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Un appetitoso trattenimento : il Festino nella sera del Giovedì grasso di Adriano Banchieri Paolo Giorgi Adriano Banchieri fu un personaggio di estrema versatilità artistica, fu compositore, scrittore, organista e teorico. Nato a Bologna nel 1568, studiò organo e composizione sotto la guida di Gioseffo Guami; la sua attività d'organista cominciò presso il monastero di San Michele in Bosco, a Bologna, proseguendola poi ad Imola (1600-1604), Gubbio (1604-1605), Venezia e Verona; nel 1608 rientrò in San Michele in Bosco ove rimase fino alla morte (1634). Basta dare uno sguardo al complesso della sua produzione artistica per capire l’eclettismo del suo carattere: oltre a 13 opere a stampa di musica sacra, 12 di musica profana e una decina di opere teoriche e didattiche sulla musica, Banchieri ci lascia alcuni scritti satirici (ad esempio La Nobiltà dell’asino, 1599) e molte novelle, commedie e rime sia in italiano sia in dialetto bolognese; una personalità davvero poliedrica, dunque. Spicca in particolar modo la produzione vocale profana, quella che ha continuato ad essere ristampata (anche durante la vita del compositore stesso) e ad avere una fortuna esecutiva assai lunga. Le dodici opere a stampa si possono dividere in due categorie (sei libri di ‘canzonette’ e sei libri di ‘madrigali’) innanzitutto per le caratteristiche strutturali: mentre la prima si riallaccia sostanzialmente senza soluzione di continuità al genere rinascimentale della canzonetta a tre voci con intonazione strofica del testo, gli altri libri sono raccolte di composizioni su testo non strofico, generalmente a cinque voci. Il modello principale dei libri di canzonette è L’Amfiparnaso di Orazio Vecchi (1550-1605), una ‘comedia harmonica’, come ci dice il frontespizio dell’edizione milanese del 1597; si tratta di una serie di brevi pezzi musicali polifonici il cui testo descrive un intreccio tratto dai canovacci della commedia dell’arte, con i tipici personaggi stilizzati: Pantalone, il servo astuto, la coppia di innamorati, la cortigiana, e così via. Per questo genere, tipicamente tardorinascimentale, è stato coniato dalla storiografia musicale il termine ‘commedia madrigalesca’, definizione però fuorviante, che rischia di considerare L’Amfiparnaso come un’anticipazione della nascita di un vero e proprio teatro musicale; cosa questa assolutamente impropria, se si considera ad esempio il fatto che non c’è corrispondenza tra un singolo cantore ed un personaggio, bensì tutte e cinque le voci vengono usate per descrivere (realisticamente o sotto una luce caricaturale) le diverse figure. Un’indicazione che ci rivela come queste composizioni non fossero destinate ad un vero e proprio palcoscenico la troviamo nel Prologo de L’Amfiparnaso, nell’appello diretto agli spettatori : ‘[…]questo Spettacolo, si mira con la mente, dov’entra per l’orecchi, e non per gli occhi’; una sorta di ‘teatro dell’udito’, quindi, un raffinato esperimento sonoro che unisce il piacere della musica al piacere del racconto comico. Anche i libri di canzonette di Banchieri sono analogamente costruiti intorno ad una trama comica o bizzarra; indicativi sono a tale proposito i titoli, tra cui La Pazzia senile (1599), Il metamorfosi musicale (1601) e Prudenza giovanile (1607). I libri di madrigali a cinque voci, sebbene imparentati con questo genere di ‘comedia harmonica’, più che intrecci ben definiti delineano alcune statiche situazioni immaginarie che gli interlocutori (ossia le personificazioni delle 5 cinque voci richieste) devono descrivere. La prima raccolta di questo tipo è il celebre Zabaione musicale (1604), in cui si parla di un convenzionale scenario pastorale dell’Arcadia e dei loro abitatori; data un’atmosfera che oggi chiameremmo surreale che pervade tutte le composizioni della silloge, emerge un elemento di parodia lieveremente ironica nei confronti del topos dell’amore pastorale (diffuso e forse abusato in tutta la produzione madrigalistica del Cinquecento). Allo Zabaione segue la Barca di Venetia per Padova (1605), in cui il pretesto per dare sfogo alla musica è dato dalla navigazione di una composita compagnia di veneziani, fiorentini, bolognesi, romani, tedeschi e napoletani lungo i fiumi veneti; la varietà geografica permette una varietà di forme e soprattutto piccole scenette comiche basate sull’enfasi caricaturale dell’aspetto dialettale dei viaggiatori. Il Festino nella sera del giovedì grasso avanti cena venne pubblicato nel 1608 come ‘terzo libro madrigalesco’: la cornice stavolta è fornita dal racconto di una serata di festa durante i giorni del Carnevale; il festino a

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Un appet i toso t rat t enimento : il Fest ino ne l la s era de l Giovedì grasso di Adriano Banchieri Paolo Giorgi

Adriano Banchieri fu un personaggio di estrema versatilità artistica, fu compositore, scrittore, organista e teorico. Nato a Bologna nel 1568, studiò organo e composizione sotto la guida di Gioseffo Guami; la sua attività d'organista cominciò presso il monastero di San Michele in Bosco, a Bologna, proseguendola poi ad Imola (1600-1604), Gubbio (1604-1605), Venezia e Verona; nel 1608 rientrò in San Michele in Bosco ove rimase fino alla morte (1634). Basta dare uno sguardo al complesso della sua produzione artistica per capire l’eclettismo del suo carattere: oltre a 13 opere a stampa di musica sacra, 12 di musica profana e una decina di opere teoriche e didattiche sulla musica, Banchieri ci lascia alcuni scritti satirici (ad esempio La Nobiltà dell’asino, 1599) e molte novelle, commedie e rime sia in italiano sia in dialetto bolognese; una personalità davvero poliedrica, dunque. Spicca in particolar modo la produzione vocale profana, quella che ha continuato ad essere ristampata (anche durante la vita del compositore stesso) e ad avere una fortuna esecutiva assai lunga. Le dodici opere a stampa si possono dividere in due categorie (sei libri di ‘canzonette’ e sei libri di ‘madrigali’) innanzitutto per le caratteristiche strutturali: mentre la prima si riallaccia sostanzialmente senza soluzione di continuità al genere rinascimentale della canzonetta a tre voci con intonazione strofica del testo, gli altri libri sono raccolte di composizioni su testo non strofico, generalmente a cinque voci. Il modello principale dei libri di canzonette è L’Amfiparnaso di Orazio Vecchi (1550-1605), una ‘comedia harmonica’, come ci dice il frontespizio dell’edizione milanese del 1597; si tratta di una serie di brevi pezzi musicali polifonici il cui testo descrive un intreccio tratto dai canovacci della commedia dell’arte, con i tipici personaggi stilizzati: Pantalone, il servo astuto, la coppia di innamorati, la cortigiana, e così via. Per questo genere, tipicamente tardorinascimentale, è stato coniato dalla storiografia musicale il termine ‘commedia madrigalesca’, definizione però fuorviante, che rischia di considerare L’Amfiparnaso come un’anticipazione della nascita di un vero e proprio teatro musicale; cosa questa assolutamente impropria, se si considera ad esempio il fatto che non c’è corrispondenza tra un singolo cantore ed un personaggio, bensì tutte e cinque le voci vengono usate per descrivere (realisticamente o sotto una luce caricaturale) le diverse figure. Un’indicazione che ci rivela come queste composizioni non fossero destinate ad un vero e proprio palcoscenico la troviamo nel Prologo de L’Amfiparnaso, nell’appello diretto agli spettatori : ‘[…]questo Spettacolo, si mira con la mente, dov’entra per l’orecchi, e non per gli occhi’; una sorta di ‘teatro dell’udito’, quindi, un raffinato esperimento sonoro che unisce il piacere della musica al piacere del racconto comico. Anche i libri di canzonette di Banchieri sono analogamente costruiti intorno ad una trama comica o bizzarra; indicativi sono a tale proposito i titoli, tra cui La Pazzia senile (1599), Il metamorfosi musicale (1601) e Prudenza giovanile (1607). I libri di madrigali a cinque voci, sebbene imparentati con questo genere di ‘comedia harmonica’, più che intrecci ben definiti delineano alcune statiche situazioni immaginarie che gli interlocutori (ossia le personificazioni delle 5 cinque voci richieste) devono descrivere. La prima raccolta di questo tipo è il celebre Zabaione musicale (1604), in cui si parla di un convenzionale scenario pastorale dell’Arcadia e dei loro abitatori; data un’atmosfera che oggi chiameremmo surreale che pervade tutte le composizioni della silloge, emerge un elemento di parodia lieveremente ironica nei confronti del topos dell’amore pastorale (diffuso e forse abusato in tutta la produzione madrigalistica del Cinquecento). Allo Zabaione segue la Barca di Venetia per Padova (1605), in cui il pretesto per dare sfogo alla musica è dato dalla navigazione di una composita compagnia di veneziani, fiorentini, bolognesi, romani, tedeschi e napoletani lungo i fiumi veneti; la varietà geografica permette una varietà di forme e soprattutto piccole scenette comiche basate sull’enfasi caricaturale dell’aspetto dialettale dei viaggiatori. Il Festino nella sera del giovedì grasso avanti cena venne pubblicato nel 1608 come ‘terzo libro madrigalesco’: la cornice stavolta è fornita dal racconto di una serata di festa durante i giorni del Carnevale; il festino a

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cui si richiama il titolo è organizzato dal Diletto Moderno, personificazione dello stile moderno musicale (il cui campione è sicuramente il Claudio Monteverdi della seconda prattica). La prefazione narra dell’allegorico incontro-scontro tra il Diletto Moderno e il Rigore Antico (metafora della pratica compositiva secondo le ormai ‘vecchie’ regole contrappuntistiche), e di come dopo lo scambio di alcune battute di insulti e offese, il Diletto metta definitivamente a tacere il Rigore con un ‘leggiadro tiro di note nere’ per riuscire ad arrivare in tempo al festino che ha organizzato. Dal punto di vista strutturale, il Festino è una successione di 18 pezzi (in aggiunta ad introduzione e licenza) di varia natura, scelta eterogenea funzionale proprio a mostrare le diverse possibilità compositive del moderno stile; la varietà di forme si adatta inoltre perfettamente alla cornice narrativa del Carnevale (inteso come sfilata di maschere e di vari giochi e scherzi). Per meglio comprendere la sequenza dei brani, è utile visualizzarli accompagnati dalle didascalie presenti in calce ad ogni brano (come già prescrive Banchieri nella prefazione, richiamando attenzione affinchè si ‘canti allegramente leggendo gli titoli posti sopra gli canti’) : I Il diletto moderno per introduzione Il Moderno Diletto tutti invita

a un’opera di gusto e favorita

II Giustinana di vecchietti chiozzotti Gondolier, so Compare, e Pantalon fanno il balletto del barba Jandon

III Mascherata di villanelle Canta una ottava rima, molto bella

col Biobò e la Lira una Zitella

IV Seguita la detta mascherata Le villanelle unite in bel Soggetto

esortano Cupido aver nel petto

V Madrigale a un dolce usignolo Cantano al lor partir le Villanelle

un Madrigal, tutte vezzose e belle

VI Mascherata d’amanti Entrano sul Festin tutti d’accordo

con un Liuto in tuono dell’Arpicordo

VII Gli amanti morescano Cessano gli stromenti e con diletto

morescano cantando il Spagnoletta

VIII Gli amanti cantano un madrigale Finita la Moresca per riposo cantano un Madrigale artificioso

IX Gli amanti cantano una canzonetta O quanto piacque il Madrigale in fine

cantano alquante note peregrine

X La zia Bernardina racconta una novella Quivi udrassi contare della Gazzuola

Una ridiculosa e industre fola

XI Capricciata a tre voci Qui s’ode una spassevol Barzelletta

Di certi Cervellini usciti in fretta

XII Contrappunto bestiale alla mente Un Cane, un Cucco, un Gatto, e un Chiù per spasso

Fan Contraponto a mente sopra un Basso

XIII Gli Cervellini cantano un madrigale O che Bestial Capriccio naturale!

Mò stiamo attenti a un serio Madrigale

XIV Intermedio di venditori di fusi Al partir delle bestie gionse al pari Un Intermedio lesto di fusari

XV Li fusari cantano un madrigale Partono gli Fusari, e al lor partire

Cantano un Madrigal grato al sentire

XVI Gioco del conte Propone un bel Bisticcio il dolce humore

Poi lascia star sonando le tre hore

XVII Li festinanti Con voce assai brillante, et Asinina

Si sente una bell’aria alla Norcina

XVIII Vinata di brindesi e ragioni Canto, Falsetto, Alto, Tenor, e Basso

Col cantinier bevendo, hanno un bel spasso

XIX Sproposito di goffi (però di gusto) O che pazzi babioni, o che cervelli

Che hora è questa vender solfanelli

XX Il diletto moderno licenza e di nuovo invita Il Diletto moderno in bona vena Promette spasso mentre, et dopo cena

La trama è dunque molto semplice: dopo l’invito al divertimento da parte del padrone di casa (I), comincia la sfilata di maschere con alcune maschere tradizionali (II), poi un gruppo di dolci pastorelle (III-V) e alcuni giovani innamorati (VI-IX). Dopo un breve aneddoto licenzioso di una vecchietta (X) continuano i travestimenti con l’arrivo di bambini mascherati da animali (XI-XIII). Finite le mascherate,

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arrivano alcuni venditori di fusi per mercanteggiare con i convitati (XIV-XV); dopo alcuni giochi di scioglilingua (il bisticcio) suona finalmente l’ora di cena (XVI-XVII), ma durante i brindisi finali (XVIII) passano lungo la strada alcuni venditori di fiammiferi che disturbano l’atmosfera con le loro grida (XIX). Infine il Diletto Moderno congeda tutti gli invitati e li esorta a tornare presto per altre serate di divertimenti (XX). Data la semplice linearità della trama, risulta evidente che l’interesse di Banchieri sia quello di caratterizzare al meglio le diverse situazioni, sfruttando gli spunti che offrono le diverse maschere. Il testo dell’introduzione e quello della licenza portano la stessa musica, in modo da dare unità e compiutezza al ciclo di composizioni; entrambi i testi sono strofici, e le cinque voci procedono in maniera accordale attraverso una musica piuttosto scandita, che serve proprio a richiamare l’attenzione dello spettatore. Le prima maschere intonano una giustianiana, una breve canzonetta di argomento amoroso (che tipicamente narra dell’amore di un vecchio per una giovane) e scritta in dialetto veneto italianizzato (i vecchietti sono infatti chiozzotti, di Chioggia). Arrivano poi tre gruppi di maschere (le pastorelle, gli amanti e gli animali), ciascuno dei quali intona diversi brani di diversi stili e forme. La mascherata di villanelle accenna dapprima un ironico quadretto agreste, in cui una zitella canta un’ottava rima (ossia una strofa di endecasillabi rimata ABABABCC) accompagnata da una lira e uno scacciapensieri (il biobò) : descrivendo la propria condizione di solitudine si lamenta di come la sua tanto decantata bellezza sia in realtà frutto di continue prese in giro. Banchieri sfrutta la contrapposizione tra voce e strumenti affidando la zitella al trio di voci acute, mentre le due voci maschili accompagnano imitando onomatopeicamente i suoni degli strumenti. Poi il coro di pastorelle intona una canzonetta leggera, in stile omoritmico e molto cantabile, sulla potenza del dio d’Amore; alla partenza le villanelle intonano invece un vero e proprio madrigale, scritto in uno stile piuttosto serio in cui ritroviamo alcuni dei procedimenti canonizzati del genere: tipici sono l’inizio in imitazione tra le voci e i casi di pittura sonora (ad esempio le dissonanze che dipingono i folti orrori e sottolineano musicalmente la dolorosa situazione espressa dal testo). Il coro degli amanti inizia imitando alcuni strumenti, alternando il suono squillante del liuto (‘din din’) al ‘tronc tronc’ metallico e secco del clavicembalo (l’arpicordo); accordati gli strumenti, si canta una moresca, una danza molto ritmata tipicamente spagnola; continuano i canti con un madrigale artificioso, ossia caratterizzato da una scrittura vocale ricercata e attenta all’intreccio imitativo. I giovani innamorati se ne vanno infine cantando una canzonetta, un brano piuttosto omoritmico e semplice, ma che raggiunge un registro poetico alto tramite il riferimento a Olimpia e Bireno, due personaggi dell’Orlando Furioso di Ariosto sempre costretti dalle loro avverse vicende ad allontanarsi (simboli del topos dell’amore contrastato). Dopo la partenza delle maschere, ‘non avendo per or trattenimento’ viene chiesto a zia Bernardina di raccontare la storiella (fola) della gazza: Banchieri sottolinea il colorito racconto con un fitto dialogo tra Zia Bernardina e il suo pubblico (rispettivamente il trio di voci femminili e le voci maschili). Arrivano in fretta alcuni ragazzini (i cervellini) mascherati da animali, che annunciano attraverso una capricciata (breve brano in stile imitativo) l’arrivo di un contrapunto bestiale, ossia intonato imitando i versi di quattro animali; Banchieri costruisce un effetto piuttosto bizzarro, affidando al basso una sentenza in latino e alle altre voci i versi degli animali. Per congedarsi i cervellini eseguono un serio madrigale, che come i precedenti presenta un raffinato intreccio vocale. Entrano poi i venditori di fusi, e dove aver decantato le qualità della loro merce, cantano anche loro un madrigale grato al sentire prima di congedarsi, rivolgendosi alla bellezza delle dame presenti al festino. In attesa dell’ora di cena e per ‘seguitar lo spasso’ viene proposto il bisticcio del Conte, un gioco basato su uno scioglilingua che due squadre (le voci femminili contro quelle maschili) devono ripetere il più velocemente possibile; dato che ormai le mascherate sono finite viene annunciata la cena, che ben presto si trasforma in un’allegra bevuta; ad ogni brindisi levato dal cantiniere (il tenore) progressivamente si riduce il numero delle voci che intonano la strofa, man mano che i convitati cadono sotto l’effetto del buon vino. E’ ormai notte, e passano alcuni venditori di solfanelli, che intonano vivaci espressioni in dialetto bolognese importunando il festino, quasi giunto al termine. Il

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Diletto, sulla stessa musica dell’introduzione, licenzia i suoi invitati, promettendo future serate di divertimenti. Uno degli obiettivi primari di Banchieri è sicuramente quello di adottare, all’interno di uno sfondo narrativo coerente, un ampio ventaglio di soluzioni musicali: nel Festino sono compresenti generi vocali più o meno seri (si va dalle danze come la moresca alle canzonette, fino ai madrigali) e registri poetici molto variegati (dalle inflessioni dialettali dei vecchietti chiozzotti ai riferimenti ai poemi epici). Il Festino è dunque, dietro un’apparente semplicità, un componimento piuttosto complesso, un vero e proprio divertissement intellettuale, in cui il vero fine non sta tanto nella sostanza stessa ma nelle varie modalità di elaborazione giocosa e libera di materiali di vari generi e temi. Il tratto che forse avvicina di più il Festino alla nostra sensibilità moderna è però la sottile ironia sottesa all’intera composizione; Banchieri riprende tutti i topoi compositivi dei generi musicali dell’epoca trasfigurandoli come attraverso uno specchio deformante: evidente è il caso del brano in contrappunto intonato (o per meglio dire storpiato) dal gruppo di maschere animalesche. L’effetto complessivo che ci produce ancora oggi il Festino è dunque quello di un’atmosfera surreale, dietro la quale possiamo ancora oggi scorgere il lieve sorriso beffardo del compositore.

Paolo Giorgi