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Parrocchia Cristo Re – Milano
Scuola parrocchiale di teologia – AP 2012-13
Il Concilio Vaticano II: origini, storia e prospettive.
III incontro: lunedì 15 ottobre 2012
Un popolo chiamato Chiesa.
Lumen Gentium (II parte): la recezione e le prospettive
1. Struttura e contenuti della Lumen Gentium
1.a. Capitolo I: Il mistero della Chiesa
Il nuovo schema sulla Chiesa, voluto dai padri conciliari in sostituzione del precedente, ha
un punto di partenza chiaramente cristocentrico (n.1): «Cristo Signore è la luce delle genti», come
afferma l’incipit. Con questo, si superano di colpo ben 4 secoli di controversie fra cattolici e
protestanti, andando a quanto li accomuna, cioè a Cristo come riferimento essenziale. Non solo, ma
si passa subito alla scelta principale della costituzione e del capitolo, che è la scelta trinitaria,
visione che già San Paolo e i Padri della Chiesa avevano presentato, soprattutto con la teologia
africana dei ss.II (Tertulliano: «La Chiesa è il corpo della Trinità») e III (Cipriano: «La Chiesa è un
popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»).
In tal modo, si riconosce come opera del Padre (n.2) l’inserimento della Chiesa nelle cinque
tappe della storia di salvezza (prefigurata-preparata-istituita-manifestata-compiuta), mentre il Figlio
(n.3) l’ha annunciata con l’Ultima Cena e realizzata con il sacrificio della Croce, e lo Spirito Santo
(n.4) la realizza in tempi e luoghi diversi sino alla fine dei tempi. In altre parole, il Concilio presenta
la Chiesa come una realtà che sgorga dalla Trinità e dall’azione combinata in un ideale ritmo
circolare delle Tre Divine Persone, riflettendo in tal modo l’insegnamento della Scrittura (nn.5-7: le
varie immagini della Chiesa, un’ottantina secondo gli esperti, che culminano nel ‘Corpo di Cristo’)
e della Tradizione; in una parola, della Rivelazione.
Il capitolo si conclude (n.8) con il richiamo all’unità tra le dimensioni visibili e invisibili della
Chiesa e soprattutto all’esempio di Cristo ‘povero e umile’..
1.b. Capitolo II: Il popolo di Dio
Dopo il capitolo circa l’unità, la costituzione dogmatica sulla Chiesa parla della sua
cattolicità, che significa, uno spazio indubbiamente smisurato. La struttura del cap. II della LG ha
una premessa (n. 9) e una conclusione (n. 17), ma ha anche (secondo la spiegazione datane dal suo
redattore teologico G. Philips) un numero che funge da cerniera, interamente dedicato alla nota
della cattolicità (n. 13), che rende tutto il capitolo profondamente ‘ecumenico’, all’interno (nn. 10-
12) come all’esterno (nn. 14-16) della Chiesa. Il n. 9 fa da solenne preambolo e riassume le vicende
che il ‘popolo di Dio’ ha vissuto nella lunga storia della salvezza, insistendo particolarmente
sull’idea che la salvezza la possiamo raggiungere solo con l’aiuto di una comunità, e mai da soli. È
merito, invece, del n. 13 far presente l’idea che la cattolicità esiste come possibilità reale per la
Chiesa sin dai suoi inizi, sin dal giorno della Pentecoste essa nasce con una cattolicità congenita, dal
momento che lo Spirito Santo la programma aperta a tutta l’umanità. A tale caratteristica essa deve
la stupenda fertilità che ha caratterizzato la sua storia in tutte le culture che si sono lasciate
permeare dal Vangelo.
Prima di essere una nota che caratterizza la Chiesa verso l’esterno la cattolicità deve
caratterizzare la sua vita dall’interno. A ciò siamo tutti deputati in virtù dei sacramenti
dell’iniziazione cristiana (Battesimo-Cresima-Eucarestia), che ci comunicano la facoltà reale di
‘parlare lingue diverse’, come appunto è successo a Pentecoste. Tale sacerdozio comune o dei fedeli
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viene esplicitamente riconosciuto dal Vaticano II, come essenzialmente distinto da quello
ministeriale (n. 10). In virtù di tale sacerdozio abbiamo l’accesso anche agli altri Sacramenti (n. 11),
un modo in cui si diversifica il culto cristiano, e a quello spirito profetico e carismatico che
accompagna puntualmente ogni manifestazione autentica di vita cristiana (n. 12).
L’altro risvolto della cattolicità è verso l’esterno, e a questo proposito il Concilio distingue
tre gradi. Il primo è esclusivamente rivolto al mondo cattolico, che ha superato ampiamente il
miliardo di persone (n. 14), perché i Padri sono coscienti che la vita cattolica non sempre raggiunge
la sua pienezza: soltanto se siamo in grazia di Dio, ci troviamo realmente inseriti come tralci nella
vite vera, che è Cristo. Il secondo è rivolto al mondo cristiano che si è separato dalla pienezza
cattolica, che forse raggiunge la consistenza di un miliardo (n. 15): qui il Concilio riconosce il titolo
di ‘comunità ecclesiali’ soltanto agli Orientali, mentre è più difficile ravvisare valori pienamente
ecclesiali alle chiese e soprattutto alle sètte nate dalla Riforma protestante di mezzo millennio fa (in
complesso, più di mezzo miliardo di persone). In terzo luogo, lo sguardo si spinge verso le religioni
non cristiane (n. 16): si comincia dall’Ebraismo, con il quale il dialogo è facilitato da un notevole
patrimonio in comune, passando poi all’Islam, con il quale il dialogo sinora è risultato molto
difficile, e giungendo sino alle Religioni Orientali (Induismo, Buddismo, Confucianesimo,
Animismo), senza escludere l’agnosticismo. Questa seconda parte del capitolo secondo ci dice a
chiare lettere quali e quante siano le difficoltà per il dialogo ecclesiale con le realtà esterne alla
Chiesa.
Per concludere, è ovvia la trattazione del problema missionario (n. 17), che rappresenta il
vero banco di prova per tutti i temi sin qui sviluppati. La Chiesa resta sempre il Sacramento di
salvezza per tutto il genere umano, ma dopo il Concilio molto può e deve cambiare nelle sue
organizzazioni concrete in fatto di evangelizzazione. Probabilmente, sarà il terzo millennio a vedere
i cambiamenti da introdurre in questo importante settore della vita cattolica.
1.c. Capitolo III: Costituzione gerarchica della Chiesa
I capitoli III e IV della Costituzione svolgono il tema dell’apostolicità, ossia della Chiesa
che resta ‘una nel tempo’ grazie alla sua struttura gerarchica e al suo apostolato: si tratta di due
sensi diversi ma complementari, da prendere e da vivere alla luce del ‘servizio-ministero’, unica
condizione in grado di unificarli, nella teoria come nella pratica.
Il termine apòstolos è la traduzione greca dell’aramaico shalìah, e designa una persona
inviata con la stessa autorità e con gli stessi poteri dell’inviante. Esso caratterizza la ‘prefigurazione
di Chiesa’ che noi troviamo nei Vangeli con la chiamata degli apostoli da parte di Cristo e la loro
formazione comunitaria, che quindi configura il ‘collegio gerarchico’ sin dagli inizi. Con la
Pentecoste prende avvio la Chiesa secondo gli Atti degli Apostoli, ma il ‘modello apostolico’ la
caratterizzerà in tutte le epoche e a tutti i livelli. Le Lettere pastorali e i Padri apostolici
documentano chiaramente che gli apostoli si sono scelti dei collaboratori (presbiteri e diaconi) e dei
successori (vescovi) nel loro ministero: anche se la Chiesa oggi conta più di 5 mila vescovi, si tratta
sempre dello stesso collegio apostolico, presieduto dal successore di Pietro, che si dilata man mano
che essa va crescendo in ogni punto della terra e la mantiene nell’unità nonostante il trascorrere dei
secoli.
È questa l’idea di fondo che sorregge tutto il cap. III: al n.18 si afferma chiaramente che
esiste nella Chiesa una vera autorità, e che essa ha un’origine voluta da Dio nel ministero originario
del vescovo (nn.19-21), la cui autorità include la collegialità (nn.22-3) e del quale si descrive la
missione evangelizzatrice, santificatrice e di governo (nn.24-27). Il capitolo si conclude mostrando
come il vescovo possa partecipare ai presbiteri e ai diaconi le rispettive mansioni spirituali e
materiali loro proprie (nn.28-9). Il Concilio completa poi le indicazioni pratiche per l’episcopato
con il decreto Christus Dominus e per il presbiterato con i decreti Presbyterorum ordinis e Optatam
totius, mentre lascia il diaconato senza indicazioni dettagliate, pur optando decisamente per il suo
ristabilimento.
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Il grosso problema che abbiamo nella recezione concreta di questo capitolo (di cui abbiamo
visto i problemi in fase di stesura) dato dal rapporto fra Primato e Collegialità. Un caso tipico di
infelice interpretazione di questo punto l’abbiamo nella posizione di Hans Küng, che rappresenta il
polo opposto a quello di Lefèvre nel rigetto del Vaticano II. Egli ha sostenuto ripetutamente che
della LG sono accettabili soltanto i primi due capitoli, perché conformi alla Scrittura, mentre il terzo
lo «fa fremere». Purtroppo, a conseguenza del movimento sessantottino molti oggi simpatizzano per
le sue tesi e si rifiutano di accettare l’autorità ecclesiale e la gerarchia nella Chiesa. Il fenomeno
esige da parte di tutti riflessione, ponderatezza e saggezza.
1.d. Capitolo IV: I laici
Non dimentichiamo che lo ‘ieri’ della Chiesa equivale a quasi venti secoli, ossia che il
modello della nostra tradizione è abbastanza esteso in fatto culturale-temporale. Ebbene, in duemila
anni di storia ecclesiale il Vaticano II è il primo concilio che dedica una vera attenzione al laicato:
esso ha in comune con la gerarchia il cap. II della costituzione LG, questo quarto capitolo, nel
decreto Apostolicam actuositatem una specifica trattazione teoretica e pratica, e nella costituzione
Gaudium et spes l’esposizione più completa circa il proprio raggio d’azione nel mondo. Tutto
sommato, il capitolo che stiamo considerando resta fondamentale per capire quale visione del laico
abbia la Chiesa, alla luce della tradizione risalente agli stessi Apostoli.
Innanzitutto, per tutto il capitolo ricorre la raccomandazione che i rapporti fra gerarchia e
laicato siano costantemente improntati alla più schietta carità, che è “l’anima di ogni apostolato”, a
una ministerialità reciproca e complementare, alla collaborazione e cooperazione nella comune
impresa dell’edificazione del regno di Dio (nn. 30, 32cd, 33abc, 35d, 37abcd): tutto questo si
riassume oggi con il termine di corresponsabilità, come di un dovere che accomuna clero e laicato
in virtù del sacerdozio comune, che ricevono da Cristo con l’iniziazione cristiana. Se questa sintonia
è il vero punto di partenza e di arrivo, tutto il resto viene da sé; altrimenti, nulla resta in piedi.
Il punto di partenza è la nozione di laico (n.31), stabilita dapprima negativamente (né
chierico, né religioso) e poi positivamente (cristiano della secolarità), sfruttando soprattutto i
notevoli chiarimenti raggiunti dall’Azione Cattolica nei decenni centrali del Novecento, in
consonanza con una tradizione ecclesiale risalente a Clemente Romano e agli stessi apostoli. Il suo
ruolo è sia all’interno che all’esterno della Chiesa (32-3), soprattutto laddove la gerarchia non può
giungere, e si esplica secondo la triplice funzione sacramentale (34: consacrazione del mondo a
Dio), profetica (35: specialmente nella vita coniugale e familiare) e regale (36: affermazione dello
spirito di Cristo contro il peccato e i vizi). Conclude il capitolo il tema delle relazioni dei laici con il
mondo (38), decisamente qualificanti per gli stessi.
Quest’ultima tematica è trattata esaustivamente per tutta la Costituzione pastorale sulla
Chiesa, mentre il Decreto sui laici si limita ad approfondire in ben 6 capitoli l’apostolato laicale nei
suoi ambiti specifici. Per la stessa assimilazione del Concilio è importante che i laici personalizzino
i documenti brevemente menzionati, dal momento che ciascuno dovrebbe partire da quanto lo
concerne più da vicino, per giungere poi anche a realtà lontane dal proprio raggio d’azione.
Seguendo tali indicazioni positive, è possibile maturare quella sintonia fra gerarchia e laicato, grazie
alla quale la Chiesa ha potuto affermarsi e svilupparsi in passato, come aveva ben capito il santo
vescovo Agostino: “Camminiamo alla vostra testa, ma soltanto se contribuiamo al vostro vero bene
(Praesumus, si prosumus)”.
1.e. Capitolo V: Universale vocazione alla santità nella chiesa
“Noi crediamo che la chiesa, il cui mistero è esposto nel sacro concilio, è indefettibilmente
santa”: l’inizio del c. V enuncia il tema che sotto diversi aspetti verrà trattato sino alla fine della
Costituzione per ben 4 capitoli (V-VIII), quello della santità della Chiesa. Da questo solo fatto si
può concludere circa la notevole rilevanza che il Vaticano II assegna a tale nota ecclesiale, che delle
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quattro è la più presente nei Vangeli e nel Nuovo Testamento: si tratta di una chiamata ‘universale’,
che cioè abbraccia gerarchia e laicato, e che costituisce di per sé il vero argomento di credibilità a
favore della Chiesa dall’antichità a oggi, anche se ‘in un modo tutto suo proprio’ essa si manifesta
nella storia umana con il carisma della vita religiosa (39), trattato nel capitolo seguente (VI).
Compito di questo capitolo è quello di enunciare un concetto di santità veramente cristiano,
che sia cioè in linea con la Scrittura e la Tradizione, dal momento che tutti i fenomeni religiosi
umani vi tendono in qualche modo, confondendo il più delle volte ciò che è santo con quanto è
sacro. Già l’AT ricorda sovente, soprattutto nel Levitico e nel suo Codice di santità (cc.11-26), che
soltanto la relazione personale con Dio rende santi (19,2), e soprattutto la sua elezione del popolo
eletto, che a questo fine è stato separato da tutti gli altri popoli (Es 19,6; Deut 7,6). Tuttavia,
soltanto con il NT appare la novità del concetto di santità portatoci dall’incarnazione del Figlio di
Dio, la cui santità fino ad allora ‘trascendente’ diventa ‘immanente’ all’umanità, e quindi è a essa
comunicabile tramite i sacramenti della Chiesa, la quale “già sulla terra è adornata di una santità
vera, anche se imperfetta” (48c). Per questa ragione la predicazione cristiana sin dai tempi
apostolici (in pratica, tutte le lettere del NT) invita costantemente alla trasformazione in meglio
della propria vita sull’esempio di Cristo, con il c. 1° della 1Pt ancora insuperato al riguardo.
Più concretamente, il c.V afferma sin dall’inizio in che cosa consista questa santità che si
manifesta nella Chiesa per mezzo della vita dei suoi fedeli, i quali “giungono alla perfezione della
carità edificando gli altri” (39); la stessa idea è ribadita dopo un’estesa argomentazione
neotestamentaria, affermando che “tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla
pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità; da questa santità è promosso un tenore di
vita più umano” (40b); è confermata trattando il multiforme esercizio della santità nei vari stati di
vita cristiana con l’esercizio delle virtù teologali (41a) e nell’esortazione finale conclusiva del
capitolo: “tutti si sforzino di rettamente dirigere i propri affetti, affinché… non siano impediti di
tendere alla carità perfetta” (42e). Possiamo toccare con mano come il Vaticano II faccia coincidere
la santità con la ‘carità perfetta’; in tal modo, essa è in grado di migliorare radicalmente e dal di
dentro le persone, e per loro mezzo gli stessi ambienti sociali.
Dall’esempio dei Santi il Concilio raccoglie l’ammonimento circa le vie e i mezzi della santità
(42): ascolto della Parola di Dio, partecipazione ai Sacramenti, preghiera, abnegazione di sé,
servizio degli altri ed esercizio di ogni virtù. Senza tali premesse, non può partire nessuna forma di
santità, che resta il suggello della vita trinitaria nell’esistenza umana, a patto che questa “non si
adagi nelle cose di questo mondo, la cui figura è destinata a passare” (1Cor 7,31).
1.f. Capitolo VI: I religiosi
Come è solita fare, la Costituzione chiarisce innanzitutto il concetto di vita religiosa (43-5)
in due aspetti: 1°. È una scelta personale e libera di vivere il Vangelo in modo radicale, seguendo i
consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza; 2°. Ufficializzata in uno stato di vita approvato
dalla Chiesa mediante istituzioni stabili, dottrina solida, fraternità effettiva e disciplina oggettiva. Si
afferma anche qui ciò che il religioso non è: egli non appartiene alla struttura della Chiesa
(gerarchia e laicato), come sosteneva la visione medievale dei ‘tre stati’, ma in pratica risulta
provvidenziale perché essa funzioni a dovere. Quindi, abbiamo qui un carisma personale, che di
fatto dà origine a gruppi particolari: per evitare che essi divengano sètte, creando seri problemi alla
comunione ecclesiale, l’autorità della Chiesa li indirizza verso il bene comune, con il fine di
ricordare a tutti la condizione di vita inculcata da Cristo ai discepoli, che dà decisa priorità al Regno
di Dio in questo mondo in vista della vita eterna.
Le forme di vita religiosa sono alquanto variate. Storicamente, quella più antica è la più
semplice (riferita da Tertulliano nel s.II): include solo la notifica pubblica da parte del vescovo alla
comunità ecclesiale, lasciando gli interessati inseriti nel loro ambiente d’origine; viene poi alla fine
delle persecuzioni il grande sviluppo del Monachesimo, prima in Oriente (Basilio) e poi in
Occidente (Benedetto), che si conclude con l’esenzione dall’autorità locale e il riferimento a quella
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papale con Cluny (s.X); col s.XIII gli Ordini Mendicanti sostituiscono al monastero rurale il
convento urbano; lo stile di vita si fa ancor più inserito nel mondo, anche femminile, con l’avvento
delle Compagnie religiose moderne (assistenza, educazione, missioni) dal Cinquecento in poi;
l’ultima novità è, curiosamente, una ripresa del modello più antico con le Associazioni religiose
laicali. Se la storia documenta mezza dozzina di forme religiose diverse, la loro configurazione le
raggruppa in tre generi (monastiche-conventuali-secolari), mentre il Codice di diritto canonico
distingue soltanto fra Istituti religiosi e Istituti secolari.
Il Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis è l’applicazione di questo
capitolo, e risulta nel suo genere uno dei più indovinati con le sue 5 unità tematiche. La prima (1-6)
raccomanda di dare l’assoluta priorità alla vita spirituale e alla scelta del regno di Dio; la seconda
(7-11) distingue 5 generi di istituti: contemplativi, apostolici, monastico-conventuali, laici e
secolari; la terza (12-14), la più importante, richiama il riferimento ai tre consigli evangelici quali
‘segni tipici’ della vita religiosa; la quarta (15-18) considera i vari fattori che dan tono alla vita
religiosa; la quinta (19-25) accenna alle varie novità che ciascun istituto potrà introdurre.
Nonostante l’intenso lavoro postconciliare che vi è seguito, la grave crisi di vocazioni che grava sul
primo mondo ci fa riflettere sulle obiezioni odierne contro la vita religiosa (46: ostacolo allo
sviluppo della persona ed estraneità ai valori terreni) e sulla risposta concreta da offrire.
1.g. Capitolo VII: Indole escatologica della chiesa pellegrinante e sua unione con la chiesa celeste
Con i primi cristiani, crediamo anche noi che Cristo Risorto è la nostra vera speranza, al di
là di tutte le umane illusioni, vecchie o nuove; crediamo anche che il suo Corpo, che è la Chiesa, è
destinato a essere germe di speranza imperitura fra gli uomini, soprattutto perché a Lui si sono
associati nella gloria la Madonna e i Santi, che costituiscono la Chiesa celeste, verso la quale siamo
tutti orientati come ‘pellegrini’ (l’unica novità rispetto al passato, è che si è sostituito al termine di
Chiesa ‘militante’ quello meno bellicoso di ‘pellegrina’). La Costituzione, poi, non ha atteso il c.
VII per menzionare questa convinzione, che è alla base di un equilibrato concetto di Chiesa: essa
accenna alla Chiesa definitiva già nei capitoli precedenti (16 volte nel c. I; 12 v. nel II; 3 v. nel III; 6
v. nel IV; 2 v. nel V e nel VI, e 5 v. nell’VIII) per riprenderlo decisamente nel capitolo che s’è
riservato a questo fine, quasi per ricordarci che si tratta della Chiesa di Dio, e tutto ciò che
appartiene a Dio deve quasi per forza includere la definitività di una vita meno precaria dell’attuale.
Al n. 48 si introduce, quindi, il tema della ‘devozione ai Santi’, che fanno già parte della
Chiesa giunta al suo ultimo compimento. Da parte nostra aspettiamo tra le creature e le istituzioni di
questa vita il compimento della nostra speranza, alla quale avremo accesso soltanto dopo la morte
con il giudizio che ci attende. Saremo ammessi a questa porzione di Chiesa in tutto e per tutto Santa
(non imperfettamente santa come la Chiesa dei vivi), se eviteremo l’inferno e avremo in sorte il
paradiso. Quindi, la premessa è posta perché si tratti il tema della Comunione dei Santi, che è la
comunione e lo scambio di bene fra la Chiesa terrena e quella celeste.
Di ciò si incaricano di parlare i nn. 49-51, e non si tratta di un tema secondario, dal momento
che lo riporta lo stesso Simbolo apostolico: “l’unione fra vivi e morti non è minimamente spezzata,
anzi è consolidata dalla comunicazione di beni spirituali” (49); in altre parole, i meriti acquistati in
terra dai morti grazie alla comunione con Cristo, unico Mediatore, possono rimediare alla nostra
debolezza. Stabilito questo principio, si ricorda la prassi ecclesiale sin dagli inizi della Chiesa verso
i Santi (Madonna, Angeli, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini) nei tre aspetti di venerazione,
invocazione e imitazione. Tale unione fra noi e loro si realizza soprattutto nella liturgia (50).
Vengono alla fine date varie disposizioni perché la comunione con la Chiesa purgante e trionfante
sia portata avanti rispettanto le norme date nei concili del passato (Niceno II, Fiorentino e
Tridentino): l’adorazione a Dio e la mediazione di Cristo non avranno nessun scapito, se nel culto ai
Santi si osserverà il dovuto equilibrio fra le deviazioni di eccesso, tipiche della devozione popolare,
e quelle di difetto dei protestanti, che hanno impoverito il culto cristiano.
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1.h. Capitolo VIII: La Beata Vergine Maria Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa
L’ultimo capitolo della LG è in realtà una costituzione suddivisa in 5 parti, a suggello
conclusivo della Cost. dogmatica sulla Chiesa; concretamente, si propone di riassumere con l’icona
della devozione mariana quanto si è affermato nei 7 capitoli precedenti sulla sua realtà, spesso con
linguaggio difficile e complesso. Tale decisione è prevalsa rispetto a quella che si proponeva una
costituzione conciliare autonoma, perché è parsa preferibile ai Padri la tendenza mariana
‘ecclesiotipica’ rispetto a quella ‘cristotipica’. I due termini impiegati mostrano il cambiamento di
prospettiva indotto dal Vaticano II nel culto mariano: prima del Concilio c’era stato il rischio di
porre la Madonna su di un piano concorrenziale rispetto a Cristo (“Di Maria, non s’è mai detto
abbastanza”), mentre la prospettiva conciliare mette al sicuro la dottrina mariana dalle critiche dei
Protestanti: Maria è il modello insuperabile della Chiesa. L’esposizione adotta lo schema della
Storia di salvezza, per mostrare i fondamenti biblici della dottrina e della devozione mariana.
Il proemio (52-4) chiarisce che non è intenzione del Concilio esporre una mariologia
completa, ma soltanto mostrare l’intima relazione fra la Madonna e la Chiesa, perché entrambe
hanno ‘accolto nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio’: l’Annunciazione resta paradigmatica in ciò.
La prima parte (55-9) descrive la funzione di Maria nella strategia divina di salvezza in modo
‘cristotipico’, perché dall’Annunciazione alla Croce ella partecipa con fede (11 v.) al mistero di
Cristo, assecondandone l’atto redentivo. La seconda parte (60-5), invece, è ‘ecclesiotipica’: la
presenza di Maria nella Chiesa sin dalle origini non sminuisce affatto l’unica mediazione di Cristo,
ma l’asseconda in tutto come madre e come vergine, divenendo in tal modo ‘modello [typus] della
Chiesa’ e quindi anima del suo apostolato. La terza parte (66-7) ricorda brevemente i princìpi che
dal Conc. di Efeso dirigono il culto a Maria, evitando che in questo campo si pecchi di difetto o di
eccesso. La conclusione (68-9) fa perno sulla comune fede mariana con gli Orientali, per concludere
in modo beneaugurale che la Madonna aiuti il ‘pellegrinante popolo di Dio’ a raggiungere l’unità.
Stando agli esperti, 4 sembrano i princìpi teologici che si possono dedurre da questa esposizione
dottrinale e soprattutto dal n. 53: 1° Principio di solidarietà, che consiste nello stretto
coinvolgimento di Maria nella vicenda umana di Cristo, nel suo mistero di salvezza e quindi con la
nostra salvezza; 2° Pr. di singolarità, dal momento che i privilegi e le prerogative della Madonna,
incentrati per la loro giustificazione nella sua divina maternità, propongono una relazione unica con
Cristo; 3° Pr. di eminenza: la singolarità della Figlia di Sion consiste nel rappresentare il punto più
alto della rivelazione divina agli uomini, avendo dato la vita a Cristo nella pienezza dei tempi; 4°
Pr. di esemplarità, perché ella rappresenta il modello da assimilare da parte del cristiano nella sua
vita personale e da parte della Chiesa nelle sue strutture.
2. La recezione e le prospettive1
Trattando dell'ecclesiologia del Vaticano II potremmo intrattenerci molto a lungo, nel
rilevare gli elementi positivi; indubbiamente si è verificata una grande svolta. Dopo ogni Concilio,
il tempo di recezione - più o meno lungo - appare essenziale per cogliere il significato autentico
dell'evento celebrato, il valore delle asserzioni e decisioni. Nel caso del Vaticano. II considerare
criticamente i dinamismi post-conciliari appare essenziale alla luce della stessa autocoscienza di
Chiesa espressa in Concilio. I 48 anni che ci separano dal 21 novembre 1964 sono un tempo intenso
di assimilazione della visione di Chiesa tratteggiata in Lumen Gentium, resa possibile dalla stessa
forza dell'evento prima ancora che dalle parole consegnate da questo "Concilio della Chiesa sulla
Chiesa" (K. Rahner).Trattare di recezione di LG non significa quindi semplicemente partire dal
testo conciliare per valutarne l'applicazione, nella linea dell'attuazione di norme e decisioni
giuridiche, ma leggere il divenire di una Chiesa e definire le linee fondamentali dell’interpretazione
ecclesiologica là consegnata: dal Concilio stesso è nato il processo collettivo, lento e complesso,
1 Questa parte riprende la riflessione di S. Noceti, «Una chiesa in divenire nella storia», in S. Noceti – M. Ronconi (ed.),
Un popolo chiamato Chiesa – Introduzione a Lumen Gentium, Milano 2009.
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mediante il quale le Chiese locali (e la Chiesa universale) hanno accolto e assimilato decisioni e
prospettive, riconoscendovi la Tradizione apostolica e una particolare ricchezza in ordine alle
necessità del momento.
Questo processo vitale di interpretazione e di "ri-costituzione ecclesiale", che ha toccato la
coscienza della comunità dei credenti, le sue forme vitali, le strutture organizzative, ha visto più
fasi.
Un primo periodo (1965-1980), contraddistinto da un largo entusiasmo, da un'altrettanto
grande creatività sul piano della prassi pastorale, dalla pubblicazione di numerosi testi di
ecclesiologia e dalla vivacità del dibattito e della ricerca sul piano teologico, fu segnato anche da
dolorosi episodi di contestazione.
La seconda fase (anni '80 e '90) è stata segnata da un approfondimento della visione
complessiva di LG e di alcune questioni problematiche, in particolare quella del ministero e dei laici
(è il momento di diffusione e riconoscimento dei movimenti laicali). Si assiste a una profonda opera
di rivisitazione dei testi conciliari, delle fonti e dei documenti, con un'operazione di ermeneutica
che ha coinvolto i teologi e lo stesso magistero, con un confronto e un dibattilo acceso e un evidente
riorientamento della vita ecclesiale a partire dalle sottolineature proposte in particolare dal Sinodo
straordinario dei vescovi a 20 anni dalla conclusione del Vaticano II (1985).
La fase attuale, infine, si è aperta negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II,
quando la vicinanza della cifra simbolica dell'anno 2000 e la ricorrenza del quarantesimo
anniversario (2002) hanno spinto molti a una rilettura critica dei testi, della "storia degli effetti",
come anche a un serrato dibattito sull'evoluzione futura delle forme liturgiche, degli orientamenti
ecumenici, delle dinamiche ecclesiali. Esaminare criticamente questo processo permette di
evidenziare i movimenti di accoglienza o di rifiuto delle prospettive orientative del Concilio,
mettendo in luce il ruolo e l'apporto dei diversi soggetti coinvolti: l'insieme del popolo di Dio, i
diversi gruppi e le voci di interpreti autorevoli, il magistero, sia a livello di Chiese locali che
nazionali, come di Chiesa universale. Il riferimento al Concilio è per tutti punto di partenza e di
confronto imprescindibile. Il futuro di Chiesa viene pensato, le speranze e le necessità comprese e
articolate in questo orizzonte.
2.a Prospettive acquisite e questioni nuove
In questa complessa recezione alcuni snodi sono stati riconosciuti e affermati con
convinzione. Al di là di differenze anche rilevanti nei diversi contesti geografici, possiamo
considerare acquisizioni comuni: la comprensione della missione e natura della Chiesa nel mistero
storico-salvifico; il legame con la comunione trinitaria; la sottolineatura che tutti i battezzati sono
"soggetti" nella Chiesa: la promozione e il riconoscimento della ministerialità di tutti per il bene del
mondo e della Chiesa; l'importanza della Parola di Dio e della vita sacramentale per l'esistenza e là
crescita della Chiesa; la riscoperta del laicato e della sacramentalità dell'episcopato.
D'altra parte alcune questioni nuove hanno permesso di esplicitare e comprendere più
profondamente talune implicazioni sottese ai documenti conciliari: fattori culturali ed economici,
cambiamenti sul piano culturale e non solo ecclesiale, hanno permesso di approfondire intuizioni
appena abbozzate nei dibattili conciliari e nei documenti. Se, ad esempio, di "donne" nel corpus
conciliare si parla raramente, le trasformazioni avvenute in Occidente sul piano della loro
autocoscienza e della loro esistenza hanno portato a evidenziare in prospettiva di genere la virtualità
di alcuni testi di LG (ministeri laicali, vita religiosa). La vita delle Chiese locali in Africa, Asia,
America latina come anche i numerosi dialoghi ecumenici hanno portato in primo piano il
significato innovativo e la forza trasformatrice di alcune dinamiche indicate nei testi
(inculturazione, confronto nel "corpo delle Chiese", alcune immagini di Chiesa, la relazione tra
forma "della Chiesa" e configurazioni ecclesiali storiche).
La Chiesa cui è consegnata in eredità LG è una Chiesa divenuta mondiale e segnata dal
riconoscimento - ratificato proprio in Concilio - di altri soggetti, chiamati a essere co-costituenti
- 20 -
insieme ai ministri ordinati, della vita della Chiesa, con la loro presenza, partecipazione, azione.
D'altra parte si è divenuti consapevoli, proprio nel confronto delle motivazioni che suffragano prassi
differenziate e percorsi interpretativi conflittuali, che in LG c'è una giustapposizione di prospettive
ecclesiologiche diverse; se esse non si escludono mutuamente e permettono in fondo di ricostruire
un orientamento ecclesiologico complessivo, restano però non completamente armonizzate nella
trama di questa ampia e complessa Costituzione.
2.b. Pensare la Chiesa
La Costituzione dogmatica sulla Chiesa consegna prima di tutto un passaggio radicale
quanto alla "figura di Chiesa". Ha ridefinito non solo il modello di riferimento, ma pure le modalità
di definizione dell'essere Chiesa, i modi in cui si articola la ricerca, le categorie e le immagini con
cui essa può essere presentata e definita. La dinamica interpretativa al cuore di LG è il passaggio da
un'ecclesiologia centrata sulla gerarchia, come "società" e suffragata dal principio di autorità, a una
"ecclesiologia di comunione", tesa a mostrare la dimensione misterica della Chiesa, attenta a
definire la comune identità di popolo e l'uguale dignità di tutti i battezzati prima di evidenziare lo
specifico del ministero e dei laici, pronta nel richiamare ogni credente alla vocazione alla santità e
alla dimensione escatologica della vita ecclesiale. Ci troviamo davanti a una ribadita affermazione
di queste prospettive, motivata ampiamente con una "teologia dalla Scrittura", attenta al confronto
con la Tradizione e con il mondo di oggi e i suoi linguaggi.
In particolare è stata accolta la sollecitazione conciliare a pensare la Chiesa, prima di tutto,
nell'orizzonte della storia della salvezza operata dal Dio trinitario (LG 2-4; AG 2-4). La Trinità è
alla sorgente della vita ecclesiale e la comunione delle persone trinitarie è additata come archetipo
basilare per le relazioni ecclesiali; il recupero del dato pneumatologico (relativo cioè allo Spirito
Santo) si fa evidente nella teologia e nella vita di Chiesa dopo secoli di una accentuata centratura
cristologica: si pone ora attenzione ai carismi, al dono della comunione nella differenza e alla
dinamica di creatività operate dallo Spirito in questo tempo. Insieme alla ripresa del tema del Regno
di Dio e all'affermazione della "relatività" della Chiesa al Regno e al mondo, esso determina un
nuovo quadro ecclesiologico non più "ecclesiocentrico": si riscopre una Chiesa chiamata a essere in
Cristo come un sacramento, un segno e uno strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità del
genere umano (LG 1). L'importanza attribuita a relazioni intraecclesiali di unità, accoglienza
reciproca, valorizzazione delle differenze nella comunione, come anche la promozione di processi
di fraternità e giustizia in ambito sociale, vanno colte alla luce di questa profonda motivazione
teologica che le anima. In questo orizzonte va compreso uno dei passaggi-chiave nell'ermeneutica
post-conciliare: l'intervento di W. Kasper al Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, nel quale il
teologo tedesco (e futuro cardinale prefetto del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei
cristiani) individuava proprio nell'"ecclesiologia di comunione" l'idea centrale e fondamentale nei
documenti del Concilio; la Chiesa-comunione veniva rinviata alla sua radicazione teologica
(comunione del Dio trinitario) e alla sua dimensione escatologica (comunione del Regno di Dio),
mostrata nelle sue dinamiche relazionali interne (quale comunione gerarchica), fatta discendere
dalle sue "fonti" (la parola di Dio e i sacramenti), esplicata nelle sue implicazioni ecumeniche.
"Comunione" consegna una prospettiva unitaria e unificante, capace di tenere insieme e di
decrittare aspetti differenti dell’intera Chiesa; offre una chiave interpretativa capace di rileggere le
dinamiche intraecclesiali e di orientare la vita ecclesiale concreta, come anche i passi del dialogo
ecumenico, che proprio sull'idea di “koinonia" ("comunione" in greco) ha sviluppato la riflessione
negli ultimi 50 anni. "Comunione" è assurta così, per certi aspetti, a "parola-chiave". Dall'altro lato,
va evidenziato quanto sia parziale un ricorso a questa nozione senza che venga
contemporaneamente definito il modello ecclesiale di riferimento e le forme concrete in cui tale
koinonia si incarna: chi sono ad esempio i soggetti implicati? Qual è il principio che ne garantisce
l'esistenza: l'annuncio, l'eucaristia, il ministero? Dietro l'uso del principio "comunione" possono
essere presenti ecclesiologie di tendenze contrastanti: un'ecclesiologia universalistica con un unico
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centro (tutti i fedeli intorno al Papa); un'ecclesiologia che parte dalla Chiesa locale e pensa la
"Chiesa universale" come "comunione di Chiese". A questo proposito, il Vaticano II ha
progressivamente maturato - accanto all'idea di comunione - una precisa opzione per una
ecclesiologia dalla Chiesa locale, operando così una vera rivoluzione copernicana (E. Lanne). La
ripresa della riflessione sulla Chiesa locale costituisce una delle maggiori novità consegnate dal
Concilio, seppur in una forma non compiuta, affrontata solo indirettamente (in rapporto ai temi
dell'eucaristia, della missione, dell'episcopato) e non risolta (la giustapposizione con una
ecclesiologia dalla Chiesa universale rimane evidente).
I segni di cambiamento di prospettiva sul piano della prassi sono evidenti: basti pensare ai
sinodi nelle Chiese locali o alla maturazione di consapevolezza delle Chiese nazionali. Le
oscillazioni rimangono tuttavia presenti è i riflussi verso forme di centralismo romano o appelli a
una maggiore omogeneità a livello di vita ecclesiale mondiale lo sono altrettanto: molti movimenti
diffusi nella Chiesa universale sono poco attenti e poco presenti alla vita delle diocesi; una forte
accentuazione del ruolo e della figura Papale viene veicolata dai mass-media; in pochi momenti e
istituzioni è possibile accogliere la voce delle Chiese; insieme al debole riconoscimento dell'apporto
delle singole Chiese locali nel corpus ecclesiarum, questi fattori rischiano di diminuire la forza di
questa prospettiva, recuperata in Concilio dopo secoli di oblio, e di riprodurre il modello
preconciliare. Dal punto di vista della ricerca teologica si assiste da un lato alla puntualizzazione
degli elementi costitutivi della Chiesa locale, alla valorizzazione del fenomeno di localizzazione,
delle dinamiche di inculturazione della fede (teologia della missione), alla sottolineatura della
"cattolicità" quale nota qualificante la Chiesa locale e la Chiesa universale, e della sinodalità nelle e
delle Chiese locali.
D'altro lato, il dibattito è vivace e tutt'altro che risolto sulla modalità di comprendere le
relazioni tra "universale" e locale, come mostra la Lettera della Congregazione per la dottrina della
fede Communionis Notio (1992) e il successivo dibattito. Il documento pone accanto al dettato
conciliare di LG 23 nelle Chiese e dalle Chiese l'una e unica Chiesa catholica esiste, la speculare
visione delle Chiese locali nella Chiesa e dalla Chiesa, e si pronuncia a favore di una priorità
ontologica e cronologica della Chiesa universale (n.9). Su questo punto di prospettiva si gioca un
tratto basilare dell'autocoscienza conciliare e del rinnovamento di Chiesa in profondità, soprattutto
in questa Chiesa divenuta mondiale; imparare a riconoscere l'importanza di un vangelo annunciato,
una eucaristia celebrata, una forma di vita ecclesiale vissuta nelle diverse culture e linguaggi,
potrebbe essere segno e lezione preziosi in un mondo globalizzato che percepisce la difficoltà di
coniugare unità e differenze, vocazione universale dell'umanità alla pace e conflitti di interessi e
identità diversificate.
2.c Pensarsi come Chiesa
Come avviene per ogni altra istituzione umana, anche la Chiesa nel corso dei secoli si è
rispecchiala nell'assunzione di una categoria o di un concetto. Il post-Concilio ha sancito
l'abbandono della categoria di "società", che per secoli aveva espresso e configurato il soggetto
ecclesiale, e ha visto il ricorso a una ricchissima serie di immagini desunte dalla Scrittura e dai
Padri della Chiesa: tempio dello Spirito, sposa di Cristo, arca dell'alleanza, soprattutto corpo di
Cristo e comunità. Nonostante i Padri conciliari avessero ritenuto di non assumere la metafora di
"corpo di Cristo” come definizione di Chiesa, come veniva invece auspicato nei documenti
preparatori sulla scia della Mystici Corporis, e ne avessero posto la trattazione subito dopo le altre
immagini di Chiesa (LG 6-7), il post-Concilio vede un riaffermarsi del termine, riproposto da
documenti dei vescovi, da scuole teologiche e movimenti di spiritualità anche molto differenti tra
loro su altri aspetti. La sua capacità di rinviare immediatamente al rapporto con il Cristo, di
esprimere la comunione misterica e insieme gerarchica (la distinzione delle diverse membra del
corpo), e il legame con l'ecclesiologia eucaristica, rendono "corpo di Cristo" immagine capace di
richiamare le radici di fede dell'evento ecclesiale e insieme suggerire l'essere coinvolti tutti in un
ia
secoli di oblio, e di riprodurre il modello preconciliare.
Dal punto di vista della ricerca teologica si assiste da un
lato alla puntualizzazione degli elementi costitutivi della
Chiesa locale, alla valorizzazione del fenomeno di localiz
zazione (H.M. Legrand), delle dinamiche di inculturazione
della fede (teologia della missione), alla sottolineatura della
"cattolicità" quale nota qualificante la Chiesa locale e la
Chiesa universale, e della sinodalità nelle e delle Chiese lo
cali. D'altro lato, il dibattito è vivace e tutt'altro che risolto
sulla modalità di comprendere le relazioni tra "universale"
e locale, come mostra la Lettera della Congregazione per la
dottrina della fede Communionis Notio (1992) e il successivo
dibattito. Il documento pone accanto al dettato conciliare
di LG 23 nelle Chiese e dalle Chiese l'una e unica Chiesa
catholica esiste, la speculare visione delle Chiese locali
nella Chiesa e dalla Chiesa, e si pronuncia a favore di una
priorità ontologica e cronologica della Chiesa universale (n.
9). Su questo punto di prospettiva si gioca un tratto basi
lare dell'autocoscienza conciliare e del rinnovamento di
Chiesa in profondità, soprattutto in questa Chiesa divenuta
mondiale; imparare a riconoscere l'importanza di un van
gelo annunciato, una eucaristia celebrata, una forma di vita
ecclesiale vissuta nelle diverse culture e linguaggi, po
trebbe essere segno e lezione preziosi in un mondo globa-
- lizzato che percepisce la difficoltà di coniugare unità e dif
ferenze, vocazione universale dell'umanità alla pace e con
flitti di interessi e identità diversificate.
4. Pensarsi come Chiesa
Come avviene per ogni altra istituzione umana, anche la
Chiesa nel corso dei secoli si è rispecchiala nell'assunzione
di una categoria o di un concetto. Il post-Concilio ha san
cito l'abbandono della categoria di "società", che per secoli
aveva espresso e configurato il soggetto ecclesiale, e ha vi
secoli di oblio, e di riprodurre il modello preconciliare. Dal punto di vista della ricerca teologica si
assiste da un lato alla puntualizzazione degli elementi costitutivi della Chiesa locale, alla
valorizzazione del fenomeno di localizzazione (H.M. Legrand), delle dinamiche di inculturazione
della fede (teologia della missione), alla sottolineatura della "cattolicità" quale nota qualificante la
Chiesa locale e la Chiesa universale, e della sinodalità nelle e delle Chiese locali. D'altro lato, il
dibattito è vivace e tutt'altro che risolto sulla modalità di comprendere le relazioni tra "universale" e
locale, come mostra la Lettera della Congregazione per la dottrina della fede Communionis Notio
(1992) e il successivo dibattito. Il documento pone accanto al dettato conciliare di LG 23 nelle
Chiese e dalle Chiese l'una e unica Chiesa catholica esiste, la speculare visione delle Chiese locali
nella Chiesa e dalla Chiesa, e si pronuncia a favore di una priorità ontologica e cronologica della
Chiesa universale (n.9). Su questo punto di prospettiva si gioca un tratto basi lare dell'autocoscienza
conciliare e del rinnovamento di Chiesa in profondità, soprattutto in questa Chiesa divenuta
mondiale; imparare a riconoscere l'importanza di un vangelo annunciato, una eucaristia celebrata,
una forma di vita ecclesiale vissuta nelle diverse culture e linguaggi, potrebbe essere segno e
lezione preziosi in un mondo globalizzato che percepisce la difficoltà di coniugare unità e
differenze, vocazione universale dell'umanità alla pace e conflitti di interessi e identità diversificate.
4. Pensarsi come Chiesa
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solo corpo. Allo stesso tempo è facile scivolare dal piano della metafora al piano di una definizione,
dalla quale dedurre la forma ecclesiale e con la quale strutturarne le relazioni.
L'altra figura di Chiesa che ha segnato il linguaggio e le esperienze del post-Concilio,
soprattutto nella sua prima fase di ricerca, è stata la categoria di "comunità". Riferirsi al principio
comunitario è dare rilievo alle relazioni primarie, al riconoscimento reciproco, alle forme di
comunicazione diretta. Pensare il fatto sociale valorizzando l'esperienza di tutti, "dalla base", a
partire dalla comune esperienza e dalla teorizzazione dell'uguaglianza di principio di tutti i membri,
ha permesso di sviluppare un'esperienza di Chiesa della quale sentirsi maggiormente parte e in cui
riconoscersi parte attiva. Forse per la sua vicinanza lessicale con comunione, "comunità", pur non
essendo in grado di leggere il tutto complesso del soggetto ecclesiale, è diventate un'altra "parola
magica" del post-Concilio, percepita come capace di esprimere dimensioni fondamentali della vita
ecclesiale (sul piano liturgico e dell'organizzazione della vita comune) e di orientare le
trasformazioni del corpo collettivo.
Il fenomeno più evidente e per certi aspetti complesso da interpretare è l'oblio della
categoria biblica, a un tempo sociologica e teologica, di "popolo di Dio". Se i Padri conciliari lo
avevano proposto come orizzonte interpretativo globale, il post-Concilio si sviluppa con una
marginalizzazione e sospetto dichiarato nei confronti di questa figura, con le sole eccezioni della
teologia e del magistero latino-americano e della voce di alcuni teologi europei e nord-americani,
che ne mantengono la memoria e la assumono come chiave di volta delle loro proposte. Eppure è
stato proprio il modello di Chiesa correlalo (uguale dignità derivata dal fondamento battesimale di
tutti i credenti; attenzione primaria al Noi ecclesiale nella sua storicità; missione nel mondo a
servizio del Regno di Dio; forma popolare e non elitaria che la centralità data alle parrocchie ha
garantito) il cuore dell'accoglienza del Concilio nella prassi pastorale e nell'autocoscienza dei
cristiani nel mondo. Se quindi la parola è scomparsa e in alcuni casi si è suggerito di non ricorrervi,
essa in realtà è stata la linfa feconda che ha alimentato la figura di Chiesa del post-Concilio.
Sviluppare la coscienza riflessa di questa eredità conciliare e promuovere quel modello di popolo
sacerdotale, profetico e regale, di cui si parla in LG 9-17, è tra le sfide di fronte alle quali siamo
posti.
L'ultima definizione di Chiesa che ha ricevuto crescente attenzione nella fase post-conciliare
è "sacramento". L'uso ricalca molti degli approcci già sviluppati nella fase preconciliare: la natura
della Chiesa viene interpretata in rapporto al Verbo incarnato (sacramento dell'incontro con Dio,
secondo E. Schillebeeckx) e al rito sacramentale; pensare la Chiesa come "sacramento" permette di
chiarifcare la relazione tra visibile e invisibile, la funzione specifica della Chiesa nella storia della
salvezza e nella comunicazione della rivelazione, il rapporto con il mondo. L'uso della parola
"sacramento" riferito alla Chiesa offre un mezzo concettuale accanto ad altri per superare il
trionfalismo, il clericalismo, il giuridismo ecclesiologico e per mettere a fuoco il mistero della
Chiesa nascosto nella sua figura visibile e percepibile solo nella fede, per esprimere e per spiegare
che la Chiesa da una parte proviene totalmente da Cristo e rimane riferita a lui, dall'altra però in
quanto segno e strumento esiste totalmente per il servizio all'uomo e al mondo. Il prologo di LG 1 è
uno dei testi-chiave della comprensione della Chiesa post-conciliare, anche se la cautela espressa
dai documenti conciliari, che sottolineavano sempre l'analogicità della figura (la Chiesa è come un
sacramento) e la sua relatività a Cristo, non è sempre presente nei tempi successivi, con esiti
cristomonisti e spiritualisti, mentre risulta vaga e ambigua in molti casi la relazione tra
sacramentalità della Chiesa e i singoli sacramenti.
2.d I soggetti che fanno Chiesa
Il Concilio Vaticano II ha consegnato, quale eredità aperta, una comprensione rinnovata
della forma di Chiesa, della modalità propria della mediazione ecclesiale, del principio costitutivo
di Chiesa; esso ha posto al centro la considerazione dei soggetti che la compongono e le relazioni
che sussistono tra il soggetto collettivo e i singoli credenti.
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Una prospettiva realmente nuova è quella aperta con la visione del popolo di Dio di LG 9 e
con la triade re-sacerdote-profeta a cui si ricorre per presentare l'identità di tutti i soggetti ecclesiali.
Seppur ancora non completamente accolta, questa impostazione ha guidato l'acquisizione di una
nuova coscienza personale e collettiva di Chiesa, lontana dalle riduzioni individualistiche che
l'avevano segnata per secoli, finendo per separare e giustapporre il momento spirituale e il dato
sociale.
Senza soffermarmi sulle trasformazioni, innegabilmente rilevanti, avvenute per i laici, per il
ministero ordinato, per la vita religiosa, il post-Concilio vede la recezione effettiva delle
affermazioni su una Chiesa tutta carismatica e tutta ministeriale, comunione che richiede e vive
dell'apporto necessario di tutte le sue membra. L'idea di un'unica missione sviluppata con differenti
ministeri (LG 12) ha supportato e motivato lo sviluppo enorme sul piano quantitativo dei ministeri
di fatto dei laici, nuove forme di interazione laici-clero e di istituzioni partecipative ai diversi livelli
(consigli pastorali, sinodi), l'emergere di una teologia dei laici e delle donne (negata da secoli),
come pure la stessa fondazione e diffusione di movimenti ecclesiali laicali.
Per 80 volte nei testi conciliari si parla di "servizio" ed effettivamente la prospettiva della
diakonia, come tratto caratterizzante il volto della Chiesa, segna la volontà e la prassi dei battezzati,
spinge alla partecipazione, suggerisce il superamento di una visione sacrale o giuridica dei ministeri
ordinati. È innegabile che enormi passi siano stati fatti su questo livello nel post-Concilio, ma
altrettanto evidente è che dall'esperienza ecclesiale (e talora anche dai documenti) emerga una
figura di Chiesa nella quale i processi di comunicazione siano ancora fortemente unilaterali e
"verticistici": le occasioni di consultazione e di ascolto di tutti sono deboli, sporadiche, insufficienti;
il vissuto quotidiano, la ricerca di fede, la profezia "laica e laicale" sono marginali. Si chiedono ai
laici servizi intraecclesiali, ma si educa poco a cogliere che stanno realizzando la missione della
Chiesa lavorando, facendo politica, essendo coppia e famiglia, nel tessuto relazionale, sociale,
professionale che è proprio di ciascuno. La presenza specifica (e i ruoli) delle donne è troppo spesso
ancora un argomento tabù, un .incartamento da tenere chiuso, nonostante le reiterate dichiarazioni
sul genio femminile (Mulieris dignitatem).
Sottovalutazione della "intuizione rivoluzionaria" sul sensus fidei (LG 12) e ritorno a logiche
del sacro che sminuiscono di fatto la forza dell'idea di sacerdozio comune da viversi nella esistenza
quotidiana con un culto a Dio che è dono della vita per amore, sono due tratti purtroppo innegabili
nel post-Concilio. Rimangono come sfide prime, per una Chiesa che voglia veramente essere
popolo sacerdotale e regale nella storia, comunità ermeneutica e profetica (cfr. CEI, "11
rinnovamento della catechesi", 1970), capace di ascoltare il vangelo del Regno nella storia, in grado
di pronunciare con parrhesia ("franchezza fraterna") la parola di annuncio della misericordia e di
denuncia di ogni ingiustizia che lede l'umano e la convivenza nella pace.
2.e Una recezione aperta e possibile
Lumen Gentium ha lasciato in eredità al post-Concilio una visione della Chiesa in divenire,
non immutabile nelle sue forme e configurazioni; essa si trasforma, cercando di individuare i modi
migliori di essere in una storia umana che si trasforma a sua volta continuamente e in modo
accelerato. La recezione deve quindi essere pensala e orientata nel suo sviluppo; devono essere
rilevati e rilanciati gli snodi non riconosciuti, non accolti, non concretizzali, gli elementi
dimenticati, le fioriture incomplete, i frutti che ancora mancano, come anche le sfide che nuovi
contesti culturali e nuovi sviluppi sul piano antropologico e sociale pongono alla compagine
ecclesiale. Come segnalava la voce autorevole del cardinale C.M. Martini nel suo discorso al
Consiglio delle Conferenze episcopali europee del 7 ottobre 1999, la Chiesa intera deve farsi carico
di quelle prospettive e terni centrali dalla cui accoglienza dipende la reale e globale recezione del
Concilio. Inculturazione del vangelo, sinodalità delle Chiese locali e nelle Chiese locali,
ridefinizione della propria identità in un cammino ecumenico coinvolgente tutti, che non separi la
spiritualità per tutti e la ricerca teologica di pochi, riconoscimento di essere pellegrini nel mondo
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con il resto dell'umanità (LG 48), laicità, essere popolo sacerdotale e profetico sembrano gli snodi
qualificanti della prossima fase di recezione.
Con particolare rilievo va infine segnalato il passaggio in cui si richiama con forza la Chiesa
a essere povera a immagine del Cristo (Fil 2,6-7; LG 8); occorre valutare su questo elemento di
identità il rapporto con il potere, la scelta dei beni materiali, dei mezzi necessari alla missione. La
scommessa di una nuova Chiesa, segno significativo nel mondo di oggi, di un nuovo volto capace
di interpellare profondamente le coscienze dentro e fuori il contesto ecclesiale, si gioca su questo
punto in modo radicale. Qui ci siamo allontanati dal Concilio, l'abbiamo "tradito" e addomesticato
con compromessi indebiti. Su questi campi, dove si coagulano oggi resistenze e ostacoli, paure e
desideri nostalgici, l'azione pastorale e la formazione permanente di preti, vescovi, laici devono
scommettere con coraggio e libertà.
2.f. Tra memoria e speranza
Nelle parole della Costituzione dogmatica sulla Chiesa ritroviamo le radici della nostra
autocoscienza attuale, di tanti aspetti del nostro vivere liturgico e pastorale che avvertiamo come
ovvie e normali, insieme alle sfide per un ulteriore cammino, che intuiamo ricco sul piano umano e
spirituale. Rileggere oggi Lumen Gentium è atto di memoria, che permette con gratitudine di
constatare i passi fatti, e atto di speranza intelligente e attiva, che sa promuovere processi di
maturazione ecclesiale intorno all'essenziale e sa resistere alle chimere dell'intimismo, della logica
del sacro, del fascino della massa raccolta intorno al leader, della devozione spiritualistica, del
vagheggiamento di un comunitario ridotto ai confini del proprio piccolo gruppo, movimento,
parrocchia. Una speranza che sa opporsi ai compromessi, comunque giustificati, e alla tentazione di
essere quelli che contano sulla scena sociale, per aprirsi con disponibilità all'azione dello Spirito nel
popolo di Dio e nell'umanità intera, raccogliendo con responsabilità il tesoro dell'eredità conciliare
che è stato consegnato, in particolare l'idea di Chiesa a servizio del Regno di Dio nella storia.
Se la "recezione primitiva" è ormai compiuta, la "recezione piena" del " Concilio è ancora
lontana. Essa passa per il progressivo coinvolgimento di settori particolari e il riconoscimento attivo
di alcuni attori privilegiati, perché si arrivi gradualmente a un allargamento dei campi toccati e
all'ingresso in scena di soggetti diversi. Questo potrà avvenire solo con processi formativi rivolti a
cristiani adulti e dinamiche di comunicazione intraecclesiale più efficaci e autentiche. Su questa
strada, d'altra parte, la Costituzione sulla Chiesa ci ha già posto, con l'affermazione ripetuta della
radicale storicità del soggetto ecclesiale e del bisogno sempre presente di riforma (LG 8). Il popolo
di Dio partecipa del divenire della storia umana verso il compimento ultimo, delle maturazioni di
coscienza, del divenire delle culture; la Chiesa è soggetto che nasce, evolve, cresce, si trasforma, le
cui configurazioni e forme storielle sono tutte provvisorie (LG 48). A questo livello, come segnala
H. Denis, la mancanza di un progetto di riforma strutturale complessivo, capace di tradurre la
visione ecclesiologica di Lumen Gentium insieme alla riforma liturgica, ha pesatcTin modo
rilevante su questo post-Concilio incompiuto. Il principio-riforma non è entrato nella codificazione
giuridica, non sono stati previsti né criteri, né istituti, né processi atti a garantire e promuovere
l'autoriforma permanente della Chiesa nella linea di LG.
Bibliografia:
Tra le innumerevoli pubblicazioni (a diversi “livelli”), indico solo un agile ma completo commento
per una iniziale introduzione al tema e al dibattito. Sono a disposizione per ulteriori indicazioni.
L. Sartori, La ‘Lumen Gentium’ – Traccia di studio, Padova 2011.