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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Maggio 2008 Paper numero 76 Alberto MARCHESE IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELL’IMPRESA: IL PATTO DI FAMIGLIA

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Maggio 2008

Paper numero 76

Alberto MARCHESE

IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELL’IMPRESA:

IL PATTO DI FAMIGLIA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELL’IMPRESA:

IL PATTO DI FAMIGLIA

di Alberto MARCHESE

Indice

1. Introduzione ............................................................................................... 1

2. Principali strumenti a disposizione dell’imprenditore ............................... 4

3. Limiti imposti dalla normativa civilistica prima dell’avvento della legge sul Patto di famiglia ....................................................................... 10

4. Fattispecie particolari preesistenti in deroga alla normativa civilistica generale................................................................................... 14

5. Caratteri fondamentali del Patto di famiglia ............................................ 16

6. Aspetti giuridici del Patto di famiglia ...................................................... 19

7. La valutazione dei beni trasferiti.............................................................. 41

8. Il trattamento fiscale del Patto di famiglia ............................................... 43

Bibliografia .................................................................................................. 47

Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia

1. Introduzione

L’esigenza di garantire la continuità della gestione programmando in vita il proprio ricambio generazionale rappresenta un problema specifico per le imprese facenti capo ad un unico ceppo familiare, sia nell’ipotesi di successione in un’impresa individuale, sia in quella più frequente di imprese a carattere societario.

Il passaggio generazionale rappresenta, infatti, una fase critica nella quale l’imprenditore si trova ad affrontare il problema di individuare la strategia di uscita dall’azienda di famiglia più idonea a garantirne la prospettiva continuità in un ambiente competitivo ed in continua evoluzione.

L’importanza dell’argomento emerge chiaramente dal numero elevato di imprese interessate dallo specifico problema; basta tener presente che, secondo recenti stime di Banca d’Italia (2006), circa l’82 % delle aziende fanno riferimento a titolari o azionisti appartenenti alla stessa famiglia e fra questi il 50% circa è ultrasessantenne.

Spesso la peculiare struttura dell’impresa familiare fa perno essenzialmente sulla personalità del capo carismatico e, conseguentemente, prospetta una conduzione personalistica con scarsa propensione alla delega.

Il contesto italiano è caratterizzato da una folta presenza di aziende familiari in cui la figura dell’imprenditore rappresenta il punto di forza in virtù delle capacità personali e del senso di immedesimazione nell’impresa.

Tale configurazione rende inevitabilmente sfavorevole la trasmissione della gestione ai propri discendenti da parte di chi ha dedicato una vita alla creazione ed allo sviluppo di un’impresa.

Di fatto la cura primaria dell’imprenditore è intesa, più che a tramandare ai discendenti il valore economico, a trasferire loro la cultura di impresa in termini di valori ed ideologie che non sempre collimano con le aspettative dei destinatari.

In tal senso il passaggio generazionale non sempre si prospetta come una risorsa, ma viene spesso a configurarsi come un problema attinente alla stessa sopravvivenza dell’impresa familiare.

La soluzione più razionale intesa ad evitare conflitti nel delicato processo di successione è rappresentata dalla pianificazione successoria attraverso un piano strategico.

Tale pianificazione comporta una complessa attività programmatica volta ad individuare la strategia più idonea in presenza di molteplici variabili di natura giuridica, fiscale, finanziaria e socio economica.

Le esigenze cui risponde il passaggio generazionale possono essere individuate nei seguenti punti:

- modifica della proprietà dell’azienda con il minor carico fiscale;

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- riserva a favore dell’imprenditore cedente di alcuni poteri di monitoraggio sulla gestione;

- necessità di contemperare le esigenze di continuità operativa dell’azienda con il rispetto degli equilibri familiari e delle disposizioni di natura civilistica. Gli strumenti messi a disposizione dal nostro ordinamento variano

essenzialmente in relazione agli obiettivi prefissi e questi ultimi dipendono a loro volta dalle variabili che nelle singole fattispecie caratterizzano la trasmissione del patrimonio familiare.

In via preliminare si impone all’imprenditore l’esigenza di procedere ad una analisi razionale della situazione concreta operando su due aree fondamentali: il patrimonio e la famiglia. 1

La composizione del patrimonio assume rilevanza sotto diversi profili:

- quantitativo; - qualitativo (in relazione alla tipologia dei singoli beni mobiliari ed

immobiliari); - localizzazione geografica.

L’elemento famiglia va considerato sotto i seguenti aspetti:

- numero dei componenti dei membri coinvolti nel processo generazionale; - interessi ed attitudini dei membri stessi; - gradi di parentela.

La valutazione delle diverse situazioni viene posta alla base delle

possibili scelte in considerazione più che della intensità dei legami affettivi, delle attitudini, degli interessi e delle aspettative dei soggetti coinvolti.

Gli studiosi della materia2 individuano tre forme tipiche di nuclei familiari:

- la famiglia classica che schematicamente si compendia nella presenza

del genitore-imprenditore, del coniuge e di uno o più figli. L’impegno dell’imprenditore si sostanzia nel graduale inserimento dei figli, onde individuare quello che per interesse o attitudine si prospetta come il

1 Vedi A. Russo, L. De Rosa, M. Doglio, Passaggio generazionale: una proposta di

approccio operativo. Gli autori compendiano le due aree di indagine in un unico procedimento definito “matrice bidimensionale” in Contabilità e bilancio agosto 2007.

2 Vedi L. De Rosa, A. Russo, Passaggio generazionale e successione di azienda in Guida pratica fiscale Frizzera 2007.

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possibile successore. La durata di tale processo suggerisce il ricorso ad uno strumento giuridico tale da consentire margini di ripensamento in capo al genitore-imprenditore. All’atto della scelta definitiva si dovrà anche tener conto dell’esigenza di garantire a quest’ultimo ed al coniuge, dopo l’uscita dall’azienda, un reddito adeguato al tenore di vita abituale, nonché di assicurare ai figli non assegnatari un adeguato conguaglio economico;

- la famiglia dinastia che si articola in diversi gruppi familiari e si prospetta allorquando il nucleo iniziale si è ramificato in ulteriori nuclei. In questa fattispecie è evidente il maggior rischio di effetti disgregativi, stanti le intuibili possibilità di antagonismo tra i diversi ceppi familiari. Nella fattispecie in esame si rileva un frequente ricorso al Regolamento o Patto di famiglia, sul quale ci intratterremo diffusamente nel prosieguo della presente trattazione. L’adozione di tale strumento consente di codificare i connotati del successore designato, nonché il complesso di valori da conservare nella futura gestione dell’impresa familiare. Spesso la trasmissione di quest’ultima avviene per saltum, in quanto un discendente più lontano può essere preferito per requisiti a quelli di prima generazione. In tal caso si prospetta in termini più pregnanti l’esigenza di coinvolgere e remunerare nel rispetto dei vincoli civilistici gli eredi non designati. Di norma si verifica una diversa distribuzione dei diritti patrimoniali e amministrativi fra designati o meno, ovvero una diversa partecipazione alla realtà aziendale; vi è chi accetta la semplice qualifica di socio e chi, invece, pretende un ruolo amministrativo o dirigenziale. A differenza di quanto accade nella famiglia classica il successore designato subentra non come proprietario, bensì come gestore dell’attività familiare, in quanto la molteplicità di soggetti e famiglie di norma non consente l’attribuzione in suo favore di tutta l’attività, stante la limitazione delle risorse a disposizione. In presenza di una siffatta situazione varia notevolmente la tipologia degli strumenti giuridici a disposizione dell’imprenditore in relazione ai diversi obiettivi e soprattutto al diverso contesto;

- la famiglia mononucleare, ovvero la famiglia rappresentata da coniugi privi di discendenti. In siffatta situazione la scelta dell’imprenditore si pone normalmente tra la monetizzazione del patrimonio e la sua destinazione ad attività filantropiche. Nel primo caso alla cessione immediata si pone come alternativa l’attribuzione della gestione ad un terzo qualificato. In ogni caso l’obiettivo finale rimane quello della liquidazione del patrimonio, vuoi in via immediata, vuoi in modo graduale.

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Un’attenta analisi degli aspetti sopra considerati consente all’imprenditore di fissare degli obiettivi da realizzare attraverso gli strumenti più idonei, ricorrendo, come in genere avviene, all’ausilio di un professionista, il quale prospetterà le soluzioni più adeguate.

Si ritiene, pertanto, utile esporre di seguito le principali caratteristiche di alcuni fra gli istituti generalmente utilizzati allo scopo.

2. Principali strumenti a disposizione dell’imprenditore

Gli istituti di seguito sinteticamente tratteggiati rispondono a diverse esigenze correlate sia alla realtà familiare, sia all’aspetto dimensionale dell’azienda da trasferire e prospettano punti di forza e svantaggi da valutare con riferimento alla situazione specifica:

a) holding di famiglia. Il trasferimento del pacchetto azionario ad una

pluralità di eredi può determinare un frazionamento tale da renderne problematico il controllo. Infatti l’insufficienza del patrimonio aziendale di fronte alle aspettative della massa degli eredi può ingenerare situazioni di conflitto familiare suscettibili di minare alle fondamenta la coesione del gruppo detentore del pacchetto di maggioranza. Una soluzione adeguata può essere individuata nel ricorso alla costituzione di una holding con contestuale creazione di diverse società ad hoc in base al numero degli eredi3. La blindatura del controllo attraverso la creazione della holding va perseguita nel medio-lungo periodo, con l’inserimento di clausole di recesso a favore dei soci che intendano alienare e clausole di prelazione a favore degli altri appartenenti al gruppo familiare. Un elemento critico dello strumento in esame è rappresentato dalle modalità di finanziamento dello sviluppo dimensionale, che può richiedere interventi tali da minare l’assetto originario della struttura. Infatti alle anzidette occorrenze finanziarie si può sopperire mediante:

- autofinanziamento. Il ricorso a tale forma non può prescindere dal livello di redditività e dall’orientamento dei soci in ordine alla distribuzione degli utili;

- indebitamento. Trattasi di soluzione che richiede di norma il rilascio di garanzie personali;

3 A questo strumento sono ricorse diverse famiglie imprenditoriali quali Berlusconi,

Benetton, Tronchetti Provera.

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- aumento di capitale sottoscritto dai familiari o da terzi. E’ evidente che una siffatta decisione comporta il rischio della perdita del controllo del gruppo. 4

In breve sintesi la validità dello strumento in esame si sostanzia nel

conseguimento di una blindatura familiare, scongiurando i conflitti tra le società operative ed in un più agevole reperimento di risorse finanziarie mediante coinvolgimento di azionisti terzi, salva restando la posizione di controllo. Alcuni autori5 hanno sintetizzato come segue i vantaggi e gli svantaggi prospettati dallo strumento qui considerato:

Vantaggi: - la holding permette di dirimere le questioni di famiglia in un ambito

diverso dalle società operative; - la contrapposizione di interessi tra soci operativi e non viene gestita

dalla governance della holding; - la holding può detenere i beni patrimoniali immobiliari che le società

utilizzano in locazione commerciale; - con la holding si perviene alla razionalizzazione nella distribuzione

di utili alle società controllate dove a valle operano i figli; - con la holding vi è la possibilità di utilizzare gli strumenti finanziari

infragruppo; - la presenza di una holding permette la razionalizzazione della

struttura finanziaria: una volta finanziata la società madre distribuisce i fondi necessari nelle diverse società operative senza ricorrere ogni volta ai vari soci;

- nella holding la tassazione dei dividendi subisce un prelievo su di un imponibile pari al 5% dei dividendi percepiti;

- l’art. 12 c 4 lett. B della legge finanziaria 2006, modificando l’art. 177 c. 2 del TUIR, permette ora ad una persona fisica che disponga del controllo di una società, di conferire in neutralità fiscale la propria partecipazione di controllo all’interno di una holding familiare italiana.

4 Nel corso del 2005 la famiglia Agnelli aveva corso il rischio di perdere il controllo del

gruppo, in quanto in un momento di crisi di liquidità aveva esercitato la leva finanziaria con ingresso delle banche nel gruppo stesso.

5 Vedi L. Cacciapaglia, F. Contin, L. De Vita, Il passaggio generazionale in azienda SEAC 2007

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Svantaggi: - la presenza della holding può portare all’obbligo di redazione del

bilancio consolidato di gruppo; - la holding comporta una duplicazione di costi societari e di

amministrazione; - nel caso di cessione delle partecipazioni detenute da più di 18 mesi

la holding non applica la PEX; - nei finanziamenti infragruppo gli interessi attivi sono tassati IRAP in

capo alla holding, mentre sono indeducibili IRAP gli interessi passivi in capo alle società operative;

- si rischia la possibile ricaduta della holding nella disciplina delle società di comodo di cui al D.Lgs 223/06 (Manovra bis);

- la holding compie per lo più operazioni esenti ai fini IVA e quindi perde una parte del credito IVA in funzione del pro rata di detraibilità;

- la ridistribuzione dei dividendi della holding alle persone fisiche necessita di un ulteriore passaggio che subisce una tassazione, se pur contenuta (12,5 % a titolo di imposta nel caso di partecipazioni non qualificate, tassazione ordinaria sul 40 % dei dividendi stessi nel caso di partecipazioni qualificate);

b) società in accomandita. E’ frequente il ricorso alla costituzione di

società in accomandita semplice per le società di piccole dimensioni, mentre la casistica è scarsa per le società in accomandita per azioni, destinata ad imprese di dimensione più consistente. Solo alcuni importanti gruppi industriali sono ricorsi a tale forma in previsione del passaggio generazionale, utilizzandola come “cassaforte di famiglia”. Con tale operazione l’imprenditore diviene socio accomandante, conseguendo la possibilità di monitorare da vicino le sorti dell’azienda restando fuori dalla gestione, ma mantenendone la proprietà. Nel contempo egli può consentire ai figli non interessati alla gestione di assumere anch’essi la veste di accomandanti aventi diritto alla distribuzione degli utili;

c) donazione. Trattasi di strumento di frequente utilizzo, anche in

considerazione di un regime fiscale particolarmente favorevole. Infatti, ai fini delle imposte sui redditi, il trasferimento di azienda per atto gratuito non costituisce realizzo tassabile della plusvalenza relativa all’azienda stessa6, mentre, ai fini delle imposte indirette, la normativa sulla donazione di azienda sconta l’imposta di registro solo in caso di

6 Cfr. art. 58 DPR 22 dicembre 1986 n.° 917

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donazione a soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e degli altri parenti fino al quarto grado7. Per converso, il ricorso alla donazione incontra il ben noto limite della normativa civilistica posta a tutela dei legittimari. Per superare l’ostacolo si è sovente assistito alla stipula di un fascio di donazioni8 a favore di tutti i legittimari onde a perequarne i diritti; ma anche tale soluzione non scongiura il rischio di azioni di riduzione connesso alla variazione del valore dell’azienda rilevato al momento dell’apertura della successione. In alcuni casi si è preferito ricorrere ad una donazione dell’azienda in quote indivise corrispondenti ai diritti di legittima con contestuale cessione a titolo oneroso delle quote dei donatari-legittimari al donatario prescelto per la prosecuzione dell’impresa. Tuttavia tale modus operandi risulta di scarsa efficacia, in quanto è del tutto evidente che siffatte cessioni restano, comunque, esposte all’azione di riduzione in quanto dissimulanti vere e proprie donazioni;

d) family buy out. Rappresenta una variante “familiare” del leveraged buy

out o management buy out , operazione che consente l’acquisizione di una società o del suo pacchetto di controllo mediante ricorso all’indebitamento bancario, con allocazione finale dell’indebitamento stesso fra le passività della società acquisita. Trattasi di tecnica controversa sia in dottrina che in giurisprudenza prima dell’entrata in vigore del D.Lgs n.° 6/2003, in quanto ritenuta contraria alle disposizioni dell’art. 2358 e 2483 c.c., che vietano alle società di accordare prestiti e di fornire garanzie per l’acquisizione o la sottoscrizione di azioni o quote proprie. IL D.Lgs 17 gennaio 2003 n.° 6, emanato in attuazione della legge delega per la riforma del diritto societario (3 ottobre 2001 n.° 366), ha introdotto nel nostro ordinamento il nuovo art. 2501 bis c.c. (fusione a seguito di acquisizione con indebitamento), stabilendo che non comportano violazione del divieto di acquisto e sottoscrizione di azioni proprie “le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquistare il controllo dell’altra”. Le fasi dell’operazione possono essere così sinteticamente rappresentate. L’erede designato alla prosecuzione

7 L’art. 1 comma 78 lett. a) ha aggiunto un comma 4 ter all’art. 3 D.Lgs 346/1990. Tale

norma prevede l’esenzione dall’imposta di successione e donazione per i trasferimenti effettuati anche tramite i patti di famiglia a favore dei discendenti di aziende o rami di esse, ovvero di quote o azioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359 comma 1 c.c.. L’esenzione si applica a condizione che gli aventi diritto dichiarino di voler proseguire l’impresa o mantenere il controllo per almeno cinque anni.

8 Vedi M.C. Lupetti in Patti di famiglia per l’impresa a cura della Fondazione italiana per il notariato 2006.

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dell’impresa che non disponga dei mezzi finanziari occorrenti per l’acquisto della società di famiglia o del pacchetto di controllo, costituisce una nuova società (c.d. newco o new company) che stipula un finanziamento bancario per l’acquisizione delle quote della società da acquisire (c.d. target). Tale finanziamento viene di norma garantito da contestuale pegno delle quote della newco. Quest’ultima incorpora la target che resterà esposta verso la banca per il rimborso del finanziamento stesso. A quanto risulta dalle fonti di informazioni di natura economica, l’operazione testè brevemente tratteggiata è stata sovente utilizzata per dirimere controversie insorte tra membri della famiglia investiti di funzioni imprenditoriali o per consentire ad un ramo familiare di acquisire un pacchetto di controllo presso un azionariato molto frazionato. Ovviamente di tale operazione si possono prospettare diverse varianti, come nel caso in cui la banca ritenga di entrare direttamente nel capitale dell’impresa familiare;

e) trust. Il “vincolo di destinazione” inserito nel nostro c.c. con la

previsione di cui all’art. 2645 ter ha spianato la strada a questo istituto. Il trust, introdotto in Italia in esecuzione della Convenzione dell’Aia dalla legge 16 ottobre 1989 n.° 364 ratificata a partire dal 21 febbraio 1990, viene definito come un rapporto fiduciario derivante dalla volontà privata, in virtù del quale colui che ha la titolarità su determinati beni o diritti è tenuto a custodirli e/o amministrarli o, comunque, a servirsene a vantaggio di uno o più beneficiari o di uno scopo determinato9. Tralasciando per brevità di trattazione i caratteri generali dell’istituto, ci limitiamo qui ad esaminarne gli aspetti rilevanti ai fini della successione generazionale. Il ricorso al trust, realizzando la segregazione dei beni affidati al trustee, assicura la possibilità che i beni mantengano la loro sostanziale unitarietà e siano destinati allo scopo. Si realizzano così diversi obiettivi, fra cui la non aggredibilità del patrimonio da parte dei creditori, un modesto impegno realizzativo, un minor costo ed una maggior elasticità rispetto al ricorso ad una fondazione di diritto italiano. Per quanto attiene ai limiti derivanti dalla normativa civilistica, il trust consente di realizzare risultati che difficilmente potrebbero conseguirsi attraverso altri strumenti. Ci riferiamo in particolare ai patti o accordi parasuccessori o sostitutivi che

9 Vedi- M. Lupoi, The shapeless trust, Trust e trustees n.3 1995 - L. Fumagalli, La Convenzione dell’Aia sul trust e il diritto internazionale privato

italiano 1992 - A. Gambero, A. Giardina, G. Ponzanelli, Convenzione relativa alla legge sui

trusts ed al loro riconoscimento , Nuove leggi 1993.

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dovrebbero consentire di superare alcune preclusioni civilistiche quali il divieto di patti successori, ma lasciano spazio ad ampi dubbi interpretativi ed applicativi. Nessuna deroga è, invece, consentita al trust in ordine alla normativa civilistica sulla intangibilità della legittima. Infatti la posizione dei legittimari è pienamente tutelata anche di fronte al trust, in quanto le norme del codice civile italiano in materia di successione necessaria sono espressamente richiamate dall’art. 15 della Convenzione dell’Aia, per cui i legittimari lesi potranno esperire l’azione di riduzione10. Tale circostanza rappresenta un limite di non poco conto all’utilizzo del trust da parte dell’imprenditore inteso ad individuare uno strumento giuridico idoneo a garantire il passaggio generazionale a favore di un erede determinato;

f) patti parasociali. Del pari inefficaci in tal senso risultano i patti

parasociali che realizzano forme di trasmissione mista di controllo/gestione intese a disciplinare i confini fra le entità contrapposte ed i rispettivi ruoli. Il patto parasociale consiste in un accordo tra i soci collaterale all’atto costitutivo, da stipularsi sia all’atto della costituzione della società, sia in un momento successivo, con cui si intende regolare il comportamento di tutti i soci o parte di essi. Con la riforma del diritto societario la disciplina di tali patti, dettata dagli artt. 2341 bis e ter c.c., si applica a tutti i tipi di S.p.A. (chiuse, aperte, quotate e non). L’eventuale stipula di patti della specie da parte di soci di società diverse dalla S.p.A. produce gli effetti di semplici accordi tra privati. Attraverso i patti parasociali l’imprenditore può blindare le proprie scelte di indirizzo successorio, garantendolo dal rischio di derive generazionali, ma non può superare i limiti imposti dalla normativa civilistica in relazione ai diritti dei legittimari ed alla irrinunciabilità degli stessi. Infatti una siffatta rinuncia potrebbe intervenire solo dopo la morte del de cuius;

g) patto di famiglia. Solo con l’avvento della legge 14 febbraio 2006 n.° 55 (Patto di famiglia) le scelte dell’imprenditore in relazione alla successione generazionale vengono liberate dai surriferiti limiti imposti dalla normativa civilistica. In virtù delle nuove disposizioni si consente all’imprenditore di programmare per tempo il passaggio generazionale, garantendo la funzionalità futura dell’azienda mediante una scelta mirata del proprio successore e tacitando nel contempo le ragioni economiche degli altri legittimari. Trattasi dell’argomento centrale del

10 Vedi L. De Rosa, A. Russo, op. citata

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presente studio, i cui lineamenti verranno tratteggiati nei paragrafi seguenti.

Per meglio sottolineare l’importanza del recente istituto riteniamo

opportuno premettere un breve excursus sulla normativa civilistica in materia ereditaria, evidenziando gli ostacoli che, prima del suo avvento, si frapponevano alle scelte dell’imprenditore in sede di programmazione della propria successione.

3. Limiti imposti dalla normativa civilistica prima dell’avvento della legge sul Patto di famiglia

Come si è già accennato, richiamando le esortazioni contenute nella Raccomandazione della Comunità europea del 1994, l’esigenza di pianificare la continuità generazionale dell’impresa in uno scenario caratterizzato da un’elevata presenza di aziende familiari ha sempre trovato ostacoli di difficile superamento nella nostra normativa successoria oltremodo rigida ed indifferente alla natura dei beni compresi nell’asse ereditario.

Il divieto dei patti successori, l’intangibilità della legittima assicurata con la riunione fittizia e la collazione hanno sempre rappresentato vincoli di non poco conto alla continuità dell’impresa sotto il profilo del ricambio generazionale, compromettendo gravemente la sopravvivenza dell’impresa stessa.

La normativa concernente le successioni per causa di morte ammette come uniche fonti per il regolamento della delazione ereditaria la successione ope legis e quella testamentaria, escludendo che essa possa essere affidata a strumenti di natura contrattuale.

Essa impone rigorosi limiti alla libertà dispositiva del testatore a tutela dei suoi congiunti più stretti, il coniuge, i discendenti legittimi o naturali, gli ascendenti legittimi, mediante la riserva di porzioni del patrimonio del de cuius dette quote di legittima (o riserva o quota indisponibile) e la predisposizione di specifici strumenti di tutela dei relativi diritti: - le quote di legittima o “legittima”. Trattasi delle quote del patrimonio

ereditario che devono essere necessariamente destinate ad una particolare categoria di successori individuata tra i più stretti familiari del de cuius. L’art. 536 primo comma c.c. indica quali legittimari il coniuge, i figli legittimi e naturali e gli ascendenti legittimi. La vocazione dei figli legittimi o naturali esclude quella degli ascendenti legittimi, mentre il coniuge concorre con gli uni e con gli altri. Si precisa che ai figli

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legittimi sono equiparati i legittimati e che, in caso di concorso tra legittimi e naturali, è consentito ai primi di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai naturali, salva opposizione da parte di questi ultimi. In assenza di figli sono chiamati a succedere gli ascendenti legittimi, cui sono equiparati gli adottivi ed i legittimanti; restano esclusi i genitori naturali. In caso di pluralità di ascendenti la riserva è ripartita a metà tra la linea paterna e quella materna. La successione del coniuge prevede il concorso con tutti i legittimari sopra citati ed il diritto permane anche in caso di separazione legale, purché non addebitatagli con sentenza passata in giudicato. In tale ultima ipotesi sussiste il diritto ad un vitalizio sempreché all’apertura della successione egli godesse del diritto agli alimenti (detta posizione non si configura come quella di erede, ma semplicemente di creditore dell’asse ereditario). Nella quota di legittima riservata al coniuge sono compresi il diritto reale di abitazione e di uso dei mobili. Essi gravano prioritariamente sulla quota disponibile e, ove questa non sia capiente, sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli. La determinazione della quota di legittima si determina con una semplice operazione matematica denominata riunione fittizia, in quanto alla sua determinazione concorrono non solo i beni presenti all’apertura della successione (al netto dei relativi debiti), ma anche i beni che il de cuius ha donato in vita. La formula matematica è così comunemente individuata :

relictum – debito + donatum

Il rinvio effettuato dall’art. 556 agli artt. 747 e 750 c.c.impone di considerare il valore dei beni al tempo dell’apertura della successione. La quota di legittima è intangibile e le norme per la sua tutela divengono operanti allorquando la lesione si manifesti sia in virtù di disposizione ereditaria, sia nell’ipotesi di successione ab intestato in cui la lesione sia conseguente a donazioni effettuate in vita dal de cuius. L’intangibilità della legittima è garantita mediante: - la possibilità di agire in riduzione contro la lesione ex art. 553 e

segg. c.c. - il divieto posto al testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota

spettante ai legittimari (art. 549 c.c.). La legge prevede anche l’ipotesi che il testatore intenda soddisfare il legittimario disponendo in suo favore un legato in sostituzione della legittima. Il legittimario può rifiutare il legato e pretendere il riconoscimento della legittima; la rinuncia deve avvenire nel termine di dieci anni previsto per l’azione di riduzione di cui detta rinuncia è

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condizione processuale. Diverso istituto è il legato in conto legittima che non è alternativo alla stessa, ma consente all’erede di chiedere il supplemento fino alla concorrenza della quota a lui riservata;

- l’azione di riduzione. L’azione di riduzione è volta a produrre con effetto retroattivo l’inefficacia dell’azione lesiva mediante l’esercizio dell’azione di restituzione nei confronti del possessore del bene, sia esso il donatario, un erede, un legatario o un avente causa.11. La lesione del diritto da parte del de cuius può essere conseguente sia ad atti tra vivi (donazioni e liberalità) che ad atti mortis causa (testamento o legato). Detti atti lesivi non sono di per sé inefficaci o nulli, ma occorre l’esercizio dell’azione per inficiarli e reintegrare la quota di spettanza12. L’azione si prescrive nel termine di dieci anni13. Per l’esercizio dell’azione di riduzione sono richieste le seguenti condizioni: - accettazione dell’eredità con beneficio di inventario; - imputazione delle donazioni e dei legati ricevuti dal legittimario che

agisce in riduzione (imputazione ex se), salvo dispensa da parte del de cuius;

- la collazione. Dall’azione di riduzione si distingue, nonostante alcuni

punti di contatto, l’istituto della collazione. Esso inerisce alla divisione della comunione ereditaria ed ha lo scopo di assicurare che eventuali donazioni fatte in vita dal de cuius non abbiano alterato il rapporto delle quote in cui i legittimari sono chiamati a succedere. La collazione si differenzia dall’azione di riduzione in quanto: - mentre la riduzione presuppone la riunione fittizia sopra menzionata,

la collazione consiste in un conferimento effettivo dei beni o di un equivalente in denaro;

- la collazione ha come parti in causa attive e passive i figli legittimi e naturali, i loro discendenti, nonché il coniuge, mentre l’azione di

11 Vedi F. Moncalvo, Famiglia 2004 “ L’azione di restituzione è azione strumentale ed

accessoria rispetto all’azione di riduzione, essendo diretta a realizzare materialmente la reintegrazione della quota di legittima attraverso il recupero della disponibilità dei beni relitti: Può essere proposta nello stesso giudizio rispetto all’azione di riduzione, oppure può costituire oggetto di giudizio autonomo. In tale ultima ipotesi la giurisprudenza ritiene che il preventivo passaggio in giudicato della sentenza di riduzione costituisca condizione per l’ammissibilità della domanda di restituzione”.

12 L’azione non spetta collettivamente ai legittimari, ma deve essere proposta da ciascuna parte lesa in via autonoma . Cass. Civ. sez. II 23 febbraio1982 n.° 1114

13 Per la decorrenza del termine in giurisprudenza si ravvisano diverse opinioni circa il dies a quo: vi è chi lo identifica nella data di apertura della successione, chi nella data di pubblicazione del testamento, chi a decorrere dall’accettazione dell’eredità.

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riduzione può essere intentata dai legittimari, loro eredi o aventi causa contro donazioni e legati che superino la quota disponibile;

- la collazione opera solo se il legittimario ha accettato l’eredità; - l’eccedenza della donazione ai fini della riduzione consiste nel fatto

che essa comprende parte dei beni necessari per completare la misura della quota di riserva; l’eccedenza ai fini della collazione sta solo ad indicare che il donatario ha ricevuto più della sua spettanza nel concorso con gli altri condividenti; pertanto l’eccedenza ai fini della collazione non significa anche eccedenza come lesione della quota di riserva.

La collazione dei beni mobili avviene per imputazione, in base al valore che gli stessi avevano al tempo dell’apertura della successione. La collazione dei beni immobili avviene con la restituzione del bene in natura o con l’imputazione del relativo valore alla propria porzione (obbligatorio qualora il bene sia stato alienato) a scelta di chi conferisce. Poiché il fondamento di questa regola poggia su di una presunzione, è consentito al de cuius stabilire che detto bene sia devoluto all’erede come un soprappiù rispetto alla quota ereditaria (dispensa dalla collazione), ma solo se questo soprappiù non ecceda la quota disponibile (art. 737 c.c.). In difetto di tale dispensa, per la determinazione della quota di legittima si tiene conto anche delle donazioni e dei legati fatti al legittimario in questione (imputazione ex se);

- il divieto di patti successori. Come già osservato la normativa

antecedente la nuova legge sul Patto di famiglia non consentiva che la devoluzione ereditaria fosse affidata a fonti di natura contrattuale, né lasciava spazio a pattuizioni inter vivos che potessero interferire con la facoltà riconosciuta ad ogni soggetto di disporre liberamente dei propri beni fino all’ultimo momento della propria vita. L’invalicabilità di detto limite veniva garantita dall’art.458 del codice civile (divieto di patti successori) che, prima dell’inciso inserito in premessa dalla legge sul Patto di famiglia, recitava: “é nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E’ del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta o rinunzia ai medesimi”. In sintesi vi si contempla il divieto di patti successori sia di natura istitutiva, sia di natura dispositiva o rinunciativa (c.d. divieti minori). Il patto successorio istitutivo è un atto mortis causa, in quanto ha come parti il futuro de cuius ed il futuro erede o legatario; l’irrevocabilità dei suoi effetti risulterebbe incompatibile con

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la revocabilità del testamento. Il patto successorio dispositivo è, invece, un negozio tra vivi col quale si dispone di diritti che potrebbero conseguire ad una futura successione futura; la ratio del divieto risiede nell’esigenza di evitare che taluno si induca ad accollarsi impegni avventati, confidando nella morte altrui. Il patto successorio rinunciativo è un negozio inter vivos col quale si rinuncia ad una successione non ancora aperta; valgono per esso considerazioni analoghe a quelle espresse in relazione al patto successorio dispositivo. Dalla sintetica panoramica sopra tratteggiata appare evidente che il

sistema normativo preesistente alla nuova legge sul Patto di famiglia presentava caratteri di rigidità assolutamente incompatibili con l’esigenza di una libera scelta dell’imprenditore impegnato nella programmazione della propria successione.

La legge 14 febbraio 2006 n.° 55 (Patto di famiglia) viene a cambiare in sostanza lo scenario, consentendo all’imprenditore di programmare e definire per tempo la successione nella gestione dell’azienda, salvaguardando nel contempo l’unità del nucleo familiare.

Pur presentando diversi punti di ancora incerta definizione, la nuova legge, che verrà adeguatamente illustrata nei paragrafi successivi, rappresenta una importante apertura rispetto al rigore impediente della preesistente normativa, apertura destinata a tracciare un nuovo indirizzo nel complesso di norme che regolano l’assetto formale e sostanziale dell’impresa.

4. Fattispecie particolari preesistenti in deroga alla normativa civilistica generale

E’ opportuno ricordare che una pur modesta breccia alla rigidità delle regole successorie era stata consentita in passato per alcune ipotesi di successione in aziende di famiglia operanti nel settore agricolo. In particolare:

- la legge 3 maggio 1982 n.° 203 concernente la normativa sui contratti

agrari stabilisce all’art.49 che “nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino aver esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola in qualità di imprenditori a titolo principale ai sensi dell’art.12 della legge 9 maggio 1975 n.° 153 o di coltivatori diretti hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni

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Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia

ricompresse nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse. Il rapporto di affitto che così si instaura tra gli eredi è disciplinato dalle norme della presente legge con inizio dalla data di apertura della successione”;

- la legge 31 gennaio 1994 inerente alle zone montane così si esprime:

“nei comuni montani gli eredi considerati affittuari ai sensi dell’art. 49 della legge 3 maggio 1982 n.° 203 delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi hanno diritto, alla scadenza del rapporto di affitto instauratosi per legge, all’acquisto della proprietà delle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici”(art. 4 primo comma). Il successivo art. 5 primo comma precisa che “gli eredi che intendono esercitare il diritto di cui all’art. 4 devono entro sei mesi dalla scadenza del rapporto di affitto notificare ai coeredi, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la dichiarazione di acquisto e versare il prezzo entro il termine di tre mesi dall’avvenuta notificazione della dichiarazione”;

- merita particolare menzione la disciplina sul maso chiuso introdotta dalla legge provinciale di Bolzano 28 novembre 2001 n.° 17 14 i cui aspetti salienti risultano così sintetizzati nella pronuncia della Corte Costituzionale 5 maggio 1988 n.° 505 in Giur. It. 1989, I, 1 c. 920: “il maso chiuso si trasmette recta via dal de cuius all’assuntore: la legge lo separa dall’eredità e lo fa oggetto di una successione (anomala) a titolo particolare. Corrispondentemente si produce un effetto di surrogazione reale, per cui in luogo del maso entra nella massa dividenda sotto forma di un’obbligazione pecuniaria dell’assuntore il prezzo di assunzione fissato ai sensi dell’art. 25. Ciò significa che, in ordine al maso, la divisione ereditaria non è una divisione per equivalente nel senso tecnico dell’art. 720 c.c. (cioè una divisione avente per oggetto l’immobile, attuata mediante assegnazione per intero del bene alla porzione di uno dei coeredi e costituzione in favore degli altri di un diritto di conguaglio), bensì è una divisione avente per oggetto il valore di reddito del maso, tradotto in una obbligazione di somma determinata posta a carico dell’assuntore”;

- degna di nota è poi la disciplina dettata dalla legge 29 marzo 2004 n.° 99 costitutiva del cosiddetto compendio unico inteso come l’estensione di terreno necessaria al raggiungimento del livello minimo di redditività

14 Vedi M. Petrulli, Il Patto di famiglia Halley editrice febbraio 2007

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fissato dai piani regionali di sviluppo rurale per l’erogazione del sostegno agli investimenti previsti dai Regolamenti CE. In base a detta disciplina gli immobili costituenti il compendio unico rappresentano un’unità indivisibile per dieci anni e sono nulli gli atti tra vivi o mortasa causa aventi ad oggetto il suo frazionamento. In caso di morte dell’imprenditore o del coltivatore diretto nel suddetto arco temporale, qualora i beni costituenti l’asse ereditario non risultino sufficienti per il soddisfacimento di tutti i legittimari, si provvede all’assegnazione del compendio all’erede che ne faccia richiesta, con addebito dell’eccedenza. L’art. 5 bis comma 6 apportato dalla citata legge ad integrazione del D.Lgs 228/2001 stabilisce che “a favore degli eredi, per la parte non soddisfatta, sorge un credito di valuta garantito da ipoteca iscritta a tassa fissa sui terreni caduti in successione, da pagarsi entro due anni dall’apertura della stessa con un tasso inferiore di un punto a quello legale”.

5. Caratteri fondamentali del Patto di famiglia

L’esigenza di un intervento legislativo inteso a predisporre strumenti idonei a facilitare la successione nelle piccole e medie imprese ai fini di garantirne la sopravvivenza ed il mantenimento dell’occupazione era da tempo oggetto di specifico interessamento da parte degli organismi comunitari, consapevoli della centralità del problema per la conservazione del tessuto produttivo dei Paesi membri ed i rilevanti risvolti occupazionali. Risale al 7 dicembre 1994 la Raccomandazione della Commissione Europea che invitava gli Stati membri a facilitare la successione di azienda, modificando il sistema giuridico in un coordinato di norme societarie e fiscali improntate a garantirne la continuità. In particolare la Raccomandazione 94/1069 CE inerente alla successione nelle piccole e medie imprese poneva in rilievo la fase del passaggio generazionale come fase cruciale nella vita delle stesse in considerazione delle “ripercussioni negative sul tessuto economico, nonché sui creditori e sui lavoratori”. La Raccomandazione non mancava di porre in evidenza i punti critici ostativi alla successione d’azienda secondo il punto di vista della Commissione:

a) inadeguatezza della legislazione degli Stati membri in materia di diritto societario, successorio e fiscale;

b) necessità di una sensibilizzazione degli imprenditori sullo specifico argomento, al fine di indurli ad una opportuna programmazione della loro successione;

c) problematiche connesse alla tacitazione dei coeredi in assenza di forme di finanziamento adeguate;

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Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia

d) assenza in alcuni Stati di strumenti giuridici atti a consentire la trasformazione della forma sociale, senza dover procedere allo scioglimento della società preesistente ed alla costituzione di una nuova;

e) onerosità dell’imposta di successione e, più in generale, regime fiscale che spesso penalizza l’adozione di una nuova forma societaria più idonea per il buon esito della successione; constatazione che il decesso o alcuni atti unilaterali come il recesso possono essere incompatibili con il contratto sociale e comportare la messa in liquidazione della società.

Sulla scorta di tali osservazioni la Commissione indicava agli Stati membri alcuni obiettivi da conseguire attraverso l’adozione di misure idonee a superare gli ostacoli testè rappresentati. Con la Comunicazione del 28 dicembre 1998 la stessa Commissione prendeva atto dei risultati raggiunti, concludendo che, nonostante alcuni limitati progressi, la situazione non appariva soddisfacente.

Veniva, pertanto, rinnovato l’invito agli Stati membri ad intensificare “i loro sforzi per facilitare la trasmissione delle imprese, agendo sulla semplificazione legislativa ed amministrativa, riducendo effettivamente le tasse e facilitando l’accesso al finanziamento per il rilevamento di un’impresa”.

L’esigenza sottolineata in sede comunitaria si prospettava con particolare rilevanza nel nostro contesto economico caratterizzato dalla presenza di imprese di dimensione medio-piccola certamente più esposte alle difficoltà connesse al passaggio generazionale.

Sul piano interno facevano eco le osservazioni dell’Associazione Italiana delle aziende familiari (Aidaf), che ponevano l’accento sull’esigenza fondamentale per l’imprenditore di poter stabilire certezze in ordine alla continuità dell’impresa onde prevenire l’insorgere di conflitti in famiglia, i quali, come si sa, costituiscono una delle cause più frequenti di gravi difficoltà e spesso della mortalità delle aziende stesse.

Veniva evidenziato che solo il 30% circa delle imprese arriva alla seconda generazione e non più del 15% alla terza e fra le cause più ricorrenti di tale mortalità si individuano proprio le difficoltà poste alla base del ricambio generazionale.

L’imprenditore consapevole inteso a predisporre la propria sostituzione si trovava in primo luogo ad affrontare le problematiche inerenti alla successione nelle quote di proprietà stabilite dal diritto ereditario.

In mancanza di ulteriori disponibilità, al di là del patrimonio rappresentato dall’azienda, idonee a tacitare i diritti dei coeredi del successore designato, la parcellizzazione dell’azienda conseguente all’attribuzione delle quote previste dal diritto ereditario comportava inevitabilmente il rischio di ingovernabilità dell’azienda stessa e la rendeva

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vulnerabile alle aggressioni esterne nei confronti dei singoli pacchetti meno interessati alla continuità aziendale.

La nuova legge sul Patto di famiglia è scaturita dal recepimento di queste istanze per un passaggio generazionale conforme alle esigenze dell’imprenditore ed al tempo stesso rispettoso dei diritti degli eredi non designati alla successione nella conduzione dell’impresa.

Il Patto consiste in un documento redatto in forma scritta e firmato da tutti i componenti della famiglia allo scopo di assumere reciproci impegni in merito al problema della successione nell’impresa. Esso rappresenta un codice di regole e condizioni, cui dovranno sottostare tutti i componenti della famiglia al fine di riconoscersi in valori comuni e si sostanzia in un vero e proprio statuto familiare che una volta sottoscritto scongiurerà l’insorgere di situazioni di conflitto tra gli eredi, nonché tra questi ed il fondatore.

Come già si è osservato, trattasi di materia che presuppone conoscenze interdisciplinari in materia di diritto ereditario, tributario, societario e valutario, oltre a nozioni di finanza aziendale. Tali conoscenze possono essere estranee alla sfera personale dell’imprenditore, spesso orientato prevalentemente al mercato. Pertanto la redazione del testo del Patto o Regolamento di famiglia richiede l’intervento di consulenti, che tra l’altro assolvono anche l’impegno di esonerare l’imprenditore da discussioni spesso imbarazzanti con i propri familiari. Il documento deve seguire un’impostazione coerente con la finalità di garantire la continuità dell’impresa, ponendo in secondo piano le aspettative dei familiari e rispettando il principio di neutralità nei confronti dei singoli, mediante regole valide erga omnes ed immutabili nel tempo.

Eventuali modifiche al Regolamento sono consentite solo con l’accordo unanime di tutti gli interessati.

Di norma i documenti della specie, strutturati nella forma di uno statuto societario, si articolano sui seguenti punti:

i. enunciazione dei principi di coesione e concordia tra i componenti della famiglia, cui viene improntata l’attività dell’impresa e dichiarazione di impegno di tutti i componenti ad uniformarsi a tali principi in proprio e per i propri eredi;

ii. indicazione dei requisiti di età e, ove necessario, delle specifiche competenze richieste, eventualmente documentate da titolo di studio;

iii. eventuale espletamento di periodi di apprendimento da svolgere presso l’impresa stessa o all’esterno onde acquisire un’esperienza specifica nella mansione da svolgere. Spesso l’esperienza viene acquisita presso filiale o società partecipata ed il livello di inserimento nell’impresa madre viene determinato dai risultati raggiunti nella fase di apprendistato;

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Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia

iv. eventuale affiancamento di un tutor, generalmente rappresentato da persona di fiducia dell’imprenditore. Tale figura non va confusa con quella del contract manager, in quanto il tutor è esterno all’impresa ed il suo rapporto con la stessa si manifesta per il tramite dell’assistito;

v. misura della remunerazione, generalmente rapportata all’entità delle mansioni secondo criteri di uguaglianza e di merito15. L’erede entrato nell’impresa deve essere trattato alle stesse condizioni dei suoi pari grado che svolgono analoghe mansioni allo stesso livello di responsabilità; la sua appartenenza alla famiglia non deve influire sull’entità della remunerazione. Analogamente il criterio del merito impone che la remunerazione sia rapportata alle effettive capacità. Alcuni Regolamenti prevedono l’assegnazione all’erede di una carica nell’impresa o in un’impresa del gruppo; si tratta normalmente di carica amministrativa, mentre raramente si prevede l’assunzione di incarico sindacale che viene generalmente affidato a professionisti esterni per intuitive esigenze di un controllo oggettivo;

vi. disciplina del trasferimento dei titoli sociali in base ai ruoli che i destinatari saranno chiamati a rivestire nell’ambito dell’impresa. Si determinano in misura diversa le quantità di titoli a seconda che il destinatario intenda abbinare proprietà e gestione, ovvero egli sia orientato verso un singolo ruolo di azionista o di gestore. Generalmente gli eredi non interessati alla gestione sono compensati con una maggior quota. E’ frequente il caso di imprese in cui non viene ammesso un ruolo distinto, ma nelle quali chi gestisce deve anche possedere il controllo aziendale; i non interessati alla gestione vengono compensati con soluzioni alternative esterne. I Regolamenti adottano soluzioni diverse nel caso in cui il trasferimento dei titoli anticipi l’evento successorio; spesso il trasferimento viene fatto coincidere con l’ingresso dell’erede dell’impresa quasi ad ufficializzare il suo nuovo status. Talora l’imprenditore rimane titolare del pacchetto di controllo ed agli eredi vengono trasferiti pacchetti di minoranza;

vii. alcuni Regolamenti dedicano particolare cura alla politica dei dividendi, uniformandola ai principi della finanza mobiliare in base al criterio di stabilizzazione nel tempo della quantità distribuita, ovvero a quello della quota percentuale degli utili (pay out ratio).

6. Aspetti giuridici del Patto di famiglia

Per esigenze di organicità nell’esposizione del contenuto della legge, pur rispettando la successione degli argomenti risultante dalla rubricazione dei

15 Vedi P. Jovenitti, Entrepreneurial finance Egea 2005

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vari articoli, si ritiene opportuno adottare una configurazione dei diversi paragrafi intesa a meglio illustrare la connotazione del nuovo istituto in relazione alla normativa civilistica preesistente. Gli aspetti essenziali riguardano:

6a) aspetti generali. La nuova legge esordisce introducendo all’art. 1 una deroga al divieto di patti successori, mediante inserimento nel testo dell’art. 458 c.c. della seguente premessa “Fatto salvo quanto disposto dall’ art. 768 bis e seguenti”. Il successivo art. 2 introduce nel codice civile al libro II, titolo IV, dopo l’art. 768 il capo V bis sotto la rubrica “del patto di famiglia”, articolandolo nei sette articoli compresi tra il numero 768 bis ed il numero 768 octies. L’art. 768 bis intitolato “nozione” recita: “é Patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti”. Trattasi di contratto tipico, in quanto la sua disciplina è specificamente dettata dal codice civile16. Per quanto non previsto dalla stessa, trovano applicazione le disposizioni sul contratto in generale, ove compatibili. Lo scopo del nuovo contratto è quello di consentire all’imprenditore di disciplinare il passaggio generazionale della propria azienda, attraverso uno strumento che ponga il nuovo titolare al riparo da rivendicazioni da parte degli altri familiari e, nel contempo, non comporti lesioni dei diritti alla legittima a questi spettanti. A tal fine l’art. 768 quater dispone che “al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura. I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purché vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti.

16 Nel senso che si tratti di nuovo contratto non riconducibile ad alcuno dei tipi già

disciplinati vedi G. Petrelli, La nuova disciplina del Patto di famiglia in Rivista del notariato, Giuffrè 2006.

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Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o riduzione”. Ci troviamo, pertanto, in presenza di un contratto plurilaterale, la cui struttura è caratterizzata dall’intervento di soggetti appartenenti a diverse categorie: il disponente, il discendente assegnatario e gli altri legittimari17. Trattasi di negozio intuitu personae18, in quanto l’identità o le qualità personali di un contraente sono determinanti del consenso degli altri. L’effetto traslativo della proprietà (o, come vedremo, anche dell’usufrutto) dell’azienda è immediato e non post mortem, per cui all’istituto possono riconoscersi finalità divisionali. Infatti, come osserva qualche autore19, non a caso, il legislatore ne ha collocato la disciplina dopo l’art. 768 c.c. a completamento della normativa sulla divisione ereditaria. Benché non possa qualificarsi come donazione, per le finalità che realizza (arricchimento dei beneficiari e depauperamento del disponente in assenza di qualsivoglia obbligazione sottostante) esso va considerato tra le liberalità che, a norma dell’art. 809 c.c., possono anche risultare da “atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c.”. In sintesi il Patto di famiglia può qualificarsi come20:

- atto inter vivos, in quanto produttivo di effetti immediati e non subordinati alla morte del disponente;

- atto a titolo gratuito, in quanto non comporta alcun corrispettivo; - atto di liberalità nel senso sopra illustrato; - atto con finalità divisionali e di regolamentazione preventiva dei

rapporti successori, inteso a consentire, già dal momento della stipula, l’estromissione dell’azienda dalla successiva comunione ereditaria con conseguente semplificazione delle operazioni divisionali.

Infatti il Patto di famiglia sfugge alle regole successorie cui sono soggette le attribuzioni effettuate inter vivos, dal momento che esso non è soggetto né alla disciplina della collazione, nè a quella sulla riduzione della donazioni in caso d lesione della legittima. Peraltro esso si pone per taluni aspetti al di fuori della disciplina generale dei contratti, non prevedendo specificamente l’applicabilità delle regole sulla risoluzione, né sulla rescissione, né sulla simulazione21. L’argomento sarà meglio

17 Vedi M. Petrulli, op. citata 18 Vedi D. Poto, I vizi del consenso, patologia ed impugnativa dei patti di famiglia,

www.ordineavvocatitorino.it giugno 2006. 19 Vedi G. Rizzi, I Patti di famiglia Cedam 2006. 20 Vedi G. Rizzi, op. citata. 21 Vedi M. Petrulli, op. citata ove si osserva che la nuova legge non fa alcun cenno ai

casi di inadempimento, impossibilità sopravvenuta,eccessiva onerosità, né prevede espressamente alcuna ipotesi di risoluzione ex lege.

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esaminato in prosieguo, trattando della patologia del contratto. La dottrina ha tentato di inquadrare il Patto di famiglia nell’ambito della figure contrattuali preesistenti in relazione all’elemento causale, ossia alla funzione pratica riconosciuta al nuovo istituto dal nostro ordinamento giuridico. Vi è chi lo qualifica come donazione e più precisamente come donazione modale e cioè gravata da un onere. Esso configurerebbe, peraltro, una forma singolare di donazione modale, dal momento che 22 l’onere viene imposto dalla legge e non dal donante e l’adempimento è contestuale alla conclusione del contratto. In pratica, mentre il modus è elemento non essenziale, rimesso alla discrezione del donante, nel patto di famiglia la decisione sulla liquidazione della quota ai legittimari è prevista dalla legge. Altri escludono la possibilità di qualificare il Patto di famiglia come donazione, non traendo esso fondamento dall’animus donandi, ma da intenti di tutela del futuro dell’azienda23. Lo stesso autore osserva che non è possibile parlare di donazione modale in quanto, in caso di inadempimento, non si applica la disciplina degli artt.648 o 793 c.c., ma quella espressamente prevista dal nuovo art. 768 sexies24. Si sostiene anche la possibilità di qualificare il Patto di famiglia come una particolare forma di divisione25, o, comunque, di atto divisionale avente “per effetto di far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari come previsto dall’art. 764 c.c.”. A tal proposito si osserva che il Patto di famiglia “appare perfettamente riproduttivo del meccanismo divisionale tipizzato dal legislatore nell’art. 720 c.c., il cui ultimo esito (assegnazione dell’intero bene ad uno solo dei condividenti e liquidazione dei diritti di quota spettanti ai non assegnatari, mediante la costituzione di altrettanti crediti corrispondenti) coincide in tutto e per tutto col risultato tipico realizzato dal patto di famiglia”26. In opposizione a tale qualificazione si obietta che nel Patto di famiglia manca il presupposto su cui si basa la divisione e cioè la

22 Vedi A. Merlo, Il Patto di famiglia in www.fondazionenotariato.it convegno 2006. 23 Vedi M.C. Andrini , Il Patto di famiglia, giornata di studio organizzata

dall’Associazione sindacale notai delle tre Venezie 1/4/2006. 24 Si ricorda che l’art. 648 c.c. secondo comma stabilisce che “Nel caso di

inadempimento dell’onere, l’Autorità Giudiziaria può pronunciare la risoluzione della disposizione testamentaria, se la risoluzione è stata prevista dal testatore o se l’adempimento dell’onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione”. In base all’art. 793 c.c. per l’adempimento dell’onere può agire oltre al donante qualunque interessato anche durante la vita del donante stesso; la risoluzione per inadempimento dell’onere, se prevista dall’atto di donazione, può essere chiesta dal donante o dai suoi eredi.

25 Vedi A. Merlo, op. citata. 26 Vedi G. Amadio, Patto di famiglia e funzione divisionale, Quaderni fondazione

notariato luglio 2006.

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situazione di comunione ed anzi esso si caratterizza proprio per l’attribuzione di beni facenti parte di patrimoni differenti (quello del disponente e quello dell’assegnatario dell’azienda)27. Qualcuno ha poi ravvisato nell’assegnazione differita di cui all’art. 768 quater terzo comma gli elementi idonei a qualificare il patto di famiglia come contratto a favore di terzi (art. 1411 e segg. c.c.)28. A sostegno di tale tesi si richiama, fra l’altro, la rubrica dell’art. 768 sexies intitolata “rapporti con i terzi”, ove per terzi si intendono, non i creditori o gli aventi causa, bensì i legittimari sopravvenuti dopo la conclusione del patto di famiglia. Il Patto di famiglia si configurerebbe, quindi, come negozio misto, non completamente a titolo gratuito, in quanto comprensivo di un obbligo di liquidazione a carico del beneficiario e di un contratto a favore di terzi per gli altri legittimari. Per contro si obietta che, mentre il contratto a favore di terzi ha come presupposto indefettibile un accordo tra due o più soggetti desinato a produrre effetti verso soggetti estranei, “gli effetti prodotti dal Patto di famiglia verso i legittimari non destinatari del trasferimento d’azienda investono soggetti che…se decidono di aderire all’intesa tra disponente e destinatari dell’azienda…sono vere e proprie parti del contratto” e non terzi29. Benché non si possa negare che nel nuovo istituto siano presenti elementi riconducibili a contratti tipici già esistenti nel nostro ordinamento, emerge chiaramente che la causa del patto di famiglia si configura come a sé stante, finalizzata al passaggio generazionale dell’azienda. In essa, che taluni autori denominano “causa familiae” si sostanzia in realtà un nuovo negozio giuridico dotato di un’autonoma disciplina, nella quale si può ravvisare la presenza di distinte funzioni: una liberale, nell’attribuzione a favore del destinatario dell’azienda o delle quote sociali ed una solutoria nelle attribuzioni a favore degli altri legittimari30;

6b) l’oggetto del Patto di famiglia. Oggetto del trasferimento, ai sensi dell’art. 768 bis c.c. può essere l’azienda o parte di essa (ramo d’azienda), ovvero partecipazioni societarie. La dottrina31 ammette anche il trasferimento del solo usufrutto, nonché della nuda proprietà con riserva di usufrutto a favore del cedente32. Si ritengono, invece, esclusi gli altri diritti reali di godimento in quanto non idonei allo scopo,

27 Vedi G. Oberto, Il Patto di famiglia, Giornata di studio organizzata da Consiglio

notarile Torino e Pinerolo 13/5/2006. 28 Vedi M. C. Andrini, op. citata 29 Vedi G. Oberto, op. citata 30 Vedi G. Oberto, op. citata. 31 Nel senso dell’ammissibilità dell’usufrutto vedi G. Oberto, op. citata, nonché B.

Inzitari, P. Dagna, M. Ferrari, V. Piccinini, Il Patto di famiglia Giappichelli 2006. 32 Vedi G. Petrelli, op. citata.

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nonché il contratto di affitto di azienda dal momento che non configurerebbe alcun trasferimento. Per quanto concerne il trasferimento dell’intera azienda, si fa rinvio al contenuto dell’art. 2555 c.c., ove essa viene definita come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Il trasferimento “in parte” previsto dall’articolo in questione non può che riguardare un autonomo complesso di beni organizzato configurabile come ramo di azienda; infatti, il trasferimento di singoli beni aziendali risulterebbe in contrasto con le finalità di tutela dell’integrità dell’azienda stessa perseguite dalla nuova legge. La dottrina definisce come ramo di azienda “ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento d’azienda conservi la sua identità”33. Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione si intende per ramo di azienda quella parte dell’azienda stessa che ne riproduce tutte le caratteristiche34. Il trasferimento realizzato attraverso il Patto di famiglia rientra, per quanto concerne i rapporti e i contratti aziendali, nella previsione di cui all’art. 2558 c.c., in base al quale “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. La successione opera de jure, fermo restando il diritto del terzo di recedere entro tre mesi dal rapporto per giusta causa. Ci si riferisce ai rapporti fondati sull’intuitu personae, aventi come presupposto le doti personali dell’imprenditore e la sua affidabilità, primi fra tutti i rapporti di credito, con particolare riferimento a quelli bancari. La successione nei debiti resta regolate dall’art. 2560 c.c. secondo comma, in relazione al quale

33 Vedi G. Oberto, op. citata 34 La sentenza 26196 dell’1/12/2005 afferma che “ Costituisce trasferimento di azienda

ex art. 2112 c.c. il passaggio anche di parte del complesso organizzativo dei beni dell’impresa accompagnato dal mantenimento della sua realtà obiettiva tra due soggetti che esercitino la medesima attività economica a fini di lucro….E’ stato altresì precisato da questa Corte che si ha trasferimento di azienda- anche in base alla nozione giuridica indicata dalla giurisprudenza comunitaria e dalla direttiva C.E. 58/1998- ogni volta che venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguati a conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento è stato posto in essere, essendo necessario e sufficiente che sia stata ceduta un’unità economica ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare con le stesse o analoghe attività economiche; per cui può configurarsi come trasferimento di azienda anche la cessione di singolo unità produttive della medesima azienda, purchè abbiano una propria autonomia organizzativa e funzionale, anche se una volta inserite nell’impresa cessionaria restino assorbite, integrate e riorganizzate nella più ampia struttura di quest’ultima, dovendosi accertare quale sia sta, secondo la volontà dei contraenti, l’oggetto specifico del contratto e cioè se i beni ceduti siano stati considerati nella lroro autonoma individualità o non piuttosto nella loro funzione unitaria e strumentale”

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l’assegnatario risponde dei debiti risultanti dai libri contabili obbligatori. Ovviamente il cedente potrebbe escludere il trasferimento di debiti e crediti preesistenti, purchè non ne venga intaccata la funzionalità dell’azienda. Per quanto concerne il trasferimento delle partecipazioni societarie, si dibatte in dottrina se oggetto del Patto di famiglia possa essere qualunque tipo di partecipazione o se, invece, essa debba essere di entità tale da consentire il mantenimento di un potere gestionale. Parte della dottrina restringe l’applicabilità del Patto di famiglia a quelle partecipazioni che, attribuendo al titolare la possibilità di influire sulla gestione della società, facciano assumere al titolare stesso la qualifica di imprenditore35. Di fatto tutta la disciplina del Patto di famiglia è intesa a disciplinare il passaggio generazionale nella titolarità e nella gestione dell’impresa. Tuttavia qualche autore osserva che il riferimento in tali norme alla successione dell’imprenditore porterebbe a conclusioni troppo restrittive, quali ad esempio l’esclusione dell’applicabilità della nuova disciplina alle quote o alle azioni dei soci accomandanti nelle società in accomandita semplice o per azioni36. Altri autori ritengono, pertanto, che la nuova normativa possa trovare applicazione anche in relazione a soci di minoranza o addirittura al socio risparmiatore, ”dal momento che nessun requisito viene richiesto in capo al trasferente delle partecipazioni societarie”37. Tale interpretazione estensiva troverebbe fondamento nel testo letterale dell’art. 768 bis ove da un lato si parla di “imprenditore che trasferisce in tutto o in parte l’azienda” e dall’altro si omette qualunque riferimento alla qualifica di imprenditore per parlare più semplicemente di “titolare di partecipazioni societarie che trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote”38. Considerato che la ratio della nuova normativa va individuata nell’esigenza di consentire all’imprenditore il passaggio generazionale nell’azienda la soluzione più coerente sembrerebbe ovviamente quella restrittiva. Occorre però tener presente che all’atto pratico può non risultare agevole valutare il carattere imprenditoriale di una determinata partecipazione. Pertanto vi è chi propone di includere nella disciplina del Patto di famiglia tutte le partecipazioni societarie, a prescindere dalla loro entità, con la sola esclusione delle partecipazioni in società che non configurino una vera

35 Vedi - M. C. Lupetti, op. citata ove si afferma che “la cessione, ad esempio, di un

piccolo pacchetto azionario di una società quotata in borsa sfugge alla nuova normativa”; - F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di Patto di famiglia in www.Judicium.it secondo

il quale “la partecipazione sociale deve essere tale da garantire di diritto o di fatto il controllo societario”.

36 Vedi G. Rizzi, op. citata. 37 Vedi G. Oberto, op. citata 38 Vedi G. Fietta, Patto di famiglia, CNN notizie del 14/2/2006.

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attività di impresa, come nel caso delle azioni di mero godimento, nonché di quelle negoziate in mercati regolamentati o emesse da società che fanno ricorso al capitale di rischio, stante in quest’ultimo caso la facoltà di disinvestimento garantita dal mercato39. Vi è, peraltro, chi osserva che anche tale soluzione prospetta punti oscuri, come il problema di stabilire quando una società sia da considerarsi di mero godimento e quale sia il numero minimo di operazioni richiesto a tal fine40;

6c) correlazioni e compatibilità con le disposizioni in materia di impresa familiare e con le diverse tipologie societarie. L’art. 768 bis, nel fornire la nozione di Patto di famiglia, precisa che il trasferimento delle quote deve avvenire “compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie”. La dottrina non è concorde in merito alla valenza pratica di tale precisazione ed in relazione agli effetti pratici che essa comporta. Per quanto concerne le correlazioni con le singole forme giuridiche si osserva:

i. Impresa familiare: la stessa formulazione dell’articolo in esame

sembra fissare una priorità delle disposizioni concernenti quest’ultima sulle nuove norme. L’art. 230 bis c.c. riconosce ai familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado) che prestano attività continuativa nell’impresa:

- il diritto al mantenimento; - il diritto a partecipare agli utili, nonché agli incrementi

dell’azienda; - il diritto di prelazione in caso di divisione e di trasferimento

dell’azienda.

Nulla quaestio in merito al primo ed al secondo punto, anche se per quest’ultimo occorre una distinzione in relazione all’alternativa che i familiari proseguano o meno la collaborazione con il nuovo titolare. Nel caso di cessazione essi potranno chiedere la liquidazione in denaro delle loro spettanze, mentre, nel caso di prosecuzione dell’attività, essi potranno rinviare detta liquidazione, divenendo titolari di un diritto di credito verso il nuovo imprenditore.

39 Vedi F. Tassinari, Il Patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari in

Quaderni Fondazione italiana notariato luglio 2006. 40 Vedi G. Rizzi, op. citata.

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Il punto su cui la dottrina appare divisa è quello concernente la compatibilità del diritto di prelazione con la natura del Patto di famiglia. Infatti secondo i principi generali della dottrina il diritto di prelazione si ritiene incompatibile sia con la donazione (ivi compresa quella modale), sia con ogni altro contratto che, a fronte del trasferimento di un bene, non contempli una controprestazione fungibile. Sulla base di tale considerazione diversi autori affermano che “il carattere gratuito e liberale dell’attribuzione propria del Patto di famiglia escluda che in capo ai partecipanti all’impresa familiare sorga il diritto di prelazione sull’azienda trasferita”41. In senso opposto si sostiene che il diritto di prelazione di cui all’art. 230 c.c. presenta peculiarità tali da differenziarlo dalle altre figure di prelazione legale. A sua volta il Patto di famiglia, pur rientrando fra gli atti di liberalità, si configura come contratto tipico con causa autonoma, il cui scopo primario è quello di attuare il trasferimento del bene azienda. Appare, pertanto, ben difficile poterlo escludere dalle fattispecie di trasferimento di azienda cui fa riferimento l’art. 230 bis, quinto comma concernente il diritto di prelazione. Secondo tale posizione dottrinale non si può negare che le finalità connesse a tale diritto siano del tutto simili a quelle che caratterizzano il Patto di famiglia: “sia nell’uno che nell’altro caso scopo ultimo è quello di assicurare la continuazione dell’attività imprenditoriale nell’ambito della famiglia. Evidentemente il legislatore, nel conflitto tra il discendente, beneficiario del Patto di famiglia, che teoricamente potrebbe non aver mai prestato la propria attività lavorativa nell’impresa e che potrebbe anche non aver interesse a continuare l’attività di impresa, ed i collaboratori, che invece tale attività l’hanno prestata….ha ritenuto di dare preferenza a questi ultimi”42. Ne consegue che: - se unici collaboratori ex art. 230 bis c.c. sono i beneficiari del

patto non sorge alcun problema; - se vi sono anche altri familiari o solo familiari diversi dai

beneficiari, essi dovranno essere messi in condizione di esercitare il diritto di prelazione con le modalità di cui all’art. 732 c.c.

41 Vedi M. Petrulli, op. citata e, nello stesso senso, G. Oberto, op. citata e A. Merlo

idem. 42 Vedi G. Rizzi, Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione italiana per

kil notariato 2006.

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ii. Società di persone. Nella società a base personale la cessione di una quota di azienda rappresenta una fattispecie modificativa del contratto sociale che, in assenza di una diversa pattuizione, deve essere approvata da tutti i soci all’unanimità ex art. 2252 c.c., salva la quota del socio accomandante, per la quale l’art. 2322 c.c. prevede che il relativo trasferimento sia approvato dalla maggioranza dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale. Come già osservato, secondo taluni, la cessione della quota dell’accomandante non potrebbe rientrare nella previsione del Patto di famiglia, trattandosi di quota che non consente la gestione della società. La dottrina prevalente propende, invece, per la soluzione positiva in considerazione del fatto che “l’accomandante, attraverso la rilevanza della sua quota, ben potrebbe essere in realtà il socio di riferimento”43.

iii. Società di capitali. Nelle società di capitali, invece, il trasferimento

di una partecipazione non rappresenta modifica dell’atto costitutivo ed è liberamente attuabile, salvo l’esistenza di contrarie disposizioni statutarie (artt. 2355 bis e 2469 c.c.). Si rende, pertanto, necessario verificare se lo statuto prevede particolari clausole di gradimento o di prelazione per il trasferimento delle partecipazioni. Potrà essere richiesto il preventivo gradimento dei soci, ovvero la comunicazione agli stessi della progettata cessione, onde consentire loro l’esercizio del diritto di prelazione. Ove lo statuto stabilisca l’intrasmissibilità delle partecipazioni, non sarà possibile il ricorso al Patto di famiglia con effetti nei confronti della società. Poiché nelle S.p.A. il divieto di trasferimento non può eccedere i cinque anni dalla costituzione della società o dalla introduzione del divieto (art. 2355 bis primo comma), si potrà stipulare un Patto di famiglia con una decorrenza coincidente con la scadenza del divieto. In relazione alle formalità necessarie per l’efficacia del trasferimento nei confronti della società occorre tener presente che:

- per le partecipazioni in S.r.l. si applica l’art. 2470 c.c. che ne prevede la decorrenza dal momento dell’iscrizione nel libro soci. “Conseguentemente l’atto pubblico di costituzione del Patto di famiglia dovrà essere, a cura del notaio rogante, depositato al registro delle imprese entro i trenta giorni successivi alla stipula, mentre l’iscrizione a libro soci avrà luogo, su richiesta del cedente o della parte beneficiaria verso esibizione del titolo da

43 Vedi M. Petrulli op. citata.

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cui risultino il trasferimento delle partecipazioni e l’avvenuto deposito” ;

- nel caso di partecipazioni di S.p.A. si applica la disposizione dell’art. 2022 c.c. richiamata dall’art. 2355 quarto comma; “pertanto il trasferimento dei titoli azionari si opera mediante l’annotazione del nome del beneficiario del patto di famiglia sia sul titolo che nel libro soci, ovvero col rilascio di nuovi titoli intestati al nuovo titolare e con l’annotazione di tale rilascio nel libro soci. L’annotazione ovvero il rilascio del nuovo titolo dovranno essere richiesti dal beneficiario mediante esibizione alla società del titolo”44.

In presenza di clausole statutarie che alla morte del socio stabiliscano lo scioglimento automatico della società ovvero il consolidamento in capo ai soci superstiti delle quote cadute in successione, o ancora il diritto di questi ultimi di acquistare le quote dietro versamento agli eredi di un corrispettivo, la dottrina sottolinea “la necessità che l’atto costitutivo della società venga accuratamente predisposto tenendo conto della possibilità che i soci ricorrano al Patto di famiglia come strumento pattizio di regolamentazione anticipata della successione. Si tratta, infatti, di calibrare il contenuto delle molteplici clausole statutarie che in modo diretto o indiretto sono volte ad incidere sul trasferimento delle azioni o delle quote, tenendo conto che in futuro il socio potrebbe avvalersi dell’opportunità di trasmettere quando è ancora in vita gli anzidetti beni ad uno o più discendenti”45.

6d) i soggetti del Patto di famiglia. Dal combinato disposto degli artt. 768

bis e 768 quater si evince che al contratto devono partecipare i seguenti soggetti:

i. il cedente, ovvero l’imprenditore o il titolare delle partecipazioni. Al

riguardo ci si è chiesto se il soggetto debba essere necessariamente essere qualificato come imprenditore o se sia sufficiente la titolarità dell’azienda, nonostante non venga esercitata alcuna attività imprenditoriale. Ciò in quanto, mentre in relazione al trasferimento dell’azienda viene utilizzato il termine “imprenditore”, con riferimento alle partecipazioni azionarie non compare tale qualifica, ma unicamente il termine “titolare”. La dottrina propende, pertanto, per una interpretazione estensiva, ritenendo applicabile la nuova

44 Vedi G. Rizzi, op. citata 45 Vedi M. Petrulli, op. citata con richiamo a L. Balestra, Prime osservazioni sul Patto di

famiglia, www.corsodirittofamiglia.it.

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normativa anche ai casi di azienda appartenente a soggetto “non più qualificabile come imprenditore”46. Conseguentemente “nella nozione di imprenditore utilizzata dalle norma sul Patto di famiglia va dunque compreso anche chi, pur non potendosi definire imprenditore da un punto di vista tecnico-giuridico, sia semplicemente titolare dell’azienda o delle partecipazioni sociali che la rappresentano”47. Per quanto concerne il titolare delle partecipazioni si fa rinvio a quanto osservato in relazione all’oggetto nel capitolo precedente;

ii. l’assegnatario o gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni

societarie, che non può essere un qualsiasi familiare, ma solo un discendente. Si osservi che quest’ultimo potrebbe anche non essere legittimario se in quel momento si aprisse la successione (figlio del figlio ancora vivente dell’imprenditore)48. Qualcuno ha osservato che dal momento che l’assegnatario potrebbe essere anche un discendente non legittimario non si vede il motivo per escludere dal novero dei discendenti potenziali assegnatari i discendenti non in linea retta, ma in via collaterale(figli del fratello del disponente)49;

iii. i legittimari e cioè il coniuge e tutti i soggetti che rientrerebbero

nelle previsioni dell’art.536 e segg.c.c. se la successione si aprisse al momento della stipula del Patto di famiglia. In merito alla partecipazione dei legittimari il tenore letterale della normativa non chiarisce se ai fini della validità del Patto di famiglia tale partecipazione debba essere totalitaria e contestuale. Infatti il primo comma dell’art.768 quater con la locuzione “devono”sembrerebbe imporre la partecipazione di tutti i legittimari come necessaria “ad validitatem”. Per converso, come vedremo in seguito, l’art. 768 sexies nel caso dell’eventuale mancata partecipazione di uno o più un legittimari, non prevede la nullità del Patto, ma si limita a disporre che i “legittimari che non abbiano partecipato al Patto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’art.768 quater (valore delle quote previste dagli artt. 536 e segg.) aumentata degli interessi

46 Vedi - G. Fietta, op. citata - E.L. Guastalla, Un patto per tutta la famiglia in Sole 24 ore n.° 50 del 24/2/2006. 47 Vedi A. Butani, E. Lucchini, E.L.Guastalla, Alla ricerca di una soluzione meno

sperequativa tra il destinatario dell’azienda e gli altri parenti, Il Sole 24 ore guida normativa 13/2006.

48 Vedi G. Petrelli, op. citata. 49 Vedi B. Inzitari, P. Dagna, M. Ferrari, V. Piccinini, op. citata.

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legali”. Alcuni autori ritengono che il termine “possono” lasci sottintendere la volontà del legislatore di consentire ai legittimari non partecipanti di aderire al Patto nella forma sanante sopra prevista, prevedendo in caso negativo la validità del patto stesso unicamente tra le parti presenti alla stipula e la sua inopponibilità ai legittimari non aderenti ex secondo comma art. 1372 c.c.50. Questi ultimi potrebbero, pertanto, avvalersi del loro diritto di collazione e chiedere la riduzione. Altri autori ritengono che sia possibile stipulare un Patto di famiglia con effetti vincolanti anche per i legittimari non aderenti, purché questi ultimi siano stai convocati e messi in grado di parteciparvi51. Secondo altri, invece, la mancata partecipazione al Patto di famiglia di tutti i legittimari ne determina la nullità, in quanto il dettato dell’art. 768 sexies sarebbe riferibile ai soli legittimari sopravvenuti (figli nati o adottati successivamente e nuovo coniuge)52. Qualcuno ha osservato che la presenza di tutti i legittimari alla stipula quale requisito per la validità del Patto appare eccessivamente rigorosa dal momento che la legge stessa non sembra ritenerne essenziale la partecipazione totalitaria, laddove ammette il recesso ai sensi dell’art. 768 septies sub 2)53. In realtà, se si pensa alle conseguenze pratiche della nuova normativa che pone gravi limiti ai diritti dei legittimari, impedendo loro la collazione e la riduzione in relazione al bene azienda, appare evidente che, se tale limitazione è necessariamente sostenibile nei confronti dei legittimari sopravvenuti, non può esserlo nei confronti dei legittimari 54che non abbiano aderito al patto. Sembrerebbe, pertanto, condivisibile la posizione più restrittiva di coloro che intendono il “devono” espresso nell’art. 768 quater come imperativo categorico ai fini della qualificazione come Patto di famiglia del contratto in questione, escludendo la possibilità di considerare tale un contratto stipulato senza l’intervento di tutti gli aventi diritto. Vi è, infine, chi ritiene che il contratto stipulato senza la presenza di tutti gli aventi diritto non sia nullo, ma configuri una donazione modale (ma ciò a

50 Vedi G. Oberto, op. citata. 51 Vedi G. Petrelli, op. citata. 52 Vedi F. Gazzoni, op. citata secondo il quale “ l’art. 768 quater primo comma dispone

che al contratto devono partecipare il coniuge e tutti gli altri eredi potenzialievidentemente a pena di nullità. Una sanzione così grave è posta anche a tutela dei legittimari stessi, dando loro un potere di veto individuale, a frontedel rischio di accordi fraudolenti. Se così non fosse i legittimari che non partecipassero al contratto riceverebbero il trattamento possibilmente deteriore previsto dall’art. 768 sexies perché sarebbero terzi”.

53 Vedi G. Oppo, Patto di famiglia e diritti di famiglia, www,cedam.it. 54 Vedi A. Merlo, op. citata.

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condizione che la stipula sia intervenuta con l‘assistenza di testimoni; infatti la donazione non può avvenire che per atto pubblico e nell’ambito della disciplina di quest’ultimo, l’art. 48 legge notarile del 16/2/1913 n.°89, prescrive l’assistenza dei testimoni per gli atti di donazione)55;

6e) il soddisfacimento dei diritti dei legittimari. Il secondo comma

dell’art. 768 quater stabilisce che “gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 e segg.; i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura”. La valutazione delle somme da liquidare al fine di garantirne la corrispondenza alle quote di legittima è rimessa all’autonomia delle parti; da ciò emerge chiaramente l’opportunità che, ad evitare future controversie, nel contratto vengano indicati i criteri ed i parametri adottati. L’eventuale rinuncia totale o parziale non configura, ovviamente, una rinuncia alla quota di legittima, ma, come opportunamente sottolineato da qualche autore, rinuncia al credito e dovrà essere inserita nel Patto di famiglia o in contratto successivo redatto nella forma di atto pubblico. Nella configurazione tipica del Patto la liquidazione degli altri legittimari viene effettuata dall’assegnatario con mezzi propri, ma, di fatto, può proporsi il caso in cui essa venga effettuata dal cedente, laddove il beneficiario non disponga di tali mezzi. In tal caso verrebbe a determinarsi una liberalità a latere del Patto di famiglia “la quale …. risulterebbe sottratta (pur ammesso che sia stata posta in essere validamente) al beneficio dell’esonero da collazione e riduzione sancito dall’ultimo comma del citato art.768 quater”56. Al fine di evitare equivoci interpretativi in relazione al terzo comma dell’articolo in esame dittante che “i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti” è opportuno precisare che tale norma non configura la possibilità per l’imprenditore di includere nel Patto di famiglia disposizioni concernenti altri beni, diversi da quelli componenti l’azienda. Essa ha, invece, lo scopo di far sì che i beni assegnati dal beneficiario del Patto di famiglia agli altri eredi a titolo di liquidazione vengano considerati alla stregua di

55 Vedi G. Rizzi, op. citata 56 Vedi S. Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di Patto di

famiglia, Rivista notariato 4/2006.

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un acconto sulla legittima inerente alla successione dell’imprenditore. In assenza di tale disposizione l’assegnatario verrebbe discriminato in pejus rispetto agli altri eredi, in quanto egli dovrebbe imputare alla propria quota di legittima (in mancanza di apposita dispensa da parte del disponente) il valore dell’azienda al netto delle liquidazioni; e ciò in quanto la disposizione dell’art.564 c.c. concernente la imputatio ex se rientra tra le norme concernenti la riduzione delle donazioni estese a tutte le forme di liberalità ex art. 809 c.c. Per converso gli altri legittimari non dovrebbero imputare alcuna somma alla loro quota di legittima, non avendo ricevuto alcunchè dall’imprenditore. La norma nulla prevede in merito alla possibilità che il trasferimento di azienda possa avvenire con dispensa dall’imputatio ex se. Vi è chi lo ritiene ammissibile57, mentre altri osservano che la nuova disciplina ha come funzione precipua quella di assicurare la definitività dell’acquisto dei beni d’impresa, “non vedendosi dunque per quale ragione all’assegnatario dovrebbe vedersi riconosciuto anche il vantaggio dell’esonero dall’obbligo di cui all’art. 564, secondo comma c.c.”58. In una visione più ampia del problema ci si è chiesti se alla luce del disposto dell’art. 768 quater ultimo comma (“quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione”) le assegnazioni ricevute dall’erede successore nell’azienda e quelle da lui effettuate a favore degli altri legittimari siano soggette alla riunione fittizia ex art. 556 c.c al fine di determinare la quota disponibile, o se esse restino definitivamente avulse dalle successive vicende successorie. In quest’ultima ipotesi tutti i rapporti tra le parti si intenderebbero esauriti per quanto concerne i beni oggetto del patto e, in sede di successione, questi ultimi non potrebbero più essere presi in considerazione a nessun effetto. In tal senso il patto configurerebbe una sorta di successione anticipata dovendosi intendere che con la legge sul Patto di famiglia il legislatore abbia “sancito che, oltre alla legittima da computare su asse dovendosi intendere che con la legge sul patto di famiglia il legislatore abbia “sancito che, oltre alla legittima da computare su asse ereditario e donazioni eseguite dal defunto (disciplinata negli artt. 536 e segg. c.c.), vi è una legittima anticipata da computarsi sul compendio oggetto di ciascun patto di famiglia, del tutto autonoma dalla precedente (disciplinata dagli artt. 768 quater e 768 sexies c:c”59. Altri sostengono, invece, che, ferma restando la disattivazione della collazione e della riduzione, per determinare la quota disponibile in sede di successione si

57 Vedi M. C. Lupetti, op. citata. 58 Vedi S. Delle Monache, op. citata 59 Vedi F. Tassinari, op. citta.

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dovrà, nella riunione fittizia prevista dall’art. 556 c.c., tener conto anche dei beni che hanno formato oggetto del Patto di famiglia, istituto che rientra fra gli atti di liberalità60. Quest’ultima soluzione è ritenuta dalla dottrina prevalente come “la più coerente con l’asserita natura di liberalità riconosciuta al Patto di famiglia (la riunione fittizia, in relazione al combinato disposto degli artt. 809 e 556 c.c., tutti gli atti di liberalità)61, anche se tale soluzione prevede la forzatura di far rifluire in un unico conteggio cespiti assunti in base a valori ad essi spettanti in epoche diverse; il momento del Patto, quanto all’azienda e alle partecipazioni, il momento dell’apertura della successione quanto ai restanti beni…”62. Alla luce di quanto sopra ci si chiede se i legittimari che abbiano rinunciato alla liquidazione debbano, in sede di successione, imputare alla propria quota di legittima quanto sarebbe loro spettato; la dottrina, al momento, appare divisa63;

6f) i rapporti con i terzi. L’art. 768 sexies prevede l’eventualità che all’epoca dell’apertura della successione sopravvengano altri legittimari: “all’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’art. 768 quater, aumentata degli interessi legali. L’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 768 quinques”. Trattasi di norma fondamentale a sostegno dell’intera struttura del Patto di famiglia, inteso come strumento inteso a salvaguardare le disposizioni dell’imprenditore da possibili pretese di legittimari dissenzienti. Infatti, ricorrendo allo strumento della donazione pur a favore di tutti i legittimari esistenti, non si potrebbe prevenire il rischio che su iniziativa di un legittimario sopravvenuto venga a proporsi un’azione di riduzione, azione che si prescrive in dieci anni dall’apertura della successione. Col Patto di famiglia tale rischio viene scongiurato, in quanto la disattivazione dei meccanismi della collazione e della riduzione opera anche nei confronti dei legittimari sopravvenuti, ai quali viene riconosciuto unicamente il diritto ad una somma di denaro pari alla loro quota ideale di legittima ragguagliata al valore dell’azienda alla data di stipula del contratto,

60 Vedi G. Baralis, Attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell’azienda o delle

partecipazioni sociali, Atti del Convegno Fondazione italiana notariato, Milano 31/3/2006. 61 Vedi G. Rizzi, op. citata. 62 Vedi C. Caccavale, Appunti per uno studio sul Patto di famiglia, CNN notizie

22/3/2006. 63 Per la soluzione affermativa vedi G.Fietta, op. citata; in senso contrario vedi G.

Petrelli, op. citata.

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aumentata degli interessi legali. La categoria dei legittimari terzi comprende sia coloro che, pur rivestendo tale qualifica, non hanno inteso o potuto aderire al Patto (dissenso, incapacità, assenza) sia i soggetti che hanno acquisito la qualifica di legittimari in periodo successivo alla stipula del medesimo (figli sopravvenuti o nuovo coniuge). Nella previsione della norma non rientrano i discendenti di figli legittimi o naturali subentrati per premorienza. A questi ultimi il Patto è opponibile; infatti, trattandosi di successori per rappresentazione, essi si trovano nella stessa posizione del loro dante causa, che aveva già ottenuto la liquidazione dei propri diritti o aveva a questi rinunciato64. Alcuni autori65 osservano che il termine “possono” usato dal legislatore sembrerebbe voler considerare la norma in esame come una ulteriore possibilità riconosciuta al legittimario ad integrazione della disciplina ordinaria. In pratica il legittimario sopravvenuto potrebbe avvalersene solo nell’eventualità che i beni relitti non risultassero sufficienti. Altri, invece, ritengono che il suddetto termine stia a significare che i legittimari non partecipanti al Patto abbiano, comunque, il diritto di aderirvi in virtù di una sorta di opzione ex lege66, fermo restando che, in alternativa, la legge consente loro di valersi degli ordinari strumenti a tutela dei legittimari. L’entità del credito dei legittimari sopravvenuti verso i beneficiari del contratto viene individuata dall’articolo in esame come quella “corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 e segg..”, entità da determinarsi in relazione al valore dell’azienda e delle partecipazioni societarie indicato nel Patto di famiglia. Si tenga presente che con la locuzione “beneficiari del contratto” cui i legittimari sopravvenuti possono rivolgere le loro richieste non si intendono solo gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni, bensì tutti i partecipanti al contratto stesso. Dall’applicazione del principio generale in materia di obbligazioni a carico di più soggetti stabilito dall’art. 1294 c.c., consegue, conseguenza definita “imbarazzante” dalla dottrina, che ciascun partecipante al Patto potrebbe essere escusso per l’intero dal legittimario sopravvenuto, per cui egli sarebbe costretto a “precostituirsi e mantenere, vita natural durante, una conseguente provvista”67. Per altri, invece, si configurerebbe una sorta di obbligazione complessa, il cui adempimento richiede la necessaria

64 Vedi G. Oberto, op. citata. 65 Vedi - G. Rizzi, op. citata - G. Petrelli, op. citata. 66 Vedi G. Oberto, op. citata 67 Vedi A. Butani, E. Lucchini, E. L. Guastalla, op. citata.

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partecipazione di più debitori, e quindi un’obbligazione parziaria che ogni debitore è tenuto a soddisfare in ragione della propria quota68.

6g) annullabilità e nullità del contratto. Il secondo comma dell’articolo in esame stabilisce che “l’inosservanza delle disposizioni del primo comma costituisce motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 768 quinquies”. Poiché quest’ultimo stabilisce che il Patto può essere impugnato ex art. 1427 e segg. c.c., la disposizione ingenera una giustificata perplessità, in quanto non si comprende come un inadempimento contrattuale possa essere ricondotto alla normativa sui vizi del consenso. Qualche autore cerca di giustificare l’incongruenza ipotizzando che l’inciso “inosservanza delle disposizioni” debba intendersi non riferito all’inadempimento dell’obbligo al pagamento, ma al “mancato funzionamento del sistema previsto dal secondo comma dell’art. 768 quater per vizi negoziali, quali, ad esempio, l’imprecisione dell’aspetto valutativo” 69. Secondo altri “bisogna rassegnarsi all’idea che il legislatore, nella sua sovrana discrezionalità, ha fatto ricorso ad un’azione attinente al piano della validità del negozio per sanzionare l’inadempimento di quanto stabilito nel contratto”70. In altre parole, il legislatore, al fine di assicurare la massima stabilità all’acquisto dell’azienda, ha ristretto la possibilità di impugnativa, oltre che ai normali vizi del consenso, all’inadempimento degli obblighi previsti dal primo comma dell’art. 768 sexies, con l’applicazione di un termine di prescrizione ridotto ad un anno71. Ci troviamo, quindi, di fronte al primo caso, nel nostro ordinamento, di annullabilità connessa a vizi afferenti al contratto non nel momento della sua formazione, ma in un momento successivo, novità che qualche autore definisce “difficile da comprendere”72. Trattandosi di annullabilità già prevista dall’art. 1427 c.c., la norma appare “pleonastica nella prima parte”73, visto che l’unica differenza, se pur rilevante, concerne la riduzione ad un anno (ex cinque) del termine di impugnativa. Ove, invece, ci si trovi in presenza di contratto stipulato da incapace, contemplato dall’art. 1425 c.c., poiché il rinvio operato dall’art. 768 quinques è all’art. 1427 c.c. e segg., si deve ritenere che ai fini dell’annullamento del Patto di famiglia resti operante il termine di cinque anni. In ogni caso il termine di decorrenza

68 Vedi B. Inzitari, P. Dagna, M. Ferrari, V. Piccinini op. citata. 69 Vedi M. Petrulli op. citata 70 Vedi G. Oberto, op,. citata. 71 Vedi D. Poto, op. citata. 72 Vedi M. Petrulli, op. citata. 73 Vedi U. Friedmann, Prime osservazioni sul Patto di famiglia, Federnotizie,marzo

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sarà quello stabilito dall’art. 1442 secondo comma c.c. e cioè dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto l’errore o il dolo. Esaminando brevemente le cause di annullamento previste dall’art. 1427 c.c. osserviamo quanto segue. Per quanto concerne l’errore, qualificandosi il Patto di famiglia come contratto intuitu personae, la persona fisica del legittimario deve intendersi come elemento “determinante del consenso, in quanto non si sarebbe concluso il contratto con quella persona se non si fosse caduti in errore sulla sua identità o sulla sua qualità personale di legittimario: L’errore rientra qui nella previsione di cui all’art. 1429 n.° 2 c.c.”74. Ben può configurarsi anche la fattispecie di errore per mancanza di qualità dell’azienda o connesso al valore della medesima. In quest’ultimo caso, occorre tener presente l’atteggiamento della giurisprudenza che nega la rilevanza dell’errore sul valore75. Tuttavia la dottrina osserva che, poiché nel Patto di famiglia il valore dell’azienda o delle partecipazioni è certamente determinante ai fini del consenso, l’errore potrebbe qualificarsi come errore sulla qualità o sull’identità dell’oggetto e, quindi risultare rilevante ai fini dell’annullamento76. In relazione al dolo, se proveniente da uno dei partecipanti al Patto di famiglia, esso rende annullabile il contratto nel caso di dolo determinante e cioè tale da rappresentare l’unico motivo che ha indotto la parte a contrarre; diversamente, nel caso di dolo incidente, la parte raggirata avrà diritto unicamente al risarcimento del danno ex art. 1440 c.c. Il raggiro del terzo, ai sensi dell’art. 1439 secondo comma c.c., determina l’annullabilità solo se noto, e non semplicemente riconoscibile, al contraente che ne ha tratto vantaggio. Per quanto concerne il dolo omissivo, esso vale solo in relazione al comportamento dei partecipanti, rientrando nella previsione normativa ex art. 1337 c.c. che investe la correttezza e la buona fede fra contraenti e non contempla il comportamento di terzi77. Come è noto la violenza che viene in rilievo

74 Vedi D. Poto, op. citata. 75 Vedi Corte Cass. 8 giugno 2004 n.° 10815 “ Quanto poi all’errore….sulla qualità

dell’oggetto della prestazione, la falsa rappresentazione della realtà deve riguardare un concreto aspetto di esso al momento della conclusione del contratto, mentre le situazioni sopravvenute non possono incidere ai fini dell’applicabilità dell’art. 1429 n.° 2 c.c., perché in quanto tali non possono aver avuto influenza alcuna sulla formazione della volontà dell’atto e sul conseguente vizio del consenso manifestato. Se poi il contraente è incorso in errore sul valore della cosa che ha formato oggetto del contratto, può esperire, ove ne ricorrano i presupposti, l’azione di rescissione per lesione, ma non invocare la tutela dell’errore essenziale ai fini dell’art. 1429 c.c.”.

76 Vedi M. Petrulli, op. citata. 77 Vedi in senso contrario D. Poto, op. citata ove si afferma “ Personalmente, però,

credo che il Patto di famiglia, per il suo speciale carattere di contratto fiduciario, per la

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trattando dell’annullabilità è quella psicologica o morale, in quanto la violenza fisica determina la nullità del contratto. La minaccia può riguardare la persona dell’imprenditore o dei più stretti congiunti (coniuge, ascendenti e discendenti) ovvero i loro beni; nel caso di collaterali o altri l’annullamento è rimesso alla valutazione del giudice (art. 1436 c.c.). Essa può provenire sia da un partecipante che da terzi ed in questo ultimo caso, a differenza del dolo, non occorre che sia nota a chi ne ha tratto vantaggio. La dottrina ammette che il patto annullabile sia convalidato dal contraente titolare dell’azione di annullamento ai sensi dell’art. 1444 primo e secondo comma c.c. Anche per patto di famiglia valgono le regole generali sulla nullità previste dagli artt. 1418 e segg. c.c. ; sarà, pertanto, causa di nullità il mancato rispetto della forma dell’atto pubblico prevista dall’art. 768 ter, oppure il trasferimento avente un oggetto diverso dall’azienda o dalle partecipazioni societarie. Per quanto concerne la qualità dei soggetti, si rimanda a quanto precedentemente osservato in apposito capitolo. Secondo la dottrina prevalente, in caso di nullità, potrebbe intervenire, jussu judicis, la conversione negoziale in donazione, “sempre che di tale contratto siano stati rispettati i requisiti formali (ecco una ragione di più perché il patto sia stipulato alla presenza di testimoni, anche se tale presenza, come si è detto, non appare striato jure necessaria) qualora, come richiesto dall’art. 1424 c.c., avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”78. Fra gli strumenti ammessi per l’impugnazione del Patto di famiglia non sembrano rientrare le cause di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 (inadempimento), 1463 (impossibilità sopravvenuta) e 1463 c.c. (eccessiva onerosità sopravvenuta). Le prime due restano escluse in quanto applicabili ai contratti a prestazioni corrispettive ed a titolo oneroso. La dottrina ravvisa una possibile applicazione della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta nel caso in cui la definizione dei rapporti inerenti al Patto di famiglia sia rimandata ad un contratto successivo, circostanza che verrebbe ad inquadrare il rapporto nella categoria dei contratti ad esecuzione differita con obbligazioni di una sola parte79. Dagli stessi autori viene pure ritenuta ammissibile la rescissione ex art. 1447 e 1448 c.c. in quanto

sua natura di atto di liberalità e per la rigorosa delimitazione dei soggetti a quelli legati dai più stretti vincoli familiari, esiga di considerare come rilevante e passibile di azione di annullamento del patto, se sia stato determinante del consenso, pure il dolo commissivo proveniente dal terzo”.

78 Vedi G. Oberto, op. citata. 79 Vedi M. Petrulli, op. citata; nello stesso senso vedi B. Inzitari, P. Dagna, M. Ferrari,

V. Piccinini, op. citata.

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comportante una volontà anomala di una delle parti contrattuali che determina un’alterazione nel sinallagma. Non manca chi ammette una libera espressione dell’autonomia contrattuale con facoltà per le parti di ricorrere a tutti i rimedi riconosciuti ai rapporti sinallagmatici, ivi compresa la risoluzione per inadempimento80;

6h) scioglimento, modifica e recesso. L’art. 768 septies disciplina lo scioglimento del Patto di famiglia nei seguenti termini: “il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il Patto di famiglia nei modi seguenti: 1) mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo; 2) mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio”. Per quanto concerne la modifica, dal momento che riesce difficile immaginare un recesso con effetti modificativi, anziché estintivi, si suppone che essa possa rientrare solo nelle previsioni di cui al punto 1)81. Può configurarsi una modifica in senso soggettivo, come nel caso in cui si intenda ottenere il consenso alla liquidazione di soggetti che abbiano acquisito la veste di legittimari in un momento successivo, senza ricorrere alla previsione dell’art. 768 sexies. Oppure la modifica può riguardare l’aspetto oggettivo, quale ad esempio il trasferimento di beni aziendali o ramo di azienda non trasferito nel contratto base. Per quanto riguarda lo scioglimento di cui al punto 1), la norma riflette il principio generale fissato dall’art. 1372 c.c. per cui “il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. In merito alla qualificazione giuridica dello scioglimento si osserva che nel caso in esame, trattandosi di contratto con effetti reali che hanno già prodotto i loro effetti, non potrebbe parlarsi di mutuo dissenso, ma solo di diverso autonomo contratto avente effetti contrari a quelli del contratto precedente82. In ogni caso la peculiarità del bene oggetto del trasferimento impone la massima precisione nell’indicazione delle modalità di subentro del precedente imprenditore nell’azienda trasferita con particolare riferimento ai crediti ed ai debiti maturati, nonché ai contratti in corso. L’atto di scioglimento deve essere depositato presso il Registro delle imprese ai sensi dell’art. 2556 secondo comma. Il recesso, secondo qualche autore, si giustifica solo se attribuito al disponente quale

80 Vedi G. Oberto, op. citata. 81 Vedi G. Rizzi, op. citata. 82 In senso contrario vedi A. Merlo, op. citata ove si ritiene che il negozio di

scioglimento del Patto di famiglia deve qualificarsi come muto dissenso.

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strumento per il recupero dell’azienda nel caso in cui il beneficiario tradisca le aspettative83. Altri ritiengono, invece, che esso competa anche al beneficiario ed agli altri legittimari. Nel primo caso verranno meno gli effetti dell’intero Patto di famiglia84; l’esercizio del diritto di recesso da parte degli altri legittimari comporterà, invece, solo l’obbligo di restituzione di quanto ricevuto e, ovviamente, la non estensibilità nei loro confronti degli affetti del patto85. In merito alle conseguenze si contrappongono due tesi in dottrina:

- secondo la tesi più accreditata chi ha esercitato il recesso verrà a trovarsi nella posizione prevista dall’art. 768 sexies e quindi potrà chiedere ai beneficiari del contratto il pagamento della somma prevista dall’art. 768 quater aumentata degli interessi legali86;

- secondo altri il recedente, libero dai vincoli imposti dal Patto di famiglia, potrebbe agire con azione di riduzione o collazione87.

In ogni caso, appare opportuno che la previsione del recesso il seno al contratto costitutivo del patto di famiglia non configuri la possibilità di un recesso ad nutum, in quanto verrebbe a determinare una forte remora alle iniziative del beneficiario. La previsione contrattuale dovrebbe concernere unicamente ipotesi di recesso motivato in relazione a fatti ben specificati e facilmente accertabili 88 e così pure dovrebbe regolamentare compiutamente la sorte delle disposizioni contenute nel patto89;

6i) controversie. L’art. 768 octies recita: “le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente capo sono devolute preliminarmente a uno degli organismi di conciliazione previsti dall’art. 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5”. La normativa richiamata concerne la “definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia in attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001 n.° 366”. L’art. 38 prevede la costituzione da parte degli Enti pubblici o privati di organismi destinati a gestire un tentativo di conciliazione. Trattasi di tentativo di conciliazione analogo a quella previsto per le cause di lavoro dal D.Lgs 80/1998 che costituisce condizione di procedibilità

83 Vedi G. Rizzi, op. citata. 84 Vedi G. Oppo, op. citata. 85 Vedi G. Oppo, op. citata. 86 Vedi G. Oberto, op. citata. 87 Vedi B. Inzitari, P. Dagna, M. Ferrari, V. Piccinini, op. citata. 88 Vedi G. Oberto, op. citata, secondo cui “inutile dire …che attese le inevitabili

complicazioni e gli immaginabili strascichi dell’atto in oggetto, sarà aopportuno raccomandare ai notai di fare assai parco uso di questa clausola”.

89 Vedi U. Friedmann, op. citata.

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dell’azione; il suo mancato esperimento determina la sospensione del procedimento eventualmente instaurato. Il processo verbale redatto in sede di conciliazione, omologato dal Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede il relativo organismo, è titolo valido per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, nonché per l’espropriazione forzata. Trattandosi di diritti disponibili, ma caratterizzati da un forte tecnicismo, alcuni autori hanno auspicato l’inserimento nel Patto di famiglia di clausole compromissorie demandanti la risoluzione delle controversie a collegi arbitrali a composizione notarile90. Per quanto concerne il procedimento ordinario, il rito da seguire nel giudizio conseguente all’inutile esperimento del tentativo di conciliazione la dottrina osserva che “si deve ritenere che vada seguito il cd. rito societario (artt. 1 ss. D. Lgs. 5/2003) soltanto ove nella specie il disponente si sia servito del patto di famiglia per trasferire partecipazioni societarie. Al contrario, qualora l’imprenditore trasferisca in tutto o in parte l’azienda, pare applicabile esclusivamente il procedimento ordinario di cognizione”91 di cui al c.p.p.

7. La valutazione dei beni trasferiti

Come emerge chiaramente dalla disamina fin qui condotta la quantificazione del valore dei beni oggetto del trasferimento assume un rilievo assolutamente primario nella struttura del Patto di famiglia.

L’art. 768 quater stabilisce a carico dell’assegnatario l’obbligo di liquidare gli altri legittimari “con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli artt. 536 e segg…”e successivamente prevede che “i beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti”.

E’ evidente che l’entità dell’obbligo posto a carico dell’assegnatario deriva direttamente dalla quantificazione dell’azienda o delle partecipazioni a lui assegnate.

Trattandosi di valutazione rientrante nella sfera dell’autonomia privata, in quanto rimessa alla concorde libera volontà dei partecipanti al contratto, considerata l’importanza delle conseguenze che ne derivano, appare

90 Vedi- M. Petrulli, op. citata - M. C. Lupetti, op. citata secondo il quale “si rende, quindi, estremamenteurgente

disporre subito di linee guida per risolvere eventuali future controversie, al fine di garantire uniformità di giudizio”.

91 Vedi G. Oberto, op. citata.

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indispensabile che essa sia supportata dalla redazione di una perizia di stima da parte di un esperto.

“E ciò per palesi motivi di prudenza ed opportunità, oltre che per consentire la massima oggettività possibile alle conseguenze patrimoniali del Patto di famiglia, anche tenuto conto delle vicende successive che potrebbero conseguirne, in ragione dei diritti comunque garantiti dalla legge ai legittimari non intervenuti al patto (sopravvenuti o meno che siano)”92.

Per meglio inquadrare il reale oggetto della valutazione peritale è opportuno ricordare che nel linguaggio giuridico, e quindi in quello utilizzato dal legislatore, i termini impresa e azienda assumono una valenza diversa rispetto a quella tipica dell’economia aziendale.

L’art. 2555 c.c., stabilendo che l’azienda “è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, la differenzia dall’impresa considerandola elemento strumentale della medesima; in economia aziendale, invece, il termine impresa sta ad indicare una delle tipologie possibili di azienda, locuzione quest’ultima che abbraccia anche la famiglia, considerata impresa non di produzione, ma di consumo.

Ovviamente il perito chiamato a periziare l’oggetto del trasferimento opererà nell’ambito della locuzione economico/aziendale, a prescindere dalla terminologia usata dal legislatore, per cui oggetto della perizia di stima sarà il capitale dell’impresa.

In economia aziendale si individuano le seguenti principali configurazioni di capitale: - il capitale netto di funzionamento che coincide con il netto individuato

dal bilancio come conseguenza della determinazione del reddito di esercizio;

- il capitale di liquidazione, risultante quale differenza fra i valori di liquidazione delle attività e delle passività;

- il capitale economico, inteso come l’entità che viene calcolata in sede di trasferimento dell’impresa da un soggetto all’altro. Nel caso che ci occupa il capitale oggetto di valutazione sarà,

ovviamente, quello economico. Nell’operare tale valutazione sarà opportuno tener presente la specificità

dell’operazione in cui essa viene ad inquadrarsi, in relazione alla sua particolare funzione.

Infatti il Patto di famiglia scaturisce dall’esigenza dell’imprenditore di sottrarre l’azienda ad una sua cessione sul mercato, cosa che

92 Vedi R. D’Imperio, La valutazione dell’azienda e delle partecipazioni nella nuova

disciplina del patti di famiglia, Quaderni della Fondazione italiana notariato, Il Sole 24 ore 2006.

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presumibilmente avverrebbe in assenza di un successore opportunamente designato, ma di garantirne la continuità gestionale.

Pertanto il perito estimatore dovrà identificare un valore non strettamente correlato alle condizioni di un ipotetico realizzo sul mercato, né alle prospettive ed agli obiettivi del beneficiario (che potrà adottare strategie diverse dal predecessore con conseguenti effetti sul valore dell’azienda).

Ne consegue che la scelta del metodo di valutazione dovrebbe, in linea di massima, prescindere da “metodologie direttamente connesse al mercato dei capitali (multipli di borsa, multipli di indicatori di performances aziendali, transazioni comparabili etc.), per preferire metodologie più analiticamente tarate sulla specificità della realtà aziendale oggetto di stima”93.

In tal senso appaiono preferibili metodologie “classiche”, quali quelle patrimoniali o miste, con stima autonoma dell’avviamento, più agevolmente “giustificabili e ricostruibili nelle loro variabili chiave anche a posteriori, fattore questo particolarmente rilevante se si fa mente locale alle vicende che nel tempo la validità e l’efficacia del Patto di famiglia potrebbero subire”94.

8. Il trattamento fiscale del Patto di famiglia

Per quanto concerne gli aspetti fiscali occorre sottolineare in via preliminare che la nuova normativa non ha previsto una specifica disciplina, per cui l’individuazione degli effetti tributari del Patto di famiglia deve essere necessariamente affidata alla disciplina ordinaria in materia di imposte dirette ed indirette.

a) Imposte indirette a carico dell’assegnatario

L’unica menzione del nuovo istituto è rilevabile nel comma 78 della Legge finanziaria 2007, che prevede l’inserimento nell’art. 3 del T.U. relativo all’imposta sulle successioni e donazioni del comma 4 ter, ove si precisa che i trasferimenti, effettuati anche tramite patti di famiglia di cui agli art. 768 bis e segg. c.c. a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta.

Nel caso di quote sociali ed azioni di soggetti di cui all’art. 73 comma 1 sub a) del T.U.I.R. introdotto con il DPR 22 dicembre 1986 n.° 917 (soc. per az., accom. per az., s.r.l., soc. coop. e di mutua assic.) il beneficio spetta solo a quelle partecipazioni che consentano il controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, sub 1) e cioè la maggioranza dei voti in assemblea ordinaria.

93 Vedi R. D’Imperio, op. citata. 94 Vedi R. D’Imperio, op. citata.

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E ciò a condizione che i beneficiari proseguano l’attività di impresa o detengano il controllo per almeno 5 anni dalla data del trasferimento, rendendo apposita dichiarazione in tal senso all’atto di donazione o della dichiarazione di successione.

Il trasferimento dell’azienda mediante il Patto di famiglia sconterà poi anche le imposte ipotecarie e catastali nella misura ordinaria del 2% ed 1 % sugli eventuali beni immobili presente nell’azienda trasferita.

b) Imposte indirette sulla liquidazione dei legittimari non assegnatari

La natura della liquidazione della quota di legittima ai legittimari non assegnatari è oggetto di diversi orientamenti interpretativi.

Quello prevalente ne suggerisce una sostanziale assimilazione alla donazione modale, nella quale il modus sarebbe appunto rappresentato dall’onere in questione 95.

Altri autori96 ravvisano, pur nell’unitarietà del negozio, una liberalità diretta nei confronti dell’assegnatario ed una indiretta nei confronti dei restanti legittimari.

Pertanto quest’ultima sarà soggetta all’imposta sulle donazioni in ragione del diverso trattamento previsto in relazione ai vari gradi di parentela.

c) Imposte dirette

La ricostruzione della disciplina giuridica del Patto di famiglia esclude che esso possa qualificarsi come trasferimento a titolo oneroso. Conseguentemente esso sarà riconducibile ai modelli impositivi inerenti ai trasferimenti a titolo gratuito, la cui disciplina è dettata dall’art. 58 comma 1 del T.U.I.R. sopra citato, in base al quale “il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa”.

La norma, sciogliendo l’annoso interrogativo se la morte dell’imprenditore debba o meno far emergere le plusvalenze latenti di azienda, determina un’integrale detassazione del passaggio generazionale ai fini delle imposte dirette97.

95 Vedi - Basilavecchia, Profili fiscali del Patto di famiglia, Relazione al convegno Patti

di famiglia per l’impresa, Napoli maggio m2006. - Friedman, opera citata.

96 Vedi Fondazione Aristeia doc. n.° 73 del febbraio 2007, Le novità nell’imposizione indiretta del Patto di famiglia.

97 Vedi Nussi, L’imputazione del reddito nel diritto tributario, ove si evidenzia che la norma sopraccitata rappresenta una .deroga al principio personalistico delle imposte sui redditi, Padova 1996.

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La stessa norma aggiunge che tale principio resta valido “anche qualora, a seguito dello scioglimento entro cinque anni dall’apertura della successione della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi”.

Nel caso in cui l’assegnatario sia già di per sé un imprenditore, il trasferimento dell’azienda viene invece a configurare sopravvenienze attive, secondo il disposto dell’art. 88 c.3 D.P.R. 917/198698.

Il legislatore, per far sì che i plusvalori maturati in capo all’imprenditore emergano fiscalmente al momento del successivo trasferimento dell’azienda medesima, da un lato ha previsto l’assunzione da parte del beneficiario dei valori fiscali esistenti in capo al dante causa e dall’altro ha introdotto con la lettera h bis nell’art. 67 T.U.I.R. una nuova fattispecie di redditi diversi e cioè quelli derivanti da cessioni poste in essere da eredi o donatari di un trasferimento gratuito d’azienda.

Ovviamente se il donatario prosegue l’attività del cedente, non si applica tale disposizione e le eventuali plusvalenze verranno tassate all’interno del regime dell’impresa stessa; in caso contrario, esse ricadranno nel regime dei redditi diversi.

Occorre precisare che la necessità che l’azienda sia assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti non rappresenta un vincolo per quanto concerne le modalità di contabilizzazione del trasferimento dell’azienda.

Infatti la dottrina ritiene che la neutralità fiscale non impedisca una eventuale maggiore iscrizione in bilancio dei beni e delle attività trasferite.

Si potrà tenere un “doppio binario”, civilistico e fiscale, senza che ne venga compromesso il regime di sospensione della tassazione delle plusvalenze implicite.

I valori recepiti contabilmente non potranno, comunque, superare quelli stabiliti dalla valutazione peritale; nel caso in esame sarà ovviamente necessario procedere alla rilevazione della “fiscalità differita”, in quanto le differenze hanno natura temporanea e sono destinate ad essere riassorbite contabilmente99.

In particolare il doppio binario troverà il suo naturale compimento in occasione della successiva cessione di azienda, allorquando i valori fiscali, fino ad allora latenti, avranno completa espressione.

In buona sostanza il Patto di famiglia determina la rimozione dalla contabilità del disponente degli elementi attivi e passivi che compongono l’azienda.

Nel caso in cui in capo al disponente esistano riserve in sospensione di imposta ex art. 109 comma 4 sub b) del T.U.I.R., in assenza di trasferimento

98 M. Brusaterra, I Patti di famiglia, La banca del commercialista 2008 99 Vedi Varchetta, Mazzali, Fiandri, Patto di famiglia, Maggioli 2007 .

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in capo al beneficiario del relativo vincolo, si verificherà un “salto di imposta”; ciò determinerà una ripresa a tassazione in capo al disponente.

In sede di stipula del Patto di famiglia appare, pertanto, opportuno inserire apposita precisazione che trasferisca in capo al beneficiario l’eccedenza in sospensione di imposta, con istituzione del relativo vincolo.

Va, infine, ricordato che, nel caso di cessione di azienda da parte di imprenditore individuale, purchè l’azienda sia posseduta da almeno cinque anni, vi è la possibilità di ricorrere alla tassazione separata.

L’attribuzione di partecipazioni societarie, trattandosi di operazione a carattere non oneroso, non costituisce operazione imponibile.

Conseguentemente gli eventuali plusvalori insiti nella partecipazione trasferita emergeranno fiscalmente solo al momento della eventuale successiva cessione a titolo oneroso ai sensi di quanto disposto dalle lettere c – c bis dell’art. 67 del T.U.I.R.. Nel calcolo di tale plusvalenza si dovrà poi tener conto dei criteri di quantificazione dettati dal successivo art. 68 per l’ipotesi di partecipazioni acquisite per donazione.

Detta plusvalenza sarà costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo di acquisto che, ai sensi del terzo capoverso del medesimo comma 6 corrisponde al “costo del donante”.

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familiari, marzo 2005. 44- Anna CODINI, I codici etici nelle cooperative sociali, luglio 2005. 45- Francesca GENNARI, Corporate Governance e controllo della Brand Equity

nell’attuale scenario competitivo, luglio 2005. 46- Yuri BIONDI, The Firm as an Entity: Management, Organisation, Accounting, agosto

2005. 47- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Luca MOLTENI, Consumatore, marca ed

“effetto made in”: evidenze dall’Italia e dagli Stati Uniti, novembre 2005. 48- Pier-Luca BUBBI, I metodi basati sui flussi: condizioni e limiti di applicazione ai fini

della valutazione delle imprese aeroportuali, novembre 2005. 49- Simona FRANZONI, Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa,

dicembre 2005. 50- Francesco BOLDIZZONI, Arnaldo CANZIANI, Mathematics and Economics: Use,

Misuse, or Abuse?, dicembre 2005. 51- Elisabetta CORVI, Michelle BONERA, Web Orientation and Value Chain Evolution

in the Tourism Industry, dicembre 2005. 52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo

2006. 53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension &

Brand Loyalty, aprile 2006.

∗ Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

49

54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

dicembre 2006 59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nel-

l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.

73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Maggio 2008

Paper numero 76

Alberto MARCHESE

IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELL’IMPRESA:

IL PATTO DI FAMIGLIA

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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