Un ricordo di FRANCO CAVALLO - Non potendo cantare il ... · sequenza dei suoi bellissimi libri di...

26
Un ricordo di FRANCO CAVALLO (3 gen. 1929 - 15 mag. 2005)

Transcript of Un ricordo di FRANCO CAVALLO - Non potendo cantare il ... · sequenza dei suoi bellissimi libri di...

Un ricordo di

FRANCO CAVALLO (3 gen. 1929 - 15 mag. 2005)

2

Un poeta giocoso e adamantino

Se n’è andato qualche giorno fa Franco Cavallo, poeta tra i maggiori della sua generazione. Insisteva a dire che non avrebbe accettato di vivere meno di centocinquantotto anni, e nella sua cabala giocosa e paradossale la cifra assumeva metafora di esorcismo fumista e di certezza adamantina. Un esorcismo che non gli è purtroppo bastato, come non gli è bastato risiedere a due passi dalla grotta della Sibilla Cumana, nel confronto serrato con la gelida Comare che in pochi mesi strazianti lo ha divelto dal nostro affetto e dalla nostra lunga fraternità letteraria, la cui prova più tangibile resta l’antologia curata a quattro mani nel 1989 (Poesia italiana della contraddizione). Franco è stato un vivacissimo animatore di cultura (si vedano le riviste da lui fondate e dirette: Altri Termini e Colibrì) e un poeta al tempo stesso sottile e denso, trasparente e carico di enigma. Oltre che dal suo temperamento di straordinario lirico refoulé in cui si mescolava un acuminato bricoleur invettivale, tutto ciò gli veniva dalla sua amorosa frequentazione di certi grandi poeti francesi (Corbière, Reverdy, Jacob) da lui splendidamente tradotti. Dopo una permanenza romana, dal 1971 aveva scelto di abitare a Cuma, “in campagna” come amava dire. Ma il suo era un isolamento attivo, da intellettuale sommerso dotato di una serie di periscopi variamente calibrati, come stanno a testimoniare i suoi numerosi interventi teorici, critici, polemici, e soprattutto la sequenza dei suoi bellissimi libri di poesia: Fétiche (1969), I nove sensi (1971), Flusso (1976), Frammentazioni (1978), Ziggurat (1978), L’alfabeto dei numeri (1981), fino all’antologico L’animale anomalo (1992) e ai successivi che sempre più segnano la scelta destinale del poeta, il quale dice esattamente di sé, in Autodizionario degli scrittori italiani di Felice

3

Piemontese (Leonardo, 1989): “Anomalo nella vita, anomalo in letteratura, Franco Cavallo ha somatizzato un certo modo di vivere la marginalità e la lateralità che gli è diventato quasi uno status biologico, una maniera di essere nel profondo. Si legge in una sua dichiarazione teorica: ’Considero il lavoro del poeta come un infinito vagabondaggio attraverso le forme estetiche, un flusso pressoché ininterrotto mediante il quale egli, calandosi nel corpo vivo del linguaggio, realizza se stesso e la propria opera, in una prospettiva di costante mutazione e permutazione, e di continuo scavo nel reale, nei cui strati più profondi il linguaggio si nasconde come una talpa e scava invisibili gallerie sotterranee’”. Uno dei doni più misteriosi del versus brevis di Cavallo è la capacità di dilatarsi e distendersi fino a divorare senza ingordigia il bianco della pagina. Voglio dire che esso è davvero una creatura spaziale, di specie aerea e volàtile: a dispetto, anche, del suo peso tàttile, della sua fisicità, della sua concretissima energia tensiva. Al suo meglio, Cavallo possedeva – senza indulgere a un facile gioco di parole – natura di centauro: nel senso che la sua poesia è al tempo stesso perdutamente animale e inafferrabilmente “angelica”. E tuttavia, nella sua innocenza nutrita di squisiti cinismi stilistici non c’è ombra di gusto atmosferico, proprio perché il poeta non si identifica mai col pathos della propria voce, non sublima le pulsioni del proprio sacro ombelico come càpita ai lirici di maniera, ma al contrario procede con nonchalance acrobatica (e, quando necessario, con levità clownesca), quasi facendo spallucce, su una serie di percorsi sguinci e imprevedibili, a velocità variamente accelerate. Ecco: è appunto nella velocità – e nel ritmo, quindi – che la poesia cavalliana trova uno dei suoi punti di forza nevralgici. Si tratta di caratteri marcatamente linguistici, capaci di contrarre seccamente la sintassi, o – a scelta – di renderla liquida e espansa, mettendo sistematicamente in scacco qualsiasi tentazione psicologistica. L’io di Cavallo è irrimediabilmente plurale, il soggetto si mimetizza indossando abiti numerosi di malinconia mai “vissuta” direttamente nella scrittura ma costantemente riferita agli oggetti, alle figure, agli attrezzi, alle scenografie del suo irridente/straziato thèatron fantasmagorico; oppure vestendo panni dafool malandrino, da lacerato folletto del presente e della memoria. Si vuol dire che la poesia di Cavallo è due volte straniata: la prima volta in virtù della sua scelta di fondo, centrata su un’ottica obliqua e strabica; la seconda, in virtù del suo continuo rovesciarsi nel proprio contrario. Cavallo è stato davvero, nella sua tarda stagione, “un uomo solo in mezzo alla scrittura”, come egli stesso dice di sé in Commentando un’opera di Michele Perfetti: sapendo benissimo che il gioco della lingua è un altro degli aspetti del tragico cui è impossibile sottrarsi. L’allitterazione e la paronomasia sono sempre più, in questa poesia, figure dell’esistere considerato come sistema ripetitivo con varianti minime. Ormai il riso sfiora la tragedia, e viceversa. Sillaba amaramente il poeta, in un passo desolato di Nuove Frammentazioni (1999): “è il mare che bussa / alla porta dell’assente – e c’è una / tristezza frammista / a olio & catrame. / il sole esce di pista. / e la nottilùca chiama: / voce chiara e distinta / nella sera che s’oscura. / non c’è dunque un futuro. / non è rimasto più niente. / solo un brusìo che si spegne. / solo qualcuno che si pente”. Così, la vitalità del linguaggio che ha alimentato tutto l’ammirevole arco della poesia di Franco, e ha dato belle prove di sé anche in libri di prosa narrativa sulfurea e bruciante (La forma buia del

4

vento; Le memorie del professor Zarathustra; Racconti volanti) risulta allora, in tutta la sua frenetica, allergica “allegria”, soprattutto la lucida, tersa testimonianza di uno scacco, di un generale naufragio.

Mario Lunetta (“Le reti di Dedalus”, maggio-giugno 2005)

5

(da “Ladro di versi”, 1983) quando avrò rotto un altro pensiero quando avrò sezionato una porzione di tempo una casa con un vicolo dissenziente è il linguaggio che cade dietro la tenda oppure l’aria che si fa putrida e l’alba si sfascia in concerti fluviali quello che voglio dire è che l’acqua non c’entra c’entra invece un inverno di cieli freddi rosicchia l’inguine incagliato tra le pietre una poesia si scrive per essere disfatta come la rosa che fiorisce nell’intarsio ovvero, la finzione lievita tra usanze sparse

6

(da: L’alfabeto dei numeri, Edizioni di Altri Termini , 1981) 5, 6, 7, 8, per Cinque per Sei per Sette per otto lo spostamento verso est avviene attraverso una palude misteriosa costellata di scheletri di mohicani ) Cupi suoni di liane Si snodano nel tuo corpo -fondamentale panteismo indù & l’acqua sale sino alle vertebre del silenzio :

7

una placenta violacea si stacca dalla tua luce di solstizio e cade in particelle silenziose . o nube sovraccarica d’aceto o scorza delle mani avvinghiate al tuo seno (elaborato nella mia frequenza) o particola che rotoli tra i pioppi o vuoto color di salnitro o raganella che t’incagli nel fondale di uno sperma nebbioso -assapora il frammento aspro della parola

8

che non raggiunge il tuo centro poi lo raggiunge e il tuo centro è la Morte

9

Intervista con Franco Cavallo, direttore della rivista Altri termini.

«Le parole nascono dalla dialettica, la negazione garantisce la continuità delle forme»

Ha compiuto sessant’anni il 3 gennaio: una ventina di libri alle spalle; diverse traduzioni all’estero e un curriculum di altissimo livello, Franco Cavallo, «il miglior poeta surrealista e nonsensista italiano», secondo Stefano Lanuzza, ha sempre alternato la sua attività di poeta con quella di organizzatore culturale. Negli anni sessanta, quando viveva ancora a Roma, diede vita al Premio Argentario, ritornato a Napoli (attualmente vive in campagna a Cuma) nel 1972 ha fondato Altri termini, comunemente considerata una delle maggori riviste sperimentali e di ricerca che vi siano oggi in Italia. Personaggio schivo, Franco Cavallo ha scarsissime frequentazioni pubbliche. Raramente lo si vede a Napoli, dove pure recentemente ha organizzato per l’istituto Italiano per gli Studi Filosofici I percorsi della scrittura, una rassegna di letteratura (trentasei incontri con poeti, narratori e critici) che Francesco Leonetti ha definito l’evento più importante dagli anni Sessanta ad oggi. Pur tuttavia sono in contatto con lui decine di giovani disseminati per tutta la penisola.

10

«Una delle costanti di "Altri termini" – spiega Cavallo – è stato sin dalla nascita il rapporto preferenziale con i giovani. Nei loro confronti la rivista ha sempre mantenuto un atteggiamento di grande disponibilità e apertura». Un rapporto proficuo, dunque. «Direi di sì. Tutti da giovani pensiamo di dover uccidere il padre. Questo fatto in principio complica sempre un po’ le cose. Ma tutto sta a fare capire loro che tu non sei un padre, ma, tutt’al più, un compagno di viaggio con qualche annetto in più sul groppone…» A proposito di viaggio. Tutta la tua opera poetica appare segnata da una dimensione per così dire itinerante. C’è uno spostamento continuo, quasi ossessivo. Ogni libro è diverso da quello precedente. Come mai? «È vero. ‘Ziggurat’, ‘L’alfabeto dei numeri’, ‘Frammentazioni’, ‘La forma buia del vento’, ‘La nascita del Principe’ sono libri strutturati ognuno in maniera diversa. In realtà c’è un denominatore comune che li lega: questo denominatore comune è il senso della ricerca, o del viaggio, in un universo in cui, crollati tutti i valori, occorre cercarne degli altri. La creatività, per me almeno, è una forma inconscia di assiologia». Torniamo alla rivista con la quale esiste una stretta correlazione col tuo lavoro, dove certe inquietudini che in essa vi serpeggiano sono tipiche del tuo carattere. Qual è il programma essenziale di Altri termini? In quale orizzonte si muove codesta ricerca? «L’assunto di base, anche dopo più di quindici anni, resta fondamentalmente invariato. Il programma della rivista è sempre quello di rappresentare il problema morale della contraddizione: la dialettica da cui germoglia la nascita di parole, cose, situazioni. La ricerca letteraria si muove ancora nello spazio dischiuso delle avanguardie storiche che sono ancora forze imperanti e operanti. La poesia sa che non è più possibile riappropriarsi tout court della positività dei significati; si può solo rappresentare il movimento di un senso che parla di sé sfaldandosi ininterrottamente». Puoi spiegare meglio questo concetto? «Nella tradizione del moderno ogni rottura è un inizio improvviso che s’apre; la negazione assicura la continuità delle forme. La parola appare per negare se stessa in una sorta di autodistruzione creativa. Si iscrive in quella che possiamo

11

definire tradizione della rottura. Nega i principi eterni, stabili, puntando al cambiamento continuo». Un linguaggio che ha smesso o non ha più la forza di sperimentare se stesso è praticamente morto? «Direi proprio di sì. È sempre al di là della morta sovrastuttura dei contenuti che esiste il linguaggio vivo e operante di ogni realtà artistica. C’è sempre una tensione libidica e una pulsione che cercano il proprio nome per esistere. Bisogna carpire questa stratificazione del linguaggio». Il momento critico che valenza ha nell’ambito della ricerca letteraria? «A partire da Baudelaire critica e poesia viaggiano congiuntamente; il segno intenso della poesia, esaurito il suo movimento piega le vele: si riflette e si distende in quello della critica per poi riprendere puntualmente il cammino che gli è proprio. D’altra parte una scrittura che non assume su di sé la risolutezza e la responsabilità del proprio agire, rischia di diventare una scrittura riempitiva di tempi morti, una scrittura di emergenza cui manchi un agire progettuale in grado di riconoscere il futuro e liberarlo nel presente: unico tempo dove hanno luogo gli eventi». Che cosa è cambiato in questi anni di attiva militanza? «Niente è cambiato e tutto è cambiato. Il concetto di avanguardia si è spostato con lo spostamento delle cose stesse di cui è nello stesso tempo causa ed effetto. Comunque, riformulare concettualmente un orizzonte sempre cangiante con tutti i suoi fantasmi che cercano corpo per esistere rimane pur sempre il compito fondamentale; il tutto ritorna per ripetersi senza ripetersi mai». Come si mantiene la pubblicazione della rivista? «La letteratura di ricerca (poesia e saggi etc.) non trova spazio editoriale, rimane purtroppo ancora una letteratura maledetta: quando esce, esce a proprie spese».

Alessandro Carandente (“Il giornale di Napoli”, 14 gennaio 1989)

12

(da Rien ne va plus, Altri Termini, Napoli 1974)

13

che c’era una storia che si sarebbe potuta raccontare che ci sono storie che si potrebbero raccontare che non ci sono più storie che si possono raccontare che non si può più raccontare se non esiste una storia

.

14

(da Altri Termini, quaderni internazionali di letteratura. Numero 2 - Terza Serie Giugno - Settembre 1985, SEN Napoli)

Ballata per Napoli la zoccola* A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Zoccolando zoccolando si sale in cima alla vetta dell’Incubo-Corvetta per poi precipitare nell’abisso. Che cos’è un Crocifisso? Non è certo un suffisso! È la Santa Alleanza tra la sentina e la panza. A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Per un architrave crollato alcune migliaia di milioni hanno spiccato il volo dalla pista del Santo Patrono. A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Zoccole che vengono, zoccole che vanno lungo la stagione dei malanni. Zoccole di luce rossa, zoccole antropomorfiche… zoccole di Piazza della Borsa zoccole di Palazzo San Giacomo:

15

zoccole che vanno di corsa verso il Largo di Sant’Erasmo. A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Flosofi in abito scuro entrano nell’Istituto: scansano con passo sicuro la buca aperta e il rifiuto. A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perchè sei così zoccola? Zoccole di Via dei Mille, zoccole garibaldine: zoccole delle cento Siviglie acquartierate sulle colline. A Napoli la zoccola Oh Napoli la zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Chiesa di Santa Chiara fatta di pietra amara: non è certo la Certosa di Parma, è il reame della tarma. A Napoli la Zoccola Oh Napoli la Zoccola Ahi Napoli la Zoccola perché sei così zoccola? Zoccola lo zoccolànte tra zoccole salmodianti sui cumuli di spazzatura acri e maleodoranti… Ed ecco il signor Céline. È un ometto-cerino.

16

Il suo vitreo occhio sbarrato si perde nel mare allumato.

* Testo ispirato dall’intervento di Felice Piemontese, A Napoli la Zoccola, apparso sul numero 70 di Alfabeta (marzo 1985).

17

Una lettura di poesie come un ping-pong

Recensione a Frammentazioni, e a Ziggurat,

Ed. Altri termini, 1979.

Altri termini è rivista e sigla editoriale. Costituisce, in questo duplice aspetto, nell’area della letteratura creativa, una delle più interessanti operazioni culturali di questo decennio. Giustificato è quindi lo stupore che sull’Unità del 16 luglio 1979 manifesta Sebastiano Vassalli quando rileva che neppure l’attuale rinnovato interesse per la poesia ha contribuito «a collocare in miglior luce l’attività del gruppo di poeti» che in soluzione autogestita assicura continuità all’iniziativa. Fondatore e responsabile di Altri termini è Franco Cavallo. E di Franco Cavallo sono i due ultimi libretti editi: Frammentazioni e Ziggurat. È di una lettura di questi che darò conto qui; rimandando ad un prossimo articolo cenni critici sulle altre pur recenti pubblicazioni (penso alle raccolte di Paolo Badini e di Franco Capasso; penso a Colibrì, quaderni trimestrali di poesia; penso alla stessa rivista Altri termini). In entrambi i libri considerati il linguaggio esibisce ostentatamente una organizzazione che, flessibile al massimo, si propone come sofisticata macchina atta a piegare le sue funzioni alle esigenze di chi ha qualche richiesta da fare.

18

In Frammentazioni troveranno piene risposte coloro che non sanno come aprire le orecchie al canto delle sirene; che non conoscono i luoghi del mistero e del miracolo; che non sanno come rompere i ponti con le regole del gioco. In Ziggurat coglieranno indicazioni di viaggio coloro che cercano nel reale le tappe dell’avventura, per prolungare la vita oltre il quotidiano e le bandierine dei dogmi. Sono le piene risposte e le indicazioni di viaggio che a Mimmo Grasso fanno scrivere sulla rivista in via di emersione Workshop (numero 0, giugno 1979) «la legge di questo libro è la teatralità senza strutture e pubblico: si svolge nei luoghi verdi della visione», riferendosi a Frammentazioni; e «le forme di questo libro hanno una funzione strumentale essendo finalizzate a far scattare lo pneuma delle immagini», riferendosi a Ziggurat. Le piene risposte che avevo accostato a Frammentazioni hanno i loro supporti nel dinamismo interno che ogni strofa (quasi sempre di quattro versi) esprime. La fitta rete di relazioni che lega l’uno all’altro i versi scardina i confini della convenzione e, nell’impatto con l’attenzione del lettore in tensione critica, liberano cento interpretazioni, mille ricreazioni. Ogni strofa sviluppa meccanismi generativi che, paradossalmente fondandosi sul lessico della catastrofe («una mandria in fiamme / nel crepitio del sale, un / cavo abisso all’ingresso / del deserto», liberano molte linee di sviluppo verticali e un filo di Arianna verso i luoghi dell’esistenza dove la vita ha ragione di ogni programma. Paradossalmente, ma non tanto. Perché è caratteristica della frammentazione moltiplicare e dilatare le facciate e le visuali; e squassare ogni apparenza (il lessico, in questo caso) e ricomporla abilmente con la forza di un ritmo fortemente scandito («non salire sul ring, / il match è truccato, / caldo orecchio e la freccia / trapassa a miglior luce»). Diretta ascendenza, nella produzione di Cavallo, queste poesie la trovano nella sezione Poesie scritte in campagna di un libretto pubblicato con Guanda nel 1969: Fétiche. Le indicazioni di viaggio che avevo accostato a Ziggurat fondano le loro radici nell’humus di una scacchiera linguistica che ha ribaltato i suoi segni. Le diverse sezioni di cui il libro si compone mettono in scena universi temporali che nulla hanno a che fare con il calendario (ed ecco allora un passato pregno di presente, e poi un presente venato di ipoteticità); rappresentano la non riducibilità dell’espressione a shemi angusti, a formule buone per tutti gli usi. I brani di prosa, qua e là disseminati, scandiscono i confini: «Se un sentiero si biforca, volta il foglio in silenzio: l’aurora di una nuova era si aprirà come una crisalide». È proprio vero: «Il futuro è il luogo in cui uccideremo tutti i labirinti». Ed è nel futuro, concepito come spazio cavo, che le porte spalancate della poesia di Cavallo ci conducono. Gettare via questa storia, che ci indica luna o l’altra bandiera da seguire; decidere noi la nostra storia; scegliere noi i nostri appuntamenti (mancando quelli dell’oppressione); fare come chi «si era arruolato a Sumatra, ma qualche settimana dopo era già disertore»; fare come chi «sfarina le stelle lucenti di gennaio sulla strada delle Dulcinee dell’immaginazione»; sfidare il potere invadendo le piazze della scrittura. In una intervista pubblicata nel febbraio [Flavio Ermini, Quotidiano dei lavoratori, 4 gennaio 1979] di quest’anno sul Quotidiano dei lavoratori, Franco Cavallo dichiarava:

19

«Non più la certezza che la letteratura che tu fai sia l’unica letteratura possibile (…), ma il riconoscimento che esistono – o possono esistere – altre ipotesi letterarie ugualmente valide, o comunque degne di essere passate al vaglio della verifica». Entrambi i libretti presi in esame (e Ziggurat in maggior misura) mostrano come si possa anche andare al di là del semplice riconoscimento e fondare una prassi poetica che rifugga l’unidimensionalità. La prassi poetica così concepita ha questa volta mostrato come l’orizzonte della letteratura creativa sia in grado di lasciare liberi e, quindi, visibili e praticabili i sentieri che l’occhi umano comunemente non vede. Temo che il non percorrerli, a questo punto, possa condurre la poesia su movimenti di involuzione, fino a farla diventare qualcosa che non ci rinnova, che non ci ridefinisce. Questo è il senso dell’operazione di Franco Cavallo. Una lettura svolta a ping-pong tra Frammentazioni e Ziggurat lo può dimostrare.

Flavio Ermini (“il manifesto”, 19 settembre 1979)

20

(da Fétiche, Guanda, “Piccola Fenice”, 1969)

La poetessa Emma Paltrinieri, di Cantù, una ragazza bruna con le ciglia alte, ondeggianti come una pineta, e una smania pazza di cavalla nel sangue per la poesia… venuta a Roma con l’unica arma del suo corpo e l’occhio di cleopatra malinconica, pescò la sua prima vittoria letteraria in fondo a un letto decrepito del vecchio quartiere Flaminio.

21

Epigrafe Ebbe una sposa, una foce, un dramma solitario come mula del Molise, e la sua buona parte di destino contrario… Di se stesso disse poco o nulla; gli rimase tutto nel gozzo come una ghiandaia fucilata.

22

La nostra legge Mister W. H. Auden assorto e taciturno, col volto segnato di rughe come le sponde cretose del Nilo (la conquista dell’Atlantide esige sempre le sue vittime) da questa roccia grigia rosicata dai venti guardando il mare pensava: «Entro questi cancelli comincia ogni principio. Nulla è dato: dobbiamo trovare la nostra legge…» Un uccello planò da un verde ramo d’araucaria; volò basso attorno alla sua fronte, trillò sorrise approvò poi dolcemente si dileguò in una botola d’aria.

***

23

Epigrammi altenopani 1. le membra sono a pezzi, come i cuori, in mille rivi si riversano gli amori 2. l’Istituto Italiano di Studi Istmologici è un indotto renano di flussi siderurgici borse per mettallurgici e per bambini nani tanti canti liturgici una sola sardana 3. lo sperma miliardario produce assiologia: uno stretto estuario di pus & nostalgia.

24

4. tra persiane abbassate e poltrone scarlatte anche di polmonite si ammalano le blatte 5. a metà strada tra Eduardo e Totò si mise il tutù e divenne filosofo 6. protettore di filosofi e poeti emetteva sospiri nei suoi soavi raggiri teneri come peti 7. è una chiesa grande e vecchia quasi un’enorme conocchia. ma non conosce la pecchia proletaria. con un dolce revolver di spumante e aragoste si celebra Gadamer al fumo – niente arrosto.

25

8. l’omino-topino velato-pelato levato al mattino è senza sostrato l’ometto-topetto tirato il cassetto estrae la cravatta per il suo doppiopetto l’omuncolo-ranuncolo pronto per la giornata accarezza i suoi foruncoli poi dà la bidonata 9. tenero augello sopra l’avello piange l’averla dentro la gerla 10. la dolce fragranza della sua arroganza è la dolce essenza della sua insipienza

26

11. Jean-d’Arc o Mirelli al conte Mirabelli mostra le sue chincaglie: medaglia d’oro al Zibibbo Club, feudalesimo onoris causa. 12. a Monte di Dio piio piio piio riio riio riio rèeeo rèeeo rèeeo filosofi e madonne galline al coccodé una vettura in panne e tanto autodafé