Unità 3 Resistenza a fatica · Unità 3 Resistenza a fatica 3.1 La rottura a fatica. Gli elementi...

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Unità 3 Resistenza a fatica 3.1 La rottura a fatica. Gli elementi meccanici sono spesso soggetti a sollecitazioni che variano nel tempo in modo ciclico, con il carico che varia periodicamente tra valori massimi (picchi) e minimi (valli). Se tali componenti, sotto l'azione di queste tensioni cicliche, si danneggiano nonostante i valori massimi siano inferiori a quelli di rottura o di snervamento si dice che il cedimento è avvenuto per fatica. Molti autori sostengono che l'80-90% dei cedimenti di componenti strutturali è dovuto al fenomeno della fatica , fenomeno che in passato ha causato molti incidenti aerei. Per spiegare il meccanismo fisico del danneggiamento per fatica si deve anzitutto osservare che i materiali da costruzione non sono mai omogenei e isotropi. Ad esempio, i metalli sono aggregati di grani cristallini (a loro volta sono aggregati di cristalli, che sono anisotropi); ulteriori disomogeneità sono dovute alla presenza di vuoti o di particelle di materiale differente. Questo significa che, anche se non sono presenti intagli, le tensioni risultano distribuite in modo non uniforme e localmente è facile che superino i limiti dello snervamento anche se la tensione nominale è molto più bassa. Il cedimento per fatica è dovuto all’accumulo di danni localizzati, in particolare, nel caso dei materiali metallici, la fatica è legata a fenomeni di micro deformazione plastica che producono delle cricche locali, che con il riprodursi del ciclo delle sollecitazioni, si in gradiscono e provocano la rottura. Riassumendo, la fatica è un processo di cedimento progressivo dovuto all’estendersi delle micro -lesioni presenti nel materiale che si sviluppa in tre fasi successive e distinte: 1. Innesco della frattura: la frattura si innesca sulla superficie del pezzo ed è dovuta ad irregolarità superficiali quali microcricche, microintagli,…. e nelle zone di concentrazione di tensione. Un cedimento per fatica inizia, quindi, con una frattura microscopica che potrebbe essere difficile da rilevare anche con tecniche sperimentali (liquidi penetranti, ispezione con i raggi X). 2. Propagazione della frattura: man mano che la frattura si sviluppa gli effetti di concentrazione delle tensioni divengono maggiori e la velocità di accrescimento aumenta sempre più rapidamente, prima nella direzione delle massime tensioni tangenziali, poi in direzione ortogonale alle tensioni normali;

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Unità 3 Resistenza a fatica

3.1 La rottura a fatica.

Gli elementi meccanici sono spesso soggetti a sollec itazioni che variano nel tempo in modo ciclico,

con il carico che varia periodicamente tra valori

massimi (picchi) e minimi (valli). Se tali

componenti, sotto l'azione di queste tensioni

cicliche, si danneggiano nonostante i valori

massimi siano inferiori a quelli di rottura o di

snervamento si dice che il cedimento è

avvenuto per fatica.

Molt i autori sostengono che l'80-90% dei

cedimenti di componenti strutturali è dovuto al

fenomeno della fat ica , fenomeno che in passato ha causato molt i incidenti aerei. Per spiegare il meccanismo

fisico del danneggiamento per fatica si deve anzitutto osservare che i materiali da costruzione non sono mai

omogenei e isotropi. Ad esempio, i metalli sono aggregati di grani cristallini (a loro volta sono aggregati di

cristalli, che sono anisotropi); ulteriori disomogeneità sono dovute alla presenza di vuoti o di particelle di

materiale differente. Questo significa che, anche se non sono presenti intagli, le tensioni risultano distribuite

in modo non uniforme e localmente è facile che superino i limit i dello snervamento anche se la tensione

nominale è molto più bassa. Il cedimento per fat ica è dovuto all’accumulo di danni localizzati, in particolare,

nel caso dei materiali metallic i, la fat ica è legata a fenomeni di micro deformazione plastica che producono

delle cricche locali, che con il riprodursi del cic lo delle sollec itazioni, si in gradiscono e provocano la rottura.

Riassumendo, la fat ica è un processo di cedimento progressivo dovuto all’estendersi delle micro-lesioni

presenti nel materiale che si sviluppa in tre fasi successive e dist inte:

1. Innesco della frattura: la frattura si innesca sulla superficie del pezzo ed è dovuta ad irregolarità

superficiali quali microcricche, microintagli,…. e nelle zone di concentrazione di tensione. Un cedimento

per fat ica inizia, quindi, con una frattura microscopica che potrebbe essere diffic ile da rilevare anche

con tecniche sperimentali (liquidi penetranti, ispezione con i raggi X).

2. Propagazione della frattura: man mano che la frattura si sviluppa gli effett i di concentrazione delle

tensioni divengono maggiori e la velocità di accrescimento aumenta sempre più rapidamente, prima

nella direzione delle massime tensioni tangenziali, poi in direzione ortogonale alle tensioni normali;

3. Rottura dell’elemento: quando la sezione resistente, progressivamente, si riduce e le dimensioni

della cricca raggiungono il valore crit ico del materiale, si verifica la rottura per schianto del pezzo.

La propagazione della frattura è facilmente osservabile in qualunque oggetto rotto a fatica. Infatti, in

corrispondenza della sezione di rottura, sono ben distinguibili due dist inte aree di frattura:

superficie criccata, dovuta al progressivo

ingrandimento della cricca che risulta perfettamente

liscia, vellutata e luc ida alla vista;

superficie di rottura per schianto, parte rugosa

discontinua e piena di piccoli crateri ed opaca alla

vista. Questa parte della rottura è avvenuta per

sovraccarico e può presentare la strizione ed è molto

simile alla superficie di frattura di un materiale fragile

rotto in trazione.

Se ne deduce che la fat ica è un fenomeno estremamente più complesso della rottura statica, in quanto dipende

simultaneamente dal livello di tensione alternata locale (in realtà

di deformazione) e dalla distribuzione di difetti localizzati nel

materiale. Ancora oggi non esiste un modello matematico in grado

di descrivere in modo soddisfacente il comportamento a fatica dei

diversi materiali ma bisogna basarsi solo su di una serie di curve

ottenute su base sperimentale e statistica.

Pertanto se si vogliono progettare componenti meccanici

sollec itat i a fat ica, soprattutto se in campo aeronautico,

interpretando il carico agente come statico, occorre usare

coeffic ienti di sicurezza molto più alt i, t ipicamente al di sopra del doppio o del triplo di quelli ordinari.

3.2 Curve di Wöhler e limite di fatica

I primi studi intorno alla fat ica vennero compiuti alla fine del secolo XIX da un ingegnere tedesco,

August Wöhler che, studiando la rottura di alcuni assali ferroviari, scopri che essa era dovuta alla natura

ciclica del carico cui l'assale era sottoposto (flessione rotante). Mettendo in relazione l'ampiezza massima del

ciclo di sollecitazione con il numero di cic li che il pezzo sopportava prima della rottura ne ricavò una serie di

curve su base statist ica chiamate "diagrammi di Wöhler" o “curve tensione-vita”, curve che, ancora

oggi, costituiscono lo strumento base per la progettazione di componenti meccanici e aeronautici sollec itati

a fat ica. Per determinare tali curve e valutare la resistenza del materiale sotto l’azione di carichi di fat ica, i

provini vengono assoggettati a forze variabili c iclicamente nel tempo tra un valore massimo ed uno minimo

prefissati, contando i c icli necessari per la rottura.

Un ciclo di fatica è quello compreso tra 2 massimi

o 2 minimi consecutivi aventi lo stesso valore.

Per evitare di introdurre fattori legati alla geometria del componente, nelle prove vengono utilizzati provini

standardizzati, a sezione c ircolare di diametro pari a 7,5 mm, con ottimo grado di finitura superficiale,

soggetti a flessione pura (taglio nullo) rotante. Le

prove vengono condotte ad alta velocità mediante

una macchina apposita chiamata macchina di

Moore che assoggetta i provini a flessione rotante.

Nel caso della macchina di Moore, la tensione

varia nel tempo in modo sinosuidale, tuttavia,

come già detto, il fenomeno della fat ica non

dipende dalla forma della funzione della tensione

rispetto al tempo, ma solo dai valori massimi e

minimi raggiunti.

Inizialmente si sottopone un provino ad un carico

variabile con tensione massima max1=max +a1, inferiore a quella di snervamento, e si verifica la rottura

dopo un certo numero di cic li N1; successivamente si ripete la prova su di un altro provino sottoponendolo ad

un carico max2=max+a2 , inferiore al precedente (a parità di tensione media), si riscontra la rottura

dopo un numero di cicli N2 superiore ad N1. Continuando sistematicamente in questo senso la prova, si nota

come al diminuire della max, il numero di cic li N a cui il provino resiste aumenta, fino a che si giunge ad un

valore di tensione A , a partire dal quale il provino non si rompe più. Questa sollec itazione è assunta come

il limite di rottura a fatica. Se adesso si inseriscono i valori delle tensioni applicate, e i relativ i N in un

diagramma [N, con sulle ordinate le a e sulle asc isse le N, e si interpolano i punti trovati si genera una

curva, legata al relat ivo valore m, che presenta un asintoto orizzontale per N che tende all' infinito, a tale

curva si da il nome di diagramma di Wöhler.

Analizzando il diagramma, in coordinate cartesiane, di una generica curva di Wöhler, si nota come in esso è

possibile individuare due zone: nella prima (tratteggiata) la curva tende a diminuire molto rapidamente,

nella seconda essa tende a divenire orizzontale, questo cambiamento di direzione avviene per particolari

valori di N che dipendono dal materiale. Infatti, mentre per un acciaio la variazione di tendenza la si può

notare già a partire di N=104 (in genere per l'acciaio si può affermare di aver raggiunto il limite di fat ica

quando esso riesce a resistere a 106 =1.000.000 cicli), per altri materiali, come ad esempio l'alluminio,

questo non avviene se non per N molto superiori (ad es. 108 cicli). Sarà la valutazione della N a partire dalla

quale la curva dovrà essere considerata orizzontale a definire il valore del limite di fat ica.

Poiché N può raggiungere valori molto alt i, anche di 108 cicli, e il

diagramma in coordinate cartesiane non permette di leggere con

precisione i dati di breve e lunga durata, si preferisce visualizzare la

curva in un diagramma di t ipo logaritmico o semilogaritmico (nel

diagramma logaritmico sono in scala logaritmica sia i cic li che le

tensioni, mentre in quella semilogaritmica sono in scala semi-

logaritmica solo i c icli N). Inoltre il diagramma semilogaritmico (figura

a lato), mantenendo costante la scala delle tensioni e restringendo la

scala dei cic li consente, grazie alla uniformità della scala delle

tensioni, un facile raffronto tra le curve aventi materiali diversi, cosa che non è fac ile fare utilizzando un

diagramma logaritmico.

La Macchina per prove a fatica di R.R. Moore

La macchina per la prova a fatica di R.R. Moore, sottopone un provino di dimensioni unificate a “flessione rotante” pura, e dunque le tensioni risultano essere di sola compressione o trazione. La macchina è dotata di un contatore che permette di conoscere il numero di cicli di carico che il provino sopporta prima di arrivare alla rottura.

Per evitare di introdurre fattori legati alla geometria del componente, nelle prove vengono utilizzati provini standardizzati, a sezione circolare di diametro pari a 7,5 mm. Da notare che il provino risulta essere dotato di un’ottima finitura superficiale (lucidatura) e di un ampio raggio di raccordo proprio per evitare che la cricca di fatica abbia inizio per causa di irregolarità superficiali non in generale imputabili al materiale. Predisposta la macchina e stabilito il momento flettente da applicare al provino, questa viene tenuta in funzione fin quando il provino non arriva a rottura; è allora possibile associare al momento flettente la tensione σ, il cui valore massimo lo si raggiungerà sulla sezione centrale del

provino, con il numero di cicli compiuti fino alla rottura.

3.3 Fattori di influenza e trattamenti preventivi

Possiamo affermare che i fattori che influenzano la vita a fatica di un determinato componente

possono essere sia di tipo “metallurgico” che di tipo “ meccanico”.

Tra i fattori di t ipo “metallurgico” è importante la morfologia e le dimensioni della grana cristallina

(mediamente una struttura fine comporta un aumento del limite di fat ica). Al contrario le strutture non

omogenee e lamellari creano maggiori concentrazioni di sforzi nel materiale e sono quindi più rischiose, ad

esempio, la perlite ha una struttura che peggiora la resistenza alla fat ica. In fine le inclusioni sono dannose

se in quantità e con geometria lamellare. In linea di massima è quindi più resistente un pezzo ottenuto per

solidificazione sottovuoto rispetto ad un pezzo ottenuto per colata.

I fattori di influenza di t ipo “meccanico” sono quelli legati all'esercizio e al dimensionamento del pezzo

metallico:

il più importante è la finitura superficiale dato che la cricca inizia spesso sulla superfic ie del pezzo,

l'estensione di quest'ult ima è proporzionale alla probabilità d'innesco. E’ quindi necessario eliminare i

solchi lasc iat i dagli utensili di lavorazione, in quanto in essi si crea una concentrazione di tensioni. Una

superficie ben levigata apporta significat ivi vantaggi solo su pezzi in acciai ad alta resistenza, per i quali

è quindi indispensabile una accurata lavorazione.

Un altro fattore significat ivo è la forma del pezzo. In fase di progetto e costruzione è sempre bene

evitare difett i di intaglio, fori, spigoli vivi e brusche variazioni di sezione poiché esse determinano

concentrazioni di tensioni localizzate che riducono la vita a fat ica.

La temperatura di esercizio. Al crescere della temperatura diminuisce la resistenza a fat ica. Se però le

temperature diventano particolarmente basse si verifica il fenomeno della fragilizzazione che consiste in

una brusca riduzione delle caratteristiche duttili del materiale.

In fine un'azione molto accentuata nell'abbassare il limite di fatica è svolta da lla corrosione che sia

contemporanea alla sollecitazione di fatica tanto è vero che il danneggiamento continua a crescere con il

numero di cic li qualunque sia la sollecitazione applicata.

Poiché le cricche di fat ica hanno origine quasi sempre sulla superfic ie del pezzo, per prevenire il

danneggiamento per fat ica o per migliorare la resistenza ad esso in genere si ricorre a i seguenti trattamenti:

RULLATURA o PALLINATURA, che creando sforzi residui di compressione sulla superficie, tendono a

richiudere eventuali microcricche e rallentano l'evoluzione del danneggiamento;

CARBONITRURAZIONE, NITRURAZIONE o TEMPRA SUPERFICIALE, per indurire (e quindi rinforzare) lo

strato superfic iale del pezzo senza renderne fragile il cuore;

RETTIFICA o LAPPATURA, per ridurre al minimo le rugosità superfic iali.

3.4 Le filosofie di progetto a fatica

Nel dimensionare un pezzo meccanico, tenendo conto della fat ica, è necessario individuare il numero di c icli

a cui esso sarà sottoposto durante la sua vita; successivamente viene operato il calcolo, dec idendo se le

tensioni ammissibili sul pezzo dovranno essere tali da non portare mai a rottura, o se invece potranno

determinarne la rottura dopo un numero N di cicli (in quanto il pezzo o sarà sostituito prima o non sarà mai

sottoposto al numero di cic li N superiore a quello corrispondente alla rottura). Nel primo caso si parla di

calcolo a vita nel secondo caso di calcolo a termine. C’e da rilevare che un numero di c icli N, prev isto per

la vita di un elemento, può risultare del tutto inadeguato per la vita di un pezzo simile ma sottoposto a

diverso utilizzo; un albero di trasmissione di un automobile diffic ilmente opererà oltre i 106 cicli, che

corrispondono a circa 300.000 km; tale valore risulta sicuramente basso se invece lo si riferisce ad un assale

di un carro ferroviario. Sulla base di ciò, in campo

aeronautico, sin dalla fase di progetto preliminare di

un componente del velivolo, si sono sviluppati alcuni

criteri costruttivi ( filosofie di progetto) allo scopo di

garantire la tenuta a fatica dell’elemento che deve

essere realizzato.

I princ ipali criteri costruttivi introdotti furono il criterio “Safe-Life” e quello “Fail-Safe”.

Nella filosofia del criterio Safe-Life (vita sicura) le strutture (ma anche gli impianti e le

apparecchiature) sono proporzionate per una vita limitata e determinata (vita sicura). Ovvero ogni

componente strutturale, determinata la massima durata in termini di numero di ore di volo, deve

rimanere integro per tale periodo, al temine delle quali viene rit irato dal servizio, indipendentemente dal

fatto che abbia subito o meno danneggiamenti. Ai fini della sicurezza non importa tanto che questa

durata sia elevata, quanto che essa sia ben nota, affinché si possa sostituire il componente in condizioni

di sicurezza.

Dunque progettare secondo il criterio safe life significa eseguire preventivamente prove e simulazione di

carico per verificare che la struttura sia in grado di non subire alcun danno per un determinato periodo

di tempo. Ovviamente il limite di questo criterio è che impone coefficienti di sicurezza molto elevati e

conseguentemente alt i costi.

Il criterio di Fail Safe (sicurezza nella rottura), assai diffuso in campo aeronautico, si basa sul

seguente principio: realizzare una struttura tale per cui, anche se un componente è danneggiato, tale

rottura non porti alla perdita catastrofica dell’ intera struttura. Ciò può essere ottenuto utilizzando

elementi ridondanti (ad esempio utilizzando in un collegamento, un numero di bulloni maggiore di

quanto strettamente necessario alla resistenza dell'elemento, e quindi, la rottura di qualche bullone non

pregiudicherà la capacità del velivolo di portare a termine il volo in sicurezza). Una struttura fail-safe è

dunque un struttura iperstat ica, caratterizzata dal fatto che altri elementi possano assolvere il compito

di quello in cui si è manifestata la rottura. Ovviamente una struttura così concepita deve presentare

notevole facilità di controllo e manutenzione al fine di poter facilmente rilevare e sostituire il

componente danneggiato.

Ricapitolando mentre con il criterio safe life si stabilisce che il pezzo abbia una certa resistenza per un certo

periodo di tempo, per cui in genere il pezzo viene eliminato quando ancora ha un 70% di vita, nel criterio

fail safe, stabilendo che non devono esserci fessure visibili sul pezzo per il periodo, il materiale viene

sfruttato meglio fino a che non raggiunge la rottura (compatibilmente col fatto che il velivolo possa portare a

termine la missione). Chiaramente in questo secondo caso deve esistere una minuziosa organizzazione di

ispezioni periodiche del velivolo in modo da verificarne l'effett iva integrità (controlli non distruttivi) con

interventi di manutenzione e ricambio dei pezzi danneggiat i

Alal fine degli anni ‘70 in seguito ad una serie di incidenti occorsi ai velivoli F111 fu introdotta la filosofia del

“damage tolerance“ (tolleranza del danno). Un struttura progettata secondo tale criterio è tale per cui si

ammette la possibilità di esistenza di difett i iniziali ( di fat ica, di corrosione, di tensocorrosione,…. ) nella

struttura, senza però che si verifichi una rottura catastrofica prima che il difetto venga identificato durante le

ispezioni di manutenzione. In pratica se si generano dei difetti, la struttura deve essere in grado di

sopportarli senza conseguenze catastrofiche che nel pregiudichino l’integrità. Ovviamente questa filosofia

richiede numerosi controlli periodici, ad esempi, per le strutture metalliche, occorre definire per c iascun

elemento strutturale, un appropriato calendario di ispezioni cosicché le cricche (già presenti o formatesi in

seguito all’ut ilizzo) non si propaghino fino alla rottura prima di essere individuate.

Resta intero che tutte le parti meno accessibili ( o non ispezionabili) della struttura vanno comunque

progettate e realizzate secondo il criterio safe-life.

3.5 Il caso “de Havilland DH.106 Comet”

Purtroppo vi sono stati numerosi incidenti dovuti a

sottovalutazione degli effetti dei carichi variabili nel tempo. Il

caso del COMET nei primi anni ’50 è rimasto famoso ed ha

fornito preziosi insegnamenti. La fusoliera di un aereo di linea

è sollecitata a pressione pulsante, con andamento tipico di

seguito riportato:

Si osserva che la differenza di pressione fusoliera/esterno

segue un cic lo base cui sono sovrapposti cic li a frequenza

maggiore (turbolenze, variazioni di quota etc). Nel caso del

Comet si accertò che il danno strutturale era indotto dalla

nucleazione e successiva propagazione di cricche di fat ica in

corrispondenza degli spigoli dei finestrini rettangolari ricavati

nella fusoliera dell’aereo. Gli spigoli vivi localizzati agli angoli

dei finestrini rettangolari erano sede di concentrazione di sforzi

che, a causa dei cic li di pressurizzazione e depressione cui la

fusoliera dei

velivoli era

sottoposta in esercizio (decollo, permanenza in quota ed

atterraggio costituiscono un ciclo di fat ica), erano causa

di nucleazione e propagazione di cricche di fat ica. Il caso

del COMET ha mostrato che tutti gli intagli sono critici nei

componenti sollec itat i a fat ica e mise in rilievo la

necessità di progetti più accurati e l’ importanza delle

de Havilland DH.106 Comet

era un avveniristico quadrimotore di linea a

getto ad ala bassa prodotto dall'azienda britannica “de Havilland Aircraft Company”

nei primi anni ‘50. Il Comet detiene il primato

di essere stato il primo aereo di linea a getto della storia ad entrare in servizio operativo.

Tra le varie tecnologie impiegate per la prima

volta su un velivolo dalle dimensioni del Comet vi furono il sistema di pressurizzazione

(che raggiungeva valori doppi rispetto ai

precedenti aerei di linea, garantendo la possibilità di raggiungere quote più elevate) e

l 'impiego di un adesivo epossidico per

l 'incollaggio delle parti metalliche, conosciuto come REDUX. Emblematici furono gli incidenti

che colpirono il Comet, fino a provocarne la

disintegrazione in volo, legati a repentine depressurizzazioni dovute al cedimento per

fatica di alcuni componenti strutturali. Il primo

velivolo si disintegrò in volo a circa 30.000 ft di quota e cadde presso l’Isola d’Elba il 10

gennaio del 1954 ( al momento dell’incidente

aveva compiuto 3680 ore di volo, corrispondenti a 1286 voli pressurizzati) un

secondo in un analogo incidente avvenuto a

Napoli l ’8 aprile dello stesso anno.

strutture “fail safe”.La resistenza a fat ica viene incrementata con la scelta di materiali adeguati e un'attenta

progettazione delle parti, evitando pericolose concentrazioni di sforzi.

Immagine di alcuni dei rottami recuperati in mare

L’indagine tecnica compiuta sui resti del velivolo dimostrò che l’origine della cricca di fatica che portò alla esplosione in volo era posizionata nell’angolo destro della finestrino posteriore destinato alla ubicazione della antenna ADF.