Una vita per un'idea

12

description

Questa raccolta di discorsi e di scritti di Michele Bianco non rappresenta solo l’omaggio giusto e dovuto alla memoria di un uomo per il quale abbiamo, in tanti, nutrito affetto e rispetto: di un uomo di esemplare probità, fermezza ideale, integrità morale, sensibilità umana e sociale. Questa raccolta ha anche un suo valore obiettivo, un suo significato storico, una sua funzione pedagogica: è importante che si moltiplichino tutte le iniziative – testimonianze, studi, dibattiti – volte a reagire a fenomeni devastanti di “distruzione della memoria”. Se si cancella la memoria del grande e terribile secolo appena conclusosi, la memoria dell’esperienza ancora viva delle generazioni immediatamente precedenti, la memoria del contrastato e spesso drammatico percorso del nostro paese e delle sue forze sociali verso profonde e contraddittorie trasformazioni, non si può attraversare il presente e preparare il futuro con la consapevolezza e la lungimiranza che come non mai oggi si richiede.

Transcript of Una vita per un'idea

Page 1: Una vita per un'idea
Page 2: Una vita per un'idea

51

Per la nostra guerra di liberazioneAlla memoria di mio nipote tenente Pietro Siviglia e dei suoi compagni caduti

il 9 settembre 1943 nella lotta contro i tedeschi sullo stradale di Bitetto di Puglia

Matera 8 febbraio 1945

Cittadini!L’Italia democratica e progressiva, che lentamente ma sicuramente

va giorno per giorno risorgendo dallo sfacelo e dalla rovina a cui è stata ridotta dal fascismo, celebra oggi la Giornata del Partigiano e del Sol-dato, per farne nuovo lievito di vita che acceleri ed assicuri a un tempo il processo della sua rinascita.

A nome dei Partiti della Concentrazione Antifascista della nostra Provincia - da quello liberale al democratico del lavoro, da quello d’azio-ne al democratico cristiano, da quello socialista al comunista - io ho il compito di definire e precisare innanzi tutto, senza alcuna possibilità di equivoci, il nostro pensiero comune e il comune nostro atteggiamento dinanzi a quello che è l’imperativo categorico dell’ora per tutti gli italiani che voglian esser degni di questo nome: rifare, cioè, dal nulla un Esercito che, unitamente ai leggendari Partigiani d’Italia, concorra ad affrettare l’ora della completa liberazione del nostro Paese dalla soldataglia hit-leriana e fascista e riscatti definitivamente, davanti a sé stesso e davanti al mondo, l’onore nazionale seriamente compromesso, e potremmo anche dire del tutto barattato, dalla incommensurabile vigliaccheria e dal grande decadimento morale di capi che avevano completamente smarrito il senso del dovere e lo spirito e l’ardore combattivo che animò e sorresse i nostri valorosi soldati del Carso e della Bainsizza, del Piave e di Vittorio Veneto.

So di affrontare un argomento che potrebbe non trovar piena corri-spondenza e risonanza nell’animo di qualcuno di voi; ma so anche che è dovere imprescindibile di ognuno che voglia assumersi il ruolo di dirigente della pubblica opinione - e questo è senza dubbio il ruolo di qualsiasi partito - di dire al momento opportuno, non soltanto ai propri

L’imperativo categorico: rifare un Esercito!

Page 3: Una vita per un'idea

52

associati, ma anche e sopratutto alla massa indefinita rimasta nell’ombra grigia della indifferenza e della cosiddetta apoliticità, la parola che la situazione del Paese impone, e di adoperarsi inoltre, con una indefessa opera di propaganda, collettiva e individuale, al fine di far largamente penetrare quella parola nella mente e nella coscienza di tutti.

Smascherare e mettere alla gogna i miserabili tentativi di pochi traditori che, non paghi dei lutti e del danno che essi hanno concorso ad arrecare al nostro Paese, manovrano ancora oggi per ostacolarne o quanto meno ritardarne la ripresa, nella vana e comunque sempre riprovevole speranza di poter riacciuffare i privilegi perduti; affrontare e cercar di vincere la monumentale incomprensione di molta brava gente in perfetta buona fede che, avvelenata dalla propaganda subdola della quinta colonna o sfiduciata per la lentezza della ripresa, non vuole o non riesce a trovare da sé le ragioni che ci dicono che il mezzo per riconquistare la nostra libertà e la nostra indipendenza sta unicamente nella lotta armata e totalitaria per la distruzione completa e definitiva del fascismo e per la espulsione dal nostro suolo degli assassini del nostro popolo che ancora accampano su larga parte d’Italia, versando, torturando, martirizzando milioni e mi-lioni di nostri padri, di nostri fratelli, di nostre donne, di nostri bambini, e ogni cosa devastando, distruggendo e depredando; esaltare l’eroismo e lo spirito di sacrificio che anima ed unisce operai e intellettuali, laici e sacerdoti, uomini e donne che lottano nelle file dei Partigiani; ricordare il lutto e la rovina sparsi dai discendenti di Attila nelle nostre case e nei nostri cuori; inneggiare agli ufficiali ed ai soldati del Corpo Italiano di Liberazione, che si avvia oggi a diventare l’Armata Italiana di Libera-zione, alla sempre gloriosa nostra marina, ai nostri arditissimi avieri, ai nostri genieri, e ai combattenti di tutte le armi e di tutte le specialità che si apprestano a dimostrare al mondo che noi non siamo un popolo di vili, immeritevole di risorgere a nuova vita; fare tutto ciò significa compiere opera di vero, sano e fecondo patriottismo; significa gettare le basi solide su cui costrurremo domani la nuova Italia, guarita per sem-pre da ogni aberrante sogno di conquiste imperialistiche, ma libera fra le altre nazioni libere e intesa e protesa soltanto nella gigantesca opera dì ricostruzione che le sta dinanzi; significa infine creare i presupposti indispensabili che soli ci potranno consentire al momento opportuno di

Smascherare i fascisti

Page 4: Una vita per un'idea

53

chiedere e di sperare di ottenere che si sappia distinguere tra l’esigua minoranza di profittatori e di ribaldi, sui quali pesa la tremenda responsa-bilità di aver gettato il nostro Paese in una assurda guerra di aggressioni maramaldesche e di superate aspirazioni imperialistiche, e la stragrande maggioranza del popolo italiano, che ha sempre condannato il fascismo e non ha mai voluto la guerra da questo scatenata contro ogni nostro effettivo e reale interesse, contro ogni nostra tradizione di amicizia e di affinità con i popoli attaccati, e, quel che è peggio, a fianco dell’odiato militarismo prussiano e con la certezza più assoluta che la guerra così ingaggiata poteva e doveva esser ritenuta già perduta in partenza.

Io non credo che esistano e possano più esistere oggi in Italia uomini sani di mente i quali possano in buona fede sostenere e difendere ancora - non dirò in pubblico, ma, anche soltanto nel segreto dell’animo loro - il defunto regime fascista. Gli uomini e i partiti si valutano e si giudicano non da quello che dicono ma da quello che fanno. E tanto più ciò è vero quando si tratta di uomini e di un partito che hanno avuto oltre un ven-tennio a loro disposizione e i poteri più assoluti per dar prova di sé. Ora il bilancio del ventennio di dominazione fascista è a tal punto tragico da farci raccapricciare.

Esso si riassume nella miseria più nera in cui versa oggi tutto il popolo italiano; nella distruzione quasi completa delle nostre case; dei nostri mezzi di trasporto, delle nostre fabbriche, del nostro patrimonio zoote-cnico; nella divisione della nostra Patria in due, in una cifra spaventosa di morti disseminati in Albania, in Grecia, in terra d’Africa, in Ispagna, in Francia, in Russia, e in cento altri posti; in alcune altre centinaia di migliaia di civili, quasi sempre gente del popolo, seppelliti sotto le ma-cerie provocate dalle incursioni attirate sul nostro Paese con la inconsulta dichiarazione di guerra e soprattutto con la smargiassata di aver aspirato all’onore di mandare alcune squadriglie di nostri apparecchi a “coven-trizzare” Londra; inoltre un milione e mezzo di prigionieri dispersi nei campi di concentramento delle cinque parti del mondo; in un infinito numero di italiani deportati come schiavi in terra di Germania, e sulla cui sorte c’è da nutrire le più serie apprensioni; in massacri raccapric-cianti di tanti e tanti nostri martiri. Ecco quali sono le tanto decantate opere del regime che il fascismo ci lascia oggi in eredità. Aggiungete

Bilancio di un ventennio

Page 5: Una vita per un'idea

54

a questo il fenomeno degradante della prostituzione per fame che, so-prattutto nelle città, ha assunto proporzioni addirittura allarmanti - basti ricordare le 4500 ragazze inferiori ai dodici anni visitate negli ospedali napoletani perché affette da infezioni luetiche; aggiungete il fenomeno preoccupante del mercato nero, che si risolve in definitiva a tutto danno del popolo, e quello della corruzione dilagante in tutti gli strati sociali; pensate ai nostri, ai vostri bimbi, seriamente minacciati nella loro stessa costituzione biologica, per la deficienza di nutrimento e la mancanza più assoluta di medicinali ricostituenti; pensate a tutto ciò ed avrete un quadro pallidissimo dell’immenso disastro nel quale siamo caduti: un quadro tuttavia che si avvicina alla realtà solo come lo scarabocchio di un pittore da strapazzo si avvicina al quadro grandioso della scena che egli ha voluto ritrarre.

Non più, dunque, fascisti di buona fede possono esistere ancora oggi nel nostro Paese, ma soltanto consapevoli cani traditori che come tali vanno trattati, e cioè senza alcuna pietà e senza alcuna indulgenza, perché l’aver pietà o l’usar indulgenza verso di essi farebbe fremere le ossa dei nostri martiri che sono infiniti.

Purtroppo dobbiamo constatare che non tutti i traditori si sono trasferiti al seguito del predone di Predappio. Molti, troppi di essi sono rimasti ancora in mezzo a noi, camuffati sotto cento maschere diverse e taluno anche senza alcuna maschera.

Sono questi gli avvelenatori della pubblica opinione, i propalatori di notizie false, gli architettatori degli speciosi argomenti che sentiamo continuamente ripetere in buona fede ogni volta che si incitano i giovani a compiere tutto il loro dovere verso la nostra Patria.

Ripromettendoci di individuare e colpire al momento opportuno questi cani, esaminiamo qui gli speciosi argomenti che essi inspirano nell’animo dei giovani richiamati alle armi e facciamone giustizia.

Innanzitutto si suggerisce ai giovani di rifiutarsi di accorrere alla chiamata alle armi perché dopo dieci anni di guerra essi hanno diritto di dire che sono stanchi. È vero i nostri soldati sono stanchi dopo dieci anni di guerra. Ma io vorrei invitare i giovani a domandarsi di chi è la colpa di tutto questo. Non è stato il fascismo a gettare il nostro popolo

La quinta colonna

Si dice: siamo stanchidi combattere

ancora

Page 6: Una vita per un'idea

55

nella guerra di Abissinia? E non fu il fascismo, e soltanto il fascismo, a mandare i reduci dell’Abissinia a combattere in terra di Spagna, per soffocare la libertà del popolo spagnuolo e sorreggere la tirannia di Franco? E non fu il fascismo, e soltanto il fascismo, ad intraprendere la conquista dell’Albania? E non fu il fascismo ad incoraggiare Hitler a ingaggiarsi in questa guerra di distruzione con la conclusione del famoso patto di acciaio? E non fu il fascismo, e soltanto il fascismo, ad aggredire alle spalle il libero popolo francese e quindi l’eroico popolo greco e poi ancora l’intrepido popolo iugoslavo e infine il leggendario e pacifico popolo dell’Unione sovietica? Se sono state queste le guerre che ci han-no stancati, se la responsabilità di averle fatte ricade esclusivamente sul fascismo, la conclusione logica alla quale ogni uomo di buona fede deve pervenire non è forse questa, e questa soltanto: che dopo aver combattuto per nove anni per sorreggere il fascismo, vale la pena di combattere ora forse meno di nove mesi per conto nostro, per abbattere e definitivamente proprio il nazifascismo a cui risale la responsabilità di tutti i nostri mali e di tutte le nostre sciagure?

Qualche altro dice: come volete che noi combattiamo, se non co-nosciamo neppure quale sarà in definitiva la nostra sorte, non essendo state rese pubbliche le condizioni di armistizio? Ecco un altro argomento ancora più specioso. Ma noi non possiamo e non dobbiamo dimenticare che noi siamo stati gli aggressori e non gli aggrediti e che la guerra noi l’abbiamo perduta e non già vinta. E da che mondo è mondo le condizioni di armistizio sono sempre state dettate dai vincitori ai vinti e non mai viceversa. Non dobbiamo dimenticare nemmeno che le condizioni di armistizio furono accettate da un capo improvvisato, preso soltanto dalla preoccupazione di salvare il suo re. Non dobbiamo dimenticare infine che, quali che siano le condizioni di armistizio, una cosa è indiscutibilmente certa, e cioè che esse potranno essere rese meno gravose soltanto se e nella stessa misura in cui noi sapremo contribuire allo sforzo di guerra. Dopo di che io vorrei farvi osservare ancora che non sono già gli Alleati che ci incitano a combattere a loro fianco, ma siamo noi stessi che dobbiamo volerlo fare, e volerlo fare oggi piuttosto che domani, per concorrere a liberare il nostro Paese dai cani fascisti e tedeschi e per porre al più presto fine alle sofferenze e al martirio dei nostri fratelli del Nord.

Le clausole dell’armistizio

Page 7: Una vita per un'idea

56

Altri ancora vuol sapere che cosa avverrà delle nostre colonie. Anche per questo ancora più specioso pretesto valgono le ragioni dette innanzi. Ma io vorrei farvi osservare ancora qualche altra cosa. Le terre d’Africa ci sono senza dubbio assai care perché esse furono più e più volte irrorate dal sangue dei nostri fratelli. Ma a meno che non si vogliano far rivivere quelle medesime ideologie imperialistiche che sono state la causa non ultima della nostra rovina, prepariamoci, se ne sarà il caso, anche ad adattarci a perder le colonie, perché dopo tutto perderemmo ben poco, essendo le famose miniere di oro, di argento, e di tanti altri più o meno nobili prodotti, esistite soltanto nella fantasia della propaganda fascista. Quanto ai confini con la Jugoslavia è evidente che essi potranno essere regolati tanto più onorevolmente per noi quanto più avremo dato prova di esserci davvero liberati dalla ideologia aggressiva del fascismo e quanto più ci saremo affratellati con il popolo jugoslavo nella lotta contro il comune nemico. La stessa possibilità di conveniente definizione noi potremo avere per la questione della Tunisia se ed in quanto dimostreremo di volerci riscattare dalla taccia di maramaldeschi aggressori che ogni francese ha diritto di gettarci sul viso. Comunque, un confortevole segno della buona disposizione del popolo francese verso di noi l’abbiamo già avuta, proprio di questi giorni, nelle generose parole con cui il delegato dei sindacati della Francia risorta al Convegno sindacale di Londra ha appoggiato la proposta del delegato sovietico di invitare la Confederazione Generale Italiana del Lavoro a partecipare al suddetto Convegno.

L’ultimo argomento escogitato dalla propaganda della quinta colonna, l’argomento che più dovrebbe far breccia nel cuore dei richiamati alle armi, è che non si può combattere italiani contro italiani, fratelli contro fratelli. Sono forse fratelli, o non piuttosto iene, i tedeschi che con la più fredda disinvoltura fucilano, impiccano, massacrano ogni giorno, senza distinzione di sesso o di età, tanti inermi nostri fratelli?

Sono forse i massacri di cui vi parliamo semplici invenzioni della nostra fantasia? Ascoltate e sentirete nel vicino cimitero fremere ancora le ossa delle vittime innocenti immolate il 21 settembre del ‘43 dalla barbarie tedesca nella nostra stessa città. E meritano forse il nome di italiani i fascisti che concorrono al fianco dei tedeschi a spargere il terrore e la morte nell’Italia non ancora liberata?

Colonie e confini

Non fratelli ma cani traditori

Page 8: Una vita per un'idea

57

Gli argomenti escogitati dalla propaganda fascista sono dunque, come vedete, l’uno più infondato dell’altro, l’uno più stupido dell’altro, l’uno più pretestuoso dell’altro. Essi sono, né più né meno, gli stessi argomenti suggeriti dalla radio repubblichina a servizio del padrone tedesco.

Ma per tutti gli italiani non asserviti al nemico una sola cosa è certa; una sola cosa è vera; una sola cosa è incontrovertibile. E cioé che il popolo italiano deve compiere il maggior sforzo di guerra di cui può essere capace, per riscattare il proprio onore e la propria dignità, per af-frettare la liberazione dei fratelli che sono ancora alla mercè del nemico, per raggiungere e consolidare la sua unità nazionale, per assicurarsi un regime sinceramente e durevolmente democratico, per gettare le basi della sua rinascita.

Durante la sua lunga dominazione il fascismo non ha fatto che imbottire i nostri crani di parole pompose e altisonanti che servivano solo a mascherare il vuoto che era alla sua base. Voi tutti ricorderete il frasario altezzoso e magniloquente del megalomane abitatore di Palazzo Venezia e dei suoi minori gregari ogni volta che uno di essi apriva la bocca. Voi tutti ricorderete l’affermazione secondo la quale ben presto sarebbe venuto il giorno in cui tutti e cinque i continenti si sarebbero dovuti inchinare dinanzi all’Italia. Che cosa resta oggi di tutte queste declamazioni? Questo, e questo soltanto: che l’Italia è ridotta a tale che ha bisogno che tutti e cinque i continenti si inchinino dinanzi a lei per darle una mano ed aiutarla ad alzarsi. Ricorderete anche come si ergeva tronfio e pettoruto l’amico della Petacci quando fanfaronava di otto mi-lioni di baionette pronte ad agire ai suoi ordini per soggiogare il mondo. Parole, niente altro che parole destinate a nascondere la triste realtà di un esercito disorganizzato, sfiduciato, decomposto per la incommensurabile corruttela dei capi e per la dissoluzione di qualsiasi disciplina che non fosse soltanto formale. Ricorderete tutti le parole che ci fustigarono a sangue, ma che erano sostanzialmente vere, con le quali il primo ministro britannico compiangeva l’eroico popolo greco per l’onta immeritata di dover essere occupato da un esercito che esso aveva vinto!

Orbene l’Italia deve cancellare questa vergogna e redimersi da questo obbrobrio. L’Italia deve dimostrare coi fatti che i nostri soldati non hanno combattuto quando erano agli ordini di Mussolini per non farsi strumento

Perché l’Italia deve battersi

Riscattare l’onore e la dignità nazionale

Page 9: Una vita per un'idea

58

di tirannia, ma sanno e sapranno combattere da prodi ora che si tratta di combattere contro il fascismo e contro il nazismo, per la liberazione definitiva del nostro paese.

Ma questo, questo sopratutto deve incitarci a non indugiare più oltre. La metà della popolazione italiana, la parte migliore della popolazione italiana geme ancora sotto il tallone nazista, centinaia e centinaia di migliaia di nostri fratelli languono in terra tedesca e sono esposti continuamente al pericolo delle più feroci rappresaglie. Gli italiani delle terre liberate non possono, non debbono starsene più oltre passivamente a guardare, se non vogliamo dar prova di estremo cinismo o, peggio ancora, del più grande decadimento morale.

Ma noi dobbiamo lottare anche per affrettare l’unificazione della nostra Patria, non soltanto nel senso materiale ma anche e sopratutto dal punto di vista morale.

Tutti i governi succedutisi dal ’70 ad ieri si sono sempre dati una gran cura di tenere in effetti divisi gli italiani del Nord da quelli del Sud. Era l’eterna politica del dìvide et ìmpera. Noi vogliamo che l’Italia di domani sia veramente una, non solo di nome ma anche di fatto. Vogliamo che non ci siano più differenze fra Sud e Nord. Ma se vogliamo tutto questo, dobbiamo anche dimostrare che noi ci sentiamo strettamente uniti ai nostri fratelli del Nord, che noi sentiamo non meno di loro questo desiderio, questo bisogno supremo dell’effettiva unità del nostro Paese.

Dobbiamo lottare inoltre perché questa, se altre mai, è davvero guerra della democrazia contro la tirannide, guerra della civiltà contro la barbarie, guerra della libertà contro l’oppressione. Considerate come sono formati i due campi in lotta. Da una parte i grandi paesi democratici dell’Inghilterra, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, dall’altra il militarismo prussiano e i loro servi fascisti. Fino a quando la Germania sarà guidata dai pastori prussiani essa, come disse Marx, si troverà in compagnia della libertà soltanto nel giorno dei suoi funerali.

Dobbiamo lottare infine perché solo a questa condizione potremo migliorare le condizioni dell’armistizio e meglio assicurare quindi la

Liberare i nostri fratelli

Lottare per l’unità nazionale

Lottare per la democrazia

Lottare per la nostra

rinascita

Page 10: Una vita per un'idea

59

rinascita del nostro paese. È vano cianciare e magari piangere sulle con-dizioni che ci possono essere state imposte e su quella che sarà domani la nostra sorte o sul come saranno regolati i nostri confini o sul se ci saranno lasciate in tutto o in parte le nostre colonie, se nulla noi tentiamo di fare per ottenere che tutto ciò sia risolto domani al tavolo della pace in senso a noi più favorevole. Con quale diritto potremo pretendere noi domani di essere tenuti presenti se saremo restati assenti da questa guerra contro il nazifascismo? Come potremo noi pretendere domani che si distingua fra noi e i briganti fascisti, se non avremo dimostrato coi fatti di non aver nulla in Comune con essi e di aver anzi lottato per concorrere alla loro distruzione?

Occorrono ancora altri argomenti per persuaderci a compiere il nostro dovere? Ebbene guardiamo l’esempio che ci danno i leggendari partigiani d’Italia.

A testimoniare nei secoli che il Fascismo, nonostante tutte le persecu-zioni, nonostante tutti i soprusi, non era minimamente riuscito a piegare il popolo composto nella sua stragrande maggioranza dal popolo lavoratore, sta e starà in eterno il fenomeno veramente nuovo dei partigiani.

Quello dei partigiani è stato un fenomeno che sotto certi aspetti po-tremmo considerare tipicamente italiano.

Esso trae origini dalla lotta clandestina mai pretermessa dagli avversari del fascismo durante tutto il periodo della sua dominazione. Lotta impari sotto tutti i punti di vista; lotta di un pugno di inermi contro un esercito di mazzieri e di spie. Ma fu la fiaccola sempre tenuta accesa da questi tenaci, ostinati assertori della libertà, fiaccola passata dalle mani di chi cadeva in quelle di chi sorgeva a prendere il suo posto, quella che animò e guidò le masse di Milano e di Torino a proclamare, in piena guerra, i grandiosi scioperi della primavera del 1943, che fecero chiaramente comprendere a Mussolini e ad Hitler che il popolo italiano si apprestava a scuotere il giogo che aveva solo subito per vent’anni. Fu lo spirito nuovo creato dai Comitati di azione che fece trovare dopo l’8 settembre uniti in un propo-sito uomini e donne di ogni fede politica e religiosa, e di ogni condizione sociale, nella lotta armata contro i nazifascisti.

Leggete i nomi dei ventiquattro eroi alla cui memoria viene conferita oggi la medaglia d’oro: tenente Aligi Barducci, il leggendario Comandante

I partigiani ci indicano la strada

Page 11: Una vita per un'idea

60

Possente, caduto alla testa dei suoi uomini, mentre dirigeva l’azione dei garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella sua Firenze; Pietro Capuzzi, che dopo avere con ardore giovanile, sebbene non più giovine, guidato tante volte i suoi compagni all’assalto, preso dal nemico a Ussita, veniva, dopo inumane torture, passato per le armi; Dante di Nanni, gettatosi dall’alto di un balcone nel vuoto, per non cader vivo nelle mani del nemico, dopo aver sostenuto da solo la lotta per diverse ore fino all’ultima cartuccia; Anna Maria Enriquez, caduta sotto una raffica di mitragliatrice in mezzo ai suoi patrioti dove era voluta ritornare appena liberata da otto mesi di inumane torture, dolce figura di eroica croceros-sina; Tancredi Galimberti, abbattuto dai traditori fascisti che non erano riusciti a piegarlo con le più atroci torture; Tina Lorenzoni, altra dolce figura di crocerossina e di informatrice dei patrioti, caduta nelle mani del nemico e barbaramente trucidata; Norma Pratelli Parenti, coraggiosa soccorritrice e consolatrice dei combattenti della libertà, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi carnefici a Massa Marittima; generale Simone Simoni, luminoso esempio di capo non inquinato né corrotto dal fasci-smo, barbaramente trucidato dalla sbirraglia tedesca e fascista alle Fosse Ardeatine; tenente Raffaele Persichetti, invalido di guerra, generosamente e spontaneamente unitosi nella lotta contro l’oppressore tedesco da cui ebbe morte l’8 settembre 1943 a Roma, Porta S. Paolo; Vice Brigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto, luminoso esempio di coraggio e di altruismo che salvava, col sacrificio di sé, altri ventidue ostaggi, dichia-randosi unico responsabile di un presunto attentato contro forze tedesche; maggiore delle Armi Navali, Alfeo Brandimante, arrestato, seviziato e poi trucidato barbaramente dal nemico per la coraggiosa opera spiegata sul fronte clandestino della resistenza; cappellano don Giuseppe Morosini, arruolatore e animatore di militari sbandati, massacrato dal nemico per non aver voluto svelare i segreti della Resistenza; generale di aviazione Roberto Lordi, dedicatosi spontaneamente all’attività partigiana e quindi arrestato, torturato, trucidato dal nemico, nulla volendo rivelare circa i propri collaboratori.

Leggete questi nomi e cercate in tutte le cronache dei nove anni di guerra del regime anche un sol nome o una sola gesta che possa resi-stere al confronto. Saranno forse i nomi e le gesta del grande analfabeta Achille Starace, organizzatore ed esecutore della marcia in automobile

Page 12: Una vita per un'idea

61

su Gondar, o quelli di Ciano e dei suoi cognati, eroici mitragliatori da congrua quota degli abissini armati solo di scimitarra, o quello del primo maresciallo d’Italia, sempre bene scortato trasvolatore di cieli e mancato marciatore su Alessandria o quelli infine dei vari Del Tetto e Pentimalli e Roatta ed altri simili traditori e criminali di guerra che l’epopea fascista potrà tramandare ai posteri?

E che cosa vi dice, che cosa ci dice tanta presente fioritura di purissi-mi eroi in contrapposto alle buffonesche eroicomiche gesta dei gerarchi fascisti, se non che uno spirito nuovo, un’anima nuova aleggia oggi in mezzo a tutti gli italiani?

Che cosa vi dice tutto questo, se non che l’Italia ha ritrovato la sua strada dopo un ventennio di smarrimento e di vergogna?

Ebbene, o uomini della rude e forte mia terra, raccogliamo anche noi questo lievito di vita nuova germinato dal sangue e dal sacrificio di tanti purissimi nostri martiri. Raccogliamolo e facciamo in modo che esso dia i suoi frutti. Facciamo che esso ci metta in condizione di poter dire domani che anche noi abbiamo, al momento opportuno, compreso quale era il nostro dovere e che ad esso non ci siamo sottratti ma vi ab-biamo adempiuto fino all’ultimo. Siamo degni degli uomini del nostro primo Risorgimento. Ricordiamo le schiere numerose di volontari che si raccolsero in ciascuno dei nostri paesi per unirsi alle camicie rosse di Garibaldi.

Sarà questa la nostra prova del fuoco, la prova che dirà a noi stessi e agli altri se noi siamo degni di risorgere a libertà o se la lunga dominazione fascista non ci ha sommersi per sempre nell’ignavia e nell’obbrobrio.

Ma noi non abbiamo nessun dubbio su quella che sarà la risposta del nostro popolo fiero e generoso a questo nostro appello.

Questo nostro popolo che non meno di quello di altre regioni fu per vent’anni vessato, tormentato, sfruttato dai tanti gerarchetti fascisti, saprà raccogliere il nostro appello e il nostro grido.

Viva l’Italia proletaria e democratica!Viva i nostri fratelli partigiani!Viva l’esercito italiano di liberazione!Fuori i fascisti di Mussolini e i nazisti di Hitler!

L’Italia ha ritrovato la sua via