ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE - Dante e il Cinema · Il mio tirocinio si è svolto in due classi...
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SOMMARIO
PARTE PRIMA: TIROCINIO ......................................................................................... 3
PRESENTAZIONE DELLA SCUOLA ................................................................................................ 4
L’ISTITUTO COMPRENSIVO E IL POF .................................................................................... 4
LA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO ............................................................................ 7
IL TIROCINO OSSERVATIVO ....................................................................................................... 8
LA TERZA * ...................................................................................................................... 8
LA TERZA ** .................................................................................................................... 9
IN CLASSE ....................................................................................................................... 10
NEL LABORATORIO ........................................................................................................... 13
LA RELAZIONE DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO: RIFLESSIONI .............................................. 15
LE PRATICHE PROFESSIONALI DELL’INSEGNANTE ACCOGLIENTE: RIFLESSIONI .............................. 17
LA PARTECIPAZIONE AGLI ESAMI DI TERZA MEDIA .................................................................. 18
IL TIROCINIO ATTIVO ............................................................................................................. 19
IN TERZA *: LEZIONI SINGOLE ............................................................................................ 19
IN TERZA **: UN PERCORSO DIDATTICO DAL PENSIERO ALLA REALTÀ ........................................ 21
PARTE SECONDA: DECLINAZIONE DIDATTICA CON APPROFONDIMENTO
DISCIPLINARE .......................................................................................................................... 24
ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE ......................................................................... 25
DESTINATARIO E MOTIVAZIONE DEL PERCORSO ......................................................................... 25
CONTENUTI ........................................................................................................................... 26
IL CANTO XXVI DELL’INFERNO: LA MORTE DAL MARE ......................................................... 26
IL CANTO XXVI: IL MOTIVO FOLKLORICO E LE FUNZIONI NARRATIVE ....................................... 28
LA PARTENZA (VV. 90-102) ............................................................................................. 32
IL VIAGGIO (VV. 103-111) ............................................................................................... 33
L’ORAZION PICCIOLA (VV. 112-120) ................................................................................. 35
IL FOLLE VOLO E IL NAUFRAGIO (VV. 121-142) ................................................................... 36
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PREREQUISITI ........................................................................................................................ 40
OBIETTIVI ............................................................................................................................ 40
STRUMENTI ........................................................................................................................... 41
PERCORSO DI RICERCA ........................................................................................................... 41
VERIFICA E VALUTAZIONE ...................................................................................................... 47
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................... 49
ALLEGATI ....................................................................................................................... 50
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PARTE PRIMA: TIROCINIO
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Presentazione della scuola
L’Istituto Comprensivo e il POF
Nell’anno scolastico 2004/05, ho svolto il mio tirocinio per la classe A043
presso l’Istituto Comprensivo di Costa Volpino, unità organizzativa delle Scuole sta-
tali dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado situate nei Comuni di Costa
Volpino e Rogno, in provincia di Bergamo, adagiati tra il Lago d’Iseo e la Valcamo-
nica, perciò a notevole distanza dal capoluogo. L’Istituto è articolato in una Scuola
dell’Infanzia, quattro Scuole Primarie (con una quinta sezione staccata) e una Scuola
Secondaria di primo grado, situata a Costa Volpino, in posizione centrale rispetto
alle sedi delle altre scuole.
Il Pof dell’Istituto, redatto da un’apposita commissione, si distingue per
accuratezza e completezza. Una prima parte è dedicata ai princìpi generali ispiratori
della scuola e ai suoi organi di gestione, nonché alla presentazione delle diverse
realtà scolastiche, mentre nella seconda parte si espongono i progetti che
coinvolgono l’intero Istituto o le singole scuole che vi appartengono. Riguardo i
principi generali, centrale è il richiamo ai quattro pilastri dell’educazione
raccomandati dall’UNESCO: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a
essere, imparare a vivere con gli altri.
Tra gli organi di gestione della scuola, figura il Comitato Genitori, formato
interamente da questi ultimi e unificato per i tre ordini di scuola; esso, oltre ad
esercitare un ruolo attivo di ponte tra l’Istituto e le famiglie, è impegnato in iniziative
volte ad ampliare e migliorare l’offerta formativa in collaborazione con i docenti,
aprendo la scuola al territorio e coinvolgendo gli enti locali: in particolare, organizza
eventi e iniziative (festa dello sport, marcia della pace, mercatino di Natale, vendita
delle mele prodotte dal frutteto “adottato” dal Comitato stesso) cui collaborano
alunni, genitori, insegnanti, Comuni; queste attività sono finalizzate alla raccolta di
fondi per progetti sportivi, musicali e di educazione alla salute, uscite sul territorio,
adozioni a distanza, proposti dai docenti dell’Istituto nel corso degli anni scolastici.
Accanto ai progetti della scuola per l’arricchimento dell’offerta formativa
(educazione all’affettività ed educazione sessuale, educazione alla salute, progetto
UNICEF di educazione alla legalità e alla coscienza civica, orientamento
scolastico…), molta attenzione è assegnata nel POF alla problematica degli alunni
stranieri che sono presenti quasi in ogni classe, in percentuali basse ma non
insignificanti e soprattutto sempre crescenti. Nell’Istituto è attiva una commissione
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apposita, formata da docenti di ogni plesso e ordine di scuola, che si occupa di
pianificare le strategie per accompagnare l’alunno straniero (e la sua famiglia)
dall’inserimento (burocratico) nella scuola all’inserimento in classe. In base a queste
indicazioni di massima devono poi agire gli insegnanti dal punto di vista educativo e
didattico, in quanto responsabili del processo di insegnamento/ apprendimento sia
dell’Italiano come L2 sia delle altre discipline.
L’ultima parte del POF è dedicata alla tematica della valutazione, intesa sia
come giudizio di verifica del processo di apprendimento da parte degli alunni sia
come autoanalisi dell’Istituto rispetto alle proprie metodologie e ai propri risultati.
Vengono anzitutto esposte le finalità della valutazione delle prove, scritte e orali,
fornite dagli studenti: valutarne i progressi; confrontare i risultati ottenuti con quelli
previsti; promuovere le potenzialità; incoraggiare tendenze ed interessi. Il giudizio,
che viene sempre comunicato al ragazzo/a e alla famiglia tramite il “libretto”, è
espresso, nella Scuola Secondaria di I grado, con percentuali nelle “prove oggettive”,
mentre, dove tale formulazione non sia possibile (ad esempio, per l’insegnante di
Lettere, nella produzione scritta e nelle interrogazioni orali) si provvede a valutarle
per mezzo di giudizi espressi in forma discorsiva, con la citazione di tutti gli obiettivi
presi in esame, e/o si utilizzano le seguenti sigle:
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Nelle schede di fine quadrimestre e di fine anno non sono però riportati tali
giudizi, ma quelli tradizionali, dal Non Sufficiente all’Ottimo.
Mirando ad un miglioramento della propria offerta formativa, l’Istituto
Comprensivo di Costa Volpino da alcuni anni ha aderito a due progetti di
autovalutazione d’Istituto: il primo, organizzato dall’Associazione STRESA
(STRumenti per l’Efficacia della Scuola e l’Autovalutazione), lega in rete diverse
scuole della Bergamasca e rappresenta un percorso di ricerca sul campo che
coinvolge tutti i soggetti che entrano a far parte della scuola (alunni, insegnanti,
dirigenti, genitori), attraverso l’uso di questionari di percezione (sullo “stare bene a
scuola”) e test di profitto per alcune discipline (Italiano, Matematica, Storia). L’altro
progetto è quello, di livello nazionale e obbligatorio solo dal 2005/06, dell’INValSI
(Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema d’Istruzione), che prevede il
coinvolgimento delle classi seconde e quarte della Primaria e delle classi prime della
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Secondaria nei test riguardanti le discipline di Italiano, Matematica e Scienze. La
restituzione dei dati di entrambi i progetti consente sia un’analisi dei risultati
raggiunti dall’Istituto in termini assoluti sia il confronto con le medie della
Lombardia e dell’intera rete.
La Scuola Secondaria di primo grado
La Scuola Secondaria accoglie circa 300 alunni che provengono dal Comune
di Costa Volpino, in cui ha sede, e dal vicino Comune di Rogno, i quali contano,
nell’insieme, circa 11.000 abitanti. Le classi, dalla prima alla terza, sono divise in
quattro sezioni e sono ospitate in una struttura dotata, oltre che delle aule per le
lezioni di classe, di una palestra, diversi laboratori (di lingua, informatica, musica,
ceramica…) e una sala mensa, di cui i ragazzi possono usufruire quando sono
previste lezioni pomeridiane, assistiti dal personale docente.
La situazione attuale dell’ex Scuola Media in Italia è caratterizzata dal
processo di transizione alla cosiddetta “Riforma Moratti”. Perciò, sussistono alcune
differenze tra le classi in cui è già in vigore tale riforma (nell’anno 2004/05, in cui ho
svolto il tirocinio, le classi prime) e quelle in cui vige ancora il “vecchio
ordinamento”, spesso trasformato a livello locale da varie sperimentazioni. La scuola
di Costa Volpino presenta diverse opzioni che possono essere scelte dalle famiglie
degli alunni. Il tempo scuola è tradizionalmente, da anni, diviso in tempo normale e
tempo prolungato, rispettivamente di 30 e 36 ore settimanali di lezione; dal momento
che la Riforma prevede un tempo scuola obbligatorio di 27 ore e fino a un massimo
di 6 ore di ampliamento dell’offerta formativa e atività opzionali, si è pensato, per le
classi prime, a due alternative ricalcate su quelle precedenti: 31 e 33 ore (27+4 e
27+6).
Il mio tirocinio si è svolto in due classi terze, che perciò non erano toccate
dalle novità e che prevedevano il cosiddetto tempo prolungato, ovvero il rientro
pomeridiano per tre volte la settimana (lunedì, mercoledì, venerdì). Il tempo scuola
era organizzato su 36 ore settimanali, distribuite in 42 unità orarie (u.) di 50 minuti
ciascuna e così suddivise:
36 u. riservate alle attività curricolari (di cui 7 per Italiano, 5 per Storia,
Educazione civica e Geografia);
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4 u. dedicate ad attività in “semiclassi” (lavori in gruppi più ristretti per
l’acquisizione, il recupero, l’approfondimento di argomenti e abilità disciplinari e
interdisciplinari);
2 u. di laboratorio, ovvero lavori a piccoli gruppi (un terzo della classe)
finalizzati alla progettazione e alla realizzazione di un percorso trimestrale.
A questo quadro, si aggiungono attività sportive facoltative, con orario
pomeridiano flessibile, e il tempo mensa.
Osservando questa struttura oraria, che certo è solo un “contenitore da
riempire” dagli insegnanti e dagli alunni stessi, mi pare che l’obiettivo perseguito sia
quello di dare una formazione il più completa possibile, sia facendo sperimentare ai
ragazzi un’ampia varietà di discipline, sia ricercando metodologie diverse da quelle
della lezione in classe che possano risultare, da un lato, più coinvolgenti e, dall’altro,
più attente ai bisogni formativi degli allievi che presentano maggiori difficoltà.
Il tirocino osservativo
Nel corso del secondo quadrimestre dell’anno scolastico 2004/05, ho
osservato l’attività di un’insegnante di Lettere (da ora indicata con IA, ovvero
“insegnante accogliente”) in ruolo nella scuola sopra descritta da circa vent’anni; la
docente insegnava in due classi terze, Italiano (articolato in Antologia, Grammatica e
Narrativa) nella sezione *, Storia, Geografia ed Educazione civica nella sezione **.
Inoltre, secondo il piano delle attività sopra sintetizzato, si occupava del lavoro
all’interno di semiclassi: in esse svolgeva, per due unità orarie settimanali, regolare
lezione di storia o geografia in III ** (alternativamente con i due gruppi) e attività di
recupero grammaticale in III * e, per un’ora, un corso di avviamento al Latino (in
una semiclasse interna alla III * pensata come gruppo di livello alto). Ancora in III *
teneva un laboratorio di Cineforum, su cui avrò modo di soffermarmi più oltre.
La terza *
La classe, seguita dall’IA da tre anni, era formata da 27 alunni, senza una
netta prevalenza maschile o femminile; in aula, i banchi erano disposti su tre file,
divisi a gruppi di tre. Come ho avuto modo di scoprire durante il corso del tirocinio, i
posti di ognuno erano scelti dal coordinatore, in questo caso l’IA, e cambiati dopo
circa un mese, benché i ragazzi richiedessero queste rotazioni molto più
frequentemente.
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I ragazzi mi hanno accolto manifestando curiosità ed entusiasmo per la novità
e, rispondendo a precise domande dell’IA, alcuni di loro mi hanno informato sugli
argomenti che erano stati trattati in classe durante il primo quadrimestre o che
stavano affrontando in quel periodo (febbraio).
Tra gli alunni, l’insegnante mi aveva già segnalato la presenza di Goran1, un
ragazzo arrivato soltanto all’inizio della III Media dall’ex Jugoslavia: egli seguiva un
proprio programma di alfabetizzazione in lingua italiana, uscendo dalla classe in
alcune ore, accompagnato da un’altra insegnante, e svolgendo di solito, durante le
ore di Italiano in aula, esercizi specifici su un libro fornitogli dall’IA; dal momento
che il libro era in dotazione alla scuola, doveva copiare sul quaderno tutte le attività.
Durante le ore in classe appariva molto autonomo e impegnato: non rivolgeva mai
all’IA domande su come eseguire gli esercizi, ma li svolgeva sulla base delle
consegne e degli esempi. L’IA lo seguiva da vicino solo nelle ore di semiclasse
dedicate al recupero grammaticale, cercando di portarlo a riflettere sugli esercizi
svolti in modo da ricavare le regole applicate sulla base degli esempi. Per il resto, a
quanto ho potuto vedere, nei laboratori Goran svolgeva esattamente le stesse attività
dei compagni e nei momenti liberi (intervallo), benché arrivato da pochi mesi,
mostrava di aver instaurato buoni rapporti con gli altri.
La terza **
Anche questa classe era formata da 27 alunni, disposti in aula esattamente
come in III * e conosciuti dalla docente fin dalla I Media. Era presente un ragazzo
con handicap mentale, che nelle ore di Storia e Geografia non partecipava
direttamente alle attività di classe, ma lavorava sempre con un insegnante di
sostegno, a volte rimanendo in aula, altre volte uscendo.
Secondo le parole dell’IA, la classe era stata in parte destabilizzata, all’inizio
della terza Media, dall’inserimento di un nuovo alunno, italiano, trasferitosi da
un’altra scuola, particolarmente insofferente alla disciplina, anche a causa di
particolari e travagliate vicende famigliari. In effetti, Daniel in classe spesso
chiacchierava con i compagni, svolgeva attività non legate alla materia spiegata, a
volte rispondeva in modo brusco e aggressivo ai richiami che gli venivano rivolti dai
professori, importunava le compagne, tanto che diverse volte mi è capitato di
arrivare in classe e vedere che il suo banco era staccato da tutti gli altri, isolato
1 I nomi sono di fantasia.
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davanti alla prima fila: in certi casi a questa disposizione era ricorso un insegnante
per le frequenti distrazioni sue o dei compagni di banco oppure diestro richiesta di
qualche alunno che veniva disturbato, in altri casi però era Daniel stesso a spostarsi
di sua volontà. Circa ad aprile, è poi avvenuto un fatto giudicato concordemente
piuttosto grave dagli insegnanti e dal Dirigente scolastico: scomparso il registro di
classe, tramite un alunno si è venuti a sapere che Daniel l’aveva portato a casa,
mostrandolo poi sull’autobus; nonostante le preghiere del compagno di riportarlo a
scuola al più presto, il registro non era stato restituito, bensì gettato tra i rifiuti.
L’episodio ha causato a Daniel una sospensione di alcuni giorni, decisa dal Consiglio
di Classe (sebbene i professori abbiano a lungo discusso, nei giorni seguenti, sulla
reale utilità e sul valore educativo di tale decisione, pur ritenuta doverosa).
In classe
Le metodologie messe in atto dall’IA erano abbastanza simili nelle due classi,
fatte salve le differenze dovute alle diverse discipline.
Ho assistito a spiegazioni di tipo frontale soprattutto in III **, in Storia e
Geografia. L’IA spiegava queste materie rimanendo seduta alla cattedra, solo
raramente alzandosi in piedi davanti ad essa: di solito, dopo aver introdotto
l’argomento richiamando le conoscenze già in possesso dei ragazzi o comunque
rifacendosi a quanto detto nella lezione precedente, leggeva lei stessa il libro di testo,
passando poi, senza soluzione di continuità, alla spiegazione a braccio, per poi
tornare alla lettura, e così via. Gli interventi della docente erano di vario genere: da
un lato, invitava a sottolineare un passaggio importante, commentava una carta
geografica, ripeteva definizioni lessicali o date storiche da memorizzare, dall’altro
ampliava il contenuto del libro, spesso cercando qualche riferimento con l’attualità o
con altre materie. Ad esempio, in una lezione sul secondo dopoguerra, spiegando la
situazione di enorme debito economico in cui versava l’Europa nei confronti degli
Stati Uniti, ha richiamato la situazione attuale dei Paesi in via di sviluppo,
profondamente indebitati nei confronti di quelli economicamente avanzati; poco
dopo, affrontando il Piano Marshall, ha sottolineato come esso prendesse il nome dal
Segretario di Stato americano, aggiungendo: “quello che oggi è Condoleeza Rice”.
A volte l’IA chiedeva ai ragazzi se avessero seguito una certa trasmissione in
televisione nelle sere precedenti, ad esempio fiction o film di argomento storico o
dibattiti su temi relativi alla lezione del giorno, poi ne riassumeva brevemente i
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contenuti ed, eventualmente, commentava o dava un giudizio personale. Raramente,
faceva anche dei riferimenti personali, richiamando suoi ricordi o la storia della sua
famiglia: ha raccontato, ad esempio, di come il padre, che si trovava in Puglia al
momento dell’armistizio del 1943, abbia vissuto lo sbarco alleato in Italia; tali
riferimenti personali, pur brevi, portavano di solito gli alunni ad alzare lo sguardo
sull’insegnante, a sorridere, a fare qualche commento.
Simili a queste spiegazioni, pur senza riferimenti all’attualità o personali,
erano quelle di Grammatica in III *. Anche in questo caso l’IA seguiva il libro,
ampliando e precisando dove necessario, ma di solito faceva leggere uno degli
alunni. La spiegazione – gli argomenti erano quelli di analisi del periodo – era
seguita da uno o più esercizi, svolti ad alta voce, a turno, da ciascuno degli alunni,
seduti al proprio posto. Lo stesso metodo veniva usato per la correzione degli
esercizi di compito svolti a casa, che venivano sempre corretti all’inizio della lezione
(se erano molti, venivano corretti quelli ritenuti più difficili dall’IA o dai ragazzi).
Sia nella correzione dei compiti sia negli esercizi svolti in classe, l’IA cercava di far
giungere tutti alla soluzione, dando a coloro che si trovavano più in difficoltà il
tempo necessario per riflettere, aiutandoli nel ragionamento, invitandoli alla lavagna
per realizzare uno schema.
Le lezioni di Antologia erano di solito strutturate secondo la stessa modalità
di lettura dal libro e spiegazione da parte dell’insegnante, a volte con domande ai
ragazzi sul significato del lessico. Nel corso dell’anno, però, molte lezioni di Italiano
sono state dedicate a questioni diverse rispetto alla stretta attuazione della
programmazione: una parte rilevante del tempo, in particolare, è stata occupata da
visione e commento di film di un certo spessore artistico e soprattutto dalle
impegnative tematiche sociali, quali Alla luce del sole sulla vicenda di don Puglisi,
sacerdote ucciso a Palermo dall mafia, o Viaggio a Kandahar, sulla situazione
afghana. I film, visti al cinema per iniziativa dell’Istituto o proiettati dall’IA in
videocassetta all’interno della classe, erano poi da lei commentati, dopodiché ai
ragazzi veniva chiesta una restituzione in varie forme: tramite questionario da
svolgersi in classe, inserito poi nella valutazione della comprensione orale, oppure
tramite testo scritto da realizzare a casa, che prevedesse un riassunto dell’opera e un
commento personale sulle tematiche trattate, anche in base a quanto discusso in
classe e alle conoscenze possedute.
Veniamo ora ad affrontare le modalità di verifica dell’apprendimento nelle
diverse discipline. Le interrogazioni orali prevedevano innanzi tutto la richiesta di
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volontari (gli alunni erano sempre caldamente esortati dall’IA a farsi interrogare
spontaneamente), poi l’estrazione a sorte tramite dei bigliettini, realizzati dagli
alunni e conservati in classe. La pratica dell’estrazione a sorte veniva meno, però,
quando l’IA doveva, come si usa dire, “finire il giro”, quando cioè restavano pochi
studenti ancora senza voto: in tal caso era lei a sceglierli. Spesso, inoltre, chiedeva a
chi avesse avuto un brutto voto nell’interrogazione precedente se avesse studiato e
volesse subito rimediare.
In Storia e Geografia l’interrogazione si articolava, di regola, su due
argomenti (mai quelli trattati il giorno immediatamente precedente), di cui spesso
uno a piacere, specialmente in apertura di interrogazione. Ogni domanda, se non
trovava risposta direttamente dall’interrogato, veniva rivolta al compagno alla
cattedra, poi a chi avesse alzato la mano dal banco; tendenzialmente, però, l’IA
cercava di aiutare gli alunni interrogati a trovare la risposta, formulando la domanda
in modo diverso. Spesso, inoltre, ripeteva la risposta dell’interrogato in maniera più
corretta e completa, eventualmente ampliandola con un discorso che l’alunno doveva
poi continuare o terminare con una parola del lessico specifico.
In Italiano, ho assistito ad interrogazioni su poesie recitate a memoria; anche
qui l’IA ha dato la precedenza ai volontari, ma ha interrogato tutti gli alunni,
lasciandoli seduti al loro posto; l’interesse era rivolto a verificare la memorizzazione
e la chiarezza espositiva più che l’espressività. Ho assistito anche ad altre
interrogazioni di Italiano, ma tale pratica era poco usata dalla docente e comunque in
modo non sistematico: preferiva correggere gli esercizi svolti a casa facendo parlare
a turno tutti gli studenti e rivolgendo qualche domanda ora a questo ora a quello,
soprattutto per valutare la produzione orale. La comprensione dei brani e l’analisi
delle strutture (conoscenza degli elementi formali, ad esempio, di una poesia o di un
testo argomentativo) veniva verificata tramite prove scritte, che spesso erano quelle
presentate in fondo al libro di testo degli studenti, con opportune aggiunte da parte
dell’insegnante. A maggio, ad esempio, gli studenti hanno svolto una verifica sulla
poesia, dopo una unità didattica che verteva sulle poesie di guerra. Il libro di testo
presentava una lirica di Quasimodo e chiedeva di riconoscere le figure retoriche,
fornire una parafrasi e un commento con riferimenti al contesto storico e all’autore;
l’IA, modificando l’ultima domanda, ha chiesto un commento che richiamasse non
solo il contesto storico e biografico del poeta, ma che presentasse anche un confronto
con altri componimenti sul tema della guerra, letti in classe, di Quasimodo e di altri
autori; inoltre, ha richiesto la definizione di elementi formali caratterizzanti la poesia
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(strofa, rima, sonetto, ossimoro, metafora, sinestesia, iterazione, enjambement). A
un’alunna che le chiedeva il permesso di visionare alcune delle poesie viste in classe,
l’IA ha risposto negando tale permesso, poiché sarebbe stato facile, per i ragazzi,
copiare anche le definizioni lessicali, ma ha poi concesso, a lei come agli altri, di
poter utilizzare il suo stesso libro, venendo alla cattedra, per poter rivedere i
componimenti e riportare citazioni precise. La valutazione di tale prova, molto
articolata ed impegnativa, a mio parere, era strutturata su tre obiettivi, ovvero la
comprensione scritta, la produzione scritta, la conoscenza dei contenuti.
Anche in Storia e Geografia l’IA si avvaleva di verifiche scritte, di tipo
sommativo, alla fine di ogni unità didattica, spesso di tipo strutturato (a domanda
chiusa, con esercizi di Vero/Falso, tabelle o testi da completare, collegamenti causa-
conseguenza…). Per quel che ho potuto vedere, un’attenzione particolare era data al
lessico, con esercizi di definizione di termini storici o geografici specifici (es.
Definisci: patto d’acciaio, guerra lampo, olocausto, ghetti…). Una verifica di
Geografia di diverso genere, cioè interamente a domande aperte (perché l’IA per
errore aveva dimenticato a casa le verifiche già preparate), ha registrato risultati
inferiori rispetto alla media fin lì registrata dalla classe e ha portato l’insegnante ad
interrogarsi sull’opportunità di continuare o meno ad utilizzare verifiche strutturate.
Nell’occasione, ha scelto di svolgere una prova di recupero, mantenendo però la
modalità delle domande aperte.
La valutazione delle prove formative e sommative, orali e scritte,
rispecchiava, naturalmente, le scelte dell’Istituto riportate nel POF: prevedeva cioè
l’uso delle sigle della tabella sopra riportata e, nello scritto, delle percentuali. Nelle
interrogazioni orali, i ragazzi che, estratti o chiamati dall’insegnante, non
accettavano di rispondere, dicendo di non aver studiato, venivano giudicati con un
Impreparato, trascritto sul registro e sul diario, al pari degli altri voti. Questi alunni,
come già accennato, spesso venivano invitati dall’insegnante a recuperare offrendosi
come volontari nella lezione successiva (naturalmente, però, non sempre questa
richiesta dell’insegnante veniva accolta).
Nel laboratorio
Tra le attività non svolte con l’intera classe, mi sembra interessante
soffermarmi sui laboratori: per due unità orarie alla settimana la classe veniva divisa
in tre gruppi, considerati dagli insegnanti di livello omogeneo tra loro, i quali durante
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l’anno si alternavano, per un trimestre circa ciascuno, con tre professori di diverse
materie. In III * le attività proposte erano Musica, Informatica (con il professore di
Tecnica) e Cineforum, con la mia accogliente, appunto. Ho seguito questo
laboratorio per l’intero II quadrimestre, coprendo parte del turno del secondo gruppo
e interamente quello del terzo; entrambi i gruppi erano di nove persone.
L’attività si svolgeva in classe, lasciata libera dagli altri alunni che si
recavano nelle aule adibite a laboratori; soltanto una volta ci siamo invece spostati in
aula magna, dove era presente un altro televisore, poiché quello usato di solito era
guasto. Il laboratorio era infatti basato sulla visione di film in videocassetta, scelti
dall’insegnante e ripetuti per ogni gruppo. I film erano piuttosto impegnati dal punto
di vista dei contenuti, legati a temi storici o di attualità e in parte connessi con gli
argomenti affrontati in Storia e in Italiano nel corso dell’anno: dapprima tre film
sull’epoca nazista e sull’olocausto (L’isola in via degli Uccelli, Schindler’s list, La
tregua), considerati dall’IA, nelle sue riflessioni con i ragazzi, come una sorta di
trilogia, che inoltre riprendeva la programmazione di Narrativa svolta nel I
quadrimestre, cioè la lettura e la visione di Train de vie; poi un film di S. Spielberg
che narra la vita di una donna nera negli Stati Uniti del ’900 (Il colore viola), e infine
I cento passi di M.T. Giordana, una tragica storia di mafia.
Di solito, dopo che due alunni incaricati avevano portato in classe televisore e
videoregistratore e li avevano posizionati in fondo all’aula, il gruppo si disponeva
con le sedie più o meno in semicerchio, dando le spalle alla cattedra e spostando
qualche banco. L’insegnante si poneva invece vicino al televisore per introdurre il
film, poi dietro i ragazzi, seduta su una sedia o su un banco; ogni pellicola era
preceduta da una presentazione da parte della docente, che illustrava brevemente
l’argomento e qualche caratteristica tecnico-cinematografica: prima della visione di
Schindler’s list, ad esempio, l’IA si è soffermata sul contesto storico, richiamando
quanto era già stato affrontato in classe; sulle connessioni con il film precedente,
ambientato nello stesso luogo e periodo (Polonia, 1942); sulla tecnica di montaggio,
che all’inizio contrappone nettamente le scene dedicate agli Ebrei a quelle dei
nazisti; infine sul protagonista: a questo proposito, ha fatto notare ai ragazzi come
egli, all’inizio, sia presentato attraverso gli occhi di un altro personaggio, l’ebreo
Isaac Stern, e come la sua personalità subisca un’evoluzione nel corso della storia. In
breve, L’IA dava alcune coordinate (particolarmente numerose nel caso riportato)
per “leggere” e interpretare il film.
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Durante la visione, avvenivano interruzioni da parte dell’insegnante, che si
soffermava su frasi, scene, tecniche cinematografiche, particolari inquadrature,
sollecitando gli alunni a prendere qualche appunto; l’intervento, di volta in volta,
anticipava episodi particolarmente significativi e perciò da osservare con attenzione,
oppure ripeteva ciò che era successo in una scena allusiva. Spesso l’IA chiedeva ai
ragazzi di spiegare con le loro parole cosa fosse accaduto, ma di solito la maggior
parte di loro, pur avendo seguito con attenzione, non andava oltre il riassunto, così
che era l’insegnante a ricavare il senso delle scene o di particolari elementi
all’interno del contesto del film. Inoltre, all’inizio degli incontri faceva riassumere a
qualcuno dei ragazzi la trama della parte di film vista la settimana precedente, poiché
la visione si prolungava per più di una lezione: solitamente era lei a iniziare un
discorso di sintesi, che poi faceva continuare agli alunni, facendo domande ad alcuni.
L’attività del laboratorio doveva essere completata a casa dai ragazzi, che
erano incaricati di compilare una scheda per ogni film visto, strutturata in forma di
questionario diviso in tre parti: la prima parte chiedeva di riportare i dati tecnici,
forniti dall’insegnante a lezione (regista, anno e casa di produzione, attori
principali…), la seconda di riassumere la trama e riflettere su come il regista aveva
scelto di raccontare la storia (montaggio, musiche, ambientazione…), la terza
chiedeva qualche commento personale (se il film fosse piaciuto, quale personaggio e
quale scena avessero colpito i ragazzi). Alcune schede venivano lette prima di
iniziare la visione del film seguente e tutte erano poi ritirate e corrette a casa
dall’insegnante; devo però aggiungere che spesso esse erano completate in modo
molto approssimativo dai ragazzi, che riportavano osservazioni e commenti molto
stringati o addirittura non le consegnavano in tempo opportuno e ricevevano perciò
un richiamo sul diario (secondo la pratica usata anche per chi non portava i compiti
delle lezioni in classe).
La relazione di insegnamento/apprendimento: riflessioni
Durante il mio tirocinio è apparso subito evidente che tra le due classi e
l’insegnante si era instaurato un rapporto ben consolidato da tre anni di convivenza:
gli alunni sapevano quali richieste avanzare, riuscivano a interpretare il minimo
cambiamento nello sguardo dell’insegnante, sorridevano di fronte agli epiteti con cui
talora la docente li apostrofava (per es. “ciuchi”). Da parte sua, la docente cercava di
aver “cura” dei ragazzi, assumendo un punto di vista largamente educativo (e non
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solo didattico) e ponendo attenzione alla relazione: cercava di far leva sul loro senso
di responsabilità (ha rimproverati molti, ad esempio, per non aver superato l’esame
del patentino per il motorino, sottolineando come tale impegno dovesse soddisfare
un loro personale interesse), ravvivava la lezione con qualche battuta di spirito, si
mostrava incline a dare fiducia ai ragazzi (ad esempio, al momento di cambiare la
disposizione dei banchi in classe, a volte chiedeva ad alcuni alunni dove preferissero
sedersi o con chi e li accontentava, vincolandoli però alla promessa di non distrarsi e
non disturbare durante le lezioni). La relazione risultava particolarmente distesa in
III *, forse perché la docente insegnava Italiano, vedeva gli alunni per molte ore alla
settimana ed era anche coordinatrice di classe. La III ** aveva invece con lei un
rapporto corretto, ma un po’ più “ufficiale”, più freddo, forse dovuto anche a
modalità di lezione (quasi sempre spiegazioni frontali o interrogazioni) meno
coinvolgenti, meno diversificate e legate a doppio filo con il giudizio.
La conduzione delle classi si basava su regole chiare e applicate con rigore:
ad esempio, chi non portava i compiti o il materiale scolastico riceveva un richiamo,
che l’IA faceva scrivere all’alunno di suo pugno sul diario perché fosse firmato dai
genitori. Per il resto, la docente si mostrava molto disponibile, corretta e gentile con
gli alunni, anche nel richiamare all’attenzione e alla disciplina: quando doveva
rimproverare la classe o un alunno in particolare, usava, salvo rari casi, un tono
pacato e non alzava la voce, sottolineando le motivazioni per cui stava muovendo il
rimprovero. A volte, se le era stata segnalata qualche scorrettezza o mancanza da
parte di un alunno, sia dal punto di vista comportamentale sia di rendimento
scolastico, prendeva in disparte l’interessato e, scegliendo momenti opportuni (in
genere il cambio dell’ora) e parlandogli a voce bassa, chiedeva spiegazioni ed lo
esortava a migliorare il proprio atteggiamento.
Per descrivere l’atteggiamento della docente, mi sembrano significativi due
brevi episodi: il primo è la “sparizione” di alcuni bigliettini di III ** usati per le
interrogazioni, sparizione rivelata da una ragazza al momento di un’estrazione: l’IA,
in quell’occasione, senza perdere per nulla la calma, ha chiesto ad un’alunna di
scendere al piano terra e chiedere in prestito quelli di III *, sottolineando però come
le sarebbe sembrato giusto interrogare, invece, coloro i cui bigliettini risultavano
“spariti”. L’altro episodio è legato a Daniel, il “ragazzo difficile” della III **: un
giorno una alunna della classe, da lui importunata, all’entrata dell’insegnante ha
chiesto di uscire quasi in lacrime; l’IA, dopo aver dato il permesso alla ragazza, ha
chiamato Daniel alla cattedra e, parlandogli in tono tranquillo ma fermo, l’ha
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rimproverato, ricordandogli una “promessa” fatta a lei personalmente qualche tempo
prima.
Le pratiche professionali dell’insegnante accogliente:
riflessioni
Per quanto ho potuto vedere durante il tirocinio, le metodologie didattiche
dell’IA per Storia e Geografia, come detto sopra, erano abbastanza tradizionali e
perciò risultavano forse monotone ai ragazzi, benché lei spiegasse in modo chiaro e
approfondito (per quanto possibile con una III Media). In effetti, i ragazzi, nella
maggioranza sembravano attenti, poiché restavano zitti durante le spiegazioni, alcuni
sottolineando sul libro, altri guardando la docente. Certo però i risultati non erano
sempre incoraggianti, poiché a questo interesse mostrato in classe non sempre
corrispondeva lo studio a casa, tanto che in moltissimi casi uno o più alunni si
dichiaravano impreparati e non venivano nemmeno alla cattedra per farsi interrogare.
L’IA cercava però sempre di spronare tutti a prepararsi, per cui accettava e anzi
caldeggiava che ci fossero dei volontari, per i quali aveva di solito un occhio di
riguardo durante l’interrogazione e anche nel voto finale, per il “coraggio”
dimostrato.
Aveva anche una certa attenzione a fornire ai ragazzi un metodo di lavoro e
di studio: a volte completava la spiegazione facendo eseguire schemi riassuntivi o
dettando domande a cui rispondere sul quaderno, utilizzando per queste attività le ore
in classe o semiclasse oppure facendole eseguire a casa; mentre spiegava, cercava di
far utilizzare anche il libro di testo, affinché fosse davvero uno strumento utile e
personale: ad esempio, diceva ai ragazzi di sottolineare una frase importante, oppure
di numerare con la matita le cause o le conseguenze di un evento (ad esempio le
cause della seconda guerra mondiale, che il manuale riportava in un paragrafo, l’una
di seguito all’altra)… Sono piccoli accorgimenti che possono, a mio parere, aiutare
gli alunni a famigliarizzare con il libro e a leggerlo con metodo e attenzione.
Le lezioni di Italiano erano certo più varie e vivaci, sia perché la
programmazione prevedeva temi abbastanza coinvolgenti e toccanti (es. poesie sulla
guerra) sia perché le metodologie erano più diversificate (si è già parlato, ad esempio
dell’ampio spazio dato ai film). Inoltre, la classe stessa si mostrava più viva: c’era, in
III *, un gruppo piuttosto numeroso di alunni molto interessati e preparati, che non
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mancavano di far sentire la loro voce e il loro parere sui più diversi argomenti e che
costituivano, per l’insegnante, una pronta risposta agli stimoli più vari; a fronte di
questi, c’erano però anche alunni più in difficoltà, cui naturalmente veniva dato
spazio poiché spesso erano coinvolti dall’insegnante nelle attività: il risultato di
questi accostamenti era una classe molto viva e vivace, spesso abbastanza rumorosa
e chiacchierona ma molto corretta e con un rapporto sereno e ben consolidato con
l’IA.
Credo che a questa positiva relazione abbia contribuito, negli anni, anche lo
stare a contatto diretto nei laboratori. Quello di Cineforum, organizzato per la terza
Media, era certo ben condotto: l’IA si mostrava piuttosto preparata, oltre che sul
contenuto dei film, sulle tecniche cinematografiche utilizzate, così che faceva notare,
ad esempio, particolari inquadrature ricche di significato e “decifrava” le allusioni
presenti nelle pellicole: aveva dunque una funzione di “esplicitare l’implicito”,
dando ai ragazzi un esempio di come leggere un film.
La partecipazione agli esami di terza media
Per terminare questa panoramica sul tirocinio osservativo nella Scuola Media,
vorrei accennare all’esame di terza: ho assitito ad alcuni orali di III * e di III **. Gli
alunni avevano svolto, nel corso del secondo quadrimestre, tesine che collegassero
tra loro diverse discipline, possibilmente tutte quelle affrontate. Mi sono stupita dei
lavori che ne erano riusciti: quasi tutti scritti a computer, di molte pagine (anche
61!), corredati di carte geografiche e altri elementi iconici, ben rifiniti anche nella
grafica (es. una ragazza, che aveva svolto una tesina sulla condizione femminile,
aveva scritto tutti i titoli in colore rosa). Al di là dell’apparenza, emergeva l’impegno
che i ragazzi avevano profuso sia nell’organizzare il materiale sia nell’elaborare poi
una sintesi da esporre all’esame. Il colloquio non era costituito, comunque, da una
semplice ripetizione dei contenuti della tesina: di solito l’alunno ne spiegava la
struttura e ne esponeva una parte, poi interveniva qualche insegnante (senza una
decisione collegiale preventiva) a fare domande diverse: a volte chiedeva di passare
a un’altra materia, saltando i passaggi intermedi; altre volte gli insegnanti di Italiano
o di Lingua straniera rivolgevano domande grammaticali; ancora, qualcuno poteva
chiedere di trattare un argomento non compreso nella tesina. In generale, posso dire
che si trattava davvero di un “colloquio” e quasi di un “rito” per concludere un ciclo
scolastico e quasi una fase di vita: gli insegnanti cercavano dapprima di mettere a
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proprio agio l’alunno, visionando ad esempio i lavori di Artistica e facendo i
complimenti agli alunni per come erano realizzati. Ho apprezzato particolarmente il
trattamento riservato a un alunno dislessico, di III **, che, per questo problema, non
aveva risultati troppo brillanti ma che aveva dimostrato un impegno davvero
lodevole durante l’anno: l’insegnante di Educazione fisica, d’accordo con gli altri
professori, per sottolinearne le doti e metterlo nel contempo a proprio agio, ha aperto
l’esame complimentandosi con lui per aver ricevuto la convocazione nella squadra
regionale di rugby, sport praticato anche a scuola come corso facoltativo. Gli ha poi
chiesto il suo ruolo nella squadra, mentre la mia IA gli ha fatto spiegare le regole di
questo sport, dopodiché è passata ad interrogarlo sull’argomento di Italiano da lui
affrontato nella tesina, sul quale si è mostrato ben preparato.
Per quanto ho potuto vedere, credo che oggi dovrebbe essere proprio questo
lo “spirito” degli esami di III Media: mettere al centro il ragazzo e i risultati che ha
saputo ottenere nel suo percorso scolastico, in termini di conoscenze ma anche di
interessi, autonomia e rielaborazione personale.
Il tirocinio attivo
In terza *: lezioni singole
In III * ho svolto solo lezioni singole, sia in classe sia in gruppi più ristretti. Il
primo approccio attivo con gli studenti è avvenuto pochi giorni dopo il mio arrivo a
scuola, all’interno del laboratorio di Cineforum: su richiesta dell’insegnante, ho
riassunto un breve saggio che avevo letto poco tempo prima, preparando un esame
SILSIS, a proposito del film La tregua, proiettato durante la lezione precedente. Non
è stata certo una lezione da parte mia, ma solo un intervento di una quindicina di
minuti circa, a metà tra la spiegazione di un’insegnante e l’esposizione di una ricerca
da parte di un’alunna. Questo approccio “soft” mi ha però permesso di iniziare a
soddisfare la curiosità dei ragazzi su di me e sul ruolo che avrei rivestito nella loro
vita scolastica, oltre che di testare le loro reazioni di fronte a una nuova figura
insegnante.
Le vere e proprie lezioni da me svolte in III * sono state di tipo grammaticale:
in classe, ho affrontato un argomento di analisi del periodo, la proposizione finale,
cercando di applicare lo stesso metodo usato dall’IA, per non disorientare i ragazzi.
Qualche tempo prima, ho chiesto all’IA di prestarmi il libro di testo, in modo da
farmi un’idea di come l’argomento era spiegato sul manuale dei ragazzi; poi ho
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scelto alcuni degli esercizi presenti sul testo da eseguire in classe ed ho preparato
dieci frasi da dettare e far analizzare come compito a casa. In classe, dopo aver
spiegato seguendo il testo e facendo analizzare le frasi riportate come esempi, ho
eseguito insieme a loro gli esercizi che avevo scelto; ho sperimentato, in alcuni casi,
la difficoltà di dover rispiegare a chi non era in grado di risolverli e di riuscire, nel
contempo, a far sì che gli altri non si annoiassero. Ho sperimentato anche la
difficoltà di gestire la timidezza di una ragazza, che non sapeva risolvere un
esercizio, probabilmente bloccata dall’emotività più che da problemi di
comprensione, tanto che l’IA stessa è prontamente intervenuta per aiutarla,
chiedendole di fare uno schema alla lavagna della frase che stava analizzando. Circa
cinque minuti prima del termine della lezione, ho dettato le frasi da eseguire a casa,
come spesso l’IA faceva, e, come altrettanto spesso succedeva, si sono levate alcune
proteste, ma tutti hanno scritto il compito. Credo che anche queste proteste, peraltro
in gran parte blande e quasi scherzose, “di rito” si potrebbe dire, possano indicare
come gli alunni, durante la lezione, mi abbiano considerato l’effettiva insegnante
della classe, tanto che, all’inizio, una ragazza aveva addirittura chiesto a me il
permesso di spostarsi in un banco vuoto, vicino a una compagna. L’attività si è
conclusa la lezione seguente, con la correzione orale dei compiti.
Il giorno seguente alla mia lezione di Grammatica, sono stata invece
sottoposta a una sorta di “terapia d’urto”: dal momento che l’IA voleva terminare
un’attività di recupero, mi ha chiesto fare lezione per circa mezz’ora con il resto
della classe. Lei si è collocata con alcuni ragazzi in un angolo della classe, poi mi ha
dato il suo libro di Antologia e mi ha indicato due poesie, dicendomi di leggerle e
analizzarle con gli alunni, senza preoccuparmi del punto a cui sarei arrivata perché
comunque le avrebbe assegnate per compito. Nonostante avessi qualche timore, tutto
è filato liscio: dal momento che non mi ero preparata e non sapevo come il libro di
testo affrontasse quei componimenti, ho chiesto un volontario che leggesse e
provasse ad analizzare la prima poesia, di Primo Levi, aiutato da me e dai compagni,
usando il metodo che certo avevano già applicato precedentemente. Un ragazzo si è
offerto, benché con qualche esitazione, ha letto e poi si è mostrato un po’ perplesso
su come continuare. Ho chiesto allora la parafrasi per comprendere il contenuto,
dopodiché abbiamo cercato di realizzare insieme un commento, partendo dall’analisi
degli aspetti formali: questo lavoro è così servito a ripassare il lessico specialistico
(versi liberi, rime, assonanze, enjambement…), oltre che a precisare il significato di
quella particolare poesia. La stessa attività è stata ripetuta con la seconda poesia, di
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Corrado Govoni, letta e analizzata da una ragazza, benché non sia stato possibile
portarla a termine per il suono della campanella (la mezz’ora prevista si è infatti
rivelata un’intera unità oraria di cinquanta minuti). Penso che questa lezione, così
improvvisata, sia stata comunque utile, per affrontare le paure di essere di fronte a
una classe e di sentirsi impreparati; visto che non conoscevo bene le loro conoscenze
e capacità né avevo pronta io una spiegazione da fornire, ho cercato di partire dagli
alunni e da quello che loro stessi potevano dare, operazione che credo indispensabile
per qualsiasi iniziativa di insegnamento/apprendimento. Loro si sono mostrati
abbastanza attivi e coinvolti, tranne alcuni che hanno chiacchierato spesso con i
vicini di banco e che ho richiamato un paio di volte, esortandoli a non disturbare. I
ragazzi si sono inoltre, ancora una volta, mostrati incuriositi dalla mia figura di
tirocinante, che non conoscevano, e hanno approfittato dell’occasione per rivolgermi
qualche domanda su di me o sul motivo per cui ero lì.
In terza **: un percorso didattico dal pensiero alla realtà
Nel corso del mese di aprile, ho svolto nella classe III ** una unità didattica
di Storia che aveva per tema la guerra fredda. L’IA mi ha affidato la spiegazione
generale dell’argomento, mentre si è riservata l’approfondimento di alcuni temi
all’interno delle ore in cui io non potevo essere presente in classe, in vista della
verifica scritta che era già stata preparata in collaborazione con l’insegnante di Storia
di III *. Per preparare la spiegazione e calcolare i tempi, ho steso un breve schema di
percorso didattico. Gli obiettivi che mi ponevo erano:
conoscere i contendenti e le principali fasi della guerra fredda
saper individuare le principali differenze dei sistemi USA-URSS
saper distinguere i principali mezzi di controllo sulle rispettive aree di influenza
(politici, militari, economici…)
saper inserire eventi locali nel contesto globale della guerra fredda
saper interpretare e commentare testi riguardanti il periodo della guerra fredda.
Avevo previsto che il percorso da me gestito, senza gli approfondimenti della
docente né la verifica finale, si strutturasse come segue:
1. Lezione frontale: le conseguenze della seconda guerra mondiale; l’inizio dei
contrasti USA-URSS e della divisione in due blocchi (conferenze di Jalta, Potsdam,
Parigi; discorso di Churchill sulla “cortina di ferro”); la divisione dell’Europa (aiuti
economici e dominio politico; divisione della Germania e di Berlino);
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2. Lezione frontale: i due blocchi (dottrina Truman e strategia del contenimento;
Piano Marshall; Patto Atlantico e Patto di Varsavia); società dei consumi e società
comunista;
3. Interrogazioni; lezione frontale: dalla guerra di Corea alla distensione; lettura e
confronto di parti di discorsi di N. Krusciov e J.F. Kennedy;
4. Interrogazioni; una figura di pace: Giovanni XXIII: lettura di parte dell’enciclica
Pacem in terris.
Le quattro tappe dovevano occupare una unità oraria ciascuna, benché mi
rendessi conto che le due lezioni centrali erano particolarmente ricche e articolate.
La docente mi ha dato completa libertà sul tempo da utilizzare, perciò, mentre
effettuavo il percorso, ho ritenuto opportuno spendere qualche parola in più e quindi
occupare cinque ore, dati l’interesse ma anche i dubbi che spesso gli alunni
esprimevano. Per la spiegazione, mi sono avvalsa innanzi tutto del libro di testo,
poiché anche in questo caso, come in III *, il mio obiettivo non era certo disorientare
i ragazzi con strumenti diversi dai soliti. Ho però aggiunto alcuni testi in fotocopia,
che mettessero gli alunni a diretto contatto con le fonti storiche2. In particolare,
l’ultima ora è stata interamente dedicata alla lettura di passi dell’enciclica di
Giovanni XXIII Pacem in terris, argomento cui ho dato rilevanza anche per la
rilevanza e l’attualità del tema della pace, in particolare nel periodo del mio tirocinio
in cui si erano susseguiti appelli papali (e non solo) contro ogni guerra. L’ultima
lezione ha avuto anche un ulteriore prolungamento di un’ora, poiché l’IA ha dovuto
supplire una collega: di comune accordo, abbiamo sfruttato questo tempo per
costruire, assieme agli alunni, uno schema riassuntivo dell’intero argomento; mentre
la docente effettuava un ripasso evento dopo evento, io realizzavo lo schema alla
lavagna e i ragazzi sul quaderno, rispondendo alle domande che, di volta in volta,
l’insegnante rivolgeva loro. Per questa attività abbiamo utilizzato lo schema che io
stessa mi ero preparata per aver una sintesi delle lezioni da svolgere e che è riportato
in allegato 3.
Durante tutto il percorso, ascoltando le spiegazioni i ragazzi si sono
dimostrati abbastanza silenziosi e più attivi del solito: molti mi hanno interpellato
con domande su quanto stavo spiegando per chiarire le loro perplessità. Credo che
questa partecipazione fosse in parte dovuta alla novità dell’insegnante, in parte al
mio approccio nei loro confronti: infatti, ho cercato di ravvivare la lezione frontale,
innanzi tutto non restando seduta alla cattedra ma ponendomi in piedi davanti ad
2 Vedi allegati 1 e 2.
22
essa, a breve distanza dagli alunni e a volte spostandomi nell’aula mentre spiegavo,
inoltre rivolgendo qualche domanda ai ragazzi anche nel mezzo della spiegazione,
per riprendere concetti o eventi già affrontati. Ancora una volta, devo però
sottolineare come a un interesse o per lo meno a una certa curiosità dimostrata
durante la lezione non sempre corrispondesse l’impegno nello studio a casa: durante
le interrogazioni alcuni ragazzi si sono rivelati del tutto impreparati, facendomi
addirittura dubitare che avessero ascoltato le spiegazioni in classe.
Le interrogazioni, condotte insieme da me e dall’IA, si sono rivelate la parte
più difficile di questo lavoro: in particolare, mi sono dovuta scontrare con la
difficoltà di porre domande circostanziate ma non troppo vincolanti, in cui l’alunno
avesse la possibilità di esprimersi senza perdere i punti di riferimento che si era
creato sulla base del testo del libro. Devo dire però che ho provato una certa
soddisfazione personale nel poter gestire un percorso didattico e nel vedere la fiducia
che mi è stata accordata dall’IA in questa occasione come in tutte le fasi del
tirocinio: questo mi ha consentito di attuare un’esperienza completa e formativa, che
si è rivelata una palestra per la mia professione.
23
PARTE SECONDA: DECLINAZIONE
DIDATTICA CON APPROFONDIMENTO
DISCIPLINARE
24
ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE
Destinatario e motivazione del percorso
Questo percorso didattico affronta la figura di Ulisse com’è rappresentata da
Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Il modulo è pensato per una classe I di una
Scuola Media (Secondaria di primo grado), a latere degli insegnamenti curricolari:
credo infatti che la sua collocazione più appropriata sia all’interno di un Laboratorio
opzionale di Italiano, tendenzialmente pensato per una decina di studenti, da
svolgersi nel corso del II quadrimestre in collaborazione con l’insegnante di
Educazione artistica, al quale saranno affidati alcuni spazi-orari. A mio parere,
questo percorso è proponibile in diverse scuole, sia di provincia sia di città, a gruppi
di ragazzi che non abbiano macroscopiche difficoltà a livello di comprensione (non
sarebbe consigliabile, ad esempio, se fossero presenti alunni stranieri alle prese con
la prima alfabetizzazione). Esso è pensato in continuità con l’insegnamento
curricolare di Italiano in I Media, sia perché in Epica si affronta la figura di Ulisse in
Omero (Iliade e soprattutto Odissea), sia perché si riprende qui il tema delle funzioni
narrative, conosciute dai ragazzi tramite la riflessione sulla fiaba.
Il percorso è finalizzato a portare l’alunno a costruirsi il “suo” Ulisse,
confrontando la figura antica mitologica con la reinterpretazione dantesca, e a
confrontare se stesso con i tratti caratteriali del personaggio dantesco. Dal punto di
vista metodologico e linguistico, poi, credo che il rigore e la riflessione
indispensabili per la lettura dell’opera dantesca possano far comprendere agli alunni
cosa significhi “lavorare” su un testo, impegnandosi per capirne il senso o i sensi
nascosti, senza agire solo in superficie.
25
Contenuti
Il canto XXVI dell’Inferno: la morte dal mare
Non sappiamo quanto Dante conoscesse Omero: sicuramente ben poco; forse
gli erano giunti i riassunti medievali dell’Iliade e dell’Odissea, ma, se così fu, egli
non se ne servì. Per scelta o per obbligo, Dante segue, per creare il suo personaggio,
le fonti latine che presentavano l’eroe greco3: egli conosce il giudizio positivo che
tramandano Cicerone4, Orazio5 e Seneca6 e non può certo prescindere dal “suo”
Virgilio, che in Aen. II 164 definiva Ulisse scelerum inventor, il che certo incide
sulla sua condanna come consigliere fraudolento. E molto avranno giocato sulla sua
immaginazione i commenti di Servio a Virgilio, Aen. II 44, dove il commentatore
parla della morte dell’eroe che sarebbe avvenuta in modo avventuroso sul mare,
lontano da casa (aculeo marinae beluae extintis)7, e a Aen., VI 107, dove, osservato il
parallelismo fra le cerimonie funebri di Enea per Miseno e di Ulisse per Elpenore,
postilla: quamvis fingatur in extrema Oceani parte Ulixes fuisse (“sebbene si
immagini che Ulisse sia stato nell’estrema parte dell’Oceano”, evidentemente ben al
di là delle colonne d'Ercole)8. Come si vede, Dante utilizza quell’impulso di Ulisse a
conoscere che gli era conferito da un’ormai consolidata tradizione, ma gli dà senso
nuovo, interpretandolo in chiave cristiana.
La questione della morte di Ulisse trae origine dalle oscure e ambigue parole
con cui Tiresia predice il futuro all’eroe nell’XI canto dell’Odissea e, più
precisamente, dall’accenno ad un non meglio specificato thanatos ex alos (morte dal
mare)9. La spiegazione non esclude ovviamente che il moltiplicarsi delle congetture
al riguardo dipenda dal carattere stesso di Ulisse, personaggio controverso quant’altri
mai, su cui è quindi normale si formassero le leggende più diverse ed i giudizi più
opposti. Dante, dunque, ha deciso di rispondere nella seconda parte del XXVI
3 Cfr SERIACOPI 1994, pp. 13-19, che riporta anche riferimenti testuali a Ovidio (Metam.XIV, 154ss)
4 In De fin. V 18 traduce sette versi che riguardano l’episodio delle sirene, mentre in De off.III 26 rileva come Ulisse abbia preferito i pericoli del mare, pur di conoscere, al regnare et Ithacaevivere otiose cum parentibus, cum uxore, cum filio
5 Ep. I 2 17-22: Rursus quid virtus et quid sapientia possit / utile proposuit nobis exemplarUlixen, / qui domitor Troiae multorum providus urbes / et mores hominum inspexit / latumque peraequor, / dum sibi, dum sociis reditum parat, aspera multa / pertulit, adversis rerum immersabilisundis (si noti in particolare il riecheggiamento virtus/sapientia in virtute/canoscenza)
6 Ep. ad Luc. XI 88 e De constantia sapientis II 17 Riportato in SERIACOPI 1994, p. 168 Riportato in CORTI 1993, p. 119 9 Od. XI 134-136: Morte dal mare / ti verrà, molto dolce, a uciderti vinto / da una serena
vecchiezza
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dell’Inferno alla domanda lasciata in sospeso da Servio nel commento, a lui ben
noto, dell’opera maggiore del suo maestro: dove e come è morto Ulisse? Tale infatti
suona la domanda che Virgilio, su richiesta di Dante, rivolge a lo maggior corno de
la fiamma antica:
…ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi.
(If. XXVI 83-84)
Leggende e racconti si nutrono spesso della misteriosa scomparsa del
protagonista10; la scelta di Dante di dare un finale alla storia sospesa di Ulisse
risponde ad un disegno preciso, che ha equivalenti in altri luoghi della Commedia, ad
esempio nell’episodio di Buonconte, dove ritroviamo una domanda analoga:
Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?
(Pg. V 91-3)
Ispirato ad una identica, esplicita passione per quello che si potrebbe definire
il “romanzesco” è anche l’episodio di Manfredi, di cui più nulla si seppe dopo la
battaglia di Benevento11. Come sottolinea Avalle, per Dante forzare i limiti
biografici di un “segreto portato nella tomba”, mettere in chiaro i dettagli di una
vicenda eccezionale (Francesca, Ugolino, Manfredi, ecc.) e soprattutto penetrare il
mistero della morte, il momento più privato ma non per questo, nella fantasia
medioevale, meno solenne ed esemplare della vita di un uomo, esprimono pur
sempre una moralità artistica e costituiscono nello stesso tempo il mezzo migliore
per mettere alla prova la verità dei suoi personaggi12. Senza nulla togliere ai “sensi
secondi”, presenti e potenti, sembra che in questi casi Dante abbia voluto innanzi
tutto occuparsi della “materia” del racconto, certo frutto di mirabile invenzione13 ma
tutta costruita seguendo un “motivo”, in particolare una tradizione che si ritrova nel
folklore e quindi rintracciabile in altre opere medievali.
10 AVALLE 1975, p. 3611 Nel terzo canto del Purgatorio Manfredi narra di essere morto in grazia di Dio e che le sue
ossa vennero sparse per ordine del vescovo di Cosenza. 12 AVALLE 1975, p. 36-3713 D’altra parte, vedremo poi che non di sola invenzione si tratta.
27
Il canto XXVI: il motivo folklorico e le funzioni narrative
L’episodio dantesco di Ulisse è costruito dunque su elementi folklorici ben
chiari, che sono stati messi in luce da AVALLE 1975 (pp. 33-63), che seguirò per
lungo tratto in questa analisi. Il critico rintraccia nella vicenda diversi elementi fissi
(funzioni) i quali, posti in un ordine che resta sempre invariato, segnalano la
ricorrenza di un “motivo”: si possono così confrontare tra loro diversi intrecci, sulla
scia di quanto ha fatto Propp per le fiabe russe di magia14. Del racconto di Ulisse
potremmo dare, in termini di motivo folklorico, la seguente definizione: l’eroe, o
protagonista, alla fine di una carriera avventurosa decide di tentare l’inchiesta
suprema che lo porterà ad infrangere i limiti posti dalla natura alle possibilità umane,
tentativo che sarà causa della sua morte. I personaggi che prendono parte a questo
tipo di intreccio sono, oltre all’eroe-protagonista, uno o più compagni dell’eroe e uno
o più antagonisti. Questi personaggi, come nelle fiabe, sono coinvolti in una vicenda
che, nel caso dell’“inchiesta suprema”, può essere divisa secondo le seguenti quattro
funzioni:
14 Con le parole di Avalle: Come già osservato da Propp, la composizione di una certa“classe” di racconti si definisce per sua essenza come un sistema complesso formato di elementi fissio “funzioni”, posti in un certo ordine. La mancanza o l’addizione di alcuni elementi fissi in un ampiocomplesso strutturale non incide sulla eventuale omogeneità di due o più “intrecci” (AVALLE 1975,p. 41)
28
1. L’eroe decide di partire per l’inchiesta pericolosa (allontanamento);
2. L’eroe comunica questa sua decisione ai compagni con un discorso nel quale
elenca i motivi che lo spingono all’alta impresa (allocuzione);
3. L’eroe e i compagni oltrepassano la frontiera del “paese sconosciuto”, che dai
particolari che seguono risulterà essere il paese da cui nessuno torna vivo
(infrazione);
4. L’eroe e i suoi compagni muoiono in seguito alla loro temeraria impresa
(punizione).
Questo tipo di intreccio è comune alla storia di Ulisse e ad altri racconti
medievali quali, in particolare, i romanzi dei cavalieri della Tavola Rotonda e, ancor
di più, le storie del ciclo di Alessandro15. Come si può facilmente notare, nella
vicenda di Ulisse l’eroe è un avventuriero, altrove un conquistatore (romanzi di
Alessandro) o un guerriero (romanzi del ciclo arturiano), che non sempre procede
accompagnato da alcuni compagni; sempre presente è invece l’antagonista, che può
essere però incarnato da diverse entità e forze: la natura, dio stesso (nel caso di
Ulisse è il turbo, ovvero la forza della natura, o, più lontano, quell’altrui che ha dato
il suo placet al naufragio) oppure mostri, apparizioni, tabù vari, come nei romanzi
del ciclo arturiano.
Le ragioni per cui l’eroe compie l’ultima impresa sono esposte
nell’allocuzione ai compagni: da una parte c’è il desiderio di un’affermazione
puramente umana (seguir virtute), dall’altra la sete di sapere (canoscenza). Questi
stessi motivi si trovano in numerosi romanzi, unitamente ad altri dello stesso tenore
quali la ricerca della gloria, la volontà di conquista, il desiderio di perfezionamento
morale, l’aspirazione ad una esperienza iniziatica…16 Rimando a un paragrafo
successivo la riflessione sulle motivazioni che spingono Ulisse, dette con parole che
richiamano Aristotele.
Perché, poi, possa avvenire la terza funzione, ovvero l’infrazione, deve essere
presente una frontiera del “paese sconosciuto”, da non oltrepassare. Secondo Avalle
tale confine è rappresentato nel canto di Ulisse dallo stretto di Gibilterra con le sue
colonne d’Ercole, che si ritrovano, nella loro versione orientale, nel ciclo di
Alessandro. Tale frontiera presenta pericoli di ogni genere, che nessuno supera per
tornare indietro vivo; ciò è esplicitamente detto all’inizio del Purgatorio, quando
15 In particolare Avalle si riferisce all’Alexandreis di Gautier de Châtillon, che riprende,innovando profondamente, le Historia Alexandri Magni del latino Q. Curzio Rufo.
16 AVALLE 1975, p. 43
29
Dante, con la guida di Virgilio ma, soprattutto, seguendo il disegno della
Provvidenza divina, è giunto al luogo che Ulisse aveva solo potuto intravvedere:
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.
(Pg I 130-32)
Tale divieto di passare le colonne d’Ercole, cui Dante accenna espressamente
tramite le parole di Ulisse (acciò che l’uom più oltre non si metta, If. XXVI 109),
non è da interpretarsi come una precisa e conosciuta legge divina, la cui
trasgressione comporti l’entrata in una condizione peccaminosa di superbia: si tratta,
più probabilmente, di impossibilità per l’uomo di accedere da vivo al Paradiso
terrestre, posto agli antipodi17. Ciò è confermato dai commentatori antichi, che non
vedono nell’azione di passare i riguardi posti da Ercole nessun atto di ribellione o di
infrazione a un divieto sacro, bensì un atto temerario e pericoloso18. Il fatto stesso
che Ulisse navighi per ben cinque mesi (Cinque volte racceso e tante casso / lo lume
era di sotto da la luna, / poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, vv. 130-132) al di là
delle colonne, senza incontrare ostacoli, sembra in effetti indicare che il reale
“blocco” dell’esperienza fosse connesso con la montagna del Purgatorio, dove a
nessun mortale era consentito giungere prima della venuta di Cristo e, comunque, al
di fuori dei disegni provvidenziali.
Prima di riprendere l’analisi della struttura, accenniamo ancora alle
osservazioni fatte al riguardo da Maria Corti, che ha esaminato la tradizione
geografica e letteraria sulle colonne d’Ercole19, la quale, risalendo a scrittori classici
quali Pindaro, Strabone e Pomponio Mela e passando per Isidoro di Siviglia, risulta
molto più antica di quella che riguarda il divieto di oltrepassarle. Gli autori citati,
infatti, non accennano ad alcuna proibizione, mentre è descritto, soprattutto in epoca
greca e romana, un gran via vai nello Stretto; la tradizione del divieto di
attraversamento apparirebbe invece dalle testimonianze fino ad oggi pervenute di
origine arabo-castigliana, di cui Dante forse aveva conoscenza.
17 Questa l’opinione, tra gli altri, di BOSCO-REGGIO 1988, p. 38018 Così SERIACOPI 1994, p. 30, il quale sottolinea che tutti i commentatori antichi che si sono soffermati su questi passi hanno posto in rilievo il pericolo dell’impresa, la temerarietà dell’eroe, l’inivitabile e naturale fine di uno slancio che, per l’esito, si rivela stolto e insensato. Niente cenni ad atti di superbia, a consapevoli sfide o a moti di ribellione
19 Legate, alle origini, a un tempio ivi dedicato a Ercole e ornato di colonne fenicie
30
Torniamo alle funzioni narrative: la quarta e definitiva, quella della morte
dell’eroe, presenta, come emerge dallo studio di Avalle, numerose varianti, tra le
quali Dante sceglie la soluzione estrema, implicitamente suggeritagli, forse, da quella
“morte dal mare” profetizzata da Tiresia. Soluzione non diversa, anche se in via del
tutto eccezionale, si trova in alcuni racconti del ciclo arturiano; ancor di più
sembrano significative le affinità con l’Alexandreis di Gautier de Châtillon, che lega
direttamente ed esplicitamente la morte dell’eroe ai suoi piani di conquista
dell’Oceano, trasformando la Natura di cui Alessandro intende infrangere le leggi in
una dea gelosa delle proprie prerogative e pronta a vendicare le offese di chiunque
osi svelarne i segreti. Anche Alessandro, dunque, non vuol lasciare nulla di intentato,
di non “sperimentato”, alla pari di quanto Dante dice di Ulisse, ma la vendetta di
Natura per aver osato solcare le onde dell’oceano non si farà attendere.
Concludendo, si può dire che sia per Gautier de Châtillon sia per Dante vale
lo stesso schema (pattern), che proviene senza dubbio da una più antica tradizione
letteraria, che si può rifare addirittura alla ben nota opposizione hybris-némesis
(dismisura-giusta vendetta), propria di non pochi miti dell’antichità classica.
Tuttavia – e sono parole di Avalle – la genericità del “motivo” non ci deve far
dimenticare quanto vi è di specifico nella struttura o “intreccio” del racconto […]
Si dovrà pensare che anche egli [Dante] si sia servito di quel modulo e schema
compositivo (pattern), innovando liberamente al livello dell’intreccio. Sotto questo
rispetto i rapporti speciali qui stabiliti tra Gautier e Dante valgono solo a meglio
chiarire, proprio in virtù di quelle particolarissime analogie, la dinamica
compositiva del racconto, attraverso quali processi insomma e con quali materiali
Dante sia pervenuto ad ideare o, meglio, a costruire in quel certo modo la
narrazione dell’ultimo viaggio di Ulisse20. L’analisi valga, insomma, anche per
capire in cosa Dante è grande e unico.
20 AVALLE 1975, p. 54-55
31
La partenza (vv. 90-102)
Analizziamo più da vicino il racconto di Ulisse. Il primo punto su cui
l’attenzione del lettore si ferma è forse laddove Ulisse narra dell’abbandono degli
affetti famigliari:
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore
(If XXVI 94-99)
Come sottolineato da Fiorenzo Forti21, quasi tutti gli antichi commentatori
considerano giustamente queste parole come l’espressione del dominio di sé, della
stoica sopportazione della necessità di abbandonare gli affetti privati di fronte a un
dovere sentito come più grande per l’uomo. Questo ha grande rilievo anche dal punto
di vista della biografia dello stesso Dante, che accettò l’esilio senza mai cedere a
offerte umilianti dei suoi avversari, nonostante ciò probabilmente causasse spiacevoli
21 FORTI 1977, pp. 170ss; si veda anche FORTI 1965, p. 508: Ulisse, pur nella sobrietà deicenni, tocca insieme l’obbligo morale di quei legami – il debito coniugale, la reverenza filiale – e lagioia di quegli affetti – dolcezza, amore – e rivela che nell’intimo suo vi fu contrasto prima dellafinale vittoria del desiderio di conoscenza
32
conseguenze non solo alla sua persona, ma anche alla sua famiglia. Ulisse, colui che
tutto sopporta, assume in qualche modo su di sé anche l’esperienza dell’uomo Dante,
per il quale obbedire alla propria coscienza d’uomo può significare la rinuncia alla
dolcezza della famiglia. Peggio ancora: rendersi responsabile del dolore e della
miseria di questa22.
Il viaggio (vv. 103-111)
Ho già accennato al fatto che Dante tragga probabilmente ispirazione per
l’ultimo viaggio del “suo” Ulisse dalle fonti latine a lui note (Cicerone, Orazio,
Virgilio, Ovidio, Seneca), trascurando, per scelta o per ignoranza, i sunti dei poemi
omerici circolanti nella sua epoca. Ma cosa lo spinse a ideare un viaggio oltre le
colonne d’Ercole?
La scelta non era obbligata: se è vero che Tiresia aveva profetizzato una
“morte dal mare”, è però altrettanto vero che né in Omero né nelle fonti dantesche
succitate si parlava di Oceano. Spetta a Maria Corti il merito di aver individuato
l’esistenza di un’antica tradizione del viaggio di Ulisse oltre le colonne d’Ercole. Il
collegamento fra il mito di Ulisse e quello delle colonne d’Ercole è costituito per noi
principalmente da Strabone (circa 60 a.C. – circa 20 d.C.), che nel libro III dei
Geôgraphika scrive che sopra lo stretto di Gibilterra, nelle montagne, c’era una città
che si chiamava “Odyssea”, ovvero “città di Odisseo (Ulisse)”. Strabone prova –
soprattutto con testimonianze autoptiche di studiosi greci – che di fianco questa città
era situato un tempio dedicato alla dea Atena, la protettrice di Ulisse e, nel tempio,
come souvenir appesi alle pareti, erano conservati pezzi della nave naufragata di
Ulisse. Dunque, a detta di Strabone, veritiera era la tradizione secondo la quale l’eroe
omerico sarebbe giunto, in un viaggio, nell’area atlantica della penisola iberica23. A
questa tradizione si ricollegherebbe anche il già citato commento di Servio a Aen. VI
107 quamvis fingatur in extrema Oceani parte Ulixes fuisse (“sebbene si immagini
che Ulisse sia stato nell’estrema parte dell’Oceano”). Sempre secondo la Corti, tali
testimonianze sarebbero state riprese e continuate in epoca medievale e, perciò,
quando Dante si apprestava a scrivere della sorte dell’eroe, era già iniziato
nell’immaginario collettivo il processo di interpretazione figurale del personaggio
22 BOSCO 1966, pp. 18223 Ulisse sarebbe anche il fondatore della città di Lisbona, si veda CORTI 1993, p. 115-119
33
Ulisse, simbolo di quel momento eterno dello spirito umano che è la sublime
curiositas24.
L’immaginazione dantesca si muove dunque tra i materiali della tradizione,
attingendo a temi risalenti all’epoca antica preclassica (la presenza alle colonne
d’Ercole), ma anche alla cultura arabo-ispanica (il tema del divieto di oltrepassare le
dette colonne)25: tali temi non sono dovuti a pura invenzione dantesca, ma a
un’elaborazione artistica, per quanto stupenda, di motivi intertestuali intorno al tema
curiositas/morte. Ma perché Dante ha optato per una vicenda molto meno nota ai
suoi tempi rispetto a quella ufficiale, raccontata da tanti Padri della Chiesa e diffusasi
anche se l’Odissea non era direttamente nota? La motivazione è già segnalata dal
prologo che Dante antepone all’incontro con Ulisse: prima di descrivere ciò che vede
nella bolgia (e, per estensione, ciò che vi ha udito e ciò che ha provato)26, egli ci
segnala il suo particolare stato d’animo nella veste di auctor:
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio
perché non corra che virtù nol guidi.
(If. XXVI 19-22)
In primo luogo, dunque, una profonda ragione autobiografica, qualcosa che
in Dante scatta a contatto con il personaggio Ulisse27 è alla base dell’invenzione
dantesca, per la quale il personaggio di Ulisse investe anche il poeta come individuo,
come intellettuale e come letterato; in secondo luogo, il racconto di Ulisse diventa
exemplum del fallimento di un’avventura dell’ingegno. Si può dire che Dante abbia
sentito l’esigenza di completare l’epopea di Ulisse e che l’abbia fatto ricorrendo allo
schema della quête (inchiesta), tipica del suo tempo (si vedano i romanzi del ciclo
arturiano cui si è già accennato), raccontando la tragedia di un eroe pagano (ma
soprattutto umano) che si scontra con i propri limiti28. E tali limiti sono naturali e
24 24 CORTI 1993, p. 11825 Cfr sopra; secondo la Corti risalirebbe all’epoca antica anche il percorso di viaggio di Ulisse, cheseguirebbe la “via Herákleia” (CORTI 1993, p. 121)
26 BOSCO-REGGIO 1988, p. 38127 CORTI 1993, p. 114
28 Come giustamente nota SERIACOPI 1994, p. 66, Dante non poteva trovare, nellatradizione classica, elementi sufficienti alla conoscenza della fine dell’eroe; e sente quindi l’esigenzadi completare la l’epopea guerriera e la quête, con una narrazione che appartiene ad un altro mondoletterario: quello della tragedia; la tragedia d’un eroe pagano che si scontra con i limiti, a luisconosciuti, dell’uomo non aiutato dalla Grazia ed a cui è negato proprio ciò a cui tende con tutto se
34
invalicabili, perciò devono essere accettati dall’uomo. Con Pazzaglia, possiamo dire
che Dante si mostra erede d’una tradizione classico-cristina esaltatrice delle grandi
virtù intellettuali e morali come fondamento della “beatitudo huius vitae” e dunque
come mezzo di fondazione integrale dell’uomo […] ma di queste avverte tuttavia
l’insufficienza, nel momento in cui la scoperta del trionfo del male nel mondo gli
ripropone drammaticamente il senso della Caduta e della conseguente “infermità”
dell’uomo, e dell’insufficienza della ragione, scintilla divina dell’animo, ma così
sovente disarmata davanti alla fascinazione dei sensi29.
L’orazion picciola (vv. 112-120)
Veniamo al passo centrale e certo più famoso del canto: l’allocuzione di
Ulisse ai compagni, con cui l’eroe li esorta a continuare la navigazione oltre le
colonne d’Ercole. Merita qui sottolineare le parole con cui egli si esprime o, per
meglio dire, le parole che Dante gli mette in bocca, in particolare la terzina :
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza
(If. XXVI 118-120)
Queste parole sono di Aristotele30, citato da Dante stesso all’esordio del
Convivio (I, 1): tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. Solo il desiderio di
conoscere (e di progredire), per Dante, distingue gli uomini dai bruti, che vivono per
conservare se stessi e la loro specie, senza porsi il problema della conoscenza. Dante
– è chiaro – lo avvertiva come motore primo del suo essere: la stessa beatitudine
celeste, eterna e dunque perfetta risiede per lui nella conquista della conoscenza
assoluta, la conoscenza di Dio, Verbo e Verità31.
Il poeta porta qui alla massima tensione quel discorso poetico sulla
magnanimità che aveva iniziato già nel canto II, descrivendo una crisi della propria
magnanimità:
stesso: la conoscenza assoluta 29 PAZZAGLIA 1989, p. 97
30 Cfr. l’ Etica Nicomachea: da lì derivano sia il paragone con l’animal brutum, sia il suggerimentodella operatio boni e della cognito veri.
31 Cfr. BOSCO-REGGIO 1988, p. 379
35
Ma io, perché venirvi? O chi ’l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede.
(If. II 31-33)
Fin dal canto II erano dunque cominciati i moniti all’umanità, quelle
affermazioni della necessità della Grazia che costituiscono uno degli assi portanti del
poema. E l’introduzione dell’orazion picciola di Ulisse riprende proprio le parole
che l’Enea virgiliano, sopra nominato, rivolge ai compagni32; ma l’eroe troiano può
può assicurare ai compagni l’arrivo prossimo e certo al Lazio, mentre quello
dantesco non può promettere alcun vantaggio, né prossimo né sicuro. Lo stesso si
può notare per Teucro nell’Ode VII del primo libro di Orazio, dove egli può
ricordare che Apollo gli ha promesso con certezza una nuova patria, una nuova
Salamina33. Altro è proseguire il cammino verso una meta nota, altro è avviarsi verso
l’ignoto; cercare di acquistare esperienza di un mondo non solo sconosciuto, ma
sanza gente, disabitato, è ben diverso dal tentare di giungere a una terra non troppo
lontana, dove il lungo lottare avrà termine e i rischi evitati e i danni sofferti avranno
compenso. Enea e Teucro posson dar animo ai compagni dicendo: “Avete sopportato
mali peggiori” (passi graviora, peioraque passi), ma non è così per Ulisse, il quale
non è in grado di prevedere se i futuri perigli non saranno maggiori dei cento milia
già superati.
Il fine proposto dal suo discorso è totalmente innovativo: è l’invito ad
indagare, per pura passione speculativa, ciò che è “al di là” delle comuni conoscenze;
è l’esortazione a coronare la limitata esistenza umana con la conoscenza di ciò che
trascende i nostri limiti. Il tono diviene allora più alto e più solenne possibile, adatto
ad infiammare l’animo al raggiungimento del nostro fine ultimo, del completamento
della nostra esistenza, con uno slancio che sconfinerà in un eccesso.
Il folle volo e il naufragio (vv. 121-142)
L’ardore che ha infiammato Ulisse è diventato motivo di comunanza
profonda con i compagni; l’eroe ha trasmesso quel suo stesso eccezionale
sentimento, proprio in ogni tempo degli animi più nobili: il fine dell’uomo è
32 Aen. I 16833 Odi I VII 24ss
36
perseguire la conoscenza che è felicità dello spirito. Ma proprio questa grandezza
d’animo porta in lui alle estreme e inammissibili conseguenze il grande dono della
prudenza, della magnanimità, con un’azione troppo ardimentosa, in cui si tendono a
superare i limiti naturali da cui l’uomo non può liberarsi con le proprie forze. Ora, a
posteriori, Ulisse si rende conto che il suo sublime volo è stato folle.
L’aggettivo è centrale per capire il senso dell’intero passo; come sottolinea
Bosco, quest’ultimo viaggio di Ulisse è dal poeta qualificato folle due volte: qui (v.
125) e in un passo del Paradiso (XXVII 82-83): dunque è un aggettivo che lo
caratterizza. Considerando le altre ricorrenze di questo termine e del corrispondente
sostantivo follia all’interno della Commedia, si nota che nella quasi totalità dei casi
(If II 35, VIII 91, XII 49, XIX 88; Pg I 59, XII 43, XIII 113, XX 109; Pd VII 93,
VIII 2, XIX 122, XXII 81) le due parole contengono in sé l’idea d’un eccesso, d’un
andare oltre il lecito non tenendo conto di limiti o divieti, d’una troppo grande
fiducia in se stessi34. Follia è per Dante un traboccare della magnanimità in eccesso,
un esporsi a grandi insuperabili pericoli: qualcosa che nasce da virtù, ma non è più
virtù perché dalla medietà trapassa in eccesso35. In particolare, si consideri che
“follia” è per Dante (Pd VII 93) il peccato di Adamo, che altrove in Pd XXVI 115-
117 si dice consistere nel trapassar del segno, cioè nel non curare i limiti che Dio ha
posto alla natura umana.
Ma c’è un altro viaggio che il poeta qualifica “folle” in due luoghi diversi (If
II 35, VIII 90-91): il suo stesso viaggio ultraterreno36. Ai vv. 34-35 del secondo canto
dell’Inferno, continuando il discorso poco fa riportato, Dante dice:
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle
a cui Virgilio – la cui ombra è definita, al v. 44, di magnanimo, proprio per
contrasto alla viltate del verso successivo – risponde accusando Dante di
pusillanimità. Nel secondo dei passi citati, collocato nel canto VIII dell’Inferno, il
concetto di “follia” coincide con quello di “ardimento”: sono i diavoli custodi della
città di Dite a rivolgersi a Dante e Virgilio, con queste parole:
34 I passi sono indicati da BOSCO-REGGIO 1988, p. 37935 FORTI 1965, p. 515
36 Con le parole di FORTI 1965, p. 513: Folle e follia, anche se non sempre indicano un peccatosupremo, tuttavia significano costantemente qualcosa di colpevole perché non misurato. Sotto questoaspetto il riscontro più significativo è certo quello che riguarda il dubbio del poeta al momento diintraprendere il suo viaggio nell’oltretomba
37
…sì ardito intrò per questo regno.
Sol si ritorni per la folle strada.
(If VIII 90-91)
Folle sarebbe stato quel viaggio se Dante lo avesse tentato fidando nelle sue
sole forze; egli si decide definitivamente ad effettuarlo solo quando Virgilio gli
conferma l’esistenza della Grazia. La differenza tra Dante e Ulisse consiste dunque
in questo: il viaggio di Dante, cristiano animato più che ogni altro dalla speranza, è
voluto da Dio perché sia di exemplum al mondo. Dante è un pellegrino, Ulisse è un
esploratore: non a caso nel suo pellegrinaggio Dante ha sempre una guida, mentre a
guidare Ulisse sono solo il carattere intrepido e l’audacia. Occorre precisare che, in
realtà, nei confronti della “follia” di Ulisse non tutta la critica è concorde: c’è chi
considera i riguardi come simbolo di un preciso divieto divino, potendo Ercole
essere cristianamente inteso come messaggero e strumento del volere di Dio, e pensa
che Ulisse abbia conoscenza di infrangere dei “limiti”; egli sarebbe allora un superbo
ribelle paragonabile a Lucifero, e folle un aggettivo usato con profondo significato
religioso: ci troveremmo di fronte ad un nuovo atto sacrilego, ben peggiore di quelli
elencati da Virgilio nella presentazione del personaggio37, e sarebbe questo il vero
peccato di Ulisse.38 Ma, come sottolinea Bosco, il peccato consiste in un eccesso di
magnanimità, col quale l’indubbia ammirazione che Dante ha per il suo
personaggio è compatibile, mentre non lo sarebbe con un altro peccato39. L’eroe
greco è un uomo che da una parte vuol compiere sino in fondo il più alto dovere
umano, conquistando un’integrale conoscenza; dall’altra, esaltandosi in se stesso,
ignora o dimentica che Dio ha posto invalicabili limiti a questa stessa possibilità
umana di conoscenza40. Tutto ciò è confermato dai versi, già citati, coi quali Dante
introduce la descrizione della bolgia in cui sta per incontrare Ulisse:
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio37 …e dentro da la lor fiamma si geme / l’agguato del caval… / Piangevisi entro l’arte per
che, morta, / Deidamìa ancor si duol d’Achille / e del Palladio pena vi si porta (If XXVI 58-63)38 Per una rassegna dei critici che condividono quest’opinione si veda SERIACOPI 1994, pp.
95-9739 BOSCO-REGGIO 1988, p. 380
40 Cfr SERIACOPI 1994, p. 109: Tutto ciò non tiene conto dell’impossibilità di Ulisse di conoscerechi sia l’altrui e quali siano le sue leggi; anzi, proprio del magnanimo è il suo placido riconoscernela potenza superiore, senza rabbia o ribellione (non come Capaneo, non come Vanni Fucci). È veroche Ulisse è tutto affidato all’umano: ma non può completare il suo iter di purificazione che glidonerebbe la libertà morale che concede l’ingresso al monte Eden non per libera scelta. Egli segue ilnobile impulso e si scontra con l’inadeguatezza dei mezzi e dei tempi: qui sta la tragedia, che ètragedia basata sul tema della predestinazione
38
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio
perché non corra che virtù nol guidi.
(If. XXVI 19-22)
Dice Dante che nel ricordare, ora che scrive, quel che vide allora, quando
visitò la bolgia, raddoppia la sua vigilanza su sé stesso, frena il suo ingegno più di
quel che non sia solito fare, perché non corra troppo, come la nave di Ulisse nel suo
folle volo, ma sia costantemente guidato da virtù: pena, il togliere a se stesso la
salvezza eterna. Certo, qui Dante dice ciò ch’io vidi e ciò che, letteralmente, vide è la
punizione dei consiglieri di frode, cioè di coloro che hanno usato l’ingegno e
l’astuzia per ingannare; ma si può obiettare a questa interpretazione ristretta che il
vidi può intendersi estensivamente e riferirsi a tutta l’esperienza di Dante nella
bolgia, la quale comprende anche quanto ascolta da Ulisse: si tratta, comunque, di un
monito all’umiltà, a non spingere la propria magnanimità e sete di conoscenza oltre
inviolabili limiti; quanto più l’uomo è alto, tanto più è grave per lui il pericolo di
prevaricare, tanto più, perciò, egli deve stare all’erta. Il volo di Ulisse è dunque folle
perché volto a un fine impossibile ma non è, nello stesso tempo, “empio” perché egli
ignorava il lume della Rivelazione: la follia di quell’avventura non le sottrae, perciò,
la partecipazione ammirata di Dante41.
Ulisse, in un certo senso, è prefigurazione di Dante; volendo agire solo per sé,
non metterà, come sarà invece per il cristiano, le sue capacità al servizio del
Creatore. Non solo i due viaggi sono paragonabili in quanto entrambi conducono a
un’area inesplorata e inesplorabile dagli uomini senza un superiore beneplacito, ma il
confronto avviene sempre con segno invertito, il che mette in rilievo il valore
allegorico dei due eventi, il folle volo e naufragio di Ulisse contro la salvezza nei
cieli del pellegrino Dante42. Il naufragio è, dunque, la logica conclusione di un
viaggio a fine egoistico e la frase conclusiva di Ulisse infin che ’l mar fu sovra noi
richiuso sembra, nella sua semplice solennità, riflettere la restaurazione dell’ordine
contro cui era andata a infrangersi la sua temeraria ansia di conoscere.
41 GETTO 1947, p. 181: peccato ci sarebbe per l’uomo solo nel ritenersi onnisciente, non già nelvoler conoscere sempre di più: così come, su un piano diverso, è voluto da Dio che l’uomo siamortale e, nello stesso tempo, è stabilito da Dio l’istinto di conservazione. E il peccato non consistenel voler vivere (peccato sarebbe il contrario) ma nel credersi e nel voler essere eterni. Per questo,Ulisse non pecca e non è punito, anzi segue una legge nobilissima della natura umana.
42 CORTI 1993, p. 142
39
Prerequisiti
Conoscere la figura di Odisseo/Ulisse così come appare dai poemi omerici, per averne
letto e analizzato alcuni brani nell’ambito dell’insegnamento di Epica, sottolineando
i caratteri fondamentali dell’eroe
Saper analizzare un testo, in maniera guidata, secondo le funzioni di Propp relative alla
fiaba
Saper dividere un brano narrativo in sequenze e saperne ricostruire il contenuto in
modo ordinato e schematico
Essere disponibili a confrontarsi con un testo letterario-antologico, cercando di trarne
spunti di riflessione per la propria vita
Obiettivi
FORMATIVI:
40
Riflettere sulla sete di conoscenza insita nell’uomo, ripensando alla propria
esperienza personale, scolastica e non
Confrontarsi, senza perdersi d’animo, con la “fatica” di leggere un testo
letterario per scoprirne il messaggio
CONOSCENZE:
Ricostruire le tappe del viaggio dell’Ulisse dantesco
Conoscere i caratteri del personaggio creato da Dante
COMPETENZE (tratte dagli O.S.A. riportati nelle Indicazioni Ministeriali):
Comprendere ed interpretare in forma guidata un testo letterario, attivando
le seguenti abilità:
o individuare informazioni
o riconoscere i principali elementi della struttura
o ricavare le caratteristiche dei personaggi
o comprendere le principali intenzioni comunicative dell’autore
Sostenere, attraverso il parlato parzialmente pianificato, interazioni con i
compagni e l’insegnante e semplici dialoghi programmati, parlando di sé e dei propri
interessi
Produrre testi scritti adeguati a uno scopo
Strumenti
Testo di Dante, Inferno, XXVI 90-142 in fotocopia
Carta geografica del bacino del Mediterraneo
Materiale da disegno
Percorso di ricerca
Lo svolgimento del modulo è previsto nel corso del II quadrimestre, un’ora
alla settimana, per un totale di 15 lezioni di un’ora ciascuna, secondo le seguenti
tappe:
1) Racconto da parte dell’insegnante (lezione frontale):
a) Dante e il suo viaggio nell’Oltretomba
b) l’ottava bolgia: il paesaggio e la punizione dei consiglieri di frode
41
c) perché Ulisse è nell’ottava bolgia (tranello del cavallo di Troia); la fiamma
biforcuta di Ulisse e Diomede
L’insegnante insiste in modo particolare sullo spettacolo suggestivo delle
fiammelle, paragonate da Dante alle lucciole che illuminano la campagna estiva. I ra-
gazzi sono incaricati, per la settimana seguente, di realizzare un disegno che rappre-
senti la bolgia dei consiglieri fraudolenti così come se la immaginano.
2) Lezione-laboratorio: collaborazione con l’insegnante di Educazione artistica:
partendo dall’osservazione dei loro disegni, gli alunni, coordinati dagli insegnanti,
rappresentano su un cartellone il paesaggio della bolgia, facendo attenzione al punto
di vista da adottare, scegliendo la tecnica di cui avvalersi per disegnare e poi
colorare, discutendo su quali particolari mettere maggiormente in evidenza (la
duplice fiamma di Ulisse e Diomede o invece la miriade di fiammelle o, ancora,
Dante e Virgilio affascinati dallo spettacolo?)
3) Conclusione del lavoro svolto nella lezione precedente, con le medesime modalità e
ancora con l’ausilio del professore di Educazione artistica; il cartellone (che dovrà
essere piuttosto grande, dato anche il fatto che devono lavorarci tutti i ragazzi) viene
poi appeso in classe o comunque nell’aula in cui si svolge il laboratorio
4) Lettura di Dante, Inferno, XXVI (lezione frontale): l’insegnante legge i vv. 90-111,
riprendendoli poi uno per uno e facendone la parafrasi. Alla fine di ogni periodo
riassume il contenuto in maniera essenziale: obiettivo di questa e della seguente
lezione è, infatti, chiarire “cosa” Ulisse racconti a Dante riguardo il suo ultimo
viaggio
5) Lettura di Dante, Inferno, XXVI (lezione frontale): l’insegnante legge i vv. 112-142,
parafrasando e riassumendo come sopra. Particolare attenzione deve essere dedicata
alla distinzione tra il “discorso che Ulisse-dannato fa a Dante” e il “discorso che
Ulisse fa ai compagni”, perché i ragazzi comprendano i diversi tempi e destinatari
6) Analisi della struttura (lezione interattiva: l’insegnante cerca di coinvolgere i ragazzi
il più possibile, ponendo domande sul contenuto, facendo leggere direttamente il
testo di Dante…): si procede alla divisione del racconto di Ulisse in quattro
sequenze, che corrispondono ad altrettante “funzioni” simili a quelle già viste dagli
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alunni studiando la fiaba: partenza dell’eroe, allocuzione (che potrà essere
semplificata con l’uso del termine “discorso”), infrazione, punizione. Si rileggono le
rispettive parti, analizzandone il contenuto oralmente e trascrivendolo sul quaderno
in uno schema a punti come il seguente:
vv. 90-111: partenza Ulisse lascia la maga Circe, ma, invece di tornare a Itaca,
dove lo aspettano il figlio, il padre e la moglie, parte con pochi compagni e naviga
verso le colonne d’Ercole
vv. 112-120: discorso Ulisse invita i compagni a visitare il mondo senza gente
che sta al di là delle colonne d’Ercole; egli ricorda loro che sono stati creati non per
essere “bruti”, ma per conoscere
vv. 121-129: infrazione Ulisse, dopo aver convinto i compagni, supera le
colonne d’Ercole e inizia il suo “folle volo”
vv. 130-142: punizione Ulisse scorge da lontano una montagna (quella del
Purgatorio) e si rallegra, ma improvvisamente un vortice risucchia la nave con tutto
il suo equipaggio
7) Analisi della partenza (lezione interattiva): l’insegnante propone a qualche ragazzo
di riassumere a voce il contenuto della prima sequenza; si procede poi,
collettivamente, alla costruzione di schemi che aiutino la comprensione (da riportare
sul quaderno), in questo modo:
MOTIVI CHE DOVREBBERO
SPINGERE ULISSE A TORNARE A
ITACA
MOTIVI CHE SPINGONO
ULISSE A PARTIRE
vv. 94-95
dolcezza di figlio,
pieta del vecchio padre = affetto e
devozione,
debito amore = l’amore dovuto alla
moglie Penelope
vv. 97-99
l’ardore…a divenir del mondo esperto e
de li vizi umani e del valore = il
desiderio di diventare esperto del
mondo e degli uomini (dei loro difetti e
virtù)
ULISSE ABBANDONA… ULISSE E’ SEGUITO DA…vv. 94-96
il figlio, il vecchio padre, Penelopè (=
la moglie)
vv. 101-102
quella compagna picciola = pochi
compagni
8) Si analizza la seconda sequenza, cioè il “discorso nel discorso” (lezione interattiva):
Ulisse incita i compagni all’impresa, a seguir virtute e canoscenza. Questa
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esortazione costituisce anche una ripresa delle motivazioni del viaggio già date nella
prima sequenza, perciò lo schema sopra riportato viene arricchito in questo modo:
MOTIVI CHE DOVREBBERO
SPINGERE ULISSE A TORNARE A
ITACA
MOTIVI CHE SPINGONO
ULISSE A PARTIRE
vv. 94-95
dolcezza di figlio,
pieta del vecchio padre = affetto e
devozione,
debito amore = l’amore dovuto alla
moglie Penelope
vv. 97-99
l’ardore…a divenir del mondo esperto e
de li vizi umani e del valore = il
desiderio di diventare esperto del
mondo e degli uomini (dei loro difetti e
virtù)vv. 118-120
gli uomini non sono fatti per viver come
bruti ma per seguir virtute e
canoscenza
Partendo dalle più celebri parole dell’Ulisse dantesco, l’insegnante conduce
poi un dibattito sul tema del desiderio di conoscere: emergerà di certo, pur se
qualcuno tenterà di negare, come i ragazzi sentano prepotentemente questo bisogno.
Si cercherà allora di portarli a considerare quando seguano la spinta interiore a
conoscere, attraverso domande-stimolo (eventualmente scritte, perché gli alunni
riescano a fissare meglio le idee e a restituirle oralmente in maniera ordinata), ad
esempio: quali discipline o fenomeni mi incuriosiscono di più? Quali mi piace
approfondire, a scuola o autonomamente (leggendo, documentandosi in internet,
seguendo trasmissioni televisive, frequentando corsi…)? Chi o che cosa mi stimola
ad apprendere (il piacere che provo nello scoprire cose nuove, il desiderio di far
piacere alla mamma, un bel voto…)?
9) Nella prima metà dell’ora continua il dibattito iniziato nella lezione precedente, per
dar modo a tutti i ragazzi di esprimersi e confrontarsi con i compagni; nella seconda
parte, si imposta il lavoro per la lezione successiva: si ricostruisce cioè il viaggio di
Ulisse, così come lui stesso lo descrive in questa prima parte del testo che è già stata
analizzata (da Gaeta allo Stretto di Gibilterra; si faranno evidenziare ai ragazzi le
terre che Ulisse vide: Spagna, Marocco, Sardegna), seguendone le tappe su una carta
geografica. L’insegnante darà la possibilità ai ragazzi di rintracciare sul testo e poi
sulla carta i luoghi nominati dall’eroe, dando vita così a una lezione partecipata.
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10) (Lezione-laboratorio) È previsto un nuovo intervento dell’insegnante di Educazione
artistica, che proporrà ai ragazzi di realizzare un plastico che illustri il viaggio di
Ulisse, da appendere poi a una parete; per ora ci si limiterà a giungere fino alle
colonne d’Ercole, rispettando i tempi dell’analisi del testo
11) (Lezione interattiva) Per l’analisi delle due ultime sequenze, infrazione e punizione,
e per poi sintetizzare e trarre le conclusioni dell’intero lavoro, è utile ricorrere alla
schematizzazione del sistema dei personaggi, anche qui richiamando quanto già fatto
per la fiaba, come di seguito:
EROE = Ulisse; le sue caratteristiche sono: astuto orditore di trame (Dante, infatti,
lo incontra nell’VIII bolgia, dove sconta la pena a causa dell’inganno del cavallo ai
danni dei Troiani); buon parlatore (infatti convince i compagni con il suo discorso);
mosso dal desiderio di conoscere (per questo intraprende il viaggio);
ANTAGONISTA = Dio; caratteristiche: è il Dio della religione cristiana che
punisce Ulisse per aver oltrepassato dei limiti imposti dalla legge divina (ovvero le
colonne d’Ercole, che segnano il confine invalicabile del mondo abitato dagli
uomini, al di là delle quali ci sono solo l’oceano e la montagna del Purgatorio);
AIUTANTI dell’eroe = compagna picciola; i compagni di Ulisse, come lui reduci
da Troia, sono a lui fedeli (infatti non lo abbandonano neppure in un’impresa così
temeraria) e totalmente fiduciosi nel loro capitano (si lasciano convincere a seguirlo
al di là delle colonne d’Ercole).
A questo punto, la riflessione vuole concludere l’analisi di questo episodio dantesco
secondo lo schema della fiaba. Letto secondo il linguaggio universale delle funzioni
narrative, Ulisse diventa l’eroe, l’avventuriero che affronta l’ultima impresa, la
ricerca suprema, che lo porta a infrangere limiti invalicabili. Nelle fiabe, spesso si
assiste alla partenza dell’eroe, solo o con qualche compagno, alla ricerca di qualcuno
o qualcosa che alla fine, probabilmente, troverà; in questa “fiaba”, però, è l’eroe a
soccombere, assieme ai suoi aiutanti: si tratta quindi, in questo senso, di una “fiaba al
rovescio”, in cui l’antagonista è più forte e potente, è giusto e castiga chi trasgredisce
le leggi da lui stesso imposte. Ulisse vuole conoscere troppo, senza avvalersi della
guida di Dio, e perciò rovina. Ma resta pur sempre un eroe: non ha commesso una
colpa contro Dio, perché non lo conosceva, è vissuto in un tempo troppo precoce; la
sua volontà di scoprire, la sua idea di uomo come “colui che insegue virtute e
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canoscenza” non sono condannate ma anzi esaltate da Dante: l’essenza di un uomo,
la caratteristica che lo distingue dai bruti e dalle bestie, sono il desiderio e la volontà
di usare le proprie qualità e doti per conoscere il mondo e gli altri.
12) Lezione-laboratorio con l’insegnante di Educazione artistica, che prevede la
conclusione del lavoro di plastico riguardo il viaggio di Ulisse. Si lascerà spazio
all’immaginazione dei ragazzi, perché propongano come illustrare il turbo di cui
parla Dante e la montagna del Purgatorio.
13) Giunti alla fine del percorso, è bene portare i ragazzi a fare un confronto tra l’Ulisse
di Dante e il modello epico omerico, fonte primaria per il personaggio di Ulisse. Il
personaggio dantesco non corrisponde esattamente a quello greco: Dante (che, fra
l’altro, non conosceva direttamente l’Iliade e l’Odissea) tralascia alcune
caratteristiche dell’eroe classico, quali la nostalgia per la patria e la famiglia (che
anzi vengono nominate come elementi che non lo trattengono), nonché le sue doti
militari (principalmente iliadiche), mentre accentua la sua figura di viaggiatore:
Ulisse è colui che continua ininterrottamente a viaggiare, non perché sbattuto di lido
in lido dalla furia e dall’ira di Posidone, ma perché mosso da un’inesauribile sete di
conoscenza, che lo porta ad abbandonare tutto per visitare luoghi lontani e resi
inaccessibili da atavici divieti. Anche in questo caso la modalità di lezione prevede
ampia partecipazione degli alunni, sollecitati da domande dell’insegnante tese ad
indagare i diversi aspetti della personalità di Ulisse; le conclusioni del confronto
saranno riportate come al solito sul quaderno.
14) Verifica sommativa
15) L’ultimo incontro è destinato alla restituzione delle verifiche svolte e alla loro
correzione; da qui l’insegnante può prendere spunto per un dibattito in cui chiedere
ai ragazzi un parere e un giudizio sul laboratorio frequentato, sulle sue modalità di
conduzione, sull’argomento affrontato. Anche l’insegnante esporrà le proprie
osservazioni sul lavoro svolto insieme agli studenti.
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Verifica e valutazione
Può suonare strana la presenza di verifiche all’interno di un’attività opzionale
pensata come laboratorio. Dal momento, però, che la cosiddetta Riforma Moratti
prevede che questo tipo di attività rientri a tutti gli effetti nel piano educativo-
didattico della scuola e in quello formativo dello studente, indicando la necessità di
una valutazione, non si può prescindere dal segnalare in che modo possa appunto
avvenire tale valutazione.
Per la verifica in itinere sono previste le seguenti modalità:
interventi spontanei degli alunni o sollecitati dall’insegnante, in particolare nei
“dibattiti” delle lezioni 8-9-13 (valutazione della produzione orale, della
partecipazione, della capacità di ascolto e confronto con i compagni)
impegno e partecipazione alle attività (grado di attenzione in classe, pertinenza
degli interventi, ordine e completezza dei lavori sul quaderno e dei lavori di
Educazione artistica)
La verifica finale (sommativa) è costituita, invece, dai seguenti esercizi:
1. Leggi questi versi tratti dal canto XXVI dell’Inferno, poi rispondi:103
106
109
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
acciò che l’uom più oltre non si metta
a. Chi sta parlando? Con chi?
b. Qual è il contenuto generale del passo sopra riportato? Riassumilo.
c. Perché viene nominato Ercole?
d. Cosa significano i seguenti termini nel testo di Dante?
v. 103
lito:____________________________________________________________
v.106
tardi:___________________________________________________________
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v. 109: acciò
che:______________________________________________________
2. Riassumi in maniera ordinata i quattro momenti (sequenze) in cui si può dividere il
racconto di Ulisse.
3. Qui sotto sono elencate alcune qualità di Ulisse: attribuiscile al personaggio creato
da Omero o a quello di Dante oppure a entrambi:
OMERO
Abilità nel parlare
Grandi doti in
combattimento
Desiderio di conoscere
Nostalgia della patria
Volontà di andare oltre i
limiti
Abilità di tessere inganni
DANTE
4. Immagina di essere un novello Ulisse: scrivi un breve discorso o una lettera con cui
cerchi di convincere qualche tuo amico/a ad affrontare una nuova conoscenza
(esempi: è arrivato un nuovo compagno; dovete studiare una materia difficile; il tuo
amico deve trasferirsi in un’altra città o in un’altra scuola dove non conosce
nessuno).
Negli esercizi 1-2-3 verrà valutato solo il contenuto (capacità di
comprensione e analisi), nel numero 4 anche la produzione scritta (organizzazione
logica e morfosintattica, punteggiatura, lessico, ortografia).
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Bibliografia
AVALLE 1975
D’A.S. AVALLE, Dal mito alla letteratura e L’ultimo viaggio di Ulisse, in
Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Milano 1975, pp. 9-31 e 33-63
BALDI 1993
G. BALDI, S. GIUSSO, M. RAZETTI, G. ZACCARIA, Dal testo alla storia,
dalla storia al testo, I, Torino 1993
BOSCO 1966
U. BOSCO, La follia di Dante e Né dolcezza di figlio, in Dante vicino: contributi e
letture, Caltanissetta-Roma 1966, pp. 55-75 e 173-196
BOSCO-REGGIO 1988
D. ALIGHIERI, La Divina Commedia. Inferno, a c. di BOSCO U.- REGGIO G.,
Firenze 1988
CORTI 1993
M. CORTI, Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Torino
1993
FORTI 1965
F. FORTI, Ulisse, in Cultura e scuola IV, 1965, 13-14, pp. 499-517
FORTI 1977
F. FORTI, “Curiositas” o fol hardement?, in Magnanimitade. Studi su un tema
dantesco, Bologna 1977, pp. 161-206
GETTO 1947
G. GETTO, La poesia dell’intelligenza, in Aspetti della poesia di Dante, Firenze
1947, pp. 181-182
PAZZAGLIA 1989
M. PAZZAGLIA, Il canto di Ulisse e le sue fonti classiche e medievali, in
L’armonia come fine. Conferenze e studi danteschi, Bologna 1989, pp. 97-134
SERIACOPI 1994
M. SERIACOPI, All’estremo della prudentia. L’Ulisse di Dante, Roma 1994
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ALLEGATI
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Allegato 1: fonti storiche per le lezioni di tirocinio attivo
Dal discorso di Winston Churchill tenuto a Fulton (Missouri) il 5marzo 1946:
“Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro èscesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali deivecchi stati dell’Europa Centrale ed Orientale. Varsavia, Berlino, Praga,Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e lepopolazioni attorno ad esse, giacciono in quella che devo chiamare sferasovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell'altro, non solo all’influenzasovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controlloda Mosca”.
Dal Rapporto Kruscev del 1956, al XX Congresso del PCUS (PartitoComunista dell’URSS):
“Stalin non agiva con la persuasione, con le spiegazioni e la pazientecollaborazione con gli altri, ma imponendo le sue idee ed esigendo unasottomissione assoluta alla sua opinione. Chiunque si opponeva ai suoi disegnio si sforzava di far valere il proprio punto di vista e la validità della suaposizione, era destinato ad essere estromesso da ogni funzione direttiva e, inseguito, ‘liquidato’ moralmente e fisicamente (...)
Fu Stalin a formulare il concetto di ‘nemico del popolo’. Questotermine (...) rese possibile l’uso della repressione più crudele, violando tutte lenorme della legalità rivoluzionaria, contro chiunque fosse in qualunque modoin disaccordo con Stalin, contro chi fosse anche solo sospetto di intenzioniostili, contro chi avesse una cattiva reputazione”.
Dal discorso di Nikita Kruscev alle Nazioni Unite il 18 settembre 1958:
“Che cos’è la politica di coesistenza pacifica? Nella sua espressione più semplice è la rinuncia alla guerra come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma ciò non esaurisceil concetto di coesistenza pacifica. Oltre all’impegno di rinunciareall’aggressione, la coesistenza pacifica sottintende per ogni Stato l’obbligo dirispettare l’integrità territoriale e la sovranità di ogni altro Stato e di nonviolarla sotto qualsiasi forma e pretesto. Prevede inoltre la rinuncia ainterferire negli affari interni degli altri paesi per modificarne il regime, ilmodo di vita o per altri motivi. Implica, per di più, il dovere di basare irapporti economici e politici tra gli Stati sul principio dell’assolutaeguaglianza e del mutuo vantaggio. (...)
La coesistenza pacifica può e deve assumere la forma di una pacificacompetizione per il migliore soddisfacimento di tutti i bisogni degli uomini”.
Dalla lettera enciclica Pacem in terris di Sua Santità Giovanni XXIII,sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nellalibertà
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III: RAPPORTI FRA LE COMUNITA’ POLITICHE
Disarmo59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche
economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a crearearmamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentualealtissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini diquelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altrecomunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioniindispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.
Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo ilmotivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondatasull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altrecomunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se unacomunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armiatomiche di potenza distruttiva pari.
60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uraganoche potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile.Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capacidi assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerracauserebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possafar scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va puretenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrentedelle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della solacontinuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avereconseguenze fatali per la vita sulla terra.
Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestatala corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gliarmamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervengafinalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. (…)
61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopibellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazionesono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad undisarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosisinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a suavolta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, sisostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nellavicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essereconseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, edè della più alta utilità. (…)
63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e arteficedella pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famigliaumana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per
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tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli chesono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche perimprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.
Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problemadella ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su pianomondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelletrattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrùtino il problema fino aindividuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali,durature, feconde.
Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulleloro fatiche, affinché apportino risultati positivi.
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Allegato 2: schema del percorso delle lezioni di tirocinio
attivo
FINE II GUERRA MONDIALE
- Vittime (guerra globale)- Danni materiali- Tracollo economico- Conflitti civili (profughi)- CONSEGUENZE POLITICHE: perdità centralità europea GUERRA FREDDA
1945 Jalta (Febbraio)Potsdam (Luglio)
1946 Churchill “cortina di ferro”1947 Pace di Parigi (Febbraio);Blocco di Berlino; Piano Marshall; Cominform1949 divisione Germania
USA URSSPotenza industriale e tecnologicaDottrina Truman (del contenimento):
- Interventi in conflitti locali- Patto Atlantico e NATO
(1949)- CIA- Maccartismo
Controllo diretto su Est Europa:
- politico: Paesi satelliti- economico: Nazionalizzazione banche
e industrie Collettivizzazione terre COMECON (1949)- militare: Patto di Varsavia- civile: repressione dissenso
(dittatura)
Intervento in conflitti locali:1950-53: guerra di Corea
DISTENSIONE/DISGELO:KRUSCIOV (1953) – KENNEDY – GIOVANNI XXIII
1955 incontro USA-URSSCompetizione pacifica
Momenti di tensione:1956 Crisi d’Ungheria
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1961 Muro di Berlino1961-62 Crisi dei missili di Cuba
1963: MORTE KENNEDY – KRUSCIOVAllegato 3: testo di Inferno, XXVI
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai, di qua da picciol tempo, di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’ più m’attempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee che n’avea fatto iborni a scender pria, rimontò ’l duca mio e trasse mee; e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede a la zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’ e’ vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
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sì che s’io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’ esser urto. E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: "Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel ch’elli è inceso". "Maestro mio", rispuos’ io, "per udirti son io più certo; ma già m’era avviso che così fosse, e già voleva dirti: chi è ’n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dov’ Eteòcle col fratel fu miso?". Rispuose a me: "Là dentro si martira Ulisse e Dïomede, e così insieme a la vendetta vanno come a l’ira; e dentro da la lor fiamma si geme l’agguato del caval che fé la porta onde uscì de’ Romani il gentil seme. Piangevisi entro l’arte per che, morta, Deïdamìa ancor si duol d’Achille, e del Palladio pena vi si porta". "S’ei posson dentro da quelle faville parlar", diss’ io, "maestro, assai ten priego e ripriego, che ’l priego vaglia mille, che non mi facci de l’attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver’ lei mi piego!". Ed elli a me: "La tua preghiera è degna di molta loda, e io però l’accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto". Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: "O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma l’un di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi". Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse: "Quando
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mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enëa la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’ Ercule segnò li suoi riguardi acciò che l’uom più oltre non si metta; da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. “O frati”, dissi “che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Li miei compagni fec’ io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque
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e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’ altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso
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