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Un solo mondo N. 4 / DICEMBRE 2013 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Formazione professionale Chiave per occupazione e reddito Niger: conflitti per l’utilizzazione del suolo Religioni: ruolo controverso nella cooperazione

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Un solo mondoN. 4/ DICEMBRE 2013LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

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Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC33 Servizio 35 Nota d’autore con Steff la Cheffe35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R FORMAZIONE PROFESSIONALE6 Un passaporto per il mercato occupazionale

In molti Paesi del Sud e dell’Est è necessario rinnovare i sistemi di formazione professionale di base perché troppo teorici e lontani dai bisogni del mondo del lavoro

11 Svolta dell’apprendistato in AlbaniaLa Svizzera promuove la riforma dell’insegnamento nelle scuole professionali in Albania

12 Burkina Faso, modello duale su misura Le associazioni mantello di diversi settori artigianali sono protagoniste del rinnovamentodegli apprendistati

14 Calzature «made in Bangladesh»Con la collaborazione della Svizzera, lo Stato del Sud-est asiatico testa un nuovo modello di formazione professionale

15 Il sistema deve cambiareIntervista all’esperto in formazione professionale Borhène Chakroun

17 Cifre e fatti

18 Pastori nomadi dimenticati dallo sviluppo Il Niger riscopre l’importanza economica e culturale della pastorizia e dell’allevamento

21 Una giornata tipica di... Ibrahim Bâ, incaricato di programma principale DSC in Niger

22 Il cinema nigerino si sveglia dopo una lunga letargia Ali Oumarou sulla storia e sul ruolo del cinema in Niger

23 In Polonia, alcol e fumo non sono tabù per le donne incinte La Svizzera sostiene una campagna di prevenzione contro l’abuso di alcol, tabacco e droga

24 Un’idea avvincente ma difficile da realizzareOtto ONG elvetiche, esperte in ambito idrico, si sono unite in un consorzio per condividere esperienze e competenze e aumentare le ricadute dei singoli progetti

27 Aiuto come missione religiosa Il ruolo delle religioni nella cooperazione internazionale è molto controverso

30 Ridipingere di verde il brullo paesaggio etiopeCarta bianca: Getachew Gebru sul successo delle iniziative a favore del rimboschimento nello Stato dell’Africa orientale

31 La cultura, motore di trasformazione socialeBilancio del programma culturale promosso dalla Svizzera in nove Paesi dei Balcani

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Il successo dei programmi di formazione professionaledella DSC ha avuto inizio negli anni Cinquanta in Nepal.Oggi ne approfittano circa 40000 persone ogni anno.Queste ultime possono seguire una formazione profes-sionale di base, ma anche altri percorsi formativi, attin-gendo all’esperienza maturata dalla Svizzera in questosettore. Nel giro di pochi anni, l’impegno finanziariodella Confederazione si è quasi raddoppiato e oggi am-monta a 35 milioni di franchi all’anno. La crescita deiprogrammi continua, così come aumenta l’interesse deipartner esteri per il sistema elvetico di formazione pro-fessionale o per avviare una collaborazione con la DSC.

Secondo me, la Svizzera ha il miglior sistema di forma-zione professionale al mondo. Il nostro modello unisceistruzione scolastica e pratica professionale e i datori dilavoro devono assumersi le loro responsabilità nei con-fronti dei giovani, evitando così una scollatura traazienda e scuola professionale. In molti Paesi europei,le formazioni professionali scolastiche non sono con-correnziali. Anzi, la maggior parte degli Stati non ha unaformazione professionale degna di questo nome. Laloro forza lavoro è essenzialmente composta di profes-sionisti che hanno seguito un percorso accademico odi personale semi-qualificato o non qualificato.

In primavera, ho visitato un enorme capannone di unafabbrica di pelletteria nel Sud-est asiatico, dove centi-naia di operaie tagliavano pezzi di cuoio, lavorando inun baccano infernale. La loro competenza professio-nale si limita ad alcuni gesti per garantire il buon fun-zionamento della macchina. Nessuno è interessato ainvestire nel capitale umano. Tale disinteresse si riper-cuote negativamente sia sulle lavoratrici, sia sullo svi-luppo economico. Infatti, chi viene formato in aziendaimpara molto di più; sa come relazionarsi con i clienti,apprende a integrarsi in una squadra, a pensare e agiremantenendo una visione d’insieme. È un approccio chefavorisce l’autonomia, promuove la creazione di piccoleimprese e di nuovi posti di lavoro.

I programmi svizzeri di formazione professionale hannosuccesso quando si basano sulle esperienze maturatecon il sistema duale, considerando nello stesso tempole circostanze locali. Non si tratta di esportare un mo-dello o una soluzione isolata, impiantandola nel Paesebeneficiario. Il nostro sistema di formazione professio-nale vanta una lunga tradizione che all’estero spessomanca. Non basta creare nuovi posti di apprendistato.Serve un approccio diverso e un nuovo modo di pen-sare nel mondo del lavoro.

In molti Paesi, la formazione professionale non godeuna buona reputazione e spesso è considerata comeuna soluzione di ripiego per chi non ha avuto successoa scuola. È difficile trovare posti di apprendistato validie bravi formatori. Inoltre, in mancanza di diplomi rico-nosciuti, i percorsi di formazione professionale di basefanno fatica ad affermarsi. È qui che interviene la DSC,collaborando con le agenzie di sviluppo estere che per-seguono obiettivi analoghi.

La crisi economica e l’elevata disoccupazione giovanilein Europa hanno risvegliato l’interesse nei confronti delsistema di formazione professionale svizzero. Dovreb-be essere un segnale importante anche per noi e un av-vertimento a non puntare sulla formazione accademicaa scapito di quella pratica, ma a concentrarci sul si-stema di formazione duale. Solo così possiamo esseresicuri che un giorno non ci ritroveremo seduti sulla pol-trona di un parrucchiere che conosce perfettamente lacomposizione dei nostri capelli, ma non è in grado difare un’acconciatura decente.

Martin DahindenDirettore DSC

(Traduzione dal tedesco)

Editoriale

Il successo senza tempo del sistema dualeDSC

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Michael Zum

stein/VU/laif

Frank Zimmermann

Deportivo

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Periscopio

«Il prodotto finale è acqua pu-lita, migliore di quella che escedai rubinetti». www.deportivo.se

Brigate per l’irrigazione( jls) Da alcuni anni, il BurkinaFaso conosce periodi di siccitàdurante la stagione delle piogge.Questo cambiamento climaticocausa importanti perdite al rac-colto. Il Paese è ricco di fiumi elaghi che non sono però sfrut-tati in maniera sufficiente daicontadini per bagnare le colture.Per rafforzare la sicurezza ali-mentare, il Ministero dell’agri-coltura ha deciso di dispiegare351 cosiddette brigate volantiper l’irrigazione. Ogni squadra è composta di un triciclo, unamotopompa munita di un tuboe un autista che fa anche dameccanico. Prima d’intervenire,verifica la presenza di uno spec-chio d’acqua, una diga, unfiume o un bacino in prossimitàdel campo da irrigare. Il serviziodella brigata costa 30 franchiCFA (5 centesimi svizzeri) perchilometro e 2000 franchi CFA(3,75 franchi svizzeri) per ogniettaro irrigato. Questo denaroserve per la manutenzione e lariparazione dell’attrezzatura.Nella fase pilota, avviata loscorso luglio, trenta comunihanno usufruito di questo servi-zio. Alla fine, tutti gli 8000 vil-laggi del Paese avranno presoparte al progetto e l’iniziativaavrà creato 16000 nuovi postidi lavoro nel mondo rurale. www.ips.org/fr (chiave di ricerca:brigades)

Rischi maggiori per ragazze madri(bf ) Anche se il fenomeno del matrimonio di bambininel mondo è diminuito, il numero di ragazze di età infe-riore ai 18 anni date in moglie è ancora enorme. Standoalle Nazioni Unite, sono 60 milioni ogni anno. Uno stu-dio condotto da due medici, Anita Raj e Ulrike Boehmedell’University of California di San Diego, in oltre 97 Stati, evidenzia che nei Paesi in cui le ragazze sisposano prima dei 18 anni, il tasso di mortalità dellemadri e dei neonati è sette volte maggiore che altrove.Al contempo, la ricerca dimostra che nelle regioni in cui vivono le ragazze madri, spesso le cure medico-sanitarie sono insufficienti. La situazione peggiora ulte-riormente nelle aree rurali di un Paese povero. «I rischi per madre e figlio aumentano se la mamma è moltogiovane e se l’assistenza sanitaria è scadente», affermaAnita Raj. www.ucsd.edu (chiave di ricerca: Girl child marriage)

Mosche nutrienti (gn) Le mosche salvano ilmondo. È questa la visione diJason Drew. In futuro, le larve dimosche saranno trasformate inmangime per animali, comesurrogato della soia e della fa-

rina di pesce. Una simile solu-zione occupa poco terreno chepuò quindi essere usato per laproduzione di derrate alimen-tari per la popolazione. L’azien-da sudafricana AgriProtein è frale pioniere nel settore della fab-

bricazione di proteine ricavateda insetti. Con il proprio si-stema, studiato per la produ-zione di larve di mosche, ognimese fa nascere 100 tonnellate di larve, da cui si generano 24,5tonnellate di mangime. In unagabbia di circa 100 metri cubi,l’azienda alleva un milione dimosche, nutrite con rifiuti orga-nici. Ogni mosca depone circa1000 uova, che per 17 giornivengono alimentate con sangueproveniente da rifiuti di ma-cello. Appena escono dall’uovo,le larve sono sottoposte a unprocesso di essicazione e lavora-zione per trasformarle in fiocchiproteici per animali. In futuro,Drew vorrebbe mettere a dispo-sizione dei piccoli agricoltoriimpianti analoghi, ma di dimen-sioni più piccole, affinché pos-sano produrre da soli il foraggioper il bestiame. www.agriprotein.com

Il sudore diventa acqua (bf ) Il fondo delle NazioniUnite per l’infanzia ha svilup-pato, in cooperazione con uningegnere svedese, un apparec-chio che con una soluzionecreativa dovrà contribuire acontrastare la penuria d’acquapotabile. La macchina denomi-nata «Sweat Machine» trasformail sudore, depositatosi sugli in-dumenti, in acqua potabile.L’elemento centrale del conge-gno è un meccanismo inventatorecentemente in collaborazionecon il Royal Institute of Techno-logy per il trattamento delle acque reflue in Svezia. La tec-nologia utilizzata è quella delladistillazione a membrana. In unamacchina simile a una lavatrice,gli indumenti vengono «filtrati»per estrarre le molecole d’acquache contengono. «Utilizziamouna sostanza permeabile solo al vapore, come il materialeGoretex, ma non ai batteri, aisali o alle fibre tessili», spiegal’ingegnere Andreas Hammar.

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Ushahidi

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Disegno di Jean Augagneur

Tecnologia made in Africa(gn) Ne ha fatta di strada daquando è stata fondata nel 2008,la piattaforma internet africanaUshahidi. Tuttavia, i programma-tori e gli utenti sono sempre ancora confrontati con la pocastabilità della rete e con le inter-ruzioni di corrente elettrica.

Ora, l’organizzazione non profit,con sede a Nairobi, ha svilup-pato un proprio programma:BRCK Ushahidi. Si tratta di unmodem che dovrebbe rispon-dere meglio alle esigenze deiPaesi in via di sviluppo, in parti-colare in Africa. In caso di insta-bilità della rete, il modem –

come uno smartphone – cercaautomaticamente altri collega-menti, scegliendo fra ethernet,wireless e connessioni 3G/4G.Una batteria interna permette di superare le interruzioni mo-mentanee di corrente. Per le re-gioni particolarmente remote,BRCK dispone di un’antennaspeciale che potenzia il segnaledelle antenne di telefonia mobile.www.ushahidi.com

I miliardi persi dell’Africa (bf ) Negli ultimi 30 anni,l’Africa ha perso quasi 1400 miliardi di dollari a causa deitrasferimenti illegali di capitale.È una cifra che supera la sommadei contributi versati dall’aiutoallo sviluppo al continente.Questo è il risultato cui è giuntala Banca africana per lo sviluppoin uno studio condotto insieme

all’organizzazione statunitenseGlobal Financial Integrity (GFI).In questi «fondi neri» conflui-scono, fra l’altro, mezzi detrattiillecitamente dal ricavato delleesportazioni di materie prime,come pure i proventi dell’eva-sione fiscale di capitali trasferitiall’estero o soldi clandestini pro-venienti da pagamenti di busta-relle o frutto di altre attività cri-minose. In cima alla classifica deiPaesi africani più permeabili cisono Stati ricchi di materieprime, quali la Nigeria. Negliultimi trent’anni, questo Stato haperso 250 miliardi di dollari, ilSudafrica 170 miliardi e l’Egitto130 miliardi. www.gfintegrity.org (chiave di ricerca: Illicit Financial Flows)

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DOSSIER

Un passaporto per ilmercato occupazionaleDopo essere stata quasi dimenticata per vent’anni, la forma-zione professionale è ritornata nuovamente al centro delle at-tività dello sviluppo per fronteggiare l’elevato tasso di disoc-cupazione giovanile. Con l’aiuto di donatori, i governi del Sude dell’Est stanno cercando di migliorare i loro sistemi di ap-prendistato, troppo teorici e lontani dai bisogni del mercato dellavoro. Di Jane-Lise Schneeberger.

La cooperazione allo sviluppo è stata molto attivanel campo dell’istruzione e della formazione tecni-ca e professionale (IFTP) fino ai primi anni Novanta,diminuendo in seguito il suo impegno in questo set-tore e orientandolo maggiormente alla scolarizza-zione dei bambini della scuola elementare. La Co-

munità internazionale aveva posto l’educazione dibase fra gli obiettivi prioritari per sconfiggere l’a-nalfabetismo. Grazie agli sforzi profusi a livello mon-diale, tra il 1991 e il 2011 il tasso di scolarizzazioneè passato dall’80 al 90 per cento nei Paesi in via disviluppo. Tuttavia, leggere, scrivere e far di conto,

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Sven Torfinn/laif

Nick Hannes/Reporters/laif

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Formazione professionale

Le possibilità di trovare un posto di lavoro e di guadagnare a sufficienza per vivere in maniera dignitosa sono maggioriin Tanzania, India o altrove se si assolve una formazione professionale e si acquisiscono le necessarie competenze.

pur rimanendo competenze indispensabili, non sonopiù sufficienti per accedere al mercato del lavoro.Questa constatazione ha contribuito negli ultimianni a rinnovare l’interesse per l’IFTP. Alla luce delpreoccupante aumento della disoccupazione giova-nile, i governi del Sud e dell’Est e i donatori si sonoresi conto che urgono investimenti tesi a migliora-re i sistemi di formazione esistenti. Gli adolescentidevono avere la possibilità di acquisire competenzeprofessionali fondamentali per non essere condan-nati all’inattività o a impieghi precari e mal pagati.

E se l’agricoltura fosse redditizia?Uno dei problemi è la carenza di offerte formative,soprattutto nei Paesi più poveri. In Niger, ad esem-pio, i centri di formazione professionale ammetto-no soltanto 15000 studenti all’anno, mentre 1,5 mi-lioni di giovani tra i 13 e i 19 anni non vanno a scuo-la e non hanno un lavoro. «Significa abbandonare ase stessi il 99 per cento dei ragazzi», afferma il rap-presentante di Swisscontact a Niamey Jean-Michel

Limat.Oltretutto, nessuno dei percorsi formativi èincentrato sulle professioni agricole, sebbene l’84 percento della popolazione nigerina viva in zone rura-li. Swisscontact ha dunque promosso un apprendi-stato di otto mesi che include lezioni pratiche incampagna e l’accompagnamento di ogni parteci-pante nella sua azienda agricola. «I giovani evitanol’agricoltura perché non frutta quasi nulla», osservaLimat. «Per incoraggiarli a coltivare i campi di fa-miglia insegniamo loro tecniche grazie alle quali èpossibile migliorare la produttività e, di riflesso, il red-dito».

Squilibrio tra formazione e mercatoNella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo l’a-gricoltura non gode molta considerazione e nem-meno le professioni artigianali suscitano grande en-tusiasmo. «Di solito, i giovani svolgono una forma-zione professionale solo se non hanno alternativeperché la ritengono un vicolo cieco», spiega SimonJunker, responsabile per la formazione professiona-

Triplice bagaglio L’UNESCO ha definito letre competenze di baseche ogni giovane deve ac-quisire: la lettura, la scrit-tura e il calcolo. Queste ul-time si apprendono, disolito, a scuola e sono fon-damentali per proseguire laformazione. Le compe-tenze trasferibili sono utilinella maggior parte delleprofessioni e sono moltoapprezzate dai datori di la-voro. Includono la capacitàdi risolvere problemi impre-visti, la comunicativa, lacreatività, la deontologiaprofessionale e lo spiritod’iniziativa. Queste abilitàsi acquisiscono principal-mente al di fuori del si-stema scolastico, ma sipossono anche appren-dere durante l’istruzionesecondaria o il tirocinio inimpresa.

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Bettina Jenny/Helvetas Swiss Intercooperation

Swisscontact

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le presso la DSC. Per rivalutare l’IFTP è importan-te creare percorsi che sappiano offrire prospettived’impiego e permettano l’accesso verso altri livellidel sistema formativo. L’impopolarità delle professioni manuali è promos-sa anche dai sistemi di formazione inadeguati. «Mol-te scuole tecniche hanno perso ogni relazione conil mondo del lavoro e dispensano una formazionepuramente teorica», spiega Markus Maurer, docen-te presso l’Alta scuola pedagogica di Zurigo. «Diconseguenza, le competenze che trasmettono nonsoddisfano i bisogni dell’economia.

Replicare il sistema svizzeroIn materia di formazione di base, Svizzera e Ger-mania dispongono di un sistema estremamente ef-ficace che combina formazione pratica in aziendae istruzione teorica. Questo modello è detto «dua-le» e contribuisce al basso tasso di disoccupazionenei due Paesi. Parte della classe politica e delle au-torità invita a esportarlo negli Stati del Sud e del-l’Est per aiutarli a risolvere la crisi dell’occupazionegiovanile.Attiva in seno all’IFTP da oltre cinquant’anni, laDSC si ispira ai principi che hanno garantito il suc-cesso del modello duale, come l’abbinamento trateoria e pratica e la stretta collaborazione tra gover-no e settore privato. «Cerchiamo di prendere que-sti elementi chiave e adattarli alle strutture esistentinei Paesi partner», spiega Simon Junker. «Solita-mente le condizioni locali non permettono di ri-produrre in maniera uguale il complesso sistema elvetico». Di recente, la Fondazione Bertelsmann ha

La Svizzera sostiene in vari Paesi in via di sviluppo progetti di formazione professionale che uniscono pratica e teoria, peresempio in Guatemala nel settore agricolo o in Nigeria in quello della meccanica.

incaricato un esperto tedesco di analizzare la situa-zione. Quest’ultimo è giunto alla conclusione chenon è possibile trasferire integralmente un sistema.In passato si è tentato più volte di trapiantare mo-delli duali. Le esperienze non sono state molto in-coraggianti.

Valore aggiunto dell’apprendistatoNemmeno l’adozione di singoli elementi del mo-dello duale è scontata, come la partecipazione delsettore privato. Secondo Markus Maurer, proprioquest’ultima è essenziale per il successo di un siste-

Modello duale svizzeroL’apprendistato duale prati-cato in Svizzera affonda lesue radici nelle corporazioniartigiane del Medioevo.Oggi, questo sistema èadottato da 250 indirizziformativi. La formazione dibase dura da tre a quattroanni, al termine della qualeè possibile conseguire unattestato federale di capa-cità. L’apprendista lavorapresso un’impresa e fre-quenta una scuola profes-sionale per uno o due giornialla settimana. Questo mo-dello si basa su una strettacollaborazione tra Stato emondo del lavoro. Le asso-ciazioni professionali defini-scono i contenuti della for-mazione e le procedure diqualificazione. Le aziendeoffrono posti di tirocinio. ICantoni sono responsabiliper le scuole professionali.La Confederazione ricono-sce i piani di studio, conva-lida i diplomi e garantisce laqualità del sistema.

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Dopo aver seguito una breve formazione professionale, questi due giovani hanno aperto un negozio di apparecchi elettro-nici in Nepal.

ma. Le imprese devono prendere parte all’interoprocesso formativo: dall’elaborazione dei piani distudio alla certificazione, passando per l’organizza-zione di stage pratici e il finanziamento. «Purtrop-po siamo ancora ben lontani da questo obiettivo.In molti Paesi in via di sviluppo, lo Stato e il setto-re privato non comunicano», deplora Maurer.I datori di lavoro guardano generalmente con scet-ticismo all’IFTP. Secondo Johann-Peter Porten, consulente per la formazione professionale pressoHelvetas Swiss Intercooperation, questi ultimi non necomprendono il valore aggiunto. «La maggior par-te delle imprese non produce beni d’alta tecnolo-gia, ma prodotti relativamente semplici e pertantonon sente il bisogno di assumere personale qualifi-cato. Dobbiamo far capire a queste aziende che conlavoratori specializzati potrebbero fabbricare pro-dotti migliori, aumentando così gli utili».

Seconda opportunità Le possibilità di accedere alla formazione profes-sionale non sono uguali per tutti. Milioni di giova-ni delle classi sociali svantaggiate hanno abbando-nato prematuramente la scuola o non l’hanno maifrequentata. Visto che non hanno acquisito le com-petenze di base, questi ultimi non sono ammessi agliistituti tecnici o alle scuole professionali. Per que-sto motivo è necessario trovare soluzioni alternati-ve per favorire il loro accesso all’apprendistato.Alcuni Stati e ONG hanno iniziato ad attuare «pro-grammi per una seconda opportunità», destinati aigiovani descolarizzati. Tale approccio innovativocombina la formazione professionale con corsi di alfabetizzazione e d’acquisizione di competenze.

Un’altra strategia intende dare una struttura agli ap-prendistati tradizionali. Molto diffuse in determina-te regioni dell’Africa e dell’Asia, queste formazio-ni di base non sono regolamentate né ufficialmen-te riconosciute e la loro durata è appannaggio deldatore di lavoro. Talvolta i genitori devono perfinopagare l’artigiano affinché prenda il figlio nella suabottega. Per molti giovani che hanno abbandona-to prematuramente la scuola, questa è l’unica pos-sibilità per imparare un mestiere. Dalla metà del XXsecolo, diversi Paesi africani tentano di colmare lelacune nella formazione professionale cercando ditrasformarla in un sistema di tipo duale.

Formare apprendisti in breve tempoChe abbiano concluso o meno la scuola elementa-re, molti giovani e adulti non possono seguire unaformazione di tre o quattro anni. Le offerte brevisono più adatte alla loro situazione economica. I be-neficiari possono aumentare rapidamente il lororeddito esercitando una piccola attività, solitamen-te autonoma, a volte a domicilio. «Anche se non fan-no crescere la produttività dell’economia naziona-le, questi programmi migliorano la situazione deipiù poveri. Credo sia lo scopo principale della for-mazione professionale», afferma Simon Junker.In Nepal, il Fondo per l’occupazione – alimentatoanche dalla DSC – finanzia apprendistati della durata da uno a tre mesi per giovani svantaggiati.Questi ultimi hanno l’opportunità di acquisire al-cune nozioni di base dell’elettricista, del muratore,del parrucchiere o del ciabattino. Le imprese for-matrici ottengono parte del compenso al terminedell’apprendistato. Per ricevere il resto devono ri-

Formazione professionale

Finanziamento tramiteuna cassa comuneLe ristrettezze budgettariedei Paesi in via di sviluppoed emergenti non consen-tono di finanziare autono-mamente l’estensione deisistemi di tirocinio. Negli ultimi dieci anni, 53 Statihanno istituito un fondo per la formazione profes-sionale, uno strumento checonsente di mobilitare an-che altre fonti di finanzia-mento. Per esempio, le im-prese del settore privatoformale alimentano questocapitale attraverso un pre-lievo sulla massa salariale. I donatori bilaterali e multi-laterali integrano i contributidegli attori pubblici e privatinazionali. Gestiti dai go-verni, che decidono sullaloro ripartizione, questimezzi finanziari permettonodi offrire delle formazioni aigruppi di popolazionesvantaggiati.

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Bettina Jenny/Helvetas Swiss Intercooperation (2)

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In Nepal, giovani svantaggiati hanno la possibilità di acquisire competenze di base in vari mestieri, per esempio nei set-tori professionali della tessitura o della lavorazione della lana.

uscire a collocare i partecipanti nel mercato del lavoro. «Grazie a questo sistema di finanziamento, basato sui risultati, volevamo dimostrare che non èsolo possibile formare molti giovani in breve tem-po, ma anche aiutarli a trovare un impiego o ad avviare un’attività autonoma», spiega Bettina Jenny,responsabile per la formazione professionale e l’is-truzione di base presso Helvetas Swiss Intercoopera-tion. Una scommessa vinta: 16000 persone vengo-no formate ogni anno e dopo qualche mese l’80per cento guadagna già a sufficienza per vivere inmaniera dignitosa.

Meno vulnerabili e meglio retribuitiNell’ambito dello stesso programma, un progettopilota si rivolge ai migranti che partono alla voltadei Paesi del Golfo. I risultati sono incoraggianti:dopo una breve formazione in determinate tecni-che edilizie, come il montaggio di ponteggi o laposa di casseforme, questi lavoratori riescono a gua-dagnare il 30 per cento in più e sono meno vulne-rabili, poiché parallelamente alla formazione ven-gono informati sui loro diritti. «I datori di lavorodel Golfo vengono a cercare soprattutto manodo-pera a buon mercato, dunque non qualificata. Han-no però anche bisogno di lavoratori semi-qualifi-cati. Per soddisfare questa richiesta il Nepal deveampliare la propria offerta formativa», spiega Bar-bara Weyermann dell’Ufficio della cooperazionesvizzera a Katmandu. La migrazione professionale è in costante aumen-

to a livello mondiale. Questa maggiore mobilità solleva non pochi interrogativi circa il ruolo dellacooperazione nei Paesi poveri esportatori di ma-nodopera. Non è forse inutile formare persone cheandranno a lavorare all’estero? Secondo Beata Godenzi, responsabile del Programma globale Migrazione e sviluppo della DSC, l’impegno dellacooperazione in questo ambito è, invece, fonda-mentale: «Idealmente, la formazione facilita l’accessoal mercato del lavoro locale. Tuttavia, dobbiamo anche essere realisti. Se queste persone non hannoalcuna prospettiva d’impiego a casa, emigreranno,che ci piaccia o no. Noi dobbiamo fare in modoche la migrazione avvenga nelle migliori condizionipossibili, affinché gli operari – ma anche i Paesi d’o-rigine e di destinazione – ne traggano il massimobeneficio». Si tratta, quindi, di proporre formazio-ni tecniche che rispondano ai bisogni dei mercatiesteri. Nel contempo, i migranti devono essere informati sui loro diritti, sulle procedure di assun-zione, sui rischi e sulla situazione che incontreran-no nel Paese di accoglienza. ■

(Traduzione dal francese)

Formazione professio-nale dopo il 2015 L’istruzione elementareuniversale è il fulcro delmovimento globale«Educazione per tutti», lan-ciato nel 1990, ed è unodegli Obiettivi di sviluppodel millennio (OSM), adot-tati nel 2000. Anche sesono stati compiuti pro-gressi significativi, oggisono ancora molti i bam-bini non scolarizzati o chehanno abbandonato pre-maturamente la scuola.Allo scadere degli OSM nel2015, la Comunità interna-zionale continuerà i suoisforzi. Il gruppo di esperti,incaricato dalle NazioniUnite di elaborare il pro-gramma di sviluppo futuro,propone di estendere l’im-pegno aggiungendo duenuovi obiettivi: garantirel’accesso all’istruzione se-condaria e aumentare ilnumero di giovani e adultiin possesso delle compe-tenze – anche tecniche eprofessionali – necessarieper lavorare.

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( jls) In Albania, il mercato del lavoro soffre di ungrave squilibrio. Il 14 per cento della popolazioneattiva è disoccupata, tra i giovani il tasso è addirit-tura del 24 per cento. È una situazione che generaun’offerta sovrabbondante di manodopera a frontedi una domanda ancora molto limitata, giacché ilsettore privato cresce solo lentamente e genera po-chi impieghi. Paradossalmente, le aziende faticanoa trovare personale per i rari posti di lavoro che of-frono, visto che non ci sono candidati qualificati.Le cause di questa contraddizione vanno ricercatenel sistema di formazione professionale. Quest’ul-timo non risponde ai bisogni dell’economia dimercato ed è improntato su un insegnamento pu-ramente teorico. Il governo cerca di reagire riorga-nizzando l’intero apparato.

In sintonia con il mercato del lavoroLa DSC accompagna questo processo di riformanazionale dal 2007. In collaborazione con Swiss-contact, sostiene la modernizzazione e la riorga-nizzazione di 17 scuole professionali pubbliche sul-le quaranta presenti nel Paese. Si tratta di elaborarenuovi piani di studio per la ventina di professioniinsegnate, sviluppare materiale didattico e riquali-ficare gli insegnanti. I nuovi programmi sono in-centrati sulle competenze richieste dal mercato dellavoro e danno ampio spazio alla pratica.

Nei settori tecnici, come il riscaldamento, gli im-pianti idraulici, le installazioni sanitarie o l’infor-matica, la formazione dura da tre a quattro anni eil lavoro pratico si svolge all’interno della scuola.«Questi moduli di formazione accolgono oltre unmigliaio di studenti ogni anno. Sarebbe impossibi-le trovare un posto in un’impresa per tutti. La par-tecipazione alla formazione di base da parte del set-tore privato è ancora molto frammentaria», spiegaSilvana Mjeda dell’Ufficio della cooperazione sviz-zera a Tirana. Per le parrucchiere e i panettieri, in-vece, settori nei quali gli apprendisti sono decisa-mente meno numerosi, i partenariati pubblico-pri-vato hanno permesso di sviluppare un concetto diformazione molto vicino al modello duale.«Il nostro progetto ha un notevole impatto sul tas-so di occupazione dei giovani», spiega Silvana Mje-da. Secondo le stime, il 70 per cento degli studen-ti formati nelle scuole che beneficiano degli aiutielvetici trova un impiego, mentre la media nazio-nale non supera il 20 per cento. «Le prospettive diuno sbocco professionale ha restituito a questi isti-tuti l’attrattiva persa nel corso degli ultimi vent’an-ni». ■

(Traduzione dal francese)

Svolta dell’apprendistato in AlbaniaConfrontata con una massiccia disoccupazione giovanile, l’Albania è chiamata a riformare integralmente un sistema di formazione professionale retaggio dell’epoca comunista. LaSvizzera sostiene le autorità nell’aggiornamento di 17 scuoleprofessionali, affinché l’insegnamento sia più pratico e rispon-da maggiormente ai bisogni del settore privato.

Creazione di posti dilavoro a livello localeMigliorare le competenzeprofessionali non è suffi-ciente. La DSC affronta oral’aspetto della domanda,ancora troppo debole inAlbania. A tale scopo cofi-nanzia un progetto delProgramma di sviluppodelle Nazioni Unite impron-tato sulla lotta alla disoc-cupazione giovanile e chepromuove la creazione di posti di lavoro a livellolocale. In tre distrettidell’Albania nord-orientalevengono creati cosiddettipatti territoriali per l’occu-pazione (PTO). In questi ultimi si riuniscono tutti gliattori, sia pubblici che pri-vati, che hanno voce in capitolo sul mercato del lavoro regionale. Insieme,essi identificano i problemilegati alla disoccupazione,cercano soluzioni e adot-tano le misure necessarie.È la prima volta che inAlbania si ricorre al mecca-nismo dei PTO, sviluppatodalla Commissione euro-pea nel 1996.

In Albania, la formazioneprofessionale rispondesempre più ai bisogni delmondo del lavoro, peresempio, per l’istallazionedi pannelli solari. D

SC

Formazione professionale

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Un solo mondo n.4 / Dicembre 201312

( jls) L’agricoltura e l’artigianato, principali datoridi lavoro in Burkina Faso, soffrono di una grave ca-renza di manodopera qualificata. Le opportunità diformazione in questi settori informali sono moltolimitate. Le tecniche agricole sono tramandate dipadre in figlio. Il settore dell’artigianato si basa sul-l’apprendimento sul campo: i giovani lavorano nellaboratorio di un mastro artigiano e imparano ilmestiere imitando i suoi gesti. Questa formazionerudimentale non dà diritto a un diploma ufficiale.Inoltre, la durata è decisa dal datore di lavoro, cheattende talvolta cinque, sette, anche dieci anni pri-ma di «liberare» il suo apprendista. Stando alle sti-me, in questo momento dai due ai tre milioni digiovani seguono questo tipo di tirocinio nel Pae-se, la maggioranza senza aver frequentato la scuolao con alle spalle solo qualche anno di istruzione.

Pasti assicurati, ma non il salarioNel 2006, la DSC ha avviato un progetto impron-tato sulla riorganizzazione e sull’aggiornamento diquesto modello di apprendistato. «Questi giovanidevono acquisire le competenze richieste dal mer-cato e imparare a gestire una piccola impresa persopravvivere economicamente quando si mette-ranno in proprio. Inoltre, è importante che la loroformazione sia riconosciuta e certificata», spiegaAmbroise Tapsoba dell’Ufficio della cooperazionesvizzera a Ouagadougou.La DSC sostiene le federazioni mantello di artigiania sviluppare moduli di formazione pratica duale incinque regioni. Il progetto è cominciato nel Gul-mu, nella regione orientale del Paese. In collabo-razione con le autorità locali e nazionali, l’Unio-ne degli artigiani del Gulmu ha organizzato la formazione per sette professioni: meccanica, car-penteria metallica e del legno, parruccheria, sarto-ria, tessitura e trasformazione agroalimentare. Nel-le altre regioni, il sistema è meno sviluppato e gliartigiani si concentrano per il momento su due-tre percorsi formativi.Il tirocinio ha una durata di due o tre anni. La set-

timana prevede quattro giorni di lavoro pratico inun atelier e due giorni di corsi teorici impartitinelle aziende che hanno a disposizione locali suf-ficientemente ampi. Gli insegnanti sono artigianid’esperienza, le cui conoscenze sono state certifi-cate dall’organizzazione mantello regionale, e chehanno assolto una formazione metodologica. Anche se ispirato al modello duale svizzero, que-sto sistema si differenzia in modo significativo. Larelazione tra datore di lavoro e apprendista non sibasa su un contratto, ma su trattative condotte coni genitori. «Il mastro artigiano assolve una sorta di missione sociale. Si impegna a nutrire il giovane ea impartirgli un’educazione civica. La rimunera-zione non è fissa, ma dipende dalla redditività dell’apprendista», spiega Ambroise Tapsoba. Il progetto organizza anche corsi di alfabetizzazio-ne per tirocinanti e formatori. L’obiettivo è di evi-tare che le lacune in lettura e scrittura siano di osta-colo alla trasmissione del sapere.

Ventaglio di professioni sempre più ampio1500 apprendisti – di cui il 30 per cento ragazze –saranno formati quest’anno nelle cinque regioni delprogetto. Il meccanismo continua a svilupparsi ed

L’unione fa la forzaA cavallo tra il XX e XXI se-colo, la DSC ha sostenutoil settore dell’artigianato delBurkina Faso affinché si or-ganizzasse per tutelare ipropri interessi, in partico-lare nei confronti delloStato e dei donatori. Daquesto impegno inizialesono sorte alcune organiz-zazioni mantello regionali enazionali, come laFederazione nazionale de-gli artigiani del BurkinaFaso e la Federazione na-zionale delle organizzazionicontadine. Dopo aver con-solidato le loro basi, que-ste ultime hanno definito gliambiti nei quali gli investi-menti erano più urgenti. Il settore dell’artigianato èstato il primo a elaborarepercorsi di formazione pro-fessionale di base mo-derni. Nel mondo ruralequesto processo è piùlento: solo ora si inizia aideare forme di apprendi-stato adeguate.

Burkina Faso, modello duale su misuraLe competenze acquisite con un tirocinio pratico non sono sufficienti per avere reali opportunità sul mercato del lavoro inBurkina Faso. Con il sostegno della DSC, le organizzazioni diartigiani stanno riorganizzando e rinnovando il proprio sistemaformativo. Entro breve, una ventina di professioni avrà a dispo-sizione nuovi percorsi che uniscono teoria e pratica.

DSC (2)

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entro il 2014 il numero dei giovani in formazionesarà raddoppiato. Per ora, lo Stato ha riconosciutodieci percorsi modello delle 110 professioni arti-gianali presenti in Burkina Faso. Senza questi documenti, che ufficializzano gli obiettivi dellaformazione, l’istruzione non può iniziare. Gli arti-giani stanno perciò elaborando altri moduli, in particolare per gli impianti idraulici e la tessitura,che dovranno essere approvati dallo Stato. Si pre-vede che entro il 2016 saranno disponibili una ventina di iter formativi.Al termine della formazione, l’apprendista si pre-senta all’esame statale di verifica delle competen-ze per ottenere un certificato di qualifica profes-sionale (CQP). Rilasciato dal 2006 dallo Stato, que-sto diploma facilita notevolmente l’inserimentodel giovane sul mercato del lavoro. «Di solito, i diplomati non hanno difficoltà a trovare clienti,perché hanno acquisito buone capacità tecniche esanno gestire una bottega», conferma AmbroiseTapsoba.Il tirocinio di tipo duale apre buone prospettive anche sul piano finanziario. Il titolare di un CQPguadagna fino al 40 per cento in più rispetto agli

altri artigiani. Offre pure una gamma più ampia di prestazioni. Dopo la formazione, un meccanico èin grado, per esempio, di riparare una moto o unavettura con molti componenti elettronici. I colle-ghi formati sul campo sono disarmati dinanzi aiveicoli moderni. La DSC assume parte dei costi di formazione e siaccolla l’acquisto del materiale didattico. Il suo con-tributo non perviene direttamente alle associazio-ni di artigiani che gestiscono il progetto. La DSCversa il suo aiuto finanziario nel Fondo di soste-gno alla formazione professionale e all’apprendi-stato (FALPA), una cassa alimentata dal governo delBurkina Faso e da diversi donatori, che in seguitotrasmette i contributi agli artigiani. Il trasferimen-to degli aiuti tramite una struttura statale garanti-sce la continuità del sistema una volta concluso ilprogetto nel 2016. ■

(Traduzione dal francese)

Aratri e banchiIl governo del Burkina Fasoaffida un numero semprepiù crescente di appaltipubblici ad artigiani locali.Questa evoluzione accre-sce la necessità di miglio-rare le competenze profes-sionali del settore. Loscorso anno, il Ministerodell’agricoltura ha deman-dato agli artigiani la fabbri-cazione di 100000 aratri incinque anni, per un totaledi 4 miliardi di franchi CFA (7,5 milioni di franchisvizzeri). In dicembre, ilMinistero dell’educazioneha stanziato 1,8 miliardi diFCFA (3,4 milioni di CHF)per la produzione di 50000 banchi di scuolacon panca. Questi contrattivengono stipulati con laCamera dei mestieri e del-l’artigianato, che poi lanciala gara d’appalto fra gli artigiani.

In Burkina Faso, il progetto iniziato nel 2006 e volto a migliorare l’organizzazione e la formazione professionale dà i primifrutti. I giovani diplomati trovano con una certa facilità un buon posto di lavoro oppure diventano liberi professionisti.

Formazione professionale

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( jls) In Bangladesh ci sono oltre 2000 fabbriche di calzature. L’industria del cuoio dà lavoro a circa700000 operai. Questo settore in rapida espansio-ne, orientato soprattutto all’esportazione, fa faticaperò a trovare manodopera qualificata. Infatti, i di-pendenti rischiano di danneggiare il materiale e diprodurre articoli di bassa qualità se non sanno ma-neggiare una macchina da cucire o tagliare corret-tamente la pelle. Di fronte a un sistema formativopubblico incapace di rispondere alle sue necessità,l’associazione mantello del settore è passata all’a-zione. Nel 2009, ha creato un Centro di eccellen-za per il cuoio (COEL), incaricando quest’ultimodi elaborare dei moduli di formazione in grado disoddisfare le esigenze delle imprese.

Modello duale in miniaturaCon il sostegno della DSC, il COEL ha sviluppa-to un sistema di tirocinio sul posto di lavoro. Al pro-getto pilota prendono parte undici aziende locali edue istituti professionali privati, che formano ope-ratori su vari tipi di macchine, tecnici di manuten-zione e supervisori. Gli apprendisti provengono dacontesti svantaggiati e la quota femminile è del 70per cento.L’apprendistato si svolge esclusivamente nelle ditte

e dura un anno. Nei primi tre mesi, i giovani ac-quisiscono le nozioni di base esercitandosi su mer-ci non destinate alla vendita. In seguito, sono inte-grati nella produzione commerciale. I maestri di ti-rocinio ricevono una formazione teorica e didattica. «Abbiamo creato una forma molto modesta di ap-prendistato duale. Questo sistema non corrispondeall’ideale del modello svizzero, impossibile da ri-produrre qui, ma è una prima assoluta in Bangla-desh», spiega il coordinatore della DSC a Dhaka De-rek Müller. Il governo del Bangladesh non prendeparte alla formazione, ma dovrà definire gli standarde certificare i diplomi.I primi risultati sono rallegranti: la domanda di la-voratori qualificati è talmente grande che al termi-ne dell’apprendistato oltre il 90 per cento dei gio-vani trova un impiego stabile. Il futuro del proget-to è in mano alle aziende. «Se l’industria del cuoioriconoscerà un tornaconto nell’investimento per laformazione, dovrà generalizzare il sistema e assu-mere l’intero finanziamento. Questo modello po-trebbe addirittura fare scuola in altri settori profes-sionali», conclude un fiducioso Derek Müller. ■

(Traduzione dal francese)

Sistema statale non alpasso coi tempiOgni anno, in Bangladeshcirca due milioni di giovanivogliono accedere almondo del lavoro. Il si-stema formativo di questoPaese di 160 milioni di abi-tanti non è però in grado diassorbire una tale quantitàdi persone e inoltre è estre-mamente burocratico, ob-soleto e totalmente scolle-gato dal mercato dellavoro. I neodiplomati non sono impiegabili inazienda. Le offerte di for-mazione private sono inaumento, ma sono a paga-mento e dunque inaccessi-bili ai poveri. Così, alla stra-grande maggioranza dei la-voratori viene negata lapossibilità di un diploma.La carenza di manodoperaqualificata ostacola lo svi-luppo di numerosi settori,frena la crescita economicadel Paese e diminuisce laproduttività delle imprese.

Calzature «made in Bangladesh»Confrontata con un’annosa mancanza di manodopera qualifi-cata, l’industria del cuoio del Bangladesh intende colmare que-sta lacuna promuovendo una propria formazione professiona-le. Con il sostegno della Svizzera sta testando un sistema di tirocinio in impresa, un modello inedito nel Paese, ma che hadato risultati molto incoraggianti.

L’industria del cuoio in Bangladesh ha sviluppato un proprio modello di formazione professionale, visto che quello offertodallo Stato era lacunoso.

DSC

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Bernd Jonkm

anns/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 15

Borhène Chakroun, citta-dino tunisino, ha conse-guito un dottorato in scien-ze dell’educazione pressol’Università di Borgogna euna laurea in ingegneriapresso l’Università tecnicadi San Pietroburgo. Neglianni Novanta ha lavoratocome consulente perl’Unione europea, la Bancamondiale e altre organizza-zioni. Nel 2001 è entrato inservizio presso la Fonda-zione europea per la for-mazione professionale,dove è stato specialistadello sviluppo del capitaleumano e capo di un pro-getto regionale sull’istru-zione e la formazione perl’occupazione. Dal 2010,Borhène Chakroun dirige lasezione UNESCO per l’in-segnamento tecnico e laformazione professionale.

Il sistema deve cambiare La formazione professionale può diventare uno strumento chia-ve dello sviluppo, ma soltanto se viene radicalmente trasfor-mata. Secondo Borhène Chakroun, esperto presso l’UNESCO,occorre migliorare l’accesso a questo tipo di insegnamento emigliorarne la qualità, sia nel settore formale che in quello in-formale. A colloquio con Jane-Lise Schneeberger.

Un solo mondo: Qual è la percentuale di gio-vani che non ha accesso alla formazioneprofessionale nei Paesi in via di sviluppo?Borhène Chakroun: Purtroppo non abbiamodati statistici sufficientemente esatti per quantifi-care le possibilità offerte dalle molteplici forme diistruzione e formazione tecnica e professionale(IFTP). Le cifre disponibili si concentrano sull’in-segnamento secondario nel settore formale. Tutta-via, la stragrande maggioranza degli apprendistatisi svolge in maniera informale sui luoghi di lavo-ro. Il fabbisogno di competenze di giovani e adul-ti è indubbiamente vastissimo. Questo è il motivoper cui i Paesi in via di sviluppo sono chiamati adampliare considerevolmente l’accesso alle forma-zioni. Non si tratta semplicemente di potenziare isistemi esistenti, che per la maggior parte hannoperso qualsiasi relazione con il mondo del lavoro.L’UNESCO raccomanda di trasformare l’IFTP alfine di migliorarne la qualità, l’equità e l’attrattivae renderla un vettore di apprendimento perma-nente.

Lei parla di una trasformazione completa delsistema formativo. Da dove cominciare?

L’IFTP deve tenere conto di vari fenomeni mon-diali accentuatisi negli ultimi anni, cominciando dai cambiamenti della struttura demografica. NeiPaesi in via di sviluppo, la percentuale di giovanicresce rapidamente. La disoccupazione tra 15-24enniè molto preoccupante. Il rapido sviluppo dellenuove tecnologie è un’altra sfida importante: il lorociclo di vita, sempre più breve, ci obbliga ad ag-giornare continuamente le nostre competenze.Inoltre, il fenomeno crescente della migrazione im-pone determinate forme di certificazione e di ri-conoscimento delle qualifiche. Anche le imprese egli impieghi sono sempre più mobili. Infine, la glo-balizzazione ha accentuato le disparità, sia tra i Pae-si sia al loro interno. Se vuole contribuire a unosviluppo sostenibile, l’IFTP deve considerare tuttequeste problematiche.

Concretamente, come si può attenuare il di-vario tra ricchi e poveri?L’unico capitale che i poveri possiedono è il loroknow-how. L’acquisizione di competenze profes-sionali permette loro di trovare un lavoro decoro-so o di avviare un’attività indipendente, per esem-pio, in ambito agricolo. Così, guadagnano di più e

In India, come in altri Paesiin via di sviluppo, il venta-glio di professioni che ledonne possono imparare èmolto ristretto e sono po-che quelle che seguonocorsi di informatica edelettronica.

Formazione professionale

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Nick Hannes/Reporters/laif

vivono meglio. Ma i vantaggi non sono solo fi-nanziari. Attraverso il lavoro, le persone svantaggiatepossono accedere all’assistenza sanitaria, impegnarsia livello civico e avere un ruolo nella comunità, mi-gliorando la loro condizione sociale. La formazio-ne professionale ha un effetto parificante, in parti-colare tra i generi. Una donna che contribuisce albilancio familiare con un reddito proprio godemaggiore considerazione di una donna che di-pende in tutto e per tutto dal marito.

Deve però avere la possibilità di acquisire talicompetenze. Uomini e donne hanno le stes-se opportunità d’accesso alla formazione? Questo è un ulteriore argomento su cui si sta di-scutendo in questo momento. Attualmente, l’IFTPsi declina ancora per lo più al maschile. Le ragaz-ze sono sistematicamente indirizzate verso pocheprofessioni tipicamente femminili, come la sarta ola parrucchiera, anche se non esiste una vera e pro-pria richiesta sul mercato del lavoro. Invece, sonomolto rare nei corsi di elettronica o di informati-ca, benché questi settori offrano prospettive d’im-piego decisamente migliori. I formatori afferma-no che le professioni «femminili» sono le unicheaccettate dai genitori. Se è vero che i pregiudizi so-ciali sono duri a morire, altrettanto vera è la man-canza di servizi di orientamento professionale. Aigiovani dobbiamo fornire informazioni utili sulmercato del lavoro e sulle opportunità che offre,

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201316

I sistemi di formazione professionale hanno successo sol-tanto se si adeguano alla cultura, al livello di formazione eall’ambiente locali.

L’accordo di ShanghaiNel terzo Congresso inter-nazionale sull’istruzione ela formazione tecnica eprofessionale, tenuto aShanghai nel maggio2012, si sono adottatetutta una serie di racco-mandazioni per trasfor-mare l’insegnamento. I governi e le altre parti in-teressate sono invitati a im-piegare le seguenti misure:rendere l’IFTP più perti-nente; migliorarne l’ac-cesso, la qualità e l’equità;adeguare le certificazioni esviluppare i percorsi forma-tivi; migliorare i dati dispo-nibili; rafforzare la buonagestione ed estendere ipartenariati; aumentare gliinvestimenti in questo set-tore e diversificare i finan-ziamenti; sostenere lacausa dell’IFTP.www.unesco.org (chiavi diricerca: Éducation pour leXXIe siècle, Compétencespour le travail et la vie)

affinché abbiano strumenti idonei per scegliere li-beramente il loro percorso professionale.

Dopo la generalizzazione dell’istruzione ele-mentare si arriverà alla formazione profes-sionale per tutti?In quest’ambito il compito è molto più comples-so. A differenza dell’educazione di base, l’IFTP ri-chiede la collaborazione di numerosi attori moltodiversi tra loro. L’istruzione e la formazione tecni-ca e professionale coinvolgono spesso vari mini-steri, le associazioni professionali, le imprese, i sin-dacati, i responsabili delle formazioni pubbliche eprivate, ecc. La buona gestione è parte integrantedel cambiamento di paradigma. Lo Stato, che fi-nora ha avuto un ruolo preponderante, deve lasciarespazio agli altri, deve svolgere un ruolo di cataliz-

zatore e riunire tutti attorno allo stesso tavolo perrealizzare l’ampio partenariato necessario.

Ci sono alcuni modelli di formazione chefunzionano meglio di altri? La ricetta miracolosa non esiste. I sistemi vannoadattati alla realtà locale, alla cultura del Paese e alsuo livello di sviluppo. Abbiamo tentato più voltedi trasferire modelli che funzionavano bene in undeterminato contesto. Il trapianto non funziona.Per esempio, il sistema duale applicato in Svizzerao in Germania funziona bene quando le parti so-ciali svolgono un ruolo chiave a livello di gestio-ne, finanziamento e garanzia di qualità delle for-mazioni. Non è così nei Paesi in via di sviluppo.Dal mio punto di vista, va imitato non il modelloduale in sé, ma i suoi principi fondamentali, ossial’abbinamento tra teoria e pratica e gli stretti lega-mi con il mondo del lavoro. ■

(Traduzione dal francese)

«La formazione professionale ha uneffetto parificante, in

particolare tra i generi».

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4.612.6

7.717.9

6.818.0

3.6

2.5

9.8

2.49.4

13.3

4.813.2

7.629.1

7.223.9

5.911.7

0.0 5.0 10.0 15.0 20.0 25.0 30.0

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 17

Cifre e fatti

Citazioni «Per la maggior parte dei lavoratori poveri nei Paesi in via di svi-luppo, il problema non è la mancanza di lavoro o di ore lavorate.Molti hanno più di un impiego e si danno da fare per molte oreal giorno. Tuttavia, troppo spesso non guadagnano abbastanzaper migliorare la loro esistenza e garantire un avvenire ai figli.Talvolta lavorano anche in condizioni pericolose e senza alcunatutela dei loro diritti fondamentali».Jim Yong Kim, presidente del gruppo della Banca mondiale

Cifre Per assorbire la crescita della popolazione attiva, nei prossimiquindici anni si dovranno creare 600 milioni di nuovi impieghi,soprattutto in Asia e nell’Africa subsahariana.

Nei Paesi in via di sviluppo, i giovani non sono mai stati così numerosi. Nel 2010 hanno superato la soglia del miliardo, pari a un sesto della popolazione mondiale.

123 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni – dei quali il 61 percento è formato da ragazze – non sanno né leggere né scrivere.

Nel 2011, oltre 57 milioni di bambini e 69 milioni di adolescentinon erano scolarizzati.

Nel 2013, i migranti internazionali sono 232 milioni. Le loro rimesse economiche verso i Paesi in via di sviluppo sono statepari a 414 miliardi di dollari.

LinkRapporto mondiale EPT 2012 dell’UNESCO, incentrato sull’educazione al lavoro www.unesco.org (chiave di ricerca: EPT 2012)

World Development Report 2013 – Jobs della Banca mondiale,testo integrale in inglese con sunto in francese www.worldbank.org (Publications, The complete WDR Online)

Dossier sull’istruzione e la formazione tecnica e professionaledell’ UNESCOwww.unesco.org (EFTP, in francese)

Dipartimento delle competenze e dell’impiegabilità pressol’Organizzazione internazionale del lavoro OILwww.ilo.org/skills

Fondazione europea per la formazione professionale, agenziadell’Unione europea www.etf.europa.eu

Rubrica «Formazione professionale» della DSCwww.dsc.admin.ch (temi, sviluppo del settore privato e servizi finanziari, formazione professionale)

Forum svizzero per la formazione professionale e la coopera-zione internazionalewww.fobbiz.ch

Disoccupazione dei giovani e degli adulti nel 2013 (in percentuale)

In numerosi Paesi, la disoccupazione giovanileè tre volte superiore aquella della popolazioneadulta attiva. (fonte:proiezioni OIL)

Adulti

Giovani

Formazione professionale

Mondo

Paesi industrializzati

Europa centrale e sud- orientale (non UE) e CSI

Asia orientale

Sud-est asiatico e Pacifico

America latina e Caraibi

Vicino Oriente

Africa settentrionale

Africa subsahariana

Asia meridionale

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Bruno Morandi/laif

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ORIZZONTI

Niamey, quartiere di Bukoki, 43 gradi. Nonostan-te i raggi cocenti del sole saheliano, Issuf e Ali nonabbandonano la loro postazione all’angolo di duestrade. I loro montoni bali bali ruminano pacifica-mente. I clienti vengono a negoziare il prezzo, in-filando poi i prescelti nel bagagliaio della loro autodopo aver sborsato dai 40000 ai 60000 franchi CFA(75-112 franchi svizzeri) per ogni capo. I due agro-pastori stanziali sono originari di Tilla-béri, città del Niger occidentale. I loro padri eranonomadi. Lo sguardo rivolto al gregge, un bastoneda pastore in mano, seguendo le stagioni trans-umavano di pozzo in lago per offrire alle bestie ilmiglior foraggio. Allora possedevano mucche piut-tosto che ovini e tenevano a questo bestiame comeai loro occhi. «Geno, il Padreterno, prima creò lamucca. Poi creò la donna. E solo dopo i fulani», scri-

ve Tierno Monénembo in Peuls. Il titolo del libro(«Fulani» n.d.t.) si riferisce al gruppo etnico di no-madi che peregrinano dal Golfo di Guinea attra-verso il Niger fino ai confini con il Ciad.

Simbiosi tra uomo e animalePer i pastori nomadi del Niger «il rapporto uomo-animale è una relazione di vita e di morte», affer-ma Boubacar Oumarou, autore di Pasteurs nomadesface à l’État du Niger («Pastori nomadi di fronte alloStato del Niger»). La mucca fornisce latte ed è unoggetto di baratto, ma il suo contributo va oltre l’a-spetto materiale. «Nei rituali, l’animale sgozzatoconvalida il matrimonio, le nascite e il consumo col-lettivo della carne consolida i legami sociali», spie-ga Oumarou, ricercatore presso l’Università di Pa-rigi VIII.

Pastori nomadi dimenticati dallo sviluppo

La sfida futura del Niger è salvare la pastorizia nomade. Il be-stiame al pascolo è periodicamente decimato dalle carestie che investono regolarmente questo Paese molto povero. È una situazione imputabile in parte ai mutamenti climatici, ma so-prattutto all’annoso disinteresse per l’allevamento. Un’attitu-dine che, fortunatamente, sta cambiando. Di Emmanuel Haddad*.

Come Issouf e Ali (nella foto a destra), anche altri pastori abbandonano la vita nomade per diventare braccianti o pascolare le greggi di famiglie ricche.

Il Niger nell’occhio delciclone«Senza sicurezza non c’èsviluppo», dichiarava ilpresidente nigerino loscorso mese di aprile. Unmese dopo, un doppio attentato nel Nord delPaese causava 24 mortiad Agadez e Arlit. Il ritornodel terrorismo confina glioperatori umanitari espa-triati nella capitale e rischiadi fare decurtare i fondidestinati alla sanità e all’i-struzione o di far lievitarele uscite per la difesa, giàraddoppiate nel 2012.Nello stesso anno, il Nigerha messo in risalto la suasicurezza interna per otte-nere dai donatori interna-zionali 10,8 miliardi di dol-lari necessari a finanziare il suo Piano di sviluppo economico e sociale(2013- 2015).

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Emmanuel Haddad

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Niger

Poulo wala darorde – un fulano non ha un luogo doveinsediarsi – è l’altro pilastro dell’identità del pasto-re nomade. Oltre a essere in simbiosi con le sue be-stie, egli ha sempre rifiutato la stanzialità, perché lamobilità è l’unico modo per sopravvivere alla scar-sità di acqua e di foraggio nelle terre aride del Sa-hel, la porta del deserto.

Pastorizia in crisiNell’arco di una generazione, molti fulani, tuareg etebu del Niger hanno abbandonato, in parte o del

Il Niger in sintesi

NomeRepubblica del Niger

CapitaleNiamey

Superficie 1,267 milioni di km2

Popolazione 16,9 milioni di abitanti

Età media 15 anni

Etnie Hausa: 55,4 %Djerma o songhai: 21%Tuareg: 9,3 %Fulani: 8,5 %Kanuri: 4,7 %Altre: 1,1%

Lingue Francese (ufficiale), hausa,djerma

Religioni Musulmani: 80 % Animisti e cristiani: 20 %

Prodotti d’esportazione Uranio, prodotti d’alleva-mento, niébé (sorta di fa-giolo), cipolle

Niger

Niamey

tutto, la pastorizia nomade. Si sono convertiti all’a-gricoltura, sono diventati i pastori di famiglie agia-te o si sono stabiliti in città diventando guardianinotturni. Molti di loro, come Issuf e Ali, si sono tra-sferiti nella capitale. Che cosa è successo? Dalla grande siccità del 1974,il Niger soffre di crisi alimentari croniche. In ori-gine erano causate da terribili siccità, invasioni dilocuste e ripetuti colpi di Stato. Dal 2009, le care-stie sono soprattutto legate alla pastorizia. La man-canza di foraggi e l’aumento dei prezzi dei cerealisono due fenomeni nuovi che rendono impossibi-le nutrire gli animali e costringono gli allevatori avenderli sottocosto. Purtroppo, ogni stagione seccamiete le sue vittime: sono carcasse di animali in de-composizione lungo i percorsi dei pastori.Per le organizzazioni professionali, i mutamenti cli-matici non bastano a spiegare la crisi della pastori-zia. «Anche i pastori sono stati toccati pesantemen-te dalle siccità consecutive. Tuttavia, la poca consi-derazione cui hanno goduto presso i governi che sisono avvicendati negli ultimi anni ha peggiorato ol-tremodo la situazione», deplora Boureima Dodo, se-gretario generale dell’associazione per il rilanciodella pastorizia nel Niger (Association pour la redy-namisation de l’élevage au Niger AREN). La pastori-zia contribuisce nella misura del 13 per cento al pro-dotto interno lordo e dà da vivere a 1,5 milioni dinigerini, pari al 18 per cento della popolazione.Dopo l’uranio, i prodotti dell’allevamento (carne,latte, cuoio, pelli) sono la seconda fonte di esporta-

zione del Niger, il Paese meno sviluppato al mon-do stando alla classifica 2012 del PNUD. Eppure,solo l’un per cento del bilancio viene destinato allosviluppo di questo settore.

Conflitti tra pastori e agricoltoriNel 1961, una legge ha suddiviso il territorio delNiger in una zona per l’allevamento del bestiamea nord, e una zona agricola disseminata di enclave,riservate alla pastorizia, a sud. I pastori conduconole greggi da un’enclave all’altra, dove gli animalihanno la possibilità di pascolare e abbeverarsi, e lun-go corridoi di transumanza tracciati fra i campi agri-coli del Sud per evitare che le pecore causino dan-ni alle colture.Di fronte a una crescita demografica fra le più ele-vate al mondo – pari al 3,6 per cento nel 2011 – ilNiger è costretto a estendere le superfici agricoleper sfamare una popolazione esposta in manierapreoccupante all’insicurezza alimentare. «Allevo ovi-ni nella zona agricola di Tahoua», spiega BoureimaDodo, avvolto nel suo bubu colore ocra. «Negli al-tipiani, dove i pastori hanno l’abitudine di far pa-scolare le greggi, migliaia di ettari sono stati con-vertiti in terreni agricoli». Lungo i confini tra queste due zone e attorno alleenclave si moltiplicano i conflitti tra agricoltori epastori. «In passato regnavano codici complessi chepermettevano ai due gruppi di coesistere sulle stes-se terre. Si barattavano cereali per animali, si rega-lava letame per consentire il libero pascolo degli ani-mali sui campi a maggese, ecc.», ricorda RogerBlein dell’ufficio di Issala specializzato in questio-ni alimentari in Africa occidentale. Le terre stanno diventando un bene raro. Nel Ni-ger, l’agricoltura si accaparra ogni tre anni il 10 percento in più di terreno. Un terzo di questi nuovicampi è sottratto ai terreni agricoli a maggese o allezone di transito del bestiame. «Questi rapidi cam-biamenti creano tensioni che, unite ai pregiudizi in-teretnici, possono sfociare in conflitti», spiega Blein.Nel giugno 2012, gli agricoltori di Koygolo, co-mune rurale della regione di Dosso, hanno uccisootto pastori fulani e bruciato le loro case. «Posse-devo un centinaio di grandi ruminanti e alcune ca-pre e pecore. Non riuscivo più a portarli al pasco-lo perché temevo sempre rappresaglie. Così ho ven-duto tutto», ricorda Adamou Ego Gati, agro-pastoredi Koygolo. «Stiamo aspettando una decisione delgiudice, che si fa attendere. Non intendo però la-sciare la mia terra; ho perso troppi parenti».

Riconoscimento del diritto alla mobilitàPer evitare tensioni, i rappresentanti dei pastori ri-vendicano il diritto alla mobilità. Dal 1982 si bat-tono affinché il codice rurale – una lista di testi giu-

Nigeria

Mali

Algeria

BurkinaFaso

Ciad

Libia

Benin

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Libia: dal paradiso all’infernoIl denaro inviato in patriadai migranti è un’impor-tante fonte di reddito permolte famiglie nigerine.Fino al 2011, la Libia era lameta preferita dagli emi-granti, che grazie al lavorosvolto in questo Paese po-tevano sostenere le loro fa-miglie. Quando il regime diMuhammar Gheddafi è ca-duto, 260000 nigerinihanno riattraversato il de-serto, tornando a casa amani vuote. Dal dicembre2012 la frontiera è chiusaed emigrare è diventataun’impresa rischiosa. 3000nigerini sono incarcerati inLibia e otto di essi sonomorti lo scorso mese dimarzo. Eppure, i giovaninigerini continuano a pro-varci: nel solo mese dimaggio Tripoli ne ha espulsi500.

ridici in materia di gestione delle risorse naturali –assicuri ai nomadi maggiori garanzie. Nel 2010 èentrata in vigore un’ordinanza volta ad assicurareloro tutto questo. Quest’ultima stabilisce che «lamobilità è un diritto fondamentale degli allevato-ri, dei pastori nomadi e dei transumanti. Tale dirit-to è riconosciuto e garantito dallo Stato e dalle col-lettività territoriali». Si tratta di un grande passoavanti, ammette Boureima Dodo, ricordando nelcontempo che non tutte le norme d’applicazionedi questo diritto sono state elaborate.Ci sono stati progressi anche su altri fronti. Per pre-venire i conflitti, una commissione fondiaria riuni-sce in ogni regione i rappresentanti degli agricol-tori e degli allevatori. «Le tensioni sono maggiorialla fine della stagione delle piogge. I pastori, ormaisemi-stanziali, desiderano spostarsi a sud con il be-stiame per riabbracciare le loro famiglie. Nel codi-ce rurale è stata fissata una data per la liberazionedei campi e per permettere agli allevatori di far pa-scolare i loro animali sui terreni agricoli al termi-ne dei raccolti», spiega Adamou Soumana, segreta-rio permanente della commissione fondiaria del dipartimento di Boboy.

In futuro, il governo nigeriano e i suoi partnerdello sviluppo sono chiamati ad affrontare due sfidecruciali. La prima è l’assistenza alla mobilità dei pa-stori, la seconda è il riconoscimento del diritto diproprietà ai pastori costretti alla stanzialità. Se nondovessero ottenere tale legittimazione, i fulani po-trebbero farsi giustizia da sé. Nel 2008, uno di loroè stato ucciso a Gouré, nella regione di Zinder, per-ché gli agricoltori non volevano riconoscere il per-messo di proprietà dei pastori. «I fulani del Nigerhanno allora invitato i fulani di tutta l’Africa occi-dentale a partecipare a un dangol pulaaku, ossia aboicottare il mercato del bestiame. Messe con lespalle al muro, le autorità locali hanno infine rico-nosciuto i diritti fondiari degli allevatori stanziali»,racconta Nana Issaley, ricercatrice esperta di que-sto gruppo etnico. ■

*Emmanuel Haddad, giornalista francese di origine liba-nese, è stato corrispondente in Niger per diversi giornalifrancofoni. L’estate scorsa ha lasciato il Paese per trasfe-rirsi in Libano.

(Traduzione dal francese)

Niamey è il centro politico, culturale ed economico del Paese e meta per gli immigrati.

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Paul Hahn/laif

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Niger

Una giornata tipica di… Ibrahim Bâ, incaricato di programma principale DSC a NiameyIn Niger, il mio curriculum è piuttosto un’ecce-zione. A differenza della maggior parte dei mieicompatrioti ho avuto la possibilità di studiare. An-che mio padre ha frequentato l’università, lavoran-do in seguito come funzionario per il governo co-loniale francese. Lui ha permesso ai figli, anche alle ragazze, di seguire una formazione superiore.Un’opportunità tutt’altro che scontata. Ancoraoggi, il tasso di analfabeti è molto elevato nel no-stro Paese. La media è del 70 per cento, fra le don-ne sfiora addirittura il 90 per cento. Ecco perchél’istruzione scolastica in Niger è uno dei temiprioritari del programma della DSC.

Negli ultimi anni, il Paese ha fatto notevoli pro-gressi nel campo della formazione. I bambini chevanno a scuola sono sempre più numerosi: in que-sto momento sono circa l’80 per cento. Tuttavia,solo la metà finisce le scuole elementari e il 10 percento le medie. Meno dello 0,2 per cento ha la pos-sibilità di proseguire negli studi.

Le mie figlie hanno 13 e 17 anni. Le porto a scuo-la ogni mattina, prima di andare al lavoro. Nellapausa di mezzogiorno le accompagno a casa, poi-ché di pomeriggio non hanno lezioni. Mia moglie

lavora per la Società nazionale di approvvigiona-mento idrico. Per il pranzo mi porto qualcosa dacasa, come la maggior parte dei miei 30 colleghi.Abbiamo a disposizione una sala, dove possiamo ri-focillarci.

L’ufficio si trova nel centro di Niamey, una città dicirca un milione di abitanti. Condividiamo i loca-li con il consolato svizzero, che fa capo all’amba-sciata ad Abuja, la capitale della Nigeria, il nostrovicino a sud. A nord, il Paese confina con l’Alge-ria e la Libia. Le sommosse in Nord Africa si sonofatte sentire anche da noi, visto che i miei conna-zionali emigrati lì per lavoro sono stati costretti a

Ricorrente penuria alimentare La Svizzera si impegna inquesto Stato del Sahel dal1977. Con un budget an-nuale compreso fra i 13 e i17 milioni di franchi, laConfederazione è uno degliStati donatori più impor-tanti. Fra i punti prioritaridell’impegno della DSC cisono la formazione scola-stica e professionale, cosìcome lo sviluppo rurale.Visto che sono soprattuttole donne a soffrire per lapovertà e le pessime con-dizioni di formazione, laDSC si concentra sulle pariopportunità. A causa dellericorrenti siccità, dovuteanche all’alta percentualedi suolo desertico nelPaese e all’esplosione de-mografica, negli ultimi anniil Niger ha vissuto problemidi approvvigionamento ali-mentare. La Svizzera è in-tervenuta con aiuti umani-tari, per esempio, durantela crisi alimentare del 2005.www.deza.admin.ch/nigerwww.cooperation-suisse.admin.ch/niger

tornare a casa. Questa situazione ha aumentato lamiseria di molte famiglie.

Il Niger è tuttora fra i Paesi più poveri al mondo.L’approvvigionamento alimentare è assicurato soloin parte. Ecco perché la DSC concentra il suo im-pegno nel settore dello sviluppo rurale. Uno deimiei compiti principali è la gestione di tali progetti.Passo circa il 40 per cento delle mie giornate fuo-ri dall’ufficio. Almeno una volta al mese parto perun viaggio di tre-sei giorni, durante il quale visitoda due a sei comuni che beneficiano del nostro aiu-to finanziario. Collaboriamo anche con alcuneONG svizzere, per esempio, con Helvetas che sioccupa della costruzione di pozzi e di abbeveratoied è attiva nel campo della gestione dell’acqua. ConSwisscontact intratteniamo una cooperazione nelsettore della formazione.

Le opportunità di sviluppo del Niger sono abba-stanza buone, non da ultimo grazie ai suoi giaci-menti di uranio e petrolio. Tuttavia, per sfruttarleoccorrono istituzioni statali stabili. Invece, il Nigerè ancora considerato un Paese fragile. È una con-dizione che incontro ogni giorno quando mi recoal lavoro. Per il tragitto ufficio-casa dovrei impie-gare non più di otto minuti, ma per colpa di variposti di blocco sulla strada sono costretto a fare ungiro più lungo, impiegando così più di venti mi-nuti. Al momento, gli sviluppi a livello di politicainterna alimentano un prudente ottimismo. C’è dasperare che anche la situazione nei Paesi limitrofi– per esempio nel Mali – diventi più stabile. La no-stra sorte dipende anche da questo.

(Testimonianza raccolta da Mirella Wepf)

(Traduzione dal tedesco)

«Le opportunità di sviluppo del Niger

sono abbastanza buone.Tuttavia, per sfruttarleoccorrono istituzioni

statali stabili».

DSC

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Paul Hahn/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201322

Una voce dal Niger

I racconti erano una delle nostre occupazioni pre-ferite dopo cena, a stomaco pieno. Attorno al fuo-co o al chiaro di luna ascoltavamo con immensopiacere le parole di colui o colei che narrava. Erasempre una persona anziana. Pende-vamo dalle sue labbra, il nostro sguar-do seguiva i gesti che illustravano l’a-zione. La maniera di presentare le vi-cende variava a dipendenza delle dotiteatrali del cantastorie di turno. Lascenografia era lasciata all’immagina-zione degli ascoltatori e la storia tra-smetteva sempre un messaggio, unamorale che la nostra giovane mentedoveva ricordare. Tutto ciò ci faceva so-gnare.

Questa tradizione, quest’arte di narra-re fatti o miti ha ispirato negli anni Ses-santa i primi cineasti del Niger, che perraccontare la nostra storia hanno at-tinto alla realtà socioculturale del Pae-se. Il grande schermo ha sostituito lanostra immaginazione. La scenografiaera la stessa per tutti, i personaggi rea-li. Ne conoscevamo perfino qualcuno.Non era importante la forma della sto-ria che scorreva. Che si trattasse di do-cumentari o di fiction, lo schermo cirammentava le avventure o le leggen-de che ci avevano raccontato da bam-bini. Era nato il cinema epico.

Registi della fama di Moustapha Alas-sane hanno optato per la satira sociale.Altri, come Oumarou Ganda, hannorivisitato la storia per mettere in scenale epopee. Alcuni, come DjingareyMaïga, hanno rappresentato la nostrarealtà servendosi della cinepresa. Gliuni come gli altri hanno orientato l’o-biettivo sulla società. Grazie a loro, abbiamo tro-

vato noi stessi. Osservavamo lo schermo come sefosse uno specchio. Nei ruoli interpretati dagli at-tori, riconoscevamo l’atteggiamento di un amico,di un parente, di un vicino di casa.

Poi, negli anni Ottanta, la televisioneha fatto la sua comparsa. Era una pic-cola finestra sul mondo. Inizialmentesolo socchiusa – c’era un solo canaleTV – ci faceva scoprire frammenti dialtri volti, altre realtà, altre culture. Cidivertivamo a fare confronti. Abbia-mo soprattutto imparato che non sia-mo soli al mondo, che condividiamoalcuni valori con altri popoli, no-nostante le apparenti differenze.

A metà degli anni Novanta, con l’av-vento dei canali stranieri, la piccola fi-nestra si è dischiusa completamente.Abbiamo spalancato le persiane. È al-lora che abbiamo visto emergere ci-nefili senza registi, giovani abbando-nati a se stessi e a questo lucernario alquale rimanevano perennemente in-collati. A forza di vedere immaginivenute da altrove, questi telespettato-ri hanno perso quasi ogni riferimen-to con la realtà locale, perché non c’èpiù né narratore né regista. Non ri-cordano nemmeno che il Niger è sta-to il precursore del cinema in Africaoccidentale e che il Festival panafri-cano del cinema di Ouagadougou(Fespaco) assegna da oltre due decen-ni un premio in onore di OumarouGanda. Peggio: sognano di evadere.

Oggi, una nuova generazione di regi-sti sta uscendo dalla letargia in cui erasprofondata negli ultimi vent’anni.

Questo gruppo emergente fruga nella tradizionee volge lo sguardo sulla realtà socioculturale percontinuare a mostrarci chi siamo. Dal 2005, i re-gisti di questa nouvelle vague hanno raccolto la fiac-cola accesa dai loro fratelli maggiori negli anni Ses-santa. Questa volta lo schermo del televisore, cheaveva sostituito il grande schermo, è lì per farci so-gnare, non più di evadere, ma di avvinghiarci ai no-stri valori e alla nostra identità. È conoscendo me-glio la propria cultura che si rispetta quella deglialtri. ■

(Traduzione dal francese)

Ali Oumarou, 53 anni, ha

imparato l’arte dei mezzi

audiovisivi a Parigi e

Niamey. Dal 1980 al 2003

ha ricoperto varie funzioni

direttive presso la televi-

sione nazionale nigerina: è

stato responsabile della

diffusione dei programmi,

incaricato di studi e pro-

getti, poi segretario gene-

rale. Dal 2003 dirige il

Centro regionale di produ-

zione e formazione.

Quest’ultimo forma giovani

africani francofoni alle pro-

fessioni di regista, tecnico

del suono e cameraman.

Altresì documentarista, Ali

Oumarou ha realizzato il

cortometraggio Le fleuve

Niger se meurt («Il fiume

Niger sta morendo»), con

il quale ha vinto nel 2006

il Festival internazionale

media Nord-Sud di

Ginevra.

Il cinema nigerino si sveglia dopo una lunga letargia

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Daniel Rosenthal/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 23

DSC

mo negli ultimi mesi», spiega Joanna Skowron,membro del direttivo dell’ispettorato nazionale del-la salute e responsabile dell’iniziativa. Il ventaglio dimisure previste comprende, fra l’altro, una campa-gna nazionale, corsi di formazione per le levatrici ei medici, nonché programmi di educazione peraziende e scuole superiori. Quest’anno, oltre 300 coordinatori dei centri perla salute e la prevenzione delle epidemie dislocatiin tutto il Paese hanno seguito dei corsi di aggior-namento. Uno dei loro compiti è la sensibilizzazionedelle scuole che saranno invitate ad aderire alla cam-pagna. I corsi per il personale docente inizierannonel gennaio 2014.«Complessivamente vogliamo coinvolgere oltre3500 insegnanti. Grazie alla loro partecipazionepossiamo raggiungere circa mezzo milione di gio-vani tra i 15 e i 19 anni di età, mentre l’intera cam-pagna è rivolta a circa cinque milioni di persone»,illustra Joanna Skowron. L’augurio dei promotori èdi aumentare la consapevolezza sui pericoli insitinelle dipendenze. «Oggi, il fatto che una donna in-cinta fumi o beva non suscita la disapprovazionedella popolazione. Spesso, le donne sono addirittu-ra incoraggiate a fumare o bere. In futuro, gli ami-ci e i parenti dovranno assumersi maggiori respon-sabilità». ■

(Traduzione dal tedesco)

La Svizzera sostiene una campagna nazionale di prevenzionecontro l’abuso di alcol, tabacco e sostanze stupefacenti in Polonia. Rivolta soprattutto alle donne in età fertile, l’iniziativaintende prevenire i danni alla salute di madri e bambini e ridur-re i costi socioeconomici dell’alcolismo.

Vittime dell’alcol in Europa Ogni anno l’abuso di alcolcausa circa 120 000 casidi morte prematura neiPaesi dell’UE.L’Organizzazione mondialedella sanità OMS ha con-dotto uno studio incentratosul binomio salute e alcolin 35 Paesi europei, com-presa la Svizzera, pubbli-cando un rapporto sulla situazione attuale. Status report on alcoholand health in 35 Europeancountries 2013; scaricabilegratuitamente dal sitowww.euro.who.int

(mw) Secondo i dati dell’Organizzazione mondia-le della sanità OMS, gli europei consumano pro ca-pite 12,5 litri di alcol puro all’anno: più del doppiodella media mondiale. I primi posti di questa clas-sifica sono occupati dai Paesi dell’Europa orienta-le e dell’Europa centrale, dove la media è di 14,5litri a testa. È una situazione che ha gravi conse-guenze sociali e sanitarie e che si ripercuote nega-tivamente sulla salute dei nascituri e dei neonati.Molti Stati dell’Est superano la media europea an-che nelle statistiche che riguardano il tabagismo. Èil caso, per esempio, della Polonia. Per questo mo-tivo il governo polacco ha deciso, di comune ac-cordo con la Svizzera, di destinare una parte delcontributo svizzero all’allargamento a una campa-gna di prevenzione contro l’abuso di alcol, tabaccoe stupefacenti, rivolta soprattutto alle donne in etàfertile. Analisi scientifiche hanno dimostrato che inPolonia, nel 2009 quasi l’11 per cento delle donneincinte fumava, situazione che ha causato una quo-ta superiore alla media europea di parti prematurie di neonati sottopeso. Lo studio ha evidenziatoinoltre che il 14 per cento delle donne consumavaalcol e che l’uno per cento dichiarava di aver fattouso di stupefacenti.

Prevenzione ad ampio respiro«Le attività di preparazione per la campagna, che du-rerà dal 2014 al 2016, sono proseguite a pieno rit-

In Polonia, alcol e fumo non sono tabù per le donne incinte

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Serge R.T. Boya/Helvetas Swiss Intercooperation

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201324

(gn) La concentrazione di sapere, esperienza e co-noscenza in seno allo Swiss Water and SanitationNGO Consortium è impressionante: 27 progetti diONG svizzere permettono a migliaia di persone inAsia e Africa di accedere ad acqua potabile, strut-ture sanitarie adeguate e impianti di irrigazione perpiccole aziende. Il ventaglio spazia dall’introduzio-ne di pompe idriche solari in Bangladesh alla ge-stione dell’acqua per la sicurezza alimentare in Mo-zambico per finire all’approvvigionamento di ac-qua potabile nelle zone rurali del Ciad.

Prime esperienze positive Il consorzio è un’unione di otto ONG svizzere cheper la prima volta hanno scelto di associarsi e pre-sentarsi unite come esperte di risorse idriche, no-nostante siano in concorrenza sul mercato delle do-nazioni. Il sodalizio è stato lanciato dalla DSC conlo scopo di aumentare le ricadute dei singoli pro-

Un’idea avvincente ma difficile da realizzareL’unione fa la forza. È questo il pensiero che ha animato la co-stituzione del consorzio dell’acqua delle ONG, un’iniziativa vo-luta e promossa dalla DSC per potenziare i progetti idrici chesi distinguono per la loro funzione modello. A tal fine le orga-nizzazioni sono incoraggiate a promuovere lo scambio di espe-rienze e la cooperazione e a formare un fronte unito.

getti e al contempo di conferire più peso alle com-petenze svizzere nel settore dell’acqua. Il progetto si fonda sull’idea che attraverso le siner-gie e lo scambio di esperienze, le varie iniziativesono in grado di incrementare in tempi brevi la loroefficacia, accrescendo di riflesso il numero di bene-ficiari. La DSC ha presentato le sue convinzioni giànell’invito di partecipazione al consorzio, soste-nendo inoltre l’idea con 13 milioni di franchi.A quasi due anni e mezzo dall’inizio dell’iniziativa,il progetto si trova in dirittura d’arrivo e può fareun primo bilancio. «La DSC valuta molto positiva-mente questa prima esperienza con il consorzio»,spiega Christian Eggs, direttore supplente del Pro-gramma globale acqua della DSC. Anche se le or-ganizzazioni si conoscono bene, il progetto le ha po-ste di fronte a una sfida importante, che loro hanno vinto poiché non solo hanno raggiunto gliobiettivi quantitativi, ma li hanno addirittura supe-

Il consorzio dell’acqua svizzero si occupa di gestione, pompe e distribuzione dell’acqua in Benin e Nepal, così come inaltri 14 Stati.

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Flurina Rothenberger/Helvetas Swiss Intercooperation

25Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013

Consorzio svizzero dell’acqua • 8 organizzazioni: Helvetas Swiss Intercooperation, Caritas, Terre des Hommes, Croce Rossa Svizzera, HEKS, Solidar Suisse, Swissaid, Sacrificio quaresimale

• 27 progetti in 16 Paesi • 3 consulenti regionali in Asia, Africa occidentale e Africa orientale

• budget: 18,4 milioni di CHF, di cui 13,8 milioni dalla DSC

• durata: dall’agosto 2011al dicembre 2013

• obiettivi: garantire l’ac-cesso all’acqua potabile a 300000 persone nelle zone rurali e agli impiantisanitari a 150000 per-sone; garantire l’ac-cesso a sistemi di irriga-zione a basso costo a 40000 agricoltori; do-tare di infrastrutture idri-che e sanitarie 50 centri sanitari e 130 scuole con un totale di 25000 bambini; realizzare 85 «blue schools»

www.sdc-water.ch; chiavedi ricerca: blue schools

rati. Altro discorso vale invece per la visibilità e l’in-flusso delle ONG svizzere sul piano politico neiPaesi destinatari dei progetti e su quello interna-zionale. Secondo Christian Eggs, in questi ambiti ci sono ancora ampi margini di miglioramento.

Migliorare interscambio e cooperazioneL’esempio del Nepal, dove sono rappresentate treONG svizzere con quattro progetti, evidenzia comeil consorzio potrebbe conferire maggiore swissnessal settore idrico. I responsabili dell’iniziativa hannocostatato che solo adesso, grazie a questa unione, ilgoverno si è reso conto dell’impegno delle ONGelvetiche nel settore dell’acqua. L’interscambio al-l’interno del consorzio è stato proficuo e ha favo-rito la collaborazione di due organizzazioni svizze-re che in futuro lavoreranno fianco a fianco nellostesso distretto. Tuttavia, questa esperienza positiva è l’eccezione. Ilbilancio è alquanto modesto per quanto riguarda lacollaborazione e lo scambio reciproco. «Il consor-zio, a cui prendono parte una serie di progetti sin-goli, è stato creato per raggiungere ambiziosi obiet-tivi», illustra con un certo rammarico Agnès Mon-tangero, codirettrice della cooperativa. Visto che imezzi finanziari supplementari sono stati utilizzatiper lo più per i singoli progetti, l’interscambio e losfruttamento delle sinergie hanno avuto un ruolosecondario.«I momenti che ci hanno uniti maggiormente sonostati i workshop regionali, ai quali hanno partecipa-to tutti i team di progetto», spiega Agnès Montan-gero. Questi incontri della durata di una settimanasono stati molto animati e apprezzati, soprattutto daipartner di progetto locali. Le ricadute oltre l’even-to stesso sono state però molto limitate, visto chenon erano previste risorse supplementari per ulte-riori attività comuni.

Prova del nove: lo scambio di conoscenze «Un’idea magnifica preparata però male», è questain sintesi la critica di Jacques Louvat, esperto d’ac-qua in Mali e uno dei tre consulenti regionali delconsorzio. La disponibilità a collaborare tra i dieciprogetti da lui curati in Africa occidentale è statadeludente. Secondo Louvat, i motivi dello scarsosuccesso sono da imputare alla mancanza di obiet-tivi definiti congiuntamente dal consorzio delleONG, nonché alle enormi aspettative nei confron-ti dei singoli team. Lo scambio di conoscenze nonfunziona automaticamente; per attivarlo servono ul-teriori capacità. «Un consorzio ha senso solo se ge-nera sinergie e valore aggiunto», spiega JacquesLouvat.Agnès Montangero condivide queste affermazionie aggiunge che all’inizio tutti i partecipanti aveva-

no sottovalutato l’impegno richiesto per trasformarel’idea del consorzio in realtà. «Siamo un gruppo ete-rogeneo con progetti molto diversi», ricorda laMontangero.

Dialogo rafforzato Intanto si sono tratti i primi insegnamenti dalleesperienze finora fatte, per esempio, è stato inten-sificato il dialogo fra le ONG. In una seconda fase,prevista dal 2014 al 2016, ma il cui finanziamentonon è ancora assicurato, il consorzio intende desti-nare un importo maggiore alle attività comuni e ri-servare spazio nel programma di ogni singolo pro-

getto allo scambio di conoscenze o alle pubblica-zioni.«Le attività devono diventare più efficaci nel setto-re dell’acqua. È assolutamente necessario fare pro-gressi in questo settore», spiega così il suo impegnoper il consorzio Agnès Montangero. Con la nuovastruttura organizzativa sarebbe possibile raggiunge-re un effetto moltiplicatore che va ben al di là delsuccesso individuale dei singoli progetti. A questopunto, dopo aver superato le difficoltà iniziali, i pro-motori dell’iniziativa si augurano di avere la possi-bilità di proseguire il loro cammino verso l’unionedelle competenze e delle forze. ■

(Traduzione dal tedesco)

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Ursula Meissner/laif

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Dietro le quinte della DSCAccesso all’acqua in Colombia(muran) Da più di mezzo se-colo, la Colombia è teatro diun conflitto armato che op-pone l’esercito colombiano agruppi paramilitari. Oltre quat-tro milioni di profughi internisoffrono per la carenza di ser-vizi essenziali. In collabora-zione con Action Contre laFaim, la DSC ha lanciato unprogetto finalizzato a miglio-rare l’accesso ad acqua pota-bile e impianti sanitari e a in-formare le popolazioni locali su temi riguardanti l’igiene.L’intento è di migliorare in ma-niera diretta e durevole la si-tuazione sanitaria e le condi-zioni di vita generali dellapopolazione colombiana. Durata: 2013 – 2014Budget: 465000 CHF

Assicurazione contro lebizze del clima( jah) L’Africa è colpita regolar-mente da catastrofi naturaliche distruggono i raccolti. Senei primi mesi non viene for-nita alcuna assistenza finan-ziaria, gli agricoltori sono costretti a vendere i beni diproduzione per sopravvivere.La DSC sostiene la creazionedell’African Risk Capacity(ARC), un meccanismo di assi-curazione combinato con unsistema che via satellite loca-lizza precocemente le cata-strofi naturali e grazie a cui lepopolazioni interessate do-vrebbero ricevere rapidamenteassistenza finanziaria e riuscire

ad affrontare meglio le bizzedel clima. L’ARC assicura aigoverni di avere sempre a disposizione i fondi necessariper gli indennizzi.Durata: 2012 – 2016Budget: 4,5 milioni di CHF

Migrazione e lavoro( jah) Un numero sempre mag-giore di migranti provenientidall’Africa sub-sahariana rag-giunge il Maghreb. Anche separtiti con l’idea di non fer-marsi in questa regione, alcunitrovano lavoro sul posto.Spesso attiva in settori poco o per nulla regolamentati, questa manodopera sottostà a pessime condizioni di lavoro.Il Programma globale Migra-zione e sviluppo della DSC halanciato un progetto interregio-nale finalizzato a migliorare laloro protezione e quella dei mi-granti nordafricani in Tunisia,Marocco ed Egitto. L’obiettivoè di rafforzare il buongovernoe di favorire il processo di ri-forme legislative, promuo-vendo nel contempo il dialogosociale e organizzando i lavo-ratori in sindacati.Durata: 2012 – 2015Budget: 1,8 milioni di CHF

Trasferimento di tecnologia(bm) Finanziata dalla DSC, ladiffusione di silos metallici inAmerica centrale ha notevol-mente ridotto le perdite dopo i raccolti e migliorato la sicu-rezza alimentare di migliaia dicontadini. Fabbricati da arti-giani locali, questi contenitoriconservano all’asciutto le der-rate alimentari, proteggendoleanche da insetti e roditori. LaDSC ha deciso di esportarequesta tecnologia in Africa,adattandola al contesto locale.La Direzione per lo sviluppo e la cooperazione svizzera so-

stiene un progetto in Tanzania,dove l’agricoltura è la princi-pale fonte di sostentamento.Associata ad altri metodi distoccaggio, la fabbricazione e la distribuzione di silos do-vrebbero creare occupazionenelle zone rurali e aumentare il reddito degli agricoltori.Durata: 2013 – 2017 Budget: 5,6 milioni di CHF

Mass media indipendenti(bm) Nella regione dei GrandiLaghi, i mass media devonoaffrontare parecchie difficoltàche impediscono loro di dif-fondere informazioni di qualitàe di partecipare alla democra-tizzazione. Nell’ambito del so-stegno a questo processo e invista degli appuntamenti elet-torali dei prossimi anni, la DSCintende rafforzare le capacitàdei media in Ruanda, Burundie Repubblica Democratica delCongo. A tale scopo finanzieràun progetto incentrato sullaformazione e sull’allentamentodel quadro legislativo e norma-tivo. La diversità e l’indipen-denza della stampa rimangonoobiettivi prioritari.Durata: gennaio 2014 – 2023 Budget: 13,5 milioni di CHF

Protezione ambientale(mpe) Nel quadro del suo contributo all’allargamentodell’Unione europea, laSvizzera sostiene la tutela diuna vasta zona boschiva nelsud-ovest dei Carpazi, inRomania. Si tratta di una delleregioni meno segnate dall’in-tervento umano in Europa. Ilprogetto intende promuoverela gestione dell’ambiente natu-rale nella sua cornice originalee preservare, per quanto pos-sibile, il paesaggio, garan-tendo al tempo stesso uno sviluppo regionale sostenibile.

Fra le numerose difficoltà, ci sarà lo scetticismo della popolazione e delle autorità riguardo al modello alternativodi sviluppo e alla protezioneambientale.Durata: 2013 – 2016Budget: 1 milione di CHF

Educazione alla cittadinanza(mpe) In Ucraina, la Svizzeraintende garantire la diffusionedei valori e dei principi demo-cratici promossi dal Consigliod’Europa. La Segreteria diStato per la formazione, la ri-cerca e l’innovazione ha finan-ziato la realizzazione di ma-nuali per la divulgazione diquesti temi. La DSC ha ripresoil progetto, promuovendo ladistribuzione e l’utilizzo di talipubblicazioni nelle scuole delPaese. A tal fine, la DSC pre-vede di formare gli insegnantisu larga scala per sensibiliz-zarli, ma anche per scuotere lacultura scolastica statica e an-tiprogressista che caratterizzamolte scuole ucraine.Durata: 2013 – 2017 Budget: 960000 CHF

DSC

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Julien Chatelin/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 27

FORUM

Nel 1492 Cristoforo Colombo mise per la primavolta piede sul continente americano. Poco dopo,nel Nuovo Mondo giunsero i primi missionaricattolici, inviati dalla potenza coloniale spagnolaper assoggettare – nel nome di Dio – il territorioe le sue genti. Il ricorso alla religione come stru-mento di manipolazione e di potere è un feno-meno diffuso e noto in tutto il mondo. I talebaniin Afghanistan o la repressione di minoranze mu-sulmane nello Stato del Myanmar a maggioranzabuddista sono due esempi attuali. Il credo religioso e la spiritualità offrono un’im-portante base per la convivenza sociale, poiché vei-colano valori come la carità, il rispetto e la soli-darietà. I movimenti come la teologia della libe-razione in America latina si schierano apertamentea fianco dei poveri, lottando per la giustizia socia-le e i diritti umani. Non è un caso che organizza-zioni di pubblica utilità possano contare, in modoparticolare, su donatrici e donatori mossi da pro-positi religiosi.

Rischi e opportunità L’influsso delle religioni sulla cooperazione allosviluppo non ha soltanto innumerevoli sfaccetta-ture, ma è anche oggetto di dibattiti molto con-troversi. C’è chi mette in guardia dagli effetti repressivi e contrari allo sviluppo della religionesulla società; un esempio citato spesso è la discri-minazione delle donne praticata da varie religio-ni. Altri, invece, vedono nell’impegno di coope-ranti mossi da motivi religiosi un motore dello sviluppo. «Le religioni celano sempre sia potenziali sia ri-schi. Occorre gestire questa ambivalenza, cercan-do di sfruttare al massimo le potenzialità e affron-tando con professionalità i pericoli nell’ambitodella direzione dei progetti», afferma Anne-MarieHolenstein, esperta svizzera di questioni di svi-luppo che da oltre un decennio segue questotema. L’attuale controversia sul rapporto della coopera-zione allo sviluppo con la religione è nata negli

Aiuto come missione religiosa

È impossibile immaginare una quotidianità dei poveri o un aiu-to allo sviluppo slegati da spiritualità e religione, eppure il ruo-lo delle religioni nella cooperazione internazionale è un temamolto controverso. Di Gabriela Neuhaus.

Spesso le organizzazioni mosse da ideali religiosi si occupano di compiti di utilità pubblica, come nel centro nutrizionaledi Sant’Egidio a Matola, in Mozambico, dove viene distribuito un pasto caldo ai bisognosi.

Missione e libertà religiosaLa libertà religiosa è un di-ritto umano garantito dalleNazioni Unite. Anche laCostituzione federale sta-bilisce che «ognuno ha ildiritto di scegliere libera-mente la propria religione e le proprie convinzioni filo-sofiche e di professarle in-dividualmente o in comu-nità». Come scrive HeinerBielefeldt, relatore specialedelle Nazioni Unite sulla li-bertà di religione o dicredo, «l’attività missiona-ria è parte integrante dellalibertà religiosa […]. Maquando non avviene frapersone libere che godonodegli stessi diritti può por-tare a violazioni della libertàreligiosa». È il caso quandogruppi religiosi abbinanomissione attiva con l’im-pegno svolto nel quadro di progetti di sviluppo odell’aiuto in caso di cata-strofe.

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Sven Torfinn/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201328

anni Novanta, quando l’allora direttore della Ban-ca mondiale James Wolfensohn avviò un dialogotra le agenzie per lo sviluppo internazionali equelle statali, con un orientamento laico, i verticireligiosi influenti e le organizzazioni di aiuto ba-sate su un credo religioso. Coinvolgendoli nellapolitica internazionale dello sviluppo, intendevafavorire il raggiungimento degli Obiettivi di svi-luppo del millennio sanciti dalle Nazioni Unite. In molti Paesi in via di sviluppo, le istituzioni re-ligiose come la Chiesa cattolica in Africa e in Ame-rica latina o le organizzazioni caritatevoli ismae-lite in Asia, hanno più influsso e autorità di quan-to non abbia lo Stato. Infatti, queste ultime svol-gono importanti compiti di utilità pubblica, soprattutto in ambito sociale: gestiscono centri sanitari e di formazione o distribuiscono derratealimentari ai bisognosi. Per molte persone in situazioni di precarietà, lafede e le istituzioni religiose sono un importante,se non l’unico sostegno per affrontare la vita.

«Le risposte spirituali sono insufficienti»L’approccio indubbiamente pragmatico della Ban-ca mondiale, inteso a sfruttare questo potenzialeper i suoi obiettivi di sviluppo, ha sollevato un pol-verone in entrambi i campi, sia in quello secolaresia in quello religioso. Katherine Marshall del Ber-kley Center for Religion, Peace and World Affairs, giàdirettrice della sezione della Banca mondiale pre-posta al dialogo con le istituzioni religiose, evi-denzia soprattutto gli aspetti positivi, quelli legatiai valori etici e morali trasmessi dalle organizza-

zioni che fondano sulla fede il loro agire. Gli scet-tici la rimproverano di minimizzare i rischi e glieffetti negativi delle religioni sulla pace e sullo svi-luppo, come le lotte in Sudan tra i musulmani delnord e i cristiani del sud, fomentate dal potere po-litico. Un altro esempio è il radicamento agli at-tuali rapporti di forza da parte di organizzazionicaritatevoli conservatrici, come l’attività di taluneorganizzazioni evangeliche in America latina che,pur procurando il necessario per vivere ai biso-gnosi, soffocano ogni rinnovamento politico. «È senz’altro possibile aiutare le persone a miglio-rare concretamente la loro situazione esistenziale,trasmettendo loro valori sulla vita comunitaria eindividuale», afferma Konrad Specker, responsabi-le della Divisione Partenariati istituzionali dellaDSC, «ma non si può dare semplicemente una ri-sposta spirituale all’instabilità sociale, politica oeconomica». Ogni progetto necessita una valuta-zione accurata di tutti i fattori socioculturali, al finedi esaminare se le attività mosse da ideali religio-si favoriscono anche la giustizia sociale e, di riflesso,lo sviluppo. «Fintantoché le organizzazioni nonabusano del loro sostegno per imporre ad altri laloro visione del mondo, è indifferente se operanospinti da valori religiosi o secolari. Ciò che contadavvero è il loro contributo per lo sviluppo», af-ferma Anne-Marie Holenstein in merito all’im-portanza delle organizzazioni religiose.

CiclopiMolte organizzazioni con un orientamento spiri-tuale non sono proprio d’accordo con questa con-

A Musoma, in Tanzania, suore cattoliche danno corsi di informatica e sui nuovi media.

Religioni e sviluppoDal 2002, la Divisione par-tenariati istituzionali dellaDSC ha elaborato, in colla-borazione con ONG elveti-che e sotto la direzione diAnne-Marie Holenstein,vari esempi pratici sul tema«Religione e sviluppo». Lelinee direttrici sviluppategettano le basi per una ge-stione professionale dellequestioni religiose. In con-testi fragili – dove il rischioè particolarmente elevatoche la religione e le ideolo-gie vengano sfruttate perconseguire un proprio finenon dichiarato – la sensibi-lizzazione intorno a questiinterrogativi socioculturali e al principio Do not harmha un ruolo essenziale. In futuro, la DSC intendeapprofondire i fenomenicome la strumentalizza-zione della religione e dellafede o le tendenze al fon-damentalismo. www.dsc.admin.ch (chiave di ricerca: religione)

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Mickael Kam

ber/NYT/Redux/laif

29Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013

siderazione. Da una prospettiva religiosa, i pro-grammi di sviluppo laici sarebbero «giganti con unsolo occhio», scrive Jeffrey Haynes, professore alla London Metropolitan University e direttore del Cen-tre for the Study of Religion, Conflict and Cooperation.Queste iniziative punterebbero unicamente a ot-tenere progressi misurabili e ridurrebbero i biso-gni umani a nutrimento e sviluppo materiale. È una critica espressa non solo da organizzazionimosse da propositi religiosi, ma anche da altre as-sociazioni, rilanciando così il dibattito sui futuriobiettivi di sviluppo globali.Per Cecelia Lynch, esperta americana di etica, ladiscussione su che cosa si intenda per buono svi-luppo non dovrebbe concentrarsi unicamente suldiverso approccio tra organizzazioni religiose e lai-che: «Le grandi organizzazioni internazionali perlo sviluppo dipendono dai donatori. Pertanto, tut-te operano misurando i successi con gli stessi para-metri problematici, dettati dal neoliberismo, men-tre i piccoli gruppi locali si orientano alle esigenzespecifiche dei beneficiari».

Stregoneria e vudùLe organizzazioni religiose che si servono del loropotere e della loro attività di assistenza per diffon-dere il proprio messaggio religioso potrebberopromuovere il monopolio religioso nella coope-razione allo sviluppo, afferma Anne-Marie Ho-lenstein. «Nelle situazioni in cui la povertà rendele persone dipendenti, la libertà di religione puòessere a rischio. È un pericolo che va valutato vol-ta per volta, caso per caso perché non bisogna ca-

dere nel tranello dei pregiudizi», ammonisce l’e-sperta. «Di correnti fondamentaliste, inclini allaviolenza, ce ne sono in tutte le religioni, al pari dimovimenti aperti e tolleranti. Va privilegiato unconfronto attento ai fattori culturali, che sia in re-lazione con la propria visione del mondo e con ilcontesto in cui si opera». Attraverso vari esempi concreti, elaborati nel qua-dro del progetto DSC sul tema «Religione e svi-luppo», Anne-Marie Holenstein illustra i possibi-li effetti negativi di un’esclusione dei fattori di ri-schio religiosi. Per esempio, quando le attività diprogetto non considerano pratiche religiose o spi-rituali che sono parte integrante della vita dellepersone, come la stregoneria o il vudù. D’altro can-to, affrontare obiettivi spinosi – come tematizzarela mutilazione genitale femminile – può averesuccesso se insieme alle autorità locali ci si rifà aivalori tradizionali, come l’importanza di una fa-miglia sana, adottandoli come argomento di di-scussione. ■

(Traduzione dal tedesco)

Gli scontri tra musulmani del Sudan settentrionale e cattolici della parte meridionale del Paese non favoriscono lo svi-luppo e la pace.

Bartolomé de Las CasasL’imprenditore e missiona-rio spagnolo Bartolomé deLas Casas (1484-1566) sischierò dalla parte degli indios per convinzione reli-giosa. Si recò per la primavolta in Sudamerica nel1502 e in seguito si stabilìsull’isola di Hispaniola.Negli anni seguenti, parte-cipò a campagne militari esviluppò imprese agricole eminerarie con servi indiani.L’incontro con rappresen-tanti dell’ordine dei Dome-nicani, che dal 1510 con-dannavano aspramente larepressione e il maltratta-mento della popolazioneindigena da parte dei conquistadores nel NuovoMondo, indusse LasCasas a un radicale ripen-samento, convincendoload aderire all’Ordine nel1522. Da allora, Las Casassi batté per i diritti degli in-dios sia in patria che oltre-mare – con fortune alterne.Nel 1542 ottenne presso lacorte di Spagna un divietodi ridurre in schiavitù gli indios, che però non fu maiapplicato.

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Pettersson/for Terra Mater/laif

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201330

Carta bianca

Ridipingere di verde il brullo paesaggio etiopeNel XIX secolo, il 35-40 percento dell’Etiopia era ricopertodi foreste. La crescita demogra-fica ha portato allo sfruttamentoeccessivo delle selve e alla loroconversione verso altri usi, ridu-cendo le superfici boschive a unmisero 2,7 per cento. Le conse-guenze sono la perdita di biodi-versità, il degrado, l’erosione e ladiminuzione della fertilità delsuolo. Questi fattori hanno ri-dotto notevolmente la produtti-vità agricola e zootecnica, hannocausato una penuria di legnameda costruzione e da ardere, diacqua potabile o per l’uso quoti-diano.

L’Etiopia copre buona parte delproprio fabbisogno di energiacon la biomassa, come il le-gname, il carbone, lo sterco dimucca e i residui agricoli. Oggi,le quantità d’acqua nei vari ba-cini idrici sono sottoposte a flut-tuazioni estreme, i cicli idrolo-gici sono alterati e il deposito dilimo rischia di comprometterele riserve d’acqua del Paese.

Il processo di degrado causatodall’erosione del suolo è uno dei

Getachew Gebru è cofonda-tore e amministratore di MARIL– un ente privato di ricerca esviluppo con sede in Etiopia. Al momento è presidente dellaEthiopian Society of AnimalProduction, l’associazione degliallevatori di bestiame. Da annisi occupa di ricerca e attività disensibilizzazione nei vari territoridei pastori dell’Etiopia e delNord del Kenya ed è un affer-mato conoscitore della gestionedel rischio nel settore della pa-storizia.

problemi cronici del Paese. Lazona di North Shoa è tra le re-gioni maggiormente colpite daquesto fenomeno. Le violentepiogge dilavano i terreni, untempo fertili, riducendo lo spes-sore della terra e rendendolasempre più sterile. Tutto ciòcontribuisce ad aggravare la crisialimentare e la povertà, chehanno messo in ginocchiol’Etiopia. Rilevamenti fatti inuna zona della Rift Valley, nellaregione di Oromia, indicano chel’erosione ha ripercussioni parti-colarmente gravi sulla sicurezzaalimentare. Le famiglie sono ob-bligate a spendere di più per ac-quistare fertilizzanti chimici. Lasituazione è aggravata dalla for-mazione scolastica insufficientedei bambini. La loro unica fontedi sostentamento sarà il terrenodei genitori, frammentato sem-pre più e impoverito dall’ero-sione. È un’evoluzione che avràripercussioni sul cambiamentoclimatico a livello globale, nazio-nale e regionale.

Per invertire questa tendenza,sono state adottate varie misurea livello nazionale, per esempio,

lanciando iniziative statali e pri-vate di afforestamento con alberidi rapida crescita quali eucalipti,pini e cipressi. Fra i progetti piùdiffusi ci sono il rimboschi-mento di suoli degradati, la pro-mozione di comunità locali re-sponsabili della gestione deiboschi, la limitazione d’accessoad ampie zone, l’adozione ditecnologie agroforestali, cosìcome misure volte a proteggeresuolo e acqua. La creazione dizone urbane verdi ha ottenutoampi consensi perché tale mi-sura abbellisce le città, aumen-tando nello stesso tempo la qualità di vita. In varie parti delPaese sono state incoraggiatenuove fonti di energia rinnova-bile, come quella eolica, e sonostati promossi forni e cucine abasso consumo energetico.

Mediante queste nuove strate-gie, il Paese e le comunità localisono chiamati a proteggeremaggiormente l’ambiente, aconservare e utilizzare con parsi-monia le foreste ancora esistentie i terreni ripristinati. Il fattoche l’UNESCO abbia definito«riserva della biosfera» i boschi

ad alto fusto dell’Etiopia signi-fica che gli sforzi a tutela del pa-trimonio forestale sono stati ri-conosciuti. Altri segnali incorag-gianti giungono dall’aumentodella superficie boschiva – oraraggiunge il 12,2 per cento – edall’adozione di nuove strategiedi economia verde. La creazionedi aziende forestali locali favori-sce il rimboschimento, gene-rando contemporaneamente posti di lavoro e nuove fonti dientrata. Infine, la creazione delMinistero per l’ambiente e la fo-resta apre nuove opportunità perpromuovere il rinverdimento delpaesaggio etiope.

Il nuovo corso permetteràall’Etiopia di accrescere le pro-prie riserve di carbonio e spia-nerà la strada a un credito dicarbonio che con le nuove stra-tegie darà la possibilità al Paesedi mitigare l’impatto del cam-biamento climatico e di tutelareil proprio paesaggio. ■

(Traduzione dall’inglese)

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SCP (2)

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 31

CULTURA

limitazioni imposte dall’agendapolitica. Ogni Stato è chiamatoad affrontare problemi diversi: sein un Paese il dibattito è incen-trato sulla spoliticizzazione dellacultura, in altri, al centro dell’at-tenzione, vi sono il networkingregionale e internazionale o lacreazione e il consolidamento dipiattaforme nazionali. Tutti iPaesi sono però accomunati dal-l’assenza di una politica di svi-

luppo culturale coerente. A causadella mancanza di mezzi, i museidevono chiudere e i programmiculturali sono sospesi. Dagli anniNovanta, il settore indipendenteè sostenuto esclusivamente dacontributi finanziari provenientidall’estero. Tale situazione gli hadato la possibilità di svilupparsigradualmente e di funzionare, al-meno fino a quando non si sonointerrotti i finanziamenti.

La cultura, motore di trasformazione socialeDisporre di una scena culturale indipendente è fondamentale per una società,anche e soprattutto in tempi difficili. Il successo avuto dallo Swiss Cultural Pro-gramme SCP, un’iniziativa che sull’arco di 14 anni ha sostenuto 3000 progettiin nove Paesi dei Balcani ne è la prova. Ora, il progetto è stato affidato a un’or-ganizzazione locale. A colloquio con Gabriela Neuhaus, Bojana Matic-Ostojic,per anni direttrice del programma SCP, ne traccia un bilancio.

Un solo mondo: Quale ruolohanno avuto gli operatoriculturali nei Balcani? Bojana Matic-Ostojic: Lascena culturale indipendente ènata negli anni Ottanta. Era ali-mentata da idee progressiste e ha dischiuso opportunità di in-terscambio inedite e sorpren-denti. Al contempo seguiva approcci nuovi che sfidavano lacultura mainstream, propagandatadagli ambienti ufficiali. A mioavviso, il suo ruolo più impor-tante è tuttora quello di fare dacontrappeso ai fenomeni nega-tivi delle nostre società, peresempio, protestando controogni tipo di prepotenza, controtutti gli «ismi», dal nazionalismoallo sciovinismo. Nonostantequest’obiettivo comune, la scenaculturale indipendente è rimastamolto variegata ed eterogenea.Ed è bene che sia così. È cre-sciuta e maturata nel corso deglianni. Ha però ancora bisogno di sostegno e supporto, ancheeconomico, in vari settori.

Come si differenzia la situa-zione nei Balcani occidentalida quella in altre regioni europee?Nei Balcani occidentali ci sonoPaesi ancora in transizione.Questi Stati tendono a influen-zare la cultura per rafforzare laloro identità nazionale e persfruttarla da un punto di vistastrategico. Tale stato di cose si ri-flette spesso in produzioni mega-lomani e di scarso gusto, che ro-vinano la vera identità. Unadefinizione errata delle prioritànon blocca solamente le produ-zioni indipendenti, ma porta auna strumentalizzazione nazio-nalistica. I nostri artisti devonofare sforzi creativi immani soloper lavorare. Questa situazione si aggraverà ulteriormente, sepersisterà la difficoltà di otteneresostegni economici.

Quali sono le sfide maggioriper gli operatori culturali? Nei Paesi balcanici, l’intero set-tore culturale soffre a causa delle

Eterogenea scena culturale nei Balcani: esibizione «Milk and Water» aTirana e progetto «Small Action» della macedone Ana Josifovska.

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SCP

32 Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013

Una di queste fonti eral’SCP. Quali obiettivi sonostati raggiunti con questoprogramma?Durante i suoi 14 anni di pre-senza, l’SCP si è concentrato ini-zialmente sulla rinascita dellascena culturale e artistica, pas-sando in seguito al sostegno deiprocessi di trasformazione socialegrazie a iniziative artistiche eculturali. Il merito più impor-tante è stato quello di aver raf-forzato molte organizzazioniculturali e, in generale, la scenaculturale indipendente. I tra-guardi più importanti del pro-gramma sono stati raggiunti insettori molto diversi fra loro, peresempio, nella danza contempo-ranea o nella rinascita della cul-tura nelle comunità rurali. Pernoi, questi sono i successi griffati«SCP». Tuttavia, occorre ricor-dare che prima di tutto è meritodella professionalità e dell’impe-gno delle persone attive nelle or-ganizzazioni locali se è stato pos-sibile smuovere le acque inquesti settori.

Quali saranno le prossimetappe? Nella regione dei Balcani, l’SCP

è stato il primo programma cul-turale in ordine di grandezza.Questa iniziativa si è conclusa inun momento in cui non si puòancora parlare di una scena cul-turale stabile nella regione.Questa nuova situazione modifi-cherà in modo sensibile tutto ilpanorama dei finanziamenti eavrà ripercussioni importanti sulnumero delle produzioni indi-pendenti e su quello delle colla-borazioni regionali.Ciononostante sono convintache questo cambiamento nonavrà necessariamente solo conse-guenze negative, ma potrà anchefare da sprone per tutta la scenaculturale. Si presenta l’opportu-nità di ripensare gli investimenticulturali dell’intera regione e ditrovare nuove forme sostenibili di finanziamento locale. Ciò pre-suppone sforzi congiunti e diampio respiro da parte di tutti glienti interessati con la consapevo-lezza che l’aiuto internazionalesarà indispensabile anche in fu-turo. È un obiettivo che inten-diamo perseguire con la nostranuova agenzia «ArtAngle». ■

(Traduzione dal tedesco)

Un ricco programma culturale Dal 1999 al 2013, la DSC e Pro Helvetia hanno unito le loroforze creando il marchio comune SCP (Swiss CulturalProgramme in South Eastern Europe) con cui promuovere losviluppo e l’interscambio culturali nei Paesi dell’ex Iugoslavia,nonché in Albania, Bulgaria, Romania e Ucraina. La cultura in-dipendente non è stata promossa solo per amore dell’arte li-bera, ma anche per favorire i processi di trasformazione nellasocietà. Il progetto si articolava in quattro capitoli principali: • miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli artisti e delle organizzazioni culturali

• promozione della diversità culturale e incoraggiamento delladecentralizzazione

• messa in rete e interscambio nella regione interessata e conla Svizzera

• gestione efficiente attraverso network locali e sedi dislocate

Il progetto si è concluso a fine aprile a Sarajevo con due giorni di spettacoli e manifestazioni culturali. La Svizzera ha investitocomplessivamente circa 22 milioni di franchi nel programma.Quest’ultimo ha coinvolto centinaia di organizzazioni e migliaia di operatori culturali in oltre 3000 iniziative e progettinell’Europa sudorientale. Da ottobre a dicembre, la fondazioneCulturescapes mostrerà una selezione di produzioni artistichedella realtà culturale contemporanea nell’ambito del festivalBalkan 2013 e il 6 dicembre organizzerà insieme ad Artlinkuna tavola rotonda pubblica dedicata agli effetti della cultura e della politica dello sviluppo presso il Kornhausforum a Berna.www.culturescapes.chwww.scp-ba.netwww.artanglebalkans.net

In 14 anni, il programma promosso dalla DSC ha conseguito vari successi, anche nella danza contemporanea.

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Heidorn/laif

33Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013

ServizioMusica

Fitto gioco di suoni(er) È toccante, sinuosa, solare,fine e si muove tra suoni pop etimbri orientali. È la voce della37enne Yasmine Hamdan. Allafine degli anni Novanta, graziealle esibizioni pionieristiche delduo electro-indie «Soap Kills», la cantante è diventata un’iconadella scena underground diBeirut. Oggi vive a Parigi e haappena pubblicato il suo albumd’esordio da solista. Per i testi, lacantautrice libanese si è ispirataalle opere delle grandi cantanti epoetesse arabe della metà delVentesimo secolo. L’atmosferaaffascinante e l’intensità delleparole cantate in vari dialetti

arabi sono enfatizzate da unosfondo fluttuante di suoni d’am-biente, tessuto da delicati accordiacustici, leggeri tocchi di per-cussione, semplici tracce di tastiera. Assistiamo così a unametamorfosi dalle mille sfaccet-tature, in cui il sound modernosposa la poesia del MedioOriente.Yasmine Hamdan: «Ya Nass»(Crammed Discs,Indigo/Musikvertrieb)

Mondi sonori grandiosi (er) A prima vista sembra un attentato del Regno di Mezzoalle nostre abitudini acustiche.Invece, è la radicalità avanguar-distica con cui il gruppo cineseDaWangGang intreccia tradi-zioni musicali del Tibet, dellaManciuria e della Mongolia, maanche dell’Opera di Pechinofino ad ottenere profondi rac-conti di arte sonora filosofico-fantastici che parlano di animali,bambini e maghi. L’album d’e-sordio è una messa in scena au-

tonoma grandiosa, deliziosa-mente strabiliante, carica di forzaed emozione. Il merito è tuttodel 35enne polistrumentista edex rockettaro Song Yuzhe diPechino e dei suoi quattro com-pagni che formano il complesso.Usando le corde vocali, il cantoarmonico, una vasta gamma distrumenti musicali, che spaziadal violino a testa di cavallo allaviola a spiedo Ghichak, dalbanjo al gong, il gruppo creauna trance ritmica e mondi disuoni fantasiosi, ammalianti, ric-chi di forza e di natura. Nella se-conda metà del 2013, i 145membri della giuria del premioDeutsche Schall-plattenkritikhanno designato l’album migliornuova compilation di worldmu-sic.DaWangGang: «Huang QiangZou Ban – Wild Tune StrayRhythm» (Jaro)

Stimolante avventura acustica (er) Sin dal 2003, il PaléoFestival di Nyon riserva un’at-tenzione particolare alla world-music. Nel cosiddetto «Villagedu Monde», la rassegna musicalesulle rive del lago Lemano le de-dica con il «Dôme» addiritturaun palco proprio. Quest’anno haregalato al suo pubblico alcuneperle musicali provenientidall’Oceano indiano, raccolte,come da tradizione, in un sam-pler allestito con grande cura ecompetenza. Chi non ha assistitoai concerti, può ascoltare como-damente a casa i 15 brani dellacompilation. Sono messaggi culturali lanciati dagli Stati dellacosta dell’Africa orientale e dallevicine isole e interpretati in unavarietà stilistica sfarzosa e sor-prendente, dalla Jagwa Music(Tanzania) e Black SciFi (Kenya)ai tamburi Shangan Electro(Sudafrica), al canto Maloya (LaRéunion) o ai tamburi tradizio-nali (Burundi). Collage sonoriaffascinanti e divertenti, spiritosi

10 anni di politica per lepari opportunità(bf ) Nel giugno 2013, la DSCha festeggiato dieci anni digender policy, la politica chepromuove le pari opportunitàtra donne e uomini. Per l’occa-sione è uscita una pubblica-zione che raccoglie contributitanto spiritosi quanto sorpren-denti. Sono spezzoni trattidalla vita quotidiana delle col-laboratrici e dei collaboratoridella DSC attivi nella coopera-zione bilaterale e globale e chesi occupano delle questioni diparità tra i sessi nei posti piùdisparati. Si legge, per esem-

e allegri, proposti dal complessoemergente Skip & Die (Sud-africa/Olanda), voci femminiliinsistenti, fedeli alla tradizionesufi del coro Deba (Mayotte) ogli accordi e le armonie del fa-moso fisarmonicista e cantanteRégis Givazo (Madagascar).Various: «Ocean Indien – PaléoFestival Nyon – Village du Monde2013» (Paléo Festival Nyon/Disques Office)

Cinema online per i film dal Sud e dall’Est (bf ) La Fondazione Trigon-Filmcelebra il suo 25esimo anniver-sario. Il distributore cinemato-grafico è stato fondato nel 1988con l’obiettivo di arricchire l’of-ferta culturale in Svizzera confilm provenienti dall’America la-tina, dall’Africa e dall’Asia. Piùtardi si sono aggiunte le produ-zioni dell’Europa dell’Est. Nelfrattempo, Trigon-Film haproiettato nelle sale cinemato-grafiche oltre 390 pellicole pro-dotte in 79 Paesi, di cui più di250 arricchiscono ora la propriacollana di DVD. La fondazione,finanziata da un’associazione disostenitori e dalla DSC, ha per-messo una maggiore diffusionedei film del Sud e dell’Est e hadiversificato l’offerta cinemato-grafica in Svizzera. Per festeg-giare l’anniversario, Trigon-Filmha, fra l’altro, creato un cinemaonline sulla propria piattaformamultimediale offrendo agli ap-passionati di cinema la possibilitàdi guardare – sempre e ovunque –i film in cartellone in questomomento nei cinema, ma anchei vecchi intramontabili classici o

pio, dei diritti delle donne inAfghanistan e dell’esperienzadi uomo in un ambito decli-nato quasi esclusivamente alfemminile in Bangla- desh.Otto eloquenti testimonianze,scritte da uomini, ci regalano una visione inedita su incontri e vissuto personaleda una prospettiva maschile. Il capitolo «Trasformazioni edesperienze istituzionali» apreuna finestra sul passato, sulpresente e sul futuro dellagender policy.L’opuscolo sulla politica per lepari opportunità della DSC èdisponibile in tedesco e inglesee può essere scaricato in for-mato Pdf o ordinato online sulsito www.dsc.admin.ch(Dokumentation, Publikatio-nen; chiave di ricerca: gender)

Film

e DVD

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Trigon

Un solo mondo n.4 / Dicembre 201334

Libri e opuscoli

di scoprire alcune anteprime.Per informazioni, ordinazioni e visione online dei film www.trigon-film.ch

La radio magica (dg) In Niger vi sono dozzine diradio private e regionali, e nonsolo nella capitale, ma anche neipiccoli paesini del Sahel. La ra-dio è il mezzo di comunicazionepiù amato e grazie agli apparec-chi robusti e portatili è possibileascoltarla ovunque. Il ventagliodi programmi musicali è moltoampio, così come sono vasti gliargomenti trattati nelle varie tra-smissioni. I temi spaziano dai di-battiti alla consulenza per la vitadi coppia, dai consigli di bellezzaalle ricette di cucina, dalla pub-blicità per finire agli annunci dimatrimonio. Nel film «Magic Radio» vieneevidenziata l’importanza di unaradio radicata nella realtà localeper la società. La radio può avereuna funzione educativa, contri-buire alla formazione di un’opi-nione, favorire la partecipazione,la democratizzazione o la me-diazione culturale. Il film, unacoproduzione svizzero-nige-riana, ci rende partecipi di alcuni momenti della vita quoti-diana della popolazione autoc-tona e ci informa su tematichedi attualità quali il ruolo delladonna, la salute o le condizionifamiliari. «Magic Radio», film documentariodi Luc Peter, Stéphanie Barbey,Svizzera/Niger 2007. Sottotitolatoin francese e tedesco, il film è dispo-nibile esclusivamente sul DVD«Medien verändern die Welt». Perinformazioni e consulenza: educa-tion21|Filme für eine Welt, telefono031 321 00 30, www.filmeeinewelt.ch

Tempo di ascoltare(gn) «Perché disprezzate le co-noscenze e le competenze lo-cali? Anche noi abbiamo inge-gneri ed esperti». Il libro «Timeto Listen» è pieno di osserva-zioni di questo tipo. Tra le au-trici dell’opera, c’è anche l’e-sperta di ricerca sullo sviluppoMary B. Anderson, che con lasua pubblicazione «Do noHarm» ha fornito preziosi im-pulsi per rinnovare la coopera-zione allo sviluppo. Per la suaopera più recente sono stati in-tervistati oltre 6000 «beneficiari»della cooperazione internazio-nale allo sviluppo nel mondo.Molti di loro si sono lamentatidi non essere presi sul serio daidonatori e dalle organizzazionicaritative. Per questo motivo, lapubblicazione invita la coopera-zione allo sviluppo a trasfor-marsi radicalmente se in futurovuole mantenere le sue pro-messe. Stando alle autrici, è es-senziale allontanarsi dall’attualerapporto donatore-beneficiario.È una rivendicazione radicale, il-lustrata in modo plausibile. Time to Listen – Hearing Peopleon the Receiving End ofInternational Aid. Mary B.Anderson, Dayna Brown, IsabellaJean. CDA Collaborative LearningProjects, 2012. www.cdacollaborative.org

Il pupazzo di neve che nonvoleva più sciogliersi (bf ) In un villaggio succede unastoria davvero strana. Con laprima neve, i bambini si lascianoprendere dall’entusiasmo e co-struiscono il pupazzo di nevepiù grande che possano immagi-nare. Non appena è finito, il pu-pazzo cambia però aspetto.Anziché essere grato ai bambiniper averlo realizzato, vuole di-ventare il loro capo. Esige delleguardie del corpo e dei cubettidi ghiaccio quando le tempera-ture iniziano a salire perché sirifiuta di sciogliersi. Riesce a in-

fluenzare anche il sole primave-rile e così nel villaggio regna ungran freddo. A un certo punto ilsole perde la pazienza e i suoiraggi trasformano il pupazzo inuna pozzanghera d’acqua. «Dergrosse Schneemann» di SeyyedAli Shodjaie (testo) ed ElaheTaherian (immagini), entrambidi Teheran, è un libro illustrato ebilingue (tedesco/persiano), chetematizza il potere e la remissi-vità e grazie al linguaggio fiabe-sco è adatto sia ai bambini siaagli adulti. «Der grosse Schneemann» diSeyyed Ali Shodjaie e ElaheTaherian, Baobab Books Basilea2013

Un’odissea affascinante(bf ) Sulle tracce del ragazzo Tor Baz – il Falco Nero – JamilAhmad accompagna i suoi let-tori in un viaggio attraverso unmondo arcaico. Racconta dellaregione di confine fra Pakistan,Afghanistan e Iran, di paesaggiaffascinanti, di riti tribali e dellalotta per la sopravvivenza, maanche di saggezza, compassionee amore. La storia è avventurosaquanto quella del suo autore.Jamil Ahmad è nato nel 1933 aJalandhar, in India. Come fun-zionario dello Stato pachistanoha lavorato soprattutto inBelugistan. Più tardi è diventato

presidente della Tribal Develop-ment Corporation. Nel 1979, durante l’invasione sovietica inAfghanistan, è stato ministronell’assemblea pachistana diKabul. Solo all’età di 80 anni hadeciso di pubblicare i suoi ma-noscritti, risalenti a circa 40 anniprima. La storia che racconta èdi un fascino straordinario, deli-ziosamente esotica; parla del co-dice d’onore pashtun, di oppio,orsi, mercanti di donne, porta-tori di pugnali ricurvi in groppaai cammelli e di tanto altro ancora.«L’acqua più dolce del mondo» diJamil Ahmad, Bollati BoringhieriEditore, 2012

Nelle carceri siriane ( jls) Aram Karabet è nato nel1958 a Hassakeh, città nel nord-est della Siria, in una famiglia dirifugiati armeni. All’età di 29anni è stato arrestato dai servizisegreti perché iscritto a un’orga-nizzazione comunista clande-stina. Il giovane ingegnere ha passato sette anni in una pri-gione di Damasco prima di po-ter comparire dinanzi a un giu-dice. La Corte di sicurezza delloStato l’ha condannato a tredicianni di detenzione, revocando isuoi diritti civili per un periododella stessa durata. Nonostante letorture fisiche e morali inimma-ginabili cui è stato sottoposto,Aram Karabet non ha mai rin-negato le sue convinzioni politi-che. A causa del suo credo hadovuto scontare gli ultimi cin-que anni di pena nella famige-rata prigione militare diPalmyre, un vero e propriocampo di concentramento, dovenel corso degli anni Ottanta eNovanta sono morti migliaia diprigionieri politici. In un rac-conto, tradotto di recente infrancese, Karabet parla del suoinferno nelle carceri siriane. Lasua cruda testimonianza illuminaalcune zone, rimaste nell’ombra,del regime istaurato da Hafiz

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Un solo mondo n.4 / Dicembre 2013 35

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile)Catherine Vuffray (coordinamento globale)Marie-Noëlle Bossel, Beat Felber, SarahJaquiéry, André Marty, Pierre Maurer, Özgür Ünal

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn), Jane-Lise Schneeberger

(jls), Mirella Wepf (mw), Ernst Rieben (er), LucaBeti (versione italiana)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previa consultazione della redazione e citazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 52200

Copertina: Un'apprendista di Musoma, inTanzania, durante la sua formazione qualemetalcostruttrice; Sven Torfinn/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

La musica unisce

La 26enne bernese Stefanie Peter,alias Steff la Cheffe, è una virtuosadell’hip-hop e nel 2009 è stata vi-cecampionessa mondiale di beat-boxing, ovvero dell’arte di imitaretutti i suoni della batteria usando labocca e la voce.

Viaggiare per me è una liberazioneestrema. Mi mette in contatto conla gente e al contempo mi apre gliocchi, su me stessa, ma anche sututto ciò che è diverso e mi ruotaattorno. Quando si è in viaggio, sidovrebbe avere una missione. Lamia è la musica. La musica nera,soprattutto quella afroamericana odei Caraibi come il reggae, il dan-cehall e il reggaeton, ha suscitatosempre grandi emozioni in me. Lamusica è un linguaggio che uni-sce, che ci mette in contatto gli unicon gli altri, che apre le porte. A 17anni sono andata a trovare mia zianella Repubblica Dominicana. Piùtardi vi ho vissuto per sei mesi.Haiti si trova sulla stessa isola ecosì ho conosciuto dei giovani hai-tiani, con i quali è nato un bellis-simo interscambio. Insegnavo loroil tedesco e l’inglese, mentre loromi davano lezioni di creolo e disalsa. Il videoclip per il mio nuovoalbum «Vögu zum Geburtstag» èstato prodotto in Sudafrica, dovevivono molti bravissimi rapper ecantanti. Posso solo raccoman-darvi di ascoltare la loro musica.

(Testimonianza raccolta da BeatFelber)

Varie

al-Assad e trasmesso al figlioBashar. Oggi l’autore vive inSvezia.Aram Karabet, «Treize ans dans lesprisons syriennes», Actes Sud, Paris,2013

Reportage a fumetti (bf ) Il giornalista-fumettistamaltese Joe Sacco ha ricevutovari riconoscimenti internazio-nali, fra cui l’American BookAward, per i suoi reportage sottoforma di fumetti sulla guerra inBosnia e in Palestina. «Il fumettomi dà la possibilità di superare ilimiti imposti al giornalismo tra-dizionale», ricorda Sacco. Nelsuo nuovo volume «Reportages»riferisce della guerra nel Caucasoe in Iraq, di profughi africanibloccati a Malta e di una casta inIndia, i cui membri si trovanotalmente in basso nella scala so-ciale indiana da essere privatianche del minimo indispensabileper vivere. Alcuni contributi mi-nori – disegnati in origine pergiornali e periodici quali il«Time», il «The Guardian» o il«Boston Globe» – presentano il

Tribunale internazionale peri crimini di guerra dell’Aia e alcuni incontri in Palestina. «Reportages» di Joe Sacco,Mondadori Editore, 2012

Violenze inenarrabili ( jls) Nel 1999, quando ha apertoun ambulatorio-maternità aBukavu, nell’Est della Repub-blica Democratica del Congo,Denis Mukwege si aspettava dipraticare dei tagli cesarei. Invece,il ginecologo ha dovuto imme-diatamente confrontarsi conl’orrore delle violenze sessualiperpetrate da gruppi armati. Lasua prima paziente aveva l’appa-rato genitale dilaniato dalle pal-lottole che le avevano sparatonella vagina. Da allora, l’ospedaledi Panzi non ha più smesso diaccogliere donne stuprate e mu-tilate in maniera quasi inenarra-bile. Queste vittime dei signoridella guerra hanno i seni muti-lati o la vagina lacerata da coltel-late o colpi di baionetta, bruciatacon la soda caustica, sfondatacon bastoni o sbarre di acciaio.Instancabile, il dottor Mukwegecuce le ferite, ripara e ricostrui-sce. Insieme alla sua équipe hagià curato gratuitamente quasi40000 donne. La giornalistabelga Colette Braeckman ha dedicato un libro a quest’uomocoraggioso, cui sono stati attri-buiti numerosi riconoscimentiinternazionali per il suo impe-gno, tra cui il premio Nobel al-ternativo 2013. La pubblicazioneripercorre anche la storia tor-mentata della regione ed esplora

i motivi che hanno spinto i si-gnori della guerra a fare deglistupri di massa una strategia sistematica. La DSC sostiene leattività del dottore Mukwege aBukavu.Colette Braeckmann, «L’homme qui répare les femmes», éditionsGrip/André Versaille, Waterloo,2012

DFAE: esperti a vostra disposizioneDesiderate ottenere informa-zioni di prima mano su temi dipolitica estera? Le specialiste egli specialisti del Dipartimentofederale degli affari esteri DFAEsono a disposizione di scuole, as-sociazioni e istituzioni per con-ferenze e discussioni su nume-rosi temi di politica estera. Ilservizio è gratuito, ma è offertosolamente in Svizzera.All’incontro devono parteciparealmeno 30 persone. Per informazioni: servizio delle conferenze DFAE, Palazzo federaleovest, 3003 Berna; telefono; 031 322 31 53 o 031 322 44 12; e-mail:[email protected]

Peter Hauser

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«Le giovani donne sono molto rare neicorsi di elettronica o di informatica,benché questi settori offrano prospettived’impiego decisamente migliori».Borhène Chakroun, pag. 16

«Geno, il Padreterno, prima creò lamucca. Poi creò la donna. E solo dopoi fulani». Tierno Monénembo, pag. 18

«Le religioni celano sempre sia poten-zialità sia rischi». Anne-Marie Holenstein, pag. 27