000 individui in età zero di cui viene

seguita tutta la vita. I dati esprimono: la speranza di vita (quanti anni si prevede

vivrà una persona ad una certa età), la probabilità di morte (deceduti sul totale

dell’anno), la probabilità di sopravvivenza (probabilità di sopravvivere nell’anno),

il numero di viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media, per ogni età.

L’assicuratore utilizza questi dati come base di partenza per calcolare le proprie

tariffe. I dati vengono poi elaborati dall’assicuratore tenendo conto

dell’andamento del rischio per la popolazione dei propri assicurati (esempio: una

Compagnia che assicuri prevalentemente impiegati non fumatori avrà un

andamento del rischio diverso da chi assicura operai edili fumatori).

Per determinare l’esatto ammontare del premio è necessario tenere conto

anche delle:

regole finanziarie – per determinare qual è il rendimento delle somme

incassate a titolo di premio (più alto è il rendimento ottenibile più basso

sarà il premio di base) (ipotesi finanziaria);

spese necessarie – per gestire l’attività assicurativa vita (dall’emissione del

contratto alla gestione dei capitali accumulati, sino alle spese necessarie

per pagare i sinistri) (ipotesi di spesa).

66 Sono tavole numeriche elaborate dall’ISTAT, in occasione dei censimenti della popolazione italiana che partenda da una popolazione teorica iniziale di 100.000 individui in età zero, indicano per ogni età: il numero dei viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media.

1

In questo modo si può determinare il premio per tutti i rischi che rientrano nella

statistica delle tavole di mortalità.

Vi possono essere situazioni che sono talmente più gravi della media da

non poter essere assicurate o da poter essere assicurate solo a condizioni

particolari (ad es. un infartuato oggi conduce una vita pressoché regolare ma la

sua probabilità di morte è molto più alta di quella di un individuo sano).

Per determinare il rischio si utilizzano due sistemi: il questionario sanitario che fa

parte delle dichiarazioni dell’assicurato, le visite mediche che prevedono esami

diagnostici via via più approfonditi man mano che la somma assicurata diventa

più elevata o, in certi casi, cresce l’età dell’assicurato.

Le dichiarazioni dell’assicurando vengono rilasciate su un apposito questionario

anamnestico e riguardano il suo stato di salute attuale e pregresso. L’assicurando

deve sottoscrivere tali dichiarazioni attestando la veridicità di tutto quanto

dichiarato e esprimendo la consapevolezza delle conseguenze in caso di

dimostrata non veridicità delle dichiarazioni.

Le visite mediche e gli ulteriori accertamenti sanitari possono essere richiesti

dall’assicuratore in base alla gravità del caso. L’assicuratore, in presenza di

particolari situazioni sanitarie (ad es. portatori di particolari malattie) può

addirittura indicare presso quali strutture sanitarie o medici, di sua fiducia, far

visitare l’assicurando. Così come l’assicuratore può richiedere documentazione o

cartelle cliniche relative a interventi chirurgici cui è stato sottoposto l’assicurando

in passato.

Quando la compagnia richiede unicamente le dichiarazioni scritte ed emette la

polizza “senza visita medica” il contratto conterrà una clausola detta di carenza67,

che limita per i primi 180 giorni la prestazione. In sostanza la compagnia, a fronte

di una situazione di rischio della quale non ha la rappresentanza esatta, si tutela

con questo periodo di tempo entro il quale limita ad alcuni soli casi il pagamento

della prestazione.

67 Nel caso di assunzione del rischio senza visita medica, se il decesso dell’assicurato avviene nei primi 180 giorni ed è causato da infortunio o da malattia indicata specificamente in polizza (malattie a decorso estremamente rapido) l’assicuratore liquiderà il capitale assicurato. Altrimenti qualora il decesso dell’assicurato dipenda da altre cause/malattie in virtù della condizione di carenza l’assicuratore corrisponderà una somma pari ai soli premi versati dal contraente.

1

In contratto rimangono inoltre convenute diverse modalità di affrontare il

problema del decesso dovuto alla sindrome da immunodeficienza acquisita

(AIDS) in funzione del tempio e degli accertamenti effettuati.

Dalle risposte del questionario sanitario o dalla visita medica per la stipula della

polizza possono emergere delle condizioni di salute che aggravano pesantemente

il rischio. In questi casi o in caso di professioni particolarmente pericolose, si

parla di rischi tarati68 che comportano un maggior rischio di mortalità e una

difficoltà di valutazione. Le imprese di assicurazione chiedono dei soprapremi

pari alla differenza tra il premio derivante dalle tavole di mortalità di rischi tarati

(elaborate in Italia dal Consorzio Italiano Rischi Tarati - CIRT69) e quello delle

tavole di rischi normali.

68 E’ il rischio che presenta, per ragioni sanitarie e/o extra sanitarie, una sopramortalità che si traduce in un presumibile maggior costo delle prestazioni garantite dall’assicuratore, comportante la richiesta del premio superiore. 69 Organismo costituito fra le imprese opranti in Italia nel Ramo Vita. Ad esso viene delegato il compito della tariffazione dei rischi vita anomali sotto il profilo sanitario per consentire l’atto di previdenza alla maggior parte di coloro cui verrebbe altrimenti rifiutata l’assicurazione sulla vita.

1

4.2 L’attività delle imprese di assicurazione sulla vita nell’ambito del

sistema finanziario

Con il contratto di assicurazione sulla vita, l’assicuratore, in corrispettivo di

un premio unico o periodico si obbliga a pagare un determinato capitale o a

corrispondere una determinata rendita al verificarsi di un evento attinente alla

vita umana.

Il rischio che grava sull’assicuratore è dunque in funzione della durata della vita

dell’assicurato, e la relativa delimitazione è quella che risulta dalla precisazione

degli eventi che influiscono sulla durata stessa (età, stato di salute, professione

dell’assicurato).

Tale tipologia di rischio (demografico) viene considerata nella fissazione del

premio da parte dell’impresa attraverso la definizione di apposite ipotesi

demografiche che vengono effettuate sulla base di tavole di mortalità e

consentono all’impresa di determinare una parte di premio che può essere definita

come “premio di rischio”.

Nella fissazione della propria prestazione (relativa alle somme che verranno

versate al beneficiario del contratto al verificarsi dell’evento) l’impresa di

assicurazione dovrà anche tenere in considerazione il fatto che il contraente

verserà i premi in anticipo rispetto al verificarsi dell’evento e che tali premi

saranno in grado di produrre un incremento finanziario.

Nella determinazione del premio si considererà anche un’ipotesi finanziaria

attraverso la quale verrà determinato il tasso di rendimento che si prevede di

ricavare dell’investimento finanziario dei premi corrisposti dagli assicurati (cd.

tasso tecnico di tariffa). Tale parte di premio viene comunemente definita come

“premio di risparmio”.

Il premio puro è perciò composto dalla somma del premio di rischio e del premio

di risparmio.

Normalmente l’assicuratore riconosce all’assicurato un rendimento minimo

garantito sulle somme da questi versate, garantendo in sostanza anche la

1

corresponsione di un tasso di interesse70, inferiore ai tassi correnti di mercato.

Tuttavia esso viene definito al momento della stipula del contratto e rimane in

vigore per tutta la durata contrattuale e perciò per un lasso di tempo generalmente

lungo.

In periodi di stabilità dei tassi di interesse la corresponsione di un tasso garantito

minimo non costituiva un problema per le imprese di assicurazione e negli anni

caratterizzati da tassi di interesse in ascesa, ciò consentiva loro di beneficiare dei

rendimenti maggiori che potevano essere ottenuti dalle stesse sul mercato dei

capitali. Ciò comportava, dal lato della domanda, una mancanza di competitività

del prodotto assicurativo rispetto ad impieghi alternativi di investimento del

risparmio.

Intorno agli anni ottanta le imprese di assicurazione affiancarono ai

prodotti tradizionali altre forme di assicurazione sulla vita, in grado di valorizzare

maggiormente la componente finanziaria al fine di garantire agli assicurati

prestazioni il cui potere di acquisto fosse difeso, almeno in parte, nel tempo.

Si diffusero le polizze rivalutabili, con le quali l’assicurato partecipa ai risultati

finanziari ottenuti dall’impresa attraverso l’investimento delle riserve.

Nelle polizze rivalutabili le prestazioni dell’assicuratore sono ancorate al reddito

degli investimenti che confluiscono in una gestione separata delle riserve

matematiche, esse prevedono unitamente ad un rendimento minimo garantito

anche una partecipazione agli utili della gestione che aumenta il capitale

assicurato senza la richiesta di ulteriori premi ai contraenti71.

In tali tipologie di polizze la garanzia di rendimento minimo può avvenire su base

annua o al momento della liquidazione del capitale. In ogni caso, il sottoscrittore

della polizza ha diritto al massimo tra il valore del capitale ottenuto attraverso la

gestione separata e l’ammontare del capitale garantito a scadenza.

70 Al fine di evitare che una diminuzione dei tassi di interesse possa determinare l’impossibilità o la difficoltà per l’impresa di adempiere le proprie obbligazioni il d.lgs. 174/1995 stabilisce che “ …. L’Isvap fissa con proprio provvedimento, per tutti i contratti da stipulare che contengono una garanzia di tasso di interesse un tasso di interesse massimo che non potrà superare il 60% del tasso medio dei prestiti obbligazionari dello Stato”. I relativi provvedimenti dell’Isvap sono il n. 79/1995 e il n. 1036 del 1998. 71 A. Floreani, S. Rigamonti (1999). La vigilanza e le garanzie finanziarie

1

L’impresa con la garanzia di rendimento minimo assume, quindi, un rischio legato

alla circostanza che negli anni successivi alla stipulazione del contratto essa non

riesca ad investire sul mercato dei capitali in attività che le consentano di

realizzare rendimenti uguali o superiori a quelli garantiti; e tale circostanza, può

realizzarsi concretamente, ad esempio, nei momenti in cui i mercati finanziari

sono caratterizzati dalla discesa dei tassi di interesse, potendosi determinare una

riduzione nei flussi futuri e nei valori di mercato degli attivi sottostanti, o nei

momenti in cui un rialzo dei tassi di interesse possa generare delle minusvalenze

sul valore degli attivi.

In tale ambito, un peso importante assume la verifica degli strumenti operativi e

gestionali utilizzati dalle imprese di assicurazione per misurare e gestire i rischi

finanziari connessi al loro portafoglio, sia dal lato degli investimenti sia dal lato

degli impegni.

In tale ottica si avverte anche l’importanza dell’uso da parte delle imprese di

assicurazione di tecniche di gestione integrata dell’attivo e del passivo, in cui le

tecniche di asset-liability management rivestono un ruolo centrale.

Ai rischi normalmente connessi all’attività assicurativa, definiti rischi tecnici72

o attuariali (quali il rischio di sottotariffazione, di sovrasinistralità e di

insufficienza delle riserve tecniche) si aggiungono i rischi legati agli investimenti

compiuti dalle imprese di assicurazione, che sono gli stessi rischi cui sono esposti

gli intermediari finanziari.

Essi sono legati al fatto che le attività e le passività degli intermediari finanziari

scadono in tempi differenti e risultano, perciò, esposte a tutte le tipologie di

rischio collegate alle fluttuazioni dei mercati finanziari. In sostanza, le imprese

sono esposte al rischio di conseguire rendimenti diversi, ed eventualmente anche

inferiori, rispetto al rendimento atteso al momento dell’assunzione dell’impegno,

oppure rispetto ad un rendimento minimo ritenuto accettabile.

72

Una classificazione e descrizione dei rischi cui è esposta l’impresa assicurativa è riportata nel Quaderno Isvap n.6, (1999) ove vengono indicate anche le misure di prevenzione previste dalla normativa comunitaria per i medesimi rischi.

1

Una classificazione generale dei rischi cui è esposta una impresa di assicurazione,

ai fini delle tecniche di risk management, è proposta da D. Babbel e A. Santomero

(1999), che riportano sia la classificazione dei rischi proposta dalla Society of

Actuaries’ Commitee on Valuation and Related Problems, sia la classificazione

normalmente proposta dall’industria assicurativa.

Babbel e Santomero (1999) distinguono quattro macroclassi di rischio ed indicano

i rimedi più comunemente utilizzati dalle imprese per gestirli :

Rischio attuariale, derivante dall’inadeguatezza delle basi tecniche sulle

quali è stato costruito il premio puro. Si tratta, in sostanza delle assunzioni

circa le probabilità degli eventi sinistrosi e del tasso tecnico utilizzato nel

calcolo del premio. Tale tipologia di rischio consiste nella probabilità di una

modificazione dei fattori demografici o finanziari attuariali utilizzati nella

stima iniziale;

rischio di mercato, inteso come la componente di rischio “non

diversificabile” all’interno dell’attività assicurativa. Esso si riferisce alla

probabilità che il valore dell’attivo e del passivo dell’impresa cambino in

relazione a fattori esterni, quali possono essere le variazioni dei tassi di

interesse, dei valori dei titoli, ed in generale, delle condizioni di

reinvestimento. Può manifestarsi in modi differenti ed essere relativo ai tassi

di interesse, al valore delle azioni, all’andamento dei cambi, all’inflazione;

rischio di credito, collegato al rischio di insolvenza del proprio debitore il

quale potrebbe non essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni.

Tale rischio è difficile che possa essere eliminato completamente in quanto

può nascere da fattori sistemici;

rischio di liquidità che fa sì che l’impresa non possa trasformare gli

investimenti in liquidità nei tempi previsti senza sopportare perdite in conto

capitale.

La conoscenza del proprio profilo di rischio è indispensabile per le imprese di

assicurazione sia sotto il profilo commerciale, per le strategie di pricing che sotto

quello gestionale, per orientare concretamente il processo decisionale.

1

All’interno dell’area del risk management l’analisi dei rischi di mercato ha

acquisito negli anni un’importanza crescente da parte delle imprese assicurative,

come già accaduto nel passato nel settore bancario che ha sviluppato propri

modelli.

Altrettanta importanza viene riconosciuta dagli organismi di Vigilanza in ordine

agli strumenti utilizzati dalle imprese per la valutazione dei rischi finanziari.

Le tecniche di misurazione e valutazione di questo rischio nell’ambito di un

portafoglio integrato di attività e passività delle imprese di assicurazione è stata la

base su cui si sono costruiti modelli di gestione volti alla determinazione del

composizione ottimale rischio/rendimento. Attraverso tali modelli muta la visione

manageriale delle imprese collegando strettamente la determinazione dei premi, le

politiche di investimento, la strategia di crescita dell’impresa.

Dal punto di vista della Vigilanza ciò che rileva in tale sede è soprattutto che

l’impresa disponga di un portafoglio ottimale di attività a copertura delle riserve

tecniche, che sia coerente con il principio del close matching tra flussi dell’attivo

e del passivo, ma che tenga anche conto della dinamica dei flussi futuri.

L’interesse delle imprese di assicurazione sulla vita alla valutazione

dell’esposizione al rischio di mercato (ed in particolare ai rischi connessi alla

discesa dei tassi di interesse) si è sviluppato negli Stati Uniti a partire dagli anni

’70, quando l’aumento dell’inflazione fece crescere i tassi di interesse e indusse i

risparmiatori a cercare investimenti con rendimenti superiori all’inflazione.

Il mercato assicurativo statunitense fu interessato da questo fenomeno in quanto

gli assicurati presero in prestito capitali dalle proprie polizze vita ed investirono i

proventi in investimenti più redditizi.

I risparmiatori indirizzarono i loro risparmi nei money market mutual funds (fondi

del mercato monetario che corrispondevano rendimenti superiori a quelli massimi

corrisposti dagli istituti di credito). Le imprese di assicurazione furono costrette a

progettare e commercializzare nuovi prodotti sensibili ai tassi di interesse,

assumendo un elevata esposizione al rischio di credito, senza considerare i

necessari allineamenti tra l’attivo e il passivo. Il risultato fu che nel 1987 fallirono

19 imprese, nel 1989 40, nel 1991 furono 58 (Brys de Varenne, 1996).

1

Fino ad allora gli assicuratori avevano indirizzato le proprie scelte nella

convinzione che i tassi di interesse rimanessero stabili ed erano state sottovalutate

le opzioni insite (embedded options) nei contratti. In virtù di tale opzioni

l’assicurato può scegliere la forma di pagamento preferita alla scadenza del

contratto (rendita o capitale), contrarre un prestito con il capitale accumulato nella

polizza, versare premi più elevati rispetto a quanto stabilito, ottenere il riscatto del

contratto o la proroga dello stesso alla scadenza. Un ulteriore opzione insita può

essere considerata la previsione di un rendimento minimo garantito nel contratto.

In particolare, nei contratti di assicurazione con rendimento minimo garantito si

può ritenere che l’assicurato detenga un portafoglio di attivi (costituito dalla

partecipazione alla gestione separata) di cui l’impresa è gestore e su cui esiste di

fatto un’opzione put a favore degli assicurati esercitabile ad un prezzo di

esercizio, pari al valore del capitale minimo garantito. Al momento della

liquidazione (o annualmente) l’assicurato ha diritto al massimo tra il valore del

portafoglio di investimenti e l’ammontare del capitale minimo maturato (A.

Floreani, S. Rigamonti, 1999).

In altri termini, il tasso minimo garantito può essere considerato come un’opzione

il cui valore deve tener conto delle aspettative sui tassi e dovrebbe essere

incorporato nel prezzo del premio, come elemento finanziariamente distinto dalle

altre componenti.

Studi specifici hanno dimostrato che gli assicurati esercitano più frequentemente

le opzioni di riscatto o di prestito su polizza quando i tassi di interesse aumentano

(D. F. Babbel, 1997). Al contrario, se i tassi di mercato scendono i consumatori

tendono a rimanere più a lungo nei contratti assicurativi, in quanto i tassi di

interesse riconosciuti dalle imprese di assicurazione risultano, di norma, più

attraenti rispetto alle altre opportunità del mercato.

Tale tipologia di rischi (legati alla variabilità dei tassi di interesse e all’esercizio

delle opzioni insite da parte degli assicurati) non era stata sufficientemente

considerata negli anni precedenti caratterizzati da una sostanziale stabilità dei tassi

di interesse.

1

La presenza di un rischio di interesse si è manifestata anche in area europea in

questi ultimi anni caratterizzati da una discesa dei tassi, con particolare riguardo

all’opzione relativa al rendimento minimo garantito.

In Italia, ad esempio, la repentina discesa dei tassi ha reso più stringente il

vincolo di bilancio per le imprese vita il cui portafoglio era caratterizzato in

passato dalla presenza di tassi minimi garantiti e partecipazione ai risultati della

gestione finanziaria, la cui portata economica era irrilevante al momento della loro

vendita, dato il contesto di elevati rendimenti e la quasi totale assenza di rischio

sulla parte preponderante degli investimenti costituita da titoli di Stato.

La discesa dei tassi di interesse, avvenuta negli anni seguenti, ha determinato la

presa di coscienza del problema connesso alla presenza nel portafoglio di prodotti

che assicuravano alla scadenza un rendimento superiore a quello che si poteva

ottenere in quel momento sul mercato finanziario.

A partire dal 1997 le imprese vita hanno progressivamente aumentato la quota

degli attivi a copertura costituita da titoli obbligazionari a tasso fisso, con una

tendenza ad un allungamento delle scadenze; alcune imprese, hanno fatto ricorso

per la prima volta a titoli strutturati, caratterizzati da lunga durata, rendimento

minimo garantito, e rendimenti variabili basati sui tassi swap a lungo termine, allo

scopo di immunizzare i rischi del tasso minimo presente nelle polizze rivalutabili

già emesse.

E’, inoltre, aumentata l’offerta di strumenti assicurativi nei quali il rischio

derivante dall’andamento delle variabili di mercato viene di fatto ad essere

trasferito in tutto o in parte sull’assicurato, come nel caso delle polizze unit linked

e index linked.

L’attenzione delle imprese si è focalizzata su una più attenta gestione degli attivi a

copertura e sulla strutturazione di nuovi prodotti assicurativi.

E’ emersa, inoltre, sempre più la consapevolezza che la sola rappresentazione in

bilancio delle riserve e degli investimenti posti a loro copertura non fornisce

strumenti informativi circa i rischi derivanti dagli effetti dell’evoluzione delle

variabili finanziarie, a seconda della dimensione temporale delle poste sia

dell’attivo che del passivo.

1

In tale contesto, le tecniche di Asset Liability Management (ALM) si sono

sviluppate per far fronte al rischio di tasso di interesse, l’evoluzione successiva ha

permesso di comprendere anche rischi diversi da quelli di tasso ed i modelli di

ALM si sono trasformati in uno strumento utile per la gestione integrata dei rischi

finanziari cui è esposta l’impresa. Si è passati da modelli sostanzialmente statici di

allineamento dei cash flows a modelli dinamici, che si basano su una serie di

scenari possibili delle diverse condizioni economiche sia generali che

dell’azienda, in grado di valutare, attraverso apposite statistiche, diverse

alternative strategiche. Da queste si può arrivare a creare una funzione, cd.

frontiera efficiente, che rappresenta le strategie in grado di realizzare il massimo

rendimento finanziario per un dato livello di rischio.

Partendo perciò dalla semplice ottica di misurazione del rischio di tasso di

interesse i modelli elaborati costituiscono uno strumento in grado di orientare le

scelte strategiche in funzione non solo della solvibilità, ma anche degli obiettivi di

crescita, delle dimensioni del capitale impiegato e del controllo del valore

dell’azienda nel tempo.

1

4.2.1 L’asset liability management per le imprese vita

I modelli ALM sono fondamentali nel verificare la solvibilità prospettica,

e non solo immediata, di una compagnia (il che rappresenta un obiettivo

importante tanto per il management e gli azionisti della compagnia, che per

l’Autorità di Vigilanza),ma il loro possibile utilizzo in chiave gestionale va anche

oltre tale finalità.

La capacità di modellare e di simulare la possibile dinamica futura delle poste

dell’attivo e del passivo può consentire di compiere in maniera più consapevole

molte delle scelte chiave che spettano al management. Si consideri, ad esempio,

la necessità di valutare l’impatto sui periodi futuri di determinate scelte nella

gestione del portafoglio titoli, dell’adozione di ipotesi più pessimistiche o

ottimistiche nella dinamica dei riscatti e dei nuovi ingressi, del possibile brusco

modificarsi del portafoglio di attivi a copertura e di passivi di singole gestioni

separate a seguito di operazioni di fusione, acquisizione o scorporo di società del

gruppo o esterne ad esso e delle relative reti distributive. Sarebbe quindi riduttivo

confinare i modelli di ALM a strumenti per il puro adempimento di un pur

fondamentale obbligo da parte dell’Autorità di Vigilanza; infatti, una significativa

parte del valore aggiunto del ricorso a simili modelli risiede proprio in una più

consapevole assunzione delle scelte di gestione (non solo finanziaria) che

caratterizzano tipicamente una impresa vita73

Sotto il profilo gestionale, un modello di ALM fornisce, come è intuibile, il suo

maggiore contributo nel caso delle gestioni di ramo primo, sia per gli impegni in

termini di rendimento minimo che caratterizzano tali prodotti, sia per il loro peso

all’interno dei bilanci delle imprese.

In generale, quindi, l’asset e liability management di una impresa vita può

essere considerato come l’insieme delle metodologie e dei processi a supporto

delle scelte gestionali volte a configurare la combinazione dell’attivo e del

73 Swiss Re (2000).

1

passivo dell’impresa (considerata sia nel suo complesso che limitatamente a

specifici sottoinsiemi di attività e passività) secondo il profilo di rendimento

atteso e rischio ritenuto ottimale, sulla base delle informazioni e delle ipotesi di

scenario disponibili, avendo particolare riferimento al profilo dei rischi finanziari

sopportati. È utile evidenziare come la definizione fornita vuole sottolineare in

particolare cinque aspetti:

(a) l’ALM fa riferimento non solo alle metodologie di misurazione e controllo dei

rischi finanziari, ma anche ai processi organizzativo-gestionali attraverso i

quali tale attività si realizza;

(b) le metodologie e i processi di ALM possono essere riferiti a un duplice livello,

e cioè sia a livello dell’impresa nel suo complesso (livello che definiamo come

“macro”) che a livello di una singola porzione specifica di attività e passività,

rappresentata tipicamente dalla singola gestione separata (livello “micro”). Per

quanto forte sia l’esigenza di giungere a una visione integrata a livello di tutta

l’impresa dei rischi complessivi sopportati, le tecniche di ALM devono anche

supportare alcune importanti scelte a livello della singola gestione separata.

Anche in questo senso l’ALM di una impresa vita risulta radicalmente

differente da quello di altri intermediari finanziari quali tipicamente le banche,

in cui il livello di analisi definito come micro è di fatto inesistente in quanto

non esiste un legame strutturale tra andamento di alcune poste del passivo e

dell’attivo, cosa che invece caratterizza i prodotti rivalutabili di ramo primo:

l’ammontare di riserve varia in funzione del rendimento realizzato dalle

attività a loro copertura;

(c) l’ALM non ha necessariamente l’obiettivo di annullare i rischi finanziari,

immunizzando completamente l’impresa dalle variazioni dei fattori di

mercato, ma piuttosto quello di far ottenere il profilo di rischio-rendimento

ritenuto pro tempore ottimale; è quindi necessario da un lato identificare una

variabile obiettivo espressiva del rendimento atteso, e dall’altro una

corrispondente misura di rischio;

1

(d) la valutazione delle strategie ritenute “ottimali” è sempre compiuta sulla base

delle informazioni disponibili, e subordinata alla correttezza delle ipotesi

adottate non solo sul possibile andamento dei mercati, ma anche sulle scelte in

tema di trattamento contabile delle attività a copertura delle riserve

(assegnazione al comparto durevole o meno), sulla dinamica del passivo (ad

esempio, andamento dei riscatti e dei versamenti aggiuntivi) e sulle strategie

commerciali messe in atto dall’impresa (ad esempio, introduzione di nuovi

prodotti che potrebbero ridurre la percentuale di mantenimento dei premi

ricorrenti collegati ai prodotti in essere), sulle possibili operazioni di M&A (ad

esempio scorporo di parte della rete distributiva), e così via. La selezione delle

strategie non è quindi un esercizio meccanico, ma il risultato di una attenta

valutazione delle alternative perseguibili che richiede il pieno coinvolgimento

di numerosi attori, ognuno dei quali dovrà contribuire a fornire i dati di input

necessari a modellare congiuntamente la dinamica dell’attivo e del passivo;

(e) l’ALM fa riferimento prevalente, ma non esclusivo, ai rischi di natura

finanziaria; ciò significa che benché la gestione dell’esposizione al rischio

finanziario complessivo derivante dalla combinazione dell’attivo e del passivo

rappresenti il cuore dell’asset e liability management, esso deve

necessariamente sia considerare attentamente l’impatto in termini finanziari

dei rischi di altra natura (quali quelli demografici), sia giungere a proporre

soluzioni che possono anche coinvolgere una ridefinizione delle caratteristiche

e del mix dei prodotti offerti, finendo così talora per influenzare anche le altre

tipologie di rischio assunte dall’impresa.

Il tentativo di sviluppare l’Asset-Liability Management per le imprese di

assicurazione come strumento di gestione richiede non solo di compiere le scelte

metodologiche circa le misure obiettivo e le misure di rischio da adottare, ma

anche di definire o ridefinire i processi organizzativi attraverso i quali le scelte di

gestione integrata dell’attivo e del passivo devono essere assunte. L’enfasi

1

sull’importanza dei processi organizzativi è decisiva, in quanto è chiaro il rischio

che in assenza di un’adeguata attenzione rivolta a questo aspetto anche il più

valido fra i possibili modelli di ALM finisca con l’essere di fatto non

adeguatamente utilizzato e quindi improduttivo. Sotto il profilo dei processi,

peraltro, è difficile pretendere di voler definire una sola soluzione tipo adattabile a

qualsiasi impresa. Troppo rilevanti, almeno in questa fase, sono le differenze che

vi possono essere da impresa sotto almeno quattro profili: le dimensioni, il peso

delle diverse linee di prodotto (e in particolare il peso delle linee di ramo primo)

sullo stock di riserve e sui flussi di nuova produzione, le eventuali scelte di delega

parziale o totale all’esterno della gestione del portafoglio titoli a copertura delle

riserve, e infine il livello di sofisticazione del modello di ALM adottato. E’

comunque possibile svolgere alcune brevi considerazioni di natura generale.

In primo luogo, l’introduzione di modelli e di processi di gestione integrata

dell’attivo e del passivo richiede di rendere condivise e sottoposte a un vaglio

collegiale numerose scelte (si pensi alla definizione delle politiche di

retrocessione o delle strategie di investimento di lungo termine) che toccano

funzioni diverse. Nell’introdurre quindi un modello di ALM che guidi le decisioni

aziendali nel lungo periodo, è importante che tutte le funzioni coinvolte si

riconoscano e condividano il modello adottato, visto che esse dovranno da un lato

fornire gli input al modello per le parti di propria competenza (definendo chi i

tassi di mortalità, di proroghe e di riscatto, chi le previsioni sui tassi di crescita

della nuova produzione, chi le ipotesi sull’andamento dei mercati), e dall’altro

lato accettare gli output forniti dal modello come un realistico aiuto nella scelta

fra diverse decisioni alternative. Il coinvolgimento delle diverse funzioni può

essere faticoso, e può richiedere l’intervento dell’alta direzione nel caso si

manifestino delle resistenze all’innovazione da parte di alcuni degli attori in

gioco, ma è probabilmente uno degli elementi chiave per il successo

dell’introduzione di un nuovo modello e di un nuovo processo di ALM.

La seconda considerazione è che la ridefinizione del processo di asset e

liability management non può essere fatta coincidere tout court con la creazione di

1

un Comitato ALM. Tale condizione può essere in molti casi necessaria, ma

certamente non è sufficiente al fine di garantire un efficace processo decisionale

nelle scelte che coinvolgono l’intera struttura attivo-passivo dell’impresa. E’ del

resto esperienza comune che la qualità delle decisioni assunte da un’impresa non è

di per sé direttamente proporzionale al numero di funzioni aziendali coinvolte

nella decisione stessa, specie se non sono state definite con chiarezza le

responsabilità di ciascuna di esse. Ciò vale a maggior ragione in quanto la

necessità in alcuni casi di assumere collegialmente, e in altri casi di sottoporre in

modo organico al vaglio di altre funzioni alcune delle decisioni chiave della

strategia aziendale, non significa espropriare della loro autonomia decisionale i

responsabili delle singole funzioni, né, al tempo stesso, consentire loro di sfuggire

alle proprie responsabilità per le scelte che sono loro specifiche.

Se quindi è importante costituire un Comitato ALM, è altrettanto importante quali

debbano essere le decisioni (verosimilmente poche, infrequenti e strategiche) che

ricadono sotto la responsabilità congiunta e collegiale dei membri del Comitato, e

quali le decisioni che, pur potendo o dovendo essere discusse all’interno del

Comitato stesso, rimangono sotto la responsabilità individuale dei singoli soggetti

coinvolti.

Anche il modello di ALM adottato, quindi, dovrebbe essere visto come uno

strumento volto a garantire che l’impresa assuma decisioni organiche sulla base di

un insieme di ipotesi di partenza condivise fra le diverse funzioni aziendali,

sebbene il modello potrà talora essere utilizzato in alcune sue parti anche solo da

singole funzioni come supporto per le scelte (di breve periodo e di natura tattica)

che rientrano nella specifica sfera di competenza.

Come terza e ultima osservazione, è inevitabile che la modifica dei processi

aziendali possa richiedere del tempo per diventare realmente efficace, come del

resto anche l’esperienza del settore bancario nell’introduzione dei modelli di

ALM insegna. Anche per questo è importante che l’alta direzione sia pienamente

convinta della rilevanza del contributo che i modelli e i processi di ALM possono

dare nel perseguire insieme la stabilità dell’impresa e la creazione di valore per

l’azionista. Solo in questo modo, infatti, l’alta direzione potrà garantire in modo

continuativo il suo supporto e il suo pungolo allo sviluppo dei processi di ALM,

1

evitando il rischio di accontentarsi di soluzioni di facciata (la scelta di un modello

di ALM magari operativamente non utilizzato, la costituzione di un Comitato di

ALM puramente formale o troppo burocratico) che non riuscirebbero realmente a

incidere sulla qualità delle decisioni tattiche e strategiche assunte dall’impresa.

1

4.2.2 La vigilanza e le garanzie finanziarie nelle imprese del ramo vita, in

chiave solvibilità

Il rischio di investimento nel sistema normativo europeo è considerato sia

nel calcolo del margine di solvibilità74 sia nelle disposizioni che presiedono

all’accantonamento delle riserve tecniche ed alla relativa copertura.

In particolare, è previsto, per le imprese di assicurazione sulla vita che il calcolo

delle riserve debba essere effettuato in base ad una prudente valutazione,

intendendo per tale “una valutazione che comprenda un margine ragionevole per

variazioni sfavorevoli dei fatti pertinenti”.

In sostanza, deve essere previsto nell’accantonamento delle riserve tecniche un

margine di sicurezza destinato a far fronte a probabili eventi sfavorevoli.

Ciò comporta che anche nel calcolo delle riserve si debba tenere conto del

matching tra impegni ed investimenti. Il miglior allineamento tra riserve tecniche

ed attivi a copertura, in termini di durata e di rendimenti, riduce infatti la

necessità di disporre di un margine di sicurezza.

A tal fine sono possibili vari modelli per stimare tali rischi, ma i più comuni

utilizzati nei paesi europei sono basati su stress test in relazione a scenari

predefiniti.

Il paese che dispone di una specifica regolamentazione è il Regno Unito,

dove è previsto che le imprese vita debbano effettuare annualmente il Resilience

test al fine di valutare se possibili variazioni avverse dei tassi di interesse possano

rendere insufficiente il valore degli attivi a coprire gli impegni.

La misura si rende particolarmente necessaria nell’ordinamento inglese in quanto,

come è noto, la valutazione degli attivi in bilancio avviene non in base al valore

storico (d’acquisto), ma in base al valore di mercato.

74 Vedi il capitolo precedente riguardante il progetto Solvency II

1

L’applicazione del Resilience test non è priva di problemi ed ambiguità

evidenziate da uno studio di D.E. Purchase et al. (1989), tuttavia non evidenzia

particolari difficoltà nell’applicazione pratica.

In particolare, si suppone che dopo la chiusura dell’esercizio i tassi di interesse,

che possono essere ottenuti sul mercato dei titoli a reddito fisso, cambino secondo

valori stabiliti dall’autorità di controllo e che, nello stesso tempo, anche il valore

delle azioni degli immobili e di altri investimenti si riducano secondo diversi

parametri.

Il test deve essere effettuato da un attuario e richiede, in sostanza, che venga

considerata l’adeguatezza delle riserve e delle relative attività a copertura in un

contesto di improvvisa discesa del valore degli attivi di una percentuale stabilita

(azioni o investimenti simili inclusi quelli immobiliari) e nel cambiamento del

valore dei titoli di miglior standing e degli altri titoli a reddito fisso derivante da

un innalzamento o una diminuzione dei tassi di interesse.

Si può notare che il mismatching è qui usato in uno specifico contesto, che tende

a valutare il saldo netto tra il valore aggregato degli attivi e dei passivi derivante

dal cambiamento del livello dei tassi di interesse.

Questo test può essere anche definito come big bang mismatching per

distinguerlo dal cash flow (mis)matching usato nella tradizionale teoria attuariale.

Attualmente vengono utilizzate differenti ipotesi:

1 aumento dei tassi di rendimento di tre punti percentuali per i titoli a reddito

fisso e diminuzione del valore degli investimenti in azioni e beni immobili del

25%;

2 diminuzione dei tassi di rendimento del 20% per i valori a reddito fisso e

diminuzione del valore degli investimenti in azioni ed immobili del 10%;

3 diminuzione dei tassi di rendimento del 10% per i titoli a reddito fisso e

diminuzione del valore degli investimenti del 25%.

Il valore delle riserve matematiche viene invece modificato applicando alle

riserve il tasso di interesse massimo fissato dall’autorità di vigilanza in funzione

1

del rendimento degli attivi, previa deduzione di un margine di sicurezza fissato

anch’esso dalla medesima autorità75.

Se emerge un disallineamento tra il valore modificato dell’attivo rispetto a quello

del passivo (ottenuto applicando i differenti parametri) l’impresa deve provvedere

ad un accantonamento supplementare, mediante la costituzione di una apposita

riserva, cd. riserva per il test di resilience, necessaria a coprire l’eventuale deficit.

In sostanza il test di resilience misura l’elasticità del passivo rispetto all’attivo in

funzione della correlazione temporale dei cash flows: maggiore è il grado di

correlazione, minore sarà la riserva integrativa da costituire.

Il sistema suggerito consiste nella ripartizione degli attivi in relazione alle varie

categorie di passivo (seguendo l’abituale suddivisione di sottoportafogli

omogenei), secondo i valori risultanti dai principi contabili in vigore.

Normalmente il valore degli attivi sarà determinato in base al valore di mercato è

sarà più elevato rispetto al passivo (comprensivo delle riserve matematiche, di

eventuali bonus concessi agli assicurati, tasse e capital gains).

In tale sede dovrà essere posta particolare attenzione alla allocazione delle poste

dell’attivo a seconda delle classi del passivo al fine di minimizzare il grado di

mismatching avuto riguardo alla loro volatilità .

Successivamente, sui valori dell’attivo e del passivo si applicano i parametri di

riduzione o di aumento stabiliti dalle regole sul test di resilience; ciò consente di

capire quale parte del portafoglio contribuisce maggiormente a creare eventuali

squilibri ed in quale direzione vanno i movimenti.

La soluzione finlandese considera i rischi cui è esposta l’impresa di

assicurazione nell’ambito della costituzione di apposite riserve denominate di

equilibrio o di “fluttuazione”.

Esse assolvono il compito di ammortizzare le oscillazioni del risultato di

economico configurandosi come fondi che si alimentano con una parte degli utili

tecnici, negli anni in cui si registrano risultati favorevoli, e dai quali si effettuano

prelievi negli anni in cui i risultati sono invece sfavorevoli.

75 ai sensi dell’art. 18 della direttiva 92/96/CEE.

1

Il modello impiegato si basa sul criterio di “probabilità di rovina”, largamente

usato nella teoria del rischio.

Vengono individuati due livelli di riserva: una minima che garantisca una

probabilità di non rovina pari al 99% nel primo esercizio, e una massima che

garantisca la medesima probabilità di non rovina nei successivi cinque esercizi.

La riserva di equilibrio, così come formulata, tiene in sufficiente considerazione i

rischi tecnici, specie nei rami danni, caratterizzati anche da rilevanti fluttuazioni,

ma non si adatta perfettamente alle imprese vita dove le fluttuazioni di risultati

sono meno evidenti e non considera sufficientemente i rischi di investimento.

A tal fine è obbligatorio in Finlandia che il consiglio di amministrazione

dell’impresa definisca un piano di investimenti che prenda posizione sul

matching tra riserve ed attivi a copertura in termini di durata e di rendimenti e di

rischio di credito.

Sulla base di ciò può ritenersi che l’attuale regolamentazione finlandese tiene in

considerazione il rischio di investimento nella misura in cui esso è pianificato e

gestito dall’impresa.

Tuttavia in Finlandia sono in corso degli approfondimenti per verificare la

necessità di estendere i requisiti richiesti, ai fini del controllo della solvibilità, ai

rischi di investimento sulla base di indicatori matematici di tipo early warning.

Pur non essendovi al riguardo un preciso obbligo di legge, l’autorità di controllo

richiede alle imprese di comunicare la loro situazione sulla base dei modelli

matematici adottati.

La Francia, con decreto dell’agosto 1999 e con successivo

provvedimento attuativo del dicembre 2000, ha introdotto l’obbligo per le

imprese di monitorare l’esposizione ai rischi finanziari effettuando apposite

simulazioni dell’impatto delle variazioni dei livelli dei tassi di interesse, dei corsi

azionari e dei tassi di cambio sugli attivi e sugli impegni verso gli assicurati.

In proposito, è previsto che le imprese debbono valutare i rischi finanziari in via

permanente, effettuando apposite simulazioni secondo la metodologia indicata

nel decreto attuativo. Inoltre, trimestralmente le imprese devono trasmettere alla

Commissione di controllo i risultati delle simulazioni ed un prospetto riportante

1

la situazione dell’attivo e del passivo sulla base sia del valore contabile, che del

valore di mercato.

Gli scenari ipotizzati, riguardano l’effetto di un aumento o di una diminuzione del

tasso di rendimento dei Titoli di Stato a 10 anni, e di una diminuzione del valore

di realizzo delle azioni, delle quote di fondi o dei valori immobiliari e dei tassi di

cambio.

Il decreto attuativo prevede i criteri in base ai quali devono essere condotte le

simulazioni e lascia alla Commissione di controllo la possibilità di chiedere alle

imprese l’effettuazione delle simulazione sulla base di altre ipotesi.

Il prospetto che le imprese sono tenute a trasmettere trimestrale alla Commissione

non appare rappresentativo di una gestione integrata di attivo passivo quanto

piuttosto una valutazione di impatto (stress test) su singole classi di attivo e di

passivo.

Gli strumenti della vigilanza in materia di garanzia finanziaria previsti

dalla normativa italiana sono articolati su un primo livello che opera a priori ed

attiene alla fase di determinazione della garanzia in materia di tasso di interesse

prima dell’emissione contrattuale ed un secondo livello che interviene nel periodo

di vigenza della garanzia, attraverso un meccanismo che impone alle imprese un

monitoraggio periodico tra impegni assunti in termini di tasso di interesse e

rendimento degli attivi rappresentativi delle riserve tecniche.

Nel primo livello, sebbene le ipotesi sottostanti alla determinazione delle tariffe

spettino all’attuario incaricato, la base finanziaria deve essere fissata nel limite

della garanzia massima da stabilire secondo le regole individuate dalla Vigilanza

nel 1998.

Le imprese sono tenute a confrontare periodicamente i livelli delle garanzie

finanziarie presenti nei prodotti assicurativi con l’evoluzione del livello massimo

di tasso di interesse che può essere venduto sul mercato e, qualora necessario, a

rivedere i contenuti della garanzia sui contratti di nuova emissione.

Il meccanismo di determinazione del tasso massimo da applicare ai contratti di

assicurazione sulla vita ed alle operazioni di capitalizzazione espressi in lire, che

per i contratti con generica provvista di attivi non può, in ogni caso, superare il

1

4%, viene determinato mensilmente con riferimento ad un benchmark

rappresentato dal tasso di rendimento lordo a scadenza del Btp decennale, previa

deduzione di un margine prudenziale del 40%. Tuttavia, al fine di evitare che

variazioni nella curva dei tassi di natura non strutturale si ripercuotano sul livello

massimo di garanzia attraverso la rilevazione periodica del benchmark, le norme

prevedono l’adeguamento solo se le ultime tre rilevazioni si discostano, nello

stesso segno ed in misura superiore ad una banda di oscillazione prefissata, dal

tasso massimo in vigore.

E’ stata, in sostanza, delineata una cornice regolamentare che si pone l’obiettivo

di incorporare una parte dell’alea afferente la garanzia finanziaria in fase di

costruzione delle tariffe.

Naturalmente i margini di prudenza impliciti nell’articolazione appena descritta

trovano i loro limiti nella dinamica dei mercati finanziari e nella situazione

reddituale degli attivi detenuti dall’impresa a fronte degli impegni tecnici.

1

4.3 La disciplina: Direttiva 2002/83/CE

La direttiva 2002/83/CE del 5 Novembre 2002 contiene la disciplina

vigente dell’assicurazione vita, ed è il retaggio della lunga serie di direttive che,

dal 1979 in poi, hanno provato a dare maggior chiarezza alla disciplina. Essa è

parte del corpus normativo relativo all’assicurazione sulla vita che include la

direttiva 91/674/CEE del Consiglio, del 19 Dicembre 1991, relativa ai conti

annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione.

Principi generali

Tra le considerazioni iniziali contenute nella direttiva 2002/83/CE,

il Parlamento Europeo, sostiene la necessità di eliminare le divergenze

esistenti tra le legislazioni nazionali in materia di controllo. Al fine di

realizzare questo scopo e nel contempo assicurare una protezione adeguata

degli assicurati in tutti gli Stati membri, viene ritenuto opportuno

coordinare, in particolare, le disposizioni relative alle garanzie finanziarie

richieste alle imprese di assicurazione vita76.

Sempre nella parte introduttiva è presente il principio77 secondo il quale il

completamento del mercato interno, nel settore dell’assicurazione diretta

sulla vita, deve essere completato sotto il duplice profilo della libertà di

stabilimento e della libertà di prestazione di servizi negli Stati membri.

La direttiva rappresenta perciò una tappa importante verso il

ravvicinamento dei mercati nazionali in un unico mercato integrato, e

l’impostazione che viene adottata consiste nell’attuare le forme di

armonizzazione essenziali, necessarie e sufficienti, a rendere possibile il

rilascio, negli Stati membri, di un’autorizzazione unica valida in tutta la

comunità. Di conseguenza, l’accesso all’attività assicurativa e l’esercizio

della stessa sono subordinati alla concessione di un’autorizzazione

amministrativa unica, rilasciata dalle autorità dello Stato membro in cui 76 Nello specifico ci si riferisce al progetto Solvency II, di cui si è trattato nel capitolo precedente. 77 Di cui si è parlato più specificamente nel primo capitolo, relativo al Financial Services Action Plan.

1

l’impresa assicurativa ha la propria sede sociale. Grazie a tale

autorizzazione, l’impresa può svolgere le proprie attività ovunque nella

Comunità.

Ampio spazio viene dedicato alla figura del supervisore, e

vengono indicati i margini che delineano una “non imparzialità”

dell’autorità stessa, con il concetto di stretti legami. Si auspica la

collaborazione tra gli organi di vigilanza e le istituzioni europee, e viene

prevista la possibilità di predisporre un regime di sanzioni uniforme.

Riguardo le compagnie viene formalizzato il principio secondo il

quale l’esercizio dei rami vita e danni non possano essere cumulabili, e per

questo motivo le imprese multiramo dovranno scindersi in due imprese.

Viene spronata la concorrenza fra compagnie per garantire i migliori

standard di prodotto e di prezzo, e vengono puntualizzati alcuni paletti

relativamente alla pubblicità ed all’informazione contrattuale.

Argomento di scottante importanza è la tutela degli assicurati, che

viene perseguita mediante diverse linee guida, prima fra tutte la

costituzione di sufficienti riserve tecniche. Si auspica la necessità di

coordinare le norme concernenti il calcolo delle riserve tecniche, le cui

differenziazioni all’interno degli Stati membri potrebbero diminuire il

livello di sicurezza degli assicurati.

Nel capitolo precedente si è dato ampio spazio al margine di

solvibilità, altro elemento di spicco della tutela degli assicurati stessi. La

direttiva dispone che le imprese di assicurazione siano in possesso, oltre

che di riserve tecniche sufficienti a far fronte agli impegni contratti, di una

riserva complementare, detta appunto margine di solvibilità, rappresentata

dal patrimonio libero e, con l’accordo dell’autorità competente, da

elementi impliciti del patrimonio, destinata ad ammortizzare gli effetti di

eventuali variazioni economiche favorevoli. Questo requisito, recita la

direttiva, costituisce un elemento importante del sistema di vigilanza

prudenziale mirante a proteggere gli interessi degli assicurati.

Viene dedicata attenzione anche alla costituzione di un fondo di garanzia,

costituito da elementi impliciti del patrimonio, e aggiornabile in maniera

1

dinamica in parallelo all’evoluzione dell’indice europeo dei prezzi al

consumo.

Definizioni e campo di applicazione

La direttiva definisce il concetto di impresa di assicurazione

(art.1): ogni impresa che abbia ottenuto l’autorizzazione amministrativa

conformemente al principio di autorizzazione. L’autorizzazione deve

essere richiesta alle autorità dello Stato membro di origine, e vengono

elencate le condizioni per l’ottenimento della stessa: le forme societarie78,

l’esclusività dell’attività assicurativa, la presentazione di un programma di

attività conformi al disposto della direttiva, il possesso del fondo di

garanzia minimo, il rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità

degli operatori.

Il programma di attività è una condizione necessaria per l’ottenimento

dell’autorizzazione e deve contenere alcuni elementi fondamentali: la

natura degli impregni che l’impresa si propone di assumere, i principi in

materia di riassicurazione, gli elementi che costituiscono il fondo minimo

di garanzia, le previsioni circa le spese e i mezzi finanziari destinati a farvi

fronte. Inoltre per i primi tre esercizi sociali l’impresa ha l’obbligo di

esporre le previsioni relative al bilancio, alla tesoreria, e ai mezzi

finanziari destinati alla copertura degli impegni e del margine di

solvibilità.

L’autorizzazione viene accordata per ramo, e, una volta ottenuta, è valida

per l’intera Comunità.

Ogni decisione di rifiuto dell’autorizzazione deve essere adeguatamente

motivata e notificata all’impresa interessata.

Condizioni di esercizio dell’attività assicurativa

78 Per quanto riguarda la Repubblica italiana le forme societarie previste sono “società per azioni”, “società cooperativa”, “mutua di assicurazione”. Viene prevista la possibilità di utilizzare la forma della società europea.

1

La vigilanza finanziaria su un’impresa di assicurazione, rientra

nella competenza esclusiva dello Stato membro d’origine. Essa comprende

in particolare la verifica dello stato di solvibilità e della costituzione delle

riserve tecniche, comprese le riserve matematiche, e delle altre attività

esercitate in conformità delle norme comunitarie.

Riguardo le succursali, vige il principio che le autorità competenti dello

Stato membro di orgine possano eseguire controlli ed indagini nello Stato

della succursale, e che quest’ultimo possa a sua volta partecipare alla

verifica.

Gli Stati membri impongono alle imprese di assicurazione la

presentazione di un resoconto annuale, per tutte le operazioni, relativo alla

loro situazione finanziaria e al loro stato di solvibilità.

Gli Stati membri devono altresì consentire alle competenti autorità di

vigilanza di informarsi dettagliatamente circa la situazione delle imprese di

assicurazione e le sue attività complessive, e di prendere nei confronti

dell’impresa di assicurazione e dei suoi rappresentanti le misure

necessarie per garantire che le attività dell’impresa siano conformi alla

legislazione, ed, infine, di assicurare l’applicazione delle leggi, se

necessario mediante esecuzione coattiva.

Gli articoli 14 e seguenti della direttiva si occupano di disciplinare

dettagliatamente l’esercizio del trasferimento del portafoglio (art.14), la

partecipazione qualificata (art.15), il segreto d’ufficio (art.16), gli obblighi

dei revisori (art.17) e l’esercizio cumulativo (art.18) e la gestione distinta

delle attività di assicurazione vita e non vita.

Riguardo quest’ultima (art.19) la direttiva precisa che le gestione distinta

deve essere organizzata in modo tale che le attività disciplinate siano

separate affinché non si rechi pregiudizio ai rispettivi interessi degli

assicurati dei rami danni e vita, ed affinché gli obblighi finanziari minimi,

in particolare il margine di solvibilità, non siano sostenute dall’altra

attività.

1

In caso di insufficienza di uno dei margini di solvibilità, le autorità

competenti applicano all’attività in cui si riscontra tale insufficienza le

misure previste dalla corrispondente direttiva, a prescindere dai risultati

ottenuti nell’altra attività.

Le riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia

All’articolo 20 la direttiva dispone la prescrizione a carico delle

imprese di assicurazione di costituire riserve tecniche sufficienti,

delineandone l’ammontare in base ad una serie di principi.

Innanzitutto, nel calcolo delle riserve tecniche, deve essere utilizzato un

metodo attuariale prospettivo sufficientemente prudente, tenendo conto di

tutti gli obblighi futuri conformemente alle condizioni stabilite per ciascun

contratto in corso.

La prudenza viene intesa come valutazione che comprenda un margine

ragionevole per variazioni sfavorevoli dei vari fattori pertinenti.

Le riserve tecniche devono essere calcolate separatamente per ciascun

contratto, ma ciò non impedisce la costituzione di riserve per rischi

generali che non sono riferibili ad elementi singoli.

L’impresa deve mettere a disposizione del pubblico i metodi e le basi

utilizzati per la valutazione delle riserve tecniche, compreso

l’accantonamento della partecipazione agli utili.

All’articolo 22 la direttiva dispone che gli attivi a copertura delle riserve

tecniche devono tener conto del tipo di operazioni effettuate dall’impresa

di assicurazione in modo da assicurare la sicurezza, il rendimento e la

liquidità degli investimenti dell’impresa, che provvederà all’adeguata

diversificazione e dispersione di tali investimenti.

L’articolo 23 disciplina quali sono le categorie di attivi che lo Stato

membro può autorizzare a copertura delle riserve tecniche, diversificandoli

in: investimenti, crediti, altri attivi. Lo Stato membro non deve

1

necessariamente autorizzare questi attivi, ed in ogni caso l’impresa deve

farne una valutazione prudenziale al netto dei debiti contratti per acquisire

gli attivi stessi.

L’articolo 24 impone determinati paletti relativi alla diversificazione degli

investimenti e delega gli Stati membri a legiferare più dettagliatamente in

materia di attivi consentiti.

Nel capitolo precedente si è parlato approfonditamente del progetto

Solvency II, il quale innoverà profondamente la disciplina del margine di

solvibilità.

Il margine di solvibilità, nella definizione della direttiva, è costituito dal

patrimonio dell’impresa di assicurazione, libero da qualsiasi impegno

prevedibile, comprendente: il capitale sociale versato, le riserve libere, gli

utili o le perdite al netto dei dividendi da pagare, gli utili che figurano

nello stato patrimoniale. La direttiva prevede un’esaustiva elencazione di

elementi che, eventualmente, possono diventare voci del margine di

solvibilità, e all’articolo 28 predispone gli elementi per il calcolo del

margine di solvibilità richiesto.

Il fondo di garanzia corrisponde ad un terzo del margine di solvibilità, e

non può essere inferiore a tre milioni di Euro.

Imprese di assicurazione in difficoltà

Un elemento qualificante per individuare un’impresa di

assicurazione in difficoltà è certamente quella della mancata

conformazione all’articolo 20 della direttiva, quello dedicato alla

costituzione delle riserve tecniche.

Questo principalmente perché un’impresa che non rispetta le regole

prudenziali su riserve tecniche, margine di solvibilità e fondo di garanzia è

un potenziale rischio per tutte le parti che vengono in contatto con essa,

soprattutto per gli assicurati.

1

L’autorità competente dello Stato membro deve esigere dall’impresa un

piano di risanamento da sottoporre ad esame, qualora ritenga che i diritti

degli assicurati siano a rischio.

Il piano di risanamento devo contenere quantomeno la seguente

documentazione: previsioni relative alle spese di gestione, un piano che

esponga dettagliatamente le previsioni di entrata e di spesa, sia per le

operazioni dirette e per le operazioni di riassicurazione, la situazione

probabile di tesoreria, previsioni relative ai mezzi finanziari destinati alla

copertura degli impegni e del margine di solvibilità richiesto, la politica di

riassicurazione nel suo complesso.

Al fine di garantire gli assicurati da rischi, le autorità competenti possono

disporre alle imprese di assicurazione la costituzione di un margine di

solvibilità più elevato, determinato sulla base del piano di risanamento.

L’autorizzazione accordata all’impresa di assicurazione

dall’autorità competente può essere revocata da questa quando

l’impresa: non ne fa uso espressamente entro dodici mesi, non soddisfi più

le condizioni di accesso, non ha potuto realizzare le misure previste dal

piano di risanamento, manca gravemente agli obblighi che le incombono

in virtù della normativa vigente. Qualsiasi decisione di revoca,

naturalmente, deve essere adeguatamente motivata e notificata all’impresa

di assicurazione.

L’autorità competente dello Stato membro si attiva per informare della

revoca dell’autorizzazione le autorità competenti degli altri Stati membri,

in modo da evitare che l’impresa di assicurazione interessata possa iniziare

attività in essi.

Libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi

Un’impresa di assicurazione che decida di iniziare ad operare in un

altro Stato membro deve darne notizia all’autorità competente dello Stato

membro originario. In questa notifica devono essere contenuti tutti gli

elementi qualificanti dell’attività che l’impresa sta per intraprendere, in

1

modo tale da permettere all’autorità di valutare il progetto. Qualora non si

verifichino problemi entro tre mesi l’autorità competente dello Stato

membro di origine deve comunicare tutti gli elementi contenuti nella

notifica allo Stato membro della succursale e ne informa l’impresa

interessata.

Una volta ricevuta una notifica dall’autorità competente dello Stato

membro della succursale, la succursale stessa può stabilirsi ed iniziare

l’attività.

Riguardo invece la libera prestazione di servizi, l’impresa è

tenuta ad informare preventivamente l’autorità competente dello Stato

membro precisando la natura dei rischi che si propone di coprire.

Allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni nazionali

relative ai contratti di assicurazione, lo Stato membro della succursale o

della prestazione di servizi può esigere da ogni impresa che intenda

effettuare sul suo territorio operazioni assicurative, la comunicazione non

sistematica delle condizioni o degli altri documenti che essa intende

applicare, senza che tale esigenza possa costituire per l’impresa di

assicurazione una condizione preliminare per l’esercizio della sua attività.

Un’impresa che non ottemperi alla normativa vigente viene invitata a porre

rimedio alle criticità evidenziate; se essa non ottempera all’invito l’autorità

competente dello Stato membro di origine si interessa di informare la

autorità degli Stati dove l’impresa opera in regime di stabilimento o di

libera prestazione di servizi, che applicano le misure da essi ritenute

adeguate.

Altre disposizioni

Un elemento fondamentale per la gestione dell’attività assicurativa

nell’Unione è sicuramente la cooperazione tra gli Stati membri e la

Commissione.

Questo stretto rapporto si estrinseca nella comunicazione costante delle

anomalie e delle criticità incontrate dalle autorità competenti a vigilare sul

1

mercato assicurativo, e sull’emissione di un rapporto di attività da

sottoporre periodicamente al monitoraggio della Commissione79.

79 La relazione sull’evoluzione del mercato delle assicurazioni e delle operazioni esercitati in regime di libera prestazione di servizi è stato trasmesso per la prima volta il 20 Novembre 1995.

1

4.4 La disciplina in Italia. Circolare ISVAP 551/d: Le norme di

trasparenza delle polizze vita

L’assicurazione sulla vita è un importante collettore del risparmio. Per

questo motivo la stipula del contratto richiede grande attenzione da parte del

cliente ed estrema chiarezza e completezza d’informazione da parte

dell’intermediario.

L’obiettivo è quello di far sì che il cliente acquisti con consapevolezza un

prodotto che risponda nel migliore dei modi alle sue esigenze potendo confrontare

diverse offerte con criteri univoci.

Questo è il senso dell’evoluzione normativa degli ultimi anni: aumentare il grado

di trasparenza per far evolvere e crescere anche quantitativamente il mercato.

L’attuale punto di arrivo della normativa di trasparenza è la circolare ISVAP

551/d del 01/03/2005 che costituisce “il nuovo testo unitario in materia di

trasparenza dei prodotti di assicurazione sulla vita”.

La stessa circolare fissa in maniera molto chiara le modalità di redazione della

documentazione prescrivendo la dimensione minima del testo, i limiti di utilizzo

di parole come “garanzia, garantito e capitale protetto”, impone l’uso di un

linguaggio chiaro e comprensibile, proibendo i messaggi pubblicitari.

A partire dal 1 Ottobre 2004, l’ISVAP ha obbligato le imprese di assicurazione a

pubblicare sui propri siti Internet le note informative e le condizioni di polizza dei

loro prodotti (circolare n.533 del 4/06/2004).

La circolare 551 prescrive che prima della sottoscrizione della proposta al

potenziale cliente venga consegnato un fascicolo informativo contenente:

nota informativa e progetto esemplificativo;

scheda sintetica;

condizioni di assicurazione comprensive di: regolamento del fondo interno

(per i contratti Unit Linked), regolamento per la gestione interna separata

(per i contratti a prestazioni rivalutabili);

glossario;

modulo di proposta.

1

La nota informativa contiene tutte le informazioni preliminari per sottoscrivere

con consapevolezza la proposta e il contratto (D.Lgs.n.174/1995 art.109). Le

informazioni precontrattuali sono suddivise in :

informazioni relative all’impresa (denominazione sociale, forma

giuridica);

informazioni relative al contratto (definizione di ciascuna garanzia e

opzioni possibili, modalità di esercizio e di calcolo del diritto di recesso,

indicazioni generali relative al regime fiscale applicabile al contratto).

Le informazioni in corso di contratto devono contenere la variazione delle

informazioni relativamente all’impresa e al contratto, in particolare le modifiche

intercorse alle informazioni fornite prima della conclusione del contratto, come

garanzia, durata, modalità di scioglimento, ecc..

La compagnia di assicurazione ha l’obbligo di consegnare la nota informativa al

contraente, e la consegna di essa deve essere attestata da apposita dichiarazione

contenuta nella proposta.

Il progetto esemplificativo deve essere consegnato insieme alla nota informativa

per i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e presenta lo

sviluppo del capitale o della rendita assicurati e dei premi nel corso della durata

contrattuale con l’evidenza, ad ogni ricorrenza annuale, dei valori di riscatto e di

riduzione.

La scheda sintetica descrive le caratteristiche essenziali del contratto – le

tipologie di prestazioni assicurate, le garanzie di rendimento, i costi e i dati storici

di rendimento delle gestioni separate o dei fondi a cui sono collegate le

prestazioni – in termini facilmente percepibili dal potenziale contraente. Tale

documento informativo sintetico redatto secondo un preciso schema previsto

dall’ISVAP, deve essere consegnato dalla Compagnia al potenziale contraente

prima della conclusione del contratto.

Il dovere di trasparenza da parte delle Compagnie di Assicurazione non si

esaurisce nel momento della conclusione del contratto ma si manifesta durante

tutto il corso del contratto stesso.

Vi sono vari tipi di informativa in corso di contratto.

1

La lettera di conferma di investimento dei premi per i contratti unit linked.

Per comunicare l’ammontare del premio lordo versato e di quello investito, la data

di decorrenza della polizza, il numero delle quote attribuite al contratto, il loro

valore unitario, nonché il giorno cui tale valore si riferisce (data di

valorizzazione). Per i premi successivi al primo, la comunicazione avviene entro

10 giorni lavorativi dalla data di valorizzazione delle quote.

Un altro elemento importante è la pubblicazione su quotidiani e siti Internet di

dati relativi al contratto e all’impresa. Vige l’obbligo di pubblicare

giornalmente almeno su un quotidiano a diffusione nazionale e sul sito Internet

dell’impresa le caratteristiche salienti delle polizze index e unit linked e quelle

degli eventuali nuovi prodotti.

Altri elementi relativi alla trasparenza sono: l’estratto conto annuale che

contiene tutte le caratteristiche salienti dell’investimento effettuato dal cliente, la

comunicazione in caso di perdite (per i contratti unit e index linked per

variazioni di circa il 30% del controvalore e del valore di riscatto), la variazione

del tasso di interesse garantito per i contratti a premi unici ricorrenti le imprese

comunicano preventivamente per iscritto al contraente la variazione del tasso,

comunicazioni in caso di esercizio di opzioni contrattuali, al massimo 60 giorni

prima dalla data di possibilità di esercizio dell’opzione l’impresa deve fornire per

iscritto all’avente diritto una descrizione di tutte le opzioni esercitabili.

1

4.5 La disciplina in Italia: il Codice Civile

La disciplina dell’assicurazione sulla vita contenuta nel Codice Civile

Italiano è contenuta nel Libro IV Titolo III Capo XX Sezione III

“Dell’assicurazione sulla vita”.

Art. 1919 Assicurazione sulla vita propria o di un terzo

L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un

terzo. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida

se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione

del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto (2725).

Art. 1920 Assicurazione a favore di un terzo

E' valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo (1411 e seguenti).

La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di

assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata

all'assicuratore, o per testamento (587 e seguente, 649); essa e efficace

anche se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a

designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a

favore di una determinata persona.

Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai

vantaggi dell'assicurazione (1411, 1923).

Art. 1921 Revoca del beneficio

La designazione del beneficiario è revocabile con le forme con le quali può

essere fatta a norma dell'articolo precedente. La revoca non può tuttavia

farsi dagli eredi dopo la morte del contraente, né dopo che, verificatosi

l'evento, il beneficiario ha dichiarato di voler profittare del beneficio

(1411).

1

Se il contraente ha rinunziato per iscritto al potere di revoca, questa non ha

effetto dopo che il beneficiario ha dichiarato al contraente di voler

profittare del beneficio. La rinuncia del contraente e la dichiarazione del

beneficiario devono essere comunicate per iscritto all'assicuratore (att.

188).

Art. 1922 Decadenza dal beneficio

La designazione del beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto

qualora il beneficiario attenti alla vita dell'assicurato (801).

Se la designazione e irrevocabile ed è stata fatta a titolo di liberalità, essa

può essere revocata nei casi previsti dall'art. 800 (att. 188).

Art. 1923 Diritti dei creditori e degli eredi

Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario non

possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare (Cod. Proc. Civ.

491 e seguenti, 670 e seguenti).

Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla

revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori (2901 e

seguenti) e quelle relative alla collazione (737 e seguenti), all'imputazione

(747) e alla riduzione (555 e seguenti) delle donazioni.

Art. 1924 Mancato pagamento dei premi

Se il contraente non paga il premio relativo al primo anno, l'assicuratore

può agire per l'esecuzione del contratto nel termine di sei mesi dal giorno

in cui il premio è scaduto. La disposizione si applica anche se il premio è

ripartito in più rate, fermo restando il disposto dei primi due commi

dell'art. 1901; in tal caso il termine decorre dalla scadenza delle singole

rate.

1

Se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza

previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla

scadenza, il contratto è risoluto di diritto (1453 e seguenti), e i premi

pagati restano acquisiti all'assicuratore, salvo che sussistano le condizioni

per il riscatto dell'assicurazione o per la riduzione della somma assicurata.

Art. 1925 Riscatto e riduzione della polizza

Le polizze di assicurazione devono regolare i diritti di riscatto e di

riduzione della somma assicurata, in modo tale che l'assicurato sia in

grado, in ogni momento, di conoscere quale sarebbe il valore di riscatto o

di riduzione dell'assicurazione.

Art. 1926 Cambiamento di professione dell'assicurato

I cambiamenti di professione o di attività dell'assicurato non fanno cessare

gli effetti dell'assicurazione, qualora non aggravino il rischio in modo tale

che, se il nuovo stato di cose fosse esistito al tempo del contratto,

l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione (1898).

Qualora i cambiamenti siano di tale natura che, se il nuovo stato di cose

fosse esistito al tempo del contratto, l'assicuratore avrebbe consentito

l'assicurazione per un premio più elevato, il pagamento della somma

assicurata è ridotto in proporzione del minor premio convenuto in

confronto di quello che sarebbe stato stabilito.

Se l'assicurato dà notizia dei suddetti cambiamenti all'assicuratore, questi,

entro quindici giorni, deve dichiarare se intende far cessare gli effetti del

contratto ovvero ridurre la somma assicurata o elevare il premio.

Se l'assicuratore dichiara di voler modificare il contratto in uno dei due

sensi su indicati, l'assicurato, entro quindici giorni successivi, deve

dichiarare se intende accettare la proposta.

1

Se l'assicurato dichiara di non accettare, il contratto e risoluto, salvo il

diritto dell'assicuratore al premio relativo al periodo di assicurazione in

corso e salvo il diritto dell'assicurato al riscatto. Il silenzio dell'assicurato

vale come adesione alla proposta dell'assicuratore.

Le comunicazioni e dichiarazioni previste dai commi precedenti possono

farsi anche mediante raccomandata (att. 187).

Art. 1927 Suicidio dell'assicurato

In caso di suicidio dell'assicurato, avvenuto prima che siano decorsi due

anni dalla stipulazione del contratto, l'assicuratore non è tenuto al

pagamento delle somme assicurate, salvo patto contrario.

L'assicuratore non è nemmeno obbligato se, essendovi stata sospensione

del contratto per mancato pagamento dei premi (1901), non sono decorsi

due anni dal giorno in cui la sospensione e cessata.

1

4.6 La disciplina in Italia: D.Lgs. 209 07/09/05 “la tutela del consumatore

nel nuovo codice delle assicurazioni”

Il Nuovo codice delle assicurazioni, introdotto con il decreto legislativo 7

Settembre 2005 n.209, ha innovato il piano normativo in materia di assicurazioni,

sostituendo oltre mille norme vigenti, con soli 335 articoli.

La volontà del legislatore, dunque, è stata quella di semplificare l’assetto

normativo, abrogando completamente norme vetuste come due regi decreti, quello

del 23 marzo 1922 n. 387 “istituzione di un casellario centrale generale per la

raccolta e la conservazione delle schede relative a casi di infortunio sul lavoro, i

quali importino invalidità permanente”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, del 6

aprile 1922, n. 81 e il regio decreto 4 gennaio 1925, n. 63, “regolamento per la

esecuzione del R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle

assicurazioni private, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 1925 n. 35.

Il decreto legislativo introduce una nuova disciplina volta a rafforzare il ruolo

della Isvap, abrogando alcuni articoli della legge 12 agosto 1982 n. 576 detta

“riforma della vigilanza sulle assicurazioni”.

Il Nuovo codice ha, inoltre, introdotto alcune importanti tutele volte a rafforzare la

posizione del contraente debole, il consumatore – assicurato.

Il codice delle assicurazioni si prefigge, in conformità al nuovo codice del

consumo, di rimediare ad una situazione asimmetria contrattuale, assicuratore da

un lato (contraente forte) e assicurato dall’altro (contraente debole), attraverso una

corretta informativa pre-contrattuale al fine di realizzare una situazione di parità

tra i contraenti e consentire così il libero esplicarsi dell’autonomia contrattuale.

Queste tutele risultano essere necessarie non solo perché vi è uno squilibrio

giuridico ed economico delle due parti contrattuali, ma perché il contratto di

assicurazione è un contratto di massa ove l’uniforme disciplina dei singoli

rapporti contrattuali viene attuata attraverso la predisposizione da parte delle

imprese, del contenuto contrattuale, delle tariffe, dei premi, delle condizioni

generali di contrattuale, elaborate sulla base di un calcolo statistico, il quale tiene

1

conto del fabbisogno finanziario occorrente per predisporre l’operazione, per

ciascuna annualità assicurativa, al fine di far fronte agli obblighi contrattuali

assunti.

Il consumatore si trova di fronte ad una variegata tipologia di contratti che offrono

vari servizi, fino ad oggi, proposti senza considerare se erano effettivamente

idonei ai bisogni e alle necessità degli assicurati. Ad oggi, il nuovo codice delle

assicurazioni impone all’intermediario assicurativo di illustrare i vantaggi della

polizza proposta in modo esauriente e di proporre quella che maggiormente si

conforma alle esigenze del consumatore.

Vi è dunque, un obbligo di informativa precontrattuale del consumatore, obbligo

che nel nostro ordinamento rappresenta la tipica forma di tutela del consumatore

nei contratti di massa.

A dimostrazione di quanto detto, a contrario, si osservi che le tutele poste a favore

del consumatore non operano nel caso in cui le condizioni contrattuali siano state

oggetto di effettiva trattativa individuale ( ex art. 1469 – ter comma 4 c.c., trasfuso

nel codice del consumo). La legge a tutela del consumatore, in buona sostanza, si

preoccupa di assicurare in modo spesso imperativo la conoscenza preliminare da

parte del contraente debole, in questo caso l’assicurato, delle clausole contrattuali

( art. 1469 quinquies comma 2, n. 3 c.c. ecc. trasfuso nel codice del consumo o la

legge sulla multiproprietà) per consentire una consapevole stipulazione del

contratto.

In precedenza, il legislatore non imponeva un obbligo tassativo di informazione in

materia assicurativa.

Il nuovo codice attribuisce invece, rilevanza giuridica alla fase pre contrattuale,

conferendo all’ISVAP il compito di regolamentazione della materia informativa,

pre-contrattuale al fine di assicurare una minore disparità fra le parti contraenti e

un rafforzamento della posizione del contraente debole ossia l’assicurato.

Del resto, qualora l’intermediario e dunque, la compagnia assicurativa per il

tramite della quale opera offra un prodotto, illustrato pre - contrattualmente in un

determinato modo, che in seguito si dimostri diverso da quello proposto incorrerà

1

nella responsabilità ex art. 1337 c.c., responsabilità ancor più rilevante

giuridicamente, di quanto non fosse in passato, per i motivi sopra indicati.

Il codice delle assicurazione tenta di tutelare un interesse primario che è quello

dell’esatta conoscenza dei termini del contratto, sulla base dell’informazione

offerta, secondo i regolamenti emessi dall’ISVAP.

A dimostrazione di quanto detto si legge che l’art. 120 rubricato “informazione

pre - contrattuale e regole di comportamento” che impone all’intermediario

assicurativo di informare, in caso di conclusione del contratto o di modifiche

rilevanti o di rinnovo sulle base delle indicazioni stabilite dall’ISVAP con

regolamento.

In relazione al contratto proposto gli intermediari sono tenuti a fornire consulenze

fondate su un analisi imparziale offrendo il prodotto migliore per l’utente ossia

“idoneo a soddisfare le richieste del contraente”. Inoltre, se viene proposto

all’assicurato un determinato prodotto, al contraente dovrà indicare l’impresa con

cui avrà a che fare.

In ogni caso, anche dopo la conclusione del contratto di assicurazione,

l’assicurante dovrà proporre all’assicurato anche in base alle informazioni

fornite al contraente un prodotto adeguato alle sue esigenze, previamente

illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e le prestazioni alle quali è

obbligata l’impresa di assicurazione.

L’ISVAP ha un ruolo chiave in quanto dovrà regolamentare a seconda delle

esigenze degli assicurati, delle categorie di rischio, delle cognizioni e della

capacità professionale degli addetti all’intermediazione le regole di

comportamento e di presentazione nei confronti del contraente con riferimento

agli obblighi di informazione relativi all’intermediario medesimo e ai rapporti con

l’impresa assicurativa, alle caratteristiche del contratto proposto in relazione

all’eventuale prestazione di servizio di consulenza fondata su un’analisi

imparziale o dell’esistenza degli obblighi assunti per la promozione e

l’intermediazione con una o più imprese di assicurazione.

L’Isvap può regolamentare le modalità con le quali è fornita l’informazione al

contraente prevedendo i casi nei quali può essere effettuata su richiesta, di regola,

1

l’uso della lingua italiana e la comunicazione su un supporto accessibile e

durevole al più tardi subito dopo la stipula del contratto, le modalità di tenuta

della documentazione concernente l’attività svolta, violazioni alle quali si

applicano le sanzioni disciplinari previste dall’art. 329, sono esclusi gli

intermediari che operano nei grandi rischi o nel settore riassicurativo.

Quanto detto sin ora, dimostra che il legislatore ha voluto inserire nella materia

assicurative quelle tutele tipiche che il nostro ordinamento prevedeva in materia di

vendite, di intermediazione e di finanziamento a garanzia del contraente più

debole ossia il consumatore.

Il legislatore ha continuato ad innovare il panorama legislativo recependo la

normativa di diritto del consumatore nelle vendite a distanza in caso di contratti

assicurativi stipulati on line.

In particolare, l’Art. 121 “informazione precontrattuale in caso di vendita a

distanza”, impone l’obbligo all’intermediario a fine della chiamata di indicare

l’identità della persona in contatto con il contraente e il suo rapporto con

l’intermediario assicurativo, nonché una descrizione delle principali caratteristiche

del servizio o prodotto offerto, nonché il prezzo totale comprese le imposte che il

contraente dovrà corrispondere.

In ogni caso l’informativa è fornita al cliente prima della conclusione del contratto

di assicurazione. Può essere fornita verbalmente solo a richiesta del contraente o

qualora sia necessaria una copertura immediata del rischio, con supporto

informativo subito dopo la conclusione del contratto. Anche in questo caso

l’ISVAP può regolamentare le modalità di informazioni sulle caratteristiche del

contratto.

Il nuovo codice prevede l’obbligo specifico per le imprese di assicurazione di

scrivere le condizioni del contratto in modo chiaro ed esauriente (art. 166 I

comma codice delle assicurazioni), imponendo inoltre, una specifica evidenza

delle clausole che riportano la limitazione delle garanzie ( art. 166 II comma del

codice delle assicurazioni).

1

L’art. 167 del codice stabilisce che è nullo il contratto di assicurazione stipulato

con un’impresa non autorizzata o con un’impresa alla quale sia fatto divieto di

assumere nuovi affari.

La nullità in questo caso può essere fatta valere solo dal contraente e

dall’assicurato. La nullità impone la restituzione dei premi pagati. In ogni caso

non sono ripetibili gli indennizzi e le somme eventualmente corrisposte o dovute

dall’impresa agli assicurati ed agli altri aventi diritti.

L’art. 167 del codice delle assicurazioni introduce una norma c.d. di protezione

del contraente debole, prevedendo, come rimedio nei casi elencati, la nullità

relativa esperibile dal solo assicurato.

La norma ha, quindi, natura inderogabile e non può essere valido oggetto di

autonoma trattativa o transazione fra le parti.

La norma dell’art. 167 del nuovo codice ricorda quella introdotta dal legislatore in

tema di nullità del contratto ad oggetto l’obbligo di fideiussione in tema di vendite

immobiliari sulla carta ex art. decreto legislativo n. 122 del 2005.

1

4.7 Un confronto europeo sui conti economici delle imprese di

assicurazione del ramo vita

Confrontare i risultati economici delle imprese di assicurazione che

operano esclusivamente nel ramo vita nei principali paesi dell’area dell’Euro non

è attività agevole, soprattutto in luce della diversificazione delle fonti. I dati

relativi a singole compagnie assicurative che esercitano esclusivamente il ramo

vita sono tratti dal database ISIS commercializzato da Bureau van Dijk che

raccoglie le informazioni messe a disposizione dalla società di ratin Fitch-IBCA

sullo stato patrimoniale e sui conti economici delle imprese di assicurazione.

Per quel che riguarda il periodo che va dal 1998 al 2002 le principali conclusioni

sono:

il mercato vita si è sviluppato in Italia più rapidamente rispetto agli

altri paesi, anche perché all’inizio del periodo era più contenuta la

diffusione dei prodotti assicurativi;

in Italia è molto più ampia la diffusione dei prodotti unit-linked, prodotti

con caratteristiche finanziarie assimilabili ai fondi comuni di investimento;

gli utili lordi in rapporto al capitale (ROE lordo) sono scesi in Italia,

Francia e Germania tra il 1998 e il 2002 in corrispondenza con la caduta

dei mercati finanziari; c’è una dispersione molto forte nei risultati delle

singole imprese italiane: nel 2002 a fronte di un ROE lordo per l’impresa

mediana pari al 5,7%, un quarto delle imprese hanno avuto utili lordi

superiori al 17,5% del capitale; ma un quarto delle imprese ha invece

sopportato perdite per oltre il 5% del capitale;

il rapporto tra spese complessive (inclusive delle provvigioni di

acquisizione e delle spese di amministrazione) e i premi netti contabilizzati

(indicatore che approssima il costo delle polizze) è sceso per l’impresa

mediana italiana dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002, il valore più basso

nel confronto con l’impresa mediana in Francia, Germania e Spagna. Vi è

una forte dispersione tra le imprese del valore di questo indicatore

1

(expense ratio): un quarto delle imprese ha un rapporto tra costi e premi

inferiore al 3,8%, mentre un altro quarto ha un rapporto superiore all’11%.

Nel 2002 le imprese di assicurazione che esercitano esclusivamente

l’assicurazione vita censite su ISIS sono 319, di cui 45 operano in Francia, 188 in

Germania, 44 in Italia, 42 in Spagna.

La crescita dei premi è stata molto più forte in Italia che negli altri paesi

riflettendo un grado di diffusione dell’assicurazione vita molto più limitato

all’inizio del periodo di osservazione. Tra il 1996 e il 2002 il rapporto tra premi e

PIL è salito dall’1,4% al 4,4%: l’ammontare dei premi pro-capite è passato da 238

a 96080.

Per l’impresa mediana italiana la crescita annuale dei premi è stata pari al 50,7%

nel 1998, al 21,1 nel 1999, all’8,1 nel 2000, al 15,1 nel 2001 all’8,8 nel 2002. La

dispersione dei tassi di crescita è molto ampia. Nel 2002 un quarto delle imprese

ha incrementato i premi di oltre il 33% rispetto al 2001, ma un altro quarto delle

imprese ha avuto una riduzione di oltre il 9%.

Una caratteristica del mercato italiano è stato il forte sviluppo delle polizze unit e

equity linked, contratti a fronte dei quali sono accantonate riserve pari al 46%

delle riserve complessive (sempre per l’impresa mediana). La quota è molto più

bassa in Francia (13,9%) e in Spagna (4,4%) mentre è pressoché nulla in

Germania.

L’indicatore sintetico per misurare la redditività delle imprese è il rapporto

tra l’utile prima delle tasse e i mezzi patrimoniali (definito come la somma del

capitale sociale sottoscritto, delle riserve per azioni proprie, delle riserve di

perequazione, delle altre riserve e dell’utile/perdita di esercizio).

Nei tre paesi più grandi gli utili in rapporto ai mezzi patrimoniali sono scesi tra il

1998 e il 2002. Per l’impresa mediana, in Francia sono scesi dal 10,1% al 3,1%, in

80 Secondo i dati pubblicati dal CEA, in Francia l’incidenza dei premi sul PIL è passato tra il 1996 e il 2002 dal 5,9% al 5,6%, in Germania dal 2,6% al 3,1%, in Spagna dal 2,2% al 3,7%. Nello stesso periodo l’ammontare dei premi pro-capite è salito in Francia da 1.216 a 1.450, in Germania da 583 a 796, in Spagna da 259 a 667.

1

Germania dal 14,2% al 5,7%, in Italia dal 10,2% al 5,7%, in Spagna gli utili in

rapporto al matrimonio sono rimasti sostanzialmente costanti.

La dispersione dei risultati tra le imprese è molto forte in Italia. Un quarto

delle imprese hanno avuto nel 2002 utili superiori al 17,5% del capitale; ma un

quarto del sistema ha invece sopportato perdite per oltre il 5% del capitale. Solo in

Spagna si ha una dispersione dei risultati accentuata come quella registrata in

Italia.

L’expense ratio (definito come la somma delle spese di acquisizione e di

quelle di amministrazione in rapporto ai premi netti contabilizzati) è sceso in

Italia, sempre per l’impresa mediana, dall’8,9% nel 1998 al 7,1% nel 2002. Nel

2002 si collocava sul valore europeo più basso: in Francia era pari al 7,5%, in

Spagna all’8,2%, in Germania al 15,2%.

Per un’analisi riferita a tutte le imprese che esercitano il ramo vita (anche

quelle che operano contemporaneamente al ramo danni, cosiddette imprese

composite), relativa a un periodo più lungo e dettagliata secondo la tipologia di

compagnia di assicurazione sulla base dei canali di vendita, ecco uno stralcio della

Relazione della Banca d’Italia 2003:

“Secondo le statistiche dell’ISVAP relative alle compagnie di

assicurazione del ramo vita, nel 2001 l’incidenza dei costi complessivi

sull’ammontare dei premi lordi era pari al 6,6%. Essa risultava pari al 10% per

le compagnie che operano prevalentemente attraverso agenzie proprie, rispetto

all’8,7% e al 4,1% rispettivamente, per quelle che effettuano la raccolta mediante

SIM o sportelli bancari. Per il complesso delle compagnie tra il 1993 e il 2001

l’incidenza dei costi sui premi è scesa sensibilmente, dal 19,7% al 6,6%; la

riduzione ha riflesso soprattutto la diminuzione dei costi commerciali oltre che

quella delle spese di amministrazione”81.

La riduzione dei costi per gli assicurati vita è quindi avvenuta in concomitanza

con l’aumento dei collocamenti attraverso gli sportelli bancari e i promotori

finanziari e le SIM, la cui quota collocata nel complesso sale dal 34,4% nel 1995

al 70,6% nel 2002.

81 Relazione della Banca d’Italia, anno 2003, pag.300

1

La distribuzione delle polizze vita in Italia, per canale di collocamento sta

subendo un progressivo ed importante cambiamento, anche repentino.

A metà degli anni novanta il mercato vita era retaggio principalmente di agenti e

broker, mentre lo scenario che si è delineato negli ultimi anni è il progressivo

predominio sulla vendita di prodotti vita da parte degli sportelli bancari, la

cosiddetta esplosione del modello di bancassicurazione.

Si è anche modificata di molto la composizione delle quote di mercato dei singoli

gruppi di compagnie. Con riferimento ai gruppi di imprese che 2002 detenevano

almeno lo 0,5% del mercato, tra il 1998 e il 2002 è passato di mano il 26% del

mercato.

Infine, il mercato assicurativo italiano del ramo vita non risulta essere

particolarmente concentrato nel confronto internazionale, soprattutto se si tiene

conto delle sue dimensioni.

1

4.8 Alcune osservazioni: il mercato vita nel contesto sociale

Nei capitoli precedenti si è analizzato approfonditamente il modo in cui

l’Unione Europea sta progettando e realizzando un unico mercato assicurativo, e

l’impatto che questo potrebbe avere (ed ha) sull’attività assicurativa stessa.

Parallelamente a questa importante rivoluzione del modo di concepire il mercato

si deve necessariamente tenere conto degli eventi storici e delle modificazioni

sociali che in maniera più o meno indiretta hanno effetti sul mercato stesso.

Nei capitoli uno e tre si è più volte osservato quanto l’introduzione

dell’Euro abbia dato propulsione all’europeizzazione dell’attività assicurativa

stessa, e questo va considerato un passo importante di un grande e lungo processo

in via di realizzazione.

Ma la domanda: “come reagisce il mercato assicurativo vita ad eventi storici o a

momenti di crisi economica?” non è di così facile liquidazione in quanto i pilastri

stessi sui quali esso si fonda sono necessariamente particolari.

Il ramo vita si basa innanzi tutto su un bisogno, il quale si concretizza soprattutto

nelle società più evolute. In maniera un po’ semplicistica possiamo osservare che

la coscienza e la necessità di protezione del tenore di vita, pilastro del ramo vita

stesso, si manifesta esclusivamente nelle società con un livello culturale adeguato

e con un tenore di vita medio / alto. L’osservazione potrà risultare abbastanza

ovvia, ma è sicuramente questo uno dei motori propulsivi dell’intero mercato vita:

esso può attecchire dove il suddetto bisogno si concretizza.

In Italia quindi, analizzando il cavalcante sviluppo del mercato vita

possiamo osservare che l’esigenza assicurativa ha preso piede soprattutto negli

ultimi anni, rispetto, ad esempio, ad un mercato già molto avanzato come quello

americano.

La scarsissima diffusione dei prodotti assicurativi in Italia ha fatto sì che, quando

il momento fosse stato propizio, un boom vero e proprio potesse realizzarsi. La

diffusione di prodotti Index Linked, simili ai fondi comuni di investimento, sono

un segnale importante, così come lo è la, seppur ancora non determinante, crescita

1

dei prodotti long term care, a testimoniare una netta presa di coscienza dell’utente

italiano della necessità di proteggere il proprio tenore di vita.

Ma la risposta al quesito iniziale è ancora lontana. In effetti analizzando i

grafici della raccolta premi vita nel mercato italiano, soprattutto in chiave crescita,

possono essere fatte alcune considerazioni.

Dal 1999 al 2005 si notano alcuni picchi negativi che comunque non inficiano un

cammino di progressiva crescita.

Uno di essi, intorno all’anno 2000 potrebbe essere un effetto secondario del flop

della new economy che ha portato a gonfiare, e successivamente ad un crollo

vertiginoso, determinate imprese basate sulle tecnologie [in Italia il caso Tiscali].

L’immediata perdita di fiducia dei mercati, riportata in maniera globale dai mass

media, e il successivo periodo di recessione, avrebbero potuto incidere in qualche

maniera sulla crescita del ramo vita?

I fatti dell’11 Settembre 2001 aiutano sicuramente a valutare l’impatto di grandi

eventi storici sul mercato assicurativo, in particolare vita.

Sicuramente, gli attentati dell’11 Settembre hanno segnato una svolta nel mercato

assicurativo. Non solo perché il comparto si è trovato a gestire il più grande

sinistro catastrofale della sua storia82, ma anche perché le ricadute dell’attacco

terroristico agli Stati Uniti hanno cambiato il modo di fare e di intendere

l’assicurazione. Anche se le compagnie italiane sono state interessate solo

marginalmente alla massa di risarcimenti, il settore assicurativo italiano ha subito

l’impatto derivante dalla riduzione della redditualità degli investimenti, e

dall’aumento dei premi di riassicurazione, causando il consequenziale aumento

dei premi assicurativi in generale. Tutti i settori sono stati interessati da questo

fenomeno, compresa l’assicurazione marittima, e l’assicurazione obbligatoria per

la circolazione dei veicoli.

Secondo i dati diffusi dall’Isvap, però, la raccolta premi vita non ha subito

particolare decremento, anzi, ha continuato un progressivo periodo di crescita. Ciò

suggerisce che gli eventi del 2001 non abbiano inciso in maniera particolarmente

82 La stima è valutata intorno agli 80 miliardi di dollari.

1

negativa sul mercato vita italiano. Una considerazione che si potrebbe fare è che il

pilastro stesso del ramo vita, cioè la tutela del tenore di vita possa rispondere in

maniera del tutto particolare a determinati eventi.

Un’ipotesi interessante potrebbe essere appunto quella che il ramo vita,

importante collettore del risparmio privato, riesca a controbilanciare i momenti di

crisi economica con una crescente esigenza di tutela del risparmio stesso e del

tenore di vita dei consumatori. Fenomeno che si è verificato sicuramente in Italia

nell’ultimo quinquennio grazie ad un progressivo aumento del livello culturale e

del reddito pro-capite della popolazione. Ciò ha portato il paese a diventare uno

dei più importanti mercati vita mondiali.

Gli studi effettuati sulla portata dell’impatto dell’11 Settembre nel convegno

“Come superare Ground Zero” organizzato da Assinform confermano che i fatti

di New York hanno avuto un impatto decisamente diverso sul ramo vita e sul

property. Le conseguenze sono state sicuramente meno devastanti per il ramo vita,

dove solo le grandi polizze collettive hanno subito dei limiti. Il problema per il

ramo è certamente il danno indiretto dovuto al bilancio delle compagnie.

1

Capitolo V

LE PROSPETTIVE DI INTEGRAZIONE EUROPEA IN MATERIA

DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Sommario: 5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro comunitario - 5.2

Normativa comunitaria – 5.3 Previdenza complementare: perché? – 5.4 Il ruolo del settore

privato – 5.5 La libera circolazione dei lavoratori – 5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi

dell’Unione Europea – 5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering – 5.8 La

previdenza complementare in Italia – 5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita,

osservazioni dell’Ania

5.1 L’importanza della previdenza complementare nel quadro

comunitario

Fino a qualche decennio fa, il modello previdenziale dei Paesi appartenenti

all’Unione Europea è stato quello della previdenza pubblica gestita

direttamente dallo Stato e basata sul metodo a ripartizione per il finanziamento

delle pensioni: la ripartizione prevede che i contributi siano pagati direttamente

per finanziare le prestazioni ai pensionati attuali. Un simile sistema di protezione

sociale ha garantito e garantisce un elevato livello di solidarietà, anche

generazionale, una tutela delle fasce di lavoratori più deboli ed un tenore di vita

rispettabile per i pensionati.

Tuttavia, gli Stati membri si trovano oggi a fronteggiare gravi problemi di

finanziamento del sistema pubblico dovuti soprattutto all’invecchiamento della

popolazione europea, agli alti tassi di disoccupazione e all’aumento della

scolarizzazione, che diminuiscono la popolazione attiva e causano l’aumento dei

contributi con gravi ripercussioni economiche sul costo del lavoro. A ciò si

aggiunge in alcuni Paesi la cattiva gestione degli enti previdenziali di Stato.

1

Contrariamente, la liberalizzazione dei mercati mondiali impone una riduzione

dell’onere di finanziamento della spesa sociale che grava sulle imprese in modo

tale da non mettere a rischio la competitività dei loro prodotti in un’ottica globale.

Nei costi per la spesa sociale, la previdenza costituisce nei Paesi Europei circa il

30% del PIL e si stima83 che continui a crescere nei prossimi decenni a causa

dell’invecchiamento della popolazione.

Per questo motivo tutti gli Stati sono alla ricerca di eque soluzioni volte a

garantire il livello di prestazioni pensionistiche raggiunto e nello stesso tempo far

fronte al crescere del loro costo.

Tra gli studiosi è stata avanzata la tesi che il modo migliore per

raggiungere gli obiettivi appena enunciati è quello di dar vita a piani di previdenza

integrativa basati sul metodo di finanziamento cosiddetto “a capitalizzazione” (i

contributi sono accantonati ed investiti per poi finanziare la pensione del

contribuente stesso).

I fondi pensione potranno consentire una riduzione dell’incidenza delle

prestazioni fornite dal sistema previdenziale pubblico sull’intera pensione, frenare

la crescita dei contributi, garantire livelli di pensione pari o migliorativi rispetto a

quelli attuali ed infine assicurare la sostenibilità dello Stato sociale84.

Per la Commissione Europea85, i fondi pensione rappresentano già oggi un valido

strumento di integrazione degli schemi pensionistici pubblici e coprono

attualmente il 25% della popolazione attiva degli Stati Membri.

La crescita della previdenza complementare, basata sulla capitalizzazione dei

contributi, e lo sviluppo del mercato dei capitali sono strettamente correlati e

possono dar vita ad una serie concatenata di conseguenze senza dubbio favorevoli

per la crescita economica dell’ UE.

La creazione di nuovi strumenti di intermediazione finanziaria contribuisce infatti

ad accrescere lo spessore dei mercati finanziari consentendo alle imprese di

reperire capitali per investimenti a lungo termine e allo stesso tempo diminuire

l’indebitamento bancario. In tale contesto, le piccole e medie imprese potranno

83 Si rinvia al “Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico”. 84 Ferri E., Preto A., “Un quadro normativo comunitario per le pensioni complementari”, Diritto ed Economia dell’Assicurazione,1999, fasc.1 85 Libro Verde sulle pensioni integrative nel Mercato Unico

1

più facilmente accedere ai mezzi finanziari necessari per lo sviluppo, mentre le

grandi imprese avranno a disposizione un ulteriore mezzo di finanziamento.

Da questo sintetico quadro emerge che i fondi pensione apportano dei vantaggi

non solo perché comportano una riduzione, o al limite un contenimento, della

spesa previdenziale, ma anche per una serie di benefici economici in termini di

finanziamento di investimenti a medio e lungo termine che i regimi pensionistici

pubblici attuali non garantiscono.

1

5.2 Normativa comunitaria

Per le regioni che abbiamo enunciato nel paragrafo precedente, emerge,

nel panorama europeo, la tendenza degli Stati al trasferimento di parte dei carichi

previdenziali a forme di previdenza integrativa basate sui fondi pensione.

L’assenza di un quadro di riferimento normativo a livello comunitario ha

determinato il diffondersi di una varietà di schemi di previdenza complementare e

di conseguenza ha determinato il sorgere di nuove problematiche legate

all’effettiva realizzazione di un Mercato Unico del lavoro e dei capitali86.

Va del resto ricordato che l’applicazione del principio di sussidiarietà, attribuendo

ad ogni Stato membro il compito di definire il regime previdenziale più adeguato

al suo sistema economico, limita fortemente l’intervento comunitario in materia di

previdenza complementare.

Un’armonizzazione comunitaria delle norme di previdenza complementare,

delle agevolazioni fiscali ad esse connesse e della disciplina in materia di libera

circolazione dei capitali è resa oggi difficile dalla ripartizione di competenze tra le

istituzioni dell’Unione Europea e i singoli Stati Membri, nonché dalle procedure

di decisione per l’adozione di atti normativi comunitari in materia tributaria e di

previdenza sociale.

Le basi giuridiche per la regolamentazione di tali aspetti divergono tra di loro.

Gli articoli 56, 77 o 100 A del trattato prevedono la procedura di codecisione e

costituiscono il fondamento giuridico per l’adozione di norme di armonizzazione

della gestione transfrontaliera dei fondi pensione87; gli art. 51 e 235 prevedono

una decisione unanime degli Stati in seno al Consiglio ed hanno costituito la base

giuridica dell’adozione della Direttiva 98/49/CE in materia di “salvaguardia dei

diritti a pensione integrativa dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi

che si spostano all’interno dell’Unione Europea”; l’armonizzazione fiscale è

86 COM(1999) 134 , 11.05.1999 87 in base a tale procedura è stata recentemente adottata la proposta di direttiva volta a disciplinare le attività transfrontaliere dei fondi pensione ( Com. 507/2000).

1

infine possibile soltanto attraverso l’applicazione dell’art. 100 che comunque

prevede una deliberazione unanime degli Stati membri.

Il dibattito sulla regolamentazione della previdenza integrativa a livello

comunitario ha fondamentalmente ad oggetto i seguenti principi:

1. la garanzia di un libero mercato di capitali dei fondi pensione, con

conseguente possibilità di gestione transfrontaliera, rispettando e

realizzando i principi in materia di libertà di prestazione di servizi e di

stabilimento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea;

2. la garanzia di una sostanziale libertà di spostamento dei lavoratori da

un Paese all’altro dell’Unione Europea, rimuovendo gli ostacoli

giuridici che la impediscono, primo su tutti l’assenza di una tutela dei

diritti già acquisiti presso un regime di previdenza complementare.

Per quanto riguarda la pensione di base statale, esiste il regolamento

1408/71 che detta una normativa di raccordo e coordinamento tra i diversi

sistemi pensionistici degli Stati Europei.

In materia di previdenza complementare è stata approvata la Direttiva

98/49/CE.

3. la parità di trattamento fiscale verso forme previdenziali offerte da

istituzioni

situate in altri Stati Membri; tale questione è strettamente connessa ai

primi due punti.

1

5.3 Previdenza complementare: perché?

Alla base dell’intera discussione sull’importanza e sul potenziale della

previdenza complementare vi è un elemento imprescindibile: la sua inevitabilità.

L’analisi dei dati che seguiranno dimostra in maniera abbastanza incontrovertibile

che i vecchi regimi di previdenza non possono più soddisfare la domanda di

previdenza odierna e futura.

Il punto di partenza del ragionamento è l’aumento dei tassi di

dipendenza della popolazione anziana (Tavola 1), derivante dall’allungamento

della vita attesa e dalla riduzione della natalità88. Dopo il 2010, secondo i paesi, le

pensioni pubbliche saranno più basse, in rapporto alle retribuzioni, di quelle

attuali, a meno di gravare le future generazioni di oneri molto elevati. I giovani di

oggi devono quindi risparmiare di più. Questo sembra essere un punto fermo e

condiviso.

Tavola 1

Tassi di dipendenza degli anziani (*) nei vari paesi dell’Unione Europea. Proiezioni al 2050.

2000 2050

Austria 22.9 54.0 Belgio 25.5 45.0 Danimarca 22.2 36.0 Finlandia 22.1 44.0 Germania 23.8 49.0 Grecia 25.5 54.0 Francia 24.4 46.0 Irlanda 16.8 40.0 Italia 26.6 61.0 Olanda 20.0 41.0 Portogallo 22.6 46.0 Spagna 24.5 60.0 Regno Unito 23.8 42.0 Unione Europea 24.2 49.0 (*) Numero di persone di età superiore ai 65 anni in percentuale del numero di persone di età compresa fra 15 e 66 anni.

88 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000.

1

Fonte: COMMISSIONE EUROPEA, 2003.

TAVOLA 2 INCIDENZA PERCENTUALE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE DI I E II PILASTRO

SUL PIL IN ALCUNI PAESI EUROPEI(*) BELGIO 2,2 11,1 DANIMARCA 0,7 10,7 GERMANIA 0,5 12,1 SPAGNA 1,1 9,1 FRANCIA 0,6 12,5 ITALIA 0,5 13,7 OLANDA 5,1 10,9 PORTOGALLO 0,8 9,2 SVEZIA 1,0 12,4 REGNO UNITO 5,5 12,3 (*) L’incidenza delle pensioni pubbliche sul PIL è relativa all’anno 2000; quella delle pensioni complementari si riferisce al 1997. Fonte: EUROSTAT e ASSICURAZIONI GENERALI, 2001. Incidenza prestazioni pensioni complementari (II pilastro) sul PIL (%) Incidenza pensioni pubbliche sul PIL (%)

In tutti i paesi il punto di partenza delle proposte di riforma è l’aumento

dei tassi di dipendenza della popolazione anziana, derivante dall’allungamento

della vita attesa e dalla riduzione della natalità89.

Dopo il 2010, secondo i paesi, le pensioni pubbliche saranno più basse, in

rapporto alle retribuzioni, di quelle attuali, a meno di gravare le future generazioni

di oneri molto elevati. I giovani di oggi devono quindi risparmiare di più. Questo

sembra essere un punto fermo e condiviso.

Chi afferma che le “riforme sono già state fatte” ritiene che gli oneri che verranno

addossati alle future generazioni siano sostenibili o comunque equi rispetto a

quelli che gravano sulla generazione presente. Chi invece afferma che le riforme

debbano ancora essere completate ritiene che la distribuzione degli oneri sia

ancora squilibrata a sfavore delle generazioni future90. Entrambi, a maggior

89 CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, 2003. Sulle dinamiche della longevità, si veda MACCHERONI C., 2002. Per un inquadramento dei sistemi pensionistici nell’ambito della più ampia evoluzione socioeconomica, si veda LINDBECK A., 2000. 90 Per una valutazione degli effetti delle riforme attuate in Italia negli anni ’90, si veda MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, 2001. Per una sintesi del dibattito e delle opzioni di riforma, SARCINELLI M., 2001.

1

ragione i secondi, si debbono porre il problema di come garantire un tenore di vita

adeguato a coloro che andranno in pensione nei prossimi decenni.

La via maestra per affrontare questo problema è di aumentare il risparmio

aggregato da oggi ai prossimi decenni. Non si tratta dunque di scegliere in astratto

se sia meglio un sistema a ripartizione o uno a capitalizzazione.

Come è stato ampiamente dimostrato91, il beneficio netto del passaggio alla

capitalizzazione è zero anche quando il rendimento dei mercati finanziari sia di

molto superiore al tasso di crescita del prodotto nazionale. Ciò perché il

miglioramento di benessere a regime, ossia per le future generazioni, è

esattamente uguale, in valore attuale, al sacrificio che la transizione impone alle

generazioni di mezzo, che vengono gravate dal doppio onere di sostenere gli

attuali pensionati della ripartizione e di risparmiare per il proprio futuro.

Il passaggio, almeno parziale, a sistemi a capitalizzazione non è dunque una

scelta, ma deriva invece essenzialmente dalla necessità, di cui si è detto sopra,

di aumentare oggi il tasso di risparmio.

Dal punto di vista macroeconomico, l’operazione ha senso se il maggiore

risparmio si traduce in accumulazione di capitale e dunque in un livello più

elevato dell’output in futuro.

91 DIAMOND Peter A.,1999. Sul punto, si veda anche SINN H.W., 2000.

1

5.4 Il ruolo del settore privato

In linea di principio, non ha importanza se il maggiore risparmio sia pubblico

o privato. Come ha messo in luce la Commissione insediata dall’amministrazione

Clinton92 a metà degli anni novanta, lo Stato potrebbe:

a) risparmiare per conto dei privati (ad esempio con conti ad

accumulazione presso le istituzioni della sicurezza sociale),

oppure anche, e in un certo senso più semplicemente,

b) contenere il proprio disavanzo, con riduzioni di spese o aumenti di

imposte (o contributi sociali). Il minor onere che ne conseguirebbe in

futuro per il servizio del debito pubblico potrebbe essere poi distribuito nel

modo che si ritiene più appropriato fra le diverse generazioni (lavoratori e

pensionati) nel periodo della cosiddetta “gobba” pensionistica.

E’ opinione generalmente condivisa che lo Stato “debba fare la sua parte”

attraverso il contenimento dei disavanzi pubblici (nell’assunto implicito che non

vi sia perfetta equivalenza ricardiana fra risparmio pubblico e risparmio privato).

Si discute molto se sia opportuno un intervento dello Stato per conto dei privati

(punto a). Alcuni93 ritengono che questa sia la soluzione migliore perché:

a) sarebbero più contenuti i costi di gestione grazie alle economie di scala.

b) Lo Stato sarebbe in grado di offrire garanzie più credibili, in termini, ad

esempio, di rendimento minimo (mutualità dovuta alle maggiori

dimensioni del fondo pubblico e alla possibilità di ricorrere allo strumento

fiscale).

92 ADVISORY COUNCIL ON SOCIAL SECURITY,1997. 93 Ad esempio, MUNNELL A. H., 2002; AARON H. J., REISCHAUER R.D., 1998.

1

c) La previdenza privata sarebbe meno in grado, rispetto a quella pubblica, di

resistere alla tentazione di offrire vie d’uscita anticipate (ad esempio, in

caso di malattia o perdita del posto di lavoro), il che vanificherebbe

almeno in parte la natura pensionistica del risparmio.

L’opinione prevalente, non solo negli Stati Uniti, è che il mercato,

opportunamente

regolato, potrebbe fare meglio dello Stato. Gli argomenti sono:

a) è inopportuno che lo Stato intervenga sul mercato finanziario e in

particolare su quello azionario. Anche se è possibile immaginare rigorose

regole di governance, è difficile evitare interferenze politiche nell’uso dei

fondi. Su questo punto, un intervento molto influente, probabilmente

risolutivo, è stato quello di Alan Greenspan che ha criticato gli attuali

investimenti in azioni da parte dei fondi pensione dei dipendenti pubblici.

b) Sarebbe molto forte la tentazione di utilizzare il surplus accumulato dalla

previdenza pubblica per coprire disavanzi correnti o quantomeno per

rinviare gli aggiustamenti che sono necessari al bilancio pubblico.

c) La previdenza privata è meglio in grado di soddisfare le diverse esigenze

degli individui, comprese quelle che portano ad uscite anticipate. In effetti,

i problemi del welfare non riguardano solo le pensioni, ma anche la sanità,

la precarietà del lavoro ecc.

d) La concorrenza fra istituzioni finanziarie private che offrono strumenti

previdenziali migliorerebbe l’allocazione del portafoglio, a beneficio degli

iscritti, nonché l’utilizzo complessivo delle risorse e dunque la crescita

economica.

e) Politicamente, è molto difficile obbligare le persone a risparmiare di più,

perché un contributo ad un fondo pubblico, anche se a capitalizzazione,

1

verrebbe percepito come una tassa. Questo argomento è stato utilizzato dal

Presidente della Commissione Clinton, Edward Gramlich, ed è da molti

considerato l’argomento decisivo a favore della previdenza

complementare privata, facoltativa o anche obbligatoria. Vi è inoltre il

rischio che, essendo percepito come una tassa, il contributo aggiuntivo

induca le persone a ridurre altre forme di risparmio.

In conclusione è vero, in questo caso come in generale, che “un pianificatore

illuminato” potrebbe conseguire l’ottima allocazione delle risorse, ma ci sono forti

argomenti a favore di un ruolo centrale del mercato, opportunamente regolato.

1

5.5 Libertà di circolazione dei lavoratori

Uno dei principi fondamentali dettati dal Trattato è la libertà di

circolazione dei lavoratori all’interno del mercato UE per motivi di lavoro.

L’assenza di un sistema normativo coordinato in materia di previdenza

complementare costituisce un serio ostacolo per l’esercizio di tale libertà.

Problemi analoghi aveva creato l’iscrizione obbligatoria di tutti i lavoratori ai

regimi pensionistici pubblici di base degli Stati Europei. Per questo motivo, le

Istituzioni comunitarie hanno sin dall’inizio cercato di creare un sistema di norme

volte a raccordare la disciplina pensionistica pubblica degli Stati Membri.

Sulla base dell’art.42 del Trattato CE è stato adottato il Regolamento comunitario

1408/71 (e successive norme di attuazione con Reg.574/72) con lo scopo di creare

una cornice comunitaria di coordinamento dei sistemi pensionistici obbligatori.

Va sottolineato che si tratta di una disciplina di coordinamento e non di

armonizzazione in quanto il quadro normativo comunitario non interferisce affatto

con la libertà degli Stati membri di organizzare liberamente i propri schemi

pensionistici obbligatori, ma è finalizzato a garantire il mantenimento dei diritti

pensionistici acquisiti attraverso il cumulo delle contribuzioni effettuate dal

lavoratore a favore dei regimi pensionistici dei diversi Stati in cui egli ha prestato

il suo lavoro.

Il regolamento comunitario in materia di pensioni pubbliche non si applica agli

schemi di previdenza complementare, ne si potrebbe applicare in ragione delle

profonde diversità strutturali che in tal materia sussistono tra gli Stati Membri.

Più volte la Commissione94, analizzando la situazione europea in materia di

previdenza sociale, ha affermato la necessità di rimuovere gli ostacoli di ordine

economico, sociale e giuridico che impediscono ai lavoratori di godere a pieno

delle fondamentali libertà garantite dal trattato.

94

Comunicazione del 1991; Proposta di direttiva del 1993 successivamente ritirata per il dissenso di alcuni Stati ed infine il “Libro verde per un Mercato Unico per le pensioni complementari”.

1

La stessa Corte di Giustizia con la sentenza Shumacher95 ha stabilito che

qualsiasi impedimento, diretto o indiretto, all’esercizio della libertà di

spostamento dei lavoratori contrasta con l’efficacia diretta ed immediata dei

principi fondamentali del Trattato.

Nel libro verde sul Mercato Unico delle pensioni complementari la

Commissione ha evidenziato quelle che sono le cause di maggiore ostacolo per

creare un sistema pensionistico complementare uniforme in tutti gli Stati dell’UE:

periodi lunghi e diversi per l’acquisizione dei diritti pensionistici;

trasferimento dei diritti pensionistici acquisiti;

diverso trattamento fiscale dei contributi, rendimenti e prestazioni dei

fondi pensione.

Un primo passo verso l’eliminazione di tali ostacoli è rappresentato dalla

direttiva 98/49/EC del 29 giugno 1998 la quale prevede in via di principio che i

lavoratori che si spostano all’interno dello spazio UE siano messi nella condizione

di continuare a contribuire allo schema pensionistico integrativo del Paese di

origine in modo tale da avere lo stesso trattamento dei lavoratori che si spostano

all’interno di un unico Stato membro.

Ciò permetterebbe ai lavoratori di evitare i trasferimenti da uno schema all’altro e

non perdere i diritti pensionistici eventualmente maturati.

Va comunque detto che un simile meccanismo di raccordo è di difficile attuazione

pratica perché richiederebbe una serie di deroghe alla disciplina sulle condizioni

di lavoro dei singoli Stati membri, nonché un reciproco riconoscimento dei diversi

sistemi fiscali che stanno alla base di ogni schema di previdenza integrativa.

Il Libro Verde approfondisce i principali ostacoli alla libera circolazione

dei lavoratori nell’Unione.

95 Caso C-27/93, Finanzmt Koln-Alstadt v. Shumacher del 14/02/1995.

1

Appurato che lunghi e diversi periodi di acquisizione dei diritti pensionistici con

conseguente possibilità di riscatto o trasferimento della posizione individuale

costituiscono un ostacolo reale ed un’indiretta discriminazione tra lavoratori che si

spostano all’interno del loro stesso Stato e lavoratori che si spostano all’interno

dell’UE, la questione più delicata da risolvere per garantire un effettiva esistenza

della libera circolazione dei lavoratori comunitari è quella del come trasferire le

situazioni pensionistiche individuali da uno Stato membro all’altro.

Da una recente comunicazione della Commissione96 emerge che a causa

della varietà dei regimi pensionistici complementari adottati dagli Stati UE e dal

loro diverso regime fiscale il trasferimento dei diritti pensionistici è attualmente

impossibile.

Schemi di previdenza integrativa come quello basato sulle “books reserves”

(Germania) o sul metodo a ripartizione rendono tecnicamente inattuabile lo

spostamento della situazione pensionistica del singolo lavoratore.

Ciò sarebbe invece possibile se la previdenza complementare si diffondesse

all’interno di tutti gli Stati UE attraverso lo schema dei fondi pensione a

capitalizzazione. Inoltre, anche tra schemi di fondi pensione a capitalizzazione, il

trasferimento non è possibile se nel loro interno gli Stati non adottano norme di

coordinamento basate su principi comunitari comuni, soprattutto nel determinare

il valore del capitale trasferito da uno Stato all’altro.

Ad esempio, attualmente, il trasferimento all’estero di un lavoratore italiano,

aderente ad un regime di previdenza complementare, risulterebbe sfavorevole

rispetto ad un mero trasferimento nel territorio nazionale proprio a causa

dell’assenza di una disciplina degli spostamenti transfrontalieri.

L’alternativa al trasferimento di capitale da un fondo all’altro dell’UE sarebbe

invece quella di garantire la conservazione dei diritti acquisiti nei diversi fondi

pensione dei diversi Stati e coordinarli al momento della prestazione pensionistica

in modo tale da assicurare un equo trattamento per i beneficiari.

96 COM (1999) 134, 11/05/1999.

1

Le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, garantite dal

Trattato e specificate dalla Corte di Giustizia97, si risolvono, in materia di fondi

pensione nella garanzia di una serie di attività quali la libertà di gestione

transfrontaliera degli investimenti, la libertà di investimenti transfrontalieri, la

libertà di appartenenza transfrontaliera alle istituzioni pensionistiche.

In tal modo, una sana concorrenza dei fondi pensione garantisce in via indiretta la

libertà dei lavoratori di scegliere lo schema pensionistico più vantaggioso ed

adatto alla loro attività.

E’ giurisprudenza consolidata che i provvedimenti nazionali in grado di

derogare legittimamente alle libertà di stabilimento, prestazione di servizi e

circolazione dei capitali possano farlo solo in presenza di determinati presupposti:

esistenza di un interesse pubblico da tutelare, idoneità dei provvedimenti a

garantire la tutela di tale interesse senza andare oltre, adozione di provvedimenti

non discriminatori.

Va comunque detto che non ci sono ancora norme specifiche che disciplinano e

garantiscono l’applicazione di tali libertà.

Per evitare che la concorrenza tra fondi pensione in campo comunitario sia falsata

da legislazioni diverse che prevedono differenti requisisti di costituzione ed

azione, la Commissione, nel Libro Verde, ha manifestato l’esigenza di adottare

una disciplina comunitaria di indirizzo e coordinamento volta a raggiungere i

seguenti obiettivi:

a. dettare una serie di norme prudenziali a tutela dei lavoratori aderenti ai

fondi pensione;

b. garantire ai fondi pensione il miglior profitto possibile non ponendo troppe

restrizioni agli investimenti all’interno del Mercato Unico in modo tale da

non renderli più svantaggiosi rispetto ai piani di risparmio individuali

offerti dalle compagnie di assicurazione;

97 Causa C-70/95, sent.17/06/1995; Causa C-55/94 con sent. del 30/10/1995.

1

c. garantire in ogni Stato membro un eguaglianza di trattamento dei fondi

pensione attraverso un mutuo riconoscimento dei regimi prudenziali ed un

riavvicinamento dei sistemi fiscali.

Attualmente, un fondo pensione non può avere aderenti in più di uno Stato a

causa delle diversità strutturali dei sistemi di previdenza complementare.

La partecipazione transnazionale a fondi pensione non può dunque che essere un

obiettivo di lungo periodo.

In realtà, le enormi differenze in materia di disciplina dei fondi pensione rendono

molto difficile la realizzazione concreta delle libertà di stabilimento, di

prestazione di servizi e di circolazione dei capitali.

Allo stato attuale delle cose, è possibile solamente l’adozione di una direttiva

volta a fornire un quadro armonico delle garanzie e dei requisiti minimi che i

fondi pensione devono avere. In questo senso va la proposta di direttiva della

Commissione (com.507/2000) i cui principali contenuti sono:

la predisposizione di regole prudenziali basilari per la costituzione e la

gestione dei fondi pensione: è prevista perfino l’istituzione di autorità di

vigilanza con lo scopo di un continuo controllo coordinato in tutti gli Stati

Membri;

la previsione di una serie di principi in materia di investimenti dei

contributi, volti a diversificare e quindi tutelare gli aderenti ai fondi;

l’obbligo di prestare una serie di garanzie patrimoniali e di informazione a

tutela del mercato e dei lavoratori.

1

5.6 Sistemi pensionistici nei principali paesi dell’Unione Europea

In campo internazionale, la dottrina98 che esamina i sistemi pensionistici

adottati dagli Stati è solita suddividere la loro struttura in tre pilastri.

Quando si parla dei tre pilastri, ci si riferisce in linea di principio ad una

suddivisione tra un trattamento pensionistico di base, una previdenza collettiva

integrativa del primo ed infine una previdenza supplementare di tipo individuale.

Per meglio chiarire la suddivisione, per “Primo Pilastro” s’intende un regime

pensionistico pubblico ed obbligatorio che garantisca a tutti una pensione di base:

le pensioni di vecchiaia gestite e garantite dallo Stato attraverso il metodo

cosiddetto a ripartizione.

Il “Secondo Pilastro” comprende invece i piani pensionistici di

previdenza integrativa, gestiti dallo stato o da società (soprattutto compagnie

d’assicurazione ed

istituti bancari) attraverso la costituzione di fondi pensione occupazionali o

collettivi e finalizzati a garantire un trattamento pensionistico che, insieme alla

pensione base, si avvicini all’ultima (o alla media degli ultimi anni) retribuzione.

Gli schemi di previdenza integrativa sono essenzialmente basati su un sistema a

capitalizzazione (fatta eccezione per la Francia, in cui tali sistemi sono finanziati

col metodo della ripartizione e gestiti direttamente dallo Stato)99 ed hanno forma

nei seguenti modi:

creazione di partecipazioni in fondi pensione non gestiti da datori di

lavoro; il fondo riceve i contributi, li investe ed eroga la pensione in base a

contributi e rendimenti. I fondi possono essere “chiusi” ( quando solo

un’impresa od un gruppo d’imprese appartenenti allo stesso settore

possono aderire ad essi) o “aperti” (quando imprese appartenenti a diversi

settori economici possono aderirvi); inoltre possono essere a “prestazioni

definite”(viene garantito un determinato livello di prestazione

98 STEVENS L., DRABBE H., DIETVORST G., KAVELAARS P., Pension systemin the Europen Union, Kluwer, 1999; SCIFONI G., SACRESTANO A., La riforma della disciplina fiscale del secondo e terzo pilastro del sistema pensionistico nazionale, Il Fisco, fasc.23, 2001. 99 Per questo motivo è in discussione una proposta di riforma francese volta a comprendere nel regime pensionistico di base anche gli attuali piani previdenziali integrativi pubblici

1

pensionistica) od a “contribuzione definita” (la prestazione pensionistica in

questo caso varia a seconda dei rendimenti degli investimenti);

sottoscrizione di una polizza vita di gruppo da parte di un’impresa: la parte

contraente è il datore di lavoro, i beneficiari sono i lavoratori, i contributi

vengono versati alla compagnia d’assicurazione, la quale li investe e paga

alla fine del piano la prestazione pensionistica;

accantonamenti mediante riserve di bilancio (“book reserves”): il datore di

lavoro gestisce le riserve accantonate e s’impegna a pagare il trattamento

pensionistico in base al piano pattuito.

Il “Terzo Pilastro” consiste invece nella sottoscrizione di polizze vita

individuali da parte dei lavoratori con compagnie d’assicurazione.

Fatte queste premesse d’ordine generale, saranno di seguito analizzati i sistemi

pensionistici di principali Stati dell’Unione Europea.

1

5.6.1 Francia

I Pilastro: pensioni pubbliche di base

Il sistema pensionistico francese prevede una pensione di base generale ed obbligatoria ed

è fondato sul metodo di finanziamento a ripartizione.

Accanto ad un regime generale (“Regime general d’assurance vieillesse”) sussistono

alcuni regimi speciali in determinati settori economici.

Il sistema pensionistico pubblico francese è composto attualmente da 26 regimi di base per

l’assicurazione della vecchiaia100.

Tra i diversi regimi pensionistici, esiste comunque un sistema di compensazione finanziaria

finalizzato a mantenere gli equilibri di bilancio.

L’età pensionabile del Regime Generale è di 60 anni sia per gi uomini sia per le donne. Pensioni

d’anzianità sono previste per quei lavoratori che hanno totalizzato 40 anni di contribuzione e che

hanno raggiunto l’età di 58 anni.

I contributi per la pensione di vecchiaia sono a carico sia del lavoratore sia del datore di lavoro

(50% e 50%), mentre l’erogazione della prestazione viene calcolata in relazione ai 10 migliori

salari percepiti dal lavoratore, fermo restando comunque un tetto massimo (circa 1100 euro

mensili) ed un tetto minimo (circa 500 euro) predisposto dalla legge. Vi è da aggiungere che i

contributi devono essere versati per almeno 37,5 annualità: ogni anno in meno determinerà una

diminuzione della pensione di vecchiaia.

E’ attualmente in discussione una proposta di riforma che prevede l’aumento dell’età pensionabile

da 60 a 65 anni e l’inserimento dei regimi di previdenza complementare ARRCO e AGIRC

nell’ambito del coordinamento europeo dei regimi di base di cui al regolamento 1408/71.

Per quanto riguarda la tassazione delle erogazioni, queste vengono trattate come reddito di lavoro

dipendente ed assoggettate a tassazione secondo le regole per tale categoria dettate.

II Pilastro: previdenza complementare

In Francia, a differenza di molti altri Stati, la previdenza complementare è obbligatoria101

100 PERACCHI F., Le pensioni in Italia e in Europa, Padova, 2000

101 I dati per la ricostruzione degli schemi di previdenza complementare di seguito riportati

si basano sull’analisi e le tabelle contenute nel Libro Verde sulle Pensioni complementari nel

Mercato Unico pubblicato dalla Commissione Europea, COM (97) 283; sul documento della

European federation for

1

Il 90% delle pensioni integrative sono gestite da istituzioni federali, l’ARRCO e l’AGIRC, nate da

accordi stipulati dalle confederazioni sindacali e le associazioni di categoria dei datori di lavoro.

Solo il 10% dei lavoratori è coperto da una previdenza complementare collettiva volontaria,

affidata ai piani aziendali ed interaziendali gestiti da fondi pensione o compagnie d’assicurazione.

L’ARRCO e l’AGIRC sono federazioni di fondi pensionistici complementari strettamente correlati

tra di loro in quanto si basano su una reciproca compensazione finanziaria per far fronte ad

eventuali deficit di bilancio. Alla gestione del fondo partecipano in via paritetica le parti sociali

che l’hanno istituito. Gli schemi di previdenza complementare francese sono basati su un sistema

di finanziamento a ripartizione, per cui i contributi versati nell’anno vanno a finanziare le pensioni

erogate nell’anno stesso, mentre i lavoratori acquisiscono punti in base all’ammontare dei

contributi versati a loro beneficio: tali punti determinano il livello della prestazione pensionistica

da erogare alla fine del piano.

L’aliquota di contribuzione è del 6% del salario lordo ( è previsto che in via graduale arrivi ad

essere del 16% entro il 2003).

Il contributo è a carico del datore di lavoro per il 60%, mentre grava sul lavoratore per il restante

40%.

Il lavoratore acquista da subito i diritti pensionistici e non è previsto alcun periodo di maturazione

(vesting period). Se il rapporto di lavoro cessa prima del raggiungimento dell’età pensionabile, il

lavoratore ha diritto alla conservazione dei diritti acquisiti ed all’erogazione della prestazione al

momento del raggiungimento dell'età pensionabile.

Per quanto riguarda il trattamento fiscale102, i contributi ai fondi di previdenza complementare

sono deducibili dal reddito del lavoratore dipendente fino ad un certo limite, mentre da quello del

datore di lavoro per intero. Non vi è invece alcuna deducibilità per le riserve di bilancio

accantonate a fini pensionistici. I rendimenti dei fondi pensione privati, sebbene questi ultimi

esistano in via del tutto residuale, non sono soggetti ad imposizione. Le prestazioni erogate (che

insieme alla pensione base costituiscono generalmente l’80% dello stipendio finale) sono

Retirement Provision (EFRP), European Pension Funds, 1996; sull’indagine della CEA,

System of occupational pension provision and the tax treatment thereof, 1997 riportato in parte in

DIETRVOST G., Pension Systems in the European Union, op.cit.

102 I dati circa il trattamento fiscale dei piani di previdenza complementare della Francia e

degli altri Stati, sono ripresi da uno studio della European Federation for Retirement Provision

(EFRP), condotto nel Giugno del 2000 e pubblicato in EIORP, A single License to enable

Multinationals to pool their pension liabilities and assets on a tax neutral basis, 2000, 18 e da un

rapporto sui regimi impositivi delle pensioni complementari negli Stati Europei elaborato

dall’OCSE nel 1998, contenuto in European Round Table of Industrialists, European Pension. An

Appeal for Reform, 2000, 47.

1

interamente tassate. Il metodo di tassazione utilizzato può essere schematizzato nella formula

EET103

III Pilastro: Polizze vita

Nel terzo pilastro sono inseriti i piani di risparmio individuale che il lavoratore costituisce con

compagnie d’assicurazione.

Dal 1997 sono deducibili i premi delle polizze vita pagati periodicamente. Il limite massimo

deducibile è di 1000 franchi per ogni famiglia, più 250 franchi per ogni bambino facente parte

della famiglia. Un imposta del 3.4 per cento che grava sui premi di polizza è destinata ai fondi per

la sicurezza sociale.

5.6.2 Germania104

I Pilastro

Il sistema pensionistico tedesco è basato su una pluralità di fondi, gestiti o controllati

dallo Stato, e obbligatori per tutti i lavoratori: gli schemi pensionistici di base variano a seconda

della categoria di lavoratori e dei settori in considerazione.

103 Nella fiscalità internazionale, gli studiosi dei regimi impositivi dei sistemi previdenziali,

al fine di meglio evidenziare le modalità di tassazione delle pensioni, analizzano il trattamento

fiscale nei tre momenti principali dello schema pensionistico: la contribuzione, gli eventuali

rendimenti finanziari degli investimenti e le prestazioni pensionistiche erogate. Ne deriva che la

formula EET (exemption, exemption, taxation) significa esenzione dei contributi dall’imposizione,

esenzione dei rendimenti e tassazione della prestazione pensionistica; ETE (exemption, taxation,

exemption) indica che vengono tassati i soli rendimenti finanziari; TEE che l’imposizione avviene

esclusivamente al momento della contribuzione. Tale schema di analisi è stato applicato anche nel

rapporto OCSE, ’98, op.ult. cit.

104 Prima di passare alla trattazione del sistema pensionistico tedesco, è doveroso richiamare

l’attenzione sulla riforma approvata dal Parlamento (Maggio 2001) entrata in vigore a Maggio

2002. Tale riforma ha lo scopo di garantire la sopravvivenza del sistema pubblico delle pensioni

attraverso l’introduzione e l’incentivazione dei fondi pensione aziendali finanziati col metodo della

capitalizzazione. L’adozione di tale schema ha come conseguenza la graduale sostituzione degli

accantonamenti di bilancio (il metodo maggiormente diffuso nella previdenza complementare

tedesca) con i fondi pensione. Per un’analisi della riforma, si rinvia a RICHARD F., Fonds de

pension à

l’allemande, Le Monde, 11 Maggio 2001.

1

Il sistema è finanziato a ripartizione con un contributo pari a circa il 20% della remunerazione

mensile lorda ed i contributi sono per metà a carico del lavoratore e per metà a carico del datore di

lavoro.

L’età pensionabile, sia per gli uomini sia per le donne è di 65 anni con un periodo di contribuzione

minima pari a 5 anni. Resta comunque la possibilità di un prepensionamento a 60 anni per le

donne e 63 per gli uomini: in tal caso, la pensione viene ridotta del 3.6% per ogni anno.

Le prestazioni pensionistiche erogate, calcolate in rapporto all’ammontare dei contributi pagati,

sono soggette a tassazione come reddito di lavoro dipendente con aliquote ridotte, ferma restando

la soglia d’esenzione che è di circa 6.500 euro annui.

II Pilastro

Il sistema di previdenza pubblica tedesco, teso a garantire al lavoratore un reddito

adeguato allo standard raggiunto durante la vita lavorativa, non ha consentito lo sviluppo di un

regime di previdenza complementare obbligatorio per i lavoratori105.

La previdenza complementare tedesca è dunque di tipo volontario e occupazionale, ed è

disciplinata dall’ “Atto sulle pensioni occupazionali” (betrAVG) del 1974, nel quale vengono

fissati i requisiti minimi per dar vita ad un sistema pensionistico occupazionale di tipo integrativo.

La costituzione dei piani previdenziali avviene attraverso accordi tra rappresentanze sindacali, tra

il sindacato dei lavoratori ed il datore di lavoro ovvero tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti.

Gli schemi possono avere diversa natura: possono consistere in accantonamenti di riserve contabili

nel bilancio aziendale e dunque essere gestiti direttamente dai datori di lavoro (books reserves);

possono essere costituiti fondi pensione, ed in tal caso saranno gestiti dai rispettivi consigli

d’amministrazione (per i quali la legge prevede la presenza obbligatoria di almeno due

rappresentanti delle parti sociali); infine possono essere affidati a compagnie d’assicurazione

attraverso la sottoscrizione di un contratto assicurativo di gruppo o individuale.

Gli schemi di previdenza complementare vengono finanziati attraverso il metodo della

capitalizzazione, sono per la maggior parte a prestazioni definite e prevedono un indicizzazione

delle pensioni106.

105 Per una descrizione del sistema pensionistico tedesco in generale e delle sue tendenze

evolutive, si rinvia a AXEL BORSCH-SUPAN, “Social Security Reform in Germany”, lavoro

presentato nel Convegno “Social Security Reforms: International Comparison”, Roma, 16 e 17

Marzo, 1998 (disponibile sul sito del Ministero del lavoro www.minlavoro.it).

106 La BetrAVG del 1974 prevede che ogni tre anni la pensione sia adeguata all’andamento

dei prezzi.

1

I “book reserves” prevedono contributi esclusivamente o in gran parte a carico del datore di

lavoro, mentre per i fondi pensione, un terzo dei contributi grava sui lavoratori. Nonostante ciò, il

sistema di previdenza complementare più diffuso è il primo.

Comunque, va sottolineato che circa il 50% dei lavoratori aderisce ad un piano di previdenza

complementare107, la cui prestazione pensionistica rappresenta

circa il 10% della retribuzione lorda108.

I diritti pensionistici si considerano acquisiti dopo che il lavoratore abbia raggiunto l’età di 35 anni

ed abbia partecipato al fondo pensione per almeno 10 anni.

Anche per quanto riguarda il trattamento fiscale, bisogna fare dei distinguo in base allo

schema previdenziale adottato:

gli accantonamenti a riserva del datore di lavoro sono deducibili e i lavoratori non

possono contribuire. Le prestazioni pensionistiche costituiscono reddito imponibile al

momento dell’erogazione ma parte di esse sono tassate con un’aliquota inferiore;

per quanto riguarda i fondi pensione, i contributi del datore di lavoro sono interamente

deducibili, ma costituiscono reddito imponibile per il lavoratore se superano il tetto dei

3000 marchi; i rendimenti derivanti dagli investimenti sono tassati con un’imposta fissa

del 10%. La prestazione pensionistica è soggetta ad imposizione e le aliquote applicabili

sono le stesse agevolate del sistema pensionistico di base pubblico (sistema impositivo

ETT);

III Pilastro

Il terzo pilastro è composto essenzialmente da polizze vita. A condizione che il piano

previdenziale individuale sia di almeno dodici anni, i premi di polizza sono interamente deducibili.

I proventi derivanti dagli investimenti sono tassati, mentre la prestazione erogata è soggetta alla

normale imposta sui redditi.

La prestazione erogate in seguito alla morte dell’assicurato o in seguito alla assicurazione di un

capitale non è soggetta ad imposta.

107 In una statistica ufficiale del 1993 risultava che le forme di previdenza complementare

erano così suddivise tra i lavoratori: il 56% aderiva al sistema del “book reserves”, il 32% ai fondi

pensione, ed infine, il 12% aveva una polizza assicurativa. Tali dati sono forniti dal Federal

Statistics Office e riportati in WINFRIED SCHMAHL, The public-private mix in pension

provision in Germany, 1997, 100.

108 La pensione erogata mediante gli schemi di previdenza complementare è così bassa,

perché il sistema pensionistico pubblico tedesco riesce a garantire una pensione di base che varia

tra il 70 ed il 90% dell’ultima retribuzione.

1

5.6.3 Paesi Bassi

I Pilastro

Il sistema previdenziale olandese è in linea di principio fondato su uno schema pubblico

universale, la cui gestione spetta alla “Sociale Verzekeringsbank” (SVB), obbligatorio per tutti i

lavoratori residenti e che fornisce una prestazione minima di base. Lo schema pensionistico

pubblico è finanziato dagli stessi assicurati attraverso un contributo pari al 18% circa della loro

retribuzione. Il massimo reddito imponibile annuo è pari a 22.000 euro.

L’età pensionabile è di 65 anni per uomini e donne e non sono richiesti periodi minimi di anzianità

contributiva. L’ammontare massimo della pensione, che va da un minimo di 530 euro ad un

massimo di 950 a seconda del nucleo famigliare, si raggiunge con 50 anni di contribuzione. Per

ogni anno in meno di contribuzione, l’ammontare della pensione erogata è diminuita del 2%.

Le erogazione sono soggette a tassazione come reddito da lavoro.

Un sistema così concepito, offre una pensione ai limiti del sostentamento. Per questo motivo,

l’iscrizione ad un piano di previdenza integrativa è resa obbligatoria dagli accordi collettivi

stipulati tra le rappresentanze sindacali.

La pensione erogata viene assoggettata a tassazione come reddito percepito.

II Pilastro

La legge olandese non prevede l’obbligo di datori di lavoro e lavoratori di partecipare a piani di

previdenza complementare. Prevede comunque la possibilità che un fondo pensione possa essere

reso obbligatorio per un intero settore109. In quest’ultimo caso, sebbene i datori di lavoro non sono

tenuti ad offrire un piano di previdenza complementare110, nel momento in cui decidessero di farlo,

dovrebbero

109 Wet van 17 maart1949 houdende vaststelling van en regelingbetreffende verplichte

deelneming in een bedrijfspensioenfonds (legge 17 Maggio 1949 che stabilisce le regole relative

all’iscrizione obbligatoria ad un fondo pensione di categoria) e Wet van 15 mei 1962 houdende

regelen betreffende pensioen-en spaarvoorzieningen (legge 15 Maggio 1962 sui fondi pensione e

sui fondi risparmio, così come modificata anche recentemente).

110 E’ anche vero che, se l’obbligo di predisporre piani di previdenza complementare non è

sancito dall’ordinamento olandese, viene generalmente inserito nei contratti collettivi dalle parti

sociali. Su questo tema si rinvia a ERIC LUTJENS, “International perspectives on supplementary

pensions”, Emmanuel Reynaud, Bryn Davies, GerardHughes, 1997, 18.

1

aderire a quello settoriale.

I fondi pensione olandesi, miranti a garantire un regime di previdenza complementare in grado di

fornire un reddito che si avvicini all’ultimo salario, sono istituiti secondo due modalità: una prima

modalità, la più diffusa, consiste nella partecipazione dei datori di lavoro e dei loro dipendenti ad

un fondo occupazionale (o di settore) istituito attraverso la contrattazione collettiva delle parti

sociali a livello settoriale.

I contratti collettivi vengono recepiti con un provvedimento del Ministero degli affari sociali il

quale ne rende obbligatoria l’adesione a tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti alla

categoria111.

In caso di assenza di piani pensionistici occupazionali, il datore di lavoro può scegliere lo schema

di previdenza integrativa o aderendo ad un fondo pensione esistente, o creando un fondo aziendale

o interaziendale, ovvero sottoscrivendo un contratto assicurativo individuale o collettivo per i

lavoratori.

Di qualsiasi tipo essi siano, i piani previdenziali devono essere approvati dal Ministero degli affari

sociali e devono garantire una presenza paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro nella loro

gestione.

Tra le due forme di previdenza complementare, sono molteplici gli argomenti a favore dei fondi

occupazionali resi obbligatori: la solidarietà tra tutti i lavoratori del settore, in quanto l’adesione ed

il trattamento non varia ne per ragioni di età ne di salute; i lavoratori che cambiano impresa

all’interno dello stesso settore continuano nel loro piano senza alcun problema di trasferimento o

conservazione dei diritti pensionistici; infine, l’esistenza di un fondo pensione occupazionale

obbligatorio elimina quel tipo di competizione tra imprese basata sul risparmio nella

predisposizione dei piani di previdenza complementare.

Il problema di un ingiustificato monopolio a favore dei fondi pensione settoriali creati con appositi

accordi delle rappresentanze sindacali, del resto, è stato giudicato inesistente dalla Corte di

Giustizia112.

Il metodo di finanziamento comunemente adottato è la capitalizzazione, mentre, per quel che

riguarda le modalità organizzative, i fondi pensione presentano, nel 90% dei casi, schemi

previdenziali a prestazioni definite legate al salario finale o alla media salariale degli ultimi anni di

retribuzione; la restante percentuale di schemi previdenziali è a contribuzione definita.

111 Una volta creato un fondo pensione di settore, recepito e reso obbligatorio con decreto

del Ministero del lavoro e degli affari sociali, il datore di lavoro può essere esentato dall’obbligo di

adesione dal Ministero stesso, qualora ne faccia richiesta e presenti un piano pensionistico

alternativo almeno uguale a quello settoriale reso obbligatorio.

112 Corte di Giustizia del 21 settembre 99 C-115/97/C-117/97.

1

Le contribuzioni possono essere a carico del datore di lavoro o del lavoratore a seconda di quanto

pattuito nei contratti collettivi: generalmente, il lavoratore contribuisce per la metà o per un terzo

al finanziamento.

L’età pensionabile è di 65 anni, mentre con una legge entrata in vigore nel 1999 si è stabilito che il

periodo minimo di contribuzione per avere una pensione prima dei 65 anni è di 10 anni. Va

precisato che il lavoratore ha diritto alla pensione integrativa in quanto abbia acquisito anche il

diritto alla pensione di base.

Per quanto riguarda il regime di tassazione, i contributi versati dal datore di lavoro sono

interamente deducibili qualora ricorrano le seguenti condizioni: il piano pensionistico deve

garantire il lavoratore esclusivamente per la vecchiaia, la morte e l’invalidità; la prestazione

pensionistica non deve superare i limiti fissati dalla legge113; il piano pensionistico deve essere

costituito mediante un fondo pensione o un contratto d’assicurazione.

I contributi dei lavoratori sono deducibili fino ad una certa somma.

I rendimenti del fondo pensione sono esentasse e le prestazioni erogate ricevono lo stesso

trattamento fiscale delle pensioni di base ( sistema impositivo EET).

III Pilastro

Nella legislazione olandese, non vi è nessuna norma favorevole verso i piani di previdenza

individuale, fermo restando che, in caso di assenza di fondi occupazionali, la stipula di contratti di

assicurazione individuali o di gruppo, alle condizioni e con le garanzie poste dalla legge adempie

ad una funzione di secondo pilastro e quindi gode degli stessi benefici previsti per i fondi

pensione.

5.6.4 Gran Bretagna

I Pilastro

Il sistema pensionistico pubblico consiste in uno schema di base statale volto a garantire una

pensione minima, universale ed obbligatoria: il “Basic State Retirement Pension”(BSP).

Proprio per la precipua finalità di garantire un trattamento pensionistico minimo, la prestazione

pensionistica non viene correlata alla retribuzione dei lavoratori.

113 La Wet op de loombelasting (legge relativa all’imposta sulle retribuzioni) prevede che, ai

fini della deducibilità dei contributi, la pensione rogata non sia superiore al 70% del trattamento

individuale di fine carriera.

1

Esiste inoltre un sistema pubblico di previdenza complementare, il SERPS (“State Earnings-

Related Pension Scheme), il quale è obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti, mentre i datori di

lavoro non possono in alcun modo aderire a tale schema di previdenza integrativa.

Il sistema pensionistico pubblico di base si fonda sul metodo a ripartizione.

L’età pensionabile è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne (l’età pensionistica per queste

ultime dovrà comunque raggiungere gradualmente i 65 anni entro il 2020).

Il prepensionamento è consentito a determinate condizioni, mentre per ogni anno di lavoro in più

rispetto all’età pensionabile è previsto un incremento della pensione del 7,5% per ogni anno.

I contributi per lo schema base delle pensioni di vecchiaia vanno dall’8 al 10% della retribuzione e

sono a carico del lavoratore.

La pensione minima di base varia da circa 65 a 105 sterline settimanali.

II Pilastro

Come accennato nel paragrafo precedente, in Gran Bretagna, lo Stato gestisce due piani: il piano

pensionistico pubblico di base e un piano di previdenza integrativa a favore dei lavoratori

dipendenti, in modo tale da garantire un adeguato livello di reddito.

I lavoratori dipendenti vengono automaticamente assicurati al SERPS114 (State ernings-related

pension scheme), il quale garantisce una prestazione pensionistica pari al 25% del salario massimo

previsto dalla legge.

Al lavoratore viene comunque data la facoltà di optare per la previdenza privata, purché queste

offra condizioni almeno uguali a quelle delle pensioni integrative pubbliche. Gli schemi

pensionistici complementari privati sono costituiti o a livello occupazionale, interaziendale o su

iniziativa di un’unica impresa, la quale da vita ad un fondo pensione chiuso per i suoi dipendenti.

Nel primo caso, il fondo deve essere separato dalle imprese che lo costituiscono e deve essere

gestito in maniera del tutto autonoma.

Sia che scelgano il sistema pubblico che quello privato, i lavoratori hanno a disposizione due

schemi: quello a prestazioni definite e quello a contribuzioni definite.

Per i lavoratori, è inoltre possibile spostare la loro posizione individuale da un fondo all’altro

senza alcuna penalizzazione e mantenendo i diritti acquisiti.

La contribuzione è a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori e varia dal 9 al 12% della

retribuzione.

Il metodo di finanziamento utilizzato è la capitalizzazione.

114 I lavoratori autonomi non possono aderire al SERPS, neanche se ne fanno espressamente

domanda. Su questo argomento, Gerry Dietvorst, Pension Systems in the European Union,

Kluwer, op.cit., 32.

1

In linea generale, per l’acquisto dei diritti pensionistici, al lavoratore sono sufficienti due anni di

partecipazione al piano. Se la cessazione del rapporto di lavoro avviene prima della maturazione di

tali diritti, il lavoratore può richiedere il rimborso dei contributi versati115. Se, viceversa, il

rapporto di lavoro si interrompe dopo la maturazione di tali diritti, ma prima del pensionamento, il

lavoratore ha due opzioni: aspettare l’erogazione differita della prestazione pensionistica, oppure

trasferire la propria posizione nell’eventuale fondo costituito dall’impresa con la quale da vita al

nuovo rapporto di lavoro.

Le condizioni di partecipazione ai piani integrativi variano da piano a piano, ma in ogni caso l’età

pensionabile è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne116.

Per quanto riguarda il trattamento fiscale della pensione erogata, la legislazione britannica prevede

che i contributi del datore di lavoro siano deducibili e non superino il 18% dello stipendio lordo

del lavoratore; i contributi dei lavoratori sono deducibili fino al 15% del salario; i rendimenti

derivanti dall’attività d’investimento sono esenti dall’imposizione, fatta eccezione per i dividendi

che vengono assoggettati ad un’imposta del 25%.

E’ infine tassata la prestazione pensionistica ( sistema impositivo EET, tenendo conto dell’imposta

sui dividendi).

5.6.5 Gli schemi di previdenza complementare all’interno del mercato UE

Dall’analisi dei sistemi pensionistici nei principali paesi europei, emerge che la Francia ed

il Regno Unito si caratterizzano per l’obbligatorietà legale alla previdenza complementare, con la

differenza però che nel Regno Unito, alla copertura pubblica obbligatoria, è dato facoltà al

lavoratore di sostituire quella privata, sia attraverso l’adesione a piani occupazionali, sia a piani

personali.

Nei Paesi Bassi vige invece un sistema di piani occupazionali contrattualmente obbligatori in

quanto istituiti attraverso accordi conclusi tra le parti sociali.

Del tutto volontaria è invece la previdenza complementare in Germania, Italia e Spagna, dove la

scelta è lasciata al singolo lavoratore.

In via generale, sono presenti in tutti i paesi le agevolazioni fiscali per la partecipazione a forme di

previdenza integrativa piuttosto che ad altre forme di risparmio od investimento.

115 Per un approfondimento di tale tema si rinvia a VINCENZO ANDRIETTI, Le pensioni

in Italia e in Europa, op.ult.cit.,226

116 Nel 1995 è stata varata una legge che prevede l’equiparazione graduale dell’età

pensionabile tra uomini e donne. Tra il 2010 e il 2020, anche per le donne, l’età pensionabile sarà

di 65 anni. Si rinvia a LYNES TONY, The British Case, in Enterprise and Welfare State, Martin

Rein and Eskil Wadensjo, 1997, 332.

1

Per quanto riguarda il regime di tassazione, emerge che le agevolazioni fiscali sono, in tutti i paesi

esaminati, basate su una deducibilità dei contributi destinati al piano di previdenza integrativa, i

rendimenti degli investimenti dei fondi non sono soggetti a tassazione (o soggetti a tassazione

ridotta) e le prestazioni finali vengono tassate o con aliquote agevolate, o attraverso l'applicazione

delle generali norme fiscali.

Il terzo pilastro, ossia la costituzione di piani previdenziali individuali attraverso contratti stipulati

con compagnie di assicurazione, viene in linea generale penalizzato rispetto alla gestione collettiva

ed occupazionale della previdenza integrativa, in quanto sono resi deducibili solo i premi pagati

dal lavoratore o dal datore di lavoro, senza alcun provvedimento agevolativo nella fase di

tassazione dei rendimenti finanziari e dell’erogazione della prestazione pensionistica.

Va comunque evidenziato che, sia nei Paesi Bassi che in Inghilterra (così come in Italia),

l’istituzione di piani di previdenza integrativa individuale che prevedono condizioni minime e

prestazioni equivalenti o migliorative rispetto ai piani di previdenza occupazionali hanno lo stesso

trattamento fiscale agevolativo dei fondi pensione pubblici e privati.

1

5.7 “A simpler way to better pension”: il rapporto Pickering

L’industria dei fondi pensione privati nel Regno Unito è certamente la più

importante e sofisticata tra quelle operanti in ambito europeo.

Il peso relativo del sistema previdenziale integrativo in tale Paese, o, per meglio

dire, il livello di copertura pensionistica che esso è chiamato ad assicurare, non è

imputabile esclusivamente alla presenza di un vasto e articolato mercato

finanziario e di intermediari interessati allo sviluppo del settore o alla propensione

dei datori di lavoro inglesi a proporre schemi pensionistici ai propri dipendenti

allo scopo di fidelizzarli all’azienda (fattori certamente concomitanti); esso in

larga misura è anche il risultato di una scelta politica operata alla fine degli anni

Settanta di riequilibrare la componente pubblica e quella privata del sistema

pensionistico attraverso la creazione del c.d. SERPS (State Earnings Related

Pension Scheme, sostituito dall’aprile 2002 dallo State Second Pension Scheme) e,

soprattutto, la previsione del meccanismo di contracting-out dal Second Pension

in virtù del quale i lavoratori possono trasferire parte dei propri contributi

previdenziali dal sistema obbligatorio agli schemi pensionistici promossi dai

datori di lavoro.

Negli anni Ottanta la riforma del sistema previdenziale fu bruscamente modificata

dai Governi conservatori attraverso il ridimensionamento della copertura

pensionistica assicurata dallo stesso SERPS117.

Occorre, peraltro, ricordare che i fondi pensione rappresentavano già prima degli

anni delle citate riforme una realtà significativa del sistema previdenziale inglese:

il picco massimo di adesioni agli schemi occupazionali era stato raggiunto, infatti,

nel 1967 con 12,2 milioni di iscritti

Nel difficile percorso di riforma le autorità inglesi hanno, dunque, potuto

ancorarsi a strutture ad esperienze gestionali consolidate.

Alcune cifre costituiscono di per sé evidenza dell’importanza della previdenza

privata nel Regno Unito. Nell’anno 2000, su un totale di 21,4 milioni di lavoratori

117 Per una analisi del sistema previdenziale inglese si veda D. Blake, The United Kingdom Pension System: key issues, Discussion Paper PI-0107, in The Pensions Institute, Birkbeck College, University of London, giugno 2002.

1

dipendenti, 13,5 milioni aderivano a forme previdenziali private. Di questi, 10,1

milioni erano iscritti a schemi pensionistici occupazionali118.

Nello stesso anno, il valore degli asset di tali schemi era pari a 860 miliardi di

sterline119, oltre l’80 per cento del prodotto interno lordo; gli schemi a prestazione

definita, che garantiscono ai partecipanti l’erogazione di una rendita pensionistica

commisurata all’ammontare del salario (attraverso un meccanismo di calcolo di

cui si dirà in seguito) contavano, sempre nel 2000, 9,1 milioni di aderenti, pari al

90 per cento del totale degli iscritti agli schemi pensionistici aziendali.

La sostenibilità di lungo periodo della promessa previdenziale affidata ai

fondi pensione privati è però attualmente messa in discussione dall’insorgere di

criticità, in parte legate a fattori strutturali, in parte determinate dalla congiuntura

dei mercati finanziari.

Negli ultimi venti anni, durante i quali la maggior parte degli schemi a prestazione

definita registrava ingenti surplus, numerose aziende sponsor si sono orientate a

ridurre la loro contribuzione agli stessi. Nello stesso periodo, gli schemi

pensionistici inglesi hanno investito massicciamente in azioni, prima patendo la

crisi del 1987, successivamente godendo dei forti rialzi degli anni Novanta e, da

ultimo, subendo i contraccolpi dell’andamento negativo dei mercati iniziato

nell’anno 2000.

La conseguenza più rilevante di tale processo è stata la crescita del fenomeno

dell’underfunding degli schemi a prestazione definita che per il 2002 è stato

stimato in 65 miliardi di sterline120

118 Secondo i dati pubblicati dall’Opra, al 31.3.2002 gli iscritti agli schemi occupazionali sarebbero oltre 25 milioni (il dato risulta superiore rispetto a quello sopra indicato dal momento che molte persone sono iscritte a più schemi). Al 31 marzo 2002 vi erano circa 103.000 occupational pension schemes e 437 personal pension schemes attivi, in regime di contribuzione definita, con oltre 15 milioni di iscritti. 119 Secondo i dati forniti dall’Opra, al 31.3.2002 il valore degli asset degli schemi aziendali sarebbe sceso a 770 miliardi di sterline. 120 Secondo uno studio della Watson Wyatt il deficit previdenziale nel 2002 ammonterebbe a 130 miliardi di sterline se fosse contabilizzato in base al FRS 17 (metodo di contabilizzazione dei costi e dei ricavi, delle attività e passività degli schemi a prestazione definita nel bilancio dell’azienda sponsor; tale metodologia sostituisce la precedente a partire dal giugno 2003 e si caratterizza per l’immediato riconoscimento nel bilancio dell’azienda sponsor del valore attuale dei costi e dei ricavi mentre le attività e passività sono valutate alle condizioni attuali di mercato).

2

Molte tra le imprese sponsor degli schemi pensionistici a prestazione

definita di fronte agli eventi descritti hanno operato la scelta di ridurre la

generosità degli schemi, anche decurtando i benefici promessi. Secondo un

recente studio condotto dalla Watson Wyatt circa il 55 per cento delle aziende

sponsor che offrono schemi a prestazione definita ha operato, nel corso degli

ultimi cinque anni, delle variazioni alle condizioni degli stessi, disponendone la

chiusura ai nuovi entranti e introducendo nuovi schemi (56 per cento), solo in

taluni casi è stata prevista la riduzione delle prestazioni (7 per cento) o dei

contributi versati per i lavoratori già iscritti. Secondo Watson Wyatt, la

maggioranza delle aziende che ha sospeso l’offerta di schemi a prestazione

definita ha parallelamente istituito schemi a contribuzione definita.

Il fenomeno della “fuga” dalla prestazione definita verso i regimi a contribuzione

definita suscita apprensione tra i policy maker inglesi; infatti, da un lato, il rischio

finanziario (che negli schemi a prestazione definita grava sui datori di lavoro)

negli schemi a contribuzione definita è trasferito in capo ai lavoratori iscritti,

dall’altro (ed è questo aspetto a suscitare le maggiori preoccupazioni), il

contributo erogato dai datori di lavoro agli schemi a contribuzione definita risulta

in media inferiore (4,3 per cento dello stipendio pensionabile) a quello (9,9 per

cento) dagli stessi erogato agli schemi a prestazione definita. Di qui nasce il

motivo di allarme: il minore apporto di risorse alla previdenza privata potrebbe

accentuare nel medio-lungo periodo il fenomeno di undersaving121 che, per motivi

riconducibili anche al progressivo invecchiamento della popolazione, già adesso

influenza i risultati delle proiezioni riguardanti la sostenibilità del sistema di

sicurezza sociale nei prossimi anni.

Inoltre, la sospensione di nuove iscrizioni agli schemi a prestazione definita, nel

far venir meno i flussi contributivi a valere sulle posizioni dei neo-assunti, rende

121 Il Green Paper, diffuso nel dicembre 2002 dal governo inglese, stima che il fenomeno dell’undersaving riguardi circa 3 milioni di lavoratori che potrebbero vedere il loro tasso di sostituzione scendere al di sotto del 50 per cento. In aggregato, l’undersaving annuale viene stimato in circa 27 miliardi di sterline (Association of British Insurers, 2002). Secondo uno studio dalla Oliver, Wyman & Company, la tendenza al passaggio dagli schemi a prestazione definita a quelli a contribuzione definita potrebbe portare il livello del saving gap a 33 miliardi di sterline, a causa della minore contribuzione dei datori di lavoro.

2

gli schemi più fragili finanziariamente, aggravando, per tale via, il fenomeno

dell’underfunding.

Il Governo inglese, allo scopo di analizzare gli effetti di lungo periodo che

l’ undersaving potrebbe produrre sulla fiducia del pubblico nella componente

privata del sistema previdenziale, ha promosso molteplici iniziative di studio (non

tutte, peraltro, incentrate sulle problematiche dei fondi pensione) volte ad

identificare i maggiori nodi strutturali che rendono problematica l’accumulazione

del risparmio personale e ricercare soluzioni idonee a semplificare ed estendere

l’accesso al sistema di previdenza complementare.

Tra tali studi si segnalano: il Myners Report (pubblicato nel 2001),

“L’investimento istituzionale nel Regno Unito”122; il Sandler Report (pubblicato

nel 2002), “Il risparmio personale di medio-lungo periodo nel Regno Unito”123; la

Review quinquennale della Occupational Pensions Regulatory Authority

(pubblicata nel 2002); infine, lo studio della Inland Revenue “La semplificazione

della tassazione sulle pensioni private”, pubblicato nel 2002.

Un ulteriore studio (certamente il più rilevante tra quelli menzionati, per

ciò che attiene specificamente ai fondi pensione) è stato commissionato all’ex

Presidente della Associazione dei fondi pensione (Napf), Alan Pickering.

Il Rapporto conclusivo del gruppo di lavoro coordinato da Pickering “A Simpler

Way to Better Pension” è stato pubblicato nel luglio del 2002.

Le misure di riforma suggerite nel documento mirano a rendere più efficiente il

sistema previdenziale privato (sgravandolo da eccessivi oneri regolamentari) e a

ridurre i costi che le imprese sponsor sostengono per il finanziamento degli

schemi pensionistici a prestazione definita, disincentivando così la loro

sostituzione con gli schemi a contribuzione definita.

122 HM Treasury (2001), Institutional Investment in the United Kingdom: A Review. Il rapporto del gruppo di lavoro, presieduto da Paul Myner, contiene una serie di principi riguardanti l’attività di investimento dei fondi pensione e, più in generale, degli investitori istituzionali. 123 HM Treasury (2002), Medium and Long-Term Retail Savings in the UK. Il gruppo di lavoro, coordinato da Sandler, ha formulato delle proposte al Governo e alla Financial Services Authority che mirano a rendere più efficiente l’industria del risparmio. Con riferimento al settore della previdenza privata il rapporto suggerisce l’introduzione degli stakeholder pension plans.

2

Il Rapporto Pickering riveste un’importanza particolare per lo sviluppo della

riflessione in corso: esso ha, infatti, rappresentato il punto di riferimento per la

elaborazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Pensioni delle proposte di

riforma del sistema di previdenza complementare contenute nel Green Paper124

(dicembre 2002) e nel c.d. Action plan125 (giugno 2003).

Tali proposte, ispirate alla volontà di semplificare ed estendere l’accesso al

sistema di previdenza complementare, recepiscono sostanzialmente le proposte

contenute nel Rapporto Pickering. Tra le misure di riforma proposte nel Rapporto Pickering quelle che mirano a

rendere meno onerosi per le imprese sponsor gli schemi pensionistici vertono

principalmente su due aree: i benefici accessori, oggi offerti nel quadro degli

schemi a prestazione definita, e la semplificazione del meccanismo di

contracting-out.

Con riguardo ai benefici accessori, misure di rilievo per il loro contenuto radicale

sono quelle che prevedono la rimozione dell’obbligo in capo agli schemi

pensionistici di rivalutare le rendite previdenziali in funzione dell’andamento

dell’inflazione126 e la trasformazione da obbligo in facoltà della erogazione al

coniuge superstite di parte della pensione dell’altro coniuge in caso di

premorienza (c.d. reversibilità); importo e caratteristiche della pensione di

reversibilità sarebbero determinate dal datore di lavoro, d’intesa con i lavoratori.

124 Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving for retirement, Dicembre 2002. Il Green Paper presenta diverse proposte che riguardano, in sintesi, il miglioramento dell’informativa ai potenziali aderenti e agli iscritti a forme previdenziali; la riaffermazione del ruolo e della responsabilità dei datori di lavoro nella promozione del risparmio previdenziale; l’aumento del grado di tutela degli iscritti agli schemi occupazionali; la semplificazione dei prodotti al fine di agevolare il risparmio previdenziale; l’introduzione di misure volte ad incentivare la permanenza nel mondo del lavoro. 125 Department for Work and Pensions, Simplicity, security and choice: working and saving for retirement. Action on occupational pensions, giugno 2003. L’Action Plan, elaborato dal Governo sulla base dei pareri ricevuti in merito alle proposte contenute nel Green Paper, contiene gli interventi in materia di schemi pensionistici aziendali volti a semplificare gli adempimenti a carico dei datori di lavoro, rendere il sistema pensionistico più chiaro e comprensibile da parte degli interessati. 126 Le prestazioni pensionistiche erogate dagli schemi occupazionali sono indicizzate in linea con gli incrementi dei prezzi fino ad un massimo del 5 per cento (limite fissato al 3 per cento per la parte di pensione riferita a periodi di lavoro effettuati dall’aprile 1988 all’aprile 1997).

2

Quanto alla riduzione del costo strutturale della prestazione, l’intervento più

rilevante proposto nel Rapporto attiene al meccanismo di contracting-out che

incide sulle modalità di calcolo della prestazione. Attualmente, gli schemi a

prestazione definita, per poter essere destinatari dei contributi previdenziali dei

lavoratori che optino per il contracting-out, hanno l’obbligo di offrire, come

minimo, un beneficio previdenziale iniziale calcolato moltiplicando il numero

degli anni di iscrizione allo schema per una percentuale predefinita (1/80; c.d.

accrual rate) del salario medio dei tre anni che precedono il pensionamento. Su

tale base, un lavoratore iscritto per 40 anni matura il diritto a ricevere una

pensione integrativa pari a circa la metà della media del salario percepito negli

ultimi tre anni di lavoro (che, naturalmente, si somma alla rendita pensionistica di

primo pilastro).

Il Rapporto Pickering propone di ridurre a 1/100 il tasso di accumulo e suggerisce

di considerare ai fini del calcolo del beneficio pensionistico la media delle

retribuzioni percepite nel corso dell’intera carriera lavorativa.

L’intervento produrrebbe un duplice effetto: per un verso la sensibile limitazione

dell’esposizione finanziaria delle imprese sponsor, che dovrebbe, negli auspici dei

proponenti, favorire la conservazione e l’espansione del numero degli schemi a

prestazione definita offerti; per l’altro verso, la contrazione della copertura

pensionistica, temperata soltanto in parte dal mantenimento della certezza in

ordine all’ammontare della prestazione.

L’obiettivo di preservare o, addirittura, incrementare il numero di lavoratori

dipendenti iscritti agli schemi a prestazione definita, sarebbe in tal modo

perseguito a costo di un sacrificio nient’affatto trascurabile imposto agli stessi

lavoratori.

Un’ulteriore tipologia di interventi individuata nel Rapporto mira ad accrescere il

livello di tutela degli aderenti agli schemi. In tale contesto, si collocano misure

quali il miglioramento della qualità delle informazioni fornite con riguardo alle

singole posizioni previdenziali, l’incremento delle garanzie a favore degli aderenti

prossimi al pensionamento, la semplificazione delle procedure per la liquidazione

della posizione in caso di uscita dallo schema prima dell’età pensionabile o per il

trasferimento della posizione in caso di adesione ad altro schema.

2

Da ultimo, occorre far cenno alla ipotesi prospettata nel Rapporto di vincolare

l’assunzione in un posto di lavoro all’adesione al fondo aziendale, a condizione

che il datore di lavoro vi versi un contributo pari almeno al 4 per cento dello

stipendio pensionabile. La misura viene prospettata in combinazione con

l’eliminazione del periodo minimo di vesting (attualmente, due anni) richiesto per

il riconoscimento dei benefici pensionistici, in quanto tale meccanismo rende

palesemente iniqua la clausola dell’obbligatorietà, soprattutto per i lavoratori (ad

es. quelli dell’edilizia) che hanno un elevato tasso di mobilità.

Come già si accennava nel precedente paragrafo, con il Green Paper e l’Action

Plan il Governo ha prospettato, utilizzando largamente l’impianto di base e il

materiale del Rapporto Pickering, talune proposta di riforma del sistema

previdenziale privato (e, in particolare, degli schemi previdenziali occupazionali) .

In particolare nell’Action Plan, il Governo delinea una serie di interventi volti a

superare talune rigidità dell’attuale disciplina normativa; ad esempio sostituendo

le regole riguardanti la costituzione delle riserve contabili (Minimum Funding

Requirement), ed eliminando alcune restrizioni alla modificabilità dei diritti degli

iscritti.

Le raccomandazioni del Rapporto Pickering non sono, invece, state accolte per

ciò che attiene alla revisione del meccanismo di indicizzazione delle prestazioni,

dove viene prospettata una riduzione del livello massimo di rivalutazione dal 5 al

2,5 per cento annuo.

Così pure sarà lasciato inalterato (diversamente da quanto suggerito nel Rapporto)

il tasso di accumulo (1/80) fissato per il contracting out, sebbene si riconosca la

necessità di semplificare il meccanismo.

Anche l’attuale modo di funzionamento delle pensioni di reversibilità su base

obbligatoria non sarà modificato.

Tra le misure raccomandate nel Rapporto e riprese nei documenti dal Governo si

segnalano: la razionalizzazione delle regole in merito alla comunicazione agli

iscritti ed alla risoluzione delle controversie tra fondo e iscritti, il rafforzamento

delle tutele a beneficio degli iscritti che lasciano lo schema pensionistico prima di

aver maturato i diritti pensionistici; la revisione della normativa che disciplina

l’ordine di riparto, tra gli aderenti, del patrimonio dello schema pensionistico in

2

caso di liquidazione dello stesso; l’introduzione di un nuovo sistema di

supervisione.

Infine, in analogia con l’esperienza americana (cfr. Public Benefit Guarantee

Corporation) l’Action Plan del Governo prevede l’introduzione di un Pensions

Protection Fund che riassicurerebbe obbligatoriamente gli schemi a prestazione

definita contro il rischio di insolvenza delle aziende sponsor.

Il Fondo, finanziato interamente dai soggetti vigilati, dovrebbe garantire il 100 per

cento delle pensioni in pagamento e il 90 per cento delle prestazioni degli aderenti

attivi, fino ad un massimo fissato in relazione allo stipendio degli aderenti.

Nel Rapporto Pickering grande rilievo è attribuito alla efficacia degli

strumenti di regolamentazione e vigilanza.

Le riforme che esso propone in tale campo sono rivolte in primo luogo a

modificare l’approccio della normativa che disciplina l’attività degli schemi

pensionistici privati. Si pone in evidenza, in particolare, che ad una normazione di

tipo prescrittivo, quale è quella attualmente vigente, sarebbe preferibile una

legislazione per principi che statuisse con chiarezza gli obiettivi sottostanti alle

norme piuttosto che disciplinare in modo dettagliato il procedimento attraverso il

quale raggiungerli.

Le Autorità di controllo sarebbero chiamate a dettare le linee guida per il

comportamento degli operatori e a verificare, in ultima istanza, la corrispondenza

tra gli obiettivi indicati nelle norme e le regole di condotta di cui si è dotato, anche

attraverso l’autodisciplina, il sistema.

Un’attenzione particolare è dedicata nel Rapporto al tema degli assetti

organizzativi della vigilanza. In particolare, è rappresentata la necessità di un

rafforzamento dei presidi di controllo sui fondi pensione.

Attualmente tale funzione è attribuita ad un’autorità dedicata, la Occupational

Pensions Regulatory Authority (Opra)127, che interviene essenzialmente

rispondendo a sollecitazioni provenienti dagli

127 Per un approfondimento in merito si veda, Elena Moiraghi, “Autorita’ di vigilanza nel settore della previdenza complementare nel Regno Unito: l’Occupational Pensions Regulatory Authority (Opra)”.

2

iscritti, dagli attuari e dai revisori. Nel ribadire la necessità di prevedere per i

fondi

pensione un’autorità di vigilanza ad hoc, distinta dalla Financial Services

Authority

(FSA)128, il documento definisce una nuova configurazione delle funzioni e dei

poteri

della suddetta autorità di vigilanza. Ad essa sarebbero assegnati compiti di

salvaguardia della stabilità del sistema, muovendo dal riconoscimento della

peculiarità dei rischi previdenziali rispetto a quelli puramente finanziari.

La nuova autorità di controllo (New Kind of Regulator - NKR) dovrebbe agire in

modo maggiormente “pro-active” ed essere dotata di margini di discrezionalità e

poteri d’intervento più estesi di quelli attualmente attribuiti all’Opra e tali da

metterla in grado di isolare sul nascere i casi di potenziale pericolosità per il

sistema.

Per quanto riguarda le metodologie di vigilanza, nel Rapporto si raccomanda che

l’Opra/NKR adotti le tecniche di monitoraggio del rischio (risk-based approach),

elaborate dalla FSA.

Il Rapporto propone, inoltre, di attribuire all’Opra/NKR il ruolo di advisor sia nei

confronti degli operatori, per ciò che attiene all’elaborazione di codici di condotta,

sia nei confronti del Governo, per l’elaborazione di proposte di riforma normativa.

Già al momento della istituzione (nel 2000) della Financial Services Authority,

era stato deciso di mantenere in vita l’autorità di settore (l’Opra fu l’unica

istituzione confermata tra quelle preesistenti al processo di riforma).

Significativo è che il Rapporto Pickering, come pure il Green Paper e l’Action

Plan, suggeriscano di procedere al consolidamento e all’ampliamento dei poteri

dell’Opra/NKR mantenendo un ruolo distinto per la FSA e per l’Opra/NKR, nel

pur necessario coordinamento delle competenze che le due autorità esercitano nel

settore della previdenza integrativa.

128 Per un approfondimento in merito si veda Elisabetta Giacomel, “Il riskbased approach nell’attività di regolamentazione e di vigilanza della Financial Services Authority (FSA)”.

2

In particolare, nell’Action Plan viene precisato che obiettivi e funzioni della

nuova autorità dovrebbero essere definiti con estrema puntualità rafforzandone i

poteri sanzionatori.

La definizione di un approccio unitario nelle metodologie di vigilanza (attraverso

l’adozione del risk-based approach da parte dell’Opra/NKR) non implica, nel

modello suggerito nel Rapporto Pickering (e confermato nei successivi documenti

del Governo), lo smarrimento della specificità della funzione di controllo sul

rischio previdenziale. Appare implicita, sotto tale profilo, la sottolineatura della

diversità dei fondi pensione rispetto ad altri investitori istituzionali di tipo

collettivo, quali, ad esempio, i fondi comuni di investimento.

Le proposte contenute nel Rapporto in tema di vigilanza hanno, inoltre, il

denominatore comune di muovere dal riconoscimento delle funzioni che il

risparmio previdenziale svolge in relazione all’obiettivo di garantire il

soddisfacimento dei bisogni primari nell’età matura, funzioni alquanto diverse da

quelle svolte dal risparmio finanziario non previdenziale (che ha, peraltro, anche

diverse modalità di accumulazione e di liquidazione).

Nel Regno Unito il sistema previdenziale privato fa leva in misura

rilevante sulla consapevolezza del lavoratore/risparmiatore quanto ai propri

diritti, obiettivo il cui perseguimento presuppone la messa a disposizione degli

iscritti ai fondi pensione di tre distinti strumenti: trasparenza nei rapporti con i

fondi, disponibilità di una rete di consulenza specialistica ed esistenza di

adeguate strutture di formazione.

Il Rapporto Pickering suggerisce alcune misure di miglioramento delle modalità

di interazione tra i fondi e i loro iscritti. In particolare, viene raccomandata la

messa a disposizione di questi ultimi di materiali informativi meno generici,

facilmente consultabili e soprattutto funzionali alla assunzione di decisioni

consapevoli. Secondo il Rapporto, le comunicazioni agli iscritti, oltre ad essere

focalizzate e dedicate, dovrebbero essere redatte in modo sintetico – il Rapporto è

molto critico nei confronti della prassi attuale che prevede la trasmissione agli

iscritti di un materiale informativo troppo ampio e di difficile comprensione.

Tenuto conto che non tutti gli iscritti o i potenziali aderenti agli schemi

pensionistici hanno la possibilità di avere accesso alla consulenza finanziaria, il

2

Rapporto propone che le aziende sponsor siano chiamate a svolgere un ruolo di

assistenza informativa nei confronti dei dipendenti, aiutandoli a comprendere i

vantaggi derivanti dall’iscrizione alla forma pensionistica aziendale.

Si tratterebbe di un’innovazione assai significativa in una realtà quale quella

anglosassone molto sensibile al rischio di conflitti d’interesse.

Le misure proposte in tema di razionalizzazione dei flussi informativi e di

assegnazione alle imprese di un ruolo di consulenza si inseriscono in un contesto

articolato in cui numerose entità pubbliche e private già svolgono un’ampia

attività di assistenza informativa agli iscritti e ai potenziali aderenti agli schemi

pensionistici.

Si segnalano i servizi erogati in tale ambito da organi governativi quali il Pension

Service (struttura del Department for Work and Pensions) e le già menzionate

Autorità di supervisione (Opra e FSA).

Compito del Pension Service è quello di favorire la consapevolezza dei lavoratori

in ordine alle loro scelte previdenziali complessive. Il servizio più rilevante

fornito al riguardo è la diffusione di informazioni sulla posizione previdenziale

maturata nel settore pubblico nonché di previsioni (a richiesta dell’interessato)

sull’ammontare ipotizzabile della pensione pubblica.

Sulla base dei dati forniti dal Pension Service (che si avvale del Retirement

Pension Forecasting Team), le aziende sponsor e i provider forniscono a loro

volta previsioni sul reddito pensionistico complessivo ipotizzabile in capo ai

lavoratori che potranno beneficiare sia di una pensione pubblica sia di una

pensione integrativa privata.

L’Opra si avvale per l’assistenza agli iscritti ai fondi di un’organizzazione

privata, l’Opas (Pensions Advisory Service), di natura no-profit, cui assicura

risorse finanziarie.

L’Opas, presso la quale prestano servizio professionisti del settore previdenziale

su base volontaria, fornisce informazioni generali in tema di previdenza pubblica

e privata, ma non informazioni specifiche sulle singole posizioni previdenziali.

Alla FSA è attribuita la competenza di promuovere la consapevolezza dei

risparmiatori quanto a tutti gli aspetti della finanza personale. In tale quadro, la

FSA ha impostato un programma di attività che prevede l’utilizzazione di

2

strumenti quali pubblicazioni divulgative, workshops, utilizzo della rete web,

materiali di supporto all’insegnamento scolastico.

Per quanto riguarda specificamente gli schemi stakeholder, la FSA ha elaborato

uno strumento ad hoc (il decision tree) che facilita le scelte di coloro che

intendono utilizzare tale tipologia di schema previdenziale.

Quanto ai consulenti professionali, la disciplina di settore incentiva il ricorso ai

servizi offerti da tali soggetti, dettando le regole del gioco (e modalità efficienti

nella verifica della loro applicazione), nonché prevedendo interventi repressivi nel

caso di violazioni di regole di condotta da parte degli stessi consulenti.

In particolare, merita segnalare che una definizione normativa di consulenza è

specificamente dettata nel Financial Services & Markets Act 2000.

Inoltre, la regolamentazione prevede anche una tipizzazione dei consulenti129: ciò,

naturalmente, facilita l’efficiente e corretto funzionamento del mercato.

Infine, è da rilevare che nel Regno Unito l’insegnamento degli elementi essenziali

della finanza personale è stato inserito come materia di studio non obbligatoria

nella scuola pubblica dai cinque ai sedici anni di età.

Le proposte contenute nel Rapporto Pickering, come si è appena visto,

sono volte a consolidare la promessa previdenziale, proprio perché il sistema

misto pubblico/privato in essere appare sempre più caratterizzato da elementi che

ne mettono a rischio la certezza.

D’altra parte, se è vero che nel Regno Unito la spesa pubblica pensionistica

appare relativamente sotto controllo (circa il 5 per cento del PIL), è altrettanto

vero che, nel lungo periodo, il fenomeno del saving gap pensionistico potrebbe, se

non opportunamente governato, indurre conseguenze socialmente intollerabili,

esponendo le autorità inglesi ai problemi politici e, in ultima analisi, anche

finanziari, legati all’impoverimento della popolazione anziana.

Il quadro delineato non sembra, peraltro, molto dissimile da quello con il quale ci

si sta misurando da diverso tempo nel nostro Paese. A dispetto della opinione

129 I consulenti sono suddivisi in due categorie: Tied advisers e Independent financial advisers. L’attività di consulenza è subordinata al conseguimento di titoli professionali - comunque di standard elevati - rilasciati da istituzioni legalmente riconosciute; i consulenti sono autorizzati preventivamente a svolgere la propria attività dalla Financial Services Authority.

2

corrente circa la unicità delle patologie che caratterizzano il sistema pensionistico

italiano, almeno due aspetti, quello riguardante il livello di generosità del sistema

previdenziale (e la correlata sostenibilità della spesa) e quello afferente la

rischiosità della promessa previdenziale, sono comuni nell’esperienza dei due

Paesi.

2

5.8 La previdenza complementare in Italia

A oltre dieci anni dall’avvio del processo di riforma che ha introdotto gli

strumenti e le norme della previdenza complementare, in Italia lo sviluppo dei

fondi pensione registra ancora gravi ritardi rispetto ai paesi anglosassoni, sia alle

economie a noi simili quanto a caratteristiche istituzionali e struttura finanziaria,

quali Francia, Germania e Spagna.

Sotto molti punti di vista lo sviluppo della previdenza integrativa rimane

insoddisfacente.

Le attività dei fondi pensione rappresentano meno del 2,8 per cento del PIL, un

valore inferiore alla media dell’area dell’Euro e ben lontano dai livelli, assai

elevati, che si registrano nel Regno Unito (66 per cento) e negli Stati Uniti (circa

il 100 per cento). Per di più la lenta espansione dei fondi pensione procede in

modo diseguale tra le diverse categorie di lavoratori. La diffusione della

previdenza integrativa è infatti particolarmente bassa tra i giovani, le donne, i

lavoratori autonomi e quelli addetti alle imprese di minori dimensioni. Si tratta di

categorie che più di altre sono penalizzate dalla discontinuità e dalla variabilità dei

redditi, per le quali la possibilità di accumulare risorse previdenziali lungo un

orizzonte temporale esteso rappresenta un vantaggio particolarmente rilevante.

Il ritardo nel campo della previdenza integrativa contribuisce a limitare

l’articolazione del mercato dei capitali italiano. I paesi in cui i fondi pensione

sono più sviluppati hanno infatti sistemi finanziari anch’essu particolarmente

sviluppati sia nel comparto del capitale di rischio, sia in quello obbligazionario.

Assai stratto risulta il legame tra fondi pensione e borsa: la presenza degli

investitori istituzionali favorisce la quotazione anche di imprese di minore

dimenione; stimola la concorrenza tra operatori in campi essenziali per il

funzionamento del mercato, quali la raccolta di ordini, la negoziazione e il

collocamento di titoli, l’attività di ricerca.

Negli anni più recenti i fondi pensione hanno significativamente contribuito

all’apertura del sistema finanziario alle innovazioni, fornendo risorse a operatori –

ad esempio i fondi di private equity - e strumenti di finanziamento, quali le

2

obbligazioni societarie (corporate bonds), che in importanti paesi hanno stimolato

la ristrutturazione del sitema produttivo anche attraverso il trasferimento della

proprietà di aziende inefficienti.

In Italia, il basso numero di imprese quotate e, più in generale, la scarsa

articolazione del mercato privato dei capitali rischiano a loro volta di limitare le

opportunità di diversificazione dei fondi pensione, che potrebbero indirizzare i

loro investimenti prevalentemente verso i mercati esteri.

E’ necessario sottolineare che i potenziali benefici dello sviluppo dei fondi

pensione potranno affluire al nostro sistema finanziario solo se la loro crescita

sarà accompagnata da una parallela espansione del sistema finanziario.

Riguardo alle misure in grado di stimolare lo sviluppo della previdenza

integrativa, le indagini campionarie indicano che, a distanza di oltre un decennio

da interventi incisivi sul sistema previdenzaile obbligatorio, i lavoratori sono solo

in parte consapevoli dei tagli apportati alle pensioni pubbliche e spesso

sovrastimano le risorse di cui disporranno nella fase di pensionamento. Dai dati a

disposizione emerge che ricorrono a pensioni integrative soprattutto i

risparmiatori più istruiti, con dimestichezza con gli strumenti finanziari ed in

possesso di consistenti risorse investite in attività rischiose: si tratta

presumibilmente, dei nuclei familiari con elevata capacità di raccogliere,

assimilare, ed elaborare informazioni.

Questi dati confermano l’importanza di rafforzare l’impregno pubblico volto a

fornire ai lavoratori informazioni e conoscenze adeguate, al fine di renderli

consapevoli della loro condizione previdenziale (ad esempio rendendo disponibile

il cosiddetto estratto conto previdenziale). Essi segnalano, altresì, l’esigenza di

accrescere il tasso di alfabetizzazione finanziaria dei lavoratori; in più paesi

l’innalzamento in campo economico-finanziario è oggetto di iniziative da parte

del governo e delle autorità di supervisione, con interventi che vanno dalla

diffusione di informazioni a campagne pubbliche di sensibilizzazione mediante i

diversi mezzi di comunicazioni.

2

I lavoratori italiani sono stati finora riluttanti a rinunciare al Trattamento di

fine rapporto (TFR), ritenendolo più flessibile e meno rischioso degli altri

strumenti della previdenza integrativa. Sotto entrambi gli aspetti, tuttavia, i fondi

pensione presentano vantaggi rispetto al TFR. Anche per effetto delle recenti

modifiche normative, la disciplina in tema di riscatti, anticipazioni, erogazioni e

portabilità conferisce alla ricchezza previdenziale accumulata nei fondi pensione

una flessibilità di utilizzo considerevole, comparabile con quella del TFR.

Sotto il profilo finanziario, le analisi svolte in questo lavoro indicano che

al basso rischio del TFR si associa un rendimento anch’esso medio basso: in

molte fasi del passato sarebbe stato preferibile per i lavoratori investire i risparmi

previdenziali sul mercato finanziario. Per gli aderenti ai fondi pensione il

beneficio derivante dalla possibilità di investire i contributi previdenziali in

attività di mercato si associa a due ulteriori elementi di convenienza: la

disponibilità della contribuzione aggiuntiva da parte del datore di lavoro; un

trattamento vantaggioso.

Affinché l’adesione ai fondi pensione offra benefici concreti ai lavoratori

italiani è essenziale che i costi di gestione sopportati dai risparmiatori siano

contenuti. In caso contrario, i vantaggi dei fondi pensione rischierebbero di

riflettersi soprattutto in un aumento dei ricavi per gli intermediari che prestano

servizi ai fondi, invece che in un miglioramento delle condizioni di vita dei futuri

pensionati. I risultati di questo lavoro indicano che la riduzione dei costi che può

derivare dalla crescita delle masse gestite e dalle conseguenti economie di scala

può essere significativa. Il contenimento dei costi per i risparmiatori richiede,

inoltre, la trasparenza e la confrontabilità delle commissioni applicate sulle

diverse forme previdenziali e la piena possibilità per i lavoratori di spostarsi dagli

schemi pensionisti più onersoi a quelli con costi più contenuti e in grado di offrire

prodotti che meglio rispondono alle loro esigenze. Si tratta di elementi essenziali

per stimolare la concorrenza tra fondi pensione, e che sarebbe dannoso limitare

con vincoli di varia natura, quale ad esempio quello posto alla trasferibilità del

contributo del datore di lavoro.

2

5.8.1 I fondi pensione in Italia

In termini economici e normativi, l’istituzione della previdenza

complementare in Italia è stata inserita all’interno di un più generale disegno di

riforma dell’intero sistema pensionistico. L’evoluzione del quadro normativo non

è sempre stata lineare. In alcuni casi essa è stata anzi tormentata, con false

partenze, complicazioni eccessive che a volte hanno rappresentato un fattori di

freno più che di sostegno allo sviluppo della previdenza integrativa.

La legge delega n.421 dell’ottobre del 1992 indicò le linee di fondo che il

Governo doveva seguire nella sua opera di revisione della normativa

previdenziale. Non a caso, tale azione seguiva una delle più gravi crisi

economiche e valutarie vissute dall’Italia, conseguenza inevitabile del tentativo di

perseguire l’ideale europeo senza, al tempo stesso, fare proprie le regole

dell’Europa unita. La forza potenzialmente disgregatrice emanata dalla crisi del

sistema fu incanalata per creare il consenso necessario a una riforma di vasta

portata – fatta anche, ma non solo, di tagli alle prestazioni e innalzamenti dei

contibuti – su un tema socialmente assai rilevante come quello delle pensioni130.

Le ragioni e gli obiettivi politici della riforma sono noti: il sistema

pensionistico pubblico, basato sul regime retributivo (vale a dire su pensioni

calcolate in base all’ultima retribuzione) e a ripartizione (ossia con prestazioni

finanziate con i contributi pagati dai lavoratori attivi) stava accumulando squilibri

crescenti, a causa della tendenza secolare all’allungamento della vita media e alla

riduzione delle nascite, combinata con una bassa crescita dell’occupazione e, in

Italia, con deficit e debito pubblico elevati, incompatibili con gli impegni europei.

Il disegno innovatore perseguito dalla riforma è anch’esso noto: il

passaggio da un sistema previdenziale incentrato su un unico regime obbligatorio

pubblico (la pensione dell’INPS) a un sistema basato su tre pilastri:

130 La delega fu attuata con il decreto n.503 del dicembre del 1992 per le pensioni pubbliche e col decreto n.124 dell’aprile del 1993 per le pensioni complementari. La legge n.335 dell’agosto del 1995 e gli interventi previdenziali della legge n.449 del 27 dicembre 1997 completarono una prima fase riformatrice.

2

1. la pensione pubblica (il cosiddetto primo pilastro), ridefinita in modo da

garantire una maggiore rispondenza tra i contributi versati dai lavoratori e

le prestazioni da essi percepite negli anni di pensionamento;

2. la pensione integrativa di categoria o aziendale (secondo pilastro),

accumulata mediante l’adesione su base collettiva ai fondi pensione;

3. la pensione integrativa individuale (terzo pilastro), lasciata alla scelta di

risparmio previdenziale del singolo lavoratore (FIP, forme individuali

pensionistiche).

Un tale disegno che tuttora ispira il nostro sistema di previdenza integrativa, si

caratterizza per la modernità dell’impianto, nel panorama dei sistemi pensionistici

dei paesi industriali; per la sua rapida, sia pur graduale, introduzione nello jure

condito della legislazione nazionale; per il suo contributo al riequilibrio del

bilancio dello Stato.

Accanto alla questione dei conti pubblici vi era e vi è ancora quella altrettanto

rilevante dei conti privati. Per non peggiorare le condizioni economiche dei futuri

pensionati occorreva assicurare, in parallelo con la riduzione delle prestazioni

pensionistiche pubbliche, un adeguato sviluppo della previdenza integrativa. In

caso contrario si sarebbe raggiunto l’illusorio successo di disinnescare la “bomba

demografica”, rappresentata dagli effetti dell’invecchiamento della popolazione,

innescando una non meno pericolosa “bomba sociale”: la prospettiva di una

generazione che ha pagato pensioni generose ai padri, non ha fatto figli e va in

quiescenza con un vero e proprio crollo del tenore di vita.

La sola istituzione dei fondi pensione ad adesione “libera e volontaria” non è

stata sufficiente a riequilibrare il bilancio intertemporale dei lavoratori italiani. Un

primo tentativo per stimolare il risparmio previdenziale e l’adesione ai fondi

pensione fu fatto col decreto legislativo n.47 del febbraio del 2000 (in attuazione

della delega contenuta nella legge n.133 del maggio del 1999) che ha, da un lato,

introdotto le polizze individuali pensionistiche (PIP), offerte dalle compagnie di

assicurazione in concorrenza con i fondi aperti; dall’altro, ha uniformato il

2

trattamento fiscale degli strumenti della nuova previdenza – fondi pensione,

polizze assicurative, trattamento di fine rapporto – e introdotto forme di

agevolazione fiscale del risparmio previdenziale. Tuttavia, l’aliquota fiscale sugli

interessi parri all’11 per cento, in luogo dell’usuale 12,5 per cento previsto per

altre forme di risparmio finanziario non ha fornito un impulso apprezzabile allo

sviluppo della previdenza complementare.

Un nuovo intervento in favore della previdenza complementare è stato

effettuato con la legge delega n.243 del 23 agosto del 2004 e col relativo decreto

di attuazione n.252 del 5 dicembre 2005. Questa modifica legislativa può essere

considerata una vera e propria seconda riforma della previdenza complementare,

dopo quella iniziale degli anni novanta.

Infatti affiancondosi agli interventi relativi al primo pilastro (quali revisioni delle

pensioni di anzianità e di vecchiaia, liberalizzazione allungamento dell’età

pensionabile col sistema degli incentivi-disincentivi, eliminazione dei divieti di

cumulo tra pensione e reddito da lavoro) il decreto innova profondamente la

previdenza complementare.

In particolare esso prevede:

il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche

complementare salvo esplicito dissenso da parte del lavoratore (c.d. tacito

conferimento);

l’introduzione di una tassazione agevolata delle prestazioni erogate in

forma sia di capitale sia di rendita;

agevolazioni fiscali e contributive in favore delle imprese, al fine di

compensarle per la perdita del TFR, che in precedenza rappresentava una

forma di finanziamento a basso costo;

una serie di modifiche relative a contribuzioni, prestazioni, anticipazioni,

riscatti e trasferimenti.

L’entrata in vigore del decreto 252/05, anticipata di un anno al 1 gennaio 2006

ha determinato un ulteriore passo avanti nel processo di riforma. Occorre ora

valutare se la normativa vigente riuscirà a fornire il necessario slancio alla

2

previdenza complementare.

2

5.8.2 Andamento delle adesioni, impatto della crisi subprime, prospettive

per il futuro: un intervento del presidente di Covip, settembre 2007

L’analisi dell’andamento delle adesioni nel primo semestre del 2007

sconta inevitabilmente in questa fase un carattere di provvisorietà dei dati

disponibili.

In primo luogo, infatti, non è possibile in questa sede dare contezza del dato

relativo alle adesioni dei lavoratori che entro il semestre non hanno espresso

alcuna manifestazione di volontà circa la destinazione del TFR, cosiddetti

lavoratori silenti.

Si tratta infatti di dati ancora molto parziali, anche in ragione della differente

tempistica di versamento prevista negli accordi collettivi istitutivi delle forme

negoziali.

Un quadro più completo potrà pertanto aversi soltanto con l’effettivo versamento

delle quote di TFR, che, nella gran parte dei fondi è atteso nel corso del mese di

ottobre.

Al momento, è soltanto possibile anticipare che sulla base di alcune rilevazioni

effettuate, anche consultando a tal fine i fondi pensione potenzialmente interessati,

le aspettative in ordine al flusso delle possibili adesioni in via tacita si contengono

entro il limite di pochi punti percentuali.

L’aspetto positivo di tale fenomeno è del tutto evidente.

La diffusione delle iniziative di informazione ha favorito una maggiore presa di

coscienza da parte dei lavoratori, che si è tradotta in espresse manifestazioni di

volontà.

Per quanto riguarda invece le adesioni esplicite alle forme di previdenza

complementare, va considerato che le stesse risultano essersi concentrate nella

seconda parte del semestre, tant’è che sia i fondi pensione sia i datori di lavoro

sono ancora impegnati nel processo di elaborazione e controllo dei relativi dati.

Tuttavia, grazie allo sforzo compiuto per la raccolta delle informazioni e alla

collaborazione fornita al riguardo dai fondi pensione nonché dall'INPS, la COVIP

è in grado di fornire in questa sede prime indicazioni.

2

I dati attengono in particolare ai lavoratori dipendenti del settore privato, gli unici

interessati dalla scadenza del periodo utile per la scelta sulla destinazione del

TFR.

A conclusione del semestre di avvio della riforma, i lavoratori dipendenti privati

iscritti alle forme pensionistiche complementari sono circa 2,7 milioni rispetto al

milione e 800 mila di fine 2006. Si registra dunque una crescita di circa 900 mila

lavoratori, con un incremento di quasi il 50%. La ripartizione della crescita delle

adesioni secondo le diverse tipologie di forme pensionistiche complementari

mostra una larga prevalenza dei fondi pensione negoziali che, a seguito di un

incremento nel semestre di circa 600 mila unità, sfiorano 1,7 milioni di aderenti.

Incrementi rilevanti registrano i fondi pensione aperti e i PIP, rispettivamente con

190 mila e 110 mila nuove adesioni.

I primi di fatto triplicano, rispetto al 2006, le iscrizioni di lavoratori dipendenti

privati, che raggiungono 280 mila unità.

Circa 210 mila risultano i lavoratori dipendenti privati iscritti ai PIP istituiti ai

sensi della nuova normativa di settore, di cui quasi la metà già aderenti a piani “di

vecchia generazione”.

Sulla base degli esiti di un’apposita rilevazione condotta sull’insieme dei fondi di

maggiore dimensione, registrano nuove iscrizioni anche i fondi pensione

preesistenti, per i quali va oltretutto ricordato che i tassi di adesione già prima

della riforma erano molto elevati.

In tali fondi, appare inoltre significativo il fenomeno delle opzioni esplicite a

favore del conferimento integrale del TFR, esercitate da soggetti già iscritti ma

per i quali il versamento del TFR non era previsto o era previsto in misura

parziale.

Nel complesso, le iscrizioni raggiunte, se rapportate alla generale platea dei

lavoratori dipendenti del settore privato destinatari della riforma, stimabile in

circa 12,2 milioni, si traducono in un tasso di adesione che in termini di

significatività potrebbe anche apparire alquanto limitato.

L’analisi deve però necessariamente tenere conto delle difformi situazioni in cui

la riforma ha operato con riguardo alle diverse tipologie di lavoratori.

2

E’ evidente infatti che la platea alla quale essa può dirsi più direttamente e

incisivamente rivolta è quella costituita dai lavoratori dipendenti privati per i quali

la contrattazione sindacale ha previsto il versamento di una contribuzione

aziendale, che va ad aggiungersi al flusso di TFR.

Ciò consente di apprezzare gli effetti della riforma su lavoratori che, in quanto

interessati da fondi promossi dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e

dei datori di lavoro, è presumibile siano stati raggiunti con più facilità dalla

campagna di informazione sull’argomento, in molti casi svolta direttamente sui

luoghi di lavoro.

Non possono peraltro essere inclusi in tale platea i bacini di riferimento di 4 fondi

pensione negoziali istituiti nel corso del 2007, con un’area di potenziali aderenti

di oltre 2 milioni e mezzo di lavoratori, per i quali è ragionevole assumere una

capacità di intercettare efficacemente adesioni ancora piuttosto limitata.

Di conseguenza, la platea cui è più opportuno riferirsi è quella relativa ai

potenziali aderenti dei fondi pensione negoziali già operativi al 31 dicembre 2006

e dei fondi pensione preesistenti rivolti appunto ai lavoratori dipendenti.

Nel complesso, si tratta di fondi che riguardano circa 8 milioni di potenziali

aderenti.

In rapporto a tale più realistico quadro di riferimento, le nuove iscrizioni, pari a

poco meno di 600 mila, portano a un tasso di adesione di circa il 28 per cento, cui

andranno ad aggiungersi i lavoratori silenti.

Un esame più articolato dell’andamento delle adesioni esplicite, concentrato sui

soli fondi pensione negoziali, può risultare utile a cogliere meglio la dinamica

delle iscrizioni in questi mesi.

Di questi fondi, meno di un terzo fa riferimento a una singola azienda o a un

gruppo, mentre oltre i due terzi sono fondi di categoria, destinati a una pluralità di

lavoratori appartenenti a uno o più settori produttivi.

Prestando infine uno sguardo all’andamento della gestione finanziaria dei

fondi pensione nel corso dei primi mesi del 2007, si osserva che sia i fondi

pensione negoziali che i fondi pensione aperti hanno registrato rendimenti

positivi.

2

Si ricorderà che dal mese di luglio i mercati finanziari sono stati interessati dalle

insolvenze che hanno caratterizzato i mutui americani di tipo non primario,

cosiddetti subprime, cioè mutui erogati a soggetti con scarso merito di credito.

Tali insolvenze, come è noto, hanno originato consistenti perdite di valore nei

titoli di debito direttamente emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione dei

suddetti mutui o comunque ad essi collegati.

Nello scorso mese di agosto, la COVIP ha chiesto a tutte le forme pensionistiche

complementari di fornire dati e informazioni sull’eventuale esposizione, diretta e

indiretta, al mercato di tali mutui.

Da un primo riscontro relativo al flusso di informazioni pervenuto, è emerso che

soltanto qualche fondo è risultato marginalmente interessato a tale fenomeno,

essenzialmente in forma indiretta, mediante partecipazione a OICR a loro volta

esposti.

Le ricadute sul sistema sono state pertanto del tutto trascurabili.

Alla luce di tale esperienza e ricordando anche l’irrilevante impatto sul sistema

delle note crisi che hanno interessato in passato il mercato delle obbligazioni, si

può concludere che la gestione del risparmio previdenziale viene attuata con

particolare cautela e attenzione all’interesse dell’iscritto.

Certamente, l’andamento non positivo dei mercati azionari in questo periodo

costituisce un fattore di difficoltà per i lavoratori nel valutare l’effettiva

convenienza ad aderire o meno alla previdenza complementare.

Le forme pensionistiche complementari, per la loro stessa natura, vanno però

guardate in un orizzonte di lungo termine, nel quale le turbolenze dei mercati

risultano assolutamente fisiologiche.

Inoltre le stesse modalità di funzionamento dei fondi tendono di per sé ad

attenuare gli effetti delle oscillazioni di borsa, poiché prevedono flussi di

versamento periodici e quindi distribuiti nelle varie fasi di mercato.

La scelta di partecipare alla previdenza complementare deve poi fondarsi

prioritariamente sulla possibilità di trovare in essa lo strumento attraverso il quale

provvedere alla necessaria integrazione del reddito nell’età anziana, beneficiando

di quei presidi di cui il sistema stesso è dotato in considerazione della funzione

sociale alla quale è chiamato.

2

Da questo punto di vista, può guardarsi con fiducia all’apporto che le forme

pensionistiche complementari possono offrire.

Nella trascorsa delicata fase di transizione, l’affermazione, tramite una

Autorità dedicata, di una vigilanza unitaria, in chiave omogenea, su forme con

medesima finalità ma caratteristiche talvolta assai diverse (coesistono, ad

esempio, attività profit e non profit) si è tradotta per gli operatori in una

maggiore chiarezza di obiettivi, di regole, di processi e in una speditezza degli

adempimenti, che diversamente sarebbe stato certo più complicato realizzare.

La presenza di una Autorità unica di settore, alla quale sono state attribuite anche

le competenze in materia di trasparenza, prima distribuite tra diverse Autorità, ha

consentito di realizzare, con l’adozione degli schemi di statuto, di regolamento e

di nota informativa, una azione integrata di razionalizzazione, semplificazione e

omogeneizzazione dei documenti, a vantaggio tanto degli aderenti quanto degli

operatori del sistema.

Tale configurazione della vigilanza è risultata determinante anche per il

conseguimento di un punto di equilibrio tra le varie sensibilità, in una realtà in cui

il consenso delle forze sociali non meno che delle associazioni rappresentative

degli intermediari bancari, finanziari e assicurativi appare irrinunciabile per

perseguire l’obiettivo dello sviluppo della previdenza complementare, anche

mediante il conferimento del TFR.

Al tempo stesso si è dato riscontro alla necessità di evitare, per la diversa natura e

finalità perseguite, ogni assimilazione tra prodotti di previdenza complementare e

prodotti finanziari e assicurativi.

L’ordinamento normativo vigente scandisce, d’altra parte, una chiara distinzione

di compiti e funzioni tra fondi pensione e intermediari finanziari e assicurativi

incaricati della gestione delle risorse, con un’obbligata ripartizione delle

attribuzioni, cui è logico e coerente faccia riscontro una distinzione anche sotto il

profilo del sistema dei controlli.

Va oltretutto rilevato che il modello dei fondi pensione a contribuzione definita

impedisce di realizzare una efficace distinzione della vigilanza tra i profili della

2

stabilità e della trasparenza, tipici invece del controllo sul risparmio finanziario

tout court.

Tale distinzione si rivelerebbe sostanzialmente arbitraria e implicherebbe

inevitabilmente duplicazioni e costi aggiuntivi, nonché un complessivo

ripensamento dell’intera normativa di settore.

Concludendo questa prima ricognizione sulla operatività della riforma, è

opportuno rilevare come, a fronte di un accrescimento delle adesioni e di una

dinamica anche molto interessante che ha caratterizzato alcune realtà aziendali e

di settore, rimane ancora una platea di lavoratori che, optando a favore del

mantenimento del TFR presso l’azienda di appartenenza, è tuttora priva di

un secondo pilastro previdenziale.

Creare una vera e diffusa “cultura previdenziale” resta dunque il principale

obiettivo al quale tendere. L’andamento osservato in questi mesi ha infatti

confermato che, dove l’informazione è stata scarsa o di cattiva qualità, si è

affermato un atteggiamento “attendista” da parte dei lavoratori, i quali in un

prossimo futuro potranno pur sempre rivedere le loro preferenze a favore delle

forme pensionistiche complementari.

2

5.9 Il settore assicurativo e il suo valore per la crescita, osservazioni

dell’Ania

Fattori demografici, sociali e macroeconomici hanno fatto lievitare a

dismisura negli ultimi decenni la spesa pensionistica in rapporto al PIL: da un

livello del 5% del PIL nel 1960, essa è passata negli ultimi anni dal 13% nel 1990

al 14,7% nel 2004.

Un aumento della spesa pensionistica è avvenuto in tutti i paesi europei.

Nel confronto internazionale il livello della spesa pubblica previdenziale del

nostro Paese è superiore alla media europea (pari al 12,3% considerando l’UE15)

ed è il dato più alto registrato rispetto ai principali Paesi europei: 13,3% in

Germania, 13,1% in Francia, 10,7% nel Regno Unito e 9,2% in Spagna.

Inoltre, l’Italia è di gran lunga il paese con il più elevato livello del debito

pubblico nella Unione Europea.

Per non compromettere la sostenibilità finanziaria dei conti pubblici, molti

Governi europei, tra cui anche quello italiano, hanno realizzato nel corso degli

ultimi quindici anni interventi correttivi dettati dalla necessità di contenere la

spesa previdenziale pubblica.

Gli interventi sono stati realizzati attraverso la progressiva modifica dei requisiti

di accesso e/o delle prestazioni.

Con l’obiettivo di garantire una tutela adeguata ai pensionati, molti paesi

hanno anche perseguito politiche volte a favorire lo sviluppo della previdenza

complementare, in modo che la pensione sia la somma di due componenti distinte:

la pensione pubblica;

la pensione complementare.

Nonostante la riduzione del livello della pensione pubblica garantita dallo

Stato e nonostante il fatto che l’età pensionabile sia stata elevata nel corso del

tempo, le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato formulate alla fine del

2

2006 indicano che la fine della crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL

avverrà solo dopo il 2040 (anno in cui essa toccherà il valore massimo di 15,1%

del PIL), quando il sistema sarà quasi tutto contributivo e la spesa inizierà a

scendere, ritornando al 13,8% del PIL nel 2050.

La previsione della Ragioneria è fatta “a legislazione costante”, ossia tenendo

conto che la legge in vigore prevede sia il c.d. “scalone” dal 1° gennaio 2008,

ossia l’aumento generalizzato a 60 dell’età minima per il pensionamento, sia la

revisione decennale dei coefficienti di trasformazione in rendita del montante

maturato nel regime contributivo (prevista per il 2005 dalla legge 335/95).

Non tiene conto degli interventi a favore delle pensioni più basse, sia di quelli

decisi nel corso del 2007, sia di quelli che potranno essere decisi in futuro.

È possibile che le previsioni andranno profondamente modificate se a seguito del

negoziato con le parti sociali e dell’iter parlamentare le regole di pensionamento

saranno cambiate, in particolare se non saranno effettivamente aggiornati i

coefficienti di trasformazione.

Secondo le previsioni di Eurostat (base 2004), i soggetti ultra 65enni sono

diventati una quota consistente della popolazione: erano il 6% all’inizio del ’900,

sono ora saliti quasi al 25% e, estrapolando le attuali tendenze, saranno circa il

29% del totale nel 2020 e il 47% nel 2050. Già oggi, per la prima volta nella

storia, gli over 65 hanno superato il numero di tutti i giovani sotto i 20 anni e nel

2050 saranno più del triplo (25 milioni contro 8).

Inoltre, la speranza di vita di un maschio di 65 anni è aumentata, secondo i dati

dell’ISTAT, da 14,2 anni nel 1992 a 18,5 anni nel 2005.

Per questi motivi nel futuro si prospetta uno scenario di spesa previdenziale

pubblica ancora critico e gravoso per le finanze dello Stato.

Le previsioni della Ragioneria dello Stato includono le pensioni di invalidità,

vecchiaia e superstiti (“IVS”) al netto delle prestazioni in capitale e le pensioni

sociali. Al contrario dei dati utilizzati nel confronto internazionale (che Eurostat

classifica in termini di funzione old age), la Ragioneria non include alcune

prestazioni (che non sono pensioni) quali ad esempio benefici derivanti

dall’interruzione del rapporto di lavoro.

2

In quest’ottica la previdenza complementare diventa quindi uno strumento

“correttivo” imprescindibile, per integrare in modo sostanziale le prestazioni

garantite dalla previdenza obbligatoria e continuare ad assicurare ai futuri

pensionati un reddito pensionistico nel complesso soddisfacente.

In una prospettiva più ampia, la previdenza integrativa rappresenta uno strumento

fondamentale in grado di apportare benefici importanti e concreti per diversi

soggetti.

Negli ultimi anni la previdenza complementare è cresciuta in generale in tutta

Europa in termini di masse gestite e numero di iscritti, modificando in modo

lento, ma continuo la composizione dei portafogli delle famiglie.

Nell’area Euro, la quota delle riserve assicurative (che comprendono sia le polizze

vita vere e proprie che i fondi pensione) sul totale degli investimenti finanziari

delle famiglie è passata dal 21,2% del 1997 al 25,5% del 2004.

Secondo le stime della Banca Centrale Europea, nel 2006 gli investimenti in

polizze vita e fondi pensione sono stati pari a circa il 6% del reddito disponibile

delle famiglie.

In Italia l’adesione alla previdenza complementare è volontaria e le condizioni per

averne accesso sono fissate dalla legge.

Il meccanismo di funzionamento è quello a capitalizzazione in cui il lavoratore e

il datore di lavoro versano somme (contributi) che vengono investite da operatori

specializzati sul mercato finanziario.

Le “forme pensionistiche complementari”, sono riconducibili

fondamentalmente a tre categorie:

i fondi pensione negoziali (ossia istituiti da accordi collettivi promossi

dalle associazioni sindacali di riferimento o anche dagli accordi aziendali);

i fondi pensione aperti (ossia rivolti a tutti i lavoratori e promossi dalle

istituzioni finanziarie abilitate, vale a dire banche, società di

intermediazione mobiliare (SIM), società di gestione del risparmio (SGR)

e compagnie di assicurazione);

i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo.

2

L’adesione alle forme pensionistiche complementari può avvenire

individualmente o, nel caso di fondi pensione, tramite partecipazione collettiva.

La nuova normativa (d.lgs. 252/2005), la cui entrata in vigore è stata anticipata al

1° gennaio 2007131, prevede l’equiparazione delle diverse forme pensionistiche

complementari.

Nonostante il trend di crescita, documentato dalla figura seguente, le forme

pensionistiche complementari non hanno ancora fatto registrare quel grado di

diffusione e di sviluppo necessario per trasformare il sistema pensionistico

italiano in un modello “multipilastro”.

Secondo i dati della Covip, alla fine del 2006, la percentuale di adesione ai fondi

pensione negoziali dei lavoratori dipendenti risulta pari al 13,9% del bacino dei

potenziali iscritti.

Alla base di uno sviluppo ancora contenuto della previdenza complementare vi

possono essere molteplici motivazioni, tra cui:

la non adeguata consapevolezza dei radicali cambiamenti in atto

soprattutto da parte dei lavoratori più giovani;

la scarsa conoscenza del sistema previdenziale in generale e della propria

posizione pensionistica in particolare;

la maggiore fiducia nel datore di lavoro, rispetto all’investimento nei fondi

pensione e nel mercato finanziario;

la forte patrimonializzazione delle famiglie italiane.

I risparmi, il TFR, gli immobili e le rendite di vario tipo vengono considerati

forme “improprie”, ma efficaci, di integrazione della previdenza di base. Pesa

anche la scarsità di risorse destinabili alla previdenza complementare, dato il peso

consistente dell’aliquota contributiva del sistema pensionistico obbligatorio, pari a

circa il 33%, cui si somma il 6,91% del prelievo per l’accantonamento del TFR.

131 L’entrata in vigore del decreto, sia nei suoi aspetti generali sia per quanto riguarda la disciplina fiscale, era originariamente prevista per il 1° gennaio 2008. Il d.l. n. 279/2006, non convertito in legge, ha sancito, invece, l’anticipo al 1° gennaio 2007. I contenuti dello stesso decreto sono stati inseriti quindi nel testo della legge finanziaria 2007.

2

La nuova normativa (d.lgs. 252/2005) stabilisce la possibilità di conferire alla

previdenza complementare il TFR. Il lavoratore può, con pronunciamento

esplicito, conferire il proprio TFR maturando, senza facoltà di revoca, a una delle

diverse forme delle previdenza complementare.

Nel caso di silenzio del lavoratore, il conferimento avviene secondo le modalità

previste da contratti o accordi collettivi, anche aziendali.

Il lavoratore può scegliere di trasferire la propria posizione previdenziale presso

qualsiasi forma pensionistica, senza però poter ritornare al TFR. Inoltre la libertà

di scelta della forma pensionistica è vincolata, per quanto riguarda il contributo

del datore di lavoro che spesso si aggiunge al TFR conferito, a limiti e modalità

stabiliti da contratti o accordi collettivi.

Per favorire il lavoratore sono previste misure di carattere fiscale che ampliano la

deducibilità dei contributi e riducono la tassazione sulle prestazioni

pensionistiche. Sulla base di una prima valutazione al 30 giugno 2007, le nuove

adesioni esplicite ai fondi negoziali del settore privato sono state pari a poco meno

di 400.000, ossia circa il 4% dei potenziali iscritti. La maggior parte dei lavoratori

interessati - oltre i 3/4 di quelli che si sono espressi - hanno deciso di non aderire

alla previdenza complementare.

Secondo alcuni commentatori è molto difficile che, anche includendo le adesioni

esplicite ai fondi aperti e ai piani individuali, si possa raggiungere l’obiettivo del

40% di adesioni esplicite entro fine anno.

Lo scenario sinora descritto, relativo all’evoluzione del sistema previdenziale

italiano e all’importanza fondamentale della previdenza complementare, induce a

una riflessione più attenta circa il possibile ruolo che i soggetti privati, tra cui il

mondo assicurativo, possono assumere in questo contesto, contribuendo

positivamente a costruire un futuro sereno per i pensionati, attraverso la garanzia

di una cospicua integrazione della pensione pubblica e di un tasso di sostituzione

adeguato.

In Europa, le imprese assicuratrici svolgono un ruolo importante e attivo sia

attraverso l’offerta di polizze assicurative sia attraverso la gestione di fondi

pensione. Le imprese di assicurazioni operanti in Italia hanno un peso rilevante

nel sistema pensionistico, gestendo circa il 39% delle masse raccolte.

2

Già oggi e ancor più in prospettiva, le imprese di assicurazione avranno un ruolo e

una responsabilità importante nell’attività di erogazione delle rendite della

previdenza complementare.

L’Ania propone alcune raccomandazioni indirizzate ai legislatori, tali da

permettere al mercato assicurativo di esprimere appieno il proprio potenziale nel

campo della previdenza:

Creare spazio per un ulteriore risparmio previdenziale privato.

In tutti i sistemi nazionali con elevata contribuzione obbligatoria, come in

Italia, il meccanismo previdenziale privato ha dimensioni ridotte.

In questa logica, in Italia potrebbe quindi risultare lecito chiedersi se un

prelievo obbligatorio del 33% per il finanziamento della previdenza

pubblica, a cui si aggiunge il 6,91% di accantonamento TFR, non

esauriscano lo spazio per eventuali ulteriori contributi a forme di

previdenza privata. Come recentemente argomentato dal Prof. Mario

Draghi, Governatore della Banca d’Italia, una soluzione potrebbe essere

quella di dirottare, comparabilmente con l’equilibrio dei conti pubblici,

una parte della contribuzione dal sistema previdenziale pubblico a quello

privato132.

Fornire incentivi e armonizzare a livello europeo il sistema di

imposizione fiscale, anche per favorire lo spostamento dal risparmio

finanziario a breve termine al risparmio a lungo termine.

Pur riconoscendo che lo schema ETT133 sia un primo passo verso una

forma di incentivazione per lo sviluppo dei piani pensionistici privati in

132 “Compatibilmente con l’equilibrio dei conti pubblici, si può anche valutare lo spostamento verso la previdenza complementare, su base volontaria, di una quota limitata della contribuzione destinata alla previdenza pubblica, che è pari a 33 punti percentuali del salario, il valore di gran lunga più alto tra i maggiori Paesi europei.” Fonte: “Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia sul 2006”, Banca d’Italia, Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, 31 maggio 20 133 Sistema in cui i premi corrisposti vengono dedotti dall’imponibile, mentre i guadagni di capitale e le prestazioni corrisposte sono sottoposte a tassazione.

2

Italia, il passaggio al sistema EET134, prevalente in Europa, costituirebbe

una formula ancora più efficace di incentivo a livello fiscale. Più in

generale, nell’ambito del risparmio finanziario hanno senso politiche volte

a favorire il risparmio di lungo termine rispetto a quello speculativo di

breve termine.

Allungare le scadenze del debito pubblico e favorire l’innovazione

finanziaria.

L’aumento dell’offerta da parte dello Stato di titoli a lunga scadenza (30

anni e oltre) e di titoli collegati all’inflazione potrebbe, dal lato

dell’offerta, stabilizzare il costo del servizio del debito e, dal lato della

domanda, sostenere lo sviluppo del mercato delle pensioni private. Inoltre,

gli Stati che per pagare le pensioni sopportano il forte rischio derivante

dall’aumento della durata della vita umana (longevity risk) dovrebbero

studiare la possibilità di sviluppare il mercato dei longevity bonds, con

l’obiettivo di ridistribuire, almeno in parte, il rischio sul mercato e di

ampliare la gamma di strumenti a disposizione degli investitori

istituzionali. Un mercato dei longevity bonds efficiente potrebbe anche

determinare un aumento delle rendite della previdenza complementare.

Può risultare interessante provare a stimare mediante un semplice modello

il possibile contributo positivo della previdenza privata a sostegno dei consumi

della popolazione italiana nel 2050, nell’ipotesi che questa diventasse parte

integrante dell’architettura pensionistica italiana.

Il dato stimato come contributo positivo della previdenza integrativa, può anche

essere interpretato in un modo alternativo: se non vengono intraprese le politiche

volte a sviluppare la previdenza complementare, esso rappresenta il costo per lo

Stato, cui verrebbe verosimilmente chiesto di intervenire.

Per stimare l’ammontare di risorse che la previdenza integrativa renderebbe

disponibili occorre prima di tutto ricordare che col passare del tempo il tasso di

134 Sistema in cui i guadagni di capitale non sono tassati annualmente.

2

sostituzione garantito dal pilastro pensionistico pubblico diminuisce, mentre

quello della previdenza privata tende ad aumentare.

Secondo le stime contenute nel “Rapporto di strategia nazionale sulle Pensioni”,

preparato nel 2002 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la pensione

su cui potrà contare un dipendente del settore privato di 60 anni con 35 anni di

contributi che andrà in pensione nel 2030 sarà pari al 64% dell’ultima retribuzione

(tasso di sostituzione), composto da un 49,6% di pensione pubblica e da un 14,4%

di pensione integrativa, per le quali è stato ipotizzato l’intero conferimento del

TFR nonché una contribuzione aggiuntiva del 2,3%.

Per un lavoratore che andrà in pensione dieci anni dopo, gli stessi valori saranno

pari rispettivamente al 65,2%, di cui 48,5% di pensione pubblica e 16,7% di

pensione integrativa.

Nel 2050 il tasso di sostituzione della pensione pubblica di un neopensionato sarà

pari al 48,1% mentre le forme previdenziali complementari gli garantiranno il

16,7%, per un tasso di sostituzione complessivo del 64,8%.

Considerando l’insieme dei pensionati del settore privato in vita nel 2050, si può

stimare che poco più dei quattro quinti del reddito pensionistico proverrà dal

pilastro pubblico e un quinto da quello privato.

Poiché nel 2050 la spesa pensionistica pubblica sarà pari al 14% del PIL, secondo

le previsioni formulate dalla Ragioneria dello Stato nel dicembre 2006, è possibile

stimare che la creazione di un solido sistema previdenziale “multipilastro”

potrebbe determinare un flusso annuo di pensioni complementari che nel 2050

sarebbe pari al 3,5% del PIL.

Le assicurazioni giocheranno un ruolo molto importante nell’attività di gestione

del risparmio della previdenza integrativa (oggi esse intermediano circa il 40%

delle masse accumulate) e, ancor più, in quella di erogazione delle rendite135.

135 La prestazione tipica e naturale dei piani pensionistici della previdenza complementare è costituita dalla rendita vitalizia. La legge vede con sfavore la liquidazione della prestazione pensionistica complementare in un’unica soluzione e pone un divieto alla liquidazione in capitale di un importo superiore al 50% di quanto maturato. Tuttavia, per evitare l’erogazione di rendite di importo modesto e gli oneri conseguenti, la legge consente l’erogazione in capitale dell’intero importo maturato qualora la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale risulti di ammontare inferiore al 50% dell’assegno sociale.

2

Le regole della previdenza complementare, tenuto conto che l’erogazione

di rendite comporta l’assunzione di rilevanti rischi sul piano demografico e

finanziario, prevedono in via di principio che la stessa venga effettuata dalle

imprese di assicurazione vita con le quali i fondi pensione debbono stipulare

apposite convenzioni.

Ai fondi è tuttavia consentito di erogare direttamente le rendite, previa

autorizzazione ministeriale subordinata alla sussistenza di diverse condizioni, tra

le quali la stipulazione di una “convenzione di assicurazione contro il rischio di

sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media”.

È necessario sottolineare che l’ipotesi fondamentale dell’esercizio di simulazione

è che l’intero flusso del TFR sia destinato alla previdenza complementare e che a

questo si aggiunga un contributo del 2,3% della retribuzione versato dal datore di

lavoro e dai lavoratori.

2

Capitolo VI

L’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA

6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE – 6.2 Analisi della Direttiva

2002/92/CE - 6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni Stati Membri – 6.4 Analisi

comparativa dell’implementazione dell’IMD – 6.5 Italia: osservazioni sul Nuovo Codice delle

Assicurazioni – 6.6 Italia: regolamento ISVAP n. 5/2006 – 6.7 Regolamento ISVAP n.5/2006:

tutela dell’assicurato nei casi di insolvenza dell’intermediario – 6.8 La fase delle trattative

contrattuali: obblighi e responsabilità di intermediari ed assicuratori – 6.9 Il registro unico degli

intermediari – 6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato assicurativo – 6.11

Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla professione

6.1 Introduzione: cinque anni dopo la Direttiva 2002/92/CE

La direttiva sull’intermediazione assicurativa136 (IMD) è stata adottata

dall’unione europea nel 2002. Gli intermediari assicurativi giocano un ruolo

centrale nella distribuzione e vendita dei prodotti assicurativi.

Gli obiettivi della Direttiva erano chiari:

Introdurre un singolo passaporto per gli intermediari, così come è stato

fatto per le compagnie assicurative e riassicurative.

Tale singolo passaporto si realizza nella registrazione da parte dello Stato

Membro originario che provvede ad informare lo Stato ospite che

l’intermediario ha intenzione di offrire i propri servizi transfrontalieri o di

stabilirvisi.

Un livello di protezione dei consumatori uniforme in tutta l’Unione.

A tale scopo gli intermediari devono soddisfare determinati requisiti

professionali, e i consumatori devono ricevere specifiche informazioni

prima di concludere ogni contratto. Oltre a questo la Direttiva obbliga gli

136 Per una prima analisi del contenuto della direttiva 2002/92/CE, sull’intermediazione assicurativa si veda il capitolo 2 paragrafo 6 della tesi, ed il paragrafo 2 del presente capitolo.

2

Stati Membri a predisporre procedure di “lamentela” nei confronti delle

compagnie a favore dei consumatori, assicurando in ogni caso che ad

ognuna di esse venga data risposta.

L’Unione Europea ha riposto particolare interesse in questo punto,

soprattutto per quel che riguarda la divisione delle responsabilità da parte

degli Stati d’origine e ospite.

Stabilire un connessione ottimale tra le autorità competenti degli Stati

Membri. Riguardo questo obiettivo, è stato fatto molto dal 2002 ad oggi, e

recentemente il CEIOPS ha pubblicato un protocollo sulla cooperazione. Il

protocollo descrive il modo in cui le autorità competenti intendono

cooperare per far funzionare il meglio la Direttiva Comunitaria.

Un grande numero di dubbi e domande sono state sollevate dagli addetti ai

lavori riguardo le previsioni della Direttiva. Ad esempio un problema

interpretativo prioritario è stato quello di determinare quale dovesse essere il

meccanismo per realizzare la comunicazione tra autorità competenti nelle attività

transfrontaliere, e chi dovesse avviare le eventuali procedure di comunicazione.

Un altro punto chiave è l’interpretazione relativa al rapporto tra IMD e MIFID137.

E’ necessario stabilire una relazione ragionevole a livello nazionale in modo tale

che gli intermediari offerenti servizi di investimento e assicurativi non siano

soggetti ad un eccessivo carico di regole.

Ad oggi lo stato di implementazione dell’ IMD è considerevolmente

migliorato. Lo Stato Membro che ha implementato per ultimo la Direttiva è stato

la Germania, con una legge entrata in vigore il 22 maggio 2007.

137 La Mifid è una Direttiva di armonizzazione massima che disciplina gli intermediari e i mercati finanziari. Essa si occupa di ridefinire il quadro istituzionale comunitario del mercato dei servizi e delle attività di investimento e dei mercati regolamentati, ed è articolata in tre atti normativi:

La direttiva di primo livello 2004/39/CE, c.d. Direttiva Mifid. La direttiva di secondo livello 2006/73/CE, relativa ai requisiti di organizzazione

delle imprese di investimento e alle modalità di svolgimento dei servizi e delle attività di investimento.

Il regolamento di secondo livello, 1287/2006, relativo alle operazioni di negoziazione, alla trasparenza dei mercati di negoziazione e all’ammissione di strumenti finanziari alle negoziazioni.

2

La Commissione ha inviato a tutti gli Stati Membri richieste di ulteriori

informazioni e chiarificazioni relativamente all’implementazione. Una di queste

richieste, ad esempio, è stata indirizzata all’Irlanda, e l’autorità competente dello

Stato ha informato la Commissione che è in cantiere una revisione dell’attuale

della Regolamentazione sulla Mediazione Assicurativa, in modo tale da

migliorarne ulteriormente la portata.

L’implementazione dell’IMD ha portato anche un piccolo numero di

problemi pratici. In Germania ad esempio la situazione è abbastanza controversa,

implicando un grandissimo dispendio di energie: la registrazione obbligatoria

degli intermediari coinvolge un numero elevatissimo di soggetti, circa 500000.

In altri Stati Membri, otto pagine del giornale ufficiale dell’ UE sono stati

trasformati in centinaia di pagine di complesse regole locali, in modo tale da

rendere la comprensione e le valutazioni su base locale decisamente complesse.

La Commissione, però, non può avviare un periodo di valutazione che abbia

consistenza e che produca risultati attendibili finché tutti gli Stati Membri non

abbiano completato appieno l’implementazione dell’IMD, ed è comunque

necessario attendere un periodo di tempo tale da permettere alle autorità e agli

addetti di assimilare profondamente le modifiche. In pratica la Direttiva sarà

oggetto di prove e valutazioni “in corsa”.

Il CEIOPS ha già annunciato che il suo Working Party continuerà a

funzionare, e che una delle cose che esso vorrebbe approfondire è il modo in cui

la Direttiva potrà essere ulteriormente migliorata nel futuro. E’ programmato,

per il 2008, un report che esporrà le opinioni degli esperti del CEIOPS in luce di

quelle esposte dagli studi effettuati degli Stati Membri; naturalmente è necessario

che anche gli addetti ai lavori diano il proprio apporto a questi studi: tutto ciò

potrebbe portare ad un aggiustamento e ad un miglioramente progressivo della

Direttiva.

2

6.2 Analisi della Direttiva 2002/92/CE

La Direttiva sull’Intermediazione Assicurativa introduce i requisiti

professionali minimi per tutti gli intermediari europei e richiede loro di registrarsi

presso un’autorità competente nello Stato Membro d’origine. La Direttiva

stabilisce anche il livello minimo di informazione che gli intermediari devono

fornire ai consumatori prima di concludere qualunque contratto.

Una volta riscontrati i requisiti richiesti nel paese d’origine, gli intermediari

assicurativi possono operare in qualunque Stato Membro.

Pubblicata nel dicembre del 2002, la Direttiva avrebbe dovuto essere

implementata prima del 15 gennaio 2005 in tutti gli Stati Membri. La sua

implementazione ha, però, subito numerosi ritardi in alcuni paesi; e per di più

molti hanno osservato che la trasposizione nelle legislazioni nazionali, non è stata

uniforme in tutta Europa.

Diversi commentatori, questi fatti ostacolano la realizzazione del mercato

assicurativo unico per l’intermediazione assicurativa e, oltre a questo, potrebbero

produrre costi superiori per quegli intermediari operanti in paesi nei quali l’ IMD

è stata implementata più velocemente, o dove i legislatori nazionali hanno

interpretato erroneamente la Direttiva.

Come si è detto (6.1) l’IMD ha l’obiettivo di permettere agli intermediari

assicurativi (broker, agenti, operatori di bancassicurazioni, ecc..) di operare in

tutta l’UE, sotto il regime di libertà di stabilimento o liberà prestazione di servizi,

pur mantenendo un altissimo livello di protezione del consumatore.

La Direttiva si applica solamente alle persone che forniscono servizi di

mediazione assicurativa a terzi in cambio di una remunerazione138. Non si applica

138 L’articolo 2.3 della Direttiva dispone che l’intermediazione assicurativa include le attività: “le attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione, o compiere altri atti preparatori o relativi alla conclusione di tali contratti, ovvero nel collaborare, segnatamente in caso di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione. Sono escluse le attività esercitate dalle imprese di assicurazione nonché dagli impiegati di un'impresa di assicurazione che agiscono sotto la responsabilità di tale impresa. Sono altresì escluse le attività di informazione fornite a titolo accessorio nel contesto di un'altra attività professionale, sempre che l'obiettivo di questa attività non sia quello di assistere il cliente nella conclusione o nell'esecuzione di un contratto di assicurazione o la gestione di sinistri per un'impresa di assicurazione su base professionale o le attività di liquidazione sinistri e di consulenza in materia di sinistri”. Non viene perciò inclusa la vendita diretta, quando cioè questa venga effettuata direttamente dalla compagnia assicurativa o dai suoi impiegati.

2

alle persone che forniscono consulenza su coperture assicurative in maniera

accessoria ad altre attività professionali (articolo 2.3 della Direttiva), o come

attività non prevalente a condizioni molto stringenti139.

Le principali previsioni dell’IMD riguardano:

La registrazione obbligatoria e i requisiti professionali degli intermediari

assicurativi (capo II della Direttiva).

Gli obblighi di informazione degli intermediari a tutela dei consumatori

(capo III della Direttiva).

6.2.1 Registrazione obbligatoria e requisiti professionali

Le regole disciplinati nel Capo II della Direttiva sottopongono tutti gli

intermediari assicurativi e riassicurativi di tutti gli Stati Membri alla registrazione

presso un’appositamente designata autorità competente. La registrazione degli

intermediari è subordinata al possesso di determinati e stringenti requisiti

professionali e permette loro di operare in tutta l’UE, dopo previa notificazione

all’autorità competente del paese di origine di volere operare la mediazione

assicurativa in un altro Stato Membro.

I requisiti professionali considerati dalla Direttiva riguardano la

competenza, l’onestà, le capacità professionali e finanziarie, degli intermediari

139 L’articolo 1.2 della Direttiva dispone che: “La presente direttiva non si applica a soggetti che propongono servizi di intermediazione per contratti assicurativi ove siano soddisfatte tutte le condizioni seguenti: a) il contratto di assicurazione richiede soltanto conoscenze sulla garanzia assicurativa fornita; b) non si tratta di un contratto di assicurazione sulla vita; c) il contratto di assicurazione non copre i rischi di responsabilità civile; d) l'attività professionale principale del proponente il contratto non consiste nell'intermediazione assicurativa; e) l'assicurazione è complementare rispetto al prodotto o servizio fornito dall'intermediario e copre:

i) i rischi di deterioramento, perdita o danneggiamento dei beni forniti dall'intermediario, o

ii) danneggiamento o perdita del bagaglio e altri rischi connessi con il viaggio prenotato presso l'intermediario, anche se si tratta di un contratto che assicura il ramo vita o i rischi di responsabilità civile, purché la garanzia abbia natura accessoria rispetto alla garanzia principale relativa ai rischi connessi con tale viaggio;

f) l'importo del premio annuale non eccede 500 EUR e la durata complessiva del contratto di assicurazione, compresi eventuali rinnovi, non è superiore a cinque anni.”.

2

assicurativi. Ad esempio l’articolo 4.1 della Direttiva dispone che “Gli

intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere adeguate cognizioni e

capacità, determinate dai rispettivi Stati membri d'origine”.

Questi requisiti possono variare in base all’attività svolta (assicurazione,

riassicurazione), ed ai prodotti distribuiti.

Un altro elemento fondamentale è quello dell’onorabilità140, è necessario che

l’intermediario abbia quantomeno la fedina penale pulita (soprattutto per quel che

riguarda i crimini contro la propietà o oltri crimini relativi alle attività finanziari) e

che non sia stato precedentemente dichiarato fallito e non riabilitato.

Agli intermediari viene inoltre richiesto di contrarre una polizza assicurativa per

la responsabilità professionale valida in tutta Europa con un massimale minimo di

1.000.000 di Euro per sinistro, e di 1.500.000 di Euro per anno assicurativo

(articolo 4.3).

L’articolo 4.4 dell’IMD richiede agli Stati Membri di adottare misure relative alle

somme versate dai clienti, in modo tale da garantirli da eventuali insolvenze

dell’intermediario.

L’articolo 4.6 della Direttiva permette inoltre agli Stati Membri di adottare

requisiti ulteriori e più stringenti rispetti a quelli previsiti dall’IMD, validi per gli

intermediari che vogliano iscriversi all’interno della loro giurisdizione.

L’articolo 5 della Direttiva introduce la possibilità di mantenere i diritti acquisiti.

In altre parole, gli Stati Membri hanno la possibilità di decidere che gli operatori

attivi nella mediazione assicurativa prima del giorno 1 settembre 2000 venissero

inclusi nel registro degli intermediari mediante la presunzione che essi

posseggano un livello di professionalità ed esperienza pari a quello richiesto

dall’IMD.

140 Art 4.2 IMD “Gli intermediari assicurativi e riassicurativi devono possedere il requisito dell'onorabilità. Essi devono possedere almeno un certificato penale immacolato o analogo requisito nazionale in riferimento a gravi illeciti penali connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività finanziarie e non devono essere stati dichiarati falliti, salvo che sia intervenuta la riabilitazione a norma del diritto nazionale.”.

2

6.2.2 Obblighi di informazione degli intermediari

L’articolo 12.1 della Direttiva (nel Capo III) descrive la quantità minima di

informazioni che gli intermediari assicurativi devono fornire ai clienti prima della

conclusione di qualunque contratto.

Un intermediario deve specificare:

Nome, cognome ed indirizzo; il registro nel quale è iscritto; se detiene più

del dieci per cento dei voti o del capitale di una data compagni

assicurativa; se una compagnia assicurativa detiene più del dieci per cento

dei voti e del capitale dell’intermediario; le procedure a disposizione dei

clienti per presentare ricorso.

“se egli fornisca consulenze fondate sull'obbligo di cui al paragrafo 2 di

fornire un'analisi imparziale; o se sia tenuto, in virtù di un obbligo

contrattuale, a esercitare l'attività di intermediazione assicurativa

esclusivamente con una o più imprese di assicurazione. In tal caso, egli

comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione di tali imprese;

ovvero se non sia vincolato ad alcun obbligo contrattuale di esercitare

attività di intermediazione assicurativa esclusivamente con una o più

imprese di assicurazione e non fornisca consulenze fondate sull'obbligo di

cui al paragrafo 2 di fornire un'analisi imparziale. In tal caso, egli

comunica, su richiesta del consumatore, la denominazione delle imprese

di assicurazione con le quali ha o potrebbe avere rapporti d'affari”.

L’articolo 12.2 della Direttiva prevede che se un intermediario fornisce

consulenza sulla base di un’analisi imparziale, egli ha l’obbligo di fornire un

ventaglio sufficientemente ampio di prodotti disponibili sul mercato, così che la

proposta che ha scelto sia motivatamente quella adeguata a soddisfare le esigenze

del cliente. Per di più, in base all’articolo 12.3, prima della conclusione del

contratto l’intermediario deve precisare le richieste e le esigenze di tale

consumatore e le ragioni su cui si fonda qualsiasi consulenza fornita su un

determinato prodotto.

2

Come previsto per il Capo precedente, la Direttiva permette agli Stati

Membri di adottare requisiti maggiormente stringenti, applicabili a tutti gli

intermediari operanti nella giurisdizione, anche registrati in altri paesi dell’UE.

Infine, l’articolo 13.1 della Direttiva dispone che le informazioni debbano essere

fornite in forma cartacea, ovvero in forma accessibile a qualunque cliente, ed in

maniera chiara ed accurata, e, soprattutto, compensibile. Le informazioni,

comunque possono essere fornite in forma orale su richiesta del cliente, o dove vi

è una necessità di immediata copertura assicurativa.

La deadline per la trasposizione dell’IMD nelle legislazioni degli Stati

Membri è stata prevista per il giorno 15 gennaio 2005. Ciò nonostante, pochi

paesi (Austria, Danimarca, Irlanda, Inghilterra) sono riusciti nell’implementazione

prima della scadenza del termine. Nella maggior parte dei paesi Europei la

Direttiva è stata implementata nel tardo 2005 oppure durante il 2006. Il fanalino di

coda è la Germania che, nel 2007, non ha ancora completamente implementato

l’IMD.

2

6.3 L’implementazione della Direttiva in alcuni stati membri

6.3.1 Austria

L’IMD è stato implementato in Austria il 29 Novembre 2004 con la legge

modificativa del precedente framework, entrata in vigore il 15 gennaio 2005,

come richiesto dalla Direttiva.

La legge sull’intermediazione dispone che gli intermediari debbano registrarsi

preso le autorità distrettuali (Bezirksverwaltungsbehörde), che sono a loro volta

supervisionati dal Ministero Federale dell’Economia e del Lavoro. Il Ministero

Federale è anche autorità competente per il registro centrale degli intermediari

assicurativi, poiché esso centralizza i dati inviati dalle autorità distrettuali.

L’Autorità per i Mercati Finanziari (FMA) è l’autorità competente per quel che

riguarda gli intermediari che sono impiegati presso gli istituti di credito.

Lo statuto precedente richiedeva che agenti e broker si iscrivessero tutti presso un

registro centrale, invece di prevedere uno specifico registro per intermediari

assicurativi, mentre i requisiti professionali già previsti erano molto simili a quelli

disciplinati successivamente dall’IMD.

Tutto ciò ha permesso agli intermediari già iscritti ai registri austriaci di

riscontrare appieno i requisiti richiesti dall’IMD sull’onorabilità e sulle qualifiche

professionali. I requisiti della Direttiva sono comunque più stringenti per quel che

riguarda la bancarotta.

6.3.2 Belgio

Il Belgio ha implementato l’IMD il 15 marzo 2006, con l’entrata in vigore

della nuova legge che è andata a sostituire il precedente framework risalente al

1995.

L’autorità competente alla supervisione degli intermediari assicurativi in Belgio è

la CBFA (Commission Bancaire, Financiere et des Assurances). Dal 1 gennaio

2004 l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni è stata assorbita da CBFA, che è

quindi attualmente l’unica autority per l’intero settore dei servizi finanziari.

2

Prima dell’implementazione dell’IMD all’interno della legislazione belga, gli

intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) erano soggetti a

regolamenti statutari, come descritto dalla legge 27 marzo 1995. L’impatto della

Direttiva è stato abbastanza ridotto su questo sistema di norme, in quanto è stato

osservato che “the IMD was prepared during the Presidency of Belgium and was

therefore largely inspired by the existing Belgian legislation.”141

6.3.3 Francia

La Francia ha implementato la Direttiva nella legislazione nazionale nel

dicembre del 2005 con la legge n. 2005-1564 del 15 dicembre 2005, che è andata

a modificare il libro quinto del Codice delle Assicurazioni.

La regolamentazione statutaria della mediazione assicurativa era già esistente in

Francia prima dell’implementazione dell’IMD. In particolare la mediazione

assicurativa era regolamentata dal Codice delle Assicurazioni (Code des

Assurances), pubblicato per la prima volta nel 1976.

L’autority di vigilanza per il settore è attualmente l’ ACAM (Autorité de contrôle

des assurances et des mutuelles). La registrazione degli intermediari, tuttavia, è

sottoposta alla vigilanza di un’agenzia separata (ORIAS), che è andata a sostituire

la vecchia autority competente, l’ ALCA (Association de la Liste des Courtiers

d’Assurances).

6.3.4 Germania

La Germania ha implementato solo recentemente l’IMD all’interno della

legislazione nazionale: la legge è stata pubblicata dalla Gazzetta Federale il 22

dicembre 2006 ed è entrata in vigore il 22 maggio 2007. L’implementazione della

Direttiva rappresenta un profondo cambiamento per il settore, poiché in Germania

gli intermediari assicurativi (inclusi broker, agenti e subagenti) non erano

sottoposti ad alcun obbligo di registrazione, né ad autorizzazioni.

141 C/M/S, IMD Guide – Selling Insurance Across Europe – January 2006, page 22

2

Dopo lunghe discussioni, la locale Camera dell’Industria e del Commercio

è stata designata come autorità competente e responsabile per la predisposizione

del registro degli intermediari.

6.3.5 Italia

Nel settembre del 2005 il governo italiano ha pubblicato il Nuovo Codice

delle Assicurazioni (d.lgs. 209/2005), che ha implementato l’IMD all’interno della

legislazione italiana. Il Nuovo Codice è entrato in vigore il 1 gennaio 2006, ciò

nonostante l’ISVAP (Istituto di Vigilanza Assicurazioni Private) ha ricevuto

ulteriori 24 mesi da quella data per adottare i singoli provvedimenti.

Nell’ottobre del 2006 l’ISVAP ha approvato il provvedimento relativo alla

mediazione assicurativa (circolare n.5 del 16 ottobre 2006). Questa circolare

introduce il RUI (Registro Unico degli Intermediari) che include agenti, broker,

collaboratori, banche, impiegati, ecc. Il RUI è operativo dal 1 gennaio 2007.

La mediazione assicurativa era già sottoposta a regolamentazione dal 1984 con la

legge 792/1984, quando fu creato un registro di intermediari assicurativi

obbligatorio. Il registro originario, comunque, includeva solo 2 categorie, rispetto

alle 5 inserite all’interno del nuovo registro.

L’ISVAP è l’autorità di vigilanza del settore assicurativo ed è indimendente dalla

CONSOB, l’autorità Italiana dei servizi finanziari.

Il Nuovo Codice delle Assicurazioni dispone altresì che tutte le competenze

relative all’intermediazione assicurativa fossero trasferite completamente

all’ISVAP.

6.3.6 Paesi Bassi

L’IMD è stato inserito inizialmente nella legge olandese mediante il

“Financial Services Act” (Wet financiële dienstverlening – Wfd) del 12 maggio

2005 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2006. Il Wfd è successivamente stato

integrato dall’ “Act on Financial Supervision” (Wet op het financieel toezicht –

Wft) del 26 settembre 2006 che è entrato in vigore il 1 gennaio 2007.

2

L’autorità di vigilanza è l’AFM (Autority Financial Markets), che è

competente alla supervisione di tutti i servizi finanziari nei Paesi Bassi.

La mediazione assicurativa, così come la consulenza (all’interno di un’attività

professionale che sfoci nella raccomandazione di uno specifico prodotto) è stata

oggetto del Financial Services Act, implementativo dell’IMD, e della sua

successiva integrazione.

Gli intermediari erano già soggetti all’obbligo di registrazione prima della

Direttiva. I precedenti requisiti per la registrazione includevano la prova di

esperienza e competenza mediante certificati di formazione, e il requisito

dell’onorabilità comprendente nessun precedente penale e nessuna bancarotta.

6.3.7 Spagna

La Spagna ha implementato l’IMD il 17 luglio 2006 con l’approvazione e

pubblicazione della legge 26/2006 sulla mediazione delle assicurazioni e

riassicurazioni private (Ley de mediación de seguros y reaseguros privados, in

Spanish).

Prima dell’implementazione della Direttiva, il framework legislativo sulla

mediazione assicurativa in Spagna era contenuto nella legge 9/1992.

La nuova legge è costruita intorno a tre principi fondamentali:

l’introduzione di nuovi intermediari (come gli agenti assicurativi connessi

a più compagnie assicurative);

uguaglianza di trattamento di tutti gli intermediari, inclusa l’uguaglianza

dei requisiti professionali;

istituzione di requisiti di trasparenza a protezione dei consumatori.

L’autorità competente è il Direttorato Generale delle Assicurazioni e dei Fondi

Pensione (Dirección General de Seguros y Fondos de Pensiones, DGS). Il DGS è

una divisione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ed è separato

dall’autority competente per i servizi finanziari in genere, il CNMV.

Il precedente framework prevedeva che solo i broker fossero soggetti ad

obbligo di registrazione, poiché gli agenti assicurativi erano formati e registrati

2

presso le rispettive compagnie assicurative. Le compagnie assicurative

organizzavano i propri registri di agenti e si assumevano la responsabilità

amministrativa per essi. Come risultato, alle compagnie assicurative non veniva

richiesto di essere registrate o autorizzate nel caso operassero mediazione

assicurativa mediante vendita diretta ai consumatori.

Il nuovo regime richiede a tutti gli intermediari di registrarsi presso il supervisore,

in rispetto del principio dell’uguaglianza di trattamento.

6.3.8 Regno Unito

Il Regno Unito ha implementato la Direttiva il 14 gennaio 2005. Dal

dicembre del 2001 il ministero del tesoro ha designato l’FSA come l’autorità

competente all’implementazione dell’IMD.

La trasposizione dell’IMD all’interno della legislazione britannica ha

rappresentanto un importante cambiamento nella regolamentazione della

mediazione assicurativa, poiché l’industria non era soggetta ad alcuna

regolamentazione statale prima dell’IMD. Nel periodo pre-IMD il GISC (General

Insurance Standards Council), un’organizzazione indipendente autonomamente

creata dall’industria assicurativa, predisponeva gli standard per i suoi oltre 6000

membri, circa un terzo dell’intero mercato.

2

6.4 Analisi comparativa dell’implementazione dell’IMD

In questo paragrafo si esamina in maniera maggiormente approfondita

l’implementazione della Direttiva in Francia, Germania, Olanda e nel Regno

Unito. L’analisi dimostra che esistono un ampio numero di differenze tra i vari

paesi, alcune delle quali si spiegano mediante il tipo di regolamentazione in

vigore precedentemente all’implementazione dell’IMD, oppure mediante

l’approccio scelto dal legislatore per l’implementazione stessa. Queste differenze

si traducono anche in costi diversi che gli intermediari sono costretti ad affrontare

nei vari paesi.

I punti cardine dell’analisi sono:

lo scopo del legislatore nazionale nell’implementazione;

il mantenimento dei diritti preacquisiti (grandfathering);

l’orientamento regolatorio dell’autorità competente;

i requisiti in materia di competenza ed onorabilità;

l’assicurazione sulla responsabilità professionale, la protezione dei capitali

dei clienti, e i margini di solvibilità;

la quantità minima di informazione da fornire ai consumatori;

i costi per adeguare la mediazione assicurativa dopo l’implementazione.

6.4.1 Scopo del legislatore nazionale nell’implementazione dell’IMD

La Direttiva non si applica alla vendita diretta di prodotti assicurativi da

parte delle compagnie, e oltre a questo fornisce una lista di esenzioni, come ad

esempio quelle relative all’assicurazione dei veicoli, e alle assicurazioni di

viaggio.

Lo scopo dell’IMD e la lista delle esenzioni risultano essere diverse nei quattro

paesi selezionati. Per esempio, le compagnie assicurative che vendono

direttamente i loro prodotti devono seguire le regole dell’IMD nei Paesi Bassi e

nel Regno Unito (dove l’attività di vendita di prodotti assicurativi è

2

regolamentata, indipendentemente dal canale di vendita), mentre in Germania e

Francia la vendita diretta non rientra nell’ambito dell’IMD.

Le legislazioni nazionali in Francia, Germania e nei Paesi Bassi seguono

pedissequamente l’elencazione fornita dall’art.1 della Direttiva, con alcune

differenze trascurabili. In Gran Bretagna invece, la legislazione supera addirittura

i requisiti minimi richiesti dall’IMD, dato che persino le coperture assicurative

relative a veicoli a motore, con premi inferiori ai 500 Euro sono comprese

nell’ambito della legge.

6.4.2 Mantenimento di diritti acquisiti (grandfathering)

L’articolo 5 dell’IMD permette esplicitamente agli Stati Membri di

includere nei nuovi registri persone che: esercitavano la mediazione assicurativa

prima del 1 Settembre 2000, oppure erano già iscritte a registri preesistenti, o

erano in possesso di competenza ed esperienza simili a quella richiesta dalla

Direttiva. Questo è un esempio di “grandfathering”, mediante il quale gli

intermediari in possesso di esperienza prima dell’introduzione della Direttiva

potessero ritagliarsi il loro posto all’interno del registro.

Tre dei paesi selezionati per l’analisi hanno fatto uso di questo metodo,

previsto dalla Direttiva. In Francia, ad esempio, i broker che erano già iscritti nel

registro tenuto dall’ALCA sono stati automaticamente registrati in quello nuovo,

creato dall’ORIA, dopo pagamento della quota di iscrizione annuale. Oltre a

questo, gli intermediari attivi nella vendita di prodotti assicurativi per due anni

prima del gennaio 2007 sono stati automaticamente inclusi nel registro

dell’ORIAS senza dover compiere ulteriore formazione o ricevere alcun diploma.

Sorprendentemente, in Germania, dove non vi era alcuna legislazione statale in

vigore prima dell’IMD, il grandfathering è stato implementato in ugual maniera.

Gli intermediari attivi dall’agosto del 2000 non devono sottoporsi ad alcun esame

se decidono di iscriversi al registro entro il 2009.

Un regime simile è stato predisposto nei Paesi Bassi, dove gli intermediari già

attivi ed in possesso di una certa quantità di esperienza, o di un diploma, hanno

2

ricevuto automaticamente una licensa dall’AFM, se ne avessero fatto richiesta

entro tre mesi dalla legge del 2005.

Nel Regno Unito questo fenomeno non è stato considerato, nonostante i

partecipanti al GISC rappresentassero circa un terzo del numero totale di

intermediari attivi nel mercato.

6.4.3 La scelta, e lo stile regolatorio dell’autorità competente

Vi sono chiare e significative differenze tra i tipi di istituzioni selezionate

come autorità competenti nei paesi in oggetto. Anche lo stile regolatorio si

differenzia molto. L’analisi focalizza il tipo di processo di consultazione utilizzato

e il modo in cui l’industria assicurativa è stata monitorata.

Sia in Gran Bretagna che nei Paesi Bassi le autorità preesistenti, responsabili per

l’intero settore finanziario (rispettivamente FSA, e AFM), sono state designate

come autorità competenti alla regolamentazione dell’intermediazione assicurativa.

In entrambi i paesi la scelta del FSA e dell’AFM rappresenta un significativo

cambiamento rispetto al regime preesistente. L’FSA in Gran Bretagna è andato a

sostituire un regime completamente volontario implementato dal GISC, e così è

stato nei Paesi Bassi, dove l’AFM ha rimpiazzato la supervisione del SFD, che era

incaricata di registrare gli intermediari e non svolgeva alcuna effettiva attività di

supervisione.

Entrambe l’autorità hanno istituito delle consultazioni pubbliche con l’industria ed

hanno partecipato alla progettazione delle regole per gli intermediari assicurativi.

Dai dati disponibili sembra che questo processo di consultazioni sia stato

maggiormente lungo ed elaborato nei Paesi Bassi, dove sono state istituite diverse

commissioni per definire le nuove regole.

Vi è stata comunque una grandissima differenza nell’approccio al cambiamento.

Nei Paesi Bassi, un incremento del numero degli intermediari così repentino è

stato visto come potenzialmente problematico e il legislatore ha supportato l’idea

di creare l’organo SFTD, il quale assiste gli intermediari nei vari adempimenti

obbligatori annuali.

2

Nel Regno Unito, invece, è stato deciso di eliminare totalmente il GISC nel

momento in cui FSA ha ricevuto la completa responsabilità della

regolamentazione del settore.

In Francia, l’implementazione dell’IMD non rappresentava un particolare

strappo con il passato, poiché gli intermediari (in particolar modo i broker) erano

già soggetti alla regolamentazione statale. Per quel che riguarda lo stile di

regolamentazione, le fonti provenienti dall’industria sostengono che l’ACAM,

l’autorità competente Francese, è stata sicuramente un interlocutore meno

proattivo nel richiedere feedback ed interazioni con l’industria stessa, quantomeno

rispetto a quello che si è visto con le autority FSA e AFM.

Va notato, comunque, che l’ACAM è stata creata nel 2005 e che non vi sono

ancora elementi sufficienti per formulare un giudizio preciso.

L’ACAM non è responsabile della creazione e del mantenimento del nuovo

registro degli intermediari, che è sottoposto alla responsabilità dell’ORIAS, ciò

nonostante il legislatore si attende un’ampia collaborazione e scambio di

informazioni tra i due organi istituzionali.

Dopo un lungo dibattito, la legge tedesca di implementazione dell’IMD ha

disposto che la Camera di Commercio (IHKN) fosse responsabile sia

dell’autorizzazione che della registrazione degli intermediari, sotto la supervisione

del Ministero dell’Economia. Questo processo è tutt’ora in corso, ed anche in

questo caso non sembra opportuno effettuare valutazioni sulla base delle

informazioni in possesso a riguardo dello stile regolatorio adottato dall’IHKN.

6.4.4 Requisiti relativi alla competenza ed all’onorabilità

L’articolo 4.1 della Direttiva richiede che gli intermediari assicurativi e

riassicurativi siano in possesso di appropriate conoscenze e competenze,

determinate dallo Stato Membro dell’intermediario.

L’articolo 4.2 dispone altresì che gli intermediari debbano avere il requisito

dell’onorabilità, così come visto nei paragrafi precedenti.

Nella Direttiva, la formulazione di questi requisiti è generica, ed è stata

implementata in modalità differente negli Stati Membri.

2

Nel Regno Unito l’FSA ha richiesto agli intermediari assicurativi di superare un

determinato test personale che riguarda:

l’onestà, l’integrità e la reputazione;

la competenza e le capacità;

la stabilità finanziaria.

Gli intermediari nel Regno Unito hanno un grado di flessibilità superiore in questo

campo rispetto a quelli degli altri paesi, poiché non vi è nessun requisito di

ammissione specifica alla professione.

Viceversa, le legislazioni di altri Stati Membri sono molto più stringenti in

materia. Ad esempio nei Paesi Bassi gli intermediari devono dimostrare di essere

“adeguati” solamente per ricevere la licensa ad esercitare. Per fare ciò devono

produrre un certificato di buona condotta e non devono essere stati dichiarati

falliti nel passato. La legislazione richiede anche che, nella maggioranza dei casi,

gli intermediari perseguiscano uno specifico diploma. Per di più, la legge

integrativa del 2006 introduce anche l’obbligo dell’aggiornamento costante, in

funzione del quale gli intermediari devono frequentare specifici corsi e seminari

(e superare determinati esami).

In Francia i requisiti per l’operatività seguono la stessa falsariga, ma sono

preesistenti all’implementazione della Direttiva, ne è un esempio l’articolo L322-

2 del Libro V del Codice delle Assicurazioni (condition d’honorabilité)142.

I requisiti di competenza, comunque, variano a seconda della categoria

dell’intermediario. I Broker, ad esempio, ed i manager delle compagnie di

brokeraggio (rispettivamente courtiers e dirigeants) devono completare una

formazione di 150 ore, avere un’esperienza professionale di almeno due anni nel

management, o quattro anni di esperienza presso compagnie assicurative, o infine

aver conseguito uno specifico diploma.

Gli agenti sono una categoria differente e devono semplicemnte completare la

formazione di 150 ore.

142 Il vigente Codice delle Assicurazioni Francese dispone che le persone condannate per determinati crimini (incluso omicidio, furto, frode, riciclaggio, corruzione) o dichiarate fallite, non possano esercitare la professione di agente o broker. La legge di implementazione dell’IMD ha introdotto ulteriori tipi di crimini ed infrazioni che conducono all’incapacità di esercitare la professione, ed è probabilmente più severa della stessa Direttiva.

2

La legge Tedesca di implementazione ha istituito requisiti molto simili a

quelli previsti dal testo della Direttiva.

Un’osservazione analitica dell’implementazione degli articoli 4.1 e 4.2

dell’IMD mostra che solo la Germania ha mantenuto l’impostazione prevista dalla

Direttiva, alcuni paesi sono sembrati maggiormente flessibili (come l’Inghilterra),

altri (come la Francia) sicuramente più approfonditi nell’elencazione dei requisiti.

6.4.5 Obblighi relativi alla responsabilità professionale, alla protezione dei

capitali dei clienti, al margine di solvibilità

L’IMD introduce, all’articolo 4.3, l’obbligo per gli intermediari

assicurativi di possedere una polizza di responsabilità professionale con un

massimale minimo di 1.000.000 di Euro per sinistro ed 1.500.000 di Euro per

anno assicurativo. Per di più, l’articolo 4.4 richiede agli Stati Membri di adottare

misure adeguate per proteggere il denaro dei clienti.

L’obbligo di possedere una polizza di indennità professionale è stato

implementato in maniera praticamente identica negli Stati Membri, con alcune

differenze riguardanti il massimale richiesto.

Nel Regno Unito gli intermediari assicurativi, per garantire e proteggere i

capitali dei clienti, possono trasferire il rischio ad una compagnia assicurativa. Per

di più gli intermediari devono possedere una somma minima di capitale (10.000

Sterline o il 5% delle entrate annuali se maggiori), e riscontrare specifici requisiti

di solvibilità. Oltre a questo le regole previste da FSA riguardo il management dei

capitali dei clienti sono maggiormente stringenti rispetto a quelle previste dalla

Direttiva.

Nei Paesi Bassi il legislatore ha fatto sì che i premi pagati dal cliente

all’intermediario vengano trattati come se pagati direttamente alla compagnia,

mentre i soldi pagati dall’assicuratore all’intermediario non vengono considerati

pagati al consumatore finché esso non ne entri in possesso; questa previsione era

parte del Codice Civile prima ancora dell’implementazione dell’IMD.

2

In Francia e Germania si assiste a regolamentazioni molto simili, ad

esempio in Francia gli intermediari devono garantire una capacità finanziaria

minima di 15.000 Euro.

6.4.6 Requisiti minimi di informazione da fornire ai consumatori

L’articolo 12 della Direttiva descrive la quantità minima di informazioni

che gli intermediari devono fornire ai clienti prima della conclusione di un

qualunque contratto. Questi requisiti sono state generalmente rispettati nei paesi

oggetto di analisi, ma significativamente espansi sotto alcuni punti di vista, al

punto che gli intermediari sono obbligati a fornire una quantità di informazioni

sicuramente superiore a quella prevista dalla Direttiva.

Nel Regno Unito, ad esempio, ulteriormente alla quantità minima di informazioni

richiesta dalla Direttiva, è stata prevista un’elencazione completa dell’informativa

relativamente alla polizza.

Nei Paesi Bassi, i requisiti specificati dal legislatore nazionale seguono

pedissequamente il testo della Direttiva. L’intermediario, comunque, ha anche

l’onere di comunicare il proprio livello remunerativo, elemento non presente nelle

previsioni dell’IMD.

Per quel che riguarda le polizze maggiormente complesse, come le polizze vita,

gli intermediari devono tenere un registro delle caratteristiche del cliente (es.

posizione finanziaria, precedenti investimenti, propensione al rischio, ecc..) e

delle proprie consulenze, da conservare per almeno un anno.

L’intermediario deve, inoltre, fornire ai clienti un “risk sheet”, una descrizione

standardizzata del rischio presente nel prodotto assicurativo acquistato.

Dall’ottobre del 2009, l’intermediario dovrà informare inoltre il cliente riguardo

l’ammontare delle commissioni, e su specifica richiesta del cliente stesso, su

quanto di queste commissioni spettino all’intermediario per la transazione.

Il rinnovato Codice delle Assicurazioni Francese riproduce il testo

originale della Direttiva abbastanza fedelmente. Ma anche in questo caso sono

stati inseriti ulteriori requisiti. Ad esempio, l’intermediario deve dichiarare in ogni

2

caso il nome della compagnia assicurativa che ha generato una quota superiore al

33% dei suoi affari e delle sue entrate.

L’intermediario è altresì soggetto all’obbligo di motivazione scritto delle ragioni

per le quali propone uno specifico prodotto assicurativo, nel caso di rischi

complessi (grandes risques). Regole speciali si applicano anche alla

manifestazione della propria remunerazione; in particolare il broker deve

informare i clienti, su loro richiesta, riguardo la remunerazione che egli riceve se

il contratto copre rischi professionali (risques professionnels) e il premio annuo

supera i 20.000 Euro.

Anche in Germania i requisiti di informazione, seppur abbastanza fedeli

all’IMD, presentano delle specificazioni143. Una delle differenze più marcate è

quella per la quale in Germania gli intermediari hanno bisogno di documentare la

loro consulenza in forma scritta, a meno che il cliente non preferisca riceverla in

forma orale, oppure la compagnia non si assuma la responsabilità per

l’intermediario. La legge Tedesca dispone altresì che l’intermediario debba

informare il cliente che non richiedendo documentazione scritta possa venir meno

un elemento probatorio in caso di successive richieste di danni per insorta

responsabilità dell’intermediario stesso.

Gli addetti ai lavori hanno duramente criticato questi ulteriori requisiti,

argomentando che si tratta più che altro di elementi burocratici, non presenti in

altri Stati Membri.

In definitiva, i requisiti extra rispetto al testo della Direttiva sono stati

introdotti in quasi tutti gli Stati Membri, particolarmente appunto nel Regno Unito

e nei Paesi Bassi. I requisiti extra nella maggior parte dei casi riguardano

l’informativa sui costi e sulle commissioni, e spesso si applicano a rischi

particolarmente complessi.

Valutare l’effettiva utilità di queste informazioni, data anche la relativa novità

delle implementazioni, è molto difficile.

Nei Paesi Bassi gli addetti ai lavori asseriscono che i consumatori ora possono

assumere decisioni maggiormente consapevoli, migliorando di gran lunga la

143 Ad esempio, prima della conclusione del contratto, l’intermediario deve fornire il proprio nome e il nome della compagnia assicurativa, quest’ultimo non richiesto dalla Direttiva.

2

situazione preesistente. L’opinione sull’argomento, nel Regno Unito, è

completamente diversa, il Rapporto Davidson ad esempio, commenta che: “much

of the extra, non-directive required information is unnecessary and is not read by

the consumer and results in consumers shopping around less than they otherwise

would. It is expensive for firms to produce and adds to the amount of records that

they are required to keep”.

6.4.7 I costi di implementazione

E’ opportuno distinguere tra costi diretti (es. tasse e contributi), e costi

derivati o di conformità (es. dovuti alla necessità di creare risorse apposite,

ulteriori documenti da conservare, ecc..). E’ dimostrato, e confermato dagli

addetti ai lavori, che il nuovo framework istituito dall’IMD è sicuramente più

costoso del passato.

In genere quindi si può affermare che l’attuale regime ha aumentato i costi, ma

questo è un dato che comunque va letto anche in chiave di “costi/benefici”.

Nel Regno Unito gli intermediari pagano una tassa annuale al FSA e

contemporaneamente contribuiscono mediante il Financial Services

Compensation Scheme (FSCS) e mediante il Financial Ombudsman Service

(FOS). L’ammontare delle tasse da pagare al FSA e dei contributi al FSCS

dipende dal rendiconto annuale dell’intermediario. Nel 2006 le tasse al FSA si

sono aggirate approssimativamente intorno ai 587 Euro per gli intermediari più

piccoli, fino ai 42.697 Euro per quelli più grandi; mentre, i contributi al FSCS

sono stati variabili tra i 9 Euro e i 728 Euro. Il FOS invece ha istituito un

contributo fisso di 75 Euro, ma gli intermediari devono pagare una certa somma

per ogni controversia nella quale incorrano.

Nei paesi bassi le tasse annuali per il 2006 sono state tra i 420 Euro e i

14.780 Euro, a seconda della grandezza e dell’attività dell’intermediario.

Di gran lunga inferiori i costi in Francia e Germania. In Francia ad

esempio la registrazione all’ORIAS costa, nel 2007, fino a 50 Euro, con l’importo

2

non dipendente dal giro di affari dell’intermediario. In Germania le tasse annuali

dovrebbero essere tra i 50 e i 100 Euro all’anno.

Per quel che riguarda i costi di conformità, molti addetti ai lavori hanno

affermato che l’IMD produce una crescita non trascurabile dei costi, sebbene

questi costi non siano facilmente quantificabili.

Nel Regno Unito, ad esempio, il FSA ha pubblicato numerose analisi costi-

benefici in allegato alle sue proposte legislative riguardanti la mediazione

assicurativa. Ad esempio, nel valutare i costi delle nuove regole sulla vendita e

amministrazione di contratti assicurativi, FSA ha stimato che i partecipanti al

mercato avrebbero speso approssimativamente 300 milioni di Euro una tantum, e

240 milioni di Euro all’anno (solo relativamente ai costi di conformità).

Per di più, il costo dei requisiti addizionali imposti dall’IMD agli intermediari

assicurativi ammonterebbe approssimamente a 85 milioni di Euro una tantum, più

una somma variabile tra i 106 milioni di Euro e i 310 milioni di Euro.

I dati forniti dall’ABI, a riguardo del Regno Unito, asseriscono che

l’implementazione dell’IMD abbia portato a costi indiretti per l’adeguamento di

circa 400 milioni di Euro.

Per di più, l’impatto finanziario del nuovo sistema regolatorio è sembrato essere

proporzionalmente più pesante per le compagnie più piccole. Ad esempio il

British Insurance Brokers’ Association (BIBA) ha calcolato che gli intermediari

con un’entrata annuale di meno di 100.000 Sterline si troverebbero a pagare circa

il 5,20% del loro rendiconto, mentre un intermediario che guadagna più di 100

milioni di Sterline pagherebbe solamente l’ 1,13%.

Nei Paesi Bassi, i costi amministrativi risultanti dall’introduzione del

Financial Services Act sono anch’essi considerevoli. Il governo Olandese stima

che gli intermediari dovrebbero spendere ulteriori 21 milioni di Euro all’anno per

adeguamento e conformità alle nuove leggi.

Non vi sono dati sufficienti per valutare i costi di conformità in Francia e

Germania. Le fonti provenienti dall’industria hanno manifestato che il costo di

predisposizione del nuovo database predisposto dall’ORIAS in Francia dovrebbe

aggirarsi intorno agli 1.600.000 Euro, mentre in Germania le spese per gli esami

2

di qualificazione saranno intorno ai 350 Euro per intermediario, e il costo

dell’assicurazione professionale andrebbe a costare circa 1500 Euro all’anno.

L’impressione confermata dai dati è quella che sia i costi diretti che quelli

di conformità sembrino essere di gran lunga più elevati in Gran Bretagna che in

qualunque altro Stato Membro.

2

6.5 Italia: osservazioni sul nuovo Codice delle Assicurazioni Nel settembre 2005 è stato approvato il nuovo Codice delle Assicurazioni

Private che recepisce la Direttiva comunitaria 2002/92 sull’intermediazione

assicurativa.

Il Titolo VIII del nuovo Codice delle Assicurazioni Private dedicato agli

intermediari comporta:

il superamento del sistema degli Albi professionali;

l’obbligo per tutti gli intermediari di iscrizione alle sezioni dell’istituendo

registro;

il possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità per tutti gli

intermediari;

l’obbligo della formazione preventiva e continua con precise

responsabilità a carico di imprese e intermediari.

La nuova normativa comunitaria è stata parzialmente anticipata nella sua

attuazione dalla Circolare ISVAP 533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004.

Il Codice delle Assicurazioni Private, disciplina l’attività di intermediazione

assicurativa, definendola e stabilendo le condizioni di accesso e di esercizio:

“L’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa consiste nel presentare

o proporre contratti di assicurazione e di riassicurazione o nel prestare

assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico

intermediativo, nella conclusione, nella gestione o nell’esecuzione dei contratti

stipulati” (Art.140).

Tutti coloro che svolgono queste attività sono soggetti a tale disciplina e

devono essere obbligatoriamente iscritti al Registro degli intermediari assicurativi

e riassicurativi.

Sono escluse dalla disciplina unicamente le attività dirette esercitate dalle imprese

di assicurazione o di riassicurazione e dai loro dipendenti, le attività di sola

informazione svolte da altri professionisti non assicurativi e attività marginali di

intermediazione non professionale relativa a prodotti assicurativi non vita e non

2

RC, di importo e durata limitati, accessori ad altri servizi e che richiedano soltanto

conoscenza delle coperture fornite (per esempio la vendita di polizze di assistenza

nelle agenzie di viaggio, coperture infortuni e scippo sul conto corrente, ecc.).

Oltre ai requisiti di onorabilità e, limitatamente agli agenti e broker, alla

stipula di una polizza di assicurazione della responsabilità civile professionale,

l’iscrizione al Registro è per tutti gli intermediari subordinata a precisi requisiti di

competenza professionale, che implicano obblighi di formazione a carico delle

imprese: per agenti e broker “l’intermediario … deve possedere adeguate

cognizioni e capacità professionali, che sono accertate dall’ISVAP tramite una

prova di idoneità, consistente in un esame su materie tecniche, giuridiche ed

economiche determinate” (Art.144 co.2); per i produttori diretti “le imprese…

provvedono ad impartire una formazione adeguata in rapporto ai prodotti

intermediati e all’attività complessivamente svolta” (Art.145 co.2); per i

collaboratori di agenti, broker, banche, sim, intermediari finanziari e poste “i

soggetti posseggono cognizioni e capacità professionali adeguate all’attività ed ai

prodotti sui quali operano, da acquisire mediante la frequenza a corsi di

formazione professionale a cura delle imprese o dell’intermediario interessato”

(Art.145 co.4).

Infine sono definite regole di comportamento relative a doveri e

responsabilità verso gli assicurati e alle informazioni precontrattuali da fornire ai

clienti. E’ molto importante l’introduzione del principio per il quale

l’intermediazione deve basarsi sulla analisi dei bisogni affinché la copertura

offerta sia adeguata alle esigenze del cliente: “In ogni caso, prima della

conclusione del contratto, l’intermediario assicurativo…, anche in base alle

informazioni fornite dal cliente, propone o consiglia un prodotto adeguato alle

sue esigenze, previamente illustrando le caratteristiche essenziali del contratto e

le prestazioni alle quali è obbligata l’impresa di assicurazione” (Art.151 co.3).

E’ inoltre stabilito che l’ISVAP disciplina gli obblighi informativi che

“coloro che sono a contatto con il cliente” devono rispettare, nonché la loro

modalità di comunicazione su supporto accessibile e durevole.

Il recepimento della Direttiva viene anticipato dalla Circolare ISVAP

533/D, in vigore dal 1 ottobre 2004.

2

La professionalità, al pari di correttezza, trasparenza e diligenza, viene definita

come un dovere la cui violazione “… costituisce, per i soggetti iscritti ai relativi

albi, comportamento valutabile sotto il profilo disciplinare” (Art.1).

L’ISVAP precisa l’obbligo delle imprese al “costante controllo e all’adeguata

formazione delle reti commerciali, con la finalità di garantire l’efficace

applicazione dei principi” sopra indicati (Art.2 co.1). In particolare impone “una

preventiva attività di formazione del personale incaricato della distribuzione,

compresi gli agenti ed i suoi collaboratori, affinché lo stesso raggiunga un livello

di preparazione adeguata prima della distribuzione dei prodotti, nonché un livello

di affidabilità professionale nei rapporti con gli assicurati”.

Gli accordi distributivi con imprese di altri settori (il caso più tipico è la

bancassurance), per i quali l’ISVAP ribadisce che devono in ogni caso limitarsi

alla distribuzione di prodotti standardizzati, devono “…prevedere modalità e

tempi in base ai quali dette imprese garantiscono la corretta e puntuale

formazione del proprio personale per la distribuzione dei prodotti assicurativi.

Per gli accordi già in essere, le compagnie provvedono alla loro necessaria

integrazione alla prima scadenza utile degli stessi” (Art.2 co.2).

Molto importante è l’innalzamento delle responsabilità e dei controlli al livello

degli organi amministrativi dell’impresa: “Le iniziative attuate e le verifiche

sull’adeguatezza della formazione e sull’osservanza delle regole di correttezza,

trasparenza e professionalità devono risultare da un rapporto annuale trasmesso

dall’unità organizzativa a ciò delegata al responsabile dell’internal auditing il

quale la sottopone, con eventuali osservazioni di merito, agli organi

amministrativi della società che lo inoltrano all’ISVAP entro sessanta giorni

dalla fine dell’anno solare” (Art.2 co.3).

In sintesi, vengono superati gli attuali albi Agenti e Broker, estendendo

l’obbligo di iscrizione al registro e i relativi requisiti etici e professionali a tutti

coloro che a diverso titolo svolgano attività di intermediazione assicurativa.

Le imprese sono tenute alla formazione “adeguata” e al controllo dei requisiti su

tutta la rete e, nel caso di accordi distributivi, a concordare con i partner i piani di

formazione.

La normativa sull’intermediazione apre una fase nuova nel mercato assicurativo

2

italiano, nella quale la tutela dei consumatori si focalizza sulla professionalità

degli intermediari a tutti i livelli.

Sarebbe un grave errore adeguarsi al Codice e alla Circolare ISVAP con

meri adempimenti formali, non raggiungendo la finalità della Direttiva: la

riqualificazione del rapporto con i consumatori attraverso la formazione e la

verifica costante della qualità professionale degli intermediari e di tutti i

collaboratori delle reti distributive.

Per le imprese e per gli intermediari questa è una grande opportunità. Certificare

le competenze significa non solo adeguarsi alle disposizioni dell’Autorità di

controllo ma anche rendere consapevoli i clienti della qualità professionale della

propria offerta.

Le imprese e gli intermediari possono gestire lo sforzo formativo richiesto

ottenendo il vantaggio di qualificare le reti realmente e in modo riconoscibile dai

clienti.

Per realizzare questo obiettivo è necessario definire standard professionali

riconosciuti e condivisi dai protagonisti del mercato:

le competenze necessarie ai diversi livelli e per i diversi profili

dell’intermediazione assicurativa;

i contenuti e i programmi di formazione che permettono di conseguire tali

competenze;

i percorsi di formazione continua e le modalità di aggiornamento;

le modalità e i criteri che permettono di verificare le competenze acquisite

e di certificarle pubblicamente.

2

6.6 Italia: regolamento ISVAP n.5/2006, quadro generale

L’anno 2006 è stato per il settore dell’intermediazione assicurativa un

importante periodo di transizione in quanto, in attuazione della Direttiva

2002/92/CE del 9 dicembre 2002 sull’intermediazione assicurativa, si è istituito, a

partire dal 1° gennaio 2007 il Registro Unico Elettronico degli intermediari di

assicurazione e di riassicurazione.

L’Autorità competente, ISVAP, è stata pertanto impegnata, oltre che dalla

ordinaria attività di tenuta degli albi, le cui norme hanno avuto vigenza fino a tutto

il 2006, e di gestione delle notifiche trasmesse da parte di Autorità di vigilanza di

altri Stati membri dell’UE relative agli intermediari che intendono operare nel

territorio della Repubblica italiana, anche da quella straordinaria di emanazione

della normativa secondaria d’attuazione del codice, nonché di realizzazione dei

sistemi informatici per la gestione e la tenuta del nuovo Registro Unico

Elettronico.

Il 24 ottobre 2006 è entrato in vigore il regolamento ISVAP n. 5/2006

concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e

riassicurativa in attuazione del codice delle assicurazioni private, con conseguente

istituzione, a partire dal 1° febbraio 2007, del registro degli intermediari

assicurativi e riassicurativi. Gli interessati all’iscrizione e al trasferimento dagli

albi al registro intermediari hanno potuto beneficiare, in funzione di un

provvedimento legislativo, di una proroga del termine originariamente fissato al

31/12/2006 dalle norme transitorie del regolamento ISVAP n. 5/2006 al 28

febbraio 2007.

L’impatto organizzativo delle nuove norme per l’ISVAP è risultato

notevole con riferimento a tre principali aspetti:

implementazione del nuovo Registro unico elettronico e dell’elenco

annesso relativo agli intermediari dell’Unione Europea operanti in via

transfrontaliera nel territorio della Repubblica italiana;

istruttoria delle domande di iscrizione nel RUI ai sensi delle disposizioni

transitorie del regolamento n.5;

2

gestione e inserimento nell’elenco annesso delle notifiche, effettuate ai

sensi dell’art. 116 del Codice delle assicurazioni, dalle Autorità di

vigilanza degli altri Stati membri, relative all’intenzione di oltre 5.000

intermediari di operare nel territorio della Repubblica italiana in regime di

stabilimento o in libertà di prestazione di servizi.

Alla data del 28 maggio 2007 risultano iscritti circa 180.000 soggetti (sia

persone fisiche sia società) nelle cinque sezioni del Registro e 5.456 nell’elenco

annesso.

L’ISVAP inoltre assicura l’aggiornamento dei dati contenuti nel Registro sulla

base delle comunicazioni inviate dalle imprese e dagli intermediari, nonchè delle

risultanze dei controlli e delle verifiche effettuate. Assicura altresì il pubblico

accesso al registro e ne garantisce la consultazione sul proprio sito internet.

La struttura della Circolare è particolarmente complessa, e copre tutti i

campi dell’intermediazione assicurativa, dall’accesso all’attività, all’aspetto

sanzionatorio.

La parte II della circolare disciplina l’accesso all’attività di intermediazione, ed al

capo I si occupa della disciplina del registro, e delle iscrizioni di persone fisiche e

società al RUI. E’ interessante osservare come a differenti sezioni del registro

(corrispondenti a diversi tipi di intermediario) vengano assegnati diversi tipi di

requisiti per l’accesso. In particolare per quel che riguarda broker ed agenti è

provista una prova di idoneità davanti ad una commissione esaminatrice.

Comune alle sezioni A,B,E del registro è una delle caratteristiche presenti nella

Direttiva, la richiesta appunto di una polizza sulla responsabilità civile

professionale per gli operatori del settore dell’intermediazione.

La parte III della circolare è dedicata all’esercizio dell’attività di

intermediazione.

In particolare è da valutare con attenzione la sezione relativa alla informativa

minima da fornire ai clienti nel momento della trattativa e della conclusione del

contratto. Insieme alla circolare, ISVAP ha pubblicato due allegati (allegato 7A ed

2

allegato 7B) nei quali, come richiesto dalla Direttiva, si possono conoscere le

informazioni relative all’intermediario con il quale si sta trattando, a tutela del

consumatore.

La pubblicazione della circolare ISVAP ha rappresentato un importante

momento di rottura per gli addetti ai lavori, vuoi per i cambiamenti repentini che

essa ha apportato all’intermediazione assicurativa, vuoi per i costi di

adeguamento, vuoi per la non sempre facile interpretazione del regolamento.

ISVAP in proposito ha pubblicato, il 20 giugno 2007, una serie di FAQ

(frequently asked question) per facilitare l’interpretazione del regolamento.

Segue un estratto, dal quale si evince la volontà dell’autority di semplificare la

comprensione di determinati punti critici, in particolare in materia di informativa

precontrattuale, ed intermediari comunitari.

Art. 49 - Informativa precontrattuale

Quale deve essere il contenuto della dichiarazione prevista dall’art. 49, comma

3, del Regolamento?

L’art. 49, comma 3, del Regolamento ISVAP n. 5/2006, pone a carico

degli intermediari che entrano in contatto con i contraenti l’obbligo di predisporre

una dichiarazione, da far sottoscrivere al contraente stesso, volta ad attestare

l’avvenuta consegna a quest’ultimo della documentazione prevista dal medesimo

articolo (in particolare: il documento sul riepilogo dei principali obblighi di

comportamento, conforme al modello di cui all’allegato 7A, il documento sui dati

essenziali degli intermediari e della loro attività, conforme al modello di cui

all’allegato 7B e la documentazione contrattuale e precontrattuale).

La disposizione impone altresì agli intermediari di conservare la documentazione

atta a comprovare l’adempimento dei predetti obblighi di consegna, quale copia

della suddetta dichiarazione ovvero copia dei documenti consegnati, firmati dal

contraente.

Tale ultima previsione, che ha l’obiettivo di garantire l’effettività della consegna

della documentazione concernente l’informativa e di quella contrattuale, nonché

di rendere possibile l’effettuazione di verifiche sull’avvenuta consegna, può

2

consentire anche all’intermediario di prevenire contestazioni sull’adempimento di

detti obblighi.

L’obiettivo di prevenire eventuali contestazioni, tuttavia, non può essere

conseguito attraverso la predisposizione di dichiarazioni non conformi alle citate

disposizioni regolamentari.

In particolare, non si ritengono in linea con le norme del Regolamento

dichiarazioni, da far sottoscrivere al contraente, il cui contenuto non sia limitato

alla semplice attestazione di avvenuta ricezione della documentazione prevista dal

citato art. 49, ma consista in affermazioni specifiche rese dal contraente con le

quali quest’ultimo dichiara di aver avuto conoscenza di una serie di informazioni

che, in base alla normativa, l’intermediario è tenuto a fornirgli e attesta, anche con

l’espressione di giudizi, l’osservanza da parte dell’intermediario di alcuni obblighi

di correttezza ai quali lo stesso è del pari tenuto, con particolare riferimento a

quelli relativi alla valutazione di adeguatezza del contratto offerto.

In tal modo, in contrasto con lo scopo delle summenzionate disposizioni, si

verrebbe infatti a ribaltare sul contraente una responsabilità che le norme pongono

in capo all’intermediario, quale soggetto a cui è richiesto di svolgere l’attività di

intermediazione con professionalità.

Iscrizione nel registro di collaboratori di intermediari comunitari

Se gli intermediari aventi residenza o sede legale in altri Stati Membri iscritti

nell’elenco annesso al registro intendono operare in Italia avvalendosi, per

l’attività fuori sede, di collaboratori italiani, questi ultimi devono essere iscritti

nella sezione E del registro?

Ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. e), del Codice delle Assicurazioni e dell’art.

4 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, sono da iscrivere nella sezione E del

registro gli addetti all’attività di intermediazione al di fuori dei locali degli

intermediari, iscritti nelle sezioni A, B o D.

In base al tenore letterale delle menzionate disposizioni, sembrerebbe che gli

intermediari di cui alla sezione E possano operare solo per soggetti iscritti nel

registro e, dunque, solo per intermediari con residenza o sede legale in Italia.

Conseguentemente, gli intermediari UE, abilitati ad operare in Italia a seguito del

2

regime di notifiche previsto dall’art. 116, comma 2, del Codice delle

Assicurazioni e dall’art. 33 del Regolamento ISVAP n. 5/2006, potrebbero

avvalersi, per l’operatività fuori sede sul territorio italiano, esclusivamente di

collaboratori appartenenti allo Stato membro d’origine.

Tuttavia, al fine di non frapporre ostacoli al regime di libera circolazione degli

intermediari previsto dalla Direttiva 2002/92/CE e di evitare disparità di

trattamento rispetto ad intermediari italiani ai quali, sulla base della normativa di

altri Stati membri, potrebbe essere consentito di operare in detti Stati attraverso

collaboratori ivi iscritti e residenti, è possibile ritenere che all’intermediario

comunitario abilitato ad operare in Italia attraverso il sistema di notifiche sia

consentito di avvalersi per l’attività fuori sede di collaboratori con residenza o

sede legale in Italia, i quali, in quanto tali, dovranno essere iscritti alla sezione E

del registro e saranno pertanto tenuti all’integrale rispetto della normativa italiana.

Tale possibilità trova fondamento nella considerazione che la formulazione

dell’art. 109, comma 2, lett. e) del Codice delle assicurazioni (che riconduce

letteralmente l’iscrizione nella sezione E ai soli collaboratori degli iscritti nelle

sezioni A, B o D) è legata alla circostanza che tale norma disciplina la struttura

del registro italiano e dunque degli intermediari aventi residenza o sede legale in

Italia.

Non potendosi, per le motivazioni succitate, precludere agli intermediari

comunitari di avvalersi di collaboratori italiani, è da riconoscere in capo ai primi -

ai fini della sussistenza della legittimazione a richiedere l’iscrizione dei

collaboratori italiani - una posizione sostanzialmente equivalente a quella degli

iscritti nelle sezioni A, B e D.

L’obbligo di iscrizione dei collaboratori italiani nella sezione E, anche se in

qualità di collaboratori di un intermediario UE, continua a trovare fondamento

nell’art. 108, comma 1 del Codice, che riserva l’esercizio dell’attività di

intermediazione assicurativa in Italia da parte di soggetti residenti in Italia ai soli

iscritti nel registro.

In considerazione di quanto sopra, l’operatività degli intermediari comunitari

attraverso collaboratori italiani potrà pertanto avvenire alle seguenti condizioni:

2

l’intermediario comunitario che intende stabilirsi in Italia ed avvalersi di

collaboratori italiani, fermo restando che lo stesso può in ogni caso operare

decorsi 30 giorni dalla notifica (art. 116, comma 2 del Codice delle

Assicurazioni), deve presentare domanda di iscrizione nella sezione E del

registro per i collaboratori italiani, con conseguente attesa del termine per

il completamento dell’istruttoria; a tal fine possono essere utilizzati gli

schemi di domanda allegati al Regolamento opportunamente modificati

nella parte relativa ai dati dell’intermediario richiedente;

l’intermediario deve attestare, nella domanda di iscrizione, che l’attività

del collaboratore è coperta dalla polizza di r.c. professionale o da analoga

forma di garanzia ai sensi dell’art. 4, par. 3 della Direttiva 2002/92/CE;

l’intermediario comunitario dovrà assumersi, con atto adeguatamente

formalizzato e conservato, la piena responsabilità dell’attività posta in

essere dal collaboratore, analogamente a quanto previsto dall’art. 119,

comma 3 del Codice per gli intermediari italiani iscritti nelle sezioni A, B

e D;

i collaboratori dovranno, al pari di tutti gli iscritti in E, rispettare le

condizioni di iscrizione, di esercizio e le regole di comportamento previste

dal Codice e dal Regolamento;

in caso di esito positivo dell’istruttoria, nella sezione E del registro verrà

data evidenza del rapporto intercorrente con l’intermediario comunitario a

fini di trasparenza nei confronti del consumatore.

2

2

Nonostante la volontà chiarificatoria da parte dell’ISVAP, manifestata

nella pubblicazione della lunga serie di frequently asked questions, e la decisione

di slittare la deadline per gli adempimenti richiesti dal 1 gennaio 2007, al 28

febbraio, vi è stato un forte ostracismo in Italia da parte dell’industria assicurativa.

Le parti interessate hanno presentato ricorsi al TAR del Lazio contro l’entrata in

vigore del Regolamento ISVAP, e soprattutto per ottenerne il suo annullamento.

Ricorsi separati sono stati effettuati dall’Ania e dalle imprese assicuratrici, dai

broker, e dagli agenti.

In particolare viene contestata all’ISVAP, probabilmente a ragione ma il TAR ha

respinto i ricorsi, la mancata osservanza degli obblighi di consultazione, e la

prescrizione di termini troppo ristretti.

Riguardo questo argomento ISVAP ha in realtà operato tenendo conto anche dei

pareri giunti all’organo successivamente al termine, senza contare che il tribunale

giudicante dei ricorsi ha visto di “buon occhio” la fretta regolamentativa

dell’autority, in luce anche del preoccupante ritardo manifestato

nell’implementazione della direttiva 2002/92/CE.

Un altro punto di contestazione è stato sicuramente quello relativo alla

mancata pubblicazione da parte di ISVAP di un adeguato studio sull’impatto,

soprattutto in luce di metodi che permettono valutazioni abbastanza veritiere ex

ante. Effettivamente, a tutt’oggi, non è stato messo a disposizione nessuno studio

ufficiale relativamente all’impatto quantitativo della regolamentazione.

Un elemento sicuramente controverso all’interno dei ricorsi al

Regolamento ISVAP è quello dell’impossibilità, per gli intermediari, di iscriversi

a più sezioni del registro, doglianza alla quale attualmente è stata data risposta

negativa ma che probabilmente susciterà ulteriori discussioni in futuro.

2

6.7 Regolamento ISVAP n.5/2007: tutela dell’assicurato nei casi di

insolvenza dell’intermediario144.

L’art.4 della Direttiva n. 92/2002 sollecita i legislatori nazionali a recepire

importanti modifiche in un momento topico dell’attività assicurativa e

intermediativa: laddove l’intermediario, entra in possesso di somme di denaro

pagate dall’assicurato come premio, o a lui spettanti come risarcimento di un

sinistro.

Le sollecitazioni della Direttiva Europea riguardo la separazione patrimoniale

hanno portato, in Italia, alla progettazione all’interno del Codice delle

Assicuazioni, e alla successiva attuazione mediante il Regolamento ISVAP

n.5/2006.

L’articolo 54 del Regolamento ISVAP attinge a piene mani dall’indirizzo dettato

dalla Direttiva, i risarcimenti dovuti e i pagamenti effettuati dagli assicurati

debbono essere versati dall’intermediario su un conto separato di cui può essere

titolare l’intermediario espressamente in tale qualità; tali somme (premi e

risarcimenti e/o altri importi dalle compagnie agli assicurati) costituiscono un

patrimonio autonomo, distinto da quello “personale”. Su tale “conto separato” non

sono ammesse azioni esecutive che non siano quelle contro l’assicurato o le

Compagnie a fronte di debiti propri; allo stesso modo, non sono neppure ammesse

compensazioni, quale la fonte, volte ad intaccare la separatezza degli specifici

movimenti contabili qui presi in esame.

La ratio della norma dettata dal legislatore è quella di fornire maggiori

garanzie all’assicurato adottando tutte le misure necessarie contro l’incapacità

finanziaria dell’intermediario assicurativo che incidesse sul trasferimento dei

premi (versati dall’ assicurato) all’impresa di assicurazione e/o le somme dovute

dall’assicuratore agli aventi diritto in adempimento degli obblighi “risarcitori”.

144 Per un’analisi approfondita dell’argomento in tutte le sue sfaccettature, vedere ”L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE REGOLE SULL’INTERMEDIAZIONE ASSICURATIVA REGOLAMENTO ISVAP N. 5/2006 – Art. 54 “SEPARAZIONE PATRIMONIALE”, Avv. Michele Roma (Studio legale Roma Lepri & Partners)

2

Per questi motivi, con l’art. 54 del Regolamento il legislatore persegue

l’obiettivo di colmare una lacuna normativa esistente nel nostro ordinamento,

prima dell’entrata in vigore del Codice, prevedendo così una precisa

regolamentazione del rapporto tra intermediario e assicurato, nonché del rapporto

tra intermediario e impresa preponente, in caso di crisi economico-finanziaria

dell’intermediario.

L’art. 54 del Regolamento attua le disposizioni dell’art. 117 del Codice. Va

considerato, inoltre, l’Allegato n. 7B al Regolamento (“Informazioni da rendere

al contraente prima della sottoscrizione della proposta o, qualora non prevista,

del contratto, nonché in caso di modifiche di rilievo del contratto o di rinnovo che

comporti tali modifiche”) il quale specifica ulteriormente l’applicabilità della

regola della separazione nella Parte III – Informazioni sugli strumenti di tutela del

contraente sub lett. a) “ i premi pagati dal contraente agli intermediari e le somme

destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese, se regolati per il

tramite dell’intermediario, costituiscono patrimonio autonomo e separato”.

In entrambi i casi, il tema della separazione patrimoniale è inserito nella

parte che concerne le “Regole di comportamento” degli intermediari, quasi a

rimarcare l’ essenzialità del dovere giuridico che ne scaturisce esponendo

l’intermediario stesso, in caso di mancato rispetto, a sanzioni civili e

amministrative.

In applicazione del principio di separazione patrimoniale, sulle somme

costituenti “il patrimonio autonomo e separato” (rispetto al patrimonio personale

dell’intermediario) non sono ammesse azioni, sequestri o pignoramenti da parte di

creditori diversi dagli assicurati e dalle imprese di assicurazione. Su tali somme,

inoltre, non operano le compensazioni legali e giudiziali e non può essere pattuita

la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dall’istituto (bancario o

postale) nei confronti dell’intermediario. Ne scaturisce, a ben vedere, una

intangibilità “globale”, di tipo anche contabile e non solo esecutiva. La ratio

della disciplina è quella di sottrarre tali somme, nell’interesse

dell’assicurato, ad eventuali azioni esperite da soggetti terzi ed estranei al

rapporto assicurativo, ancorché creditori dell’ intermediario, poiché sono

ammesse, come anticipato, le sole azioni da parte dei creditori degli assicurati e

2

delle imprese di assicurazione, nei limiti della somma rispettivamente spettante al

singolo assicurato o alla singola impresa di assicurazione.

Tale peculiare conseguenza giuridica identifica, appunto, un’applicazione

delle regole in tema di separazione patrimoniale ad una fattispecie considerata

“meritevole” di tutela dal legislatore: trattasi quindi di una deroga alla regola

generale prevista dall’art.2740 cc.

I risultati pratici sono rilevantissimi perché anche prima della modifica introdotta

dall’ art. 117 del Codice, come attuata dall’ art. 54 del Regolamento, il rapporto

trilatero tra Compagnia, Intermediario, Assicurato poggiava, di regola, su di un

conto corrente, ma in assenza del vincolo di destinazione, detto conto, anche se

intestato all’intermediario nella sua qualità, rendeva problematici gli interventi di

tutela ad opera della Compagnia o dello stesso assicurato, dovendo questi, in sede

esecutiva, far valere i propri diritti sulle somme attraverso l’ opposizione di terzo

(cfr. art. 619 cpc) e con tutte le difficoltà probatorie connesse all’ accertamento

giudiziale.

Rispetto all’impianto precedente, quindi, la separazione dei patrimoni

risulta essere un importante passo avanti nella tutela dell’assicurato.

A livello operativo-pratico la separazione stessa non sembra essere un

elemento di facilissima realizzazione per l’intermediario.

L’intermediario appena inizia l’attività di intermediazione ha l’obbligo di aprire

presso un istituto bancario un conto corrente intestato a se stesso “nella qualità di

intermediario” all’interno del quale verserà tutti i premi incassati, e che rimetterà

periodicamente tramite bonifico all’assicuratore.

Il primo punto da affrontare è quello del versamento: sebbene i pagamenti da

parte degli assicurati, ex Regolamento 5/2006 dell’ISVAP, debbano essere

effettuati mediante assegno (o moneta elettronica), vi sono delle deroge per l’RCA

e per il ramo danni, e quindi pagamenti in contanti. Ciò, in pratica, potrebbe

minare almeno marginalmente l’efficacia della legislazione in tutela degli

assicurati.

Un altro punto dolente della disciplina è che la complessità delle operazioni

bancarie stesse non sono state prese in considerazione. I conti correnti separati

infatti sottostanno, salvo episodi di convenzioni stipulate tra banche e compagnie

2

assicurative, alle comuni regole correntistiche. Ciò implica l’addebito dei costi di

tenuta, delle operazioni (bonifici, versamenti), e delle tasse governative,

direttamente sul conto corrente protetto, inficiando anche in questo caso, ma per

importi normalmente ridotti, la regola generale prevista dall’impianto legislativo.

Ulteriore complicazione proviene dall’eventuale necessità di affidamenti,

indispensabili per coprire eventuali scoperti di valuta, pagamenti insoluti, andando

a causare costosi sconfinamenti gravanti sui premi versati dall’intermediario.

Infine, la disciplina non è chiara per quel che riguarda gli agenti

plurimandatari, coloro i quali, perciò, hanno a che fare con più assicuratori. La

locuzione presente nel secondo comma dell’ art. 54 per cui “…Gli intermediari

che operano per più imprese adottano procedure idonee a garantire, anche in

sede di procedimenti esecutivi…..” pone diverse questioni. Ad un’analisi della

legge sembrerebbe implicito che l’intermediario debba aprire un conto corrente

separato per ogni assicuratore per conto del quale effettua pagamenti.

Queste osservazioni pratiche aiutano ad asserire che, sebbene il linea di

principio vi siano stati degli importanti cambiamenti nella gestione dei capitali

movimentati dall’intermediazione, la piena realizzazione della tutela del

consumatore deve essere ulteriormente perfezionata mediante interventi specifici.

Si può comunque asserire che la costituzione di un conto separato da quello

dell’intermediario per il transito dei soli premi e delle sole somme destinate al

risarcimento produce il cd. “effetto segregazione”, salvaguardando gli importi

versati da eventuali azioni esecutive dirette verso l’intermediario.

Di conseguenza, gli importi versati sul conto separato non potranno essere

pignorabili o sequestrabili da parte di creditori diversi dagli assicurati e dalle

imprese di assicurazione.

La violazione dell’obbligo di separazione patrimoniale da parte degli

intermediari, ossia l’inadempimento all’obbligo di versare in un conto separato “i

soli premi e le sole somme destinate al risarcimento”, legittima l’applicazione di

una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso fra i mille ed i

diecimila euro (art. 324 Codice); tale importo è duplicabile nei casi più gravi o in

ipotesi di ripetizione dell’illecito. Alle sanzioni amministrative pecuniarie sono

2

cumulabili le sanzioni disciplinari come disposto dagli artt. 329 del Codice e 62

del Regolamento.

L’art. 325 del Codice delle Assicurazioni individua quali destinatarie della attività

sanzionatoria le imprese e gli intermediari responsabili della violazione in piena

coerenza con la regola generale di solidarietà del debito fissata dall’art. 6 L. n.

689/1981 in tema di sanzioni amministrative pecuniarie.

2

6.8 La fase delle trattative contrattuali: obblighi e responsabilità di

intermediari ed assicuratori.

Nei paragrafi precedenti si è sottolineato quanto l’impulso della Direttiva

2002/92/CE sia stato importante nell’indirizzare i legislatori nazionali al

perseguimento dell’insieme degli obiettivi in essa contenuti. L’intermediazione

assicurativa è un tassello di tale importanza all’interno dell’intero mercato

assicurativo, da rendere necessari approfonditi interventi legislativi, come è

avvenuto in Italia.

Il principio di fondo che muove l’intera legislazione di ultima generazione è

quello di incrementare in maniera sostanziale la trasparenza nell’attività di

intermediazione a tutela, come si è detto, del consumatore.

Una fase importantissima dell’attività di intermediazione è sicuramente quella

precontrattuale, durante la quale è necessaria la massima trasparenza,

ponderazione, informazione. La regola generale in materia di responsabilità

precontrattuale è quella dettata dall’art.1337 del Codice Civile, che detta

l’obbligo di comportamento secondo buona fede durante le trattative. Nell’ambito

dell’intermediazione assicurativa, però, è stato necessario approfondire questo

concetto con una legislazione ad hoc. A ciò provvede il Codice delle

Assicurazioni, il Regolamento ISVAP 5/2006, la Circolare ISVAP 1° marzo 2005

n. 551/D (recante “Disposizioni in materia di regole di trasparenza delle polizze

di assicurazione sulla vita”) per quel che riguarda il ramo vita, e la Circolare

ISVAP 2 giugno 1997 n.303 per i soli contratti di assicurazione danni.

Gli obblighi precontrattuali previsti da questo blocco normativo possono essere

distinti, sia pur non senza interferenze e sovrapposizioni, in cinque grandi

categorie:

obbligo di correttezza;

L’obbligo di correttezza è posto dall’art. 183, comma 1, lettera (a), cod.

ass. a carico sia delle imprese che degli intermediari. Tale obbligo si

esplica pertanto nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto

obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi

2

dell'altra, anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi

contrattuali o legali145. L’obbligo di comportarsi correttamente nelle

trattative precontrattuali si sostanzia dunque per l’assicuratore (o gli

intermediari) nel dovere di attivarsi, sino ai limiti di un apprezzabile

sacrificio, per evitare che il contratto riesca inutile o dannoso per la

controparte.

Inteso in questi termini, il principio di correttezza appare necessariamente

intrecciato con l’obbligo di acquisire dall’assicurando le informazioni

necessarie a valutare quale sia il tipo di “prodotto assicurativo” a lui più

confacente (artt. 120, comma 3, e 183, comma 1, lettera (b), e comma 2,

cod. ass.; cfr. infra).

In pratica, l’intermediario, per rispettare questo obbligo deve comportarsi

in maniera pedissequa a quello che il suo dna stesso di professionista gli

prescrive. Assumendo le informazioni sulle esigenze del cliente, le

coperture desiderate, per fornirgli un prodotto adeguato.

Contemporaneamente nella presentazione del prodotto non deve sottacere

eventuali caratteristiche che potrebbero rendere il prodotto inadeguato e

svantaggioso. Essenzialmente, in un’ottica di “servizio al cliente” e non di

“vendita” il comportamento secondo correttezza è da sempre elemento

fondamentale del lavoro di intermediario assicurativo.

obbligo di diligenza;

L’art. 183, comma 1, lettera (a) cod. ass. pone altresì a carico di imprese

ed intermediari l’obbligo di diligenza. La norma reitera un principio già

imposto dall’art. 1176 c.c.. L’assicuratore e l’intermediario potranno

essere ritenuti in colpa se la loro condotta sarà stata negligente, e la loro

condotta sarà stata negligente se difforme dal comportamento che avrebbe

tenuto nella stessa situazione un ideale assicuratore (o intermediario)

“medio”, cioè zelante e rispettoso delle norme (si tenga peraltro presente

che, nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dell’inadempimento la

145 Cass. civ., sez. I, 05-11-1999, n. 12310, in Società, 2000, 303, con nota di FUSI, nonché in Dir. e pratica società, 2000, fasc. 1, 59, con nota di NISIVOCCIA.

2

colpa si presume ai sensi dell’art. 1218 c.c., ed è onere del convenuto

dimostrare che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso non è

dipeso da propria colpa146). Analizzando quindi questo punto è valido il

discorso fatto in precedenza riguardo l’obbligo di correttezza:

l’intermediario può liberarsi da qualunque colpa dimostrando di aver

operato in maniera “perfetta”, vale a dire pienamente rispettosa dei canoni

professionali.

obbligo di trasparenza;

L’obbligo di trasparenza è imposto ad imprese ed intermediari dall’art.

183, comma 1, lettera (a), cod. ass.. Secondo la dottrina per “trasparenza”

deve intendersi l’obbligo, da osservare nella fase delle trattative, della

formazione e della redazione del contratto, di predisporre clausole

contrattuali intelligibili e chiare, sulla base delle quali possano

compiere le proprie scelte negoziali parti pariteticamente informate.147

In questo senso, trasparenza diventa sinonimo di “conoscibilità”.

Pertanto dire che l’assicuratore o l’intermediario debbono comportarsi con

trasparenza equivale a dire che debbono comportarsi in modo da garantire

la conoscibilità sia della propria posizione personale rispetto al mercato

assicurativo, sia di tutte le caratteristiche dell’affare che propone di

concludere: in questo senso, l’obbligo di trasparenza si intreccia con

l’obbligo di informazione. In materia diventano quindi essenziali le

informazioni fornite dall’intermediario mediante l’Allegato 7B al

Regolamento, e il contratto di assicurazione in ogni sua parte.

Corollario dell’obbligo di trasparenza è quello di esprimersi, oralmente o

per iscritto, in modo chiaro: tale obbligo è ora imposto dall’art. 166 cod.

ass., alla stregua del quale tutti i documenti consegnati all’assicurando

vanno redatti in modo “chiaro ed esauriente”.

146 Cass., sez. un., 30-10-2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769. 147 Gli esempi in tal senso possono essere numerosissimi: si pensi alle norme in tema di trattamento dei dati personali, in tema di trasparenza del bilancio, in tema di trasparenza delle operazioni infragruppo, ecc.; si veda anche l’art. 21 d. lgs. 24.2.1998 n. 58 (TUIF).

2

La norma ovviamente non dice quando un documento possa ritenersi

“chiaro”; l’art. 3 della Circolare Isvap 551/D (che, come ricordato, si

applica solo all’assicurazione sulla vita), detta al riguardo un criterio

teleologico di valutazione: il documento predisposto dall’assicuratore deve

essere tale da consentire al contraente di comprendere il contenuto del

contratto. Purtroppo però non esiste un solo “tipo sociale” di contraente,

sicché quel che può apparire lampante all’uno, potrebbe essere oscuro ad

un altro. Per questo motivo è sufficiente che il testo predisposto

dall’assicuratore sia comprensibile all’uomo medio. Ove, poi, il contraente

fosse persona dalle capacità di orientamento e comprensione inferiori alla

media, soccorrerà il disposto degli artt. 1175 c.c. e 183 cod. ass., in virtù

del quali l’intermediario sarà tenuto ad integrare i documenti forniti e ad

illustrarli in modo conveniente ed adeguato al livello dell’interlocutore.

In questo senso vi è ancora molto lavoro da svolgere da parte del

legislatore: è sufficiente un’analisi generica delle note informative di

molti prodotti assicurativi per rendersi conto di quale grado di difficoltà

essi presentino nella maggior parte dei casi. Non essendovi in Italia una

grande cultura assicurativa, l’obbligo di trasparenza è compito assai

difficile da rispettare per l’intermediario, nei confronti dell’assicurando

medio che normalmente ignora i concetti base dell’assicurazione. Ad

esempio, per permettere al consumatore di conoscere appieno le

caratteristiche di una polizza relativa al property, sarebbe necessaria una

presentazione assai complessa. Concetti come “valore intero” e “primo

rischio assoluto”, “massimale annuo”, “regola proporzionale”, ecc., non

appartengono alla cultura media del consumatore italiano. Fino a che

punto si spinge l’obbligo di trasparenza dell’intermediario e

dell’assicuratore in un paese dove la cultura assicurativa è relativamente

bassa? Tali concetti vengono approfonditi nell’ambito dell’obbligo di

informazioni.

obbligo di informazione;

2

L’obbligo di informazione è sicuramente il più rilevante tra quelli

precontrattuali gravanti sull’assicuratore e sugli intermediari, ai quali è

imposto dall’art. 183, comma 1, lettera (b), cod. ass.. Per i soli

intermediari, esso è ribadito dall’art. 120 cod. ass.. Norme specifiche per

l’adempimento di tale obbligo sono dettate dalla Circolare Isvap 303 del

1997 per l’assicurazione danni, e dalla Circolare Isvap 551/D del 2005 per

l’assicurazione sulla vita.

Soggetto passivo dell’obbligo di informazione è tanto l’impresa quanto

l’intermediario. Trattandosi di un obbligo disgiuntivo, l’adempimento

dell’uno non esonera l’altro dall’osservanza. Tuttavia è ovvio che

l’assicurato il quale sia stato debitamente informato dall’impresa non potrà

certo dolersi della condotta renitente dell’intermediario, e viceversa.

L’obbligo di informazione precontrattuale assume di fatto contenuto

diverso per l’assicuratore e per l’intermediario: il primo infatti non ha di

norma contatto diretto con l’assicurando, e quindi il suo principale obbligo

è quello di predisporre documenti chiari ed intelligibili. Gli intermediari

invece, rappresentando l’ “interfaccia” con l’assicurando, dovranno

modulare forma e contenuto delle informazioni rispetto alle caratteristiche

intellettive del cliente che hanno dinanzi.

Soggetto attivo del diritto di essere informato è il contraente (art. 183,

comma 1, e 120, comma 1, cod. ass.)148.

Il contenuto dell’obbligo di informazione è regolato a due livelli: da

norme di legge e da norme regolamentari.

Le prime sono rappresentate dagli artt. 120, commi 1 e 4; 183, comma 2, e

185, commi 3 e 4, cod. ass., i quali, nel demandare all’Isvap il compito di

determinare con proprio regolamento le norme di dettaglio circa il

contenuto dell’obbligo di informazione, ne fissano il contenuto minimo, e

dettano alcuni princìpi cui i regolamenti dell’Isvap dovranno attenersi. In

particolare, sono previsti contenuti diversi degli obblighi di

informazione gravanti sugli intermediari rispetto a quelli gravanti

sulle imprese. 148 ALPA, Quando il segno diventa comando: la "trasparenza" dei contratti bancari, assicurativi e dell'intermediazione finanziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2003, 2, 465

2

I primi hanno l’obbligo di fornire all’assicurando due distinti gruppi di

informazioni:

(a) informazioni sui propri rapporti con l’assicuratore preponente (art. 120,

comma 2, cod. ass.); e dunque se sia un agente o un mero procacciatore

d’affari, se sia pluri- o monomandatario, se abbia o meno il potere di

rappresentanza;

(b) informazioni sulle “caratteristiche essenziali” del contratto (art. 120,

comma 3, cod. ass.), e dunque sui costi, sul rischio assicurato, sui rischi

non compresi o esclusi.

Più dettagliato è il contenuto dell’obbligo di informazione gravante

sull’impresa. Quest’ultima infatti è tenuta a consegnare al contraente,

prima della conclusione del contratto ed unitamente alle condizioni

generali di assicurazione, una “nota informativa” contenente tutte le

informazioni necessarie “affinché il contraente e l'assicurato possano

pervenire a un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali e, ove

opportuno, sulla situazione patrimoniale dell'impresa” (art. 183 cod. ass.).

La nota informativa dovrà contenere, in particolare, le informazioni

relative:

o alle garanzie prestate ed alle obbligazioni assunte dall'impresa;

o alle nullità, alle decadenze, alle esclusioni e alle limitazioni della

garanzia e alle rivalse;

o ai diritti e agli obblighi in corso di contratto e in caso di sinistro;

o alla legge applicabile ed ai termini di prescrizione dei diritti;

o alla procedura da seguire in caso di reclamo all'organismo o

all'autorità eventualmente competente.

L’elenco che precede, contemplato dall’art. 183, comma 3, cod. ass., non

sembra possa ritenersi tassativo. L’obbligo di informazione è infatti un

necessario corollario degli obblighi di correttezza e diligenza. Tali ultimi

obblighi hanno carattere generale (in quanto previsti dagli artt. 1175 e

1176 c.c.), e non possono essere circoscritti da un regolamento

amministrativo. Ne consegue che ove l’impresa ometta di fornire nella

nota informativa le informazioni prescritte dall’Isvap ha sicuramente

2

violato l’obbligo di informare, ma non è vero il contrario: e cioè che

l’impresa la quale abbia fornito tutte le indicazioni suddette abbia per ciò

solo correttamente adempiuto l’obbligo di informare.

Per stabilire dunque se e quando l’obbligo di informazione sia stato

correttamente adempiuto, occorre muovere dalla ratio degli artt. 120 e 185

cod. ass., che è consentire al cliente di scegliere con piena cognizione di

causa il “prodotto assicurativo” più consono ai suoi desiderata. Dunque le

informazioni da fornire all’assicurando sono tutte quelle utili e necessarie

per l’esercizio del diritto di valutazione e scelta della polizza da

sottoscrivere.

Se così è, deve concludersi che la legge impone alle imprese assicuratrici

di ottenere dall’assicurando un “consenso informato”, cioè fondato su una

previa e completa valutazione di tutte le caratteristiche del caso concreto.

Insomma, l’assicurando ha diritto di essere informato non solo su cosa

preveda il contratto, ma anche su quanto sia utile quel contratto, in

relazione alle proprie condizioni soggettive ed all’interesse che intende

assicurare.

La nota informativa va consegnata, dice l’art. 185, comma 1, cod. ass.,

prima della conclusione del contratto. Tale norma non può essere intesa in

senso meramente formale: non avrebbe infatti senso la consegna di un

ponderoso tomo di centinaia di pagine pochi istanti prima della

sottoscrizione della polizza. La nota deve quindi essere consegnata in

tempo utile perché l’assicurando possa prenderne visione e studiarla, e

quindi almeno alcuni giorni prima della sottoscrizione.

Quest’ultima previsione legislativa trova scarsa applicazione pratica

nella quotidiana attività di intermediazione. Tornando al concetto di

consumatore medio visto nell’ambito dell’obbligo di trasparenza, l’ipotesi

di realizzare un’adeguata informazione mediante la consegna preventiva

del fascicolo informativo è puramente illusoria. Sarebbe necessario, a mio

parere, che l’ISVAP prevedesse l’obbligo, in carico agli assicuratori, di

pubblicazione di schede informative riassuntive di particolare incisività e

comprensività, riportanti gli aspetti principali della polizza. Attualmente, il

2

linguaggio giuridico caratterizzante i fascicoli informativi di tutte le

compagnie assicurative, rende la comprensione inaccessibile ai più.

obbligo di adeguatezza.

Stabilisce l’art. 183, comma 2, cod. ass., che l’attività dell’impresa di

assicurazione deve svolgersi in modo “adeguato rispetto alle specifiche

esigenze dei singoli”; di rincalzo, l’art. 120, comma 3, cod. ass., impone

agli intermediari di proporre o consigliare prodotti “adeguati alle esigenze

del cliente”. Il quadro normativo è completato dall’art. 28 Circolare Isvap

551/D, il quale prevede l’obbligo per gli intermediari di proporre al cliente

soltanto polizze per lui effettivamente utili.

Queste norme esprimono un principio generale, che si è convenuto di

definire principio di adeguatezza, in virtù del quale sia l’intermediario che

l’impresa assicuratrice debbono attivarsi, nei limiti di un apprezzabile

sacrificio, affinché la controparte si determini ad “acquistare” solo il

prodotto assicurativo di cui ha bisogno, e non altri (c.d. suitability rule).

Così, ad es., vìola il principio di adeguatezza l’agente il quale suggerisca al

pensionato con modesto reddito, il quale intenda investire i propri

risparmi, di stipulare una polizza linked con rischio di capitale.

Questa pratica, la stipulazione cioè di contratti inadeguati alle esigenze

del cliente, è tutt’oggi tristemente diffusa. L’assicuratore in realtà tende

a considerare esaurito il proprio compito nel momento in cui richiede agli

intermediari di compilare il c.d. questionario di adeguatezza del prodotto

offerto. Tali questionari, a mio parere, sono, nella maggior parte dei casi,

estremamente superficiali. Appurate, ad esempio, le esigenze di tutela

previdenziale del cliente, è cosa ben diversa proporre la stipula di un piano

pensionistico individuale, o l’adesione ad un fondo pensione.

L’impressione generale è che, sebbene l’enunciazione dei principi sia di

grande impatto emotivo, il legislatore abbia ancora molto lavoro da fare

per scoraggiare le malpratiche di compagnie assicurative ed

intermediari, che in molte occasioni tendono a massimizzare il profitto

non garantendo al consumatore il miglior prodotto possibile.

2

Il principio di adeguatezza si intreccia sia col dovere di correttezza, sia con

quello di informazione, perché occorre correttamente informare il cliente

sulle caratteristiche delle polizze per fargli scegliere quella più adeguata.

Obbligo di informazione ed obbligo di adeguatezza differiscono però sul

piano della condotta, perché quello di informare impone all’intermediario

di trasmettere informazioni, mentre quello di adeguatezza gli impone di

acquisire informazioni.

L’obbligo di offrire polizze “adeguate” pone a carico dell’intermediario un

complesso e delicato onere di intervista dall’assicurando, al fine di

acquisire le informazioni utili a comprendere quale sia il prodotto più

adeguato. Si tratta di una attività complessa, perché le informazioni da

acquisire sono molteplici; si tratta, nello stesso tempo, di una attività

delicata, in quanto può esporre l’intermediario a responsabilità nei

confronti del cliente.

In luce delle considerazioni poc’anzi effettuate, sembrerebbe che la

responsabilità per inadeguatezza possa addossarsi sull’intermediario con

maggior facilità. Sarebbe auspicabile quindi un maggior controllo riguardo

le politiche assuntive delle compagnie assicurative.

La violazione degli obblighi precontrattuali gravanti sull’assicuratore può

riverberare effetti su due versanti, amministrativo e civilistico.

Sul piano amministrativo, la violazione di uno qualsiasi dei precetti di cui

all’art. 183 cod. ass. (diligenza, correttezza, trasparenza, adeguatezza,

informazione) può comportare:

a. per l’impresa, la sospensione cautelare od il divieto definitivo di

commercializzare i prodotti assicurativi (art. 184 cod. ass.);

b. per l’intermediario, la sanzione amministrativa da 1.000 a 10.000 euro,

ovvero da 2.000 a 20.000 euro nei casi di particolare gravità o di recidiva

(art. 324 cod. ass.).

Più delicato è stabilire quali siano le conseguenze della violazione degli obblighi

precontrattuali sul piano civilistico.

La risposta a questo problema esige l’esame di due diversi profili, e cioè:

2

a. stabilire se la violazione degli obblighi sin qui esaminati, ed in particolare

di quelli d’informare, abbia natura contrattuale od aquiliana;

b. nel caso si opti per la tesi della natura aquiliana dell’illecito, stabilire quali

siano le conseguenze sul contratto (nullità, annullabilità, od altro).

Al primo quesito sembra debba rispondersi che la violazione degli obblighi di

diligenza, trasparenza, informazione, correttezza, nella fase delle trattative, da

parte dell’intermediario o dell’assicuratore costituisce un illecito aquiliano. E’

impossibile infatti concepire un “inadempimento” contrattuale prima che il

contratto sia venuto ad esistenza; né è possibile attribuire natura contrattuale ad un

obbligo (quello di correttezza o di informazione, ad esempio) che preesiste al

contratto, ed è imposto dalla legge. Pacifica, del resto, è nella giurisprudenza di

legittimità l’affermazione che la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.

abbia natura aquiliana149.

Conseguenza di quanto esposto è che la violazione dei doveri di correttezza,

trasparenza ed informazione durante le trattative, da parte dell’assicuratore, non

può mai legittimare una domanda di risoluzione del contratto per

inadempimento.

La Cassazione su questo punto è stata molto chiara, affermando che in tanto può

invocarsi la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., in quanto si dimostri,

in primis, l'esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive; in secondo luogo,

la presenza di una condotta, da parte di uno dei contraenti, che possa qualificarsi

"inadempimento" al contratto stesso. Ne deriva che non può dichiararsi la

risoluzione di un contratto per "inadempimento" se si assume che quest’ultimo è

stato anteriore alla conclusione del contratto: infatti in tanto taluno può essere

dichiarato inadempiente agli obblighi che fanno capo a lui in virtù del

regolamento negoziale, in quanto esista un regolamento negoziale, cioè un

contratto che lo astringa a tenere una determinata condotta, il che non si verifica

durante le trattative150.

149 Ex multis, Cass. [ord.], sez. un., 19-11-2002, n. 16319, in Foro it. Rep. 2002, Giurisdizione civile, n. 155; Cass., 11-05-1990, n. 4051, in Foro it., 1991, I, 184, con nota di CARUSO. 150 Cass. 19.11.1994, n. 9802, in Rass. loc. cond., 1995, 65.

2

E’ ovvio che a soluzione opposta deve pervenirsi nel caso in cui l’assicuratore o

l’intermediario vengano meno agli obblighi di correttezza od informazione non

già prima della stipula del contratto, ma nel corso di esso (ad es., in occasione del

rinnovo: cfr. artt. 11-21 Circolare Isvap 551/D del 2005). In questi casi la

negligenza o l’omessa acquisizione del consenso informato costituiscono

inadempimento, il quale legittima sempre la domanda di risarcimento del danno,

ex art. 1218 c.c., e nei casi in cui sia grave la domanda di risoluzione del

contratto, ex art. 1453 c.c..

Posto dunque che la violazione degli obblighi precontrattuali costituisce un

illecito aquiliano, occorre ora esaminare quali effetti esso riverberi sul contratto,

ove questo sia comunque concluso.

Per dare soluzione a questo problema, è necessario distinguere due ipotesi, a

seconda che il consenso dell’assicurato si sia formato in modo integro o viziato.

Non sempre, infatti, la violazione degli obblighi precontrattuali da parte

dell’assicuratore o dell’intermediario incide sulla formazione della volontà

contrattuale della controparte. Si pensi alle ipotesi in cui l’informativa

precontrattuale venga fornita in modo esaustivo e chiaro, ma non per iscritto;

ovvero al caso in cui la nota informativa sia consegnata diverso tempo dopo la

conclusione del contratto, ma il contraente sia stato comunque debitamente

informato sui contenuti di questo. In queste ipotesi si ha un deficit solo formale di

informazione.

In questi casi, la condotta dell’assicuratore o dell’intermediario non può

riverberare effetti sul contratto. Quel che rileva a fini sostanziali, infatti, è che

l’assicurando sia informato, non certo il modo in cui lo sia. Può dunque affermarsi

che la violazione dei doveri precontrattuali non produce effetto alcuno sul piano

civilistico, quando il contratto che l’assicurando avrebbe altrimenti concluso, se

fosse stato correttamente informato o comunque se l’assicuratore si fosse

comportato con correttezza, diligenza e trasparenza, non sarebbe stato in alcun

modo diverso da quello effettivamente stipulato.

2

Diversa è l’ipotesi in cui la violazione dei doveri precontrattuali si traduca in un

deficit sostanziale di informazione, o comunque induca l’assicurando a stipulare

un contratto che avrebbe altrimenti rifiutato, ovvero un contratto diverso da quello

cui avrebbe altrimenti aderito.

In tutti gli altri contratti (quelli cioè stipulati con qualsiasi modalità da non

consumatori, ovvero quelli stipulati da consumatori ma attraverso canali

“tradizionali") deve escludersi che l’assicurato possa invocare la nullità del

contratto per omessa informazione precontrattuale. Le cause di nullità sono infatti

tassative, e nessuna norma - ad eccezione dell’art. 16 d. lg. 190/05, cit. - consente

di includere tra esse l’ipotesi del deficit di informazione dell’assicurato. Né

certamente può dirsi che il contratto stipulato in violazione dell’obbligo di

informare abbia causa od oggetto illeciti151. Omettere una adeguata informazione

alla controparte non snatura la causa del contratto, che resta lecita, né rende

illecito l’oggetto del negozio. Aggiungasi che appare arduo sostenere che le

norme di condotta imposte agli intermediari assicurativi costituiscano “norme

imperative” ai sensi dell’art. 1418 c.c.. Le “norme imperative” la cui violazione

produce la nullità del contratto sono le norme violate dal contratto in sé, non dalla

condotta tenuta dalle parti durante le trattative. Diversamente argomentando,

infatti, si perverrebbe all’assurdo di ritenere nullo il contratto di vendita quando il

venditore abbia sottaciuto all’acquirente i vizi della cosa, abrogando

implicitamente l’art. 1490 c.c..

Di nullità del contratto potrebbe forse parlarsi nella sola ipotesi in cui l’omessa

informazione, oppure l’erronea informazione, siano state di tale gravità da avere

scusabilmente lasciato intendere all’assicurando che stava per concludere un

contratto del tutto diverso da quello effettivamente concluso. In questo caso, però,

il contrario sarebbe nullo non già per contrarietà alla legge, ma per mancanza del

consenso. Si potrebbe parlare quasi di “assicurazione di aliud pro alio”.

L’assicurato potrà invece invocare, nella ricorrenza dei presupposti di legge:

(a) l’annullamento del contratto per errore (art. 1429 c.c.);

(b) l’annullamento del contratto per dolo (art. 1439 c.c.), ovvero la reductio ad

aequitatem dello stesso, nel caso di dolo incidente (art. 1440 c.c.). 151 Così Trib. Roma 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, con riferimento ad una ipotesi di omessa informazione del risparmiatore da parte dell’intermediario finanziario.

2

La prima ipotesi può ricorrere allorché la reticenza (colposa) dell’assicuratore o

dell’intermediario abbia indotto in errore scusabile l’assicurando, facendogli

ritenere che il programma contrattuale fosse diverso da quello effettivo. In questo

caso, perché l’errore dell’assicurato possa condurre all’annullamento del

contratto, è necessario che esso sia riconoscibile dalla controparte, ed essenziale:

che verta, cioè, su alcuno degli elementi di cui all’art. 1429 c.c..

Sarà, così, annullabile per errore il contratto di assicurazione sulla vita a contenuto

finanziario, se l’assicuratore sapeva che l’assicurato aveva erroneamente creduto

che il rendimento garantito come annuale fosse in realtà mensile.

In tema di annullamento del contratto per errore, nel caso di omissione delle

prescritte informazioni all’assicurando, si pone quando l’assicurato abbia

sottoscritto il contratto (o la proposta) recante tutte le indicazioni sufficienti e

necessarie, ma in una veste grafica diversa da quella imposta dalla legge (ad

esempio, nella quale non siano state debitamente evidenziate per colore e

dimensione del carattere le clausole previste dall’art. 166 cod. ass.). A me pare

che se l’informazione è stata fornita, è completa ed è chiara, vanamente si

pretenderebbe l’annullamento del contratto per errore, sol perché non sono state

rispettate le disposizioni regolamentari sull’ “evidenza” da dare ad alcune

clausole. Colui il quale sottoscrive un testo contrattuale lascia presupporre per ciò

solo di averlo letto, e se non l’ha fatto imputet sibi. Mi sembra, insomma, eversivo

di alcuni princìpi basilari del diritto civile sostenere che la firma di un atto non

vale niente, se il contenuto dell’atto non sia stato scritto con particolari caratteri

tipografici. Se così fosse, dovrebbe concludersi che per la validità del contratto o

di alcune clausole di esso non basta il consenso validamente manifestato, ma è

necessario un ulteriore requisito formale.

Se invece l’omissione, l’incompletezza o l’erroneità delle informazioni fornite

dall’assicuratore nella fase precontrattuale non siano colpose, ma volute,

troveranno applicazione non già le norme sull’errore, ma quelle sul dolo (art. 1439

e ss. c.c.). Si verte, in questo caso, nell’ipotesi di dolosa induzione a contrarre, che

2

è anch’essa causa di annullamento del contratto, se il dolo è stato determinante del

consenso.

Il dolo è causa di annullamento del contratto sia quando provenga

dall’assicuratore (ad es., nel caso di capziosa redazione della nota informativa),

sia quando provengano dall’intermediario: in quest’ultimo caso, però, è necessario

che l’assicuratore ne fosse a conoscenza, ovvero che l’intermediario fosse munito

di potere rappresentativo (art. 1439, comma 2, c.c.). Se l’assicuratore non era a

conoscenza del dolo dell’intermediario il contratto resta perciò valido, ma

l’intermediario sarà tenuto a rispondere del danno patito dall’assicurato.

In tutti i casi di annullamento del contratto per vizio del consenso indotto da

errore o dolo della controparte, sarà onere dell’assicurato dimostrare:

(a) il proprio l’errore o l’altrui dolo;

(b) la natura determinante della falsa rappresentazione della realtà.

In particolare, nel caso l’assicurato invochi l’annullamento per errore, egli dovrà

dimostrare che questo era essenziale e riconoscibile. Ciò vuol dire che l’assicurato

non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale del vizio, ma ha l’onere di

provare che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze,

l’errore verteva proprio sull’identità ovvero su una qualità dell’oggetto della

prestazione (art. 1429, n. 2, c.c.), e non già sulla maggiore o minore convenienza

economica dell’affare, che è ipotesi estranea alla previsione degli artt. 1427 ss.

c.c.152.

Nel caso in cui l’assicurato invochi l’annullamento per dolo, dovrà provare gli

altrui artifici o raggiri, che non possono consistere nel mero silenzio, a meno che

questo non si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente

preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno153.

In tutti e due i casi, poi, l’attore ha l’onere di provare che, qualora avesse

ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione, non avrebbe

stipulato il contratto.

152 Ex multis, Cass., sez. III, 03-04-2003, n. 5139, in Foro it., 2003, I, 3047; Cass., sez. un., 01-07-1997, n. 5900, in Foro it., 1997, I, 3217, con nota di LAGHEZZA; Cass., sez. I, 21-06-1996, n. 5773, in Foro it., 1996, I, 3382, con nota di VASQUES. 153 Cass., sez. II, 15-03-2005, n. 5549, in ***.

2

Una volta fornite dall’attore tali prove (che possono essere raggiunte anche col

ricorso a presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; fatti notori, ex art. 115 c.p.c.,

massime di esperienza, come l’id quod plerumque accidit), sarà onere

dell’assicuratore dimostrare di avere tenuto una condotta diligente, ed in special

modo di avere correttamente ed esaustivamente informato l’assicurando sulle

caratteristiche e sul contenuto del contratto.

Secondo la giurisprudenza prevalente, formatasi in materia di responsabilità

dell’intermediario finanziario, quel che rileva ai fini della prova di avere

informato il cliente non è la mera forma scritta, ma la esaustività e la chiarezza

dell’informazione. Ciò vuol dire che la suddetta prova non può ritenersi fornita

attraverso la produzione di un semplice modulo prestampato, quando il contenuto

di questo non dia debito conto che il contraente sia stato informato in modo

completo, puntuale e comprensibile sulla natura, sul contenuto e sui rischi del

contratto che si accingeva a stipulare154.

Ulteriore conseguenza della violazione dei doveri precontrattuali da parte

dell’assicuratore è il risarcimento del danno, che come accennato ha natura

aquiliana.

Per quanto attiene alla determinazione del danno risarcibile, nelle assicurazioni

contro i danni esso sarà di norma agevole. Se non si sia verificato alcun sinistro, il

danno da responsabilità precontrattuale sarà pari alle spese sostenute per le

trattative e la stipula della polizza; se invece il sinistro si verifica prima che

l’assicurato abbia avuto il tempo di rivolgersi ad altro assicuratore, il danno sarà

pari all’indennizzo che il danneggiato avrebbe potuto ottenere dall’assicuratore,

qualora questi si fosse comportato correttamente.

154 Da ultimo, in tal senso, Trib. Roma, 25 maggio 2005, in Contratti, 2005, 796, secondo cui “l’intermediario finanziario ha il preciso obbligo contrattuale, ex art. 1374 c.c., di informare sempre il cliente sulle caratteristiche e sui rischi specifici e concreti dell’investimento, e ciò sia al momento della stipula, sia durante la vigenza del contratto; tale obbligo va adempiuto con modalità diverse, a seconda della preparazione e della competenza del risparmiatore, ed ai fini della prova dell’adempimento non riveste rilievo decisivo la circostanza che il cliente abbia sottoscritto il foglio informativo predisposto dalla banca, se questo abbia contenuto del tutto generico; sostanzialmente nello stesso senso si vedano Trib. Taranto, 27 ottobre 2004, in Contratti, 2005, 174; Trib. Brindisi, 26-02-2004, in Foro it., 2004, I, 1561; Trib. Roma, 18-02-2002, in Danno e resp., 2003, 291; Trib. Biella 3.1.2001, in Contratti, 2001, ***.

2

Meno agevole è la aestimatio del danno da violazione dei doveri precontrattuali

nel caso di vendita di prodotti misti assicurativi-finanziari.

Anche in questo caso, è d’obbligo fare riferimento alla giurisprudenza consolidata

in tema di violazione degli obblighi di informazione gravanti sul promotore

finanziario, la quale ha fissato i seguenti princìpi.

Non è configurabile alcun danno risarcibile quando l’informazione omessa era

tale che, se fornita, non avrebbe verosimilmente dissuaso l’investitore dalla stipula

del contratto. In questi casi, infatti, viene meno il nesso causale ex art. 1223 c.c.

tra il lamentato pregiudizio e la condotta ascritta all’assicuratore o

all’intermediario.

Non così, invece, nell’ipotesi in cui il contraente, se avesse conosciuto la notizia o

le informazioni che gli sono state sottaciute, non avrebbe stipulato il contratto,

ovvero lo avrebbe stipulato a condizioni diverse. In questo caso, tuttavia, il danno

risarcibile non può essere pari al rendimento atteso dal contraente, od a quello

suggerito dall’intermediario (magari con millanteria) al momento della stipula. Il

danno rappresentato dalla violazione della libertà contrattuale (essere indotti a

stipulare un contratto che si sarebbe altrimenti rifiutato) è un danno differenziale,

pari allo scarto tra quanto il contraente ha ricavato dal contratto effettivamente

stipulato, e quanto avrebbe ricavato se avesse investito la medesima somma in

altre attività, possibili e note al momento della conclusione del contratto non

andato a buon fine. Così, ad es., se una polizza linked, stipulata da persona tratta

in errore dall’intermediario, ha reso all’assicurato il 2%, mentre nel medesimo

periodo altre forme ordinarie di investimento hanno reso il 5%, il danno da lucro

cessante patito dall’assicurato sarà pari al 3% del capitale investito.

2

6.9 Il Registro Unico degli Intermediari

Tutti gli intermediari assicurativi in base alla Direttiva 2002/92/CE sono

soggetti ad obbligo di registrazione. Questo obbligo mette in luce due finalità

precise:

la libera circolazione degli intermediari all’interno dell’UE;

la protezione dei consumatori.

Si assiste quindi ad una nuova concezione della figura di intermediario, la cui

registrazione produce uno status nuovo rispetto all’impianto normativo precedente

degli Stati Membri. Ad un’analisi approfondita, però, non sempre il legislatore

nazionale ha realizzato appieno il disposto della Direttiva155, proponendo

soluzioni apparentemente ostative al modello dell’intermediario “unico”.

Il legislatore italiano, dopo aver previsto la creazione del Registro Unico

degli intermediari assicurativi (art.109 del decreto legislativo 109 del 7 settembre

2005 n.109 – Codice delle Assicurazioni Private), ne prevede la suddivisione in

cinque autonome sezioni, con divieto di contemporanea iscrizione a più sezioni da

parte del medesimo soggetto (persona fisica o giuridica). La soluzione è

funzionalmente identica nella Ley 26/2006 spagnola ma differisce nettamente in

altri sistemi.

Il recepimento della Direttiva in Italia coincide con l’approvazione del

Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n.209 recante il riassetto delle disposizioni

in materia di assicurazioni private - Codice delle Assicurazioni Private.

Il Titolo IX del Codice delle Assicurazioni Private è dedicato agli intermediari

di assicurazione e riassicurazione, ed, all’interno di esso si evincono particolari

contraddizioni dovute all’esigenza di comporre le problematiche interne al mondo

intermediatizio nazionale e l’adeguamento al modello comunitario. Partendo

dall’assunto che l’obiettivo della registrazione è quello di creare un modello di

intermediario unico, l’idea stessa di articolare il registro in cinque sezioni è

sicuramente contraddittoria. In effetti, in questo modo si realizza una tipizzazione

di differenti figure di intermediario, sottolineate dal divieto espresso di iscrizione

a più sezioni del registro. Riguardo questo argomento si è accennato in 155 Sull’argomento si veda D.Cerini, Professore Associato di Diritto Privato Comparato, Università degli Studi di Milano Bicocca.

2

precedenza (par. 6.8) la contrarietà di maggior parte degli addetti ai lavori,

manifestata in maniera esplicita mediante un ricorso al TAR del Lazio, ritenuto da

quest’ultimo infondato. E’ la Direttiva stessa che consente agli Stati Membri “più

registri per gli intermediari assicurativi e riassicurativi, purchè siano stabiliti i

criteri in base ai quali gli intermediari devono essere iscritti (…)” e semprechè si

preveda il funzionamento di uno “sportello unico che consenta di accedere

agevolmente e velocemente all’informazione proveniente dai diversi registri

istituiti elettronicamente (…)” (art.3,2 dir.2002/92/CE). In base a tale apertura,

l’art.109 del Codice delle Assicurazioni Private distingue cinque sezioni del

Registro Unico.

a. gli agenti di assicurazione, ossia gli “intermediari che agiscono in nome o

per conto di una o più imprese di assicurazione o di riassicurazione (sez.

A);

b. i mediatori di assicurazione o di riassicurazione o broker, quali

“intermediari che agiscono su incarico del cliente e senza poteri di

rappresentanza di imprese di assicurazione o di riassicurazione” (sez. B);

c. i produttori diretti, i quali, anche in via sussidiaria rispetto all’attività

svolta a titolo principale, “esercitano l’intermediazione assicurativa nei

rami vita e nei rami infortuni e malattia per conto e sotto la piena

responsabilità di un’impresa di assicurazione e che operano senza obblighi

di orario o di risultato esclusivamente per l’impresa medesima” (sez. C);

d. le banche autorizzate, gli intermediari finanziari inseriti nell’elenco

speciale di cui all’articolo 107 del testo unico bancario, le società di

intermediazione mobiliare autorizzate, la società Poste Italiane –

Divisione servizi di bancoposta (sez. D);

e. i soggetti addetti all’intermediazione, “quali i dipendenti, i collaboratori,

i produttori e gli altri incaricati degli intermediari iscritti alle sezioni di cui

alle lettere a), b) e d) per l’attività di intermediazione svolta al di fuori dei

locali dove l’intermediario opera” (sez. E).

2

L’articolo in esame, che consente altresì l’iscrizione di agenti e broker persone

fisiche, “abilitati ma temporaneamente non operanti, per i quali l’adempimento

dell’obbligo di copertura assicurativa […] è sospeso sino all’avvio dell’attività”

(3° comma), sancisce inoltre un generale divieto di “contemporanea iscrizione

dello stesso soggetto in più sezioni (2° comma, cpv.). E’ appunto quest’ultimo

l’elemento controverso che tante critiche ha mosso da parte degli addetti ai lavori

in Italia. Non tanto la separazione quindi, ma il divieto espresso di iscrizione a più

sezioni crea discussioni: la formulazione dell’ultimo comma dell’art. 109 del

Codice delle Assicurazioni Private ove si prevede che “non è consentita la

contemporanea iscrizione dello stesso intermediario in più sezioni del registro”.

L’osservazione che, quindi, può essere avanzata è che in Italia, alla volontà

unificante di estrazione comunitaria, sembra contrapporsi una certa resistenza

probabilmente proveniente dal mondo stesso dell’intermediazione.

2

6.10 L’importanza dell’intermediazione all’interno del mercato

assicurativo

Gli intermediari assicurativi facilitano la vendita e l’acquisto di prodotti

assicurativi e forniscono importanti servizi alle compagnie ed ai consumatori.

Tradizionalmente, gli intermediari vengono divisi in due categorie: gli agenti

assicurativi e i broker. Questa distinzione riguarda semplicemente il modo in cui

essi operano all’interno del mercato assicurativo.

Gli agenti assicurativi sono, generalmente, autorizzati a concludere affari

per nome e in conto di compagnie assicurative. L’agente rappresenta

l’assicuratore nel processo assicurativo, e principalmente opera sulla base di un

contratto di agenzia. Il rapporto assicuratore-agente può assumere diverse forme.

In alcuni mercati, gli agenti sono indipendenti e lavorano con più di una

compagnia assicurativa (normalmente un piccolo numero di compagnie); in altri,

gli agenti operano esclusivamente, rappresentando una singola compagnia in

un’area geografica, o trattando una solo tipologia di affari per ogni diversa

compagnia. Gli agenti possono operare in molte forme differenti: indipendente,

esclusiva, dipendente, autonoma.

I broker tipicamente lavorano per il contraente, all’interno del processo

assicurativo, ed operano indipendentemente dalle compagnie. I broker assistono i

clienti nella scelta della loro assicurazione, presentando loro una gamma di

alternative in termini di assicuratori e prodotti.

In alcuni mercati ci sono distinzioni tra broker, a seconda del tipo di assicurazioni

che sono autorizzati a intermediare, delle tipologie di clienti che servono, e del

modo in cui si pongono nella negoziazione, ad esempio facendo da tramite per

agenti e broker nei confronti delle compagnie, non trattando direttamente con il

cliente (wholesale brokers).

Tecnicamente parlando, il ruolo del broker può cambiare durante la mediazione

assicurativa, in quanto in alcuni casi può comportarsi quasi come “un agente”

dell’assicuratore, ed in altri casi come “broker tout court”. Ad esempio il broker

agisce come tramite del cliente nella negoziazione del contratto e conclusione

della polizza. Quando un broker fornisce servizi che invece sarebbero gestiti

2

direttamente dalla compagnia assicurativa, come il pagamento del premio e la

gestione dei sinistri, il broker sta agendo essenzialmente come un agente.

In pratica, indipendentmente dal ruolo che il broker sta assumendo, la funzione

che egli copre è quello di intermediario tra un cliente ed una compagnia, per

facilitare il processo di assicurazione.

Detto questo, non è sempre facile determinare quando siamo davanti ad un agente

o ad un broker.

Essendo elementi in possesso sia di ampie conoscenze del mercato

assicurativo, inclusi prodotti prezzi e compagnie, sia di una profonda conoscenza

del “bisogno assicurativo” gli intermediari hanno un ruolo fondamentale

all’interno dell’economia.

Il ruolo dell’assicurazione all’interno dell’economia è conosciuto: senza la

protezione dai rischi che l’assicurazione garantisce, le attività commerciali ed

industriali si rallenterebbero notevolmente, così come il tenore di vita delle

persone.

Il ruole dell’intermediario nell’economia globale è, essenzialmente, quello di

rendere fruibile e facilmente accessibile il mondo delle assicurazioni in ogni sua

sfaccettatura.

Vi sono diversi fattori che permettono agli intermediari di assumere questo

rilevante ruolo all’interno del mercato assicurativo.

Gli intermediari assicurativi apportano progressivamente innovative

strategie di markerting al mercato. Questo permette di aumentare la

consapevolezza e la conoscenza dei mercati dei consumatori, soprattutto in

termini di coperture possibili, di pluralità di opzioni, di modalità di accesso alle

coperture.

Gli intermediari forniscono ai consumatori l’informazione necessaria per

comprendere al meglio i prodotti e compiere scelte ponderate; possono spiegare al

cliente quali sono le sue esigenze assicurative (magari non ancora percepite) e

quali sono le opzioni in termini di assicuratori, polizze e prezzi.

Un altro elemento importante della figura dell’intermediario è sicuramente quello

dell’esperienza e della conoscenza delle esigenze e delle problematiche dei

consumatori. Egli è perciò un soggetto chiave per l’evoluzione dei prodotti

2

assicurativi in funzione dei consumatori, e per l’apertura di mercati nuovi. Per di

più l’espansione delle conoscenze e dei mercati può attirare ulteriori investimenti

e l’espansione dell’industria stessa. Infine, le accresciute conoscenze dei

consumatori aiutano sicuramente ad aumentare la domanda assicurativa.

Con queste premesse è perciò evidente quanto l’intermediazione assicurativa

possa incidere sui mercati e sull’economia.

2

6.11 Osservazioni sull’impatto delle novità legislative sul mercato e sulla

professione

La storia dell’assicurazioni testimonia numerosi esempi negativi di attività

intermediativa, a discapito della figura professionale, e della fiducia dei

consumatori. In Italia, dove l’assicurazione vita, sta in questi anni diventando un

importante collettore di capitali privati, e protagonista nel campo della previdenza,

si è assistito a tristemente celebri casi di intermediazione, nei quali l’intermediario

(e, alle volte, la compagnia) si limitava a massimizzare il proprio profitto senza

valutare le esigenze e i bisogni dell’assicurato.

La spiegazione a tali negatività è semplice: l’assenza di stringenti requisiti per

l’accesso alla professione.

E’ per questo motivo che i paletti inseriti nel 2002 dalla Direttiva Europea, e

successivamente implementati negli Stati Membri, stanno realizzando un

profondo cambiamento in positivo della professione di intermediario assicurativo.

In primo luogo si valorizza la professionalità stessa dell’intermediario. Nel

momento in cui il consumatore entra in contatto con esso, può avere la tranquillità

e la certezza di trovarsi davanti ad uno o più professionisti di provata esperienza,

competenza e professionalità. Le novità legislative in materia di requisiti, quindi,

oltre a garantire maggior tranquillità dei consumatori, valorizzano chi nel settore

opera quotidianamente, mettendolo al sicuro da coloro che, in precedenza, si

improvvisavano intermediari anche per periodi di tempo brevi.

I requisiti professionali dell’IMD garantiscono aggiornamento costante. In

questo modo, mediante una formazione continua degli intermediari, essi possono

restare costantemente al passo con i tempi ed informati riguardo le innovazioni

legislative e del mercato, a tutto vantaggio dell’intermediario stesso e del

consumatore.

Altro punto fondamentale per intermediari e consumatori è l’informazione.

Questo è stato sicuramente un punto dolente dell’attività pre-IMD. Ad esempio

l’intermediario in cattiva fede, spesso riusciva a portare a termine contratti

sicuramente vantaggiosi per lui stesso, ma non per il cliente, sottacendo i

2

caricamenti, o, nel caso di broker, scegliendo i prodotti con il tornaconto più

elevato.

La presenza di informativa precontrattuale, permette ai clienti di valutare con

assoluta trasparenza la figura stessa dell’intermediario, così come di valutare al

meglio il prodotto assicurativo che viene proposto. E’ sicuramente di grande

importanza il questionario di adeguatezza, che permette a tutti i soggetti “in

gioco” di comprendere al meglio il bisogno assicurativo.

Questi elementi, non esaustivi, permettono di valutare con assoluta

favorevolezza l’impianto normativo che, a partire dalla Direttiva

sull’Intermediazione Assicurativa, si sta costruendo all’interno del nascente

mercato unico Europeo. Come si è visto in precedenza non vi è stata una

implementazione completamente uniforme tra gli Stati Membri, e questo è un

punto sicuramente problematico, il cui impatto è ancora in fase di valutazione.

Nonostante ciò non vengono inficiati i benefici di una legislazione sicuramente

più rivolta ai soggetti deboli del rapporto assicurativo, cioè i consumatori.

Uno dei punti dolenti delle riforme, stando ai dati poc’anzi presentati, e

alle testimonianze dirette assunte durante il 2007 presso le compagnie assicurative

italiane è stato sicuramente l’incremento dei costi e della burocrazia.

In Italia156 l’implementazione non ha causato un forte aumento dei costi per

intermediari e compagnie, quantomeno rispetto a paesi come Regno Unito e

Olanda. I maggiori costi sono stati probabilmente quelli affrontati per “mettersi in

conformità” in tempi brevi dopo l’uscita del Regolamento n.5/06 dell’ISVAP. In

particolare le compagnie, dovendo affrontare termini relativamente brevi, hanno

dovuto formare le risorse addette alla gestione degli intermediari, formare gli

intermediari (es. agenti, subagenti, produttori), approntare gli uffici appositi,

predisporre e diffondere la nuova modulistica, adempiere agli obblighi di legge.

Gli intermediari hanno affrontato i costi di registrazione, quelli di aggiornamento

professionale, e, l’approntamento degli strumenti necessari per operare in

conformità. Si tratta però, secondo la mia opinione, di costi abbastanza contenuti

in relazione ai benefici che le novità legislative garantiranno ai professionisti del

settore. 156 Per un’analisi dei costi diretti e di conformità in alcuni Stati Membri, si veda il paragrafo 6.4.7

2

L’aumento burocratico, inoltre, è abbastanza evidente poiché

l’intermediario per operare conformemente ha l’obbligo di assumere e fornire una

quantità di informazioni decisamente superiore. Così come sono aumentati gli

oneri di certificazione (anche a livello formativo) per poter riscontrare i requisiti.

Numerosi intermediari intervistati hanno manifestato opinioni negative su questo

aspetto, obiettando che non sempre l’informazione al contraente fatta nei tempi e

nei modi previsti dalla legge è garanzia di trasparenza. La sovrabbondanza di

informazioni in effetti può diventare controproducente.

Questa osservazione, seppur non completamente smentibile, va bilanciata con la

presenza dei requisiti professionali e di onorabilità dell’intermediario, in modo

tale da raggiungere un livello di trasparenza tale da garantire al cliente un’assoluta

tranquillità che gli permetta di effettuare scelte completamente ponderate, nella

coscienza di aver davanti a sé un soggetto volto alla fornitura di un servizio.

Infine, parlando dell’impatto che le novità legislative possono avere sul

mercato assicurativo Europeo, a prima vista le conclusioni possono sembrare più

“entusiasmanti” di quanto non siano in realtà.

Va detto innanzitutto che questa evoluzione dell’attività di intermediazione

assicurativa era un passo necessario, senza il quale non si può pensare ad un

mercato unico di livello davvero alto. Era necessario cioè garantire che gli

intermediari a livello europeo fossero tutti sullo stesso piano, oppure quantomeno,

riscontrassero dei requisiti minimi di competenza e profesionalità, tali da garantire

ai consumatori dell’Unione un’uniforme fiducia nel mercato e nei suoi

protagonisti.

La libera circolazione dei professionisti è anche un elemento chiave per il

trasferimento di know how, di professionalità e competenze che comunque

rimarranno diverse e frammentate, perché al suo interno l’Unione conosce realtà

assicurative estremamente diverse, che, col tempo, potrebbero muoversi verso

l’omogeneità.

Detto ciò, bisogna valutare l’impatto sulla base della considerazione che questo

passo non era evitabile. Le dichiarazioni entusiastiche dei membri delle

Commissioni Europee, non devono trarre in inganno: il cambiamento, a livello

Europeo, è stato percepito ancora in maniera troppo lieve, nel senso che sia

2

gli intermediari, sia i consumatori, sia le compagnie, non hanno ancora del tutto

assimilato la direzione verso la quale il mercato assicurativo deve e vuole

muoversi. L’opinione è quella che probabilmente, attualmente, stiamo valutando

l’inizio di un lungo percorso il cui obiettivo finale potrebbe essere quello di

accrescere ad un livello adeguato ed omogeneo la consapevolezza del bisogno

assicurativo all’interno dell’Unione Europea. Questo obiettivo si può

perseguire mediante la continua e progressiva professionalizzazione degli

intermediari, mediante l’aumento della concorrenza a livello di mercato unico tra

le compagnie in modo tale da garantire prodotti sempre più competitivi, mediante

campagne di informazione atte ad accrescre la cultura assicurativa di tutti, per

garantire il proprio tenore di vita, le proprie attività commerciali, in definitiva, il

proprio futuro.

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