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5 UNA SPLENDIDA VACANZA ANNO 2007

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UNA SPLENDIDA VACANZA

ANNO 2007

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Una splendida vacanza

Sono in vacanza nella Cornovaglia, nella piccola e ridente cit-tadina "La baia del Principe" a pochi km di distanza dalle bian-che scogliere di Dover, dove il volo dei gabbiani spesso oscura il cielo.

Il mio albergo ha un nome strano: "La locanda del gabbiano ubriaco". L’insegna è simpatica: Tu vedi un gabbiano brillo che si regge a stento sulle gambe. E’ una locanda particolar-mente lussuosa. Al quinto piano ho un appartamento stu-pendo. Pensate che nel bagno la vasca è così grande che per percorrerla tutta c’è bisogno della canoa. Ma dal terrazzo si vede il mare con le sue spiagge pulite e le scogliere, cantate anche ai poeti, che danno particolari riflessi sotto i raggi del sole. Sembra che il pianeta mandi messaggi agli extraterrestri. I gabbiani volano alti nel cielo, veloci saettano a branchi. Qualche volta è uno solo a volare: è il gabbiano zoppo che mi fa tanta tenerezza. In gioventù è stato vittima di un incidente stradale ma i danni sono stati risarciti dal governo.

L’albergo è dotato di una doppia piscina. Una grande per gli astemi, un’acqua che continuamente si rinnova. L’altra è per quanti amano l’alcool.

E’ infatti colma di gin. L’unico inconveniente è che si nuota con difficoltà e per poco tempo perché ingoia ora, ingoia dopo, si diventa brilli e per evitare che si coli a picco c’è una gigantesca gru che ti preleva ai primi singhiozzi e con molto garbo ti porta sulla tua sdraio dove puoi dormire finché ti sia passata la sbronza.

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Il campo di tennis è sempre molto frequentato. C’è né uno per la gente atletica e dinamica. E allora vedi la pallina che vola e gli atleti correre col fiatone per battere.

E c’è un campo da tennis per i sedentari, i pigri nei movimenti, i soliti impiegatucci, tutta sedia e scrivania. Il campo è lo stesso. Solo che la pallina è radiocomandata. Le due racchette nei campi avversi si muovono in base a computer dell’ultima generazione. E i giocatori seduti alle loro rispettive scrivanie, senza mai muoversi, elettronicamente combattono e vincono a tennis.

Meraviglioso, solo in Cornovaglia si vedono tali cose. Le stanze sono lussuosamente arredate, con l’elettronica all’avan-guardia. Ho visto cose che non avrei mai pensato che esistes-sero: la Tv tridimensionale. Immagina che nella tua stanza si materializza lo spettacolo che hai scelto.

E’ una emozione. Son salvo per un miracolo. All’improvviso in Tv c’è un funerale. Bisogna prelevare il morto dal letto e metterlo nella cassa. Se non mi fossi alzato repentinamente sarei finito nella bara e sarebbero finite le mie vacanze. Scap-pavo per l’albergo e i becchini dietro di me. Poi non so chi ringraziare, ma qualcuno ha spento il televisore e così mi sono salvato.

Il letto è automassaggiante. Non sapevo che toccando il po-mello sarebbero usciti da ogni parte braccia e mani, così sen-sibili da sembrare umane, che mi hanno alzato, voltato, denu-dato(sic) e hanno incominciato a colpire con una forza tale che mi hanno dovuto ricoverare in ospedale, prognosi riser-vata per due giorni. Nessuno mi aveva detto che toccando l’altro pomello potevo bilanciare le mani passando da carezze

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proibite a colpi feroci.

Ho affittato l’attico per godermi il paesaggio al chiarore della luna. Diavoli di inglesi. Diavoleria della tecnica. Il pavimento a un certo momento si muove. E’ un tapirulan per farti dima-grire.

Tu corri, corri e ti trovi sempre sullo stesso posto, però sudi e sgrassi. Si muove all’improvviso al suono della tua voce e a parole chiave. Che bello! Dissi a voce alta guardando il cielo e mi ritrovai, improvvisamente, sbattuto a terra dal movimento del pavimento. Sembravo scosso da convulsioni epilettiche.

Per il guardaroba mi sono particolarmente contenuto, quest’anno; ho portato con me solo 75 bauli per potermi cam-biare 24 volte al giorno. Per il trasporto mi sono affidato alla nota agenzia: Sulle spalle. Mi ha mandato 75 boys di colore ebano e uno con una frusta in mano. Non ho capito perché ci guardavano tanto. Mi sono sentito imbarazzato.

Il secondo giorno mi sono avvicinato al portiere per chiedere se c’era posta dall’Italia. C’era solo un telegramma dei miei parrocchiani che diceva: Vi saremmo molto grati se lo teneste presso di voi almeno per 40 anni. Ma era scritto in italiano e così non li hanno potuti accontentare.

Guardandomi con aria furba il portiere mi dice in italiano stentato ma abbastanza chiaro: Sorry, Sir, vuole una compa-gnia per questa notte. Veramente non ho resistito alla tenta-zione e ho chiesto quanto mi sarebbe costata. E allora mi ha dato una grossa lista con nomi di ragazze e il costo.

Un nome mi ha affascinato: Anna Bolena. Dico: questa! Quant’è? Cara, molto cara. 300 sterline. Ma sì! Ho passato il

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pomeriggio in un’attesa spasmodica.

Verso le dieci della sera hanno bussato alla porta. Due genti-lissimi camerieri hanno portato un tavolino di antiquariato a tre gambe, hanno spento le luci ed hanno acceso delle candele. Ed io sorridevo compiaciuto, pensando che la cena al lume di candela sarebbe stata certamente molto intima.

Verso le 11 di sera una bussata quasi timida alla porta: Apro col cuore che sembra impazzito ed entrano tre donne vestite in maniera quasi triste, sembrerebbero tre vedove afflitte, sui sessant’anni, le quali senza parlare si siedono intorno al tavo-lino ed incominciano una strana nenia finchè con un grido di meraviglia, a me era andata via la voce, guardando il letto esclamano: ecco, Anna, Anna Bolena.

Mi volto e sudo, sudo, ma non posso gridare. Non ci riesco. E’ lei, Anna Bolena, seduta sul mio letto che mi aspetta per sedurmi e dice: vieni, dear.

Ma la cosa più strana è che è in po’ in disordine, la testa infatti è vicina ai piedi. E mentre cado svenuto a terra, le tre megere vanno via dicendo: vuole che chiamiamo Enrico VIII? No, grido, pensando al suo hobby di collezionare teste.

L’albergo è dotato di una gigantesca sala per il pranzo. Può ospitare anche 200 persone contemporaneamente. Il tavolo però è unico per tutti, 50mx50m. Sediamo lungo il perimetro, uno accanto all’altro. Sul tavolo c’è un grosso plastico. E’ un paese in miniatura servito da trenini stupendi che ti incantano. Corrono, si fermano: passaggi a livello, stazioni lungo il per-corso. Tu guardi e ti emozioni.

Essi portano le pietanze: antipasti vari, cibi cotti all’italiana,

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cibi del posto. Puoi scegliere ciò che vuoi. Basta allungare la mano e servirti da solo. Ma corrono a 150Km all’ora e tu non sei mai lesto abbastanza ad afferrare ciò che vedi passare da-vanti in due secondi. Sono due giorni che mi alzo da tavola, come gli altri, digiuno. Per la prima volta in vita mia ho desi-derato che i treni deragliassero, ma se questo non dovesse av-venire metterò io una bomba sui binari più vicini. Ditemi dove posso comprare il tritolo.

Il parco giochi è stato pensato tenendo conto della psicologia infantile. Infatti i genitori che vi lasciano i figli sono entusiasti. C’è un galeone che riproduce l’ambiente dei pirati. Uomini in costume. I bambini quando salgono si emozionano. Per un po’ di tempo giocano ai pirati con gli adulti, poi vengono fatti prigionieri e chiusi in segrete. Tutto è molto reale: imprigio-nati con catene alle mura, rinchiusi in piccole celle senza aria e senza luce, provvisti di pane ed acqua a sufficienza, restano lì per tutto il periodo delle vacanze dei genitori. A casa ritor-neranno felici per l’esperienza. Ci siamo divertiti un mondo diranno. Ci picchiavano anche, che spasso!

Quasi sempre a sera sono uscito per qualche passeggiata o per visitare qualche locale notturno. Il più top si chiama: Al vero porco. E resti strabiliato perché c’è un vero porco che ti ferma sulla soglia e non ti fa entrare se non fai il biglietto. Dicono che sia la clonazione di un famoso politico del passato. Fuma un sigaro puzzolente e da come grugnisce si vede che è istruito. All’interno ballano tutti e bevono tantissimo. Sul palco un cantante italiano molto famoso è interrotto da con-tinui applausi. I suoi silenzi canori sono molto apprezzati dalla critica.

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Mi ha riconosciuto, strizza l’occhio. Non sapevo di essere fa-moso anche all’estero e mentre mi avvicino per salutarlo mi accorgo che in molti si abbassano a guardare il pavimento: sarà un ballo che non conosco? No, cercano l’occhio di vetro del cantante che è caduto tra la gente. Non lo troveranno mai.

Una cicciona trentenne si avvicina a senza tanti complimenti mi invita a ballare. Mi schernisco, tentando di farle capire che non ci riesco bene ma lei non ha problemi. Mi agguanta, mi alza, rapidamente mi fa volteggiare in aria, mi lancia lontano e quando mi fermo sul lastricato mi salta addosso e con i piedi sulla pancia balla un agitato bolero, finché dalla gola non mi è uscito l’ultimo sorso di whisky. Dal volto si capisce che sono felice. Tornerò domani per una emozione ancora più agghiac-ciante.

Il giorno dopo l’albergatore ha programmato per i suoi ospiti una caccia alla volpe nella vicina tenuta di lord Glassex. Ci ha accolto personalmente il Lord, vero signore di campagna, gente d’altri tempi, deve avere almeno 118 anni, e la sua si-gnora, molto giovane e carina, un vero miracolo delle sterline del lord, lady Pearl’ana, dai villici ignoranti chiamata lady Per-lana.

I nostri anfitrioni ci hanno fatto visitare il palazzo, un vero gioiello dell’arte vittoriana, a tutti hanno offerto una cena son-tuosa e poi siamo stati fatti accompagnare nei nostri apparta-menti per trascorrervi la notte. All’alba saremmo partiti per la caccia alla volpe. Nel cortile un abbaiare convulso di cani.

E’ l’alba. Inizia un’avventura che non dimenticheremo più, noi povera gente di città. I cavalli sono pronti. A me è stato dato uno splendido stallone bianco. Provo a salirci sopra, con

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tanta paura ma non voglio che gli altri se ne accorgano. Final-mente son sopra la sella. Una gamba di qua e una di là. Credo che quando scenderò da cavallo resterò così per il resto della mia vita. Ma non pensiamo al futuro. Divertiamoci.

C’è una grande agitazione. Anche gli altri ospiti dell’albergo sono scesi e son saliti sui cavalli. I servi tengono per le redini i cani eccitati. Al suono del corno la partenza. E invece all’uni-sono i cani si sdraiano a terra, poi uno mette fuori un cartello e dice: la nostra è una rivendicazione salariale. Se non ci au-mentate la paga, noi, da qui, non ci muoviamo più e poiché lord Glassex, è risaputo, è enormemente avaro, la vertenza non è stata chiusa e i cani sono ancora lì, non si sono più mossi.

A questo punto ho sentito che i cavalli dicevano: e che siamo fessi! Se non faticano questi, non faticheremo neanche noi, e con molta eleganza, scalpitando, si sono scrollati di dosso noi poveri turisti.

La volpe che nel frattempo si era affacciata al balcone del primo piano guardava e ghignava per la soddisfazione. Noi non sapevamo che la furbastra era l’amante del capobranco e l’aveva convinto a scioperare.

A tutti noi, delusi, lord Glassex e lady Pearl’ana, hanno dato un piccolo orsacchiotto di peluche. Io non capisco bene l’in-glese ma sentivo che diceva cacca Lino, cacca Lino. Doman-davano al piccolo Lino, che avevano adottato, se avesse avuto il desiderio di fare cacca, ma noi non l’abbiamo capito e pen-savamo che si chiamasse così il peluche che in Italia diventa Coccolino.

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Ritornati in albergo, sorbendo thè e mangiando pasticcini de-liziosi abbiamo commentato quanto sia civile l’Inghilterra, là dove persino gli animali hanno il diritto di sciopero. Ci ha in-cantato la bellezza di lady Pearl’ana e la delicatezza del suo profumo e passa parola qua e passa parola là, non la dimenti-cheremo facilmente.

La serata danzante ci ha stancati parecchio ed io nonostante l’ora tarda non riesco a prendere sonno. Nel cuore della notte, quando il silenzio è pieno e solo i fantasmi camminano si sente un urlo raccapricciante. Fuori tutti dalle stanze, così come si trovavano. Cosa succede? Il direttore, dov’è il diret-tore?

Un ometto pingue e con i baffetti alla Hitler si presenta quasi subito. Calma, calma, ritornate nelle camere, Signori! Da dove veniva l’urlo? Dalla camera in fondo al corridoio. Si precipita col passapartout e apre l’appartamento. Tutto è in ordine. In punta di piedi e trafelati entriamo e nel bagno ciò che tutti temevamo.

Nella vasca semisommersa dall’acqua, completamente nuda, Marina Ripa di Meana, morta. Ora sono guai per tutti. Inter-rogatori a non finire. Non potremo lasciare l’albergo. Addio vacanze. Qui la polizia è fulminea. Ci dicono che sono gli stessi assassini subito dopo il delitto ad avvertirla. Quale senso civico.

Un giovane ispettore nel guardare la vittima non può fare a meno di sorridere: finalmente! Signori, nessuno lasci l’albergo: Bisogna indagare nel passato della vittima, sento dire dal gio-vane ispettore. Portatemi il nome di quanti hanno avuto una relazione con la vittima. Subito, Sir.

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Si fa avanti una sua collaboratrice bionda con un carrello di cristallo finissimo con 152 guide telefoniche di tutto il mondo. Così tanti? E sviene il giovane ispettore.

Il medico legale prontamente accorso guarda attentamente il corpo della vittima e poi con un sorriso invita tutti a gioire. Signori, non è stata assassinata. Guardandosi allo specchio si è accorta di essere invecchiata e il cuore non ha retto. Ecco l’urlo di disperazione che avrebbe svegliato tutti.

Domani cambio albergo! Ma non ho potuto perché l’agenzia “sulle spalle” alla quale mi sono rivolto per il trasporto di quei pesantissimi bagagli era a corto di dipendenti. Si erano licen-ziati perché scritturati in Italia da Maurizio Costanzo che in vecchiaia, come è ormai noto, ha incominciato a interessarsi dello spogliarello maschile.

I primi segnali li aveva dati quando si è messo con Maria De Filippi. Resterò ancora qualche giorno qui in attesa che all’agenzia qualche nave negriera scarichi un altro carico di boys interessanti. Nel frattempo visiterò lo zoo della cittadina.

Nella hall il portiere di notte che fa sempre e soltanto il turno di giorno mi ha sussurrato che allo zoo c’è una inchiesta go-vernativa per presunti incroci genetici, non autorizzati, tra gli animali. Ma sono voci prive di fondamento.

Mi reco allo zoo con la mia fiammante Ferrari che ho voluto noleggiare per questi giorni di pura follia: ho una passione per la Ferrari e la Ferrarelle. Pensate che in Italia ne posseggo cin-que di epoca e le tocco solo per spolverarle Questa qui è ultra, all’avanguardia…per i lunghi viaggi ha perfino incorporato una doccia. L’autista è una ragazza dinamica che parla 78 lin-gue e numerosi dialetti del Sudafrica ma è sordomuta per non

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rivelare i particolari piccanti dei suoi clienti. Mi piace proprio per questo.

Comunichiamo con dei cartelli. In macchina né ho conservato almeno 8000. E’ per una conversazione che spazia su molti argomenti. Così lo spazio nella macchina è diventato tanto angusto che a stento mi posso sedere. Ah! Le comodità!

Lo zoo è stupendo. Gli animali, alcuni sono in libertà e tu puoi percorrere la zona in macchina godendoli nel loro habi-tat naturale. Altri invece sono rinserrati in comodissime gab-bie provviste anche di telefoni, scrivanie e computer.

Ho visto perfino un elefante col cellulare, grande parecchio, fornito anche di macchina fotografica per fotografare i visita-tori e poi inviare le foto via internet. Nelle gigantesche gabbie degli uccelli, questi, per loro comodità, affinché non si stan-chino, possono raggiungere il soffitto con comodissimi ascen-sori.

Quando siamo passati con la Ferrari nella zona libera, siamo rimasti incantati. Fuori al bar alcune giraffe parlottavano sor-bendo gelati offerti da galanti panda. Su un prato scimmiotte simpatiche facevano un picnic e sulla brace si avvertiva odore di banane allo spiedo. Una coppia di leoni con due neonati nel passeggino. Come sempre è il maschio che spinge e la femmina guarda. Che simpatia. Ho guardato attentamente nelle gabbie ma non ho visto stranezze che parlassero di in-croci genetici proibiti. Sono fandonie ampliate dalla stampa scandalistica. Solo mi sono divertito un mondo davanti alla gabbia dei primati.

C’erano tre scimmie, molto eleganti, con giacca e cravatta che tenevano una conferenza stampa. E dai lineamenti mi erano

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sembrati familiari: il Cavaliere, Fini e Bossi? Per il Cavaliere e Fini potrei avere dei dubbi, ma per Bossi, no.

In questi giorni di riposo totale ho avuto modo di conoscere gente nuova e spesso di classe. Leo è un bastardo cane texano che ha fatto soldi col petrolio. Dico cane non come aggettivo ma come sostantivo. E’ un vero cane bastardo che ha eredi-tato dai suoi padroni, finanzieri e petrolieri del Texas, un mi-lione di dollari e allora gira per il mondo divertendosi tantis-simo.

E’ accompagnato da un giovane carino, comprato a Napoli, chiamato Sergio e lo tiene sempre al guinzaglio. Avete capito bene. Sono i nuovi schiavi. E’ il cane, quel bastardo figlio di un cane, che porta a spasso Sergio per fargli fare la pipì vicino agli alberi.

Mi hanno detto che nella città vicina, su un piccolo panfilo ancorato nel piccolo porto c’è una bisca clandestina. La Fer-rari corre veloce verso la meta. La guidatrice, sordomuta, per ingannare il tempo ascolta dalla radio musica jazz che a me non piace troppo. Siamo arrivati a destinazione.

Il porto è quasi deserto, data l’ora tarda. In lontananza si vede un panfilo illuminato a festa. Il mare è tranquillo anzi direi sereno. Il molo è deserto. Io sono impeccabile nel mio com-pleto da sera firmato Valentino. Mi è costato un occhio. In-fatti al suo posto porto una benda nera come gli antichi pirati. Ma in compenso sul doppio petto della giacca campeggia una gigantesca V che attira gli sguardi di tutti e la loro invidia.

Anche la mia accompagnatrice mi segue, vestita in maniera molto sexy e provocante. Le ho dato il compito di distrarre il

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croupier, un uomo che ho saputo essere molto depresso per-ché vede tutto nero con quegli occhiali scuri che non toglie mai.

Si avvicina una persona enormemente gentile che ci invita a seguirla su un motoscafo onde raggiungere il panfilo lontano. Veramente molto gentile. E’ colpa nostra se non abbiamo vi-sto gli scalini nel motoscafo e siamo ruzzolati giù. Mezz’ora di mare ed eccoci a bordo: ci accompagna un uomo affabile che dice: benvenuto a bordo. Sir. Grazie, dico io molto ecci-tato per quel che penso sarà una notte straordinaria. Vincere, vincere, vincere e vinceremo.

La sala, che segue il dondolio del mare, è piena di tavoli verdi per i giochi d’azzardo più strani ed io che sono uno sprovve-duto mi seggo alla roulette: rosso e nero, pari e dispari, i nu-meri. Mai visto momenti così. Prego la mia accompagnatrice di sedermi accanto.

Una donna di classe fa sempre un ottimo effetto sulla gente in determinate situazioni ed io contavo molto sul suo fascino per distrarre il croupier. Gioco e vinco, vinco e gioco, il tempo scorre inesorabile ed è quasi l’alba quando quattro brutti ceffi si avvicinano a me e con fare minaccioso mi gridano anzi gri-dano: E’ un prete, una spia del Vaticano.

Chi mai ha rivelato la mia vera identità? Inutile protestare che il Vaticano non c’entra niente con questa mia notte di gioco, che ero lì non per spiare ma per fare quattrini. E mentre due mi mantengono, e potevano pure farne a meno, visto che non sono molto dinamico, gli altri due a dar giù con pugni, calci e ceffoni sonori al ritmo di un celebre tango che a me è sempre

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piaciuto, il tango delle capinere che quando ero piccolo pen-savo fossero le suore della parrocchia. Quanto sono delicati gli inglesi!

Un colpo di pistola sulla testa e poi un volo di parecchi metri nel mare proprio mentre sopraggiungeva una motovedetta della police, sul ponte di comando dove un ufficiale medico e due crocerossine immediatamente mi hanno prestato le prime cure a base di iniezioni calmanti, tè alla menta e radio messaggi e massaggi via radio, ultimi ritrovati della medicina inglese.

Della Ferrari e della guidatrice sordomuta non ho più saputo niente, fino a quando una telefonata anonima non mi ha rive-lato che lei, la splendida per niente muta o sorda, era l’amante del capo e la mente organizzatrice della banda. Non fidarti mai delle donne, l’ho sempre detto, non fidarti mai delle bionde che quasi sempre sono false, ossigenate.

Il portiere di giorno che fa i turni di notte per non dormire con la moglie, odiatissima consorte, sposata come voto per uno scampato naufragio, ci invita a visitare un locale notturno, fuori città, sulla strada statale chiamata “strada degli innamo-rati” perché è là che molti fanno fuori la ragazza. C’è infatti uno strapiombo che si presta molto a finti incidenti stradali.

Il locale si chiama Sherazade dal nome di una famosa donna facile che nel libro “Le mille e una notte” raccontava favole a un sultano col problema di grave impotenza da non far sapere ai sudditi. Il locale è famoso per la danza dei sette veli. Sono molti gli immigrati arabi che lo frequentano. E’ difficile sen-tire qualcuno che lì parli inglese.

Quando siamo entrati, un odore quasi nauseante è penetrato nelle nostre nobili nari europee. Poca luce, anzi quasi niente.

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Una musica esaltante, direi per i nostri gusti, quasi triste, un fumo denso e acre, uomini imbambolati e una splendida ra-gazza che balla dimenando anche e cosciotti in un modo che voleva essere sexy.

Abbiamo guardato, ammirato e considerato che l’ambiente qualcosa diceva al nostro cuore: improvvisamente al termine della danza sì è alzato un sipario di velluto rosso e tra pentole, bicchieri, elettrodomestici, una splendida e sempre giovanile Vanna Marchi, con voce squillante, in algerino, inglese e ita-liano, presentava come acquisti salutari pentole e suppellettile varia.

Quasi tutti trasognati per il ventre della ballerina e privi di sensi abbiamo comprato. Io ho speso 28 milioni per pentole tutte dello stesso tipo. Che dirà la mamma? Meno male che è morta. Mi avrebbe ammazzato.

La baia del principe è una ridente cittadina con non più di 20000 abitanti ma tutti ricchi a causa del turismo. Verso le 11 in attesa del pranzo ho lasciato la locanda e mi sono recato nel centro storico.

Sprovvisto di macchina, della Ferrari noleggiata neanche l’ombra, ho avuto un passaggio dal lattaio che gentilmente mi ha tenuto nella grossa cella frigorifera. Quando sono sceso ero così irrigidito che ha pensato bene di depormi al sole vi-cino alla fermata dei bus pubblici. Finalmente scongelato dal forte calore del giorno ho preso a volo il primo bus che si è fermato e sono arrivato nel centro storico dove ho potuto ammirare palazzi molto antichi, arcate numerose, negozi vec-chi ed antiquati e molto polverosi e al centro, meta di curiosi, una stupenda fontana che qualche perplessità mi ha messo.

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E’ una donna magra e bionda. La chiamano: The Dancer. La ballerina che versa acqua dai suoi occhi, quasi lacrimasse e le mani protese verso un mostro raggomitolato ai suoi piedi, sul quale come atteggiamento vittorioso poggia il piede.

Il mostro, un umano, molto simile agli antichi Bafomet delle cattedrali medioevali francesi ha un nome diabolico: Iapino. Pur essendo io laureato in teologia non ho mai saputo che esistesse un demonio con questo nome: The Dancer, chi sarà mai? Domando.

E mi rispondono che è una strega messa al rogo 500 anni prima, per i suoi sortilegi che faceva con l’acqua. La chiama-vano Raffa, perché dicevano che arraffava tutto quando i cir-censi e i giullari divertivano il popolo nel tardo medioevo. Al ritorno, benchè fosse sera inoltrata, ho avuto la fortuna di tro-vare un passaggio su un auto guidata da un gentleman inglese. Ricordo solo il nome, Raf. In macchina con lui la sua lady, Mary, molto simpatica e i loro bambini, Chiara e Nadia, nomi italiani, chissà perché, e il piccolo Steve di due anni, molto vivace. La signora mi sembrava anche in attesa. Mi racconta-vano che avevano comprato un bimotore per uso privato spendendo qualcosa come circa due miliardi di sterline. Per un momento ho invidiato tanto benessere.

A sera mi accorgo che i dieci giorni da vivere in Cornovaglia sono passati: Mi aspetta la Scozia e il Galles. Allora saluto tutti perché all’alba parto. Sono stati dieci giorni entusiasmanti per quanto accaduto e che scriverò con dovizia di particolari per i miei amici. Così anch’essi, che non si sono mai mossi da casa, potranno vivere l’incanto e la bellezza di un sogno.

Voi che avete avuto il coraggio di leggere tutto e che forse vi

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siete anche divertiti, lasciate al sottoscritto come ricompensa il dono di una preghiera.

L’avventura più bella che l’uomo è chiamato a vivere non è il viaggio in Cornovaglia ma il viaggio verso la Gerusalemme celeste. Anche lì ci saranno avventure fantastiche, danzare in onore dell’Agnello e cantare le sue lodi, ti faranno esultare nello Spirito e guarderai con gli occhi di Dio questo nostro mondo che è tanto bello, il più bello che poteva uscire dalle sue mani: La bellezza come rugiada del mattino è l’abito con cui l’universo è stato rivestito. E anch’esso un giorno danzerà, canterà e loderà il Dio Altissimo, il Signore degli Dei, e il no-stro canto, il canto dell’universo, il canto degli angeli diverrà il canto di Cristo che nello Spirito Santo loda ed esalta Colui dal quale tutti veniamo.

A Lui l’onore e la gloria nei secoli eterni.

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Don Stefano che loda ed esalta il Signor per i doni che gli ha concesso, soprattutto per il dono del suo amore senza limiti.