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Università degli Studi di Firenze Facoltà di architettura Dipartimento di Storia dell’Architettura e della Città a.a. 2006-2007 Tesi di Laurea di Gaia Vivaldi L’EX COLONIA FIAT ‘EDOARDO AGNELLI’ A MARINA DI MASSA RELATORE : Prof. Gianluca Belli

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di architettura

Dipartimento di Storia dell’Architettura e della Città

a.a. 2006-2007

Tesi di Laurea di Gaia Vivaldi

L’EX COLONIA FIAT ‘EDOARDO AGNELLI’ A MARINA DI MASSA

RELATORE : Prof. Gianluca Belli

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INDICE

Introduzione ........................................................................p. 4

1 Vittorio Bonadè Bottino 1.1 La vicenda personale ...........................................................p. 6

1.2 Bonadè Bottino a Torino tra eclettismo e avanguardia .......p.13

1.3 Giovanni Agnelli committente ..............................................p.29

2 ‘Paternalismo’ tra industria e fascismo 2.1 L’evoluzione del concetto di assistenza ..............................p. 34

2.2 Paternalismo ottocentesco ..................................................p. 36

2.3 La fase dell’industrializzazione (1900.1930) .......................p. 37

2.4 Il modello di fabbrica totale (1930-1940)..............................p. 38

2.5 La Fiat .................................................................................p. 41

3 Dagli ospizi alle colonie 3.1 La nascita delle colonie .......................................................p. 45

3.2 Le colonie in epoca fascista ................................................p. 48

3.3 L’organizzazione e la gestione delle colonie .......................p. 50

3.4 L’organizzazione delle colonie Fiat .....................................p. 52

4 L’architettura delle colonie 4.1 La geografia delle colonie.....................................................p. 54

4.2 Tipologia delle colonie .........................................................p. 60

4.3 Le torri tra fascismo e futurismo ..........................................p. 69

4.4 Le torri di Bonadè Bottino :

4.4.1 Le prime torri : il Sestriere .................................................p. 78

4.4.2 La nascita del complesso turistico del Sestriere ...............p. 78

4.4.3 Albergo La Torre................................................................p. 80

4.4.4 Albergo Duchi d’Aosta ......................................................p. 83

4.4.5 Colonia montana a Salice d’Ulzio......................................p. 84

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5 La colonia ‘Edoardo Agnelli’ di Marina di Massa 5.1 Massa in epoca fascista .....................................................p. 93

5.2 Sviluppo della marina .........................................................p. 96

5.3 Viabilità a Marina di Massa .................................................p. 99

5.4 La colonia Fiat ....................................................................p. 107

5.5 La vicenda costruttiva .........................................................p. 115

5.6 L’architettura della colonia ..................................................p. 121

5.7 La fortuna ...........................................................................p. 132

APPENDICE

- Allegati documentari..............................................................p. 142

- Regesto delle opere di Bonadè Bottino.................................p. 154

Fonti documentarie................................................................p. 159

Bibliografia .............................................................................p. 160

Filmografia .............................................................................p. 167

Indice delle illustrazioni.........................................................p. 169

Abbreviazioni .........................................................................p. 173

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INTRODUZIONE.

Di questo ingegnere, pioniere dell’industria e uomo fidato di Giovanni Agnelli, non

molti conoscono il nome, ma in molti conoscono la pista sul tetto del Lingotto, di cui

ha calcolato la struttura, e soprattutto la sua bianca torre del Sestriere: in realtà, essa

sorse poco dopo la colonia ‘Edoardo Agnelli’ di Marina di Massa; sono due edifici sia

esteticamente che strutturalmente molto simili ma, mentre il primo fu soprattutto un

veicolo pubblicitario per la Fiat, costruito appositamente per avere un ritorno di

immagine a livello internazionale, la colonia marina sorse con altro intento.

Siamo negli anni in cui il fascismo promuove l’azione previdenziale come garanzia di

giustizia sociale e integrità della stirpe, chiedendo alle industrie di assumersi precisi

impegni in ambito sociale in cambio di politiche protezionistiche a loro favore. Le

colonie per i figli dei dipendenti sono infatti solo una delle espressioni

dell’assistenzialismo industriale, che specialmente negli anni ’20-’30 possiamo

inquadrare in una fase di paternalismo autoritario da parte dello Stato.

Nasce quindi, nel 1933 e in solo 100 giorni sul litorale di Massa, che già dai primi del

Novecento presentava numerose colonie costruite da vari enti ed industrie, un

progetto che mostra la curiosità verso il progresso e le novità di Bonadè Bottino, il

quale riesce a costruire un’architettura dinamica e originale ma formalmente

semplice e schietta nell’uso dei materiali, pur tributando i dovuti omaggi al Regime.

La colonia ‘Edoardo Agnelli’, pura nei suoi volumi, con i pilastri continui per tutta

l’altezza a sottolinearne il verticalismo e il senso di ascesa, sorge dal terreno come

un profilato estruso dalla fondazione al coronamento, con la sua elica interna in cui si

materializza il concetto futurista di dinamismo, senza dimenticare il richiamo “all’era

della macchina” che ritroviamo nella forma della sua pianta, visibile dall’alto come un

aereo o un’enorme ingranaggio.

Bonadè Bottino, progettista di molte costruzioni industriali, tra cui la Fiat-Mirafiori a

Torino, e di varie abitazioni civili, è proprio negli anni Trenta che abbandona il

repertorio di forme eclettiche per indirizzarsi ad un’architettura volta ad una

progressiva semplificazione del disegno, avvicinandosi così al linguaggio ‘moderno’

ma senza disquisire su questioni di stile e rivolgendo l’attenzione piuttosto alla

funzionalità che all’aspetto estetico. Coordinatore di forze, di capacità tecniche ed

economiche, ingegnere che segue ogni fase del ciclo produttivo edilizio, direttore dei

lavori che gestisce il cantiere, manager che predispone e ordina l’attività edilizia

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dell’ufficio tecnico del più grande gruppo industriale italiano, tende sempre ad essere

accondiscendente con il committente, specialmente Agnelli, con cui si crea negli anni

un rapporto quasi totalizzante nonostante il suo dichiarato desiderio dì indipendenza.

Molte notizie sulla vita dell’ingegnere e sui rapporti con la famiglia Agnelli sono state

ritrovate nel lungo manoscritto in cui ci racconta la sua vita fino agli anni ’50; il suo

‘diario’, 14 volumi dattiloscritti, è l’unica documentazione che è stata resa

consultabile dell’archivio privato della famiglia Bonadè Bottino (poiché oggi si trova

all’Archivio Storico Fiat) . La bibliografia relativa a Bonadè Bottino e alla torre

‘Edoardo Agnelli’ di Marina di Massa, è infatti limitata quasi esclusivamente alla tesi

di dottorato della dott. Cristina Banfo, la sola che ha potuto consultare l’archivio

privato della famiglia (adesso di proprietà della figlia di Bonadè Bottino, Maria

Sportoletti Baduel). Tutto ciò che è stato pubblicato sulla torre, su riviste di

architettura dell’epoca e quotidiani locali, riguarda sempre la sua descrizione, ripresa

dalla relazione tecnica pubblicata per la prima volta dalla rivista L’Architettura nel

1933. Il progetto cartaceo è conservato (ma non catalogato) all’Archivio della Maire

Engeneering, non integralmente e non in buono stato a causa dei bombardamenti

della seconda guerra mondiale. La corrispondenza per i pagamenti della Fiat alle

ditte costruttrici, tramite cui si sono potuti ricostruire gli avanzamenti dei lavori nel

tempo e alcune variazioni al progetto originale in corso d’opera, sono stati trovati in

buono stato all’Archivio Storico Fiat di Torino, dove si è potuto consultare anche del

materiale fotografico, donato dalla famiglia Camerana. Altre immagini della colonia e

del suo cantiere, escludendo quelle apparse sul giornale del Dopolavoro Fiat e sui

quotidiani locali, sono state ritrovate alla Biblioteca Civica di Massa e soprattutto

grazie all’aiuto di collezionisti privati. Una documentazione sicuramente preziosa, è

quella dell’Istituto Luce relativa a diversi filmati sulle colonie di epoca fascista, e in

particolare all’inaugurazione della colonia Fiat ‘Edoardo Agnelli’ nel luglio 1933.

Si sono potute così ricostruire le vicende storiche e costruttive della torre, a partire

dall’acquisto dei terreni fino al completamento della sua costruzione, conoscendone

le motivazioni e l’ideazione.

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CAP. 1 VITTORIO BONADÈ BOTTINO

1.1 La vicenda personale. Vittorio Bonadè Bottino nacque il 3 ottobre 1889 a Torino, quando nella città le strade

erano ancora illuminate dai lampioni a gas e sui grandi viali circolavano solo le

carrozze a cavalli; sulla Camera del Lavoro sventolavano le prime bandiere rosse e

per le strade si sentivano gli scoppiettii delle automobili prodotte da “una certa”

officina Fiat.

Trascorse la sua infanzia tra Torino e il paesaggio collinare della Cascina familiare di

Rivalba, avendo occasione di conoscere, durante le scuole, Antonio De Amicis e

Emilio Salgari, da lui ricordati nel suo diario.

Bonadè Bottino ricorda che all’età di dieci anni, quando al parco del Valentino era

stato organizzato quello che fu forse il primo circuito automobilistico e nascevano a

Torino alcune industrie del motore che in seguito dovevano trasformare il volto della

città. “Una novità ci distoglieva spesso dal gioco e provocava una corsa pazza di

frotte di ragazzi verso una delle strade vicine: era il rumore di una delle prime

automobili che si avvicinava scoppiettando fra la polvere di pavimentazioni non

ancora asfaltate.”1

Con l’inizio del nuovo secolo, mentre a conclusione del liceo, nel 1908 si iscriveva al

Politecnico di Torino, molte novità si diffondevano: la pellicola di celluloide, i raggi X,

l’uso della lampada ad acetilene, l’energia elettrica cominciava ad essere trasportata

a distanza, nelle vie comparivano i primi bulbi a incandescenza di Edison e cambiava

così anche il panorama intorno e dentro la città.

Torino, che si avviava ad assicurarsi il primato capitale dell’automobile, stava

agitandosi anche nel campo del volo e Gabriele D’Annunzio ribattezzava il velivolo

come ‘aeroplano’.

Mentre si avviava alla laurea in ingegneria civile, “nel 1911 cadde il Governo Luzzatti

e lo sostituì Giolitti […] Apparvero le insegne al neon e venne inaugurata la linea a

trazione elettrica del Giovi, la prima in Italia […] arrivammo alla fine di aprile, e cioè

alle più importanti manifestazioni del cinquantenario, con l’inaugurazione

dell’Esposizione internazionale.”2

1 V. Bonadè Bottino, Memorie di un borghese del Novecento, Bompiani Overlook, Milano, 2001, p. 22. 2 Bonadè Bottino, Memorie... cit., pp. 93-94

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L’anno seguente moriva suo padre. Nel frattempo lo sciopero a oltranza degli operai,

si concludeva con la vittoria della Lega Industriale, e Bonadè Bottino udiva in quei

giorni, forse per la prima volta, il nome di un certo Mussolini direttore dell’”Avanti”.

Poco dopo il riformismo giolittiano cominciava a vacillare e, in un clima politicamente

più favorevole, gli operai delle fabbriche di automobili riprendevano, nella primavera

del 1913, una lotta a oltranza per la riduzione della settimana lavorativa a 54 ore, il

sabato inglese, l’aumento dei salari, le commissioni interne, il riconoscimento dei

sindacati di categoria.

Il 30 gennaio 1914 si laureò presso il Politecnico di Torino come ingegnere civile e in

giugno ottenne il posto di ingegnere provvisorio del Genio Civile trasferendosi a

Reggio Calabria dove fu inserito nell’ufficio frane del Servizio Idraulico.

Nel frattempo, l’Inghilterra, inizialmente neutrale, si trovò costretta a dichiarare guerra

alla Germania, i francesi si mobilitarono, la Germania dichiarava guerra alla Russia e

si attestava sui confini del Belgio e della Francia, l’esercito austriaco penetrava in

Serbia. Così, nel maggio 1915 l’ingegnere fu chiamato alle armi per prestare servizio

alla Direzione del Genio III Armata.

Alla fine della guerra, “nella regione si avevano le prime avvisaglie di quello che

divenne poi il triangolo di rapida espansione industriale: Fiat, Ilva, Ansaldo, Pirelli,

Sip, Italgas, Montecatini e decine di altre società provvedevano all’aumento dei loro

capitali azionari […] I nuovi nomi dei notabili erano: Giovanni Agnelli, Matteo Ceirano,

Ponti, Fornaca, Dante Ferraris, Gualino, Vitali, Gatta e pochi altri.”3

Il 29 giugno 1919 entrò nello studio dell’ Ing. Francesco Cartesegna4 dopo brevi

esperienze professionali, per un periodo che da sei mesi si prolungò per anni; anni in

cui entrerà in contatto con la Fiat poichè “Agnelli, dopo aver conosciuto i nuovi

metodi dell’industria automobilistica e meccanica, fin dal 1916 aveva voluto un nuovo

stabilimento di dimensioni e strutture tali da risolvere i problemi di spazio, di

movimentazione dei materiali e dei prodotti e di distribuzione delle maestranze, in

vista di una produzione anche decuplicata: il Lingotto era stato iniziato durante la

3 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 184 . 4 Francesco Cartesegna nasce a Pavullo (MO) nel 1882 e muore a Torino nel 1955. Si laurea nel 1909 e nel 1910 arriva alla direzione dei servizi tecnici di una nota impresa torinese di costruzioni, la Giannassi e Pollino. Molto legato al sen.Agnelli, è direttore dei lavori al Lingotto dal 1919 al 1920, progettista di numerosi impianti idroelettrici tra cui quello del moncenisio (1920) e quello della Sila e di impianti infrastrutturali tra cui si può ricordare la sua opera più conosciuta, l’autostrada Torino-Milano (1929). A partire dagli anni ‘30 inizia anche l’attività di consulente tecnico e di amministratore. E’ da ricordare inoltre la creazione della Società Imprese Italiane all’estero che realizzò lavori imponenti in molte parti del mondo, dal Portogallo all’Iran.

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guerra, e ne era autore l’ingegnere meccanico Giacomo Mattè Trucco”5 al quale, nel

luglio 1919, era stato imposto come direttore dei lavori Cartesegna. Questi rinunciò

per divergenza di opinioni con Mattè Trucco, irremovibile nei suoi criteri di

progettazione, così Bonadè Bottino fu promosso suo sostituto e creò un servizio di

direzione per il cantiere, ma rimase pressoché un disegnatore-calcolatore.

Bonadè Bottino partecipò in quegli anni con Cartesegna al progetto dell’impianto

idroelettrico del Moncenisio e dello stabilimento Bergougnan per la lavorazione della

gomma, pur continuando la collaborazione con la Fiat per il calcolo della pista di

prova sul tetto del Lingotto.

Nonostante Torino si confermasse come capitale dell’automobile, la concorrenza

estera non permetteva l’adeguamento delle retribuzioni, ci fu così un periodo di

occupazioni delle fabbriche in tutta Italia che interessò mezzo milione di lavoratori,

ottantamila dei quali proprio a Torino. Per quanto riguarda la situazione politica,

Bonadè Bottino nel suo diario scrive : “Non ricordo particolari episodi di violenza in

quello scorcio del 1920. Niente camicie nere in quel periodo, niente Fasci di

combattimento. Le vanterie degli anni successivi furono una fantasiosa ricostruzione

di episodi estranei a un’organizzazione che, almeno a Torino, non esisteva ancora o,

se esisteva, si era tenuta prudentemente lontana dalle zone di attrito nel periodo

cruciale dell’occupazione delle fabbriche e in quello successivo della campagna

elettorale. Il mio più lontano ricordo di gruppi di fascisti in divisa risale all’inizio del

1921, quando alla testa di dimostrazioni contro il governo Giolitti organizzate da

studenti, ex-ufficiali e disoccupati comparvero alcuni legionari fiumani nella divisa

degli arditi dell’ultimo anno di guerra: uniforme grigioverde, camicia nera, fez nero

con fiocco, pugnale, medaglie, emblemi. Gli individui in divisa si moltiplicarono nei

mesi successivi, e la gente cominciò a distinguerli sotto il nome di fascisti.”6

Ma l’anno seguente, dopo la marcia su Roma di Mussolini e l’assassinio del

segretario della Fiom, a una riunione alla Società degli ingegneri Cartesegna perorò

la soluzione di un’iscrizione di massa al Fascio, per inserire nei suoi ingranaggi

persone più colte e di sicuri sentimenti civici, e così Bonadè Bottino dovette smettere

di temporeggiare per eludere una scelta forzata di schieramento politico: la

5 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 204 . Giacomo Mattè Trucco nasce nel 1869 e muore nel 1934. Ingegnere-manager di grandissimo talento, tra i primi in Italia ad impiegare le strutture in cemento armato. Stretto collaboratore di Giovanni Agnelli, la sua attività si identifica totalmente nella azienda di cui è progettista, realizzando per essa - tra le altre strutture produttive - il "Lingotto", considerata da Le Corbusier nel suo "Vers une Architecture" uno dei capisaldi della tecnica moderna. 6 Bonadè Bottino, Memorie... cit., pp. 220-221 .

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necessità professionale di mantenere un contatto con le autorità gli suggerì di evitare

una palese opposizione, inoltre al Fascio occorreva assicurare l’inquadramento di

elementi con valide capacità tecniche, buona cultura, precedenti militari di effettivo

servizio in guerra. Così, presso la Società degli ingegneri si costituì un Sindacato

ingegneri in cui Bonadè Bottino fungeva da Segretario dell’Ordine. Nel 1924 i solleciti

di alcuni compagni d’armi, oltre alle considerazioni di carattere professionale, lo

persuasero ad iscriversi al Partito fascista. Fece così parte per 19 anni del Fascio di

Torino. “Alieno alla politica, evitai di inserirmi nei quadri organizzativi, e quindi in

impegni di attivismo […] Il mio fu forse opportunismo, mancanza di saldi principi

politici, facile adattamento a un regime quasi totalitario”7

Nella primavera del 1925 divenne titolare dello studio e l’anno seguente (il 20 marzo

1926) diventò socio dell’Albo professionale degli Ingegneri e Architetti appena

istituito, avviandosi a consolidare la sua posizione di “borghese”, come lui stesso

scrive, visto che nel 1927 ebbe un incarico a tempo indeterminato alla Fiat, quando il

presidente Agnelli lo presentò al direttore generale Fornaca suggerendogli di

affidargli un incarico di consulenza nel campo delle costruzioni e degli impianti

industriali, permettendogli così di rimanere svincolato da una condizione di

dipendenza che già aveva rifiutato quando De Benedetti gli aveva proposto la

direzione dei lavori a Porto Marghera. L’anno seguente entrò a far parte della

Commissione di controllo e di collaudo dell’impianto idroelettrico dell’Orco per conto

dell’Azienda Elettrica Municipale di Torino.

“Nel primo periodo degli anni Trenta l’atmosfera politico-sociale si era placata in una

sorta di bonaccia. Da una parte la crisi economica, pur attenuatasi, limitava

comunque gli investimenti di qualche rilievo; dall’altra una diffusa disoccupazione, o

sottoccupazione, rendeva facilmente disponibile la manodopera. Frenato

l’inurbamento dalle campagne dell’alta Italia e ancora quasi nullo quello dal

Meridione, si verificava un complesso di circostanze che rendevano quieto l’ambiente

sociale e conferivano al datore di lavoro una benemerenza di civismo. Il regime

approfittava della distensione sociale e, evitando iniziative politiche di troppa

risonanza, assicurava all’interno e all’esterno l’impressione di larga adesione di tutti

gli strati sociali alla nuova conduzione dello Stato.”8

7 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 234 . 8 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 286 .

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Pur rimanendo sempre un libero professionista (lo studio privato attivo fino al ’53, in

realtà concluse la sua attività con la costituzione nel ’38 del Servizio Costruzioni), il

rapporto di lavoro creatosi con la Fiat diventò quasi totalizzante, e anche in campo

civile le realizzazioni furono commissioni Fiat, Riv o comunque famiglia Agnelli.

I progetti più importanti di Bonadè Bottino (il cui regesto troveremo a p) si inseriscono

tra le opere sociali della Fiat, o in ambito turistico o nella politica edilizia Fiat

all’interno della città di Torino (come nel caso dell’albergo Principi di Piemonte,

inserito nella ristrutturazione di Via Roma di cui Piacentini era consulente per la

redazione del piano). Sono degli anni ‘30 le colonie marina e montana di Marina di

Massa e Salice d’Ulzio, il complesso del Sestriere, lo stabilimento Mirafiori e molti

interventi in ambito industriale, in cui Bonadè Bottino progetta o dirige i lavori.

Nel 1937 collaborò con la rivista Case d’Oggi e nel 1938 si costituì in forma stabile il

Servizio Costruzioni del gruppo Fiat, in occasione del progetto degli impianti della

Mirafiori. Dal ’39 si occupò anche di rifugi antiaerei e di edilizia operaia.

Arrivati alla soglia degli anni ’40, con la promulgazione delle Leggi razziali e

l’occupazione dell’Albania, “la situazione economica del Paese stava peggiorando:

appartenevo anch’io a quella maggioranza di italiani che danno scarsa importanza ai

giochi politici, salvo trovarsi quasi improvvisamente di fronte a eventi che li toccano

molto da vicino. La guerra etiopica si era conclusa, l’impero era stato riconosciuto

dalla Germania e da pochi altri Stati […] constatai la definitiva promozione al ceto

borghese, deprecato e svilito da una grossolana critica sociale, secondo la quale chi,

con accanito lavoro, è riuscito a raccogliere dei risparmi e un reddito di riserva è

colpevole di prevaricazione a danno degli altri lavoratori.”9 Al 1940, risulta

amministratore della Vetrocoke, della Compagnia Italiana Strade, dell’Unione

Cementi Marchino, delle Cartiere Reguzzoni, della Società An. S.Federico, della Soc.

An. Edilizia Piemontese, della Soc. Italedile.

Nel 1941 Bonadè Bottino compariva tra gli iscritti all’INU10 . Del 1942, ventennale

della marcia su Roma, l’ingegnere ricorda la visita del Duce alla Fiat: “fece una breve

sosta nelle officine […] poi vi fu un’adunata di forse diecimila operai nell’area della

pista di collaudo con i direttori e i dirigenti tutti in camicia nera, il senatore compreso

9 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 318. 10 INU : Istituto Nazionale Urbanistico fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i principi della pianificazione.

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[…]. Parole di apprezzamento per l’operosità del popolo piemontese e per le

benemerenze della sua industria in pace e in guerra, conclusero la visita.”11

Si entra negli anni della guerra, e nel 1943, Torino e i suoi stabilimenti vennero

occupati militarmente dai tedeschi e a novembre bombardati; si pensò così a un

secondo centro di produzione motoristica e di autocarri Fiat a Firenze, progettato

dallo stesso Bonadè Bottino.

Con la fine della seconda guerra mondiale, si concludono le informazioni che

provengono dal suo “diario”, dove Bonadè Bottino negli anni ’50 scrive : “Anche

l’ambiente esterno è invecchiato [...]: l’agitato dopoguerra aveva un suo carattere di

vivacità, di contrasti politico-sociali, di estremismo magari ostico ma non privo di

esuberanza giovanile. Ora si sono tutti imborghesiti, la marcia dei partiti e dei

sindacati risuona come il passo sui tappeti, mercati e negozi rigurgitano di merci e di

viveri, la crisi degli alloggi volge al termine [...] la vita è più facile.”

In questo racconto del lungo riscatto sociale della sua famiglia e soprattutto

memoria di un pioniere dell’industria italiana, ci dice di essere divenuto un

‘borghese’: “il termine si riferisce ad una condizione sociale non definita e forse non

definibile […] la persona che nell’ambiente sociale in cui vive mira ad assicurarsi una

sufficiente libertà di pensiero e d’azione, quale gli permettono le risorse d’intelletto e

di cultura. Ciò è realizzabile soltanto se l’aspetto economico dell’esistenza viene

entro certi limiti svincolato da un condizione di stretta dipendenza da enti o persone”,

e ne abbiamo la prova quando scrive che per questo desiderio di indipendenza,e per

“l’avversione a un genere di vita programmato giorno per giorno da una gerarchia

alla quale avrei dovuto sottostare, [...] l’orologio del controllo”12 rifiutando il ruolo

direttivo che gli fu proposto da De Benedetti negli stabilimenti di Porto Marghera.

Nel secondo dopoguerra, oltre a ricoprire cariche di vario genere, diverrà

Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana, Cavaliere del lavoro, e nel 1967 riceverà il

Premio Torino.

Il 24 marzo 1979, muore a Torino.

11 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 328. 12 Bonadè Bottino, Memorie... cit., p. 256.

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Fig. 1. V. Bonadè Bottino nel 1915. Fig. 2. V. Bonadè Bottino con la figlia Maria.

Fig. 3. Colle del Setrières, Gennaio 1933. Da destra a sinistra: l’ing. V. Bonadè Bottino, il sen. Giovanni Agnelli, l’avv. Edoardo Agnelli, Laura Nasi poi contessa Camerana, il marchese di Cinzano, il conte Boselli.

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1.2 Bonadè Bottino, ingegnere a Torino tra eclettismo e avanguardia.

Dopo la prima esperienza lavorativa presso il genio Civile in Calabria nell’ufficio frane

del Servizio Idraulico e dopo gli anni della guerra, nel 1919 Bonadè Bottino cerca di

inserirsi nel mondo professionale torinese. Alcune esperienze sporadiche e slegate

le une dalle altre si rivelano inconcludenti ma l’incontro con l’ing. Francesco

Cartesegna avvenuto tramite un amico del fratello Guido, l’ing. Girelli, segna la sua

carriera.

Alla fine di giugno si inizia, così, l’attività professionale di Bonadè Bottino che, per gli

studi fatti, risponde perfettamente alle necessità di Cartesegna, intento ad aprire un

ufficio tecnico di progettazione e direzione lavori nel ramo delle costruzioni industriali

e del calcolo del cemento armato. Si trattava, nelle intenzioni iniziali, di una

collaborazione di breve durata, circa sei mesi, diventerà invece un rapporto di lavoro

duraturo benché con modalità diverse nel corso degli anni. Il primo impatto col lavoro

è molto importante almeno dal punto di vista culturale. Bonadè Bottino, conosciuto

all’epoca come progettista degli stabilimenti di Mirafiori, inizia la sua carriera al

Lingotto come calcolatore del cemento armato e, più in generale, come collaboratore

di Cartesegna nella direzione lavori. Un’esperienza che ha termine già nel 1920, con

l’abbandono dell’incarico da parte di Cartesegna, ma che lo introduce nell’ambiente

edilizio ed in particolare in quello industriale; e mentre sotto la guida di Cartesegna,

Bonadè Bottino continua l’attività in campo industriale, nella pratica quotidiana si

affiancano progetti di piccola entità, in genere case di civile abitazione,

commissionate dai privati o capimastri conosciuti durante i lavori del Lingotto. Questi

progetti, pur permettendo, nei primi anni Venti, continuità di lavoro allo studio, non

hanno rilevanza né sul piano architettonico né sul piano dell’organizzazione del

lavoro13. Sono gli anni in cui emergono solo poche realizzazioni, molto diverse tra

loro: da una parte l’architettura industriale con la progettazione della Vetrocoke di

Porto Marghera (1924), dall’altra l’architettura civile con casa Demarchi14 (1924) (fig.

4-5) e il Cine Palazzo15 (1926) (fig. 6) a Torino. Sono gli anni, anche, in cui si assiste

13 Sono lavori proposti da alcuni capimastri, di cui Bonadè Bottino non ha un buon ricordo, definendoli “progetti sommari di casette di periferia deludenti come impostazione architettonica e costruttiva”, in Bonadè Bottino Vittorio, La storia del nonno. Ricordi di un borghese vissuto nella prima metà del secolo XX. Dattiloscritto, ASF. 14 (De Marchi era il cognome della madre di Vittorio Bonadè Bottino) Diventò l’abitazione di tutta la famiglia e la sede dello studio dell’ingegnere. sorge su un’area in disuso di proprietà del comune. Vedi Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995, p. 14. 15 Progettato nel 1925 e costruito nel 1926 per committenza della Società Cinestampa, ha continuato ad essere uno dei locali pubblici più conosciuti e frequentati di Torino sia per il cinematografo che per la sala danze

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al tentativo di affermarsi tra colleghi e cittadini, e l’accordo intercorso tra Bonadè

Bottino e Agnelli nel 1927 conferma tale affermazione permettendo altresì di ottenere

sicurezza e continuità nel lavoro. Il raggiungimento di una certa tranquillità

nell’ambito professionale, è accompagnata anche da cambiamenti all’interno dello

studio. Sono mutamenti non tanto organizzativi quanto gestionali: nel 1919 era

entrato nello studio Cartesegna come collaboratore e nel 1921, per le prolungate

assenze del titolare, gli subentra nella gestione e nella primavera del 1925 ne

diviene l’unico titolare.

Fin dall’inizio le sue capacità tecniche ed organizzative gli permettono di ottenere

fiducia e autonomia; ne sono un esempio le vicende del Lingotto16 quando, in un

primo momento, sotto la guida di Cartesegna, Bonadè Bottino sviluppa particolari

costruttivi e calcola parti dell’edificio come le rampe elicoidali che portano al tetto e la

pista di prova, ma successivamente acquisisce funzione di collegamento con il

progettista, l’ing. Giacomo Mattè Trucco e con l’impresa Pianezza (che stavano

costruendo l’edificio), fino a costituire un Servizio Tecnico che doveva gestire il

cantiere, dopo l’allontanamento di Cartesegna dalla direzione lavori.

In questo studio di piccole dimensioni ma in continua espansione, dove le commesse

più significative sono rappresentate da progetti di architettura industriale in ambito

torinese o al massimo regionale, il disegnatore e calcolatore assume in breve tempo

il ruolo di progettista, unico progettista di Cartesegna, affiancato da qualche

ingegnere e geometra agli inizi di carriera e una disegnatrice. Un insieme che

compone il nucleo di un ufficio in cui molti collaboratori e dipendenti continuarono il

rapporto di lavoro con Bonadè Bottino per anni fino a trasferirsi, alla fine degli anni

’30, alla Servizio Costruzioni Fiat.

Lo studio professionale è un “luogo” importante nella concezione del fare architettura

di Bonadè Bottino. L’attenzione, fin da questi primi anni di attività orientata verso

l’intero processo edilizio, dalla progettazione al cantiere, diventa uno degli aspetti più

interessanti, e proprio nello studio, nella sua organizzazione e gestione, risiede la

possibilità di coordinare e controllare tutte le fasi della produzione architettonica.

Questo modo di impostare il lavoro, attuabile soprattutto grazie alle capacità

organizzative e manageriali di Bonadè Bottino, caratterizza l’intera sua attività con

sotterranea. Nel 1980 è stato distrutto da un incendio; nell’1987 si è avviata la ricostruzione, trasformandolo in sede di uffici e negozi. 16 Vedi Olmo C., a cura di, Il Lingotto, 1994 Il Lingotto, 1984

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uno sviluppo che nel corso degli anni porterà il piccolo studio dei primi anni ’20 ad

ampliarsi e a strutturarsi nel modello dei grandi offices americani fino a costruire

l’Ufficio Tecnico della Fiat.

Nei primissimi anni, la strutture del lavoro progettuale è assai semplice: il progettista

fornisce l’impostazione dell’intervento e i dipendenti, seguendone le indicazioni, ne

approfondiscono lo studio e preparano la stesura del progetto. È anche vero però,

che questo gruppo di professionisti, nel giro di pochi anni acquisisce autonomia

all’interno dello studio tanto da inserirsi attivamente nell’iter creativo, sviluppando in

parte, o totalmente, alcuni progetti o collaborazioni. Ne è un esempio la

progettazione del Cine Palazzo a Torino durante la quale viene introdotta una sorta

di divisione del lavoro secondo la quale Bonadè Bottino si occupa personalmente

della progettazione strutturale, impiantistica e di distribuzione interna, in generale la

parte più tecnica, mentre affida lo studio della facciata a un dipendente17.

Bonadè Bottino e la Torino degli anni Venti.

La sua figura di tecnico ed intellettuale si muove in una molteplicità di ambiti, al di là

di una schematizzazione che contrappone architettura ‘accademica’ e ‘moderna’,

architettura ‘fascista’ e ‘antifascista’. Titolare di uno studio professionale,

coordinatore di forze, ingegni, capacità tecniche ed economiche sempre maggiori,

ingegnere che segue ogni fase del ciclo produttivo edilizio, direttore dei lavori che

gestisce il cantiere, manager che predispone, ordina l’attività edilizia dell’ufficio

tecnico del più grande gruppo industriale italiano (la Fiat).

L’aver partecipato ad alcuni episodi significativi della costruzione della città, dalla

ricostruzione di via Roma alla realizzazione della Fiat-Mirafiori, nonché l’essere

autore di opere emergenti come le torri del Sestriere e nello stesso tempo di tanti

interventi di architettura industriale senz’altro più ordinari, lo pone tra i principali attori

della scena architettonica torinese.

Torino, soprattutto negli anni Venti, meno negli anni Trenta, può essere considerata

una città “laboratorio” dal punto di vista culturale, artistico, politico. La Torino dell’arte

e dell’architettura si affianca alla Torino del pensiero liberale e socialista dando vita

ad una stagione breve ma intensa, in cui alle elaborazioni teoriche corrispondono

realizzazioni d’opere d’arte di particolare valore. La vita artistica della città, in

17 Banfo C., Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995.

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particolare, registra la presenza di alcuni protagonisti delle vicende, dei dibattiti che

caratterizzano quegli anni, da Lionello Venturi a Edoardo Persico, da Felice Casorati

a Fillia, da Giuseppe Pagano ad Alberto Sartoris, personaggi, tutti, sensibili agli

avvenimenti artistici europei, mai interessati solo alle esperienze locali e nazionali.

Se è possibile individuare un insieme di artisti “d’avanguardia”, è necessario però

ricordare anche la presenza di altri architetti, pittori, scultori esponenti della tradizione

eclettica torinese, come l’architetto Giovanni Chevalley18, il pittore Giacomo Grosso o

lo scultore Edoardo Rubino. Non si ha un’immagine unitaria, al contrario, la città

mostra una varietà notevole tra l’”eclettismo” della Cassa di Risparmio di Chevalley e

il “razionalismo” del progetto di Via Roma del gruppo MIAR, varietà che presenta

esempi interessanti, dal neo manierismo romano del conservatorio Giuseppe Verdi di

Giovanni Ricci al “Novecento” della casa del Balilla di Costantino Costantini, dal

protorazionalismo francese dell’ospedale S.Giovanni di Eugenio Mollino19 al

razionalismo mitteleuropeo del mercato ortofrutticolo di Umberto Cuzzi, con rare

opere di rottura, come alcune sedi rionali del P.N.F., la sede della Società Ippica o il

Palazzo della Moda.20

In questa Torino sempre vivace culturalmente e non omologata all’immagine di città

industriale tout-court, Bonadè Bottino è una figura non di primissimo piano ma

fortemente presente anche se non partecipa attivamente alle polemiche, ai dibattiti

che contraddistinguono gli anni tra le due guerre, sempre intento a creare

un’architettura più rivolta agli aspetti pratici che teorici. Non è quindi un uomo

pubblico, non è un teorico, ma se da una parte non interviene nel dibattito

architettonico di quegli anni, dall’altra fa parte di quel gruppo di ingegneri-architetti

protagonisti della vita architettonica di Torino e della sua costruzione.

Il tessuto di relazioni intrecciato fin dagli inizi della professione, al tempo della

collaborazione con Francesco Cartesegna, spinge Bonadè Bottino a legarsi e ad

inserirsi sempre di più nel mondo imprenditoriale torinese ed in particolar modo a

lavorare per la Fiat. Questo lo induce anche ad avvicinarsi alla cultura del progetto

18 Giovanni Chevalley nasce a Siena nel 1868 e muore a Torino nel 1954; si laurea in ingegneria civile alla R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Torino nel 1891. Nel 1892-93 lavora presso le Officine Savigliano di Torino, poi nel 1893-99 frequenta lo studio dell’architetto Carlo Ceppi. Nel 1899 inizia la sua attività di architetto come libero professionista. (Da Società Ingegneri ed Architetti di Torino (a cura di), Giovanni Chevalley architetto, Torino, Tip. Vincenzo Bona, 1951). Indiscusso punto di riferimento a Torino per quell’architettura legata alla tradizione, progetta per la Fiat, l’albergo principi di Piemonte (con l’arch. M. Passanti) e la chiesetta di S. Edoardo al Sestrières (con V. Bonadè Bottino) 19 (Torino, 1905-1973). Laureato architetto al Politecnico di Torino nel 1931, fu anche designer e fotografo. Per conto della Fiat progetta la slittovia del lago Nero a Sauze d’Oulx nel 1946-47 e ristruttura la palazzina dell’Aero Club di Torino. 20 Dolza Delfina, Torino fra liberalismo e fascismo ,1900-1940. F.Angeli, Milano, 1987.

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industriale, a Torino forte dei contributi teorici e pratici dei personaggi come l’ing.

Camillo Guidi21 o l’ing. Giovanni Antonio Porcheddu22, piuttosto che al mondo della

ricerca d’avanguardia. In questo senso, si comprende che l’attenzione è rivolta ad

una architettura rispondente al massimo alle esigenze della committenza, dove

l’aspetto estetico diventa una conseguenza di scelte spaziali e costruttive e non

rimane a se stante.

L’iscrizione e la partecipazione ad istituzioni come la Società Ingegneri ed Architetti,

testimoniano l’interesse alle vicende architettoniche torinesi. D’altronde, la sua

attività professionale può annoverare collaborazioni con alcuni protagonisti della

scena torinese, Giovanni Chevalley, Marcello Piacentini ma soprattutto Francesco

Cartesegna, Giuseppe Pagano, Mario Passanti23 e Mario Dezzuti24 sono architetti

con cui lavora o che, per lo meno, conosce ed apprezza. Pur limitando sempre questi

rapporti a circoscritte opportunità di lavoro, è da sottolineare come in occasione di

importanti opere scelga collaboratori e progettisti tra i giovani architetti esponenti

della cultura più aggiornata e “moderna”. Anzi, la conoscenza di Pagano e le

proposte di alcuni di questi architetti stabiliscono una cesura collocabile alla fine degli

anni Venti, quando Bonadè Bottino passa dalla realizzazione del Cine Palazzo, di

chiara impronta eclettica, alle torri del Sestrières, “moderne” come concezione e

veste estetica. Con ciò non si può parlare certamente di adesione ai principi

razionalisti visto il suo totale disinteresse verso questioni “di stile”. In genere si

assiste ad una costante attenzione rivolta alla funzionalità e alla semplificazione che,

almeno formalmente, lo conduce al linguaggio “moderno” a cui si avvicina in parte

anche per l’impegno consuetudinario nel campo dell’architettura industriale.

D’altronde un altro elemento di distanza dalla cultura architettonica italiana sta nella

mancata assunzione dei modelli europei come riferimenti, sostituiti da certa cultura

del cemento armato prima e da certa architettura americana poi.

21 Nato a Roma nel 1853, si laurea alla Scuola di Applicazione per Ingegneri di Roma nel 1873. Ancora oggi sono validi i suoi studi sul principio di elasticità nelle sue applicazioni tecniche, sulla teoria dei sistemi continui, sui conglomerati in cemento semplici ed armati e sulla loro resistenza. Tra l’altro, professore emerito del politecnico di Torino. Muore a Roma nel 1941. 22 (1860-1937) Ingegnere civile laureato presso la Regia Scuola di Applicazione di Torino. Nel 1892 ottenne il diploma di Ingegnere Industriale presso il Regio Museo Industriale. Al suo impegno vanno attribuite la diffusione del sistema Hennebique in Italia e la realizzazione di opere che raggiunsero il primato nel mondo (compresa la Fiat Lingotto di Torino). 23 (1901-1972) Architetto, studioso, artista e docente di storia dell’architettura, lavora a Torino (anche agli edifici di Via Roma), Chivasso, Asti, Varigotti; al Sestrières collaborò con Chevalley all’albergo Principi di Piemonte. 24 (1892-1975) Ingegnere civile laureato al Politecnico di Torino; specializzato nella costruzione di ponti, ne costruì a Torino, Verona ed Imperia. Dal 1933 al 1935 fu Direttore de L’Architettura Italiana.

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La figura di Bonadè Bottino partecipa, quindi, alla costruzione della città, non alla sua

discussione; alla costruzione della città delle industrie ma non solo. Ai numerosi

interventi ordinari si affiancano alcune realizzazioni emergenti: l’urbanizzazione del

colle del Sestriere, la ricostruzione dell’isolato S. Antonio da Padova di Via Roma25,

la Fiat-Mirafiori, sono opere che si propongono come segno forte sul territorio

incidendo notevolmente sull’immagine della città e presentando indiscusse valenze

simboliche. E, quindi,non solo l’architettura industriale, ma, pur essendo committente

la Fiat, anche architettura civile.

In questa atmosfera stimolante e complessa, in cui, nel giro di pochi anni, si

susseguono mutamenti, Bonadè Bottino, agli inizi della carriera, assume una sorta di

posizione neutrale. Certamente frequenta gli ambienti architettonici e l’iscrizione alla

società degli Ingegneri e Architetti e all’Albo nel 1926 ne sono testimonianza, ma non

si ha traccia di un suo avvicinamento a gruppi e movimenti non istituzionali. Né si

conoscono contributi scritti o collaborazioni a riviste che possano far capire il

pensiero di questo ingegnere che era forse più interessato a allargare la cerchia dei

possibili committenti, incontrati soprattutto nel mondo imprenditoriale torinese, dal

piccolo industriale, come la famiglia Usigli, al capitano d’industria, come Giovanni

Agnelli. D’altro canto la committenza industriale diventa fondamentale per formare

un metodo di lavoro, di approccio al progetto, di rapporto con la committenza e con le

imprese, di conduzione del cantiere, utilizzabile per ogni contesto.

L’interesse si sposta, quindi, sul coordinatore, sul direttore dei lavori, sul manager,

non limitandosi solo al progettista, ruolo che peraltro in quegli anni, subisce

cambiamenti e ridimensionamenti dovuti alla pratica sempre più comune dell’appalto-

concorso e alla comparsa di altre figure professionali come l’ingegnere-cementista.

La capacità organizzativa che gli viene senz’altro dall’esperienza nello studio di

Cartesegna e dai numerosi interventi in campo industriale, permette di definire

precisi programmi di tempi e costi, importanti per ogni committente ma soprattutto

per l’industria, interessata più agli aspetti produttivi ed economici che a quelli

architettonici26. Da ciò si comprende la fortuna del rapporto professionale con la Fiat.

25 Via Roma è una delle vie principali del centro di Torino. Unisce la centralissima Piazza Castello alla storica stazione di Porta Nuova. La via, agli inizi del novecento, manteva ancora le sue caratteristiche forme barocche, ma dal 1933, partendo dalla sezione che collegava Piazza San Carlo a Piazza Castello, la via venne completamente distrutta, oggetto di una riqualificazione e risistemazione del quartiere. Vennero aggiunti i portici, realizzati nuovi edifici, abbattendo per sempre una storia parte della città. Il 28 ottobre 1933 venne aperta al pubblico la prima tratta, mentre la seconda sezione, che collegava a Piazza Carlo Felice e, quindi, alla stazione di Porta Nuova, venne completata solo il 28 ottobre 1937. 26 Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit.

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È però indubbio che in questi anni la sua produzione architettonica civile sia

caratterizzata da un linguaggio formale che poi non si ritroverà più successivamente,

se non per espresso volere del committente, provocando così una netta cesura

stilistica rispetto alle opere realizzate negli anni Trenta.

L’approccio al progetto, caratterizzato dal controllo di tutte le fasi della produzione

edilizia, dal disegno al manufatto costruito, rimane sempre l’elemento distintivo del

suo fare architettura. Anzi, col proseguire degli anni, questo metodo viene precisato

e reso più efficace da un’organizzazione di studio meticolosa e rigida.

Questo modo di impostare il processo edilizio seguendone e controllandone ogni

fase, si innesta in una cultura dell’organizzazione che a Torino trova terreno fertile

per la ricchezza di elaborazioni teoriche e di esperienze pratiche, partendo dai

principi dello scientific management americano ma adattate all’ambiente torinese,

D’altra parte queste scelte si inseriscono in un ambiente già aperto alle esperienze

americane, testimone di un più o meno latente americanismo come dimostra la Fiat

in costante contatto con l’industria americana e in particolare con la Ford per

l’aggiornamento dell’organizzazione produttiva27. L’organizzazione dello studio

professionale e il metodo di approccio al progetto e alla sua esecuzione, quindi, nel

caso di Bonadè Bottino, diventano un elemento caratterizzante, infatti il Servizio

Costruzioni Fiat è il primo grande ufficio tecnico italiano, che prende come modello la

struttura organizzativa di alcuni studi americani, ma che si inserisce in una situazione

di cambiamento in cui gli uffici tecnici delle aziende acquistano sempre maggiore

peso nel definire la nuova fabbrica, le sue esigenze, le sue caratteristiche.

Nel mentre, il linguaggio architettonico si modifica abbandonando il ricco repertorio di

forme eclettiche per indirizzarsi ad un’architettura volta ad una progressiva

semplificazione del disegno, così come ad un sempre minor ricorso alle decorazioni

e all’impiego dei volumi e dei materiali come unico mezzo di ornamento. Si nota,

così, un salto che va dal Cine Palazzo di Torino (1926) agli impianti dl Sestrières

(1931), con in mezzo il sanatorio femminile di Prà Catinat28 (Torino, 1929) (fig. 11)

che in realtà è una riproposizione di quello maschile progettato dall’architetto Decker

27 Castronovo V., Lo sviluppo economico e sociale, in Torino 1929-1936. Società e cultura tra sviluppo industriale e capitalismo, Torino, Edizioni Progetto, 1977. 28 I due edifici di Pra Catinat progettati da Bonadè Bottino e Decker, furono i primi edifici di questo tipo ad essererealizzati in territorio piemontese, presidi sanitari di avanguardia anche dal punto di vista architettonico. L’iniziativa, suggerita dal prof. Malon che si fece promotore di una raccolta di fondi finalizzata alla realizzazione del primo edificio, fu raccolta nel 1926 dal sen. Agnelli che decise di finanziarne la costruzione, affidando l’incarico del sanatorio maschile all’ing. Decker, mentre Bonadè Bottino intervenne nella progettazione e direzione lavori del sanatorio femminile. I due edifici hanno composizione planimetrica e disegno di facciata simili; già sedi INFPS e INPS, sono stati trasformati in centri di vacanza e studio.

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che ben esemplifica il cambiamento avvenuto. La mancanza di scritti teorici rende

difficile l’interpretazione di questa trasformazione ma alcuni indizi indiretti rintracciabili

nel “diario” possono essere utili a questo scopo. Una spiccata insofferenza di fondo

nei confronti dell’eclettismo, una curiosità piuttosto evidente verso il progresso e le

novità e la conoscenza diretta di alcuni attori del dibattito architettonico, nonché la

pratica nel campo dell’edilizia industriale, hanno concorso tutti nell’arrivare

all’architettura degli anni Trenta esemplificabile nelle torri del Sestriere e nell’albergo

Principe di Piemonte di Torino.

Gli anni Venti segnano, in realtà, una sorta di contraddizione tra pensiero e pratica.

Le sue opere, da casa Demarchi al Cine Palazzo, sono evidenti espressioni di

quell’eclettismo che a Torino ha ancora salde radici, mentre alcune considerazioni

tratte dal “diario” evidenziano un netto rifiuto nei suoi confronti. L’accettazione

dell’eclettismo nella pratica edilizia, dovuta anche al desiderio di inserirsi nel mondo

professionale e alla necessità di assecondare il “buon gusto comune”, contraddice la

decisa avversione maturata su questo approccio ai tempi del Politecnico. Negazione

dell’eclettismo definito “stucchevole riproduzione di stili di secoli precedenti”,

“grottesco sovrapporsi di elementi ricopiati dalle pubblicazioni di storia dell’arte di tutti

i tempi”, ma anche contestazione verso l’insegnamento ricevuto che “aveva come

presupposto la legittimità e l’eccellenza dell’eclettismo”29.Sta di fatto che

contemporaneamente alle sue opere più decisamente eclettiche si hanno indicazioni

di un suo avvicinamento ad una architettura formalmente diversa. L’episodio forse

più significativo a tal riguardo, è rappresentato dall’incontro con Giuseppe Pagano,

avvenuto frequentando la Società degli Ingegneri e degli Architetti, e del suo

coinvolgimento nella progettazione delle facciate del Cine Palazzo; la crescente

sensibilità nei confronti del linguaggio moderno è data dalla posizione espressa in

merito all’Esposizione del 1928. In quella occasione Bonadè Bottino, membro del

Comitato coordinatore degli sviluppi edilizi, difende le scelte fatte anche contro i

giudizi autorevoli di riviste e professionisti: “Avevo appoggiato incondizionatamente

direttive contrarie alla ripetizione dei soliti stili ‘600-‘700; si pervenne in effetti a

conferire alla mostra un carattere architettonico razionale a linee rigide con rinunzia

quasi generale a sovrapposizioni ornamentali: un atto rivoluzionario per i conformisti

del tempo e per il gusto del pubblico”30. Sono segni di una tendenza che mai si è

29 Bonade’ Bottino Vittorio, La storia del nonno. Ricordi di un borghese vissuto nella prima metà del secolo XX. Dattiloscritto , ASF, p.474. 30 Bonade’ Bottino, La storia del nonno..., cit., p.1822.

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esplicitata con una adesione al movimento moderno, ma che si è fermata ad una

assimilazione di forme.

Tra gli anni Venti e Trenta, infatti, Bonadè Bottino non intellettuale, tanto da rimanere

indifferente alle questioni teoriche e agli aspri dibattiti dell’epoca, è in realtà un

ingegnere che si pone all’interno del processo edilizio, non solo, e non tanto, come

progettista ma anche in veste di coordinatore e controllore sulla scia di Mollino, altro

grande ingegnere torinese, propiziato sia dall’ambiente culturale della città che fin

dagli inizi del secolo aveva accolto con favore l’introduzione del cemento armato sia

dall’ambiente imprenditoriale che, nelle frequenti commissioni di fabbricati industriali,

richiede in particolare capacità tecniche senza dare troppa importanza agli aspetti

esteriori.

Bonadè Bottino e la Torino degli anni Trenta.

Nella Torino degli anni Trenta, la Torino della crisi economica e dell’amministrazione

fascista, l’attività di Bonadè Bottino rimane diversificata: non solo progetti di edilizia

industriale ma anche architetture civili. La vivacità artistica che caratterizzava gli anni

Venti viene progressivamente meno, si assiste ad una vera e propria dispersione di

molti personaggi fondamentali per l’arte torinese: Persico e Sartoris lasciano per

primi Torino nel 1929, l’uno per Milano e l’altro per la Svizzera, li segue Pagano nel

1931 dopo il suo ingresso nella redazione de La Casa Bella. I Sei costituiscono un

ricordo, Venturi va in esilio e Fillia muore nel 1936. La nuova Torino che si sta

affermando è quella della concentrazione industriale e dell’immigrazione non ancora

di massa, esaltando la separazione tra la Torino degli Agnelli e quella di Gualino31.

In questo ambiente Bonadè Bottino si inserisce solo parzialmente, solo nella misura

in cui è coinvolto dalla presenza della Fiat e delle società del gruppo, mai in dispute

teoriche, sempre nella pratica professionale: pur rimanendo sempre un libero

professionista, il rapporto di lavoro creatosi con la Fiat diventa quasi totalizzante. E

anche in campo civile le maggiori realizzazioni sono di provenienza Fiat, Riv o

famiglia Agnelli, tre committenze diverse che, però, hanno tutte a comune la

presenza del sen. Agnelli, figura di riferimento in ogni occasione. È quasi inutile,

31 (1879-1964) È stato probabilmente l’industriale e mecenate italiano più estroso della prima metà del XX secolo. A soli 17 anni si avviò agli affari nel commercio del legname; dal 1906 avviò attività cementiere a Morano sul Po; divenuto presidente dell’unione Italiana Cementi nel 1911, dopo la Grande Guerra si dedicò alla costruzione di motovelieri in legno in Texas e vapori in acciaio nel Mississippi. Legato da amicizia con Giovanni Agnelli, si interessò nella Fiat e nel Credito Italiano, associandosi in numerose altre imprese. Trasferitosi a Torino nel 1918, negli anni seguenti fondò la SNIA Viscosa e divenne Vicepresidente Fiat fino al 1929.

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quindi, ricordare il ruolo che il Senatore avoca a sé in qualunque attività lo veda

protagonista, dalle trattative sindacali alla gestione industriale fino alle scelte

architettoniche riguardanti i suoi stabilimenti più importanti o le opere più

rappresentative delle sue industrie.

I progetti più interessanti e importanti di Bonadè Bottino sono pensati e realizzati in

ambiti diversi : sono interventi che si inseriscono tra le opere sociali della Fiat,

oppure in ambito turistico o nella politica edilizia della Fiat all’interno della città di

Torino.

Nel primo caso, in linea con la politica fascista di collaborazione nazionale tra

capitale e lavoro, per l’elevazione morale intellettuale ed economica del popolo, per

la preparazione dei giovani al lavoro e alle armi, per l’assistenza ai lavoratori e alle

loro famiglie, anzi in alcuni casi in anticipo rispetto alle leggi promulgate, la Fiat

sviluppa tutta una serie di opere sociali che diventano un vanto per l’azienda

torinese, inerenti il lavoro e il tempo libero dei lavoratori, dai corsi di istruzione

tecnico-professionale al dopolavoro, dalle mutue aziendali alle colonie estive per i

figli dei dipendenti.

Come architetto, Bonadè Bottino interviene, a partire dal 1927, in alcune costruzioni

realizzate: quelle maggiormente conosciute sono le colonie marina e alpina di Marina

di Massa (fig.7 ) e Sauze d’Oulx (fig.8), l’ospedale civile di Pinerolo ‘Edoardo Agnelli’

(1936-37) (fig.10), i sanatori ‘Edoardo Agnelli’ e ‘Tina Nasi Agnelli’ (1930) a Prà

Catinat in Val Chisone (fig.11). In particolare, per quanto riguarda i sanatori, Bonadè

Bottino interviene in qualità d’uomo di fiducia del senatore, la persona esperta e

competente ma soprattutto vicina al committente che a fronte di lentezze nei lavori e

forse pressanti questioni economiche preferisce sostituire architetto e impresa

costruttrice.32 Nel caso del Sestrières si fa interprete del volere del sen. Agnelli nel

rendere reale l’idea di un nuovo centro turistico, è un’iniziativa che nasce dall’intuito

del capitano d’industria attento anche all’evolversi della società e che ha in Bonadè

Bottino il punto di riferimento nella realizzazione pratica non solo come progettista di

molte delle costruzioni, dagli impianti turistici alle torri alle infrastrutture, ma anche

come direttore dei lavori e organizzatore dell’intera impresa. E prendendo spunto

dalle torri del Sestriere, costruisce negli stessi anni un altro albergo turistico a Campo

Imperatore (1932) (fig.12), vicino all’Aquila, dove il nuovo edificio circolare completa

l’insediamento della stazione della funivia e del vecchio rifugio.

32 Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit., p. 50.

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La seconda metà degli anni Trenta, rappresenta il periodo più ricco di incarichi, un

periodo in cui Bonadè Bottino fa tesoro delle esperienze piuttosto limitate all’interno

di complessi già costruiti per affrontare il gravoso impegno degli stabilimenti della

Fiat-Mirafiori. Sul finire del decennio, però, egli predispone il progetto di un altro

impianto, concepito e realizzato poco dopo Mirafiori: la cementeria Marchino a

Guidonia (1939) e lo stabilimento Fiat a Firenze (1939) (figg.13-14). L’impianto di

Guidonia, atto a produrre cemento Portland e pozzolanico nonché calce idrata,

sorse, come avvenne anche a Firenze, per diretto interessamento del potere

centrale, per migliorare le condizioni di lavoro della zona; accanto alla fabbrica si

progettò un villaggio costituito da piccole abitazioni con appezzamenti di terreno per

circa cinquecento operai. Anche la decisione di aprire uno stabilimento a Firenze fu

frutto di forti pressioni governative, più precisamente della Commissione Suprema di

Difesa, in cambio dell’assenso alla costruzione degli impianti Mirafiori.; inoltre, lo

stabilimento di Firenze faceva parte di un programma più vasto di industrializzazione

auspicata dalle autorità centrali comprendente un’officina sotterranea a Prato e

un’officina di motori di aviazione a Siena, ma ne fu l’unica realizzazione. La

localizzazione in regione Rifredi fu quasi obbligata in quanto in quella zona stava

nascendo il quartiere industriale della città, cosicché il nuovo stabilimento potesse

usufruire delle infrastrutture in via di realizzazione, mentre solo il raccordo ferroviario

rimaneva a carico della Fiat. I lavori di costruzione iniziati nel 1939, permisero di

avviare la produzione già nel 1940. Bonadè Bottino affrontò nella progettazione

generale e nella progettazione dei singoli edifici, problemi ed esigenze simili a quelli

incontrati per Mirafiori (fig.15): le soluzioni compositive e formali sono alquanto

somiglianti, dalla distribuzione dei servizi alla organizzazione dei percorsi, dal

trattamento dei prospetti all’uso dei materiali di rivestimento, spingendo a pensare

che l’impostazione progettuale di Mirafiori sia stata utilizzata, pochi mesi dopo, per

l’impianto di Firenze, ultimo progetto di cui si sia trovata documentazione33.

Nel 1944 si definì la struttura definitiva della Divisione Costruzioni e Impianti della

Fiat che si occupava della progettazione e direzione lavori di tutti gli impianti del

gruppo. Nel secondo dopoguerra, curerà i progetti INA Casa (anche a Firenze) e

sarà ancora molto attivo in Italia e fuori ricoprendo, tra l’altro, la carica di Presidente

delle Imprese Italiane all’Estero; diverrà Consigliere di Amministrazione Fiat,

Presidente Impresit, Presidente Autostrada Torino-Savona, Vice Presidente Soc.

33 Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit., p. 210.

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Traforo S. Bernardo, Vice Presidente Unione Cementi Marchino, membro dei

Comitati Esecutivi delle Società Autostrade Savona-Ventimiglia, Torino-Piacenza,

Traforo del Frejus34.

Nel 1953 lo studio privato venne chiuso e nel gennaio 1973, sulle ceneri della

Divisione Costruzioni e Impianti, si costituì la Costruzioni e Impianti S.p.a. Fiat

Engeneering. Diverrà poi Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana, Cavaliere del

lavoro, e nel 1967 riceverà il Premio Torino.

34 Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit., p. 320.

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Fig.7 Colonia ‘Edoardo Agnelli, Marina di Massa, anni ’40.

Fig.8 Colonia Fiat a Sauze d’Oulx, Fig.9 Albergo Principi di Piemonte al Sestriere.

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Fig.11 Sanatorio femminile ‘Tina Nasi’ Agnelli, Prà Catinat.

Fig. 15 Stabilimento Fiat-Mirafiori di Torino.

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1.3 Giovanni Agnelli committente35.

E’ il personaggio a cui Bonadè Bottino deve notorietà e importanza, sia per la

quantità dei lavori commissionati dalla Fiat e dalle società del gruppo, sia per le

realizzazioni volute e finanziate dalla famiglia Agnelli in campo civile. C’è un rapporto

di accondiscendenza e rispetto del progettista nei confronti delle richieste e delle

necessità espresse dal committente. Molte volte quest’ultimo ricopre un ruolo

determinante non solo per i vincoli economici imposti, ma anche per le indicazioni

riguardanti le scelte compositive e formali degli interventi del progetto.

A questo atteggiamento si accompagna, nei primi anni di professione, una ricerca di

prestigio tra i colleghi che spinge maggiormente Bonadè Bottino a seguire i

suggerimenti del committente. Le vicende di Casa Demarchi, del Cine Palazzo o

della chiesa di Sant’Edoardo di Sestrières sono indicative del modo di porsi del

progettista nei confronti del committente: senza voler indicarli come esempi negativi,

come mancanza di ingegno, sottolineano il grande rispetto nutrito verso la clientela e

l’influenza innegabilmente subita da parte di persone decise e solite ad imporsi36. In

pratica Bonadè Bottino ripone grande importanza nelle richieste del committente

soprattutto quando ha di fronte un personaggio forte come Giovanni Agnelli37, che

non si comporta certamente come un mecenate, ma che ama utilizzare le capacità di

personaggi famosi nell’ambito architettonico e artistico della città, atteggiamento che

si evidenzia in minor misura nelle realizzazioni industriali, dove anche l’aspetto

formale risponde a dei requisiti dettati da esigenze precise e tutta la progettazione

segue le necessità legate all’organizzazione del lavoro, limitando la libertà del

progettista.

E’ un la figura preminente con cui Bonadè Bottino intrattiene rapporti di lavoro , è la

persona che induce cambiamenti notevoli nel lavoro progettuale non solo dal punto

di vista quantitativo ma anche organizzativo ed è una persona con cui stringe

relazioni non esclusivamente professionali. Le tappe di questo legame si possono

sintetizzare con la collaborazione per il Lingotto, dove i due si conoscono (1919-

1920), il progetto della Vetrocoke a Porto Marghera (1924), per continuare, rendendo

35 Le notizie di questo capitolo provengono principalmente da Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit. 36 Banfo, Un intellettuale-tecnico..., cit., p. 153. 37 Giovanni Agnelli Senior (Villar Perosa, 13 agosto 1866 – Torino, 16 dicembre 1945) è stato un imprenditore italiano Fu il capostipite della famiglia di imprenditori torinesi. Nonno di Gianni e Umberto Agnelli, proprietario terriero, fu ufficiale di cavalleria e senatore del Regno. Fondò la casa automobilistica FIAT nel 1899, e ne fu amministratore delegato e presidente.

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tale rapporto stabile e duraturo, con la lettera d’incarico del 1927 con la quale

Bonadè Bottino comincia la sua collaborazione con la Fiat e finire con la creazione

del Servizio Costruzioni (1938-1939).

L’importanza e il potere che Agnelli esercita in ogni occasione e in ogni campo..la

figura di un uomo molto deciso, del capo indiscusso, traspare dagli scritti di Bonadè

Bottino: “In una tarda sera del gennaio ’24 venivo telefonicamente informato che il

Senatore Agnelli mi avrebbe ricevuto il mattino seguente alle ore otto nella Palazzina

di via Giacosa. L’improvvisa convocazione mi sorprese e turbò; dalle sette e mezzo

alle otto di un freddo nebbioso mattino, passeggiai lungo il viale dei Tigli, lanciando

occhiate all’ingresso del palazzetto [...] conservo nitida nella memoria l’alta figura

quale mi apparve alla porta del salotto, severo in viso, sguardo scrutatore, [...] una

indomita volontà tesa da molti anni a realizzazioni concrete di vasta portata aveva

sovrapposto ad un viso accogliente nei momenti di distensione, una maschera

dall’espressione dura con la quale affrontare il contatto con terzi.”38

Si delinea così la figura di un uomo molto deciso, del capo indiscusso. E non

meravigliano certo i molti interventi diretti (anche nelle scelte formali) e indiretti anche

in campo architettonico

Tale rapporto non si limita semplicemente al committente che si intromette nel lavoro

del progettista e al progettista che deve assecondare le richieste, di varia natura,

poste dal committente: Bonadè Bottino, infatti, diventa in pochi anni una sorta di

uomo di fiducia del sen. Agnelli, la persona esperta, capace di risolvere problemi sia

compositivi che tecnici, tanto da essere designato progettista di importanti interventi

architettonici, e da essere inserito nell’amministrazione di alcune società e della Fiat

stessa: da una parte è progettista di episodi significativi come l’invenzione del

Sestriere, la ricostruzione dell’isolato di S. Antonio da Padova nel secondo tratto di

Via Roma o l’edificazione del complesso della Fiat-Mirafiori, dall’altra è il creatore del

Servizio Costruzioni di cui rimane direttore per molti anni e fa parte

dell’amministrazione di alcune società legate alla Fiat.

Bonadè Bottino si inserisce nel gruppo di tecnici che nei primi anni ’20, accanto a

Vittorio Valletta39, si era messo in luce per le proprie capacità organizzative e

38 V. Bonadè Bottino, Centenario della nascita di Giovanni Agnelli. Incontri e ricordi, dattiloscritto, ASF, pp1-2. 39 (1883-1967) Dirigente della Fiat, di cui fu direttore generale dal 1928, quindi amministratore delegato dal 1939, e dopo la morte di Giovanni Agnelli, presidente dal 1946 al 1966. nel 1949 introdusse la catena di montaggio nello stabilimento torinese di Mirafiori. Nel 1966 fu nominato Senatore a vita. (Bairati P., Vittorio Valletta, Torino, Utet, 1983.)

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progettuali in vari settori della produzione e anche nel dopoguerra Bonadè Bottino fa

parte dei vecchi amministratori di fiducia del Senatore.

Come progettista Bonadè Bottino non instaura un rapporto di dipendenza con la Fiat

e mantiene la veste del libero professionista continuando l’attività dello studio privato

fino agli anni ‘50 anche quando il Servizio Costruzioni ha già acquisito una struttura

organizzata e stabile.

Il rapporto di lavoro con la Fiat, le altre società del gruppo, la Riv e implicitamente

con la famiglia Agnelli è regolato da una lettera di incarico datata 11 maggio 1927 e

redatta poche settimane dopo un incontro con Agnelli durante il quale si precisa una

collaborazione non più sporadica, come era accaduto per esempio per la

progettazione dell’impianto Vetrocoke a Porto Marghera (1924), ma continuativa e

duratura. In essa si precisano i limiti del rapporto professionale di Bonadè Bottino e

Fiat, dal tipo di impegno richiesto alla regolamentazione del compenso, dal

riconoscimento di rimborsi e indennità alla possibilità di vincolo dell’accordo scritto.40

Si abbozza la figura di un professionista che segue tutte le diverse fasi della

produzione edilizia, per una somma mensile a forfait. Come altri professionisti, primi

tra i quali Cartesegna, decide quindi di instaurare una collaborazione sicura dal punto

di vista economico e professionale, ma esclude un legame di dipendenza e di

esclusività, benché la gran quantità di lavori richiesta assorba con l’andar degli anni

sempre più le energie del suo studio privato.

Artefice dell’iniziativa che porta Bonadè Bottino a diventare il progettista di molti

interventi Fiat è, anche in questa occasione, Giovanni Agnelli, un personaggio

fondamentale per il peso anche politico di molte sue decisioni nell’Italia prima

giolittiana poi fascista e per l’influenza esercitata sull’opera di Bonadè Bottino. Pochi

esempi possono delineare già con precisione i tratti principali di questo personaggio

che alla “tradizionale preminenza a stile personale”41 nella gestione della Fiat

accompagna una decisa presenza e una notevole autorevolezza nelle questioni,

economiche e non, locali e nazionali. Basta ricordare la capacità decisionale

nell’ambito dell’amministrazione aziendale anche in momenti difficili come la scalata

alla Fiat da parte dell’Ansaldo (1919) oppure la capacità di intermediazione dei

sindacati (quali che fossero, riformisti, comunisti o fascisti), il prestigio conquistato

40 Bonade’ Bottino, La storia del nonno..., cit., p. 1774. 41 Castronovo Valerio, Giovanni Agnelli. Einaudi, Torino, 1977, p. 332.

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nelle organizzazioni di categoria, la Confindustria ma soprattutto l’AMMA42, la

partecipazione alla vita politica torinese che lo vede sempre molto vicino alle

posizioni di Giolitti pur appoggiando, o quanto meno non contrastando l’ascesa del

fascismo e che lo spinge a presentare alle elezioni amministrative e politiche persone

di fiducia quali Mazzini e Olivetti (1924) col chiaro obiettivo di aumentare la propria

autorità; ed ancora, il rapporto ‘fiduciario’ con Mussolini che gli permette di

scavalcare molte volte il partito fascista torinese e addirittura il prefetto così da

giungere direttamente col duce ad importanti decisioni riguardanti la gestione interna,

ma anche la politica economica nazionale, come l’abolizione delle commissioni

interne (1925) oppure l’estromissione della Ford dall’Italia (1930). Un

comportamento, questo, definibile come “uno stretto gioco di equilibrio personale,

deciso a passar sopra le questioni di principio”, tutto teso ad ottenere ordine nelle

questioni operaie e ordine nelle questioni industriali con lo scopo del maggior profitto

possibile43.

Gli stretti rapporti col potere politico non solo interessano le scelte di carattere

economico ma anche quelle imprenditoriali ed edilizie: la volontà di costruire un

grande albergo di lusso a Torino sulla ricostruita Via Roma è frutto di una iniziativa

della famiglia Agnelli, approvata con la modifica del piano regolatore di Piacentini;

l’accettazione della realizzazione di un complesso industriale come quello della Fiat-

Mirafiori a Torino, in un periodo di proclamato decentramento e in una zona non a

destinazione industriale, da parte del governo centrale è subordinata all’edificazione

di un altro stabilimento da localizzare nell’Italia centrale (Firenze); la richiesta di

Mussolini di dar vita a una qualche attività industriale nella zona di Tivoli per

combattere la disoccupazione trova risposta nella costruzione della Cementeria

Marchino a Guidonia (1938). E tutte queste decisioni, questi compromessi hanno una

diretta ripercussione sull’attività professionale di Bonadè Bottino.

Non meno che queste scelte di strategia, anche tutta una serie di atteggiamenti

usuali influenzano le realizzazioni legate alla Fiat e alle iniziative di famiglia Agnelli.

Pur non trattandosi solo di edifici industriali il modo di affrontare il fare architettura è

simile. Il senso pratico è senz’altro l’elemento che informa sia la progettazione che la

realizzazione di un’opera. Ne consegue una particolare attenzione ai tempi di

42 Associazione degli Industriali Metallurgici Meccanici ed affini, è stata fondata nel 1919 per iniziativa di Giovanni Agnelli, che ne è stato anche il primo presidente, ed ha svolto fin dall’inizio un ruolo di capitale importanza nelle vicende politico-sociali di quel periodo, caratterizzato da una esasperata conflittualità culminata con l’occupazione delle fabbriche nell’estate 1920. 43 Castronovo, Giovanni Agnelli, cit.

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costruzione, ai suoi costi e all’organizzazione dell’intero ciclo produttivo: i ricordi di

Bonadè Bottino fanno cenno molte volte a precisi programmi temporali ed economici

rigorosamente rispettati. Ed è proprio l’abilità di Bonadè Bottino come organizzatore

e manager, nonché come tecnico in grado di fornire soluzioni progettuali

perfettamente rispondenti alle necessità del committente, hanno reso questo

sodalizio professionale fecondo e duraturo. L’interesse verso gli aspetti pratici e

tecnici si pone in contrapposizione con la quasi totale noncuranza nei confronti delle

questioni formali. In particolare per ciò che riguarda l’architettura industriale basta

riportare un episodio avvenuto durante una visita al cantiere della Vetrocoke a Porto

Marghera per capire bene tale atteggiamento: “il Senatore accompagnato dal

Direttore, tecnici, assistenti, seguì in silenzio il lungo percorso fra capannone e

strutture accertando con occhio esperto complessi e particolari ed alla fine, rivolto a

quanti lo circondavano: “non sarete ammessi alla Biennale – disse - niente

preoccupazioni estetiche! Così si deve fare per l’industria”. E soddisfatto e sorridente

strinse la mano a quanti gli erano attorno”44.

Ed è innegabile la notevole capacità di Agnelli a intuire e prevedere le possibilità di

sviluppo sia di una iniziativa a carattere economico o aziendale, che di un

insediamento architettonico o, più semplicemente, di una scelta tecnica. L’istinto

dimostrato nel predisporre l’insediamento del Sestriere, impianti sportivi e di ricezione

alberghiera, oppure nello scegliere le soluzioni più proiettate verso il futuro, come nel

caso della pista di prova sul tetto del Lingotto predisposta per velocità molto elevate

(per quegli anni) sono solo due esempi, che hanno stretto legami con le vicende

architettoniche della Fiat e di Agnelli in particolare.

Nel concreto, il rapporto professionale di Bonadè Bottino con Agnelli si sviluppa in

una partecipazione attiva nelle scelte architettoniche, estetiche e tecniche, di

entrambi, progettista e committente, fino ad arrivare in taluni casi, all’imposizione del

“Senatore” di scelte riguardanti lo stile da usare o collaboratori da coinvolgere. Per

quanto concerne, poi, i lavori più importanti di edilizia industriale e non solo, Agnelli

riveste sempre un ruolo preminente essendo comunque il referente delle decisioni

finali45.

Per certi versi si può dire che negli anni presi in considerazione, Bonadè Bottino sia

stato l’ingegnere architetto del senatore Agnelli più che l’ingegnere-architetto della

44 V. Bonadè Bottino, Centenario della nascita di Giovanni Agnelli. Incontri e ricordi, dattiloscritto, ASF,pp 4-5. 45 Banfo C., Un intellettuale-tecnico..., cit.

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Fiat come sarà poi dopo la costituzione della Servizio Costruzioni e soprattutto dopo

la morte dello stesso Agnelli.

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CAP. 2 ‘PATERNALISMO’ TRA INDUSTRIA E FASCISMO.

2.1 L’evoluzione del concetto di assistenza.

Le colonie per i figli dei dipendenti sono solo una delle espressioni

dell’assistenzialismo industriale che, specialmente negli anni Venti-Trenta, possiamo

inquadrare in una fase di “paternalismo autoritario” da parte dello Stato.

Per spiegare meglio ciò di cui stiamo parlando, dobbiamo tener conto dei molti

dibattiti sulle logiche che hanno sostenuto l’organizzazione della vita di fabbrica e le

relazioni tra Stato e industria, da cui sono scaturite diverse chiavi di lettura riguardo

al ‘paternalismo’.

Negli anni Settanta, Luigi Guiotto46 si è soffermato sul processo che dal proto-

paternalismo ottocentesco conduce, in pieno Novecento, al collegamento delle

strategie aziendali con le ideologie politiche dominanti: nella fase del proto-

paternalismo, l’intervento dell’industriale si limita alla realizzazione delle infrastrutture

più elementari, come scuole e istituzioni aziendali, indispensabili per legare l’operaio

alla fabbrica; nella fase del paternalismo vero e proprio, invece, è possibile

individuare un preciso rapporto ideologico tra l’imprenditore e gli apparati sociali che

egli realizza. Questo tipo di lettura ha aperto un lungo dibattito volto a sostenere la

fondamentale differenza del paternalismo fascista, rispetto a quello dei periodi

precedenti. Le logiche, che negli anni Trenta, sostengono l’organizzazione delle vita

di fabbrica e delle relazioni industriali, non sarebbero, cioè, un residuo dell’Ottocento.

Nella sua fase novecentesca, infatti, il paternalismo riesce a convivere con una

progressiva evoluzione tecnologica, che impone profonde trasformazioni

nell’organizzazione scientifica del lavoro e della produzione. In altre parole, rispetto

all’ideologia, sembra prevalere una visione più prettamente aziendalistica. Più

correttamente, il paternalismo offre il contesto all’interno del quale attuare questi

processi, e in particolare , le politiche di gestione del personale.

Alla fine degli anni Novanta, Elisabetta Benenati, ha proposto una nuova

interpretazione del paternalismo, incentrata su tre distinti momenti della sua

evoluzione: la seconda metà dell’Ottocento, il periodo compreso tra le due guerre e

46 Guiotto Luigi, La fabbrica totale. Paternalismo industriale e città sociali in Italia. Vita e pensiero, Feltrinelli, Milano,1979.

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gli anni Cinquanta del Novecento47. Nella prima fase, il paternalismo è più teorizzato,

che praticato concretamente; tra le due guerre e in particolare a partire dagli anni

Trenta, si assiste invece alla sua definitiva affermazione. Le spinte, in questa

direzione, arrivano dagli esempi stranieri, soprattutto nordamericani, e dalle esigenze

politiche del regime fascista. In questa ottica, mentre il paternalismo ottocentesco,

rientra ancora nella logica del patronage, come una sorta di prolungamento delle

tradizionali forme di assistenza e beneficenza, in grado di assicurare un immediato e

diretto controllo sociale sui lavoratori, quello novecentesco presenta invece, dei

caratteri assolutamente nuovi, coniugandosi con il taylorismo e consentendo la

nascita dell’industrial welfare: ci si trova in un contesto caratterizzato dalla presenza

di grandi gruppi industriali (che iniziano ad ampliare i servizi da offrire ai lavoratori)

che matura, nell’ambito del fascismo e lungo il consolidato solco del paternalismo, il

welfare aziendale. La sua cornice politica ed istituzionale diventa l’Opera Nazionale

Dopolavoro (OND); in realtà gli industriali, fanno proprie le direttive dell’OND solo nel

momento in cui il controllo politico dei lavoratori e la persuasione, indispensabili per

la costruzione del consenso, diventano funzionali alle esigenze produttive. Nel

momento in cui, cioè, l’eliminazione dei conflitti sociali consente di aumentare il

rendimento della produzione. Il sentiero aperto negli anni Trenta, è caratterizzato dal

corporativismo, da un interclassismo di matrice cattolica e dal ruolo forte e centrale

attribuito all’unità del nucleo familiare. Tutto questo, trova nuovo vigore in una cultura

d’impresa dominata da un capitalismo che ruota, anch’esso, intorno a grandi dinastie

familiari, e che è costantemente protetto dallo Stato48 .

Volendo rifarsi a un’interpretazione più recente, prenderemo a riferimento la tesi di

Augusto Ciuffetti, secondo il quale possiamo individuare tre fasi del “paternalismo” 49:

la prima dal 1860 al 1900, è quella della nascita di questa ideologia, nell’ambito dei

fini economici del sistema di fabbrica; la seconda, invece, dal 1900 al 1930, è quella

del suo declino, da collegare in parte allo sviluppo della città industriale nonostante ci

siano, anche in questo periodo, importanti realizzazioni; la terza, che va dal 1930 al

1940, corrisponde al decennio in cui il paternalismo ottocentesco è definitivamente

superato, grazie a nuove modalità di intervento da parte delle aziende,sia in ambito

47 Benenati Elisabetta, Cento anni di paternalismo industriale in Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento,a cura di Stefano Musso, in “Annali della fondazione Giangiacomo Feltrinelli” XXXIII, 1997. 48 ID., La scelta del paternalismo. Un’azienda dell’abbigliamento fra fascismo e anni ’50, Rosenberg e Sellier, Torino, 1994, pp.195-206. 49 Ciuffetti Augusto, Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle “comunità globali”: villaggi e quartieri operai in Italia tra Ottocento e Novecento. Giada/CRACE, Perugia, 2004.

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sociale che urbanistico. In questi anni, accanto agli interventi previdenziali si

collocano, le attività ricreative, sportive e culturali; le aziende si fanno promotrici, di

manifestazioni sportive, di cerimonie, di spettacoli teatrali, di proiezioni

cinematografiche, di gite e di soggiorni nelle colonie marine e montane. Attività in

grado di occupare integralmente il tempo libero dei dipendenti, costantemente

inquadrati all’interno dell’organicismo delle imprese e dell’ideologia fascista. Si

determina così il modello di una fabbrica totalizzante, in grado di abbracciare, in una

dimensione globale e di assoluto controllo, le singole comunità operaie: Stato e

industria concorrono, in maniera decisiva, alla definizione del modello della ‘fabbrica

totale.

Paternalismo ottocentesco.

“Il paternalismo è espressione di una mentalità tipica degli imprenditori ottocenteschi,

che in una dimensione di sfruttamento, associa il potere all’autorità, e il comando ad

un’idea di superiorità, volta ad annullare ogni forma di conflitto, a disinnescare ogni

rivendicazione sindacale e a gestire la socialità operaia. L’obiettivo è difendere la

continuità della produzione, che può essere interrotta dall’assenteismo e dagli

scioperi. Si tratta quindi, di disciplinare la vita sociale, imponendo a tutti gli operai

una precisa ideologia, quella dell’industriale, in grado di guidarli in ogni momento

della giornata”50; così, in questa prospettiva giocano un ruolo fondamentale anche i

valori morali, le norme educative e i contenuti dell’istruzione, trasmessi dai maestri e

dai sacerdoti.

Il villaggio operaio, con le case, gli edifici pubblici e le strutture per il tempo libero,

rappresenta soltanto l’elemento visibile e concreto del paternalismo, le cui differenti

ed articolate iniziative, in riferimento al contesto europeo, si muovono anche

nell’ambito dell’assistenza, della previdenza, dell’educazione e della formazione,

delle attività ricreative e sportive, fino a prevedere, in alcuni casi, anche una

partecipazione agli utili d’azienda, da parte dei dipendenti51. Tutti questi possibili

interventi hanno un comune denominatore, rappresentato dalla visione della fabbrica

come di una grande famiglia, guidata con forza e responsabilità da un padre sempre

attento alle esigenze dei suoi figli, che si identifica con la figura dell’imprenditore.

50 Ciuffetti, Casa e lavoro..., cit., p I. 51 Gueslin André, Le paternalisme revisité en Europe occidentale, in Genesès n.7,, 1992.

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Il decennio che va dal 1888 al 1898, i cui termini di riferimento sono il codice

sanitario di Crispi e la legge che introduce l’assicurazione obbligatoria per gli

infortuni, è quello che vede, anche se in modo limitato, il definitivo decollo del welfare

state.

2.3 La fase dell’industrializzazione (1900-1930).

Nella fase dell’industrializzazione che va dal 1900 al 1930, l’individuazione di nuove

fonti energetiche, come quella elettrica,la realizzazione delle reti ferroviarie e stradali,

la costruzione di canali e porti nonché l’impegno diretto dello Stato nella fondazione

di nuove industrie (soprattutto in settori strategici, come quelli metallurgico e

meccanico), favoriscono il decollo industriale dell’Italia e il nuovo scenario

dell’industrializzazione italiana sono le città52: come Milano, anche Torino, tra la fine

dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo , conosce una crescita demografica

senza precedenti, che accompagna la sua evoluzione da città capitale del Regno a

centro industriale. I settori trainanti sono quelli meccanico e siderurgico, ma anche

quello dell’energia; tra le nuove industrie installate a Torino, emergono per la loro

importanza quelle automobilistiche: nel 1907 le aziende di questo comparto sono 32,

mentre altre 56 risultano intimamente legate ad esso.53

Ciò che distingueva maggiormente la situazione di Torino rispetto a quella del resto

d’Italia era la presenza di un’ampia classe operaia che, dopo la marcia su Roma,

rimase tenacemente fedele a molte delle proprie tradizioni culturali e istituzioni di

sinistra. Questa difficile realtà sociale creò una convergenza di interessi fra il leader

fascista e i capitani d’industria che favorì la loro cooperazione a spese del partito

locale e, Giovanni Agnelli, divenne la figura chiave di questa alleanza. Dopo la

marcia su Roma, Agnelli sviluppò un rapporto privilegiato e diretto con Mussolini, che

gli consentì di scavalcare i fascisti torinesi; l’imprenditore godette dunque di

un’indipendenza ineguagliata sia nella conduzione delle fabbriche sia nella direzione

del maggiore quotidiano cittadino, “La Stampa”, che acquistò nel 1920, nonostante il

Paese stesse scivolando verso la dittatura. In cambio delle concessioni ad Agnelli e

ai suoi colleghi industriali su questioni economiche e sindacali, il capo fascista

ricevette, per le elezioni parlamentari del 1924, un congruo sostegno finanziario da

52 Mioni Alberto, Le trasformazioni territoriali In Italia nella prima età industriale, Marsilio, Venezia, 1976. 53 Ciuffetti, Casa e lavoro..., cit., p. 60.

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parte della Lega industriale di Torino54. Gli imprenditori locali rifiutarono peraltro di

abbandonare Mussolini anche quando, nell’estate dello stesso anno, il brutale

assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti da parte dei teppisti fascisti

rischiò di affossare il governo. La Lega industriale sollecitò l’esecutivo a restaurare la

legge e l’ordine schiacciando gli estremisti violenti tra le sue file, ma fu molto attenta

a esentare il duce da ogni responsabilità nel crimine.

Sia nella sua fase ottocentesca, sia in quella legata al periodo fascista degli anni

Trenta, il paternalismo, è sempre stato legato ad esigenze di rinnovamento o di

ristrutturazione degli impianti industriali. All’inizio, esso si configura come lo

strumento politico e sociale in grado di creare, sia all’interno, sia all’esterno della

fabbrica, il necessario consenso per realizzare i processi di ampliamento o di

razionalizzazione dei grandi complessi manifatturieri; del resto, nel corso del

Novecento, le politiche paternalistiche, ampliate da quelle assistenziali e da quelle

rivolte ad organizzare il tempo libero dei lavoratori, si affermano

contemporaneamente all’introduzione, nelle fabbriche, dei primi processi di

razionalizzazione tayloristica, anche se nella maggior parte dei casi, restano

incompiuti. Ciò che non cambia mai, tra XIX e XX secolo, è la volontà di controllo

sugli operai, sostenuta dalla logica del dominio e dallo sfruttamento dei lavoratori; le

previdenze sociali sono comunque finalizzate a sostenere ritmi di lavoro sempre più

intensi, spesso basati sul cottimo.

2.4 Il modello di fabbrica totale (1930-1940).

Il welfare aziendale , come strumento per aumentare la produttività e per contrastare

la conflittualità operaia, si afferma soltanto intorno ai primi anni venti, quando gli

industriali si fanno promotori di un neo-paternalismo che assume i connotati di un

sistema di controllo sempre più ampio, complesso e, soprattutto, di natura politica.

Tale processo giunge a maturazione con il fascismo, grazie allo stretto legame che

unisce gli industriali al regime, che in realtà considerarono l’attività politica in un

modo del tutto strumentale: la politica fu un mezzo per mantenere il governo sulla

linea dell’ortodossia economica e sociale55. Essi si unirono al fascismo senza

preconcetti ideologici ma non dettero mai per scontato il conservatorismo fascista e

quindi riuscirono, con l’aiuto di altri poteri come la monarchia, la Chiesa, l’esercito e

54 Cardoza A.L., Symcox G.W., Storia di torino. Einaudi, Torino, 2006. 55 Ciuffetti, Casa e lavoro..., cit.

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le gerarchie statali, a mantenere in vigore il sistema sociale vigente con i minori

cambiamenti possibili56. Mentre gli industriali cercavano credibilità servendosi dei

programmi di assistenza sociale del regime, lavoravano dietro le quinte per limitare i

loro propositi e ridurne i costi. Gli industriali infatti, inizialmente, avversarono i

programmi di previdenza, perché temevano che il crescente impegno sociale del

regime potesse condurre a un ridimensionamento delle prerogative del patronato.

Gli industriali ritenevano che fosse più importante lo svilupparsi da parte dei

lavoratori di un senso di lealtà nei confronti degli imprenditori anziché verso le

organizzazioni di classe e cercarono di conservare la massima indipendenza nella

gestione delle loro imprese ed associazioni commerciali, fonte di un potere

economico che nessun governo poteva ignorare secondo loro57.

Con Mussolini gli industriali progettavano di esercitare un’influenza sull’intero

sistema, infatti la sua moderazione e l’apparente disponibilità alle loro richieste li

indusse a credere che, con il loro aiuto, era in grado di arginare i fascisti più violenti e

rivoluzionari. Allo stesso tempo, il fascismo, spinse gli industriali a muoversi nella

direzione del neo-paternalismo per assicurarsi il consenso della popolazione ed

eliminare ogni forma di opposizione, utilizzando come strumento principale di questa

politica, l’Opera Nazionale Dopolavoro, con lo specifico compito di organizzare il

tempo libero delle masse popolari.

Dunque, il fascismo da un lato, e lo sviluppo delle grandi industrie dall’altro, che per

la loro affermazione necessitano entrambi del consenso e di nuovi metodi di controllo

sugli operai, costituiscono lo scenario entro il quale prende forma il neo paternalismo

aziendale del XX secolo. Il regime e gli industriali, legati da saldi vincoli di alleanza

politica, hanno le stesse esigenze, in un intreccio di interessi e scambi clientelari

destinato a crescere nel corso degli anni. Oltre alla ricerca del consenso, il fascismo

ha come obiettivo l’eliminazione del conflitto sociale e del malcontento delle masse

popolari, nel quadro di un’efficienza produttiva e di nuove politiche di gestione dei

lavoratori. Il consenso che cercano le industrie, invece, riguarda le loro politiche

aziendali di razionalizzazione dei processi lavorativi: la pacificazione sociale diventa

un elemento di fondamentale importanza per aumentare la produttività degli operai,

56 Dogliani Patrizia, L’Italia fascista, 1922.1940, Sansoni, Milano, 1999. 57 Sarti Roland, Fascismo e grande industria. Mozzi, Milano, 1977.

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in un clima privo di scontri e rivendicazioni, nel momento in cui crescono le stesse

dimensioni delle fabbriche e delle società58.

In definitiva, il fascismo propone agli imprenditori un nuovo modello di welfare

aziendale, in grado di affiancare e sostenere, contemporaneamente, la costruzione

dello Stato sociale da parte del regime e la sua stessa politica economica59 . Rispetto

al taylorismo, si rafforza la centralità dell’individuo nel sistema di fabbrica, e

l’organizzazione scientifica del lavoro si estende anche al tempo libero degli operai,

mentre le politiche assistenziali e previdenziali varate dalle industrie, che

accompagnano la contemporanea creazione da parte del fascismo dello Stato

sociale, si configurano come la caratteristica via italiana alla stessa organizzazione

scientifica del lavoro. L’investimento nelle opere sociali, dunque, non ha una

carattere improduttivo, anzi, comporta significativi vantaggi.

I circoli del dopolavoro, si diffondono, in ogni caso, durante gli anni Trenta, quando il

regime, in cambio di politiche protettive a favore delle industrie, indispensabili per

uscire della crisi, chiede a queste ultime di assumersi precisi impegni in ambito

sociale. Lo sviluppo maggiore si registra dalla metà degli anni Trenta in poi, grazie a

precise disposizioni del governo fascista; pur di aumentare le adesioni, infatti, alle

singole aziende è concesso di iscrivere tutti i dipendenti, deducendo le relative quote

direttamente dalla busta paga60. L’operaio e la sua famiglia, vengono così coinvolti

nella vita aziendale, senza più alcuna distinzione tra lo spazio del lavoro e quello

della vita privata, all’interno di un’organizzazione delle attività produttive che rimanda

al modello di ‘fabbrica totale’. Le responsabilità e il ruolo sociale che si cercano di

attribuire al ceto industriale riguardano anche le politiche razziali e di espansione

demografica, che il regime inizia a perseguire nel corso degli anni Trenta; al riguardo,

si afferma infatti, che le attività sportive e gli interventi igienici e sanitari, rivolti

soprattutto alle mogli ed ai figli dei lavoratori, non possano che contribuire, in

maniera positiva, allo sviluppo della popolazione e al miglioramento della ‘stirpe

italiana’ 61.

Nel corso degli anni Trenta, le grandi concentrazioni industriali in fase di espansione,

per dimostrare la loro potenza e per accrescere il prestigio politico ed economico,

58 Bigazzi Duccio, Modelli e pratiche organizzative nell’industrializzazione italiana in Storia d’Italia – Annali 15. L’industria, a cura di F.Amatori, D.Bigazzi, R.Giannetti e L.Segreto. Einaudi, Torino, 1999, pp.941-942. 59 Gozzini Giovanni, Le politiche di welfare per l’industria in Storia d’Italia – Annali 15. L’industria, a cura di F.Amatori, D.Bigazzi, R.Giannetti e L.Segreto. Einaudi, Torino, 1999, pp. 1188-1197. 60 De Grazia Victoria, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del dopolavoro, Laterza, Roma-Bari, 1981. 61 Guiotto L., La fabbrica totale..., cit.

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avvertono la necessità di consolidare la propria identità e la propria immagine; le

iniziative varate in ambito sociale , vengono così utilizzate anche per questi scopi. Si

tratta di una dinamica ampiamente presente nel passato, ma durante gli anni del

fascismo essa si carica di un valore assolutamente inedito grazie ai nuovi strumenti di

propaganda e di pubblicità, come i servizi fotografici che arricchiscono i giornali

aziendali62 nei quali non trovano soltanto spazio i processi produttivi e le immagini

della attività lavorative, ma soprattutto gli apparati assistenziali. Le case in fase di

realizzazione, i circoli del dopolavoro, che ogni mese vengono inaugurati. Si tratta,

cioè, di una precisa strategia pubblicitaria, che utilizza anche il cinema, tesa ad

evidenziare il ruolo sociale raggiunto dall’azienda63. Le immagini solitamente, non

mancano di sottolineare i ‘luoghi’ creati dalle aziende, sempre perfetti dal punto di

vista architettonico, igienico e sanitario. Questo succede anche per le colonie marine

e montane; del resto, quella della colonie e del controllo sul sistema formativo, è una

dinamica comune alla maggior parte delle imprese impegnate in questo periodo nella

realizzazione di progetti sociali: in questo modo, l’educazione fascista viene estesa

anche ai più piccoli. È infatti caratteristica paradossale dell’ ”autoritarismo moderno”,

quella di non volersi limitare alla trasformazione dei cittadini in sudditi, ma di operare

sistematicamente per formare la loro ‘convinzione’64.

2.5 La Fiat.

L’azienda che in questi anni a Torino presenta la più ampia ed estesa organizzazione

di servizi sociali, è la FIAT. Il modello di paternalismo che G. Agnelli adotta è di

stampo militare: i dirigenti sono gli ufficiali che controllano le caserme (le fabbriche),

mentre i soldati sono gli operai, inquadrati all’interno di una rigida disciplina,

indispensabile per il combattimento, metafora dei processi produttivi attivati

all’interno della fabbrica65 .

I servizi sociali predisposti dalla Fiat, dal dopolavoro alla cassa mutua, dall’istruzione

professionale alle organizzazioni sportive, vero orgoglio per la direzione della

società, seguono sempre le diverse fasi di espansione produttiva e di

riorganizzazione delle attività che contraddistinguono la vita dell’azienda. Le prime

62 Bigazzi D., Modelli e pratiche organizzative .., cit. 63 Petrini Roberto, L’azienda giudicata: la Montecatini tra mito, immagine e valore simbolico, in Montecatini 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, a cura di Amatori F. e Bezza B., Il Mulino, Bologna, 1990. 64 Autoritarismo, fascismo e classi sociali, La Mulino, Bologna, 1975, p. 75. 65 Galli Giancarlo, Gli Agnelli: una dinastia, un impero, 1899-1998, Mondadori, Milano, 1997, p.45.

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strutture ricreative e assistenziali, infatti nascono tra il 1920 e il 1922 in occasione

dell’introduzione della catena di montaggio. Il nuovo dopolavoro inaugurato nel 1928

coincide, invece, con l’applicazione nei processi lavorativi, del sistema Bedeaux66.

Negli anni Trenta, infine, la crescita delle strutture assistenziali è imposta dal

malcontento dei lavoratori, determinato dalla depressione economica.

Gli interventi della Fiat non si limitano all’apertura delle sedi del dopolavoro, ma si

concretizzano anche nella costruzione di quartieri, villaggi operai e colonie marine e

montane, anche al di fuori di Torino; per esempio, alla fine degli anni Trenta, a Villar

Perosa, si procede all’edificazione del quartiere per gli impiegati , intitolato a Edoardo

Agnelli. Nel 1933, a Marina di Massa, in Toscana, per il soggiorno estivo dei figli dei

propri dipendenti, la Fiat procede nella realizzazione di una colonia marina,

anch’essa intitolata a Edoardo Agnelli. Le attività filantropiche ed assistenziali degli

Agnelli, nel corso degli anni Trenta nella valle del Chisone, si muovono in più

direzioni, che vanno dal controllo dei trasporti, alla produzione di energia elettrica.

Oltre alle strutture turistiche del Sestriere, gli Agnelli realizzano a Pinerolo un

ospedale civile, mentre un altro albergo viene edificato a Colle di Prà Martino, sopra

Villar Perosa. Nei pressi di Fenestrelle, invece, sorge nel 1929, il sanatorio ‘Tina ed

Edoardo Agnelli’.

Nel complesso, le strutture ricreative e assistenziali predisposte dalla FIAT

trasformano i suoi lavoratori, nel più ampio scenario del capoluogo piemontese, in

una comunità privilegiata e molto solidale al suo interno. I lavoratori dell’azienda non

solo possono usufruire delle colonie marine e del rifugio montano costruito nel 1928

a Bardonecchia, ma possono partecipare anche alle numerose attività sportive

programmate dalla Società. Tutte le attività sono organizzate attraverso dei gruppi

sportivi, altamente competitivi, che contemplano anche un’associazione

escursionistica, un club automobilistico, una squadra ciclistica ed una motociclistica.

Nello stesso tempo, anche le attività culturali non vengono trascurate: la musica, il

teatri, il cinema, le gite nei luoghi d’arte e la letteratura, diffusa grazie alla biblioteca e

al giornale stesso del dopolavoro, fanno costantemente parte del programma

66 L’Ing. Charles Bedeaux, nato a Parigi nell’anno 1888 e morto a Miami nell’anno 1944, fu l’"inventore" del sistema di misurazione dei tempi di lavoro basato sulla velocità del lavorato. Da lui prese il nome il sistema di lavoro a cottimo utilizzato in molte fabbriche dell’epoca, compresa la Fiat. Il cottimo "Bedaux" rappresentava il sistema di sfruttamento scientifico dei lavoratori. Questo sistema di lavoro si basava sul cronometraggio della quantità di lavoro che un operaio compiva, con uno certo sforzo, in un minuto, l’unità "Bedaux".

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ricreativo della Fiat67. numerosi erano i servizi sociali forniti ai lavoratori e alle loro

famiglie,che potevano usufruire inoltre di un certo lotto di case date in affitto a modici

canoni. E ciò quando la gran maggioranza dei lavoratori di altre imprese doveva

accontentarsi di qualche ritocco, come quello apportato dal governo nell’agosto del

1935, in materia di assicurazioni contro le malattie e gli infortuni, e di qualche altra

modesta provvidenza. Non solo per questo gli operai della Fiat venivano considerati

una categoria privilegiata. Quel che molti invidiavano loro era anche la preferenza

che l’azienda accordava ai figli dei dipendenti nell’assunzione del personale; e di

certo non erano così diffuse in altri stabilimenti le possibilità di avanzamento che in

Fiat si offrivano agli elementi dotati di particolari attitudini, secondo una politica di

promozione dal basso68.

Più che all’azione del sindacato fascista, si doveva in gran parte alle decisioni del

governo il miglioramento delle condizioni economiche e normative delle maestranze.

Tuttavia, proprio per questo, per la tendenza sempre più pervasiva delle alte sfere

del Regime a stabilire per via legislativa contenuti e modalità di rapporti di lavoro, i

sindacalisti fascisti ritenevano che fosse giunto il momento di ottenere, in forza di

analoghe misure, l’ingresso negli stabilimenti di propri fiduciari di fabbrica.

La direzione della Fiat aveva pur sempre nelle sue mani una carta da giocare, quella

delle varie forme di assistenza aziendale che integravano in modo indiretto le

retribuzioni del personale. Dalla cassa mutua interna agli ambulatori, dalle mense al

dopolavoro, alle colonie estive per i figli dei dipendenti,

Quanta importanza Agnelli attribuisse all’assistenza organizzata quale strumento di

governo delle masse e di relazioni pubbliche, lo provava la presenza ai vertici delle

varie istituzioni dei principali dirigenti della Fiat, a cominciare da Valletta. A loro era

affidato il compito di rafforzare il senso di identificazione dei lavoratori nell’azienda e

di concorrere così alla diffusione di un clima favorevole alla scrupolosa osservanza

delle regole e dell’ordinamento gerarchico di fabbrica.

In più c’erano i servizi ricreativi, le colonie al mare e ai monti per le vacanze estive

dei figli, una rivista aziendale ‘Il Bianco e Rosso’ spedita a casa a tutti i dipendenti,

l’offerta a prezzi concorrenziali di biciclette, suppellettili, indumenti. Tutto ciò

contribuiva ad accrescere il senso di appartenenza a una comunità di lavoro.

67 De Grazia Victoria, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del dopolavoro, Laterza, Roma-Bari, 1981, pp. 350-353. 68 Bigazzi D., Modelli e pratiche..., cit.

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Si spiega perciò come la direzione della Fiat non intendesse farsi espropriare dalle

autorità fasciste di un simile complesso di iniziative, che costituiva non solo un

canale ormai collaudato per la sua politica sociale nei riguardi delle maestranze, ma

anche un mezzo efficace per sondare gli umori e le esigenze dei lavoratori.

“Agnelli nel giugno 1935 dovette cedere acconsentendo alla costituzione della

Legione 18 novembre, creata dal partito per raggruppare operai e impiegati militanti

nelle sue file, e adottare per loro tramite strumenti più adeguati di vigilanza fascista.

La presenza della Legione valse a fornire alle istituzioni sociali della Fiat quel tanto di

verniciatura fascista sufficiente per salvare le apparenze, e venne comunque

considerata dai dirigenti un male assai minore che quello di avere fra i piedi i fiduciari

di fabbrica.”

Rispetto alla questione delle cariche direttive del gruppo Fiat, più difficile si

presentava per la Fiat la difesa delle sue istituzioni di carattere assistenziale: mutue,

dopolavoro, colonie, periodici aziendali, corsi professionali, nidi d’infanzia, ricoveri,

sanatori. Un patrimonio di centinaia di milioni di lire, ma soprattutto un canale ormai

collaudato per la politica personale di Agnelli nei confronti delle maestranze69.

Corporazioni e autorità locali premevano da tempo per un loro assorbimento, senza

condizioni, nell’ambito dell’organizzazione fascista. E nel maggio 1932 un’assemblea

di sindacalisti era ritornata alla carica, dietro il pretesto di poter così assolvere meglio

ai problemi assistenziali sollevati dal dilagare della disoccupazione. Ma anche sotto

questo profilo Agnelli non era disposto ad alcun ripiegamento. Ordinamenti e

amministrazione dei vari enti sarebbero rimasti, di fatto, sotto il controllo della

direzione, fuori da qualsiasi intervento da parte del Pnf, a cui si concedeva a

generica garanzia di una conduzione ispirata ai principi fascisti.

69 Castronovo Valerio, Giovanni Agnelli. Einaudi, Torino, 1977.

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CAP. 3 DAGLI OSPIZI ALLE COLONIE

3.1 La nascita delle colonie.

L’istituzione delle colonie climatiche litoranee e montane non è una creazione del

Fascismo, in realtà questo diede ad esse solo continuità piegando ai propri obiettivi

politici e sociali un movimento culturale e operativo che in tutta Europa aveva avuto

origine intorno alla metà dell’Ottocento. Infatti, nonostante la cura marina della

tubercolosi infantile sia stata una pratica terapeutica avviata dalla medicina

britannica, il contributo del nostro Paese allo sviluppo e alla sperimentazione della

talassoterapia è assai rilevante.

In Italia nacque tutto grazie al medico fiorentino Giuseppe Barellai, promotore e

fondatore di molti ospizi marini per la cura dei giovani scrofolosi indigenti, e quindi

considerato precursore della moderna medicina sociale preventiva per l’infanzia. Dal

1856, quando Barellai condusse a Viareggio tre bambini indigenti affetti da scrofolosi

appoggiandosi a un parroco e all’ordine dei Serviti di Maria70, gli ospizi marini italiani

ebbero una rapida diffusione e nel 1866 questo medico ne dette il primo

Regolamento Disciplinare71. I primi, ad essere istituiti nel complessivo panorama

nazionale, furono quelli di Viareggio e, successivamente i due realizzati sul litorale di

Livorno, che all’epoca era il centro più importante della regione dopo Firenze e il

primo luogo di villeggiatura in Toscana.

Solo pochi ospizi furono posti alle dipendenze dei comuni o delle province, mentre i

più furono sostenuti attraverso la beneficenza privata e furono costituiti in ente

morale autonomo nell’ambito della legislazione sulle opere pie72: cominciavano

installandosi in edifici preesistenti, acquistati, affittati o concessi gratuitamente e poi

riadattati per il nuovo uso. Spesso si compravano anche degli appezzamenti di

terreno in prossimità della spiaggia per impiantarvi nuove costruzioni appositamente

progettate ed attrezzate. Questo fece sì che avessero un carattere meno ospedaliero

di quelli inglesi e francesi, poiché non erano costituiti da un unico grande ospedale

70 Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine della Toscana. Istituto di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria di Pisa, edizioni E.T.S., Pisa, 1993, p.47. 71 In particolare, a Barellai è legata la costruzione a Viareggio dell’Ospizio Marino di Firenze Vittorio Emanuele II, su progetto dell’architetto Giuseppe Poggi). 72 Nel 1818 la Toscana fu la prima regione in Italia a decidere di assumersi la responsabilità della tutela della salute dei cittadini mediante il controllo ed, in parte, il finanziamento degli enti di beneficenza e delle opere pie, che rimarranno fino al 1862 sotto la competenza del Ministero dell’Interno; ciò fu importante per l’innovativo contenuto sociale nel settore della prevenzione della mortalità infantile, determinante nello sviluppo della pratica delle cure elioterapiche. (Cfr. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine della Toscana. p.47).

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centralizzato ma da diversi stabilimenti più piccoli disseminati lungo i litorali tirreno e

adriatico.

A Torino il seguace più convinto delle idee di Barellai e che le promosse fu Giuseppe

Berruti, il quale nel 1873 contribuì a compilare il Regolamento Disciplinare

dell’Ospizio torinese. Anche il nuovo Ospizio marino Piemontese, creato nel 1870,

era un’iniziativa che si collegava con il liberalismo moderato degli ambienti di corte; i

finanziatori infatti erano il re, l’alta società dell’industria, ospedali, e ciò delineava il

tipico panorama dei protagonisti della beneficenza “privata” ottocentesca, cioè una

filantropia trasversalmente sociale. Ma volendo vedere a fondo, anche Gian Carlo

Jocteau osserva che “la concezione della beneficenza dipendeva da una visione dei

rapporti fra le classi in termini di concordia e reciprocità, per cui la sua finalità era che

alla sollecitudine dei ricchi verso i poveri dovevano corrispondere la riconoscenza e

la deferenza dei beneficati.”73; con il tempo, arrivando a ridosso della prima guerra

mondiale e sempre più in seguito, all’iniziativa dei privati si sarebbe affiancata quella

pubblica.

Quindi, in generale, con la scoperta del bacillo di Koch74, già dagli ultimi decenni

dell’Ottocento erano sorte e si stavano diffondendo le colonie alpine e marittime

destinate ai ragazzi poveri e di costituzione gracile. Ciò che accomunava queste

opere era l’ispirazione assistenziale e filantropica, il rivolgersi ai fanciulli e ragazzi

indigenti e bisognosi di cure, ma mentre le prime mantenevano una connotazione

medico-terapeutica, le seconde si affermavano piuttosto come sedi di residenza

estiva per bimbi non affetti da gravi e specifiche malattie.

Nel 1890, sotto il patronato della regina Margherita erano nate le Colonie alpine per

fanciulli poveri e anch’esse avevano un padre fondatore, il pastore e parroco

zurighese Bion, che nel 1876 aveva avuto l’idea di condurre in vacanza per qualche

mese sulle montagne un gruppo di scolari scelti tra i più poveri. Dalla Svizzera le

FerienKolonien si estesero rapidamente ad altri paesi e nacque così il termine

“colonia” che ha sempre conservato il suo originario significato di “realtà sociale

creata per iniziativa dello stato o dell’autorità costituita in un luogo separato e diverso

da quello d’origine, governato da norme rigorose e sostanzialmente eterodiretta, e

stava insieme a indicare la località, l’istituzione e quanti ne facciano parte”75.

73 Jocteau Gian Carlo, Ai monti e al mare; cento anni di colonie per l’infanzia. Fabbri Editori, 1991, p.19 74 Bacillo della tubercolosi, scoperto il 4 marzo 1882,. Alla fine del 1800 e nei primi decenni del 1900 la TBC era la principale causa di morte in Europa e negli Stati Uniti. 75 Jocteau G.C., Ai monti e al mare; 1991, p.24

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I bimbi inviati alle colonie erano prescelti fra i più poveri e bisognosi e dovevano

presentare segni di gracilità (dovuti alle precarie condizioni in cui si trovavano a

vivere), ma non essere ammalati; infatti con il tempo l’apparato medico-terapeutico

era diventato meno accentuato anche perché era meno grave la piaga a cui si

tendeva far fronte. La portata sociale del fenomeno delle colonie, così come era stato

per gli ospizi, si collegava a fenomeni politici e culturali di grande rilievo e poiché la

finalità assistenziale e pedagogica si collegava con l’intento igienico e profilattico,

l’ambiente ed il clima montano apparivano il contesto più adatto per perseguire

entrambi gli scopi.

Così, la Reale società d’igiene, con il sussidio oltre che del Club Alpino Italiano

(C.A.I., fondato dagli alpinisti nel 1863 per iniziativa dell’allora Ministro delle Finanze

Quintino Sella), delle Colonie marine ed alpine cooperative per i figli d’impiegati e

professionisti, da poco esistenti nel capoluogo piemontese, presero l’iniziativa a

Torino. La nuova opera delle colonie alpine presentò sin dall’inizio uno spiccato

carattere di patronage, collegandosi direttamente all’azione e all’apporto economico

dei personaggi e famiglie preminenti, come il conte Roberto Biscaretti di Cuffia

(vicepresidente del C.A.I.), uno dei fondatori della Fiat, che nel 1893 accompagnò dei

bambini in colonia sui monti del Biellese. A quell’epoca, inviando piccoli gruppi di

bambini in località e sedi diverse, appoggiandosi ai benestanti locali e alle famiglie

dei villeggianti, era possibile utilizzare edifici già esistenti (scolastici e comunali)

messi a disposizione gratuitamente e facilmente reperibili, e fu così che a fine ‘800 le

colonie alpine torinesi (che si erano costituite in ente morale nel 1896), erano tra le

più fiorenti d’Italia e nei primi del Novecento crebbero ancora e estesero la loro

attività anche al mare.

Il clima stava cambiando grazie al decollo industriale e all’inizio dell’età giolittiana,

anni di crescita del socialismo riformista e della cooperazione, e a testimonianza di

tutto ciò nel novembre 1902 fu proprio una cooperativa di consumo che si era

costituita con un patto di alleanza tra la cooperativa ferroviaria e l’Associazione

generale operai (che divenne base economica fondamentale del socialismo torinese),

l’Alleanza Cooperativa Torinese, che volle organizzare una colonia marina per i figli

dei suoi soci (1903, Diano Marina) .

Infatti nell’Italia liberale, né lo Stato né le grandi aziende avevano ancora intrapreso

un adeguato programma di legislazione e di interventi in campo assistenziale e

sociale, quindi questa sfera era ancora sostanzialmente riservata all’impulso privato,

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Ma come era stato per molte iniziative mutualistiche e previdenziali, anche per le

colonie, se pur nati con differenti finalità e motivazioni a seconda che se ne

occupassero le associazioni operaie o la filantropia aristocratica, i contenuti erano gli

stessi : l’impostazione era diversa poiché laica e proletaria, ma le motivazioni

pedagogiche non erano meno forti di quelle che caratterizzavano le colonie sorte

sotto il patronato della Regina Margherita. Nel dopoguerra, lo sviluppo delle colonie

dell’Alleanza proseguì, ma nella seconda metà degli anni Venti anche l’ACT fu

fascistizzata.

Durante gli anni della prima guerra mondiale, le Direzioni generali della sanità

pubblica e dell’istruzione unitamente alla Croce Rossa, avevano moltiplicato gli

interventi di sostegno delle colonie per offrire assistenza ai figli dei richiamati, ma

nell’estate 1918 i confini tra le opere propriamente terapeutiche e quelle profilattiche

o assistenziali non erano ancora del tutto precisati, infatti anche le colonie

elioterapiche, perlopiù a carattere diurno, erano nate con finalità essenzialmente

antitubercolari.

Nel corso degli anni Venti il panorama si modificò, il contesto economico e sociale

era in rapida trasformazione, e si ebbe un intreccio di iniziative aziendali, comunali e

politiche. Si chiudeva qui l’epoca liberale, in cui aveva prevalso la beneficenza

privata, e se ne apriva un’altra, in cui si affermavano le nuove forme di assistenza e

di previdenza. Per esempio, il venticinquesimo anno della fondazione Fiat si inaugurò

la sua prima colonia a Challand (ora Saint Victor) con 65 bambini, iniziativa che

rientrava nell’ambito dell’attività della mutua interna aziendale. Come altre opere

similari, anche le colonie Fiat all’inizio usarono sedi marine e montane diverse e di

capienza limitata, prima che nel decennio successivo si giungesse alla costruzione

dei grandi edifici di Marina di Massa e Salice d’Ulzio.

Negli anni, come si è detto, la composizione dei finanziatori era cambiata. Sin

dall’inizio le ditte o le industrie con le loro offerte si riservavano qualche posto per i

figli dei propri dipendenti, ma con il tempo la loro incidenza era enormemente

cresciuta e così fu specialmente in epoca fascista.

3.2 Colonie in epoca fascista.

Per il fascismo, l’azione previdenziale e assistenziale era garanzia di giustizia sociale

e sanità e integrità della stirpe. “In questo modo sfruttando una felice intuizione

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dell’igienismo terapeutico ottocentesco, la colonia stagionale si avviò a diventare,

nelle mire celebrative del regime, un inedito modello formativo di massa.”76

La sanità fisica della razza si poteva ottenere, o migliorare, con l’attività sportiva, ma

si raggiungeva soprattutto prevenendo le malattie fin dalla più giovane età, ossia

temperando il corpo mediante una vita condotta prevalentemente all’aperto. Per

provvedere alla cura e al rinvigorimento dei bambini, il regime decise di incentivare,

con l’istituzione e l’organizzazione delle colonie climatiche estive (marine, montane

ed elioterapiche) una forma di villeggiatura intensiva per i figli delle classi meno

abbienti: assicurare le vacanze ai figli dei lavoratori significava venire incontro a

un’esigenza emergente e senza dubbio reale, e promuovere al tempo stesso un

consistente mutamento nelle abitudini e nelle scansioni stesse della vita. Il regime del

resto aveva intuito le potenzialità propagandistiche di queste organizzazioni, e con la

creazione di colonie univa all’idea di difesa della razza, la concreta possibilità di

intervenire con una precoce impronta militare e fascista nell’educazione della

gioventù e dell’infanzia.

Il fascismo, inoltre, voleva far apparire che con la fine della lotta di classe si giungeva

alla difesa da parte dello Stato delle aspirazioni e dei diritti “legittimi” delle classi

lavoratrici. Ciò era scarsamente rispondente alla realtà, ma questa immagine non era

priva di efficacia propagandistica agli occhi dell’opinione pubblica conservatrice

internazionale e non, e il successo che ebbero le colonie testimonia che le esigenze

della propaganda fascista e la ricerca del consenso riuscirono in una certa misura a

fondersi con l’opportunità di soddisfare aspettative sociali diffuse.

L’ideologia fascista era un’ideologia totalitaria: lo Stato doveva intervenire in tutti gli

aspetti della vita dei consociati, regolandoli verso uno scopo comune, e così

prendeva sotto la sua tutela i cittadini dalla nascita alla morte, organizzando anche il

tempo libero. Mussolini promulgò una legislazione a tutela della famiglia e della

maternità, iniziative di assistenza e beneficenza ed una legislazione più propriamente

previdenziale, rivolgendo la sua attenzione in particolare ai giovanissimi nell’intento

di sottrarli all’influenza educativa delle associazioni cattoliche con l’istituzione nel ‘26

dell’Opera Nazionale Balilla, che li inquadrava per lo svolgimento dell’attività fisica

basandosi su tre punti fondamentali: educazione morale, educazione fisica,

disciplina.

76 Simini M. et al., Storia e miti della colonia, “Domus”, LVIII, n. 659, 1985, p.27

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L’intervento pubblico quindi soppiantava la beneficenza e la filantropia private, che

venivano considerate dal Regime forme di aiuto insufficienti, saltuarie, arcaiche e

incompatibili con le esigenze di quella che doveva essere una moderna società di

massa. “Mutavano allora i protagonisti e gli strumenti e nel campo mutualistico e

aziendale o della contrattazione corporativa gli eventuali benefici ottenuti

sembravano non potersi scindere dalla forzata perdita dei diritti di libertà già acquisiti

in passato dalle organizzazioni operaie.”77

3.3 L’organizzazione e la gestione delle colonie.

Negli anni del suo consolidamento e del crescente consenso popolare, come

abbiamo detto, il regime fascista diede all’Italia una legislazione ampia e articolata in

materia di previdenza, assistenza e tutela del cittadino.

Le disposizioni più importanti erano quelle riguardanti le norme igieniche, le

assicurazioni obbligatorie , il contratto collettivo di lavoro e il patronato. Un’altra

importante istituzione fondata nel Ventennio è quella dell’Opera Nazionale

Dopolavoro (OND); il Dopolavoro nacque ufficialmente con R.D. del 1 maggio

1925,78 che ne fissava gli scopi, e cioè “promuovere il sano e proficuo impiego delle

ore libere dei lavoratori intellettuali e manuali, con istituzioni dirette a sviluppare le

loro capacità fisiche, intellettuali e morali”, “provvedere all’incremento e al

coordinamento di tali istituzioni, fornendo a esse e ai loro aderenti ogni necessaria

assistenza”. L’OND partecipava anche, in concorso con gli altri interessati, alle

campagne contro la tubercolosi, l’alcolismo, la malaria, organizzava colonie montane

e marine per i figli delle famiglie indigenti.

Un’altra importante iniziativa in campo sociale fu quella, volta alla gioventù,

dell’Opera Nazionale Balilla (O.N.B.)79, che era un ‘ente morale per l’assistenza e

l’educazione fisica e morale della gioventù; l’iscrizione all’Opera non era obbligatoria,

ma erano riservati ai soli soci i numerosi servizi offerti, tra cui spiccavano le attività

sportive, i campeggi e l’invio alle colonie montane, marine ed elioterapiche, queste

ultime ovviamente per i giovani bisognosi di cure specifiche.

77 Cresti Carlo, Architettura e fascismo. Vallecchi editore, Firenze, 1986, p 87. 78 num. 582. 79 Creata con Legge del 3 aprile 1926, n. 2247, dipendeva dal Ministero dell’Educazione Nazionale.

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I giovani traevano notevoli vantaggi dalla partecipazione all’ONB: e infatti i soci erano

dell’ordine di milioni di ragazzi, e molti di essi potevano usufruire di cure, vacanze,

campeggi che altrimenti non avrebbero potuto avere.

Lo Stato si occupava di assistere e tutelare i giovani; ma “lo Stato è fascista e il

fascismo è lo Stato”: il Partito divenne così anche l’educatore, un padre generoso ma

severo, che pretende dai figli una fedeltà e un’obbedienza totali. Non si può

d’altronde disconoscere al fascismo il merito storico di una legislazione avanzata per

l’epoca, avendo realizzato delle tutele che hanno indubbiamente costituito la base,

anche dopo la caduta del regime, per una sempre miglior regolamentazione del

lavoro giovanile, dei diritti delle madri lavoratrici, del sostegno sociale alle famiglie

indigenti, dell’aiuto alla maternità.

L’organizzazione e il controllo delle colonie, a partire dalla svolta dittatoriale della

seconda metà degli anni Venti, furono progressivamente accentrate nelle mani del

Partito nazionale fascista.

Tra il ’26 e il ’28 la gestione delle colonie fasciste spettò all’ONMI (Opera Nazionale

per la protezione della Maternità e dell’Infanzia), coadiuvata dai fasci femminili

dell’ONB. Dal ’28 l’ONMI curò soprattutto le colonie antitubercolari permanenti,

mentre i Fasci e l’ONB assunsero l’organizzazione di quelle temporanee. A partire dal

’31, le funzioni di coordinamento furono infatti unificate nell’Ente Opere Assistenziali

(E.O.A.) del PNF che sotto la guida del Segretario federale comprendeva in ogni

provincia anche i rappresentanti dell’ONMI e dell’ONB. Da quella data ebbe inizio

l’incremento più significativo.

Dal ’33, con una pubblicazione, il PNF affermava risolutamente che nella successiva

stagione estiva avrebbero dovuto “scomparire definitivamente quelle iniziative così

dette benefiche”, che sino ad allora avevano organizzato con mezzi insufficienti

“alcune pseudo-colonie” che non rispondevano al loro scopo”,né al senso del decoro

e allo stile fascista” Tali opere sarebbero state vietate dalle gerarchie: “Enti, privati e

semiprivati che vorranno dimostrare il loro amore per i figli del popolo non avranno da

che collaborare […] a quelle iniziative che in tal campo saranno prese dall’EOA nel

nome sacro del Littorio”80. Inoltre, con la lotta fra il regime e Azione Cattolica a

proposito dell’educazione della gioventù, si stava dispiegando il massimo sforzo per

attuare un controllo unitario e uniforme del partito sulle colonie.

80 Solidarietà fascista, p.129.

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Nel 1938, infine, in seguito alla costituzione della GIL, che assorbì l’ONB, il nuovo

organismo del PNF assunse la vigilanza e il controllo su tutte le colonie, da chiunque

fondate o gestite.

L’omologazione alla totalità delle istituzioni esistenti sotto la direzione del partito era

stata perseguita fin dall’inizio degli anni Trenta, quando i Federali delle province

inviavano annualmente agli organi direttivi di tutte le colonie pubbliche e private delle

circolari contenenti indicazioni precise (vedi all. n. 1 e 2).

Le regioni più impegnate nella costruzione dei nuovi edifici furono quelle

economicamente e socialmente più avanzate, come Lombardia, Piemonte e Liguria,

affiancate da enti previdenziali ed assistenziali operanti su scala nazionale. Le coste

più interessate da questi insediamenti, furono quella tirrenica e quella adriatica,

soprattutto in territorio toscano e romagnolo. Tra i committenti ritroviamo organi come

la Direzione generale degli italiani all’estero, svariate istituzioni del regime (PNF,

ONB, Federazione dei fasci di combattimento) numerose aziende (ILVA, Montecatini,

FIAT, Edison, Marzotto, Rossi, SNIA, Pirelli, Marelli, Alfa, AGIP, Piaggio, Dalmine) e

Torino fu una delle città più coinvolte dalle nuove dimensioni assunte dal fenomeno.

Le principali colonie, oltre a quelle alpine e marine per fanciulli poveri, erano quelle

dell’ACT, degli orfani di guerra, del municipio, della Fiat, dei Fasci di combattimento,

dei tranvieri e del Patronato scolastico.

3.4 L’organizzazione delle colonie Fiat.

Nel primo decennio di attività, l’organizzazione delle colonie Fiat non aveva sedi che

appartenessero al patrimonio aziendale; ne sono un segno i molti spostamenti che

servivano per collocare i bambini dei dipendenti nel corso delle vacanze estive,

inizialmente tra le sedi di Challand, Pomaretto, Finalmarina, Chiavari, poi anche a

Traverselle (1928), Lanzo (1930), Fibroso Soprana (1931), Giaveno (1932). In

seguito si rese necessaria una diversa struttura e una nuova dimensione

organizzativa dovuta non solo alla crescita della domanda e al successo riscosso

dalle colonie Fiat. Ricordiamo che nel 1928, l’organizzazione delle vacanze era

diventata un’attività ufficiale del regime, sotto la direzione dell’Opera Nazionale

Maternità e Infanzia, e il nuovo assetto dell’intera organizzazione doveva sottolineare

la piena adesione dell’azienda alla politica sociale del regime e allo stesso tempo

mettere in evidenza la volontà della Fiat di procedere autonomamente e con mezzi

propri. La decisione di Giovanni Agnelli di costruire a Marina di Massa il primo grande

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complesso architettonico appositamente concepito come sede delle colonie

aziendali, risaliva al 1932, l’anno in cui Mussolini venne a Torino nel decennale della

marcia su Roma; seguì la colonia montana a Salice d’Ulzio nel 1937 e nel 1939

(quando le colonie Fiat ospitarono 2862 bambini) fu creato un terzo complesso sulle

rive del Po a Torino, la colonia giornaliera Costanzo Ciano.

Le vacanze aziendali non rappresentavano solo uno stacco netto rispetto alla qualità

della vita quotidiana dei bambini, in termini di vitto, alloggio, servizi igienici, gioco;

costituivano anche, sia pur inquadrate in una disciplina benevolmente rigida, un salto,

sia pure provvisorio, verso una forma di modernità e di rapporto sociale organizzato.

Nel caso delle colonie Fiat, la cura dei bambini era affidata in buona parte alle suore

dell’ordine di Don Bosco che erano chiamate a garantire quell’equilibrio di autorità e

di “allegria” che faceva parte del manifesto pedagogico salesiano; infatti Giovanni

Agnelli aveva sempre manifestato grande ammirazione e interesse per l’attivismo e la

qualità delle loro scuole professionali. “Il mondo delle colonie Fiat, negli anni Trenta,

aveva conosciuto un periodo aureo. Per i bambini rappresentava

contemporaneamente un ‘altrove’ rispetto all’esperienza quotidiana e nello stesso

tempo un inserimento precoce nella cultura aziendale, nei suoi simboli e nei suoi

valori. L’idea di “colonia”, come realtà separata ma ben caratterizzata da un proprio

segno, da una bandiera e da uno spirito di corpo, si realizzò compiutamente in quegli

anni, per proseguire anche negli anni di guerra.”81

Negli anni del dopoguerra, le colonie continuarono a funzionare secondo i criteri e i

meccanismi che le avevano alimentate nei decenni precedenti, ma verso gli anni ’60,

le colonie Fiat entrarono in crisi, poiché stava cambiando il loro destinatario sociale: il

salario maggiore della classe operaia, il nuovo bisogno di autonomia, il rifiuto della

divisa e delle uniformità, i diversi valori. Nello stesso tempo, anche il ruolo sociale

dell’azienda era mutato: non c’era più motivo di supplire alla famiglia o alla pubblica

amministrazione.

81Bairati P., Monti, mare,fiume, in Jocteau G.C., Ai monti e al mare; 1991, p.96

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CAP. 4 L’ARCHITETTURA DELLE COLONIE. 4.1 La geografia delle colonie.

Per decidere l’ubicazione delle colonie un vero e proprio piano nazionale non ci fu.

Il Piano di Tutela Paesistica, scaturito dalla legge n°778 del 1922 e approvato nel

1940 si limitava a indicare la direzione parallela alla costa come linea di sviluppo

dell’edificato per evitare pericolose concentrazioni edilizie, e il piano Belli (1934) 82 si

limitava a classificare i centri balneari secondo le dimensioni mantenendo il turismo

delle colonie, pur incentivandolo, segregato dalle spiagge popolari. L’unico

Regolamento delle Colonie Estive è quello emanato dalla Gioventù Italiana del

Littorio (GIL) nel 1937 che riguardava il problema gestionale degli stabilimenti e che

si limitava, in pratica, alla loro classificazione83. Le scelte localizzative delle colonie,

quindi, non rispondevano a nessuna strategia unitaria, ma piuttosto coincidevano

con la presenza e la autorità locale di un gerarca o la facile accessibilità dalle città

del nord sedi delle grandi industrie, o dalla rete infrastrutturale, difatti secondo Marco

Dezzi Bardeschi84, a motivare le due massicce e speculari concentrazioni

sull’Adriatico e sul Tirreno, furono forse i precedenti degli Ospizi Marini di Rimini e di

Viareggio, e forse l’occhio compiacente del regime per le spiagge del Duce da un

lato e per la nuova città dell’immaginario di celluloide (studi cinematografici Forzano

a Tirrenia) dall’altro. Ricordiamo d’altronde che il segretario particolare di Mussolini,

Osvaldo Sebastiani, era originario di Massa e esercitò facilmente notevoli pressioni

per quanto riguardava lo sviluppo economico della sua città85, così come Costanzo

Ciano aveva fatto per la zona industriale di Livorno: questi erano i rinnovati esiti

toscani della strategia d’investimento dei grandi gruppi economico-finanziari extra-

regionali dopo la “calata” dell’industria del Nord in Toscana : legami d’affari con

esponenti toscani del mondo economico, reciproci favori fra gruppi industriali e

gerarchi fascisti della regione e forse, mano d’opera a prezzi meno alti che al Nord.86 Intorno al 1919 l’Italia era al quarto posto in Europa e al quinto nel mondo per quanto

riguardava le vetture in circolazione, quindi le prospettive di sviluppo del trasporto di

82 Bertozzi Massimo, Massa, Sagep Editrice, Genova, 1985. 83 Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine della Toscana. Istituto di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria di Pisa, edizioni E.T.S., Pisa, 1993, p. 12. 84 M. Dezzi Bardeschi, Conservare il moderno: strategie per il recupero, in Domus n°659, 1985. 85 Predieri, 1971 86 G. Mori, Materiali temi ed ipotesi per una storia dell’industria nella regione toscana durante il fascismo, Fi, Olschki ed.,1971, p. 386.

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persone e merci per mezzo di automobili, autobus, autocarri, apparivano buone;

anche l’esistenza di numerose fabbriche di autovetture favorivano lo sviluppo del

trasporto su gomma, o come si diceva, su “ruota a rivestimento elastico”. 87 (fig.16-

17). Nel periodo ’22-’30, quando in Italia lo sviluppo dell’automobilismo aveva

sopravanzato quello delle strade, la rete principale delle statali e provinciali era in

condizioni pessime; grazie alle pressioni degli industriali, alla fine del 1932 erano

sistemate con manto bituminoso (cioè asfaltate) 666 Km, e sistemati con

pavimentazioni permanenti e semipermanenti 541 km di statali su un totale di

20.730 (in altre parole le strade asfaltate erano ancora il 3,2% del totale88). Non

dimentichiamo infatti che l’aspetto fondamentale della politica autostradale è quello

della saldatura tra politica dei lavori pubblici ed industrie del cemento, dell’auto e dei

pneumatici (basti pensare che Giovanni Agnelli era presidente dell’autostrada Torino-

Milano e aveva come consiglieri il fratello Edoardo e altri dirigenti di aziende

relazionate alla Fiat. 89)

A influire sulla localizzazione dei siti più idonei alle colonie, furono quindi anche la

vicinanza e la maggiore disponibilità di infrastrutture di trasporto verso le grandi città

dell’Italia settentrionale, sedi delle grandi industrie, le quali non di rado si resero

promotrici della realizzazione di colonie climatiche. In Toscana c’era stato uno

sviluppo della rete ferroviaria e stradale fra i più alti d’Italia con gli oltre 350 km di

strada ferrata e gli oltre 4500 km di strade nazionali e provinciali censiti nel

1861(anno in cui, tra l’altro, il comune di Massa espropriò i terreni lungo tutto l’arco

che va da Turano a Romagnano a causa della costruzione della ferrovia Pisa-La

Spezia, per l’allacciamento del tronco ligure a quello toscano.90). Più avanti nel

tempo, nel 1933, l’apertura dell’autostrada Firenze-Mare, sancì definitivamente il

successo turistico della riviera apuana e il suo conseguente sviluppo. Tutto questo

contribuì a rendere molto più agevole la mobilità dei villeggianti che, facilitati anche

87 Bortolotti L., De Luca G., Fascismo e autostrade. Un caso di sintesi: la Firenze-mare. Franco Angeli, Milano, 1994. 88 Il Corriere dei Costruttori, 6,1931. 89 G. Mori, Materiali temi ed ipotesi per una storia dell’industria nella regione toscana durante il fascismo, Fi, Olschki ed.,1971. A questo proposito, ricordiamo la testimonianza del deputato socialista Matteucci nelle discussioni parlamentari dell’Italia Repubblicana : “Nel 1926 era impossibile camminare per le strade d’Italia... Ad un certo punto il sen. Agnelli, di fronte a questo stato di cose (...) si presentò a Mussolini e gli disse: “io chiudo la Fiat. È inutile continuare a costruire automobili, se non hanno la possibilità di andare su strade!”. Mussolini acconsentì a esaminare un suo progetto per asfaltare le strade, ma non lo accettò, però fece nascere l’Anas per occuparsene. (Atti parlamentari, repubblica, Legislatura II, commissioni in sede legislativa, discussioni della settima commissione, seduta 26 aprile 1955). 90 M. Bertozzi, Massa, Sagep Editrice, Genova, 1985.

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dalla eliminazione dei dazi doganali potevano ora spostarsi con frequenza maggiore,

e si assisté così alla nascita e al consolidamento dei centri turistici e balneari e

climatici; del resto, nel cambiare delle circostanze, l’auto stava passando da bene di

lusso a bene necessario così come l’uso di andare in vacanza, un tempo

appannaggio esclusivo della minoranza residente in città, diventava universale a

mano a mano che l’urbanizzazione rendeva comune la lontananza della natura.

Infatti con l’inaugurazione nel ’32 dei primi tronchi autostradali, Firenze si qualificava

come ‘stazione turistica’ insieme a Montecatini e Viareggio e avere un collegamento

con il mare, fece emergere una nuova forma di vacanza estiva91; inoltre negli stessi

anni, “la Fiat si era impegnata nella costruzione di nuove carrozzerie per autobus […]

e allo sviluppo del traffico ferroviario: alla fine del ’32 lanciava la prima automotrice

ferroviaria, la ‘Littorina’ ”92, permettendo spostamenti più veloci e pratici , per

esempio anche per i bambini che andavano in colonia da Torino a Marina di Massa.

Anche lo Stato interveniva ovviamente in tutto ciò, motivato anche da ragioni

ideologiche e di controllo sociale che puntavano a irreggimentare le masse lavoratrici

che godevano ormai di tempo libero notevole e a garantire ai figli delle famiglie più

povere (con la costituzione di colonie marine e montane) l’accesso alla vacanza

estiva, anche se ai motivi salutistici si legavano fini di educazione e propaganda.

Derivano da questo contesto storico le motivazioni delle scelte territoriali, nonché

l’inizio di quel processo che nei decenni successivi ha modificato il paesaggio

costiero toscano, innescando e alimentando il fenomeno dell’urbanizzazione delle

coste.

Molte aree costiere inedificate, per lo più reduci da una storia plurisecolare di

abbandono, di impaludamenti e degrado morfologico, divennero progressivamente

oggetto di due inedite destinazioni: l’attività sanatoriale degli ospizi marini per

l’infanzia e quella turistica dell’alta borghesia nazionale. Se da una parte gli ospizi

marini vennero fin dall’inizio considerati una risorsa preziosa per il territorio costiero

circostante, in relazione ai benefici occupazionali, promozionali ed economici che ne

derivavano, d’altra parte le schiere di bambini scrofolosi si rivelarono spesso

incompatibili con i villini signorili che stavano sorgendo in quei luoghi. È quindi

possibile riconoscere un primo periodo, che si conclude verso la fine dell’Ottocento,

91 Bortolotti L., De Luca G., Fascismo e autostrade. Un caso di sintesi: la Firenze-mare. Franco Angeli, Milano, 1994. 92 Castronovo Valerio, Giovanni Agnelli. Einaudi, Torino, 1977.

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in cui i sanatori antitubercolari rappresentarono uno dei propulsori

dell’urbanizzazione del territorio litoraneo centro-settentrionale, alimentandolo con le

prime correnti di villeggianti al mare, dove si trovavano affiancati sulle spiagge ricchi

turisti e bambini sofferenti. In seguito, con l’avvento del fascismo si era confermata,

soprattutto a livello regionale, la tendenza a fare del turismo un punto di forza dello

sviluppo economico della Toscana, ma ciò entrava in contrasto con la politica

nazionale dello sviluppo autarchico industriale e minerario, che istituì e consolidò sul

litorale le zone di Massa Carrara (‘38), di Livorno (’29-’37) e di Piombino93.

Per questo gli ospizi marini prima e le colonie poi, furono sempre accettati con molte

riserve e posti ai margini delle zone potenzialmente interessate dallo sfruttamento

turistico; infatti la dislocazione delle colonie era stabilita individuando tra le spiagge

ritenute climaticamente più idonee quelle che erano più distanti dai centri abitati, di

minor costo, possibilmente di proprietà demaniale. Di conseguenza, le colonie

costruite nel primo dopoguerra furono collocate a margine delle aree turistiche in

zone già compromesse dalla presenza di vecchi aggregati di colonie o non

interessate dallo sfruttamento turistico: Marina di Massa per il litorale apuano,

Calambrone per il litorale pisano e Follonica per la Maremma.

Il fenomeno esplose tra le due guerre mondiali, e il polo principale era ubicato a

Marina di Massa con oltre il 64% degli istituti, mentre l’altro 36% era distribuito nel

restante arco di costa .

Mentre la presenza degli ospizi marini all’inizio del ’900 aveva creato problemi di

compatibilità con l’uso turistico delle spiagge, la presenza delle colonie marine (che

nel frattempo avevano assunto il carattere principale di prevenzione e tutela della

salute, in sostituzione di quello curativo) diventava elemento coadiuvante dello

sviluppo sociale e turistico delle aree meno note ed utilizzate.

Questo sviluppo fu assecondato da alcune importanti aziende nazionali e dall’Opera

Nazionale Maternità e Infanzia che nel corso degli anni ’20 scelsero il litorale di

ponente come sede per la costruzione degli stabilimenti da adibire a colonie marine

che ebbero un enorme risalto pubblicistico : sotto la spinta della propaganda fascista,

le colonie sorte fra le due guerre divennero uno strumento per la diffusione sociale

dell’elioterapia e indirettamente strumento di propaganda, teso ad alimentare il

consenso per il regime all’interno della società, alimentando l’utilizzo di massa dei

93Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine della Toscana. Istituto di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria di Pisa, edizioni E.T.S., Pisa, 1993.

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litorali sotto forma di turismo collettivo. Inoltre, il programma di realizzazione delle

colonie si inserì nella più generale campagna per la crescita demografica, uno dei

primari obiettivi sociali del regime.

NUMERO DI ISTITUTI ELIOTERAPICI COSTRUITI SUL LITORALE TOSCANO E SUDDIVISI PER LOCALITÀ E PERIODO STORICO

LOCALITÀ PERIODO DI COSTRUZIONE

prima del

1917

tra il 1918 e il 1945

dopo il 1946

totale

Massa Carrara 1 1 Marina di Massa 5 12 10 27 Montignoso 1 1 Forte dei Marmi 6 1 7 Marina di Pietrasanta 1 2 3 Lido di Camaiore 1 1 Viareggio 2 2

TOTALE LITORALE

NORD

7 21 14 42

Marina di Pisa 1 3 4 Tirrenia 8 18 26 Livorno 2 2 4 Rosignano 1 1 2 Cecina 1 3 1 5 Bibbona 2 2 Castagneto 1 1 S.Vincenzo 1 1 Follonica 1 6 7 Marina di Grosseto 1 3 4 Monte Argentario 1 1

TOTALE LITORALE SUD

5 21 32 58

TOTALE GENERALE

12 42 46 100

Tabella da Cutini-Pierini, Le colonie marine della Toscana, p. 97.

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Fig. 16 Piano Aass del 1934.

Fig. 17 Distribuzione dei veicoli nelle diverse regioni d’Italia (in ‘Le Strade”, 9, 1934)

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4.2 Tipologia delle colonie.

Nel mentre il nuovo secolo riscopriva la salute, il benessere, il sole e l’aria aperta,

unitamente alle conquiste tecnologiche nel campo del trasporto (automobili, aerei...) e

della costruzione (cemento armato...), il programma delle colonie passò dal recupero

alla prevenzione. La ridefinizione del programma si centrava nella ricreazione e nelle

cerimonie di Stato e della Chiesa, insistendo nell’impegno fisico e spirituale dei bimbi,

anticipando quella che sarebbe stata la vita civile in relazione alla collettività

A livello funzionale, il nuovo ruolo assegnato dal regime agli istituti climatici (la

formazione fisica e spirituale dei “coloni”), necessitando di particolari spazi quali

palestra, sale per adunate, aule e cappelle, porta a una più complessa articolazione

distributiva e strutturale del complesso edilizio e, di conseguenza, alla sua crescita

dimensionale e al superamento della compattezza dell’unico corpo di fabbrica. La

colonia prefascista, infatti, diretta erede dell’ospizio climatico ottocentesco, si

configurava in sostanza come un ricovero sanatoriale per bambini, mutuando forme e

funzioni dai connotati tipologici largamente sperimentati nell’edilizia ospedaliera

dell’epoca: camere di vaste dimensioni, refettorio e locali per specifiche attività

ambulatoriali e terapeutiche; semplicità funzionale e semplice assetto strutturale e

formale date da un unico corpo di fabbrica di proporzioni compatte, con facciate

improntate ad uniforme rigore neoclassico e copertura a padiglione, secondo i

consueti schemi compositivi della edilizia sanatoriale ed ospedaliera del XIX secolo.

Quindi, la nuova complessità funzionale delle colonie fu l’ideale laboratorio di

sperimentazione per il movimento razionalista, favorito concretamente anche dalla

disponibilità di materiali da costruzione come acciaio e vetro, mai utilizzati con così

tanta profusione, e il cemento armato fondamentale per realizzare spazi ampi, per

coprire grandi luci, per dare soluzione statica alle torri, ai depositi idrici, alle pensiline)

e questa differenza di intenti la si capisce anche consultando la manualistica

dell’epoca: nel 1930 Daniele Donghi nel suo Manuale dell’Architetto94 inseriva ancora

le colonie nel capitolo dedicato ai sanatori, distinguendole in montane e scolari, le

une legate alla prevenzione antitubercolare, le altre assimilate a scuole all’aperto

localizzate al mare, entrambe caratterizzate dalla mancanza assoluta di ‘particolarità

costruttiva’ e quindi per certi versi molto più simili a costruzioni paraospedaliere che

alle colonie così come le conosciamo, luogo di divertimento ma anche di educazione;

94 Donghi Daniele, Manuale dell’architetto. UTET, Torino, 1930.

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solo 9 anni dopo, Armando Melis nel testo ‘Caratteri degli edifici’95 registrava con

precisione le nuove esigenze, con evidente richiamo all’organizzazione militare,

prevedendo che la popolazione ospitata in colonia venisse divisa per squadre di 25-

30 bambini con relativo sorvegliante, due gabinetti per squadra, due squadre per ogni

camerata: si attribuiva dunque importanza primaria alle attività collettive e ginniche,

che venivano esercitate sia nei locali predisposti all’interno dei fabbricati che

all’esterno davanti al pennone della bandiera che veniva solennemente alzata ogni

mattina.

In realtà le trasformazioni all’approccio progettuale al tema della colonia marina si

manifestarono con gradualità nell’arco di 15 anni, cioè dal ’25 al ’40; infatti, le

realizzazioni degli anni Venti riecheggiavano ancora i connotati tipologici degli

stabilimenti climatici di epoca prefascista, con facciate neoclassiche di impronta

umbertina; la novità, fin dall’inizio, fu invece la dimensione degli immobili e la

proporzione degli ambienti che si dilatavano per accogliere le nuove funzioni

comunitarie. Solo a partire dagli anni Trenta le modifiche indotte dai nuovi obiettivi

funzionali giunsero ad interessare l’assetto distributivo e morfologico dei fabbricati,

quando all’ospizio marino prefascista era ormai subentrata la colonia fascista , inedita

compresenza di funzioni ospedaliere , scolastiche, sportive e paramilitari, tipo edilizio

che articolava e fondeva insieme elementi del sanatorio, della scuola, della palestra e

della caserma96; e poiché essa fu quindi un prodotto inedito sotto il profilo funzionale,

è molto difficile una catalogazione secondo parametri distributivi, formali e strutturali.

Inizialmente, si era fatta una distinzione in base al luogo di villeggiatura (colonie

marine, fluviali, montane, lacuali), ma anche in relazione al tipo di stanzialità97 :

aperte tutto l’anno, ad esempio, le ‘permanenti’ avevano un dichiarato carattere

curativo di malattie croniche, come la tubercolosi, che le rendeva più simili a un

ospedale con lunghe degenze che a un transitorio luogo di ricreazione; funzionanti

solo per pochi mesi l’anno invece, le ‘temporanee’ si distinguevano per la loro

generica azione di profilassi e di svago; analogamente aperte solo durante i periodi di

vacanze scolastiche, le ‘diurne’ elioterapiche, non prevedevano, però, il soggiorno:

95 Melis A. Caratteri degli edifici: distribuzione, proporzionamento, organizzazione degli edifici tipici, Editrice Libraria Italiana, Torino, 1939. 96 In maniera del tutto analoga, la colonia marina del dopoguerra, assolvendo la precipua funzione di pensionato infantile, finalizzata alla vacanza salutare e allo svago, aderisce ai più vari e consueti schemi tipologici dell’edilizia alberghiera, mantenendo fede solo nell’economia realizzativa e nel dimensionamento degli ambienti ai connotati di popolarità ed alle esigenze di vita comunitaria. 97 Il Regolamento delle colonie estive emanato dalla G.I.L. nel 1937 distingueva gli stabilimenti in base alla loro gestione.

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distribuite nei dintorni delle città, permettevano il ritorno serale dei giovani ospiti alle

proprie famiglie, realizzando, nello stesso tempo, considerevoli economie di gestione

(furono proprio queste due ultime tipologie a svilupparsi maggiormente, e al loro

modello si conformarono le analoghe iniziative proposte ai figli degli operai dal

corporativismo assistenzialistico del capitale industriale).

L’unico tentativo di epoca fascista di schematizzazione sistematica del patrimonio

edilizio realizzato fu operato nel 1940 da Mario Labò98 che individuò 4 tipi strutturali

distinti di colonie climatiche fasciste:

- il ‘villaggio’, composto da un insieme di più corpi di fabbrica separatamente

articolati sul terreno (Colonia XXVIII Ottobre di Busiri Vici a Cattolica, Villaggio Marino

dell’Opera Balilla di Milano e Torino di Mansutti e Miozzo a Marina di Carrara, la

Colonia XXVIII Ottobre di Sotsas e Guaitoli a Marina di Massa, la Colonia Marina

della Federazione dei Fasci di Torino prevista sul litorale di Riccione sempre di

Sotsas e Guaitoli, la Colonia Firenze a Calambrone) (figg.18-22).

- la ‘torre’, costituita da un corpo a forte sviluppo verticale, ove trovano alloggio i

dormitori, che si stacca su basse ali contenenti i servizi collettivi, rappresentata dalla

Torre Balilla di Bonadè Bottino a Marina di Massa e dalla Colonia della Federazione

dei Fasci di Combattimento di Genova realizzata a Chiavari su progetto di Nardi

Greco (figg.23-26).

- la ‘pianta aperta’, con giustapposizioni e contrapposizioni asimmetriche di volumi ,

come nella colonia femminile dei Fasci Italiani all’Estero di Paniconi e Pediconi a

Tirrenia (fig.27).

- il ‘monoblocco’, costituito da un unico corpo di fabbrica, isolato oppure unito a

fabbricati di dimensioni sensibilmente più modeste e che è il tipo più diffuso, per

esempio le colonie intitolate a Lino Radaelli e Sandro Mussolini a Cesenatico, su

progetto di Fratino-Griffini e Vaccaro, o la Colonia Marina Rosa Maltoni, eretta nel

1930 a Calambrone su progetto di Mazzoni (fig.28).

In quest’ultima categoria Labò inserisce le costruzioni improntate ad un quinto

modello tipologico, le cosiddette ‘contaminationes’ ovvero le realizzazioni

caratterizzate dalla compenetrazione di un elemento a sviluppo verticale nel volume

dominante orizzontale, per esempio la Colonia Marina della Montecatini a Cervia.

98 Labo’ M., Podesta’ A., L’architettura delle colonie marine, Costruzioni Casabella, n° 167, novembre 1941, Milano.

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In realtà, proprio la mancanza di una tipologia consolidata e di una manualistica

esauriente sembrano avere liberato gli architetti del peso eccessivo delle prescrizioni

ed aver stimolato una ricerca libera, che ha portato spesso a risultati di grande

interesse. La libertà di soluzioni compositive, distributive e funzionali di alcune di

queste ebbe un carattere veramente dirompente, specie se rapportato ad un

momento in cui il funzionalismo, al di là delle diverse scuole di appartenenza dei

progettisti, costruiva comunque un punto di riferimento obbligato.

Il Movimento Moderno, nelle vesti del Razionalismo e del funzionalismo, inserendosi

tra i primi progettisti dell’ospizio marino prefascista e gli esponenti dell’architettura

celebrativa del regime, opponeva il rigore delle forme, la coerenza formale e la

misurata eleganza compositiva al ridondante monumentalismo e all’ingenuità della

metafora celebrativa. In queste costruzioni si ha purezza dei volumi e si diffonde l’uso

in copertura dei solai piani invece dei tetti a padiglione, gli stessi fasci littori evocati

materialmente nei corpi scala della Rosa Maltoni di Tirrenia o sul perimetro della

Torre Balilla a Marina di Massa, si liberano del proprio riferimento ideologico

risaltando come volumi geometrici e segni architettonici di inedita modernità; anche

gli elementi di arredo e le decorazioni diventano segni grafici, nuovi stilemi

compositivi di grande impatto formale.

All’orgoglio autarchico è da riferirsi il riecheggiare di motivi stilistici e formali propri

dell’architettura futurista; ciò è evidente in alcuni dettagli spesso ricorrenti come il

dinamismo delle scale che si avvolgono elicoidalmente sui cilindri dei depositi idrici

della Rosa Maltoni di Tirrenia (fig.28) ( progettata , non a caso, da Angiolo Mazzoni99,

che nel 1935 avrebbe aderito ufficialmente al Movimento Futurista ), nelle scale

elicoidali della XXVIII Ottobre di Sotsas e Guaitoli (fig.29) e della rampa interna della

torre Balilla di Bonadè Bottino (fig.30), oppure nella metafora della macchina militare

contenuta nella XXVIII Ottobre di Busiri Vici (fig.31). Questi progetti di navi,

locomotive o torri hanno deliberatamente scelto, in pieni anni ’30, di mettere gli

aspetti funzionali in secondo piano e di forzare la sperimentazione in modo radicale.

99 Angiolo Mazzoni Del Grande (Bologna, 21 maggio 1894 – Roma, 28 settembre 1979) è stato un ingegnere e architetto italiano. Fu uno dei maggiori progettisti di edifici pubblici, stazioni ed edifici ferroviari e postali della prima metà del XX secolo. Estremamente eclettico nell'espressione progettuale, Mazzoni operò durante buona parte della sua attività professionale come ingegnere capo per le Ferrovie dello Stato, realizzando significativi interventi in tale ambito nelle maggiori città italiane. La sua ostinata, pubblica adesione al fascismo, è costata gravi sacrifici all'architetto ed ha reso problematico per lunghi decenni, il pieno riconoscimento tecnico ed artistico delle sue opere.

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“Anche le torri di Bonadè Bottino sfidano, nella loro scelta topologica a priori, le

critiche dei funzionalisti, che hanno molte buone e facili ragioni per sostenere che

quello che può andar bene a Marina di Massa può non andar bene a Sauze d’Oulx o

viceversa, e che quella grande spirale cava su cui si sviluppano i dormitori non

funziona , è rumorosa, impone di avere alcune camere a nord, senza tenere conto

dell’insolazione e dei venti dominanti. Eppure rimane, a distanza di oltre mezzo

secolo, l’evidenza immediata con cui quelle torri sono riconoscibili, e lo stesso

esperimento di trasformare gli stanzoni dei dormitori in una camerata ininterrotta [...]

colpisce per l’ingegnosità un po’ infantile.”100 Anche Labò, pur lamentando la troppa

rigidità del ‘congegno architettonico’ di Bonadè Bottino, riconosceva che ricordando

la pista del Lingotto, come questo, era un’invenzione un po’ ingenua ma assai carica

di suggestioni.101

Del resto, uno degli scopi principali di questi progetti era di colpire l’immaginazione

dei bambini e di educarne il gusto (e non solo il loro) : “Tutto in esse, dalle linee

astratte e dai volumi agli svolgimenti delle piante, che tracciano gli itinerari della vita

in comune, dall’ampiezza e tipo di serramenti al disegno delle ringhiere, dagli intonaci

ai pavimenti, colori, materie, tutto concorre, refettorio e locali di pulizia, dormitorio e

palestra, a comporre la forma plastica, l’immagine visiva, in cui si immedesimerà per

sempre nella memoria di questi ragazzi, il ricordo del soggiorno in colonia. I più, usciti

da tuguri o da modeste case popolari, da ambienti familiari inquieti, sentiranno qui

per la prima volta, in una vita colma e per loro agiata, gli stimoli a lasciarsi sia pure

passivamente penetrare dalla suggestione di un gusto, i primi studi

all’apprezzamento di una forma architettonica, non veduta solo da fuori, ma

adoperata per viverci dentro.”102

Ciò fu possibile anche grazie alla simbologia delle forme che rendeva spesso

omaggio alla “militarizzazione” delle colonie : sono emblematici due esempi di

colonie marine: la Colonia Marina XXVIII Ottobre per i Figli degli Italiani all’Estero a

Cattolica, progettata nel 1934 da Busiri Vici a immagine e somiglianza di “una flotta di

cemento armato in formazione attorno alla nave ammiraglia”103 (fig.18), e la Colonia

Marina Principi di Piemonte a Cattolica, realizzata su progetto di Baldi e Papini, con

planimetria che richiama un aereo da guerra e otto colonne monolitiche che

100 Levi Montalcini, L’architettura delle colonie in Italia negli anni ’30, in Jocteau G. C., Ai monti e al mare; cento anni di colonie per l’infanzia. Fabbri Editori, 1991, p. 105. 101 Labo’ M., Podesta’ A., L’architettura ..., cit. 102 Labo’ M., Podesta’ A., L’architettura ..., cit. 103 L’Architettura Italiana, n.9, settembre 1934.

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simboleggiano il Governo, il Gran Consiglio del Fascismo, il Consorzio Nazionale

delle Corporazioni, le Forze armate, la Milizia, la Gioventù Fascista. L’allegoria materializzata nelle forme planimetriche è motivo ricorrente con frequenza

nelle colonie realizzate fra le due guerre: viene composta l’immagine di un bambino a

braccia sollevate (con riferimento al logo della Campagna Antitubercolare) nella

Colonia Marina Vittorio Emanuele II, realizzata a Calambrone nel 1934 su progetto di

Steffanon; troviamo l’effigie di un enorme fascio littorio nella Colonia Marina Regina

Elena del 1932 a Calambrone (progetto di Venturi) e spesso, come nella colonia

O.P.A.F.S. a Igea Marina., si articolano i corpi di fabbrica a forma di M (fig.32) .

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Fig. 18 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica, planimetria. Fig. 19 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica,

Fig. 20 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa, planimetria. Fig. 21 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa

Fig. 22 Colonia marina Firenze, Calambrone.

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Fig. 23 Colonia Edoardo Agnelli, Marina di Massa. planimetria. Fig. 24 Colonia Edoardo Agnelli, Marina di Massa.

Fig. 25 Colonia della Fed.Fasci Comb. di Genova, Chiavari, pianta. Fig.26 Colonia della Fed.Fasci Comb. di Genova, Chiavari

Fig. 27 Colonia dei Fasci Italiani all’Estero, Tirrenia.

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Fig. 28 Colonia Rosa Maltoni, Tirrenia. Serbatoio idrico. Fig. 29 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa, Scala

elicoidale.

Fig. 30 Colonia E. Agnelli, Marina di Massa, Rampa interna. Fig. 31 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica. Dormitorio.

Fig. 32 Simboli e allegorie nelle

forme planimetriche delle colonie

toscane:

a)il fascio littorio della colonia

Regina Elena

b) il bambino a braccia sollevate

nella colonia Vittorio Emanuele II

c)l’aeroplano nella Colonia Principi

di Piemonte.

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4.3 Le ‘torri’ tra fascismo e futurismo.

In Italia, le prime costruzioni assimilabili ai grattacieli, cominciano ad apparire negli

anni Trenta, anche se “la cultura italiana moderna ha vissuto schizofrenicamente la

relazione con questo modello edilizio tra voglia di modernità, di rottura con la

tradizione in nome della costruzione di un nuovo mondo e la resistenza sottile alla

componente macchinista rappresentata dall’architettura funzionalista nordica e

all’idea di città come prodotto industriale, seriale, disumano.”104, anche perchè le

difficoltà strutturali , economiche e tecnologiche di un’industria dell’architettura ancora

legata ad una gestione tradizionale, quasi familiare e non industrializzata del

cantiere, si riversano inevitabilmente nel modo di progettare.

Lo stesso termine ‘grattacielo’ viene assimilato e variato ad una idea di edificio-torre

all’italiana; lo dimostrano la casa a torre di Ponti e Lancia costruita a Milano (fig.33)

nel 1933105, variante modernista alle torri medioevali italiane, o il grattacielo di

Piacentini di Piazza Dante a Genova del 1938-40 (fig.34), una vera e propria torre di

pietra bicroma, o ancora il primo grattacielo di Milano (a Piazza San Babila) di A.

Rimini del 1937 (fig.35), che tra l’altro ha in comune con le torri di Bonadè Bottino il

fatto di essere commissionato da uno dei più importanti organismi industriali

dell’epoca e soprattutto il fatto che ne doveva essere il simbolo e di cui infatti

all’epoca si scriveva: “l’iniziativa di costruire nel nuovo centro urbano un palazzo che

fosse segno coraggioso dei tempi e si estollesse dalla comunità edilizia, è legata alla

[…] Snia Viscosa, la quale volle materialmente e simbolicamente affermare codesta

sua forza d’ascesa, sempre all’avanguardia e vittoriosa.”106

Del resto, la torre, con la sua forma slanciata, indica la singolarità dell’episodio e

determina nel profilo cittadino l’immagine del diradamento, dell’individualità delle

emergenze. Portoghesi scrive che “per un architetto costruire torri vuol dire disegnare

avendo come sfondo […] il cielo, giacché la torre per definizione è ciò che si libera

dal magma della città per guadagnarsi un ruolo che è nello stesso tempo punto di

osservazione alto e luogo emergente, chiaramente visibile a distanza”107. Fatta per

vedere ed essere visti infatti, la torre offre da sempre all’architetto la possibilità di

104 Molinari L., Verticali italiane, Area n.86, 2006. 105 Casa Rasini in Corso Venezia, è l’ultimo progetto redatto dallo studio Ponti e Lancia. L’edificio è composto da due corpi distinti, uno cubico rivestito in marmo bianco, e una torre in mattoni con terrazze a gradoni agli ultimi piani. 106 Rassegna di Architettura, maggio 1937. 107 Paolo Portoghesi, Le torri della città, in Il mondo delle torri: da Babilonia a Manhattan, catalogo a cura di Paolo Farina et al. Mazzotta, 1990.

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esprimere la semplicità e la purezza di un volume che sorge da terra e si mantiene

invariato come un profilato estruso dalla fondazione al coronamento, e infatti nelle

torri il riferimento è il gotico, i sottili pilastri continui per tutta l’altezza, la decorazione

che, per i suoi contenuti naturalistici e per la sagoma dei profili, rimanda con

chiarezza al verticalismo e all’idea di ascesa. Questo concetto fondamentale si

esprimeva a volte in altri simboli della verticalità o più precisamente dello slancio, tutti

incarnati dalla torre: l’albero, la scala, la freccia, il fallo, sposandosi così con la

simbologia del regime mussoliniano e i motivi stilistici e formali propri dell’architettura

futurista; erano infatti gli anni Trenta dell’Italia mussoliniana quelli del ‘Terra Mare

Cielo’ , slogan che ci riporta a pensare alla torre come collegamento tra i vari stadi o

gradi gerarchici a cui l’uomo può aspirare, come asse centrale che unisce la terra e il

cielo e “gli permette quindi di innalzarsi sino alla dimora degli dei”.

Nell’epoca di cui parliamo, quella della “macchina per abitare” di Le Corbusier,

oramai “la tecnica ingegneristica si coniugava con una cultura architettonica

caratterizzata dalla ricerca di soluzioni audaci e originali sia nell’uso dei materiali sia

nei particolari decorativi”108, così come era stato per il Lingotto, che nel Manifesto

Futurista dell’architettura aerea venne definita come la prima invenzione costruttiva

futurista per la centralità funzionale data alla macchina, così spinta da determinare la

trasformazione della copertura in pista automobilistica, e per il risalto dato alla nuova

tecnologia del cemento armato. Ma Rava109, nel 1927, precisava già “che per

influenza della macchina, s’intenda tanto il derivare la logica costruttiva da uno spirito

di necessità analogo a quello che guida la creazione delle macchine […] quanto

l’importanza innegabile che il largo uso dei materiali, dei quali le macchine ci hanno

fatto per la prima volta conoscere le numerosissime possibilità decorative […] sia per

l’intrinseca bellezza e ricchezza […] sia per gli accostamenti preziosi e le raffinate

composizioni di cui sono suscettibili […] ha avuto nella formazione di una nuova

estetica”110 Uno dei punti cardine dell’ideologia futurista era infatti il considerare la

tecnologia come elemento puramente estetico: l’utilizzo nuovo dei materiali, il ferro e

il vetro e il cemento armato, affiancati da quelli tradizionali (marmo e pietra) dovevano

essere l’unico elemento significante dell’edificato, poiché la decorazione veniva

108 Castronovo Valerio, Fiat 1899-1999. Rizzoli, Milano, 1999, p. 333. 109 Carlo Enrico Rava, nel 1926 forma il gruppo 7 insieme a Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnola sostituito dopo un anno da Adalberto Libera. Il gruppo proponeva un’architettura funzionale che si contrapponeva all’accademismo di stampo fascista. 110 Rassegna italiana, maggio 1927, Il Gruppo 7.

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dichiarata come qualcosa di sovrapposto all’architettura111 E come non contrapporre

tutto questo al ‘montaggio’ che viene fatto dal fascismo su qualsiasi matrice

istituzionale, dei più disparati elementi del repertorio simbolico o feticistico? “Ogni

oggetto (dall’uomo all’edificio) viene rivestito di pennacchi, medaglie e medaglioni,

mostrine e galloni d’oro o di marmo, distintivi ed insegne. È un’aggressione in

crescendo di elementi di effetto esaltante che procurano, nell’individuo meschino,

l’illusoria sensazione di vivere in una super-dimensione.”112

Per quanto riguarda le torri di Bonadè Bottino, nonostante non rinunci, anzi enfatizzi,

la celebrazione del Regime utilizzando il fascio113 come condensato di ogni

esaltazione ad esso, vi troviamo un’interessante materializzazione della teoria

futurista, specialmente per quanto riguarda il dinamismo, così come ce ne parla

Prampolini, ne ‘La città futurista’ : “la concezione architettonica futurista, si può

riassumere con due termini espressivi lirismo e dinamismo , che hanno caratterizzato

l’avvento dell’estetica futurista. La visione lirica dell’idea architettonica, trova nel

dinamismo plastico, l’equivalente stilistico. La vita è evoluzione, movimento, l’arte

futurista è quindi lo stile del movimento materiato nello spazio”114.

Le prime torri che Bonadè Bottino costruisce sono quelle del Sestriere, che negli anni

Trenta spiccavano su quello che era ancora un piccolo centro turistico : sul bianco

della neve risaltavano la Torre rossa e il giallo Duchi d’Aosta , che di notte si

mostravano come colonne illuminate nel buio totale che le circondava. Le torri

diventarono subito un marchio di fabbrica, il simbolo del Sestriere a cui si legava la

figura di Agnelli e della Fiat, erano il segno di riconoscimento del nuovo centro

turistico ma erano anche opere architettoniche significative di per sé. E la pubblicità

se ne impadronì con disegni e fotografie (fig.36) sia per presentare la nuova stagione

sciistica che per reclamizzare un nuovo modello di auto: non c’era differenza tra

111 “... e solo dall’uso e della disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato, dipende il valore decorativo dell’architettura futurista.” Pubblicato senza titolo come introduzione al catalogo Prima Esposizione d’Arte del gruppo Nuove Tendenze alla Famiglia Artistica di Milano, 20 maggio-10giugno 1914. In Godoli Ezio, Il Futurismo,Laterza,Bari, 1983, p. 185. 112C. Cresti , Architettura e fascismo. Vallecchi editore, Firenze, 1986, p. 14. 113 “L’Italia…era rappresentata dai fasci, le fascine di verghe con una scure che erano stati il segno di autorità, giustizia e potere degli antichi magistrati romani […] Il termine fascio littorio deriva dagli accompagnatori chiamati littori che portavano il fascio sulla spalla quando seguivano i magistrati […]. Spesso i fasci, frequente e costante emblema della resurrezione nazionale, comparivano sui palazzi del governo in un formato che variava da una scala piccola in bassorilievo a enormi forme scultoree. (…) il grandioso, anche aggressivo tono dell’architettura fascista e i suoi simbolici ornamenti…” (tradotto) da Etlin Richard A., Modernism in italian architecture, 1890-1940. MIT Press, Cambridge, London, 1991, p.404. 114 E. Prampolini, La città futurista, febbraio 1928. in Godoli Ezio, Il Futurismo,Laterza, Bari, 1983, p. 191.

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pubblicizzare una cosa o l’altra, l’importante non era l’oggetto in sé ma quello che

rappresentava, concetto rimasto immutato in pubblicità del resto, nel corso degli anni

fino al giorno d’oggi. In quel tempo nasceva infatti una comunicazione che puntava

all’effetto, “che elabora una sua retorica fatta di poche ed efficaci metafore,

essenziale nell’uso del colore e del segno”115 .

Sestriere e le sue torri apparivano quindi un veicolo pubblicitario interessante poiché

per la Fiat c’era un ritorno non tanto in termini monetari quanto di immagine anche a

livello internazionale, e così fu anche per le colonie marine e montane. Le torri del

Sestriere diventano, per la loro monumentalità e la loro capacità, dei modelli

riutilizzabili in altre occasioni senza grandi modifiche, infatti nel caso della colonia di

Marina di Massa, si può parlare di eterotopia, ossia di uno spazio che allude ad un

altro spazio sul piano del contenuto: all’epoca della costruzione, il Duca d’Aosta fu

praticamente trasposto direttamente sul mare (anche per esigenze di capienza ed

economia costruttiva) ed esso doveva apparire isolato a fronte della distesa d’acqua,

sullo sfondo delle Apuane, “tuttavia, nella sua palese ripetibilità, non poteva non

richiamare la Torre montana e la città della Fiat e degli Agnelli.” 116

In queste originali costruzioni convivono, come già detto, concetti del futurismo e

richiami alla celebrazione del regime: per quanto riguarda la colonia di Marina di

Massa, i fasci littori sono evocati materialmente sul perimetro della torre

accentuandone la verticalità ed essa stessa risulta essere un enorme fascio; la pianta

richiama la forma di un aeromobile, ma anche quella di una ruota dentata di un

enorme ingranaggio; la rampa che si avvolge elicoidalmente è l’elemento principale

che ne denota il dinamismo e l’originalità (figg.37-39). Nonostante la compresenza di

tutte queste simbologie, la torre mantiene una forma così pura da divenire un

emblema della modernità a cui aspirare, e ciò è dovuto al fatto che in realtà la torre

derivava da un’attenta progettazione ingegneristica (in cui si dovevano soddisfare

anche richieste ben precise del committente) che mirava a ottenere la massima resa

con il minimo impegno economico, successo ottenuto grazie alla grande capacità

organizzativa di Bonadè Bottino e dal suo approccio dato al progetto caratterizzato

dal controllo di tutte le fasi della produzione, una delle caratteristiche per cui venne

ingaggiato, praticamente a vita, dagli Agnelli.

Il progetto di questa torre appare quindi perfettamente inserito nel contesto

dell’epoca cosi come il suo autore, che diversamente da quanto racconta nel suo

115 U. Allemandi , in Cento anni della fiat: 1899-1999 : prodotti , volti, immagini. Torino, 1999. pag 78. 116 D. Matteoni , Da Grosseto alla Versila. eterotopie, 1999. pag 78.

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diario, sembra piuttosto incuriosito dal progresso e dalle novità che esso portava con

sé in ambito architettonico, e anche molto interessato a compiacere il mondo di

committenze che lo circondava.

Le torri di Bonadè Bottino diventano l’esempio più conosciuto di uno dei tipi definiti da

Labò nel suo articolo117; ma il suo giudizio, e quindi anche quello di una certa parte

della cultura architettonica italiana, sulla ‘torre’, se da una parte evidenzia le novità e,

per quelle di Bonadè Bottino, le soluzioni costruttive e tecniche, dall’altra sottolinea

alcune manchevolezze formulando un parere piuttosto negativo: “riconosciamo

l’autoritarismo di questa forma architettonica; e l’utilità di poter ripetere molte volte,

eguale come da uno stampo, un elemento planimetrico. Ma difficilmente l’insolazione

cattiva potrà diventare buona perchè dissimulatata dalla mancanza di piani frontali.

La giustificazione fondamentale del grattacielo, l’economia della superficie

fabbricabile, non giuoca dove la sede è da scegliere e lo spazio non manca. Il

risparmio della copertura non compensa certo il maggior costo delle fondazioni e

della struttura; e la schiavitù dei mezzi meccanici di trasporto (ascensori) è grave. In

complesso dunque salvo casi di eccezione [...] oseremmo pronunziare la parola

esotica snobismo. Siamo fanatici della geometria e ne ammettiamo le ambizioni: ma

quanto a risonanze spaziali riteniamo la torre più a posto fra i monti del Sestriere che

a specchio del Tirreno.”118

La tipologia della colonia a torre di Bonadè Bottino non ha avuto in effetti molti

imitatori, se si eccettua quella della Federazione di Genova a Chiavari (colonia Fara)

progettata dall’architetto Camillo Nardi Greco e realizzata nel 1935 (fig.40-41), che la

richiama fortemente (anche se nelle prime la forma è cilindrica e nell’ultima la pianta

è formata da un rettangolo e un semicerchio), a differenza del litorale massese però,

qui è proprio la morfologia della costa ligure che vede in un’architettura a sviluppo

verticale l’unica soluzione alle necessità funzionali di una colonia. Questo complesso

è articolato in due volumi sovrapposti: uno orizzontale e rettangolare su due piani,

parallelo alla spiaggia, destinato ai servizi, e uno a torre con una parte curva rivolta

verso il mare , di nove piani a soletta orizzontale (le torri di Bonadè Bottino hanno un

solaio inclinato, l’elica interna). Anche la sua pianta, così come quella della colonia

Fiat, richiama la forma dell’aereo, che per i futuristi degli anni Trenta rappresentava

un momento di esaltazione, di glorificazione dell’arte e del dinamismo della vita.

117 Labò M., L’architettura delle colonie marine italiane, in “Costruzioni Casabella”, anno 14, novembre 1941, n.167, p.2. 118 Labò M, op. cit.

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Anche altre costruzioni utilizzarono la torre, ma non come elemento principale della

colonia, se mai come quello caratterizzante ma pur sempre secondario; ad esempio

la rettangolare e traforata torre delle scale della colonia della Montecatini a Cervia del

1930 (fig.42), o il corpo verticale somigliante ad un fascio littorio, inserito al centro del

monoblocco della colonia della Federazione fascisti di Novara vicino Rimini

(progettata da Peverelli e realizzata nel 1934.

Anche nella colonia Rosa Maltoni Mussolini, progettato da Mazzoni per i figli dei

postelegrafonici e dei ferrovieri al Calambrone (Pisa) nel 1925 (ma inaugurata nel

1933), appare un elemento a ‘torre’, ma doppio e simmetrico: i serbatoi dell’acqua

con scala elicoidale esterna, elementi di ispirazione metafisica, che si affiancano ad

una costruzione che ricorda invece le ville imperiali suburbane sia per l’impianto

planimetrico che per i propilei d’ingresso e gli scaloni a doppia rampa delle camerate.

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Fig.33 Ponti e Lancia, Casa Rasini, Milano.

Fig. 34 Piacentini, Piazza Dante, Genova. Fig. 35 Rimini A., grattacielo in Piazza S. Babila, Milano.

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Fig. 36 Pubblicità del complesso turistico del Sestriere, anni ’30.

Fig. 37 Rampa elicoidale della torre della colonia ‘Edoardo Agnelli’ a Marina di Massa.

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Fig. 38 Schema della pianta della colonia Fiat (aereo) Fig. 39 Schema della pianta della torre Fiat (ingranaggio)

Fig. 40 Colonia della Federazione di Genova, Chiavari. Fig. 41 Planimetria della Colonia di Chiavari.

Fig. 42 Colonia Montecatino, Cervia. Scala esterna. Fig. 43 Colonia Rosa Maltoni, Calambrone. Un serbatoio idrico.

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4.4 Le torri di Bonadè Bottino.

4.4.1. Le prime torri: il Sestriere.

Bonadè Bottino, insensibile alle discussioni più ideologiche, nel suo diario scrive: “La

Torre del Sestriere mi coinvolse inaspettatamente nelle dispute fra le correnti degli

oltranzisti retrogradi in architettura, condotte del resto in sordina per evitare

sconfinamenti politici anticonformisti; nessun dubbio che si trattasse di costruzione

razionale; un giudizio contrario dei colleghi conservatori o legati alla steoreotipata

degli alberghi di montagna di tipo svizzero […] e quello favorevole dei progettisti

aperti a nuove soluzioni di nuovi problemi e di numerose riviste italiane e straniere mi

mostravano la confusione di spirito e la tendenza nel campo architettonico

corrispondente del resto ad analoghe incertezze, in tutti i campi artistici”119. Il suo fare

architettura infatti non è legato solo al momento progettuale ma soprattutto alle fasi di

realizzazione, coordinamento delle varie figure professionali.

Negli anni Trenta abbandona il ricco repertorio di forme eclettiche degli anni Venti,

per indirizzarsi ad un’architettura semplificata del disegno, con un minor ricorso alle

decorazioni e impiegando i volumi e i materiali come unico mezzo di ornamento. La

mancanza di scritti teorici rende difficile l’interpretazione di questa trasformazione ma

alcuni indizi indiretti rintracciabili nel diario possono essere utili a questo scopo. Una

spiccata insofferenza di fondo nei confronti dell’eclettismo, una curiosità piuttosto

evidente verso il progresso e le novità e la conoscenza diretta di alcuni attori del

dibattito architettonico, nonché la pratica nel campo dell’edilizia industriale, hanno

concorso tutti nell’arrivare all’architettura degli anni Trenta esemplificabile nelle torri

del Sestriere , nella torre Fiat a Marina di Massa e di quella a Sauze d’Ulzio.

4.4.2. La nascita del complesso turistico del Sestriere.

Il Sestriere si trova sul colle omonimo che mette in comunicazione la Val Chisone e la

Valle di Susa120. La scelta del colle del Sestriere è di facile interpretazione: la zona,

oltre a trovarsi nella vallata dove il senatore Agnelli nacque e iniziò la propria attività

industriale (a Villar Perosa, sede della Riv) era quasi del tutto incontaminata, priva di

insediamenti significativi, quindi a disposizione per un progetto così ampio come

quello della nascita di un nuovo centro turistico, e oltretutto vicino a una grande città

119 V. Bonadè Bottino, La storia del nonno. Ricordi di un borghese vissuto nella prima metà del secolo XX. Dattiloscritto originale dell’autore. 120 È dominata a nord-ovest dal monte Fraitève (2701 m), a sud-est dal monte Sises (2658 m) e dalla Punta Rognosa (3280 m).

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come Torino. La scelta di un insediamento legato allo sport e allo sci in particolare è

dovuta anche agli interessi di Edoardo Agnelli e all’intuizione del padre; l’uno è

appassionato di sci e l’altro riesce a prevedere lo sviluppo dello sport di massa in

relazione sia all’incentivazione da parte del regime fascista di tutto ciò che riguarda

lo sport e la forza fisica, sia alla tendenza in quegli anni già presente di diminuire

l’orario di lavoro. Ne deriva il desiderio di impostare l’insediamento secondo

caratteristiche popolari volte a favorire l’utilizzo nei fine settimana. Il risultato è la

costruzione di attrezzature alberghiere di categorie diverse, che rispondono ad

esigenze diametralmente opposte: all’essenzialità de La Torre si affianca il lusso dei

Principi di Piemonte121 (fig. ) a cui si aggiunge, a metà fra i due, il Duchi d’Aosta.

Sicuramente l’intervento rivela una ‘strategia industriale’, per un’organizzazione del

tempo libero, non più del lavoro, strettamente legata ai concetti di efficienza, di

economicità di costi e tempi, di rendimento. Dall’altro lato diventa di notevole

importanza per la famiglia Agnelli il ritorno in immagine e popolarità a livello

internazionale, visto che è impensabile un bilancio economico attivo di esercizi come

La Torre (prezzo molto basso del pernottamento) o i Principi di Piemonte (a causa dei

numerosi invitati non paganti122). Per quanto riguarda le torri, viene abbandonato

ogni riferimento alla tradizionale architettura di montagna a favore del linguaggio

‘moderno’, lontano dalle posizioni dell’avanguardia ma attento ai cambiamenti di

quegli anni. La costruzione dell’albergo Principi di Piemonte si pone invece come

episodio a sé stante rispetto al nucleo delle torri non solo per la posizione isolata ma

anche per la clientela elitaria a cui è destinato e soprattutto per l’aspetto formale

molto più ricco e tradizionale.

A partire dal 1930 Giovanni Agnelli, che aveva acquistato per 40 centesimi al metro

quadrato i terreni123, fece costruire, su progetto di Bonadè Bottino, due alberghi (noti

come le torri) e due funivie, dirette ai monti Banchetta e Sises. La vita amministrativa

del neocomune inizia il 1 gennaio 1935, quando fu ideato lo stemma, una banda nera

ed una verde ed in mezzo un paio di sci a rappresentare la vocazione di stazione

121 Progetto di Giovanni Chevalley e Mario Passanti del 1931-32. Costruito contemporaneamente e nelle vicinanze dell’albergo La Torre. L’aspetto ricco e tradizionale, il gusto della finitura e dell’ornamento artistico che caratterizzano questo progetto, lo pongono in netta contrapposizione con le architetture circostanti che in quegli anni assecondavano la visione utopistica e radicale prevista dagli Agnelli per la nuova località turistica. Destinato ad una clientela di tipo èlitario, il Principi di Piemonte è una costruzione di nove piani che originariamente ospitava 84 camere con bagno più trenta camere per camerierei e autisti. I servizi erano in un corpo a sè stante. 122 Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995, p. 51. 123 Ibidem.

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invernale del Sestriere. Nel corso degli anni Trenta vennero costruiti anche una

nuova strada, un trampolino per il salto con gli sci, un altro albergo, il ‘Principi di

Piemonte’, le prime seggiovie e un prestigioso campo da golf a 18 buche (il più alto

d'Europa) (fig.44-46).

4.4.3. Albergo ‘La Torre’.

La scelta della forma dipende dalla volontà di costruire un “dormitorio” per un numero

notevole di sciatori non inferiore a 150, e dall’economicità ricercata per consentire un

prezzo di pernottamento basso pur offrendo al turista le comodità essenziali di un

moderno albergo; sembra l’ideale un “fabbricato a molti piani a pianta poco estesa

che, riducendo i costosi lavori di sbancamento in roccia per l’area di sedime ed una

troppo estesa copertura, favorisse gli impianti idraulici-sanitari e di riscaldamento con

un concentramento in poche colonne”124. Se a questa impostazione si aggiungono

altre indicazioni riguardanti la definizione della camera come una cabina di una nave

per singolo, e il problema della ventilazione della stessa, risolto facendo partecipare il

volume complessivo dei locali di disimpegno alla cubatura di ogni cameretta, si ha un

quadro completo dei requisiti a cui doveva rispondere il nuovo edificio. Il progetto che

scaturisce seguendo queste indicazioni è un edificio a torre in cui le cabine sono

distribuite secondo la proposta di Bonadè Bottino lungo dei ballatoi e poi, in seguito

alla variante suggerita dal senatore, lungo un nastro elicoidale, una rampa che parte

dal primo piano per raggiungere la sommità della costruzione. Il confronto di un

edificio così pensato ed uno più tradizionale, a volume parallelepipedo, contenente

un egual numero di cabine di eguali dimensioni e il medesimo sviluppo di locali di

servizio, presenta dati di volume, superficie sviluppata e perimetro esterno

decisamente favorevoli alla torre, soprattutto se si pensa che la costruzione deve

essere realizzata ad alta quota. Si cerca così di unire il risultato economico a una

soluzione architettonica nuova che colpisce per la forma esterna e per la sua

organizzazione interna. La paternità di questo tipo di costruzione sembra in realtà

dovuta a Giovanni Agnelli; su L’Architettura Italiana si legge: “Il Senatore Giovanni

Agnelli [...] suggerì di predisporre le cabine lungo un nastro sviluppatosi ad elica

all’interno di una torre, il cui pozzo centrale avrebbe permesso lo sviluppo di una

rampa di disimpegno delle cabine”; nel diario: “Il Senatore si dichiarò entusiasta della

soluzione (una torre) ma mi propose una geniale variante: abolire i ballatoi e

124 Albergo turistico “la Torre di Sestrières, in “L’Architettura Italiana”, anno 28, 1 marzo 1933, fasc.3, p. 45.

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distribuire le cabine lungo un nastro elicoidale della larghezza delle cabine e della

rampa, prevedere l’accesso dalla rampa stessa”; nel dattiloscritto in ricordo di

Giovanni Agnelli, Bonadè Bottino scrive: “abbozzato un progetto di torre, con rampa

elicoidale di accesso ai singoli piani, nel ricordo delle rampe elicoidali del Lingotto, il

Senatore propose di estendere la superficie elicoidale all’intero spessore della corona

e sviluppare le cabine a piani sfalsati di una quota del passo dell’elica; nacque così la

Torre di Sestrières”.

Suggestioni interessanti sono rintracciabili nei progetti del passato, come le rampe

elicoidali del Lingotto al cui calcolo Bonadè Bottino partecipa al tempo della

collaborazione dell’ing. F. Cartesegna, o il brevetto di Auto Cà (emanazione della

Fiat), garages a piani inclinati commissionati da Agnelli all’impresa Giay (ma mai

costruiti) tra il 1924 e il 1926125.

Il diametro esterno è di 18 metri mentre l’altezza è di 38,10 metri. L’accesso dal piano

terra, quello del ristorante, è assicurato da una scala che arriva anche dal piano da

cui si diparte la rampa di accesso alle cabine. Il soffitto del ristorante, a nervature,

sorretto da 9 pilastri disposti su un cerchio, costituisce il fondo del pozzo de La Torre

su cui si affacciano tutte le 160 cabine. Ognuna delle 10 spire è divisa in 18 parti

uguali a forma di trapezio, 16 cabine, un locale per wc e il vano ascensore, con

pianerottolo di accesso. Tutte le cabine sono uguali, con superficie di circa 7 metri

quadri, il pavimento in piano raccordato con uno scalino alla rampa; la rampa è larga

1,25 m e della pendenza dell’8,6 % a sbalzo sul pozzo. Il tetto è piano con un

corridoio perimetrale pedonabile, 5 gradoni concentrici ed una piattaforma centrale

del diametro uguale al pozzo della torre, formata da un solaio a nervatura a raggiera

e soletta in vetrocemento. Il tetto in questo modo diventa la fonte di illuminazione

principale degli spazi comuni.

125 I garages brevettati dall’ing. Giay, affrontano un tema di attualità sempre più pressante con la diffusione dell’automobile e in maniera nuova rispetto ai pochi esempi italiani. Il rapporto che si può indicare con le torri del Sestriere sta nel concetto iniziale di un edificio multipiani distribuito verticalmente mediante rampe elicoidali. L’idea, nata a Giovanni Agnelli è definita dal punto di vista progettuale ed economico da Giay, in un primo momento realizzando box su piani orizzontali e successivamente ipotizzando uno sviluppo a piani inclinati, con una soluzione formale caratterizzata da una semplificazione stilistica più evidente nel progetto finale dove vengono meno tutti gli elementi decorativi classicheggianti ricorrenti nell’architettura civile di Giay. Nessuno di questi garages è mai stato costruito. (Vedi Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995, p. 116).

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La distribuzione verticale delle destinazioni d’uso, servizi (sottopiano e pianterreno),

camere (spire) e sala ritrovo (ultimo piano), si riflette in facciata con una tripartizione

tipica: ad uno zoccolo di pietra, un basamento visibile soprattutto nella parte verso le

piste da sci, segue un fusto semplicemente intonacato in cui l’unico elemento di

distinzione è la scansione regolare delle finestre delle singole cabine che seguono

l’andamento elicoidale della rampa, e termina con una fascia dell’ultimo piano messa

in risalto dal materiale diverso e dal colore, con l’aggettante cornicione utilizzato per il

belvedere.

È il primo importante esempio nella produzione di Bonadè Bottino, in cui si nota un

netto cambiamento rispetto alle opere degli anni Venti nell’affrontare la progettazione

architettonica: c’è assenza di ornamento, un uso schietto dei materiali, in generale

l’utilizzo di un linguaggio moderno basato sull’essenzialità ricercata non solo per

motivi economici ma anche architettonici. Tuttavia la costruzione rimane ancorata ad

un’impostazione complessiva tradizionale: si coglie infatti la difficoltà a staccarsi dai

canoni eclettici, come l’ultimo piano o il cornicione testimoniano.

Dal punto di vista strutturale la scelta del cemento armato diventa inevitabile per le

dimensioni e le caratteristiche dell’edificio; per i primi due piani si usa il cemento

granito, in modo da evitare crolli come al Principe di Piemonte nel 1931.

Al di sopra della fondazione continua, su due corone circolari concentriche si ergono i

pilastri isolati nei primi due piani mentre l’elevazione oltre il pianterreno consiste in

“una parete cilindrica esterna dello spessore uniforme di 15 cm, nella quale si aprono

i fori delle finestre, ed una serie di 9 pilastri interni a sezione di doppio trapezio,

collegati da nervature a pianta poligonale che seguono le spire. I solai che

corrispondono a 18 trapezi di ogni spira sono a lastre piane orizzontali incastrate

nella parete esterna, in due nervature radiali... e nella trave di collegamento dei

pilastri interni”126. Tutte le murature interne, le pareti divisorie fra le cabine e fra le

cabine ed il pozzo e le pareti formanti la camera d’aria con l’esterno, sono in mattoni

vuoti, di spessore variabile.

Per quanto riguarda il cantiere, “Il tipo di fabbricato non presenta speciali difficoltà di

costruzione e permette anzi una notevole economia nelle opere di carpenteria ed una

facile distribuzione dei materiali con unico servizio di sollevamento nell’asse della

Torre. La grande rapidità con cui con la quale la costruzione è stata allestita,

malgrado la difficoltà dei trasporti e l’inclemenza del tempo per l’alta quota, è dovuta

126 Albergo turistico “La Torre di Sestrieres”, in L’Architettura Italiana, anno 28, 1 marzo 1933, fasc3, pag 52.

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oltre che ad una buona organizzazione dei lavori, alla semplicità del progetto e

all’uniformità delle forniture.”127

La ricerca del massimo vantaggio (maggior numero di camere nel minor volume,

concentrazione in poche colonne degli impianti e riduzione delle superfici disperdenti)

con la minor spesa possibile, spinge, anzi impone uno studio accurato degli impianti

e delle opere di arredo e di finitura.

Nello studio dell’arredamento, infatti, una notevole importanza ricopre il rapporto

spazio/confort: nello spazio minimo della cameretta si ricerca il massimo confort con

mobili e oggetti studiati appositamente. Una sorta di cabina meccanicistica di cui a

Torino, negli impianti della Riv, sono realizzati modelli in scala al vero prima di

scegliere quella da proporre. (Figg.48-52 )

4.4.4. Albergo Duchi d’Aosta.

Viene costruita solo pochi mesi dopo la colonia a Marina di Massa, ed è di classe

intermedia tra il Principi di Piemonte e La Torre. Rappresenta una sorta di evoluzione

de La Torre, ma vi è un ampliamento dello spazio dedicato ai servizi con l’aggiunta di

un corpo inferiore (ristorante, sale ricreative...) e qualche modifica riguardante

l’organizzazione delle camere (possibilità di scelta tra 1 o 2 letti e di un bagno privato

con gabinetto o solo lavabo), maggior isolamento acustico dal pozzo centrale dovuto

alle maggiori dimensioni del diametro, l’offerta di maggiori servizi, la soppressione del

belvedere, il prospetto, caratterizzato da una plasticità di superficie e da una linearità

verticale sottolineati da doppie semicolonne e strette strisce di vetrocemento in

corrispondenza dei bagni che dal primo piano arrivano fino al tetto.

La seconda torre del Sestriere, strutturalmente differisce dalla prima solo per

l’assenza della parete esterna continua: “Il fabbricato per quanto di carattere edilizio

non comune non dà luogo a strutture particolarmente ardite in quanto le travate sono

di portata sempre limitata e salvo lo sbalzo della rampa elicoidale tutte le altre

strutture possono riferirsi a solai a nervature e talora a piastre disposte in piani

orizzontali.”128 (Figg.53-58)

127 Albergo Turistico “La Torre di Sestrières”, in L’Architettura Italiana, anno 28, 1 marzo 1933, fasc.3, pp. 53. 128 Bonadè Bottino Vittorio, Società Incremento Turistico Sestrierès. Grande albergo Duchi d’Aosta. Verbale di collaudo delle strutture in cemento armato, dattiloscritto, Torino 21 novembre 1933, presso Archivio Fiat Engeneering, in Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995, p.64.

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4.4.5. LA COLONIA MONTANA A SALICE D’ULZIO

Nel 1937 viene inaugurata un’altra colonia a torre oltre a quella di Marina di Massa

del 1933, in alta Val di Susa, dopo aver scartato l’opportunità di collocare la colonia

montana prima a Bardonecchia, poi al Sestriere (1936), forse per la troppa altitudine.

Questo edificio, di dimensioni più limitate rispetto alle altre torri, 35 metri di altezza

per 30 di diametro, è l’ultima realizzazione di questo tipo. Nel sottopiano sono

sistemati i servizi e gli impianti, al pianterreno il refettorio e gli uffici, al primo piano le

camere del personale e gli ambulatori, dalla prima spira il grande dormitorio per 496

ospiti. Ad un basamento colonnato con ampie finestrature si sovrappone una facciata

in klinker, traforata dalle aperture del dormitorio che seguono l’andamento della

soletta inclinata, priva di elementi decorativi.

Il punto di partenza è senz’altro La Torre del Sestriere e le colonie ne sono una sorta

di evoluzione e semplificazione dovute al differente uso dell’edificio. Non essendo

necessarie camerette singole, grandi camerate prendono il loro posto ma

l’impostazione del fabbricato, dalla distribuzione del dormitorio attorno al pozzo

centrale alla netta divisione della zona soggiorno con i vari servizi di ricreazione da

quella notte, rimane inalterata. Come a Marina di Massa, la caratteristica è lo

sviluppo delle camerate su di un nastro continuo elicoidale.

Il dormitorio è suddiviso in 15 camerate, 2 per ogni spira, con 32 letti ciascuna,

servito ad ogni livello da gruppi di lavabi, gabinetti, stanze per le sorveglianti e da un

ascensore.

Il pavimento in continua pendenza pone problemi con l’arredo, che vengono risolti

con l’altezza dei piedini differente e seggiole zoppe. La questione acustica, nelle

colonie viene ingigantita, poiché il pozzo centrale, utile per il conteggio del volume

d’aria necessario per ogni letto, non è isolato, ma il dormitorio è nettamente separato

dagli altri locali della struttura, i servizi sono collocati nei primi piani dell’edificio e

formano la base della torre. (Figg.59-60.)

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Fig. 44 Grafico della situazione topografica del Sestriere.

Fig. 45 Sestriere, studio di Piano Regolatore per la sistemazione dell’albergo Principi di Napol

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Fig. 53 Albergo ‘Duchi d’Aosta’ , Sestriere Fig. 54 Albergo ‘Duchi d’Aosta’, vista notturna

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CAP. 5 LA COLONIA ‘EDOARDO AGNELLI’ A MARINA DI MASSA.

5.1 Massa in epoca fascista.

Massa, ex-cittadina ducale dal passato glorioso ma proveniente da una lunghissima

fase di decadenza e stagnazione economica, è stata oggetto durante il fascismo di

un numero assai elevato di interventi a carattere urbanistico e architettonico, persino

sproporzionato rispetto alla modestia delle sue dimensioni spaziali e demografiche.

Quest’abbondanza di realizzazioni fu conseguente non soltanto al fatto che nella città

apuana si fosse costituita la prima amministrazione fascista d’Italia, ma anche e

soprattutto alla volontà del Regime di conquistare, attraverso il settore dei lavori

pubblici, alleviando quindi la grave disoccupazione locale, il consenso di un popolo

dalle salde tradizioni socialiste, interagente all’interno di un territorio dall’importante

valore strategico e dalle buone prospettive autarchiche.

Massa dunque,da sempre il centro burocratico di una vasta ed eterogenea provincia

di difficile governabilità, nonostante il persistere della crisi economica o, forse,

proprio per questo, tornò ad essere nel ventennio tra le due guerre mondiali, ed in

particolare durante il lungo mandato podestarile del massese Ubaldo Bellugi, una

sorta di piccola capitale in via di trasformazione. Tutte o quasi le strategie adottate

dal fascismo a livello nazionale per il controllo delle politiche di evoluzione e di

crescita urbane, territoriali, e demografiche, trovarono applicazione anche nella città

apuana: da quella, figlia della precedente stagione postunitaria, volta a favorire

l’urbanizzazione delle coste ed il turismo balneare tramite l’intensificazione dei

collegamenti tra le località litoranee, e tra queste e le città vicine, a quella volta a

migliorare le comunicazioni urbane sia interne che esterne; dalle strategie mirate a

terziarizzare le aree centrali delle città e ‘risanare igienicamente le porzioni di tessuto

ad alto indice demografico o di fatiscenza edilizia, a quelle, ad esse complementari,

di deurbanizzazione e ruralizzazione della società perseguite attraverso la

ricostruzione di borghi satelliti di edilizia convenzionata, poli ricreativi e scuole nelle

frazioni, nonché opere di bonifica e rimboschimento, retaggio dei governi giolittiani,

volte a migliorare la produttività agraria delle campagne e nelle aree montane

depresse129; e ancora, dalle strategie mirate al mantenimento del consenso presso

quelle classi che più di altre avevano contribuito l’ascesa del fascismo come gli

129 Oltre sette milioni di opere pubbliche saranno inaugurate in provincia, Il Popolo Apuano, 26 ottobre 1935, p.1.

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industriali, gli statali, i militari, e i reduci di guerra, a quelle rivolte alla conquista del

consenso popolare tout court attraverso la realizzazione o il miglioramento di

importanti infrastrutture di pubblico servizio130, attrezzature a carattere sanitario-

assistenziale, ed opere ad alto gradiente simbolico o celebrativo. Al di là della

sistematicità degli interventi paragonabile a quella di una grande città, però, Massa si

mantenne inserita durante il fascismo in un contesto culturale tipicamente

provinciale.

5.2 Lo sviluppo della marina.

“La posizione di Massa, la bontà e temperatura del suo aere, l’ampiezza delle sue

strade e piazze, il decente suo fabbricato, la maestà dei monti che si alzano alle sue

spalle e le squisite produzioni del suolo, tutto sembra concorrere a gara per dare a

questa piccola città un aspetto pittorico, una fisionomia incantatrice. E’ talmente

privilegiata questa città di un clima temperato, di un’aria balsamica, mentre che la

natura la difende dalla parte di greco sino a maestro dai venti più molesti mediante

contrafforti, i quali davanti a Massa si umiliano in deliziose colline ai cui piedi corrono

spumanti le limpide acque del Frigido, per formare della vallecola uno spettacoloso

teatro, cui serve di scena vicino al mare, il promontorio e le isole del golfo di Luni,

che essendo inoltre ben fornita, sotto il rapporto fisico-meteorologico, può dirsi la

Nizza della nostra Toscana.”131 Così alla metà del 1800 Emanuele Repetti

descriveva Massa nel suo celebre Dizionario, immagine idilliaca di un territorio in cui

in realtà la mancanza di una corretta sistemazione idraulica (che sarà raggiunta solo

nell’Ottocento) portava spesso rovina e distruzione.

Dopo la caduta dell’impero romano, l’alluvione marina e la mancanza di qualsiasi

opera di sistemazione dei corsi d’acqua, che così straripavano, favorirono un

progressivo impaludamento di tutta la zona. La situazione mutò però negli ultimi 200

anni, infatti nel XVIII secolo i Lorena, promossero la bonifica delle aree costiere

paludose con la concessione gratuita dei terreni demaniali del litorale (affinché

venissero piantati a pini, che servivano per rifornire di resine i cantieri navali) e si

crearono delle grandi pinete ponendo le basi per il futuro sviluppo della marina con

130 AA.VV., Massa nell’anno V del littorio, (Amm. Comun. Fascista), Nistri –Lischi, Pisa, 1927, p. 85. 131 E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana. Firenze, 1833-46, III, pag.115.

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uno spostamento della popolazione verso la costa132. Ma nei secoli a venire è

emerso il fenomeno dell’arretramento a causa del potenziamento delle opere portuali

a Marina di Carrara e alla contemporanea riduzione degli apporti solidi del Magra,

che hanno accelerato questa tendenza naturale e provocato il grave fenomeno

erosivo che possiamo vedere in atto oggi.

Sebbene la pratica delle ‘bagnature’ vi avesse preso piede da quasi settant’anni, le

prime attrezzature balneari vi fossero sorte da più di cinquanta133, ed il tratto Massa-

Dogana della tranvia, inaugurato da oltre un decennio, avesse ridotto a circa

venticinque minuti il tempo necessario a coprire la distanza tra la città ed il suo

litorale, all’inizio del ‘900 Marina di Massa era ancora priva delle strutture ricettive

necessarie per poter essere considerata un vero luogo di villeggiatura; essa cioè non

era ancora in grado di ottemperare né alle esigenze del pendolarismo quotidiano

dalla città, né soprattutto a quelle del turismo nazionale ed internazionale, ponendosi

come un disorganico agglomerato di case e a presentare l’aspetto di uno scalo-

merci.

La tendenza di ‘farsi la casa al mare,assunse un rilievo tale che già nel 1891, al fine

di disciplinarla, si rese necessaria la redazione di un progetto di Piano Regolatore

per Marina di Massa, col quale si cominciò a pensare ad un più sistematico

sfruttamento fondiario anche per le zone occupate dagli arenili e dalle pinete, che

videro così aumentare sensibilmente il proprio valore immobiliare. Nel frattempo, a

ridosso di un litorale ancora privo di strade, avevano fatto la loro comparsa le prime

grandi ville signorili.

Il momento della definitiva consacrazione di Marina di Massa a stazione balneare di

successo134 fu però rimandato ancora per qualche tempo a causa dell’incremento

dell’industria estrattiva e, di conseguenza, dell’attività di scarico dei blocchi di marmo

sul piazzale della Dogana, che avrebbe mantenuto l’originaria funzione di deposito

marmi fino agli anni Trenta.

Lo spartiacque fra la lunga fase in cui Marina era rimasta soprattutto uno scalo-merci

e quella, che perdura ancora oggi, in cui l’elemento turistico avrebbe prevalso su

132V.Cutini-R. Pierini, Le colonie marine della Toscana. Istituto di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria di Pisa, edizioni E.T.S., Pisa, 1993. 133 Il primo documento attestante per Marina di Massa l’inizio della stagione balneare risale al 4 agosto 1832 e d è un avviso, stampato dalla polizia estense, che impartiva alla popolazione alcune norme a carattere igienico-moralistico tra le quali spiccava il divieto di bagni promiscui. (Giampaoli, Vita di sabbie e d’acque, op.cit, p. 81). 134 Giampaoli Stefano, Vita di sabbie e d’acque, il litorale di Massa, 1500-190, Massa, Palazzo di S. Elisabetta, 1984, p.172.

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quello industriale, può essere considerato il 1906, anno in cui aprì i battenti il primo

vero albergo, oltretutto di livello pari ai migliori di Viareggio e Forte dei Marmi, ossia

l’Hotel Tirreno. Anche gli stranieri avevano cominciato a puntare con decisione su

Marina di Massa come meta della loro stagione balneare, preferendo la sua quiete al

chiasso delle ben più affermate località della Versilia. Grande importanza ebbe il

tracciamento, nel 1911, della strada interna Frigido-Brugiano la quale, parallela alla

linea di costa, preannunciò la stagione fascista dei grandi viali a mare, i quali

avrebbero collegato Marina di Massa a Marina di Carrara da un lato, al Cinquale, e

quindi alle maggiori località della Versilia dall’altro, formando un sistema di

comunicazioni che avrebbe sottratto il litorale massese al suo ameno isolamento.

Negli anni a cavallo tra il primo ed il secondo decennio del nuovo secolo, Marina e

soprattutto il lungomare, arricchitosi di nuove ville135, stabilimenti balneari136 e delle

prime colonie elioterapiche137, aprirono definitivamente i battenti al turismo di massa.

Le prime colonie elioterapiche del litorale apuano furono la Quisisana (1908),

l’Orfanotrofio Femminile del Sacro Cuore (1910) (fig.61), la Colonia “Ugo Pisa”

dell’O.N.M.I., meglio conosciuta come il “Milanino” (1913) (fig.62), l’ospizio Marino

Ing. Luigi Cantoni (1917), la non più esistente Colonia Suore della Divina

Provvidenza (1920), e la Colonia fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi

(1920) (fig.63) (vedi all. n.3).

Riguardo alle motivazioni dell’ubicazione sul territorio delle colonie, in un promemoria

del 1936 ritrovato nell’Archivio Comunale di Massa si trova scritto : “Tale

allineamento delle colonie, nel Lungomare Littorio verso Carrara, era stato

predisposto dall’Amministrazione Podestarile […] , perché non si riteneva opportuno

interrompere con fabbricati per colonie, quando lo spazio in altra zona per le stesse

esisteva in questa marina, quel naturale sviluppo edilizio di ville, pensioni ed

alberghi, che iniziandosi da Viareggio, perché questa ormai ne è satura, si estende,

per naturale espansione, alle Marine di Comuni vicini Camaiore, Forte dei Marmi,

Montignoso e Massa”, e più avanti “con deliberazione del 13 Aprile 1929138 (vedi all.

n.5), il Podestà di Massa stabiliva che le costruzioni dei fabbricati o impianti di

attendamenti per colonie marine di cura alla Marina di Massa sarebbe stata

permessa soltanto nella zona, che va da Ricortola al confine col territorio di Carrara.

135 Giorgieri P., Itinerari apuani d’architettura moderna. Alinea, Firenze, 1989, p. 77. 136 Giampaoli S., cit., p 203 e sgg. 137 V.Cutini – R. Pierini, Le colonie marine..., op. cit., pp. 108-135. 138 approvata dalla Giunta Prov/le Amm/va il 27 Maggio stesso anno, e vistata da S.E. il Prefetto il 14 Settembre Div.II, n°9183,

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Con tale previdenza il comune riteneva che il resto della sua marina avrebbe potuto

essere liberamente destinato ad iniziative di altro genere”139.

5.3 Viabilita’ a Marina di Massa.

I lavori riguardanti il settore della viabilità, previsti nello schema di massima per il

Piano Regolatore elaborato nel 1927 dall’Ufficio Tecnico Comunale, rappresentarono

la prima grande tappa del processo di rinnovamento della Marina e furono

determinati per la definizione del futuro assetto costiero. Il completamento del

sistema dei viali a mare fu tra le prime questioni che l’amministrazione Bellugi pose

all’ordine del giorno al fine di soddisfare da un lato l’esigenza, già avvertita nel secolo

precedente, di dotare la costa di viali litoranei panoramici, dall’altro quella, in linea

con la politica del regime volta a favorire lo sviluppo delle località turistiche; di porre

fine all’isolamento del litorale massese dalla Versilia a levante, e da Marina di

Carrara e dalla Liguria a ponente.

Negli anni ’20 il viale lungomare era ancora ridotto ad un’informe striscia sterrata. Il

primo intervento di viabilità che l’amministrazione fascista portò a compimento, fu, nel

1927, il prolungamento verso levante del già esistente controviale interno Frigido-

Brugiano nel tratto compreso tra il Frigido e il Cinquale, la prima vera saldatura viaria

con la Versilia. Oltre alla strada di 12 metri di larghezza, vennero realizzati 5 ponti di

cemento armato. Nel corso dello stesso anno fu realizzato il Lungomare del Littorio

che con i suoi cinque chilometri e più di lunghezza, permise il collegamento di Marina

di Massa con Marina di Carrara (fig.67). Era largo 30 metri e richiese numerosi

sbancamenti e la costruzione di tre ponti su palafitte. Ebbe però vita breve a causa

della fortissima erosione costiera che, già a partire dai primi anni Trenta, ne rese

impraticabile il tratto compreso tra la Torre Fiat e Marina di Carrara. Per cui, dopo

aver funzionato come strada di servizio per le colonie del litorale di ponente, fu

abbandonato nel dopoguerra. Nel 1934 infine, con la costruzione dei quattro

chilometri di viale litoraneo tra la dogana e il Cinquale, fu completato un sistema di

viali a mare che, imperniato su due strade rettilinee e parallele alla linea di costa per

quasi dieci chilometri, fu alla base dell’integrazione territoriale del litorale apuo-

versiliese.

139 Archivio del Comune di Massa, busta 2339, anno 1936, in Archivio di Stato di Massa.

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La politica infrastrutturale del fascismo riguardante la marina massese,si allineò con i

programmi delle precedenti amministrazioni liberali completandoli: l’elemento di

maggiore novità non furono quindi le realizzazioni stradali in sè e per sè, ma

l’avvento massiccio della motorizzazione privata che tali opere favorirono e che fu

alla base del processo di completa urbanizzazione delle coste italiane (fig. 64-78).

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Fig. 61 Orfanatrofio femminile del Sacro Cuore, Marina di Massa.

Fig. 62 Colonia ‘Ugo Pisa’ dell’O.N.M.I., Marina di Massa.

Fig. 63 Colonia fondazione Pro Juventute ‘Don Carlo Gnocchi’, Marina di Massa.

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Fig. 64 La costa di Marina di Massa, Carta d’Italia, foglio n. 96, IGM, 1938.

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Fig. 65 Ricostruzione della stratigrafia edilizia di Marina di Massa

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Fig. 67 Progetto del Lungomare Littorio, 1927.

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Fig. 68 Viale del Littorio verso Carrara (prima del 1933)

Fig. 69 Viale del Littorio verso Viareggio (prima del 1933)

Fig. 70 Viale del Littorio con la Colonia Fiat sullo sfondo (dopo il 1933).

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Fig. 71 Spiaggia di Marina di Massa, primi del ‘900.

F ig. 72 Piazza della Dogana, Marina di Massa, precedente 1930.

Fig. 73 Il primo Hotel di Massa, Hotel Italia e Villa Cecchieri, Marina di Massa.

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Fig. 74 Viale Littorio a Marina di Massa, primi anni ’30.

Fig. 75 La spiaggia di Marina di Massa con la colonia Fiat sullo sfondo

Fig. 76 Colonia Fiat di Marina di Massa e Viale Littoraneo, 1933.

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Fig. 77Località ‘Il Milanino’ prima della realizzazione del Viale del Littorio, primi del ‘900.

Fig. 78 Colonia ‘Ugo Pisa’, sullo sfondo la colonia Fiat, Viale del Littorio, località ‘Il Milanino’, dopo il 1933.

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5.4 La Colonia Fiat.

Per quanto riguarda la collocazione della colonia Fiat, Bonadè Bottino, nel suo diario

scriveva: “Fu di quegli anni l’iniziativa assunta da Società industriali ed Enti pubblici e

Privati di istituzione, potenziamento ed organizzazione di Colonie Marine per figli di

dipendenti; l’iniziativa fu poi giudicata paternalismo, malgrado denominazione critica

affibbiata all’operazione sociale centinaia di migliaia di ragazzini d’ambo i sessi

conobbero il mare, s’addestrarono al nuoto, respirarono per settimane aria salubre, si

uniformarono ad una educazione collettiva in ambienti sani, ad una alimentazione

idonea e si assicurarono guadagni in salute e destrezza ginnastica. Per la Fiat la

soluzione del problema era ostacolata dal numero degli eventuali ospitati: le indagini

compiute dagli organi assistenziali s’erano concluse con risultato negativo per

impianti e immobili già esistenti mentre le divergenze sull’ubicazione distinguevano i

sostenitori di una delle due riviere liguri di Levante e di Ponente. Il numero dei piccoli

coloni fu determinato in 1500, metà maschi metà femmine; il soggiorno estivo

previsto i due turni: luglio e agosto; la prescrizione della Direzione Generale di Sanità

per asili, convitti, colonie, fissava in un minimo di 25 mc il volume di fabbricato per

ogni lettino: quindi per il solo dormitorio almeno 20000 mc. Il problema fu

naturalmente esposto al Presidente per una deliberazione: il senatore mi convocò nel

suo studiolo di Via Giacosa e mi invitò a proporre qualche soluzione anche

ricorrendo ancora ad un’edilizia estesa in altezza piuttosto che in orizzontale, e di

valutare costo, tempo di esecuzione: come ubicazione avrebbe provveduto

personalmente ad individuare un lotto nella Pineta Apuana. S’era nel tardo autunno

1932 […] L’organizzazione della Fiat a Roma, grazie all’efficacia del Capo della

Rappresentanza nella capitale conte Perotti, si dimostrò rapidamente conclusiva: in

meno di un mese il progetto fu approvato con un giudizio accompagnato a parole di

encomio: il Prefetto di La Spezia ebbe un particolare incarico di risolvere qualsiasi

difficoltà locale; nel Dicembre ‘32 appaltavo all’impresa Mantelli e Corbella di Genova

il singolare complesso edilizio.”140 .

Inoltre, dalle documentazioni che si sono potute reperire ai vari archivi sappiamo che

i terreni dove sarebbe sorta la colonia furono acquistati dalla Fiat nel 1932 in località

140 V. Bonadè Bottino, La storia del nonno. Ricordi di un borghese vissuto nella prima metà del secolo XX. Dattiloscritto originale dell’autore, p. 1969.

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Milanino (anche se l’atto ufficiale risale al 9 febbraio 1933141), e l’autorizzazione a

costruire arrivò il 19 gennaio 1933142.

Susanna Agnelli, nipote di Giovanni Agnelli, ricorda così l’impressione che ebbe

quando vide la colonia che l’anno seguente fu intitolata al padre Edoardo: “La

spiaggia della Versilia si estendeva per chilometri e chilometri, ininterrotta a volte da

un molo di legno al quale approdavano barconi per caricare grandi lastre di marmo

colorato [...] Poi c’era la pineta, a quel tempo rigogliosa ed ininterrotta se non da

qualche gruppo di oleandri di un intenso profumo e un intenso rosa caramella. Più

lontano sorgevano le Alpi Apuane: gli enormi spaccati bianchi, simili alle pendici di un

ghiacciaio erano invece le cave di marmo. Tra le case basse della pineta si

distingueva solamente il Grand Hotel di Forte dei Marmi sul lungomare vicino alla

Capannina. Quando, lontano, lungo la spiaggia, alla destra guardando i monti, si vide

comparire uno strano edificio cilindrico e bianco, tutti si chiedevano cosa potesse

essere. Col tempo si cominciò a chiamarlo ‘La Torre Fiat’ e col tempo si riconobbe la

somiglianza con l’Albergo Duchi d’Aosta di Sestrières [...] Se mi è rimasta

un’impressione di quella gita a Marina di Massa è il bianco. Bianche le pareti,

bianche le ali delle suore, bianchi i vestiti dei bambini, quasi bianca, la luce che

inondava tutto.”143 (fig.79-90).

141 Archivio Storico Fiat, Fondo Delibere-documentazione contabile, preventivi e corrispondenza (1933-1934). 142 Il 9 febbraio 1933 alle ore 15, si teneva la seduta presso l’Agenzia delle Imposte di Massa, per l’acquisto dei terreni (mappale n° 5348 del foglio II sez. B del catasto terreni) dei signori Bernardoni e Fattori dove sarebbe sorta la colonia Fiat, alla quale erano presenti anche il Gran. Cord. Sen. Giovanni Agnelli (Presidente e Amm. Delegato), il Comm. Avv. Edoardo Agnelli (Vice-Presidente) e il prof. Vittorio Valletta (Direttore Generale e Consigliere). Archivio storico Fiat, Fondo Delibere- Atti di acquisto terreni e immobili (1933-1978). 143 Jocteau Gian Carlo, Ai monti e al mare; cento anni di colonie per l’infanzia. Fabbri Editori, 1991, p.7.

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Fig. 79a La colonia Fiat e il litorale

Fig. 79b La colonia Fiat e il litorale

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Fig. 80 La colonia Fiat e il Comando Federale GIL Massa e Carrara

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Fig. 82 ‘Il Bianco e Rosso’. Rivista del Dopolavoro Fiat, luglio 1933.

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5.5 La vicenda costruttiva. La documentazione grafica del progetto trovata nell’archivio della Maire Engeneering

(in origine Fiat Engeneering), non è completa ed è in cattivo stato, ma da ciò che è

stato possibile reperire e con l’aiuto dei documenti dell’Ufficio di Bonadè Bottino per i

pagamenti alla ditta costruttrice (ASF) e dalle notizie e fotografie apparse su

quotidiani e riviste dell’epoca, ci si può fare un’idea della vicenda che riguarda la

costruzione della torre.

L’autorizzazione a costruire la torre risale al 19 gennaio 1933144; 20 giorni dopo, il 9

febbraio, la Fiat acquista alcuni terreni a Marina di Massa145, in località Milanino,

direttamente in riva al mare e immersi in una pineta di 8000 mq, con una

concessione di arenile di circa 100 metri di lunghezza per 120 metri di profondità, in

cui furono installati i servizi di spiaggia, fontanili, gabinetti, attrezzi per i giochi, il gran

pennone dell’alzabandiera (vedi all. n.6). Una delibera del 13 aprile ’33, testimonia

che il 4 marzo dello stesso anno si confermava “l’ordinazione per l’esecuzione dei

lavori di costruzioni ed impianti per la sede della colonia marina Fiat [...] per l’importo

a forfait di £ 1.250.000” 146 alla ditta Mantelli e Corbella di Genova (vedi all. n.8 ).

Contemporaneamente, si iniziava lo scavo per il corpo della torre e delle ali,

cominciando poi la fondazione di tutto lo stabile.

Grazie al Fondo Delibere dell’Archivio Storico Fiat, in cui sono contenuti anche i

pagamenti e il riassunto delle opere e preventivi di spesa, sappiamo che al 30 aprile

1933 si erano concluse: le fondazioni delle scale con plinti e scale annesse, i pilastri

sotto il primo solaio dei corpi laterali, parte dei pilastri esterni ed interni della torre e 7

spire dell’elica. Il 16 maggio si costruiva il tetto e il 10 giugno la struttura era

conclusa, mancavano solo le rifiniture. Di questa veloce realizzazione (100 giorni, di

cui solo 45 per il getto dell’intera struttura), ci riportano notizia anche le fotografie

tratte dal diario di cantiere che apparsero su Il Bianco e Rosso, rivista del Dopolavoro

144 Archivio Storico Fiat, Fondo Delibere - documentazione contabile, preventivi e corrispondenza (1933-1934). Non si è trovata l’autorizzazione ma la notizia della sua esistenza. 145 Il 9 febbraio 1933 alle ore 15, si teneva la seduta presso l’Agenzia delle Imposte di Massa, per l’acquisto dei terreni (mappale n° 5348 del foglio II sez. B del catasto terreni) dei signori Bernardoni e Fattori dove sarebbe sorta la colonia Fiat, alla quale erano presenti anche il Gran. Cord. Sen. Giovanni Agnelli (Presidente e Amm. Delegato), il Comm. Avv. Edoardo Agnelli (Vice-Presidente) e il prof. Vittorio Valletta (Direttore Generale e Consigliere). Archivio Storico Fiat, Fondo Delibere - Atti di acquisto terreni e immobili (1933-1978). 146 Archivio Storico Fiat, Fondo Delibere-documentazione contabile, preventivi e corrispondenza (1933-1934).

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Fiat, e che mostravano proprio le varie fasi della costruzione, a 43 giorni dall’inizio

dei lavori, dopo 50, 62, 67, 76 e 100 giorni (fig.91-94). La colonia venne inaugurata il

23 luglio 1933 alla presenza di numerose autorità locali, oltre che dell’avvocato

Edoardo Agnelli, del prof. Valletta e del Segretario Federale di Torino commend.

Andrea Gastaldi.

Ci sono stati alcuni cambiamenti in corso d’opera nel progetto; quelli di cui abbiamo

trovato notizia: i pilastri interni, almeno per i primi due piani, dovevano essere di

forma ottagonale ma poi sono stati realizzati circolari; al posto dei due corpi delle

scale esterne addossati alla torre che sono stati realizzati, erano state previste delle

scale interne, cambiava così quello che doveva essere il prospetto del retro

dell’edificio. (fig.95-96).

Nel 1946, la colonia si presentava in stato di completo abbandono, infatti buona parte

degli arredi e degli impianti erano stati danneggiati o rimossi. Per riportare la colonia

alle condizioni di efficienza del passato per la stagione estiva del 1947, andavano

fatti molti lavori di ristrutturazione: furono ripristinati gli impianti esistenti idrico e di

riscaldamento, l’uno con un impianto di demineralizzazione dell’acqua potabile e

relativa rete di distribuzione, l’altro con la trasformazione a nafta delle caldaie.

Inoltre la capienza necessaria era diventata almeno di 1000 posti, per cui furono

adibite a dormitori le ali della torre dove trovava posto l’infermeria. Vennero costruiti

nuovi padiglioni dell’isolamento e dell’infermeria e venne ampliata la pineta con

l’acquisto di nuovi terreni. L’erosione marina, che negli anni precedenti aveva

notevolmente ridotto l’ampiezza della spiaggia prospiciente la colonia, era

ulteriormente aumentata, venne cos’ costruito un primo sbarramento di massi e, in

un secondo tempo, in blocchi di cemento. Per soddisfare le necessità dei bambini

venne costruita in un ampio arenile, affiancato alla colonia, una grande piscina (60 m

x 20 m) alimentata ad acqua marina.

Negli anni ’70, per adeguarsi alle norme dei VV.FF., si è aggiunto un corpo

contenente una scala di sicurezza esterna ed un nuovo ascensore (più piccolo di

quello già esistente) sul retro della torre , dove tra l’altro si è venuta a creare l’entrata

principale che una volta era sul lato mare, al colmo di una grande scalinata che ne

seguiva il perimetro circolare: la superficie refettorio è stata allargata su di essa, con

una parete in gran parte finestrata e coperta da una sorta di tettoia, a cui si accede

da una scala o dall’interno della torre. Nel 1980, inoltre, è stata sostituita la

pavimentazione dell’ala della direzione e del primo piano.

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Nell’impianto originale, oltre alla torre, vi erano un piccolo edificio posto a monte

dell’ala ovest e di un padiglione, a monte dell’ala est, perpendicolare al mare, adibito

a cinema-teatro. Successivamente, avendo ampliato la sua funzione ospitando oltre

ai bambini nel periodo estivo, anche i pensionati durante la stagione invernale,

vennero aggiunti, nella pineta retrostante, alcuni padiglioni dormitorio costituiti da

stanze più adatte alla nuova attività.

Per quanto riguarda il primo piano, non possedendone la pianta del primo progetto,

possiamo rifarci solo alle fotografie dell’epoca; il dormitorio, che si svolge lungo

l’elica, è rimasto sostanzialmente lo stesso di quello odierno, a parte la suddivisione

delle camerate .

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Fig. 91 La costruzione della colonia Fiat: a 50 giorni. Modello tridimensionale.

Fig. 92 La costruzione della colonia Fiat: a 60 giorni. Modello tridimensionale.

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Fig. 93 La costruzione della colonia Fiat: a 70 giorni. Modello tridimensionale.

Fig. 94 La costruzione della colonia Fiat: a 100 giorni. Modello tridimensionale.

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Fig. 95 La scala antincendio inserita negli anni ’70, modello tridimensionale

Fig. 96 La scalinata coperta dall’ampliamento del refettorio negli anni ’70, modello tridimensionale

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5.6 L’architettura.

L’edificio è composto dalla torre e da due ali laterali, in modo da poter distribuire tutti

i locali necessari per una colonia di 780 bambini, che non sarebbe stato possibile

concentrare solo nel corpo centrale.

La struttura della torre, riprende sostanzialmente quello de La Torre di Sestrières ed

è esteticamente molto simile all’albergo Duchi d’Aosta, con la novità che i solai delle

camerate non sono più su piani orizzontali ma seguono la pendenza della rampa.

Consiste in una doppia corona di pilastri circolari in cemento armato, fondati su plinti

isolati , solai incastrati su pilastri esterni e interni con soletta (la rampa) a sbalzo in

cemento armato, travi con disposizione radiale di collegamento tra i pilastri esterni e

interni e due travi di collegamento continue elicoidali, interna ed esterna, che

seguono l’andamento della rampa. I tamponamenti sono in mattoni, come si può

vedere dalle fotografie del cantiere.

L’originalità della torre elevata su 17 piani e alta 52 metri con un diametro di 25, sta

nello sviluppo delle camerate lungo un nastro continuo elicoidale largo 8 metri e

lungo 420 con una pendenza del 5% e passo 2,60 metri; la lunga rampa, si svolge

intorno ad un pozzo centrale da cui è separata da una ringhiera in ottone cromato, ed

era divisa in 25 camerate, di 30 lettini ciascuna disposti a raggiera, con annessi il

locale per la suora, un gruppo di gabinetti e uno di lavabi; oggi è divisa in camerate a

sedici letti intervallate dai servizi igienici e da camere singole per le sorveglianti.

Il nastro-corridoio di disimpegno, separato dalle camerate da un muro di circa un

metro di altezza, è pavimentato in piastrelle di grès, le camerate in linoleum. L’arredo

originale testimonia una certa attenzione per i particolari costruttivi, infatti era creato

appositamente per sopperire all’inclinazione del solaio (i piedi dei lettini avevano

lunghezze diverse e le sedie erano zoppe) mentre oggi letti e tavoli sono poggiati su

zeppe in cemento; i serramenti delle camerate sono scorrevoli all’interno della

muratura e completi di persiana, come gli originali. La copertura è ad ombrello,

originariamente con soletta in vetro-cemento.

Le ali poste ai lati della torre e disposte parallelamente alla linea di costa, sono

lunghe 30 metri, a pianta rettangolare con testate semicircolari. Il basamento della

torre è circondato dalle scalinate di accesso in travertino affiancate dai corpi a pianta

circolare posizionati all’inserzione dei corpi laterali con la torre elevati fino all’altezza

del terzo piano.

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L’interno della torre ospita nel sottopiano i magazzini, la centrale termica e quella

elettrica, il pozzo artesiano e il dormitorio per il personale maschile; al piano terreno

rialzato e al primo piano i servizi comuni (refettorio, cucina, infermeria, i locali di

isolamento per eventuali casi infettivi, gli impianti sanitari con docce e bagni e i locali

di amministrazione), mentre al secondo piano inizia la ‘spira’ delle camerate.

Al piano terra, lo spazio circolare è occupato dalla seconda corona di colonne su cui

poggiano le travi ad ombrello del soffitto, determinando un deambulatorio; la

pavimentazione è in marmo alla palladiana con un grande mosaico centrale colorato,

raffigurante la rosa dei venti.

La struttura si ripete identica al primo piano dove la sala, è usata per la ricreazione;

qui la pavimentazione originale è stata sostituita da mattonelle in ceramica verde e

grigia disposte a scacchiera, soluzione che si ritrova anche in altri ambienti. Dal

secondo piano si diparte la lunga elica delle camerate il cui pozzo interno, è

pavimentato ancora una volta in marmo alla palladiana con inserto circolare di colori

contrastanti. L’ultima spira ad elica ha metà del suo sviluppo occupato da un grande

serbatoio d’acqua di circa 100 metri cubi, alimentato da un pozzo artesiano installato

nel sotterraneo e dal quale l’acqua potabile si dirama in tutti i servizi del fabbricato.

Il bianco prospetto, del tutto intonacato, è giocato quasi esclusivamente sull’alternarsi

delle aperture (con davanzale in marmo cipollino) e dei pilastri circolari che ritmano la

superficie in totale assenza di altri elementi decorativi; due grandi iscrizioni Fiat in

metallo cromato ricordavano la grande industria torinese. (figg.97-106)

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Fig. 97 La Colonia com’era originalmente. Vista lato mare. Modello tridimensionale.

Fig. 98 La Colonia com’era originalmente. Vista lato monte. Modello tridimensionale.

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Fig. 99 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano interrato

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Fig. 100 Colonia ‘Edoardo Agnelli, pianta piano terra

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Fig. 101 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano primo

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Fig. 102 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano tipo

Fig. 103 Particolare dei serramenti scorrevoli delle camerate

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Fig. 104 Colonia ‘Edoardo Agnelli, pianta della copertura

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Fig. 105 Colonia ‘Edoardo Agnelli, sezione longitudinale

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Fig. 107 La struttura della torre senza i pilastri esterni. Modello tridimensionale

Fig. 108 La struttura della torre. Modello tridimensionale

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5.7 La fortuna.

In ambiente architettonico le torri non passano certamente inosservate al tempo della

loro edificazione. Anzi, della produzione di Bonadè Bottino sono le opere più

pubblicate su riviste specializzate assieme alle colonie Fiat, tipologicamente simili, e

l’intervento di ricostruzione di un tratto di Via Roma a Torino.

Sia riviste italiane quali L’Architettura Italiana, Rassegna di Architettura, Architettura,

Case d’oggi, sia riviste straniere quali Architecture, Enterprise française, Deutsche

Bauzatung, Modern Bauforme, American Architect, Ter es forma ed altre, presentano

una o entrambe le torri di Sestriere dimostrando un notevole interesse per la novità

proposta. Si tratta di riviste non impegnate nella divulgazione dell’architettura

d’avanguardia, talvolta attenta ad una produzione che utilizza un linguaggio moderno

e, in alcuni casi, come Architecture, organo della Società degli Architetti francesi. In

ogni caso non si legge mai un’analisi globale dell’intervento, privilegiando sempre il

singolo edificio e dimenticando l’aspetto unitario del complesso, tanto più quello

urbanistico. Colpisce l’originalità della forma degli edifici, si trascura il progetto di

Sestriere nel suo insieme e si riduce la presentazione delle torri molto spesso o a un

racconto o ad una descrizione ed elencazione di dati senza mai andare oltre alla

semplice analisi del manufatto.

Di volta in volta si sono presi in considerazione aspetti diversi come la novità della

forma, il rapporto spazio/confort, i problemi acustici o di sicurezza dagli incendi ma le

informazioni tecniche fornite sono sempre le stesse, prese dalla relazione di Bonadè

Bottino pubblicata integralmente su Architettura. Anche l’immagine proposta

attraverso i disegni e le fotografie che corredano gli articoli è molto ripetitiva sia come

soggetto che come ripresa: oggi sono immancabili le foto del pozzo centrale e

dell’arredo delle cabine, mentre sono del tutto sconosciuti alcuni locali come il

belvedere o il ristorante. Nell’insieme le riviste riservano un’accoglienza positiva

proprio per l’originalità espressa nell’edificio; l’unica voce di dissenso si leva sulle

pagine di Casabella dove nella sua recensione della rivista ungherese Ter es Forma

presenta la Torre indirettamente, confrontandola con un ricovero ricavato da un

serbatoio d’acqua, parla di una forma poco logica e opportuna (Architettura mondiale,

Casabella anno 8, gennaio 1935). Modernità, razionalismo, sono concetti che non

compaiono negli articoli delle riviste di architettura benché gli edifici siano oggetto di

discussioni fra i colleghi come ricorda lo stesso Bonadè Bottino nel suo ‘diario’,

consapevole della novità della Torre ma insensibile alle discussioni più ideologiche.

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Per quanto riguarda la ‘torre Balilla’ in particolare, dai quotidiani locali fu accolta

molto positivamente ovviamente, e così sul giornale del Dopolavoro Fiat (fig.109):

“Nella conca, al confine fra le marine di Carrara e di Massa. Sopra il verde dei pini e

della piana circostante, [...], alta si estolle la Torre Balilla, che accoglie nei suoi

fianchi costrutti con severo spirito geometrico e circolare, nella rampa interna, su

candidi lettini, vegliati dalle buone suore torinesi dell’ordine del Beato Don Bosco,

schiere di bimbi e di bimbe di lavoratori della Fiat che s’avvicenderanno a turno. La

mole bianca dell’intonaco, pare voglia gareggiare con il candore latteo dell’alpe

vicina, l’agglomerato cementizio, moderno ritrovato pareggia la durezza del marmo

lapideo pur nella sua sede naturale. Lasciate le bianche braccia del fabbricato,

perchè troppo vicine a terra, percorsa la rampa dai quindici ordini di ripiani, si giunge

fino al sommo e la vista spazia dal culmine novello alle alpi ammaglianti, alla terra

fertile, sin giù dall’isola di Palmaria ed all’insenatura della Spezia ed alla bocca di

Magra. Il verde mare con lente onde, pigre e calde lambisce invitante la spiaggia. Ed

il pensiero ricorre a Chi volle edificare la Torre, per dar ristoro e ritemprare le forze e

la salute dei bimbi dei Suoi lavoratori, all’Uomo cui l’assistenza sociale è atto

consueto come fan fede il convalescenziario di guerra d’Orbassano, i Sanatori di Pra

Catinat, al Senatore di Giovanni Agnelli, e sentiamo oscuratamente che la voce del

popolo battezzerà la torre Balilla: Torre Agnelli, da Chi volle e fece compiere

l’impresa, degno segno della rinnovata Italia fascista.”147

Su ‘La Nazione’ pochi giorni dopo l’inaugurazione della torre, tra gli elogi alla ridente

cittadina di Massa, se ne parla così ai cittadini: “Il candido grattacielo della Fiat [...] e

nato miracolosamente in tre mesi sopra una delle spiagge più belle del mondo: di

notte lo vedranno i naviganti accendersi come un faro gigantesco, raggiare dalle sue

trecento finestre, santuario di salute e di giovinezza, e lo salteranno come

un’affermazione di potenza e di bellezza dell’Italia fascista [...] Marina di Massa è una

gioconda cittadina, raccolta fra la pineta e il mare, inghirlandata di giardini fioriti,

popolata di ville e di candidi alberghi. La popolano le famiglie tranquille che vogliono

godersi il mare senza impaccio di troppe convenienze e di etichette mondane. Essa

trovasi al centro della regione che è stata da tempo prescelta per le colonie marine

dei fanciulli [...] per la strada ombrosa, attraverso le pinete, s’incontra prima –

venendo dal Forte- il vasto edifizio della Cassa di Risparmio di Lucca [...]; al Cinquale

147 Canova C.M., Il grattacielo dei bimbi Fiat in 100 giorni.Il Bianco e Rosso,anno II, n.5, luglio 1933.

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un vasto appezzamento di terreno è destinato agli Ospizi Marini di Firenze che vi

erigeranno presto le loro costruzioni: a Montignoso ecco la colonia Comasca Dux, poi

l’Orfanatrofio del Sacro Cuore: avvicinandosi a Marina di Massa le colonie si

moltiplicano: ecco la Fondazione Motta Edison di Milano, la Colonia Marina Senese

[...], quella di Parma, quella di Reggio Emilia [...] tutte case ampie, salubri, ridenti

fasciate dal sole, veri vivai di salute e di gioia fisica. Ma in lontananza già appare il

colosso: fra monte e mare, ad equa distanza fra Marina di Massa e Marina di

Carrara, si erge la gran torre del grattacielo Fiat. Pochi mesi fa qui non c’era

assolutamente nulla: spiaggia e rena come dappertutto. Un bel giorno si rovesciò qui

una massa di operai piemontesi. Giunsero camions carichi di cemento, di sbarre, di

travi. In un batter d’occhio si costruirono i cantieri, si spianò il terreno, si pose mano

alle fondamenta: si lavorò giorno e notte, alla luce del sole e a quella dei riflettori,

sotto la direzione di due alacri ingegneri, l’ingegnere Bonadè di Torino –cui si devono

i disegni dell’edifizio- e l’ingegnere Ottaggio che è sempre stato qui ad incoraggiare,

correggere, a spingere avanti l’opera monumentale: in cento giorni l’edifizio è stato

compiuto alla base della lanterna terminale: ora si stanno approntando i lavori di

rifinitura, si stanno mettendo a posto i mobili –pochi ma indispensabili- curando la

distribuzione dei servizi, della luce, dell’acqua. In poco più di tre mesi si è compiuta

così un’opera per la quale, in altri tempi, sarebbero occorsi per lo meno tre anni. A

vederla così di sotto, giganteggiare sulla linea piatta della spiaggia, ti viene in mente

la Torre di Babele, con la differenza che quella fu abbandonata a mezzo dagli uomini

ambiziosi e rissosi e che questa è ormai già al termine e fra pochi giorni sarà abitata

in ogni sua parte da una garrula popolazione infantile.

[...] piani,camerate...In realtà non c’è più niente di tutto questo: qui si parla soltanto di

quote e di spirali; quanto alle camerate e alle scale, esse non esistono più [...] dal

basso l’effetto è magico: la ringhiera della strada a spirale, foderata di ottone

nikelato, forma un immenso e lucido nastro elicoidale che si snoda tutt’intorno fin

sotto alla vetrata solidissima che termina l’edifizio al diciottesimo piano [...] Arrivare

alla terrazza superiore è un’ascensione non indifferente, ma il resultato compensa la

fatica [...] di lassù gli uomini sottostanti sembrano formiche: ma formiche, in ogni

caso laboriose e intelligenti che han saputo far sorgere come per incanto, questo

grandioso giocattolo, questo miracolo di edilizia moderna, quest’opera di bontà e di

amore, che racchiude nella sua candida semplicità, una bellezza nuova.”148

148 Giacchetti C., Il grattacielo dei ragazzi. 8 luglio 1933.

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Fig. 109 La costruzione della colonia Fiat, da ‘Il Bianco e Rosso’, 1933.

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Fig. 110 Cantiere della colonia Fiat, 1933.

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REGESTO delle OPERE di BONADÈ BOTTINO.

Il regesto delle opere di Vittorio Bonadè Bottino, è stato ripreso per intero dalla tesi di dottorato di Cristina Banfo149 poiché, riordinandolo, ha potuto consultare l’archivio privato della famiglia dell’ingegnere (che adesso ne nega la visione a chiunque) e quindi venire a conoscenza di tutto ciò che è reperibile per quanto riguarda le sue opere.

PROGETTI REALIZZATI

Interventi vari, Calabria, 1914-1915 Ing. Provvisorio del Genio Civile; Notizie sul “diario”. Stabilimento Fiat-Lingotto, Torino, 1919-1920 Collaborazione alla direzione lavori dell’ing. Cartesegna; Notizie sul “diario”. Impianto idroelettrico, Clavière (TO), 1920 Progetto e direzione lavori; Notizie sul “diario”. Impianto idroelettrico S.F.I.M., Veanus (TO), 1920 Collaborazione al progetto dell’ing. Cartesegna; Notizie sul “diario”. Stabilimento Bergougnan e Tedeschi, Venaria (TO), 1920 Progetto; Notizie sul “diario”. Manifattura Usigli, Torino, 1922 Progetto e direzione lavori; Notizie sul “diario”; Documenti presenti all’Archivio Edilizio della Città di Torino. Stabilimento Vetrocoke, Venezia, 1924 (e interventi successivi) Progetto e direzione lavori; Notizie sul “diario”; Pratica edilizia presoo Archivio Sorico della Città di Venezia. Casa Demarchi, Torino, 1924 Progetto e direzione lavori; Permesso presente all’Archivio Edilizio della Città di Torino; Calcoli strurrurali presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Notizie sul “diario”. Casa Triulzi, Torino, 1925 Progetto e direzione lavori dell’ing. Verzone; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Particolaro costruttivi presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Notizie sul “diario”. Cine Palazzo, Torino, 1925 Progetto e direzione lavori; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino.

149 Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995, p. 347.

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Casa Zegna, Torino, 1927 Progetto e direzione lavori dell’ing. Canavero; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Capannone industriale in c.a. FIAT-Lingotto, Torino, 1929 Progetto; direzione lavori Ufficio Tecnico della Fiat; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Capannone Aeronautica, Torino, 1929 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Ampliamento stabilimento RIV, Villar Perosa (TO), 1929 Progetto; Disegni presso l’archivio RIV a Villar Perosa. Stabilimento Roullements à billes, Chambery, 1929 Progetto e direzione lavori; Notizie sul “diario”. Sanatorio Edoardo Agnelli, Pra Catinat – Fenestrelle (TO), 1929 Direzione dei lavori; Notizie sul “diario”. Sanatorio Tina Nasi Agnelli, Pra Catinat – Fenestrelle (TO), 1930 Progetto e direzione lavori; Articlo su Minerva Medica; Notizie sul “diario”. Ampliamento stabilimento RIV, Villar Perosa (TO) 1930 Progetto; Disegni presso l’archivio RIV a Villar Perosa. Fabbricato industriale RIV, Torino, 1930 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Sopraelevazione fabbricato industriale RIV, Torino, 1930 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Casa Ramondetti e ampliamento, Torino, 1931-1934 Progetto e direzione lavori dell’ing. Canavero; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Fabbricato industriale in C.a. FIAT-Lingotto, Torino, 1931 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Funivia Alpette-Sises, Sestriere (TO), 1931 Progetto e direzione lavori; Articolo su Le Vie d’Italie; Documenti presso l’Archivio Storico Fiat.

Maglificio Usigli, Torino, 1932 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Stabilimento industriale RIV, Mosca (1932) Progetto (?); Articolo de L’ingegnere.

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Albergo La Torre, Sestrières (TO), 1932 Progetto e direzione lavori; Articoli su riviste con riproduzione dei disegni; Documenti presso l’Archivio Storico Fiat; Notizie sul “diario”. Albergo Duchi d’Aosta, Sestrières (TO), 1933 Progetto e direzione lavori; Articoli su riviste con riproduzione dei disegni; Documenti presso l’Archivio Storico Fiat; Notizie sul “diario”. Funivia Banchetta, Sestrières (TO), 1933 Progetto e direzione lavori; Documenti presso l’Archivio Storico Fiat; Notizie sul “diario”. Colonia FIAT, Marina di Massa, 1933 Progetto e direzione lavori (?); Fotografie dell’epoca e delle tavole di progetto presso L’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Articoli su riviste; Notizie sul “diario”. Albergo, Campo Imperatore (AQ), 1933 Progetto; Tavole di progetto, relazioni e corrispondenza presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Notizie sul “diario”. Isolato San federico, Torino, 1934 Direzione dei lavori quando subentra, nella proprietà, la Fiat; Disegni presso Archivio Progestim; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Notizie sul “diario”. Capannone e fabbricato prove Società Aeronautica, Torino, 1935 Progetto Servizio Tecnico e Costruzioni Soc. Aeronautica; direzione lavori Servizio Tecnico e Costruzioni Soc. Aeronautica e Bonadè Bottino; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino.

Ampliamento fabbricato uffici SPA, Torino 1935. Progetto Bonadè Bottino e Servizio Costruzioni gruppo Fiat; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Cabina elettrica SPA, Torino, 1935 Progetto Bonadè Bottino e Servizio Costruzioni gruppo Fiat; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Fabbricati vari Soc. Aeronautica, Torino, 1936 Progetto e direzione lavori; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Casa Deambrosis e sopraelevazione, Torino, 1936 Progetto e direzione lavori dell’ing. Verzone; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Chiesa di S. Edoardo, Sestrières (TO), 1936 Progetto e direzione lavori; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Notizie sul “diario”.

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Ospedale civile di Pinerolo (TO), 1936 Progetto e direzione lavori; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Concessioni edilizie presso l’archivio edilizio. Colonia Fiat , Sauze d’Oulx (TO), 1936 Progetto e direzione lavori; Disegni e relazioni presso l’Archivio Fiat Engeneering; Fotografie presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Pratiche edilizie presso l’ufficio tecnico di Oulx. Palazzina uffici stabilimento RV, Villar Perosa (TO), 1936 Progetto; Articoli da L’ingegnere e de Il Bianco e il Rosso.

Albergo Principi di Piemonte, Torino, 1936 Progetto e direzione lavori; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Disegni e convenzioni tra SAEP e Comune presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Articoli su riviste; Notizie sul “diario”. Isolato San Antonio da Padova, Torino, 1936 Direzione dei lavori; Permessi presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino e Istituto Alvar AAlto; Corrispodenza LL.PP. presso l’Archivio Storico della Città di Torino; Articoli su riviste; Notizie sul “diario”. Isolato di Santa Vittoria, Torino,1936 Direzione dei lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino.

Fabbricato industriale Soc. Aeronautica, Torino, 1937 Progetto Bonadè Bottino e Serviszio Costruzioni Soc. Aeronautica; direzione lavori Bonadè Bottino; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Funivia Fraitève, Sestrières (TO), 1937 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Notizie sul “diario”. Villa Tonelli, Torino, 1937-1938 Progetto arch. Albertelli; direzione lavori ing. Jacazio; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Stabilimento FIAT-Mirafiori, Torino, 1938 Progetto e direzione lavori; Deliberazione presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Permessi presso l’Archivio Storico della Città di Torino; Disegni presso l’Archivio Fiat Engeneering; Documenti e fotografie e video presso l’Archivio Fiat Engeneering; Pubblicazioni; Notizie sul “diario”. Fabbricato industriale SPA, Torino, 1938 Progetto Bonadè Bottino e Servizio Costruzioni Fiat; direzione dei lavori Bonadè Bottino; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino.

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2 fabbricati industriali Grandi Motori, Torino, 1938 Progetto Bonadè Bottino e Servizio Costruzioni Fiat; direzione dei lavori Servizio Costruzioni; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Palazzo in V. Silvio Pellico 34, Torino, 1938 Progetto ing. Dezzuti; direzione dei lavori Bonadè Bottino; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino; Disegni presso l’Istituto Alvar AAlto; Notizie sul “diario”. Ampliamento stabilimento RIV, Torino, 1938 Progetto e direzione lavori; Permesso presso l’Archivio Edilizio della Città di Torino. Cementeria, Guidonia (Roma), 1938 Progetto; Documento presso l’Archivio storico Fiat. Ampliamento della tenuta Venaria, Lignana (VC), 1939 Progetto: Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino: Articolo su Bianco e Rosso. Stabilimento FIAT, Firenze, 1940 Progetto; Documenti presso l’Archivio Storico Fiat; Notizie sul “diario”. Villa Camerana, Torino, 1940 Direzione lavori; Notizie sul “diario”.

PROGETTI NON REALIZZATI

Partecipazione a un concorso indetto dallo IACP, 1928 Vincitore di una indennità; Articolo su Architettura e Arti Decorative. Progetto albergo Principe di Napoli, Sestrières, (TO), 1937 Progetto; Disegni presso l’Archivio Storico Fiat; Disegni e fotografie di disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino. Progetto di “Abbassamento del piano del ferro”, Torino, 1939 Progetto; Disegni, relazioni, corrispondenza presso Archivio Privato di Bonadè Bottino. Studi casa S.I.S.G., Torino, 1939 Progetto; Pratica all’Archivio Storico della Città di Torino; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino. Progetto padiglione d’ingresso ospedale San Vito, anni ’30 circa Progetto; Disegni presso l’Archivio Privato di Bonadè Bottino

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FONTI DOCUMENTARIE

ARCHIVIO DI STATO DI MASSA : ARCHIVIO DEL COMUNE DI MASSA busta n°2287 a.1933 busta n°2321 a.1935 busta n°2339 a.1936 PREFETTURA DI MASSA (ARCHIVIO GENERALE) busta n°40 a. 1931. busta n°53 a. 1937. ARCHIVIO STORICO FIAT (ASF), (Torino) : Ricordi di un borghese vissuto nella prima metà del secolo XX, Vittorio Bonadè Bottino, dattiloscritto, s.d. [1963] Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat, fascicolo 4, parte prima - sguardo retrospettivo. Selezione degli edifici del gruppo Fiat dal 1899 al 1999. Fondo Malf Fondo Ugaf Fondo delibere dal ’33 al ‘34 Fondo delibere dal ’33 al ‘78 ARCHIVIO MAIRE ENGENEERING : PROGETTO Torre Edoardo Agnelli a Marina di Massa,1933 (incompleto), busta n° 2 PROGETTO Torre Edoardo Agnelli a Marina di Massa,1978 (incompleto), busta n° 24 Archivio fotografico, s.d.

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BIBLIOGRAFIA

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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

Alcune illustrazioni non sono pubblicate perché di appartenenza degli Archivi citati, ma sono elencate nell’indice).

Fig. 1. V. Bonadè Bottino nel 1915. In Bonade’ Bottino Vittorio, Memorie di un borghese del

Novecento: l’avventura di un pioniere dell’industria. A cura di Laura Lepri; con una prefazione di

Vittorio Sportoletti Baduel. Bompiani Overlook, Milano, 2001.

Fig. 2. V. Bonadè Bottino con la figlia Maria. In Bonade’ Bottino Vittorio, Memorie ..., cit.

Fig. 3. Colle del Setrières, Gennaio 1933. In Bonade’ Bottino Vittorio, Memorie ..., cit.

Fig. 4. Casa Demarchi, prospetto. Torino. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico nella Torino tra

le due guerre. Dottorato di ricerca. Politecnico di Torino, 1995. Fig. 5. Casa Demarchi, prospetto. Torino. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit.

Fig. 6. Cinepalazzo, Torino. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit.

Fig. 7 Colonia ‘Edoardo Agnelli, Marina di Massa, anni ’40. BCM

Fig. 8 Colonia Fiat a Sauze d’Oulx. ASF. Fig. 9 Albergo Principi di Piemonte al Sestrières. Fig. 10 Ospedale ‘Edoardo Agnelli’ di Pinerolo. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit.

Fig. 11 Sanatorio femminile ‘Tina Nasi Agnelli’ di Prà Catinat Fig. 12 Albergo di Campo Imperatore, L’Aquila. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit.

Fig. 13 Stabilimento Fiat a Firenze, 1940. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit.

Fig. 14 Stabilimento Fiat a Firenze, planimetria, 1945. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico...,

cit.

Fig. 15 Stabilimento Fiat-Mirafiori di Torino. Fig. 16 Piano Aass del 1934. BCM. Fig. 17 Distribuzione dei veicoli nelle diverse regioni d’Italia. Le Strade, 9, 1934. Fig. 18 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica, planimetria. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine della Toscana. Istituto di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria di Pisa, edizioni

E.T.S., Pisa, 1993.

Fig. 19 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine..., cit. Fig. 20 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa, planimetria. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le

colonie marine..., cit. Fig. 21 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 22 Colonia marina Firenze, Calambrone. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine...,

cit. Fig. 23 Colonia ‘Edoardo Agnelli, Marina di Massa, planimetria. Fig. 24 Colonia ‘Edoardo Agnelli, Marina di Massa. Fig. 25 Colonia della Federazione Fasci di Combattimento di Genova, Chiavari, pianta. Cutini

Valerio, Pierini Roberto, Le colonie marine..., cit. Fig. 26 Colonia della Federazione Fasci di Combattimento di Genova, Chiavari.

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Fig. 27 Colonia dei Fasci Italiani all’Estero, Tirrenia. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 28 Colonia Rosa Maltoni, Tirrenia. Serbatoio idrico elicoidale. Cutini Valerio, Pierini Roberto,

Le colonie marine..., cit. Fig. 29 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa, scala elicoidale. Cutini Valerio, Pierini Roberto,

Le colonie marine..., cit. Fig. 30 Colonia ‘Edoardo Agnelli, Marina di Massa, rampa interna. Fig. 31 Colonia XXVIII Ottobre, cattolica, dormitorio. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 32 Simboli e allegorie nelle forme planimetriche delle colonie toscane. Cutini Valerio, Pierini

Roberto, Le colonie marine..., cit. Fig. 33 Ponti e Lancia, Casa Rasini, Milano. Fig. 34 Piacentini, Piazza Dante, Genova. Fig. 35 Rimini A., grattacielo in Piazza S. Babila, Milano. Disertori A. Et Al., Il primo grattacielo di

Milano. La casa torre a piazza San Babila di Alessandro Rimini. Silvana editoriale, Milano, 2002 Fig. 36 Pubblicità del complesso del Sestriere, anni ’30. Fig. 37 Rampa elicoidale della colonia ‘Edoardo Agnelli’ a Marina di Massa. Fig. 38 Schema della pianta della colonia Fiat (aereo). Fig. 39 Schema della pianta della torre Fiat (ingranaggio). Fig. 40 Colonia della Federazione di Genova, Chiavari. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 41 Planimetria della colonia di Chiavari. Fig. 42 Colonia Montecatini, Cervia. Scala esterna. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 43 Colonia Rosa Maltoni, Calambrone. Un serbatoio idrico. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le

colonie marine..., cit. Fig. 44 Grafico della situazione topografica del Sestriere. In Banfo Cristina, Un intellettuale-

tecnico..., cit. Fig. 45 Sestriere, studio di Piano Regolatore per la sistemazione dell’albergo Principi di Napoli. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit. Fig. 46 Sestriere, prospettiva della zona del golf. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico..., cit. Fig. 47 Albergo Principi di Piemonte, Sestriere. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat, fascicolo 4, parte prima - sguardo retrospettivo. Selezione degli edifici del gruppo Fiat dal 1899 al

1999. ASF.

Fig. 48 Albergo ‘La Torre’, Sestriere. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit. ASF.

Fig. 49 Albergo ‘La Torre’, Sestriere, planimetria di tutto il complesso. Manifesto per l’architettura

del gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 50 Albergo ‘La Torre’, pianta del piano tipo. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit.

ASF.

Fig. 51 Albergo ‘La Torre’, pianta di due cabine. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit.

ASF.

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Fig. 52 Albergo ‘La Torre’, sezione. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 53 Albergo ‘Duchi d’Aosta’, Sestriere. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 54 Albergo ‘Duchi d’Aosta’ di Sestriere, vista notturna. Manifesto per l’architettura del gruppo

Fiat... cit. ASF. Fig. 55 L’albergo ‘Duchi d’Aosta’ in costruzione, Sestriere, 1933. Manifesto per l’architettura del

gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 56 Albergo ‘Duchi d’Aosta’ di Sestriere, pianta piano terra. AME. Fig. 57 Albergo ‘Duchi d’Aosta’, Sestriere, pianta piano tipo. AME.

Fig. 58 Albergo ‘Duchi d’Aosta’ di Sestriere, sezione. In Banfo Cristina, Un intellettuale-tecnico...,

cit. Fig. 59a Colonia Fiat a Salice d’Ulzio. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 59b Colonia Fiat a Salice d’Ulzio, pianta piano tipo. Manifesto per l’architettura del gruppo

Fiat... cit. ASF. Fig. 60 Colonia Fiat a Salice d’Ulzio, sezione. AME.

Fig. 61 Orfanatrofio femminile del Sacro Cuore, Marina di Massa. Cutini Valerio, Pierini Roberto,

Le colonie marine..., cit. Fig. 62 Colonia ‘Ugo Pisa’ dell’O.N.M.I., Marina di Massa. Cutini Valerio, Pierini Roberto, Le colonie

marine..., cit. Fig. 63 Colonia Fondazione Pro Juventute ‘Don Carlo Gnocchi’.Marina di Massa. Cutini Valerio,

Pierini Roberto, Le colonie marine..., cit. Fig. 64 La costa di Marina di Massa. Carta d’Italia. Foglio n. 96, IGM, 1938. Fig. 65 Ricostruzione della stratigrafia edilizia di Marina di Massa. Spallanzani Riccardo, Progetto

di Recupero per la sede universitaria dei corsi di diploma un ingegneria nell’ex-colonia “XXVIII ottobre”

a Marina di Massa. Tesi di laurea, Pisa, a.a.1995-‘96. Fig. 66 Planimetria schematica di ripristino della costa nel tratto Marina di Massa-Marina di Carrara, 1936. ASM.

Fig. 67 Progetto del Lungomare Littorio, 1927. Collezione privata Renzo Nicolini.

Fig. 68 Viale del Littorio verso Carrara (prima del 1933). Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 69 Viale del Littorio verso Viareggio (prima del 1933). Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 70 Viale del Littorio con la colonia Fiat sullo sfondo. (dopo il 1933). Collezione privata Renzo

Nicolini. Fig. 71 Spiaggia di Marina di Massa, primi del ‘900. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 72 Spiaggia di Marina di Massa, primi del ‘900. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 73 Il primo hotel di Massa, Hotel Italia e Villa Cecchieri, Marina di Massa. Collezione privata

Renzo Nicolini. Fig. 74 Viale Littorio a Marina di Massa, primi anni ’30. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 75 La spiaggia di Marina di Massa con la colonia Fiat sullo sfondo. Collezione privata Renzo

Nicolini. Fig. 76 Colonia Fiat di Marina di Massa e Viale Littoraneo, 1933. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 77 Località ‘il Milanino’, prima della realizzazione del Viale del Littorio, primi del ‘900. Collezione privata Renzo Nicolini.

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Fig. 78 Colonia ‘Ugo Pisa’, sullo sfondo la colonia Fiat, Viale del Littorio, località ‘il Milanino’, dopo il 1933. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 79a La colonia Fiat e il litorale. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 79b La colonia Fiat e il Litorale. Collezione privata Renzo Nicolini. Fig. 80 La colonia Fiat e il Comando Federale GIL Massa e Carrara. Collezione privata Renzo

Nicolini. Fig. 81 Inaugurazione della colonia Fiat, 23 luglio 1933. ASF. Fig. 82 ‘Il Bianco e Rosso’, Rivista del Dopolavoro Fiat, luglio 1933. ASF. Fig. 83 Inaugurazione della colonia Fiat, 23 luglio 1933. ASF.

Fig. 84 Le bandiere sul tetto della torre Fiat. Manifesto per l’architettura del gruppo Fiat... cit. ASF. Fig. 85 Bambini radunati sulla scalinata di accesso della colonia Fiat. ASF. Fig. 86 Squadra di bambini di fronte alla torre Fiat, 1933. ASF.

Fig. 87 Bambini che corrono in spiaggia di fronte alla torre Fiat. Manifesto per l’architettura del

gruppo Fiat... cit. ASF.

Fig. 88 Saluto fascista di fronte alla torre Fiat. ASF. Fig. 89 Una camerata della torre. ASF.

Fig. 90 Bambini radunati nel refettorio della torre. ASF.

Fig. 91 La costruzione della colonia Fiat: a 50 giorni. Modello tridimensionale. Fig. 92 La costruzione della colonia Fiat: a 60 giorni. Modello tridimensionale. Fig. 93 La costruzione della colonia Fiat: a 70 giorni. Modello tridimensionale. Fig. 94 La costruzione della colonia Fiat: a 100 giorni. Modello tridimensionale. Fig. 95 La scala antincendio inserita negli anni ’70. Fig. 96 La scalinata coperta dall’ampliamento del refettorio negli anni ’70, modello tridimensionale. Fig. 97 La colonia com’era originariamente. Vista lato mare. Modello tridimensionale. Fig. 98 La colonia com’era originariamente. Vista lato monte. Modello tridimensionale. Fig. 99 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano interrato. Fig. 100 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano terra. Fig. 101 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano primo. Fig. 102 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta piano tipo. Fig. 103 Particolare dei serramenti scorrevoli delle camerate. Fig. 104 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, pianta della copertura Fig. 105 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, sezione longitudinale. Colonia marina a Marina di Massa,

“L’Architettura Italiana”, XXVIII, fasc. 12, dicembre 1933, p.254. Fig. 106 Colonia ‘Edoardo Agnelli’, sezione trasversale. AME.

Fig. 107 La struttura della torre senza i pilastri esterni. Modello tridimensionale. Fig. 108 La struttura della torre. Modello tridimensionale. Fig. 109 La costruzione della colonia Fiat, da ‘Il Bianco e Rosso’, 1933. ASF.

Fig. 110 Cantiere della colonia Fiat, 1933. Collezione privata Miniati.

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ABBREVIAZIONI

ACM : Archivio Comune di Massa

AME : Archivio Maire Engeneering

APM : Archivio Prefettura di Massa

ASF : Archivio Storico Fiat

ASM : Archivio di Stato di Massa

BCM : Biblioteca Civica di Massa