Una Conferenza deludente -...

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rassegna sindacale ANNO VII * GENNAIO 1961 N.37 Una Conferenza deludente Dal 12 al 15 gennaio rappresentanti dei sin- dacati operai, delle organizzazioni padronali e del Governo si sono riuniti attorno a un tavolo per esprimere e per ascoltare i rispettivi punti di vista sulla situazione economica e la poli- tica migliore da farsi per promuovere lo svi- luppo: dopo di che la Conferenza si è sciolta, senza prendere decisioni, senza che il Governo dicesse qualcosa che già non si sapesse. A incontri, a colloqui e a discussioni di quel genere e a quel livello si può andare con inten- dimenti diversi e anche con speranze dwerse. La CGIL era cauta nelle speranze, ma aveva precisi intendimenti. Si trattava di esaminare e impostare i problemi dello sviluppo economico e sociale del paese in una sede che, pur essendo ovviamente consultiva, per il peso delle forze che ne erano protagoniste avrebbe potuto rap- presentare certamente qualche cosa di utile e di positivo. Ma era necessario, in via pregiudiziale, porsi di fronte ai problemi sul tappeto gravi e complessi, senza dubbio, e tuttavia ormai ve- nuti da anni a maturazione — con occhio nuovo e con la ferma volontà di far corrispondere alla prassi nuova che si instaurava una analisi delle cose e delle misure operative altrettanto nuova e innovatrice, almeno in prospettiva. Il che non è stato. I rappresentanti della maggiore e più forte organizzazione dei lavoratori italiani hanno vi- sto talune delle loro previsioni puntualmente vetrificarsi attraverso l'atteggiamento dei rap- presentanti padronali e di quello dell'on. Pella, summus moderator della Conferenza « triango- lare ». Era certo, scontato che ci si sarebbe trovati di fronte alle posizioni di chi nella Conferen- za xiedeva l'inizio di una « collaborazione » siste- matica e al massimo livello tra i rappresentan- ti delle forze sociali protagoniste della vita eco- nomica e produttiva, realizzata attraverso la paterna mediazione del patrio Governo, secon- EDITORIALE do gli ammuffiti schemi di un corporativismo elevato a sistema, anche se truccato di belletti moderni. Era del pari scontato che ci si sarebbe im- battuti nelle posizioni di chi, attraverso la Con- ferenza, sperava di poter finalmente realizzare quella concezione che è economica, sociale e politica insieme per cui la politica salariale, l'azione e la libertà di movimento del sindaca- to, le sue necessità e gli interessi che esso rap- presenta e tutela debbano rimanere subordina- ti e asserviti alla politica padronale degli inve- stimenti, alle leggi che presiedono alle sue scelte, ai suoi ritmi e alle sue vicende congiun- turali. Pur consapevole della esistenza di simili po- sizioni, la CGIL era stata favorevole alla con- vocazione della Conferenza « triangolare », se non altro per il fatto che il Governo sarebbe stato messo in grado di conoscere e di rendersi conto delle alternative esistenti e delle loro con- seguenze: sicché ove avesse voluto avreb- be potuto operare finalmente delle scelte espli- cite e inequivocabili. Con ciò intendiamo dire che la CGIL si sarebbe recata, come ha fatto, al tavolo della Conferenza con un bagaglio di proposte positive e costruttive (sul piano del- l'indirizzo generale come sul piano delle que- stioni particolari, settoriali, regionali) che te- nevano conto delle necessità delle classi lavo- ratrici e insieme delle esigenze dello sviluppo organico della vita economica nazionale; ma ge- losa della sua piena autonomia, nella riaffer- mata e ribadita libertà del proprio comporta- mento di sindacato, di una organizzazione, cioè, che per poter assolvere pienamente ai propri compiti istituzionali deve essere e rimanere in- dipendente dalla classe padronale e dal Go- verno. Una posizione, come si vede, ineccepibil- mente corretta, aperta e non settaria, positiva non negativa, alla quale i rappresentati della CGIL sono rimasti fedeli nel corso della Con- 1781

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rassegnasindacale ANNO VII * GENNAIO 1961 N.37

Una Conferenza deludente

Dal 12 al 15 gennaio rappresentanti dei sin-dacati operai, delle organizzazioni padronali edel Governo si sono riuniti attorno a un tavoloper esprimere e per ascoltare i rispettivi puntidi vista sulla situazione economica e la poli-tica migliore da farsi per promuovere lo svi-luppo: dopo di che la Conferenza si è sciolta,senza prendere decisioni, senza che il Governodicesse qualcosa che già non si sapesse.

A incontri, a colloqui e a discussioni di quelgenere e a quel livello si può andare con inten-dimenti diversi e anche con speranze dwerse.La CGIL era cauta nelle speranze, ma avevaprecisi intendimenti. Si trattava di esaminare eimpostare i problemi dello sviluppo economicoe sociale del paese in una sede che, pur essendoovviamente consultiva, per il peso delle forzeche ne erano protagoniste avrebbe potuto rap-presentare certamente qualche cosa di utile e dipositivo. Ma era necessario, in via pregiudiziale,porsi di fronte ai problemi sul tappeto — gravie complessi, senza dubbio, e tuttavia ormai ve-nuti da anni a maturazione — con occhio nuovoe con la ferma volontà di far corrispondere allaprassi nuova che si instaurava una analisi dellecose e delle misure operative altrettanto nuovae innovatrice, almeno in prospettiva. Il che nonè stato.

I rappresentanti della maggiore e più forteorganizzazione dei lavoratori italiani hanno vi-sto talune delle loro previsioni puntualmentevetrificarsi attraverso l'atteggiamento dei rap-presentanti padronali e di quello dell'on. Pella,summus moderator della Conferenza « triango-lare ».

Era certo, scontato che ci si sarebbe trovatidi fronte alle posizioni di chi nella Conferen-za xiedeva l'inizio di una « collaborazione » siste-matica e al massimo livello tra i rappresentan-ti delle forze sociali protagoniste della vita eco-nomica e produttiva, realizzata attraverso lapaterna mediazione del patrio Governo, secon-

EDITORIALE

do gli ammuffiti schemi di un corporativismoelevato a sistema, anche se truccato di bellettimoderni.

Era del pari scontato che ci si sarebbe im-battuti nelle posizioni di chi, attraverso la Con-ferenza, sperava di poter finalmente realizzarequella concezione — che è economica, sociale epolitica insieme — per cui la politica salariale,l'azione e la libertà di movimento del sindaca-to, le sue necessità e gli interessi che esso rap-presenta e tutela debbano rimanere subordina-ti e asserviti alla politica padronale degli inve-stimenti, alle leggi che presiedono alle suescelte, ai suoi ritmi e alle sue vicende congiun-turali.

Pur consapevole della esistenza di simili po-sizioni, la CGIL era stata favorevole alla con-vocazione della Conferenza « triangolare », senon altro per il fatto che il Governo sarebbestato messo in grado di conoscere e di rendersiconto delle alternative esistenti e delle loro con-seguenze: sicché — ove avesse voluto — avreb-be potuto operare finalmente delle scelte espli-cite e inequivocabili. Con ciò intendiamo direche la CGIL si sarebbe recata, come ha fatto,al tavolo della Conferenza con un bagaglio diproposte positive e costruttive (sul piano del-l'indirizzo generale come sul piano delle que-stioni particolari, settoriali, regionali) che te-nevano conto delle necessità delle classi lavo-ratrici e insieme delle esigenze dello sviluppoorganico della vita economica nazionale; ma ge-losa della sua piena autonomia, nella riaffer-mata e ribadita libertà del proprio comporta-mento di sindacato, di una organizzazione, cioè,che per poter assolvere pienamente ai propricompiti istituzionali deve essere e rimanere in-dipendente dalla classe padronale e dal Go-verno.

Una posizione, come si vede, ineccepibil-mente corretta, aperta e non settaria, positivanon negativa, alla quale i rappresentati dellaCGIL sono rimasti fedeli nel corso della Con-

1781

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ferenza, impegnandosi così come era possibilee per quanto stava in loro di non farla conclu-dere con un fallimento.

Ma affinchè questo evento non si produces-se, sarebbe stato necessario che anche gli altrisindacati fossero andati alla Conferenza noncon l'impazienza di mietere l'alloro di un pro-prio successo di prestigio e di linea da essi ri-tenuto immancabile o convinti che a coglierlobastasse allungare la mano; ma armati dellaconsapevolezza di affrontare una dura batta-glia, uno scontro che per arena aveva il terrenodei programmi e delle misure di politica econo-mica e per protagonisti aveva essenzialmentedue « forze », due « schieramenti » sociali, due« poteri »: lavoratori da un lato e datori di la-voro dall'altro. Con la consapevolezza, voglia-mo dire, che la Conferenza « triangolare » nonsarebbe stato un giro di valtzer fra tre amici,ma un banco di prova sul quale misurare e sag-giare la volontà e le possibilità del Governo, lapermeabilità del muro delle posizioni padronali.Va qui detto che la UIL e i suoi rappresentantiha sostanzialmente condiviso questa linea dellaCGIL, e hanno seguito un comportamento coe-rente ad essa.

* * *

La CISL invece coltivava l'illusione di po-ter ricevere dalla Conferenza un aumento delsuo peso e del suo prestigio di organizzazione,fungendo da strumento e insieme da veicolo del-la operazione politica che l'attuale Governo,travagliato dai suoi interni dissidi, stenta ognigiorno di più a far procedere: la politica dellecosì dette « convergenze », nella quale dovreb-bero acquistare peso via via crescente i social-democratici e i repubblicani rispetto ai liberali.

Orbene, pensare di poter contare di più co-me sindacato, di avere più influenza, di otte-nere di più per i lavoratori, rinunciando allapropria autonomia nei confronti del Governo è,per il sindacato, la più colpevole delle presun-zioni, è aver perso la bussola. Né vale, né è suf-ficiente il ritenere compensata questa abdicazio-ne con l'aver chiesto che alla Conferenza« triangolare » fossero conferiti poteri « deci-sionali ». Il Governo non ha voluto sentire daquesto orecchio.

Il Governo, anzi (cioè il Ministro del Bilan-cio, on Fella), non soltanto si è tediosamente at-tardato a rimasticare giudizi, ipotesi e prospet-tive vecchie e superate da dieci anni, non sol-tanto ha potuto permettersi di giocare un tiromalizioso alla CISL invitandola di fronte a tut-ta la Conferenza a moderare i suoi slanci colla-borazionisti lodevoli, certo, ma un po' petulan-

ti, a starsene un po' più sulle sue, a fare il suomestiere di sindacato; ma ha steso il velo delsilenzio sulla linea esposta dai padroni, non haminimamente controbattuto le tesi confindu-striali, non ha neppure un poco tentato di di-stinguersi criticamente dall'impostazione e dagliindirizzi generali che il dottor De Micheli haesposto con baldanzosa sicurezza. Si può direche le ha subite, ma il fatto è che le ha accet-tate.

Quanto al comportamento dei rappresentantidella Confindustria, c'è da dire qualcosa, per va-lutarlo, sulla situazione nella quale è stata postala Confindustria delle recenti e possenti lotteoperaie.

E' infatti una situazione, quella della Confin-dustria, di crisi incipiente, fatta di tensioni con-traddittorie egualmente potenti, ma che nelcomplesso rivela (e ce lo dirà più precisamentela prossima conferenza confindustriale che avràluogo l'8 febbraio) che ancora ben saldo rimaneil predominio dei gruppi più retrivi e più a de-stra della organizzazione sindacale della classeproprietaria. Quegli stessi gruppi che liberanodalla catena il collo dell'on. Malagodi per lan-ciarlo in una sistematica azione di ricatto neiconfronti del Governo, minacciando il ritiro delproprio sostegno in Parlamento e condizionan-done il mantenimento a pesanti contropartite,che distorcono gravemente e frenano ogni pas-so verso quell'assestamento delle convergenze edelle maggioranze, che dovrebbe trasformare lafisionomia del Governo da quella neocentristaattuale in quella del centro sinistra.

Sia nel discorso di circostanza del Presidentedel Consiglio, on. Fanfani, e soprattutto nellaesposizione e nelle conclusioni dell'on. Pella —come durante la discussione generale e quellaparticolare sul piano per la rinascita della Sar-degna — è apparso evidente che il Governo agi-va sotto il ricatto liberal-confindustriale. Qual-siasi pur timido accenno a voler fare sul serio,qualsiasi allusione a propositi di innovazioni ra-dicali e di fondo della politica economica è man-cato: e non ci poteva essere, perché il farloavrebbe accentuato la crisi interna al blocco pa-dronale, e questo, per non sopportarne le conse-guenze, avrebbe immediatamente scaricato icontraccolpi del suo travaglio facendoli esplo-dere in seno alla maggioranza che con faticosiequilibrismi sostiene l'attuale Governo.

E quale sbocco avrebbe potuto mai avere unacrisi governativa precipitata a causa di avveni-menti di tal genere, preparata a questo modo edeterminata da simili condizioni e da simili for-ze? Sarebbe divenuta una crisi ingovernabile daparte della segreteria del partito di maggioran-za, inarrestabile dal Presidente del Consiglio,

(continua a pag. 1787)

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zate (il che non vuoi dire estremistiche e massimali-stiche) e di ottenerne la soddisfazione con la lotta atutti i livelli, se necessaria.

I sindacati unitari, così come hanno respinto lapretesa padronale di cristallizzare i livelli retributivie i trattamenti normativi al contratto nazionale dicategoria, non hanno la minima intenzione di cristal-lizzare, di mummificare per due o tre anni il tratta-mento dei lavoratori con una rigida e schematicastruttura contrattuale per settori.

* * A

Queste considerazioni conducono a farne delle al-tre più generali e politiche sulla lotta degli elettro-meccanici: e precisamente conducono a osservare cheessa non è stata soltanto una grande battaglia sin-dacale, ma è stata una lotta che. a un certo momen-to, proprio perché rimaneva nel suo ambito sinda-cale ma con le caratteristiche avanzate e modernedella sua piattaforma rivendicativa, ha provocato unoschieramento di forze che è andato oltre le « parti sin-dacali » direttamente interessate. Gli elettromeccanicihanno costretto le fprze politiche — il governo, i par-tili, le grandi associazioni di masse, il clero, la stam-pa, l'opinione pubblica — a schierarsi, a scegliere, adare un giudizio a farsi un'opinione propria sullalotta in corso: hanno acceso dibattiti, suscitato sim-patie, ammirazione, stupore e reazioni anche violente.Hanno soprattutto isolato l'avversario e poi l'hannodebellato e vinto.

E qui torna il motivo dell'unità d'azione.* * *

II valore e l'insegnamento dell'esperienza deglielettromeccanici in tema di unità sono in conclusio-ne questi: quando si individua una linea sindacalegiusta, quando si elabora una piattaforma rivendi-cativa giusta e il sindacato unitario e di classe riescea stabilire con le masse il contatto e il rapporto cheè necessario affinchè esse si pronuncino su questapolitica e la facciano propria, da quel momento inpoi tutte le organizzazioni sindacali, anche l'organiz-zazione unitaria, la nostra, sono condizionate e solle-citate all'unità. Da quel momento viene avanti edecide una forza che investe tutti i sindacati e licostringe, anche se non lo vogliono, a marciare suuna determinata strada.

Si può quindi affermare con tutta sicurezza che glielettromeccanici ci hanno fatto apprendere come, sul-la base di una politica giusta, si realizza necessaria-mente l'unità delle organizzazioni sindacali, presto otardi, ma si realizza: e senza pericoli di opportuni-smo. Perché — ecco l'altro punto — sulla base diuna giusta politica e del consenso che ad esso dannole masse, si può agire, marciare, andare avanti da soli,si può anche partire da soli, senza attendere che pre-ventivamente gli altri sindacati si siano allineaticon noi. Gli elettromeccanici avevano capito che erapossibile cambiare un corso di cose, che da troppianni ormai andava innanzi per una determinata stra-da, solo con una forte lotta sul terreno e per quegliobiettivi che il sindacato aveva scelti insieme a lo-ro: questa lotta essi hanno deciso di volerla fare el'hanno fatta.

E' l'elemento fiducia quello che ha giocato il ruolodecisivo nella battaglia degli elettromeccanici: fiduciadel sindacato nella bontà della propria linea; fiduciadegli operai nelle proprie ragioni e nella propriaforza; fiducia degli elettromeccanici nella linea deisindacato, e del sindacato nella maturità e combat-tività degli elettromeccanici. Ecco che cosa ha per-messo e perché ha potuto realizzarsi un altissimogrado di potere contrattuale, e un movimento delladurata e dell'asprezza come quello degli elettromec-canici.

Una Conferenza deludente

(continuazione dalla pag. 1782)

lungo la china di soluzioni che avrebbero segna-to la fine di ogni speranza di quelle timide fran-ge progressiste presenti nel movimento politicoe sociale dei cattolici italiani.

Il Presidente della Confindustria ha diligente-mente recitato la sua lezione di reazionario. Insostanza — egli ha detto — bisogna lasciare li-bero campo alle spontanee forze dell'economia,ma al tempo stesso lo Stato deve proseguire lasua azione sulle infrastrutture generali e socia-li, senza però premere troppo artificialmente nelSud, nelle isole e nelle aree depresse del paese,poiché l'intento di far raggiungere al Mezzogior-no il livello già raggiunto dalle zone più dotateè un intento innaturale e irrealizzabile. E' ne-cessario equilibrare i consumi presenti con quel-li futuri, e che lo sviluppo degli investimentipreceda quello dei consumi, se si vuole che que-sti possano essere incrementati nel futuro; chel'obiettivo di produrre a costi internazionali, chein generale si è raggiunto negli ultimi otto anni,deve rimanere tuttora in cima alle preoccupa-zioni degli imprenditori italiani.

Pur ammantata con il richiamo a qualcheprincipio di scienza economica formulato in ter-mini ormai da museo, questa linea non consenti-va dubbi interpretativi: la Confindustria ponevail suo veto a qualsiasi misura che significasse ilpiù lieve perturbamento al tipo di sviluppo eco-nomico che essa ha finora predisposto e impostoal paese. Quel tipo di espansione dualistica, squi-librata, disorganica contro il quale da tempo laCGIL impegna le armi della sua critica ragio-nata e fornisce contemporaneamente le linee diuna soluzione alternativa, rigorosa sul terrenoeconomico, adeguata alle attese e alle aspirazio-ni delle grandi masse popolari e lavoratrici.

* * *

Nessuna accademia, nessuna demagogia, nes-suna rinuncia per un piatto di lenticchie : que-sta la divisa della Confederazione del Lavoro,questi i principi a cui ha ispirato la sua condottadurante la Conferenza. Il suo è stato uno sforzoper superare i termini arcaici entro cui vieneriproposto dalla classe dirigente il problema diuno sviluppo economico e sociale generale edorganico, per offrire un terreno fertile al sorgeredi un preciso impegno del Governo a fare le suescelte, per corrispondere alle esigenze pressantidelle grandi masse lavoratrici. E in questo sfor-zo essa rimane impegnata per il presente e peril futuro.

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