Università degli Studi di Roma “La Sapienza” · Il fatto che un bilingue simultaneo possieda...
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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Psicologia 1
Corso di laurea in Diagnosi e Riabilitazione dei Disturbi Cognitivi
Percorso A: Programmazione e valutazione dell'intervento riabilitativo
Anno accademico 2005/2006
L'acquisizione del linguaggio e del bilinguismo
Relatore Correlatore
Prof. Pierluigi Zoccolotti Prof. Marialuisa Martelli
Candidata
Fabiana Bernarducci
RINGRAZIAMENTI
Sono diverse le persone che a vario titolo e grado mi hanno aiutata nella stesura di questo lavoro.
Il mio più sentito grazie al Prof. Pierluigi Zoccolotti per avermi seguita a distanza con la sua risaputa dolcezza e
alla Dottoressa Gloria Di Filippo per l'aiuto prestatomi.
Il pensiero va quindi al mio Nicola per essermi stato sempre accanto, aiutandomi ed incoraggiandomi sopratutto
nei momenti più difficoltosi ed alla mia Marianna, per avermi dato l'energia necessaria. A Stefania per il
supporto mostrato non solo oggi, ma nel corso di tutta la nostra lunga amicizia.
Un grazie infine alla mia amica Domenica Maria, che rendendosi sempre disponibile mi ha alleggerita di tante
piccole inezie in virtù del nostro comune motto “La vita e' un dono, dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che
hanno a coloro che non sanno e che non hanno” (Amedeo Modigliani).
Vi porto nel cuore.
Indice generale1 Introduzione...........................................................................................................................................................7
2 Caratteristiche del linguaggio e del bilinguismo...................................................................................................9
3 Basi neurologiche del linguaggio e del bilinguismo...........................................................................................13
3.1 Le afasie......................................................................................................................................................13
3.1.1 I diversi tipi di afasia ........................................................................................................................14
3.1.2 Il modello del linguaggio di Wernicke-Geschwind...........................................................................17
3.1.3 Ruolo delle strutture sottocorticali nel linguaggio: un modello neuropsicologico............................19
3.2 Afasie nei soggetti bilingui.........................................................................................................................22
3.2.1 Afasie con recupero della prima lingua.............................................................................................22
3.2.2 Afasie con recupero della seconda lingua..........................................................................................23
3.2.3 Afasia selettiva di una lingua.............................................................................................................23
3.2.4 Afasie con recupero paradossale di una lingua..................................................................................23
3.2.5 Afasie differenziate............................................................................................................................24
3.2.6 Traduzione paradossa e antagonismo alternato..................................................................................24
3.2.7 Il code-mixing e il code-switching patologico...................................................................................25
3.3 Teorie e modelli della “mente bilingue”.....................................................................................................27
4 L'acquisizione del linguaggio nei primi anni di vita...........................................................................................33
4.1 Gli stadi dell'acquisizione del linguaggio...................................................................................................33
4.1.1 Dal periodo prenatale all'età di 3 mesi...............................................................................................33
4.1.2 Dai 4 agli 8 mesi: comparsa del controllo articolatorio.....................................................................35
4.1.3 Dai 9 ai 12 mesi: comparsa della comunicazione intenzionale e della comprensione dei significati38
4.1.4 Dai 12 ai 18 mesi: la comparsa delle prime parole ...........................................................................42
4.1.5 Dai 18 ai 24 mesi: lo sviluppo del vocabolario..................................................................................46
4.1.6 Il linguaggio dai 24 ai 36 mesi: comparsa delle unità grammaticali e della pragmatica del
linguaggio....................................................................................................................................................49
4.2 Conclusioni.................................................................................................................................................54
5 L'acquisizione simultanea di due lingue..............................................................................................................57
5.1 Due ipotesi a confronto...............................................................................................................................57
5.2 Lo sviluppo delle abilità fonologiche.........................................................................................................59
5.3 L'acquisizione delle parole.........................................................................................................................61
5.3.1 Imparare gli equivalenti in contesti diversi........................................................................................62
5.3.2 Imparare gli equivalenti nello stesso contesto...................................................................................64
5.3.3 Lo sviluppo della struttura frasale di base..........................................................................................66
5.3.4 La prima fase dello sviluppo strutturale della frase...........................................................................68
5.3.5 La seconda fase dello sviluppo strutturale della frase........................................................................69
5.3.6 La terza fase dello sviluppo strutturale della frase.............................................................................71
5.4 L'acquisizione di alcuni aspetti morfologici e sintattici.............................................................................72
5.5 Il code-mixing nell'espressione bilingue infantile......................................................................................75
5.5.1 Interferenze fonologiche ..................................................................................................................76
5.5.2 Interferenze morfologiche .................................................................................................................76
5.5.3 Interferenze semantiche.....................................................................................................................78
5.5.4 Interferenze lessicali .........................................................................................................................78
5.5.5 Interferenze sintattiche.......................................................................................................................80
5.5.6 Interpretazioni....................................................................................................................................81
5.6 Competenze comunicative dei bambini bilingui........................................................................................85
6 Conclusioni..........................................................................................................................................................89
7 Bibliografia..........................................................................................................................................................91
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
1 Introduzione
Nella filogenesi dei vertebrati la comparsa del linguaggio negli umani rappresenta un salto
evolutivo di cruciale rilevanza; la capacità di acquisire ed utilizzare diverse lingue è una delle più
esclusive abilità dell'uomo.
Allo stato attuale oltre la metà della popolazione parla e spesso scrive più di una lingua, è in altre
parole bilingue. Mentre in precedenza il bilinguismo è stato considerato a lungo un fenomeno raro
all’interno delle comunità che popolano il nostro pianeta, allo stato attuale esso è in costante aumento. Il
soggetto bilingue infatti diviene sempre più parte integrante di un fenomeno multiculturale in espansione
nelle moderne società.
Questo lavoro di tesi si pone l'obiettivo di analizzare il fenomeno dell'acquisizione del
bilinguismo a partire dalla nascita ed in particolare l'esistenza o meno di differenze tra questo processo di
acquisizione e quello monolingue.
Nel secondo capitolo vengono definiti il linguaggio ed il bilinguismo e ne vengono brevemente
descritte le caratteristiche. L'introduzione ad essi da un punto di vista neurolinguistico compare nel
capitolo tre, il quale affronta lo studio dell'organizzazione dei processi cerebrali coinvolti nel linguaggio
e nel bilinguismo tramite l'osservazione clinica di soggetti afasici. Gli esiti di queste ricerche hanno
infatti reso possibile in passato formulare molteplici ipotesi sulla lateralizzazione cerebrale di più lingue.
Nel quarto capitolo vengono descritte le tappe dell'acquisizione del linguaggio a partire dalla
nascita.
Il quinto capitolo riporta e mette a confronto gli studi principali sull'acquisizione del bilinguismo.
La questione principale di questi studi è capire se il percorso dello sviluppo linguistico di un bambino
bilingue differisce da quello di un bambino esposto ad un solo idioma e, in particolare, se le abilità
linguistiche siano in qualche modo contrastate dal bilinguismo. La ricerca si è dunque orientata nel capire
in che modo i processi sottostanti lo sviluppo del linguaggio fanno fronte a due diversi input linguistici.
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
2 Caratteristiche del linguaggio e del bilinguismo
Il linguaggio verbale è uno strumento comunicativo che si distingue da ogni altra forma di
comunicazione per le seguenti caratteristiche: l'utilizzazione di un canale vocale – uditivo, la doppia
articolazione ed altre modalità di comunicazione non fondamentali, come ad esempio la scrittura o il
linguaggio gestuale.
Il canale vocale – uditivo consiste nella codifica e produzione dell'output linguistico e nella
comprensione e decodifica dell'input linguistico. La codifica concerne la trasformazione dei pensieri in
sistemi simbolici, come ad esempio il linguaggio parlato, il linguaggio dei segni e la scrittura; la
decodifica consiste nella derivazione di significati da qualsiasi sistema simbolico.
La seconda caratteristica essenziale del linguaggio è la doppia articolazione: tutte le lingue umane
sono organizzate su due piani fondamentali: il “primo piano” (o prima articolazione) e “secondo piano”
(o seconda articolazione). Il “primo piano” si riferisce al fatto che le lingue sono formate da unità
linguistiche dotate di significato, le parole, che possono combinarsi tra di loro per formare un numero
quasi infinito di frasi; il “secondo piano” si basa sulla constatazione che ogni lingua ha un numero
limitato di suoni, chiamati fonemi, che combinandosi fra loro permettono di formare tutte le parole di una
data lingua. I fonemi di per sé non rimandano ad alcun significato, ma lo acquistano nel contesto di una
parola. La dualità di strutturazione del linguaggio fa sì che, partendo da un numero finito di suoni e
parole, i parlanti di qualsiasi lingua possano produrre un numero illimitato di frasi e testi.
Il linguaggio viene studiato dai linguisti analizzandolo nei suoi aspetti fonologici, morfologici,
lessicali, sintattici e semantici.
Fonema. Il fonema è definito il “suono” minimo che distingue due parole. E' stato osservato che
nessuna delle lingue fino ad ora studiate (attualmente nel mondo se ne contano più di seimila) ha più di
150 fonemi (il 70% delle lingue contiene in media tra 20 e 37 fonemi). Ciò sembrerebbe indicare che un
maggior numero di fonemi non possa essere adeguatamente dominato dal cervello umano. Le capacità
motorie, percettive e mnesiche dei parlanti umani pongono quindi un limite al numero massimo di
fonemi che più avere una lingua.
I fonemi possono essere inoltre consonantici e vocalici. I fonemi consonantici nella lingua italiana
vengono classificati in sonori, occlusivi, fricativi, affricati, nasali e liquidi. Essi si distinguono tra loro
per il modo in cui i sistemi coinvolti nella produzione di suoni (il sistema polmonare, le corde vocali e le
strutture del tratto vocale sopralaringeo) si articolano tra loro.
I fonemi vocalici vengono distinti in base alla posizione assunta dalla lingua nella cavità orale
durante la loro produzione.
Diversi studi hanno riportato che, analizzando i movimenti articolari effettuati da un parlante
durante la produzione di parole, sia impossibile separare un fonema dall'altro. E´ stato così dimostrato
che nell'espressione verbale alcuni fonemi vengono prodotti parallelamente e non in sequenza e che in un
dato momento il tratto vocale sopralaringeo può essere impegnato nella coarticolazione di più fonemi.
Morfologia. La morfologia è quella parte della linguistica che studia la struttura interna delle
parole e come esse sono formate. Il “morfema” è la più piccola unità linguistica dotata di significato,
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
ogni parola di una lingua infatti è composta da uno o più morfemi.
I morfemi si distinguono in liberi e legati. I primi sono formati da un unico morfema
(preposizioni, articoli, ausiliari) i secondi sono il risultato della composizione di due o più morfemi (es.
cavall-o). L'italiano è una lingua con numerosi morfemi legati, perché i pronomi, gli aggettivi e i
sostantivi concordano tra di loro per genere e numero, mentre i verbi concordano per genere, numero e
tempo. In italiano esistono due forme di morfemi: le parole radice alle quali si aggiungono gli affissi
(detti suffissi se seguono la parola radice e prefissi se la precedono).
Sintassi. La sintassi si riferisce all'ordinamento delle parole all'interno di una frase. Una frase
comprende il sintagma nominale, che contiene almeno un sostantivo (in genere il soggetto) e il sintagma
verbale, che contiene almeno un verbo.
Uno dei problemi più discussi della sintassi ha riguardato la segmentazione delle unità minime del
discorso. A questo proposito, già nella metà del secolo scorso, il neurologo inglese John Hughlings
Jackson suggerì che l'unità minima del linguaggio fosse la frase ed attualmente numerosi linguisti
concordano sul fatto di considerare la frase come una delle caratteristiche invarianti di tutte le lingue.
Semantica. La semantica è quella disciplina della linguistica che studia il significato delle parole e
delle frasi. All'interno della semantica, lo studio del lessico riguarda le proprietà inerenti le parole ed i
morfemi, che vengono descritti mediante tratti semantici. Molto più complesso è lo studio del significato
delle frasi e dei testi, che dipende sia dal significato delle parole singole, sia da come queste sono
strutturalmente combinate all'interno di una frase o di un testo.
Lessico. Il lessico, infine, è l'insieme dei morfemi di una data lingua o del repertorio linguistico di
una data persona. Per mezzo della combinazione dei morfemi la maggior parte dei parlanti adulti
arrivano a possedere un vocabolario di centinaia di miglia di parole.
Il bilinguismo può essere distinto in consecutivo e simultaneo. Si parla di bilinguismo consecutivo
nei casi in cui l'acquisizione di una seconda lingua (L2) avviene solo dopo che quella acquisita
cronologicamente prima (L1) sia appresa nelle sue strutture basilari (Wartenburger et al., 2003),
altrimenti non si parla più di consecutività ma di simultaneità nell'acquisizione delle due lingue.
Sono stati proposti differenti criteri con cui distinguere l'apprendimento simultaneo e quello
successivo di due lingue. DeHouwer (1995) definisce bilingue una persona se è stata esposta alla seconda
lingua entro i primi due mesi di vita, mentre Mc Laughlin (1978) considera simultanei tutti quei bilingui
che hanno cominciato ad avere contatto con due lingue prima dei 3 anni e consecutivi tutti coloro che
hanno iniziato ad avere contatto con un altra lingua dopo i tre anni.
Il fatto che un bilingue simultaneo possieda due prime lingue, non equivale tuttavia a dire che la
sua competenza sia identica per entrambe: di solito una delle due lingue è dominante rispetto all'altra e
ciò può dipendere dalla qualità e dalla quantità delle diverse occasioni in cui egli è stato esposto ad esse.
Definire precisamente il bilinguismo e la persona bilingue è una preoccupazione costantemente
espressa nei libri e in molti articoli che trattano l'argomento. Secondo Brooks (1960), “il bilinguismo
consiste nella capacità da parte di un individuo di esprimersi in una seconda lingua aderendo fedelmente
ai concetti ed alle strutture che di tale lingua sono propri, anziché parafrasando dalla lingua nativa”.
Secondo Mac Namara (1967), invece, per considerare un individuo bilingue è sufficiente che esso si
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
dimostri abile in uno solo degli aspetti riguardanti il linguaggio (fonologici, morfologici, lessicali,
semantici e sintattici).
Molti linguisti hanno ritenuto utile distinguere tipi diversi di bilinguismo. E' stato proposto di
distinguere i bilingui compatti dai bilingui coordinatati o subordinati. Si parla di bilinguismo compatto
quando un individuo ha appreso le due lingue contemporaneamente prima dei sei anni, perché esse sono
state, in genere, parlate dalla madre o dal padre.
Nel bilinguismo coordinato, invece, la seconda lingua è stata appresa perfettamente prima della
pubertà e in ogni caso in un ambiente che non è la famiglia, ad esempio perché il bambino si è trasferito
con la famiglia in un altro paese.
Nel bilinguismo subordinato una delle due lingue rimane la lingua base mentre la seconda viene
adoperata utilizzando sempre come intermediaria la prima lingua. In questo tipo di bilinguismo il
soggetto prima pensa quello che vuole esprimere nella prima lingua, quindi lo traduce nella seconda
lingua.
Sono state proposte inoltre numerose altre classificazioni e definizioni, quali il bilinguismo
precoce per indicare che le due lingue sono state acquisite in tenera età, oppure il bilinguismo tardivo se
la seconda lingua è stata acquisita molto tempo dopo la prima, oppure ancora l'acquisizione adulta di una
seconda lingua se l'individuo ha iniziato molto tardi ad imparare la lingua straniera.
Altre definizioni hanno cercato di descrivere il grado di competenza nelle due lingue: viene così
considerato bilingue bilanciato un soggetto che conosce le due lingue allo stesso livello, mentre se un
individuo è più fluente in una lingua rispetto all'altra viene definito bilingue dominante.
Tutte queste definizioni si sono dimostrate utili specialmente per delimitare gruppi di bilingui
durante gli esperimenti di psicolinguistica. Tuttavia, per chi si interessa di neurlinguistica tutte queste
classificazioni non presentano molti vantaggi. Ad esempio, se un soggetto bilingue di lingua madre
francese e di seconda lingua inglese si trasferisce dalla Francia negli Stati Uniti per quindici anni, molto
probabilmente l'inglese diverrà la lingua dominante ed il francese assumerà il ruolo di seconda lingua. Se
dopo tale periodo, egli si trasferirà di nuovo in Francia, già dopo sei mesi il francese potrebbe ridiventare
la lingua dominante.
Allo stato attuale delle ricerche sembra sia importante distinguere, da un punto di vista
neurolinguistico, l'acquisizione rispetto all'apprendimento di una lingua.
L'acquisizione di una lingua viene effettuata con modalità naturali, in un ambiente informale, con
il coinvolgimento soprattutto della memoria implicita. Tutti i bambini acquisiscono la madrelingua, ma è
possibile acquisire una seconda lingua anche da adulti, sempre attraverso strategie informali.
L'apprendimento di una lingua, invece, si realizza prevalentemente con modalità formali, cioè
attraverso le regole, spesso in un ambiente istituzionale. L'esempio più chiaro riguarda le così dette
lingue morte: nelle nostre scuole il latino ed il greco vengono appresi, ma non acquisiti. Questa
distinzione viene considerata importante, perché sembra vi sia un coinvolgimento di strutture cerebrali
diverse a seconda che si tratti di processi di acquisizione (sistemi emozionali, strutture corticali e
sottocorticali) o di apprendimento (prevalentemente aree della corteccia cerebrale).
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
3 Basi neurologiche del linguaggio e del bilinguismo
Il metodo più diffuso per valutare l'organizzazione del linguaggio nel cervello è quello di studiare
pazienti monolingui e multilingui con disturbi del linguaggio causati da lesioni cerebrali localizzate. Essi
si distinguono principalmente in afasie e disturbi della prosodia e della pragmatica del linguaggio.
Verranno di seguito descritte le afasie.
3.1 Le afasie
L'afasia è un disturbo della comunicazione verbale che consegue ad una lesione acquisita del
cervello ed interessa una o più componenti del processo di comprensione e produzione linguistica. Le
lesioni che possono provocare le sindromi afasiche colpiscono le regioni corticali dell'emisfero sinistro
nei destrimani e nella maggior parte dei mancini.
I disturbi caratteristici e più frequenti delle afasie sono le parafrasie, i neologismi, le anomie, le
circonlocuzioni, gli agrammatismi, i paragrammatismi e la perseverazione.
Parafrasie. Le parafrasie si distinguono in fonemiche, semantiche e verbali. Le parafrasie
fonemiche sono il risultato della sostituzione di uno o due fonemi della parola che il paziente intendeva
pronunciare (parola target). Ciò nonostante un ascoltatore riesce a riconoscere la parola che il soggetto
intendeva produrre (ad esempio, lafano per “lavano”, pecara per “pecora”). Le parafrasie semantiche
sono parole inappropriate nel contesto ma semanticamente vicine alla parola target. Ad esempio il
paziente può dire “per tagliere la bistecca uso il cucchiaio” invece che la frase corretta “per tagliare la
bistecca uso il coltello”. Infine, le parafrasie verbali consistono nella produzione di una parola
inappropriata nel contesto del discorso e che non ha alcuna somiglianza fonemica o relazione semantica
con la parola target. Ad esempio viene prodotta la frase “sono stato assente per molto gatto” anziché
“sono stato assente per molto tempo”.
Neologismi. I neologismi sono “non parole” dalle quali è impossibile riconoscere la parola che il
paziente intendeva dire in cui però, la sequenza fonemica rispetta le regole fonologiche della lingua nella
quale il paziente si sta esprimendo. Può essere ad esempio prodotta la frase con i seguenti neologismi:
“ho visto un varino sul lepano”.
Anomie. Con il termine di anomia si indica l'incapacità di reperire una parola durante compiti di
denominazione o durante l'espressione verbale spontanea.
Circonlocuzione. La circonlocuzione si verifica quando il paziente non riesce a recuperare la
parola a causa di un'anomia e sostituisce la parola che intende produrre con una frase che descrive
l'oggetto da denominare o la sua funzione.
Agrammatismo. L'agrammatismo è caratterizzato da una riduzione e semplificazione delle
strutture grammaticali: i verbi, quando presenti, appaiono in forme non declinate correttamente. I
pronomi, le preposizioni e le altre parole di classe chiusa tendono ad essere omessi. A volte l'ordine delle
parole nella frase può essere alterato.
Paragrammatismo. Il paragrammatismo consiste in qualsiasi uso errato dei morfemi grammaticali
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
che non appartenga agli agrammatismi, come ad esempio la sostituzione di parole grammaticali o errori
nella scelta dei tempi, degli aspetti e delle persone verbali. Ad esempio il paziente può dire “dice che si
possono alzare di andare a lavare le stoviglie”
Perseverazione. La perseverazione è caratterizzata dalla ripetizione involontaria di sillabe, parole
o sintagmi.
3.1.1 I diversi tipi di afasia Numerosi neurologi si sono dedicati alla classificazione e alla descrizione dei diversi tipi di afasia
in relazione alle lesioni del cervello che le determinavano.
Una delle classificazioni più sistematiche fu proposta nel 1885 da Ludwig Lichtheim, un
neurologo tedesco che ampliò ed elaborò lo schema del linguaggio proposto undici anni prima da Carl
Wernicke. Lichtheim ipotizzò l'esistenza di un “centro delle immagini uditive” (A) dove sarebbero
contenute le memorie uditive delle parole e di un centro delle immagini motorie (M) dove risiederebbero
le memorie motorie dei movimenti coordinati per la produzione delle parole (fig.3.1).
Secondo questo modello, dalla periferia uditiva (a) le impressioni acustiche giungono alla
corteccia uditiva (A) ma per la comprensione dei suoni deve stabilirsi un'ulteriore connessione fra il
centro uditivo e il centro dei concetti (B). Per Lichtheim la produzione del linguaggio volontario inizia
quando il centro dei concetti B invia informazioni al centro delle immagini motorie M, da dove gli
impulsi nervosi vengono poi inviati agli organi periferici predisposti alla produzione linguistica. Il
diagramma proposto da Lichtheim non era soltanto una semplice rappresentazione dei centri del
linguaggio del cervello, ma permetteva anche di fare delle ipotesi sui possibili tipi di afasia che potevano
colpire un paziente.
In base a questo modello vennero previsti i seguenti disturbi del linguaggio: afasia di Broca, afasia
di Wernicke, afasia di conduzione, afasia transcorticale motoria, afasia globale, afasia sottocorticale.
Afasia di Broca, dal nome di Pierre Paul Broca, il primo neurologo che nel 1961 la descrisse. Essa
è provocata da una lesione focalizzata a carico della corteccia associativa motoria del lobo frontale, che
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Fig. 3.1. Diagramma dei tipi di afasia secondo Lichtheim.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
in genere arriva ad interessare la parte posteriore del terzo giro frontale (aree 44 e 45 di Brodmann, fig.
3.2) denominata “area di Broca” (che corrisponde al centro M del modello di Lichtheim, fig. 3.1).
In realtà, tuttavia, l'osservazione clinica ha riportato che la sindrome dell'afasia di Broca compare
di regola in seguito a lesioni che oltre all'area di Broca si estendono al giro precentrale, all'insula, alla
sostanza bianca sottostante e talora ai nuclei della base e al lobo temporale.
In questa forma di afasia l'espressione verbale sia spontanea che nei compiti di denominazione e
ripetizione è di tipo non fluente, caratterizzata da numerosi agrammatismi e dall'uso di strutture
grammaticali estremamente semplici. I pazienti con afasia di Broca, infatti, presentano una notevole
difficoltà a passare dall'articolazione di un fonema al successivo nella produzione delle parole. Il loro
linguaggio inoltre appare rallentato ed incerto. E' generalmente conservata la comprensione del
linguaggio parlato e scritto, ma possono comparire problemi in presenza di frasi grammaticali complesse.
Afasia di Wernicke, dal nome di Karl Werincke, che la descrisse per la prima volta nel 1876. La
lesione interessa principalmente la parte posteriore del lobo temporale sinistro, o area 22 di Brodmann
(della anche “area di Wernicke”) ma si estende spesso anche alle aree 39 e 40 (parte superiore del lobo
temporale sinistro) ed inferiormente all'area 37 di Brodmann (centro A, secondo il modello di Lichtheim,
figure 3.1 e 3.2). In questo tipo di afasia è la comprensione del linguaggio sia udito che letto ad essere
compromessa e risulta tanto più grave quanto più la lesione è estesa. Al contrario, l'espressione
linguistica spontanea appare fluente e normale come velocità, ritmo e intonazione anche se i pazienti
compiono spesso delle parafrasie semantiche e dei neologismi. Le distorsioni del linguaggio dovute ai
neologismi e alle parafrasie riguardano soprattutto gli elementi fondamentali del lessico (sostantivi,
verbi, aggettivi, avverbi). La denominazione e la ripetizione di parole o frasi su richiesta è molto
compromessa.
Afasia di conduzione, dovuta a una lesione delle fibre di connessione fra l'area di Wernicke e
l'area di Broca, denominate fascicolo arcuato (lesione del tratto A-M secondo il modello proposto da
Lichtheim, fig. 3.1). Raramente, tuttavia, la lesione interessa soltanto la sostanza bianca. Nelle
osservazioni cliniche, infatti, essa coinvolge anche il giro sopramarginale del lobo parietale e, meno
frequentemente, lesioni della superficie postero – superiore del lobo temporale sinistro (fig. 3.3 e 3.4).
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Fig. 3.2. Suddivisione delle aree corticali sinistre secondo Brodmann.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
I pazienti colpiti da questa lesione presentano un eloquio fluente ma caratterizzato da parafrasie
fonemiche. La ripetizione di parole o frasi invece è particolarmente compromessa, così come la
denominazione e la lettura ad alta voce. La comprensione del linguaggio udito e scritto è conservata.
Afasia transcorticale motoria, provocata da una lesione che interrompe le connessioni fra l'area di
Broca e l'area motoria supplementare (tratto B-M del modello di Lichtheim, fig. 3.1). Il questa forma di
afasia l'eloquio spontaneo è ridotto, non fluente, con numerosi agrammatismi. Non sono presenti,
tuttavia, difficoltà di denominazione, ripetizione e comprensione.
Afasia transcorticale sensoriale, dovuta da una lesione delle aree associative tempro-parieto-
occipitali, interposte fra il centro dei concetti e l'area di Wernicke (tratto B-A del modello di Lichtheim,
fig. 3.1). L'eloquio, risulta fluente ma con numerose parafrasie (fonemiche, semantiche, verbali). La
denominazione e la comprensione risultano compromesse, mentre la ripetizione di parole e frasi è
conservata.
L'aspetto che distingue entrambi le afasie transcorticali dalle altre forme di afasia è una lesione
delle aree marginali corticali, che comprendono sia le aree associative deputate a ricordare il significato
delle parole che l'area motrice supplementare, che controlla l'esecuzione dei movimenti fini.
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Fig. 3.4. Indicazione delle diverse aree citoarchitettoniche (secondo la classificazione di Brodmann) coinvolte nell'elaborazione del linguaggio.
Fig. 3.3. Nomenclatura classica in uso per i giri ed i solchi coinvolti nell'elaborazione del linguaggio.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Afasia globale: la lesione che provoca questo tipo di afasia generalmente coinvolge la maggior
parte delle aree del linguaggio dell'emisfero sinistro. L'eloquio appare molto stentato o assente, con una
comprensione uditiva molto compromessa.
Afasia sottocorticale. Le strutture sottocorticali maggiormente coinvolte in questa forma di afasia
sono il talamo, in particolar modo il nucleo ventrale ed i nuclei della base. Le lesioni che investono i
nuclei ventrali del talamo possono determinare una sintomatologia simile a quella che si osserva
nell'afasia transcorticale e cioè un eloquio spontaneo scarso e frequenti parafrasie verbali, mentre la
ripetizione e la comprensione risultano conservate. Per quanto riguarda afasie da lesione a carico dei
nuclei della base, la situazione è più complessa, in quanto non è stato ancora possibile evidenziare una
stretta correlazione tra sede lesionale, presenza di afasia e tipo di quadro clinico. La patologia provocata
da lesioni a questi organi, tuttavia, raramente si presenta in forma persistente. Le afasie da lesione
sottocorticale, infatti, presentano spesso, anche se non invariabilmente, un recupero rapido. In fase
cronica, tuttavia, possono essere rilevati deficit di tipo semantico – lessicale.
3.1.2 Il modello del linguaggio di Wernicke-GeschwindDa quanto emerso dalle osservazioni cliniche, appare evidente che ogni componente del
linguaggio è elaborata da diverse aree cerebrali. Uno dei modelli più esplicativi che illustra il processo di
elaborazione del linguaggio è quello proposto da Wernicke, perfezionato circa cento anni dopo da
Norman Geschwind della Boston University.
Prendendo in esame ciò che accade in un compito di ripetizione, il modello di Wernicke –
Geschwind prevede che l'informazione venga trasferita dalla membrana basilare dell'apparato acustico al
nervo uditivo e da qui al corpo genicolato mediale. L'informazione viene quindi trasmessa alla corteccia
uditiva primaria (area 41 di Brodmann, fig. 3.2) e poi alla corteccia uditiva di ordine superiore (area 42 di
Brodmann) prima di venir convogliata ad una regione specifica della corteccia associativa parieto –
tempro – occipitale localizzata nel giro angolare (area 39 di Brodmann), che si ritiene sia in rapporto con
l'integrazione delle informazioni afferenti uditive, visive e tattili. Da qui l'informazione viene proiettata
all'area di Wernicke e quindi, attraverso il fascicolo arcuato, all'area di Broca, dove la percezione del
linguaggio viene tradotta nella struttura grammaticale di una frase e dove viene immagazzinata la
memoria necessaria per articolare la parola. L'informazione riguardante il tipo di suono che deve essere
emesso raggiunge infine l'area corticale deputata al controllo dei movimenti facciali, nella corteccia
motrice che controlla l'articolazione del suono.
Secondo Wernicke e Geschwind analoghe dovrebbero essere le vie interessate quando il compito
è quello di denominare un oggetto, riconosciuto con la vista. In questo caso l'informazione dovrebbe
essere trasferita dalla retina al corpo genicolato laterale e di qui alla corteccia visiva primaria (area 17 di
Brodmann). L'informazione viaggia quindi verso la corteccia visiva di ordine superiore (area 18) e di qui
raggiunge dapprima il giro angolare della corteccia associativa parieto – tempro – occipitale e quindi
l'area di Wernicke, dove l'informazione viene trasformata in una rappresentazione fonetica della parola.
Una volta formatosi lo schema sonoro questo viene trasferito all'area di Broca attraverso il fascicolo
arcuato (fig. 3.5).
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Anche se il modello di Wernicke – Geschwind continua ad essere molto utile come schema
clinico, recenti ricerche cognitive e alcuni studi di visualizzazione del cervello in vivo indicano che
questo modello può venir molto semplificato sotto diversi aspetti.
In primo luogo l'importanza conferita da questo modello alle aree di Broca e Wernicke, per ciò
che riguarda l'espressione e la comprensione del linguaggio, era basata su lesioni che interessavano zone
molto più estese di queste due aree. Quando le lesioni sono limitate alle aree originalmente identificate da
Broca e da Wernicke, in genere, non producono tutta la sintomatologia che caratterizza le afasie di
Wernicke e di Broca. I sintomi tipici dipendono anche dalla lesiene delle zone circostanti.
In secondo luogo, il modello di Wernicke – Geschwind mette l'accento sull'importanza delle aree
corticali e sulle loro vie di connessione che decorrono nella sostanza bianca sottostante. Vi sono ora
prove che anche alcune strutture sottocorticali rivestono un ruolo nel processo di elaborazione del
linguaggio.
In terzo luogo le afferenze uditive vengono proiettate dalla corteccia uditiva al giro angolare e
quindi all'area di Wernicke prima di venir inviate all'area di Broca. L'informazione visiva, tuttavia, come
la parola scritta, non viene inviata all'area di Wernicke ma procede direttamente dalle cortecce visive
superiori all'area di Broca. Le parole lette, di conseguenza, non vengono trasformate in rappresentazioni
uditive. Le percezioni visive ed uditive delle parole vengono infatti elaborate in maniera indipendente, da
vie specifiche per modalità, che posseggono un proprio ingresso nell'area di Broca e nelle regioni
corticali di ordine superiore connesse con la comprensione e l'espressione del linguaggio.
Da ultimo, le obiezioni nei confronti del modello di Wernicke – Geschwind non riguardano
semplicemente il decorso anatomico della via nella quale viene elaborata l'informazione uditiva. Per
esempio, può essere plausibile ipotizzare che non tutte le afferenze uditive vengano elaborate dalla stessa
via. Suoni o parole senza senso vengono analizzati in maniera indipendente da quella con la quale sono
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Fig 3.5. Vie nervose implicate nel processo di denominazione di un'immagine, secondo il modello di analisi corticale di Wernicke-Geschwind. Sezione orizzontale a livello del corpo calloso.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
elaborate informazioni relative alle parole che hanno un significato. Si pensa quindi che vi siano vie
separate per i suoni che rappresentano l'aspetto fonetico del linguaggio e per ciò che ha un significato e
ne rappresenta l'aspetto semantico. Analogamente, anche se l'area di Broca è la via finale comune per le
parole scritte e parlate che hanno un senso compiuto, ve ne potrebbe essere una indipendente per
l'emissione di parole senza senso.
3.1.3 Ruolo delle strutture sottocorticali nel linguaggio: un modello neuropsicologico
Nel corso di interventi chirurgici, è stato osservato che l'elettro stimolazione della sola corteccia
cerebrale predisposta alla produzione linguistica non sia sufficiente ad indurre un soggetto a produrre
involontariamente parole o frasi. La corteccia cerebrale, infatti, sembra regolare gli ultimi stadi del
processo di produzione del linguaggio solo dopo che l'espressione verbale sia attivata.
Al contrario, è possibile indurre la produzione di parole o frasi quando la stimolazione è a carico
di alcune aree sottocorticali. In particolare, è emerso che gli organi coinvolti siano la testa del nucleo
caudato e le porzioni più anteriori del talamo. Una breve stimolazione della testa del nucleo caudato
dell'emisfero sinistro può indurre una persona a produrre frasi irrilevanti rispetto al contesto; la
stimolazione delle porzioni più anteriori del talamo di sinistra può provocare invece una forte
compulsione a parlare, anche in questo caso con produzione di parole, frasi o discorsi non attinenti al
contesto.
A dimostrazione del coinvolgimento di queste strutture sottocorticali, inoltre, contribuiscono
anche gli studi eseguiti su casi clinici colpiti da afasia in seguito a lesioni a carico di queste aree.
Sembra, quindi, che le funzioni del linguaggio non siano organizzate solo a livello della corteccia
cerebrale ma anche a livello dei gangli della base, del talamo ed anche del cervelletto.
Gangli della base. Pazienti monolingui e bilingui con lesioni focalizzate a carico di queste
strutture soffrono di una forma di afasia non fluente e con una generale riduzione dell'iniziativa a parlare.
L'eloquio è alterato da parafrasie semantiche e verbali e da ecolalie e perseverazioni. La ripetizione e la
comprensione, invece, restano generalmente conservate.
E' stato riscontrato che i disturbi del linguaggio più frequenti dovuti a una lesione dei gangli della
base dell'emisfero dominante siano:
• Afasia non-fluente, caratterizzata da una generale riduzione dell'iniziativa ad esprimersi
verbalmente.
• Disturbi della voce (ipofonia, sindrome da accento straniero).
• Presenza di parafrasie semantiche e verbali.
• Presenza di ecolalie e perseverazioni.
• Ripetizione e comprensione generalmente conservata.
• Disturbi della scrittura.
Talamo. E' stato osservato che i nuclei talamici dell'emisfero dominante coinvolti nella
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
regolazione del linguaggio siano tre: il nucleo ventrale anteriore (VA), il nucleo ventrale laterale (VL) ed
il pulvinar. Mentre i primi due ricevono informazioni principalmente dal globus pallidus e dal cervelletto
per poi proiettare efferenze alla corteccia motoria e premotoria, il pulvinar è invece prevalentemente
collegato con la corteccia parieto-occipito-temporale.
Studi su pazienti monolingui con lesioni focalizzate al talamo dell'emisfero sinistro hanno rilevato
che esse possono provocare una forma di afasia simile all'afasia transcorticale sensoriale, la quale è
caratterizzata da un eloquio fluente e da una maggior compromissione della comprensione rispetto alla
ripetizione. In particolare, in seguito a lesioni al talamo di sinistra possono insorgere sindromi afasiche
caratterizzate da:
• Eloquio fluente ma caratterizzato da anomie, parafrasie verbali, parafrasie semantiche e
neologismi;
• Lievi deficit nella comprensione con risparmio della ripetizione;
• Disturbi della lettura, della scrittura, del calcolo e della memoria verbale a lungo termine.
Dall'osservazione dei pazienti afasici bilingui in seguito a lesione delle strutture talamiche, è stato
riscontrato che il talamo dell'emisfero dominante sia coinvolto nel controllo e nella regolazione degli
aspetti fonemici, morfologici, lessicali e sintattici di entrambe le lingue. Sembra che, per quanto riguarda
l'aspetto morfologico delle lingue, la maggior compromissione sia a carico della seconda lingua acquisita
e questo può suggerire che nei bilingui le strutture del talamo e dell'emisfero dominante siano
maggiormente coinvolte nella regolazione dei processi morfologici della seconda lingua rispetto alla
lingua madre.
Cervelletto. La tipica alterazione nella produzione delle parole collegata a malattie cerebellari è la
disartria atassica, caratterizzata da gravi disturbi nella coordinazione dei movimenti necessari alla
produzione linguistica. L'eloquio pertanto risulta rallentato, con numerosi errori nella fonazione e
nell'articolazione.
Dati raccolti nell'ultimo decennio, tuttavia, hanno mostrato che il cervelletto ha un ruolo, oltre che
nella coordinazione dei movimenti, anche in compiti di tipo cognitivo. Per quanto riguarda il ruolo svolto
dal cervelletto nell'organizzazione del linguaggio, studi con tecniche di visualizzazione del cervello in
vivo (PET) hanno mostrato che l'emisfero cerebellare destro, direttamente collegato all'emisfero
cerebrale sinistro, si attivi durante compiti espressamente linguistici, come la generazione di verbi
partendo da sostantivi (ad esempio: fuoco-bruciare; acqua-bere). Da studi su pazienti con lesioni
cerebellari destre si è potuto inoltre osservare difficoltà anche in altri compiti di tipo generativo:
categoriali (ad esempio, da “colombo” ad esploratore”), di attributi (da “bicicletta” a “pedali”), di
sinonimi (da “suino” a “maiale”), di generazione fonemica (produzione di una serie di parole con lo
stesso fonema iniziale). Il cervelletto inoltre risulta coinvolto in compiti di apprendimento di nuovi
compito linguistici.
Il neuropsicologo statunitense B. Crosson, ha proposto un modello delle funzioni subcorticali del
linguaggio, basato su cinque sistemi fondamentali (fig. 3.7):
20
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
1. Il primo sistema si riferisce al circuito che determina l'attivazione della corteccia cerebrale, che
avviene con la partecipazione della sostanza reticolare attivante del tronco dell'encefalo, dei
nuclei intralaminari del talamo e del giro del cingolo.
2. Una volta attivata la corteccia frontale alcune specifiche aree del lobo frontale controllano la
“formulazione di segmenti del linguaggio”, la cui selezione viene effettuata tramite un sistema
per la verifica dell'accettabilità semantica. Questo sistema per le scelte delle parole sul piano
semantico è formato da un circuito nervoso che coinvolge aree della corteccia frontale, il
pulvinar e aree della corteccia posteriore dell'emisfero sinistro.
3. Quando un “segmento del linguaggio” è stato vagliato a livello semantico, un sistema lo sgancia
dalle operazioni di verifica e lo immette nei sistemi per l'espressione. Una volta che il segmento
di linguaggio è stato controllato vengono attivate aree della corteccia anteriore e posteriore le
quali, a loro volta, attivano il corpo caudato che inibisce il globus pallidus. L'inibizione del
pallido attiva il nucleo ventrale anteriore del talamo. Quest'ultimo a sua volta attiva le aree
anteriori all'area di Broca, responsabili della produzione delle sequenze dei fonemi che formano
la frase da esprimere.
4. Dopo aver superato il controllo, i fonemi da produrre vengono inviati ad un circuito che attiva la
produzione dei fonemi vera e propria. In questo caso la corteccia temporale fonemica (area di
Wernicke) e la corteccia frontale fonemica (area di Broca) attivano sinergicamente il putamen,
che inibisce il globus pallidus; l'inibizione del pallido attiva il nucleo ventrale laterale del
talamo, che a sua volta attiva la corteccia responsabile della corretta esecuzione dei movimenti
del tratto vocale che generano i suoni del linguaggio.
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Fig. 3.7. Modello delle funzioni sottocorticali del linguaggio.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
3.2 Afasie nei soggetti bilingui
Molteplici fattori, come l'epoca di apprendimento, il livello di competenza in ciascuna lingua e la
risonanza emotiva sembrano influenzare le caratteristiche cliniche dell'afasia nei soggetti bilingui.
Alcune osservazioni cliniche depongono per una differente organizzazione cerebrale del linguaggio nelle
persone bilingui rispetto a coloro che hanno acquisito la seconda lingua in un tempo successivo.
L'osservazione clinica ha rilevato diversi quadri afasici nei soggetti bilingui, che possono essere
riassunti secondo la seguente classificazione:
• Afasie con recupero della prima lingua
• Afasie con recupero della seconda lingua.
• Afasia selettiva di una lingua.
• Afasia con recupero paradossale di una lingua.
• Afasia differenziata.
• Antagonismo alternato.
• Traduzione paradossa.
• Fenomeno patologici di commutazione e mescolamento delle lingue.
3.2.1 Afasie con recupero della prima linguaQuando un individuo bilingue subisce una lesione al cervello che colpisce le aree del linguaggio
può perdere la capacità di usare tutte le lingue che conosceva ma può riuscire a recuperarle tutte
parallelamente. In altri casi l'afasia può colpire solo una delle lingue conosciute dal soggetto.
Nel 1895 A. Pitres avanzò l'ipotesi che quest'ultimo tipo di pazienti tendesse a recuperare la
lingua che era stata la più famigliare nel periodo immediatamente precedente la lesione. Secondo Pitres
ciò dipendeva dal fatto che spesso la lesione non causava la perdita della lingua ma la rendeva solo
parzialmente inutilizzabile in seguito alla diaschisi. In base a questa ipotesi, quindi, se la sintomatologia
afasica è provocata da una temporanea inattivazione delle aree corticali deputate al controllo del
linguaggio, i fenomeni patologici inibitori colpiscono maggiormente la lingua che presenta delle
associazioni più deboli fra gli elementi nervosi che la sostengono, cioè la lingua meno utilizzata nel
periodo precedente alla lesione.
L'analisi di tutti i casi clinici di afasia nei bilingui finora pubblicati ha dimostrato che il 40% dei
pazienti presenta un recupero parallelo delle lingue, il 32% un migliore recupero della prima lingua, il
rimanente 28% dei pazienti presenta un migliore recupero della seconda lingua. I casi di recupero
parallelo delle lingue sono una valida conferma dell'ipotesi che esse siano organizzate nelle medesime
aree corticali. Le afasie con diversa compromissione e diverso recupero delle due lingue mantengono
invece aperto il problema di una loro differente organizzazione nel cervello.
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
3.2.2 Afasie con recupero della seconda linguaIn circa un terzo dei pazienti afasici multilingui descritti in letteratura non vi è un recupero della
prima lingua, bensì di quella acquisita successivamente. Su 75 casi di recupero non parallelo delle lingue
conosciute dai poliglotti divenuti afasici, 35 riguardavano il recupero di seconde o terze lingue, ma non
della lingua madre.
Poiché la lingua madre viene memorizzata per prima ed è in genere anche la più famigliare, il
recupero della seconda lingua negli afasici poliglotti è in contraddizione sia con l'osservazione di Ribot,
secondo cui il recuperato dell'antico prevale sul recupero del nuovo, sia con quella di Pitres, secondo cui
viene recuperata la lingua maggiormente utilizzata prima della lesione.
3.2.3 Afasia selettiva di una linguaUn soggetto afasico bilingue può presentare disturbi del linguaggio che colpiscono selettivamente
una lingua soltanto.
La perdita selettiva di una lingua dopo una lesine focale suggerisce che nel cervello dei bilingui le
due lingue possano essere isolate l'una dall'altra. Sul tipo di isolamento ci sono state molte discussioni:
alcuni autori hanno ipotizzato una separazione anatomica fra le due lingue, mentre la maggioranza dei
ricercatori ha sostenuto che la separazione delle lingue fosso solo funzionale, perché esse costituirebbero
due sistemi funzionali separati pur essendo organizzate nelle stesse aree cerebrali.
Paradis e Goldblum (1985) hanno proposto che la più probabile ipotesi interpretativa per spiegare
l'afasia selettiva non sia di tipo neuroanatomico, ma neurofunzionale: la lingua danneggiata sarebbe
quindi selettivamente inibita dai fenomeni fisiopatologici generati dalla lesione, la quale può aumentare
la soglia necessaria per attivarla.
Secondo gli autori, quindi, le lingue conosciute da un individuo bilingue o poliglotta sono
principalmente separate a livello funzionale, non anatomico. Ogni lingua costituirebbe così un sistema
neurofunzionale separato e indipendente dalle altre lingue.
3.2.4 Afasie con recupero paradossale di una linguaIl recupero paradossale di una lingua è un caso estremo di afasia con mancato recupero della
lingua madre.
Il sistema di memoria implicita coinvolge strutture sottocorticali, come i gangli della base e
cervelletto e circoscritte aree della corteccia cerebrale, mentre la memoria esplicita è rappresenta
diffusamente nella corteccia cerebrale.
Paradis ha avanzato l'ipotesi che la prima lingua, essendo acquisita in maniera informale mediante
una continua ripetizione e subito automatizzata, sia prevalentemente memorizzata nei sistemi della
memoria implicita.
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Pertanto, la prima lingua sarebbe maggiormente rappresentata nelle strutture sottocorticali del
linguaggio ed in circoscritte aree della corteccia cerebrale, mentre la seconda lingua ed eventualmente le
altre lingue che un poliglotta conosce, se apprese con strategie esplicite, dovrebbero essere rappresentate
più diffusamente nella corteccia cerebrale.
Oltre a questa interpretazione possono essere avanzate anche altre ipotesi non necessariamente
antitetiche. Numerosi studi di neurofisiologia, riassunti da Hikosaka nel 1991, hanno sottolineato
l'importanza dei gangli della base per la selezione di serie di comportamenti.
Se considerassimo anche l'espressione linguistica come una serie di comportamenti, i gangli della
base dell'emisfero dominante per il linguaggio potrebbero essere prevalentemente coinvolti nella scelta e
nell'attivazione della lingua madre. Durante l'espressione di una lingua poco automatizzata, è probabile
che vi sia un differente coinvolgimento dei gangli della base dell'emisfero dominante rispetto alla lingua
madre.
3.2.5 Afasie differenziateLe afasie differenziate dei pazienti bilingui si verificano quando, in seguito ad una lesione
celebrale, ogni lingua conosciuta si presenta con un differente quadro afasico, ad esempio un'afasia di
Broca per la lingua madre ed una di Wernicke per la seconda lingua.
Secondo alcuni ricercatori (Albert, Obler, Silverberg, Gordon, 1979) questi casi di afasia
differenziata suggeriscono che alcuni elementi della prima lingua sono localizzati in una specifica area
corticale, mentre altri elementi di una seconda lingua sono localizzati in un'altra area corticale. Questo
tipo di afasia potrebbe essere una prova molto convincente della localizzazione anatomica separata delle
lingue nel cervello.
Altri neurolinguisti sono invece restii ad accettare questa conclusione, perché dubitano che il
quadro clinico dell'afasia differenziata esista realmente, sostenendo che una lesione può avere una
differente sintomatologia linguistica a seconda della lingua in cui si manifesta. Ad esempio, un paziente
bilingue inglese-italiano con afasia di Broca tenderà ad omettere i morfemi liberi in inglese, un tipico
sintomo dell'agrammatismo, mentre in italiano presenterà anche numerosi errori nella flessione dei
morfemi legati, una tipologia di errore considerata fino a poco tempo fa tipica del paragrammatismo. A
questo proposto Paradis (1988) ha sottolineato l'importanza di cercare di capire come i sintomi
dell'agrammatismo e del paragrammatismo si manifestano nelle varie lingue.
3.2.6 Traduzione paradossa e antagonismo alternatoIl fenomeno della traduzione paradossa è stato descritto per la prima volta da Paradis, Goldblum e
Abidi nel 1982. Esso ha luogo quando un soggetto bilingue, in seguito ad una lesione cerebrale, traduce
con molta più facilità dalla seconda lingua a quella madre, mentre, in situazioni normali, tale compito
sarebbe più semplice da eseguire traducendo dalla lingua madre a quella secondaria.
Il paziente bilingue afasico che presenta il disturbo del linguaggio chiamato antagonismo alternato
riesce in certi periodi ad esprimersi in una sola lingua, mentre in altri periodi è in grado di esprimersi solo
in un'altra. Il fenomeno tende a ripetersi e la capacità di esprimersi in una lingua, ma non nell'altra, può
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
alternarsi nell'arco di alcune ore, di una giornata o di una settimana.
L'incapacità di utilizzare temporaneamente la lingua riguarda prevalentemente il versante della
produzione, mentre la comprensione è generalmente risparmiata in entrambe le lingue.
Poiché non è possibile che i pazienti riacquistino in alcune ore o in un giorno la lingua che solo
poche ore prima non riuscivano ad utilizzare, è stato suggerito che la lingua non disponibile non sia
andata perduta, ma che sia solo inibita.
Il fenomeno dell'antagonismo alternato è divenuto quindi un importante paradigma per lo studio
dei disturbi afasici del linguaggio in generale. Esso suggerisce che una lesione al cervello non determini
la perdita di competenza in una lingua, ma un'inibizione dei sistemi di esecuzione.
3.2.7 Il code-mixing e il code-switching patologicoDue fenomeni patologici abbastanza frequenti nelle afasie dei bilingui sono la commutazione
(switching) ed il mescolamento (mixing) involontario ed inconsapevole delle lingue. Si parla di
commutazione quando un individuo continua a passare da un idioma all'altro formando frasi ora in una
lingua, ora in un'altra, mentre il mescolamento consiste nel mescolare gli elementi di più lingue
all'interno della stessa frase.
Commutazione. I disturbi afasici riscontrabili nel fenomeno della commutazione fra le lingue sono
la fissazione patologica su una lingua e la commutazione immotivata ed impulsiva.
La fissazione patologica su di una lingua, o incapacità di commutazione, consiste nella perdita di
capacità nel passare distintamente e volontariamente da una lingua all'altra. Generalmente il paziente
mantiene la comprensione delle lingue che conosce, ma se qualcuno si rivolge a quest'ultimo nella lingua
non disponibile, egli risponde nell'unica lingua in cui è capace di esprimersi.
E' stato suggerito che le strutture nervose del giro sopramarginale dell'emisfero sinistro
rivestissero, negli individui bilingui e poliglotti, un ruolo molto importante per i compiti di
commutazione da una lingua all'altra (Poetzl, 1930). Questa area avrebbe il compito di mantenere in
equilibrio le diverse lingue permettendo ad una sola di emergere a turno e di esprimersi completamente,
mentre le altre non selezionate resterebbero in profondità in modo da non disturbare il sistema attivato.
Una lesione a questa area cerebrale determinerebbe un comportamento verbale “fissato patologicamente”
sulla lingua parlata poco prima della lesione, mentre la comprensione resta inalterata.
Per Paradis (1982) i meccanismi di fissazione patologica si di una lingua sono solo un aspetto
particolare dei più generali sistemi coinvolti nelle attività decisionali, per le quali risultano coinvolte le
regioni latero-mesiali sia dell'emisfero destro che sinistro (Milner, 1963). Lesioni a carico di queste aree
corticali, infatti determina difficoltà nell'abbandonare un comportamento per adottarne uno nuovo
consono alle informazioni ambientali.
Il disturbo della commutazione immotivata e compulsiva consiste nel produrre sistematicamente e
immotivatamente diversi enunciati cambiando continuamente lingua.
Lebrun (1991) ha suggerito che il femoneno del sistematico e immotivato passaggio da una
lingua all'altra è probabilmente dovuto a un deficit a carico di un sistema deputato a mantenere
l'espressione verbale “ancorata” ad una data lingua. Secondo questo autore questo sistema sarebbe
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
localizzato nell'emisfero destro.
Numerosi neurologi e neurolinguisti hanno discusso la probabile organizzazione neurologica dei
meccanismi di commutazione. Per alcuni di questi studiosi, generalmente definiti localizzazionisti,
esisterebbe nel cervello un centro anatomico di attivazione della lingua A e contemporanea inibizione
delle lingue B e C.
Secondo Poetzl e Leischner (1941), questo centro sarebbe localizzato nel giro sopramarginale
dell'emisfero sinistro. Per altri, invece (Stengel, Zelmanovicz, 1933; Zatorre, 1989) esso sarebbe
localizzato in alcune strutture anteriori dell'emisfero sinistro, mentre per Lebrun (1991) questa funzione
probabilmente è situata nell'emisfero destro.
Altri autori hanno criticato l'idea di un centro anatomico che regoli sia la commutazione che la
fissazione patologica delle lingue. Goldstein (1948) ha sostenuto che qualsiasi lesione cerebrale aumenti
le difficoltà di passare da un processo mentale ad un altro (rigidità cognitiva). Per questo autore, quindi,
la facoltà di commutazione da una lingua all'altra può essere solo un esempio della più generale facoltà di
astrazione.
Mescolamento. Il mescolamento delle lingue (mixing) consiste nella produzione di frasi che
contengono elementi di lingue diverse. Nell'espressione linguistica degli individui multilingui non
afasici, in occasione di fenomeni di mixing, è stato osservato che essi rispettano le seguenti regole:
• In una frase il soggetto (se è un pronome) e il predicato appartengono generalmente alla stessa
lingua.
• E' molto raro che solo le preposizioni vengano espresse in una lingua diversa dal resto della
frase.
• Una forte tendenza a esprimere le parole funzione o le citazioni proverbiali nella propria lingua
madre.
Alcuni autori hanno ipotizzato che in un bilingue, durante l'espressione verbale, la lingua
selezionata eserciti un'inibizione funzionale sulla lingua non selezionata (inibizione reciproca). Nella
comprensione, invece, possono essere attivate entrambe le lingue, poiché infatti è possibile comprendere
nello stesso momento messaggi in lingue diverse. L'abitudine di mescolare frequentemente le lingue, che
è tipica di alcune comunità bilingui e di certe professioni (ad esempio interpreti simultanei), sembra
determinare un più basso livello di inibizione reciproca tra le due lingue. Se invece un individuo è
abituato a mantenere separate funzionalmente le due lingue, quando si esprimerà in una di esse i sistemi
di inibizione per l'altra lingua saranno molto stabili ed efficienti. Il fenomeno del mescolamento delle
lingue, quindi, non è di per sé un sintomo patologico purché chi lo compie ne sia consapevole.
Nei pazienti afasici multilingui, le forme più frequenti di mixing sono:
• Mescolamento di parole: sostituzione di una parola con quella corrispondente appartenente ad
un'altra lingua, quando risulta impossibile reperirla a causa di un'anomia. Il paziente può essere
più o meno consapevole di mescolare in una frase parole di lingue diverse.
• Mescolamento fra radici e suffissi di parole: unione tra la radice di una parole appartenente ad
una lingua con il suffissio di un'altra. Può accadere sia con i verbi che i sostantivi
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
• Mescolamento di sillabe di differenti lingue all'interno della stessa parola.
• Intonazione in una lingua mentre si usano parole di un'altra lingua.
• Uso della sintassi di una lingua con il lessico di un'altra.
• Produzione di una parola in una lingua con una pronuncia dei fonemi di un'altra.
• La sistematica tendenza a rispondere in una lingua diversa da quella nella quale l'interlocutore si
è rivolto al paziente.
Oltre alla descrizione linguistica dei veri tipi di mescolamento delle lingue, Perecman (1984) ha
anche proposto un modello neurolinguistico per spiegare alcuni aspetti di questo disturbo del linguaggio
negli afasici multilingui. In base a questo modello, i fenomeni di mixing, come più in generale anche gli
altri sintomi afasici e i lapsus, rappresentano degli errori in una tappa del processo che va dal pensiero
prelinguistico alla forma finale dell'enunciato. Perecman ha basato le sue ipotesi su un modello
psicolinguistico della produzione delle frasi sviluppato negli anni ottanta da M. F. Garret, il quale
studiando i lapsus nei soggetti normali, aveva individuato nel processo di produzione di una frase quattro
livelli:
1. Livello del messaggio, che è in relazione ai sistemi linguistici ed extralinguistici; qui vengono
stabilite le relazioni concettuali fra gli elementi della frase.
2. Livello funzionale, dove viene effettuata la selezione delle parole relative ai contenuti
dell'enunciato da esprimere, alle quali vengono poi assegnati ruoli strutturali all'interno della
frase (ad esempio: chi è l'agente di un'azione e chi la subisce, ecc.).
3. Livello posizionale, sulla base delle informazioni date dai livelli precedenti vengono scelte le
opportune parole di classe chiusa e viene assegnata la forma fonologica alle parole di entrambe
le classi.
4. Livello fonetico, viene specificata dettagliatamente la forma fonetica delle parole che
compongono la frase.
In base a questo modello psicolinguistico Perecman, correlando ogni tipo di mixing a una delle
diverse tappe del processo di produzione delle frasi, ha proposto la classificazione dei seguenti tipi di
mixing: semantico-lessicali, sintattici, morfologici e fonologici.
3.3 Teorie e modelli della “mente bilingue”
Il problema della localizzazione cerebrale delle lingue nel cervello delle persone bilingui o
poliglotte ha fondamentalmente riguardato, negli anni passati, la domanda se le due lingue siano
localizzate nelle stesse aree o in differenti aree del cervello. Sono state formulate diverse ipotesi al
riguardo.
La prima ipotesi, avanzata da numerosi neurologi del passato, propone che tutte le lingue
conosciute da un bilingue o da un poliglotta siano localizzate nelle stesse aree cerebrali e che i fenomeni
presentati dagli afasici potessero essere spiegati solo da fattori funzionali, senza necessariamente
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
prendere in considerazione differenti localizzazioni cerebrali per ogni lingua conosciuta (Pitres, 1895;
Minkowski, 1927).
L'ipotesi diametralmente opposta, e cioè che ogni lingua fosse localizzata in aree diverse del
cervello, fu avanzata da Scoresby-Jackson nel 1867. Secondo questo medico inglese, l'area di Broca è
responsabile dell'acquisizione della lingua madre, mentre ogni nuova lingua appresa avrebbe implicato la
formazione di un nuovo centro che si sarebbe sviluppato per adattamento funzionale nelle aree frontali
anteriori all'area di Broca.
Un'ulteriore ipotesi fu proposta da Poetzl (1939) il quale ritenne che gli individui bilingui
sviluppassero dei centri specializzati nel loro cervello. Secondo l'autore, i bilingui avrebbero alcuni
specifici comportamenti linguistici, come la capacità di selezionare una lingua (sintonizzazione), la
capacità di passare da una lingua all'altra (commutazione), la capacità di tradurre ecc. Secondo Poetzl, il
controllo di questi comportamenti verbali si realizzerebbe nel giro sopramarginale sinistro. Questa
ipotesi, tuttavia, è stato poi fortemente criticata da numerosi autori, tra i quali Paradis (1985) il quale
sostenne che da un punto di vista linguistico non ci sono differenze sostanziali fra monolingui e
poliglotti: l'uso di diversi registri linguistici e il passaggio da un registro all'altro nei monolingui è infatti
simile all'uso di lingue diverse e al passaggio da una lingua all'altra nei poliglotti.
Un discorso a parte merita l'ipotesi di una diversa lateralizzazione cerebrale per la prima e la
seconda lingua. A questo proposito nel 1959 G. Gorlitzer von Mundy, sulla base di dati clinici, ritenne
che la seconda lingua è rappresentata in entrambi gli emisferi cerebrali solo se acquisita in forma orale e
lateralizzata nell'emisfero sinistro se acquisita sia oralmente che per iscritto.
Albert e Obler (1979), in seguito ad una analisi della letteratura sulle afasie dei bilingui,
conclusero che i bilingui tendono più spesso dei monolingui ad avere una rappresentazione delle funzioni
linguistiche dell'emisfero destro.
Ulteriori studi tuttavia (R. Rapport, C. Tan, H. Whitaker, 1983) eseguiti mediante la tecnica
dell'iniezione intracarotidea di sodio-amitale (test di Wada) in soggetti bilingui, non hanno confermato
l'ipotesi di una maggior rappresentazione del linguaggio nell'emisfero destro nei bilingui.
Proporre delle ipotesi sull'organizzazione delle lingue nel cervello di un poliglotta limitandosi a
considerare solo gli aspetti macroscopici del cervello è, in realtà, un modo piuttosto ingenuo di affrontare
lo studio delle funzioni superiori del sistema nervoso. Già in passato, infatti, alcuni neurologi avevano
ipotizzato che in un bilingue le lingue fossero organizzate nelle stesse aree corticali, ma in differenti
circuiti nervosi. Inoltre, numerosi studi sono a favore dell'ipotesi che le lingue conosciute da un poliglotta
potrebbero essere organizzate in parte in aree comuni ed in parte in aree specifiche e separate del
cervello.
Questa ipotesi, tra l'altro, è anche in accordo con l'idea di spiegare, in termini funzionali, la
maggior parte dei fenomeni riscontrati nei disturbi acquisiti del linguaggio dei soggetti bilingui (ad
esempio alcune modalità di recupero delle lingue, l'afasia differenziata, il fenomeno dell'antagonismo
alternato e della traduzione paradossa), numerosi dati sperimentali e con recenti osservazioni sul ruolo
della memoria (il ruolo della memoria implicita ed esplicita nell'acquisizione della prima e della seconda
lingua).
28
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Quest'ultima ipotesi può essere considerata una sintesi delle ipotesi precedenti, secondo qui il
linguaggio di un soggetto poliglotta fosse organizzato nelle stesse aree cerebrali per ogni lingua, in
differenti aree o in differenti circuiti all'interno della stessa area.
In base ai dati disponibili è stato ritenuto utile cercare di costruire dei modelli che riassumessero
in un sistema più o meno provvisorio i risultati raggiunti.
Nel 1986 David Green ha proposto un modello generale per il controllo dell'espressione verbale
nei bilingui (fig. 3.6) nel quale sono stati inclusi i dati e le ipotesi tratti sia dalla psicolinguistica che dalla
neurolinguistica.
Il modello è basato su un principio modulare e ipotizza l'esistenza di diversi subsistemi
reciprocamente indipendenti (subsistemi per l'analisi delle parole della lingua madre e della seconda
lingua, rispettivamente L1 ed L2), che a loro volta sono formati da un numero imprecisato di moduli
indipendenti ma in costante interazione.
Secondo Green le relazioni fra i subsistemi di questo modello sono di tre tipi: di attivazione, di
inibizione ed energetiche.
Nel 1989 Paradis ha descritto in particolare le caratteristiche delle relazioni di attivazione,
sostenendo che ogni parola e ogni lingua hanno una specifica soglia che dipende dalla frequenza d'uso e
dall'intervallo di tempo trascorso dall'ultima attivazione. Una lesione al cervello può abbassare il livello
di attivazione di una lingua, che quindi non verrebbe perduta ma semplicemente resa inaccessibile con le
29
Fig. 3.6. Modello per il controllo dell'espressione verbale in un bilingue secondo Green.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
attuali soglie di attivazione. Generalmente, la soglia di attivazione per la comprensione della lingua è più
bassa della soglia di attivazione per l'espressione pertanto alcuni afasici bilingui sono ancora in grado di
comprendere una lingua ma non di parlarla.
Molto importanti sono le relazioni di inibizione, presenti anche nei monolingui. Quando viene
scelta una parola, vengono contemporaneamente inibite sia le parole semanticamente vicine, sia le parole
fonologicamente vicine. Nei bilingui, durante la selezione di una lingua, le relazioni di inibizione
permettono di inibire l'altra lingua non attivata. Questa inibizione è in genere automatica e consente di
evitare le interferenze tra le due lingue; l'espressione verbale in una lingua inibisce quindi
automaticamente l'espressione nella seconda lingua. Una lesione cerebrale può compromettere la capacità
di utilizzare una lingua non solo per un'insufficiente attivazione della stessa lingua, ma anche e
soprattutto per un'insufficiente inibizione dell'altra lingua.
Probabilmente questi sistemi di inibizione fra le lingue sono molto diversi negli interpreti
simultanei che, per la loro professione, si addestrano a mantenere attivate costantemente due lingue alla
volta per molte ore al giorno. In queste particolari professioni le soglie di inibizione fra le due lingue
sono quindi quantitativamente diverse rispetto a quelle di altri poliglotti.
Una ricerca portata avanti da Perani et al., (1998) ha messo in evidenza che la rappresentazione
cerebrale della seconda lingua (L2) può dipendere in larga parte non tanto dall'età in cui quest'ultima è
stata acquisita, ma dal livello di competenza raggiunto.
Gli autori hanno confrontato i pattern di attività corticale in seguito a compiti di comprensione
proposti nella prima (L1) e nella seconda lingua in tre gruppi di soggetti bilingui. Due di essi composti da
soggetti con elevate competenze in L2, di cui però uno costituito da perone che avevano acquisito
quest'ultima dopo i 10 anni (HPLA, hight proficieny, late acquisition), l'altro da persone esposte alla
seconda lingua entro i primi due anni (HPEA, hight proficiency, early acquisition). Il terzo gruppo
costituito da soggetti con basse competenze per la seconda lingua ed acquisita dopo i 10 anni di vita
(LPLA low proficieny, late acquisition).
Contrariamente alle attese, durante l'ascolto di storie in L1 ed L2, sono emersi un elevato numero
di diversi pattern di attività solo in quest'ultimo gruppo (LPLA). Tali differenze non sono infatti state
rilevate nelle attività corticali di entrambi i gruppi con elevata abilità per la seconda lingua (sia per HPEA
che HPLA).
Dal momento che il livello e la qualità dell'espressione linguistica per L2 è apparsa identica sia nel
gruppo LPLA che HPLA e che le attività corticali dei gruppi HPEA e HPLA in seguito a compiti di
comprensione linguistica in L2 sono simili, i ricercatori ritengono che le differenze di attivazione
corticale del gruppo LPLA siano imputabili ad il livello di padronanza raggiunto per la seconda lingua
piuttosto che all'età di acquisizione di quest'ultima.
Infatti, a differenza del gruppo LPLA, nei soggetti con elevate abilità linguistiche nella seconda
lingua ma acquisita dopo i 10 anni (HPLA) l'attivazione della rete neurale macroscopica durante i
compiti di comprensione linguistica è simile sia in L1 che L2.
Secondo questi risultati, quindi, sembra che a determinare diversi pattern di attivazione corticale
in seguito a compiti di comprensione non sia determinante l'età di acquisizione della seconda lingua, ma
30
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
il livello di competenza raggiunto.
Tali risultati confermano le osservazioni di Kim et al. (1997). Dalla ricerca di questi ultimi, infatti,
in seguito a compiti di comprensione è emersa una sovrapposizione delle aree corticali coinvolte (area di
Wernicke) sia in L1 che in L2, indipendentemente dall'età di acquisizione della seconda lingua.
Al contrario, in occasione di compiti di espressione linguistica, nei soggetti esposti dopo la
pubertà alla seconda lingua ma con elevate abilità in quest'ultima, L1 ed L2 sono rappresentate in due
diverse aree segregate della corteccia frontale inferiore di sinistra (area di Broca).
A questo proposito è opportuno notare che la comprensione e la produzione linguistica sono
abilità cognitive per le quali è richiesta l'elaborazione di componenti diverse del linguaggio. E' emerso
che l'età sia un fattore critico per l'acquisizione di una seconda lingua soprattutto per quanto riguarda la
fonologia e la grammatica di quest'ultima, abilità sottese dalle aree corticali frontali. Le persone esposte
ad L2 dopo la pubertà infatti presentano limitazioni fonologiche e grammaticali rispetto a quelle esposte
entro il termine di quest'ultima. In particolare Flege et al. (1995) hanno riscontrato che la presenza di
accento straniero per la seconda lingua può ricorrere anche qualora quest'ultima sia acquisita a partire dai
3 anni di vita ed indipendentemente da quanto essa sia stata praticata.
Weber-Fox e Neville (1996) riportano che soggetti bilingui anglo-cinesi hanno minori capacità
grammaticali per L2 anche qualora questa sia acquisita entro i primi 1-3 anni di vita, indipendentemente
dal livello di padronanza.
Molto studi hanno quindi rilevato che l'abilità espressiva in L2 è inversamente correlata con l'età
di acquisizione di quest'ultima ed una differenza di attivazione corticale in L1 ed L2 (Johnson e Newport,
1989; Flege et al., 1995; Weber-Fox e Neville, 1996). Perani et al. hanno dimostrato invece che, in
seguito a compiti di comprensione, l'età di acquisizione di L2 come unico fattore non sembra avere un
impatto nella rappresentazione cerebrale macroscopica di L2.
31
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
4 L'acquisizione del linguaggio nei primi anni di vita
Indipendentemente dalla lingua alla quale i bambini sono esposti, il processo di acquisizione del
linguaggio sembra progredire attraverso le stesse modalità.
Lennenberg (1971) individua nei primi tre anni di vita un periodo di massima attitudine
all'apprendimento verbale, indipendentemente dalla complessità del codice. Nel corso dello sviluppo,
tuttavia, tale disponibilità, legata alla plasticità neurale del bambino, tende a decrescere gradualmente.
Lo sviluppo del linguaggio nel neonato nasce dalla sua necessità di interagire con il mondo
esterno. A tale scopo egli viene al mondo dotato di specifici requisiti finalizzati alla comunicazione, sia
verbali che non verbali, come ad esempio il pianto e particolari movimenti del corpo.
Durante i primi mesi di vita la comunicazione del neonato è il risultato di una serie di
comportamenti riflessi. Verso il quarto mese si osserva il loro decremento a favore della comparsa della
comunicazione intenzionale.
4.1 Gli stadi dell'acquisizione del linguaggio
La progressione dello sviluppo del linguaggio si configura per periodi o fasi, nel corso dei quali si
precisano e differenziano gli elementi fonologici, morfologici, sintattici e semantici.
Mentre l'accesso alle strutture fonologiche e sintattiche sembra possibile solo fino alla maturità
sessuale, l'espansione del vocabolario può procedere per l'intero arco della vita.
Le fasi di apprendimento del linguaggio possono essere schematicamente suddivise come segue:
1. Stadio prelinguistico, che compare dal periodo prenatale fino all'età di tre mesi. In questo
periodo il bambino sembra sia in grado di discriminare particolari aspetti del linguaggio.
2. Stadio della lallazione, durante il quale si verifica l'apprendimento del controllo articolatorio,
che si osserva dai quattro agli otto mesi di vita.
3. Stadio della comparsa della comunicazione intenzionale e della comprensione dei significati, dai
nove ai dodici mesi.
4. Dai dodici ai diciotto mesi: comparsa delle prime parole.
5. Sviluppo del vocabolario, che si osserva a partire dai diciotto fino ai ventiquattro mesi di vita.
6. Dai ventiquattro ai trentasei mesi, infine, l'espressione linguistica del bambino è caratterizzato
dalla comparsa delle unità grammaticali e della pragmatica del linguaggio.
4.1.1 Dal periodo prenatale all'età di 3 mesiSecondo J. Bruner (1987) il progressivo sviluppo della competenza comunicativa ha le sue origini
sia nella capacità innata di discriminare i suoni e di prestare attenzione agli stimoli che provengono
dall'ambiente, sia negli scambi prelinguistici (chiamati pseudo dialoghi) che hanno luogo tra madre e
bambino. Secondo Bruner gli pseudo dialoghi sono caratterizzati dalla presenza di primitive forme di
comunicazione chiamate precursori del linguaggio.
E' stato osservato che la capacità discriminativa degli stimoli acustici è presente fin dall'età
33
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
prenatale. Tramite il paradigma della decelerazione della frequenza cardiaca fetale (Fifer & Moon, 1988)
è emerso che il feto, a partire dalla trentesima settimana di gestazione, sia in grado di discriminare la
voce materna da voci di altre donne, così come suoni ad alta frequenza diversi dalla voce umana.
Lecanuet et al., (1989) hanno inoltre osservato che feti di questa età sono in grado di apprendere e
distinguere sequenze sillabiche nuove, differenti da quelle già conosciute per un solo fonema (es “biba” e
“baba”).
Per mezzo del paradigma dell'intensità di suzione, le stesse abilità di apprendimento e
discriminazione sono state osservate in neonati di pochi giorni di vita.
Mehler et al., (1986) hanno riportato che neonati di 4 giorni di vita sono in grado di discriminare
la lingua madre da una mai ascoltata e di preferire la prima.
Eimas, nel 1971 ha dimostrato che i lattanti di un mese di età sono già in grado di discriminare le
sillabe ba e da. Trehub, inoltre, (1973) ha osservato che neonati di 6-17 settimane possono riconoscere i
contrasti fonetici di differenti lingue alle quali non sono mai stati esposti. Questo ha condotto i ricercatori
a ritenere che i neonati fin dalle prime settimane di vita possiedano una percezione categoriale per il
linguaggio.
E' emerso, inoltre, che essi sono in grado non solo di distinguere i suoni, ma anche le proprietà
ritmiche di differenti linguaggi (Nazzi, et al., 1998; Mehler et al., 1978). In particolare Mehler et al.,
hanno osservato che neonati dalle 4 alle 6 settimane di età discriminano chiaramente la voce materna da
quella di persone estranee, purché l'espressione sia intonata normalmente. Al contrario, non sembrano
abili nel compiere questa discriminazione qualora entrambe le voci siano monotone.
Il bambino alla nascita è dotato di specifici requisiti che gli consentono di comunicre con il
mondo esterno anche se ancora in forma non intenzionale. In particolare egli è provvisto di una serie di
riflessi utili ad esprimere le sue sensazioni e necessità, come ad esempio quella di nutrirsi (es. il riflesso
dei punti cardinali ed il riflesso di suzione) e la necessità a mantenere il sostegno dell'adulto (es. riflesso
di moro). J. Bowlby definisce il riflesso del pianto uno dei sistemi di segnalazione infantile che, insieme
al sorriso, ha lo scopo di mantenere la vicinanza e formare relazioni con l'adulto. Inoltre l'esistenza di
diverse forme di pianto (Wolff, 1969) in relazione al tipo di malessere e necessità del bambino dimostra
che il pianto stesso può essere considerato una prima forma di comunicazione involontaria che precede il
linguaggio.
Al raggiungimento del terzo mese di vita le strutture cerebrali deputate al controllo posturale ed
alla discriminazione visiva giungono a maturazione. Con il miglioramento del controllo dei movimenti
della testa e del collo i neonati divengono più abili nel direzionare lo sguardo verso gli adulti.
La comparsa di queste nuove abilità permettono al neonato di stabilire un contatto faccia-a-faccia
con l'adulto e quindi di favorire l'inizio dell'interazione. Già a partire dai primi due mesi di vita, infatti, il
neonato manifesta un comportamento di comunicazione positiva, caratterizzato da sorrisi e
vocalizzazioni nei confronti dell'accudente primario. Le risposte da parte di quest'ultimo confermano al
bambino la sua capacità di influire sull'ambiente e lo conducono a generare questi modelli
comportamentali ripetendoli anche in altre situazioni e con altri interlocutori.
Dall'osservazione di interazioni tra madri e bambini di due mesi è emerso che entrambi alternano
34
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
il proprio turno secondo uno schema molto simile ad un dialogo (Genta et al., 1985, 1987). Il senso della
ritmicità sottostante l'alternanza dei turni può essere esperito dal bambino in diversi contesti. Già durante
la gestazione, infatti, il feto è esposto alla ritmicità del battito cardiaco materno. Successivamente a
favorire la comparsa del senso dell'alternanza può contribuire il comportamento alimentare, caratterizzato
dallo scandirsi regolare di suzione, pausa e suzione.
Trevarthen, basandosi su dati osservati, ha ipotizzato che il bambino abbia capacità innate di
interagire con l'adulto e di interpretare il comportamento altrui. Conferme interessanti a questo impianto
teorico provengono dagli esperimenti definiti di “blank face” (Trevarthen e Hubley, 1978; Genta et al.,
1992; Costabile et al., 1994). In queste situazioni, a un'interazione faccia – a - faccia spontanea tra madre
e neonato di due mesi di vita, segue una fase nella quale, su richiesta dello sperimentatore, la madre
immobilizza lo sguardo smettendo di sorridere e di parlare (“still face”) per alcuni secondi. Infine si ha
una fase di ripresa della comunicazione. Il comportamento del bambino che in precedenza ha interagito
con la madre appare fortemente disturbato sia in seguito all'interruzione della comunicazione da parte di
quest'ultima, sia in seguito alla sua ripresa. Gli autori ritengono quindi che il neonato sia in grado di
percepire l'inizio e l'interruzione della comunicazione e che già a due mesi di vita possieda una capacità
innata di decodificare le emozioni altrui.
Dal punto di vista anatomico, alla nascita il canale vocale del neonato è differente rispetto a quello
adulto. Esso, infatti, risulta simile a quello di un primate adulto non umano ed è quindi strutturalmente
inadeguato nel produrre suoni linguistici. Il cambiamento nelle capacità del bambino di produrre suoni
vocali è legato ai mutamenti biologici degli organi preposti alla fonazione. E' solo, infatti, verso la fine
del primo anno di vita che la cavità orale si espande, permettendo al bambino di produrre i suoni del
linguaggio.
Queste progressive modifiche anatomiche (che proseguiranno fino al secondo anno di età) insieme
al comportamento imitativo del bambino, permettono a quest'ultimo di produrre le prime forme di
vocalizzazione. Esse costituiscono il più importante cambiamento nel comportamento vocale, in quanto
si tratta di veri e propri suoni, anche se brevi e spesso sospirati. E' stato osservato che alcuni lattanti sono
in grado di modulare l'intensità di queste prime vocalizzazioni in accordo ai cambiamenti dei livelli della
voce materna (Papousek et al., 1981).
Fra i tre ed i quattro mesi di vita i movimenti spontanei della bocca si riducono drasticamente di
frequenza. I lattanti ora iniziano a produrre sequele di suoni che vengono prolungati volontariamente e
combinati in diverse modalità. Si osserva la comparsa delle vocalizzazioni indifferenziate: esse
rappresentano le espressioni orali del bambino che esplora la produzione di tutti i possibili fonemi che gli
essere umani possono produrre. Ad esempio, sia i bambini giapponesi che gli italiani discriminano e
producono i fonemi /l/ e /r/ (Eimas, 1985), tuttavia, man mano che i bambini passano allo stadio
successivo, gradualmente perdono questa capacità ed entro il termine del primo anno di età i bambini
giapponesi non sono più in grado di distinguere i fonemi /l/ e /r/ (Eimas, 1985).
4.1.2 Dai 4 agli 8 mesi: comparsa del controllo articolatorioFino a tre mesi di vita circa i neonati manifestano le loro condizioni vegetative e sensazioni
35
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
tramite i cosiddetti suoni riflessi. La forma espressiva più frequente, il pianto, tende a diminuire al
termine del primo trimestre di vita. La progressiva maturazione del controllo nervoso centrale determina
il controllo del comportamento volontario su quello riflesso. Fra i quattro e gli otto mesi di vita si osserva
la produzione di suoni tipica che precede l'emissione della prima parola.
Il livello di sviluppo delle abilità visive raggiunte permettono al neonato di fissare un oggetto, di
seguirne il movimento e di volgere volontariamente lo sguardo verso uno stimolo interessante. Questa
maturazione gli permette di concentrare la sua attenzione verso oggetti più lontani e quindi, mentre prima
l'interazione con l'adulto era duale, ora entrambi possono condividere l'interesse verso uno stimolo
comune. Mentre il bambino, quindi, ha l'occasione di esplorare lo spazio attorno a lui e quindi di ricevere
molti e nuovi stimoli uditivi, l'adulto ha ora la possibilità di ampliare gli argomenti di conversazione
Durante questa fase dello sviluppo del linguaggio il bambino è impegnato nel compito che prende
il nome di segmentazione del linguaggio. Essa consiste nel ricercare i confini che delineano le parole nel
flusso del parlato al fine di isolare queste ultime per poi memorizzarle solo nei suoi aspetti fonologici.
Sono tre gli indizi che il bambino potrebbe utilizzare per segmentare il linguaggio ed individuarne
le singole parti che lo compongono (Jusczyk et al., 1994):
• La distinzione tra i suoni che sono utilizzati nella sua madrelingua e quelli che non lo
sono.
• L'individuazione dell'ordine tipico in cui i suoni possono occorrere nella sua madre
lingua.
• Il riconoscimento della struttura ritmica tipica della sua madrelingua
Per mezzo del paradigma della preferenza nell'orientamento della testa, è stato possibile osservare
che i bambini tendono ad individuare prima le unità più grandi del linguaggio (le frasi) per poi spostare
l'attenzione sulle parole. In particolare, è stato dimostrato che i neonati di questa età rivolgono maggiore
attenzione a brani in cui vengono rispettate le pause, anziché a brani a cui sono stati eliminati o
modificati i confini naturali delle frasi.
Quando un neonato raggiunge i primi quattro mesi di vita inizia ad emettere i primi suoni
intenzionali, sia quando egli è solo che quando interagisce con l'adulto. Mentre questi suoni compaiono
inizialmente come prolungamenti volontari di emissioni spontanee, entro il settimo mese di vita si
osserva l'inizio della fase della lallazione (dal tedesco "lallen", "balbettio").
Essa consiste nella ripetizione di sillabe in serie e si distingue in semplice e variata: mentre con la
prima il bambino ripete le stesse sillabe (es. “dadada”), successivamente inizia a combinare sillabe
diverse (es. “mada”).
La lallazione contribuisce a sviluppare ed affinare il controllo motorio della produzione sonora.
Tramite le sensazioni acustiche e propriocettive, infatti, il bambino tende ad assumere nuove posture
articolari ed a costruire catene sequenziali di movimenti articolatori indispensabili per la fluenza
linguistica.
La lallazione è caratterizzata dalle seguenti proprietà universali:
• Insorge più o meno nello stesso periodo per tutti i bambini, compresi i bambini non udenti.
36
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Successivamente, tuttavia, in seguito all'assenza di feedback uditivi, la lallazione orale dei
bambini non udenti verrà abbandonata a favore di quella gestuale (in questo caso essa viene
denominata manual babbling, lallazione manuale, Petitto e Marentette 1991).
• Il fatto che la lallazione orale compaia anche nello sviluppo di bambini non udenti dalla nascita,
conduce ad ipotizzare una precisa determinazione biologica di questa fase, non correlata quindi
solamente allo sviluppo fisiologico dell'apparato fono articolatorio;
• Dal punto di vista fonetico, i suoni normalmente combinati nella formazione delle sillabe, a
questo stadio, non sono quelli che poi andranno a comporre le prime parole. Fonemi quali /l/ o
/r/ sono spesso presenti durante la lallazione, ma vengono sistematicamente omessi nello stadio
successivo quando si iniziano a produrre parole di senso compiuto (Jakobson 1968, Clark e
Clark 1977);
• La lallazione è la produzione preferenziale dei soli fonemi presenti nella lingua madre del
bambino (De Boysson-Bardies, B. at al., 1984). Mentre le prime vocalizzazioni del neonato,
infatti, non differiscono in relazione alla linguaggio al quale egli è esposto, la lallazione
caratterizza in modo distintivo la lingua che il bambino sta acquisendo.
• Compare in un periodo sensibile dello sviluppo. Il linguaggio di un bambino che non ha potuto
vocalizzare nell'arco di tempo che intercorre tra i suoi primi sei-nove mesi di vita, sarà
compromesso per sempre (J. Locke, D.M. Pearson, 1990).
Le ricerche, inoltre, hanno dimostrato che la lallazione migliora dal punto di vista qualitativo se ha
luogo in presenza di un adulto e soprattutto quando quest'ultimo utilizza il linguaggio diretto al bambini
(motherese, Snow, 1972), una forma di linguaggio finalizzato a catturare l'attenzione del bambino. Esso è
costituito da voce acuta e cantilenante e da ridondanza linguistica, soprattutto in riferimento alle parole
chiave (parole di contenuto) che vengono poste prevalentemente al termine della frase. Le frasi sono più
brevi e più semplici sia grammaticalmente che sintatticamente ed il tono della voce è enfatizzato
(Gelman e Shatz 1977). L'interazione con un adulto potrebbe facilitare il comportamento imitativo del
bambino ed indurlo a riprodurre il modello adulto presente il quel momento.
In particolare, la vocalizzazione del bambino sembra aumentare quando si verifica il contatto
oculare con l'adulto e quando quest'ultimo rispetta l'alternanza dei ruoli durante l'interazione. E' stato
osservato, in particolare, che quando l'adulto interrompe le lallazioni del bambino, queste ultime si
modificano nelle loro caratteristiche, divenendo a scatti. Se, invece, l'adulto interviene con le sue
conversazioni solo al termine delle vocalizzazioni del neonato, quest'ultimo tende a fare una pausa
restando in silenzio ed osservando l'interlocutore, per poi riprendere le vocalizzazioni.
Durante questa fase alcuni bambini riescono a produrre enunciati che hanno il ritmo e
l'intonazione di frasi esistenti nella loro madrelingua. Questo è ciò che viene definito “gergo”. Questa
forma di linguaggio espresso dal bambino, benché simile a quello reale, è tuttavia privo di significato.
Nel produrre un linguaggio gergale, quindi, i bambini imitano la sonorità di intere frasi.
Mentre fino a qualche anno fa i ricercatori ritenevano che il bambino, nel corso del suo sviluppo
linguistico, attraversasse le fasi della lallazione, della lallazione variata e del gergo in maniera
37
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
progressiva, è stato in seguito dimostrato che queste fasi, compresa la comparsa delle prime parole vere e
proprie, possano coesistere insieme per periodi relativamente lunghi.
4.1.3 Dai 9 ai 12 mesi: comparsa della comunicazione intenzionale e della comprensione dei significati
L'espressione vocale di un neonato di sei mesi di vita è caratterizzata dalla scoperta e dal
perfezionamento del controllo articolatorio. Non è ancora possibile notare l'utilizzo della propria
espressione vocale come strumento per entrare in relazione con le persone che lo circondano. Le
vocalizzazioni e l'intenzionalità comunicativa appaiono ancora come fenomeni indipendenti tra loro.
E' stato dimostrato che a favorire nel bambino la comparsa dell'intenzione a comunicare (Bell et
al., 1972) sia la capacità della madre di riconoscere i diversi comportamenti preverbali del neonato (quali
ad esempio il protendersi in avanti, il gesto precursore dell'indicare, il pianto, la lallazione ed il
vocalizzare, la ricerca di contatto visivo) come prime forme preverbali di intenzionalità comunicativa.
Dalle ricerche è emerso che quanto più la madre si dimostrava sensibile nel riconoscere nel figlio
intenzionalità comunicativa in questi comportamenti, tanto più è precoce la transizione dalla
comunicazione preintenzionale a quella intenzionale. Questo probabilmente perché le attribuzioni di
intenzionalità della madre nei confronti dei comportamenti del proprio figlio influiscono sul modo con
qui lei risponde a questi comportamenti. I bambini che hanno genitori i quali abitualmente rispondono ai
loro comportamenti sono incoraggiati ad utilizzare modalità comunicative diverse dal pianto, in quanto
sono molto più differenziate e consentono di controllare più efficacemente il genitore (J. Shotter, 1978).
In altre parole quando l'adulto agisce come se il comportamento del bambino fosse
intenzionalmente comunicativo aiuta quest'ultimo nel renderlo tale. Shotter, inoltre (1978) ha osservato
che la sollecitudine genitoriale sotto forma di disponibilità a seguire l'iniziativa del bambino e rispetto di
ciò che è al centro della sua attività comunicativa contribuisce allo sviluppo del linguaggio.
Un neonato dell'età di sei mesi non è ancora in grado di formulare un piano che preveda l'utilizzo,
in sinergia, dei mezzi comunicativi già posseduti. Le vocalizzazioni, l'utilizzo dell'informazione visiva ed
il controllo dei movimenti corporei sono attività che si manifestano indipendentemente l'una dall'altra.
Questo comportamento è molto diverso, invece, se lo si paragona a quello di un neonato che ha
raggiunto la tappa successiva dello sviluppo linguistico. Osservando un neonato di undici mesi, infatti, è
possibile notare la comparsa di nuovi mezzi comunicativi ed il loro utilizzo strumentale da parte del
bambino. Questi nuovi mezzi possono essere così schematizzati:
• Ricerca di attenzione condivisa, per mezzo della vocalizzazione e della ricerca di
contatto oculare con l'adulto.
• Tentativi, da parte del bambino, di portare lo sguardo dell'adulto sullo stimolo desiderato.
• Comparsa della comunicazione gestuale.
• Attesa della risposta da parte dell'adulto.
• Comportamento perseverante in seguito ad un eventuale fallimento iniziale.
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
In questo nuovo quadro, la vocalizzazione diviene lo strumento principale con qui il bambino
cerca di entrare in contatto con l'adulto al fine di richiamare la sua attenzione. La comunicazione, ora, è
di carattere intenzionale ed il comportamento del bambino appare chiaramente finalizzato ad entrare in
contatto con l'adulto utilizzando tutti i mezzi che ha a disposizione ed in sinergia tra loro.
Nel determinare questa radicale evoluzione nelle abilità comunicative del bambino gioca un ruolo
fondamentale lo sviluppo di una abilità cognitiva: la comprensione del rapporto causa-effetto (Golinkoff,
1988). Il neonato che comunica intenzionalmente, quindi, è in grado di operare un'anticipazione mentale
e di prevedere che la messa in atto di determinati comportamenti abbiano come conseguenza il ricevere
attenzioni da parte dell'adulto.
Diversi studi hanno messo in luce che fin dai primi stadi dello sviluppo il repertorio comunicativo
dei bambini non si limita agli elementi vocali del parlato, ma comprende anche molti elementi gestuali
(Volterra e Erting, 1994; Abrahamsen, 2000; Volterra, Caselli, Capirici, Pizzuto, 2005).
La ricerca infatti ha ampiamente dimostrato che l'inizio della comunicazione gestuale sia
contrassegnato dalla comparsa di una serie di gesti (richiesta ritualizzata, mostrare, indicare) che
sembrano precedere la comparsa delle prime parole (Petitto, 1988, 1992; Zinober & Martlew, 1985).
Questi gesti, definiti inizialmente preformativi e, negli studi più recenti deittici, vengono usati per
riferirsi ad oggetti ed eventi esterni ed esprimono soltanto l'intenzione comunicativa del bambino.
Molti autori hanno attribuito un ruolo speciale all'indicazione. Già Bruner (1975) ne sottolineava
l'importanza per lo stabilirsi di situazioni di attenzione condivisa nelle quali emerge più tardi il
linguaggio. Questo gesto viene utilizzato dai bambini con due diversi intenti comunicativi: per richiedere
un oggetto o un'azione desiderati (intenzione richiestiva) e per condividere con l'interlocutore l'interesse e
l'attenzione verso un evento esterno (intenzione dichiarativa). Diversi ricercatori hanno constatato una
più precoce comparsa dell'indicazione richiestiva rispetto a quella dichiarativa, che sembra quindi
implicare capacità cognitive e relazionali più complesse (Bates et al.,1975; Lock et al., 1994; Franco e
Butterworth, 1996; Perucchini e Camaioni, 1999).
Il gesto dell'indicare, rispetto alle altre forme gestuali del bambino, sembra conservare uno status
particolare: alcuni studi hanno evidenziato che la frequenza di uso del gesto di indicare aumenta tra la
fine del primo anno di vita e la metà del secondo anno, momento in cui tale frequenza inizia a diminuire
(Lock 1980). Il gesto del bambino è spesso accompagnato da vocalizzi e da sguardo rivolto
all'interlocutore.
Franco e Butterworth (1996) hanno evidenziato come il controllo visivo sul partner si evolva con
l'età: a 12 mesi i bambini guardano l'interlocutore dopo aver indicato un bersaglio, mentre a 16 mesi il
bambino gli rivolge lo sguardo prima di produrre il gesto. Con l'età aumentano anche gli sguardi multipli
al partner in accompagnamento al gesto.
Ad esempio il bambino può guardare l'interlocutore subito prima di indicare e subito dopo aver
indicato. Questi dati ci mostrano come il bambino impari a comunicare in modo più efficace. Infatti,
mentre a 12 mesi il bambino controlla se l'interlocutore ha colto il suo gesto dopo averlo prodotto,
successivamente egli si accerta se l'interlocutore gli rivolge l'attenzione prima di produrre il gesto.
Anche se il gesto dell'indicare compare durante l'ultimo trimestre del primo anno di vita, le
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
primissime estensioni del dito indice si rilevano quando il neonato di poche settimane segue con
attenzione qualcosa di interessante che gli viene mostrato. Non esistono, tuttavia, molte prove che questo
gesto venga utilizzato per comunicare. Sembra piuttosto un gesto riflesso non comunicativo analogo alla
lallazione: non si tratta di un modo per comunicare ma di un suo precursore.
La fase successiva dell'indicare compare intorno ai sei mesi di età. Non sembra emergere da
azioni collegate all'afferrare gli oggetti fuori dalla portata del bambino, bensì dal desiderio di dirigere la
propria attenzione. Sebbene, tuttavia, a sei mesi di vita il bambino indichi per se stesso, egli non
comprende ancora cosa significhi quando altre persone compiono lo stesso gesto. Questo accadrà solo
durante i successivi nove-dodici mesi di vita, periodo in cui, infatti, i bambini iniziano a seguire il gesto
dell'indicare che l'interlocutore gli porge.
L'acquisizione di questa abilità costituisce un decisivo progresso nello sviluppo linguistico: il
gesto dell'indicare diviene per bambino uno strumento da utilizzare con le persone che lo circondano e
che possono aiutarlo a realizzare i suoi scopi. Diversi studi hanno rilevato che esiste una relazione tra il
momento in cui un bambino inizia ad indicare e quello in cui inizia a parlare: sembra che quanto più
precoce è la comparsa del gesto, tanto più lo sarà quella del linguaggio (Butterworth et al., 1990).
Ciò che motiva il bambino a partecipare a queste prime forme di scambi comunicativi non è solo
il raggiungimento di obiettivi materiali, ma anche la condivisione con gli altri del contenuto dei suoi
pensieri, sentimenti e percezioni.
Le modalità comunicative che il bambino mette in atto per raggiungere obiettivi materiali sono
state classificate come “forme di richiesta”, mentre quelle che il bambino mette in atto al fine di
condividere con gli altri il contenuto dei suoi pensieri come “forme di dichiarazione” (Bates et al., 1976,
1979).
Le azioni comunicative compiute su oggetti hanno in comune con la comparsa delle prime parole
il fatto di possedere un aspetto semantico, finalizzato alla comunicazione intenzionale (Acredolo &
Goodwyn, 1985; Bates et al., 1983, 1989). Il bambino, infatti, a questa età, inizia a comprendere che le
parole sono uno strumento comunicativo e tramite i gesti chiede all'adulto di tradurre in parole ciò che
egli ha visto ho vissuto anche nelle situazioni in cui non è presente una gratificazione materiale.
I bambini cercano quindi di utilizzare l'adulto come mezzo per esprimersi e verbalizzare le loro
esperienze. Quando un adulto, su richiesta dei bambino, descrive il suo vissuto, gli restituisce sotto forma
di parole il contenuto dei suoi pensieri, favorendo lo sviluppo del suo patrimonio lessicale.
Sembra, quindi, che a spingere il bambino prima a comunicare e poi a parlare sia il desiderio di
condividere con l'adulto ciò che sta pensando, o, in altre parole, il desiderio di realizzare un “incontro fra
la sua mente e quella dell'adulto” (Golinkoff, 1993).
La comparsa dell'intenzionalità comunicativa e del desiderio di condividere con l'adulto il proprio
vissuto, conduce il bambino oltre che ad adottare nuove e sempre più raffinate strategie comunicative
(ricerca di contatto oculare, utilizzo del gesto dell'indicare ecc.) a comprende che le unità sonore da lui
già possedute corrispondono a dei significati e che possono quindi essere utilizzate come strumenti per
entrare in relazione con il mondo esterno.
E' quindi solo dopo che il bambino attribuisce un significato alle strutture sonore da lui
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
riconosciute che queste ultime acquistano una nuova identità, divengono cioè delle parole. Diverse
ricerche hanno dimostrato che la condizione ideale per cui un bambino associ una parola ad un oggetto è
che quest'ultimo si trovi un movimento contemporaneamente all'espressione del suo nome da parte di un
adulto.
Sembra che durante questa fase siano due gli elementi a giocare un ruolo rilevante nel processo di
acquisizione del lessico: il linguaggio diretto ai bambini ed il gioco del dare e del prendere.
Il linguaggio diretto ai bambini utilizzato da parte dell'adulto ed in particolare dalla madre
contribuisce alla codifica di nuovi significati e al perfezionamento di quelli che il bambino è già in grado
di comprendere ed utilizzare. Una particolare strategia usata dalle madri è l'arricchimento semantico
dell'espressione vocale spontanea del bambino. Per esempio, se il bambino pronuncia “pa-pa” la madre
può completare la frase dicendo: “vuoi la pappa?” enfatizzando l'espressione sul sostantivo.
Slobin (1975) ha osservato che le espressioni verbali usate nel rivolgersi al piccolo contengono
principalmente ordini e domande ma pochi pronomi e proverbi e che l'utilizzo del linguaggio appare
sempre più legato al piacere della coppia di essere in contatto e di comunicare giocando con le parole.
Il gioco del dare e del prendere è un'attività che il bambino propone spesso all'adulto. Esso occupa
un ruolo rilevante nel processo di acquisizione del vocabolario: il bambino, nel porgere un oggetto ad un
adulto, realizza una richiesta verbale nei confronti di quest'ultimo, in quanto induce l'adulto a ricevere
l'oggetto nominandolo. L'oggetto viene poi spesso riconsegnato al bambino, con un gesto che, ancora una
volta, viene accompagnato da una ridondanza linguistica. Questo gioco può essere ripetuto più volte dal
bambino.
La comparsa di nuove forme preverbali finalizzate alla comunicazione intenzionale non è l'unico
aspetto che caratterizza questa fase dello sviluppo.
A partire dai nove mesi di età circa, i neonati, infatti, iniziano a perdere la capacità di percepire e
distinguere fonemi che non sono presenti nella lingua madre. Se alla nascita i bambini sono in grado di
distinguere tutti i fonemi e quindi potenzialmente predisposti ad apprendere qualunque linguaggio,
durante l'ultimo trimestre del primo anno di vita si verifica la perdita di sensibilità al repertorio completo
di tutti i fonemi esistenti nelle lingue di distinguere e successivamente di produrre suoni non presenti
nella propria madrelingua, a favore della maggiore abilità nel percepire ed analizzare i suoni ai quali il
bambino è costantemente esposto.
Il processo di selezione delle abilità fonemiche ha luogo in un periodo sensibile dello sviluppo del
linguaggio. Il concetto di periodo sensibile si riferisce a quei momenti dello sviluppo in cui le variazioni
strutturali e funzionali del sistema nervoso sono particolarmente suscettibili agli effetti dell'esperienza e
resistenti al cambiamento in età successive. Durante un periodo sensibile gli alberi dendritici dei neuroni
si trovano in uno stato sviluppo esuberante, ponendo le cellule nervose in una condizione di
iperproduzione sinaptica (Changeux, Danchin, 1976; Changeux et al, 1973; Edelman, 1987).
Hamburger (1970) ha osservato che esiste un' attivazione spontanea delle cellule nervose
indipendentemente dalle sollecitazioni esterne e che le connessioni possono trovarsi in uno stato labile,
stabile o degenerato. In particolare, le connessioni tra le cellule sarebbero sin dai primi stadi dello
sviluppo specificate a livello biologico, ma in modo ancora labile. Solo le connessioni neurali che si
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
dimostrano utili all'adattamento ambientale sopravvivono.
Questo processo viene sintetizzato nel concetto di “stabilizzazione selettiva” (Changeux et al.,
1981; Edelman, 1987; Fraser, 1985; Gouzè et al., 1983), secondo cui le stimolazioni esterne non creano
nuove connessioni ma contribuiscono all'eliminazione di quelle esistenti. Il risultato dell'apprendimento
e, in questo caso, dell'apprendimento del linguaggio, non consisterebbe quindi nell'aumento della
proliferazione neurale ma in una sua riduzione.
A livello dei suoni linguistici, quindi, il neonato potrebbe avere inizialmente dei neuroni che
reagirebbero ai suoni di tutte le lingue esistenti nel mondo (i fonemi); l'esperienza, tuttavia, conduce alla
rimozione degli stessi, al fine di organizzare le reti neurali in base ai suoni ai quali il bambino è esposto:
il mantenere tutti i suoni esistenti, infatti, potrebbe interferire con la ricerca delle regolarità della propria
lingua.
4.1.4 Dai 12 ai 18 mesi: la comparsa delle prime parole Tra i 9 ed i 14 mesi si osserva la comparsa delle prime parole (e.g. Capute et al., 1986; Vihman &
McCune, 1994). Il campo di variazione, tuttavia, è molto ampio in quanto esse possono comparire
durante quell'arco di tempo compreso tra i 10 ai 24 mesi di vita. Entro i 18 mesi di età, tuttavia, i bambini
possiedono mediamente un vocabolario costituito da 3 a 100 parole (Siegler, 1986).
Le prime parole che fanno la loro comparsa sono le protoparole e le parole legate al contesto. Le
prime sono parole inventate e “personali” che, anche se usate con un significato costante, vengono
riconosciute solo dalle persone che sono a più diretto contatto con il bambino.
Le parole legate al contesto, invece, sono simili alle parole reali, in quanto hanno il loro stesso
suono ed aspetto e qualunque persona che parli la lingua del bambino ha la possibilità di comprenderle.
Si differenziano dalle parole reali per il fatto di essere pronunciate solo qualora il bambino si trovi in un
determinato contesto, che spesso corrisponde alle stesso durante il quale la parola è stata appresa e
pronunciata per la prima volta.
Solo quando il bambino pronuncia una parola decontestualizzandola, con intenzioni e scopi chiari
e non per imitazione di una struttura sonora udita, compare l'utilizzo del linguaggio come strumento
simbolico di comunicazione.
L'abilità cognitiva indispensabile che precede la comparsa della prima parola è l'acquisizione della
funzione simbolica. In un bambino che attraversa questa fase dello sviluppo linguistico, essa si manifesta
sia nelle azioni che egli compie che nella modalità di utilizzo degli oggetti. Mentre inizialmente le azioni
compiute sugli oggetti compaiono in riferimento a situazioni fisiche specifiche, nel corso dello sviluppo
esse vengono eseguite in maniera sempre più decontestualizzata e simbolica (Caselli, 1990). Nel gioco
del “far finta”, ad esempio, in qui le azioni compiute e gli oggetti utilizzati rappresentano qualcos'altro, il
pensiero del bambino si disancora dalla concretezza e lo conduce ad utilizzare gli oggetti ed a compiere
azioni facendo riferimento non più a quello che essi corrispondono realmente ma al modello mentale che
il bambino ha costruito.
Questa elaborazione mentale entra in gioco anche nel processo di acquisizione del linguaggio e
permette al bambino di costruirsi un prototipo mentale che possa rappresentare una serie di oggetti,
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
eventi ed azioni che il bambino riconosce come simili tra loro sotto diversi aspetti. Le parole, a questo
punto, si differenziano da quelle apparse in precedenza perché ora non rappresentano più un suono, una
situazione o un'azione particolare, ma sono finalizzate ad etichettare dei prototipi.
Le prime parole che entrano a far parte del vocabolario dei bambini sono sostantivi che si
riferiscono ad oggetti concreti. In particolare, esse si riferiscono agli oggetti più vicini sul piano affettivo
e sul piano della soddisfazione dei bisogni relazionali e nutritivi primari.
Anche se nel linguaggio del bambino compaiono singolarmente, il bambino utilizzando una sola
parola cerca di esprimere un pensiero complesso, scopi ed intenzioni chiare. Per questo motivo queste
forme di espressione verbale vengono considerate come delle vere e proprie frasi, chiamate “olofrasi” .
Un gruppo di ricercatori ha riportato, in bambini fra i 12 e i 18 mesi, stretti parallelismi fra le
prime produzioni verbali e le produzioni non verbali, definite spesso in modi diversi come”schemi di
gioco simbolico”, “gesti referenziali” e più recentemente “gesti rappresentativi”. Attraverso questi
comportamenti il bambini nomina, racconta, o chiede qualcosa (Caselli, 1983; Acredolo e Goodwyn,
1988, Volterra et al., 2005). Per esempio il bambino porta un bicchiere vuoto o la mano vuota alla bocca
comunicando l'idea di bere, porta la cornetta del telefono o la mano all'orecchio (telefono), apre le
braccia per comunicare che qualcosa o qualcuno è finito o sparito (non c'è più). L'uso di questi gesti nel
secondo anno di vita è frequente ed avviene in diversi contesti comunicativi.
In alcune ricerche, è stata studiata l'ampiezza del vocabolario gestuale e vocale ed i rapporti fra
comprensione vocale e produzione di gesti e parole (Casadio e Caselli, 1989; Caselli e Casadio, 1995;
Fenson et al., 1993). I risultati relativi ad un campione di circa 300 bambini italiani tra gli 8 ed i 17 mesi,
raccolti attraverso il questionario “Il primo vocabolario del bambino (PVB) (Caselli & Casadio, 1995),
hanno messo in luce marcate asincronie fra comprensione e produzione verbale: il vocabolario recettivo,
alle età considerate, è infatti significativamente superiore al vocabolario espressivo. Inoltre, in termini
quantitativi, i bambini possiedono un numero di gesti/azioni superiore rispetto al numero di parole
prodotte: ad esempio, a 12 mesi producono in media 29 gesti/azioni e solo 8 parole.
Acredolo & Goodwyn, (1988), hanno osservato che quando il bambino tenta di comunicare un
pensiero la produzione linguistica e la gestualità non compaiono nello stesso istante. Durante questa fase,
dunque, spesso i gesti non sono accompagnati da alcuna produzione linguistica e, quando accade, le
parole non compaiono contemporaneamente ad essi (Butcher & Goldin-Meadow, 1999).
Nei mesi successivi, invece, è emerso un sostanziale parallelismo fra sviluppo gestuale e vocale,
in termini qualitativi e quantitativi. Sia per i gesti che per le parole è stato individuato un graduale
processo di decontestualizzazione: da una produzione di gesti e parole legata a situazioni specifiche,
ristrette e ritualizzate (uso non referenziale), il bambino giunge ad un loro uso simbolico e referenziale.
Inoltre è stato rilevato un numero di produzioni simili nelle due modalità, vocale e gestuale: intorno ai
16-17 mesi, ad esempio, i bambini usano in media 40 gesti/azioni 32 parole (Caselli & Casadio, 1995).
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Volterra & coll. (2005) riportano che in media all'età di 14 mesi l'espressione gestuale e verbale è
“equipotenziale” (fig. 4.1.). A questa età non sembra esserci una prevalenza di gesti o parole, ma
entrambi vengono utilizzati con la stessa frequenza. Secondo Abrahamsen (2000): “le parole non si
distinguono dai gesti ed i gesti non si distinguono dalle parole”
A questo punto dello sviluppo, quindi, le espressioni verbali ed i gesti sembrano codificare simili
significati ed attraversare processi di decontestualizzazione simili. Nei mesi successivi, invece, il
repertorio verbale si arricchisce notevolmente ma i gesti non sono semplicemente rimpiazzati dalle
parole. Piuttosto, entrambi le modalità vengono utilizzate insieme, in una combinazione cross-modale
che caratterizza il passaggio dalla fase olografica a quella delle due parole (parlato telegrafico).
Alcuni studi (Iverson, Caprici & Caselli, 1994; Caprici et al., 1996; Morford & Goldin-Meadow,
1992; Butcher & Goldin-Meadow 2000) hanno esaminato il ruolo del gesto nella transizione dal periodo
olofrastico a quello delle due parole. Questo aspetto è fondamentale per verificare la continuità tra l'uso
di un sistema di comunicazione preverbale ed il successivo sviluppo di forme linguistiche ed in
particolare tra la combinazione precoce di gesto e parola e la successiva combinazione di due parole.
Uno studio condotto su 12 bambini italiani osservati a 16 e a 20 mesi, (Iverson, Capirci, Caselli,
1994) ha verificato importanti cambiamenti nel rapporto gesti/parole. Ad entrambe le età vengono
prodotti sia gesti deittici, soprattutto l'indicazione, che gesti rappresentativi e tra questi, gesti
convenzionali (ciao; no) e gesti iconici (aereo, pesce).
A 16 mesi però circa la metà dei bambini studiati produce più gesti che parole, mentre gli altri
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Fig. 4.1: Relazione tra la comunicazione gestuale e verbale. Da Volterra et al., 2005.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
evidenziano un pattern opposto. A 20 mesi il sistema gestuale subisce una riorganizzazione. La
produzione complessiva dei gesti diminuisce ed i bambini smettono di aggiungere nuovi gesti al loro
repertorio: i nuovi concetti da esprimere verranno d'ora in poi codificati nella loro forma vocale.
Anche altri autori (Zinober & Martlew,1985, 1986; Acredolo & Goodwyn, 1988; Carter, 1975)
riportano che i gesti riferiti a specifici oggetti o situazioni tendono a scomparire non appena nel lessico
del bambino compare la parola corrispondente. In particolare è stato osservato un decremento di specifici
gesti, quali: quelli che si riferiscono ad oggetti, giochi e situazioni di routine (Caselli, 1990); gesti deittici
in giochi spontanei (Zinober & Martlew, 1985); gesti simbolici (Acredolo & Goodwyn, 1988).
Fin dai 16 mesi i bambini iniziano a combinare due elementi comunicativi e tali combinazioni
sono nella maggior parte dei casi cross-modali (gesto e parola). Spesso, infatti, i gesti vengono utilizzati
come informazione complementare a quella linguistica (Morford & Goldin-Meadow, 1992; Zinober &
Martlew, 1985). Il bambino, ad esempio può compiere il gesto di “dare” e contemporaneamente dire
“palla” (olofrase). Il gesto denota la richiesta (“dai a me”), mentre il linguaggio denota l'oggetto. Anche
Capirci et al., (1996) hanno riportato che in bambini italiani tra i 16 ed i 20 mesi la comparsa di gesti in
combinazione con le parole aumenta significativamente (principalmente gesti deittici e parole di
contenuto). Gli autori, inoltre, hanno osservato che combinazioni di due elementi gestuali è infrequente
ed in particolare nessuna combinazione di due gesti rappresentativi.
E' interessante sottolineare che le combinazioni cross-modali possono essere classificate come
equivalenti, complementari o supplementari. Sono equivalenti quando i due elementi hanno un
significato analogo (dice “ciao” e nello stesso tempo produce il gesto) e l'uno rinforza l'altro. Sono invece
complementari se uno dei due elementi (per esempio il gesto dell'indicare) specifica o disambigua
l'elemento particolare a cui la parola si riferisce (per esempio “fiore”). Infine con la combinazione cross-
modale supplementare i due elementi hanno significati diversi e quindi uno aggiunge informazione
all'altro (indica il piccione e dice “nanna”).
La ricerca ha anche messo in luce che il numero dei gesti (deittici e referenziali) e di combinazioni
gesto-parola prodotti a 16 mesi, è direttamente correlato con il numero di parole prodotte a 20 mesi
(Butcher & Goldin-Meadow, 1999; Goldin- Meadow, 1998; Morford & Goldin-Meadow, 1992).
In particolare, Capirci et al. (1996), hanno messo in evidenza che le combinazioni cross-modali
supplementari sono particolarmente correlate con la comparsa del parlato telegrafico. Poco dopo la loro
comparsa, infatti, il bambino produce combinazioni di due parole che esprimono le stesse relazioni
semantiche espresse prima attraverso l'uso del gesto. Secondo gli autori, quindi, le combinazioni di due
elementi che includono un gesto permettono dunque al bambino di superare i limiti articolatori legati al
parlato e di rafforzare, chiarire o ampliare il messaggio.
Durante questa fase, oltre alla comparsa di nuove abilità espressive, si osservano progressi anche
per quanto riguarda la comprensione linguistica. Un gruppo di ricerca (Hirch-Pasek, K., Golinkoff, R.,
1996) ha dimostrato che il bambino diviene ora in grado di comprendere non solo il significato di singole
parole, anche la relazione tra loro esistente all'interno di una frase.
Il paradigma utilizzato (TIPF, Tecnica Intermodale di Preferenza Visiva) è un paradigma di
ricerca che, al fine di rilevare dei dati, adotta due modalità sensoriali, la modalità uditiva e la modalità
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
visiva. Il bambino viene esposto, contemporaneamente, alla visione di due scene su due diversi schermi
televisivi. Queste due scene hanno in comune i singoli elementi che le caratterizzano, tuttavia si
differenziano per la relazione esistente tra questi ultimi. Mentre su uno schermo, ad esempio, compare
una scena in cui A compie un'azione verso B, sull'altro compare la scena in cui B compie la stessa
azione, ma verso A. In altre parole il bambino viene esposto a quella che si chiama “frase reversibile”. In
seguito, al bambino viene fatta ascoltare una voce che con linguaggio diretto ai bambini chiede loro di
trovare la scena in cui A compie una determinata azione verso B. Secondo gli autori, se il bambino
guarda più a lungo lo schermo corrispondente alla frase, significa che possiede la capacità di utilizzare
l'ordine delle parole per individuare l'evento corretto. I ricercatori hanno osservato che la maggior parte
dei bambini che hanno preso parte all'esperimento hanno prestato attenzione al filmato corrispondente
alla frase udita dimostrando quindi non solo di comprendere il significato delle singole parole, ma anche
il particolare significato determinato dal modo in cui le parole vengono messe in relazione tra loro
dall'interlocutore.
4.1.5 Dai 18 ai 24 mesi: lo sviluppo del vocabolarioQuesta fase dello sviluppo linguistico è caratterizzata dalla comparsa e dallo sviluppo di abilità
che permettono al bambino di avere scambi verbali più diretti e ricchi di significato con l'adulto. Il
lessico si arricchisce sempre più così come l'articolazione dei suoi. Malgrado la produzione linguistica ne
sia priva, il bambino dimostra di comprendere le unità grammaticali presenti nel linguaggio udito.
Nell'età compresa tra i 18 ai 24 mesi, il bambino modifica improvvisamente la velocità di
apprendimento lessicale, in quanto si osserva una rapida espansione del vocabolario. E' stato stimato,
infatti, che durante questa fase il bambino sia in grado di produrre una media di trentasette parole nuove
al mese, mentre durante la fase precedente dello sviluppo linguistico tale media sembra essere di circa
nove parole nuove. I dati delle ricerche dimostrano che il prerequisito indispensabile affinché abbia luogo
questo fenomeno (chiamato “esplosione del vocabolario”) sia il padroneggiare, da parte del bambino, un
numero minimo di vocaboli, che oscilla tra le trenta alle 100 parole.
E' emerso che la classe più ampia di parole usate dai bambini durante questa fase è quella
costituita da parole riferite agli oggetti, seguita dai nomi specifici delle persone. In ultimo compaiono i
verbi che descrivono le azioni compiute con più frequenza dal bambino e le parole definite “sociali”
quali, ad esempio, “grazie” e “no”.
Alla base dell'esplosione del vocabolario, è stata osservata la comparsa di due abilità cognitive: la
capacità di formare immagini mentali e l'associazione rapida.
Già Piaget (1923) dimostrò che le capacità cognitive che si sviluppano intorno ai 18 mesi
consentono al bambino di pensare ad oggetti, azioni ed eventi nascosti alla vista e di sviluppare, quindi,
capacità rappresentative non più legate al qui ed ora.
Come ha osservato la ricercatrice Lois Bloom (1993), quando il nostro mondo mentale si
allontana dal nostro mondo percettivo, il linguaggio diviene necessario al fine di colmare il divario. La
mente umana ottimizza le rappresentazioni mentali per mezzo del processo di classificazione degli
elementi che le costituiscono. Gli oggetti, le azioni e gli eventi vengono categorizzati per le loro
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
similitudini e sono queste categorie e poi i loro nomi che diventano gli elementi base del linguaggio.
Sembra che a diciotto mesi di età la capacità rappresentativa e la categorizzazione raggiungono il loro
picco massimo. Quando il bambino è in grado di compiere la categorizzazione, egli diviene in grado
individuare le somiglianze tra le differenze che caratterizzano gli oggetti e gli eventi a cui assiste e può
nominare intere categorie di oggetti in una sola volta.
E' stato inoltre osservato che durante questa fase i bambini divengono in grado di attribuire un
nome ad un oggetto per deduzione. Se esposti ad un oggetto sconosciuto, infatti, tendono ad attribuire un
nuovo vocabolo a quest'ultimo. L'aspetto più interessante tuttavia è che, durante questa fase, risulta
necessaria una sola esposizione al vocabolo affinché questo venga, oltre che appreso e memorizzato,
anche generalizzato per denominare altri oggetti simili. Questo processo è chiamato associazione rapida e
costituisce proprio nell'essere in grado di sapere quando e dove utilizzare una nuova parola dopo una sola
esposizione ad essa.
L'abilità di realizzare immagini mentali ed il processo dell'associazione rapida permettono al
bambino di considerare il linguaggio non più come un insieme di semplici suoni che accompagnano gli
oggetti e gli eventi, ma come un insieme di parole che assumono un significato simbolico.
L'utilizzo del linguaggio come strumento simbolico è dimostrato dall'aumento rapido e marcato,
durante questa fase, degli errori di sovra estensione delle regole lessicali. Questa forma di errori hanno
luogo quando viene utilizzato, erroneamente, uno stesso termine per denominare elementi simili tra loro
per qualche caratteristica. Dalla ricerca di Leslie Rescorla (1980) è emerso che i bambini tendono a
generalizzare erroneamente non vocaboli appena appresi, ma parole famigliari già sperimentate. La
ricercatrice ha inoltre osservato che la sovra estensione della regola ricorre solo per circa un terzo delle
parole e per particolari categorie.
Sono state individuate tre forme di sovra estensione lessicali: la sovra estensione categoriale, la
sovra estensione analogica e la sovra estensione relazionale.
La sovra estensione categoriale è la forma di errore lessicale più frequente. Con essa il bambino
può utilizzare uno stesso sostantivo per indicare tutti gli elementi di una categoria ma mai anche elementi
appartenenti ad una categoria diversa. Può chiamare, ad esempio “camion” anche un “autobus” e “papà”
anche un uomo qualunque, ma non “camion” un uomo.
La sovra estensione analogica è guidata dalla somiglianza percettiva degli oggetti: questi ultimi
vengono denominati con uno stesso termine per similitudine sensoriale anziché semantica. Ad esempio
viene chiamato con il sostantivo “palla” oltre che la vera palla da gioco, anche un uovo, una mela e tutto
ciò che ha una forma sferica.
Nel caso delle sovra estensioni relazionali il bambino usa le parole per esprimere una relazione fra
un oggetto presente e uno assente. Ad esempio il bambino che dice “bambola” in presenza del lettino
della bambola anche se non c'è traccia di quest'ultima, potrebbe riferirsi erroneamente al lettino oppure
esprimere la relazione fra bambola e lettino.
Gli studi volti ad analizzare la natura delle sovra estensioni categoriali si sono concentrati
soprattutto nel rilevare se esse ricorrono, oltre che in produzione, anche nella comprensione del
linguaggio. Secondo Rescorla (1980) i bambini compiono rare sovra estensioni in comprensione ma
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
frequenti in produzione: da questa ricerca è emerso che spesso, quando i bambini hanno difficoltà nel
recuperare la parola richiesta, al fine di dare la precedenza alla necessità di comunicare, scelgono di
utilizzare la parola più simile a quella target come strategia per imparare il nome corretto.
Questo fenomeno è stato spiegato come una strategia di apprendimento lessicale: la forte necessità
di comunicare al mondo esterno conduce il bambino ad utilizzare, anche se erroneamente, i soli termini a
lui conosciuti.
Secondo un'altra teoria, invece, il bambino potrebbe compiere una sorta di parafrasia semantica,
cioè una difficoltà nel richiamare alla mente la parola quando lo desidera e, conseguentemente, sceglie di
utilizzare la parola a lui più famigliare.
L'esplosione del vocabolario non è l'unico fenomeno di carattere espressivo che si osserva durante
questa fase dello sviluppo linguistico. Nell'età compresa tra un anno e 6 mesi e 2 anni e 2 mesi (e.g.
Brownm 1973; Bloom, 1975; Petitto, 1987) infatti, i bambini divengono in grado di combinare due
parole per esprimere un pensiero complesso omettendo tutti gli elementi grammaticali. In questa forma di
comunicazione, che è stata denominata “parlato telegrafico”, i vocaboli maggiormente utilizzati dal
bambino sono le parole di contenuto. Esse sono costituite da sostantivi, aggettivi e verbi, ed hanno il
valore di esprimere, all'interno di una frase, il pensiero principale che con quest'ultima si vuole
comunicare.
Dalle ricerche è emerso che, il “parlato telegrafico” compare solo quando il bambino è in grado di
produrre un numero di vocaboli non inferiore a cinquanta (Bloom, 1993) e cioè mediamente entro i 17
mesi di vita (e.g. Nelson, 1973; Petitto, 1987; Charron & Petitto, 1991). Prima di questo momento,
infatti, egli sembra più impegnato a costruire il bagaglio di parole e a usarle in combinazione con segnali
non verbali. Secondo la ricercatrice Lois Bloom (1993), alla base di questo progresso linguistico si trova
la crescente complessità dei pensieri del bambino. Quest'ultimo è incoraggiato ad apprendere forme
linguistiche sempre più complesse quando i suoi pensieri oltrepassano la sua capacità espressiva.
Utilizzando espressioni di due parole, inoltre, il bambino dimostra di essere in grado di
considerare gli oggetti e le etichette verbali che li rappresentano come indipendenti dai contesti e
ricombinabili in nuovi modi. Osservando il livello di sviluppo cognitivo raggiunto dal bambino in questo
periodo, infatti, emerge che egli diviene in grado di considerare gli oggetti per usi diversi e di creare
molteplici relazioni tra loro in maniera analoga all'uso che fa delle parole.
Durante questa fase i gesti continuano ad essere utilizzati. Guidetti (1998) ha indagato il modo in
cui bambini di 21 e 27 mesi rispondono ad una domanda posta loro da un adulto in un contesto di
soluzione di un puzzle. L'adulto produceva domande le cui risposte, affermative o negative, avessero
valore direttivo (ad esempio, “vuoi che ti passi il pane?”) oppure dichiarativo (“questo è un cane?).
L'autrice ha riscontrato che solo metà delle risposte dei bambini di entrambi i gruppi erano verbali,
confermando quindi che l'uso dei gesti persiste anche in fasi dello sviluppo in cui il bambino sarebbe
effettivamente in grado di produrre una risposta verbale.
Pertanto l'utilizzo dei gesti nello sviluppo normale sembra avere la funzione di aiutare il bambino
a comunicare idee e concetti che non è ancora in grado di esprimere verbalmente, accompagnando gli
enunciati vocali allo scopo di rinforzarne o completarne il significato.
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Benché il linguaggio dei bambini di questa età sia caratterizzato dal “parlato telegrafico”, privo di
qualunque unità grammaticale, è emerso che essi ne comprendano chiaramente il significato e si
aspettino che siano presenti nel linguaggio udito (Hirch-Pasek, K., Golinkoff, R., 1996).
E' stato inoltre osservato che le conoscenze linguistiche di un bambino a qualunque livello dello
sviluppo siano maggiori rispetto a quanto dimostri parlando. Una possibile spiegazione di questo
fenomeno sta nel fatto che la distinzione tra comprensione e produzione può essere paragonata alla
differenza tra riconoscimento e richiamo dalla memoria. La comprensione richiede solo il riconoscimento
di una parola, senza attuare un compito attivo di ricostruzione della stessa. L'informazione che una
persona riceve con una frase è già organizzata dal parlante, nei suoi aspetti semantici, grammaticali e di
pragmatica. Nel caso della produzione, invece, il compito di costruzione è attivo. Una frase già
organizzata può essere compresa per deduzione e quindi anche senza conoscere tutti gli elementi che la
compongono. Nella produzione, invece, il bambino deve essere l'organizzatore, colui che armonizza tutti
gli elementi del linguaggio. Per questo compito è necessario che il bambino conosca approfonditamente
sia tutte le componenti del linguaggio, sia il modo con cui combinarle tra loro.
4.1.6 Il linguaggio dai 24 ai 36 mesi: comparsa delle unità grammaticali e della pragmatica del linguaggio
A due anni il bambino combina le sue prime parole, fra i ventisette e i trenta mesi egli arriva a
produrre espressioni di tre o quattro parole e usa particelle, parole funzionali, avverbi e pronomi
interrogativi. Quando il bambino raggiunge il periodo fra i trenta e i trentasei mesi circa, la frase media
può contenere fino a cinque o sei parole.
Contemporaneamente all'aumentare della lunghezza delle frasi, compaiono le prime proposizioni
subordinate. Con esse il bambino dimostra di essere in grado di generare frasi contenenti più di un
pensiero e di comunicare i suoi sentimenti ed intenzioni autonomamente. Il bambino infatti ora necessita
di sempre meno interventi da parte degli adulti che lo aiutino a trasformare in parole i suoi pensieri.
La comunicazione gestuale subisce un'ulteriore evoluzione. Un'interessante evidenza proviene da
una ricerca di Nicoladis et al., (1999). Lo scopo della ricerca è stato verificare se l'utilizzo dei gesti da
parte di bambini di età compresa tra i 2 ed i 3 anni e 6 mesi bilingui per il francese e l'inglese è legato a
generali capacità cognitive che si sviluppano prima e separatamente rispetto alla comparsa di capacità
linguistiche oppure se, in alternativa, l'utilizzo dei gesti è legato a fattori specifici delle abilità
linguistiche.
Secondo Nicoladis et al., infatti, se lo sviluppo della gestualità è contrassegnato da fattori
cognitivi, i bambini bilingui dovrebbero mostrare una equivalente produzione gestuale per entrambe le
lingue, anche se una è dominante sull'altra. In alternativa, se la comparsa dei gesti è contrassegnata dallo
sviluppo di fattori linguistici, i bambini bilingui dovrebbero mostrare una produzione gestuale differente
in relazione alle lingue.
Gli autori hanno osservato la modalità di comparsa e di utilizzo dei gesti emblematici, deittici,
iconici, del dare e di battuta (Ekman & Friesen, 1969; Kendon 1980; Mc Neill, 1992). I gesti
emblematici si configurano come gesti convenzionali, (ad esempio agitare al mano per dire “ciao” oppure
49
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
il dito indice per comunicare una negazione); i gesti deittici comprendono il gesto dell'indicare mentre gli
iconici rappresentano un'azione o un oggetto (es. “pesce” o “aereo”). Infine, i gesti di battuta sono privi
di significato, si configurano come gesti bifasici, movimenti delle mani e braccia verso l'alto ed il basso
con funzione enfatica, come ad esempio agitare la mano nell'aria contemporaneamente all'espressione
linguistica “no vado letto”.
La comparsa di questi gesti è stata messa in relazione con la lunghezza media delle espressioni
linguistiche per entrambe le lingue misurate in morfemi (MLU)1. E' emerso che i gesti deittici,
emblematici e del dare non mostravano una considerevole relazione con la lunghezza media delle
espressioni linguistiche sia per il francese che per l' inglese. Secondo gli autori questa evidenza può
suggerire che essi non siano correlati con lo sviluppo del linguaggio, almeno tra i 2 e i 3 anni di età.
I gesti iconici e di battuta hanno mostrato invece una una relazione interessante con lo sviluppo
del linguaggio. La produzione di questi gesti è infatti apparsa direttamente correlata all'aumento del
MLU sia per l'inglese che per il francese. Questi gesti erano prodotti molto spesso in contemporanea a
produzioni verbali composte da più morfemi e, quindi, espressioni verbali accompagnate da gesti iconici
contenevano più morfemi rispetto a quelle non accompagnate da alcun gesto.
A sostenere l'ipotesi che i gesti iconici e di battuta siano direttamente correlati allo sviluppo
linguistico è l'evidenza che la loro comparsa mutava in relazione al particolare andamento di sviluppo di
una delle due lingue. Essi infatti venivano prodotti molto più spesso in accompagnamento a quella lingua
che, in un dato periodo, si sviluppava più velocemente rispetto all'altra.
Secondo Nicoladis et al., quindi, queste evidenze dimostrano una diversa natura sottostante le
varie forme di gestualità che compaiono nel corso dello sviluppo. Mentre la comparsa dei gesti deittici,
emblematici e del dare non presentavano particolari relazioni con le espressioni linguistiche, gli autori
hanno suggerito che questi ultimi siano legati a generali capacità cognitive indipendenti dallo sviluppo
linguistico.
Il fatto, invece, che la produzione dei gesti iconici e di battuta è apparsa direttamente correlata alle
espressioni linguistiche composte da un numero maggiore di morfemi, e, in particolare, alla lingua che in
un dato periodo era dominante, ha indotto i ricercatori a ritenere che questi gesti fossero particolarmente
legati allo sviluppo del linguaggio.
Gli autori hanno tentato di spiegare la natura sottostante tale legame. I gesti iconici rappresentano
i dettagli delle immagini visive associate alle azioni, alle localizzazioni, alle proprietà sensoriali e
funzionali degli oggetti (il gesto dell'aereo, ad esempio, ne descrive il movimento ed il fatto di essere
sospeso in aria). Come Mc Neill (1992) propose, la loro principale funzione è di carattere cross-modale:
essi esprimono alcuni concetti complessi che il bambino non sarebbe ancora in grado di illustrare tramite
il linguaggio. Nicoladis et al., sottolineano che la descrizione di tali proprietà si colloca, nel linguaggio,
all'interno dei predicati verbali, e che questi ultimi contengono tanti più morfemi quanto è più ricca e
complessa la descrizione dell'oggetto e delle sue azioni.
Dal momento che la comparsa di questi gesti è correlata con un aumento del MLU, gli autori
1 MLU: lunghezza media dell'espressione linguistica misurata in morfemi secondo Brown (1973). Secondo l'autore, tra i 15 ed i 30 mesi l' MLU è di 1,75 (stadio I), tra i 28 ed i 36 mesi di 2,25 (stadio II), tra i 36 ed i 42 mesi di 2,75 (stadio III), tra i 40 e i 45 mesi di 3,50 (stadio IV) mentre tra i 42 ed i 52 mesi ed oltre di 4,00 (stadio V).
50
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
suggeriscono che i gesti iconici in qualche modo anticipino le espressioni linguistiche contenute nei
predicati verbali.
Per quanto riguarda i gesti di battuta, invece, gli autori ritengono che essi condividano con il
linguaggio quella proprietà ritmica che è intrinseca sia in questo tipo di gesti, sia nel linguaggio. I
sostantivi composti da più morfemi sono caratterizzati da un ritmo che si prolunga nel tempo. Dal
momento che i gesti di battuta aumentavano in relazione all'aumentare del MLU per una determinata
lingua, gli autori concludono che tramite loro i bambini tentino di esprimere con maggiore enfasi un
concetto che, in alternativa, richiederebbe l'utilizzo di un numero maggiore e vario di parole e frasi.
Gli stessi autori (Nicoladis et al., 1999), inoltre, riportano che l'utilizzo dei gesti durante questa
fase compare quasi sempre solo in contemporanea all'espressione linguistica, con una frequenza molto
simile a quella osservata negli adulti.
Durante questa fase dello sviluppo linguistico si osserva la comparsa delle unità grammaticali.
Proprio come il periodo fra i diciannove e i ventuno mesi è chiamato “esplosione del vocabolario”, la
fase compresa tra i ventiquattro ed i trentasei mesi potrebbe essere chiamata “esplosione della
grammatica”. Quando il bambino raggiunge i tre anni di età, egli ha praticamente acquisito la padronanza
di tutte le regole della sua madrelingua.
Dagli studi di diversi ricercatori (Cipriani et al., 1993) e dai dati raccolti con la versione italiana
del questionario Mac Arthur (Caselli, Casadio, 1995) emerge, pur nella notevole variabilità nello
sviluppo, una sequenzialità di comparsa delle diverse particelle e parole funzionali della grammatica.
Simili sequenzialità sono state osservate anche nel linguaggio dei bambini di madrelingua inglese
(Brown, 1973).
In particolare, nelle espressioni linguistiche di un bambino di 22-23 mesi di vita si nota una
preferenza per le forme singolari dei nomi e dei verbi. Questi ultimi inoltre vengono spesso usati al
participio passato, in cui però viene spesso omesso l'ausiliare. Solo successivamente compare l'imperfetto
ed il gerundio, contemporaneamente all'utilizzo degli articoli, delle preposizioni e dei pronomi. Infine,
insieme al consolidamento della conoscenza di tutte le forme del verbo, compare anche l'ausiliare nelle
frasi con participio passato.
Nel corso dello sviluppo delle conoscenze grammaticali compaiono errori di generalizzazione
delle regole e questi errori confermano che l'apprendimento linguistico non è il risultato di un semplice
comportamento imitativo. Talvolta, infatti, il bambino usa le unità funzionali dove esse non sono
necessarie e non rispetta le forme irregolari dei verbi. Lo stesso fenomeno si osserva nei i bambini di
lingua inglese. Queste generalizzazioni avvengono perché il bambino, contemporaneamente ad un
arricchimento lessicale, apprende implicitamente che il linguaggio è costituito da una serie di regole che
lo rendono più idoneo per comunicare.
Sembra che esista un periodo sensibile per lo sviluppo delle abilità grammaticali. Rymer (1993) è
testimone dell'esistenza di una ragazzina di tredici anni tenuta prigioniera e in isolamento da parte dei
genitori fin dalla nascita. Quando questa ragazza fu affidata ai tutori, questi constatarono che non era in
grado di parlare né di emettere alcun suono.
Dopo quattro anni di intervento, il patrimonio lessicale della ragazza divenne simile a quello
51
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
conosciuto da un bambino di cinque anni. Se il suo vocabolario, tuttavia, si ampliava, la sua grammatica
non faceva altrettanto. Visibilmente assenti dal suo linguaggio erano, infatti, le parole funzionali che
donano coesione al linguaggio e che consentono alle persone di parlare in modo più specifico delle
relazioni fra oggetti e azioni. La ragazza mostrava un eloquio agrammatico simile a quello dalle persone
affette da afasia non fluente. Non fu, tuttavia, solo il suo sviluppo grammaticale ad essere compromesso
per sempre ma anche le sua abilità di conversazione. I ricercatori notarono che la ragazza non sembrava
mai dare avvio a una conversazione e che le sue risposte erano di carattere ecolalico.
Anche se fu in grado di apprendere alcuni aspetti del linguaggio, la ragazza non fu in grado di
includere gli elementi grammaticali che vengono appresi da bambini di molti anni più giovani. Questo
caso dimostra che l'esposizione al linguaggio non solo è necessaria per imparare a parlare, ma che deve
avvenire prima che il periodo critico per l'apprendimento linguistico abbia termine e cioè prima
dell'inizio della pubertà.
Le ricerche sull'apprendimento di una seconda lingua (e.g. Wartenburger et al., 2003) sembrano
riaffermare l'esistenza di un periodo sensibile per lo sviluppo del linguaggio, oltrepassato il quale,
sebbene le capacità di apprendimento non scompaiano del tutto, particolari abilità come quelle
riguardanti la comprensione e l'uso della grammatica e della pronuncia tendono a diminuire
notevolmente.
Insieme alla comparsa delle unità grammaticali, durante questa fase dello sviluppo si osserva un
utilizzo del linguaggio che pone il bambino ad avere un ruolo maggiormente attivo nell'interazione con
l'adulto. I bambini, infatti, si dimostrano ora in grado di chiedere e non solo di rispondere nel corso di
una conversazione.
Due sono le tipologie di domande che per prime fanno il loro ingresso nel linguaggio del
bambino. Esse sono le cosiddette “interrogative totali” (chiamate anche domande “si/no” ) e le domande
“parziali”. Le prime prevedono solo una risposta affermativa e negativa, mentre la seconda tipologia di
domande prevede come risposta una intera frase.
Nella lingua italiana è spesso sufficiente modificare l'intonazione della frase per trasformare
un'affermazione in una domanda, in altre lingue come l'inglese ed il tedesco occorre modificare l'ordine
delle parole all'interno della frase ed utilizzare il verbo ausiliare.
E' stato osservato che i bambini inglesi iniziano a formulare le domande partendo dalle
interrogative totali solo quando divengono in grado di pronunciare frasi di due o tre parole e solo dopo
aver acquisito un buon numero di verbi ausiliari e modali. Tuttavia, anche qualora i bambini siano già a
conoscenza di questi verbi, le prime domande si/no sono segnalate dall'intonazione più che
dall'inversione nell'ordine delle parole.
Le domande parziali in inglese sono spesso legate alla comparsa di verbi ausiliari e modali. Nelle
prime forme di domande parziali i bambini inglesi inseriscono subito l'avverbio o il pronome
interrogativo nella giusta posizione. Solo successivamente, però, si osserva l'inserimento di un verbo
ausiliare, prima messo nel punto sbagliato e solo dopo nel punto giusto. Anche in italiano spesso si
modifica l'ordine delle parole ma non è previsto alcun ausiliare che non sia già presente nella frase
dichiarativa corrispondente. La ricercatrice Maria Teresa Guasti (2000) ha mostrato che un'età compresa
52
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
fra i due e i tre anni i bambini italiani non hanno alcun problema a produrre frasi interrogative corrette.
Durante questa fase, inoltre, nel linguaggio del bambino si osserva un aumento della frequenza
d'uso della parola “perché”. Alcuni ricercatori sostengono che l'utilizzo incalzante di questa parola da
parte del bambino non sia finalizzato a ricevere esclusivamente delle spiegazioni ma a comprendere il
funzionamento della parola stessa e cosa consente di ottenere. Il bambino infatti utilizzandola realizza
che può tenere impegnato l'interlocutore per molto tempo e può permettergli di controllare sia la
conversazione che l'interlocutore stesso. Il fatto, inoltre, che l'utilizzo di una frase parziale contenente i
“perché” e i “come”, a differenza di altre frasi interrogative parziali, tendano a produrre risposte lunghe,
danno al bambino l'occasione di essere esposto a un lessico sempre più ricco ed a partire del quale può
costruire le sue successive conquiste grammaticali.
Da numerose ricerche, è emerso che nel bambino, fino a questa fase del suo sviluppo, sia ancora
assente la capacità di inferire il reale significato di espressioni linguistiche e che quindi interpreti queste
ultime sempre nel loro significato letterale.
Secondo Bellinger (1979), alla base della comprensione dei significati impliciti del linguaggio da
parte del bambino siano le diverse modalità con cui gli adulti, nel corso dello sviluppo, si rivolgono loro.
Mentre l'adulto si rivolge ad un bambino dell'età di un anno circa utilizzando prevalentemente
l'imperativo, a due anni e mezzo, solo circa un quinto delle frasi è di tipo direttivo e questa riduzione è
dovuta, molto probabilmente, al fatto che a questa età i bambini hanno appreso che esistono diverse
modalità per esprimersi. Il resto delle direttive è costituito da domande complete e da affermazioni in cui
si esplicita l'azione desiderata senza citare chi deve compierla.
Sembra quindi che solo quando i bambini raggiungono i cinque anni di età le madri usano il tipo
di direttive indirette sulla cui base il bambino deve inferire sia l'azione che si desidera vedere eseguita sia
colui che la deve eseguire.
Un aspetto interessante è il modo in cui le direttive delle madri si modificano diventando sempre
più esplicite se il bambino non reagisce. In questo modo infatti il bambino può comprendere
implicitamente che esistono diversi modi per comunicare o per formulare delle richieste.
E' anche vero, tuttavia, che sono necessarie specifiche abilità cognitive per la comprensione dei
significati impliciti del linguaggio, quali l'abilità astrattiva e la capacità di creare immagini mentali,
sottese dalle aree corticali prefrontali.
Alla nascita sono presenti quasi tutti i neuroni ma le connessioni sinaptiche sono ridotte. Le prime
aree cerebrali che raggiungono il completo sviluppo sono il tronco encefalico ed il mesencefalo, le quali
regolano le funzioni autonome del sistema nervoso, essenziali alla sopravvivenza (respirazione,
digestione, escrezione, termoregolazione).
Per ultime si sviluppano le aree del sistema limbico, in cui ha luogo la regolazione emozionale e
la corteccia cerebrale che premette il pensiero astratto.
Mentre la circonferenza cranica alla fine del primo anno di vita ha un incremento medio di circa
dieci centimetri, all'età tre anni essa raggiunge il novanta per cento delle dimensioni dell’età matura. La
crescita di ogni regione del cervello dipende in larga parte dalla stimolazione che riceve e quindi dalla
possibilità di creare nuove sinapsi.
53
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Dal sesto mese, la celere produzione dei neuroni rallenta notevolmente mentre accelera la
creazione di sinapsi, che si moltiplicano rapidamente fino ai quattro anni di età. Raggiungono per prime
la conformazione definitiva la corteccia visiva e quella sensoriale, solo in un secondo momento si
sviluppano le aree associative, deputate all’integrazione degli stimoli ed alla interpretazione semantica
della percezione. Così, ad esempio, se un bambino è in grado di percepire e discriminare il linguaggio dal
punto di vista fonetico già dai primi mesi di vita, solo tra i due ed i quattro anni di età lo sviluppo del suo
sistema nervoso centrale lo mette nella condizione di comprendere le proprietà astrattive ed implicite del
linguaggio.
L'emergere del pensiero astratto è riscontrabile anche nell'uso che il bambino fa, durante questa
fase dello sviluppo, del linguaggio stesso. Esso infatti viene sovente utilizzato come strumento di gioco
ed arricchito di connotati umoristici. Questo dimostra come ora per il bambino il linguaggio sia diventato
uno strumento che gli consente di descrivere la realtà esistente e di crearne di nuove. La capacità di fare
dell'umorismo denota che ora per il bambino il linguaggio non sia più legato al qui ed ora ma che può
riferirsi ad eventi ed oggetti presenti altrove ed in altri momenti, ovvero sia uno strumento per mezzo del
quale è possibile fare riferimento a realtà decontestualizzate ed immaginate.
4.2 Conclusioni
Il bambino viene al mondo dotato di una serie di requisiti che gli consentono di comunicare ed
interagire con il mondo esterno. Egli dimostra di discriminare gli stimoli acustici che percepisce durante
l'età fetale e di segmentare sequenze fonemiche già a partire dai 4 mesi. Durante questo periodo, le prime
vocalizzazioni rudimentali, caratterizzate per il fatto di contenere tutti i fonemi esistenti nel linguaggio,
tendono a diminuire mentre contemporaneamente si osserva l'emergere della lallazione. Il neonato quindi
abbandona le prime forme di comunicazioni riflesse per passare a forme di comunicazione intenzionali,
che nel corso dello sviluppo vengono utilizzate sempre più sinergicamente.
Un ruolo fondamentale sembrano avere i gesti, considerati precursori del linguaggio. A partire dai
9 mesi alle unità linguistiche, inizialmente memorizzate per le loro caratteristiche sonore, vengono
attribuiti dei significati. Quando il bambino produce la prima parola, il suo vocabolario ricettivo è
nettamente superiore a quello espressivo. A 14 mesi le espressioni verbali ed i gesti sembrano codificare
significati analoghi e sembrano attraversare processi di decontestualizzazione simili. Nei mesi successivi,
invece, il repertorio verbale si arricchisce notevolmente ma i gesti non sono semplicemente rimpiazzati
dalle parole. Piuttosto, entrambi le modalità vengono utilizzate insieme, in una combinazione cross-
modale che caratterizza il passaggio dalla fase olografica a quella delle due parole.
A 18 mesi il vocabolario si arricchisce improvvisamente e si osserva la combinazione di coppie di
parole. Le sovra estensioni delle regole lessicali (e, successivamente, delle regole grammaticali) così
come l'abilità di ricombinare le parole testimoniano che l'apprendimento del linguaggio non avviene solo
per imitazione ma anche grazie alle elaborazioni mentali. Il bambino è in grado di considerare le parole
come etichette verbali indipendenti dal contesto.
Lo sviluppo ulteriore delle abilità astrattive permettono al bambino di inferire i significati
54
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
impliciti e di inserire nel linguaggio espressivo le unità grammaticali, che nei mesi precedenti era già in
grado di riconoscere nel linguaggio udito.
Nello sviluppo del linguaggio sono implicati sia fattori biologici che socio-culturali. E' emerso che
i fattori ambientali sono fondamentali per quanto riguarda, in particolare, l'aumento quantitativo del
lessico, ma non per quanto riguarda il raggiungimento precoce delle varie tappe evolutive. Esiste infatti
un'ampia concordanza circa l'età di comparsa della lallazione, della prima parola delle prime 50 parole e
della prima combinazione di due parole. Il raggiungimento di questi traguardi di sviluppo a queste età
non è modificabile, così come non lo è l'acquisizione degli aspetti grammaticali e sintattici del
linguaggio, nemmeno in seguito ad una intensa esposizione agli stimoli linguistici. Sembra quindi che
siano determinati da una regolazione biologica. Al contrario, l'ampiezza del lessico è influenzata dalle
particolari situazione ambientali in cui il bambino vive.
55
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
5 L'acquisizione simultanea di due lingue
Questo capitolo si concentra sugli aspetti riguardanti l'acquisizione simultanea di due lingue a
partire dalla nascita. La questione principale degli studi sul bilinguismo è capire se il percorso dello
sviluppo linguistico di un bambino bilingue differisce da quello di un bambino esposto ad un solo idioma
e, in particolare, se le abilità linguistiche siano in qualche modo contrastate dal bilinguismo.
Sembrerebbe infatti che gli stadi dello sviluppo linguistico dei bambini bilingui siano caratterizzati da
ritardi o da differenti modalità di sviluppo, se paragonati a quelli di un bambino monolingue. A questo
proposito, la ricerca si è orientata nel capire in che modo i processi sottostanti lo sviluppo del linguaggio
fanno fronte a due diversi input linguistici. In questo capitolo verrano affrontati i seguenti aspetti
dell'apprendimento bilingue: lo sviluppo della morfo-sintassi, del lessico e della fonologia; il fenomeno
delle interferenze linguistiche (code-mixing), la competenza comunicativa.
5.1 Due ipotesi a confronto
L'aspetto principale che emerge dalle ricerche sull'acquisizione simultanea di due lingue è il
dibattito circa l'esistenza o meno di un sistema linguistico unitario (SLU). Secondo questa ipotesi (Swain,
1972; Leopold, 1978, Volterra & Taeschner, 1978, Redlinger & Park, 1980; Vihman, 1985) lo sviluppo
bilinguistico sarebbe caratterizzato da una prima fase in cui il bambino non differenzia i due linguaggi.
Evidenze più recenti, invece (e.g. Genesee, 1989; Meisel, 1989; Lanza, 1992; Genesee et al., 1995;
Deuchar & Quay, 1999), suggeriscono che il riconoscimento e l'utilizzo degli idiomi come due sistemi
linguistici separati sia molto precoce e possa verificarsi anche durante la fase di comparsa della prima
parola.
La prima pubblicazione che trattasse lo studio del bilinguismo dalla nascita risale al 1913 ad opera
del ricercatore francese Jules Ronjat. Essa consiste in una dettagliata descrizione dell'acquisizione
simultanea della lingua francese e tedesca da parte di Louis, figlio dell'autore. Dalla descrizione emerge
un notevole progresso nello sviluppo di entrambe le lingue ed esigui episodi di interferenza. Ronjat
attribuisce questo successo al fatto che ogni genitore, nel comunicare con il bambino, ha utilizzato
sempre solo una delle due lingue (regola di Grammont, Ronjat, 1913).
Questa conclusione, tuttavia, è stata in seguito messa in discussione da W. Leopold, il quale nel
1949 pubblicò un diario riguardante l'acquisizione simultanea delle lingue inglese e tedesco osservata in
sua figlia Hildegard. L'autore riporta che, malgrado sia stata osservata la regola di Grammont, la bambina
ha attraversato uno stadio in cui utilizzava parole di entrambe le lingue anche all'interno della stessa
espressione, come se facessero parte di un unico sistema linguistico (Leopold, 1949).
Le conclusioni di Leopold sono state confermate nel 1978, anno in cui fu pubblicata una nuova
ricerca che ha avuto come autrici Virginia Volterra e Traute Taeschner, nel corso della quale è stato
osservato lo sviluppo bilingue per il tedesco e l'italiano di due bambine, figlie di una delle autrici. Da
questo studio è emerso che entrambe le bambine hanno attraversato una fase in cui le loro espressioni
contenevano indistintamente vocaboli di entrambe le lingue, sostenendo quindi l'ipotesi del SLU.
57
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Secondo le autrici (1978): “Durante il primo stadio i bambini presentano un sistema lessicale che
include parole di entrambe le lingue..., in questo stadio lo sviluppo del linguaggio dei bambini bilingui
sembra essere come lo sviluppo linguistico di un bambino monolingue. ...Durante il secondo stadio i
bambini distinguono i due differenti lessici, applicando tuttavia le stesse regole sintattiche ad entrambe le
lingue. Nel terzo stadio, invece, i due lessici sono perfettamente differenziati, sia dal punto lessicale che
sintattico”. Volterra & Taeschner (1978), quindi, suddividono lo sviluppo linguistico del bambino
bilingue in tre fasi principali.
Prima fase. Nel corso di questa fase, che inizia in occasione della comparsa della prima parola e
può protendersi fino ai tre anni di età del bambino, il lessico risulta privo di equivalenti (per una
definizione dei termini equivalenti vedi paragrafo 5.3), anche nei casi in cui questi gli vengano forniti
continuamente dall'ambiente. Il sistema lessicale quindi è formato da vocaboli di entrambe le lingue,
dove i termini di una lingua non hanno ancora un significato equivalente ai termini dell'altra.
Per Volterra & Taeschner, quindi, durante questa fase le parole del bambino bilingue formano un
unico lessico. Egli è in grado di comprendere entrambe le lingue ma, benché sia anche in grado di
esprimersi utilizzando vocaboli appartenenti all'una e all'altra lingua, è come se ne possedesse una sola,
che non si identifica totalmente con nessuna delle due bensì costituisce un unico insieme formato da
vocaboli di entrambe le lingue.
Seconda fase. Nella seconda fase dello sviluppo linguistico, le autrici ritengono che il bambino
bilingue inizi a costruire un vero e proprio sistema di equivalenze. Egli acquisisce, infatti, gli equivalenti
di parole che già sta usando da qualche tempo e, anche se con meno frequenza, coppie di
parola/equivalente che compaiono contemporaneamente. Secondo questa ipotesi sembrerebbe, quindi,
che il bambino bilingue, per riferirsi ad oggetti o eventi, impari prima bene ad usare la parla di una lingua
e solo dopo averla usata per un certo periodo di tempo inizi ad usare anche il suo equivalente (Taeschner,
1985).
Terza fase. Durante questa fase i due lessici sono completamente distinti ed il bambino è ora in
grado di utilizzare le lingue che ha a disposizione adattandole perfettamente alle circostanze senza
compiere alcuna forma di interferenza.
L'ipotesi di Volterra e Taeschner, quindi, propone che lo stadio iniziale dello sviluppo linguistico
di un bambino bilingue sia essenzialmente monolingue e che i due idiomi si sviluppino in maniera
interdipendente. L'acquisizione del linguaggio deriverebbe da sistematiche influenze dello sviluppo di un
idioma sull'altro e seguirebbe un percorso di sviluppo differente da quello che si osserva nei bambini
monolingui.
Volterra e Taeschner (1978) trovano conferma della teoria del sistema unico considerando
l'evoluzione dal primo al secondo stadio del realismo nominale descritta Piaget (1926). Secondo l'autore,
durante il primo stadio “esiste la convinzione presente nei bambini che il nome di un oggetto trovi la sua
giustificazione nelle caratteristiche dell'oggetto stesso, che abbia avuto origine assieme alla cosa e che
non possa essere modificato o sostituito, pena la modificazione della cosa stessa”.
Nel secondo stadio, invece, “il bambino ammette che il nome sia stato dato da qualcuno, che esso
non sia necessariamente insito nella cosa e che la sostituzione, pur essendo possibile, sia da evitare
58
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
perché creerebbe confusione ed incomprensione fra le persone”.
L'ipotesi del sistema linguistico unitario è inoltre sostenuta dal “principio del contrasto” di Eve
Clark (1987) o di mutua esclusitivà di Markman (1989), secondo cui i bambini monolingui tendano a
rifiutare l'acquisizione di una parola sinonima ad una già conosciuta. Applicata allo sviluppo bilingue,
quindi, i bambini dovrebbero rifiutare l'utilizzo di un termine in una lingua, se hanno già appreso il suo
equivalente nell'altra.
I ricercatori che sostengono l'approccio teorico secondo cui le rappresentazioni dei due linguaggi
siano subito differenziate (SLD) (e.g. Genesee, 1989, Lindholm & Padilla, 1978; Goodz, 1989; de
Houwer, 1990; Meisel, 1990, Lanza, 1992; Genesee et al., 1995; Deuchar & Quay, 1999) ritengono che
l'ipotesi del SLU sia il risultato di metodologie di ricerca probabilmente errate.
Questi autori sottolineano infatti che i risultati di queste ricerche sono stati ottenuti comparando le
abilità linguistiche di bambini bilingui con quello bambini monolingui per gli stessi linguaggi. Tale
approccio di studi tende a considerare come forme deficitarie le differenze osservate nel pattern di
sviluppo linguistico bilingue, se paragonato a quello monolingue (Cook, 2002). Inoltre gli autori
sottolineano che i dati inerenti il patrimonio lessicale dei bambini bilingui sono stati in precedenza
raccolti tramite metodi non standardizzati di ricerca e su campioni di bambini piuttosto esigui. Approcci
di studio come questi non permettono una comparazione attendibile tra i risultati delle diverse ricerche.
L'utilizzo invece di nuovi strumenti standardizzati (Questionari Mc Arthur, CDI, 1989) permette di
raccogliere informazioni circa l'acquisizione lessicale in maniera scientifica.
L'approccio teorico del SLU si basa sull'evidenza che fino ai tre anni di età circa l'espressione
linguistica dei bambini bilingui sia caratterizzata da una serie di interferenze ricorrenti soprattutto a
livello morfologico, lessicale e sintattico. I ricercatori che sostengono l'ipotesi del SLD invece,
suggeriscono che questi fenomeni di interferenze non siano sufficienti a sostenere l'ipotesi del sistema
linguistico differenziato.
Essi infatti riportano che i fenomeni di interferenze sono piuttosto comuni anche nell'espressione
bilingue adulta e all'interno delle comunità nelle quali crescono i bambini bilingui. Coloro i quali
sostengono l'ipotesi del sistema linguistico differenziato, quindi, suggeriscono che, probabilmente, le
interferenze o per lo meno una certa percentuale di esse venga appresa direttamente dal linguaggio udito.
5.2 Lo sviluppo delle abilità fonologiche
I bambini bilingui, proprio perché esposti a due linguaggi, possiedono un repertorio fonologico
più ricco rispetto ai monolingui. I ricercatori hanno cercato quindi di comprendere se lo sviluppo
fonologico dei bambini esposti simultaneamente a due lingue segue lo stesso pattern di sviluppo dei
bambini monolingui sia per quanto riguarda la percezione che la produzione.
Diverse ricerche hanno riportato che i bambini bilingui posseggono due distinti sistemi fonologici.
E' opportuno, tuttavia, interpretare molti degli studi che si sono concentrati sullo sviluppo fonologico con
cauzione, in quanto i campioni presi in considerazione differiscono tra loro sia per quanto riguarda l'età
dei bambini, sia per quanto riguarda le coppie di linguaggi. In ogni caso, il quadro che ne emerge indica
59
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
che i bambini bilingui mostrano la tendenza ad avere diversi pattern di sviluppo ritmico e fonologico, in
confronto ai bambini monolingui (Vihman, 1996).
Le ricerche che si sono concentrate sulla percezione linguistica tipica dello stadio di sviluppo
linguistico pre-verbale hanno mostrato che i neonati monolingui possono discriminare la lingua madre da
lingue sconosciute (Mehler, Dupoux, Nazzi & Dehaene-Lambertz, 1996) anche qualora esse non
differiscano per l'aspetto ritmico (es. spagnolo e catalano) (Bosch & Sebastian-Galles, 1997). Questa
precoce abilità nel discriminare le lingue, anche se solo da punto di vista fonetico, può essere considerata
una prova dell'esistenza di due separati sistemi linguistici a partire dai primi stadi dell'acquisizione.
Dalle ricerche è emerso che, per quanto riguarda la percezione di segmenti linguistici, i bambini
bilingui presentano lo stesso andamento di sviluppo dei loro pari monolingui ma con un raggiungimento
degli stadi lievemente spostato in avanti rispetto a questi ultimi.
I neonati monolingui, infatti, si dimostrano in grado di discriminare contrasti fonetici che non
appartengono alla lingua madre (vedi per una review Vihman, 1996). In ogni caso sembra che divengano
abili nel discriminare contrasti fonetici propri del loro linguaggio dopo i 6 mesi di vita. In particolare, i
contrasti a livello delle vocali sono percepiti dopo i 6-8 mesi di vita (Bosch & Sebastian-Galles, 2003;
Kuhl et.al., 1992) mentre i contrasti a livello di consonanti verso gli 8-10 mesi di vita (Werker & Tees,
1984).
I neonati bilingui attraversano stadi simili, ma presentano gli effetti specifici delle lingue alle quali
sono esposti più tardi se confrontati col gruppo dei pari monolingui: la percezione dei contrasti a livello
di vocali avrebbe luogo a 12 mesi di età (Bosch & Sebastian-Gallés, 2003), mentre quella a livello di
consonanti dai 14 ai 21 mesi di età (Bruns, Werker & Mc Vie, 2002).
Ritardi simili sono stati riscontrati anche nell'abilità ad utilizzare contrasti fonetici al fine di
apprendere le parole. In particolare, Fennel, Polka & Werker (2002) hanno riportato che mentre i
bambini monolingui si dimostrano abili nell'associare nuove parole che differiscono solo per un minimo
contrasto consonantico (ad esempio /bi-di/) a 17 mesi di età, i bilingui divengono abili nell'eseguire
questo compito a 20 mesi di età.
Polka & Sundara (2003) hanno invece riscontrato che, in compiti di isolamento delle parole nel
flusso del parlato, sia i bambini bilingui che quelli monolingui divengo abili nell'eseguire questo compito
a 7 mesi di età. E' anche vero, tuttavia, che la precoce abilità di riconoscimento delle parole può essere
sensibile, sia per i bambini bilingui che monolingui, alla quantità di tempo in cui essi sono esposti alle
lingue. Vihman et. al., (2005) ad esempio, ha riscontrato che bambini bilingui per il gallese e l'inglese di
11 mesi di età fallirono nel dimostrare differenti preferenze per parole famigliari e non famigliari, al
contrario di bambini monolingui per l'inglese della stessa età. Gli autori, tuttavia, riportano che anche
bambini di 11 mesi di età monolingui per il gallese fallirono nel dimostrare preferenze per parole
famigliari. Questo può quindi suggerire che le performance dei bambini bilingui e monolingui in
riferimento ad una lingua possono essere dovute ad un relativo uso inferiore dei quest'ultima.
Per quanto riguarda la produzione linguistica, le ricerche riportano diverse evidenze. Oller et al.,
(1997) hanno riscontrato che l'età di inizio della lallazione (intorno alle 27 settimane di vita) è lo stesso
sia per il gruppo di neonati bilingue anglo-spagnoli che per il gruppo dei monolingui inglesi da loro
60
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
osservati. Maneva & Genesee (2002), hanno riscontrato, in bambini bilingue di 10-15 mesi di età franco-
inglesi, lallazioni differenziate, corrispondenti alla lallazione tipica osservata in bambini della stessa età
monolingui inglesi e francesi. In contrasto, tuttavia, Poulin-Dubois & Goodz (2001) non hanno
riscontrato alcuna differenza specifica per linguaggio nella lallazione di bambini bilingui franco-inglesi
della stessa età.
In conclusione, se e quando i bambini esposti simultaneamente a due lingue posseggano due
repertori di segmentazione linguistica specifica per ogni lingua non è chiaro. In alcuni studi la
segmentazione fonologica dei bambini bilingui appare simile a quella dei bambini monolingui della
stessa età (Barlow, 2002; Bell, Mueller & Munro, 2001; Holm & Dodd, 1999) in altri invece emerge un
ritardo o differenti pattern nei bambini bilingui in confronto ai loro pari monolingui (Deuchar & Clark,
1996; Johnson & Wilson, 2002; Schnitzer & Krasinski, 1994).
La variabilità osservata nello sviluppo fonologico dei bambini esposti simultaneamente a due
lingue può essere dovuta a molteplici fattori, alcuni indipendenti, altri specifici del bilinguismo. Per
quanto riguarda i fattori indipendenti dal bilinguismo, diversi autori sottolineano il fatto che esiste una
certa variabilità per quanto riguarda l'età in cui gli organi articolatori raggiungono lo sviluppo adeguato
all'espressione linguistica (Schitzer & Krasinski, 1994, 1996; Kehoe et al., 2004). Le ricerche volte ad
analizzare lo sviluppo fonologico hanno utilizzato, invece, il parametro dell'età anziché il livello di
sviluppo fisico raggiunto. Tra i fattori specifici del bilinguismo emergono gli effetti di differenti coppie
di linguaggi e differenti modalità con cui i bambini considerati nelle ricerche sono stati esposti alle due
lingue.
5.3 L'acquisizione delle parole
L'ipotesi secondo qui un bambino bilingue attraversi una fase durante la quale le due lingue non
sono differenziate si basa sulla logica per cui il sistema neurologico umano sia predisposto per acquisire
una sola lingua e che l'esposizione a due o più idiomi richieda tempo ulteriore per permettere lo stabilirsi
di connessioni neurali addizionali, determinando così ritardi nel raggiungimento delle tappe maturative.
Questa assunzione conduce a ritenere l'esistenza di ritardi nel raggiungimento delle progressive
tappe dello sviluppo bilinguistico del bambino (comparsa delle prime parole, delle prime 50 parole, del
parlato telegrafico), soprattutto nei casi in cui l'esposizione alle lingue non sia equilibrata (Watson, 1996;
Chiocca, 1998).
Diversi ricercatori invece hanno riportato evidenze secondo qui il raggiungimento delle varie
tappe di sviluppo linguistico osservato nei bambini bilingui non sembra differire da quello dei loro pari
monolingui.
In particolare, da studi che hanno esaminato l'età di comparsa della prima parola non emergono
differenze tra i bambini bilingui e monolingui (Genesee, 2003; Patterson & Pearson, 2004). Questi autori,
infatti, riportano che in entrambi i gruppi la prima parola viene espressa mediamente entro i primi 13
mesi di vita.
Petitto et al., (1985, 1988, 1990, 2001) riportano che il campione di bambini bilingui da loro
61
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
osservato raggiungeva mediamente le tappe dello sviluppo linguistico similmente per ognuna delle due
lingue ed alle stesse età di un bambino monolingue.
Pearson et al., (1993, 1994) hanno osservato l'andamento dello sviluppo bilinguistico in gruppi di
bambini di età compresa dagli 8 mesi ed i 2 anni e sei mesi di vita. I dati sono stati raccolti tramite la
compilazione del questionario Mac Artur Communicative Development Inventory (CDI) da parte dei
genitori. Gli autori, confrontando i dati del campione di bambini bilingui con quelli del gruppo dei
monolingui, non hanno riscontrato differenze per quanto riguarda sia il raggiungimento delle varie tappe
dello sviluppo linguistico, sia per quanto riguarda lo sviluppo quantitativo del lessico.
Pearson et al. hanno suggerito che le eventuali differenze di sviluppo linguistico riscontrate tra i
due gruppi non siano imputabili all'esposizione precoce a due idiomi, ma ad una variabilità di condizioni
socio-culturali alle quali i bambini sono esposti.
Sembra quindi che queste evidenze non confermino l'ipotesi secondo cui l'esposizione precoce a
due lingue determini un ritardo nel raggiungimento delle tappe maturative dello sviluppo linguistico. In
realtà esiste una grande variabilità nell'età di raggiungimento delle varie tappe non solo nei bambini
bilingui, ma anche nei monolingui. Mentre, ad esempio, un'ampia percentuale di bambini produce la
prima parola verso i 14/16 mesi, altrettanti lo fanno dai 18 ai 30 mesi (Rescorla, 1989).
Nel processo di acquisizione del lessico bilingue un aspetto fondamentale è l'acquisizione dei
sinonimi inter-lingua. Tali sinonimi sono stati chiamati equivalenti per non confonderli con i sinonimi
che occorrono all'interno di un unico sistema linguistico (sinonimi intra-lingua). Le parole italiane “casa”
e “abitazione”, ad esempio, sono considerate dei sinonimi intra-lingua, le parole “home” e “casa” sono
considerati equivalenze. Il concetto di equivalenza può essere usato non solo per le parole, come nel caso
dei sinonimi, ma anche per le frasi. Ad esempio, la frase in lingua tedesca “ich möchte heute Maria
besuchen”, è equivalente alla frase espressa in lingua italiana “oggi vorrei visitare Maria”.
Uno degli aspetti fondamentali dello sviluppo bilingue su cui i ricercatori hanno focalizzato
l'attenzione è capire l'età e la modalità di comparsa degli equivalenti nel lessico dei bambini esposti a due
idiomi. Questo è un approccio empirico con importanti risvolti teorici in quanto la presenza o meno degli
equivalenti nelle loro prime espressioni verbali può confermare o contraddire l'ipotesi del sistema
linguistico unitario.
Mentre un primo gruppo di ricerche ha dimostrato un'assenza di termini equivalenti durante la
prima fase dello sviluppo linguistico (Voltera e Taeschner, 1978, Leopold, 1949), successivamente nuove
evidenze testimoniano che anche a partire dalla fase di comparsa della prima parola i bambini si
dimostrano in grado di utilizzare i sinonimi inter lingua, adattando il proprio linguaggio al contesto (e.g.
Pearson et al., 1995; Lanvers, 1999; Nicoladis e Secco, 2000).
Taeschner (1983) propone una spiegazione circa le modalità di acquisizione degli equivalenti.
Secondo la ricercatrice essi vengono appresi dal bambino in due diverse modalità: in seguito
all'esposizione agli equivalenti in contesti differenti oppure contemporaneamente e nello stesso contesto.
5.3.1 Imparare gli equivalenti in contesti diversiSecondo Taeschner (1983) l'apprendimento di vocaboli equivalenti in contesti diversi ha luogo
62
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
quando il bambino è esposto ai due termini appartenenti alle diverse lingue in luoghi, momenti e
situazioni differenti, caratterizzati, quindi da diversi campi pragmatico-semantici (Rosch, 1973, 1978;
Fillmore, 1976, 1978; Bowerman, 1976, 1978; Bamberg, 1979).
Come fa notare Jespersen (1953): “anche quando il significato letterale può considerarsi lo stesso,
le associazioni suggerite dalle parole variano nelle diverse lingue”.
Nel caso, ad esempio, di un adulto monolingue italiano che impara una seconda lingua con il
metodo della traduzione, una parola straniera come “tree”, acquisisce i connotati semantici della parola
“albero”.
Quando invece un bambino è esposto precocemente a due equivalenti in due differenti campi
pragmatico – semantici, conosce e sperimenta questi ultimi contemporaneamente con due diversi simboli
linguistici. Secondo Taeschner (1983) affinché il bambino comprenda che i due termini rappresentano il
medesimo significato è necessaria che egli compia un processo di generalizzazione tra i due campi
pragmatico-semantici.
Sulla base di alcune teorizzazioni provenienti dallo studio della pragmatica e della semantica
(Rosch, 1973, 1978; Fillmore, 1976, 1978; Bowerman, 1976, 1978; Bamberg, 1979) Taeschner
suggerisce che la rappresentazione mentale degli equivalenti nei bambini bilingui avvenga grazie
all'estrapolazione dell'unico elemento generalizzante comune ad entrambi i campi pragmatico-semantici
(il prototipo) che, secondo Bowerman (1978) può essere di ordine funzionale o percettivo.
Secondo la ricercatrice: “il bambino può chiamare “specchio” una vetrina, un tavolo lucido, un
cucchiaio d'argento, oltre che lo specchio stesso, se la caratteristica “riflette” si trova nell'insieme delle
caratteristiche degli altri oggetti nominati, indipendentemente dal fatto che questi diversi oggetti siano
stati presentati a lui in contesti differenti (i campi pragmatico – semantici)”.
Si può avere, quindi, un campo pragmatico – semantico ed un prototipo per la parola “Spiegel”
(specchio in tedesco) ed altrettanto per la parola “specchio”, che è possibile rappresentare graficamente
come nella figura seguente, se i contesti in cui i vocaboli sono stati acquisiti sono diversi.
Il parallelogrammo al centro di ciascun cerchio rappresenta un prototipo, che in questo caso è di
tipo funzionale: serve per vedersi. Gli altri simboli del cerchio a sinistra rappresentano le caratteristiche
63
Figura 5.1: Tratta da T. Taeschner, 1983.
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
contestuali della parola “Spiegel” (il campo pragmatico – semantico), mentre i simboli presenti nel
cerchio di destra rappresentano le altrettante caratteristiche contestuali della parola “specchio”, come ad
esempio l'interlocutore presente in quel dato momento in cui il bambino è stato esposto al nuovo
vocabolo, la lingua usata, il luogo, l'oggetto a cui ci si riferisce ecc.
Fintanto che il bambino non estrapola, attraverso la capacità di decontestualizzazione, la
caratteristica comune a questi due vocaboli (il prototipo funzionale “serve per riflettere”) “specchio” e
“Spiegel” secondo la teoria di Taeschner non vengono considerati equivalenti.
L'elemento generalizzante è quindi il concetto ed è questo che sarà denominato con un simbolo
verbale.
Il punto, quindi, è che non sarà il significato complessivo di “Spiegel” che verrà considerato
equivalente al significato complessivo di “specchio”, ma soltanto i relativi prototipi. I campi pragmatico
– semantici delle due parole, infatti, non combaciano e quindi non possono essere considerati equivalenti.
5.3.2 Imparare gli equivalenti nello stesso contestoTaeschner (1983) illustra il processo nel corso del quale il bambino bilingue apprende i vocaboli
equivalenti nello stesso contesto tramite il racconto di un esperimento, realizzato dall'autrice stessa.
Nel corso di tale esperimento è stata narrata una storia ad una bambina bilingue inglese – italiana.
Il racconto è avvenuto nello stesso momento e situazione contestuale ma in due lingue diverse, inglese ed
italiano, da parte di due persone, una di madre lingua tedesca ed una di madre lingua italiana, rispettando
quindi la regola di Grammont.
In questa situazione il campo pragmatico-semantico è per ognuna delle due lingue lo stesso e la
bambina dovrebbe imparare contemporaneamente le nuove coppie di equivalenti.
Nella storia raccontata alla bambina sono stati usati alcuni oggetti dall'aspetto nuovo che
rappresentavano personaggi con nomi originali. I due adulti raccontavano ognuno una parte di storia,
ripetendo anche quello che l'altro adulto aveva precedentemente detto. Gli oggetti venivano spostati
durante lo svolgimento della storia. Al termine del racconto, per un breve periodo di tempo gli adulti
hanno continuato a parlare dei personaggi e degli oggetti comparsi nella storia. La bambina si è
dimostrata subito in grado di utilizzare correttamente le nuove coppie di equivalenti acquisite, senza
difficoltà di sorta, sia su richiesta che spontaneamente.
Secondo la ricercatrice, tuttavia, la bambina è stata in grado di apprendere contemporaneamente le
coppie di equivalenti perché si trovava già nella seconda fase dello sviluppo bilinguistico, in quanto
possedeva già un notevole numero di equivalenti (vedi oltre). Se invece il bambino è ancora nella prima
fase, il livello di sviluppo delle sue abilità astrattive non gli consentono ancora di realizzare
completamente l'esistenza di due codici diversi. In questo caso, infatti, la coppia di equivalenti verrebbe
usata come un nome unico composto da entrambi i termini (Taeschner, 1983).
Volterra e Taeschner (1978) affermano infatti che, nel processo di acquisizione delle parole, i
bambini utilizzano entrambi i sinonimi solo dopo aver imparato ad utilizzare il vocabolo nella prima
lingua in cui è stato presentato, soprattutto se questo avviene in contesti diversi e quando il bambino si
trova nella prima fase di sviluppo del bilinguismo. Sembra quindi che, almeno inizialmente, i bambini
64
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
restino saldamente ancorati al contesto in cui tali termini sono stati appresi e soprattutto a quello in cui il
nuovo vocabolo è stato presentato per la prima volta.
Secondo Taeschner l'aumento degli equivalenti è graduale e la curva che esso delinea è simile a
quella delle nuove acquisizioni. La comparsa degli equivalenti, tuttavia, sembra essere successiva a
quella della prima parola per una lingua e dal punto di vista quantitativo i valori della curva degli
equivalenti rimangono sempre più bassi rispetto alla curva delle nuove acquisizioni, come si può vedere
dai seguenti grafici.
Da questi grafici è possibile osservare che, nella ricerca di Volterra e Taeschner (1978), quando il
bambino bilingue è già in piena seconda fase e possiede un numero elevato di equivalenti,
l'apprendimento di questi ultimi continua ad essere inferiore rispetto all'apprendimento di parole nuove di
una singola lingua.
Secondo le autrici, quindi, il bambino esposto a due lingue dalla nascita, nel crearsi un sistema
lessicale bilingue, tende a non produrre contemporaneamente due vocaboli per un oggetto, ma prima
acquisisce il vocabolo in una delle due lingue e solo dopo averlo appreso ed utilizzato per un periodo di
tempo, userà l'equivalente di questo vocabolo nell'altra lingua.
Inoltre, sembra che sia durante la prima che la seconda fase di acquisizione del linguaggio la
quantità degli equivalenti sia inferiore alla quantità di parole che indicano concetti nuovi. Esse pertanto
hanno suggerito che nello sviluppo bilinguistico l'acquisizione di parole nuove ha la precedenza sullo
sviluppo del lessico per equivalenti.
In contrasto alle ipotesi di Volterra e Taeschner, diversi ricercatori hanno riportato che i bambini
bilingui sono in grado di acquisire equivalenti a partire dal primo stadio di produzione linguistica
(Pearson, Fernàndez & Oller, 1995; Genesee, 1994, De Houwer, 1990; Meisel, 1990; Lanza, 1992;
Goodz, 1994) o per lo meno entro i primi 8 mesi dal suo inizio (Deuchar & Quay, 2000; Genesee,
Paradis & Wolf, 1995; Nicoladis, 1998; Nicoladis & Genesee, 1996; Quay, 1995). In particolare, Lanvers
(1999) Nicoladis e Secco (2000) riportano che, mentre entro i primi 17 mesi di vita i bambini bilingui
utilizzano relativamente pochi equivalenti, a partire da questa età la percentuale aumenta
65
Grafico 5.1: Curve dell'acquisizione iniziale dei nomi (-) e dei loro equivalenti (--) in Lisa, bambina bilingue italo-tedesca (T. Taeschner, 1983).
Grafico 5.2: Curve dell'acquisizione iniziale dei nomi (-) e dei loro equivalenti (--) in Giulia, bambina bilingue italo-tedesca (T. Taeschner, 1983).
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
improvvisamente fino a comprendere il 20-25% del loro vocabolario totale.
Comparando queste evidenze con i dati rappresentati nei grafici 5.1. e 5.2 è possibile notare un
certo anticipo per quanto riguarda l'età di comparsa degli equivalenti nel campione osservato da questi
ricercatori. Taeschner riporta che in Lisa il primo equivalente compare poco prima dei 22 mesi ed in
Giulia a 20 mesi. Lanvers, Nicoladis e Secco, invece, hanno osservato che esso compare prima che i
bambini compissero 17 mesi.
Genesee (1994) inoltre, suggerisce che la precoce abilità nel differenziare le due lingue non sia il
risultato di un apprendimento che emerge dalla costanza con cui i genitori parlano loro, ma una risposta
adattiva immediata al contesto linguistico.
Risultati simili sono emersi anche dallo studio di Meisel et al., (1990) i quali riportano che i
bambini da loro osservati erano in grado di scegliere la lingua opportuna in base alle esigenze immediate
della conversazione che stavano avendo con una persona estranea, senza compiere interferenze.
Un ulteriore evidenza a sostegno dell'ipotesi della comparsa precoce di equivalenti proviene dalla
ricerca di Pearson et al., (1995) i cui dati sono stati ricavati per mezzo della somministrazione del
questionario Mc Artur (CDI). Esaminando il vocabolario di bambini bilingui per l'inglese e lo spagnolo
di età compresa tra gli 8 ed i 30 mesi, gli autori hanno riportato che il 30% dei loro vocabolari conteneva
termini equivalenti.
Gli autori inoltre suggeriscono che la variabilità nel numero di equivalenti riscontrata può essere il
risultato di diversi atteggiamenti educativi adottati dai genitori, come ad esempio l'utilizzo di equivalenti
da parte dei genitori stessi oppure la tolleranza o il totale rifiuto nell'accettare interferenze linguistiche
lessicali nel linguaggio dei figli.
Secondo Pearson et al., (1995) infine, il lessico dei soggetti osservati da Taeschner era privo di
equivalenti durante la prima fase di sviluppo lessicale perché forse le bambine non necessitavano di
averne, in quanto probabilmente i discorsi intrattenuti con ogni genitore trattavano argomenti diversi.
5.3.3 Lo sviluppo della struttura frasale di baseGli argomenti che verranno di seguito approfonditi riguardano lo sviluppo della struttura frasale
nell'esposizione simultanea a due lingue: lo sviluppo delle varie strutture delle frasi segue un percorso
parallelo nelle due lingue oppure certe strutture, ritenute più complesse in una delle due lingue, vengono
acquisite successivamente? Come si svolge il graduale evolversi delle frasi dei bambini che, dalle singole
parole, arrivano ad un linguaggio sempre più simile a quello dell'adulto? Questo evolvere della struttura
della frase è identico in bambini bilingui e monolingui?
Si può definire con il termine “frase” una combinazione di parole che hanno una relazione tra
loro. La parola che stabilisce tale relazione viene chiamata predicato e gli altri elementi della frase
vengono chiamati argomenti (Parisi e Antinucci, 1973). Una frase può essere di tipo nucleare o
binucleare.
La frase nucleare. Una frase completa che ha un predicato con i suoi argomenti viene definita
frase nucleare semplice. E' il significato del predicato a determinare il numero ed il tipo di relazioni tra
gli altri elementi. Il predicato “mettere”, ad esempio, richiede tre argomenti: chi mette, cosa si mette ed il
66
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
luogo dove si mette. Il predicato “avere”, invece, richiede due argomenti: chi possiede e che cosa si
possiede (nella frase “io ho la matita” gli argomenti, pertanto, sono: “io” e “matita”). Ogni predicato,
quindi secondo il suo significato, richiede un numero diverso di argomenti. Inoltre, in alcuni predicati,
oltre agli argomenti obbligatori, possono essere presenti anche quelli facoltativi. In “maria legge un
libro” ad esempio, Maria” è l'argomento necessario, “legge” il predicato e “libro” è l'argomento
facoltativo.
Una frase nucleare si dice incompleta quando manca il predicato oppure uno degli argomenti
necessari. Ad esempio, nella frase “io metto la macchina” manca un argomento obbligatorio al predicato
“metto” (il luogo in cui “metto”) pertanto tale frase nucleare è incompleta.
Le frasi nucleari possono essere ampliate e complesse. Una frase nucleare ampliata contiene uno o
più elementi non previsti dal significato stesso del predicato e pertanto ci fornisce delle informazioni
aggiuntive rispetto alla frase nucleare semplice (Parisi e Antinucci, 1973). Gli elementi aggiunti possono
riferirsi al predicato e quindi a tutta la frase nucleare o soltanto ad uno degli argomenti. Ad esempio nella
frase nucleare ampliata “ora di do uno schiaffo” , “ora” è un elemento facoltativo che si riferisce al
predicato “dare”; nella frase “ho toccato la macchina di zia Luisa”, l'argomento facoltativo “di zia Luisa”
si riferisce all'argomento obbligatorio “macchina”.
Nelle frasi nucleari complesse, invece, sono comprese due tipi di strutture, le inserite e relative.
Nelle frasi inserite un argomento del predicato è a sua volta una frase. Nelle frasi relative un certo tipo di
elemento aggiunto è a sua volta costituito da una frase.
Un esempio di frase nucleare complessa con struttura inserita è il seguente: “io vado a prendere la
torta”, dove “a prendere la torta” è uno degli argomenti del predicato andare. Anche la frase “guarda
Alessandro io che faccio con la macchina bianca” è un esempio di frase nucleare complessa con struttura
inserita, in cui “io che faccio con la macchina bianca”è l'argomento del predicato “guardare”.
Un esempio di frase relativa è: “questa è la mucca che fa mù”, dove “che fa mù” è
un'informazione aggiuntiva rispetto alla frase nucleare “questa è la mucca”.
La frase binucleare. La frase binucleare è costituita da due strutture nucleari. In questo caso le
strutture frasali non sono, come nelle nucleari complesse, incastrate l'una nell'altra, ma si presentano in
forma coordinata e subordinata. Ad esempio nella frase “io porto la macchina e parlo con mamma”, si ha
una frase binucleare coordinata. Nella frase “quando un bambino rompe il giocattolo la mamma si
arrabbia” si hanno due frasi nucleari subordinate.
Nello studio di Taeschner (1983) è stato analizzato lo sviluppo della capacità di formulare frasi in
due bambine italo-tedesche (Lisa e Giulia) a partire dai 14 mesi (periodo in cui le bambine erano in grado
di pronunciare singole parole) fino ai 3 anni e 4 mesi. Dai risultati di questo studio è emerso che l'autrice
distingue 3 fasi nello sviluppo della struttura della frase.
• Durante la prima fase le frasi delle bambine sono formate soltanto di strutture nucleari complete
o incomplete.
• Durante la seconda fase le bambine acquisiscono anche le altre strutture di base: le ampliate, le
complesse e le binucleari. Queste ultime due strutture, però, sono soltanto giustapposte, in
67
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
quanto il connettivo è ancora assente.
• Durante la terza fase le bambine acquisiscono anche le frasi complesse e binucleari strutturate
con il connettivo.
Come verrà illustrato di seguito, le bambine hanno attraversato queste tre fasi
contemporaneamente nelle due lingue.
5.3.4 La prima fase dello sviluppo strutturale della fraseNella ricerca di Taeschner i primissimi esempi di struttura nucleare si possono già rintracciare
nelle “costruzioni verticali”. Secondo Scollon (1978) si ha una costruzione verticale quando due o più
enunciati di una parola sono collegati nel loro significato e nella vicinanza temporale, ma non
nell'andamento intenzionale. Scollon ci mostra che la parola singola del bambino è una parte di un
enunciato più complesso, dove le parti vengono verbalizzate dal bambino a volte con l'aiuto
dell'interlocutore, a volte solo dopo una pausa, con o senza ripetizioni.
Le strutture verticali sono comparse nel linguaggio di Lisa e Giulia, sia in tedesco che in italiano.
Le bambine, come nei dati riportati da Scollon, ad un'età di un anno e sette mesi una e un anno e due
mesi l'altra, hanno prodotto enunciati di due parole composte da un predicato ed un argomento oppure
due argomenti. Le bambine producono questi enunciati con pause, con ripetizioni della stessa parola e
spesso hanno bisogno dell'intervento dell'adulto per continuare l'enunciato.
In seguito le bambine iniziano ad esprimersi con una struttura in cui le ripetizioni di una parola, le
pause e l'intervento dell'adulto fra i vari elementi dell'enunciato diminuiscono. Queste sono le frasi
nucleari vere e proprie. Inizialmente le frasi nucleari di Lisa e Giulia sono soprattutto incomplete,
formate cioè da strutture dove manca il predicato oppure un argomento. Le nucleari incomplete
aumentano gradualmente, hanno un periodo in cui sono molto numerose e poi, sempre gradualmente,
diminuiscono di nuovo, in rapporto al graduale andamento delle nucleari complete, come è visibile nei
grafici 5.3 e 5.4.
Le nucleari incomplete senza predicato spariscono completamente, mentre quelle in cui manca un
argomento continueranno a comparire sporadicamente.
68
Grafico 5.3: Lisa, nucleare incompleta (-); nucleare completa (--).
Grafico 5.4: Giulia, nucleare incompleta (-); nucleare completa (--).
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Quindi, in questa ricerca, è possibile osservare che per entrambe le lingue la struttura nucleare
completa, anche se compare contemporaneamente alla nucleare incompleta, diviene più frequente solo
successivamente, quando le incomplete iniziano a diminuire gradualmente fino a comparire soltanto in
pochi esempi. D'altro canto, anche secondo Leopold (1956) le strutture nucleari complete compaiono
prima delle incomplete, mentre Stern e Stern (1928) osservano la comparsa contemporanea di queste due
strutture.
Tornando alla ricerca di Taeschner, nei grafici appare chiaro che, nonostante le bambine abbiano
manifestato la capacità di usare queste frasi in età diverse, la curva delle incomplete di Lisa ha un
andamento simile alla curva delle incomplete di Giulia, e lo stesso accade per le curve che si riferiscono
alle frasi complete. Inoltre, tale andamento risulta analogo nelle due lingue.
Nella prima fase dello sviluppo strutturale della frase si assiste quindi all'evolversi di quest'ultima
che da costruzioni verticali passa a frasi nucleari, prima incomplete e poi complete. Questo processo
implica un linguaggio che gradualmente si stacca dal contesto. Un discorso formato da frasi nucleari
incomplete infatti è comprensibile soltanto se strettamente inserito nel contesto, mentre un discorso
formato da strutture complete può essere compreso anche senza l'immediato inserimento nel contesto.
Un esempio che illustra come un discorso formato da frasi nucleari incomplete è comprensibile
soltanto se strettamente inserito nel contesto, può essere il seguente: Lisa, ad un anno e dieci mesi, torna
da una passeggiata e racconta con molti gesti e tossendo che “miao bua”. Poi aggiunge “miao caa”
facendo il gesto di accarezzare, chinandosi. In effetti, la vicenda si era svolta così: Lisa ed il padre
avevano visto un gatto che tossiva e allora il padre aveva detto a Lisa che l'animale era malato. Si sono
poi avvicinati ed il gatto si è lasciato accarezzare.
Il seguente esempio, invece, può illustrare come delle strutture complete possono essere comprese
senza inserirle nel contesto: Lisa, a due anni ed otto mesi, guardando dalla finestra osserva “guarda! Non
c'è sole. E' andato via. Viene notte, va letto”.
In relazione allo sviluppo della frase nucleare, il fattore completezza/incompletezza è collegato
con la crescente capacità di comunicare con una struttura linguistica che esprima un significato completo
e non solo parziale del pensiero.
Per concludere, in questa ricerca l'autrice ha osservato che in entrambe le bambine lo sviluppo
delle frasi nucleari incomplete e complete segue un andamento identico sia per la lingua tedesca che per
quella italiana. Sembra quindi che l'esposizione precoce a due lingue non comprometta o implichi un
ritardo nello sviluppo della struttura frasale di base e che l'evolversi di quest'ultima segua un andamento
parallelo per ogni lingua alla quale il bambino è stato esposto.
5.3.5 La seconda fase dello sviluppo strutturale della fraseNella seconda fase avviene il passaggio da un tipo di linguaggio formato da frasi nucleari semplici
ad un tipo di linguaggio formato, oltre che da queste, anche da frasi ampliate, complesse e binucleari.
Dalla ricerca di Taeschner, risulta che, all'inizio della seconda fase, gli esempi di frasi ampliate
sono ancora pochi. Le ampliate complete aumentano progressivamente, mentre altrettanto
progressivamente diminuiscono quelle incomplete. Dai grafici 5.5 e 5.6 è possibile osservare che la curva
69
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
delle frasi complete ha un andamento ascendente.
Taeschner, riscontra che nel corso dell'acquisizione del linguaggio delle bambine da lei osservate,
le strutture ampliate tedesche ed italiane si sviluppano contemporaneamente. Durante il processo di
acquisizione preso in esame, infatti, si osserva che nel linguaggio delle bambine sono presenti esempi in
lingua tedesca, italiana nonché frasi miste. Mentre, però, in Giulia gli esempi in tedesco sono in numero
simile a quelli italiani, Lisa, fino all'età di 2 anni e 4 mesi ha pochi esempi di frasi ampliate in entrambe
le lingue. Dopo questa età, però, le frasi italiane diventano numerose, mentre quelle tedesche aumentano
solo dopo i 3 anni.
Secondo l'autrice, un uso più intenso di una delle due lingue per un certo periodo di tempo è da
imputare, nel caso di Lisa, alla quantità di contatto avuto con ciascuna lingua. Infatti, nel periodo che va
dai 2 anni e mezzo ai 3, Lisa ha avuto meno contatto con la lingua tedesca.
In entrambe le bambine la struttura complessa implicita compare prima in tedesco e poi in
italiano, mentre la struttura esplicita compare solo in italiano in Giulia ed in Lisa anche nelle frasi miste.
Confrontando questi risultati con quelli dei bambini monolingui si osserva che Lisa e Giulia
rispecchiano, nel tedesco, lo sviluppo dei bambini monolingui tedeschi e nell'italiano quello dei bambini
monolingui italiani.
In questa ricerca, le implicite sono apprese prima in tedesco probabilmente perché gli adulti
tedeschi fanno un uso delle strutture della propria lingua diverso da quello degli italiani. Gli adulti
tedeschi, infatti per esprimere intenzioni comunicative quali le domande e gli ordini, si rivolgono ai
bambini usando soprattutto costruzioni con verbi modali, che in questo modello di ricerca sono state
considerate come strutture implicite. L'adulto italiano invece, per esprimere le stesse intenzioni
comunicative, usa frasi nucleari.
Come nelle frasi ampliate, anche nelle complesse e nelle binucleari la curva delle incomplete ha
un andamento costante a livelli molto bassi, mentre la curva delle complete ha un andamento
decisamente ascendente, come mostrato nei grafici 5.7 e 5.8.
70
Grafico 5.5: Lisa, ampliata incompleta (-); ampliata completa (--).
Grafico 5.6: Giulia, ampliata incompleta (-); ampliata completa (--).
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Confrontando fra di loro tutte le curve, è possibile riscontrare che quelle delle strutture che
compaiono nella seconda fase non ripetono l'andamento delle nucleari della prima fase. In altre parole, se
nel processo di acquisizione delle nucleari il bambino passa prima per un periodo in cui ci sono
soprattutto frasi incomplete che progressivamente diminuiscono mentre aumentano quelle complete,
nelle frasi ampliate, nelle frasi complesse e nelle frasi binucleari ciò non si verifica.
Se la capacità di sviluppare strutture dipendesse dalla quantità di parole che il bambino è in grado
di produrre quando dice una frase, si potrebbe supporre che al manifestarsi di una nuova struttura si
ripeta il fenomeno verificatosi nella prima fase: le prime produzioni delle inserite sarebbero, ad esempio,
le inserite complete.
I dati provenienti dalla ricerca di Taeschner mostrano invece che la completezza o incompletezza
di tutte le strutture procedono di pari passo con lo sviluppo della completezza della frase nucleare.
Quindi, il bambino non rinuncia a produrre una parte della struttura nucleare per produrre un'ampliata,
ma dice, ad esempio, ampliate incomplete fino a che produrrà strutture nucleari incomplete ed inizierà a
dire strutture ampliate complete quando produrrà nucleari complete.
Non si tratta, quindi, di considerare l'aumento delle parole nella frase da un punto di vista
esclusivamente numerico, bensì soprattutto strutturale: quando il bambino avrà imparato la struttura
nucleare completa, sarà in grado di produrre frasi complete anche in tutte le altre strutture.
In questa ricerca, dal momento che non si osservano periodi in cui compaiono con maggior
frequenza frasi incomplete in una sola lingua, si può affermare che l'aspetto della
completezza/incompletezza delle frasi si è sviluppato parallelamente per entrambe le lingue parlate dalle
bambine.
5.3.6 La terza fase dello sviluppo strutturale della fraseDurante la seconda fase, le frasi complesse esplicite e binucleari che le bambine sono in grado di
esprimere hanno la caratteristica di essere giustapposte e non collegate.
71
Grafico 5.7: Lisa, complessa incompleta (-); complessa completa (--); binucleare incompleta (-..-); binucleare completa (-.-).
Grafico 5.8: Giulia, complessa incompleta (-); complessa completa (--); binucleare incompleta (-..-); binucleare completa (-.-).
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Il termine “frase collegata” indica che in questi casi vi è una parola apposita, il connettivo, con il
compito ben preciso di stabilire oppure di rinforzare il rapporto semantico esistente fra le frasi. Nelle
“frasi giustapposte” invece, viene a mancare l'uso del connettivo. Ad esempio, la frase “voglio mangiare,
ho fame”, è una frase binucleare giustapposta, mentre “voglio mangiare perché ho fame” è una frase
binucleare collegata. Anche se non tutte le frasi richiedono un connettivo, nella seconda fase sono
espresse senza connettivo anche quelle frasi che lo avrebbero richiesto. In questa ricerca è emerso che la
capacità di strutturare frasi con il connettivo si sviluppa durante la terza fase di acquisizione linguistica.
Nelle bambine bilingui italo-tedesche osservate dalla ricercatrice, le frasi binucleari coordinate e
subordinate con il connettivo compaiono contemporaneamente solo nell'italiano. In ciò il loro sviluppo è
identico a quello di un bambino monolingue italiano (Francesco) ma diverso dai bambini monolingue
tedeschi (Jana e Oliver). Infatti questi ultimi acquisiscono prima le coordinate collegate e dopo le
subordinate collegate.
A questo proposito va tenuto presente che gran parte delle strutture subordinate del tedesco, così
come nelle esplicite e nelle relative, hanno il verbo coniugato e finito in posizione finale. Prendiamo il
seguente caso: “ich gehe nach Hause. Es ist spät (vado a casa, è tardi). Nel momento in cui il rapporto di
causalità delle due frasi viene espresso con il connettivo, la seconda frase muta l'ordine delle parole e
diventa: “ich gehe nach Hause weil es spät ist” (vado a casa perchè tardi è).
Un mutamento d'ordine di questo tipo non avviene in italiano, pertanto questo spostamento
sintattico nell'ordine delle parole può costituire un'ulteriore difficoltà per i bambini che imparano il
tedesco e quindi determinare un ritardo nella comparsa delle subordinate rispetto alle coordinate.
Nella ricerca di Taeschner, le esplicite collegate non compaiono contemporaneamente in entrambe
le lingue. Questa differenza, tuttavia, rispecchia lo sviluppo linguistico dei rispettivi monolingui. Sembra,
infatti, che i bambini tedeschi acquisiscano tardi strutture esplicite con il connettivo e che, inoltre, le
usino poco. Inoltre, bisogna tener presente che l'uso che viene fatto del connettivo nelle frasi esplicite
non sempre è lo stesso nell'italiano e nel tedesco: frasi perfettamente corrispondenti sono dette con il
connettivo in una lingua e senza il connettivo nell'altra lingua.
5.4 L'acquisizione di alcuni aspetti morfologici e sintattici
La maggior parte delle ricerche che si sono concentrate sullo sviluppo morfosintattico hanno
esaminato la produzione piuttosto che la percezione linguistica. E' emerso tuttavia che, benché ancora
essenti nelle loro espressioni verbali (Stern, 1965, Gvodev, 1949; Imedadze, 1967; Klima & Bellugi,
1966; Brown, 1979), i bambini dimostrano di essere sensibili agli elementi grammaticali del linguaggio.
Hirch-Pasek e Golinkoff, ad esempio (1996) hanno riscontrato che già a 12 mesi di età i neonati
sembrano in grado di discriminare espressioni verbali identiche per il contenuto dei vocaboli ma
differenti per l'aspetto sintattico.
Dagli studi di diversi ricercatori (e.g. Cipriani et al., 1993) e dai dati raccolti con la versione
italiana del questionario Mac Arthur (Caselli, Casadio, 1995) emerge, pur nella notevole variabilità nello
sviluppo, una sequenzialità di comparsa delle diverse particelle e parole funzionali della grammatica.
72
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Simili sequenzialità sono state osservate anche nel linguaggio dei bambini di madrelingua inglese
(Brown, 1973). Mentre, infatti, inizialmente sono assenti gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni ed il
genere, gli aggettivi, i nomi ed i verbi compaiono sempre sotto una sola forma ed ogni verbo viene
utilizzato in un solo tempo ed in una sola persona.
In particolare, nelle espressioni linguistiche di un bambino di 22-23 mesi si nota una preferenza
per le forme singolari dei nomi e dei verbi. In genere, inoltre, questi ultimi vengono utilizzati al
participio passato, in cui però è spesso omesso l'ausiliare. Solo successivamente compare l'imperfetto ed
il gerundio, contemporaneamente all'utilizzo degli articoli, delle preposizioni e dei pronomi. Infine,
insieme al consolidamento della conoscenza di tutte le forme del verbo, compare anche l'ausiliare nelle
frasi con participio passato.
Più volte è stato osservato che anche se inizialmente il bambino utilizza alcune forme morfo –
sintattiche del linguaggio correttamente, in seguito esse vengono sostituite oppure affiancate da forme
errate (Clark, 1977; Karmiloff-Smith, 1979). Secondo Leopold (1956), dal momento che esse sono
spesso il risultato di sovra estensioni di regole su aspetti del linguaggio che non le richiedono, la loro
comparsa testimonia il fatto che il bambino abbia assimilato tali regole. Al contrario, l'autore suggerisce
che gli esempi linguistici che si presentano subito nella loro forma corretta sono una ripetizione
meccanica dell'enunciato dell'adulto. La comparsa delle sovra estensioni delle regole grammaticali
proverebbe quindi che l'apprendimento linguistico non è il risultato di un semplice comportamento
imitativo.
Il linguaggio può essere considerato come un codice per mezzo del quale esprimere una
semantica. Secondo Solbin (1975), ogni lingua si differenzia dall'altra non per le sue strutture
semantiche, ma per le regole grammaticali in cui esse vengono espresse.
Così, il bambino bilingue, deve imparare non soltanto due insiemi diversi di parole che hanno
sostanzialmente lo stesso significato, ma anche i vari modi di mettere insieme tali parole raggruppandoli
in due grandi insiemi, corrispondenti alle regole grammaticali di una e dell'altra lingua. Infatti, mentre
alcuni aspetti morfo-sintattici ricorrono immutati in diverse lingue, altri possono comparire in una lingua
in particolare oppure differenziarsi solo per l'uso che ne viene fatto (ad esempio, in italiano gli adulti
parlano spesso nella persona plurale ai bambini, invece in tedesco questo non accade ma si osserva, al
contrario che in italiano, un uso maggiore dei verbi modali).
Come si configura l'acquisizione delle regole morfo-sintattiche nei bambini bilingui? Segue un
percorso simile a quello dei bambini monolingui oppure l'esposizione a due diversi sistemi linguistici
influisce su di esso determinando particolari risultati?
Taeschner, osservando lo sviluppo linguistico delle bambine bilingui per il tedesco e l'italiano,
riporta che l'acquisizione di alcuni elementi morfologici di entrambe le lingue sono avvenuti
parallelamente, soprattutto i tempi e le persone del verbo, la capacità di produrre ipercorrettismi, la
capacità di formare i diminutivi, gli accrescitivi e gli articoli.
Per quanto riguarda la comparsa dei tempi e delle persone del verbo, mentre in un primo periodo
le bambine possedevano una sola persona ed un solo tempo per ogni verbo che usavano, ad un anno e
nove mesi Giulia coniugava i verbi tedeschi “sagen” (dire) e “machen” (fare) in prima e seconda persona
73
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
per il verbo “sagen” ed in seconda e all'infinito per “machen”.
Contemporaneamente, i verbi italiani “volere” e “cadere” erano coniugati in prima persona,
seconda (vuoi, voglio) e participio passato (cade, caduta). Allo stesso modo, Lisa, a due anni e quattro
mesi, impara a coniugare in due differenti modi i verbi tedeschi “nehmen” (prendere): “nehm, nimmt”
(prendi, prende) e “machen” (fare): “macht” (fa) e “machen” (fare) e quelli italiani “volere” e “vedere”
(vuole, vuoi, edi, visto).
Simili parallelismi sono emersi anche nell'acquisizione degli articoli. Questi ultimi sono stati
preceduti dalla comparsa dei “proto-articoli”, dei semplici suoni che vengono posti davanti alle parole.
Secondo Karmiloff-Smith (1979), i proto-articoli potrebbero avere due importanti funzioni, quella di
distinguere i nomi propri dai nomi comuni e di separare le parole-cose dalle parole-azione. L'autrice
riporta che la comparsa di questi articoli è stata osservata anche in gruppi di bambini monolingui francesi
ed inglesi.
Sembra che i bambini bilingui sviluppino l'abilità nell'utilizzare gli articoli similmente a quanto
accade per i monolingui. Sia nel caso di Lisa e Giulia che in bambini monolingue italiani e tedeschi,
infatti, Taeschner ha potuto osservare prima la comparsa di articoli al singolare e solo dopo quella degli
articoli al plurale.
Per quanto riguarda il processo di apprendimento delle regole sintattiche, dalla ricerca di
Taeschner è emerso che esso è molto simile a quello osservato nei bambini esposti ad una sola lingua.
L'autrice sottolinea che, nell'apprendimento della sintassi tedesca, sia le bambine bilingui che i
monolingui tedeschi dispongono inizialmente i diversi elementi all'interno della frase in vari ordini. Una
sequenzialità corretta compare solo successivamente divenendo di tipo soggetto-verbo (S-V), verbo-
oggetto (V-O) ed oggetto-verbo (O-V) (Park, 1974; Ramage, 1976, Miller, 1976).
Lo stesso percorso compare per quanto riguarda l'apprendimento della sintassi italiana: Lisa e
Giulia, come i bambini monolingui italiani, in una prima fase tendono a disporre i vari elementi in diversi
ordini. Solo in un secondo momento compare la corretta sequenza verbo-oggetto (V-O) e soggetto-verbo
(Taeschner, 1983).
Taeschner riporta quindi due fasi distinte di ordinamento:
• Nella fase in cui le frasi sono formate da solo due parole, l'ordine è inizialmente lo stesso per
entrambe le lingue, con esempi di ordine verbo-soggetto, soggetto-verbo, oggetto-verbo, con
una certa predominanza di quest'ultimo ordine.
• In un secondo momento l'ordine è soggetto-verbo per tutte e due le lingue, mentre per quanto
riguarda la posizione dell'oggetto rispetto al verbo, esso precede l'oggetto nelle espressioni in
lingua tedesca (O-V), mentre nelle frasi italiane le bambine pongono il verbo prima dell'oggetto
(V-O).
E' opportuno notare che nella sintassi tedesca compare sia la sequenza V-O che la sequenza
oggetto verbo (O-V) (es. “ich habe es gemerkt, dass du zu hause gebliben bist”: “ich” è il soggetto,
“habe” il verbo; zu hause è l'oggetto, gebliben bist è il verbo). La sequenza V-O è utilizzata per le
preposizioni principali, mentre nelle subordinate sono utilizzate sia la sequenza V-O che O-V, in
74
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
funzione del tipo di subordinata. Nella lingua inglese ed italiana, invece, la sequenza V-O compare sia
nelle principali che nelle subordinate, mentre è assente la sequenza O-V.
Il maggiore utilizzo dell'ordine O-V nel corso della prima fase descritta da Taeschner potrebbe
essere imputabile alla dominanza della lingua tedesca su quella italiana. Secondo questa ipotesi infatti la
regola sintattica tedesca viene generalizzata anche nelle frasi di entrambe le lingue dove essa non è
richiesta.
Una forma simile di sovra estensione è stata osservata anche da Doepke (2000). L'autore ha
riscontrato che bambini australiani bilingui per l'inglese ed il tedesco usavano la sequenza verbo-oggetto
(V-O) per entrambi le lingue ma per la lingua tedesca anche nelle frasi in cui la forma corretta sarebbe O-
V. Questa forma di errore inoltre compariva nel gruppo dei bambini bilingui molto più frequentemente in
confronto ai monolingui tedeschi. Dal momento che la sequenza O-V non compare nella sintassi inglese,
Doepke ipotizza che la sua frequente sostituzione con la sequenza V-O da parte dei bambini anglo-
tedeschi sia dovuta al maggiore utilizzo dell'inglese rispetto al tedesco (le interferenze linguistiche
verranno trattate più approfonditamente nel paragrafo successivo).
Secondo Taeschner, quindi, il processo di apprendimento della sintassi del bambino bilingue è
caratterizzato da una prima fase in cui la disposizione sequenziale degli elementi è simile per entrambe le
lingue, mentre a partire dai tre anni essa si distingue nelle modalità distinte tipiche per ogni lingua. Un
aspetto interessante, inoltre, è che il processo di apprendimento della sintassi osservato nelle bambine
bilingui rispecchia, per il tedesco, quello dei bambini monolingui tedeschi e per l'italiano quello dei
bambini monolingui italiani.
5.5 Il code-mixing nell'espressione bilingue infantile
Il termine di code-mixing si riferisce a fenomeni di interferenza e trasferimento di elementi da una
lingua ad un'altra. Essi sono stati riscontrati sia nel linguaggio degli adulti che in quello dei bambini
bilingui (Mc Laughlin 1978; Myers-Scotton, 1993; Poplack, 1980; Sridhar & Sridhar 1980).
Le forme di code-mixing osservate nel linguaggio adulto possono comparire per diverse finalità
meta-comunicative, come ad esempio allo scopo di marcare l'identificazione etnica, per negoziare regole
e status sociali, per stabilire distanze interpersonali (Myers-Scotton, 1993; Poplack, 1987).
Il code-mixing infantile invece è stato interpretato come il risultato di incompetenza e confusione
linguistica (e.g. Volterra & Taeschner, 1978). A corroborare questa ipotesi è il fatto che, al contrario di
quanto appare nel linguaggio adulto, nelle espressioni infantili sembra che essi ricorrano in maniera tale
da non rispettare le regole di entrambe le lingue coinvolte (Poplack, 1979).
Quando compaiono nel linguaggio infantile, i code-mixing possono coinvolgere sia singole parole
che intere frasi. In particolare, le interferenze a livello di parola si distinguono in fonologiche,
morfologiche e semantiche, mentre quelle che avvengono a livello di frasi si distinguono in interferenze
lessicali, sintattiche e prosodiche.
75
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
5.5.1 Interferenze fonologiche Il bambino nei primi anni di vita possiede una plasticità articolatoria e fonatoria da permettergli
l'acquisizione di tutti i suoni che gli vengono offerti con estrema perfezione. Sembra inoltre che
l'acquisizione degli aspetti fonologici di una lingua avvenga durante un periodo critico dello sviluppo.
Secondo Locke (1981): “adulti e bambini in età scolare generalmente apprendono una seconda
lingua con una difficoltà che non si discosta eccessivamente da quella riscontrata nei bambini, ad
eccezione dell'apprendimento degli aspetti fonologici”. Baetens Beardsmore (1982) aggiungono che
“forse la difficoltà più grande che incontrano i monolingui nell'apprendere una seconda lingua è
l'evitamento dell'interferenza fonologica, che invece non si riscontra nei bambini bilingui”. Infatti,
rispetto al monolingue, i suoni in più che il bambino bilingue deve acquisire sono pochi e non presentano
maggiori problemi di quanto non presenti l'acquisizione della fonologia in generale.
Juhasz (1970), analizzando il linguaggio di 243 soggetti ungheresi di età superiore i 16 anni dopo
aver preso parte a lezioni intensive di tedesco, osserva: “le interferenze fonologiche che questi ragazzi
commettono hanno una frequenza notevolmente più alta di quelle grammaticali e semantiche”.
Alcuni autori, tuttavia, hanno riscontrato delle interferenze fonologiche anche in alcuni soggetti
bilingui (De Matteis, 1978; Murrel, 1966; Burling, 1971; Oksaar 1971). Probabilmente, però, queste
interferenze sono da imputare al fatto che una delle due lingue era fortemente dominante rispetto all'altra.
Nei casi invece in cui si verifica una certa parità nel contatto e nella produzione delle due lingue, le
interferenze fonologiche risultano minime o assenti (Oksaar, 1977).
5.5.2 Interferenze morfologiche Nelle interferenze morfologiche, non tutto il lessema, ma solo una sua parte viene espressa
nell'altra lingua e cioè il morfema, (i suffissi, prefissi e flessioni della parola). Il risultato è una
trasformazione del vocabolo in maniera da renderlo simile, dal punto di vista fonologico, a come
potrebbe essere espresso nell'altra lingua. Ad esempio la parola italiana “candele” viene trasformata in
“candelen”, quando inserita in una frase tedesca e con lo scopo di pronunciarla al plurale (l'equivalente
tedesco è “Kerzen”).
I code-mixing morfologici occorrono nelle espressioni verbali di quasi tutti i soggetti bilingui
(Weinreich 1974) e compaiono precocemente nel linguaggio dei bambini (Murrel 1966; Burling, 1978;
Lindholm & Padilla, 1978; Ohsaar, 1971; Rdlinger & Park, 1980). Nelle comunità bilingui, in cui le
traslazioni morfologiche dei singoli soggetti si diffondono ben presto nell'uso comune, spesso le persone
non distinguono più a quale lingua una certa parola appartenga e si può osservare il formarsi di
terminologie nuove (Leonard, 1970).
Sono state proposte diverse ipotesi nel tentativo di spiegare il fenomeno dei code-mixing. Alcuni
autori suggeriscono che essi siano il risultato di sovra estensioni delle regole morfologiche ad entrambe
le lingue, mentre altri che esse derivino da sviluppi asincroni delle lingue o siano una consequenza della
dominanza linguistica.
Taeschner (1978, 1983) e Doepke (2000) suggeriscono che questi trasferimenti nascano dal fatto
76
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
che il bambino tenda a sovra estendere le regole morfologiche acquisite per una lingua anche sull'altra
(sovra estensioni inter-lingua).
Simili fenomeni di sovra estensione (o ipercorrettismi) delle regole morfologiche, tra l'altro, sono
osservabili anche nei bambini monolingui (sovra estensioni di regole intra-lingua) (Clark,1977;
Karmiloff-Smith, 1979; Leopold, 1956). Mentre tuttavia, sia i bilingui che i monolingui applicano spesso
regole grammaticali anche ad elementi linguistici irregolari o che non le richiedono, i bambini esposti a
due lingue utilizzano regole morfologiche proprie di una lingua anche per esprimersi nell'altra,
producendo alcune volte forme del tutto inesistenti nei canoni tradizionali.
Taschner riporta che gli errori di sovra estensione intra-lingua compiuti dai bambini bilingui sono
identici a quelli osservati in bambini monolingui per gli stessi linguaggi e compaiono parallelamente ad
essi.
Una sovra estensione morfologica intra-lingua riscontrata spesso da Taeschner coinvolge il modo
di coniugare alcuni verbi. Giulia, ad esempio, a due anni e mezzo di età, pronunciava “vieno” anziché
“vengo e“geschneid” anziché “geschnitten” (tagliato). Trasferimenti morfologici cross-linguistici,
invece, riguardavano spesso l'applicazione dei morfemi italiani “ri”, “ci”, “iamo” ai verbi tedeschi
(“spieliamo”, anziché “giochiamo” o “wir spielen”).
Diversi ricercatori (e.g. Doepke, 1998; Yip & Matthews, 2000; Petersen, 1988) hanno suggerito
che il fenomeno dei mixing morfologici possa essere la consequenza del fatto che, in genere, una lingua
è sempre dominante sull'altra, in quanto utilizzata più spesso. Secondo questi autori, infatti, i bambini
bilingui, tendono a trasferire strutture da quest'ultima a quella utilizzata meno frequentemente, mentre il
contrario è molto più raro.
Yip & Matthews (2000), riportando in particolare che, bambini bilingui per il cantonese e
l'inglese, nei periodi in cui essi si esprimevano maggiormente in cantonese, trasferivano alcune forme
morfologiche da questa lingua all'inglese. Nei periodi invece in cui la lingua più utilizzata era l'inglese, i
trasferimenti delle forme morfologiche avvenivano da questa lingua al cantonese.
Altri ricercatori (e.g. Gawlitzek-Maiwald &Tracy, 1996; Paradis & Genesee, 1996) hanno inoltre
suggerito che i trasferimenti morfologici possano essere causati anche da sviluppi asincroni delle lingue.
Quando, infatti, alcune regole morfo-sintattiche vengono acquisite in una lingua e non ancora nell'altra, il
bambino tende ad applicarle anche a quest'ultima.
Secondo Taeschner: “sovra estensioni di questo tipo, che tuttavia non sono state più riscontrate
dopo i 3-4 anni di età, sono particolarmente interessanti perché dimostrano che il bambino inizia a
comprendere la funzione dei singoli morfemi e a staccarli dalla radice della parola”
Secondo l'autrice i code-mixing ricorrono quindi nel linguaggio del bambino bilingue durante una
prima fase di apprendimento, nel corso della quale i due lessici vengono considerati come un sistema
linguistico unitario e pertanto esse vengono generalizzate a tutte le lingue conosciute. Solo in un periodo
successivo il bambino impara a collegare ogni regola con la lingua di appartenenza.
Di contro, l'idea secondo cui i trasferimenti morfologici siano dovuti solo alla dominanza
linguistica o a sviluppi asincroni, conduce a ritenere che già a partire dalla fase di comparsa delle prime
parole i bambini considerino i due lessici come due sistemi separati, in quanto si ritiene che tali
77
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
trasferimenti siano dovuti a fenomeni temporanei e legati al contesto (Genesee, 2001; De Houwer, 1990,
2005; Deuchar & Quay, 2000; Meisel, 2001).
5.5.3 Interferenze semanticheI code-mixing semantici hanno luogo quando il significato di una parola appartenente ad una
lingua viene attribuito ad un apparente o parziale equivalente nell'altra lingua. Ad esempio “to listen” in
inglese così come anche “hören” in tedesco e “sentire” in italiano sono equivalenti per il significato di
ascoltare. Nella lingua italiana, però, il verbo “sentire” possiede anche altri significati che “to listen” ed
“hören” non hanno come gustare, odorare, sentire al tatto. I bambini bilingui possono quindi manifestare
interferenze di questo tipo nel loro linguaggio ed utilizzare verbi come “hören” e “to listen” anche per
esprimere i concetti corrispondenti al verbo “sentire”.
Tra i bambini bilingui è possibile inoltre riscontrare delle interferenze nell'uso dei verbi “essere”
ed “avere”. In realtà, però, errori di questo tipo ricorrono molto spesso anche nelle espressioni verbali dei
monolingui (es. “io ho andato” anziché “io sono andato”'). Dulay & Burt (1974), ad esempio,
analizzando le interferenze nel linguaggio di 179 bambini bilingui per lo spagnolo e l'inglese dai 5 agli 8
anni di età, hanno riscontrato che su 513 errori solo il 5% riflettono errori inter-lingua, mentre l'87%
erano di carattere intra-lingua.
Swain & Wesche (1975), tuttavia, riportano che mixing semantici sono stati osservati anche nel
linguaggio di persone adulte bilingui anglo-francesi del Quebec. Gli autori suggeriscono quindi che è
opportuno considerare anche a quali modelli espressivi vengono esposti i bambini. Alcune forme di
interferenze, infatti, potrebbero essere imputabili a quest'ultimo fenomeno, anziché ad una mancanza di
differenziazione delle due lingue da parte del bambino.
5.5.4 Interferenze lessicali Ci troviamo in presenza di un'interferenza lessicale quando, all'interno di una frase espressa in una
determinata lingua, vengono inserite parole appartenenti all'altra lingua. Le frasi in cui l'interferenza è
tale da confondere le due lingue sono dette miste, cioè formate con un numero relativamente pari di
parole di due o più lingue. Nel linguaggio dei soggetti bilingui sono la forma di interferenza più
frequente. E' stato riportato che in una frase contenente interferenze lessicali è quasi sempre rispettata la
correttezza grammaticale, e che essa è priva di ridondanza o di errori sintattici (Padilla & Liebman,
1975).
Ad esempio nella frase “ putzen Zahne avec Jabon” compaiono elementi sia in tedesco (“putzen
Zahne”, lavare i denti) che in francese (“avec Jabon”, con sapone) (Redlinger & Park, 1980). Lindholm
& Padilla (1978) hanno citato esempi di interferenze anglo-ispaniche “I ask him que yo voy a casa” (gli
ho chiesto di andare a casa).
In alcune ricerche è stato riscontrato che le interferenze lessicali più frequenti coinvolgono i
sostantivi (Swain & Wesche, 1975; Lindholm & Padilla, 1978), mentre altre hanno rilevato che questo
tipo di interferenze coinvolgano particolarmente le parole funtore (Redlinger & Park, 1978; Vihman,
1982). In particolare, Redlinger & Park hanno riportato che le interferenze più frequenti riguardano
78
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
quelle a livelli di avverbi, articoli, pronomi, preposizioni e congiunzioni.
Nella ricerca di Taeschner risulta che la produzione di frasi con interferenze lessicali si osserva
già a partire dalla prima fase dello sviluppo lessicale e cioè quando i soggetti osservati avevano circa 2
anni di età. Durante questo periodo, infatti, negli enunciati delle bambine ricorrono spesso frasi di tipo
misto, come ad esempio “Lisa vuole schaun”, dove il verbo tedesco “schaun” corrisponde all'equivalente
italiano “vedere”.
Secondo la ricercatrice tuttavia, le interferenze lessicali che compaiono durante questa fase non
sono autentici trasferimenti ma una conseguenza del processo di acquisizione degli equivalenti. Essa
infatti sostiene che all'inizio della produzione linguistica (cioè nella prima fase dello sviluppo lessicale) i
bambini bilingui hanno un vocabolario unico che comprende parole di entrambe le lingue ma privo di
equivalenti in quanto tenderebbero a rifiutarli (Clark, 1987; Markman, 1989).
Taeschner suggerisce che la comparsa di vere e proprie frasi con interferenze lessicali avvenga
durante la seconda fase dello sviluppo, durante la quale il bambino inizia ad acquisire i termini
equivalenti.
Già a partire dall'età di 4 anni, tuttavia, nella sua osservazione è emerso che Lisa, su un totale di
1.500 frasi solamente in 89 sono presenti trasferimenti lessicali e ciò dimostra che la bambina preferisce
parlare nell'una o nell'altra lingua, cercando di non mescolare i due lessici. Questa preferenza nel
mantenere i due lessici distinti risulta evidente in molti esempi di produzione linguistica della bambina,
la quale infatti spesso sceglie di dire un'intera frase in una delle due lingue nel caso in cui non conosca
l'equivalente, anziché inserire il solo termine in una frase detta nell'altra lingua (Taeschner, 1983).
E' interessante notare che nel caso in cui, all'età di Lisa, si verifichi un'interferenza, essa riguarda
solo il nome e non l'intero sintagma nominale, vale a dire viene sostituito solo il sostantivo e non anche
l'articolo che gli appartiene. Inoltre, è sempre stata riscontrata una concordanza di genere tra articolo e
nome, anche nei casi in cui questi appartengono a due lingue diverse. Questo dimostra che la bambina, a
4 anni di età, diviene in grado di analizzare l'articolo e il nome come due entità separate, mentre in
precedenza le sue produzioni linguistiche lasciavano intendere che articolo e nome formassero un unico
elemento.
Taeschner riporta che le interferenze lessicali, anche se in misura molto ridotta, in Lisa si
protraggono fino ai 5 anni di età e, quando questo accade, è stato riscontrato che avvengono
intenzionalmente quando la bambina non ricorda l'equivalente nella lingua che sta utilizzando in quel
determinato momento.
Secondo l'autrice, sembra quindi che Lisa segua delle norme di comportamento linguistico molto
precise per quel che concerne le interferenze lessicali, che possono essere così riassunte:
• Nella prima fase lessicale la bambina non differenzia ancora i due lessici e pertanto le frasi
comprendono parole appartenenti ad entrambe le lingue.
• Durante la seconda fase lessicale si osserva la comparsa degli equivalenti e quindi delle
interferenze lessicali. Esse tendono a diminuire parallelamente alla gradualità con cui il processo
di differenziazione dei due lessici si evolve.
79
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
• Lisa ha appreso che i due lessici vanno tenuti separati e, se in una frase viene inserita una parola
nell'altra lingua, questo accade solo quando è necessario per continuare il discorso senza
interromperlo. La bambina, inoltre, cerca di inserire il minor numero di parole possibile.
• Gli inserimenti di parole dell'altra lingua vengono fatti a condizione che non disturbino la
correttezza delle regole grammaticali che sono state sviluppate per ogni lingua.
Il fenomeno dei trasferimenti lessicali tuttavia può essere causato anche da un differente numero e
tipo di vocaboli acquisiti per ogni lingua. Si è osservato infatti che i bambini bilingui sviluppano
vocabolari dipendenti dal contesto per ciascuna lingua, perché le lingue sono utilizzate spesso in
situazioni differenti. Una lingua potrebbe essere usata in casa con i genitori, un'altra all'asilo per giocare
con gli altri bambini. Alle volte accade che in presenza di una difficoltà comunicativa i bambini attingano
dal vocabolario dell'altra lingua se quello della lingua in uso è privo della parola adatta (Taeschner, 1985,
Foster- Meloni, 1978).
5.5.5 Interferenze sintattichePer interferenze sintattiche si intende l'ordinamento sequenziale delle parole all'interno della frase
secondo le regole di un'altra lingua.
Esempi di interferenza sintattica in caso di bilinguismo anglo-francese sono i seguenti: “they
open, the windows? ; “ A hause pink”, anziché “open they the windows?” e “a pink hause”. In queste
frasi viene utilizzato l'ordinamento sequenziale delle parole secondo la regola francese in espressioni in
lingua inglese (Swain & Wesche, 1975).
Le interferenze a livello sintattico, tuttavia, sembrano ricorrere anche nel linguaggio dei bambini
monolingui. Mentre però in questi ultimi il fenomeno si verifica all'interno di una sola lingua, nei bilingui
esso si raddoppia divenendo più evidente (Taeschner, 1983).
Nella letteratura sul linguaggio infantile esistono numerosi esempi secondo cui sia i bambini
bilingui che monolingui, nel formulare l'ordine sequenziale delle parole, si servano dell'enunciato appena
espresso dall'adulto, che viene interamente ripetuto aggiungendo solo la parola che occorre loro per
esprimere il proprio pensiero, ma non nella giusta posizione (Clark, 1974). Secondo Mc Whinney (1980),
sequenze di questo tipo confermano l'esistenza di una strategia adottata dai bambini che permetta loro di
conoscere la giusta sintassi attraverso il semplice utilizzo di informazioni processate dalla memoria a
breve termine.
Taeschner ha osservato che le bambine italo-tedesche hanno impiegato un certo periodo di tempo
per acquisire la corretta posizione degli elementi all'interno delle frasi, mostrando che inizialmente le
interferenze inter-linguistiche riguardavano soprattutto la posizione dell'aggettivo possessivo, della
negazione e dell'aggettivo. Dopo i quattro anni di età, invece, sono state osservate interferenze per quanto
riguarda la posizione del verbo e del soggetto, soprattutto nelle frasi con verbo al participio passato e con
verbi modali. All'età di 8-9 anni, tuttavia, anche queste ultime interferenze scompaiono, sia nelle
espressioni delle bambine bilingui che nei bambini monolingui (Taeschner, 1985).
La ricercatrice suggerisce quindi che molto probabilmente il superamento delle le interferenze
80
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
sintattiche dipenda dal grado e dal livello di organizzazione linguistica raggiunto dal soggetto.
Volterra & Taeschner (1978) ipotizzano che questo tipo di interferenze, come quelle
morfologiche, siano il risultato si sovra estensioni delle regole sintattiche ad entrambe le lingue. Quando
il bambino acquisisce la regola sintattica di una lingua, tende ad estenderla anche all'altra in quanto
entrambe sono considerate come un unico lessico.
Doepke (1998), Yip & Matthews (2000) e Petersen (1988), tuttavia, ipotizzano che le estensioni
inter-linguistiche non derivino dal fatto che il bambino bilingue considera i due lessici come sistemi
indifferenziati (Volterra & Taeschner, 1978), ma dal fatto che in genere una lingua è utilizzata più
frequentemente rispetto all'altra. Secondo questi autori, i bambini bilingui tendono a trasferire strutture
dalla lingua dominante all'altra, mentre il contrario è molto più raro.
L'ipotesi che le sovra estensioni siano correlate a fattori ambientali piuttosto che ad un particolare
stadio di sviluppo cognitivo è confermata da Yip & Matthews (2000). Questi ultimi riportano che
bambini bilingui per il cantonese e l'inglese, nei periodi in cui essi si esprimevano maggiormente in
cantonese, trasferivano alcune forme sintattiche da questa lingua all'inglese. Nei periodi invece in cui la
lingua più utilizzata era l'inglese, i trasferimenti delle forme sintattiche avvenivano da questa lingua al
cantonese.
5.5.6 InterpretazioniDa un primo gruppo di ricerche è emerso che le interferenze linguistiche compaiano più
frequentemente durante le prime fasi di sviluppo del linguaggio e che tendano a diminuire con
l'aumentare dell'età (Fantini, 1978; Redlinger & Park, 1980; Vihman 1982; Volterra e Taeschner, 1978).
L'occorrenza dei code-mixing durante i primi stadi dello sviluppo del bilinguismo è stata interpretata
come l'evidenza di un sistema linguistico unitario dove è ancora assente la differenziazione dei sotto-
sistemi fonologico, lessicale e sintattico. Il decremento dei code-mixing è stato parimenti interpretato
come il risultato di un graduale processo di differenziazione linguistica.
Secondo Volterra e Taeschner (1978) il decremento delle interferenze linguistiche avviene nel
corso di tre fasi. Durante la prima fase, che corrisponde allo stadio di comparsa delle prime parole e
combinazioni di parole, le regole di entrambe le lingue costituiscano un unico sistema ed il bambino,
quindi, non è ancora in grado di attribuirle ad una lingua in particolare. Nel corso della seconda fase
invece, si osserva l'inizio della differenziazione lessicale ma non ancora delle regole sintattiche. E' solo
successivamente che le regole sintattiche vengono utilizzate esclusivamente per la lingua alle quali
appartengono, senza compiere interferenze e sovra-estensioni.
Goodz (1988) ha riportato che le interferenze possono essere una consequenza del fatto che i
bambini sono esposti ad un linguaggio adulto nel quale esse ricorrono. Sembra infatti che le interferenze
nel linguaggio infantile si verifichino molto più frequentemente quando lo stesso interlocutore compie
frequenti commutazioni e mescolamenti della lingua (code-mixing e code-switching) (Murrell 1966,
Redlinger & Park, 1980) e meno frequentemente se il bambino ascolta le lingue in contesti separati e
privi interferenze da parte dello stesso interlocutore (Fantini 1978, Redlinger & Park 1980). Secondo
questi autori, quindi, le interferenze infantili riflettono un modello adulto non differenziato.
81
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Goodz (1989), inoltre, ritiene che i dati circa l'occorrenza delle interferenze e su qui si basa
l'ipotesi del sistema linguistico unitario siano poco affidabili, in quanto provengono da quanto riportati
dai genitori. L'autore, al contrario, nel corso di una sua diretta osservazione ha rilevato che il linguaggio
utilizzato da questi ultimi per rivolgersi ai bambini è molto più ricco di interferenze di quanto riferito ai
ricercatori e che la correlazione tra interferenze nel linguaggio dei bambini ed interferenze udite da questi
ultimi era maggiore se i fenomeni di mixing provenivano dagli enunciati materni.
A questo proposito tuttavia, Genesee (1999) suggerisce che le interferenze nel linguaggio adulto
possono condurre a code-mixing nelle espressioni dei bambini solo qualora siano frequenti e sistematiche
e facciano parte di un generale stile comunicativo della comunità a cui i bambini appartengono.
L'ipotesi secondo cui le interferenze siano una consequenza del sistema linguistico unitario è
supportata dall'evidenza che esse ricorrono anche nel linguaggio dei bambini monolingui (Mc Laughlin
1978; Myers-Scotton, 1993; Poplack, 1980; Sridhar & Sridhar 1980). Le interferenze inter-lingua sono
state infatti paragonate alle sovra estensioni delle regole grammaticali (Griffiths, 1986, Genesee, 1995)
con la differenza che i bambini bilingui compiono sovra estensioni sia inter che intra-linguistiche,
mentre nel linguaggio dei bambini esposti ad una sola lingua compaiono solo queste ultime. Così come i
bambini monolingui tendono ad utilizzare le forme linguistiche più appropriate non appena le loro
conoscenze si arricchiscono, anche i bambini bilingui iniziano ad utilizzare le regole consoni alla lingua
che stanno utilizzando non appena questa viene appresa (Griffiths 1986).
E' emerso che forme di interferenza sono ricorrenti anche nell'espressione linguistica di adulti
bilingui (Sridhar & Sridhar 1980). Mentre, però, in esse generalmente ricorrono in maniera tale da
rispettare le regole grammaticali di entrambe le lingue coinvolte, sembra al contrario che nei code-
mixing infantili esse non vengano rispettate (Poplack, 1979).
Affinché il code-mixing possa aver luogo in modo da rispettare la grammatica di entrambe le
lingue, il bambino deve apprendere gli elementi grammaticali specifici di ogni lingua e deve essere in
grado di coordinarli durante la produzione linguistica. L'evidenza di vincoli grammaticali nel code-
mixing di bambini bilingui fornirebbe importanti indizi circa la loro capacità di apprendere ed utilizzare
due lingue allo stesso tempo.
Le ricerche più recenti sui code-mixing infantili sono quindi state motivate al fine di comprendere
se esse siano il risultato di confusioni linguistiche (e.g. Volterra & Taeschner, 1978) o se, al contrario,
siano governate da specifiche regole. Confermare l'ipotesi che i trasferimenti delle forme linguistiche
avvengano rispettando dei vincoli grammaticali, infatti, equivarrebbe a dire che nel corso della prima
fase di produzione linguistica il bambino è in grado di considerare i due lessici come due sistemi
differenziati
Gli obiettivi principali della ricerca sono stati l'analisi accurata delle caratteristiche peculiari dei
code-mixing ricorrente nel linguaggio infantile bilingue, identificandone in particolare, le proprietà
grammaticali e funzionali.
Proprietà grammaticali dei code-mixing. Diversi ricercatori hanno esaminato i vincoli
grammaticali che si presentano in seguito ai code-mixing operati da bambini bilingui esposti a svariate
coppie di lingue: francese e tedesco (Koeppe, in stampa; Meisel, 1994), francese e inglese (Sauve &
82
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Genesee, 2000; Paradis et al., 2000); inglese e norvegese (Lanza, 1997); inglese ed estone (Vihman,
1998).
Tutte queste ricerche hanno rilevato che il code-mixing dei bambini bilingui è grammaticalmente
vincolato, in quanto i bambini di solito mescolano le due lingue solo in punti dove esse concordano dal
punto di vista grammaticale2.
Molti ricercatori riportano anche che i vincoli ricorrenti nei code-mixing dei bambini bilingui sono
essenzialmente gli stessi osservati nei code-mixing degli adulti. Secondo Meisel (1994) e Koeppe (in
stampa), tuttavia, i vincoli grammaticali che compaiono nei code-mixing dei bambini differiscono da
quelli degli adulti in quanto riflettono il loro livello di sviluppo grammaticale raggiunto (Lanza, 1997).
In particolare, gli autori suggeriscono che i vincoli grammaticali derivanti da nozioni di
grammatica astratta siano più evidenti una volta che i bambini abbiano effettivamente iniziato ad usare
tali nozioni nella loro produzione linguistica (di solito ciò si verifica a partire dai 2 anni e i 6 mesi di età),
mentre i vincoli derivanti da elementi grammaticali semplici (e.g. l'ordinamento delle parole) sono
evidenti anche prima.
Da queste ricerche è inoltre emerso che in genere le proprietà morfo-sintattiche specifiche per
ogni lingua vengono acquisite a partire dai primi stadi dello sviluppo linguistico e che possono accedere
ai vincoli grammaticali simultaneamente alla produzione linguistica.
Dai risultati di queste ricerche quindi, non sembra esistere alcuno stadio dello sviluppo linguistico
in cui i vincoli grammaticali non operino, sebbene la natura di tali vincoli possa cambiare con lo
svilupparsi della grammatica.
Proprietà funzionali. Se l'ipotesi che i code-mixing non sono dovuti ad una mancanza di
differenziazione dei due linguaggi, resta da comprendere per quale motivo essi ricorrano nelle
espressioni dei bambini bilingui. I ricercatori hanno suggerito che esistono molteplici spiegazioni di
questo fenomeno e che sono spesso correlati a fattori prestazionali. In particolare, sembra che i code-
mixing vengano utilizzati: al fine di favorire la comunicazione anche nelle situazioni in cui essa è
interrotta per la mancanza degli appropriati elementi linguistici richiesti (gap-filling); in seguito
all'influenza della specifica situazione contestuale durante la quale ha luogo la comunicazione; per
finalità pragmatiche e di identificazione con le due lingue.
Gap-Filling. Una spiegazione comune del code-mixing infantile è che esso occorra quando il
bambino, non conoscendo un termine, attinga al vocabolario dell'altra lingua per riempire il vuoto (Gap-
lessicale) (Fantini, 1978; Lindholm & Padilla, 1978; Volterra e Taetschner, 1978; Redlinger & Park,
1980). Il code-mixing quindi, rifletterebbe l'uso che il bambino fa delle risorse linguistiche per esprimersi
quando la sua padronanza di una lingua è incompleta.
In accordo con questa ipotesi, è stato riscontrato che i bambini bilingui ricavino elementi dalla
lingua dominante quando usano quella non dominante e non vice-versa, in quanto la mancanza delle
strutture linguistiche necessarie per la comunicazione ricorre per la maggior parte da quest'ultima
(Petersen, 1988; Genesee et al., 1995; Lanvers, 2001). In particolare, Genesee et al., (1995) in occasione
2 Una struttura grammaticale si dice concordante quando è identica per entrambe le lingue. Ad esempio sia in inglese che in francese gli articoli compaiono prima del nome; si dice non-concordante quando differisce tra due lingue. Ad esempio in inglese la posizione del pronome oggettivo compare dopo il verbo, mentre in francese prima del verbo.
83
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
di un test sul gap-lessicale, hanno riscontrato che due bambini bilingui (con MLU da 1.09 a 1.55)
compivano code-mixing per ogni parola per la quale non conoscevano l'equivalente.
Petersen (1988) e Lanza (1997b) hanno osservato fenomeni di trasferimenti anche a livello di
regole grammaticali di una lingua qualora sconosciuti per l'altra. Gli autori riportano che i trasferimenti
avvengono soprattutto a carico delle parole funzione e delle inflessioni morfemiche dal linguaggio
dominante a quello non dominante e raramente il contrario. Anche Gawlitzek et al., (1996) suggeriscono
che i bambini bilingui tendano a trasferire modelli sintattici dalla lingua per la quale sono più abili a
quella per la quale presentano minore padronanza.
La dominanza di una lingua rispetto all'altra può essere dovuta a diversi fattori, come ad esempio
differenze nella frequenza d'uso e sviluppi asincroni delle due lingue. Imedadze (1978) suggerisce i
bambini bilingui identifichino un oggetto da nominare con il primo termine o quello che più frequente
utilizzano.
Sia i fenomeni di interferenze lessicali che grammaticali dimostrano dunque che i bambini
bilingui sono in grado di utilizzare abilmente ed in maniera creativa le risorse lessicali e morfosintattiche
di entrambe le lingue simultaneamente alla loro produzione linguistica.
Contesto. Esistono considerevoli evidenze che i code-mixing dei bambini bilingui siano sensibili
alle variazioni contestuali, tra le quali emergono l'argomento trattato durante la conversazione (Lanza,
2001), lo scopo finale dell'interazione (Vihman, 1998), l'interlocutore coinvolto (Deuchar & Quay, 2000;
Genesee et al., 1995; Genesee et al., 1996; Lanza, 1997; Meisel, 1990; Vihman, 1998).
E' stato riportato che i bambini bilingui sono estremamente sensibili al linguaggio espresso dal
loro interlocutore. Taeschner e Swain & Wesche (1975) ad esempio, hanno riscontrato che l'occorrenza
dei code-mixing è maggiore qualora il bambino è consapevole di comunicare con un interlocutore
anch'esso bilingue rispetto ad un interlocutore monolingue, o nei casi in cui gli interlocutori sono più di
due e di lingua madre differenti. In questi casi secondo gli autori l'aumento delle interferenze è dovuto al
fatto che il bilingue è costretto a cambiare continuamente codice.
Da altre ricerche invece è emerso che nei casi in cui l'interlocutore sia monolingue, i bambini
tendono rigidamente ad usare il linguaggio che hanno associato a quas'ultimo anche qualora egli esprima
la volontà di cambiare codice. (Fantini, 1978; Volterra & Taeschner 1978). Nicoladis & Genesee, (1996),
inoltre, hanno osservato che la scelta della lingua appropriata si verifica non solo quando l'interlocutore è
il genitore, ma anche in presenza di persone estranee, con le quali i bambini non hanno avuto precedenti
esperienze (Genesee et al., 1996) e che le eventuali interferenze sono adattate a quelle presentate
dall'interlocutore (Comeau et al., 2003).
Obiettivo dell'interazione. Evidenze che l'occorrenza dei code-mixing sia influenzata dallo scopo
dell'interazione provengono da Sprott & Kemper (1987). Gli autori hanno osservato che, in bambini
bilingui per lo spagnolo e l'inglese dai 3 ai 6 anni di età, compivano con molto meno frequentemente
code-mixing nel corso di un'intervista tenuta da un adulto finalizzata a valutarli per la partecipazione ad
uno studio basato sulle loro abilità linguistiche e molto più frequentemente in occasione di gioco con altri
bambini.
Funzioni pragmatiche e simboliche. Fenomeni di code-mixing sono stati associati a diverse
84
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
funzioni pragmatiche. Lanvers (2001) riporta che i suoi due figli bilingui per il tedesco e l'inglese
(rispettivamente di 1 anno e 6 mesi e 2 anni e 11 mesi) utilizzavano l'enfasi linguistica tedesca quando
parlavano inglese al fine di spostare l'attenzione dei genitori su argomenti differenti da quelli in corso
(vedi anche Vihman, 1998).
Vihman (1998) ha osservato che i suoi figli bilingui per l'inglese e l'estone mescolavano le due
lingue più frequentemente quando giocavano insieme. In contrasto, tendeva a prevalere l'estone nei
discorsi intrattenuti con i genitori, (l'estone è stata la lingua maggiormente parlata in famiglia). Secondo
Vihman l'aumento di frequenza dei code-mixing nel primo caso potrebbe riflettere il desiderio di
mantenere l'identità duale dei bambini con i parlanti estoni ed inglesi della loro vita (i genitori).
Pan (1995), osservando il linguaggio di 10 bambini bilingui per il mandarino e l'inglese, ha
riscontrato che i bambini tendevano a commutare più frequentemente dal mandarino all'inglese rispetto ai
genitori sia quando parlavano con questi ultimi sia in situazioni esterne, dove il mandarino sarebbe
dovuta essere la lingua appropriata. L'autore conclude che differenze nella frequenza di commutazione
dei bambini e dei genitori da una lingua all'altra può essere connessa ad un loro differente senso di
identificazione con le lingue.
Diversi ricercatori, infine, hanno suggerito che particolari forme di interferenze possono essere
imputabili a particolari fattori delle strutture linguistiche (Murrell, 1966, Taubouret-Keller 1962 Vihman
1985). Vihman, ad esempio, riporta che il bambino bilingue per l'inglese e l'estone da lui osservato
preferiva utilizzare le parole funzione inglesi anche quando si esprimeva in estone perché più semplici e
salienti rispetto agli equivalenti di quest'ultima lingua.
5.6 Competenze comunicative dei bambini bilingui
Sia nei bambini bilingui che in quelli monolingui, la comunicazione è spesso caratterizzata da una
serie di ostacoli e difficoltà, a causa delle loro abilità linguistiche in via di sviluppo.
Tra le sfide comunicative più ricorrenti emergono: l'abilità nel comprendere il discorso
dell'interlocutore quando non tutti i vocaboli utilizzati da quest'ultimo sono conosciuti dal bambino,
produrre forme linguistiche comprensibili, utilizzare il linguaggio in maniera socialmente appropriata. Al
bambino bilingue sono tuttavia richieste abilità ulteriori, finalizzate alla scelta linguistica più adeguata.
Le competenze specifiche del bilinguismo implicano quindi lo sviluppo di abilità cognitive che vanno
oltre quelle strettamente linguistiche.
Uno degli aspetti fondamentali della competenza comunicativa bilingue è l'immediata abilità nello
scegliere ed utilizzare la lingua più adatta al contesto. Nicoladis & Genesee (1996) hanno riportato che
tale abilità sembra emergere già a partire dalla fase di comparsa della prima parola e del parlato
telegrafico. Gli autori hanno in particolare osservato che la scelta della lingua appropriata si verifica non
solo quando l'interlocutore è il genitore, ma anche in presenza di persone estranee con le quali i bambini
non hanno avuto precedenti esperienze comunicative (Genesee et al., 1996).
Queste forme di adattamenti si possono verificare anche per quanto riguarda l'utilizzo dei code-
mixing e la commutazione delle lingue (code-switching).
85
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
Comeau et al. (2003) hanno osservato che la qualità e la quantità delle interferenze presenti nel
linguaggio dei bambini bilingui si modifica in funzione dello stile espressivo dell'interlocutore, anche
qualora quest'ultimo sia una persona sconosciuta e l'argomento di discussione inaspettato.
Una ulteriore evidenza emersa da questa ricerca è che i bambini, perfino il più giovane, non
cambiavano linguaggio se l'interlocutore produceva parole a loro sconosciute (i discorsi sono stati basati
sulla lingua non dominante dei bambini).
I risultati di queste ricerche suggeriscono che bambini bilingui nel corso dalla prima fase di
produzione linguistica sono in grado di cogliere indizi non specifici utili per un'adeguata scelta
linguistica e successiva calibrazione. Al fine di non interrompere la comunicazione, mettono in atto
particolari strategie, che consentono loro di adattare istantaneamente il linguaggio alle esigenze
dell'interlocutore anche nei casi in cui non sia possibile beneficiare di precedenti esperienze
d'apprendimento.
I ricercatori hanno tentato di comprendere in che modo i bambini giungano a capire quale
linguaggio sia appropriato e cosa questo ci dice circa le loro capacità cognitive che gli consentono di
controllare le richieste addizionali della comunicazione bilingue.
Lanza (1997, 2001) suggerisce che l'abilità nel compiere la scelta linguistica e nel calibrare i
code-mixing emergono dagli stessi processi di socializzazione linguistica che influenzano lo sviluppo
delle abilità comunicative dei bambini monolingui (Doepke, 1992). In particolare l'autore ritiene che esse
siano correlate alle diverse strategie educative adottate dai genitori. Ad esempio le interferenze vengono
implicitamente incoraggiate quando il genitore tollera e dimostra di comprendere i discorsi del figlio nel
corso dei quali esse sono presenti. Al contrario il bambino tende a non farne più uso quando il genitore
adotta la “strategia monolingue”, ossia dichiara di non comprendere le frasi espresse dal bambino se
contenenti code-mixing e chiede chiarificazioni.
Doepke (1992), in uno studio condotto su famiglie anglo-tedesche in Australia, ha osservato che il
maggiore utilizzo del tedesco da parte dei bambini anziché l'inglese (la lingua che preferivano
maggiormente utilizzare) era dovuto a specifiche strategie genitoriali che obbligavano i figli ad utilizzare
il tedesco.
La socializzazione linguistica tuttavia può spiegare il diverso livello di interferenze ricorrenti nei
bambini bilingui e la loro abilità nell'adattare il linguaggio con persone famigliari, ma non è sufficiente a
spiegare le performance manifestate quando l'interlocutore è una persona sconosciuta e per la quale il
bambino non possiede alcuna informazione circa le sue conoscenze linguistiche (Comeau et al., 2003).
Comeau et al. (2003) hanno effettuato uno studio nel corso del quale è stato analizzato
l'adattamento linguistico dei bambini in occasione di dialoghi intrattenuti con interlocutori non
famigliari. Questi ultimi modificavano la frequenza delle commutazioni e dei mescolamenti di lingua nel
corso di tre sessioni successive rispettivamente dal 15% al 40% e poi di nuovo al 15%. I bambini
tendevano ad adattare il loro linguaggio in funzione di quello dell'interlocutore, raggiungendo un livello
di mixing molto simile.
I bambini bilingui tendono a reagire prontamente anche alle informazioni fornite dall'interlocutore
circa l'appropriatezza delle loro scelte linguistiche. Comeau e Genesee (2001) riportano che bambini
86
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
bilingui per l'inglese ed il francese (età media 2 anni e sette mesi e 3 anni ed un mese) traducevano o
commutavano i loro messaggi nella lingua opportuna ogni qual volta l'interlocutore dimostrava di non
comprendere quanto udito. La maggior parte di tali cambiamenti linguistici avveniva in seguito a
richieste implicite di chiarificazioni che non indicavano quale fosse l'origine dell'interruzione
comunicativa. Inoltre, i bambini, perfino i più giovani, virtualmente non cambiavano mai linguaggio
quando riparavano ad una interruzione comunicativa non dovuta alla scelta linguistica. E' da notare che la
lingua di base utilizzata per l'interazione era la lingua in cui i bambini erano meno abili.
I risultati di queste ricerche suggeriscono quindi che bambini bilingui di 2-3 anni possono inferire
il significato di feedback non specifici circa l'adeguatezza della loro scelta linguistica ed utilizzarli al fine
di adattare il linguaggio alle esigenze dell'interlocutore.
Secondo Leopold (1956), “il bilinguismo aiuterebbe a rompere l'intima associazione tra forma e
contenuto”. In altre parole, il bambino bilingue, proprio per la sua esperienza di contatto con due diverse
espressioni per uno stesso oggetto, riesce in qualche modo a capire la natura “convenzionale e arbitraria
delle parole”, prima di quanto avvenga nei monolingui.
87
L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
6 Conclusioni
In questo lavoro di tesi sono stati riportati i risultati di una serie di ricerche volte ad analizzare le
peculiarità dell'apprendimento bilingue e gli aspetti che esso ha in comune con quello monolingue.
Da diversi studi è emerso che entrambi i gruppi raggiungono le tappe fondamentali dello sviluppo
linguistico alle stesse età, sia per quanto riguarda l'inizio della lallazione (Oller et al., 1997), la comparsa
delle prime parole (Nicoladis & Genesee, 1997) e per tutto il periodo dello sviluppo del vocabolario
(Pearson et al., 1993, 1994).
Ritardi riscontrati nella discriminazione di alcuni segmenti fonemici nel linguaggio dei bambini
bilingui sembrano verificarsi quando le due lingue sono molto simili a livello fonemico (Sebastian-Gallès
& Bosch, in stampa). Gli autori suggeriscono che questi ritardi sono imputabili al fatto che i bambini
sono esposti ad input i cui contrasti fonemici non sarebbero chiaramente discriminabili.
Anche nello sviluppo morfosintattico non si sono osservate differenze di età rispetto ai
monolingui nel raggiungimento delle tappe progressive, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della
lingua dominante (Paradis & Genesee, 1996). Secondo Oller et al., (1997) e Wexler (1998) tali
similitudini sono dovute al fatto che questi aspetti dello sviluppo linguistico possono essere relativamente
robusti nel fronteggiare le considerevoli variazioni ambientali, in quanto la maturazione biologica e
cognitiva gioca un importante ruolo in queste fasi dello sviluppo.
Sono emerse tuttavia anche delle differenze tra lo sviluppo linguistico bilingue e monolingue.
Quelle riguardanti l'ampiezza del vocabolario per ogni lingua possono essere attribuite ad una differenza
sia per quanto riguarda la frequenza delle volte in cui un bambino è esposto ad una lingua che il contesto
in cui questo avviene (Pearson et al., 1997). I bambini che ricevono gli input per ogni lingua da differenti
interlocutori (e.g. madre, padre, fratelli e sorelle) possono acquisire differenti repertori lessicali in ogni
lingua perché diverse persone parlano loro di diversi argomenti (De Houwer, 1990).
Eventuali differenze per quanto riguarda l'età in cui si verifica mediamente il raggiungimento di
una determinata fase di sviluppo possono essere attribuite al fatto che i bambini bilingui, dal momento
che utilizzano due linguaggi, ricevono meno input per ciascuno di loro in confronto ai loro pari
monolingui (e.g. Marchman, Martìnez-Sussman & Dale, 2004).
E' tuttavia degno di nota il fatto che i bambini bilingui, al contrario dei monolingui, acquisiscono
abilità addizionali necessarie per la gestione e l'utilizzo di due linguaggi. A partire da una precoce età si
dimostrano già in grado di comprendere quando utilizzare ogni lingua e se possono compiere delle
interferenze anche in presenza di un interlocutore non famigliare. Si dimostrano inoltre abili
nell'identificare gli insuccessi comunicativi dovuti ad inappropriate scelte linguistiche, utilizzando
feedback impliciti e aspecifici e mettendo in atto strategie per porre riparo a tali insuccessi.
Nel focalizzare l'attenzione sulle differenze o le similitudini di sviluppo linguistico tra bambini
bilingui e monolingui, il quadro che emerge del bambino esposto a due lingue quindi è quello di un
individuo dotato di particolari abilità creative che possono contribuire ulteriormente allo sviluppo delle
capacità linguistiche e cognitive (Genesee, 2003).
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L'ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO E DEL BILINGUISMO
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