Una Brava Ragazza - Mary Kubica (2015)

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  • Questa unopera di finzione.Nomi, personaggi,

    luoghi ed eventi sono il frutto dellafantasia dellautrice

    o sono usati in maniera fittizia, equalunque somiglianza

    con persone, viventi o defunte,aziende, eventi o localit reali

    da ritenersi puramente casuale.

    Titolo originale: The Good GirlCopyright 2014 by Mary

    KyrychenkoAll rights reserved including the

    right of reproduction in whole or inpart in any form.

    This edition is published byarrangement with Harlequin Books

  • S.A.

    Traduzione dallinglese di DanieleBallarini

    2015 Newton Compton editoris.r.l.

    Roma, Casella postale 6214ISBN 978-88-541-7586-0

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina,Roma

    Progetto grafico: SebastianoBarcaroli

    Immagini: Corbis Image

    http://www.newtoncompton.comhttp://www.librofficina.it

  • Mary Kubica

    Una bravaragazza

  • Per A & A

  • Eve

    Prima

    Quando squilla il telefono, sonoseduta in cucina, al tavolinettoriservato alla colazione, e mi stogustando una tazza di cioccolata.Sono sovrappensiero, dalla finestrafisso il giardino sul retro che, nelpieno di un autunno arrivato inanticipo, cosparso di foglie. Sonoperlopi morte, sebbene alcune, pur

  • senza vita, restano ancoraattaccate agli alberi. pomeriggioinoltrato. Il cielo coperto, letemperature stanno precipitandosotto i dieci gradi. Non credo diessere ancora pronta per questo, michiedo come sia volato il tempo;sembrava ieri che accoglievamo laprimavera appena arrivata e, pocodopo, lestate.

    Lo squillo del telefono mi allarma,sono certa che sia un venditore diqualche call-center, perci non mipreme alzarmi subito. Mi godo leultime ore di silenzio prima cheJames irrompa dalla porta e vengaa invadere il mio mondo, per cui

  • non voglio proprio sprecare minutipreziosi per unofferta pubblicitariache sicuramente rifiuter.

    Cessa il suono irritantedellapparecchio, che perricomincia poco dopo. Rispondo perun unico motivo: farlo tacere.

    Pronto, dico in tono seccato, inpiedi al centro della cucina con unfianco poggiato allisola.

    La signora Dennett?, mi chiedeuna donna. Penso per un attimo didirle che ha composto il numerosbagliato, oppure di anticipare lasua tirata pubblicitaria con unsemplice non sono interessata.

    Sono io.

  • Signora, sono Ayanna Jackson.Ho gi sentito questo nome. Nonlho mai vista, ma da pi di un annolei compare spesso nella vita di Mia.Quante volte ho sentito mia figliapronunciare il suo nome Io eAyanna abbiamo fatto questo Io eAyanna abbiamo fatto quello. Ladonna al telefono mi spiega checonosce Mia, che insegnano nellastessa scuola superiore della citt,un istituto dal metodosperimentale. Spero di nondisturbarla, aggiunge.

    Prendo fiato. No, Ayanna, sonoappena rientrata, mento.

    Mia compir venticinque anni tra

  • un mese, il 31 ottobre. nata nelgiorno di Halloween, e presumo chela sua collega abbia chiamato perquesto. Vuole fare una festa, unparty a sorpresa per mia figlia?

    Signora, oggi Mia non venutaal lavoro, dice.

    Non ci che mi aspettavo disentire. Mi ci vuole comunque pocoper riprendermi. Be, sar malata,esclamo. Il primo pensiero giustificarla; Mia avr unaspiegazione plausibile per nonessere andata al lavoro o per nonaver avvisato della sua assenza.Mia figlia uno spirito libero, certo,ma anche molto affidabile.

  • Non ha avuto sue notizie?No, dico, ma la cosa quasi

    normale. Passiamo giorni, a voltesettimane, senza parlarci. Daquando stata inventata la postaelettronica, ci inoltriamo almassimo informazioni banali viacomputer.

    Ho cercato di telefonarle a casa,ma non risponde.

    Hai lasciato un messaggio?Parecchi.E lei non ha richiamato?No.Ascolto malvolentieri la donna

    allaltro capo del filo. Fisso fuoridalla finestra, osservo i figli dei

  • vicini scuotere un alberello, cos chele foglie residue cadano su di loro. Ibambini sono il mio orologio:quando escono in cortile so che ilpomeriggio sta per terminare,poich finita la scuola. Quandorientrano in casa, sar ora di cena.

    E al cellulare?Parte la segreteria.Hai provato?Ho lasciato un messaggio.Sei sicura che non abbia avvisato

    la scuola per telefono?In segreteria non sanno niente.Temo che Mia finir nei guai. Mi

    preoccupo che possano licenziarla.Ma non mi viene affatto in mente

  • che possa gi essere nei guai.Spero non siano sorti troppi

    problemi.Ayanna afferma che gli studenti

    della prima ora non avevanoinformato nessuno dellassenza diMia, e solo alla seconda ora eracominciata a circolare la voce chemancava la signorina Dennett e chenon cera una sostituzione pronta.Per mantenere lordine in classe, siera mosso il preside, mentre siindividuava un supplente. Avevatrovato delle scritte sulle pareti,fatte con gessetti costosissimi,quelli comprati dalla stessa Miaquando lamministrazione della

  • scuola glieli aveva negati.Signora Dennett, non crede che

    sia strano?, mi domanda Ayanna.Non da Mia.

    S, ma sono certa che avr unmotivo valido.

    Per esempio?, ribatte.Prover a chiedere agli ospedali.

    Ho il numero di quello nella suazona.

    Gi fatto.Allora chiamo le sue amiche,

    dico, bench non ne conoscanessuna. Ho sentito qualche nomedi sfuggita, quelli di Ayanna eLauren, e so che ce n una delloZimbabwe con visto studentesco

  • che sta per essere rimpatriata,sebbene mia figlia pensi non siagiusto. Ma non le conosco, e non facile rintracciare il loro cognome oi contatti.

    Gi fatto.Si far viva, Ayanna. Sar un

    contrattempo. Possono essercitantissime ragioni.

    Signora Dennett, insiste lei, ed a quel punto che lo capisco: cqualcosa che non va. Mi arrivadritto allo stomaco, e il primopensiero di quando aspettavoMia, ero al settimo o ottavo mese digravidanza e lei scalciava e sidimenava con unenergia tale da far

  • intuire la forma dei piedini e dellemanine sotto la mia pelle. Scostouno sgabello e mi metto a sedere incucina, pensando che mia figlia frapochissimo compir venticinqueanni e io non ho ancora deciso cheregalo farle. Non ho proposto lideadi una festa, n suggerito di andaretutti (io, James, Grace e lei) in unristorante elegante del centro.

    Quindi, cosa proponi di fare?, lechiedo.

    Colgo un sospiro dallaltra partedel telefono. In realt speravo cheMia fosse l con lei, esclamaAyanna.

  • Gabe

    Prima

    buio mentre accosto lauto almarciapiede. Dalle finestre dellacasa in stile Tudor la luce riverberafin sul viale alberato. Dentro, riescoa distinguere un gruppo di personein attesa del mio arrivo. Ci sono ilgiudice che incede a lunghi passi ela signora Dennett, seduta sulbordo di una poltrona imbottita, che

  • sorseggia qualcosa di alcolico,almeno allapparenza. Ci sono deipoliziotti in divisa e unaltra donna,bruna, che scruta dalla finestramentre parcheggio con calma,ritardando la mia entrata a effetto.

    I Dennett assomigliano alle altrefamiglie che vivono nel North Shoredi Chicago, i sobborghi checosteggiano le sponde del lagoMichigan a nord della citt: sonoricchi da fare schifo. normalequindi che attenda sul sedile dellamia auto, anche se, in virt delpotere che mi hanno indotto acredere di avere, dovrei affrettarmiverso lenorme dimora.

  • Ripenso alle parole con le quali ilsergente mi aveva affidato il caso:Non incasini questaffare.

    Occhieggio limponente edificio dalcalore rassicurante della miamacchina sgangherata.Dallesterno, non appare maestosocome immagino siano gli interni. Hatutto il fascino della vecchiaInghilterra che offre lo stile Tudor:legno e muratura, finestre strette etetto spiovente. Mi rammenta icastelli medievali.

    Il sergente mi ha ammonito atenere il segreto, ma si supponedebba ritenermi privilegiato perlassegnazione di un caso di grande

  • importanza. Eppure, per qualchemotivo non mi sento affattoprivilegiato.

    Mi dirigo verso lingressoprincipale, attraversando il pratoper salire un paio di gradini,dopodich busso. Fa freddo. Infilo lemani in tasca per tenerle al caldodurante lattesa. Sto pensando diessere vestito in modo ridicolmentesemplice e informale (pantalonicolor cachi e una polo sotto unagiacca di pelle), quando ricevo ilsaluto di uno dei giudici di pace piinfluenti della contea.

    Giudice Dennett, esordisco,scivolando dentro. Mi comporto con

  • pi autorit di quella che mi pare diavere, facendo ricorso a quelbriciolo di autostima che tengonascosto da qualche parte permomenti simili. Il giudice di pace un uomo importante, per stazza epotere. Incasinare la faccenda mifarebbe perdere il lavoro, nelmigliore dei casi. La signora EveDennett si alza dalla poltrona e ledico col tono pi educato che riescoa trovare: La prego, si accomodi,mentre laltra donna pi giovane,forse poco pi che trentenne,presumo dalle mie indaginipreliminari si tratti di Grace Dennett viene incontro a me e al giudice,

  • fra lingresso e il salotto.Ispettore Gabe Hoffman, dico

    senza i soliti convenevoli. Nonsorrido, non porgo la mano dastringere. La ragazza affermaeffettivamente di essere Grace; daqualche mio lavoro precedente, soche una socia dello studio legaleDalton & Meyers. Per mi ci vuolesolo un briciolo di intuito peraccorgermi che non mi piace;quando osserva dallalto in basso lamia tenuta da impiegato, sfoggiaunaria di superiorit e un tonocinico che mi innervosiscono.

    La signora Dennett parla ancoracon un marcato accento britannico,

  • nonostante sappia dalla miaprecedente disamina dei fatti chevive negli Stati Uniti da quandoaveva diciotto anni. Pare in preda alpanico. la prima cosa che noto. Lasua voce stridula, le ditaindugiano nervosamente su tuttoquanto le capiti a tiro. Mia figlia scomparsa, ispettore, farfuglia.Le sue amiche non lhanno vista.Non hanno parlato con lei. Io lhochiamata al telefonino, le holasciato dei messaggi. Smozzica leparole, tenta disperatamente di nonscoppiare a piangere. Sono andatanel suo appartamento per vederese cera, aggiunge, ma poi

  • ammette: Ho fatto tutto queltragitto in auto e la padrona di casanon mi ha fatto entrare.

    La signora una donna damozzare il fiato. Non posso fare ameno di fissare i suoi lunghi capellibiondi scendere sullincavo del senoprosperoso che sbuca dallacamicetta: il primo bottone aperto. Avevo visto alcune sue foto,in piedi di fianco al marito sullascalinata del tribunale. Ma nonrendono idea di cosa significhivederla in carne e ossa.

    Quand stata lultima volta cheha parlato con lei?, chiedo.

    La settimana scorsa, replica il

  • giudice.Non la settimana scorsa,

    James, dice Eve, che fa una pausa,consapevole dello sguardocontrariato del marito a causadellinterruzione, prima dicontinuare: La settimanaprecedente. Forse quella ancoraprima. Il nostro rapporto con Mia cos, a volte passano settimanesenza che ci sentiamo.

    Quindi, la cosa non insolita,indago. Cio, non avere suenotizie per un certo periodo.

    No, ammette la signoraDennett.

    E lei, Grace?

  • Ho parlato con Mia la settimanascorsa. Una telefonata rapida. Eramercoled, mi pare. O forse gioved.S, era gioved, perch mi hachiamato mentre entravo intribunale per unudienza suunistanza da respingere. Uncommento aggiunto appositamenteper farmi sapere che avvocato,come se non me lavessero girivelato la giacca gessata e lavaligetta di cuoio ai suoi piedi.

    Qualcosa di insolito?Mia che agisce da Mia.E cosa vuole dire?Gabe, interviene il giudice.Ispettore Hoffman, affermo

  • deciso. Se lo devo chiamaregiudice, lui pu benissimochiamarmi ispettore, o detective.

    Mia molto indipendente. Segueun ritmo tutto suo, per cos dire.

    Perci, volendo fare unipotesi,sua figlia manca da gioved scorso.

    Ieri unamica ha parlato con lei,lha vista al lavoro.

    A che ora?Non so Le tre di pomeriggio.Do uno sguardo al mio orologio.

    Dunque, scomparsa da 27 ore?.La signora Dennett sinforma:

    vero che non la si ritiene scomparsafinch non sono trascorsequarantotto ore?

  • Ovviamente no, Eve, replica ilmarito con un tono tale daumiliarla.

    No, signora, preciso. Tento diessere il pi cordiale possibile. Nonmi piace la maniera in cui il maritola mortifica. In realt, nei casi dipersone scomparse, le primequarantotto ore sono spesso le piimportanti.

    Il giudice sintromette di nuovo:Mia figlia non scomparsa. Si smarrita, sta facendo qualcosa diimprudente, di irresponsabile. Manon scomparsa.

    Vostro onore, chi stato alloralultimo a vederla, prima che,

  • sono un bel presuntuoso e nonposso fare a meno di dirlo, sismarrisse?.

    la signora Dennett a rispondere:Una donna di nome AyannaJackson. una collega di Mia.

    Ha un numero al qualecontattarla?

    Su un foglietto, in cucina.Faccio un cenno col capo a uno

    degli agenti, che va in cucina aprenderlo.

    Mia ha mai fatto una cosa similein passato?

    No, assolutamente no.Tuttavia, il linguaggio corporeo

    del giudice e di Grace Dennett

  • smentiscono questultimaaffermazione.

    Non vero, mamma, protestalei. La guardo impaziente. Gliavvocati adorano sentirsi parlare.Mia scappata di casa cinque osei volte. Passava le notti a farechiss cosa con Dio solo sa chi.

    S, penso, Grace una stronza. Hai capelli scuri come il padre,laltezza della madre e le fattezzepaterne. Non un bel mix. Alcunidirebbero che ha una forma aclessidra, e lo direi anchio, se mipiacesse. Invece secondo me grassottella.

    Ma una cosa diversa. Allora

  • andava alle superiori. Era un poingenua e scapestrata, ma.

    Eve, non sovrainterpretare, diceil giudice.

    Mia beve?, chiedo.Non molto, risponde la signora.Eve, come fai a sapere quel che

    fa Mia? Non vi parlate quasi mai.La signora si porta una mano al

    viso per tamponare il naso che lecola, e per un attimo sono talmentesorpreso dalle dimensioni dellagemma che ha al dito da non udireil giudice mentre racconta boriosocome la moglie fosse riuscita, primache lui tornasse a casa, a farsipassare Eddie (attenzione, qui

  • torno concentrato per lo stuporeche il signor Dennett non solochiami il mio capo per nome, mache ne conosca anche ilnomignolo). A quanto pare JamesDennett convinto che la figlia sistia dando alla pazza gioia e chenon vi sia alcun bisogno di uninteressamento delle autorit.

    Non crede che sia un caso per lapolizia?, gli chiedo.

    Assolutamente no. unaquestione che deve sbrigare lafamiglia.

    Qual letica professionale diMia?

    Prego?, reagisce Dennett,

  • mentre gli si formano sulla frontedelle rughe che tenta di celare conun gesto esasperato della mano.

    La sua etica professionale. Hauna buona reputazione sul lavoro?Ha mai evitato di andarci? Telefonaspesso in segreteria per darsimalata anche se non vero?

    Non saprei. Ha un posto, lapagano. Si mantiene da sola. Nonfaccio domande.

    Signora Dennett?Adora il suo mestiere. Lo ama.

    Ha sempre voluto insegnare.Mia docente dArte. Alle

    superiori. Lo appunto sul miotaccuino per ricordarmene.

  • Il giudice desidera sapere sepenso che ci sia importante.Forse, ribatto.

    E come mai?Vostro onore, sto solo cercando

    di capire sua figlia. Capire chi ,tutto qua.

    La signora Dennett sta quasi perpiangere. Le si stanno gonfiando earrossando gli occhi azzurri mentretenta pateticamente di trattenere lelacrime. Pensa che le sia accadutoqualcosa?.

    Rifletto tra me e me: non questoil motivo per cui mi ha chiamato?Lei pensa che sia successo qualcosaalla figlia; per dico: Voglio agire

  • subito per poi ringraziare il Signorese verr fuori che stato tutto ungrosso equivoco. Sono certo che stabene, davvero, ma sarebbevergognoso trascurare la questionesenza approfondirla. Mi mordereile mani se si scoprisse che qualcosanon va.

    Da quanto tempo Mia vive dasola?, domando.

    Fra trenta giorni saranno setteanni, afferma la signora abruciapelo.

    Sono stupito. Tiene il conto? Alivello di giorni?

    Era il suo diciottesimocompleanno. Non vedeva lora di

  • andare via di qui.Non voglio ficcare il naso, dico,

    ma la verit che non devo. Pure ionon vedo lora di andarmene di l.Dove abita adesso?.

    Risponde il giudice: In unappartamento, in citt. Vicino aClark e Addison.

    Sono tifoso dei Chicago Cubs equindi la cosa mi emoziona. Bastamenzionare le parole Clark oAddison che rizzo le orecchie comeun cucciolo affamato. Wrigleyville.Un quartiere molto bello. Sicuro.

    Le do lindirizzo, propone lasignora Dennett.

    Mi piacerebbe controllare, se non

  • avete nulla in contrario. Guarderse ci sono vetri rotti, segni dieffrazione alla porta.

    La voce della madre trema mentrechiede: Ritiene che qualcuno abbiafatto irruzione nellappartamento diMia?.

    Cerco di rassicurarla. Vogliosoltanto controllare, signora.Ledificio ha un portiere?

    No.Un sistema dallarme?

    Telecamere?Come facciamo a saperlo?,

    ringhia il giudice Dennett.Non le fate visita?, chiedo,

    riuscendo a fermarmi in tempo.

  • Aspetto una risposta, che per nonarriva.

  • Eve

    Dopo

    Le chiudo la lampo del giaccone ele tiro il cappuccio sulla testa, poicamminiamo in mezzoallimplacabile vento di Chicago.Adesso dobbiamo affrettarci,dico, e Mia annuisce senzachiederne il motivo. Le raffichequasi ci spostano mentre cidirigiamo verso la monovolume di

  • James, parcheggiata a unaquindicina di metri; le afferro ilgomito e lunica cosa di cui sonosicura che se una di noi duecadesse, si tirerebbe appressoanche laltra. Il parcheggio unalastra di ghiaccio, sono passatiquattro giorni dal 25 dicembre.Cerco di proteggerla dal freddo edal vento sferzante, attirandolaverso di me e passandole unbraccio attorno alla vita per tenerlacalda, sebbene la mia corporaturasia pi esile della sua, per cui sonocerta di fallire nel mio intento.

    Torneremo la settimanaprossima, le dico mentre sale sul

  • sedile posteriore, a voce alta persuperare il suono delle portiere chesbattono e delle cinture di sicurezzache vengono allacciate. La radiogracchia, il motore dellauto fa unafatica del diavolo in questa giornatapungente. Mia ha un sussulto, allorachiedo a mio marito di spegnere laradio, per favore. Se ne sta sedutaa guardare fuori dal finestrino trevetture che ci accerchiano come unbranco di squali famelici; alla guidauomini invadenti e implacabili, unodi loro alza una macchinafotografica, inquadra e scatta, ilflash quasi ci acceca.

    Dove diavolo sono i poliziotti

  • quando ce n bisogno?, chiedeJames rivolto a nessuno inparticolare, prima di suonare costanto il clacson che Mia si mette lemani sulle orecchie per non sentirequellorribile frastuono. Di nuovo ilampi delle macchine fotografiche.Le auto indugiano col motoreacceso, scaricando dal tubo discappamento un fumo cheingrigisce ancora di pi la giornata.

    Lei alza lo sguardo e vede che laosservo. Mi hai sentito, Mia?, ledomando in tono gentile. Scuote latesta, e riesco appena a percepire ilpensiero fastidioso che le passa perla mente: Chloe, mi chiamo Chloe. I

  • suoi occhi azzurri sono incollati aimiei, che sono rossi e acquosi per iltentativo di trattenere le lacrime,una cosa normale da quando tornata mia figlia, anche se James qui, come sempre, a ricordarmi direstare calma. Fatico a dare unsenso al tutto, atteggio il volto a unsorriso forzato eppurecompletamente onesto, e una frasenon detta mi riecheggia in testa:Non riesco a credere che sei a casa.Mi premuro di lasciarle spaziosufficiente, non so di quanto neabbia bisogno, ma so bene di nonvolerle stare troppo addosso.Scorgo il suo malessere in ogni

  • gesto ed espressione, nel modo incui sta seduta, non pi traboccantedi fiducia in s, come la Mia di unavolta. Comprendo che le successoqualcosa di spaventoso.

    Mi chiedo comunque se senta che accaduto qualcosa anche a me

    Mia distoglie lo sguardo. Laprossima settimana torniamo dalladottoressa Rhodes, dico, e leiannuisce. Marted.

    A che ora?, domanda James.Alluna.Lui consulta il suo smartphone con

    una mano, quindi mi dice che dovraccompagnare da sola nostra figliaallappuntamento. Sostiene di avere

  • un processo a cui non pu mancare.Inoltre, afferma, sicuro che io siain grado di gestire la situazione. Glidico che ovviamente ce la possofare, per mi sporgo persussurrargli allorecchio: Adesso habisogno di te. Sei suo padre. Gliricordo che ne abbiamo gidiscusso, ci siamo accordati e luime lo ha promesso. Risponde chevedr quel che pu fare, per miresta un forte dubbio. A suo dire, lasua rigida agenda professionale nongli lascia tempo per crisi familiaricome questa.

    Sul sedile posteriore, Mia guardadal finestrino il mondo che scorre

  • mentre percorriamo in fretta la I-94per uscire dalla citt. Ormai sono letre e mezza del venerd pomeriggioche precede il fine settimana diCapodanno, per cui il traffico intilt. Restiamo bloccati in un ingorgo,aspettiamo e poi riprendiamo apasso di lumaca, neanche cinquantachilometri lora su unautostrada.James non ha pazienza in questesituazioni. Tiene gli occhi sullospecchietto retrovisore, aspetta chericompaiano i paparazzi.

    Allora, Mia, esordisce Jamestanto per passare il tempo. Lastrizzacervelli dice che soffri diamnesia.

  • Oh, James, imploro. Perfavore, non ora.

    Mio marito non disposto adaspettare. Vuole andare fino infondo alla questione. Non nemmeno una settimana che Mia tornata a vivere con noi, dalmomento che non in grado distare da sola. Penso al giorno diNatale, quando la vecchia autobordeaux aveva percorsolentamente il viale daccesso conMia a bordo. Ricordo la maniera incui James, quasi sempre distaccato,pressoch indifferente, si erafiondato per essere il primo adaccoglierla, a stringere tra le

  • braccia la ragazza emaciata sulvialetto coperto di neve, come sefosse stato lui, e non io, atrascorrere in lutto tutti quei lunghi,tremendi mesi.

    Ma da allora ho visto quel sollievomomentaneo di James scemare, eMia, con la sua smemoratezza,diventare un fastidio per lui, comeuno dei tanti casi che si accumulanonel suo ufficio, e non di nuovonostra figlia.

    Allora, quando?Dopo, te ne prego. E poi, quella

    donna una professionista,insisto. Una psichiatra, non unastrizzacervelli.

  • Benissimo, Mia, la psichiatra diceche soffri di amnesia, ribadisce,ma lei non risponde. Lui la guardadallo specchietto retrovisore, coisuoi occhi castano scuro che latengono prigioniera. Per un fugaceattimo, Mia tenta di reggere losguardo, poi i suoi occhi si posanosulle mani, dove sono attirati dauna crosticina. Hai intenzione dicommentare?, le chiede.

    Cos ha detto anche a me,risponde, e mi sovvengono le paroledella dottoressa che sedeva davantia me e a James nel suo triste ufficio(Mia era stata invitata ad andarenella sala dattesa a sfogliare delle

  • datatissime riviste di moda). Lapsichiatra ci aveva fornito ladefinizione letterale di un disturboda stress acuto, e a me eranovenuti in mente soltanto i poverireduci dalla guerra del Vietnam.

    James sospira. Intuisco che luinon lo ritiene plausibile, che reputaimpossibile che la memoriasvanisca nel nulla. Quindi, comefunziona? Ricordi che sono tuopadre e che lei tua madre, eppurepensi di chiamarti Chloe. Sai la tuaet, dove vivi e che hai una sorella,ma non hai idea di chi sia ColinThatcher? Non sai veramente dovesei stata negli ultimi tre mesi?.

  • Intervengo in difesa di Mia: Sichiama amnesia selettiva, James.

    Intendi dire che sceglie le coseche preferisce ricordare?

    Non lo fa mica lei, lo fanno il suoinconscio, il suo subconscio, oqualcosa del genere. Le mettono ipensieri penosi dove non purintracciarli. Non qualcosa che leidecide di fare. la maniera che hail suo organismo per aiutarla acavarsela.

    Cavarsela in che cosa?Lintera faccenda, James. Tutto

    quanto accaduto.Lui vuole sapere come

    risolveremo la questione. Non lo so

  • con certezza, ma suggerisco: Coltempo, immagino. La terapia, ifarmaci, lipnosi.

    Lui sghignazza beffardo, pensache lipnosi equivalga allamnesia.Che tipo di farmaci?

    Antidepressivi, replico. Mi voltoe, dopo aver dato un colpetto sullamano di mia figlia, aggiungo:Forse non recuperer mai pi lamemoria, ma andr bene lostesso. La osservo per un attimo: praticamente la mia fotocopia,sebbene pi alta e giovane e, adifferenza di me, ancora moltolontana dalle rughe e dalle ciocchecanute che stanno cominciando a

  • insinuarsi nella mia chioma biondoscuro.

    E come faranno gli antidepressivia farle tornare la memoria?

    La aiuteranno a sentirsi meglio.James sempre sincero, fino in

    fondo. Uno dei suoi difetti.Maledizione, Eve, se non riesce aricordare, per cosa pu staremale?, mi chiede, dopodich inostri sguardi si rivolgono fuori deifinestrini, fermi nel traffico: laconversazione pu considerarsiconclusa.

  • Gabe

    Prima

    La scuola in cui insegna MiaDennett si trova nellarea nord-occidentale di Chicago chiamataNorth Center. Un buon quartiere,per cos dire, non distante da casasua, dove vivono soprattuttobianchi che pagano affitti superioriai mille dollari al mese. Buon perlei. Non lo sarebbe stato altrettanto

  • se avesse lavorato a Englewood. Lasua scuola intende offrire aglistudenti che si ritirano da altriistituti una possibilit di recupero.In piccole aule didattiche, sitengono lezioni di formazioneprofessionale, test dinformatica, sidanno consigli di vita, eccetera. Epoi arriva Mia Dennett, insegnantedArte, incaricata di portare un podi quellanticonformismo che nontrova posto nelle scuole tradizionali,quelle che prevedono pi ore perscienze e matematica, tediando amorte sedicenni disadattati che sene infischiano.

    Ayanna Jackson mi ricever in

  • segreteria. Devo attendere un buonquarto dora perch nel mezzo diuna lezione, quindi devo starmenesu una di quelle sedie di plasticache sembrano fatte apposta perstrizzarti. Una cosa che non mipiace. Certo, non sono pi il figurinodi una volta, ma sono convinto diportare molto bene i miei chili ditroppo. La segretaria mi tienedocchio per tutto il tempo, come sefossi uno studente mandato inpresidenza per uno scambio divedute col preside. Una scena a cuisono tristemente abituato, visto chetanti giorni della mia carrierascolastica li ho passati in una

  • situazione simile.Lei quello che cerca di ritrovare

    Mia, dice mentre mi presentocome lispettore Gabe Hoffman. Leconfermo la sua supposizione. Sonoquasi quattro giorni che nessuno lavede o ha pi parlato con lei, quindilabbiamo iscritta ufficialmente trale persone scomparse, alla facciadel giudice. Giornali e telegiornaline hanno riportato la notizia, e ognimattina, quando scivolo fuori dallecoperte, mi convinco che quellasar la giornata in cui trover MiaDennett e diventer un eroe.

    Quando ha visto Mia per lultimavolta?

  • Marted.Dove?Qui.Ci dirigiamo in classe, e Ayanna

    (che mi prega di non chiamarlasignorina Jackson) mi invita adaccomodarmi in una delle sedie diplastica attaccate alla cattedra,malridotta e imbrattata di graffiti.

    Da quanto tempo conosce Mia?.Lei seduta in cattedra, su una

    comoda poltroncina di pelle, e io misento un ragazzino, mentre inrealt sono almeno trentacentimetri pi alto di lei. Accavallale lunghe gambe, lo spacco dellagonna nera si apre a mostrare la

  • pelle. Tre anni. Da quando Miainsegna.

    Va daccordo con tutti? Con glistudenti, col personale?.

    Una risposta solenne: Non cnessuno con cui lei non vadadaccordo.

    Ayanna prosegue raccontandomicom Mia. Quando arrivata inquella scuola alternativa, aveva unacerta grazia naturale, simpatizzavacon gli studenti e si comportavacome se anche lei fosse cresciutaper le strade di Chicago. E poiaveva organizzato una raccoltafondi per comprare il necessario pergli studenti meno abbienti. Non si

  • sarebbe detto che una Dennett.Secondo la signorina Jackson, la

    maggior parte dei nuovi docentidura poco in quel genere diambiente pedagogico. Datalattuale situazione del mercato, lescuole alternative sono gli uniciposti in cui si assumono insegnanti,e i laureati accettano quellaposizione finch non gli si presentaunoccasione migliore. Ma non Mia.

    Era qui che voleva stare. Mipermetta di mostrarle una cosa,dice Ayanna apprestandosi aprendere una pila di fogli da unavaschetta sulla cattedra. Mi siavvicina e si siede su uno dei

  • banchi, di fianco a me. Mi posa ifogli davanti e noto unoscarabocchio in pessima calligrafia,peggiore della mia. Stamattina glistudenti hanno compilato la loroparte del diario settimanale,spiega mentre esamino conattenzione il lavoro e noto che ilnome della signorina Dennettcompare cos tante volte che impossibile contarle.

    Lo facciamo ogni settimana. Ilcompito di questa, continua, eradescrivere cosa intendono fare dopole superiori. Mi accorgo che lep a r o l e signorina Dennett sonoscarabocchiate su quasi ogni foglio.

  • Ma il novantanove percento deglistudenti pensa solo a lei, concludeAyanna, e dallavvilimento nella suavoce capisco che anche lei non pufar altro che pensare a Mia.

    Aveva dei problemi con qualchestudente?, chiedo, cos persicurezza. Ma so quale sar la suarisposta prima ancora che scuota latesta.

    E che mi dice di un eventualefidanzato?, insisto.

    Immagino ce lavesse, replica,se lo si pu definire tale. Un Jasonqualcosa. Non conosco il suocognome. Niente di serio. Esconoinsieme da poche settimane, forse

  • da un mese, non di pi. Me loappunto. I Dennett non avevanofatto alcun riferimento a unragazzo. Possibile che non losappiano? Ovviamente s. Con lafamiglia Dennett tutto possibile,comincio a capirlo.

    Sa come contattarlo? un architetto, dice. Sta in

    uno studio dalle parti di Wabash. Disolito si incontrano il venerd seraper lhappy hour. Wabash e Nonso, forse Wacker? Da qualche partelungo il fiume. Mi sembraunimpresa rintracciarlo, ma ciprover. Trascrivoquestinformazione sul mio taccuino

  • giallo.Il fatto che Mia abbia un ragazzo

    difficile da trovare per meunottima notizia. In casi comequesto, stato sempre il fidanzato.Se trovo Jason, sono sicuro diritrovare anche Mia, o ci che restadi lei. Tenuto conto che scomparsa da quattro giorni,comincio a sospettare che la storiapossa finire male. Jason lavoradalle parti del fiume Chicago: bruttanotizia. Dio sa quanti corpi vengonoripescati ogni anno da quelle acque.Lui architetto, quindi intelligente,capace di risolvere problemi, peresempio come scaricare un corpo di

  • cinquantacinque chili senza che sene accorga nessuno.

    Se Mia e Jason stavanoinsieme, ipotizzo, non stranoche lui non cerchi di trovarla?

    Crede che Jason sia implicato?.Faccio spallucce. So che se

    avessi una ragazza e non le parlassida quattro giorni, mi preoccupereialmeno un po.

    Concordo, ammette Ayanna. Sialza dal banco e comincia acancellare la lavagna. Ha tracce digesso sulla gonna nera. Non hatelefonato ai Dennett?

    Il signore e la signora Dennettnon hanno la minima idea che

  • abbia un fidanzato. Per quanto liriguarda, Mia single.

    Non in rapporti stretti coigenitori. Hanno dei contrastiideologici.

    Concordo.Non penso che parlasse con i

    suoi di cose simili.Sta sviando dallargomento, cos

    tento di riportare Ayanna sulsentiero giusto. Per lei e Miasiete in rapporti stretti. Me loconferma. Direbbe che Mia leracconta tutto?

    Per quanto ne so.Che cosa le diceva di Jason?.Ayanna si rimette a sedere,

  • stavolta sul bordo della cattedra.Sbircia lorologio appeso al muro, sitoglie la polvere di gesso dallemani. Riflette sulla mia domanda.Non sarebbe durata, mi svela,cerca le parole giuste per spiegarlo.Mia non simpegna spesso, quasimai fa sul serio. Non le piacciono ilegami, sentirsi impegnata. moltoindipendente, forse fin troppo.

    E Jason appiccicoso?Dipendente?.

    Scuote il capo. No, non questo,solo che non il ragazzo adatto.Quando parlava di lui, Mia non sientusiasmava. Non ciarlava comefanno le ragazze quando hanno

  • incontrato quello giusto. Dovevosempre costringerla a spifferarmiqualcosa su di lui, e poi misembrava di ascoltare undocumentario: siamo andati a cena,abbiamo visto un film E so che luiaveva orari terribili, una cosa che lairritava: mancava agliappuntamenti o arrivava in ritardo.Lei detestava sentirsi vincolata aisuoi ritmi. Quando ci sono tantiproblemi il primo mese, non destinata a durare.

    Quindi, possibile che Miastesse pensando di lasciarlo.

    Non so.Ma non era felice.

  • Non direi che non fosse felice,precisa Ayanna. Non credo che leimportasse di esserlo o no.

    Da quel che ne sa, Jason avevalo stesso atteggiamento?. Dicenon di saperlo. Quando parlava diJason, Mia era riservata. Leconversazioni erano distaccate: unelenco delle cose che avevano fattoin una particolare giornata, dati edettagli su di lui (altezza, peso,colore degli occhi e dei capelli), manon, si noti bene, il suo cognome.Comunque, Mia non raccontava maise si baciavano e non menzionavamai quelle farfalle nello stomaco(espressione di Ayanna, non mia)

  • che si sentono quando sincontraluomo dei sogni. Sembrava irritataquando lui le dava buca, cosa chesecondo Ayanna accadeva spesso,eppure non pareva eccitata le serein cui avevano in programma divedersi sul lungofiume.

    E questa sarebbe per lei la provadel suo disinteresse?, le chiedo.Per Jason? Per la loro relazione?Per tutta la faccenda?

    Mia ci passava il tempo in attesache qualcosa di meglio arrivasse.

    Litigavano?Non che io sappia.Ma se ci fosse stato un

    problema, Mia glielavrebbe detto,

  • provo.Mi piacerebbe pensare di s,

    ribatte la donna, mentre il suosguardo si intristisce.

    La campanella suona, seguita dauno scalpiccio di passi nellandrone.Ayanna Jackson si alza, e io colgolantifona. Le dico che rester incontatto e le lascio il mio bigliettoda visita, invitandola a chiamarmise le venisse in mente qualcosa.

  • Eve

    Dopo

    Sono a met delle scale quandovedo quelli della troupe giornalisticasul marciapiede di fronte a casanostra. Stanno in piedi tuttitremanti, coi microfoni e letelecamere. Tammy Palmer, dellacronaca locale, con unimpermeabile beige e stivali fino alginocchio, staziona sul prato. Mi d

  • le spalle, c un uomo che fa ilconto alla rovescia sulle dita (tredue) rivolgendosi a lei, mentresento la sigla del suo programma,prima che lei dica: Mi trovo qui acasa di Mia Dennett.

    Non la prima volta che vengono.Ormai i loro servizi si sono

    diradati, i reporter cominciano ainteressarsi ad altre storie: le leggisulle nozze gay, la condizionedisastrosa delleconomia Masubito dopo il ritorno di Mia si eranoaccampati nei dintorni, volevanodisperatamente cogliere di sfuggitala ragazza danneggiata, avidi diqualsiasi brandello di informazione

  • da trasformare in titolone. Ciseguivano in auto per tutta la citt,finch non rimase che rinchiuderemia figlia in casa.

    Cerano auto misterioseparcheggiate l fuori, coi fotografidelle riviste spazzatura chepuntavano dai finestrini i loroteleobiettivi, nel tentativo ditrasformare Mia in una gallina dalleuova doro. Chiudo le tende.

    La vedo seduta al tavolo dellacucina. Scendo le scale in silenzio,la osservo nel suo mondo prima dientrarvi. Indossa un paio di jeansstrappati e un comodo maglione blua collo alto, che scommetto far

  • sembrare meravigliosi i suoi occhi.Dopo la doccia, ha ancora i capelliumidi e ondulati che si stannoasciugando sulla schiena. Sonosconcertata dai calzini di lanagrossa che ha ai piedi e dalla tazzadi caff attorno a cui tiene giunte lemani.

    Sente che mi avvicino e si volta.S, penso tra me, il maglione a colloalto rende bellissimi i suoi occhi.

    Stai bevendo il caff, esordisco,e la vaga espressione sul suo voltomi fa capire di aver detto la cosasbagliata.

    Non bevo caff?.Ormai una settimana che ci

  • vado coi piedi di piombo, tentosempre di dire la cosa giusta,esagerando ridicolmente permetterla a suo agio. Mi sforzo, percompensare lapatia di James e ilmarasma di Mia. E poi, quandomeno me laspetto, nel bel mezzo diuna conversazione apparentementenormale, mi capita di fare unagaffe.

    Mia non beve caff. Non ingeriscecaffeina quasi per nulla. Lainnervosisce. Per vedo chesorseggia dalla tazza, pigra edistratta; penso (e spero) chemagari un po di caffeina possa fareeffetto. Chi questa ragazza debole

  • davanti a me, di cui riconosco ilviso, ma della quale ignoro i gesti, iltono di voce, o il silenzio allarmanteche la avvolge come una bolla?

    Ci sono milioni di cose che vorreidomandarle. Ma non lo faccio. Misono ripromessa di lasciarla in pace.James si immischiato pi che asufficienza per entrambi. Lascer lafaccenda ai professionisti: ladottoressa Rhodes, lispettoreHoffman e quelli che non sanno maiquando smettere (mio marito). mia figlia, per non mia figlia. Mia, ma non Mia. Le assomiglia,per indossa calzini, beve caff e sisveglia singhiozzando nel cuore

  • della notte. Risponde prima se lachiamo Chloe rispetto a quando lachiamo col suo nome di battesimo.Sembra svuotata, pare che dormaquando sveglia, resta vigileallorch dovrebbe dormire. Ierisera, quando ho azionato losmaltimento rifiuti, ha fatto unbalzo sulla sedia ed scappata incamera sua. Non labbiamo pi vistaper ore, e quando le ho chiestocome avesse passato il tempo, hasaputo dire solamente non so. LaMia che conosco non riesce a stareferma tanto a lungo.

    Sembra una bella giornata,butto l, ma non risponde.

  • Effettivamente lo sembra. Il solesplende, per a gennaio ingannevole e di sicuro latemperatura non superer i -5 C.

    Voglio mostrarti qualcosa, dico,conducendola dalla cucinaallattigua sala da pranzo, dove anovembre, quando ero certa chefosse morta, avevo sostituito unastampa a tiratura limitata con unadelle sue opere. il dipinto a olio diun pittoresco villaggio dellaToscana che Mia aveva copiato dauna foto dopo aver visitato la zonainsieme a noi alcuni anni fa. Avevasteso i colori a strati, creando unarappresentazione drammatica del

  • villaggio, un momento nel tempoora fissato dietro un pannello divetro. La osservo mentre guarda ilquadro e penso: Se si potesseconservare tutto cos Sei stata tua farlo, dico.

    Lo sa. Questo se lo ricorda.Rammenta la giornata in cui si misea sedere al tavolo della sala dapranzo con i colori e la fotografia.Aveva supplicato il padre dicomprarle il cartoncino e lui avevaacconsentito, sebbene fosse certoche la nuova passione per lartesarebbe stata per la figlia unafissazione passeggera. Quando leiaveva finito il disegno, le avevamo

  • manifestato il nostroapprezzamento e ci eravamoaffrettati a riporlo da qualche parte,insieme ai costumi smessi diHalloween e ai vecchi pattini,inciampandovi per caso solodurante la ricerca affannosa di unasua foto per lispettore.

    Ricordi il viaggio che abbiamofatto in Toscana?, chiedo.

    Avanza di un passo per farscorrere le sue graziose dita sulquadro. diversi centimetri pi altadi me, ma in questa sala da pranzo una bambina, un uccellino che haappena messo le penne e non saancora reggersi in piedi.

  • Pioveva, replica senza staccaregli occhi dal dipinto.

    Annuisco. S, pioveva,confermo, felice che se ne siaricordata. Ma era piovuto solo perun giorno, per il resto eravamo statidavvero fortunati.

    Voglio dirle di aver appeso ilquadro perch ero tantopreoccupata per lei. Eroterrorizzata. Tutte le notti, perdiversi mesi, ero rimasta sveglia,distesa nel letto, a chiedermi: Cosasuccede se? Se non stava bene?Se stava bene ma non lavessimopi trovata? Se fosse morta e nonlavessimo mai saputo? Se

  • lavessimo saputo e il detective ciavesse chiesto di identificare le suespoglie in decomposizione?

    Voglio dire a Mia di aver appeso ilsacco di Babbo Natale al caminonella fortunata eventualit chetornasse, di averle comprato i regalie averglieli incartati e messi sottolalbero. Voglio che sappia chelasciavo accesa ogni notte la lucedella veranda e che lavr chiamatamigliaia di volte al cellulare, non sipoteva mai sapere. Magari unavolta non sarebbe scattata la vocedella segreteria. Invece avevoascoltato il messaggio infinite volte,le stesse parole, lo stesso tono:

  • Ciao, sono Mia. Per favore,lasciate un messaggio,gustandomi per un attimo il suonodella sua voce. Mi domandavo cosasarebbe successo se quella fossestata lultima frase che ascoltavo damia figlia. Cosa sarebbe successo?

    Il suo sguardo vitreo, la suaespressione vacua. Generalmenteha lincarnato perfetto della pesca,il pi bello che abbia mai visto, maadesso il colorito roseo scomparsoe lei bianca come uno straccio, oun fantasma. Quando parliamo, nonmi guarda in faccia, fissa un puntoalle mie spalle; mi attraversa, nonmi affronta direttamente. Tiene

  • perlopi gli occhi a terra, fissa ipiedi o si guarda le mani, qualsiasicosa pur di evitare lo sguardo altrui.

    E l in piedi nella sala da pranzo, aun tratto il suo volto perde ognitraccia di colore. Accade in unistante, la luce che penetra dalletende aperte enfatizza il suobarcollare mentre incurva le spalle:la sua mano scende con unmovimento rapido dal quadro dellaToscana alla pancia. Il mento sipiega sul petto, il suo respirodiventa affannoso. Le appoggio unamano sulla schiena (magrissima,sento le ossa) e aspetto. Ma nontroppo, sono impaziente. Mia,

  • tesoro, la chiamo. Lei per diceche va tutto bene, che non niente, e io sono sicura che colpadel caff.

    Cos successo?.Si stringe nelle spalle, con la

    mano ancora sulladdome. So chenon si sente bene. Comincia acamminare a ritroso, per usciredalla sala da pranzo. Sono stanca,tutto qui. Devo solo sdraiarmi,dice, e io mi ripropongo di eliminaredalla casa ogni traccia di caffeinaprima che si risvegli dal sonnellino.

  • Gabe

    Prima

    Lei non un uomo facile datrovare, dico mentre mi accoglienella sua postazione di lavoro. Piche un ufficio, un cubicolo, per lepareti sono pi alte del normale eoffrono un minimo di riservatezza.C una sedia soltanto, la sua, percui resto sulla soglia del cubo,incastrato contro la parete mobile.

  • Non sapevo che qualcuno mistava cercando.

    La mia prima impressione chesia tronfio, un idiota pieno di s,come ero io anni fa, prima direndermi conto che avrei dovutoessere meno presuntuoso. unuomo grosso e robusto, non proprioalto. Sono certo che fa sport,prende integratori proteici e forseperfino steroidi.

    Lo annoto sul taccuino, anche se,per il momento, evito di farmiscorgere da lui assorto in questemie congetture. Potrebbeprendermi a calci in culo.

    Conosce Mia Dennett?, chiedo.

  • Dipende. Si volta con la sediagirevole e finisce di scrivereunemail dandomi le spalle.

    Da che cosa?Da chi lo vuole sapere.Non sono troppo disposto a stare

    al suo gioco. Io, dico, tenendo inserbo il mio asso nella manica.

    E lei ?Sto cercando Mia Dennett,

    replico.Mi rivedo in questo ragazzo: avr

    al massimo ventiquattro oventicinque anni, fresco diuniversit, e magari crede ancorache il mondo giri attorno a lui. Selo dice lei. Io invece sono sulla

  • soglia dei cinquanta, e propriostamattina ho notato i primi capellibianchi. Sono convinto di doverringraziare il giudice Dennett perquesta novit.

    Lui continua a scrivere la suaemai l . E che cazzo, penso. Nongliene frega niente che io sia l, inattesa di parlargli. Sbircio da soprale sue spalle per capire. Si tratta difootball universitario, il nomeutente del destinatario dago82.Mia madre italiana da lei hopreso gli occhi e i capelli neri che mipare affascinino tutte le donne quindi prendo come un insulto almio popolo quel nomignolo

  • spregiativo1, bench non sia maistato in Italia e non conosca unasola parola di italiano. Stosolamente cercando unaltraragione per detestarequestindividuo. Devessere unagiornata piena di lavoro,commento, con lui che sembrascocciato che legga la sua email.Iconizza la pagina sullo schermo.

    Chi diavolo lei?, chiede dinuovo.

    Infilo una mano nella tascaposteriore ed estraggo il distintivoluccicante che adoro. IspettoreGabe Hoffman. Abbassavisibilmente la cresta, e parecchio.

  • Sorrido. Dio mio, come mi piace ilmio mestiere.

    Finge stupore. C un problemacon Mia?

    S, ritengo che si possa direcos.

    Apetta che prosegua io. Ma non lofaccio, proprio per irritarlo. Checosa ha fatto?

    Quando ha visto Mia lultimavolta?

    Un po di tempo fa. Circa unasettimana.

    E lultima volta che ha parlatocon lei?

    Non so. La settimana scorsa.Marted sera, mi pare.

  • Le pare?, chiedo. Lo confermasul calendario. S, era marted sera.Ma non lha vista marted?

    No, dovevo farlo, ma sono statocostretto a disdire lappuntamento.Sa, il lavoro.

    Capisco.Cosa le successo?Quindi non la sente da marted.Esatto. normale? Passare quasi una

    settimana senza sentirsi?Lho chiamata, confessa.

    Mercoled, forse gioved. Non miha richiamato. Ho pensato chefosse incavolata.

    E come mai? Aveva motivo di

  • esserlo?.Fa spallucce. Allunga una mano

    per prendere una bottiglia dacquasulla scrivania e ne beve un sorso.Marted sera ho annullatolappuntamento. Dovevo lavorare.Al telefono stata brusca, sa? Eraarrabbiatissima, lo capivo. Perdovevo lavorare. Pertanto, hopensato che mi tenesse il muso enon mi ritelefonasse Non so.

    Che progetti avevate?Marted sera?Certo.Incontrarci in un bar a Uptown.

    Mia era gi arrivata quando lhochiamata. Ero in ritardo. Le ho

  • detto che non ce lavrei fatta.E lei era incavolata?Non era contenta.Perci, marted sera lei era qui,

    al lavoro.Fino alle tre di notte.Qualcuno lo pu confermare?Mah, s. Il mio capo. Stavamo

    sistemando alcuni progetti per unincontro coi clienti il gioved. Misono sentito ogni tanto con leidurante la serata. Sono nei guai?

    Ci arriveremo, replicoseccamente, e intanto trascrivo ildialogo con la mia stenografia chenessuno sa decifrare. Dovandato dopo aver finito di

  • lavorare?A casa, amico. Era notte fonda.Ha un alibi?Un alibi?. Comincia a sentirsi a

    disagio, si sposta sulla sedia. Nonsaprei, ho preso un taxi pertornare.

    Ha la ricevuta?No.Nel suo palazzo c un portiere?

    Qualcuno che possa confermare che tornato a casa?

    Ci sono le videocamere, dice, epoi chiede: Dove caspita Mia?.

    Dopo aver incontrato AyannaJackson, mi ero procurato i tabulatitelefonici della Dennett e avevo

  • trovato chiamate quasi giornaliere aun certo Jason Becker, poirintracciato in uno studio diarchitettura del Chicago Loop2. Misono recato da lui per capire cosasapesse della scomparsa dellaragazza, e quando gli avevo fatto ilnome di lei avevo subito notatounemozione evidente sul suo volto.S, conosco Mia, aveva dettoinvitandomi verso il suo cubicolo.Lavevo capito allistante: gelosia.Era convinto che fossi il suo rivale.

    scomparsa, dico, cercando diinterpretare la sua reazione.

    Scomparsa?S, sparita. Da marted nessuno

  • lha pi vista.E lei pensa che io abbia qualcosa

    a che fare con questo?.Mi irrita il fatto che si preoccupi

    pi della sua colpevolezza che dellavita di Mia. S, mento. Credo chepossa avere qualcosa a che vederecon questa faccenda. Invece, laverit che, se il suo alibi di ferrocome pretende lui, sono di nuovo alpunto di partenza.

    Mi serve un avvocato?Pensa di averne bisogno?Glielho detto, stavo lavorando.

    Marted sera non ho visto Mia. Lodomandi al mio capo.

    Lo far, gli assicuro, sebbene

  • lespressione che gli passafugacemente sul viso mi implori dinon farlo.

    I colleghi di Jason origliano.Quando passano davanti al suocubicolo, rallentano il passo,indugiano allesterno e fingono diconversare. Me ne fotto. Lui no. Lacosa lo fa ammattire. Si preoccupaper la propria reputazione. Mi piacevederlo agitarsi sulla sedia,diventare ansioso. Le servealtro?, chiede per accelerare lecose. Vuole che smetta di pressarlo.

    Devo sapere che piani avevateper marted sera. Dovera Miaquando le ha telefonato. Che ora

  • era. Ho bisogno di vedere i suoitabulati telefonici. Di parlare col suocapo per assicurarmi che lei era qui,e di controllare col servizio disicurezza a che ora se n andato.Mi servono le riprese dellevideocamere del suo palazzo perverificare che tornato a casa. Senon ha problemi a fornirmi questecose, tutto a posto. Oppure, sepreferisce, mi faccio rilasciare unmandato.

    Mi sta minacciando?No, mento, le illustro soltanto

    le sue opzioni.Accetta di fornirmi le informazioni

    che mi servono e, prima che me ne

  • vada, di accompagnarmi dal suocapo, una donna di mezzet in unufficio notevolmente pi grande delsuo, con finestre a tutta altezza chedanno sul fiume Chicago.

    Dopo aver avuto la conferma cheluomo aveva sgobbato tutta lanotte, dichiaro: Jason, faremotutto il possibile per ritrovare Mia,per ritrovarmi davanti la suaespressione apatica prima diandarmene.

    1 Dago (guappo) il termine con cui gliamericani indicano gli italiani e le personedi altri Paesi latini. (n.d.t.)

    2 Centro storico ed economico della citt.(n.d.t.)

  • Colin

    Prima

    Non ci vuole molto. Pago qualcunoche resti al lavoro un paio dore pidi quanto vorrebbe. La seguo fino albar e mi metto a sedere dove possoosservarla senza che mi veda.Aspetto che arrivi la chiamata e,appena viene a sapere che le hadato buca, mi attivo.

    Non so granch di lei. Ho visto

  • unimmagine. Una foto indistintamentre esce dalla metropolitana esi dirige verso unauto parcheggiataa poca distanza. Tra la ragazza elobiettivo ci sono una decina dipersone, per cui attorno alla suafaccia stato tracciato uncerchietto rosso. Sul retro della fotocompaiono le parole Mia Dennett eun indirizzo. Me lhanno data circauna settimana fa. Mai fatto primauna cosa simile. Furto, s. Molestie,anche. Non rapimenti. Per miservono i soldi.

    da qualche giorno che la seguo.So dove fa la spesa, dove va a farsilavare i vestiti, dove lavora. Non le

  • ho mai parlato. Non sapreiriconoscere il suono della sua voce.Non conosco il colore dei suoi occhio come siano quando ha paura. Malo sapr.

    Ho ordinato una birra, che nonbevo. Non posso rischiare diubriacarmi. Non stasera. Ma nonvoglio attirare lattenzione su di me,quindi ho chiesto una birra per nonstare a mani vuote. Quando learriva la telefonata, gi seccata.Esce allesterno per rispondere erientra delusa. Pensa di andarsene,eppure decide di finire il suo drink.Recupera nella borsa una penna edisegna qualcosa sul tovagliolo del

  • bar, mentre ascolta un testa dicazzo che legge poesie sul palco.

    Cerco di non pensarci. Di nonpensare che carina. Ricordo a mestesso che ho bisogno di denaro,non lo dimentico. Non sar difficile,in un paio dore sar tutto finito.

    bello, dico accennando allasalvietta. il meglio che mi viene inmente. Non capisco nulla di robaartistica.

    Ostenta freddezza quando miavvicino. Non vuole avere niente ache fare con me. Questo mi facilitale cose. Ha alzato appena losguardo dal tovagliolo, perfinoquando le ho detto di apprezzare la

  • candela che ha disegnato. Desiderache la lasci in pace.

    Grazie, dice senza guardarmi.Qualcosa di astratto.La cosa apparentemente sbagliata

    da dire. Pensa che sia unamerda?.

    Un altro uomo si sarebbe messo aridere. Avrebbe detto che scherzavae lavrebbe sommersa dicomplimenti. Ma non io. Non conlei.

    Le scivolo accanto. Con qualsiasialtra, in qualsiasi altro giorno, mene sarei andato. In un altro giornoqualunque non lavrei nemmenoabbordata al tavolino, non mi sarei

  • avvicinato a quello di una ragazzaincazzata, con laria da stronza.Lascio le chiacchiere futili, icorteggiamenti e queste boiate aglialtri. Non ho detto che unamerda.

    Mette la mano sulla giacca. Mene stavo per andare, dice. Finiscela sua bibita e posa di nuovo ilbicchiere sul tavolino. Il posto tutto per lei.

    Sembra Monet, esclamo.Monet faceva roba astratta,vero?.

    Lo dico di proposito.Mi guarda. Sono sicuro che la

    prima volta. Le sorrido. Mi chiedo se

  • quel che vede sia sufficiente perfarle togliere la mano dalla giacca.Il suo tono si addolcisce, sa diessere stata brusca. Forse non cos stronza, dopotutto. Forse soloarrabbiata. Monet un pittoreimpressionista, mi corregge.Picasso, la sua arte astratta.Kandinsky, Jackson Pollock. Maisentiti nominare. Lei ha ancora inmente di andarsene. Non me nepreoccupo. Se decide di uscire, laseguir fino a casa. So dove abita.E ho un sacco di tempo.

    Quindi ci provo lo stesso.Prendo la salvietta che ha

    accartocciato e buttato in un

  • posacenere. Tolgo la cenere e lastiro per bene. Non brutto,dico, piegando il disegno che infilonella tasca posteriore dei jeans.

    Questo basta per indurla a cercarecon gli occhi la cameriera del bar;pensa di ordinare qualcosaltro. Lovuole conservare?, domanda.

    S.Ride. Nel caso che in futuro

    diventassi famosa?.Alla gente piace sentirsi

    importante. Lei si lascia sopraffareda questa sensazione.

    Mi rivela di chiamarsi Mia. Quandomi chiede il mio nome, faccio unapausa cos lunga che ha il tempo di

  • dire: Non immaginavo fosse unadomanda difficile. Le rispondo cheil mio nome Owen. Spiego che imiei genitori vivono a Toledo e chesono cassiere in banca. Due bugie.Non mi svela molto di s. Parliamodi cose impersonali: un incidentedauto sulla Dan Ryan, un trenomerci che ha deragliato,limminenza delle finali delcampionato di baseball. Suggeriscedi trattare cose meno deprimenti.Non facile. Ordina qualcosa dabere, due volte. Pi beve e pi siapre. Ammette che il suo ragazzo leha dato buca. Mi racconta di lui, cheescono insieme dalla fine di agosto

  • e che pu contare sulle dita dellamano il numero di volte che lui harispettato lappuntamento cheavevano preso. Cerca unacomprensione che non le offro. Non da me.

    A un certo punto scivolo sullapanca, pi vicino a lei. A tratti citocchiamo, ci sfioriamo le gambe,ma non intenzionalmente.

    Mi sforzo di non pensarci. Di nonpensare al dopo. Cerco di nonpensare a me che la spingo a forzanellauto o che la consegno aDalmar. La ascolto parlare a lungo,di cosa non lo so, perch penso soloai soldi. A quanto ammonter la

  • somma. Questa roba (starmeneseduto con una donna in un bar eprenderla come ostaggio per unriscatto) non fa per me. Persorrido quando lei mi guarda e, sela sua mano sfiora la mia, la lasciofare, perch ne sono certo: questaragazza pu cambiarmi la vita.

  • Eve

    Dopo

    Sfoglio lalbum dei ricordidinfanzia di Mia e allora mi vienelilluminazione: in seconda, avevaunamichetta immaginaria che sichiamava Chloe.

    l, sui fogli ingialliti dellalbum;lho scritto io in corsivo coninchiostro blu, lungo il margine, trala sua prima frattura e una brutta

  • influenza che laveva fatta finire alpronto soccorso. La foto di lei interza copre parzialmente il nomeChloe, ma riesco a decifrarlo.

    Mi soffermo su questimmagine: ilritratto di una ragazzina felice edisinvolta, ancora molto lontanadallacne e dallapparecchio, e daColin Thatcher. Sorride contentasenza denti, sotto una massaarruffata di capelli fiammeggianti.La faccia spruzzata di lentiggini,che col tempo sono sparite, e i suoicapelli sono leggermente pi scuridi come sarebbero diventati inseguito. Il colletto della camicetta aperto e sono sicura che sulle sue

  • gambe magre avesse un paio dipantacalze fucsia, probabilmentesmesse da Grace.

    Scorro le foto nellalbum: quelladella mattina di Natale, quando Miaaveva due anni e Grace sette, coiloro pigiami coordinati, mentreJames aveva i capelli unti drittisulla testa. I primi giorni di scuola.Le feste di compleanno.

    Sono seduta al tavolinetto dovefacciamo colazione con lalbumdinfanzia aperto davanti a me,guardo i biberon e i pannolini ditessuto, e vorrei tornare indietro.Faccio una telefonata alladottoressa Rhodes. Con mia grande

  • sorpresa, risponde.Quando le dico dellamica

    immaginaria, lei parte in quarta conunanalisi psichiatrica. Spesso,signora Dennett, i bambini si creanoamici di fantasia per compensare lasolitudine o la carenza di amici verinella vita reale. E attribuiscono aquesti compagni immaginari lequalit che desidererebbero avereper s, rendendoli estroversi sesono timidi, per esempio, o grandiatleti se sono sgraziati. Avere unamico immaginario non necessariamente un problemapsichiatrico, purch la fantasiascompaia quando il bambino

  • cresce.Dottoressa, ribatto, Mia

    chiamava Chloe la sua amicaimmaginaria.

    Si calma. Molto interessante,dice, e io ammutolisco.

    Questo nome mi ossessiona.Passo la mattinata su internet aimparare tutto quanto c da saperesu Chloe. Letimologia grecasignifica sbocciare, fiorire, crescere,verdeggiante a seconda del sitoche si consulta; in ogni caso isignificati sono sinonimi. In questoperiodo uno dei nomi pi diffusi,ma nel 1990 era ilduecentododicesimo fra tutti quelli

  • imposti alle bambine, dopoAlejandra e prima di Marie. Oggi cisono negli USA 10.550 persone chesi chiamano Chloe. A volte si trovala parola scritta con la dieresi sullaE (cerco il senso dei due puntinisulla vocale, e alla fine ne deducoche servono solo a distinguere ilsuono della O da quello della E, percui capisco che ho perso ventiminuti), altre volte senza dieresi. Michiedo come lo scriva Mia, sebbenenon osi domandarglielo. Dove lavrscovato un nome simile? Forse erasul certificato di nascita di una dellebambole Cabbage Patch arrivatadal Babyland General Hospital3.

  • Vado sul sito internet ufficiale. Mistupisco dei nuovi colori di pelle deibambolotti di questanno (caff,crema, caffelatte), ma non ne figurauna chiamata Chloe. Forse era unabimba, una compagna di classe diMia in seconda.

    Allora cerco personaggi celebricon questo nome: sia CandiceBergen che Olivia Newton-Johnhanno chiamato le loro figlie Chloe.Che il primo vero nome dellascrittrice Toni Morrison, anche sedubito che Mia potesse leggereAmatissima gi in seconda. Esistonouna Chlo Sevigny (con la dieresi, oumlaut che dir si voglia) e una

  • Chloe Webb (senza), ma sonosicura che la prima sia troppogiovane e la seconda troppoanziana per aver potuto attirarelattenzione di una bambina di ottoanni.

    Potrei chiederglielo. Potrei salireal piano di sopra, bussare alla portadella camera da letto di Mia edomandarglielo. James farebbecos. Andrebbe fino in fondo allaquestione. Anchio voglio andarefino in fondo, ma senza violare laprivacy di Mia. Anni fa avrei chiestoconsiglio a James, o il suo aiuto. Maanni fa.

    Prendo il telefono, compongo il

  • numero. La voce che mi saluta gentile, il tono informale.

    Eve, dice, e mi sento gi pirilassata.

    Salve, Gabe.

    3 Clinica di Cleveland in cui nasconoqueste bambole. (n.d.t.)

  • Colin

    Prima

    La conduco a Kenmore, in unappartamento allinterno di unpalazzone. Prendiamo lascensorefino al settimo piano. Da un internoesce musica ad alto volume mentreci dirigiamo verso la porta in fondoal corridoio, passando su unamoquette macchiata di pip. Apro laporta e lei aspetta di fianco. Dentro

  • buio. accesa solo la fiammelladella caldaia. Attraverso ilpavimento in parquet e faccioscattare linterruttore della lampadavicino al divano. Le ombre vengonorimpiazzate dal contenuto della miamagra esistenza: numeri di SportsIllustrated, un mucchio di scarpeaddossate allanta dellarmadio, unpanino sbocconcellato su un piattodi plastica sopra il tavolinetto. Laosservo in silenzio mentre lei misquadra. Non c tensione. Staseraqualche vicino ha cucinato ciboindiano, e lodore del curry le chiudela gola.

    Tutto bene?, chiede, poich

  • odia il silenzio pieno di imbarazzo.Probabilmente pensa di avercommesso un errore, che forsedovrebbe andarsene.

    Mi avvicino e faccio scorrere unamano sui suoi capelli, afferro quellialla base della nuca. La fisso comefosse una dea, e noto nei suoi occhiil desiderio di rimanere, almeno perun attimo. da parecchio tempoche non si sentiva cos. Avevadimenticato cosa si prova ad averequalcuno che ti guarda in quelmodo. Mi bacia e scordacompletamente limpulso diandarsene.

    Premo le mie labbra contro le sue

  • in una maniera allo stesso temponuova e consueta. Agisco condeterminazione. Lho fatto migliaiadi volte. Ci la mette a suo agio. Sefossi impacciato, rifiutando dicompiere la prima mossa, avrebbeil tempo di ripensarci. Cos, invece,tutto accade troppo in fretta.

    E poi, finisce rapidamente comerainiziato. Cambio idea, mi tiroindietro, e lei mi chiede: Chesuccede?, col fiato corto. Cosa cche non va?, esclama cercando diattirarmi di nuovo a s. Abbassa lemani verso la mia cintura, con ditaincerte, da ubriaca, comincia adarmeggiare.

  • una pessima idea, dicoallontanandomi.

    Perch?, la sua voce supplichevole. Si attacca alla miacamicia, disperata. Mi scosto. Poicomincia ad accettare il rifiuto. imbarazzata. Si preme le mani sullafaccia, accaldata, sudaticcia.

    Si lascia cadere sul bracciolo diuna sedia e tenta di riprenderefiato. Attorno a lei, la stanza gira.Lo intuisco dalla sua espressione:non abituata a sentirsi dire di no.Si risistema la camicia spiegazzata,si passa le mani sudate tra i capelli,si vergogna.

    Non so per quanto tempo

  • rimaniamo cos. una pessima idea, ripeto, e

    mi viene limprovvisa ispirazione diraccogliere le scarpe. Le lancionellarmadio, un paio per volta.Sbattono contro la pareteposteriore e finiscono sulle altre.Poi chiudo lanta, lasciando ilmucchio dove non posso vederlo.

    In lei si insinua il risentimento, emi domanda: Perch mi haiportato qui? Perch mi hai portatoqui, solo per umiliarmi?.

    Rivedo la scena del bar. Immaginoi miei occhi avidi quando mi sonosporto verso di lei per suggerire:Andiamo via da qui. Le ho detto

  • che il mio appartamento era vicino,in fondo alla strada. Abbiamo corsoper tutto il tragitto.

    La fisso. una pessima idea,ripeto. Lei si alza e prende la borsa.Alcune persone passano nelcorridoio fuori la porta, le loro risatesono come una coltellata. Lei cercadi camminare, perde lequilibrio.

    Dove stai andando?, chiedo,impedendole luscita col corpo.Adesso non se ne pu andare.

    A casa, esclama.Sei ubriaca.E allora?, mi sfida. Caracolla

    fino a una sedia per rimettersi insesto.

  • Non puoi andare, insisto. Nonquando sono tanto vicino, penso,per dico solo: Non cos.

    Sorride e mi dice che sono gentile.Crede che mi preoccupi per lei. Nonsa proprio niente.

    Non me ne frega un accidente.

  • Gabe

    Dopo

    Quando arrivo, Mia e GraceDennett sono sedute davanti allamia scrivania, di spalle. Grace nonpotrebbe sembrare pi a disagio dicos. Afferra una penna da sopra ilripiano e toglie il cappucciomasticato con la manica dellacamicia. Mi aggiusto la cravatta adisegno cachemire sulla camicia e,

  • mentre mi dirigo verso di loro,sento che Grace mormora aspettosciatto, inappropriato, unpupazzo. Presumo si riferisca ame, e dopo la sento dire che icapelli ricci di Mia non vedono unphon da settimane, che ha delleborse sotto gli occhi dovute allastanchezza. I vestiti della ragazzasono sgualciti, sembrano quelli diun liceale. Lei non sorride. assurdo, afferma Grace. Vorreitanto che mi inveissi contro, che midessi della stronza, della narcisista,uno di quei soprannomi sgradevolicon cui mi chiamavi prima diincontrare Colin Thatcher.

  • Invece, Mia si limita a fissarla.Buongiorno, esordisco, e Grace

    mi interrompe bruscamentedicendo: Non sarebbe possibileiniziare? Oggi ho molto da fare.

    Naturalmente, concedo,vuotando il pi lentamente possibilele bustine di zucchero nel mio caff.Speravo di parlare con Mia, divedere se era possibile ottenere dalei qualche informazione.

    Non vedo come possa esseredaiuto, sostiene Grace. Mi ricordadellamnesia. Non rammentaquello che accaduto.

    Ho chiesto che Mia venisse nelmio ufficio stamattina per provare a

  • rinfrescarle la memoria, per vederese Colin, in quel capanno fatto con itronchi dalbero, le avesse rivelatoqualcosa che pu essere preziosoper le indagini in corso. Siccome lamadre non si sentiva tanto bene, hamandato Grace al suo posto pertenerla docchio, ma dallo sguardocapisco che lei avrebbe preferitouna seduta dal dentista che stare lcon me e Mia.

    Vorrei provare a rinfrescarle lamemoria. Vediamo se possonoservire alcune immagini.

    Lei alza gli occhi al cielo e dice:Santo cielo, ispettore, le fotosegnaletiche? Sappiamo tutti com

  • fatto Colin Thatcher. Abbiamo vistoquelle immagini. Mia le ha viste.Crede che non sia in grado diidentificarlo?

    Non le foto segnaletiche, larassicuro, allungando una manoverso un cassetto della scrivaniaper prendere qualcosa da sotto unascorta di fogli protocollo. Lei sbirciaper vedere di che si tratta, e rimanesbalordita dal blocchetto di fogli dadisegno 11x14 che ho tirato fuori. un quaderno a spirale; i suoi occhiscrutano la copertina per coglierequalche indizio, ma le parole cartariciclata non le rivelano niente.Mia, invece, ha un breve sussulto:

  • riconosce qualcosa che n io, n leisappiamo cosa sia, per un lampolha attraversata, lombra di unareminiscenza, che scomparealtrettanto velocemente di comeraapparsa. Lo percepisco dallinguaggio del suo corpo: siirrigidisce, si piega in avanti,protende le mani alla cieca verso ilquaderno e lo attira a s. Loriconosce?, chiedo, dando vocealla domanda sulla punta dellalingua di Grace.

    Mia lo tiene in mano senza aprirlo,preferisce far scorrere le dita sullacopertina. Non dice una parola, epoi, dopo un minutino, scuote la

  • testa. andato. Si riaffloscia dinuovo sulla sua sedia e lasciacadere il quaderno sulle ginocchia.

    Grace lo prende, lo apre, e vienecolpita da una quantit di disegni eschizzi della sorella. Una volta, Evemi aveva detto che la figlia minoreportava con s, ovunque andasse,un quaderno per disegnare, lasciareuna traccia di tutto, dai senzatettodel Loop alle auto parcheggiatenella stazione ferroviaria. il suomodo di tenere un diario: i luoghi incui si reca, le cose che vede. Inquesto quaderno da disegno incarta riciclata, per esempio, ci sonoalberi, un sacco di alberi; un lago

  • circondato da arbusti; un piccolocapanno fatto di tronchi, cheovviamente abbiamo visto tuttinelle immagini; un gatto sorianoscheletrico che dorme in unospicchio di sole. Nulla di tuttoquesto pare stupire Grace, almenofinch non giunge allillustrazione diColin Thatcher che emergevistosamente dalla pagina, davantiai suoi occhi, proprio nel mezzodello schizzo, tra gli alberi e ilcapanno coperto di neve. Ha unaspetto trasandato, i capelli riccicompletamente in disordine. Labarba lunga, i jeans sbrindellati e lafelpa col cappuccio vanno oltre la

  • sciatteria: sono decisamentesporchi. Mia aveva raffigurato unuomo alto e possente. Si eraimpegnata particolarmente sugliocchi, ombreggiandoli,sottolineandone il contorno, tantoche questi fari profondi e maliziosiquasi costringono Grace adistogliere lo sguardo dalla pagina.

    Lo hai disegnato tu, lo sai,insiste, obbligando Mia a guardare ilfoglio. Glielo mette in manoaffinch lo veda bene. Lui se ne stadavanti a una stufa a legna, sedutoa gambe incrociate sul pavimento,con la schiena rivolta al fuoco. Miafa scorrere la mano sulla pagina e

  • sfuma leggermente il tratteggio. Siguarda i polpastrelli e vede ilresiduo di matita, che strofina trapollice e indice.

    Qualcosa le fa suonare uncampanello?, chiedo sorseggiandodalla mia tazza di caff.

    Questo , Mia esita, lui?Se con lui ti riferisci alla canaglia

    che ti ha rapita, allora, s, diceGrace, lui.

    Sospiro. Colin Thatcher. Lemostro una foto. Non segnaletica,come quelle che le abbiamo fattovedere spesso, ma un bel ritratto diColin vestito bene. Gli occhi di Miavanno avanti e indietro, collegano

  • le due immagini. I capelli ricci. Lacorporatura robusta. Gli occhi scuri.La pelle ruvida e abbronzata. Lebraccia che tiene conserte, il sorrisoche si sforza di trattenere. Lei unartista, le dico.

    Mia domanda: Lho disegnatoio?.

    Annuisco. Hanno trovato ilquaderno degli schizzi nel capanno,coi suoi effetti personali e quelli diColin. Suppongo che appartenga alei.

    Lhai portato con te nelMinnesota?, chiede Grace.

    Mia fa spallucce. I suoi occhi sonofissi sulle immagini di Colin

  • Thatcher. Ovviamente non lo sa.Grace sa che la sorella non lo sa,ma glielo chiede lo stesso. Pensaesattamente quello che penso io:questo mascalzone la sequestra, laconduce in un capannoabbandonato del Minnesota e lei hala possibilit di portarsi appresso unquaderno da disegno, e non altro?

    Cosaltro ha portato con s?Non so, dice con una voce al

    limite delludibile.Be, cosaltro avete trovato?,

    stavolta Grace a rivolgermi ladomanda.

    Osservo Mia, mi stampo in mentela sua comunicazione non verbale, il

  • modo in cui le sue dita continuano ascorrere sulle immagini che hadavanti, la frustrazione che si stalentamente, silenziosamentefacendo strada in lei. Ogni volta cheprova a rinunciare, spingendo via leimmagini, finisce per riprenderle,come se implorasse dentro di s,nel suo animo: Pensa, rifletti.Niente di particolare, dico.

    Grace si arrabbia. Cosa significa?Abiti, cibo, armi (pistole, bombe,coltelli), un cavalletto da artista,degli acquerelli. Questo, dicestrappando il quaderno da disegnodalle mani della sorella, insolito.Generalmente un rapitore non

  • permette a chi ha sequestrato didisegnare le prove su un quadernodi scadente carta riciclata. Si voltaverso Mia e spiattella levidenza.Se lui restava fermo tanto a lungo,Mia, abbastanza da lasciarti iltempo di disegnare questa roba,perch non sei scappata?.

    Lei fissa con espressione desolataGrace, che sospira esasperata, fuoridi s. Guarda la sorella minorecome se dovessero rinchiuderla inmanicomio.

    Come se Mia non si rendesseconto della realt, non sapessedove si trova o perch viva. Comese volesse colpirla in testa per farle

  • tornare il senno.Accorro in sua difesa e dico:

    Forse aveva paura. Forse non ceranessun posto in cui fuggire. Ilcapanno nel mezzo di una vastalanda desolata, e dinverno il Norddel Minnesota assomiglia a unacitt-fantasma. Probabilmente noncera nessun luogo dove andare. Luilavrebbe ritrovata e catturata dinuovo, e allora cosa sarebbesuccesso?.

    Immobile sulla sua sedia, Graceappare contrariata, e si accigliamentre sfoglia le pagine deglischizzi, nota gli alberi brulli, la nevea perdita docchio, quel lago

  • pittoresco circondato dal bosco fittoe Lo tralascia quasi del tutto, perfar scorrere le pagine allindietro estrapparne una dalla spirale. Maquesto un albero di Natale?,sbotta, guardando con ariainebetita quellimmagine nostalgica,in un angolo del disegno. Il rumoredella pagina strappata fa fare a Miaun salto sulla sedia.

    Io la osservo mentre sinquieta,poi le poso una mano sulle sue pertranquillizzarla. Certo, dicomettendomi a ridere, sebbene nonsia cos divertente. S, ritengo chepossiamo considerarlo un fattostraordinario, fuori del comune, o

  • no? Abbiamo trovato un albero diNatale. Grazioso, davvero, se voletesapere la mia opinione.

  • Colin

    Prima

    Quando arriva la chiamata, lei stalottando con il sonno incipiente. Hadetto un sacco di volte che deveandarsene. Lho rassicurata, le horibadito che non necessario.

    Mi ci voluto tutto il mioautocontrollo per staccarmi da lei.Per volgere le spalle ai suoi occhisupplichevoli, per sforzarmi di

  • lasciar perdere. C qualcosa disbagliato nel farti la ragazza chestai per rapire.

    In qualche modo, per, sonoriuscito a convincerla a rimanere.Lei crede che sia per il suo bene. Leho detto che quando le sarpassata la sbornia la accompagnera prendere un taxi. Se l bevuta, aquanto pare.

    Squilla il telefonino. Lei nonsussulta. Mi guarda come seimmaginasse che si tratta di unaragazza. Chi altri chiamerebbe anotte fonda? Sono le due, ormai, ementre mi dirigo in cucina perrispondere, vedo che si alza dal

  • divano. Cerca di ribellarsi allasonnolenza che sta prendendo ilsopravvento su di lei.

    Tutto a posto?, Dalmar vuolesapere. Di lui non so altro, se nonche appena sbarcato da una naveed pi nero di qualsiasi cosaabbia mai visto. Ho gi fatto altrilavori per lui: furto e molestie, mamai rapimenti.

    Mmh-mmh. Guardofurtivamente la ragazza che se nesta imbarazzata in salotto. Attendeche finisca la telefonata. Poi se neandr. Io mi sposto il pi lontanopossibile. Per prudenza prendo lamia semiautomatica dal cassetto.

  • Alle due e un quarto, diceDalmar. So dove ci incontreremo: inun vicolo buio dalle parti dellametropolitana, dove a questora dinotte girano solo i barboni.Controllo lorologio. Dovr fermarmidietro a un furgoncino grigio. Loroprenderanno la ragazza e midaranno i soldi. Facilissimo. Nondovr nemmeno uscire dalla miaauto.

    Alle due e un quarto, confermo.La figlia dei Dennett pesa solocinquantacinque chili, sbronzapersa e ha unemicrania pazzesca.Sar facile.

    Quando torno in salotto, mi dice

  • subito che sta per andarsene. Vaverso la porta. Le cingo la vita conun braccio per fermarla. La trascinovia dalla porta, il braccio a contattocon la sua pelle. Non vai danessuna parte.

    Senti, davvero, ribatte.Domattina devo lavorare.

    Fa una risatina, come se fossedivertente.

    Ma c la pistola. La vede. E inquel momento le cose cambiano.Lattimo in cui elaboralinformazione e capisce cosadiamine sta per succedere,spalanca la bocca e le scappaunesclamazione di sorpresa. Poi,

  • davanti alla pistola puntata, dice:Cosa vuoi fare con quella?.Indietreggia, urta contro il divano.

    Devi venire con me. Faccio unpasso in avanti, mi avvicino.

    Dove?, chiede. Quando riescoad afferrarla, fa uno scatto perallontanarsi. Con un movimentorapido la blocco.

    Non renderlo pi difficile delnecessario.

    Coshai intenzione di fare conquella?. pi calma di quanto miaspettassi. preoccupata, ma nongrida, non piange. Tiene gli occhifissi sullarma.

    Devi solo venire con me.

  • Lafferro per un braccio. Lei sidimena, per la trattengo,torcendole il braccio. Geme per ildolore. Mi rivolge unocchiataccia, sisente ferita. Mi dice di lasciarlastare, di toglierle le mani di dosso.Nel suo tono avverto un senso disuperiorit che mi innervosisce.Come se fosse lei a condurre ilgioco.

    Cerca ancora di liberarsi, mascopre di non farcela. Non la mollo.

    Chiudi il becco, ordino. Lestringo di pi il polso, so di farlemale, perch le mie dita le lascianodei segni rossi sulla pelle.

    C un errore, protesta. Stai

  • sbagliando tutto. Ha una stranapadronanza di s, sebbene continuia tenere lo sguardo incollato allapistola. Non saprei dire quantevolte ho sentito questa solfa. Ognivittima, per cos dire, sostiene chesto commettendo un errore.

    Taci. Stavolta sono pi duro, ilmio tono pi deciso. La spingoverso la parete, sbattendola controuna lampada, che cade a terra conun rumore sgradevole. Lalampadina va in frantumi, ma lalampada intatta.

    La blocco l. Le dico di stare zitta.Continuo a ripeterlo. Chiudi quellacazzo di bocca.

  • Lei non proferisce pi parola.Adesso ha unaria impassibile,anche se dentro di s devesserefuriosa.

    Va bene, dice a un tratto, comese fosse una sua scelta. Come seavesse voce in capitolo. Annuiscesprezzante. Verr con me. Tiene gliocchi fissi, anche se stanchi. Belli,penso. Ha occhi azzurri notevoli. Mapoi scaccio subito questo pensiero.Non posso soffermarmi su stronzatesimili. Non adesso. Non prima diconsegnarla a Dalmar. Devo finire illavoro. Portarlo a termine, prima dianalizzarmi col senno di poi.

    Mentre le tengo la pistola premuta

  • contro il cranio, le spiego cosaaccadr. Verr con me. Se grida,premer il grilletto. Semplice.

    Ma non ha intenzione di urlare. Locapisco perfino io.

    La mia borsa, dice, mentreinciampiamo nella tracolla cheaveva buttato a terra qualche orafa, quando siamo entratinellappartamento incespicando neinostri vestiti.

    Lascia perdere la tua fottutaborsa, ringhio. La trascino nelcorridoio e chiudo la porta.

    Fuori fa freddo. Dal lago giungeuna raffica di vento che le soffia icapelli sulla faccia. Sta gelando. La

  • stringo con un braccio, ma non perriscaldarla. Non me ne frega nientese sente freddo. Non voglio chescappi. La tengo talmente strettache il suo fianco sinistro strusciacontro il mio e ci intralciamo avicenda. Camminiamo svelti,affrettandoci verso lautoparcheggiata sulla Ainslie.

    Sbrigati, le ripeto, anche sesappiamo entrambi che sono io arallentare. Mi guardo alle spalle, perconstatare che non ci seguanessuno.

    Tiene gli occhi a terra, cerca dievitare il vento tagliente. La suagiacca rimasta nellappartamento.

  • Ha la pelle doca. La sua camicialeggera non riesce a difenderladalla fredda aria dottobre. Perstrada stasera ci siamo solo noi.

    Le apro la portiera, e lei sale inauto. Non perdo tempo adallacciarmi la cintura di sicurezza.Avvio il motore e parto, facendouninversione a U e percorrendo lastrada a senso unico contromano.

    Le vie sono vuote. Guido troppoveloce, sapendo che non dovreifarlo, per voglio chiudere questafaccenda il prima possibile. Lei stranamente composta. Con la codadellocchio per vedo che trema: difreddo, di paura. Mi chiedo a cosa

  • pensi. Non mi supplica. Staraggomitolata sul sedile delpasseggero del mio pick-up eosserva la citt.

    Non impiegheremo molto afermarci dietro il furgoncino diDalmar; i suoi uomini le metterannole loro luride mani addosso pertirarla fuori dalla mia macchina.Dalmar un duro. Non so coshannoin programma per la ragazza. Unriscatto. tutto quel che so.Trattenerla finch il padre nonsgancer una cifra sostanziosa. Unavolta che lui avr pagato, non socosa faranno. La uccideranno? Larimanderanno a casa? Ne dubito. E

  • se lo faranno, sar solo dopo cheDalmar e gli altri se la sarannospassata con lei.

    Mi frullano mille pensieri in testa.Adesso penso a cosa accadr se mibeccano. Non sar servito a niente.La pena per un rapimento puarrivare a trentanni di galera. Loso, ho controllato. Ci ho riflettutodiverse volte, dopo che Dalmar miha ingaggiato. Ma una cosa pensarci, unaltra farlo. E ora,eccomi qui, con la ragazza nella miaauto, a pensare al trentennio alfresco.

    Lei non vuole guardarmi. Arrivati aun semaforo, la fisso. Tiene gli

  • occhi sulla strada davanti, ma soche mi vede. So che sente il miosguardo su di s. Trattiene il fiato.Si sforza di non gridare, anche sevorrebbe farlo. Guido con unamano, con laltra tengo la pistolasulle ginocchia.

    Non che mimporti granch di lei,anzi. Il fatto che mi chiedo cosaaccadr quando si verr a sapereche ho fatto una cosa simile.Quando il mio nome sar legato aun rapimento/omicidio. Esucceder. Dalmar non metter maila firma su questa faccenda. Miincastrer. Se le cose andrannomale, sar il pesce piccolo, il capro

  • espiatorio, a finire sotto la scure delboia.

    Il semaforo diventa verde. Svoltosulla Michigan. Un branco di ragazziubriachi fermo allangolo, inattesa dellautobus. Fanno i buffoni,cazzeggiano. Uno di loro inciampasul gradino del marciapiede. Devosterzare per non investirlo.Cretino, borbotto a fior di labbra.Lui mi fa il dito medio.

    Ripenso al piano di riserva. Ne hosempre uno pronto, qualora le cosesi complichino. Non ho mai dovutoservirmene. Controllo il livello delcarburante. Ce n abbastanza perarrivare fuori citt, come minimo.

  • Dovrei svoltare sulla Wacker. Inumerini rossi sul cruscottosegnano le 2:12. Dalmar e i ragazziaspettano gi sul posto. Potevafarlo da solo, ma non ha voluto. Luinon vuole mai sporcarsi le mani.Recluta qualcuno, un reietto comeme, per fare il lavoro pi schifoso,cos pu starsene a guardare bellorilassato. Se le cose andasseromale, avr sempre le mani pulite.Niente impronte digitali sulla scena,la sua faccia non comparir maisulle prove fotografiche. Lascia chea cadere nella rete sia il resto dellabanda, ci definisce gli operativi,come se appartenessimo alla

  • fottutissima CIA.Saranno probabilmente in quattro

    sul furgoncino, delinquenti cheaspettano di rinchiudere questaragazza ancora seduta vicino a me,mentre potrebbe reagire persalvarsi.

    Ho le mani scivolose, sto sudandocome un maiale. Me le asciugo suijeans, poi do un pugno al volante ela ragazza emette un gridosoffocato.

    Dovrei uscire allaltezza dellaWacker, ma non lo faccio. Continuoa guidare.

    So di commettere unastupidaggine. Sono consapevole di

  • tutto quello che potrebbe andarestorto. Ma lo faccio lo stesso.Guardo di sfuggita nello specchiettoretrovisore, per accertarmi che nonci seguano. E poi gi a tavoletta.Lungo la Michigan, fino alla Ontario,e quando lorologio segna le 2:15sono gi sullinterstatale 90.

    Alla ragazza non dico niente,perch non crederebbe a niente diquel che potrei dirle.

    Non mi accorgo dellattimo in cuisuccede: da qualche parte, mentreusciamo dalla citt, lorizzontecomincia a scomparire nel buio e gliedifici vengono inghiottiti dalladistanza. Lei si muove sul sedile,

  • a disagio, la sua compostezza svanita. Guarda dal finestrinolaterale, si gira e osserva dallunotto posteriore la citt chesparisce. Come se qualcuno avessefinalmente premuto linterruttore eadesso lei capisse cosa caspita stasuccedendo. Dove stiamoandando?, chiede con voceisterica. Lespressione impassibileha ceduto il posto agli occhisgranati, al volto in fiamme. Me nerendo conto grazie ai lampioni aibordi della strada, che la illuminanopi o meno ogni cinque secondi.

    Per un attimo mi supplica diliberarla. Le dico di chiudere il

  • becco. Non voglio neanche sentirneparlare. Adesso per piange. iniziato il piagnisteo, ha aperto irubinetti, mi implora di lasciarlalibera. Domanda ancora: Dovestiamo andando?. Allora impugnola pistola, non sopporto il suonodella sua voce, stridulo e acuto.Voglio che la smetta. Le puntocontro larma e le ordino di chiuderequella boccaccia. Obbedisce. calma, ma continua a piangere, sipulisce il naso sulla manica troppocorta, mentre ormai siamo fuoricitt. Avanzando verso la periferia, igrattacieli cedono il passo aglialberi, i treni della Blue Line

  • serpeggiano in mezzo alla strada.

  • Eve

    Dopo

    Mia seduta al tavolo dellacucina, tiene in mano una grandebusta gialla col suo nome scritto instampatello con una calligrafiaevidentemente maschile.

    Preparo la cena per lei e per me.Nella stanza accanto c la TVaccesa, che fa da sottofondo ecompensa il silenzio fra noi. Sembra

  • che Mia non se ne accorga, maultimamente il silenzio mi snerva,per cui comincio a fare chiacchierefutili.

    Vuoi il petto di pollo conlinsalata?, le chiedo; lei si stringenelle spalle. Pane integrale obianco?, insisto, ma non risponde.

    Preparo il pollo, dico. A tuopadre piace. Per sappiamo tuttee due che James non torner.

    Cos quello?, chiedo con uncenno al pacchetto che ha in mano.

    Cosa?, replica.La busta.Ah, fa. Questa.Appoggio una padella sui fornelli,

  • sbattendola senza volere. Leisussulta, io mi scuso subito, assalitadal senso di colpa. Mia, tesoro,non volevo spaventarti, esclamo,ma ci impiega un po a calmarsi.

    Dice che non sa perch si sentecos.

    Una volta adorava il momento incui comincia a fare buio, quandocambia il mondo esterno. Me lodescrive anche adesso: lo sfavilliodei lampioni e dei palazzi contro ilcielo notturno. Dice che lepiacevano lanonimato dellasituazione, e tutte le possibilit chesi aprono allorch il sole tramonta.Per contro, ora il buio la terrorizza,

  • la spaventano le cose anonimedallaltra parte delle tende di seta.

    Mia non aveva paura, di solito. Lepiaceva vagabondare per le stradedella citt anche a notte fonda, e sisentiva perfettamente al sicuro. Miconfida che spesso provava sollievoperfino nel traffico pi assordante,coi clacson che strombazzavanoallimpazzata e le sirene cheululavano tutta la notte. Adessoinvece il suono del cibo che frigge larende nervosa.

    Mi scuso in modo esagerato, e leimi dice che va tutto bene. Ascoltala TV nellaltra stanza. Alle sette, ilnotiziario della sera ha ceduto il

  • posto a una sitcom. Mia?,chiamo, e lei si volta verso di me.

    Cosa c?, domanda.La busta, faccio un gesto e lei

    se ne ricorda.Se la rigira tra le mani. Me lha

    data il poliziotto, afferma.Sto tagliando a fette un

    pomodoro. Lispettore Hoffman?S.Mia scende abitualmente al

    pianterreno solo dopo che uscitoJames. Resta nascosta per il restodel tempo. Sono certa che questastanza le ricorda linfanzia. Non cambiata da pi di dodici anni: lepareti crema, la luce soffusa. Sono

  • accese le candele, ho spento ifaretti sul soffitto. Il tavolo rotondo scuro, con le gambe ricurve, e lesedie sono tappezzate: da bambinalei ci passava fin troppo tempo, conlo sguardo critico del padreaddosso. Sono sicura che si sentapiccola, incapace di stare da sola, eche si debba sempre sorvegliarla,cucinare per lei. La suaindipendenza svanita.

    Ieri mi ha domandato quando puandare a casa, nel suoappartamento, e tutto ci che hosaputo risponderle stato coltempo.

    Io e mio marito non la lasciamo

  • uscire mai, a meno che non si vadadalla dottoressa Rhodes o alcomando di polizia. A farecommissioni, non ci si pensanemmeno. Per giorni suonato ilcampanello dalla mattina alla sera:uomini e donne con microfoni etelecamere ci aspettavano suigradini dellingresso. Mia Dennett,vorremmo farle qualche domanda.Pretendevano di metterle ilmicrofono davanti alla bocca, finchnon le ho detto di non aprire, diignorare del tutto il campanello. Iltelefono squillava continuamente, ele rare volte che rispondevo lunicacosa che dicevo era: Non ho

  • nessun commento da fare. Dopoun paio di giorni, ho inseritodirettamente la segreteriatelefonica; poi, siccome il continuosquillare mi era insopportabile, hostaccato la presa dellapparecchiodal muro.

    Allora, non hai intenzione diaprirla?, le ricordo.

    Fa passare un dito sotto il lemboadesivo e apre la busta. Dentro cun solo foglio di carta. Lo estraedelicatamente e d unocchiata.

    Poso il coltello sul tagliere e misposto verso il tavolo, di fianco aMia, fingendo un interesse minimo,sebbene io sia sicura di essere la

  • pi attenta, tra noi due. la fotocopia di un disegno da un

    quaderno a spirale, coi cerchietti inalto: loriginale era stato strappatodallattaccatura. Ritrae unapersona, una donna, in base aquanto posso desumere dallachioma piuttosto lunga.

    Lho fatto io, dice Mia, e le tolgoil foglio dalle mani.

    Posso?, chiedo sprofondando inuna sedia di fianco a lei. Perch lodici?, le domando con lo stomacoin subbuglio e le mani checominciano a tremarmi. Mia disegnada sempre, per quanto io possaricordare. unartista, ha talento.

  • Una volta le chiesi perch lepiacesse disegnare, perch loadorasse a tal punto. Mi avevaspiegato che era lunico modo perrealizzare un cambiamento: potevatrasformare oche in cigni, unagiornata nuvolosa in una bellamattinata di sole. Nel disegno, larealt non contava e non esisteva.

    Eppure, questo schizzo una cosatotalmente diversa. Gli occhi sonoperfettamente rotondi, il sorriso quello che aveva imparato adelineare alle elementari. Le cigliasono linee verticali. Il volto deforme.

    stato preso dallo stesso

  • quaderno che aveva lispettoreHoffman. Quello coi miei disegni.

    Ma questo non lhai fatto tu,dico con certezza assoluta. Forsedieci anni fa, quando eriprincipiante. Ma non ora. troppoordinario per te. Una cosamediocre, al massimo.

    Al segnale acustico del timer, mialzo in piedi. Mia riprende il foglio inmano per guardarlo di nuovo.Allora perch il poliziotto me lhadato?, chiede girandosi la bustatra le mani. Le rispondo che non loso.

    Sistemo i panini integrali su unapiastra da mettere nel forno quando

  • Mia mi domanda: Allora chi lhadisegnato?. Sui fornelli siabbrustolisce il pollo.

    Abbasso la piastra sul fondo delforno. Giro il pollo e comincio atagliare a cubetti un cetriolo, comese avessi Colin Thatcher sul taglieredavanti a me.

    Mi stringo nelle spalle. In queldisegno, azzardo cercando dinon piangere. Mia seduta altavolo, scruta lo schizzo, e io lovedo bene, chiaro come il sole: icapelli lunghi, gli occhi rotondi, ilsorriso a forma di U. In queldisegno, continuo, sei ritrattatu.

  • Colin

    Prima

    Siamo sulla Kennedy e non misono a