Una Lettura Comparativa di Inferno XIV e Purgatorio XXVIII

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    Il Veglio di Creta alla luce di Matelda:

    Una lettura comparativa di InfernoXIV e

    PurgatorioXXVIII*

    Ambrogio Camozzi

    C, quel che peggio, un preconcetto, in questardore di ricerche sullatopografia fisica e morale dei tre regni, che cio tali notizie concorrano a

    determinare, e far comprendere e gustare, larte di Dante []. Ma poichla struttura che abbiamo sommariamente delineata non nasce da motivopoetico, sibbene da un intento didascalico e pratico, [] essa pu daresolamente ci che nella sua natura, connessioni estrinseche alla poesia edeterminate da ragioni strutturali. Ogni sforzo che si faccia per convertirequeste ragioni in ragioni estetiche sterile spreco di acume.1

    Secondo le condizioni esegetiche poste da Benedetto Croce, proporsi e riproporreunanalisi come questa rispettivamente perditempo e reca fastidio.2E questo

    perch il dittico formato dal veglio e Matelda ha una cerniera intarsiata su alcunidegli elementi portanti della struttura del poema, quelli che consentono di darenetta sistemazione al sistema idrografico. Del giudizio crociano ha risentitosoprattutto la seconda parte del XIV canto dellInfernoche, per la sua alta vocazionestrutturale,3 stata a lungo sottovalutata dalla critica.4Alla sfortuna del passo hacontribuito poi forse lesser soffocato tra le alte sponde di Pier de le Vigne dunlato (Inf. XIII) e Brunetto Latini dallaltro (Inf. XV), nonch dallingombrantecompresenza del gran Capaneo il cui luciferino sdegno ha frequentementeimpegnato le maggiori fatiche dei lectores del XIV canto.5Il tono impersonale,

    attutito dellepisodio sembra poi aver scoraggiato le ricerche filologiche anche aldi fuori della scuola crociana i cui criteri sono pur stati da tempo destituiti. 6Siala bibliografia critica, sia lapparato iconografico risultano, infatti, insolitamenteesigui e ripetitivi.7Nella maggior parte dei casi si riprendono schemi interpretativie riferimenti testuali gi utilizzati dai primissimi commentatori. Ecco perch,nellalveo degli studi danteschi, gli elementi che il poeta compone per collocareil veglio nel mondo della Commedia, dopo sette secoli possono offrire ancoraallindagine vaste aree vergini di ricerca.

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    1 Premesse

    1.1 Dammiata

    Prima di dar conto della lettura comparativa dei due canti necessario tentaredi recuperare alla loro dimensione originale alcuni elementi del XIV cantodellInferno. Il primo elemento notevole la geografia ivi racchiusa dal tritticoRoma(v. 105) Creta (v. 95)Dammiata(v. 104), e questultima localit, versocui la statua tien volte le spalle, merita una particolare attenzione:

    Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,che tien volte le spalle inver Dammiatae Roma guarda come so speglio. (Inf.XIV, 103-05)

    Dammiataregistra nei commenti unanomala variet dipotesi interpretative: leprime esegesi infatti singegnano per disparate chiose e solo in epoca recente vienestabilmente accettata a livello letterale la citt egiziana di Damietta.8Per Guidoda Pisa Dammiata est quedam civitas in partibus orientis; per Jacopo Alighieri posta Damiata per segno, per che alcuna montagna tra levante e ponente, traBabilonia e Roma mediata; per Jacopo della Lana era un monte di Babilonia;nelle chiose anonime pubblicate da Selmi viene identifica con Babilonia; Pietroritiene invece che Dammiata sia civitas juxta Acrium in Soria; un antico codicecassinese della Commedia riporta in una chiosa interlineare civitas in banbilonia;

    per Maramauro una citt in terra dEgitto poco lungi da Ierusalem; ancheBenvenuto, che pur segnala il contesto storico delle crociate, sembra piuttostoelusivo: [Dammiata] est civitas gypti quae olim vocabatur Memphis in prophetiset poetis.9

    Un monte, una citt nei pressi di Babilonia, Babilonia stessa, una cittdellEgitto, una citt vicino ad Acri, vicino a Gerusalemme, nota precedentementecome Menfi. Limbarazzante variet di localizzazioni sintomatica e pertantointeressante, e probabilmente sconta lassenza del toponimo dalla letteratura latinatardo-antica. Infatti, n la variante latinizzata *Damiat-/*Dammiat-/*Damiett- , nla forma greca *Tamiath- rientrano nei toponimi compresi dai planisferi letteraridei dettagliati paesaggi di Virgilio, Lucano, Stazio, Ovidio, Orazio, n nelle glosse,n nei trattati di Mela, Solino, Sacrobosco. Non sembra per consentito credereche essa sia presente nella Commediain quanto localit esotica e sconosciuta. Lacristianit del XIII secolo, infatti, si trova impegnata nel secondo decennio propriosui litorali egiziani dove, nel corso della quinta crociata, assedia e conquista conalterne vicende la citt di Damietta.10Come intendo mostrare in un prossimosaggio,11la presa di Damietta era fatto ben noto a Dante e ai suoi lettori,12tantopi che in visita allaccampamento giunge San Francesco.13

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    Alle fonti storiche che ne certificano la notoriet si aggiungano i riscontrigeografici che ne fissano la posizione: Damiatam quasi porta est et munimenEgypti,14Dammiata come porto e come portaper i regni oltremare. questalimmagine che viene consegnata, con varie sfumature, da Jaques de Vitry,15

    Gervasius di Tilbury,16Vincenzo di Beauvais,17Alberto Magno18e Alfragano.19In particolare, questultimo, autore del libro dellAggregazione delle stelle, certamente noto a Dante. Lopera un compendio della Matematik SuntaxisdiTolomeo e viene frequentata dagli studi danteschi e medioevali come manualeastronomico. Nel Convivio (II, v) Dante lascia intendere di aver letto il testo,20ei riscontri sullastronomia del prosimetro, utilmente raccolti da Paget Toynbee,21dimostrano come non sia stata una lettura occasionale. Non si ricorda per asufficienza che il capitolo IX, attraverso una panoramica aerea dellecumene,fornisce allo stesso Dante anche una serie completa di dati geografici.22 La

    descrizione procede da destra a sinistra e dal basso verso lalto, per sette fasceparallele cui corrispondono le sette zone climatiche. Nella cascata di citt e regioninon manca Dammiatae si trova poco oltre la met della terza striscia: Clima verotertium incipit ab oriente et transit per septemtrionem regionum Sin et transit perregiones Indiae et est in ipso civitas Alchinher []; deinde transit per regionumKebil [] et Alexandriam []. Deinde secat inferiora Aegypti et in ipso estAlpherme et Tanis et Damiatet Fisatat et Alfanun et Alexandria [] et pervenitad mare occidentis.23In ordine inverso tornano le tre localit elencate da AlbertoMagno.24

    La sponda allegorica da cui prende il senso la scelta dantesca di Dammiata restaper ora intentata;25ma accettando la lettera facile apprezzare ora la somiglianzacon Roma. Dammiata e Roma sono due citt costiere,26porti fluviali,27localitsineddotiche del confronto Oriente-Occidente, porte dingresso di un trafficatocorridoio marino che in Creta conosce un conveniente approdo intermedio.28Nelcomputo dei riscontri possibili, non va dimenticata infatti lattivit di viaggiatori,mercanti o pellegrini che incontrano il porto di Candia a met strada sulla rottadiretta tra lItalia e la Terra Santa. Sembra allora possibile credere che scegliendoDammiata Dante indichi il pi celebre porto del Mediterraneo Orientale perinquadrare centralmente e medianamente lisola di Creta in unattualit storica efattuale, senza iniziali cedimenti alla dimensione allegorica.

    1.2 Creta: In mezzo marIl secondo elemento da recuperare, per quanto possibile, allintenzione dantesca lisola di Creta che il poeta ci consegna marcata da uneccezionale posizionegeografica e da una particolare condizione socio-climatica. Va quindi consideratoil primo emistichio di InfernoXIV, 94: In mezzo mar [].

    La critica ha reperito nel verso la memoria del terzo libro dellAeneis,29quando finalmente trovano corpo le speranze degli esuli troiani: Creta Iovis magni

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    medio iacet insula ponto, | mons Idaeus ubi et gentis cunabula nostrae (Aen. III,103-04). Nelle vaghe parole delloracolo antiquam exquirite matrem (Aen.III,25) Anchise risolve gli animi incerti dei principi e indica Creta quale metadel viaggio. I legni approdano allora sullisola di Giove ma subito una pestilenza

    devastante inaridisce gli uberrima regna promessi, miete vittime tra i guerrierie prostra i superstiti.30Un nuovo responso divino permette al padre di Enea dicorreggersi e drizzare i timoni verso la terra dEsperia. Litteraliter restano nellamemoria i lidi sterili e i campi devastati da Sirio, mentre allegorice si delinea conCreta limmagine di madre ambigua, patria falsa,31approdo intermedio di unviaggio pi ampio e decisivo.32

    Credo sia vantaggioso aggiungere al consolidato richiamo poetico,linfausta memoria serbata anche nelle pagine dedicate alle vicende fondanti ilpotere spirituale. Gli Atti degli Apostoli (27. 13) raccontano i pericolosi giorni

    di tempesta che Paolo, salpato da Roma, trascorse alla deriva nei pressi di Creta.Qui, il gran vasello dello Spirito Santodovette infine essere confermato da unangelo che non avrebbe fallito la meta e che la sua missione a Roma sarebberiuscita.33Enea e San Paolo, con i quali il poeta ha dichiarato proemialmente divolersi misurare, partiti dallAsia minore e diretti a Roma, incontrano lisola amet del loro viaggio terreno. E Dante incontra lisola a met del suoviaggioultraterreno per quel primo regno che nel planisfero immaginato dalla Commediaapre la sua vasta voragine sotto lemisfero abitato.34

    Creta giace su territori non solamente fisici e non solamente virgiliani. La sua

    eccezionale posizione mediana, irrotta nella Commedia in uno strappo del tessutoraffigurativo e stilistico del canto che dalle viscere della terra proietta la scenasulla superfice marina, concatena la traiettoria di Dante alle vie di Paolo e Enea.Pertanto necessario riconsiderare positivamente limportanza della dimensionestrettamente geografica, apparentemente secondaria ma tipologicamenteprodromica ai possibili parallelismi storico-allegorici. Forse a causa della concisaformulazione, essa viene spesso trascurata, nonostante meriti nellintento di Dantela prima e principale sede sintattica della terzina.

    Lisola viene dunque caratterizzata dal suo essere in mezzo e al centro,come rivela uno studio pi attento delle fonti latine. Lemistichio in esame, infatti,rielabora in volgare lespressione latina medio [] ponto (Aen. III, 104) con unafelice modulazione dellapertura vocalica [in mezzo mar] che gradualmentespalanca di fronte al lettore la distesa acquea. Lassenza di articolo acquista allemma marlampiezza del Mediterraneo e cos apparentemente risolve un crucciodella geografia antica. Tale problematica riassunta da Servio in nota al versodellAeneis, gi citato quale fonte del passo dantesco, e pertanto verosimilmenteera nota a Dante: medio ponto: potest quidem intellegi, secundum Sallustium,longe a continenti. Sed altior est loco poetae intuitus lintuitus di Virgilio,secondo Servio,avrebbe tracimato la resa e sarebbe rimasto inespresso Nam

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    apud chorographos legimus quae insula in quo sit mari, ut Sardinia in Africo,Delos in Aegeo, et de aliis omnibus. De Creta omnes dubitant in quo sit mari; namparte Lybicum, parte Aegyptium, parte Achaicum, parte Ionium respicit.35Quandoscrive omnes dubitantServio si riferisce forse a Solino per il quale: Pronius est

    Cretam dicere quam absolvere, in quo mari iaceat. Ita enim circumflui illius nominaGraeci permiscuerunt, ut dum aliis alia inferunt, paene oblimaverint universa.36invece certo che si riferisca al poco scientifico ma deciso iam in medio mari,37concui Pomponio Mela il chorographos risolve la dilemmatica posizione di Cretarispetto le altre isole. Quindi, conclude Servio: medio ponto, ac si dici possitmedio pontorum, quod Latinitas non recipit (in Verg.,Aen. III, 104).

    Rispetto al latino, nella Commedia, lassenza dellarticolo anzich sbilanciareil riferimento nel vago suggerisce la superficie del mare nostrum, mare Expansumsive Magnum, quod est mare terrae Romanorum.38Ma limportanza che Creta

    acquista dalla straordinaria posizione al centro del Mediterraneo sconosciutaal di fuori della nota serviana, dei testi di Solino e di Mela. Priva di qualsivogliamemorabilit geografica, prima di Dante, allisola non solo mancano attestazioniscritte che ne ripercorrano o sviluppino lepicentrica posizione ma, in generale, raro trovare un tratto speso per evitarne lalfabetico novero di isolotti omomorfirubricati a partire dal continente di appartenenza.39In alcuni casi la gravitazionestorica e culturale greca attira Creta su un piano secondario, e sono Cipro o laSicilia Trinacria, terris frugifera, auro abundans,40prime a meritare dingemmareil mare romanorumcon radiose ed eccezionali qualit.41

    Niente di tutto questo avviene nella Commediadove Creta, barbacanedellipocentrica fortezza di Dite, campeggia in mid-Mediterranean come la pimemorabile isola dellemisfero boreale.42Una specificit pressoch adombrata daServio, sembra abbia fornito invece a Dante il pretesto per disegnare in questocanto una cartografia inusitata, inventata e precedentemente sconosciuta. Secondoi calcoli condotti da Pecoraro sulle coordinate geografiche dantesche, Creta si trovaa 22 30 Est da Roma. Il monte Sinai (su cui consentito far passare il meridianodamiatino) si trova invece 45 Est da Roma: sembra lecito concludere che Danteabbia attribuito a Creta [] un sito intermedio fra Roma e le terre levantine delMediterraneo, quelle ove trovasi Damiata e onde trassero il viaggio Enea e SanPaolo.43

    Non pare allora dovuto al caso che la griglia eptapartita del citato manualedi Alfragano, se sovrapposta alla geografia schizzata nel trittico RomaCretaDammiata riveli che le tre citt dantesche siano rispettivamente situate nellaquinta, quarta e terza fascia climatica.44Quella griglia, certamente nota a Dante,offrirebbe un retroterra consolidato alla centralit latitudinale e una confermadecisiva alla straordinaria e simbolica posizione di Creta che non nitidamentedelineata viene largamente lasciata intendere. La quarta fascia, infatti, mediana tra

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    Roma e Dammiata, percorre centralmente lo spazio abitato dalluomo, adeguataubicazione per la terra in cui ebbe origine la storia pagana.

    Sono numerose e tanto significative le memorie innescate dallemistichiodantesco in cui Creta si dislagasolitaria al centro e a met del Mediterraneo,

    per credere che in ragione della solenne cadenza che ammanta il virgolettato delpersonaggio di Virgilio In mezzo mar siede un paese guasto (Inf. XIV, 94) vi sia solamente il gareggiamento stilistico con il maestro e non, piuttosto, unavolontaria sottolineatura. Unattenta lettura, rivela che la particolarit geograficadi Creta, la centralit longitudinale e latitudinale, quellintrinseca mezzanit e ilsimbolismo che essa permette, non sono affatto assorbiti nel famigerato frontemitologico.45Merito dellabile poeta che realizza questo disegno sulle note diuna ri-elaborazione formale superiore al latino, nei cui intenti vi lo sforzo diricalibrare lantonomastica centralit cretese secondo le linee narrative del suo

    viaggio da un emisfero allaltro.Tra i primi a cogliere i significati del quadro geografico del XIVcanto

    dellInferno, sebbene da una prospettiva allegorica, Giovanni Boccaccio,46che ne d prova quando nel 1373 prende parola in un ciclo di lezioni danteschea favore di moltissimi cittadini della citt di Firenze, che desiderano, non soloper se stessi ma anche per altri concittadini, aspirare alla virt e anche per i loroposteri e discendenti, essere edificati dallopera di Dante.47In altre occasioni ilCertaldese aveva gi reso pubbliche le sue riflessioni sulla geografia cretese. Visi era intrattenuto infatti nel Genealogia deorum gentilium (III, 5) e nel trattatoDe montibus (VIII, 32). Boccaccio propone in tutti e tre i testi una particolarerappresentazione di questo nostro emisperio in cui, dopo una rigorosa analisiorografica dei confini di Europa, Asia e Africa, lisola di Creti apare essere in sul confine di queste tre parti del mondo,48al centro esatto delle terre abitate, ilfamoso orbis umbilicum.49La prospettiva che Boccaccio adotta in questi testi,come nota Branca, strettamente legata alla profonda sapienza per cui Dantecolloca il veglio sullisola.50Cos inquadrata lisola diviene luogo universale,universal corpo di tutta la terra,51e sede proporzionata al suo ospite, per ciche alla sua intenzione ottimamente il luogo e il nome conforme.52Inoltre, laparticolare efficacia di questo impianto geografico consisterebbe nel fatto di offrirsicome valido contraltare della rappresentazione grafica dellecumene incentrata suGerusalemme.53Se tale quadro, legato in qualche modo alla fantasia dantesca,fosse quello sotteso alla composizione del XIVcanto dellInfernosi produrrebbeuno scarto tra sacro (GerusalemmeCristo) e pagano (CretaGiove) che Danteconsidera artisticamente fecondo e gravido di implicazioni.54

    Le sollecitanti intuizioni di Boccaccio sono successive alla stesura delcanto ed da escludere che ne abbiano influenzato la creazione. Ma la precisionedei dettagli raggiunta dalla nota delle Esposizioni e le finalit del De montibussuggeriscono unindagine e uno studio geografico del certaldese latente e previo alla

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    lettura del poema. questo a permettergli di misurarsi non tanto con le difficoltdellesegesi dantesca ma con le incongruenze e le zone dombra della geografiaantica.55Se dunque una serie di letture ha permesso a Boccaccio di realizzare questacartografia, non da escludere a priori che Dante possa aver in qualche modo

    conosciuto, anche solo in parte, gli stessi testi.

    1.3 Creta: un paese guastoLa seconda parte del verso 94 sposta laccento sulla dimensione storica e naturaledel luogo: siede un paese guasto. Se per il primo emistichio un modello, quellovirgiliano, perde progressivamente la sua efficacia e sinfragilisce con lavanzaredegli apporti critici, per la seconda parte del verso esso sembra non trovar spaziofin dallinizio. I toni decadenti, bigi del sintagma dantesco non ricalcano unaprecisa memoria letteraria. Gli unici riscontri positivi, piuttosto fragili e tuttaltro

    che esaustivi, provengono dalla documentazione storica che qui distendo per lapertinenza iniziale di alcuni tratti.

    La condizione climatica cretese, riportata dai cronisti dellepoca, tende acollimare i connotati naturali composti da Dante.56Lisola di Creta, gi dal XIIsecolo, nota per la cronica mancanza dacqua dovuta in parte allesposizionediretta al clima africano, e soprattutto a una connaturata penuria di fonti sorgive.Gli insediamenti urbani devono fare i conti con il continuo fiato dOstro unvento caldo e secco e le rabbiose bufere sciroccali dinizio estate.57Mentre il primocontribuisce a mantenere alte le medie nella lunga stagione estiva, le tempeste invece

    danneggiano i grani al momento della prima fioritura. Le scarse precipitazioninon permettono lutilizzo di cisterne. Cos, il controllo delle poche fonti sorgive spesso allorigine di violenti contrasti sociali. Le autorit veneziane, costrette adintervenire ripetutamente durante il corso del XIII secolo, otterranno una certastabilit amministrativa solo dopo aver organizzato e realizzato lincastellamentoin funzione della corretta ripartizione dei corsi irrigui e della protezione dellesorgenti.58

    Eppure leconomia cretese risulta essere una delle pi prospere delMediterraneo; la fortunata posizione che fa del porto di Candia una sosta strategicalungo le rotte mercantili, compensata lingrata condizione climatica, garantiscealla colonia un commercio fiorente. Nei resoconti di viaggio, in pieno XIV secolo,torna ad attestarsi in qualche caso il topos letterario59delle cento citt.60Perquanto realisticamente distante dalla concreta situazione dellurbanizzazionecretese, esso documenta la presenza di una realt non isolata ma viva e ben inseritain un impero coloniale potente e vigoroso.61Proprio il ricordo del vivace climasociale potrebbe aver indotto Giacomo da Verona, pellegrino dinizio trecento,a dipingere in epistola un idillico quadretto di terrapulcra et amena, dotataomnibus deliciis.62Anche questi, in realt, sono moduli segnatamente letterari.

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    Non riguardano per la condizione sociale dellisola ma il paesaggio naturale e lasua celeberrima montagna, Ida, come ricorda Inferno XIV, 97-99:

    Una montagna v che gi fu lietadacqua e di fronde, che si chiam Ida;or diserta come cosa vieta.

    La tradizione poetica dascendenza omerica con il nome Ida conosce due gruppimontuosi: in Frigia con cui si designa talvolta la stessa Troia;63e in Creta.Differenti coordinate geografiche non indicano differenti paesaggi: il monte Ida sempre connotato dalla vegetazione lussureggiante,64e dal fitto bosco abitato daninfe;65in alcuni ricordato quale riserva lignea delle resistenti e veloci navi idee.66Orazio scrive l Ida aquosa,67cos preferendo ai possibili riscontri la deduzione diuna memoria mitologica.68

    Dalla produzione letteraria tardo antica al medioevo la tradizioneambivalente del nome Ida in Troade, alius in Cretasintetizza Vibio Sequestre69 non si perde (Purg. IX, 22), ma viene rielaborata con maggior fortuna nel ramocretese nobilitato dal mito teogonico, quod ibi nutritum Iovem accepimus.70La componente edenico-mitologica dimostra infatti di essere particolarmenteincisiva nelle prose cosiddette scientifiche. Solino accredita la memoria letteraria neiCollectanea.71Isidoro in un evidente calco del testo di Solino, in chiave evemeristicarazionalizza la linea lirica e nelle Etymologiae accoglie il ribaltamento della notacondizione metereologica: Creta Graeciae pars est iungens contra Peloponnensem.

    Haec primum a temperie caeli Macaronnesos appellata est.72

    Tramite il materiale raccolto spero sia visibile lo schema della creazionedantesca: il poeta eredita dalla tradizione storica e letteraria, per via dominante,unisola popolosa e felice, e consegna ai suoi lettori un paese devastato.Lespressione centum urbes non semplicemente assente ma viene ribaltata.La gloriosa ecatompoli cretese divenuta un paese guasto, abbandonato. Inmodo analogo alla trasformazione sociale, ha luogo lo stravolgimento naturaleche dei nobili boschi cretesi conserva solamente il terreno, ormai riarso. Lultimoricordo delle spiagge appestate negli occhi dei Dardanidi,73per quanto infelice,non pu essere adottato come forza motrice delloperazione dantesca sia perchdopo il dirompente esordio letterario il testo virgiliano perde progressivamente lasua influenza, sia soprattutto perch, restando al poema epico, la flora cretese destinata a rinascere nel XIIlibro per fornire a Venere il dittamo curativo.74

    Uno studio delle fonti letterarie porta dunque a ritenere che limmaginedi Creta descritta nellInferno sia un ribaltamento puntuale delle connotazionipi assodate. Non si tratta per di una simmetria conchiusa. Loperazione quicondotta non precisamente geometrica e, ad esempio, nellaffiancare a ciascuntopos luminoso il suo esatto corrispettivo disfatto, come ho gi mostrato, alcunielementi del paesaggio sembrano piuttosto adatti a offrire un riscontro ai resoconti

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    geo-climatici dellepoca. Non solo: questo gioco di chiaro/scuri sembra reggersisu un disegno forte tramite il quale Dante modella la materia poetica verso iltermine vieta(v. 99). quanto indicano alcune strette consonanze trovate tra ilverso dantesco e la produzione lucanea, cui daltra parte si invitati a guardare

    da uno stilismo concorde.75I colori lividi, il tono dimesso della rovina di Creta,il ritmo discendente di questa distruzione pi aspra del normale, pi estrema delnaturale ordine delle cose intrecciano una stoffa omologa alla poetica di Lucano;fino appunto allisomorfismo:

    Iam dilecta Iovi centenis venit in arma Cretavetus 76

    Creta vetus: il termine lucaneo e il volgare di Dante collimano. I passi si illuminanoa vicenda e lun laltro sveste metafrasi polverose. Iam dilectaGi [] lieta: la

    sintassi e il lessico della Commediaricalcano il latino. La terzina dantesca, a suavolta, pu correggere imprecise traduzioni: lavverbio iamnon va riferito al verboprincipale ma al participio dilecta. Vetusnon sta per antica, ma per vecchia,significato che ammette il valore durativo su cui Dante fissa una parte della suacostruzione poetica. Questultima, per tutto larco della sestina appare alquantoelaborata.

    1.4 Hic et tuncCon insolita grafica propongo la serie di terzine fin qui esaminate:

    [a] In mezzo mar siede un paese guasto[g] disselli allora, che sappella Creta,[b] sotto l cui rege fu gi l mondo casto.[b] Una montagna v che gi fu lieta[g] dacqua e di fronde, che si chiam Ida;[a] or diserta come cosa vieta.

    Sembra evidente una complessa costruzione chiastica inchiavardata alla scelta deitempi verbali. I membri contrassegnati dalla stessa lettera greca sono omologhi nellafunzione semantica e combacianti nella struttura sintattica. Le unit aconstatanola desolante immagine di un territorio disfatto. Strutturalmente recano in fineverso due aggettivi latini vastuse vetus. Laspetto perfettivo, nella sfumaturarisultativa, del participio guastosuggerisce al lettore lesistenza di un ante quem,un paesaggio non ancora devastato (v. 94) e, per esteso, un paesaggio non ancorainvecchiato (v. 99). Le unit g forniscono la toponomastica del luogo. Sonoendecasillabi a maiore con una spiccata cesura centrale per cui il secondo emistichiosi compone per esteso di una relativa che spinge il toponimo in ultima sede delverso (Creta,v. 98; Ida,v. 95). Le unit

    binvece ricordano una stagione felice

    e irrevocabile. Sono costruite al passato e lasciano in ultima posizione laggettivo

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    portante. A questultima coppia, centrale nel chiasmo, il poeta consegna altres lasvolta della struttura scrivendo specularmente il fu gi(v. 96) in gi fu (v. 97).Complessivamente la sestina disegna una traiettoria curva che dai margini duri einappellabili slancia al centro un alto sospiro nostalgico.

    I due elementi ossimorici e compresenti emersi durante lanalisi dellefonti storico-letterarie si ritrovano nellossatura della struttura poetica: da unaparte Creta forte di cento citt e lIda verdeggiante, dallaltra il paese guasto e lamontagna deserta. Dante non si limita ad alternare le due silhouettesma, attraversola struttura chiastica, compone due plessi articolati: quello della tradizione poetica,cui appartiene latto del ricordo e la fonte mitologica;77quello della storia cuiappartiene latto della constatazione e la fonte storica.78Ne emerge un affrescocangiante che ben indossato il tono nostalgico di Virgilio, non lascia tuttaviaspazio al sogno, allimmaginazione. Hic et tunc, qui ma allora, si potrebbe

    significativamente riassumere.79In queste dinamiche si pu ben rileggere il verso 96 [b]: il re di Creta e il

    mondo casto. Alle tracce pur presenti di una storia locale, conviene preferire ilpercorso poetico e il contesto mitologico. La presenza documentata di un re cretesesaggio (Minosse) e di una societ ordinata che prima litteris iura finxit (Isidoro,Etym., XIV, 6, 16) non offre i margini richiesti allampiezza del sospiro del vate.Non un regno fu ben governato, ma un mondofu casto(v. 96). Il ricordo non locale ma universale, non storico ma ancora una volta poetico; univoco, infine,nel riconoscere il rex Cretae (Servio, in Verg., Aen., VIII, 356) cui attribuire la

    reggenza in un tempo innocente, senza colpe. Con una rara nominazione assente,per ragioni che avvicineremo pi avanti, il Virgilio dantesco sta rivolgendo aSaturno il suo patetico tributo (v. 96). Saturnus il re di Creta, e il mondo castoun forte richiamo ai saturnia regna,80un segmento di spazio e di tempo ricordatoe a lungo profetizzato dalla poesia latina.81

    La presenza latente di Saturno e la muta partecipazione dellumanitsoggetta agli di falsi e bugiardi(Inf. I, 72)poggiano sul marcato ruolo che giocalultimo aggettivo della sestina (vieta; v. 99). Il che troverebbe conferma nelleAdnotationes. In margine al gi citato verso del Bellum CivileDante lesse: Cretavetus: quippe in qua nutritus est Iuppiter.82

    Secondo lautore della chiosa, con laggettivo vetus Lucano avrebbeincuneato nel processo diegetico la credenza mitologica legata a Creta. Che Danteabbia presente lo scolio, oltre al verso, sembra evidente allorch nella Commedia,al termine vieta lembo del chiasmo ormeggia la terzina mitologica dedicataallinfanzia di Giove (vv. 100-02). La simmetria con il corpus lucaneo evidente,cos come distinta la lectio: c un nesso tra la vetust e la dimensione religiosadellumanit precristiana. Quella che per era la nota di folclore di un poetadisincantato, nella Commedia risuona da ben altre cavit.83Nel pellegrino e nel

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    lettore viene posto qui un interrogativo greve: qual sia la tipologia del nesso tra ilmondo pagano e la vecchiezza.84Una risposta verr raffigurata molto pi in l.

    1.5 La statua

    Il quarto elemento su cui vorrei soffermarmi dopo Dammiata, Creta e il chiasmodei versi 94-99 la celebre statua che nella Commediaviene descritta a partire daInferno XIV, 103: Dentro dal monte sta dritto un gran veglio.

    1.5.1 LidoloAncora una volta la creazione dantesca mette in vibrazione conoscenze storichefattuali. Sulle pendici del monte Ida cretese infatti possibile visitare, ancoraoggi, lantro ideo, uno dei luoghi pi conosciuti e leggendari dellantichit, unagrotta articolata su pi livelli, aperta a circa 1500 metri sopra il livello del mare.85

    Gli scavi archeologici condotti alla fine dellOttocento hanno rinvenuto traccedella presenza di una statua di Zeus e di una venerazione praticata per lungotempo.86Quando Dante scrive la Commedia il culto pagano, progressivamentesostituito dalla vita della stabile comunit cristiana, non era pi in uso.87Ma facile ipotizzare che il poeta ne fosse a conoscenza. La tradizione religiosa cretese,nota per altri aspetti anche a San Tommaso,88non sfugge infatti allautore delcommento edito dal Selmi, che in nota ai versi 95-98 del canto scrive: Creta []chiamavasi lisola de gli Dei Infernali; e a quelle chiese andavano a quel tempole genti pi che in altre parti, e con molte reverenze e umilitadi per le meraviglie

    che vediano in questa isola (Chiose anonime; Inf. XIV, 95-98). La dimensioneliturgica del culto diversamente ricorrente anche nella matrice letteraria della vitadi Minosse. Orazio e Servio, ad esempio, con trascurabili differenze, raccontanoche sub antro, Giove fosse solito apparire al figlio e re cretese per rispondereai quesiti in una sorta di epifania oracolare.89Quanto alla presenza di un sitoreligioso, segnalato probabilmente da una semplice iscrizione o una targa, i testidi Cicerone, Solino, Lucano e Mela vi fanno cenno assecondando la notizia dellapresenza sullisola del sepolcro di Giove: famigerata [] maxime eo quod ibisepulti Iouis paene clarum uestigium, sepulcrum cui nomen eius insculptum estadcolae ostendunt.90

    1.5.2 La posizioneDal deserto libico (vv. 13-15) dove Catone condusse i pompeiani sconfitti, finoallIndia equatoriale raggiunta da Alessandro Magno (vv. 31-36), passando per lapugna di Flegra (v. 56) e la maternit di Rea (vv. 100-02), il canto giunge al vegliosenza aver mai ricordato un personaggio o un avvenimento posteriore alla venutadi Cristo. Anche la ricostruzione delle fonti e linterpretazione degli elementi chevanno componendosi non valica gli argini del tempo precristiano. opportunotenerne conto, avvicinando la lettura della terzina InfernoXIV, 103-05:

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    Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,che tien volte le spalle inver Dammiatae Roma guarda come so speglio.

    Il veglio sta dritto in piedi, con le spalle a Dammiatae volto a Roma cui guardacome suo speglio. Alla postura ieratica corrisponde un alto registro stilistico chein un nuovo spalancamento visuale staglia, ai margini estremi del campo dominatodalla statua, due citt. Come si provato a dire, Romae Dammiatasono scelteinnanzitutto per definire geograficamente la spazialit su cui la statua si erge. Restada verificare se, filtrato dalla storia delle localit, venga attribuito al dominiocretese un significato non strettamente geografico. Dal momento che i possibilisignificati che la citt di Roma in grado di introdurre nella Commedia sonosmisuratamente numerosi consigliabile attendere un suggerimento selettivo dallastoria legata alla seconda citt.

    Secondo la maggior parte dei commenti, Dammiatastarebbe a indicaregenericamente un antico impero universale egiziano o babilonese che sia, purchil primo che la Storia conosca.91Se questa fosse anche lintenzione del poeta, ledue citt, mentre cadono simmetriche sulla carta geografica, riuscirebbero infatti adisegnare coordinate significanti anche in un sistema di riferimento storico. Daltraparte sembra piuttosto decontestualizzato e fuorviante ritenere che Roma sia quiposta in quanto sede del Papato e simbolo della Chiesa.92Il canto intero professala sua estraneit alla storia cristiana, i personaggi e i riferimenti storico-spaziali si

    direbbe ne siano avulsi. Invece, la dimensione storica universale (senza riduttiviriferimenti alla vicenda cattolica), si qualifica e si conferma ulteriormente anchequando, pi avanti, viene descritta la postura della statua. Con una sorprendenteinnovazione della fonte biblica, Dante immagina che il veglio poggi il suo peso su unpiede pi che sullaltro. Come nota Luigi Valli, pare che lo stare ritto e non sedutoe in un certo orientamento ben definito, voglia indicare che egli non si trova nellasua sede vera, ma come a un certo punto del suo cammino (Il segreto della Crocee dellAquila, p. 108). Valli, cui molto deve lintuizione iniziale di questo percorso,nelle righe successive tende a scolorire il dato letterale e sostituire Dammiatacon

    Gerusalemme. Rispettato il testo dantesco, il nucleo della sua annotazione restafondamentalmente valido: Creta a mezza strada (Valli, Il segreto della Crocee dellAquila p. 108), a met cio del tragitto spazio-temporale che le due cittdisegnano e che il veglio riassume in quella particolare postura sospesa.93

    1.5.3 La fisionomiaUnanalisi completa della figura del veglio richiede uno spazio che qui non consentito.94Qui preme solo fissare il punto critico che emerge dalla lettura diInferno XIV, 106-11:

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    La sua testa di fino oro formata,e puro argento son le braccia e l petto,poi di rame infino alla forcata; da indi in giuso tutto ferro eletto,

    salvo che l destro piede terra cotta;e sta n su quel, pi che n su laltro eretto.

    I commenti hanno riconosciuto nella sestina un passo del libro di Daniele (2. 32).95La statua sognata da Nabucodnosor precede certamente una possibile creazionesimbolica o il gioco di echi classici sul tema dei metalli, e cos recitano i versettibiblici: huius [] caput ex auro optimo erat pectus autem et brachia de argento,porro venter, et femora ex aere, tibiae autem ferreae, pedum quaedam pars eratferrea, quaedam autem fictilis (Dan. 2. 32-33).

    Non mi sembra per che siano state avvertite le differenze tra il testo biblicoe il poema. Dal punto di vista iconografico ci sono ben quattro scostamenti.Innanzitutto il piede sinistro della statua dantesca interamente composto di ferroe il destro di terra cotta; nella Bibbia il materiale misto, un particolare fissatonella memoria dalla successiva spiegazione offerta dal profeta: Quod autem vidistiferrum mistum testae ex luto, commiscebuntur quidem humano semine, sed nonadhaerebunt sibi, sicut ferrum misceri non potest testae (Dan. 2.43).

    Secondo: Dante immagina che il peso della statua sia poggiato sul piede diterracotta pi che sullaltro. Assente dal citato passo biblico, questa distribuzione

    di peso, oltre a costituire un punto di scarto vincola la prima caratteristica a unanon casualit ancora da spiegare.Terzo: leffige rappresenta un uomo vecchio quando il testo biblico era

    rimasto generico.Quarto: la rumorosa e segnalata assenza del masso che nella Sacra Scrittura

    sbriciola la statua (Dan. 2. 34-45):

    In diebus autem regnorum illorum suscitabit Deus caeli regnum, quodin aeternum non dissipabitur, et regnum eius alteri populo non tradetur:comminuet autem, et consumet universa regna haec: et ipsum stabit inaeternum. Secundum quod vidisti, quod de monte abscissus est lapis sinemanibus, et comminuit testam, et ferrum, et aes, et argentum, et aurum,Deus magnus ostendit regi quae ventura sunt postea. Et verum est somnium,et fidelis interpretatio eius. (Dan. 2. 44-45).

    Comera noto ai lettori della Commedia,nel masso che sine manibussi distaccae polverizza la statua, va riconosciuta unaprefiguratio Christi, una profezia delsalvatore concepito verginalmente per stabilire il Regno dei Cieli, lunico chesarebbe rimasto, et ipsum stabit in aeternum (Dan.2. 44). Questultima differenza

    apparentemente presto spiegata: lassenza della pietra dal passo dantesco rispondealle intenzioni del poeta perch impedisce alla scena infernale di volgersi ad un

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    orizzonte luminoso. Perci, per quanto riecheggi un episodio della storia dellaSalvezza, il veglio della Commedia privo di qualsiasi connotato riconducibilead essa.

    Trovo vi siano ragioni sufficienti per chiedersi se, dopo tutto, sia corretto

    indicare come fonte diretta per questa figura della Commedia il passo di Daniele:anche senza considerare le fessure lacrimanti, le differenze compositive tra la statuadantesca e il modello biblico sono piuttosto eloquenti e rimarcate. Non solo: ilsenso dellepisodio dantesco, giocato tra spazialit continentali e miti pagani, hapoco in comune con le vicende narrate nel libro del profeta Daniele.

    1.5.4 La funzioneSul ruolo di questa statua, sulla sua funzione allinterno della Commedia,sono statespese diverse interpretazioni. Credo che, anche in questo caso, vada innanzitutto

    riscoperto il senso letterale come dettagliato nei versi successivi:

    Ciascuna parte, fuor che loro, rottaduna fessura che lagrime goccia,le quali, accolte, fran quella grotta. (Inf. XIV, 112-14)

    La seconda parte del XIV canto dellInferno, come accennato introducendolarticolo, uno dei passaggi essenziali alla costruzione della fisicit del viaggio. Inaltre parole, si potrebbe dire che, ai fini di una raffigurazione grafica della strutturadelluniverso dantesco, i versi in disamina sono sostanziali. Si tratta infatti del luogo

    in cui Dante fornisce una sistemazione complessiva e compiuta della potamologiainfernale.96Nellarco dei cento canti non vi sono palinodie: ci comporta che, sesi volesse destituire il ruolo di questi versi, negandone la fondamentale utilit,si dovrebbe considerare o accessoria la domanda del viator con cui chiededelucidazione sullorigine dei fiumi, o inverosimile la successiva risposta della guida. sconveniente per sostenere sia la prima sia la seconda obiezione. Nel primo caso,infatti, nellopera in cui ipotizza le cause della conformazione continentale, in cuifornisce dettagliate illustrazioni e giustificazioni dei registri oltremondani, in cuielenca lordine delle schiere angeliche, Dante non avrebbe considerato necessariotentare lorigine dei fiumi del primo regno. Chi sostenga questa ipotesi dovrebbeallora dar sensata spiegazione della singolare assenza delleziologia idrograficainfernale, riuscendo inevitabilmente a tener conto di quanto viceversa accade peri fiumi del secondo regno (PurgatorioXXVIII).

    La seconda obiezione, ricordo, ritiene non credibile il racconto di Virgilio.Essa pu avvalersi di elementi apparentemente convincenti: il poeta latino vissutoal tempo degli di falsi e bugiardi (Inf. I, 72) non conosce la verit; non purafattualit storica quella che presenta al suo uditore, non da credere che Rea abbiaallevato Giove nel monte Ida n che il mondo sia stato casto sotto Saturno. S,Dante e il lettore sanno che la storia fu differente, but there are truths in Virgils

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    story of which Virgil himself perhaps is not fully cognizant.97E credo che il dominiodi queste verit abbracci elementi attribuiti troppo spesso allescogitatiopoetica anche dallo stesso Dean. A differenza del mito con cui viene introdotta, la statua delveglio esiste perch, da un lato, resterebbe altrimenti da spiegare lorigine dei fiumi;

    in secondo luogo, perch luso del tempo presente non lascia spazio allescogitatiofittizia. Il presente il tempo storico per eccellenza dove solo unallegoria ha luogo,lallegoria scritturale in cui il primo senso, quello letterale, dato come senso reale,storico, che sussiste autonomamente.98Pertanto, un liquido di cui si compongonoAcheronte, Stige, Flegetonte e Cocito si raccoglie realmente ai piedi di unagrande statua di un vecchio lacrimante, posta nel nostro mondoin un antro delmonte Ida dellisola di Creta. Questo passo del poema credo faccia parte di ciche Pietro Alighieri, con preoccupazione evidente, descrisse e distinse come ficteet transumptive loquendo.99Ma il padre invece ben intenzionato a confermare il

    lettore della fisicit della sua ardita sistemazione e cos sviluppa tra i due pellegriniun rapido scambio di battute.100 unipotesi interpretativa labile che per, credo,renda oltretutto ragione di versi spesso considerati enigmatici e contraddittori. Miriferisco a Inferno XIV, 121-29:

    [] Se l presente rigagnosi diriva cos dal nostro mondo,perch ci appar pur a questo vivagno?. Ed elli a me: Tu sai che l loco tondo;

    e tutto che tu sie venuto molto,pur a sinistra, gi calando al fondo, non se ancor per tutto l cerchio vlto;per che, se cosa napparisce nova,non de addur maraviglia al tuo volto.

    La maraviglia affiora sul volto del pellegrino, riflesso visibile, reazione accertabiledi quanto avvenne e avviene nella mente di chi stia leggendo il canto per la primavolta. Cos, la domanda e la risposta insieme, lungi da celebrare lampiezza genericadelbaratro infernale, evitano al veglio di venir considerato unimpropria sbavaturadel registro mitologico. Per quanto suggestiva e complessa sia la sua fisionomia,la sua esistenza deve essere considerata dal lettore certa quanto certa lesistenzadella natural burella, o del monte del Paradiso Terrestre o di Matelda.101

    Il racconto di Virgilio coniugato al presente fattuale: il veglio lafontana prodigiosa da cui sgorgano i fiumi del regno dei dannati. E, a meno diipotizzare con fantasia discrezionale un meccanismo di pompe artificiali che daunoriginale fonte rocciosa abbia condotto il flusso per il corpo della statua artefatto e successivamente giustapposto, la sua posizione e la sua funzione sonotali dallinizio della creazione dei fiumi dellaldil.

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    1.5.5 AllegoriceDato conto del piano letterale vorrei ora cercare di dirimere per quanto possibilela difficile matassa allegorica dove riposa il senso simbolico di questo veglio. quindi necessario tornare sulla terzina che pi sbilancia il registro naturale:

    Inferno XIV, 112-14. Ciascuna parte, fuor che loro, rottaduna fessura che lagrime goccia,le quali, accolte, fran quella grotta.

    Con questa terzina Dante introduce forse lelemento pi portentoso e dirompentedella scenografia del XIV canto, e innovativo se, come consentito ipotizzare, lespaccature che gocciano lacrime resteranno senza una fonte dimitazione diretta.102La fenomenologia del pianto, oltre a costituire il gi documentato scarto rispetto alla

    fonte biblica, ricorrendo parallelamente allinterno dellepisodio, genera una strettaanalogia a livello strutturale tra lunit narrativa di Creta e quella del veglio: da unaparte il regno aureo del primo dio,103cui segue lera argentea di un figlio in lacrime;dallaltra una statua di cui ciascuna parte fuor che loro, rotta | duna fessurache lagrime goccia (Inf. XIV, 112-13). Le lacrime si correlano orizzontalmentea partire dalla seconda era e dal secondo strato, il che ha consentito sovente diestendere i riferimenti letterari necessari alla comprensione del passo dantescofino al primo libro delle Metamorfosi di Ovidio,104cos rischiando di indirizzare ilsenso dellepisodio verso alcune prospettive che non sono le sue.105Sembra infatti

    necessario dover rinunciare, nella comprensione del livello allegorico del testo, auninterpretazione in chiave diacronica.

    Allegorice, le interpretazioni diacroniche dei metalli mostrano, nella verificadella lettera, la loro insufficienza. La fisionomia, chiaramente graduata in ordinedecrescente, solo per unimmediata associazione di idee invita a connotarne leunit in senso temporale. Se, infatti, a ogni materiale fosse necessario associareuno scalino, una svolta peggiorativa avvenuta nella storia umana, bisognerebbesupporre che la statua sia andata mutando al ritmo degli eventi umani. Ma lasostanziale immutabilit dellInferno cui il veglio strutturalmente connesso consiglia di rifiutare linattendibile ipotesi di una miracolosa alterazione matericanel corso dei secoli, anche perch il poema in nessun passo soccorre questeventualee lontana possibilit.106

    Se il limite della lettera venisse aggirato, considerando la statuasimbolicamente come icona atavica della storia umana, i cui passaggi furonoraffigurati anticipatamente, in prefigurazione delle future ere senescenti, lalettura diacronica incontrerebbe contraddizioni insormontabili allinterno dellaconcezione espressa dalla Commedia. Oltre allinaccettabile allusione al concettodi predestinazione che Dante rifiuta per voce di Marco Lombardo nel centro esattodel poema (Purg. XVI, 58-105),come bene esprime Fosca la rappresentazione

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    di tutta la storia umana come decadenza continua non lascia spazio alleventocentrale per un cristiano, cio lIncarnazione.107

    Si prenda ora in considerazione la lettura storico-politica, la pi adottata trale interpretazioni diacroniche, perch indotta dalla presunta fonte biblica (Dan.

    2. 39-43): essa attribuisce ai metalli una serie di imperi via via pi compromessi.Si tratterebbe per Dante di una significativa ritrattazione di quanto egli stessoesprime nella Commedia (Par.XX)e argomenta in Monarchia I, xvi, 1:

    Rationibus omnibus supra positis experientia memorabilis attestatur:status videlicet illius mortalium quem Dei Filius, in salutem hominishominem assumpturus, vel expectavit vel cum voluit disposuit. Nam si alapsu primorum parentum, qui diverticulum fuit totius nostre deviationis,dispositiones hominum et tempora recolamus, non inveniemus nisi sub

    divo Augusto monarcha, exsistente Monarchia perfecta, mundum undiquefuisse quietum.

    Limpero romano per il poeta la struttura permanente appointed by God to carryout his providential design of universal history (Mazzotta, Poet of the Desert,p. 54); il solo significato storico-politico dunque da ricusare. Similarmente, lalettura culturale, secondo la quale nei metalli sono raffigurati i periodi di unumanit che, decaduta da una felice origine, smarrisce sempre pi la sua altezza,incontra, oltre al comune limite cristologico, un altro evidente ostacolo nel cantoXI del Purgatorio.108Almeno per quanto attiene lattivit artistica, fatte salve le

    implicazioni pedagogiche e morali, si afferma che il tempo presente surclassa legenerazioni precedenti.109

    Se, come spero di aver mostrato, la fisionomia del veglio tale dal giornodella sua creazione, se cio non si alterata nel corso dei secoli, pu confermarsivalida allegorice solo una lettura sincronica. E tra quelle possibili, credo che laformulazione proposta da Busnelli sia la pi completa. Egli basa la sua riflessionesu un concetto chiave dellantropologia cristiana lo status naturaepost lapsum che san Tommaso affronta nella quaestio 85, De effectibus peccati. Et primo,de corruptione boni naturae. Nel primo articolo della quaestio san Tommaso sichiede se il peccato possa menomare i beni di natura. Procede pertanto a distinguereil concetto di bonum naturae per verificare in quale accezione esso possa essereconsiderato destituito, diminuito dal peccato:

    Bonum naturae humanae potest tripliciter dici. Primo, ipsa principia naturae,ex quibus natura constituitur, et proprietates ex his causatae, sicut potentiaeanimae et alia huiusmodi. Secundo, quia homo a natura habet inclinationemad virtutem, ut supra habitum est, ipsa inclinatio ad virtutem est quoddambonum naturae. Tertio modo potest dici bonum naturae donum originalis

    iustitiae, quod fuit in primo homine collatum toti humanae naturae. Primumigitur bonum naturae nec tollitur nec diminuitur per peccatum. Tertium

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    vero bonum naturae totaliter est ablatum per peccatum primi parentis.Sed medium bonum naturae, scilicet ipsa naturalis inclinatio ad virtutem,diminuitur per peccatum. Per actus enim humanos fit quaedam inclinatioad similes actus, ut supra habitum est. Oportet autem quod ex hoc quod

    aliquid inclinatur ad unum contrariorum, diminuatur inclinatio eius adaliud. Unde cum peccatum sit contrarium virtuti, ex hoc ipso quod homopeccat, diminuitur bonum naturae quod est inclinatio ad virtutem.

    Nel terzo articolo della medesima quaestio, Tommaso si chiede ut convenienterponantur vulnera naturae ex peccato consequentia, infirmitas, ignorantia, malitiaet concupiscentia. Enucleate le possibili obiezioni, lAquinate risponde:

    Per iustitiam originalem perfecte ratio continebat inferiores animae vires,et ipsa ratio a Deo perficiebatur ei subiecta. Haec autem originalis iustitia

    subtracta est per peccatum primi parentis, sicut iam dictum est. Et ideoomnes vires animae remanent quodammodo destitutae proprio ordine, quonaturaliter ordinantur ad virtutem, et ipsa destitutio vulneratio naturaedicitur. Sunt autem quatuor potentiae animae quae possunt esse subiectavirtutum, ut supra dictum est, scilicet ratio, in qua est prudentia; voluntas,in qua est iustitia; irascibilis, in qua est fortitudo; concupiscibilis, in quaest temperantia. Inquantum ergo ratio destituitur suo ordine ad verum, estvulnus ignorantiae; inquantum vero voluntas destituitur ordine ad bonum,est vulnus malitiae; inquantum vero irascibilis destituitur suo ordine ad

    arduum, est vulnus infirmitatis; inquantum vero concupiscentia destituiturordine ad delectabile moderatum ratione, est vulnus concupiscentiae. Sicigitur ita quatuor sunt vulnera inflicta toti humanae naturae ex peccato primi

    parentis. Sed quia inclinatio ad bonum virtutis in unoquoque diminuitur perpeccatum actuale, ut ex dictis patet, et ista sunt quatuor vulnera ex aliispeccatis consequentia, inquantum scilicet per peccatum et ratio hebetatur,praecipue in agendis; et voluntas induratur ad bonum; et maior difficultasbene agendi accrescit; et concupiscentia magis exardescit.

    Le quattro fessure della statua dantesca da cui gocciano lagrime corronoestremamente vicine al passo dellAquinate error autem et dolor sunt vulneraconsequentia.110 Quattro sono le facolt della natura ferite dal peccato inTommaso, e quattro gli elementi eterogenei segnati dalla spaccatura. Quanto perpotrebbe restare un accostamento efficace e indubitabilmente pertinente, grazie aun secondo rimando proposto da Busnelli, viene universalmente accettato comecorretta interpretazione. Nellopera di Riccardo di San Vittore, Busnelli riscopreun passaggio in cui il teologo parigino offre una lettura tropologica della statuasognata da Nabucodnosor.111Il metodo tropologico porta Riccardo a riconoscere

    negli elementi eterogenei della statua biblica le cinque facolt delluomogerarchicamente ordinate gi da san Tommaso: loro per il libero arbitrio, largento

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    per la ragione; il rame per la volont; il ferro per gli affetti sensitivi; la terracottaper la concupiscenza. La statua dantesca si presta perfettamente a questo tipo dilettura e ne ottiene una sapiente e direi conclusiva lettura: Niun dubbio pertantoche codeste fessure non simboleggiano la vulneratio naturae, e per conseguenza

    che il veglio raffiguri la stessa natura umana corrotta pel peccato originale, illesasolo per il libero arbitrio fuor che loro (Inf.XIV, 112). Cos il veglio, prosegueBusnelli, non che il Vetus homo, luomo vecchio, che si contrappone al nuovorigenerato per Cristo, perch rappresenta la vecchia vita, menata nel peccato in chesi vive secondo Adamo.112

    La bibliografia critica sul significato dellintero episodio stata utilmentetripartita da Francesco Di Gregorio tra i sostenitori dellinterpretazione culturale,storica, teologica.113Nel primo caso la statua sarebbe raffigurazione del progressivodecadere dei costumi con il conseguente impoverimento della natura umana; nel

    secondo i metalli raffigurerebbero le succedentesi epoche dellumanit scanditedallalternarsi degli imperi universali; la terza lettura, la sola sincronica, attribuiscead ogni spessore una delle facolt umane disposte in ordine alla loro nobilt.Ritengo innanzitutto che limpianto dello schema proposto da Di Gregorio, perquanto utile, vada emendato dalla falsa prospettiva che fa dipendere il sensodella scena infernale dal significato che si attribuisce ai vari strati del corpo, enon viceversa. Secondo una prospettiva che credo pi completa, suggerisco dicomprendere il senso del corpo del veglio a partire dal ruolo, dalla straordinariafunzione che riveste lintero episodio nelleconomia della Commedia.

    Parafrasando Singleton, figura il concetto di cui abbiamo bisogno pervedere il Veglio di Creta nella giusta luce e comprenderne la funzione e il significatoallinterno dellepisodio che inizia sulle ripe del Flegetonte.114Il termine figurava preso nel senso dellagostiniano significandi gratia(De Genesi ad litteramXI,12): cio le cose esistono per il significato che esprimono. Il veglio la figura dellacondizione umana dopo il peccato, cio da quando lumanit sicut unum corpusunius hominis (San Tommaso, Quaestiones disputatae de maloIV,1) ha iniziatoad abitare nellemisfero boreale nel cui centro geografico e storico egli si trova.Il senso temporale dellepisodio non starebbe dunque a significare che lhomo,l umana creatura,si va corrompendo ma, semmai, che un uomo corrotto stapercorrendo la Storia.

    Secondo questa interpretazione, la statua sarebbe capace di riconciliarein s tutti gli elementi dellepisodio: lemisfero boreale come spazio abitato daquello stato naturae; la storia imperiale come tempo vissuto; la mitologia paganacome religione praticata. Uno spazio, un tempo e una religione che sono destinatia confluire, come simboleggia il fiume di lacrime, nellInferno.115La stabilevecchiaia, le spaccature e le lacrime da cui gocciano ne costituiscono, infine, ilvolto, soggetto alla corruzione e doloroso.116

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    La conclusione dellepisodio, inevitabilmente tragica, raggiunge uno dei suoivertici espressivi proprio nella potente immagine delle lacrime. Esse legano la statuaal regno del male nel suo complesso fisico e allegorico: fisico perch, foratalagrotta, generano il sistema idrico che avvolge e scandisce le varie parti dellInferno;117

    allegorico perch la statua del vecchio piangente fissa in immagine la condizione deldannato: pianto e gemito, ch universale in tutte le dannate anime.118

    Cambier il loro lutto in gioia, li consoler, li render felici (Geremia31. 13); c unumanit che esclusa da questa promessa, unumanit a s bastantesulla terra e dannata nellInferno.119 Cos, Dante manifests a sophisticatedunderstanding of the differences between pagan and Christian ideas of the worldgrown old. For pagans the aging of the world is to be lamented; for Christians itis to be transcended (Dean, The World Grown Old,p. 194). Questa possibilittrascendente poeticamente si realizza nellaprire la conclusione del canto all altra

    via, agli altri porti promessi da Brunetto nel canto successivo (Inf. XV, 91). Quiassumono la forma di un richiesto corollario:

    Let vedrai, ma fuor di questa fossa,l dove vanno lanime a lavarsiquando la colpa pentuta rimossa. (Inf. XIV, 136-38)

    NellaCommedianon si trovano episodi conchiusi nella disperanza perch, perla concezione cristiana, malum non est nisi in bono.120Cos sul finire dellepisodiodel veglio, tremendo nella sua ineluttabilit,121il Lete e il suo cammino inverso

    portano il lettore verso lalto, nel luogo dove quelle lacrime saranno mutate inriso (Purg. XXVIII,67). Non si ricorda forse a sufficienza linaspettata chiusura diVirgilio che, poi sperduto ai piedi del monte del Purgatorio, conosce qui lesistenzae, soprattutto, la funzione del fiume che ne corona la cima.

    2 InfernoXIV e Purgatorio XXVIII

    2.1 Creta come Anti-PurgatorioA questo punto, dopo aver messo in luce alcuni elementi del controcanto infernale,propongo una lettura comparativa dei due episodi che prenda avvio di volta in voltadallelemento edenico, cominciando da Purgatorio XXVIII, 12: u la primombragitta il santo monte.

    Come dimostrato altrove ancora Ulisse e il suo viaggio fallito che affioranoin questi primi canti della meta raggiunta.122Nel presente verso il poeta fiorentinoabbraccia l ombradel santo monte stagliata, gittata sulla distesa marina eincrocia atemporalmente latterrita vista dal basso del guerriero greco (Inf. XXVI).La montagna bruna(Inf. XXVI, 133), mediana rima di luna (v. 131)e alcuna

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    (v. 135) ritorna ora nella serie invertita di alcuna (Purg. XXVIII,29),bruna(v. 31) eluna(v. 33). I due sguardi sincontrano se non altro per rammentareal lettore una volta ancora linnovativa cosmografia della Commedia. Seguendoinfatti una precisa radice della tradizione cristiana,123su cui innesta spunti della

    letteratura favolistica medievale, finanche celtica,124Dante appronta un modelloche ultimamente originale.125Come noto a ogni lettore che sia fin qui giunto,Purgatorio un monte, isola allo stesso tempo, precisamente collocato al centrodellemisfero delle acque.126Sulla sommit del poggio, coronazione letterale eallegorica che il viatore apprende poco pi avanti, sta il giardino dellEden (Purg.XXVIII, 91-93). In fondo, il paragone identificante tal qual(v. 19) tra la divinaforesta e la spiaggia di Classe,127una struggente similitudine in cui il poeta esiliatoraggiunge uno dei vertici espressivi del canto,128 concettualmente reso possibiledal fatto che lEden fa parte di unesperienza ancora compiutamente umana,129ai

    margini certo, ma ancora trattenuta dalla sponda del tempo: contento | di quel cielc ha minor li cerchi sui (Inf. II, 78).

    Se nella concezione medioevale linvenzione del Purgatoriorompe lo schemabinario prediletto(Segre, Viaggi e visioni,p. 23) Cielo-Inferi, nella Commediala presenza di Creta e del veglio in essa ricompone, in un certo senso, lasimmetria.Dopo quanto si cercato di chiarire riguardo al livello eminentementegeografico delle localit disposte nel canto XIV, non pare infatti difficile scorgerela singolarissima simmetria topologica tra lisola-montagna dellEden cristiano elisola-montagna dellet delloro pagana.130Tralasciando pur possibili computi

    matematici spesi a stabilire uneventuale antipodicit longitudinale e latitudinale, ildato letterale mette in luce una struttura non trascurabile: Creta stata immaginatada Dante come un anti-Purgatorio. Anche la sede del veglio isola, montagnaallo stesso tempo, centralmente posizionata su uno spazio marino al cuore delrispettivo emisfero, sede dellaltra e differente et delloro.

    Un notabene: la sottesa vicenda di Ulisse offre un altro, secondario e forsepuramente accidentale punto di cucitura tra i due siti. Se Creta infatti si dimostraisola cui praticamente inevitabile approdare, Purgatorio invece lisola cui impossibile giungere,131il che non trascurabile se, come afferma Segre, il veroitinerario quello terreno (Viaggi e visioni, p. 41), se cio nelle dinamiche terreneoccorre scorgere i significati pi riposti.132

    2.2 Ida come anti-Eden133

    Limpianto geografico stabilisce la specularit delle isole. E come immaginespecchiata e dunque ribaltata si presenta la vista dellisola purgatoriale comerisulta dal testo di Purgatorio XXVIII, 1-21:

    Vago gi di cercar dentro e dintorno

    la divina foresta spessa e viva,cha li occhi temperava il novo giorno,

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    sanza pi aspettar, lasciai la riva,prendendo la campagna lento lentosu per lo suol che dogne parte auliva. Unaura dolce, sanza mutamento

    avere in s, mi feria la frontenon di pi colpo che soave vento; per cui le fronde, tremolando, prontetutte quante piegavano a la parteu la primombra gitta il santo monte; non per dal loro esser dritto spartetanto, che li augelletti per le cimelasciasser doperare ogne lor arte; ma con piena letizia lore prime,

    cantando, ricevieno intra le foglie,che tenevan bordone a le sue rime, tal qual di ramo in ramo si raccoglieper la pineta in su l lito di Chiassi,quandolo scilocco fuor discioglie.

    Sebbene a sostegno di questo percorso sia sufficiente paragonare alla flora edenicatest affrescata lunica terzina dedicata alla desertificazione cretese (Inf. XIV,97-99) e cos poter mettere a fuoco che quanto l fu (vv. 96-97) qui (Purg.

    XXVIII, 135), si rende utile annotare due particolari. Se linciso infernale sintetizzanellassenza di fronde (v. 98)uno degli scarni connotati di Creta,134nel canto inquestione il poeta ha modo di apprezzare un paesaggio opposto dove le fronde(Purg. XXVIII, 10), fatta spessala foresta (v. 2), reggono la sintassi del lungoperiodo per due terzine (vv. 10-15). E son poi sempre frondead intrecciarsi conl aura dolcefino al verso 21, triplicemente considerate: per le cime (v. 14), intrale foglie (v. 17) e di ramo in ramo (v. 19).

    Spiraglio di un disteso cammino esegetico, lassenza di acqua (Inf. XIV, 98)verr approfondita a parte nel prossimo paragrafo. Per ora resta invece da ricordare

    lultimo laconico attributo della montagnacretese: essa era infine presentatadiserta (v. 99), cio abbandonata o, meglio, disabitata cosicch ora, nel farsidella divina foresta, la presenza degli augelletti(Purg. XXVIII,14) possa esserintesa, almeno inizialmente, come vivida ed ennesima contropartita.135

    2.3 Flegetonte come anti-LeteLentrata mattutina nella selva viene interrotta dal corso di un rio che, in questosempre pi evidente gioco di rimandi, sembra dialogare con il rigagno infernale:

    ed ecco pi andar mi tolse un rio,

    che nver sinistra con sue picciole ondepiegava lerba che n sua ripa usco.

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    Tutte lacque che son di qua pi mondeparrieno avere in s mistura alcunaverso di quella, che nulla nasconde. (Purg.XXVIII, 25-30)

    I debiti ovidiani per la raffigurazione della flora edenica dantesca sono statisufficientemente stabiliti.136Ed stato altres assicurato che per lunica occorrenzanella Commedia del nome di Proserpina (v. 50) e per lesplicito rimando almomento del suo rapimento, il poeta abbia voluto far riferimento a due celebritesti classici,137dai quali attinge a piene mani per dar forma in questi versi alla suaselva antica e in particolare al corso dacqua purissimo.138

    Sette secoli di esegesi e commenti rendono necessario sottolineare che illettore non sa ancora di quale fiume si tratti. Per il momento esso solo un rio(v. 25), e fiumicello(v. 35). Dopo invece che il pellegrino si rivolto alla belladonnaed ella ha raggiunto la rivera, il corso dacqua, quasi alterato anchessodalla straordinaria presenza, divenuto, secondo unaccorta climaxmontante, belfiume(v. 62).139Infine, avanzata una seconda richiesta, vien dato di conoscerne ilnome: Let(v. 130). I riecheggi isomorfi del controcanto infernale non tardanoa sopraggiungere. Anche allora, infatti, il cammino del poeta fu interrotto dalcorso trasversale di un fiumicello(Inf. XIV,77), e poi rio(v. 89). Quello stessocorso, dopo la storia del veglio, diviene, secondo una climaxstavolta discendente,rigagno(v. 121). E solo dopo una nuova domanda ne viene stabilito lappellativo:Flegetonta(v. 131).

    Soffermandosi ancora un poco tra le scelte lessicali si registra che, se leoccorrenze dei due termini isolati (fiumicello o rio) richiederebbero unanalisiestesa e capace di approdi esegetici forse distanti da quello qui proposto,140un parallelismo accidentale tra i due episodi sembra possa essere esclusodalloccorrenza incrociata (fiumicello e rio). Essa si presenta infatti in questidue soli punti del viaggio.141

    Ai numerosi studi di lessicologia dantesca sembrerebbe esser sfuggita questasingolarissima circostanza per cui un fiumicello-riosbarra la strada al pellegrinosia quando, ai margini della dolorosa selva(Inf. XIV,10), conosce il mito del

    veglio, sia quando, dentro alla selva antica(Purg. XXVIII, 25), conosce la belladonna. Eppure il disegno del poeta sembra tuttaltro che nascosto: il fiumicello-rioinfernale era rosso e raccapricciante (Inf. XIV, 78) qui invece il rio-fiumicelloedenico privo di mistura alcuna (Purg. XXVIII,29). Nella lordura del ruscelloche segnala inesorabilmente le pratiche delle prostitute aretine (Inf. XIV,79-81)si pu poi forse agilmente leggere una stravolta caricatura dellacqua che nullanasconde (Purg.XXVIII, 30). E, infine, soprattutto, il confronto tra gli episodioffre un utile spunto quando Dante ci d a leggere laltro singolare connotato deifiumicelli. Credo infatti risponda pienamente agli intenti del poeta che le ripe

    erbose(v. 27) ripetute (vv. 61-62) di Lete, pacificamente bilancino gli argini npietra, e margini dallato (Inf. XIV,83), e ripetuti (vv. 141-42), di Flegetonte.142

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    2.4 Saturno e AdamoIl legame tra i canti non frutta solo sul piano drammaturgico, teatrale. I due cantiintrecciano un dialogo che per quanto riguarda lEden riprende ai versi PurgatorioXXVIII, 139-44:

    Quelli chanticamente poetarolet delloro e suo stato felice,forse in Parnaso esto loco sognaro. Qui fu innocente lumana radice;qui primavera sempre e ogne frutto;nettare questo di che ciascun dice.

    Lintertestualit fin qui valorizzata dovrebbe ora permettere di dispiegare le lungheramificazioni di un altro tema portante del canto XXVIII: let delloro. 143Al

    tessuto di questo studio va prima recuperata una nozione, un modusintelligendiproprio dellera medievale, ben espresso in fondo da Charles Moeller quandoafferma che il cristianesimo non ha soppresso ci che lumanit aveva creato dipi grande prima di esso, bens lo ha battezzato;144si tratta di una redenzioneculturale dunque, in cui i motivi pagani trovano nuovi involucri nella storia dellaSalvezza, e viceversa.145

    Il procedimento, finemente adoperato dalla creativit dantesca,inevitabilmente investe e avvolge nel mantoanche il tema classico dell et delloro.Nella Commedia, infatti, attraverso le gratuite parole del gustosocorollario,

    Dante offre a quellet antica, i noti sembianti del primo libro della Genesi. Quellostato felice intravisto poeticamente dallumanit pre-cristiana, corrispondetemporalmente alle sei ore e poco pi in cui i primi parenti dimorarono nelgiardino,146a quel primo e pi fragile espace dun matinche la storia conobbe e acui il Medioevo non smette di guardare.

    Va poi precisato che, come accade nei momenti artistici pi accurati, ilconcetto che Dante eredita non viene s-figurato147o stravolto148. L et delloropagana si presenta qui in una veste decisamente ortodossa, nel senso chegli scoperti rimandi al testo ovidiano adoprati dal poeta fiorentino assicuranoallampio tema quivi racchiudibile, i riflessi e le reminiscenze poetiche pi note.In altre parole, la bella donna rende omaggio a unidea ben riconoscibile, a unaletteratura ben precisa che, per comodit, cito dal passo di Ovidio, dichiaratomodello di questultima parte del canto,149cio MetamorfosiI, 89-90 e 111-15,forse il primo cui bisognerebbe guardare (Singleton, La poesia della DivinaCommedia, p. 347):

    Aurea prima sata est aetas, quae vindice nullo,sponte sua, sine lege fidem rectumque colebat. []

    Flumina iam lactis, iam flumina nectaris ibant,flavaque de viridi stillabant ilice mella.

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    Postquam Saturno tenebros in Tartara missosub Iove mundus erat, subiit argentea proles,auro deterior, fulvo pretiosior aere.

    Vorrei cos evidenziare come un lettore della terzina dantesca venga quasi condotto,sospinto dallaccenno della donna, verso alcune delle pagine pi celebri dellaletteratura latina. E se a esse perviene, come in questo caso ovidiano, non pu cheriportare sul testo dantesco il pi celebre sinonimo che titola il motivo delle origini,e cio il sintagma saturnia regna.150Esso mette pertanto in connessione la terradove fu innocente lumana natura(v. 142) e il paese sotto l cui rege fu gi l mondocasto (Inf. XIV,96). Al regno di Saturno entrambi guardano: la prima come attuatoinveramento e il secondo come tragico fallimento, integumentum e moralisatio.

    Ci si approssima forse ancor meglio allordito dantesco imbattendosi nellafulminante formulazione con cui Giovenale ferma quel trascorso tempo di pace:Iove nondum | barbato (VI,15-16). Giove non ancora barbuto: ironica e intensaallo stesso tempo, limmagine tratta dalla sesta Satira si inserisce appieno nel filo diquesti ragionamenti. Limmagine infantile consegna infatti un congruente approdocomune e intermedio alle scelte lessicali per nido (Purg. XXVIII, 78)e cuna fida(Inf. XIV,100).151

    Il groviglio di rimandi e allusioni che sembra attraversare e unire il canto dovesi ricorda il regno di Saturno, e il canto dove si celebra lo stato di Adamo adotta,daltra parte, uno schema ben noto alla cultura medievale. LEcloga Theoduli,

    considerato un classico del suo tempo (Mosetti Casaretto, Introduzione, p. xvi),anche dal momento che fa parte dei libri manuales per i secoli XI-XIII,152fa usodellidentico binomio. Lesemplare e provocatorio componimento, come noto,mette in scena la sfida meridiana fra la Verit veterotestamentaria (Alitia) e laMenzogna pagana (Pseusti). E cos recita uno dei primissimi scambi:

    pseustis: Primus Cretaeis venit Saturnus ab orisaurea per cunctas disponens saecula terras;nullus ei genitor nec quisquam tempore maior;ipso gaudet avo superum generosa propago.alithia: Incola primus homo fuit in viridi paradiso,coniuge vipereum donec suadente venenumhausit eo cunctis miscendo pocula mortis;sentit adhuc proles, quod commisere parentes. (Ecl. 37-44)

    Cristiana nellargomento, pagana nella forma,153prontamente la risposta diAlitia controverte il mito saturnino proposto da Pseusti, nel racconto biblicodella creazione. Cos succede che il verdeggiante giardino stia come verit per ifavoleggiati lidi cretesi, e il durare di Adamo ed Eva nellEden si proietti sui saecula

    del regno di Saturno. Nam Saturnus primus deorum fuit, Adam primus hominumfuit; Saturnus expulsus de regno, Adam de Paradyso.154Linciso, tratto da un

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    diffuso commento allEcloga, ben lumeggia dunque omologie che si direbberopresenti anche nella Commedia.

    Diversamente impaginata, anche la Commedia d luogo a un similescambio:

    In mezzo mar siede un paese guasto,disselli allora, che sappella Creta,sotto l cui rege fu gi l mondo casto (Inf.XIV, 94-96

    Qui fu innocente lumana radice (Purg. XXVIII, 142)

    Una montagna v che gi fu lietadacqua e di fronde, che si chiam Ida (Inf.XIV, 97-98)

    Qui primavera sempre e ogne frutto (Purg. XXVIII, 143)

    La donna con insistenza quasi pedagogica sembra voglia dire: Qui, e non l.In vista del contenuto dei canti successivi, e della ritirata di Virgilio (Purg.

    XXX, 49-54), si potrebbe concludere questa sezione con le parole di MosettiCasaretto: Esiste un grande separatore degli avversari, il fiume: non venendo maiguadato, pu ben rappresentare uno scarto di civilt, uno iato culturale o unafrattura religiosa invalicabile. Nella tradizione cristiana il fiume simbolo delbattesimo: il fatto che Mendace [si legga Virgilio] non lo attraversi, dissipa ognidubbio sullipotesi di una sua finale conversione.155

    2.5 Il veglio e la donnaInfine si pu giungere ad ammirare la partitura dantesca mentre affianca e opponei due guardiani.

    Dentro dal monte sta dritto un gran veglio []Che lagrime goccia (Inf.XIV, 103 e 113)

    ella ridea da laltra riva dritta (Purg. XXVIII, 67)

    2.5.1 Il vecchio e la giovaneLa lettera, la dura scorza del testo dei due episodi, sembra confermare ilparallelismo che lo studio propone allorch le due creature danno prova di unabipolarit iconografica che appare sempre meno casuale. I rispettivi attributi fisici,le cui cause allegoriche verranno affinate pi avanti, sono incatenati allavverbioe in forte opposizione: se al primo compete lesser dritto(Inf. XIV, 103),vecchioe maschile, alla seconda lesser dritta(Purg.XXVIII,67), giovane e donna.LEcloga Theoduli, anche in questo caso,potrebbe costituire un valido antefatto.La contrapposizione maschioPseusti/femminaAlitia non affatto secondaria

    ma permette di drammatizzare lo scontro di due poli irriducibili: il primo occupatoda il Mendace e laltro da laVerit.156

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    La distinzione di genere a livello grammaticale si mantiene intatta, nelcomponimento latino, anche quando la polarizzazione si trasferisce sullo scartoIuventas e Senium,157 contrapposizione verso cui sembra intenzionalmenteestendersi anche il tratto distintivo delle due creature dantesche. Della donna

    incontrata nellEden, infatti, viene fissata unet prossima alladolescenza, tramitela stretta similitudine con limmagine di Proserpina:

    Tu mi fai rimembrar dove e qual eraProserpina nel tempo che perdettela madre lei, ed ella primavera. (Purg. XXVIII, 49-51)

    Com noto dai testi di Ovidio e Claudiano, quando i cavalli eburnei attonitimeliore polosentono il carro gravarsi del peso della vergine rapita, la futura reginadegli Inferi appena vicina thoro plenis adoleverat annis | virginitas, tenerum

    iam pronuba flamma pudorem | sollicitat mixtaque tremit formidine votum (Deraptu I, 130-32). Specularmente, dallaltra parte, sta invece la vecchiaia secolarescolpita nelle fattezze della statua. Il veglio (da vieil, un francesismo per vecchio),come detto, per questo suo attributo definitorio viene frequentemente interpretatocome immagine del vetus homo. E pertanto, la natura cretese, gi definita vieta eil fronte mitologico dove soggiace la figura del Saturnius senex,158consentono inbuona misura di leggere nellepisodio i tratti cadenti della stagione invernale, sulpiano simbolico sia della vita umana che della natura.159

    2.5.2 La tresca e la danzaLe corrispondenze proseguono dalle fattezze alle pose. Quando il pellegrino avvistala donna al di l del fiumicello, le si rivolge cos:

    Deh, bella donna, che a raggi damoreti scaldi [] Come si volge, con le piante stretteA terra e intra s, donna che balli,e piede innanzi piede a pena mette (Purg.XXVIII, 43-44; 52-54)

    Ora, se si torna con la memoria a Inferno XIV, allargando il campo dosservazionealla parte iniziale del canto, il tormento inflitto ai bestemmiatori acquista forseuna nuova luce. Per coloro che fecer forza nella deitade, | col cor negando ebestemmiando quella (Inf. XI, 46-47), Dante immagina che sopra il sabbione:

    [] dun cader lento,piovean di foco dilatate falde. [] Sanza riposo mai era la trescade le misere mani, or quindi or quinci,

    escotendo da s larsura fresca. (Inf. XIV 28-29; 40-42)

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    Dal commento di Boccaccio noto esser la trescauna maniera di ballarela quale si fa di mani e di piedi(Esposizioni,p. 645), che richiede secondo il Butiun grande e veloce movimento.160La vista desolata della landa dei bestemmiatoriconsiste pertanto nello spettacolo raccapricciante di una danza isterica con cui

    le anime tentano vanamente di proteggersi dalle fiamme cadenti dell ardoredivino. Sulla scelta delle immagini di Inferno XIV ha forse influito, allora, in unasorta di caricatura rovesciata, limmagine edenica della donna che, scaldata dairaggi dellamore divino, danza e piede innanzi piede a pena mette (v. 54). Quelladisposizione danimo rappresentata dalla fanciulla in cui si contempla loriginaleattitudine della creatura verso il creatore,161 disposizione diametralmente oppostaal disdegno dei violenti contro Dio. Da una parte la bestemmia e dallaltra lasalmodia, cui risponde Dio da una parte con il fuoco della vendettae dallaltracoi caldi raggi damore.

    2.5.3 Il pianto e il risoIncastonata tra due terzine di contenuto mitologico (vv. 64-66 e vv. 70-72), lasintassi con cui Dante ricorda il rideredella donna spicca tranquilla e luminosaa completamento e consacrazione del significato della scena. Il riso, infatti, la coronazione della creazione di Dio in quanto gesto specifico e sublime dellacreatura umana.162 Come acutamente annota Dronke (Viaggi al ParadisoTerrestre), quel riso anche il punto in cui il desiderio del pellegrino, che in varieforme aleggia su tutto lepisodio, evinto in tutta la sua intensa carnalit: ben due

    sono le similitudini addotte per dar confronto allodioso ostacolo che impedisce aDante di raggiungere la bella donna. E ci propriamente, poich dal Conviviorisulta chiaro che nella concezione del poeta fiorentino il riso il primo oggetto deldesiderio,163ed insieme agli occhi, balconede la donna che nel dificio del corpoabita cio lanima (Conv. III, viii, 6-8).

    Eppure, quasi senza sforzo, lepisodio del veglio traluce ancora una volta. Lostraordinario riso della donna, obbliga la stessa ad una successiva dichiarazionecirca la scelta libera di Adamo:

    Per sua difalta qui dimor poco;per sua difalta in pianto e in affannocambi onesto riso e dolce gioco. (Purg.XXVIII, 94-96)

    Luomo abbandon quel cacume e cos mut il gioco in affanno, e ilriso in pianto. Il qui (v. 94)in cui vive il riso, per un principio dequilibriocaro al pensiero medievale,164dovrebbe richiedere un ldove stia il pianto. Inrisposta sovviene squillante lammonimento di Cristo, ibi erit fletus et stridordentium,165ma la basilare formulazione evangelicadetermina quella spazialita livello metafisico e metastorico indicando il baratro infernale. Forse, invece, unconcreto e simbolico corrispettivo, nella Commedia, potrebbe darsi con lantro

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    ideo, strategicamente al centro dellecumene abitatapost-lapsum.166E nelle lacrimedel veglio si potrebbe altres leggere una simbolizzazione dello status naturaecui ladonna allude in questa terzina come tragica eredit.

    3 Conclusione

    Perch tra Inferno XIV e PurgatorioXXVIII vi sono tante rispondenze tematiche,importanti calchi lessicali, simmetrie strutturali e memoriali?

    Vi una prima evidente ragione: i tracciati liquidi della Commedia, le cuirifrazioni morali sono indicate forse gi nella proemiale metafora acquea del lagodel cor(Inf.I,20),disegnano ununica grande via che percorre diametralmente laprima sfera. Essa spiccia lagrimosa gocciando in Creta dalle fessuredella statua

    (Inf. XIV, 112), diroccianellabisso infernale, ghiaccia in Cocito, si discioglie erisale per le balze purgatoriali, fino alla fontana salda e certa(Purg. XXVIII,124),quando ormai libero, dritto e sano tuo arbitrio (Purg.XXVII,140). lidrologiadella Commediaa saldare in un unico plesso lepisodio del veglio e lincontrocon Matelda: essa conduce da unisola allaltra, da una fonte allaltra, dal piededargilla della statua al piede danzante della donna, lungo una traiettoria verticaleche corre parallela al cammino del viator.167

    Alla luce di Contini,168va distinto qui il viaggio delluomo soggetto delvivere e dellagire che cerca la liberazione personale e generale, dal percorso storico

    del poeta. Nelle dinamiche del primo si trover comunit dintenti e identit ditematiche tra i canti che, proprio nel loro insieme, accostati come i due registri diununica pala,169offrono alla considerazionedel pellegrino la drammatizzazionedel bifronte concetto di status naturae:170 Natura hominis dupliciter potestconsiderari, uno modo, in sui integritate, sicut fuit in primo parente ante peccatum;alio modo, secundum quod est corrupta in nobis post peccatum primi parentis.171Sulle valenze teologiche di questo dittico, rimando ai molti studi gi fatti:172quimi limito a segnalare che il quadro si conclude nel momento in cui il suo soggetto,lumana natura, viene superata: trasumanar(Par. I,70).

    Lungo laltra direttrice del percorso, che racconta la vicenda di Dante-poeta rivisitatore delle fonti del sapere e dei valori musaici, credo si possa adottare,per comodit esplicativa, la gestualit del personaggio poich, in questa zonadel Purgatorio, essa sembra dar forma alle scelte artistiche del poeta. Quandoinfatti Virgilio invita Dante a muoversi liberamente, mi sembra prendere formalautonomia raggiunta anche a livello poetico. Non aspettar mio dir pi []io te sovra te corono e mitrio (Purg.XXVII,139-42): la formula cerimonialedellincoronazione imperiale pronunciata da Virgilio, contiene forse unallusionealla corona poetica con la quale il maestro, al termine della prima fatica, sanciscela libert stilistica del discepolo: la poesia dantesca, infatti, dopo Purgatorio

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    XXVIII,abbandona completamente la poesia latina.173Prima per che il distaccoda Virgilio divenga definitivo anche sul piano narrativo, Dante incastona nelcuore della Commediaalcuni versi, chegli stesso definisce gratuiti, cio nonnecessari alle dinamiche della direttiva teologica. In essi scopriamo, per un attimo,

    il passaggio avvenuto in questo canto: i consolidati ruoli si sono invertiti, Dante si fatto guida al suopoeta affinch vedesse sensibiliterquanto pot solo sognare:

    Quelli chanticamente poetarolet delloro e suo stato felice,forse in Parnaso esto loco sognaro. Qui fu innocente lumana radice;qui primavera sempre e ogne frutto;nettare questo di che ciascun dice. (Purg.XXVIII, 139-44)

    La nuovapoesia dantesca, ormai pienamente padrona di s stessa, siriconosce innanzitutto come correzione e inveramento dellantica.174Il corollariodi Matelda segna un passaggio, stringe un importante nodo in quella maglia cheBrberi Squarotti chiama poesia della poesia,175un nodo che riconosce alla poesialatina di contenuto profetico la cittadinanza nel punto pi alto dellesperienzaumana e, al contempo, la supera e ne corregge le inesatte asserzioni.

    Le due direttrici di percorso, quella teologica e quella poetica, in questo canto siconfondono al punto da render lultima terzina quasi perfettamente ambivalente:

    Io mi rivolsi n dietro allora tuttoa miei poeti, e vidi che con risoudito avan lultimo costrutto. (Purg.XXVIII, 145-47)

    Con fatica si pu distinguere nel riso di Virgilio (v. 146)o la calda approvazionedel padre mentre guarda la prima emancipata prova poetica del figlio, o la fieraapprovazione del pagano che assapora, che vede lantico sogno inverato.176Mapu soccorrere il lettore la lettura dellepisodio conclusivo di Paradiso XXVIII,130-35, dove lampeggia un risodel tutto simile:

    E Donisio con tanto disioa contemplar questi ordini si mise,che li nom e distinse comio. Ma Gregorio da lui poi si divise;onde, s tosto come li occhi apersein questo ciel, di s medesmo rise.

    Lerrore di Virgilio, corrispettivo al fallace calcolo di Gregorio nei Moralia (XXII,xxiii, 41-43), commesso nel canto XIV dellInfernoquando ritenne let delloroavvenuta in Creta. E cos ora egli ride perch vede consumarsi lerrore e, a livellopoetico, superarsi il limite. Sensus delectantur in rebus debite proportionatis sicut

  • 7/24/2019 Una Lettura Comparativa di Inferno XIV e Purgatorio XXVIII

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    Camozzi Il veglio di Creta alla luce di Matelda 33

    Note

    * Dedico questa prima fatica dantesca ai miei genitori Ivan

    e Antonella. Desidero ringraziare Anna Maria Chiavacci

    Leonardi per la gentilezza con cui ascolt e sostenne

    liniziale intuizione; la prof.ssa Violetta De Angelis per la

    pazienza con cui ha lasciato che lintuizione diventasse un

    lavoro.

    1Benedetto Croce, La poesia di Dante(Bari: Laterza, 1921),

    pp. 63-64.

    2Croce, p. 63; e si veda anche. nella stessa pagina:

    Queste di Dante, sono mere costruzioni immaginative di

    scarsissima importanza, soprattutto per noi [] che, a

    ogni modo, delle immaginazioni e dei sogni non conviene

    a lungo intrattenere la gente, noiando altrui (ammoniva

    monsignor della Casa nel Galateo) col recitarli con tanta

    affezione e facendone s gran meraviglia, che uno

    sfinimento di cuore a sentirli .

    in sibi similibus; nam et sensu ratio quaedam est, et omnis virtus cognoscitiva (SanTommaso,Summa theol., Ia, q. 5, a. 4, ad 1). Vi una percezione fisica dellistantein cui la verit si svela che, come corruscazione dellanimo, distende sul voltoumano un sorriso.

    In conclusione vorrei indicare rapidamente due conseguenze che questarilettura comporta. Le analogie tra i due canti credo consentano di ipotizzare cheDante avesse ben presente larrivo sulla cima del poggio purgatoriale e limmaginedella bella donnaquando, con non fortuita precisione, nellepisodio del vegliorivolta in maloledenico contatto. La serie dei canti conclusivi del Purgatorio,daltra parte,viene considerata il cuore del poema e punto di cominciamentodellideazione della struttura del viaggio.177 probabile allora che, da un punto divista compositivo, il contenuto del canto XXVIIIdel Purgatorioabbia guidato lamano del poeta nella stesura di InfernoXIV. Ci potrebbe render ragione anche

    delle incongruenze tra i versi sullidrologia delledificio-commedia (Inf. XIV 121-29) e altri luoghi del poema (Inf. XXIII) che lasciano incerti e fanno pensare adiverse concezioni sovrappostesi nel corso della stesura del poema (ChiavacciLeonardi, Commedia, I, 444). In questottica, non andr infine consideratacasuale la scelta numerativa dei canti. Da un regno allaltro il numero esattamenteraddoppia o, meglio, si di