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Universit ` a degli studi di Camerino Scuola di Scienze e Tecnologie Corso di Laurea Magistrale in Matematica e applicazioni - LM 40 Dipartimento di Matematica e Informatica NODI E BILIARDI Tesi di Laurea in Geometria (S.S.D. MAT03) Relatore: Laureando: Prof. Riccardo Piergallini Federico Rulli Anno Accademico 2012 - 2013

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Universita degli studi di Camerino

Scuola di Scienze e Tecnologie

Corso di Laurea Magistrale in Matematica e

applicazioni - LM 40

Dipartimento di Matematica e Informatica

NODI E BILIARDI

Tesi di Laurea in Geometria (S.S.D. MAT03)

Relatore: Laureando:

Prof. Riccardo Piergallini Federico Rulli

Anno Accademico 2012 - 2013

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Indice

Introduzione 3

Capitolo 1. Nozioni introduttive 4

1. Cenni di teoria dei nodi 4

2. Le trecce ed il Teorema di Manturov 12

3. Le traiettorie biliardo 26

Capitolo 2. Ellissi e funzioni ellittiche 31

1. Le proprieta ottiche dell’ellisse 31

2. Le funzioni ellittiche di Jacobi e il Teorema di Poncelet 40

Capitolo 3. Il Teorema di Pecker 44

1. Poligonali di Poncelet completamente irregolari 44

2. Il teorema di Pecker 50

Bibliografia 54

2

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Introduzione

3

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CAPITOLO 1

Nozioni introduttive

1. Cenni di teoria dei nodi

La teoria dei nodi e una branca della geometria che studia delle

particolari varieta immerse unidimensionali dette nodi. La definizione

precisa di nodo e la seguente:

Definizione 1.1. Sia γ : S1 → R3 una mappa continua e iniettiva.

L’immagine K := γ(S1) e detta nodo. Qualora γ si possa estendere

ad una mappa continua ed iniettiva γ : S1 ×D2 → R3 tale che γ(t) =

γ(t, 0) ∀t ∈ S1, il nodo si dice docile. L’unione finita di piu nodi

disgiunti prende il nome di nodo a piu componenti, in inglese link. Un

nodo a piu componenti si dice docile se sono tali le sue componenti.

Si osservi che un nodo ad una componente si puo equivalentemente

definire come l’immagine di una mappa continua γ : [0, 2π] → R3

iniettiva nell’intervallo semiaperto [0, 2π) e tale che γ(0) = γ(2π).

Nel seguito ci occuperemo principalmente di nodi docili, che pos-

sono essere visti come un modello matematico di cio che fisicamente si

realizza intrecciando una corda e saldandone le estremita. I nodi non

docili, infatti, possono presentare caratteristiche patologiche, quali ad

esempio dei punti intorno ai quali il nodo perde le proprieta di una

varieta topologica. In figura e riportata una proiezione planare di un

nodo indocile.

4

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 5

I nodi docili costituiscono varieta topologiche unidimensionali com-

patte, e come tali sono orientabili. L’orientazione standard associata

ad un nodo ad una componente K e quella indotta dall’orientazione

positiva di S1 tramite l’appicazione γ. Con il simbolo −K si deno-

ta il nodo K munito dell’orientazione opposta a quella di K. Esempi

particolari di nodi docili sono dati dal sostegno di una mappa diffe-

renziabile regolare (parleremo in questo caso di nodo liscio) oppure da

una poligonale chiusa semplice in R3 con un numero finito di lati (nodo

poligonale).

Nell’insieme dei nodi sono definite le seguenti relazioni:

Definizione 1.2. Siano K,K ′ ⊂ R3 nodi (ad una o piu componenti).

Se esiste un omeomorfismo h : R3 → R3 tale che h(K) = K ′, i nodi

si dicono equivalenti, e la relazione fra essi si indica con K ∼= K ′.

Se esiste una isotopia ambiente ht(x) : R3 × [0, 1] → R3 tale che

h0 = IdR3 , h1(K) = K ′, i due nodi si dicono isotopicamente equivalenti,

K ≡ K ′.

Sulla base di queste relazioni si definiscono i nodi banali:

Definizione 1.3. Un nodo ad m componenti (eventualmente con

m = 1 se il nodo e semplice) e denominato banale se e isotopicamente

equivalente ad S1 × 0, . . . ,m− 1 ⊂ R3.

Si osservi che i nodi banali non sono tutti isotopicamente equivalenti

tra loro; e pero vero che per ogni valore fissato dim sono isotopicamente

equivalenti i nodi banali ad m componenti.

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 6

Entrambe le relazioni sono di equivalenza dal punto di vista alge-

brico (cioe godono delle proprieta riflessiva, transitiva e simmetrica),

ma sono distinte fra loro. In particolare osserviamo che l’equivalenza

semplice e piu debole dell’equivalenza isotopica, dal momento che l’o-

meomorfismo h : R3 → R3 che porta K in un nodo equivalente K ′

puo non essere isotopo all’identita di R3: se h conserva l’orientazione

dello spazio, allora h e isotopo all’identita, se invece inverte l’orienta-

zione e isotopo ad una riflessione σ di R3 rispetto ad un piano. Ne

segue che K ∼= K ′ se e solo se vale una delle due equivalenze isotopiche

K ≡ K ′, σ(K) ≡ K ′. Con il simbolo K denoteremo il nodo σ(K) otte-

nuto per riflessione; si osservi che la scelta di σ non influisce sulla classe

di equivalenza isotopica di K, che quindi potremo intendere come una

generica immagine riflessa di K.

Un nodo K per cui vale K ≡ K e detto asimmetrico o chirale,

ed e tale che [K]≡ ⊂ [K]∼=; piu precisamente, la classe di equivalenza

semplice e partizionata dalle classi di equivalenza isotopica di K,K. Se

invece K ≡ K il nodo e simmetrico o anfichirale, e vale [K]≡ = [K]≡ =

[K]∼=. Esistono esempi di nodi asimmetrici e simmetrici, come il nodo

trifoglio e il nodo a otto. In figura sono riportati, da sinistra a destra,

le due forme chirali del nodo trifoglio ed il nodo a otto.

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 7

Un nodo K isotopicamente equivalente a −K e detto invertibile:

si intende cioe che esiste un omeomorfismo di R3 in se che mantiene

l’orientazione di R3, manda K in se ed inverte l’orientazione di K. I

nodi trifoglio ed il nodo a otto sono invertibili, ma esistono esempi di

nodi non invertibili, fra i quali il piu semplice e classificato come 817

secondo la notazione di Alexander-Briggs.

Con una certa liberta di linguaggio, si puo intendere per nodo K sia

il sostegno, sia la parametrizzazione, sia la classe di equivalenza isoto-

pica, sia la classe di equivalenza di K (in quest’ultimo caso puo essere

utile distinguere la forma destrorsa e sinistrorsa del nodo, qualora es-

so sia chirale), secondo i contesti. Parlando di nodo trifoglio, quindi,

possiamo indicare la classe di equivalenza di tutti i nodi trifoglio, even-

tualmente riservando le nomenclature trifoglio destro e trifoglio sinistro

alle due classi di equivalenza isotopica.

Proposizione 1.4. Sia K ⊂ R3 un nodo docile. Allora esistono

almeno un nodo liscio ed un nodo poligonale isotopicamente equivalenti

a K.

Questa proposizione implica che ogni classe di equivalenza isotopica

di nodi docili puo essere rappresentata da un nodo liscio o da un nodo

poligonale.

Al fine di raffigurare un nodo docile K ⊂ R3 in due dimensioni e

utile considerare un suo diagramma liscio, ovvero l’immagine di una

proiezione su R2 × 0 di una realizzazione liscia di K, che presen-

ti un numero finito di singolarita trasversali doppie, chiamate incroci

del diagramma. Per ogni nodo liscio e possibile scegliere almeno una

direzione di proiezione tale che l’immagine e un diagramma liscio del

nodo; con questo intendiamo che esiste un versore v ∈ S2 tale che

(K + Rv) ∩ (R2 × 0) possiede le caratteristiche che definiscono un

diagramma liscio. In realta si puo provare, attraverso il Teorema di

Morse-Sard, che l’insieme dei versori con questa proprieta e denso in

S2.

Osserviamo pero che l’immagine della proiezione non basta da sola

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 8

ad identificare il nodo: ad esempio, un nodo chirale e la sua riflessione

rispetto al piano R2 × 0 non sono isotopicamente equivalenti, ma le

loro proiezioni canoniche (cioe secondo il versore (0, 0, 1)∗) su R2×0coincidono. Dunque e necessario che ad ogni incrocio sia associata una

informazione su quale arco del nodo debba passare ”sotto” all’altro:

piu precisamente, per ogni incrocio c ∈ (K +Rv) ∩ (R2 × 0) devonoesistere due punti distinti x, y ∈ K e due numeri reali λx, λy ∈ R tali

che x + λxv = y + λyv = c; l’informazione consiste in una delle due

disuguaglianze λx ≷ λy. Quando ad ogni incrocio del diagramma e

associata una di queste disuguaglianze, e possibile ricostruire il nodo

a meno di isotopia. Nella rappresentazione grafica di un diagramma,

l’informazione agli incroci viene codificata mostrando una interruzione

di uno degli archi, che sara quello corrispondente al valore minore fra

λx, λy.

Talvolta ci sara utile fare anche riferimento a diagrammi poligonali,

ovvero immagini di proiezioni di nodi poligonali le cui singolarita sono

al piu punti angolosi o punti doppi (in questo caso la trasversalita dei

punti doppi e garantita dal fatto che il diagramma e unione finita di

segmenti). Anche qui e necessario che ai diagrammi siano associate

delle informazioni agli incroci, in modo da poter determinare il nodo a

meno di isotopia.

Osservazione 1.5. In generale non e possibile richiedere che un dia-

gramma di un nodo liscio sia privo di singolarita, o che un diagramma

di un nodo poligonale sia una spezzata semplice (cioe priva di punti

doppi): per il Teorema di Jordan-Schonfließ, il complementare di una

curva continua, chiusa e semplice in R2 e omeomorfo ad R2 \ S1. In

altre parole, se un nodo ad una componente possiede un diagramma

senza punti doppi, allora esso e isotopicamente equivalente a qualche

nodo il cui diagramma e S1. A sua volta, un nodo di questo tipo e

isotopicamente equivalente ad S1 × 0, cioe e banale. Questo ragio-

namento si estende anche ai nodi a piu componenti: se il diagramma

e privo di punti doppi, allora e unione disgiunta di m curve continue,

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 9

chiuse e semplici, e il nodo corrispondente e isotopicamente equivalente

ad S1 × 0, . . . ,m− 1.Di conseguenza, i nodi non banali ammettono solo diagrammi mu-

niti di punti doppi. L’esistenza di nodi non banali si puo dedurre in

vari modi costruendo degli invarianti isotopici, ovvero degli oggetti o

delle proprieta associate ai nodi e che non variano a meno di deforma-

zioni isotopiche del nodo. Una proprieta invariante e la chiralita: dal

momento che i nodi banali sono achirali e il nodo trifoglio e chirale, ne

segue che il nodo trifoglio e non banale.

Ovviamente, uno stesso nodo puo possedere diagrammi fra loro

distinti (cio puo dipendere da una diversa scelta della direzione di pro-

iezione, o da diverse realizzazioni del nodo in R3), tuttavia esiste un

criterio che permette di stabilire se due diagrammi rappresentano nodi

equivalenti a meno di isotopia.

Definizione 1.6. I movimenti di Reidemeister sono le seguenti de-

formazioni di un diagramma:

Dove si intende che tali deformazioni possono essere effettuate in

entrambi i sensi.

Due diagrammi si dicono equivalenti se e possibile passare da uno

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 10

all’altro per mezzo di un numero finito di movimenti di Reidemeister.

Alterare un diagramma attraverso un numero finito di movimenti

di Reidemeister non cambia la classe di equivalenza isotopica del nodo

rappresentato, ovvero diagrammi equivalenti rappresentano nodi isoto-

picamente equivalenti. Il viceversa continua ad essere vero, ma rappre-

senta un risultato non banale noto come Teorema di Reidemeister, di

cui non riportiamo la dimostrazione.

Teorema 1.7 (di Reidemeister). Due nodi sono isotopicamente equi-

valenti se e solo se ammettono diagrammi equivalenti.

Per terminare questa sezione definiamo una classe di nodi che ci

sara utile nel seguito.

Definizione 1.8. Fissati due interi p, q ∈ Z \ 0 con massimo co-

mune divisore m = MCD(p, q), si definisce il nodo torico Tp,q come

l’unione di curve parametrizzate da γ0, . . . , γm−1 : [0, 2π] → R3 dove

ciascuna γj e cosı definita:

γj(t) =

(2 + cos

(ptm+ 2qjπ

mp

))cos(qtm

)(2 + cos

(ptm+ 2qjπ

mp

))sin(qtm

)− sin

(ptm

) .

Per la periodicita e continuita delle funzioni seno e coseno, le varie

γj parametrizzano effettivamente dei nodi, quindi Tp,q e un nodo ad m

componenti.

Se p, q sono primi fra loro il sostegno del nodo si riduce alla curva pa-

rametrizzata da γ(t) = ((2+cos(pt)) cos(qt), (2+cos(pt)) sin(qt),− sin(pt)).

Prendendo p = 3, q = 2 si ottiene il nodo trifoglio destro.

Elenchiamo alcune proprieta che accomunano i nodi torici, senza

riportarne le dimostrazioni.

(1) T−p,−q ≡ −Tp,q ≡ Tp,q, cioe i nodi torici sono invertibili;

(2) T−p,q ≡ Tp,−q ≡ T p,q ≡ Tp,q cioe i nodi torici sono chirali;

(3) Tp,q ≡ Tq,p;

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1. CENNI DI TEORIA DEI NODI 11

(4) Tp,q e banale se e solo se almeno uno degli interi p, q vale ±1.

Il nodo torico parametrizzato come nella definizione puo essere pro-

iettato in R2 × 0 secondo la proiezione canonica, dando luogo ad

un diagramma liscio di Tp,q. Inoltre, dal momento che Tp,q ≡ Tq,p

possiamo assumere |p| ≥ |q| e costruire la spezzata chiusa di vertici

Aj :=(cos(

2qjπp

), sin

(2qjπp

)), Tj :=

12sgn(2p − q)(Aj + Aj+1) e lati

[AjTj], [TjAj+1] per j = 0, . . . , p − 1. Per p, q primi fra loro, questa

spezzata costituisce un diagramma poligonale di Tp,q, dove si e posto

per convenzione Ap = A0. Qualora valga anche |p| ≥ 2|q|+1, tale spez-

zata si riduce alla stella poligonale di lati [AjAj+1]. Per realizzare un

diagramma poligonale di un nodo torico a piu componenti e necessario

unire m spezzate, ognuna ottenuta ruotando A0T0A1T1 . . . A pm−1T p

m−1

di un angolo 2qhπmp

, h = 0, . . . ,m− 1.

Figura 1. A sinistra la proiezione canonica in R2 del

nodo trifoglio destro, T3,2. A destra il diagramma poli-

gonale del trifoglio destro costruito in maniera standard:

si osservi che non e una stella poligonale, poiche 3 < 2×2.

Osservazione 1.9. Se p, q sono primi fra loro, il valore q corrisponde

all’indice di allacciamento rispetto all’origine di R2 della spezzata chiu-

sa A0A1 . . . Ap−1, munita dell’orientazione indotta da quella del nodo

torico (e quindi, a monte, dall’orientazione positiva di S1). Se inve-

ce p, q hanno divisori comuni non banali, allora q e la somma degli

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 12

indici di allacciamento rispetto all’origine di tutte le componenti del

diagramma.

La scrittura

pq

verra utilizzata per indicare la stella poligonale

con |p| vertici e indice di allacciamento q, essendo MCD(p, q) = 1, |p| ≥2|q| + 1. Se MCD(p, q) = m > 1, l’abuso di notazione

pq

stara

ad indicare l’unione di m stelle poligonali ottenute ruotando

p/mq/m

attorno all’origine. D’ora in poi considereremo sempre p, q positivi.

Figura 2. A destra il diagramma di T8,−3 realizzato dal-

la stella poligonale

83

. A sinistra il diagramma di T8,2:

esso e l’unione di due stelle poligonali della forma

41

.

2. Le trecce ed il Teorema di Manturov

In questa sezione definiamo degli oggetti affini ai nodi, ovvero le

trecce, per poi enunciare e dimostrare il Teorema di Manturov, il quale

in una delle sue formulazioni afferma che ogni nodo (ad una o piu

componenti) ammette

pq

come diagramma poligonale, per qualche

scelta di p, q.

Definizione 1.10. Si dice spazio delle configurazioni di q punti in

R2 l’insieme ΓqR2 = x0, . . . , xq−1 : xj ∈ R2, xj = xh ∀j = h.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 13

Questo insieme puo essere interpretato come il sottoinsieme di (R2)q

composto dalle q-ple di punti a due a due distinti, quozientato per

l’azione del gruppo simmetrico Sq; di conseguenza esso e munito di

una topologia indotta da quella standard di R2q, ed acquisisce anche

una struttura di varieta topologica reale 2q-dimensionale.

Definizione 1.11. Fissato un punto ⋆ ∈ ΓqR2, chiamiamo q-treccia

di base ⋆ un cappio dello spazio ΓqR2, ovvero un cammino continuo

β : [0, 1] → ΓqR2 tale che β(0) = β(1) = ⋆, o ancora un elemento

β ∈ Ω(ΓqR2, ⋆).

Due trecce β, β′ di base ⋆ si dicono equivalenti, β ≃ β′, se esiste una

isotopia H : [0, 1]2 → ΓqR2 tale che H(t, 0) = β(t), H(t, 1) = β′(t) e

cheH(0, s) = H(1, s) = ⋆ ∀s. Le trecce equivalenti alla treccia costante[0, 1] → ⋆ sono chiamate banali.

Due trecce β0, β1 di base ⋆ possono essere concatenate secondo

l’operazione

β0 β1(t) :=

β0(2t) se 0 ≤ t ≤ 1

2

β1(2t− 1) se 12≤ t ≤ 1

la quale mantiene l’equivalenza: se β0 ≃ β′0, β1 ≃ β′

1, allora β0 β1 ≃β′0 β′

1. In questo modo, la concatenazione si puo applicare alle classi

di equivalenza ponendo [β0]≃ [β1]≃ := [β0 β1]≃. Osserviamo inoltre

che per ogni β di base ⋆ , la costruzione β−1(t) := β(1− t) da luogo ad

una nuova treccia di base ⋆ che gode della proprieta β β−1 ≃ β−1 β ≃ ⋆, e che quindi chiameremo treccia inversa di β. Infine osseviamo

che l’operazione di concatenazione non e associativa, poiche le trecce

(β0 β1) β2, β0 (β1 β2) pur avendo lo stesso supporto in ΓqR2 non

sono parametrizzate allo stesso modo; tuttavia, esse sono equivalenti,

quindi l’associativita vale per la concatenazione delle rispettive classi

di equivalenza.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 14

Queste considerazioni ci permettono di costruire il gruppo di treccia

di ordine q: Bq = (Ω(ΓqR2, ⋆)/ ≃, ) il cui elemento neutro e la classe

delle trecce banali. D’ora in poi indicheremo la concatenazione di due

trecce β0, β1 semplicemente come β0β1.

Data una treccia β costruiamo l’insieme B = (t, x) ∈ [0, 1]× R2 :

x ∈ β(t), che puo essere inteso in maniera impropria come il grafico

di β e ne restituisce l’aspetto geometrico in R3. Anche qui, secondo i

contesti, col termine treccia potremo intendere il cappio β, la classe di

equivalenza isotopica, o il grafico B.

Definizione 1.12. Una treccia β e detta liscia se e una mappa dif-

ferenziabile di [0, 1] in ΓqR2 relativamente alle strutture differenziabili

standard di [0, 1],ΓqR2; equivalentemente, se il suo grafico B e unione

disgiunta finita di sottovarieta differenziabili unidimensionali con bordo

in R3.

Una treccia β e detta poligonale se il suo grafico B e unione finita

di segmenti in R3.

Proposizione 1.13. Sia β : [0, 1] → ΓqR2 una treccia di base ⋆ ∈

ΓqR2. Allora esistono una treccia liscia ed una treccia poligonale di

base ⋆ equivalenti a β.

Possiamo scegliere ⋆ in modo che sia contenuto nel disco unitario

B2 ⊂ R2, e supporre a meno di isotopia che le trecce con base in ⋆ siano

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 15

in ogni istante t contenute in B2; in questo modo i grafici delle trecce

saranno contenuti nel cilindro [0, 1]×B2. Sia quindi β una treccia con

questa caratteristica; poiche β(0) = β(1) = ⋆, ha senso quozientare

il cilindro [0, 1] × B2 identificando le sue basi 0 × B2, 0 × B2 e

mantenedo la continuita del grafico della treccia. Il risultato e un toro

solido della forma S1 × B2 contenente il grafico della treccia in cui

sono state identificate le ”estremita” 0 × ⋆, 1 × ⋆. Il toro solido

puo essere immerso in maniera differenziabile in R3, e di conseguenza

anche il grafico quozientato, che risultera essere un nodo detto chiusura

della treccia. In simboli si scrive K = β oppure K = B, essendo β la

treccia e B il suo grafico.

Figura 3. Una treccia e un nodo isotopicamente equi-

valente alla sua chiusura. La costruzione del diagramma

del nodo e intesa ad evidenziare la correlazione fra i due

oggetti. La zona ombreggiata riproduce la treccia.

Teorema 1.14 (di Alexander). Ogni nodo e chiusura di una treccia.

Come per i nodi, anche per le trecce e utile definire i diagrammi lisci

e poligonali proiettando su R2 × 0 secondo la direzione determinata

da un versore v ∈ 0 × S1 i grafici di una realizzazione liscia ed una

realizazione poligonale della treccia, rispettando le seguenti clausole:

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 16

(1) la proiezione e iniettiva se ristretta all’insieme 0, 1× ⋆ ⊂ B;

(2) l’immagine della proiezione di B e rispettivamente unione fini-

ta di varieta unidimensionali con bordo in R2 con intersezioni

di tipo trasversale (per un diagramma liscio) o unione finita di

segmenti con intersezioni trasversali (diagramma poligonale).

Ancora per il Teorema di Morse-Sard, l’insieme di versori v ammissibili

e denso in 0 × S1. I diagrammi determinano la treccia a meno di

equivalenza se e solo se ad ogni incrocio e associata un’informazione su

quale arco debba passare sopra l’altro.

Dall’osservazione dei diagrammi si ricavano molte informazioni ri-

guardo il gruppo di treccia Bq. Innanzi tutto, la treccia β induce una

permutazione degli elementi di ⋆, che ricordiamo essere un insieme di

punti della forma x0, . . . , xq−1 ∈ R2; infatti gli archi che compongono

il diagramma hanno estremi iniziali nei punti (0, xj), e finali nei punti

(1, xj) per j = 0, . . . , q − 1. Ad uno specifico xj e quindi associato in

maniera naturale l’estremo opposto dell’arco a cui appartiene, che sara

identificato dall’indice s(j) per una opportuna permutazione s ∈ Sq.

L’applicazione che associa β 7→ s e un morfismo suriettivo di gruppi,

pertanto Bq possiede un sottogruppo isomorfo ad Sq. Per q = 1 il

gruppo B1 contiene solo la treccia banale, dal momento che i soli grafi-

ci ammissibili sono composti da un singolo arco senza autointersezioni.

Ne segue che B1∼= S1. Tuttavia, per q > 1 il gruppo Bq cessa di essere

isomorfo ad Sq, poiche l’applicazione β 7→ s non e iniettiva; per ren-

dersene conto si considerino due trecce con lo stesso grafico ma diversa

informazione agli incroci: ad entrambe e associata la stessa permuta-

zione. In figura sono riportate due trecce non equivalenti di B5 a cui e

associata la stessa permutazione appartenente ad S5.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 17

Definizione 1.15. Una treccia di base ⋆ e detta pura se ad essa

e associata la permutazione identica degli elementi di ⋆, ovvero la

permutazione banale di Sq.

Le trecce banali sono necessariamente pure; inoltre, la composizione

e l’inversione di trecce pure forniscono come risultato altre trecce pure.

Di conseguenza il sottoinsieme di Bq composto dalle classi di trecce

pure e un sottogruppo, chiamato gruppo di treccia puro di ordine q ed

indicato con PBq.

Al fine di fornire una presentazione finita del gruppo di treccia Bq

osserviamo che, a meno di equivalenza isotopica, si puo assumere che

il diagramma di una treccia possieda valori distinti per le ascisse dei

suoi incroci, come in figura.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 18

Si vede quindi che la treccia e composizione finita delle trecce fon-

damentali σj, σ−1j con diagrammi:

La permutazione associata ad entrambe e lo scambio (j, j+1) ∈ Sq

per j = 0, . . . , q − 2.

Il gruppo Bq e quindi generato da σ0, . . . , σq−2, ma non coincide col

gruppo libero ⟨σ0, . . . , σq−2⟩, poiche presenta delle relazioni non banali,

dette di Artin, che ora ricaveremo.

In primo luogo, l’applicazione del terzo movimento di Reidemeister

ad un diagramma di treccia mantiene la classe di equivalenza della

treccia e genera le relazioni non banali σjσj+1σj ≃ σj+1σjσj+1 ∀j =

0, . . . , q − 3, vedi figura. Gli altri due movimenti di Reidemeister non

sono necessari: il primo perche viola la natura della treccia facendo

perdere la monotonia degli archi di cui essa e composta; il secondo

perche genera le relazioni banali σjσ−1j ≃ σ−1

j σj ≃ ⋆.

In secondo luogo osserviamo che il gruppo Bq non e abeliano (ad

esempio vale σjσj+1 ≃ σj+1σj), pero alcune coppie di generatori com-

mutano. Se prendiamo due indici j, h tali che j ≤ h − 2, i rispettivi

σj, σh verificano la relazione di commutativita σhσh ≃ σhσj.

Questi due insiemi di relazioni non possono essere ulteriormente

ampliati: sapendo che il gruppo simmetrico Sq e generato dagli scambi

sj = (j, j+1), ed ammette la presentazione ⟨s0, . . . , sq−2| s2j = Id ∀ 0 ≤j ≤ q−2, sjsj+1sj = sj+1sjsj+1 ∀ 0 ≤ j ≤ q−3, sjsh = shsj ∀ 0 ≤ j ≤

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 19

Figura 4. Sopra: il terzo movimento di Reidemeister

genera la relazione σjσj+1σj ≃ σj+1σjσj+1. Sotto, l’iso-

topia di treccia associata alla relazione σhσh ≃ σhσj per

j ≤ h− 2.

h− 2 ≤ q− 4⟩, ed e isomorfo ad un sottogruppo di Bq, allora un even-

tuale ampliamento della presentazione di Bq potrebbe al piu contenere

qualche relazione della forma σ2j ≃ ⋆, ma quest’ultima e equivalente

a σj ≃ σ−1j , che nel gruppo di treccia e evidentemente falsa. Rimane

cosı provato che Bq = ⟨σ0, . . . , σq−2| σjσj+1σj ≃ σj+1σjσj+1 ∀ 0 ≤ j ≤q − 3, σjσh ≃ σhσj ∀ 0 ≤ j ≤ h− 2 ≤ q − 4⟩.

Osservazione 1.16. Dati due gruppi di treccia Bq, Bq′ con q ≤ q′,

esiste una immersione naturale di Bq in Bq′ : se σ0, . . . , σq′−2 sono i

generatori di Bq′ , allora Bq e isomorfo al sottogruppo di Bq′ generato

da σ0, . . . , σq−2. L’immersione ı : Bq → Bq′ manda le trecce di Bq in

trecce di Bq′ operando l’aggiunta di q′ − q archi che non incrociano la

treccia preesistente.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 20

Tale immersione manda la treccia banale di Bq nella treccia banale

di Bq′ , inoltre preserva la concatenazione e l’inversione di trecce. Inter-

pretando queste immersioni come inclusioni, si puo costruire la catena

B1 ⊂ B2 ⊂ · · · ⊂ Bq ⊂ Bq+1 ⊂ · · · e definire il gruppo di treccia stabile

come il limite limq→+∞Bq.

Il gruppo di treccia puro PBq e generato da un insieme finito di

trecce pure della forma bj,h := σhσh−1 · · ·σj+1σ2jσ

−1j+1 · · ·σ−1

h−1σ−1h per

0 ≤ j ≤ h ≤ q−2. Cio si puo vedere per induzione su q: se q = 2, allo-

ra gli elementi di PB2 sono codificati da sequenze composte solamente

da σ0, σ−10 , ed utilizzando la relazione σ0σ

−10 = ⋆ queste si possono ri-

durre alla forma σp0 con p intero pari (affinche le permutazioni associate

siano banali) e ancora alla forma bp/20,0 . Per il passo induttivo, si conside-

ri β ∈ PBq+1; rimuovendo il q+1-esimo arco del diagramma di β (cio e

lecito perche la treccia e pura, quindi ogni arco forma una componente

connessa di β) si ottiene una treccia δ ∈ Bq. Allora possiamo scrivere

β = βδ−1δ, intendendo δ come elemento di PBq+1 ⊃ PBq; per ipotesi

induttiva δ e concatenazione dei generatori bj,h, ed inoltre βδ−1 e tale

che la sua restrizione ai primi q archi e la treccia banale. Possiamo

quindi assumere che i primi q archi non si incrocino affatto, e che solo

il q + 1-esimo formi degli incroci con gli altri archi. A questo punto

si puo esprimere βδ−1 in termini di bj,h secondo il seguente procedi-

mento: si scrive la parola corrispondente a βδ−1 in modo che ciascun

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 21

generatore σj compaia con esponente ±1 (per questo e sufficiente che

ogni sottoparola σpj sia espressa come una sequenza di p lettere σj per

p positivo, o come −p lettere σ−1j per p negativo) e successivamente si

applicano le seguenti sostituzioni:

(1) se un generatore σj compare con esponente ±1 e corrisponde

ad un incrocio dove l’arco q + 1 passa al di sopra di un altro

arco, allora esso viene rimpiazzato dalla parola b±1j,q−1, dove

l’esponente ±1 e scelto coerentemente a quello di σj;

(2) se un generatore σj corrisponde ad un incrocio dove l’arco q+1

passa al di sotto di un altro arco, allora esso viene sostituito

con la parola vuota.

La treccia cosı realizzata e concatenazione dei generatori bj,h ed e equi-

valente a βδ−1, quindi β = βδ−1δ puo a sua volta essere scritta in

termini di bj,h.

Ricordando l’enunciato del Teorema di Alexander, si ha che ogni

nodo e associato a qualche treccia di cui e la chiusura, e di conseguen-

za puo essere codificato da una opportuna parola del gruppo Bq. Ad

esempio, il nodo torico Tp,q e codificato da τp,q := (σ0σ1 · · ·σq−3σq−2)p,

che quindi prende il nome di parola torica o treccia torica. Una trec-

cia quasitorica e invece una concatenazione di parole (eventualmente

diverse fra loro) del tipo σ±10 σ±1

1 · · ·σ±1q−3σ

±1q−2, dove ciascun esponente

±1 e indipendente dagli altri.

Osservazione 1.17. La permutazione associata a τp,q e (0, 1, . . . , q−2, q − 1)−p, essendo (0, 1, . . . , q − 2, q − 1) ∈ Sq la permutazione ciclica

sugli elementi 0, 1, . . . , q − 2, q − 1.

Osservazione 1.18. La codifica di un nodoK tramite una parola β ∈Bq non e univoca: in generale e possibile descrivere la stessa classe di

equivalenza isotopica diK attraverso diverse parole di Bq, o addirittura

attraverso parole appartenenti a diversi gruppi Bq, Bq′ . Il nodo banale

puo essere descritto da ⋆ ∈ B1, σ0 ∈ B2, σ0σ1 ∈ B3, σ1σ0 ∈ B3,

eccetera. Il minimo valore di q per cui esiste una treccia β ∈ Bq la cui

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 22

chiusura e il nodo K e chiamato indice di intrecciamento di K. L’unico

nodo con indice di intrecciamento uguale ad 1 e il nodo banale ad una

componente.

Il seguente teorema espone un criterio necessario e sufficiente af-

finche due trecce abbiano come chiusure due nodi isotopicamente equi-

valenti.

Teorema 1.19 (di Markov). Siano β ∈ Bq, β′ ∈ Bq′ due trecce con

q ≤ q′. Vale β ≡ β′ se e solo se esiste una sequenza finita di trecce

β0 = β, β1, . . . , βn−1, βn = β′ tali che ogni βj+1 sia ottenuta da βj

tramite una delle seguenti trasformazioni:

(1) isotopia di treccia: βj+1 ≃ βj, ovvero βj+1 e ottenuta modifi-

cando βj tramite le relazioni di Artin;

(2) coniugio: βj+1 = δβjδ−1 per qualche δ appartenente allo stesso

gruppo di treccia di βj, βj+1;

(3) stabilizzazione: per βj ∈ Br, βj+1 ∈ Br+1 vale βj+1 = βjσr−1,

essendo σr−1 il generatore di Br+1 non appartenente a Br.

Ora abbiamo gli strumenti necessari ad enunciare e dimostrare il

Teorema di Manturov annunciato all’inizio della sezione.

Teorema 1.20 (di Manturov). Ogni nodo K ad una o piu compo-

nenti e realizzabile a meno di equivalenza isotopica come chiusura di

una treccia quasitorica.

Poiche per il Teorema di Alexander ogni nodo e chiusura di una

treccia β, bisogna modificare β in una treccia quasitorica la cui chiusura

sia isotopicamente equivalente a K. Ci serviremo dei seguenti lemmi.

Lemma 1.21. L’insieme delle trecce quasitoriche in Bq e un sotto-

gruppo.

Dimostrazione. Chiaramente la treccia banale e quasitorica (di lun-

ghezza nulla), e la concatenazione di trecce quasitoriche e ancora una

treccia quasitorica. Il punto cruciale e mostrare che l’inversa di una

treccia quasitorica e equivalente ad una treccia quasitorica. Detta

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 23

β la treccia da invertire, avremo β = δ0δ1 · · · δk−2δk−1 dove ciascu-

na δj e una treccia quasitorica ”breve”, intendendo che e della forma

σ±10 . . . σ±1

q−2. E quindi sufficiente mostrare che l’inversa di una treccia

quasitorica breve δ e quasitorica. Per fare cio, estendiamo δ ad una

treccia η = η0η1 · · · ηq−2ηq−1 dove η0 := δ e ciascuna ηj e una treccia

quasitorica breve. Poiche η e composta da q trecce quasitoriche brevi,

la permutazione associata ad η e la potenza q-esima della permutazione

ciclica (0, 1, . . . , q − 2, q − 1)−1 ∈ Sq, quindi e banale.

Scegliendo opportunamente η1, . . . , ηq−1 possiamo anche fare in mo-

do che η sia la treccia banale: nel diagramma di δ esiste un unico arco

che incrocia esattamente una volta tutti gli altri archi di δ; chiamiamo

a tale arco. Ora scegliamo le informazioni agli incroci di η1, . . . , ηq−1

secondo questo criterio: se l’arco b = a passa sopra (rispettivamente,

sotto) ad a nel diagramma di δ, allora passa sopra (rispettivamente,

sotto) ad a anche nei diagrammi di ciascun ηj, j > 0. Questa costru-

zione rende η equivalente alla treccia banale di Bq, e da cio segue che

η1 · · · ηq−1 e una treccia quasitorica inversa di δ.

Lemma 1.22. Sia β ∈ Bq una treccia pura quasitorica. Allora β e

una treccia pura quasitorica in Bq+1 ⊃ Bq.

Dimostrazione. Per ipotesi β e quasitorica, quindi la permutazione

ad essa associata e della forma (0, 1, . . . , q− 2, q− 1)−p, e quest’ultima

e banale se e solo se p = qr per qualche r intero. Costruiamo ora la

treccia torica τp+r,q+1: poiche p+ r e multiplo di q+1, la treccia e pura

e la sua chiusura e un nodo torico a q + 1 componenti. Eliminando

il q + 1-esimo arco di τp+r,q+1 si ottiene, a meno di equivalenza, la

treccia τp,q (cio equivale a dire che eliminando una componente dal

nodo Tp+r,q+1 si ottiene Tp,q a meno di equivalenza isotopica). Possiamo

dunque alterare l’informazione agli incroci di τp+r,q+1 in modo che i

primi q archi riproducano gli incroci del diagramma di β, ed imporre

che il q + 1-esimo arco passi al di sotto di tutti gli altri. Il risultato e

una treccia quasitorica in Bq+1 equivalente a β.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 24

Corollario 1.23. Sia β una treccia pura quasitorica in Bq. Allora β

e quasitorica in ogni Bq′ ⊃ Bq.

Dimostrazione. Costruendo la sequenza Bq ⊂ Bq+1 ⊂ · · · ⊂ Bq′−1 ⊂Bq′ si ha che β e quasitorica in ciascun Bj, ∀q ≤ j ≤ q′ e quindi in Bq′ .

Lemma 1.24. Ogni treccia pura e quasitorica.

Dimostrazione. Il gruppo PBq e generato dall’insieme delle parole

bj,h = σhσh−1 · · ·σj+1σ2jσ

−1j+1 · · ·σ−1

h−1σ−1h = (σ−1

j σ−1j+1 · · · σ−1

h−1σ−1h )−1

(σjσ−1j+1 · · ·σ−1

h−1σ−1h ), ciascuna delle quali e quasitorica in Bh−j+2 (even-

tualmente rinominando gli indici dei vari σj; si osservi anche che

(σ−1j σ−1

j+1 · · ·σ−1h−1σ

−1h )−1 e quasitorica perche inversa della treccia quasi-

torica σ−1j σ−1

j+1 · · ·σ−1h−1σ

−1h ) e quindi anche in Bq. Di conseguenza ogni

treccia pura, essendo concatenazione delle bj,h, e a sua volta quasitorica

in Bq.

Lemma 1.25. Sia β ∈ Bq una treccia. Allora per qualche q′ ≥ q

esiste una treccia β′ ∈ Bq′ equivalente a β a meno di movimenti di

Markov, e tale che la permutazione associata a β′ e una potenza della

permutazione ciclica (0, 1, . . . , q′ − 2, q′ − 1) ∈ Sq′ .

Dimostrazione. Sia s ∈ Sq la permutazione associata a β, e si consi-

derino le orbite degli elementi 0, 1, . . . , q − 2, q − 1 sotto l’azione di s,

ovvero i sottoinsiemi di 0, 1, . . . , q− 2, q− 1 chiusi rispetto all’azione

di s; la restrizione di s a ciascuna di queste orbite e una permutazione

ciclica. Le cardinalita di tali orbite caratterizzano s a meno di coniugio,

dal momento che due permutazioni in Sq sono coniugate se e solo se

sono esprimibili come prodotti di cicli disgiunti a due a due della stessa

lunghezza. Possiamo quindi supporre, a meno di coniugio di s e di β,

che s sia della forma c0 c1 · · · ck−1 dove i vari cj sono cicli a due a

due disgiunti agenti sulle orbite di s, e che c0 sia il ciclo di lunghezza

minima fra quelli che compongono s, e ancora che q − 1 sia contenuto

nell’orbita di s relativa a c0.

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2. LE TRECCE ED IL TEOREMA DI MANTUROV 25

Ora, applicando a β il movimento di stabilizzazione di Markov si

ottiene la nuova treccia βσq−1 ∈ Bq+1, la cui permutazione associata e

(q − 1, q) s = (q − 1, q) c0 c1 · · · ck−1. Poiche il ciclo c0 contiene

q − 1, la composizione (q − 1, q) c0 sara ancora un ciclo, stavolta di

lunghezza #c0 + 1.

Iterando piu volte questi due movimenti di Markov, possiamo ot-

tenere una permutazione s i cui cicli sono tutti della stessa lunghezza

ℓ := max#c0, . . . ,#ck−1. Se scegliamo q′ := kℓ e s′ := (0, 1, . . . , kℓ−2, kℓ−1)k si puo osservare che s′ e composizione di k cicli di lunghezza

ℓ, e quindi e coniugata ad s; anche quest’ultimo passaggio da s ad s′ si

realizza per mezzo di un movimento di Markov sulla treccia β, che da

luogo alla treccia β′ che soddisfa la tesi.

Lemma 1.26. Sia β ∈ Bq una treccia la cui permutazione associata

e una potenza della permutazione ciclica (1, 2, . . . , q− 2, q− 1). Allora

β e quasitorica.

Dimostrazione. Detta s la permutazione associata a β, sara s =

(0, 1, . . . , q − 2, q − 1)p per qualche p naturale. Allora la treccia β′ :=

βτp,q e associata alla permutazione banale, cioe e pura. Avendo pro-

vato che le trecce pure sono quasitoriche, ne segue che β = β′τ−1p,q e

quasitorica.

Dimostrazione. [del teorema di Manturov] Per il Teorema di Alexander

esiste una treccia β la cui chiusura e isotopicamente equivalente al nodo

K. Per i lemmi precedenti β e equivalente a meno di isotopia e di

movimenti di Markov ad una treccia quasitorica, diciamo β′. Per il

teorema di Markov vale β′ ≡ β ≡ K.

In sostanza, il Teorema di Manturov asserisce che per ogni nodo

K si puo realizzare un diagramma analogo a quello di un nodo tori-

co, eventualmente modificando solo l’informazione agli incroci. Inoltre,

poiche l’insieme delle trecce quasitoriche in Bq e un gruppo, esistono

trecce quasitoriche banali arbitrariamente lunghe, pertanto il numero p

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3. LE TRAIETTORIE BILIARDO 26

di trecce quasitoriche brevi che compongono K puo essere preso gran-

de a piacere, ad esempio p ≥ q + 1; quindi possiamo supporre che il

diagramma del nodo sia la stella poligonale

pq

.

Un’altra condizione che possiamo imporre e che sia p dispari: an-

che qui, e sufficiente concatenare una treccia quasitorica banale breve

qualora il valore iniziale di p sia pari.

La figura mostra il nodo trifoglio realizzato come chiusura della

treccia quasitorica σ40σ

−10 ∈ B2 (la treccia quasitorica σ3

0 e stata conca-

tenata alla parola banale σ0σ−10 al fine di avere p = 5 ≥ 2q+1 = 2×2+1)

e il nodo a otto come chiusura di (σ0σ−11 )2(σ0σ1σ0σ

−11 σ−1

0 σ−11 )2 ∈ B3,

dove sono state usate due copie della parola banale σ0σ1σ0σ−11 σ−1

0 σ−11

allo stesso scopo.

3. Le traiettorie biliardo

Dato un sottoinsieme D ⊂ Rn limitato, chiuso regolare e connesso

(relativamente alla topologia standard di Rn) con bordo ∂D regolare a

pezzi, consideriamo la traiettoria di un punto materiale che si muove

in D in maniera rettilinea uniforme con velocita unitaria; quando tale

traiettoria incontra ∂D in un punto regolare, l’oggetto viene deviato

secondo la legge degli specchi, ovvero secondo una riflessione rispetto

alla normale a ∂D. La traccia di tale moto e chiamata traiettoria bi-

liardo o orbita, e consiste in una curva parametrizzata α definita su

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3. LE TRAIETTORIE BILIARDO 27

un intervallo aperto (che supporremo massimale rispetto all’inclusio-

ne) I ⊂ R, I ∋ 0 a valori in D a cui sono associati una successione

strettamente crescente T = tjj∈Z ⊂ I, T ∋ 0 e un insieme di vettori

V = vjj∈Z ⊂ Sn−1 con queste proprieta:

(1) α(t) ∈ ∂D ⇔ ∃j tale che t = tj;

(2) α(tj) e un punto regolare di ∂D per ogni j;

(3) α[tj ,tj+1](t) = α(tj) + (t− tj)vj;

(4) detto nj il versore normale a ∂D entrante in α(tj), esiste λj > 0

tale che vj − vj−1 = λjnj.

Si osservi che dalla quarta clausola discende che la traccia di α in-

terseca trasversalmente ∂D in un insieme numerabile di punti regolari

di ∂D, infatti ⟨vj−1, nj⟩ = −λj < 0, ⟨vj, nj⟩ = λj > 0 ∀j ∈ Z. Tali

punti α(tj) costituiscono i vertici della traiettoria, che spesso indiche-

remo con Aj. Le immagini α([tj, tj+1]), in quanto segmenti rettilinei,

prendono il nome di lati della traiettoria. Il sostegno di α(t) per valori

t ≥ 0 e detto orbita futura, mentre per t ≤ 0 si parla di orbita passata.

A questo punto e lecito chiedersi se, dato un biliardo D ⊂ Rn con

le caratteristiche sopra citate, esistano una posizione ed una direzione

iniziali α(0), α′(0) tali che la traiettoria sia ben definita. Le condizioni

affinche cio avvenga e che i punti α(tj) siano regolari in ∂D per ogni

j, e che la traiettoria non intersechi ∂D tangenzialmente. Il prossimo

risultato mostra come l’insieme delle coppie posizione-direzione non

ammissibili sia a misura nulla in un opportuno spazio.

Teorema 1.27. Sia D ⊂ Rn limitato, chiuso regolare, connesso e

con bordo regolare a pezzi. Allora l’insieme P delle coppie (p, v) tali

che la traiettoria con condizioni iniziali α(0) = p, α′(0) = v non sia ben

definita e a misura nulla in D × Sn−1.

Dimostrazione. Poiche ∂D e regolare a pezzi, l’insieme Σ dei suoi pun-

ti singolari e una unione finita di varieta con bordo (n−2)-dimensionali.

Per ogni x ∈ ∂D \ Σ consideriamo l’insieme Bx = (p, v) : p ∈

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3. LE TRAIETTORIE BILIARDO 28

(Tx∂D \x)∩D, v = x−p∥x−p∥, che costituisce una sottovarieta (n−1)-

dimensionale diD×Sn−1. Il fibratoB costituito dall’unione∪

x∈∂D\ΣBx

e una sottovarieta di dimensione 2n − 2, e quindi e a misura nulla in

D × Sn−1 (il quale ha dimensione 2n− 1).

Ora, per x ∈ Σ costruiamo la sottovarieta n-dimensionale Cx =

(p, v) : p ∈ D \ x, v = x−p∥x−p∥ e l’unione C =

∪x∈ΣCx. Essen-

do Σ una unione finita di varieta n − 2-dimensionali che chiameremo

Σ0, . . . ,Σk−1, l’insieme C risulta essere unione finita dei fibrati (2n−2)-

dimensionali∪

x∈Σ0Cx, . . . ,

∪x∈Σk−1

Cx, e come tale ha misura nulla in

D × Sn−1.

L’unione P0 = B ∪C e l’insieme delle coppie (p, v) non ammissibili

la cui traiettoria raggiunge ∂D tangenzialmente o in un punto singolare

senza avere precedentemente subıto urti. Osserviamo che P0 e a sua

volta una unione finita di sottovarieta (2n − 2)-dimensionali (poiche

B,C sono tali) e conseguentemente la sua misura e nulla in D×Sn−1.

Per ogni x ∈ ∂D\Σ sia rx : Rn → Rn la riflessione rispetto alla retta

normale condotta in x a ∂D. A partire da P0 costruiamo iterativamente

la successione di insiemi Pj:

P ′j = Pj ∩

((∂D \ Σ)× Sn−1

)Pj+1 =

∪(x,w)∈P ′

j

(p, v) : v = rx(w), p ∈ D ∩ (x+ Rw).

Proviamo per induzione che ciascun Pj e unione finita di sottovarieta

immerse (2n − 2)-dimensionali di D × Sn−1. Per j = 0 tale asser-

zione e gia verificata, essendo P0 = B ∪ C unione finita di sotto-

varieta. Per quanto riguarda il passo induttivo, supponiamo che Pj

sia unione finita di sottovarieta immerse (2n− 2)-dimensionali per un

certo valore dell’indice j. Chiamiamo ∂D0, . . . , ∂Dℓ−1 le componen-

ti connesse di ∂D \ Σ, che come tali sono sottovarieta lisce di Rn;

di conseguenza, ciascuna delle funzioni ∂Dh → Sn−1 che associa ad

x ∈ ∂Dh il versone mormale nx e di classe C∞. Possiamo allora spez-

zare P ′j come unione

∪ℓ−1h=0 P

′j,h =

∪ℓ−1h=0 Pj ∩ (∂Dh × Sn−1) e quindi

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3. LE TRAIETTORIE BILIARDO 29

Pj+1 =∪ℓ−1

h=0

∪(x,w)∈P ′

j,h(p, v) : v = rx(w), p ∈ D ∩ (x + Rw), otte-

nendo, grazie all’ipotesi induttiva, una decomposizione di Pj+1 in unio-

ne finita di sottovarieta immerse (2n− 2)-dimensionali. In particolare,

ogni Pj ha misura nulla in D × Sn−1.

Questi Pj vanno interpretati come gli insiemi di coppie la cui tra-

iettoria associata incontra ∂D tangenzialmente o in un punto singolare

dopo esattamente j urti contro ∂D \ Σ. L’insieme di tutte le coppie

(p, v) non ammissibili e allora l’unione P =∪∞

j=0 Pj, la quale essendo

numerabile e anche a misura nulla in D × Sn−1.

Se una traiettoria biliardo e periodica semplice, allora essa costitui-

sce un nodo ad una componente: a prova di cio e sufficiente costruire

la mappa quoziente γ = α/ ∼: S1 → D, essendo τ il periodo di α, e

∼ la relazione d’equivalenza su R definita da t ∼ u ⇔ t ≡ u (mod τ).

Tale γ parametrizza il nodo.

I nodi realizzabili come traiettorie biliardo in D ⊂ R3 prendono il

nome di nodi biliardo. Con nodo biliardo a piu componenti indicheremo

l’unione disgiunta di piu nodi biliardo realizzati nel medesimo biliardo

D.

Relativamente a questi oggetti sorge il quesito su quali tipi di nodo

sia possibile realizzare utilizzando un determinato biliardo D ⊂ R3.

Daniel Pecker ha dimostrato in [7] un risultato notevole:

Teorema 1.28. Sia D un cilindro retto tridimensionale la cui base e

delimitata da un’ellisse di eccentricita positiva. Allora ogni nodo docile

(ad una o piu componenti) si realizza a meno di isotopia come nodo

biliardo (ad una o piu componenti) in D.

I risultati dei primi due capitoli di questa tesi sono necessari a

raggiungere l’enunciato di Pecker.

Osservazione 1.29. Un generico cilindro retto e un solido della for-

ma B × [0, h] ⊂ R3 con B ⊂ R2 chiuso regolare, ∂B regolare a pezzi,

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3. LE TRAIETTORIE BILIARDO 30

h > 0. Ne segue che anche ∂D e regolare a pezzi, e che le traiet-

torie ben definite α : I → D, eccetto quelle i cui lati sono ortogo-

nali alla base B, possono essere proiettate su di essa mantenendo le

caratteristiche che definiscono una traiettoria biliardo, a meno di ri-

parametrizzazione. Detta π : R3 → R2 la proiezione canonica, pro-

viamo che β(t) := π α( tc) : cI → B e una traiettoria biliardo per

una opportuna scelta di c > 0. Affinche le direzioni vj associate al-

l’orbita di α non siano ortogonali a B e sufficiente che una sola di

esse, ad esempio v0, soddisfi tale condizione, e cioe sia della forma

v0 = w+π(v0) con w = (0, 0,±1); conseguentemente, il versore v1 sara

dato da v1 = w+π(v1) qualora α(t1) ∈ ∂B×]0, h[ o da v1 = −w+π(v1)

se α(t1) ∈ B × 0, h. Lo stesso ragionamento si puo applicare a

v−1, ed induttivamente si vede che ogni vj e della forma ±w + π(vj),

quindi non ortogonale a B. I vari π(vj) sono vettori non nulli di nor-

ma√

1− ∥w∥2, e il loro insieme contiene le direzioni ammesse da β,

dal momento che π α[tj ,tj+1](t) = π α(tj) + (t − tj)π(vj). Notia-

mo inoltre che α(tj) ∈ ∂B × (0, h) ⇔ π α(tj) ∈ ∂B, mentre per

α(tj) ∈ B × 0, h si ha π(vj−1) = π(vj), dunque possiamo definire

c =√

1− ∥w∥2 e gli insiemi J := j ∈ Z : α(tj) ∈ ∂B × (0, h), T ′ :=

ctj : j ∈ J, V ′ := π(vj)

c∈ S2 : j ∈ J. Grazie a questa scelta

di c si ha che β(t) soddisfa le prime tre clausole che definiscono una

traiettoria biliardo in B relativamente agli insiemi T ′, V ′. Resta da

provare che anche la quarta clausola e rispettata: preso j ∈ J abbiamo

vj − vj−1 = λjnj ⇒ π(vj) − π(vj−1) = λjπ(nj), dove π(nj) coincide

con nj ed e il versore normale a ∂B ⊂ R2 nel punto π α(tj), e infi-

neπ(vj−1)

c− π(vj)

c=

λj

cnj, essendo

π(vj−1)

c,

π(vj)

celementi di V ′. Resta

provato che β(t) determina una traiettoria biliardo in B.

Di conseguenza, lo studio delle traiettorie in un cilindro D (che qui

abbiamo supposto tridimensionale) richiede di classificare le traietto-

rie ammissibili rispetto alla sua base bidimensionale B. Nel prossimo

capitolo si studiera in particolare il caso di B delimitata da una ellisse.

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CAPITOLO 2

Ellissi e funzioni ellittiche

1. Le proprieta ottiche dell’ellisse

Le ellissi, essendo curve prive di singolarita che delimitano por-

zioni di piano strettamente convesse, danno luogo a biliardi partico-

larmente regolari. Infatti, qualsiasi traiettoria α(t) con dati iniziali

(α(0), α′(0)) ∈ B × S2 e ben definita: in una forma piu forte della

proposizione 1.27, l’insieme delle coppie posizione-direzione per cui la

traiettoria non e ben definita e vuoto. Per rendersene conto, basti ri-

percorrere i passi della dimostrazione del teorema 1.27 aggiungendo le

ipotesi di D strettamente convesso e con bordo liscio.

Il caso piu semplice che si possa affrontare e quello di un biliardo

delimitato da una ellisse ad eccentricita nulla, ovvero da una circon-

ferenza. La classificazione delle orbite all’interno di biliardi circolari e

piuttosto povera; in primo luogo, osserviamo che tutte le circonferenze

inR2 sono equivalenti a meno di omotetia, e quindi tale classificazione si

puo esaurire considerando il solo biliardo delimitato dalla circonferenza

unitaria S1, cioe disco unitario B2 = x ∈ R2 : ∥x∥ ≤ 1.

Teorema 2.1. Per ogni traiettoria in B2, la lunghezza dei lati e

costante e determina la traiettoria a meno di rotazione di B2 attorno

all’origine.

Dimostrazione. Data una traiettoria con vertici Aj, consideriamo

due lati consecutivi [A0A1], [A1A2]. La riflessione che porta la retta

A0A1 in quella A1, A2 e una simmetria di B2 che fissa A1, per cui

l’immagine riflessa di A0 appartiene ancora a S1, e distinta da A1, e

giace sulla retta A1A2; in definitiva, coincide con A2. Cio significa che i

lati [A0A1], [A1A2] sono isometricamente equivalenti. Induttivamente si

31

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 32

vede che tutti i lati della traiettoria sono congruenti al segmento [A0A1];

come corollario segue che il dominio I di della parametrizzazione puo

essere esteso a tutto l’insieme R, poiche se supponiamo che |[A0A1]| =ℓ > 0, allora devono valere le inclusioni I ⊃ [t0, t1], I ⊃ [t0 − ℓ, t0 +

ℓ], . . . , I ⊃ [t0 − jℓ, t1 + jℓ] per ogni j naturale, ed infine I ⊃ R.Siano ora date due traiettorie biliardo in B2 i cui vertici sono eti-

chettati rispettivamente con Aj, A′j tali che |[A0A1]| = |[A′

0A′1]|. Esi-

stono due rotazioni ϱ0, ϱ1 di B2 attorno all’origine che portano rispet-

tivamente A′0, A

′1 a coincidere con A0; di queste rotazioni, almeno una

(ed eventualmente entrambe, qualora i segmenti [A0A1], [A′0A

′1] siano

diametri di B2) sovrappone l’intero lato [A′0A

′1] ad [A0A1]. Sia ϱ tale ro-

tazione. Se ϱ = ϱ0, segue che ϱ0(A′1) = A1 e quindi ϱ0(A

′j) = Aj ∀j ∈ Z,

dal momento che le isometrie conservano la misura delgi angoli; se inve-

ce e ϱ = ϱ1, abbiamo ϱ1(A′0) = A1 e ϱ1(A

′j) = A1−j, ancora per la stessa

ragione. In definitiva, le traiettorie di vertici Aj, ϱ(A′j) concidono.

Le orbite non contenenti il centro di S1 presentano la proprieta

di avere tutti i loro lati tangenti ad una curva C, detta caustica, che

prende la forma di una circonferenza concentrica ad S1. In altre parole,

se [A0A1] e tangente ad una circonferenza C concentrica ad S1, tali

saranno tutti gli altri lati della traiettoria: infatti la riflessione che

porta [A0A1] in [A1A2] e anche una simmetria di C, per cui il punto

di tangenza [A0A1] ∩ C ha come immagine [A1A2] ∩ C, che sara a sua

volta punto di tangenza fra [A1A2] e C. Allo stesso modo si vede che

tutti i restanti lati sono tangenti a C.

Osserviamo anche che se una traiettoria in B2 e chiusa ed ammette

caustica C, allora tutte le traiettorie tangenti a C sono a loro volta

chiuse. Questo e vero perche due orbite inscritte in S1 e tangenti a C

debbono avere i lati della stessa lunghezza, e per la proposizione prece-

dente, coincidono a meno di una rotazione che conserva S1 e C. Questo

fatto e un’istanza particolarmente semplice del Teorema di chiusura di

Poncelet, che fa riferimento ad una coppia generica di coniche.

Teorema 2.2 (di chiusura di Poncelet, o porismo di Poncelet). Date

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 33

due coniche contenute in R2, se esiste una poligonale chiusa i cui vertici

giacciono sulla prima conica e i cui lati sono tangenti alla seconda, allora

esistono infiniti archi poligonali con queste caratterisctiche, ognuno con

un vertice in corrispondenza di un punto qualsiasi della prima conica.

La dimostrazione che ne verra fornita riguardera in particolare due

ellissi coassiali (essendo questo il caso utile alla proposizione di Pec-

ker), ma puo essere estesa ad una coppia di coniche qualsiasi. Prima

di procedere in questo senso, andiamo ad analizzare le proprieta ele-

mentari delle traiettorie in un biliardo ellittico. Da questo punto in

poi useremo una notazione semplificata per indicare la lunghezza di un

segmento [A0A1], la quale sara denotata da A0A1 anziche |[A0A1]|.

Lemma 2.3. Sia B un biliardo delimitato da una ellisse E con ec-

centricita positiva e fuochi F0, F1. Se una traiettoria in B contiene uno

dei fuochi, allora ogni lato della traiettoria contiene alternativamente

F0, F1.

Dimostrazione. E sufficiente provare che se un lato, ad esempio

[A0A1], contiene F0, allora i lati ad esso consecutivi [A−1A0], [A1A2]

contengono F1. Sia t la retta tangente ad E in A1, e sia F ′0 il punto

ottenuto riflettendo F0 rispetto a t. Se P e un punto su tale retta, di-

stinto da A1, allora deve essere esterno alla ellisse, da cui segue questa

catena di disuguaglianze: F ′0P + PF1 = F0P + PF1 > F0A1 + A1F1 =

F ′0A1+A1F1. Questo implica che A1 e il punto di intersezione fra la ret-

ta tangente e il segmento F ′0F1; se per assurdo tale punto di intersezione

fosse un certo P distinto da A1, allora sussisterebbe la disuguaglianza

F ′0F1 = F ′

0P + PF1 > F ′0A1 + A1F1, che contrasta con la disuaglianza

triangolare F ′0F1 ≤ F ′

0A1 + A1F1.

Valgono allora le uguaglianze fra angoli (che s’intendono acuti)

A2A1t = A0A1t (per costruzione della traiettoria biliardo) = F0A1t =

F ′0A1t = F1A1t (per allineamento dei punti F ′

0, A1, F1) ⇒ A2A1t =

F1A1t, e i punti A1, F1, A2 sono allineati. Una analoga costruzione pro-

va che [A2A3] passa per F0, e cosı tutti i lati [AjAj+1] conterranno per

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 34

F0 se j e pari, F1 se j e dispari.

Conseguenza di questo lemma e la non esistenza della caustica per

le traiettorie che contengono i fuochi, essendo i lati della traiettoria

concorrenti in due punti. Vediamo invece come la caustica si possa

costruire qualora la traiettoria non contenga i fuochi.

Lemma 2.4. Sia B un biliardo delimitato da una ellisse E con ec-

centricita positiva e fuochi F0, F1, e sia data una traiettoria in B non

contenente i fuochi. Possono darsi due casi:

(1) se la traiettoria interseca il segmento aperto (F0F1), allora tutti

i lati incidono (F0F1) e giacciono su rette tangenti o asintotiche

ad una iperbole confocale ad E;

(2) se un lato non interseca il segmento [F0F1], allora tutti i lati

sono disgiunti da [F0F1] e tangenti ad una ellisse confocale ad

E.

Dimostrazione. Sia [A0A1] un lato della traiettoria incidente con

(F0F1); osserviamo che (A0A1) e contenuto nella parte interna del-

l’angolo F0A1F1. Per il lemma 2.3 si ha che la riflessione rispetto alla

normale ad E in A1 porta la retta F0A1 in F1A1, e quindi l’ango-

lo F0A1F1 in se stesso. Poiche (A0A1) e contenuto in Int F0A1F1, la

sua immagine ed il lato aperto (A1A2) sono a loro volta contenuti in

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 35

Int F0A1F1, e di conseguenza [A1A2] interseca (F0F1). Induttivamente,

ogni lato della traiettoria incide (F0F1).

Viceversa, sia [A0A1] un lato che non interseca [F0F1]; allora anche

[A1A2] e disgiunto da [F0F1], perche se per assurdo [A1A2] incidesse

(F0F1) allora avremmo che ogni lato (compreso quindi [A0A1]) lo inci-

derebbe; e se [A1A2] contenesse uno dei fuochi, ogni lato conterrebbe

un fuoco. Di conseguenza tutti i lati della traiettoria sono disgiunti da

[F0F1].

Costruiamo ora la caustica nel caso di una traiettoria che non in-

terseca il segmento focale, definendo innanzi tutto il punto F ′0 come

l’immagine riflessa di F0 rispetto alla retta A0A1, e T0 come l’interse-

zione fra [A0A1] e [F ′0F1]. Prendiamo quindi C come l’ellisse di fuochi

F0, F1 passante per T0, e proviamo che in effetti e la caustica per la

traiettoria considerata. Grazie a questa costruzione, C e la retta A0A1

sono tangenti, poiche se si prende un generico punto P distinto da T0

su tale retta allora deve susistere la disuguaglianza triangolare stretta

F ′0P + PF1 > F ′

0F1, da cui F0P + PF1 > F0T0 + T0F1, e quindi P e

esterno alla ellisse. Proviamo ora che C e tangente anche agli altri lati

della traiettoria. Sia A1A′2 la seconda retta tangente a C per A1 (la

prima retta tangente e A0A1) con A′2 ∈ E, sia T1 il punto di tangenza,

e sia F ′1 il punto ottenuto dalla riflessione di F1 rispetto ad A1A

′2; per

il lemma 2.3, i punti F0, T1, F′1 sono allineati. Esaminiamo i triangoli

F ′0A1F1, F0A1F

′1: i loro lati sono a due a due congruenti, poiche i seg-

menti [F ′0A1], [F

′1A1] sono ottenuti tramite riflessione di [F0A1], [F1A1],

ed inoltre vale F ′0F1 = F0T0 + T0F1 = F0T1 + T1F1 = F0F

′1. I trian-

goli considerati sono quindi congruenti, e danno luogo alla coppia di

angoli F ′0A1F1

∼= F0A1F ′1. Ne segue che A0A1F0

∼= A′2A1F1, e quindi

la riflessione che porta la retta F0A1 a sovrapporsi ad F1A1 (ovvero

la riflessione rispetto alla normale ad E in A1, come segue dal lemma

2.3) porta anche A0A1 in A1A′2. Ma la retta A1A2 e per costruzione

ottenuta dalla riflessione di A0A1 rispetto alla normale, dunque deve

essere A1A2 ≡ A1A′2 e infine [A1A2] ≡ [A1A

′2]. Con questo e provato

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 36

che [A1A2] e tangente in T1 alla caustica C.

L’analogo risultato per le traiettorie che intersecano internamente

il segmento focale si produce definendo la caustica come l’iperbole di

fuochi F0, F1 passante per il punto T0 dato dall’intersezione fra la retta

A0A1 e la retta F ′0F1, essendo F ′

0 il riflesso di F0 rispetto ad A0A1;

qualora A0A1 sia parallela ad F ′0F1, si prende A0A1 come asintoto del-

l’iperbole. Il caso in cui esiste T0 si puo trattare con lo stesso metodo

utilizzato per la caustica ellittica, purche si tenga conto che anche per

le iperboli vale la proprieta per cui, data una retta tangente alla cur-

va, il punto di tangenza e allineato con un fuoco e con il riflesso del

secondo fuoco rispetto alla retta. Se invece A0A1 e asintoto di C, una

simile analisi prova che la traiettoria possiede quattro lati, di cui due

lati giacenti sugli asintoti e due tangenti ai vertici di C.

Osservazione 2.5. Due lati consecutivi [A0A1], [A1A2] di una traiet-

toria biliardo coicidono se e solo se entrambi giacciono sulla normale

condotta in A1 al bordo del biliardo. Se il biliardo e ellittico i lati sono

anche tangenti alla caustica C, quindi coincidono se e solo se esiste ed e

unica la tangente condotta in A1 a C, cioe quando A1 ∈ C. Questo ca-

so si verifica solo quando C e una iperbole, dal momento che due ellissi

confocali sono sempre disgiunte. Cio dimostra che le traiettorie in un

biliardo ellittico formano spezzate non semplici se e solo se intersecano

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 37

il segmento focale e possiedono un vertice in un punto di intersezione

di E ∩ C.Incidentalmente, questa e anche una dimostrazione del fatto che

una ellisse ed una iperbole confocali si intersecano ortogonalmente.

Corollario 2.6. Siano date una ellisse E, una conica confocale C ed

una poligonale (eventualmente aperta) i cui vertici giaccion su E e i

cui lati giacciono su rette tangenti a C. Allora tale poligonale e una

traiettoria rispetto al biliardo delimitato da E.

Dimostrazione. Consideriamo il caso in cui C sia una ellisse contenuta

nel biliardo delimitato da E. Detti [A0A1], [A1A2] due lati consecutivi

della poligonale, si ha che essi non intersecano il segmento focale di E

poiche sono tangenti alla ellisse confocale C. In particolare, questi due

segmenti non giacciono sulla normale in A1 ad E. Sia A1A′2 la retta

ottenuta per riflessione di A0A1 rispetto a tale normale: per il lemma

2.4 e per l’osservazione 2.5 si ha che A1A′2 e tangente a C e distinta da

A0A1, e quindi coincide con A1A2. Di conseguenza la spezzata A0A1A2

e contenuta in una traiettoria biliardo.

Al fine di costruire i nodi biliardo nel cilindro di base ellittica B

ci serviremo di traiettorie chiuse semplici in B. E facile vedere che le

traiettorie di questo tipo non possono contenere i fuochi della ellisse

(infatti l’unica traiettoria chiusa che contiene almeno un fuoco giace

interamente sull’asse focale, e non e una traiettoria semplice), quindi

ha senso definire l’indice di allacciamento rispetto ad uno dei fuochi,

ad esempio F0.

Se la traiettoria chiusa interseca il segmento focale aperto (F0F1),

allora tutti i lati sono incidenti a (F0F1), e di conseguenza l’intera

traiettoria e contenuta in R2\s0, essendo s0 la semiretta chiusa staccata

da F0 sull’asse focale e non contenente F1. Poiche R2 \ s0 e un insieme

semplicemente connesso che non contiene F0, l’indice di allacciamento

della traiettoria rispetto ad F0 e nullo.

Ammettendo invece che i lati siano disgiunti da [F0F1], e possibile

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 38

costruire diverse traiettorie chiuse semplici con indice di allacciamento

positivo.

Teorema 2.7. Sia B un biliardo delimitato da una ellisse E, e siano

p, q interi positivi primi fra loro tali che p ≥ 2q+1. Allora esiste almeno

una traiettoria chiusa semplice in B che ammette p vertici distinti e

indice di allacciamento rispetto a ciascun fuoco uguale a q.

La dimostrazione si basa su questo risultato intermedio:

Lemma 2.8. Siano A0, A2 punti (eventualmente coincidenti) su una

ellisse E. Se la funzione f : E → R, f(X) = A0X + XA2 assume un

massimo locale in A1 ∈ E, allora A1 e distinto da A0, A2 e da luogo ad

una spezzata A0A1A2 contenuta in una traiettoria biliardo.

Dimostrazione. In primo luogo, vediamo che A0, A2 non possono co-

stituire massimi locali per la funzione f : infatti per ogni X ∈ E vale

la disuguaglianza triangolare A0X + XA2 ≥ A0A2, con il segno di

uguaglianza se e solo se X coincide con A0 o A2, essendo questi pun-

ti gli unici elementi di intersezione di E col segmento (eventualmente

degenere ad un singolo punto) [A0A2]. Di conseguenza i punti di mas-

simo per la funzione f , quale ed esempio A1, devono essere distinti da

A0, A2. Questi punti di massimo esistono grazie al teorema di Weier-

strass, essendo E un insieme compatto ed f una funzione continua da

E in R. Osserviamo inoltre che f e differenziabile nella sottovarieta

liscia E \ A0, A2.Queste considerazioni ci permettono di concludere che un pun-

to di massimo A1 ammette in E un intorno in cui la funzione f e

differenziabile. Supponiamo allora che un tale intorno sia un arco

parametrizzato da X(t) : J ⊂ R → E tale che J ∋ 0, X(0) =

A1; cio significa che la funzione f X(t) : J → R assume la forma

∥X(t) − A0∥ + ∥X(t) − A2∥ e possiede un massimo locale in t = 0.

Per il teorema dei punti stazionari di Fermat sara ddtf X(t)|t=0 = 0 ⇒

ddt

(√⟨X(t)− A0, X(t)− A0⟩+

√⟨X(t)− A2, X(t)− A2⟩

)|t=0

= 0 ⇒⟨X(0)−A0,X′(0)⟩

∥X(0)−A0∥ + ⟨X(0)−A2,X′(0)⟩∥X(0)−A2∥ = 0 ⇒ ⟨

(A1−A0

∥A1−A0∥ +A1−A2

∥A1−A2∥

), X ′(0)⟩.

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1. LE PROPRIETA OTTICHE DELL’ELLISSE 39

Il vettore X ′(0) e tangente ad E in A1, quindi la somma di versoriA1−A0

∥A1−A0∥ + A1−A2

∥A1−A2∥ e parallela alla normale ad E in A1, per cui A1 e

vertice di una traiettoria biliardo passante per A0, A1, A2.

L’enunciato del teorema si puo generalizzare sostituendo ad E una

qualsiasi curva differenziabile chiusa, e prendendo A0, A2 due punti

generici, non necessariamente appartenenti alla curva stessa. Di cio ci

possiamo rendere convinti osservando che la dimostrazione non fa uso

delle ipotesi sulla forma ellittica di E e sulla appartenenza di A0, A2

ad E.

Utilizzando questo lemma, proviamo ora il teorema 2.7.

Dimostrazione. Sia A0 ∈ E fissato. Costruiamo l’insieme compatto

Θ = (θ0, . . . , θp−1) ∈ [0, π]p :∑p−1

j=0 θj = 2qπ, e ad ogni suo ele-

mento associamo la p-pla di punti A0, . . . , Ap−1 descritta dalle relazioni

AjF0Aj+1 = θj, 0 ≤ j ≤ p − 1, tenendo conto che ciascun AjF0Aj+1

deve essere orientato in maniera positiva (cioe la retta F0Aj deve esse-

re ruotata dell’angolo θj in senso antiorario per essere sovrapposta ad

F0Aj+1). Per semplicita poniamo anche Ap = A0, secondo l’usuale con-

venzione. La funzione f : Θ → R, f(θ1, . . . , θp) :=∑p−1

j=0 AjAj+1 e con-

tinua sul compatto Θ, quindi per il teorema di Weierstrass assume mas-

simo. Grazie al lemma 2.8, ciascuna terna di punti Aj−1, Aj, Aj+1 e non

degenere e da luogo ad una spezzata contenuta in una traiettoria biliar-

do. Concatenando queste spezzate si ha il poligono A0A1 . . . Ap−1A0,

che a sua volta e una traiettoria biliardo con p vertici giacenti su E.

Questa orbita non interseca internamente il segmento focale, altrimenti

il suo indice di allacciamento rispetto ad F0 sarebbe nullo, in contra-

sto con la costruzione secondo cui∑p−1

j=0 θj = 2qπ; inoltre non contiene

i fuochi, perche nel caso in cui ogni lato contenesse un singolo fuoco

l’orbita non sarebbe chiusa, mentre se i lati passassero per entrambi i

fuochi avremmo θj = π ∀j ⇒ pπ =∑p−1

j=0 θj = 2qπ, che e assurdo per

l’ipotesi p ≥ 2q+1. Di conseguenza, la traiettoria e disgiunta da [F0F1]

e il suo indice di allacciamento rispetto ad F0 e uguale a q. Infine, i

vertici distinti della traiettoria sono esattamente p, perche se esistesse

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2. LE FUNZIONI ELLITTICHE DI JACOBI E IL TEOREMA DI PONCELET 40

0 < p′ < p tale che Ap′ = A0 allora ne conseguirebbe che:

(1) Aj = Aj+p′ ∀j e quindi p = p′r per qualche intero r > 1;

(2)∑p′−1

j=0 θj = 2q′π per qualche intero positivo q′;

da cui 2qπ =∑p−1

j=0 θj = 2∑p′−1

j=0 θj = 2q′rπ ⇒ q = q′r e quindi p, q

possiedono il divisore comune r > 1, che e assurdo avendo supposto

p, q primi fra loro.

Quest’ultimo risultato ci permette quindi di costruire traiettorie

con un numero di vertici ed indice di allacciamento fissati (purche ri-

spettino le condizioni p ≥ 2q + 1,MCD(p, q) = 1). Una tale traiettoria

e isotopicamente equivalente alla stella poligonale

pq

.

2. Le funzioni ellittiche di Jacobi e il Teorema di Poncelet

Definizione 2.9. Sia 0 < k < 1 un parametro fissato, o modulo

ellittico; si definisce la funzione amplitudine di Jacobi come l’inversa

rispetto a φ dell’integrale ellittico

z = F (φ, k) :=

∫ φ

0

dt√1− k2 sin2 t

.

Essa viene indicata come φ = am(z, k), o piu brevemente come φ =

am(z).

Definizione 2.10. Si dicono seno amplitudine, coseno amplitudi-

ne, delta amplitudine le funzioni sn(z, k) := sin(am(z, k)), cn(z, k) :=

cos(am(z, k)), dn(z, k) :=√1− k2 sn2(z, k), chiamate collettivamente

funzioni ellittiche di Jacobi. Anche in questo caso si possono usare le

notazioni abbreviate sn(z), cn(z), dn(z).

Le funzioni ellittiche possono essere estese a funzioni meromorfe

(vedi [1]), e possiedono due periodi, di cui uno reale ed uno immaginario

puro; essi sono sottomultipli interi delle quantita 4K(k) := F (2π, k) e

4iK ′(k) := 4iK(√1− k2) = F (2π,

√1− k2) (in particolare vale 2π =

am(4K(k)) per ogni valore del modulo ellittico k). I valori esatti dei

periodi sono 4K, 2iK ′ per il seno amplitudine, 4K, 4iK ′ per il coseno

amplitudine, e 2K, 4iK ′ per la delta amplitudine.

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2. LE FUNZIONI ELLITTICHE DI JACOBI E IL TEOREMA DI PONCELET 41

In quanto funzioni meromorfe periodiche, le funzioni ellittiche de-

vono necessariamente presentare poli al finito: se per assurdo questi

poli non esistessero, le funzioni sarebbero olomorfe in tutto C e limita-

te, quindi costanti per il teorema di Liouville. L’insieme dei poli e lo

stesso per tutte e tre le funzioni, ed e composto dai punti della forma

iK ′ (mod 2K, 2iK ′).

Se ristrette agli intervalli reali [−K,K], [0, 2K], [0, 2K] rispetti-

vamente, le funzioni ellittiche sono invertibili con inverse arcsn(z, k),

arccn(z, k), arcdn(z, k). Valgono le seguenti formule di addizione:

c sn(x+ y) =sn x cn y dn y + sn y cnx dnx

1− k2 sn2 x sn2 y

cn(x+ y) =cnx cn y − sn x sn y dnx dn y

1− k2 sn2 x sn2 y.

Per calcolare i valori di queste funzioni su argomenti complessi e

quindi sufficiente utilizzare le formule di addizione e tenere presenti le

relazioni

sn(iz, k) = isn(z,

√1− k2)

cn(z,√1− k2)

, cn(iz) =1

cn(z,√1− k2)

per z ∈ R.Infine, vale la seguente formula dovuta a Jacobi:

sin(am(x+ y) + am(x− y)) =2 sn x cnx dn y

1− k2 sn2 x sn2 y

Lemma 2.11. Siano E,C ellissi coassiali parametrizzate da A(z) =

(a cn(z), b sn(z)) e da T (z) = (cn z, sn z), sotto le condizioni a > b >

1, k =√

a2−b2

a2−1. Allora la retta tangente a C in T (z) interseca E nei

punti A(z − arccn 1

a

)ed A

(z + arccn 1

a

)Dimostrazione. La retta tangente a C nel punto T (z) ha equa-

zione x cn z + y sn z − 1 = 0; e sufficiente provare che le coordina-

te dei punti A(z ± arccn 1

a

)soddisfano questa equazione per prova-

re che essi appartengono alla retta. Poniamo u := arccn 1a, da cui

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2. LE FUNZIONI ELLITTICHE DI JACOBI E IL TEOREMA DI PONCELET 42

cnu = 1a, dnu =

√1− k2 sn2 u = b

a; inseriamo questi valori nell’e-

spressione a cn(z ± u) cn z + b sn(z ± u) sn z − 1 = 0, ottenendo grazie

alle formule di addizione:

acn z cnu∓ sn z snu dn z dnu

1− k2 sn2 z sn2 ucn z +

+bsn z cnu dnu± snu cn z dn z

1− k2 sn2 z sn2 usn z − 1 = 0

che vogliamo mostrare essere una identita. Dopo aver eliminato il

minimo comune denominatore, l’uguaglianza diviene:

cn2 z ∓ b sn z snu dn z cn z +b2

a2sn2 z ± b sn u cn z dn z sn z − 1 +

+k2 sn2 z sn2 u = 0

cn2 z + sn2 z dn2 u− 1 + k2 sn2 z sn2 u = 0

cn2 z + sn2 z(1− k2 sn2 u)− 1 + k2 sn2 z sn2 u = 0

cn2 z + sn2 z − k2 sn2 z sn2 u− 1 + k2 sn2 z sn2 u = 0

cn2 z + sn2 z − 1 = 0

cos2(am z) + sin2(am z)− 1 = 0

che sussiste per ogni valore di z.

Osservazione 2.12. A meno di affinita di R2, ogni coppia di ellis-

si coassiali disgiunte puo essere espressa nella stessa forma di E,C

cosı come appaiono nel lemma. Conseguentemente, per ogni coppia

di ellissi cossiali disgiunte parametrizzate da A(z) = (a cn z, b cn z),

T (z) = (a′ cn z, b′ sn z) esiste u > 0 tale che la retta tangente a C in

T (z) interseca E in A(z ± u).

Ora possiamo passare alla dimostrazione del teorema di Poncelet

nel caso di una coppia di ellissi coassiali.

Dimostrazione. Siano E,C ellissi coassiali tali che esista una po-

ligonale di Poncelet chiusa inscritta in E e circoscritta a C. Det-

ti A0, . . . , Ap−1 ∈ E i vertici della poligonale (secondo l’usuale con-

venzione Ap = A0) e Tj = C ∩ [AjAj+1] i punti di tangenza, esiste

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2. LE FUNZIONI ELLITTICHE DI JACOBI E IL TEOREMA DI PONCELET 43

u > 0 tale che la tangente a C in T0 = T (z0) interseca E nei punti

A0 = A(z0 − u), A1 = A(z0 + u). Dunque il successivo punto di tan-

genza T1 e parametrizzato da T (z0+2u), e il vertice A2 da A(z0+3u);

induttivamente, si ha Tj = T (z0+2ju), Aj = A(z0+(2j−1)u). Poiche

la poligonale e chiusa, dev’essere Ap = A0 ⇔ A(z0 − u + 2pu) =

A(z0 − u) ⇔ am(z0 − u+ 2pu) = am(z0 − u) + 2qπ per qualche intero

positivo q (incidentalmente, si puo osservare che esso uguaglia l’indice

di allacciamento della poligonale rispetto a qualsiasi punto interno a

C, ad esempio uno dei fuochi). Quest’ultima condizione si traduce in

am(z0 − u + 2pu) = am(z0 − u) + 2qπ = am(z0 − u + 4qK) ⇔ 2pu =

4qK ⇔ u = 2qKp.

Se ora consideriamo una poligonale che parte da un vertice generico

A′0 = A(z′0 − u) ∈ C, abbiamo nuovamente A′

p = A(z′0 − u + 2pu) =

A(z′0 − u+ 4qK) = A(z′0 − u) = A′0, quindi la spezzata si chiude dopo

p passi e costituisce una poligonale di Poncelet.

Chiaramente questa proposizione si applica anche al caso piu par-

ticolare di due ellissi E,C confocali, le cui poligonali di Poncelet sono

anche traiettorie biliardo relativamente al biliardo delimitato da E.

Possiamo quindi enunciare il Teorema di Poncelet in una forma piu

ristretta: date in R2 due ellissi confocali E,C, se esiste una traietto-

ria biliardo chiusa con vertici in E e lati tangenti a C, allora esistono

infinite traiettorie di questo tipo, ognuna con un vertice in corrispon-

denza di un punto qualsiasi di E. Per brevita chiameremo traiettorie

di Poncelet questi particolari oggetti, i quali presentano caratteristiche

sia delle poligonali di Poncelet sia delle traiettorie biliardo.

Nel prossimo capitolo dimostreremo alcuni risultati volti a trova-

re, in questa infinita di poligonali, almeno una traiettoria con delle

particolari caratteristiche di irregolarita che ci serviranno per costruire

qualsiasi nodo biliardo.

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CAPITOLO 3

Il Teorema di Pecker

1. Poligonali di Poncelet completamente irregolari

Definizione 3.1. Sia data una poligonale (eventualmente intreccia-

ta) parametrizzata secondo il parametro arco a partire da un vertice A0.

Diremo che essa e completamente irregolare se 1 e le lunghezze d’arco

relative ai vertici (escluso A0) e alle autointersezioni sono linearmente

indipendenti su Q.

Per determinare l’esistenza di traiettorie di Poncelet completamente

irregolari avremo bisogno di alcuni lemmi tecnici.

Lemma 3.2. Siano p, q interi positivi primi fra loro, p dispari; per

j intero e r2 > 0 definiamo le funzioni fj(z) : C → C, fj(z) :=

sn2(z + jv) + r2, dove v := 4qKp. Allora, se h ≡ j (mod p), le funzioni

fj(z), fh(z) non hanno zeri in comune.

Dimostrazione. Consideriamo la funzione a valori complessi sn z +

ir, r > 0. Ricordando che la funzione seno amplitudine assume tutti i

valori di iR al variare dell’argomento z in iR, deve esistere un imma-

ginario puro α = 0 tale che snα + ir = 0; poiche sn(2K − α) = snα,

il valore 2K − α e un altro zero di sn z + ir. Per la periodicita

del seno amplitudine, l’insieme degli zeri e composto dai complessi

congrui ad α (mod 4K, 2iK ′), 2K − α (mod 4K, 2iK ′). Osserviamo

che la funzione sn z − ir = −(sn(−z) + ir) possiede zeri congrui ad

−α (mod 4K, 2iK ′), 2K + α (mod 4K, 2iK ′); esprimendo fj(z) come

(sn(z+ jv)+ ir)(sn(z+ jv)− ir) si vede che i suoi zeri sono tutti e soli i

valori congrui a ±α−jv (mod 4K, 2iK ′), 2K±α−jv (mod 4K, 2iK),

o piu sinteticamente ±α− jv (mod 2K, 2iK ′).

Sia ora h ≡ j (mod p). Se per assurdo due zeri di fj(z), fh(z)

44

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1. POLIGONALI DI PONCELET COMPLETAMENTE IRREGOLARI 45

coincidessero, essi sarebbero congrui rispettivamente a±α−jv,±α−hv(mod 2K, 2iK ′), quindi varrebbe una delle congruenze ±α−jv ≡ ±α−hv (mod 2K, 2iK ′). Prendendo le parti reali di entrambi i membri

si avrebbe −jv ≡ −hv (mod 2K), cioe 2jq ≡ 2hq (mod p), che e

impossibile essendo p, q coprimi, j, h incongrui modulo p e p dispari.

Lemma 3.3. Siano p, q interi coprimi, p dispari. Per j ≡ 0 (mod p)

siano definite le funzioni a valori complessi

Dj(z) = sn(z + jv) cn z − cn(z + jv) sn z, Fj(z) =sn(z + jv)− sn z

Dj(z)

dove v := 4qKp. Allora esiste un numero complesso αj tale che Fh(αj) =

∞ ⇔ h ≡ j (mod p).

Dimostrazione. Utilizzando la formula di addizione del seno circolare

vediamo cheDj(z) = sin(am(z+jv)+am(−z)), e ancora, per la formula

di Jacobi:

Dj(z) =2 sn(ju) cn(ju) dn(z + ju)

1− k2 sn2(ju) sn2(z + ju)

dove u := v2= 2qK

p. Poniamo αj = −ju +K + iK ′; valgono sn2(αj +

ju) = sn2(K+iK ′) = 1k2, come si verifica utilizzando la formula di addi-

zione del seno amplitudine, e dn(αj+ju) =√

1− k2 sn2(K + iK ′) = 0.

Questo significa che αj e uno zero per Dj(z) (si osservi che il denomina-

tore di Dj(z) si riduce a 1− sn2(ju), e non si annulla grazie all’ipotesi

j ≡ 0 (mod p)) e una singolarita di tipo polo o eliminabie per Fj(z).

Il numeratore di Fj(αj) e sn(αj + jv)− snαj = sn(K + iK ′ + ju)−sn(K+ iK ′− ju), che per la formula di addizione del seno amplitudine

diviene:2 sn(K + iK ′) cn(ju) dn(ju)

1− k2sn2(K + iK ′) sn2(ju)=

2 dn(ju)

k cn(ju)= 0

quidi la singolarita di Fj(z) in αj e un polo. Allo stesso modo si prova

che αj e un polo di Fh(z) per h ≡ j (mod p), grazie alla periodicita

delle funzioni ellittiche.

Sia ora h ≡ j (mod p), da cui αj + hu = K + iK ′ + (h − j)u ⇒αj +hu ≡ K+ iK ′ (mod 2K, 2iK ′) ⇒ αj +hu ≡ iK ′ (mod 2K, 2iK ′).

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1. POLIGONALI DI PONCELET COMPLETAMENTE IRREGOLARI 46

Ne segue che dn(αj + hu) = 0 e che sn2(αj + hu) assume valore finito,

quindi Dh(αj) = 0. Ora, il numeratore di Fh(αj) e finito, poiche tali

sono sn(αj+hv) e sn(αj): per rendersene conto, si consideri che i poli di

sn(z+hv) sono congrui a iK ′−hv (mod 2K, 2iK ′), pero αj ≡ iK ′−hv(mod 2K, 2iK ′) poiche p e dispari; allo stesso modo, sn z ha poli in

iK ′ (mod 2K, 2iK ′), ma αj ≡ iK ′ (mod 2K, 2iK ′). Di conseguenza,

Fh(αj) assume valore finito.

Osservazione 3.4. Quest’ultimo lemma continua a valere anche sen-

za l’ipotesi di p dispari, ma la dimostrazione va modificata provando

che Fh(αj) e finito anche se snαj oppure sn(αj+hv) divergono (casi che

possono verificarsi qualora p sia pari). Ai fini della nostra trattazione

e sufficiente il caso p dispari.

Il significato del lemma e che, dato un insieme di funzioni Fj(z)

definite come sopra e con indici fra loro incongrui modulo p, allora

ciascuna di esse presenta almeno un polo che e punto regolare per le

altre: insomma un polo che le appartiene in maniera esclusiva.

Da questi lemmi si ricava il seguente risultato di esistenza per i

poligoni di Poncelet completamente irregolari con un numero dispari

di vertici.

Teorema 3.5. Siano E,C ellissi coassiali ad eccentricita positiva che

ammettono una poligonale di Poncelet con un numero dispari di verti-

ci. Allora E,C ammettono una poligonale di Poncelet completamente

irregolare.

Dimostrazione. A meno di omotetia possiamo supporre che uno dei

semiassi di C sia uguale ad 1; siano quindi E,C descritte dalle equazionix2

a2+ y2

b2= 1, x2 + y2

c2= 1, con a > b > 1, c < 1; siano inoltre p il numero

di vertici della poligonale e q l’indice di allacciamento della poligonale

rispetto ad uno dei fuochi di C; vale MCD(p, q) = 1, p ≥ 2q + 1.

Consideriamo le parametrizzazioni di E,C tramite le funzioni A(z) =

(a cn z, b sn z), T (z) = (cn z, c sn z) per un valore fissato del modulo

ellittico k, e poniamo v := 4qKp. Ad ogni valore fissato di z, diciamo

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1. POLIGONALI DI PONCELET COMPLETAMENTE IRREGOLARI 47

z0, sia associata la poligonale di Poncelet tangente in T0 := T (z0) a C.

Se denotiamo zj := z0 + jv, j = 0, . . . , p − 1 si ha che gli altri punti

di tangenza sono dati da Tj := T (zj), e i vertici della poligonale da

Aj := A(zj − v2) (vedi dimostrazione del Teorema di Poncelet). Anche

qui utilizziamo la convenzione Ap = A0.

Ciascuna delle rette AjAj+1 e tangente a C in Tj, quindi ha equa-

zione:

x cn zj + yc sn zjc2

= 1.

Poniamo infine Qj,h := AjAj+1∩AhAh+1 per h ≡ j (mod p). L’insieme

dei Qj,h al variare di h ≡ j (mod p) contiene i punti notevoli della

poligonale, cioe le sue autointersezioni e i suoi vertici (in particolare

contiene tutti e soli i punti notevoli quando p = 2q+1, ma in generale

possiede degli elementi aggiuntivi che cadono al di fuori di E). Le

coordinate di Qj,h possono essere calcolate risolvendo il sistemaxc cn zj + y sn zj = c

xc cn zh + y sn zh = c

da cui si ottiene che il valore dell’ascissa xj,h uguaglia Fh−j(zj), essendo

Fh−j definita come nel lemma 3.3. Conoscendo le ascisse xj,h, xj dei

punti Qj,h, Aj e possibile computare la distanza ℓj,h := AjQj,h, dove

ℓj,h e la seguente funzione a valori complessi di z0:

ℓj,h(z0) =

√1− c2

sn zj

√sn2 zj +

c2

1− c2(xj − xj,h).

che puo essere estesa in maniera meromorfa in un intorno dell’asse

reale.

In primo luogo proviamo che le funzioni 1, ℓj,h(z) con h ≡ j (mod p), h ≡j − 1 (mod p) sono linearmente indipendenti su C: prendiamo quindi

delle costanti complesse λ, λj,h che verificano l’uguaglianza

λ+

p−1∑j=0

p+j−2∑h=j+1

λj,hℓj,h(z) ≡ 0

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1. POLIGONALI DI PONCELET COMPLETAMENTE IRREGOLARI 48

e dimostriamo che debbono essere tutte nulle. L’espressione si puo

riscrivere nella forma

(3.1)

p−1∑j=0

√1− c2

sn zj

√sn2 zj +

c2

1− c2

(p+j−2∑h=j+1

λj,h(xj − xj,h)

)≡ −λ

dove la quantita c2

1−c2e positiva e puo quindi essere posta uguale a

r2 come nel lemma 3.2: di conseguenza, le funzioni fj(z) = sn2 zj +c2

1−c2, j = 0, . . . , p − 1 non hanno zeri in comune. In un intorno di

uno zero di√fj(z), le funzioni

√fh(z), h ≡ j (mod p) sono quindi

meromorfe, ma√fj(z) non lo e; ne consegue che il primo membro

dell’uguaglianza 3.1 puo essere una funzione meromorfa ed uguagliare

−λ solo se ciascun termine∑p+j−2

h=j+1 λj,h(xj − xj,h) e nullo, ovvero se

p+j−2∑h=j+1

λj,h(Fj−1(z)− Fh−j(z)) ≡ 0 ∀j.

Per il lemma 3.3 ciascuna delle funzioni Fh−j(z) possiede un polo che

non appartiene alle altre F con indice differente, quindi l’intera som-

ma∑p+j−2

h=j+1 λj,h(Fj−1(z)−Fh−j(z)) puo essere identicamente nulla solo

per λj,h = 0, altrimenti presenterebbe essa stessa dei poli. E cosı

provato che λj,h = 0 ∀j = 0, . . . , p − 1, h = j + 1, . . . , p + j − 2, e

contemporaneamente λ = 0.

Ora e possibile dimostrare che fissando opportunamente z0 ∈ R,l’indipendenza lineare delle quantita (stavolta costanti) 1, ℓj,h e garan-

tita anche su Q. Fissiamo una stringa di coefficienti razionali non tutti

nulli Λ = (λ, λj,h) e costruiamo la funzione a vaori complessi

FΛ(z) := λ+

p−1∑j=0

p+j−2∑h=j+1

λj,hℓj,h(z).

Per la prima parte della dimostrazione, questa funzione e non identica-

mente nulla e meromorfa in un intorno di R, quindi l’insieme dei suoi

zeri in tale intorno e al piu numerabile, e in particolare l’insieme degli

zeri reali (che chiameremo ZΛ) e al piu numerabile. L’unione dei vari

ZΛ al variare della stringa Λ e ancora un insieme numerabile, poiche Λ

assume solo valori razionali. Di conseguenza, l’insieme complementare

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1. POLIGONALI DI PONCELET COMPLETAMENTE IRREGOLARI 49

R \ ∪ΛZΛ ha la potenza del continuo ed e a misura piena in R, quindinon e vuoto. Scegliendo z0 ∈ R \ ∪ΛZΛ segue che le quantita 1, ℓj,h(z0)

sono linearmente indipendenti su Q.

Infine, scelto z0 ∈ R\∪ΛZΛ, parametrizziamo la poligonale secondo

il parametro arco tramite una funzione β(t) tale che β(0) = A0. Osser-

viamo che ciascuna autointersezione della traiettoria, essendo un punto

doppio, ammette due diverse lunghezze d’arco in questa parametrizza-

zione. Possiamo quindi assegnare ai punti di autointersezione della

forma Qj,h due valori tj,h < t′j,h tali che β(tj,h) = β(t′j,h) = Qj,h. Sup-

ponendo che sia j < h (questa richiesta e legittima poiche Qj,h = Qh,j)

abbiamo le seguenti formule per tj,h, t′j,h: tj,h =

∑j−1m=0 ℓm,m+1 + ℓh,j,

t′j,h =∑h−1

m=0 ℓm,m+1 + ℓh,j, per cui l’indipendenza lineare di 1, ℓj,h su

Q implica l’indipendenza di 1, tj,h, t′j,h. La poligonale di Poncelet cosı

determinata e quindi completamente irregolare.

Osservazione 3.6. La dimostrazione di questo teorema non fa ri-

ferimento all’ipotesi per cui l’unione dei lati [A0A1], . . . , [Ap−1A0] sia

effettivamente una poligonale. Anche ammettendo che p, q possano

avere fattori comuni non banali (nel qual caso avremo una unione di

poligonali in numero uguale a MCD(p, q), e q assumera il significato di

somma degli indici di intrecciamento delle poligonali), la costruzione

dei punti Qj,h rimane invariata e le quantita 1, ℓj,h continuano ad es-

sere linearmente indipendenti su Q. L’unica differenza rispetto al caso

esaminato nel teorema e le necessita di parametrizzare separatamente

le varie poligonali; ma anche qui l’indipendenza lineare di 1, ℓj,h im-

plica l’indipendenza di 1 e delle lunghezze d’arco dei punti notevoli di

ciascuna poligonale.

Questa considerazione ci servira per provare l’enunciato di Pecker

per i nodi a piu componenti, i cui diagrammi costruiti come chiusure

di trecce quasitoriche sono unioni finite di poligonali di Poncelet.

Osservazione 3.7. La lunghezza totale di una poligonale di Poncelet

(anche una non completamente irregolare) relativa alle ellissi E,C si

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2. IL TEOREMA DI PECKER 50

puo calcolare come∑p−1

m=0 ℓm,m+1(z0) =: ℓ(z0), essendo T (z0) il punto di

tangenza iniziale. Se si aggiunge l’ipotesi di E,C confocali, la funzione

ℓ(z) diviene costante rispetto aal variare di z in R. La verifica di

questo fatto e piuttosto lunga, ma concettualmente molto semplice:

ciascuna delle ℓj,h(z) e meromorfa in un intorno di R, quindi ℓ(z) e

derivabile se ristretta adR; calcolando la derivata di ℓ(z), si trova che

essa e identicamente nulla, quindi ℓ(z) e costante. Questa proprieta

costituisce l’enunciato del teorema di Graves.

2. Il teorema di Pecker

In questa sezione dimostreremo l’enunciato di Pecker facendo ricor-

so ai risultati preliminari esposti finora. Utilizzeremo anche il seguente

teorema di densita di Kronecker:

Teorema 3.8. Siano t0, . . . , ts−1 numeri reali tali che 1, t0, . . . , ts−1

sono linearmente indipendenti su Q, allora la successione di punti (kt0(mod 1), . . . , ktp−1 (mod 1))k∈N e densa nel cubo unitario [0, 1]s.

Corollario 3.9. Sia φ(t) : R → [0, 1] l’onda triangolare definita da∣∣(2t+ 12

)(mod 2)− 1

∣∣, e siano t0, . . . , ts−1 reali tali che 1, t0, . . . , ts−1

sono linearmente indipendenti suQ. Allora la successione (φ(kt0), . . . ,φ(kts−1))k∈N e densa nel cubo unitario [0, 1]s.

Dimostrazione. Per il teorema di Kronecker, la successione (ktj(mod 1))s−1

j=0k∈N e densa in [0, 1]s, quindi applicando un’affinita ai va-

lori ktj (mod 1) si ha che ((2ktj + 12) (mod 2)− 1)s−1

j=0k∈N e densa in

[−1, 1]s. In particolare, la scelta degli indici k per cui vale (2ktj +12)

(mod 2) − 1 ≥ 0 ∀j da luogo ad una sottosuccessione densa in [0, 1]s.

A maggior ragione, quindi, (φ(ktj))s−1j=0k∈N e densa in [0, 1]s.

Teorema 3.10. Sia D = B × [0, 1] un cilindro retto tridimensionale

la cui base B e delimitata da un’ellisse di eccentricita positiva. Allora

ogni nodo docile (ad una o piu componenti) K ⊂ R3 si realizza a meno

di isotopia come nodo biliardo (ad una o piu componenti) in D.

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2. IL TEOREMA DI PECKER 51

Dimostrazione. Per il teorema di Manturov, esiste un nodo isotopi-

camente equivalente a K il cui diagramma e unione finita di traiettorie

biliardo in B tangenti ad una ellisse C confocale ad E = ∂B. Detti

p il numero di vertici del diagramma e q la somma degli indici di al-

lacciamento delle traiettorie rispetto ad uno dei fuochi di E, possiamo

supporre p dispari.

Per il teorema di Graves tutte le poligonali hanno la stessa lunghez-

za, quindi applicando una omotetia su B possiamo fare in modo ab-

biano tutte lunghezza unitaria, e conseguentemente parametrizzarle se-

condo le mappe βr : [0, 1] → B, 0 ≤ r ≤ m−1, essendo m = MCD(p, q)

il numero di tali poligonali.

Dette tj,h,r, t′j,h,s le lunghezze d’arco dei punti notevoli Qj,h (osser-

viamo che r, s possono essere diversi qualora Qj,h sia intersezione di

due diverse traiettorie βr, βs), per il teorema 3.5 e possibile scegliere

le poligonali in modo che 1, tj,h,r, t′j,h,s siano linearmente indipendenti

su Q. Usiamo la convenzione per cui tj,r sta ad indicare la lunghezza

d’arco relativa al vertice Aj della traiettoria βr.

Costruiamo le spezzate contenute inD con parametrizzazioni αr,k(t)

:= (βr(t), φ(kt)) dove φ(kt) e l’onda triangolare∣∣(2kt+ 1

2

)(mod 2)− 1

∣∣.Se k viene scelto in modo che 0 < φ(ktj,r) < 1 per ogni j (come vedre-

mo a breve, cio e sempre possibile), allora i sostegni delle varie αr,k(t)

sono traiettorie biliardo in D, infatti possono essere parametrizzati se-

condo il parametro arco considerando αr,k

(t√

1+4k2

), t ∈ [0,

√1 + 4k2]

(cio puo essere visto come il viceversa della proprieta enunciata nel-

l’osservazione 1.29: non solo la proiezione di una traiettoria biliardo in

un cilindro retto e ancora una traiettoria biliardo nella base, ma una

traiettoria nella base puo essere ”sollevata” per ottenere una traietto-

ria nel cilindro; questo processo pero non e univoco, come si vede ad

esempio dalla scelta arbitraria dell’onda triangolare φ(kt), con l’unica

condizione 0 < φ(ktj,r) < 1).

Ciascuna αr,k(t) e periodica, infatti φ(kt) e βr(t) sono periodiche

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2. IL TEOREMA DI PECKER 52

rispettivamente di periodo 1ked 1, per cui il minimo comune multi-

plo e 1. I sostegni delle αr,k sono quindi spezzate chiuse, ma non

necessariamente semplici: puo infatti accadere che in corrispondenza

di un incrocio Qj,h appartenente ad una sola traiettoria βr le ascisse

curvilinee tj,h,r, t′j,h,r diano luogo all’uguaglianza φ(ktj,h,r) = φ(kt′j,h,r),

poiche l’onda triangolare non e iniettiva sull’intervallo [0, 1]. La con-

dizione necessaria affinche ciascuna di tali spezzate sia un nodo e data

da φ(ktj,h,r) = φ(kt′j,h,r).

In secondo luogo i sostegni delle αr,k devono essere disgiunti perche

la loro unione sia un nodo a piu componenti. Cio si verifica se φ(ktj,h,r)

= φ(ktj,h,s), φ(kt′j,h,r) = φ(ktj,h,s), φ(ktj,h,r) = φ(kt′j,h,s), φ(kt

′j,h,r) =

φ(kt′j,h,s) ∀r = s.

Infine, l’unione dei sostegni e isotopicamente equivalente a K se e

solo se i rispettivi diagrammi possiedono la stessa informazione agli in-

croci: cioe deve essere possibile decidere quale delle due disuguaglianze

φ(ktj,h,r) ≷ φ(kt′j,h,s) e valida.

Allora costruiamo una stringa di valori fissati Φ = (φj,r, φj,h,r, φ′j,h,r)

∈ [0, 1]c (con c scelto opportunamente) tali che sono soddisfatte tutte

le seguenti condizioni:

(1) 0 < φj,r < 1 ∀j, r;(2) φj,h,r = φ′

j,h,r ∀j, h, r;(3) φj,h,r = φj,h,s ∀j, h, ∀r = s;

(4) φ′j,h,r = φj,h,s ∀j, h, ∀r = s;

(5) φj,h,r = φ′j,h,s ∀j, h, ∀r = s;

(6) φ′j,h,r = φ′

j,h,s ∀j, h, ∀r = s;

(7) φj,h,r ≷ φ′j,h,s a seconda dell’informazione che il diagramma di

K fornisce riguardo l’incrocio in Qj,h.

Per il corollario al teorema di Kronecker, la successione φ(ktj,h,r)k∈Ne densa in [0, 1]s, quindi al variare di k la quantita ∥φ(ktj,h,r)−Φ∥ puo

essere resa piccola a piacere. Scegliendo ε := 12min|φ − ψ| : φ, ψ ∈

Φ, φ = ψ, esiste k tale che ∥φ(ktj,h,r)−Φ∥ < ε, e di conseguenza i va-

lori di φ(ktj,h), φ(ktj,h,r), φ(kt′j,h,r) soddisfano le stesse disuguaglianze

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2. IL TEOREMA DI PECKER 53

(1)-(7). Grazie a questa scelta di k l’unione dei supporti ∪m−1r=0 αr,k[0, 1]

e un nodo poligonale ad m compomenti il cui diagramma coincide con

diagramma di K, comprese le informazioni sugli incroci. In questo mo-

do abbiamo costruito in nodo biliardo in D isotopicamente equivalente

a K.

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