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UFFICIO DEL SEGRETARIO GENERALE UFFICIO STUDI E RAPPORTI ISTITUZIONALI
SERVIZIO PER I RAPPORTI CON LE CONFESSIONI RELIGIOSE E LE RELAZIONI ISTITUZIONALI
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INDICE
Unione europea…......................................................................pag. 3
Seduta plenaria del Parlamento europeo
La Commissione e il Consiglio presentano “Diritti Umani e Democrazia nel Mondo – un Rapporto sulle azioni dell’UE nel periodo luglio 2008‐dicembre 2009”
La FRA pubblica quattro nuovi rapporti sugli organismi di protezione dei diritti fondamentali
Conferenza “Rom e zingari – Vittime dell’Olocausto”
Consiglio d’Europa….................................................................pag. 6
Il Segretario generale del Consiglio d’Europa esprime preoccupazione per le ripetute espulsioni da parte delle autorità italiane
7a Conferenza dei Ministri per le Pari Opportunità sul tema “L’uguaglianza di genere: colmare il divario tra l’uguaglianza de jure e quella de facto”
Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa…………………………………..………………………….pag. 9
Conferenza sull’uguaglianza di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica
L’OSCE presenta un manuale di buone pratiche per favorire le relazioni tra polizia e comunità Rom e Sinti
Organizzazione delle Nazioni Unite….................................... pag. 11
Le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa
L’UNESCO celebra la Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo
Il Direttore generale della FAO lancia la campagna “1billionhungry”
Varie…………………………………………………….…..……….pag. 13
Le Istituzioni italiane celebrano la Giornata Internazionale contro l’omofobia
Le Istituzioni italiane celebrano la Giornata Internazionale della Famiglia
Conferenza Internazionale “Religioni, Culture, Diritti Umani: Relazioni Complesse in Evoluzione”
Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta intervengono sul tema del crocifisso
L’Università Pontificia San Tommaso d’Aquino ospita la Conferenza di Mona Siddiqui sul tema “Le prospettive islamiche sull’ebraismo e sul cristianesimo”
XIX Sessione plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
Amnesty International presenta il suo Rapporto 2010
Il Norwegian Refugee Council pubblica il suo Rapporto 2010
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PARLAMENTO EUROPEO
Seduta plenaria del Parlamento europeo Dal 17 al 20 maggio si è tenuta la seduta plenaria del Parlamento europeo, i cui lavori sono stati dedicati, tra l’altro, alla crisi economica nella zona euro, alla nuova strategia europea EU2020 per la crescita e lo sviluppo, all’accoglienza dei rifugiati, all’efficienza energetica, alla donazione di organi fra cittadini degli Stati membri, alla parità di diritti per il congedo di maternità tra lavoratrici dipendenti e autonome. Il 18 maggio il Parlamento ha approvato la relazione del portoghese Rui Tavares sugli incentivi finanziari per incoraggiare i Paesi dell’Unione europea ad accogliere i rifugiati. I Paesi dell’Unione, infatti, contribuiscono in misura minore al reinsediamento rispetto ad altri paesi sviluppati come Stati Uniti, Canada e Australia: nel 2008 l’Unione europea ha contribuito soltanto al 6,7% del totale dei rifugiati reinsediati a livello mondiale, con 4.378 persone accolte. Attualmente solo dieci Stati membri – tra i quali non figura l’Italia – hanno preso parte in modo permanente ad un programma di reinsediamento1. Secondo la relazione di Tavares – approvata con 512 voti favorevoli, 81 contrari e 7 astensioni – gli Stati membri che volontariamente decidessero di partecipare al programma di reinsediamento dei rifugiati di paesi terzi potrebbero ricevere un finanziamento di 6.000€ per ogni persona accolta durante il primo anno, 5.000€ per il secondo anno e 4.000€ per gli anni successivi. Il finanziamento supplementare ricevuto nei primi due anni di partecipazione al programma dovrebbe poi essere reinvestito per lo sviluppo di un programma di reinsediamento sostenibile. Il Parlamento e il Consiglio non hanno però raggiunto un accordo sulle priorità che il programma dovrebbe seguire: da una parte, gli eurodeputati vorrebbero dare la precedenza a donne e bambini esposti a sfruttamento o violenza, alle persone in gravi condizioni di salute e alle vittime di violenza o tortura, dall’altra il Consiglio prediligerebbe una lista di priorità ispirata a criteri di nazionalità e provenienza geografica dei rifugiati. Nel corso della stessa giornata il Parlamento, adottando la relazione di Jean Lambert, ha approvato anche la creazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. L’Ufficio, con sede a La Valletta (Malta), avrà il compito di assistere i Governi che ricevono richieste di asilo, si occuperà di rafforzare la cooperazione tra le autorità nazionali, di fornire supporto amministrativo agli Stati gravati da un elevato numero di richieste e sarà responsabile del coordinamento degli scambi di informazioni sulle procedure di reinsediamento effettuate dagli Stati membri. http://www.europarl.europa.eu/activities/plenary/home.do?language=IT&date=20100610&tab=LAST
1 Per reinsediamento si intende il processo mediante il quale cittadini di paesi terzi o apolidi, su richiesta dell'ACNUR motivata dal loro bisogno di protezione internazionale, sono trasferiti da un paese terzo a uno Stato membro in cui sono autorizzati a soggiornare in virtù di uno dei seguenti status: a) status di rifugiato, b) status che offra gli stessi diritti e gli stessi vantaggi che il diritto nazionale e quello comunitario riconoscono allo status di rifugiato (Articolo 3 della decisione 2007/573/CE). Il reinsediamento è spesso definito come una delle soluzioni durevoli a favore dei rifugiati la cui protezione non può essere garantita nei paesi di primo asilo.
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COMMISSIONE E CONSIGLIO
La Commissione e il Consiglio presentano “Diritti Umani e Democrazia nel Mondo – un Rapporto sulle azioni dell’UE nel periodo luglio 2008‐dicembre 2009” Il 10 maggio la Commissione e il Consiglio hanno presentato “Diritti Umani e Democrazia nel Mondo – un Rapporto sulle azioni dell’UE nel periodo luglio 2008‐dicembre 2009”, che esamina la situazione della democrazia e dei diritti umani nel mondo e il ruolo giocato dall’Unione europea nel promuovere e tutelare questi diritti. Il Rapporto – che documenta le numerose azioni intraprese dall’Unione nell’ambito dei diritti umani, della cooperazione allo sviluppo e della sicurezza – costituisce un importante strumento per accrescere nei cittadini la conoscenza del livello di tutela dei diritti umani nel mondo, per incoraggiarli a sentirsi parte del lavoro dell’Unione e offrire loro la possibilità di giocare il proprio ruolo nell’assicurare che ognuno possa godere dei propri diritti. In occasione della presentazione del Rapporto Catherine Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione per la Politica Estera e di Sicurezza, ha dichiarato: “Diritti umani, democrazia e stato di diritto sono i valori fondamentali sui quali si basa la politica estera dell’Unione europea. Sono personalmente impegnata nell’effettiva promozione dei diritti umani, e ciò che davvero mi interessa sono i risultati, spesso difficili da misurare, in particolar modo in questo ambito. Ma il Rapporto conferma i passi in avanti compiuti dall’Unione europea che, negli ultimi dieci anni, si è dotata di una serie formidabile di strumenti per promuovere il rispetto dei diritti umani”. Alcuni parlamentari europei si sono mostrati invece critici nei confronti del Rapporto: “Il Parlamento ha già prodotto reazioni importanti ai rapporti degli anni precedenti. L’ultimo chiedeva al Consiglio e alla Commissione di creare indicatori specifici e quantificabili per misurare l’efficacia delle azioni dell’Unione – ha affermato Heidi Hautala, Presidente della sottocommissione per i diritti umani – ma i risultati rimangono vaghi. Il Rapporto, infatti, non contiene informazioni specifiche relative ai progressi compiuti rispetto agli anni precedenti”. Anche Laima Liucija Andrikienė, vice Presidente della sottocommissione, si è attestata sulle stesse posizioni e, pur riconoscendo che “il Rapporto è uno dei più importanti, se non il più importante, sullo stato dei diritti umani nel mondo”, ha sottolineato la mancanza di “target misurabili paese per paese, che permettano un’attenta valutazione dei risultati, per capire se e quanto la situazione in alcuni paesi sia migliorata e se i fondi stanziati dai contribuenti europei siano stati ben impiegati”. Da parte sua Veronique Arnaud, Rappresentante della Commissione europea, ha ricordato che, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’ambito dei diritti umani ricadrà sotto le competenze dell’Alto Rappresentante Ashton e del Servizio Europeo di Azione Esterna, e ha sottolineato che “i diritti dell'uomo diventeranno un pilastro della politica estera comune, nell’ambito della quale il Parlamento vedrà il suo ruolo notevolmente rafforzato”. La risposta del Parlamento al Rapporto 2009 – e la relativa relazione – sarà adottata nel corso della seduta plenaria di dicembre 2010. http://ec.europa.eu http://www.consilium.europa.eu
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AGENZIA DELL’UNIONE EUROPEA PER I DIRITTI FONDAMENTALI (FRA)
La FRA pubblica quattro nuovi rapporti sugli organismi di protezione dei diritti fondamentali Il 7 maggio l’Agenzia europea per i Diritti Fondamentali ha pubblicato quattro nuovi rapporti che dimostrano come le autorità preposte alla protezione dei dati, gli organismi per l’uguaglianza e le istituzioni nazionali per la difesa dei diritti umani presenti sul territorio dell’Unione necessitino di ulteriore supporto. I rapporti – presentati a Vienna in occasione di un incontro organizzato dall’Agenzia a cui hanno partecipato rappresentanti di organismi che si occupano della promozione e protezione dei diritti fondamentali – hanno evidenziato il fatto che questi organismi mancano spesso di risorse, non sono sufficientemente indipendenti o hanno mandati deboli che non consentono loro di porre in essere tutte le attività necessarie per la tutela di questi diritti. Inoltre, alcuni tra i gruppi di cittadini più vulnerabili presenti sul territorio dell’Unione sono ignari della loro esistenza; solo il 16% delle minoranze etniche e degli immigrati sono a conoscenza di organizzazioni in grado di fornire loro sostegno e l’82%, se vittime di discriminazioni, non hanno denunciato gli abusi subiti. Il primo rapporto si è concentrato sulle “Istituzioni Nazionali a tutela dei Diritti Umani negli Stati Membri dell’Unione Europea”; il secondo ha riguardato la “Protezione dei Dati nell’Unione Europea: il Ruolo delle Autorità Nazionali”; il terzo rapporto si è occupato di “Consapevolezza dei propri Diritti e Organismi di Parità”; infine, l’ultimo rapporto ha avuto ad oggetto “L’Impatto della Direttiva sull’Uguaglianza Razziale. Considerazioni di Sindacati e Datori di Lavoro nell’Unione Europea”. Silvia Escobar, Ambasciatrice spagnola per i diritti umani, ha ribadito l'importanza attribuita dalla Presidenza spagnola dell'Unione europea alla tutela dei diritti fondamentali: “tra le nostre priorità figurano la piena ed effettiva implementazione del Trattato di Lisbona, la ripresa economica, il rafforzamento del ruolo e dell'influenza dell'Unione europea nel mondo, e la promozione dei diritti umani e della democratizzazione della politica esterna dell'UE”. Nel corso nell’incontro è intervenuto anche Morten Kjaerum, Direttore della FRA, che ha sottolineato la necessità di sostenere le istituzioni che si occupano di diritti fondamentali, soprattutto in un momento di crisi economica e finanziaria in cui le categorie più vulnerabili sono maggiormente a rischio: “E’ importante ammettere che si è compiuto un notevole progresso in questo settore; gli organismi istituiti per proteggere e promuovere i diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione hanno un potenziale enorme. Tuttavia, hanno bisogno delle risorse, dell'autorità e dell'indipendenza necessari affinché funzionino efficacemente. I cittadini dell’UE vogliono conoscere e fruire dei loro diritti, ma se le autorità deputate alla loro protezione non hanno l'autorità di intraprendere azioni contro coloro che si rendono colpevoli di eventuali violazioni, si corre il rischio che questi diritti diventino insignificanti”. http://fra.europa.eu
Conferenza “Rom e zingari – Vittime dell’Olocausto”
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L’11 maggio si è svolta una Conferenza sul tema “Rom e zingari – Vittime dell’Olocausto”, ospitata dal Parlamento europeo e organizzata da tre eurodeputati, Cornelia Ernst, Kinga Göncz e Catherine Grèze; all’incontro hanno partecipato, tra gli altri, Romani Rose, Presidente del Consiglio Centrale dei Rom e Sinti tedeschi, e Ágnes Daróczi, fondatrice della Fondazione Romedia.
Nel corso dell’incontro – organizzato per valutare la consapevolezza e il riconoscimento dell’Olocausto dei Rom in Europa – sono state ricordate le vittime Rom dell’Olocausto, circa mezzo milione di persone, per non dimenticare quanto accaduto e per trarre un’importante lezione da questa tragedia, affinché i crimini che hanno caratterizzato il periodo nazista non si ripetano. Neppure nel periodo successivo all’Olocausto, però – ha sottolineato Ágnes Daróczi – i Rom sono divenuti titolari di diritti come libertà o uguaglianza, riconosciuti invece ad altri gruppi etnici o religiosi: “Per decenni i Rom sono stati vittime di una vasta gamma di provvedimenti che negavano loro i più elementari diritti di cittadini. Ancora oggi” – ha continuato – “in molti Stati europei i Rom devono sopportare il peso di diverse forme di pregiudizi razzisti che contribuiscono alla loro stigmatizzazione ed esclusione dalla società e dalla nazione nella quale vivono”. I Rom deportati e uccisi nei campi di sterminio nazisti – hanno denunciato i partecipanti alla Conferenza – “non sono ancora stati registrati nella coscienza storica dell’Europa”. A loro avviso, il tassello mancante per raggiungere l’obiettivo sarebbe la creazione di istituzioni che si occupassero della ricerca e diffusione del passato delle comunità Rom e Sinti; questo permetterebbe alla società di fare finalmente i conti con le conseguenze di ideologie che, in passato, hanno promosso teorie di superiorità razziale ai danni di queste comunità. Ágnes Daróczi ha quindi esortato i governi europei a rispettare le norme internazionali che vietano la discriminazione razziale, ad assicurarsi che la discriminazione contro la popolazione Rom “non macchi la dignità umana delle vittime dell’Olocausto”e a creare un fondo finanziario per la ricerca, la pubblicazione e la diffusione di programmi di comunicazione antirazzista “che garantisca che il ricordo di queste vittime rimanga sempre vivo”.
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SEGRETARIO GENERALE Il Segretario generale del Consiglio d’Europa esprime preoccupazione per alcune espulsioni da parte delle autorità italiane In una dichiarazione rilasciata il 19 maggio Thorbjørn Jagland, Segretario generale del Consiglio d’Europa, ha espresso preoccupazione per la decisione delle autorità italiane di espellere, lo scorso 1° maggio, il Sig. Mannai, cittadino tunisino a rischio di maltrattamenti nel proprio Paese di origine, nonostante il parere contrario della Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
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Il Sig. Mannai, arrestato in Austria il 20 maggio 2005 sulla base di un mandato d’arresto emesso dalle autorità italiane nell’ambito di un’indagine sul terrorismo internazionale, era stato espulso verso l’Italia il 20 luglio 2005 e, con una sentenza del 5 ottobre 2006, condannato a cinque anni di detenzione; la sentenza prevedeva inoltre che, terminato il periodo di detenzione, il Sig. Mannai sarebbe stato espulso verso la Tunisia.
Il 19 febbraio 2010, la Corte ha chiesto alle autorità italiane di non procedere all’espulsione del ricorrente – misura provvisoria adottata ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte – ritenendo che vi fossero validi motivi di temere che il Sig. Mannai potesse essere sottoposto a maltrattamenti in Tunisia. “L’espulsione del Sig. Mannai – ha dichiarato Thorbjørn Jagland – ha avuto luogo successivamente ad una recente sentenza pronunciata dalla Corte nel caso Trabelsi. In tale occasione la Corte aveva concluso che, procedendo all’espulsione del ricorrente, l’Italia avesse violato la Convenzione. Ugualmente era accaduto per il Sig. Ben Khemais – la cui causa era ancora pendente innanzi alla Corte – che, nel mese di giugno 2008, veniva espulso verso la Tunisia malgrado una misura provvisoria e in violazione della Convenzione”. Il Segretario generale si è poi detto “profondamente rammaricato nel constatare il ripetersi di simili azioni da parte delle autorità italiane”, e ha concluso sottolineando come sia “fondamentale che le misure adottate dalla Corte, riconosciute come giuridicamente vincolanti per la totalità degli Stati parte della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, siano rispettate da ogni Stato membro. Qualsiasi azione contraria rischia di compromettere il sistema dei diritti umani, essenziale per la tutela di tutti i cittadini europei”. http://www.coe.int
7a Conferenza dei Ministri per le Pari Opportunità sul tema “L’uguaglianza di genere: colmare il divario tra l’uguaglianza de jure e quella de facto” Il 24 e 25 maggio si è tenuta a Baku, in Azerbaigian, la 7a Conferenza dei Ministri per le Pari Opportunità sul tema “L’uguaglianza di genere: colmare il divario tra l’uguaglianza de jure e quella de facto”, organizzata congiuntamente dal Consiglio d’Europa e dal Governo dell’Azerbaigian. Obiettivo dell’incontro è stato quello di tracciare un bilancio dei progressi compiuti in materia di parità tra uomo e donna e di affrontare i ritardi, o perfino le regressioni, che sono stati registrati in questo settore. Infatti, se da una parte gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno ottenuto importanti risultati soprattutto grazie all’adozione di normative e politiche specifiche, d’altra parte i dati rilevano un divario significativo tra uguaglianza de jure ed uguaglianza de facto. In particolare, i Ministri hanno esaminato gli ostacoli che impediscono un reale ed effettivo progresso in questo senso, i mezzi adeguati per massimizzare l’effetto delle azioni intraprese, l’approccio integrato all’uguaglianza di genere e le modalità attraverso cui istruzione e media possono contribuire a combattere i pregiudizi sessisti. La Conferenza è stata aperta dal vice Segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer‐Buquicchio, che ha dapprima ricordato come “la disuguaglianza di genere non sia dovuta ad una diminuzione del numero di donne, che costituiscono più del 50% della popolazione, ma piuttosto agli stereotipi e ai pregiudizi – alcuni tra i più gravi ostacoli per il progresso delle donne e la principale causa di discriminazione – contro i quali occorre intervenire con risolutezza, perché nessun Paese è immune dalla disuguaglianza di genere, che è necessario combattere ed eliminare per una società più sana, in grado di affrontare sfide politiche, sociali ed economiche”.
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Il vice Segretario generale ha poi sottolineato che “nonostante i significativi progressi compiuti nel conseguimento della parità di genere, molte disuguaglianze impediscono ancora oggi il pieno rispetto e tutela dei diritti umani delle donne, che sono parte integrante dei diritti umani e costituiscono un criterio fondamentale della democrazia”.
Nel corso dell’incontro, i Ministri hanno adottato la risoluzione “Colmare il divario tra uguaglianza de jure e de facto per realizzare una reale uguaglianza di genere” e il relativo Piano d’Azione, che chiariscono le future azioni che il Consiglio d’Europa intraprenderà in materia. I Ministri, dopo aver dichiarato che l’esigenza di rendere l’uguaglianza di genere una realtà concreta – non solo nel diritto ma anche nella pratica – resta ancora una sfida in Europa, hanno evidenziato l’imprescindibilità dell’elaborazione di ulteriori strategie e strumenti volti a combattere le disuguaglianze, invitando i 47 Stati membri dell’Organizzazione ad applicare una strategia basata sull’integrazione di genere, che ponga l’uguaglianza tra uomini e donne ai primi posti nell’agenda politica. Nella risoluzione, i Ministri hanno esortato gli Stati membri a lottare contro gli stereotipi che costituiscono uno dei principali ostacoli alla promozione del ruolo della donna e che si trovano all’origine della discriminazione di cui le donne sono vittime. I Ministri hanno sottolineato che il perseguimento di questo obiettivo impone di agire per promuovere un’evoluzione sociale e culturale della società; in questo senso, l’educazione e i media potrebbero contribuire concretamente allo smantellamento di questo genere di stereotipi, alla costituzione di nuove identità e alla piena realizzazione dell’uguaglianza di genere. Nella risoluzione si legge che gli Stati membri dovrebbero in particolare “sviluppare piani d’azione nazionali adeguati e mettere a disposizione mezzi finanziari sufficienti al raggiungimento di un’uguaglianza di fatto; realizzare politiche dagli obiettivi concreti che favoriscano una partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all’assunzione di decisioni politiche, pubbliche ed economiche; promuovere l’indipendenza economica delle donne e garantire il rispetto della loro uguaglianza sul mercato del lavoro in settori quali l’organizzazione degli orari di lavoro e scolastici, le retribuzioni e la condivisione, con gli uomini, dei compiti domestici; prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne e lottare contro le molteplici discriminazioni nei confronti di gruppi vulnerabili come donne, migranti e ragazze con un particolare orientamento sessuale, le persone transgender, nonché le donne e le ragazze disabili”. Infine, i Ministri hanno sollecitato la definizione e l’adozione, da parte del Consiglio d’Europa, di una convenzione volta a prevenire e combattere le violenza commessa nei confronti delle donne e la violenza domestica in particolare.
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Conferenza sull’uguaglianza di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica Il 6 e 7 maggio si è tenuta a Vienna una Conferenza sull’uguaglianza di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica; all’incontro, promosso ed organizzato dall’OSCE e dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR), hanno partecipato rappresentanti dei 56 Stati membri dell’Organizzazione, organizzazioni internazionali e società
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civile, con l’obiettivo di discutere i progressi compiuti e le nuove sfide da affrontare per la realizzazione di un’effettiva uguaglianza di genere e per assicurare una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica. Già nel 2004, gli Stati membri dell’OSCE avevano definito l’uguaglianza di genere come “una delle caratteristiche fondamentali di una società giusta e democratica fondata sullo stato di diritto” e adottato un Piano d’Azione sull’Uguaglianza di Genere contenente misure per raggiungere questo obiettivo; tuttavia, nonostante alcuni risultati positivi, permane ancora una forte disparità tra uomini e donne (basti pensare, a titolo esemplificativo, che la presenza delle donne nei parlamenti degli Stati membri dell’OSCE varia dal 45% al 6%). Nel corso della Conferenza Janez Lenarcic, Direttore dell’ODIHR, è intervenuto ricordando che “se si vuol mantenere elevato il grado di legittimità di cui la democrazia gode, è necessario porre la questione dell’uguaglianza di genere in cima alla lista degli obiettivi da raggiungere”. Il Direttore ha poi aggiunto che “la democrazia rimane una mera aspirazione se una parte significativa della cittadinanza viene esclusa dalla vita politica e pubblica”. Da parte sua Gulshara Abdykalikova, rappresentante dell’attuale Presidenza dell’OSCE e Ministro kazaco del Lavoro e della Protezione Sociale, ha ribadito l’importanza di implementare il Piano d’Azione del 2004, presentando alcune proposte concrete: “Per promuovere efficacemente la parità di genere, è utile organizzare corsi di formazione misti per funzionari statali e rappresentanti di organizzazioni non governative, introdurre i principi di parità di genere nei processi di budgeting a tutti i livelli e sviluppare meccanismi che consentano sia agli uomini che alle donne di conciliare lavoro e vita privata”. Infine Elza Pais, Sottosegretario di Stato portoghese per l’Uguaglianza, ha evidenziato i benefici che scaturirebbero dalla partecipazione paritaria delle donne alla vita politica e pubblica: “Non è una questione di correttezza politica o di benevolenza nei confronti delle donne. Si tratta solo di un efficiente sviluppo della società”. Il Sottosegretario Pais ha concluso ricordando che “le donne rappresentano una risorsa indispensabile che la società non può permettersi di sprecare, soprattutto in considerazione della attuale crisi economica e finanziaria”. http://www.osce.org/odihr L’OSCE presenta un manuale di buone pratiche per favorire le relazioni tra polizia e comunità Rom e Sinti Il 21 maggio l’Unità per le Questioni Strategiche di Polizia dell’OSCE, in collaborazione con l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR), ha presentato un manuale di buone pratiche per migliorare i rapporti tra forze di polizia e comunità Rom e Sinti, affinché siano basati su fiducia e comprensione reciproca. Rom e Sinti, infatti, sono spesso oggetto di discriminazione razziale e violenza, e hanno bisogno di poter contare pienamente sulla protezione fornita loro dalle forze di polizia contro i crimini motivati dall'odio. Allo stesso tempo, la polizia si trova a dover affrontare un atteggiamento di sospetto e diffidenza, alimentato anche da una lunga storia di abusi e discriminazioni ai danni di queste comunità da parte delle autorità pubbliche.
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Con la presentazione del manuale, l'OSCE ha sottolineato l'importanza di costruire buone relazioni tra la polizia e le comunità Rom e Sinti, di combattere la discriminazione e la violenza razziale e di garantire che i Rom ed i Sinti siano in grado di svolgere un ruolo attivo e paritario nella società. In questo senso, gli Stati membri dell’OSCE si sono impegnati a lavorare per colmare il divario tra prassi nazionali e disposizioni internazionali in materia.
http://www.osce.org
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Le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa Il 20 dicembre 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la decisione 48/432, ha istituito la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. La Giornata, celebrata ogni anno il 3 maggio, rappresenta un’occasione non soltanto per promuovere azioni concrete e iniziative finalizzate alla tutela della libertà della stampa, ma anche “per celebrare i principi fondamentali della libertà di stampa, per valutare la situazione della libertà di stampa in tutto il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza ed offrire un tributo ai giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio della loro professione”. L’Assemblea Generale ha scelto simbolicamente questa data per celebrare l’anniversario dell’adozione della Dichiarazione di Windhoek – un documento approvato nel 1991 nel corso di un seminario organizzato dall’UNESCO – che considera i mezzi di comunicazione liberi, indipendenti e pluralistici come elementi essenziali della libertà di stampa. Le Nazioni Unite hanno ricordato che la libertà di stampa è una pietra miliare nell’ambito della protezione e promozione dei diritti umani fondamentali e una garanzia per l’effettiva fruizione delle altre libertà, come sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che stabilisce che “ognuno ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di esprimere la propria opinione senza interferenze e di cercare, ricevere e diffondere opinioni ed idee con ogni mezzo”. In occasione delle celebrazioni per la Giornata è intervenuto anche Ban Ki‐moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite che, nel suo messaggio, ha dichiarato: “La libertà di espressione è uno dei diritti umani fondamentali, sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Ma nel mondo ci sono Governi che trovano molti modi per ostacolare l’esercizio di questo diritto. Tutti i Governi hanno il dovere di proteggere chi lavora nei media. Questa protezione deve includere il perseguimento di coloro che si sono resi responsabili di crimini contro i giornalisti”. http://www.un.org
UNESCO L’UNESCO celebra la Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo
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Il 21 maggio l’UNESCO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura – ha celebrato la Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo, istituita dall’Assemblea Generale dell’ONU con risoluzione 57/249 del 2002; in quella occasione, l’Assemblea aveva inoltre accolto con favore la recente Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, adottata dall’UNESCO il 2 novembre 2001, e il relativo Piano d’Azione per l’implementazione della Dichiarazione. La Giornata – che mira ad approfondire la comprensione e la conoscenza dei valori della diversità culturale – assume quest’anno un significato ancor più rilevante, poiché si inserisce nel più ampio contesto dell’Anno Internazionale per l’Avvicinamento delle Culture, nel corso del quale – come ha dichiarato Ban Ki‐moon, Segretario generale delle Nazioni Unite – “si renderà omaggio alla diversità culturale e si mostrerà come la comprensione e il dialogo interculturale siano essenziali per la realizzazione di un mondo più pacifico. Inoltre, verrà sottolineato il ruolo fondamentale che la cultura gioca nell’ambito dello sviluppo”. In occasione delle celebrazioni è intervenuta anche Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO, che ha dapprima sottolineato come “la Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo ci offra l'occasione per puntare i riflettori sulla vitalità insita nella diversità di tutte le culture, senza eccezione alcuna, e sull’urgente necessità di proteggere questa diversità e renderla il fulcro delle strategie di sviluppo. Questa Giornata costituisce un'opportunità per riflettere sulle modalità attraverso cui costruire un sentimento di tolleranza verso tutte le culture del mondo”. Il Direttore dell’UNESCO ha poi ricordato la definizione di “diversità culturale” contenuta nella Dichiarazione Universale del 2001, vale a dire “un patrimonio comune dell'umanità, che dovrebbe essere riconosciuto e riaffermato per il bene delle generazioni presenti e future”. Irina Bokova ha concluso il suo intervento sollecitando i rappresentanti di Governi, organizzazioni e società civile a “stimolare il dialogo sulla diversità culturale e sui mezzi attraverso cui promuoverla, elaborando strategie concrete per favorirla e sostenerla”. http://www.un.org http://www.unesco.org
FAO
Il Direttore generale della FAO lancia la campagna “1billionhungry” L’11 maggio Jacques Diouf, Direttore generale della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), ha lanciato una nuova campagna di comunicazione a livello globale – il progetto “1billionhungry” – con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale nei confronti del fatto che, nel XXI secolo, ci siano ancora oltre un miliardo di persone che soffrono la fame. “Il primo degli Obiettivi del Millennio – adottati dall’Onu nel 2000 – è dimezzare la proporzione di coloro che soffrono la fame entro il 2015. Allo stato attuale è assai improbabile che si riesca a raggiungerlo” ha affermato il Direttore, che ha ricordato che “ogni sei secondi da qualche parte nel mondo, spesso nel continente africano, un bambino muore di malattie connesse con la sottalimentazione e la mancanza di cibo. Questo significa oltre cinque milioni di bambini ogni anno”.
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Diouf ha espresso grande preoccupazione per “la mancanza di reazione, l’assuefazione a dati ogni anno più allarmanti, il considerare ormai la fame un dato strutturale delle economie dei Paesi poveri contro cui non si può far nulla”, che sono diventati “gli ostacoli maggiori contro cui bisogna
ribellarsi”, e ha denunciato l’inerzia dei leader mondiali che, negli ultimi trent’anni, “hanno fatto poco o niente per affrontare questa situazione”. La campagna – che prevede l’esposizione di poster e striscioni sui mezzi di trasporto e sugli edifici di molte grandi città del mondo, recanti la scritta “I’m mad as hell” (Sono fuori di me) – mira, attraverso una petizione online, a raccogliere almeno un milione di firme, che saranno presentate al Palazzo di Vetro il prossimo 28 ottobre come espressione della mobilitazione mondiale. Il Direttore della FAO ha esortato “tutti coloro che trovano questo stato di cose intollerabile e che vogliono un cambiamento di direzione ad unirsi a questa iniziativa”. http://www.fao.org
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IN ITALIA Le Istituzioni italiane celebrano la Giornata Internazionale contro l’omofobia Il 17 maggio le Istituzioni italiane hanno celebrato la VI Giornata Internazionale contro l’omofobia, istituita a partire dal 2005, a quindici anni dalla rimozione dell’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie mentali pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 2007, anche l’Unione europea ha istituito ufficialmente la Giornata Internazionale contro l’omofobia, con l’obiettivo di contrastare le discriminazioni e le violenze legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale. In base ad una ricerca condotta dall’Agenzia europea per i Diritti Fondamentali (FRA), infatti, nell’Unione europea quattro milioni di persone sarebbero discriminate e danneggiate dall’omofobia; in questo contesto, l’Italia risulterebbe il Paese con il più elevato tasso di omofobia sociale, politica e istituzionale in Europa. In occasione delle celebrazioni per la Giornata 2010 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto in udienza al Quirinale le associazioni del mondo omosessuale, alcuni rappresentanti delle amministrazioni impegnate nella lotta contro le discriminazioni, Anna Paola Concia, deputata del Pd e unica parlamentare dichiaratamente omosessuale, i presidenti e vicepresidenti della Commissione Giustizia di Camera e Senato e il Ministro del Dipartimento per le Pari Opportunità, Mara Carfagna. Il Presidente Napolitano ha dapprima sottolineato l’importanza della Giornata, occasione per sviluppare una maggiore solidarietà – che non sia solo tolleranza – basata sul rispetto reciproco, degno di una società emancipata e proiettata verso la crescita umana; nel corso del suo intervento ha inoltre tenuto a precisare che “questa non è soltanto la causa delle associazioni degli omosessuali, così come la causa dei diritti delle donne non è solo la causa delle associazioni delle donne. E’ una causa comune, è una causa generale, è una questione di principio, è una questione di fondamento costituzionale”.
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Da parte sua, il Ministro Carfagna ha ribadito che “non si possono più tollerare nel nostro Paese, civile e democratico, fondato sulla libertà di espressione e di pensiero, episodi di aggressione ai danni di cittadini omosessuali come quelli che ci ha riportato, anche nelle ultime settimane, la
cronaca. Questi fatti dimostrano come siano tuttora esistenti piccole sacche di inciviltà che devono essere cancellate, come si debbano svuotare quei serbatoi di odio che alimentano la sottocultura omofoba di chi ha paura del diverso”. A dimostrazione dell’impegno del Dipartimento per le Pari Opportunità nella lotta contro l’omofobia, il Ministro ha ricordato di aver promosso e realizzato la prima campagna istituzionale contro l'omofobia in Italia, “Rifiuta l’omofobia. Non essere tu quello diverso” “l’omofobia è una malattia dalla quale si può guarire”. Il Ministro ha poi concluso affermando che “per estirpare questo cancro partendo dalle radici, le Istituzioni devono continuare a lavorare seguendo la strada autorevolmente segnata dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella direzione della prevenzione. Non soltanto, quindi, investire sulla sicurezza dei cittadini, ma anche contrastare quei pregiudizi che ancora albergano nella coscienza di qualche italiano”. http://www.quirinale.it http://www.pariopportunita.gov.it Le Istituzioni italiane celebrano la Giornata Internazionale della Famiglia Il 15 maggio le Istituzioni italiane hanno celebrato la Giornata Internazionale della Famiglia – istituita dalle Nazioni Unite nel 1994 – che, quest’anno, è stata dedicata al tema “L’impatto delle migrazioni sulle famiglie nel mondo” in considerazione dell’attuale contesto nazionale ed internazionale, caratterizzato da imponenti movimenti migratori sia individuali che collettivi. Nel mondo, infatti, il numero dei migranti è più che raddoppiato a partire dagli anni Sessanta e, attualmente, si stima sia pari a 214 milioni di persone. Benché la proporzione di migranti rispetto alla popolazione totale non sia aumentata in modo significativo (dal 2,6% nel 1960 al 3,1% nel 2010), l’impatto di questi flussi migratori acquista importanza se si considerano anche le famiglie e le comunità di origine dei migranti. Per incrementare i benefici della migrazione e minimizzare i rischi per i migranti e per le loro famiglie, sarebbe importante analizzare e comprendere le cause delle migrazioni, favorire il ricongiungimento familiare nei Paesi di destinazione ed elaborare politiche finalizzate principalmente a diminuire la povertà nei paesi di provenienza. In questo contesto, la famiglia potrebbe rivestire un ruolo fondamentale in quanto soggetto di mediazione interculturale e veicolo di integrazione di etnie e culture diverse. In occasione delle celebrazioni per la Giornata 2010 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso vivo apprezzamento “per la meritoria opera di sostegno svolta per le famiglie che versano in situazioni di difficoltà” e “per l’intendimento di approfondire in modo particolare il tema di riflessione di quest’anno: l’impatto delle immigrazioni sulle famiglie nel mondo”, e ha ricordato l’importanza della famiglia, che “costituisce un potenziale, prezioso motore di integrazione”.
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Tra gli altri, è intervenuto anche il Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, sottolineando l’importanza dell’iniziativa “che richiama l’attenzione di Istituzioni ed opinione pubblica sul tema specifico della famiglia nella realtà multietnica”. “Ritengo fondamentale – ha affermato il Presidente Fini – il suo ruolo di socializzazione ed integrazione, per migliorare la nostra capacità di governare i complessi fenomeni connessi all’immigrazione. Il nostro Paese deve perseguire l’obiettivo di arricchire la sua identità mediante l’apporto di differenti culture, unite da
una sentita adesione ai valori della libertà e della dignità dell’uomo e da un condiviso senso di appartenenza civica responsabile ed attiva”. Conferenza Internazionale “Religioni, Culture, Diritti Umani: Relazioni Complesse in Evoluzione” Il 12 e 13 maggio si è tenuta a Roma, presso il Ministero degli Affari Esteri, una Conferenza Internazionale sul tema “Religioni, Culture, Diritti Umani: Relazioni Complesse in Evoluzione”, promossa dalla sezione italiana della Conferenza mondiale delle Religioni per la Pace e dall’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. Al convegno hanno partecipato relatori di diversa provenienza, fede (cristiana, ebraica, islamica, induista, sikh) e formazione culturale e professionale, con l’obiettivo di analizzare le numerose sfide di compatibilità e conciliabilità delle differenze e di rispondere alla sempre più urgente ricerca di valori condivisi, che consentano di costruire e regolare le relazioni tra società differenti. I partecipanti si sono interrogati sui fondamenti dei diritti umani universali e sulla via da perseguire per la loro realizzazione, adeguando questa necessità alle peculiarità di ogni cultura e analizzando l’apporto che possono fornire le religioni, promotrici di giustizia, uguaglianza e condivisione. Nel corso della prima giornata di lavori, i relatori si sono concentrati dapprima sulla prospettiva filosofica e giuridica del rapporto tra religioni, culture e diritti umani, per poi approfondire questa relazione dal punto di vista di ogni singolo culto religioso; la seconda giornata di lavori è invece stata dedicata alla presentazione di contributi di leader religiosi e relatori stranieri. Nel discorso di apertura della Conferenza, pronunciato dal Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri Vincenzo Scotti, è stata messa in luce la differenza tra il concetto di “laicismo” (che considera la religione estranea alla propria sfera di influenza e, di conseguenza, se ne disinteressa) e quello di “laicità” (che, pur operando un distinguo tra sfera religiosa e sfera politica, considera la religione un elemento costitutivo della società di cui l’uomo è parte); il Sottosegretario Scotti ha poi sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e interculturale, “la vera essenza del convivere”, che diventa “dialogo dialogante” se “parte dalla conoscenza rispettosa delle differenti tradizioni e dal riconoscimento del fatto che l’altro è una parte di noi che non conosciamo , senza sincretismi e senza pregiudizi”. Il Sottosegretario ha concluso ricordando che “le religioni possono contribuire ad un nuovo ordine mondiale, promuovendo una coscienza condivisa da tutte le comunità”. Come già detto, i tre temi affrontati nel corso della Conferenza sono stati religioni, culture e diritti umani, strettamente interconnessi e interdipendenti; in questo senso, i contributi proposti hanno offerto nuovi spunti di riflessione finalizzati alla condivisione di “buone pratiche” volte ad armonizzare questi tre elementi in una società globalizzata come quella attuale. Per quel che riguarda il tema delle religioni, i partecipanti hanno concordato sul fatto che esse “siano spesso catalizzatori di tensioni sociali e strumento di lotte di potere”; d’altra parte, hanno tenuto a sottolinearne anche il “ruolo imprescindibile per la costruzione di un nuovo ordine mondiale basato sulla promozione della pace, della giustizia e dell’armonia” svolto dalle religioni.
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In particolare Angela Ales Bello, Direttrice del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, ha analizzato le condizioni che ostacolano il dialogo fra culture, prima fra tutte “l’inquietudine che nasce dall’anormalità, vale a dire ciò che non rientra negli schemi conosciuti e condivisi, ai quali siamo abituati”. La reazione auspicabile nei confronti del “diverso” sarebbe quindi curiosità e apertura nei confronti dello “sconosciuto” piuttosto che rifiuto, chiusura e affermazione della propria superiorità.
Da parte sua Bernardo Cervellera, Direttore dell’Agenzia Asia News, ha ricordato come la libertà religiosa non sia “un diritto accanto agli altri, ma la sintesi e la base di tutti i diritti, il metro di valutazione del grado di libertà di un Paese. L’Asia – ha continuato Cervellera – dove vive quasi metà della popolazione mondiale, è il continente che detiene il primato delle violazioni della libertà religiosa. La repressione della libertà religiosa è violenza contro la persona, la società e il futuro di un Paese; non si accontenta di distruggere gli individui, ma annienta chiese, scuole, luoghi di ritrovo. Mira a distruggere ogni influenza della religione sulla cultura e sulla società”. Nell’ambito delle culture, secondo tema oggetto dell’incontro, particolarmente rilevante è stato l’intervento di Pasquale Ferrara, Direttore dell’Unità di Analisi e Programmazione del Ministero degli Affari Esteri, che ha puntato l’attenzione su uno dei diritti umani irrinunciabili, “il diritto alla differenza, da intendersi non come semplice tolleranza, ma piuttosto come un diritto umano fondamentale che consente di trovare un punto d’intersezione tra le varie impostazioni culturali, politiche e religiose. Il terreno comune – ha affermato Ferrara – andrebbe costruito sulla base della regola d’oro (Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te), partendo dalla regola d’argento (Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te)”. Anche Alberto Quattrucci, Segretario generale di Incontri Internazionali Uomini e Religioni della Comunità di Sant’Egidio, è intervenuto analizzando in particolare il rapporto che intercorre tra dialogo interculturale e sicurezza. Secondo Quattrucci, troppo spesso il primo viene sacrificato in favore della sicurezza o sedicente tale; non si tratterebbe, infatti, di sicurezza, ma piuttosto di paura,“una pessima consigliera che non giova in alcun modo ai diritti umani e alla loro realizzazione”. Quattrucci ha concluso il suo intervento ricordando che “religioni e culture dialoganti possono costruire un nuovo umanesimo nel rispetto delle diversità, della giustizia e dei diritti umani, a partire dai più poveri, deboli, dimenticati; in altri termini, religioni e culture possono essere scuole di coabitazione all’interno delle nostre società”. Per quel che riguarda, infine, il tema dei diritti umani e della loro implementazione, tutti i partecipanti hanno concordato sul fatto che i dati relativi alle violazioni di questi diritti siano estremamente preoccupanti. In molti Paesi cosiddetti civili – ad esempio sul territorio dell’Unione europea – queste violazioni vengono perpetrate soprattutto ai danni di donne e minori, spesso nell’indifferenza delle Istituzioni. Uno dei diritti sistematicamente violati in tutto il mondo è proprio il diritto alla libertà religiosa, oggetto dell’intervento di Antonio Marchesi, docente di Diritto Internazionale presso l’Università “La Sapienza” di Roma che, pur riconoscendo gli importanti progressi compiuti a livello internazionale nella tutela di questo diritto, ha evidenziato “la mancanza di un’ultima tappa, la più importante, per vedere internazionalmente riconosciuto il diritto alla libertà religiosa: l’elaborazione di una Convenzione universale in materia”. Il Professor Marchesi, dopo aver sottolineato il limite della genericità delle norme che tutelano i diritti umani a livello internazionale – che, a suo avviso, sarebbe “il prezzo da pagare per coagulare il consenso tra culture completamente differenti tra loro intorno ad un unico argomento” – ha concluso ricordando tutta una serie di diritti, connessi al diritto alla libertà religiosa, che vengono sistematicamente violati (come la libertà di espressione o di pensiero); queste ulteriori violazioni dimostrerebbero infatti la “strettissima interconnessione tra religione e diritti umani”. Una parte della seconda giornata è stata dedicata all’approfondimento di specifiche tematiche; i lavori sono stati articolati in quattro gruppi di lavoro, riguardanti rispettivamente “Diritti delle donne”, “Diritti dei minori”, “Diritti delle minoranze” e “Diritti dei rifugiati”.
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Il gruppo di lavoro che si è occupato dei diritti delle donne ha messo in luce dapprima tre nuove “frontiere” che, negli ultimi decenni, si sono frapposte tra le donne e l’effettiva fruizione dei diritti loro riconosciuti; le frontiere “di carta” (come l’ottenimento di un permesso di soggiorno), quelle “del corpo” (come il colore della pelle) e quelle “classiche” (come la detenzione in carcere). I relatori, dopo aver affrontato tematiche legate al rapporto tra diritti umani e religione islamica (la
questione del velo e delle mutilazioni genitali femminili), hanno sottolineato l’importanza di “integrare nella diversità, riconoscendo a tutti il diritto di essere se stessi accanto a noi”, perché “integrazione non equivale ad omologazione, e la sfida da affrontare oggi è quella di costruire insieme una nuova identità comune”. Il gruppo sui diritti dei minori ha affrontato tutta una serie di gravissime violazioni dei loro diritti, tra cui le adozioni illegali, il traffico di esseri umani e di organi, gli abusi sessuali, lo sfruttamento del lavoro minorile, la situazione dei minori non accompagnati; a conclusione dei lavori, i partecipanti al gruppo hanno adottato un documento finale, in cui è stata avanzata la richiesta di creare un “Osservatorio Nazionale” che, soprattutto attraverso la condivisione di dati a livello non solo nazionale ma anche europeo, si occupi di minori i cui diritti siano stati violati. I partecipanti al gruppo sui diritti delle minoranze hanno dapprima individuato le numerose implicazioni che emergono dall’analisi della situazione delle minoranze – religiose, sociali, etniche – tentando di proporre soluzioni concrete, ispirate al principio della cosiddetta “minoranza creativa”, che dimostra quanto importante possa essere il contributo fornito dalle minoranze nella società di destinazione e ribadisce che la commistione fra culture è una ricchezza da sfruttare e non un problema da affrontare. Infine, il gruppo che si è dedicato ai diritti dei rifugiati ha discusso questioni legate all’attualità – come la drammatica situazione dei rifugiati del Darfur in Ciad o i rimpatri assistiti dall’Italia verso il Paese di origine – per poi concentrarsi sulla prospettiva della religione islamica nei confronti dei rifugiati che, secondo i relatori, non sarebbe improntata al rifiuto ma piuttosto all’accoglienza; i partecipanti hanno concluso sottolineando l’importanza di riservare ai rifugiati lo stesso trattamento che ognuno di noi vorrebbe ricevere se si trovasse nella stessa situazione. Il Convegno si è concluso con l’elaborazione di una Dichiarazione finale – da presentare al Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini – in cui, accanto a richieste quali il rispetto e la tutela della libertà religiosa in tutte le sue forme, il riconoscimento di ogni confessione religiosa e la predisposizione di nuovi incontri sul tema, si legge: “Una nuova civiltà umana, di pacifica ed equa convivenza, non può che tendere al consenso universale sui diritti e sulla dignità di ogni essere umano e non può ignorare il ruolo fondamentale delle religioni per la costruzione di una cultura di pace e di giustizia dell’unica famiglia umana, con una sola cittadinanza terrestre”. Il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta intervengono sul tema del crocifisso Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri e Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono intervenuti sul tema del crocifisso – e della relativa sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo – nella prefazione al libro del Professor Carlo Cardia “Identità religiosa e culturale europea. La questione del crocifisso”. “Il crocifisso non è mai stato, e tanto meno lo è oggi, un simbolo di parte, ma è il simbolo delle tradizioni cristiane che sono comuni alla stragrande maggioranza delle Nazioni e dei popoli europei” ha affermato il Ministro Frattini, che ha anche sottolineato come il saggio del Professor Cardia contenga “le tante buone ragioni” a favore del ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza emessa dalla Corte il 3 novembre scorso, con cui imponeva la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche italiane.
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Secondo il Ministro, la sentenza andrebbe rivista “con saggezza e lungimiranza, e il Governo è fiducioso che ciò avvenga in un quadro di valutazione di tutti gli elementi che sono in gioco e che riguardano non solo l’Italia, ma l’intera Europa”.
Tra i motivi presentati nel saggio a sostegno del ricorso dell’Italia, Frattini ha evidenziato soprattutto il fatto che la presenza del crocifisso “si inserisce in una società europea e in una scuola aperte non soltanto ad ogni altra fede e opinione in materia religiosa, ma anche ai simboli e alla presenza di religioni diverse, che convivono nella scuola e in altri spazi pubblici senza alcuna preclusione”. Anche il Sottosegretario Letta ha definito il crocifisso “un simbolo che ha un valore universale di fratellanza e non può essere ridotto ad espressione di una fede confessionale” e, nella sua prefazione allo stesso saggio di Cardia, ha chiesto “una giusta revisione” della sentenza della Corte di Strasburgo. “Il simbolo della croce, esposto nelle scuole italiane e in quelle di moltissimi altri Paesi europei, ma anche nelle bandiere del Nord Europa, è qualcosa che non appartiene soltanto alla gran parte dei cittadini europei, né è espressione esclusiva di un indirizzo confessionale, ma è divenuto – ha spiegato il Sottosegretario, citando Gandhi – un simbolo universale che parla di fratellanza e di pace a tutti gli uomini di buona volontà”. L’Università Pontificia San Tommaso d’Aquino ospita la Conferenza di Mona Siddiqui sul tema “Le prospettive islamiche sull’ebraismo e sul cristianesimo” Il 5 maggio si è tenuta a Roma, presso l’Università Pontificia San Tommaso d’Aquino, una Conferenza sul tema “Le prospettive islamiche sull’ebraismo e sul cristianesimo”. Tra i relatori Mona Siddiqui, Direttrice del Centro per gli studi sull’Islam dell’Università di Glasgow e una delle voci più autorevoli nei circoli accademici islamici, è intervenuta a sostegno del dialogo e dell’incontro tra religioni diverse presentando, dalla prospettiva della teologia islamica, le altre due fedi monoteiste, ebraismo e cristianesimo. Nel suo intervento la Professoressa ha discusso il problema che l’Islam si trova ad affrontare sin dalle origini – la questione dell’ebraismo e del cristianesimo quali rivelazioni corrotte – e ha sottolineato la necessità di una solida teologia islamica dell’inclusione, incentrata sulla compassione e non sulla salvezza. “I musulmani – ha affermato la Professoressa Siddiqui – hanno storicamente avuto atteggiamenti differenti verso le altre religioni, specialmente quella ebraica e quella cristiana. L'unitarietà e la diversità dell'umanità sono temi che coesistono nel Corano e possono essere interpretati a supporto tanto di rivendicazioni inclusiviste quanto esclusiviste. La questione non riguarda tanto il riconoscimento delle religioni ebraica e cristiana, in quanto queste erano già presenti nel sesto secolo; le tensioni risiedono piuttosto su come le due religioni debbano essere percepite teologicamente, oltre che nelle relazioni sociali”. Mona Siddiqui ha poi proceduto ad un’analisi del ruolo giocato dal dialogo interreligioso in situazioni di conflitto: “Tra quelli che hanno lavorato al dialogo interreligioso, sono sicura di non essere la sola a ritenere che, dove c'è conflitto fra i popoli, il dialogo religioso da solo non può condurre alla pace e alla riconciliazione. Che funzione può avere il dialogo quando le persone vengono fatte saltare in aria e le loro famiglie e le loro case vengono distrutte? A meno che non sia sostenuto dalla volontà politica, il dialogo rimane solo un nobile esercizio con un effetto limitato”. “Il lavoro interreligioso – ha concluso la Professoressa – non è mai stato, implicitamente o esplicitamente, finalizzato alla conversione. Da musulmana che ha vissuto gran parte della propria vita in Occidente, ho imparato che la fede parla in un processo d'apprendimento e accettazione, di dubbio e umiltà. La cosa più importante è stata comprendere che parlare d'umanità comune richiede una grande generosità nel fronteggiare la differenza pratica”.
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XIX Sessione plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Dal 26 al 28 maggio, presso la sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, si è tenuta la XIX Sessione plenaria del dicastero sul tema “Pastorale della mobilità oggi, nel contesto della corresponsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali”, a cui hanno partecipato cardinali, arcivescovi e vescovi provenienti da vari Paesi ed esperti in materie inerenti alla mobilità umana. Lo stesso Pontificio Consiglio, in un comunicato stampa, ha spiegato come “la mobilità umana richieda oggi un approccio multilaterale, che favorisca da una parte l’apporto specifico degli Stati e degli Organismi Internazionali nel processo di riconoscimento degli strumenti internazionali esistenti per combattere le diverse forme di discriminazione, razzismo, xenofobia e intolleranza e, d’altra parte, promuova la cooperazione di tutti nello sviluppare programmi a tutela della dignità e della centralità della persona umana”. Nel corso dei lavori è intervenuto, tra gli altri, l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio, che ha sottolineato come la promozione umana segua oggi due principali direttrici: “quella che vede le migrazioni sotto il profilo della povertà, della sofferenza e del disagio, dove sono richiesti interventi di primo soccorso per le numerose emergenze che sorgono ininterrottamente” e “quella che evidenzia potenzialità e risorse di cui le persone in mobilità sono portatrici, con la necessità di accompagnamento verso il progressivo inserimento nel nuovo contesto socio‐culturale, fino alla piena integrazione”. In questo senso – ha continuato l’arcivescovo – la Chiesa “si sente impegnata in entrambe le direzioni”, agendo in sinergia con le realtà istituzionali e di volontariato e cercando di instaurare con tutti gli attori “un rapporto di intesa, nella convinzione che gli spostamenti umani si presentano anche come luogo di ideale sintonia e collaborazione tra il mondo ecclesiale e quello sociale e civile, nel rispetto dei principi di solidarietà e di sussidiarietà”. Per Mons. Vegliò, ci sarebbero almeno “quattro fattori fondamentali che collocano gli spostamenti umani mondiali ai primi posti nella discussione nazionale e internazionale”. In primo luogo, quello demografico, “forse il più evidente”: se da una parte, infatti, i Paesi di accoglienza sperimentano “un rapido invecchiamento e una diminuzione della popolazione autoctona”, quelli di emigrazione “crescono rapidamente”. Il secondo fattore è quello economico: “Molte Nazioni a sviluppo avanzato devono fare i conti con la diminuzione della manodopera, subiscono la pressione finanziaria per quanto riguarda le pensioni garantite dai Governi e si trovano in difficoltà nell’assicurare assistenza sanitaria agli anziani, sempre più numerosi. Allo stesso tempo, uomini e donne nei Paesi poveri trovano lavoro con difficoltà e cercano impiego in Paesi più ricchi”. Particolarmente importante risulterebbe il terzo fattore, quello culturale, perché “oggi le persone in movimento sono spesso molto diverse culturalmente da quelle delle società di accoglienza”. Infine il quarto fattore, vale a dire la sicurezza nazionale, sarebbe quello “cruciale”: “gli eventi terroristici del primo decennio del nuovo millennio (negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Spagna, in Indonesia e in altri Paesi), assieme a crimini violenti commessi da immigrati e largamente riportati dai media, hanno suscitato reazioni di rifiuto verso i migranti”. Di conseguenza, “molti Paesi hanno rafforzato il controllo delle frontiere, hanno ristretto le politiche migratorie e hanno istituito nuove procedure per controllare chi arriva da determinati Paesi”.
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Mons. Vegliò ha concluso il suo intervento sottolineando l’importanza del ruolo della Chiesa nel “complesso contesto odierno”, in cui “continua ad offrire un prezioso contributo nel vasto fenomeno della mobilità umana, facendosi portavoce delle persone più vulnerabili ed emarginate, ma intendendo anche valorizzare i migranti e gli itineranti sia all’interno della comunità ecclesiale
che della società, come coefficiente importante per l’arricchimento reciproco e per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, in un fecondo scambio interculturale”.
NEL MONDO Amnesty International presenta il suo Rapporto 2010 Il 27 maggio Amnesty International ha presentato a Roma il suo Rapporto annuale, relativo alla situazione dei diritti umani nel mondo nel periodo gennaio‐dicembre 2009, in cui denuncia le gravissime violazioni dei diritti umani – torture, maltrattamenti, processi iniqui, condanne a morte, restrizioni alla libertà di espressione – compiute in 159 Paesi del mondo anche a causa di “governi potenti” che “bloccano i passi in avanti della giustizia internazionale, si pongono al di sopra delle norme sui diritti umani, proteggono dalle critiche gli alleati e agiscono solo quando lo ritengano politicamente conveniente”. Christine Weise, Presidente della Sezione italiana dell’Organizzazione, nel corso della presentazione del Rapporto ha dichiarato che “la repressione e l’ingiustizia prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone ad una vita di violazioni, oppressione e violenza. I governi devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia per tutte le violazioni dei diritti umani subite. Fino a quando i governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell’umanità”. Amnesty ha ricordato che 81 Paesi, tra i quali 7 membri del G20 (in particolare Russia, Cina e Stati Uniti), non hanno ancora ratificato lo statuto della Corte Penale Internazionale. Inoltre, se da una parte il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità emesso nel 2009 dalla Corte nei confronti del Presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir, è stato “un evento epocale che ha dimostrato che anche un capo di Stato in carica non è al di sopra della legge”, d’altra parte “il rifiuto da parte dell’Unione africana di cooperare, nonostante la terribile violenza che ha colpito centinaia di migliaia di persone nel Darfur, è stato un crudo esempio di come i governi antepongano la politica alla giustizia”. Nel Rapporto è stata inoltre denunciata “la paralisi del Consiglio Onu dei diritti umani sullo Sri Lanka, nonostante il governo e le Tigri per la liberazione della patria Tamil si siano resi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e possibili crimini di guerra” che, secondo Amnesty International, sarebbe “la prova dell'inazione della comunità internazionale nei momenti di bisogno”. Per quel che riguarda la situazione nelle varie regioni del mondo, il Rapporto ha evidenziato che, in Europa e Asia centrale, si è “ridotto lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile”, si sono verificate “inique limitazioni della libertà di espressione” (Azerbaigian, Bielorussia, Russia, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan) e un “profondo aumento del razzismo, della xenofobia e dell’intolleranza”.
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Nelle Americhe sono stati commessi “centinaia di omicidi illegali dalle forze di sicurezza” (Brasile, Colombia, Giamaica e Messico); inoltre, nel Rapporto è stata denunciata l’impunità per le violazioni dei diritti umani avvenute nel contesto della lotta contro il terrorismo internazionale (Stati Uniti) e la situazione ad Haiti dove, in seguito al terremoto del 12 gennaio scorso, “le
condizioni di vita nei campi restano disperate” e “la mancata protezione di donne e bambine dalla violenza sessuale e di genere desta particolare preoccupazione”. In Africa alcuni governi – tra cui Guinea e Madagascar – “hanno affrontato il dissenso con un uso eccessivo della forza” e, allo stesso modo, sono state represse critiche anche in Etiopia e in Uganda. Il Rapporto ha anche ricordato gli sgomberi forzati di massa in Angola, Ghana, Kenya e Nigeria. Per quel che riguarda la situazione in Italia, Amnesty ha denunciato in particolare la violazione dei diritti di rom, migranti e richiedenti asilo. Il Rapporto cita il “Piano nomadi di Roma che, con lo sgombero forzato di centinaia di rom, ha aperto la strada ad altre migliaia di sgomberi nei prossimi mesi”, “l’introduzione del reato di clandestinità nell’agosto 2009” e, soprattutto, i respingimenti verso la Libia, che “hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo” senza una preventiva valutazione “della loro necessità di protezione internazionale”. Inoltre, l’Organizzazione ha sottolineato l’assenza, nella legislazione italiana, del reato di tortura, la cui mancanza ha impedito di punire “i responsabili delle forze dell’ordine in modo proporzionato alla gravità della condotta loro attribuita”, con riferimento ai processi per il G8 di Genova del 2001 e ai pestaggi di Stefano Cucchi a Roma e di Emmanuel Bonsu a Parma. Infine, il Rapporto si è occupato dei fatti di Rosarno del gennaio 2010, in relazione ai quali si legge che “sussiste il timore che le cause di fondo risiedano nel massiccio sfruttamento dei migranti impiegati nell’agricoltura e nella mancata adozione, da parte delle autorità italiane, di misure concrete per contrastare la xenofobia, in aumento in tutto il Paese”. Christine Weise ha concluso la presentazione del Rapporto 2010 ricordando come “il bisogno di giustizia globale sia una lezione fondamentale da trarre dallo scorso anno. La giustizia porta equità e verità alle vittime, è un deterrente nei confronti delle violazioni dei diritti umani e, in definitiva, conduce verso un mondo più stabile e sicuro”. http://www.amnesty.it Il Norwegian Refugee Council pubblica il suo Rapporto 2010 Il 17 maggio il Norwegian Refugee Council ha pubblicato il suo nuovo Rapporto sulla situazione degli sfollati nel mondo, relativo all’anno 2009. Secondo il Rapporto, il numero di sfollati nel mondo ammonterebbe a oltre 27 milioni, di cui 8 milioni si sarebbero aggiunti solo nel 2009; questo dato sarebbe il più elevato dalla prima metà degli anni novanta – segnati dalle guerre nei Balcani, dal conflitto congolese e dal genocidio in Rwanda. Queste stime, confermate dalle valutazioni periodicamente diffuse dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), sono costantemente aumentate negli ultimi tre anni; nel 2007, infatti, il numero di nuovi sfollati ammontava a 3,7 milioni, per raggiungere i 4,8 milioni nel 2008 e 7,8 milioni nel 2009.
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Dal Rapporto emerge che nove sfollati su dieci sono concentrati in appena otto Paesi, tutti teatro di conflitti che si protraggono da decenni senza che le autorità locali e la comunità internazionale riescano a mettere in atto soluzioni efficaci per avviare processi di pace. Il Rapporto afferma infatti che “i casi del 2009 sono stati determinati soprattutto da conflitti già in corso da anni quando non addirittura da decine di anni” e sottolinea che, in molti casi, si tratta di “sfollati che sono ciclicamente costretti a lasciare la propria terra” in seguito al fallimento dei tentativi di rimpatrio e reinsediamento.
I Paesi in questione, oltre al caso latinoamericano della Colombia, sono Pakistan, Filippine e Sri Lanka in Asia e Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Somalia ed Etiopia in Africa. http://www.nrc.no
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