Umanesimo del lavoro

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Coordinamento Nazionale Donne Acli Il Coordinamento Nazionale delle donne Acli si è riunito a Roma nei giorni 10 e 11 maggio c/o la Casa Generale dei Figli dell’Immacolata Concezione. Nelle due giornate si è messo a fuoco il tema del lavoro che rappresenta la priorità nella vita delle persone. In particolare ci si è confrontati con le rappresentanti dei sindacati Liliana Ocmin, Segretario Confederale Cisl con delega a donne, giovani ed immigrati; Giuliana Mesina, Segretaria Nazionale FILCAMS Cgil; Maria Pia Mannino, Responsabile Nazionale pari opportunità e politiche di genere della Uil. È intervenuto il vice Presidente vicario della Acli Stefano Tassinari, con delega al lavoro. Tema dell’incontro: “Come le donne possono aiutare a realizzare un nuovo umanesimo del lavoro fondato sull’etica della responsabilità per uscire dalla crisi”. Il confronto e il dibattito vivace e stimolante si sono incentrati sui possibili percorsi, idee e soluzioni da far emergere, atte a sostenere un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, tra tutele, diritti e opportunità, tra competitività e sviluppo sostenibile. La Responsabile Nazionale Coordinamento Donne Agnese Ranghelli ha introdotto e moderato i lavori sottolineando come la profonda crisi, prima finanziaria poi economica ed ora sociale materiale ed occupazionale, sta modificando scenari, abitudini, modi di vita e forme economiche. Si tratta di cambiamenti profondi che incidono nella vita delle persone, delle organizzazioni e degli Stati. Nulla sarà come prima. Ma, sappiamo bene come ogni crisi porta con sé, problemi e opportunità. Per questo ci troviamo di fronte a grandi interrogativi che non riguardano soltanto le tempistiche di uscita della crisi ma anche come si configurerà il profilo della società di domani, in quanto l’unica certezza è che tutto sarà diverso da come finora è stato. In questo contesto il punto di vista femminile potrebbe rappresentare un tassello importante per riflettere e costruire un nuovo umanesimo che è principalmente legato a questioni di ordine culturale. Da anni l’Italia cresce poco o nulla. Cresce poco dal punto di vista economico. E cresce ancora meno sul piano demografico. Negli ultimi mesi sono state scritte molte pagine e sono state spese fin troppe parole per elencare tutto quello che andrebbe fatto per rimettere in moto il Paese: liberalizzazioni, mercati più efficienti, fisco più leggero, investimenti in ricerca e innovazione e così via. Eppure esiste una risorsa più importante, di cui si parla poco: il lavoro femminile. Fare spazio alle donne e promuoverne l’occupazione è diventato urgente non solo per ragioni di pari opportunità e di giustizia sociale, ma soprattutto perché senza di loro l’Italia non cresce. A Lisbona era stato dichiarato: “le donne sono il motore della crescita”, ma bisogna aggiungere che gran parte del lavoro delle donne non è retribuito, come ha sottolineato Giuliana Mesina, anche se incide fortemente sul Pil. Il giro economico che c’è per il lavoro di cura, per es., equivale ad una finanziaria (circa 20 miliardi di euro). Il lavoro delle donne non è solo lavoro di cura, ma spesso le donne sono collocate nelle professioni del sociale, in lavori ANALOGHI alla cura: insegnanti, infermiere… Se questa diventa una segregazione, se a parità di mansioni le donne guadagnano fino al 30% in meno, se rispetto alla rinuncia per motivi di famiglia si trova a

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Sintesi dei lavori - Coordinamento donne nazionale ACLI 10 e 11 maggio 2013

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Coordinamento Nazionale Donne Acli

Il Coordinamento Nazionale delle donne Acli si è riunito a Roma nei giorni 10 e 11 maggio c/o la

Casa Generale dei Figli dell’Immacolata Concezione.

Nelle due giornate si è messo a fuoco il tema del lavoro che rappresenta la priorità nella vita delle

persone. In particolare ci si è confrontati con le rappresentanti dei sindacati Liliana Ocmin,

Segretario Confederale Cisl con delega a donne, giovani ed immigrati; Giuliana Mesina, Segretaria

Nazionale FILCAMS Cgil; Maria Pia Mannino, Responsabile Nazionale pari opportunità e politiche

di genere della Uil.

È intervenuto il vice Presidente vicario della Acli Stefano Tassinari, con delega al lavoro.

Tema dell’incontro: “Come le donne possono aiutare a realizzare un nuovo umanesimo del

lavoro fondato sull’etica della responsabilità per uscire dalla crisi”.

Il confronto e il dibattito vivace e stimolante si sono incentrati sui possibili percorsi, idee e soluzioni da far emergere, atte a sostenere un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, tra tutele, diritti e opportunità, tra competitività e sviluppo sostenibile. La Responsabile Nazionale Coordinamento Donne Agnese Ranghelli ha introdotto e moderato i lavori sottolineando come la profonda crisi, prima finanziaria poi economica ed ora sociale materiale ed occupazionale, sta modificando scenari, abitudini, modi di vita e forme economiche. Si tratta di cambiamenti profondi che incidono nella vita delle persone, delle organizzazioni e degli Stati. Nulla sarà come prima. Ma, sappiamo bene come ogni crisi porta con sé, problemi e opportunità. Per questo ci troviamo di fronte a grandi interrogativi che non riguardano soltanto le tempistiche di uscita della crisi ma anche come si configurerà il profilo della società di domani, in quanto l’unica certezza è che tutto sarà diverso da come finora è stato. In questo contesto il punto di vista femminile potrebbe rappresentare un tassello importante per riflettere e costruire un nuovo umanesimo che è principalmente legato a questioni di ordine culturale. Da anni l’Italia cresce poco o nulla. Cresce poco dal punto di vista economico. E cresce ancora meno sul piano demografico. Negli ultimi mesi sono state scritte molte pagine e sono state spese fin troppe parole per elencare tutto quello che andrebbe fatto per rimettere in moto il Paese: liberalizzazioni, mercati più efficienti, fisco più leggero, investimenti in ricerca e innovazione e così via. Eppure esiste una risorsa più importante, di cui si parla poco: il lavoro femminile. Fare spazio alle donne e promuoverne l’occupazione è diventato urgente non solo per ragioni di pari opportunità e di giustizia sociale, ma soprattutto perché senza di loro l’Italia non cresce. A Lisbona era stato dichiarato: “le donne sono il motore della crescita”, ma bisogna aggiungere che gran parte del lavoro delle donne non è retribuito, come ha sottolineato Giuliana Mesina, anche se incide fortemente sul Pil. Il giro economico che c’è per il lavoro di cura, per es., equivale ad una finanziaria (circa 20 miliardi di euro). Il lavoro delle donne non è solo lavoro di cura, ma spesso le donne sono collocate nelle professioni del sociale, in lavori ANALOGHI alla cura: insegnanti, infermiere… Se questa diventa una segregazione, se a parità di mansioni le donne guadagnano fino al 30% in meno, se rispetto alla rinuncia per motivi di famiglia si trova a

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compierla chi ha lo stipendio più basso… per non parlare delle rinunce sul fronte della carriera…, tutti questi fenomeni, insomma, determinano quello che si legge sui giornali: “la crisi la pagano i soggetti più deboli”. E questa crisi sta facendo perdere alle donne decenni di conquiste sociali: sono di nuovo espulse o segregate per necessità. In tal modo si perde anche il valore aggiunto della presenza femminile nei sistemi di produzione e nel mondo del lavoro, anche per tanti aspetti intangibili. Allora questo motore rappresentato dalle donne (perché è innegabile che esista), per poter uscire dalla crisi, deve essere acceso. Cosa possiamo fare per metterlo in moto? Dobbiamo riuscire a valorizzare quello che viene definito il “lavoro povero” – come viene definito il lavoro di cura - perché poco pagato, ma che contiene una quantità di elementi: la dedizione, l’impegno… sono valori nascosti che le donne sanno immettere nel lavoro di cura; sono asset non riproducibili. E ancora. Il “non esserci” penalizza il lavoro femminile. Certo si deve sollecitare la partecipazione delle donne, ma fuori dell’orario di lavoro sappiamo che per le donne diventa un problema essere presenti. Se, però, vale il principio di non delega, allora c’è ancora molto da fare. È difficilissimo riuscire a far passare il principio di una qualità del lavoro che passa anche attraverso il “non esserci”, ma occorre cercare di creare un contesto che valorizzi anche il lavoro di chi non è sempre presente. E valorizzi anche quello che c’è intorno all’esserci: suggerire, studiare, preparare… Spesso il lavoro di chi c’è è preparato dalle donne che per motivi di orario non possono esserci. Cominciamo a valorizzarlo con le colleghe e poi… con gli uomini. Del resto, non sempre l’esserci è sinonimo di qualità. Occorre solidarietà per cambiare le regole del gioco. Il grande cambiamento parte anche dal considerare finalmente la conciliazione come diritto (e che non riguarda solo le donne). Finora abbiamo avuto una visione binaria del potere: quello maschile e parallelamente quello femminile che lo imita. La visione alternativa del potere esiste ma è eversiva, perché scardina, perché al posto dell’intimidazione c’è il coinvolgimento: questo può essere lo stile delle donne. Una possibilità esiste, si può gestire il potere in modo alternativo, senza per forza farci uomizzare. L’intervento di Maria Pia Mannino della Uil si è concentrato sul ridare fiato all’occupazione attraverso incentivi che facilitino l’impiegabilità femminile, ovvero: attuazione di un welfare aziendale e welfare territoriale, che riorganizzi i servizi sociali ridando respiro alle famiglie anche e soprattutto con prezzi accessibili. Per fronteggiare, poi, i gravi fenomeni che interessano le donne in questo periodo, ha proposto una grande assemblea delle donne, senza cartello, senza ideologie (su temi come violenza, lavoro…). Con l’obiettivo di fare corpo comune e di dare l’immagine di grande compattezza, di donne unite. Liliana Ocmin ha evidenziato che se si vuole parlare di nuovo umanesimo si devono affrontare i grandi temi del lavoro, della conciliazione e del welfare, a partire dal rapporto tra donne e lavoro. In Italia, l’occupazione delle donne è praticamente ferma al 47,1%: la lieve crescita dello 0,2% a febbraio ha riguardato la componente immigrata impegnata prevalentemente nei servizi di cura alla persona e la componente over 55, in conseguenza della permanenza del mercato del lavoro quale effetto delle riforme di natura previdenziale attuate negli ultimi anni. Ha inoltre asserito che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, è indispensabile mettere al centro la famiglia. Ciò significa potenziare i servizi, aiutare le famiglie in difficoltà attraverso un fisco più equo e sostenere la contrattazione collettiva di prossimità per agganciare sempre più la flessibilità alla produttività delle aziende. In buona sostanza attivare processi strutturali di femminilizzazione del lavoro. Si tratta di una rivoluzione culturale che incontra mille ostacoli e ciascuno di essi è espressione di un nodo politico

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culturale irrisolto: reti di servizi inadeguate, organizzazione del lavoro disallineata rispetto ai bisogni della conciliazione. Politiche per la famiglia poco incisive, sovraccarico del lavoro domestico e di cura per le donne, utilizzo del congedo parentale spesso ostacolato dai datori di lavoro o da cause strutturali come scarsi incentivi economici alle imprese e bassa remunerazione, limitata diffusione delle forme contrattuali part time, crisi delle reti di solidarietà parentali e amicali. In questo contesto la maternità è spesso un diritto negato, perché si vorrebbe avere figli ma non si hanno le possibilità. Non c’è efficienza negli strumenti di intervento, ma non c’è garanzia neanche a livello sociale e culturale. Serve una cultura nuovo del rispetto tra uomo e donna. La corresponsabilità tra i generi è frutto di una negoziazione che va vissuta quotidianamente, perché non c’è una consapevolezza diffusa nel contesto sociale. Le riflessioni sulla crisi occorrono per ridiscutere il tema della CONCILIAZIONE in maniera più ampia - ha affermato il vice Presidente vicario delle Acli Stefano Tassinari. Oggi c’è una percezione diffusa di povertà, ma la crisi acuisce fenomeni che erano già presenti o covavano in attesa di esplodere. Ci troviamo in una società troppo diseguale ma a ciò ci hanno condotto modelli scelti e sostenuti consapevolmente: abbiamo bisogno, quindi, di ridefinire un modello di sviluppo. Si tratta di riconciliare la dimensione dell’economia con la dimensione umana e sociale. Se c’è la dimensione di GIUSTIZIA ci sarà anche la CRESCITA. Non si può più separare il lavoro dalla dimensione della vita e non solo per le donne. La prospettiva delle donne è interessante perché più degli altri sperimentano che non si può continuare così. Anche gli ambiti di lavoro sono diventati molto competitivi: tutto è un dover avere e non un dover essere. Con questa cultura è facile che anche nelle altre sfere vitali e relazionali prevalga il senso del possesso e, se qualcosa non va, si ricorra alla violenza. Bisogna recuperare i tempi di vita. Riconciliare significa, allora, equilibrare le sfere di vita e ricollocare il futuro su basi di giustizia. Recuperare la visione di una comunità/società che si tiene tutta insieme, in tutte le sue parti (coesione sociale), o non se ne esce. Anche il tema del Welfare cambia, perché si fa dentro l’economia. Per esempio, condividere

un’assistente familiare dentro un condominio. L’esempio della Francia, che realizza interventi per

favorire la permanenza delle donne nel mondo del lavoro per potersi garantire il loro contributo

(perché in un mondo che compete sulla qualità questo è importante), può essere utile. Tenere –

come si fa in Italia - in panchina metà della popolazione non è produttivo. Occorre valorizzare e

usare in maniera più giusta le risorse che abbiamo.

In questo senso anche fare associazione cambia: sperimentare modelli di partecipazione diversi, a cominciare dagli orari e dalle modalità. Su questo le donne sono più brave perché vivono quotidianamente la sfida di ritagliarsi dei tempi. Dobbiamo intercettare queste esperienze per aiutarle a non essere sporadiche. Quella dell’aggregazione delle colf è il più interessante per noi Acli: sono prevalentemente donne, sono giovani e lavoratrici. Dovremmo renderle cittadine, responsabilizzarle, aiutandole a fare le loro battaglie, ma non assumendo sempre quel ruolo di “partecipazione paternalistica”, del “facciamo noi”. Siamo tutti chiamati ad essere protagonisti attivi del cambiamento, oggi necessario nella nostra società. Per questo è fondamentale unire le forze, le collaborazioni e le conoscenze per fare rete. Il punto di vista delle donne può essere occasione e strumento per superare la crisi. La capacità delle donne di essere garanti delle tenuta e della continuità del tessuto più profondo emerge proprio nei momenti in cui più forte appare il disorientamento generato dai cambiamenti e dalle trasformazioni.