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uaderniac Maggio - Giugno 2017 / Vol. 24 n. 3 w.quaderniacp.it Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% NE/VR – Aut. Tribunale di Oristano 308/89 Sintomi di esordio in età pediatrica che preludono a malattie psichiatriche dell’adulto Formazione a distanza, pag. 100 Le comunicazioni orali presentate dagli specializzandi al Congresso Tabiano XXVI Research letter, pag. 107 I tropici in ambulatorio: la malaria I tropici in ambulatorio, pag. 123 ISSN 2039-1374 Rivista indicizzata in Google Scholar e in SciVerse Scopus www.quaderniacp.it p Bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione Culturale Pediatri www.acp.it

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uaderniacMaggio - Giugno 2017 / Vol. 24 n. 3

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% NE/VR – Aut. Tribunale di Oristano 308/89

Sintomi di esordio in età pediatrica che preludono a malattie psichiatriche dell’adulto Formazione a distanza, pag. 100

Le comunicazioni orali presentate dagli specializzandi al Congresso Tabiano XXVIResearch letter, pag. 107

I tropici in ambulatorio: la malariaI tropici in ambulatorio, pag. 123

ISSN 2039-1374 Rivista indicizzata in Google Scholar e in SciVerse Scopus

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pBimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione Culturale Pediatri www.acp.it

DirettoreMichele Gangemi Direttore responsabileFranco DessìDirettore editoriale Giancarlo Biasini Comitato editoriale Antonella BrunelliSergio Conti Nibali Luciano de SetaStefania Manetti Costantino PanzaLaura Reali Paolo SianiMaria Francesca Siracusano Maria Luisa Tortorella Enrico VallettaFederica ZanettoCasi didatticiFAD – Laura Reali CollaboratoriRosario CavalloFrancesco Ciotti Giuseppe Cirillo Antonio Clavenna Franco GiovanettiNaire SansottaItalo SpadaAugusta Tognoni

Presidente ACPFederica ZanettoProgetto grafico ed editingStudio Oltrepagina, VeronaProgrammazione webGianni PirasIndirizziAmministrazione: Via Montiferru, 6 09070 Narbolia (OR)tel./fax 0783 57024Direzione: Via Ederle 36 37126 [email protected] soci: Via G. Leone, 2407049 Usini (SS)cell. 392 3838502, fax [email protected]: Cierre Grafica via Ciro Ferrari, 5 Caselle di Sommacampagna (VR)www.cierrenet.itInternetLa rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita online della letteratura medica ed è disponibile integralmente all’indirizzo:www.quaderniacp.itRedazione [email protected]

Maggio - Giugno 2017 / Vol. 24 n. 3Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri

Editorial97 Lights and shadows on big data Antonio Addis, Alessandro Rosa99 With children and parents Federica Zanetto

Formation at a distance100 Symptoms of onset in childhood which preceded adult

psychiatric illnesses Lucio Rinaldi

Info parents106 Emotions… and more emotions Costantino Panza, Stefania Manetti, Antonella Brunelli

Research letter107 Oral communications by residents in paediatrics

at the XXVI Tabiano Congress

Mental health112 The mild intellectual disabilty Rubrica a cura di Angelo Spataro.

Intervista di Angelo Spataro a Giacomo Stella

The first thousand days113 The 1000 Days programme in Rome: a year of work Elisa Serangeli, Flaminia Trapani, Pamela Caprioli,

Virna D’Antuono, Mara Bitetto, Alessandro Telloni, Maria Edoarda Trillò, Eliana Coltura, Giuseppe Cirillo

Scenarios116 Food in small pieces at 6 months? What about suffocation? Manuela Musetti, Maddalena Marchesi, Luisa Seletti

Stories that teach119 Talking with a child may change the relationship with

the mother Gianni Garrone, Maria Merlo, Paolo Fiammengo,

Paola Ghiotti, Chiara Guidoni, Antonietta Innocenti, Patrizia Levi, Lia Luzzato, Monica Montingelli, Paolo Morgando, Gianna Patrucco, Ivo Picotto, Danielle Rollier

Tropics in doctor’s office123 Tropics in doctor’s office: malaria Fabio Capello

Around narration127 When paediatrics meets pedagogy Michela Schenetti, Elisa Guerra, Enrico Valletta130 A proposal for a training to promote dialogue in pediatric

primary care. Psychological Scaffolding to the Doctor Patient Relationship

Maria Francesca Freda, Francesca Dicé

Off side133 Pedagogical Assonances in learning: Maria Montessori's scientific

pedagogy and Antoine de La Garanderie's mental management pedagogy

Anna Brigandì

Farmacipì136 Treatment of acute gastroenteritis vomiting in paediatric age Antonio Clavenna

Vaccinacipì137 Measles Rosario Cavallo

138 Books

140 Movies

141 Info

NORME REDAZIONALI PER GLI AUTORI I testi vanno inviati alla redazione via e-mail ([email protected]) con la dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista. Per il testo, utilizzare carta non intestata e carattere Times New Roman corpo 12 senza corsivo; il grassetto solo per i titoli. Le pagine vanno numerate. Il titolo (italiano e inglese) deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informativo e sintetico. Può essere modificato dalla redazione. Vanno indicati l’Istituto/Ente di appartenenza e un indirizzo e-mail per la corrispondenza. Gli articoli vanno corredati da un riassunto in italiano e in in-glese, ciascuno di non più di 1000 caratteri, spazi inclusi. La traduzione di titolo e riassunto può essere fatta, se richiesta, dalla redazione. Non devono essere indicate parole chiave.• Negli articoli di ricerca, testo e riassunto vanno strutturati in Obiettivi, Metodi,

Risultati, Conclusioni.• I casi clinici per la rubrica “Il caso che insegna” vanno strutturati in: La storia, Il

percorso diagnostico, La diagnosi, Il decorso, Commento, Cosa abbiamo imparato.• Tabelle e figure vanno poste in pagine separate, una per pagina. Vanno numerate,

titolate e richiamate nel testo in parentesi tonde, secondo l’ordine di citazione.• Scenari secondo Sakett, casi clinici ed esperienze non devono superare i 12.000

caratteri, spazi inclusi, riassunti compresi, tabelle e figure escluse. Gli altri contri-buti non devono superare i 18.000 caratteri, spazi inclusi, compresi abstract e bi-bliografia. Casi particolari vanno discussi con la redazione. Le lettere non devono superare i 2500 caratteri, spazi inclusi; se di lunghezza superiore, possono essere ridotte dalla redazione.

• Le voci bibliografiche non devono superare il numero di 12, vanno indicate nel testo fra parentesi quadre e numerate seguendo l’ordine di citazione. Negli articoli della FAD la bibliografia va elencata in ordine alfabetico, senza numerazione.

• Esempio: Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4. Nel caso di un numero di autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Per i libri vanno citati gli autori secondo l’indicazione di cui sopra, il titolo, l’editore, l’anno di edizione.

• Gli articoli vengono sottoposti in maniera anonima alla valutazione di due o più revisori. La redazione trasmetterà agli autori il risultato della valutazione. In caso di non accettazione del parere dei revisori, gli autori possono controdedurre.

• È obbligatorio dichiarare l’esistenza di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo.

IN COPERTINACuamm reti di cura e prevenzione fino all ’ultimo miglio, di Sofia Todero, Concorso fotografico “Pasquale Causa”, 2016

Pubblicazione iscritta nel registro nazionale della stampa n. 8949© Associazione Culturale Pediatri ACP Edizioni No Profit

EDITORIALE 97Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Se sommiamo la quantità di dati che ogni nostra azione produce giornalmente ci rendiamo conto dell’enorme volume di byte che si accumulano intorno a noi. È forse anche per questo che non pos-siamo parlare più di dati, bensì di big data. Secondo alcuni è solo un’operazione di marketing ma molti intravedono invece un nuo-vo paradigma che dominerà e regolerà l’esistenza di molti. La stampa popolare e accademica ha iniziato a utilizzare il termi-ne “big data” per descrivere la rapida integrazione e analisi su lar-ga scala; tuttavia, una chiara definizione di big data rimane sfug-gente [1]. Le modalità con le quali i big data potrebbero influenza-re il futuro della ricerca epidemiologica e degli interventi sanitari sulla popolazione sono anch’esse, al momento, poco chiare.In generale ci si è trovati d’accordo sul fatto che il fenomeno pos-sa essere principalmente descritto dalle cosiddette 3 V: volume, varietà e velocità. Il volume: termine percepito per primo fa esclusivamente riferi-mento alla mole di dati raccolti e dei record che popolano i tanti data sets in cui finiscono i nostri dati sanitari. Tecnicamente, an-che le schede di dimissione ospedaliera dovrebbero appartenere ai big data in quanto composte da milioni di record. La varietà: i dati possono presentare eterogeneità nel tipo, nella rappresentazione e nell’interpretazione semantica. Possono essere di qualsiasi natura (strutturati, semi-strutturati o non strutturati). In questo caso dovremmo pensare comunque alla possibilità di un ipotetico linkage tra sistemi informativi riguardanti ad esempio la farmaceutica, i ricoveri, l’assistenza specialistica ecc. per poter parlare di big data.La velocità: alle nuove informazioni estraibili dai dati viene spesso associata una funzione di utilità che degrada velocemente con il passare del tempo. La velocità inoltre è anche relativa al tasso di produzione dei dati. Uno degli elementi che ci fa distinguere quello di cui stiamo par-lando dai numerosi dati presenti nei nostri computer dovrebbe essere che i big data vengono generati automaticamente da ope-razioni di interazione persona-macchina (un esempio, in ambi-to finanziario, sono i dati transazionali), persona-persona (social network) e macchina-macchina (si pensi ai dati inviati dai sensori direttamente ai telefoni cellulari). Nella convenzione universal-mente accettata si associano a enormi moli di volume: si passa dai terabyte (1 tb = 1012 b) e petabyte (1 pb = 1015 b), fino ad arrivare agli exabyte e addirittura agli zettabyte. Devono presentare un tasso di produzione alto e, inoltre, possono essere di provenienza varia e talvolta non convenzionale: parliamo anche di documenti testuali, immagini, audio, video, dati da sensori o Gps.I big data, in sintesi, presentano congiuntamente le tre caratteri-stiche sopra elencate e sono la materializzazione dell’internet of things, cioè la visione secondo cui gli oggetti nel mondo informa-tizzato creano un sistema pervasivo e interconnesso avvalendosi di molteplici tecnologie di comunicazione. In pratica, parliamo di dati e flussi continui [1].Esiste poi un approccio “attivo”, che utilizza la rete per recluta-re volontari a cui chiedere informazioni circa la loro condizione di salute. Si tratta sempre di dati digitali generati tramite web

Luci e ombre dei big dataAntonio Addis, Alessandro RosaDipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, Regione Lazio, Roma

ma appositamente per scopi epidemiologici. L’approccio “attivo” è quello su cui si fonda, per esempio, InfluenzaNet, una piattafor-ma web interattiva volta a raccogliere dati sull’influenza stagiona-le – con una risoluzione geografica e temporale molto alta – per informare modelli predittivi. La sorveglianza viene condotta su una coorte di volontari che annualmente, all’inizio della stagio-ne influenzale, vengono invitati a riportare la loro condizione di salute sia che stiano bene sia che abbiano dei sintomi respiratori. Con questo approccio non si raggiungono le dimensioni dei big data, poiché il numero degli individui raggiunti con questa mo-dalità non è paragonabile ai milioni di utenti di Facebook o Twit-ter, ma il numero è tale per cui il segnale epidemiologico che si ottiene è sufficientemente accurato. Inoltre, con la modalità del-la sorveglianza partecipativa si possono ottenere informazioni da persone che non si recano dal medico in caso di febbre, ma che non hanno problemi a compilare un questionario sul web quando sono a casa da malati. InfluenzaNet è stato sperimentato per la prima volta in Olanda e in Belgio nella stagione influenzale 2003/2004. Ora viene uti-lizzato in 10 Paesi europei, tra cui l’Italia con Fondazione Isi e l’ISS, la Francia con l’Inserm e l’Inghilterra con la Public He-alth England, e ha inoltre ispirato delle piattaforme analoghe negli Stati Uniti e in Australia. Si è quindi creato un sensore digitale globale di volontari, sia dell’emisfero nord che di quel-lo sud, che ogni anno durante la stagione influenzale riporta-no il proprio stato di salute. Questo è un enorme passo avanti nella sorveglianza globale dell’influenza [1]. Tuttavia, è proprio in questo ambito che si è registrato il primo grande flop dei big data. L’attività dei motori di ricerca, quale Google che conta centinaia di milioni di utenti attivi, è stata considerata per un certo periodo come un segnale affidabile ma non sempre preciso. Google flu trends si basava sull’analisi delle ricerche fatte trami-te il motore di ricerca di Google di parole collegate ai sintomi influenzali quali febbre, mal di gola, raffreddore. Il numero di volte che gli utenti chiedevano al motore di ricerca queste infor-mazioni veniva utilizzato come specchio del numero di casi di influenza fra la popolazione. Dopo diversi inverni di mappature perfette delle epidemie influenzali, nel 2013 il sistema ha fallito clamorosamente sovrastimando i casi di influenza. Il problema è che Google usava un modello statistico impiegato per produrre previsioni da una settimana all’altra e che veniva allenato sol-tanto sui dati della stagione corrente, quando invece la dinamica dell’influenza è tale per cui si osserva sempre lo stesso andamen-to stagionale, ma se si analizza nel dettaglio si osserva che ogni stagione è diversa. Inoltre, il fatto che una persona cerchi la pa-rola “influenza” con Google non è indicativo del motivo per cui lo fa: potrebbe eseguire la ricerca perché ha l’influenza ma anche perché ne ha sentito parlare molto dai media. In pratica il flop di Google flu trends potrebbe essere imputabile non tanto alla quali-tà dei dati digitali quanto piuttosto al modello di calcolo impie-gato che non è mai stato reso noto alla comunità scientifica. La lezione è stata importante per far capire insieme alle potenzialità anche i limiti di questi sistemi [2].

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Vi sono inoltre molti aspetti che riguardano il corretto utiliz-zo di tutti questi dati e che hanno a che fare con il tema della privacy e la qualità del dato raccolto. La messa insieme di tanti dati, per quanto differenziati e in tempi molto veloci ma scor-retti, non produrrà di per sé un dato qualitativamente migliore. Insomma anche in questo caso si tratta del fenomeno garbage in - garbage out. Le possibilità di connettere sistemi diversi, combinare dati attra-verso linguaggi condivisi, trasformare il rumore di fondo in nuove e utili informazioni, aumentare i punti di osservazione sui feno-meni, rendere più efficienti in termini di tempo e spazio le rileva-zioni, sono tutti potenziali vantaggi che sembrano ora possibili. All’analisi di tutti questi aspetti e altri ancora è stato dedicaato uno degli approfondimenti del progetto Forward (http://forward.recentiprogressi.it/), un’iniziativa del Pensiero Scientifico Editore, e del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, che insie-me ad alcune aziende private ha avviato una serie di riflessioni su ciò che diventerà importante nel prossimo futuro nell’ambito del settore sanitario. In conclusione, le criticità, e le potenzialità associati ai big da-

ta per la salute pubblica sono numerose e rilevanti. Anzitutto la disponibilità di dati in tempo reale consente di monitorare co-stantemente l’evolvere per esempio di un’epidemia, o, nell’ambi-to della farmacovigilanza, di identificare segnali relativamente a eventi avversi a farmaci che possono completare la sorveglianza routinaria e la farmacovigilanza, solitamente effettuate attraverso le segnalazioni da parte degli operatori sanitari. Occorre però an-cora del tempo per separare il segnale vero dal rumore di fondo e tradurre le informazioni sempre più numerose di cui disponiamo in benessere e salute per i cittadini.

* [email protected]

1. Rosa A. Un approccio semantico. Recenti Prog Med 2106; Suppl Forward 4;S6-S7. http://forward.recentiprogressi.it/wp-content/uplo-ads/2016/11/suppl4_rosa.pdf2. Paolotti D, Rizzo C. Le impronte digitali al servizio dell’e-pidemiologia. Recenti Prog Med 2106; Suppl Forward 4;S8-S10. http://forward.recentiprogressi.it/wpcontent/uploads/2016/11/suppl4_paolotti_rizzo.pdf

Rx e TAC in bambina con dolore e segni di flogosi al tallone da alcune settimaneDi cosa si tratta?

qOsteomielite qOsteosarcoma qIstiocitosi qOsteoma osteoide

Rubrica a cura di Enrico Valletta e Martina FornaroUO di Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni - L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlí

A COLPO D’OCCHIO

Soluzione del quesito a p. 126

EDITORIALE 99Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Con i bambini e con i genitoriFederica ZanettoPresidente ACP

Developmental surveillance is “a flexible, continuous process whereby knowledgeable professionals” perform skilled observations of children during the provision of health care. The components of developmental surveillance include eliciting and attending to parental concerns, obtaining a relevant developmental history, making accurate and informative observations of children and sharing opinions and concerns with other relevant professionals.(AAP. Developmental surveillance and screening of infants and young children. Pediatrics 2001;108:192-6)

I due articoli pubblicati in questo numero della rivista in “Narra-tive e dintorni” (“Quando la pediatria incontra la pedagogia” e “Una proposta di formazione per promuovere il dialogo in pedia-tria di base. Lo Scaffolding psicologico alla relazione sanitaria”) sono motivo per rileggere con attenzione, e ancora una volta, lo statement AAP su competenze e azioni che devono riguardare anzitutto il pediatra e che connotano la consultazione “di qualità” e le azioni di promozione delle capacità genitoriali. Riferire ogni nostro intervento al singolo bambino, comunicatore attivo che partecipa del suo sviluppo e che è essere sociale con un comportamento che ha uno scopo e un valore, anche se neonato e anche se molto prematuro. Essere consapevoli che, in quanto operatori della salute, siamo mediatori cruciali di cure e opportunità, facilitatori nel bonding che si deve formare e che da subito va incoraggiato (v. anche il dossier FAD di L. Rinaldi pubblicato in questo numero di Qua-derni acp). Minimizzare la separazione già nelle TIN e sostenere la fiducia dei genitori. Sapere che il circolo della sicurezza (la base sicura) è importante anche per loro, principali determinanti dello sviluppo del loro bambino. Non rafforzare stereotipi né genera-lizzare; essere invece flessibili e disponibili a mettere in discussio-ne la routine, per trasferire conoscenze, potenziare capacità, fare emergere possibilità. Riconoscere che ogni volta che facciamo una valutazione del bambino, a qualsiasi livello, siamo all’interno di una relazione, dove entrare in maniera rispettosa, condividendo osservazioni e creando insieme significati. Perché noi lavoriamo sulle relazioni primarie, ma anche su relazioni più estese, per pro-durre esiti individuali e collettivi utili per la società intera, dove i servizi sanitari, unici servizi universali, vanno utilizzati come porta di ingresso di azioni efficaci di promozione. E dove ogni squilibrio e ogni perturbazione, all’interno e a ogni livello del si-stema, si ripercuotono da subito sul bambino (Bronfenbrenner U. The Ecology of Human Development. Cambridge: Harvard Uni-

versity Press, 1979). Valorizzare le capacità che il genitore può avere nel riparare interazioni e discordanze. E sapere che questo è importante tanto quanto il buon andamento clinico ed evolu-tivo. Cercare di capire quello che sanno i genitori e che noi non conosciamo, anche usando il comportamento del bambino come nostro proprio linguaggio. E ancora, collegare la ricerca all’advo-cacy, consapevoli che ogni aspetto che si studia e si osserva richie-de umiltà e responsabilità.Sapere che anche il processo di sviluppo professionale ha a sua volta dei “Touchpoints”, momenti/crisi di disorganizzazione e successiva riorganizzazione che aiutano a riflettere. E che “lea-dership” vuol dire: capacità di vedere il quadro più ampio a van-taggio di condivisione e collaborazioni; promuovere riflessione sul nostro pensare, piuttosto che dare per scontato assunti; ap-prezzare la realtà dell’altro anche dal punto di vista emotivo e non solo cognitivo.Questi temi, cari all’ACP, sono stati sottolineati e discussi al II Convegno Internazionale Transdisciplinare Brazelton, a Roma nei giorni 17 e 18 marzo 20171: richiami forti a ciascun operatore ad “attrezzarsi”, per affrontare con competenza ed efficacia, ogni giorno, le sfide che riguardano oggi la salute dei bambini e delle loro famiglie. Ciascuno nel proprio ambito, senza scivolare in spazi altri e non propri.Il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla re-lazione è tempo di cura, ci diceva già anni fa anche la Carta di Fi-renze (Quaderni acp 2005;12:185). Ci diceva anche che la forma-zione alla comunicazione di qualità e alla corretta informazione deve essere prevista e inserita già nell’educazione di base e poi in quella permanente dei professionisti della Sanità. Questo, lo ab-biamo capito anche a Roma, è cruciale. Per lavorare con il bam-bino e la sua famiglia, e con la loro storia. E anche per un dialogo corretto, costruttivo e competente con le altre discipline dell’età evolutiva. Un’altra sfida impegnativa che vale la pena raccogliere e affrontare.

* [email protected]

1. Comitato scientifico: Centro di Formazione Brazelton, Firenze; As-sociazione Culturale Pediatri; Associazione Natinsieme, Roma; Istitu-to di Specializzazione in Psicologia Pasicoanalitica del Sé e Psicoanalisi Relazionale; Centro per la Salute del Bambino; Direzione Salute e Poli-tiche Sociali, Regione Lazio

100 FAD Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Sintomi di esordio in età pediatrica che preludono a malattie psichiatriche dell’adultoLucio RinaldiProfessore Aggregato di Psichiatria, Università Cattolica, Roma. Responsabile dell’Area dell’Età Evolutiva e Day-Hospital di Psichiatria, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli, Roma

L’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle sue proiezioni per il 2020 ha indicato che il carico di disabilità legato ai disturbi mentali è destinato ad aumentare e che i bambini e gli adolescenti che avranno bi-sogno di un supporto psicologico o psi-chiatrico saranno il 20%. Appare in tal senso sempre più necessario individuare gli elementi essenziali per prevenire o trat-tare precocemente il disagio affinché non si organizzi in forme sempre più struttura-te e rigide, quali quelle della franca psico-patologia. Tuttavia bisogna tenere presen-te che nei bambini e negli adolescenti è sempre necessario fare un bilancio psicolo-gico tra sforzi evolutivi, processi trasfor-mativi e manifestazioni sintomatiche.

Aspetti epidemiologiciUn’indagine sulla popolazione, che ha ri-guardato 28 Paesi, il cui obiettivo princi-pale era fornire una stima della prevalenza e della distribuzione delle patologie psi-chiatriche, ha rilevato che i disturbi del controllo degli impulsi si presentano verso i 7-9 anni, per quanto riguarda il deficit di attenzione/iperattività (ADHD); verso i 7-15 anni per il disturbo oppositivo-pro-vocatorio (ODD); verso i 9-14 anni per il disturbo della condotta (CD) e i 13-21 an-ni per il disturbo esplosivo intermittente (IED). I disturbi del controllo degli im-pulsi avrebbero anche una fascia di età a rischio per l’insorgenza: per esempio l’80% di tutti gli ADHD insorge a 4-11 anni di età, mentre la stragrande maggio-ranza dei ODD e CD inizia tra i 5 e i 15 anni. In generale i disturbi d’ansia hanno un’età di insorgenza compresa tra i 5 e i 22 anni. Fobie e ansia di separazione (SAD) hanno insorgenza molto precoce, tra i 7 e i 14 an-ni. Gli altri disturbi d’ansia (disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato e disturbo da stress post-traumatico) hanno un’insorgenza successiva. L’età a rischio per l’insorgenza di un disturbo da dipen-denza da sostanze è quella compresa tra i 13 e i 24 anni. I disturbi dell’umore inizia-no a manifestarsi già intorno a 13 anni.

L’età di insorgenza della schizofrenia è compresa tra i 13 e i 23 anni.La prima causa di disabilità fra i 10 e i 24 anni d’età sono i disturbi dell’umore. Al secondo posto ci sono gli incidenti strada-li, al terzo posto la schizofrenia e al quarto il disturbo bipolare. L’uso di alcolici è al sesto posto. All’ottavo posto i tentativi di suicidio o comunque le condotte autoag-gressive. In Italia il 10% degli adolescenti, valutati su un campione di quasi 3500 studenti, presentava un disturbo mentale diagnosti-cabile.

Natura e culturaAl fine di comprendere come si struttura nel tempo il disagio mentale è necessario fare alcune considerazioni preliminari. I bambini nascono con caratteristiche tempe-ramentali e corredo genetico differenti e, se sottoposti a influenze ambientali simili, risponderanno ognuno in modo diverso, anche se possono emergere pattern comu-ni. Per esempio, i bambini che crescono in orfanotrofi, avendo scarsi contatti umani, hanno meno probabilità di conseguire buone capacità linguistiche, di stabilire un attaccamento sicuro con gli adulti o di ac-quisire una buona comprensione della mente e delle emozioni degli altri. Music, seguendo una prospettiva bioeco-logica dello sviluppo umano, ritiene che gli individui siano sempre influenzati dalla loro eredità biologica e anche dai vari si-stemi che li contengono, famiglia, scuola ecc. Già durante il concepimento, il feto riceve l’eredità genetica dei genitori ed è portatore quindi di una serie di predispo-sizioni biologiche, anche se interagisce con il suo ambiente, influenzandolo ed essen-done influenzato, sempre in modo bidire-zionale. Per esempio, una variante di un particolare gene incrementa le probabilità che un bambino sviluppi la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Tuttavia chi ha genitori poco attenti ha maggiori probabilità di svilup-pare l’ADHD rispetto a un soggetto che riceve cure genitoriali adeguate. L’eredità

genetica fa aumentare la probabilità d’in-sorgenza di ADHD, ma il tipo di genito-rialità è determinante affinché quel parti-colare potenziale genetico si esprima.

Vita prenataleStudi di Infant Research, Infant Observa-tion e le Neuroscienze ci riportano a uno sviluppo del cervello e della mente che ha inizio sin dall’epoca intrauterina e ci per-mettono di spingere ancora più indietro la nostra visione d’insieme e di pensare a una origine ancora più arcaica delle relazioni umane, che iniziano a plasmarsi sin dalle prime settimane di vita: una straordinaria continuità fra la vita all’interno dell’utero e la vita nel mondo esterno. Molti studiosi sono oramai dell’opinione che la nascita sia paragonabile a un punto in un conti-nuum all’interno di un groviglio straordi-nariamente complesso di fili fisiologici e psicologici che interagiscono, in quel mo-mento e in seguito, nella formazione del “Sé”. Oltre al corredo genetico occorre considerare l’ambiente naturale, come il grado di libertà di movimento all’interno dell’utero, la qualità della placenta, del li-quido amniotico ecc.). I “fattori” dell’am-biente naturale sono peraltro influenzati in modo rilevante dagli stati mentali consci e inconsci della madre, sono in stretta rela-zione con il suo corpo, con l’ambiente in cui lei vive e con la qualità delle cure e del sostegno che riceve. I fattori fisici ed emo-tivi nella vita della madre influenzano an-che la natura del mondo intrauterino in senso generale. Ogni gravidanza è un’e-sperienza unica e, a seconda dei fantasmi consci e inconsci sottostanti e delle fanta-sie consce predominanti, l’esperienza stes-sa della nascita verrà vissuta in modi diffe-renti. Si parla perciò della nascita di un bambi-no, con tutta una serie di competenze e di modalità nel porsi alla vita, ma anche e ne-cessariamente della nascita della mente di una madre, che sappia sintonizzarsi e ri-spondere a quel bambino in un’unione tra biologia e ambiente. Quello che un bambi-no sperimenta di positivo o negativo sarà

FAD 101Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

registrato e lascerà delle tracce. Alcune potranno essere richiamate, altre rimar-ranno non evocabili eppure attive nel cre-are nuove tracce. Esperienze positive aiu-tano la plasticità neuronale e facilitano l’assimilazione di esperienze positive. Il rapporto tra feto e corpo materno è pieno di tira e molla delicatamente bilanciati. La trasmissione madre-figlio e poi anche am-biente-bambino non riguarda quindi mai solo la psiche, ma funziona in una inter-modalità che va dalla sensorialità agli af-fetti, in un complesso sistema mater-no-placento-fetale.

Nascita e prima infanziaNegli esseri umani non c’è un tempo pre-stabilito nel quale deve avvenire il bonding, il legame primario. Gli esseri umani po-trebbero legarsi con quasi tutti i bambini, non solo i propri, e raramente il legame si stabilisce immediatamente. I legami affet-tivi nascono in seguito a cure costanti e al-la vicinanza che dura nel tempo. Il bonding è un processo graduale e reciproco, contra-riamente ad altre specie, non è immediato e può essere facilitato. L’allattamento al seno facilita il bonding e diminuisce la re-attività della donna agli stressor psicologici, probabilmente in parte grazie al rilascio dell’ossitocina, ma è anche di gran benefi-cio per il bambino. I bambini stimolano in modo attivo risposte di bonding negli adul-ti e sono predisposti a mettersi in relazione con persone e volti. Madri e bambini spesso cercano gli occhi dell’altro dopo la nascita e i neonati prefe-riscono una foto del viso materno piuttosto che quello reale di un estraneo. Ricono-scere i volti può indurre risposte positive e favorire la formazione del bonding. I neo-nati mostrano anche una chiara preferenza per la voce della propria madre. Il ritmo cardiaco del feto cambia quando ascolta una registrazione della voce della madre, ma non cambia se la voce è di un estraneo, dimostrando precoci capacità di apprendi-mento. Inoltre i bambini sono in grado di imitare gli adulti già venti minuti dopo la nascita. In alcuni esperimenti si osservano i geni-tori che tirano fuori la lingua e i bambini che guardano con attenzione e, dopo mol-ti sforzi, imitano i genitori tirando fuori la lingua anche loro. Neonati di soli due giorni sanno imitare tutta una serie di espressioni facciali come sorridere, acci-gliarsi e mostrare sorpresa. Imparano a imitare presto anche suoni e gesti e produ-cono più suoni simili al linguaggio quando la madre sorride, specialmente quando il sorriso è sincero, quello che alcuni chia-mano sorriso Duchenne. Attraverso l’imita-zione e grazie al fatto che ricevono risposta

ai propri segnali, i bambini imparano che sono in grado di produrre effetti sugli altri e cominciano a sviluppare un certo senso della loro capacità di agire (agency) e a pro-vare piacere per ciò che riescono a far acca-dere. I bambini di due mesi scalciano di più se vedono un effetto del loro gesto, co-me far muovere un oggetto sincronica-mente con i loro gesti: ciò viene chiamata contingenza, ma non scalciano con lo stes-so vigore quando l’oggetto si muove indi-pendentemente da loro. I bambini perce-piscono gli altri come partner interattivi e cominciano le cosiddette danze reciproche e hanno bisogno di un caregiver empatico, che interagisca con loro, per sviluppare pienamente capacità relazionali più com-plesse.Se nel primo anno di vita i bambini ango-sciati sono presi in braccio e tranquillizza-ti, piangono meno degli altri negli anni successivi, poiché sperimentano che le loro emozioni sono tollerate, contenute, modu-late e imparano a non esserne sopraffatti. La madre non porta solo le sue qualità nu-tritive e amorevoli, ma anche il suo sé pen-sante, stati mentali ed emotivi che, rispet-to al caos della vita psichica nel neonato, rappresentano una pre-condizione verso capacità più interconnesse, per un Sé più integrato. Bion parla di “seno pensante” intendendo la capacità materna primaria di nutrire, metaforicamente, fornendo una qualche forma ai “pensieri” rudimentali del neonato (inizialmente insieme confuso di impulsi e sensazioni). In un sano svilup-po emotivo il neonato deve fare esperienza di un oggetto (spesso la madre), capace di accogliere una massa di sensazioni, senti-menti e disagi ai quali il bambino non è in grado di dare un nome e che quindi è inca-pace di elaborare nel pensiero. La funzio-ne di tale oggetto, definita da Bion “fun-zione alfa” o “rêverie”, è quella di tenere nella mente, dare un significato, rendere pensabili quei sentimenti anche per il bambino. Per adempiere questa funzione è necessario che l’oggetto sia in grado di tol-lerare il dolore psichico, che il bambino in-vece non può tollerare. Dopo ripetute esperienze di questo tipo di contenimento, il bambino può interiorizzare tale funzio-ne e acquistare così gradualmente la capa-cità di elaborare la propria angoscia all’in-terno del proprio spazio mentale. Bion de-scrive il processo che ha luogo quando chi presta le cure al bambino (il caregiver) è inaccessibile e non è disponibile ad acco-gliere le proiezioni dei bambini. Le proie-zioni che non vengono accettate ritornano al bambino, sotto forma di “terrore senza nome”.L’adeguatezza delle cure parentali, la de-pressione materna, i precoci processi psi-

co-sociali influenzano lo sviluppo psi-co-somatico del bambino. Bassi livelli di calore e di sostegno genitoriale, tanto quanto il rifiuto e l’ostilità materna, sono associati a depressione infantile e adole-scenziale. Le anomalie nei bambini appaiono preco-cemente e si manifestano sotto forma di problemi caratteriali: indifferenza sociale, ridotta attività, irritabilità e ipersensibilità eccessive. La sensibilità della madre agli stati d’animo del figlio diventa determi-nante e agisce quindi come regolatore di tensione per il bambino. Dunque, un am-biente di handling “attivo e adattivo” con-tribuisce all’integrazione degli stati corpo-rei e mentali, strutturando il processo di personalizzazione, permettendo che il pic-colo possa sentire fin dal principio la psi-che come parte del corpo, in un’esperienza di continuità dell’essere.Tutto ciò si potrà verificare, ovviamente, partendo da un patrimonio innato, che potrà esprimersi sulla base delle esperien-ze che il bambino andrà facendo, in rela-zione con la qualità del rapporto con l’am-biente e risentendo a sua volta dei percorsi psichici dei genitori e delle figure familia-ri in generale. Gli Autori spiegano anche come l’organizzazione del Sé, la regola-zione affettiva (che è fondata sulla capacità del bambino di comprendere il comporta-mento interpersonale in termini di stati mentali) e la funzione di mentalizzazione vengano acquisite nell’ambito delle prime relazioni di attaccamento. Normalmente la mentalizzazione ha luogo attraverso l’e-sperienza del bambino di riflessione sui suoi stati mentali, attraverso il gioco sicu-ro con un genitore o un bambino più gran-de, ma può essere gravemente compro-messa nelle relazioni di attaccamento di-sorganizzate, con importanti implicazioni cliniche.

AdolescenzaL’adolescenza è un percorso esistenziale promosso da un basilare rimodellamento dei sistemi omeostatici, che caratterizzano il funzionamento di cervello, apparato or-monale, genitale, muscolo-scheletrico. Si deve quindi guardare ai fenomeni dell’ado-lescenza in termini di ricerca di equilibri possibili, durante le modificazione dell’as-se ipotalamo-ipofisi-gonadi, dell’asse ipo-talamo-ipofisi-surrene, dell’apparato mu-scolo-scheletrico, della corteccia cerebrale. Siamo stati per molto tempo portati a con-siderare i fenomeni emozionali e i com-portamenti dell’adolescenza come legati a trasformazioni identitarie, che coinvolgo-no l’assetto delle relazioni familiari e si estendono al mondo dei pari. Questa vi-suale del mondo delle relazioni ha permes-

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so di comprendere molte dinamiche adole-scenziali e di dare senso alle disarmonie. Le trasformazioni relazionali sono state considerate espressione e conseguenza di un processo di rimodellamento e di ridefi-nizione di costellazioni intrapsichiche, prima tra tutte quella edipica. I sintomi in adolescenza – e in particolare quelli che trovano in varie forme il luogo di espressione nel corpo – possono essere possibilità, occasione e opportunità per rendere contenibili pressioni emozionali e anche processi che permettono di costruire nuovi assetti per passare attraverso i feno-meni adolescenziali. In tal senso è fonda-mentale il ruolo che possono svolgere co-loro che incontrano i sintomi dell’adole-scenza (pediatri, ginecologi, psicologi, psichiatri, insegnanti ecc.) nel sostenere l’aspetto costruttivo e il processo di ricerca insito anche nel sintomo più eclatante o preoccupante. Aspetti centrali in questa prospettiva di approccio al sintomo sono la multidisciplinarietà, la collaborazione tra specialisti, l’integrazione delle cono-scenze. Il corpo impone all’adolescente nuove sco-perte (prima tra tutte la nuova forma della sessualità), rendendo un poco diverso e sconosciuto l’adolescente a se stesso (e an-che agli altri) e tracciando un percorso in continua trasformazione: è il luogo in cui si rende tangibile il cambiamento. Gli adolescenti – dopo la crisi puberale – cer-cano continuamente di fare i conti con questo luogo di confine in cambiamento, che tentano di fare proprio, di padroneg-giare. Il fatto di segnarlo, scolpirlo, tentare di modificarne forme e dimensioni, sem-bra indicare la necessità di recuperare la possibilità di controllo o quanto meno la necessità di non sentirsi dominati. Anzi è al corpo che viene affidato, in forme più o meno pittoriche (come accade per esempio con il colore dei capelli e le pettinature) o in forme più o meno simboliche (come ac-cade per esempio nella scelta di un tatuag-gio o di un piercing), il compito di “essere in qualche modo”, quando si è alle prese con il ci-mento di diventare qualcuno.Il corpo può anche diventare il luogo in cui gestire l’eccesso di difficoltà nel fare e nel-lo sperimentare l’adolescenza. In questa oscillazione tra un corpo che permette un ancoraggio in una fase caratterizzata dalla precarietà del senso di identità e di un cor-po che serve nel sospendere, nell’inter-rompere o nel modulare la spinta propulsi-va dell’adolescenza, debbono essere inqua-drati i sintomi che riguardano il corpo in adolescenza. Quando parliamo di sintomi che riguardano il corpo possiamo intende-re un insieme di manifestazioni che lo coinvolgono, lo segnalano, lo impongono

e che possono riguardare la compromis-sione o l’eccesso di una funzione cerebrale, dalle manifestazioni di tipo dissociativo, che comportano un impoverimento delle funzioni integrative, alle riduzioni di fun-zioni modulatrici, come avviene nel di-scontrollo degli impulsi. In tutte queste declinazioni dell’adole-scenza possiamo cogliere sia i segnali di un fallimento che quelli di una potenzialità, di una possibilità. Chi ne registra i segnali può scegliere se valorizzare maggiormente l’aspetto deficitario e disarmonico o co-glierne la potenzialità evolutiva e costrut-tiva. Di fronte all’impasse evolutiva, alla difficoltà nel proseguire, il sintomo del corpo o attraverso il corpo può essere di supporto al compito evolutivo imposto dalle trasformazioni somato-psichiche dell’adolescenza. Il sintomo, se non com-preso o non trasformato, può diventare – nel tempo – un modo persistente del fare la vita e quindi diventare una forma stabile di psicopatologia.

Fattori di rischio di disagio psicologico nei bambiniLe ricerche degli ultimi trent’anni hanno confermano l’intreccio di fattori causali ambientali e innati nella genesi di molti disturbi psicopatologici. Le predisposizio-ni genetiche sono attivate dall’esposizione a fattori ambientali, che possono ridurre o annullare la resilienza, cioè la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficol-tà e quindi di rendere tollerabili le espe-rienze traumatiche del bambino nei con-fronti dei fattori avversi. Lo scambio che l’individuo conduce con l’ambiente, a sua volta, può determinare un’espressività più accentuata del patrimonio genetico su-scettibile a determinati stimoli.Studi più recenti indicano una diretta in-fluenza dell’ambiente sull’espressività del patrimonio genetico; alcune nuove cono-scenze sulle malattie mentali derivano proprio dallo studio delle modificazioni epigenetiche che concorrono ad alterare il sistema nervoso. L’esposizione a fattori di rischio psicosociale può portare a modifi-cazioni biologiche del SNC, soprattutto nei primi due-tre anni di vita del bambino. Ne consegue che l’ambiente creato dal contesto familiare può determinare effetti profondi su tutti gli aspetti dello sviluppo, dallo stato di salute alla nascita all’acquisi-zione delle competenze necessarie per af-frontare la scuola e l’apprendimento o per sviluppare le relazioni più complesse delle età successive.Solide evidenze scientifiche sottolineano quanto il sistema di attaccamento sia coin-volto in questi processi. Se i primi due an-

ni di vita sono caratterizzati da un attacca-mento sicuro, dall’accrescimento delle competenze, da un ampio sviluppo della funzione riflessiva e dalla mentalizzazio-ne, allora il bambino che cresce si ricono-sce, può apprezzare e discriminare le pro-prie emozioni e i propri sentimenti e di conseguenza le emozioni e i sentimenti al-trui, può considerare il punto di vista dell’altro ed è quindi capace di trarre pieno vantaggio dall’educazione, costruendo una resilienza psicologica da mettere in gioco in caso di esperienze stressanti. Tali individui, crescendo, riusciranno pro-babilmente a far fronte in maniera positiva agli eventi critici e a riorganizzare costrut-tivamente il proprio comportamento di-nanzi alle difficoltà; allo stesso tempo ri-marranno sensibili alle opportunità positi-ve che la vita offrirà loro riuscendo, nono-stante tutto, a fronteggiare efficacemente le difficoltà, i lutti e i conflitti.La funzione mentale della resilienza può, in effetti, essere valutata come un indice adeguato dello sviluppo dell’apparato psi-chico. Le comunicazioni affettive all’in-terno della relazione di attaccamento faci-litano la maturazione delle aree del SNC coinvolte sia nella regolazione affettiva che nell’auto-regolazione. Il bambino che ha vissuto esperienze di abuso e trascura-tezza ha alte probabilità di crescere nell’incapacità di fidarsi nelle relazioni, nella difficoltà di provare empatia per gli altri o di rispettare i ruoli sociali, mo-strandosi pronto anzi a distruggere, attac-care e cercare di dominare tutto quello che può essergli offerto a casa e a scuola e, dunque, vulnerabile a futuri problemi di salute mentale.Un divario troppo grande tra i bisogni del bambino e le cure genitoriali comporta una carenza di base che può tradursi in un attaccamento disturbato. A loro volta al-cuni modelli di attaccamento disturbato, influenzando direttamente l’espressività genetica e la maturazione del SNC, sono invariabilmente associati a esiti psicopa-tologici dal significativo impatto sociale (disturbi di personalità, uso di sostanze, comportamenti antisociali, disturbi del comportamento alimentare, disturbi della condotta) e alla facilitazione dell’espressi-vità di malattie mentali a forte base gene-tica (disturbo bipolare, depressione mag-giore). Le capacità di accudimento e gli stili genitoriali agiscono allora non solo come elementi costitutivi della relazione genitore-figlio, generando e influenzando costantemente il clima affettivo, ma an-che come veri attivatori del patrimonio genetico. I principali fattori di rischio, responsabili di alterazioni delle prime relazioni e di fal-

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limenti nello sviluppo psico-emozionale tali da condurre alla psicopatologia, sono ormai noti e costituiscono un elemento imprescindibile per orientare gli interventi di prevenzione. Tali fattori possono essere divisi in due grandi aree: la prima riguarda la vulnerabilità e/o la patologia del caregiver o delle figure di riferimento, la seconda re-lativa alle caratteristiche e agli eventi signifi-cativi o critici nella loro storia.Per quanto riguarda le condizioni genito-riali correlate a sviluppi patologici della prole, le più significative sono le seguenti:yDepressione genitoriale (non solo ma-

terna) perinataleyPsicosi o grave disturbo di personalità

dei genitori, in particolare della madre;yDisturbo del comportamento alimen-

tare della madreyUso materno di alcol e sostanze (in par-

ticolare cocaina)yPrecedente morte fetale o perdita di un

bambino piccoloyEsposizione dei genitori a maltratta-

menti, traumi e violenze nell’infanzia;yMaternità adolescenziale senza supportoyRelazioni insoddisfacenti tra i genitori

(disfunzione genitoriale)yCondizioni abitative e lavorative pre-

carieyBasso livello socio-culturale

Evidenziando l’effetto potenziante della combinazione di più condizioni infantili capaci di esporre al rischio di un disturbo psicopatologico successivo, i più noti fatto-ri di rischio specifico nei bambini sono:yMinorazione sensoriale o disabilità

evolutivayBasso peso alla nascitayEventi gravemente sfavorevoli (perdita

di un genitore ecc.)yMaltrattamento e abusoyRivalità accentuata tra fratelli (fratrie

molto numerose)yComportamenti devianti dei pari (com-

portamenti antisociali, uso di sostanze, violenza, bullismo e abuso)

yMancata disponibilità di cure e di dia-gnosi

yDisturbi dello spettro autisticoyRitardo mentaleyBasso QIyBassa autostimayTemperamento difficileyRitardi specifici dello sviluppo (es. lin-

guaggio)yInsuccesso scolasticoyMalattie organiche

Esperienze sperimentate dai bambini:yBullismoyDeprivazione socialeyInfluenze socio-culturali

Indicatori precoci di una possibile evoluzione psicopatologica I disturbi dell ’attaccamento e i disturbi della regolazione in età prescolare rappresentano gli indicatori singoli più potenti di uno sviluppo alterato. I bambini con pattern di attaccamento disturbato, infatti, manife-stano spesso difficoltà importanti nelle re-lazioni sociali e nell’apprendimento, per la loro tendenza a esternalizzare o interioriz-zare invece che a mentalizzare, costituen-do una parte importante della popolazione che richiede interventi educativi speciali, con un costo rilevante in termini di assi-stenza sociale e sanitaria sin dai primi tempi.Riguardo all’area dei disturbi del compor-tamento alimentare possiamo considerare come, fin dai primordi, la relazione del ne-onato con la madre avvenga attraverso il corpo, in particolare, mediante il canale orale-digestivo e successivamente con gli apparati e le funzioni, che vengono coin-volti nel corso della evoluzione del bambi-no. Così mangiare, digerire, sputare, vo-mitare, diventano il veicolo espressivo di emozioni, sentimenti positivi, tranquilliz-zanti o frustranti e angoscianti; l’avvicina-re-allontanare, rifiuto-accettazione, trat-tenere-espellere rimarranno come modelli di relazione fin quando non verranno svi-luppati e accettati, divenendo meccanismi “mentalizzati”, per affrontare i propri con-flitti. Se lo sviluppo invece ne sarà carente, questi modelli rimarranno prettamente espressivi e relazionali ed entreranno in una dimensione patologica. Il disturbo sul corpo o mediante il corpo, pertanto, si va a instaurare là dove la sofferenza psichica, non percepita e relegata nell’inconscio, va a minare l’integrità fisica e più sono forti la difesa e la rimozione della sofferenza psi-chica, più è grave e profondo l’attacco al corpo. Per l’anoressia è stata individuata una fascia di popolazione sottoposta a un maggior ri-schio, cioè le ragazze dai 12 ai 18 anni ap-partenenti a classi sociali medio-alte. L’au-mento di incidenza ha una distribuzione bi-modale con un picco a 14,5 anni e un altro a 18 anni; questo tipo di situazione è simile in tutti i Paesi occidentali e questo dato conferma l’influenza di fattori socio-eco-nomici. A questo fenomeno si accompagna una notevole precocità d’esordio, assente nel passato, che ha fatto osservare l’emer-genza di tali patologie in una nuova fascia di soggetti a rischio. Si può attualmente ipotizzare che le prime avvisaglie della pato-logia anoressica siano da riconoscere tra gli otto e i dieci anni anche per quei casi che si ma-nifestano più tardi.Nei bambini e nei pre-adolescenti il disa-gio che può fare da prodromo ai disturbi

alimentari si esprime in comportamenti che nell’adulto appaiono secondari:yIl modo in cui mangiano (spesso la len-

tezza):- Esclusione di alimenti- Ingestione di acqua- Sminuzzamento del cibo- Attività fisica- Uso frequente del bagno

yma soprattutto:- Sbalzi d’umore- Difficoltà nelle relazioni sociali- Insofferenza - Irrequietezza

Per quanto concerne la bulimia si è visto che non esisterebbe una correlazione si-gnificativa tra la ricerca spasmodica di una dieta in età adolescenziale e lo sviluppo della patologia bulimica ma piuttosto vi sarebbe una correlazione significativa tra sintomi depressivi e rischio di sviluppo di patologia bulimica e binge eating. Per lo sviluppo di un disturbo alimentare sarebbero comunque in ogni caso molto importanti il sentimento di vergogna con as-sociata riduzione dell ’autostima e tendenza al controllo, la presenza di comportamenti au-tolesivi e un alto indice di insoddisfazione corporea. I disturbi del comportamento ali-mentare si presenterebbero come tentativo patologico di risoluzione di problematiche evolutive, esitando in forme più o meno gravi di scollamento dalla dimensione del reale.I pochi studi longitudinali sui predittori dei disturbi d’ansia, in particolar modo gli attacchi di panico, si sono per lo più con-centrati sui problemi di internalizzazione (problemi emotivi, per esempio ansia, de-pressione, altri disturbi dell’umore). La sensibilità, l’ansia, così come l’ansia da se-parazione sono state associate a un aumen-tato rischio di attacco di panico con l’in-sorgenza in adolescenza. È stato anche evidenziato come, oltre a sintomi interio-rizzanti, sia importante studiare altri pro-blemi di salute mentale come i sintomi di esternalizzazione (problemi comporta-mentali e disturbi della condotta, ad esem-pio il disturbo oppositivo provocatorio). L’associazione trovata tra i problemi socia-li e la comparsa di attacchi di panico può essere il risultato di una spirale verso il basso che, a partire da scarse abilità socia-li e difficoltà nelle relazioni tra pari, può portare ad ancora più bassa fiducia in se stessi e a sentimenti di mancanza di con-trollo e di impotenza. Tuttavia, può anche essere espressione di trasmissione genetica della vulnerabilità dai genitori ai propri fi-gli o della interazione gene-ambiente. Studi trasversali dimostrano che gli adulti con attacchi di panico hanno problemi

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nelle relazioni con gli altri che possono portare alla trasmissione di abilità sociali meno sviluppate per la loro prole, even-tualmente con conseguenti problemi so-ciali nei bambini.Rispetto all’area delle psicosi, è stato evi-denziato come gli individui ad alto rischio clinico (CHR) per la psicosi rappresentino un gruppo eterogeneo con un alto tasso di disturbi psichiatrici concomitanti. Diversi studi hanno riportato bassi livelli di fun-zionamento tra gli individui che sono ad alto rischio per psicosi o nella fase premor-bosa della psicosi. Tuttavia processi che porterebbero alla psicosi, derivanti dalla genetica, da fattori ostetrici e da fattori ambientali, potrebbero non essere predit-tori specifi ci soltanto della schizofrenia, ma di un’ampia tipologia di disturbi clini-ci. I bambini con un più basso livello di funzionamento e di regolazione in area scolastica, di capacità relazionale tra pari e di funzionamento sociale, potrebbero eventualmente sviluppare sintomi psicoti-ci da giovani adulti. I bassi livelli di fun-zionamento e dis-regolazione nei primi stadi di sviluppo potrebbero essere indica-tivi di tratti di vulnerabilità di questi indi-vidui a presentare sintomi psicotici in fu-turo, così come altri problemi di salute mentale non psicotici. È emersa qualche evidenza da studi longitudinali secondo i quali i defi cit di linguaggio recettivo, di comunicazione e di defi cit cognitivi nell’infanzia potrebbero essere in partico-lare associati allo sviluppo futuro della psicosi, mentre i defi cit nello sviluppo emotivo e sociale/interpersonale potreb-bero essere predittori comuni di psicosi, depressione, disturbi bipolari e disturbi d’ansia. Elementi predittivi signifi cativi sono: yDeficit nelle abilità motorie

yDeficit di memoriayDeficit di attenzioneyIsolamento socialeyDisturbo dello sviluppo del linguaggio

I disturbi dell’umore sono il risultato complesso dell’interazione tra genetica, epigenetica e fattori di rischio ambientale. Studi sui gemelli hanno stabilito che fat-tori ambientali di rischio hanno un eff etto indipendente dalla possibilità di sviluppa-re disturbi dell’umore, al di là della suscet-tibilità genetica. Dal momento che dalla nascita a circa 7 anni di età i bambini van-no incontro a una maggiore maturazione del cervello nelle regioni critiche legate al-la regolazione emotiva e cognitiva, tutti i fattori stressanti durante questo periodo possono avere eff etti negativi durevoli at-traverso alterazioni nella struttura e nella funzione del cervello. Indicatori precoci di una possibile evoluti-vità verso la depressione sarebbero:yIpo-reattivitàyDisregolazione emozionaleyProblemi interpersonaliyIsolamento sociale per scarse capacità

di mentalizzazione yBassa autostimayAnsia da separazione yRuminazione

Il disturbo bipolare si presenta tipicamen-te con episodi depressivi dopo la pubertà. In alcuni bambini ad alto rischio, disturbi del sonno e ansia precedono disturbi dell’umore per diversi anni e rifl ettono una maggiore vulnerabilità. Disturbi del ritmo circadiano e disfunzioni immunitarie sono associati ai disturbi dell’umore e possono essere indicatori di vulnerabilità infl uen-zati da questi altri fattori di rischio. Un modello di stadiazione clinica (Figura 1),

che descrive la storia naturale del disturbo bipolare, è quello di Duff y del 2015. Eventi negativi nelle prime fasi di vita, compresa l’esposizione in età precoce a psicopatologia dei genitori, le interazioni disturbate madre-bambino e i traumi co-me l’abuso e la negligenza, svolgono un ruolo signifi cativo nel rischio di disturbo bipolare e possono contribuire a una pro-gnosi peggiorativa. I processi psicologici specifi ci implicati nel disturbo bipolare, che potrebbero fornire promettenti obiet-tivi di intervento precoce, sono l’impulsi-vità, il rapporto ricompensa-obiettivo, la ruminazione e lo stile cognitivo. Diversi studi concordano sulla defi nizione degli indicatori precoci dell’evolutività verso i disturbi bipolari:yIper-reattivitàyDeficit della capacità di attenzioneyImpulsività e difficoltà di controllo del

comportamento yDisturbo d’ansia e attacchi di panico yDisturbi del sonno yScarsa tolleranza alla frustrazione yDifficoltà nella pianificazione e nel

problem solving yAlterazione dei meccanismi di reward

Conclusione: individuazione precoce degli indicatoriAppare in conclusione evidente che l’indi-viduazione di segnali precoci del disagio psichico non può prescindere dall’osserva-zione delle forme delle relazioni nelle qua-li il bambino è immerso. In particolare è importante osservare come la madre (e il padre) intervengano nel contenere e mo-dulare gli stati aff ettivi del bambino e por-re attenzione a quei segnali sfumati e non strettamente indicativi di un disturbo cli-nico (es. depressione materna), che però possono far pensare a una mancanza di

Modello di stadiazione clinica della prole di genitori bipolari (livello sindromico)

Solo nei bambini con genitori bipolari

Infanzia

Stadio 0 Stadio 1 Stadio 2 Stadio 3 Stadio 4

Adolescenza Età giovane-adulta

Sano

Ansia

Sonno

Regolazione e disturbo

minore dell’umore

Depressione maggiore-singolo episodio

Depressione ricorrente

Bipolare I

Bipolare II SchizoBD*Disturbi

dello sviluppo*

*Prole non sensibile al Litio

Figura 1. Stadi progressivi del Disturbo Bipolare, Duffy et Al. (2015) Early identification of recurrent mood disorders in youth: the importance of a develop-mental approach. Evid Based Ment Health 18:7–9.

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sintonizzazione, a un’incoerenza nel for-nire le cure al bambino. Si pensi a madri distaccate, disattente, che non mostrano orgoglio per i piccoli progressi del proprio neonato, che colgono solo segnali negativi oppure, viceversa, rispondono solo agli stati affettivi positivi del bambino; madri eccessivamente ansiose e costantemente preoccupate per sintomi fisici e comporta-mentali. Bisogna considerare, inoltre, la qualità della presenza paterna sia nella sua potenzialità protettiva della diade ma-dre-bambino, sia per le modalità con le quali partecipa alla costruzione dell’iden-tità del bambino. In tal senso potremmo dire che i segnali predittivi precoci sono da individuare nei comportamenti e nelle espressioni del bambino ma anche nella qualità delle presenze materne e paterne intorno a lui.La conoscenza di queste nozioni di base è bagaglio culturale necessario per il pedia-tra di famiglia per potergli facilitare la ne-cessità di un invio e per poter collaborare al sostegno del paziente con la sua famiglia durante il prolungato follow-up che la ma-lattia può richiedere.

* [email protected]

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DALLA PREFAZIONE DI GIANCARLO BIASINI AL LIBRO DI CARLO CORCHIA

Denatalita in ItaliaDa dove veniamo e dove stiamo andando

di prossima pubblicazione per iod edizioni

La collaborazione di Carlo Corchia con Quaderni acp è la più lunga e costante che la rivista abbia avuto. Inizia con il primo numero (Quaderni acp 1994;1:15.16). Carlo era a quei tempi ricercatore presso l’Istituto di Clinica Pediatrica dell’Università di Sassari. Prima che diventasse Responsabile dell’Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale di Cosenza e poi direttore dell’Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.Ci eravamo conosciuti alle prime giornate di Varenna del 1990 e poi del 1992 e poi ai corsi residenziali di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità. Trovo, in un lucido del tempo, che il primo problema che ci si poneva all’interno della nostra associazione era la “maggiore comprensione possibile dei fenomeni clinici così come apparivano”.Nessun tema che trattasse o che lo interessasse finiva con quello che lui aveva scritto; cercava interlocutori su tutto e con tutti e all’interno della rivista per la quale scriveva ne trovava. E’ questo che ci manca e sempre ci mancherà. Specialmente quel suo modo di concludere i dubbi con un Ci lavorerò nei prossimi giorni. Che era un impegno per lui e per noi una attesa.

INFOGENITORI106 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Emozioni… e ancora emozioni

Emozioni, emozioni, emozioni, non si sente parlare d’altro. In TV, sui giornali, nei dibatti e nelle pubblicità l’emozione è sempre al primo posto. Siamo sommersi da messaggi pubblicitari che utilizzano l’emozione per vendere ogni cosa. «Se mi sento emozionato, allora quella cosa va bene».Ma l’emozione che cosa è? E perché l’emo-zione è così importante per la mente e il corpo di una persona?L’emozione, in termini tecnici, è una atti-vazione di circuiti del nostro cervello che porta a un cambiamento del corpo, a mo-difiche del nostro comportamento e alla costruzione di un’esperienza nella mente della persona. In breve, a seguito di ogni esperienza cui siamo sottoposti e che arri-va alla nostra coscienza, la mente produce una risposta del corpo (ad esempio: sudo-re, tremore…), un comportamento (sorriso o pianto, prepararsi a una fuga o a un ab-braccio….) e una percezione mentale di ciò che sta accadendo. Quindi, per ogni espe-rienza che viviamo, si genera un’emozione che ci dice se dobbiamo prestarle attenzio-ne oppure se possiamo ignorarla. Tutte le emozioni prodotte dalla nostra mente e dal nostro corpo ci permettono di conoscere il mondo. Le emozioni sono es-senziali per agire secondo ragione e per ri-spondere in modo appropriato a tutto quel-lo che accade intorno a noi. Ogni appren-dimento, ogni conoscenza, ogni nostro ra-gionamento è guidato da una emozione. Facciamo un esempio: il papà è seduto sul lettino, piegato in avanti, guarda la sua bambina di 4 mesi, cantandole delle silla-

be «ba ba ba ta tà». La bambina è sveglia, tranquilla, lo guarda negli occhi e osserva la mimica del volto del papà, e ascolta il motivetto che esce dalle sue labbra. La mente della bambina raccoglie tutte queste percezioni e manifesta un’emozione posi-tiva di curiosità e gioia: il battito del cuore è calmo, il corpo è rilassato, i muscoli del-le piccole braccia si preparano a tendersi in avanti e quelli delle gambe si preparano a sgambettare. La bambina, attraverso la sua risposta emotiva, ha definito uno stato fisiologico, ha predisposto il suo compor-tamento. La piccola ha iniziato a comuni-care con il papà facendogli osservare il suo stato emotivo attraverso i movimenti del suo corpo e l’espressione del suo volto. In questo modo ha dato un senso a questa esperienza soggettiva. Quante cose im-portanti in un semplice scambio di sguardi e di sillabe cantate! A questa tenera età, poi, si osserva anche qualcos’altro di molto importante: lo scambio di emozioni e affetti che costitui-sce il mezzo con cui il bambino si mette in relazione, ma che rappresenta anche il contenuto delle prime forme di comunica-zione. Infatti, se il genitore, o chi accudi-sce il bambino, non esprime affetto, un sentimento positivo, un sorriso, e non è di-sponibile ad ascoltare e rispondere, non solo al sorriso, ma anche al pianto, non può esserci una comunicazione efficace. Affinché il bambino impari a riconoscere le proprie emozioni è necessario che abbia di fronte la mamma o il papà che lo guar-dino e che interagiscano con lui o lei attra-verso un gioco continuo di ripetizioni e imitazioni reciproche. Il fissarsi reciproco degli occhi tra bambino e genitore, l’osser-vare i movimenti della bocca e del corpo dell’adulto che canta o parla in risposta al-le proprie espressioni, aiutano il bambino nello sviluppo della propria consapevolez-za. Il bambino piccolo impara parlando, giocando e cantando insieme ai suoi geni-tori, in questi preziosi momenti gli stiamo facendo un dono enorme: la capacità di ap-prendere. Il bambino, come l’adulto, sperimenta tan-te diverse emozioni nel corso della giorna-ta. Nel primo anno di vita riesce a regolare

le proprie reazioni emotive solo con l’aiuto del genitore o di chi lo accudisce, soprat-tutto in caso di stati emotivi negativi, co-me ad esempio in un momento di pianto. Ecco perché è importante consolare un lattante che piange in risposta a una situa-zione difficile. Con la crescita poi, dopo aver imparato a calmarsi con l’aiuto del ge-nitore, il bambino gradualmente capisce che anche da solo può essere capace di controllare una emozione intensa. Quando il bambino, in genere dopo i 2 an-ni, avrà iniziato a parlare con brevi frasi, potrà utilizzare il linguaggio per definire una emozione: “Paura buio stanza”. Il riu-scire a dire queste parole per descrivere la propria esperienza e dare un nome a quello che vede promuove lo sviluppo della com-prensione delle emozioni. Possiamo aiutare il bambino ad arricchire le sue esperienze emotive e a comprendere quelle degli altri? Sì. La mamma o il papà o chi lo accudisce possono conversare con lui o lei raccontan-do le proprie esperienze, o ascoltando quel-le del bambino, e suggerendo, se necessa-rio, un nome per descrivere lo stato d’ani-mo vissuto in quella particolare situazione. A volte può essere difficile raccontare, in questi casi il modo migliore per comunica-re è quello di leggere insieme un libro che racconti una storia adatta alla sua età e al suo stato d’animo. Fin dai 6 mesi di vita è consigliato un libro con i volti o con le filastrocche; dopo i due anni si passa alla lettura di storie con testo semplice, affiancato da belle immagini che raccontano avventure di animali o umani, dove vengono espresse emozioni di gioia, paura, rabbia e tristezza. Durante la lettu-ra il bambino può rivivere le sue emozioni, specie se chi legge insieme a lui lo aiuta a diventare parte della storia: “capita anche a te di non voler andare a dormire come fa la tartaruga?”, “cosa pensi che combinerà ora questo dinosauro pauroso?”. Nel caso di bambini più grandicelli le sto-rie potranno rappresentare emozioni più complesse, come la vergogna, la gelosia, l’imbarazzo e tanto altro ancora.

* [email protected]

Costantino Panza*, Stefania Manetti**, Antonella Brunelli*** *Pediatra di famiglia, Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia); **Pediatra di famiglia, Piano di Sorrento (Napoli); ***UO di Pediatria e Consultorio familiare, Cesena-AUSL della Romagna

… La mia facciala tua facciarotondetta e stupefatta

la mia boccala tua bocca ridarella e gioia sciocca!....

L. RuifernandezLe due sorelleBacchilego Junior Editore, 2017

RESEARCH LETTER 107Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Le comunicazioni orali presentate dagli specializzandi al Congresso Tabiano XXVI

Pubblichiamo in questo numero 4 delle 6 comunicazioni orali presentate al congresso di Tabiano, le altre due saranno pubblicate sul numero 4 di “Quaderni acp”

Otite media acuta e atassia: un insolito sospetto!Anna Gioachin1, Natalia Borraccetti1, Monica Sprocati2, Giuseppe Maggiore1,

Maria Rita Govoni2

1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Ferrara; 2Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara

In età pediatrica la trombosi del seno sig-moideo è una complicanza endocranica rara dell’otite media acuta. La mortalità e la morbilità a essa connesse sono drastica-mente diminuite grazie all’antibioticotera-pia, che tuttavia non è sufficiente ad azze-rare il rischio di complicanze endocrani-che. Riportiamo a questo proposito il caso di Giulia (nome di fantasia).

Caso clinicoGiulia, 3 anni, si presenta in Pronto Soc-corso perché da poche ore mantiene la po-sizione eretta con difficoltà e ha evidente sbandamento della marcia. Alla valutazio-ne obiettiva Giulia è febbrile (T 38,6 °C), ha tosse e iperemia tonsillare senza essuda-to, reperto toracico normale. All’otoscopia non sono valutabili le membrane timpani-che per la presenza di abbondanti secrezio-ni nel condotto uditivo esterno; la palpa-zione del trago di destra evoca dolore, non sono presenti segni di mastoidite (edema, eritema retroauricolare) né estroflessione del padiglione.L’obiettività neurologica rileva una marca-ta atassia senza deficit neurologici focali o di forza. Approfondendo l’anamnesi sco-priamo che Giulia è in terapia con amoxi-cillina/acido clavulanico da 24 ore per un’otite media effusiva bilaterale esordita due giorni prima. L’anamnesi patologica remota è negativa per precedenti otiti o patologie di rilievo, e la piccola è regolarmente vaccinata. In con-siderazione dell’otoscopia non esplicativa e dell’anamnesi, richiediamo una valutazione otorinolaringoiatrica che documenta la pre-

senza di un’otite media effusiva destra sen-za caratteri di particolare gravità clinica. Gli esami ematochimici tuttavia mostrano un significativo incremento degli indici di flogosi: GB 17.000, PCR 20,9 mg/dl e pro-calcitonina di 1,23 ng/ml, per cui decidia-mo di ricoverare Giulia per intraprende te-rapia con ceftriaxone e programmare inda-gini diagnostiche, data l’obiettività neuro-logica riscontrata. Dopo dodici ore dall’ar-rivo in Pronto Soccorso vengono eseguite RM encefalo e TC orecchio, che mostrano un esteso interessamento flogistico delle meningi in fossa cranica posteriore e media e delle mastoidi soprattutto a destra, con associata trombosi del seno sigmoideo de-stro e presenza di versamento posteriore al-la parte laterale della rocca petrosa e che circonda medialmente il seno sigmoideo. Viene eseguita rachicentesi che documenta isolata lieve proteinorrachia (267 mg/dl), quindi si procede a toilette chirurgica della mastoide destra con mastoidectomia e mi-ringotomia.Macroscopicamente si individua una rac-colta purulenta perisinusale e si conferma la trombosi del seno sigmoideo. Dopo l’intervento è proseguita terapia antibioti-ca con ceftriaxone cui si è aggiunta amika-cina e viene iniziata terapia con enoxapa-rina e cortisonico sistemico. A 24 ore dall’intervento Giulia è stabilmente apire-tica, la sintomatologia neurologica si risol-ve completamente dopo 4 giorni. Gli esa-mi ematici mostrano una progressiva ridu-zione degli indici di flogosi con negativiz-zazione della PCR a 6 giorni dal ricovero. L’emocoltura e gli esami colturali intrao-peratori risultano negativi. La piccola, do-po 7 giorni di terapia con ceftriaxone e 6 con amikacina, viene dimessa dopo una settimana con l’indicazione a proseguire terapia con cefalosporina orale per altre tre settimane e viene stabilita terapia anti-coagulante con warfarin. La RM eseguita a distanza di un mese evidenzia la persi-stenza della trombosi mentre non risulta più visibile il versamento posteriore alla rocca petrosa. Giulia è in follow up al Centro emostasi per la terapia anticoagu-lante orale e per l’esecuzione dello scree-ning trombofilico.

DiscussioneLe complicanze dell’otite media acuta so-no classificate in intratemporali ed endo-craniche. La complicanza intratemporale più fre-quente è la mastoidite acuta che nel 3-5% dei casi si associa alla trombosi del seno sigmoideo [1]. In questo caso l’infezione diffonde dalla mastoide fino allo spazio intracranico per continuità, tramite aree di osteorarefazione nella mastoide dovute all’osteite oppure per via ematogena. Se la propagazione avviene per via ematogena, il processo infettivo potrebbe non coinvol-gere la mastoide ossea e non determinare i segni e sintomi specifici quali dolore e tu-mefazione retroauricolare con estroflessio-ne del padiglione. Inoltre in questo caso il profilo mastoideo osseo alla TC risulta in-tatto e per escludere complicanze endocra-niche è indispensabile eseguire anche una RM (come nel caso di Giulia) [2]. I sinto-mi più frequenti delle complicanze intra-craniche sono la cefalea (descritta fino al 90% dei casi), l’irritabilità, l’astenia, il vo-mito, la nausea e la diplopia. L’atassia è un sintomo raramente associato; abbiamo trovato in letteratura solo un altro caso di atassia e trombosi del seno sigmoideo in corso di otite media acuta. All’esame obiettivo, la valutazione otosco-pica può non essere dirimente e i segni mastoidei sono presenti solo nel 20% dei casi. Dalla letteratura non emerge una correlazione lineare tra la gravità del qua-dro clinico e otoscopico e il riscontro di anomalie neuroradiologiche.La terapia delle trombosi del seno sigmoi-deo prevede la mastoidectomia con o senza miringotomia, associata all’impiego di an-tibiotici ad ampio spettro e alla terapia an-titrombotica.La terapia antibiotica deve essere prolun-gata (10-14 giorni), anche se non esistono evidenze sulla sua durata ottimale. Gli esami di laboratorio, come la PCR e la conta leucocitaria, possono fornire indica-zioni sull’efficacia della terapia. Il ruolo della terapia antitrombotica è ancora og-getto di dibattito, ma al momento prevale la convinzione che essa limiti la propaga-zione del trombo, migliori il drenaggio ve-

RESEARCH LETTER108 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

noso e aumenti i circoli collaterali pur in assenza di tempistiche condivise sul follow up neuroradiologico e terapeutico [3]. Il caso di Giulia ci ricorda che anche una pa-tologia frequente, facilmente riconoscibile e trattabile come l’otite media acuta, può associarsi a complicanze intracraniche gravi che possono manifestarsi anche con segni e sintomi atipici quali l’atassia.

* [email protected]

1. Zanoletti E, Cazzador D, Faccioli C, et al. Intracranial venous sinus thrombosis as a complication of otitis media in children: Crit-ical review of diagnosis and management. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2015;79:2398-403.2. Osborn AJ, Blaser S, Papsin BC. Decisions regarding intracranial complications from acute mastoiditis in children. Curr Opin Oto-laryngol Head Neck Surg 2011;19:478-85.3. Funamura JL, Nguyen AT, Diaz RC. Oto-genic lateral sinus thrombosis: case series and controversies. Int J Pediatr Otorhinolaryn-gol 2014;78:866-70.

Un insolito giunto pieloureteraleMichela Procaccianti1, Arianna Panigari1, Giovanni Casadio2, Claudio Ruberto3

1Scuola di Specializzazione in Pediatria, AOU Parma; 2Chirurgia Pediatrica, AOU Parma; 3Pediatria Generale e d’Urgenza, AOU Parma

Caso clinicoS. è una ragazza di 14 anni con una storia di coliche renali recidivanti dal 2015, per cui è stata valutata più volte in Pronto Soccorso Pediatrico. In due di tali occa-sioni, ad accertamento diagnostico, ha eseguito ecografia addominale risultata negativa per la presenza di calcoli renali e altre alterazioni clinicamente significati-ve, ad eccezione di un’ectasia del bacinet-to renale di sinistra (circa 1 cm) con sot-tile falda di liquido libero nel Douglas. Il Nefrologo Pediatra ha prescritto, ad ap-profondimento diagnostico, RMN addo-me che ha confermato la presenza di dila-tazione del bacinetto renale di sinistra (1,4 cm) e ha evidenziato, dalla stessa parte, la presenza di un’arteria renale principale e, appena caudalmente ad essa, un sottile ramo arterioso con origine an-terolaterale all’aorta compatibile con vaso polare. La scintigrafia renale eseguita successivamente ha mostrato calicopie-lectasia sinistra non ostruttiva. Nel so-spetto di stenosi del giunto pieloureterale da compressione estrinseca è stato quindi discusso il caso collegialmente per stabi-lire la miglior opzione terapeutica. La compressione da vaso polare renale, una delle cause di compressione estrinseca del

giunto da considerarsi più probabili in una paziente di quella età e con quella sintomatologia, non sembrava però del tutto convincente: nelle immagini RMN il vaso polare anomalo appariva infatti posizionato troppo in alto per poter com-primere la giunzione. Nel periodo di tempo intercorso, tuttavia, S. eseguiva due ulteriori accessi in Pronto Soccorso per dolore addominale colico: data la per-sistenza dei sintomi si decideva quindi per una laparoscopia esplorativa a scopo diagnostico e/o terapeutico. Nel corso dell’intervento, a livello dell’ilo renale si-nistro si riscontrava trasposizione anato-mica pielovascolare, per cui i vasi renali risultavano ventrali alla via urinaria (pel-vi) del rene sinistro con conseguente compressione ab estrinseco della giunzione pieloureterale sinistra. È stata pertanto effettuata una pessia infe-riore della pelvi renale sinistra che è stata ancorata alla capsula renale polare inferio-re con conseguente liberazione della giun-zione pieloureterale sinistra dal crossing vascolare anteriore. È stato infine posizio-nato stent doppio-J in uretere sinistro a protezione della via urinaria, rimosso do-po 28 giorni. Il decorso operatorio è stato regolare, la diuresi si è mantenuta valida. Al controllo ecografico effettuato a 40 giorni la paziente era in buone condizioni generali, asintomatica. L’ecografia mo-strava lieve ectasia calicopielica con baci-netto renale di circa 1,2 cm. Dall’inter-vento non si sono manifestati ulteriori epi-sodi di dolore addominale.

DiscussioneLa stenosi del giunto pieloureterale è la più comune lesione ostruttiva nell’infanzia, ma rimane tutt’ora un enigma in termini diagnostici e terapeutici. Nonostante le innovazioni nell’imaging, sia dal punto di vista funzionale che mor-fologico, restano delle controversie riguar-do a quanto siano importanti, eziologica-mente parlando, le relazioni anatomiche tra la pelvi renale, l’uretere e i vasi che li circondano. La stenosi del giunto pielou-reterale vede come eziologia sia forme funzionali, in cui esiste una incoordina-zione tra la muscolatura pelvica e uretera-le, sia forme anatomiche, divise a loro vol-ta in intrinseche (ristrettezza del giunto) ed estrinseche, tra cui la più frequente è la compressione da parte di un vaso anomalo che, dall’aorta o dall’arteria renale, va a ir-rorare la porzione inferiore del rene. Esi-stono tuttavia varianti anatomiche consi-derate fisiologiche in cui la presenza di va-si anomali non provoca stenosi del giunto. La stenosi da vaso polare anomalo si ma-nifesta solitamente in tarda infanzia con

sintomi quali coliche addominali talvolta associate a nausea, oppure con infezioni urinarie ricorrenti [1]. Nel caso della no-stra paziente si è scelto di utilizzare l’ap-proccio laparoscopico transperitoneale in quanto tale metodica si è rivelata efficace nell’identificare i vasi anomali e nello sta-bilire la loro interazione con la giunzione pieloureterale. È stata inoltre utilizzata una tecnica chirurgica analoga al “vascular hitch” andando a fissare la via urinaria alla capsula polare inferiore, in quanto una pieloplastica sarebbe risultata più invasiva e indaginosa. Nell’ostruzione estrinseca del giunto pie-loureterale la tecnica del “vascular hitch” viene utilizzata nel nostro Centro e in al-cuni altri Centri italiani come modalità alternativa alla tradizionale pieloplastica in casi selezionati. Numerosi studi [2-4] hanno dimostrato l’efficacia di tale meto-dica nella risoluzione dei sintomi, nel bas-so tasso di recidiva e nella minor durata dell’ospedalizzazione.

ConclusioniLa compressione del giunto pieloureterale da vaso polare renale è una delle cause di compressione estrinseca da considerarsi più probabili in una paziente di quella età e con quella sintomatologia, ma è necessa-rio tenere presente che, seppur rare, esisto-no altre varianti anatomiche della vascola-rizzazione renale che potrebbero provoca-re tale problema. La completa risoluzione della sintomato-logia dopo l’intervento ha dimostrato l’ef-ficacia della metodica chirurgica utilizzata per la nostra paziente.

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1. Mitterberger M, Pinggera GM, Neuru-rer R, et al. Comparison of Contrast-Enhan-ced Color Doppler Imaging (CDI), Compu-ted Tomography (CT), and Magnetic Reso-nance Imaging (MRI) for the Detection of Crossing Vessels in Patients with Ureteropel-vic Junction Obstruction (UPJO). Eur Urol 2008;53:1254-60.2. Chiarenza SF, Bleve C, Fasoli L, et al. Ure-teropelvic junction obstruction in children by polar vessels. Is laparoscopic vascular hitching procedure a good solution? Single center expe-rience on 35 consecutive patients. J Pediatr Surg 2016;51(2):310-4.3. Esposito C, Bleve C, Escolino M, et al. La-paroscopic transposition of lower pole crossing vessels (vascular hitch) in children with pelviu-reteric junction obstruction. Translational Pe-diatrics 2016;5(4):256-61.4. Gundeti MS, Reynolds WS, Duffy PG, et al. Further experience with the vascular hitch (laparoscopic transposition of lower pole cros-sing vessels): an alternate treatment for pedia-tric ureterovascular ureteropelvic junction ob-struction. J Urol 2008;180:1832-6.

RESEARCH LETTER 109Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

L’infiltrato specialeCarlotta Toff oli1, Giulia Zagni1, Valentina Mandese1, Francesca Roncuzzi1, Sara Gavioli2, Giancarlo Gargano2, Lorenzo Iughetti1

1Università degli Studi di Modena e Reg-gio Emilia, Scuola di Specializzazione in Pediatria; 2UO di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, Arcispedale S. Ma-ria Nuova, Reggio Emilia

In letteratura, esistono pochi casi di ma-stocitosi cutanea a esordio neonatale, da considerare nella diagnosi diff erenziale delle lesioni bollose congenite. Descriviamo un caso di mastocitosi cuta-nea a esordio neonatale, diagnosticato cli-nicamente. XY, nato a termine da parto vaginale in-dotto dopo gravidanza normocondotta; anamnesi neonatale e familiare negative. In occasione della prima visita, riscontro di lesioni cutanee bollose e lesioni viola-cee diff use. Agli esami ematici, minimo rialzo degli indici di fl ogosi, accertamen-ti infettivologici (emocoltura, tamponi superfi ciali, sierologia) non dirimenti. In 6° giornata, si assisteva a modifi cazione del quadro cutaneo: comparsa di lesioni maculose, di colorito bruno seppia e ri-scontro di una bolla più infi ltrata (Figure 1 e 2). Alla luce di tali evidenze cliniche, si poneva sospetto di mastocitosi cutanea. Ad approfondimento diagnostico, si ese-guivano accertamenti quali dosaggio del-la triptasi sierica, esami ecografi ci (eco-grafi a addome, cerebrale, cardiaca, cute e sottocute) e screening audiologico, risul-tati nei limiti. Il bambino è attualmente in follow up presso l’oncoematologia pe-diatrica, ad oggi nella norma. La masto-citosi comprende un gruppo eterogeneo di disordini caratterizzati dalla prolifera-

zione di mastociti e loro accumulo nella cute e/o in altre sedi. La mastocitosi cuta-nea è una malattia esclusivamente derma-tologica, frequente in età infantile, quasi sempre benigna, che tende a regressione spontanea alla pubertà. Si classifi ca co-me: mastocitosi cutanea maculo-papulare (anche detta orticaria pigmentosa), più comune, in cui si manifestano piccole macchie o rigonfi amenti rosa/marroni; mastocitoma, raro, che può presentarsi come nodulo in rilievo singolo o multi-plo; mastocitosi cutanea diff usa, molto rara, già presente alla nascita, in cui si ri-scontra cute ispessita con tendenza a for-mare vesciche a contenuto liquido, come nel caso descritto.La diagnosi clinica di mastocitosi cuta-nea si basa sul riscontro delle lesioni ca-ratteristiche, sulla mancanza di segni di

interesse sistemico e sulla quasi costante positività del segno di Darier (eritema, edema e bolle in sede di sfregamento). Mancano elementi prognostici attendibi-li, per cui risultano fondamentali precoci accertamenti audiometrici (limitati casi di sordità neurosensoriale per infi ltrazio-ne mastocitaria d’organo) e un attento follow up con dosaggio delle triptasi per riconoscere tempestivamente l’ eventuale evoluzione nella forma sistemica.

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1. Pediatric cutaneous mastocytosis: a review of 180 patients. Isr Med Assoc J 2005;7:320-2.2. Kiszewski AE, Duran-Mckinster C, Oroz-co-Covarrubias L. Gutierrez-Castrellon P, Ruiz Maidonaldo R. Cutaneous mastocytosis in children: a clinical analysis of 71 cases. J Eur Acad Dermatol Venereol 2004;18:285-90.

Datemi una “C”Alessia Norato1, Lorenzo Iughetti1,2,Giulia Lembo3, Lorenzo Fiorica3, Patrizia Davio1, Elisabetta Spezia1, Maria Luisa Casciana4, Fabio Buzi4. 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Modena e Reg-gio Emilia; 2UO di Pediatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Modena; Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Bre-scia; 4Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova

Fino a qualche tempo fa la carenza di vita-mina C veniva considerata una malattia ti-pica del passato. Recentemente sono stati segnalati diversi casi di bambini aff etti da scorbuto, la cui diagnosi è stata spesso tardiva ed è stata formulata dopo un lungo percorso diagno-stico che ha spesso necessitato dell’ausilio dell’imaging.

Caso clinicoXY, 4 anni, giungeva alla nostra atten-zione per dolore persistente alla gamba destra, sintomatologia che rendeva diffi -coltosa la deambulazione. Non febbre, non riferiti traumi. Il bambino era in te-rapia con antinfi ammatorio già da 10 giorni, con scarso benefi cio. In occasione di un precedente accesso in PS per la me-desima sintomatologia era stata eseguita radiografi a del ginocchio, risultata nella norma. Dall’anamnesi emergevano esclu-sivamente rinite e tosse nelle due setti-mane precedenti. Obiettivamente il bam-bino si presentava in buone condizioni generali con faringe deterso, gengive

Figura 1. Lesioni maculose di colorito bruno.

Figura 2. Bolla infiltrata.

RESEARCH LETTER110 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

ipertrofiche e sanguinanti, non linfoade-nomegalie; obiettività cardiopolmonare e addominale nella norma. Dal punto di vista articolare presentava tumefazione a livello del ginocchio destro che appariva caldo, iperemico e dolente. Persisteva ri-fiuto della deambulazione. Si decideva per il ricovero per eseguire le cure e gli accertamenti del caso. Durante la degen-za si confermava la scarsa efficacia della terapia antidolorifica e antinfiammatoria, con persistente rifiuto a mantenere la sta-zione eretta da parte del bambino. Gli esami ematochimici non mettevano in ri-lievo nulla di particolare, ad eccezione di anemia microcitica. Nulla di rilevante all’ecografia articolare. Gli incidi di flo-gosi (indagati più volte nel corso del rico-vero) si mantenevano nei range di norma-lità, per tale motivo si soprassedeva all’impostazione di una terapia antibioti-ca. In considerazione dalla persistenza della sintomatologia veniva eseguita RMN delle ginocchia (Figura 1), che metteva in rilievo lesioni compatibili con esteso focolaio osteomielitico a verosimi-

le genesi piogenica a livello del III distale del femore destro, quadro riscontrato an-che a livello del femore sinistro. A questo punto si decideva di impostare una tera-pia antibiotica ad ampio spettro con peni-cillina, cefalosporina e macrolide (terapia proseguita per 16 gg). Altri esami ematici di approfondimento diagnostico, com-prensivi di autoimmunità; sierologia per CMV, EBV, Rosolia, Toxoplasmosi, Adenovirus, HIV, HBV, HCV, Parvovi-rus B19, Bartonella, Chlamydia, Coxsackie, Mycoplasma risultavano negativi, così co-me le emocolture, il Quantiferon e gli aspirati gastrici per BK. Negativi anche il tampone faringeo, le coprocolture, lo striscio di sangue periferico e l’enolasi neuronospecifica. Altre indagini stru-mentali eseguite risultavano nella norma; tra esse: radiografia del cranio, radiogra-fia del torace, radiografia del bacino, eco-cardio, ECG, lampada a fessura, eco ad-dome. L’ultima RMN, eseguita a distan-za di 3 settimane dalla prima, metteva in rilievo miglioramento del quadro osteo-mielitico precedentemente descritto. L’u-nico esame che era rimasto in sospeso era il dosaggio della vitamina C, il referto del quale (giunto e visionato dopo circa 1 mese e mezzo dalla sua esecuzione!) mo-strava una carenza tale da giustificare la sintomatologia presentata dal bambino. Alla luce della carenza di vitamina C (303 g/dl, vn: 460-1490 g/dl) il quadro clinico del bambino veniva rivalutato e, considerando la correlazione tra le lesioni ossee e quelle gengivali (ipertrofia), ci si orientava verso la diagnosi di scorbuto. Attualmente il bambino non presenta sintomatologia degna di nota. Ha esegui-to supplementazione con vitamina C e ha modificato radicalmente la sua dieta che prima consisteva esclusivamente in latte.

RisultatiLo scorbuto è una malattia caratterizzata dalla carenza di vitamina C. Generalmen-te il fabbisogno quotidiano di questa vita-

mina si aggira intorno ai 60 mg, ma ne ba-stano 10 mg/die per prevenire le manife-stazioni dello scorbuto. La vitamina C è essenziale per la formazione del collagene e aiuta a mantenere l’integrità del tessuto connettivo, del tessuto osseo, della denti-na; è indispensabile per la guarigione delle ferite e facilita quella delle ustioni; facilita l’assorbimento del ferro. Viene per questo chiamata “vitamina da stress”. Lo scorbuto infantile compare abitualmente tra il 6º e il 12º mese di vita: il bambino è irritabile, non ha appetito e non aumenta di peso, le estremità delle ossa lunghe (per esempio, femore) si rigonfiano, e le gengive sangui-nano facilmente; spesso sono presenti feb-bre, anemia e aumento della frequenza cardiaca.

ConclusioniFare diagnosi di scorbuto è difficile perché si tratta di una patologia alla quale, ai no-stri giorni, non si pensa quasi mai. La ca-renza di vitamina C va invece tenuta in considerazione e indagata nei casi di dub-bio diagnostico. La RMN, di solito ma non sempre (e il nostro caso ne è l’esem-pio), consente di distinguere lo scorbuto da altre patologie delle ossa (leucemia, meta-stasi, osteomielite…). Noi medici dovrem-mo considerare lo scorbuto tra le diagnosi differenziali in bambini che presentano dolori articolari, ritardo dell’accrescimen-to e che seguono una dieta selettiva.

* [email protected]

1. Golriz F, Donnelly LF, Devaraj S, Krishna-murthy R. Modern American scurvy - experi-ence with vitamin C deficiency at a large chil-dren’s hospital. Pediatr Radiol 2016 Oct 24. 2. De Ioris MA, Geremia C, Diamanti A, et al. A. Risks of inadequate nutrition in disabled children: four cases of scurvy. Arch Dis Child 2016;101(9):871. 3. Seya M, Handa A, Hasegawa D, Matsui T, Nozaki T. Scurvy: From a Selective Diet in Children with Developmental Delay. J Pediatr 2016;177:331.

Figura 1. RMN ginocchio: “alterazione del segna-le osteo-midollare con significato edematoso in corrispondenza della regione meta-diafisaria di-stale del femore”.

111Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Candidati al Direttivo dell’ACP

Patrizia ElliLaureata in Medicina e specializzata in Pediatria presso l’Università Statale di Milano.Assistente di ruolo in Pediatria presso l’Osp. S. Carlo di Milano dal 1978 al 1992.Pediatra di famiglia dal 1992. Iscritta all’ACP dal 2000Interessi principali: gli aspetti psicologici della relazione madre-bambino (Corso pro-pedeutico alla psicoanalisi infantile della Tavistock Clinic di Londra dal 1986 al 1988); gli aspetti dello sviluppo precoce del bambino (Corso Early Child Development presso CSB Trieste); la comunicazione-re-lazione in ambito sanitario (diploma di Counsellor presso la Scuola di Counselling Sistemico – I.Co.S., a Milano, e diploma di Formatore al Counselling Sistemico il presso l’Istituto Change di Torino nel 2003); l’assistenza al bambino disabile (Master di Pediatria della disabilità nel 2011-2012 presso l’Università degli Studi Milano Bicocca); la promozione dell’allat-tamento al seno (Corso 20 ore OMS-UNI-CEF). Formatrice in numerosi corsi sulla comunicazione-relazione in ambito sanita-rio e, per l’aspetto comunicativo, nei Corsi OMS-UNICEF per il sostegno e la pro-mozione dell’allattamento al seno. Colla-boro con la Fondazione Maddalena Grassi a Milano per l’assistenza domiciliare ai bambini con grave disabilità. Rappresento ACP in WONCA (World Organization of National Colleges and Academies of Fa-mily Medicine/General Practice) dal 2005 e in WONCA Italia (Coordinamento ita-liano delle società scientifiche aderenti a Wonca) dalla sua costituzione.

Alberto FerrandoSpecializzato in Pediatria nel 1978. Pedia-tra libero professionista. Pediatra di fami-glia dal 1978 al 2015. Presidente Associa-zione Pediatri della Liguria (APEL), affi-liata ACP per la Regione Liguria.Consigliere Sezione Ligure SIP. Consi-gliere Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Genova. Coordinatore Ga-ranti Infanzia UNICEF. “Corso biennale (1996-1998) di formazio-ne multidisciplinare alla pratica della ri-

cerca” in Pediatria presso l’IRCCS “Mario Negri”. Professore a contratto in Pediatria ambulatoriale presso l’Università degli Studi di Genova. Tutor Regione Liguria Corso triennale MMG. Istruttore Mano-vre Rianimazione Cardiopolmonare B e PBLSD. Dal 2009 al 2014 Componente Commissione Nazionale per la Formazio-ne Continua (CNFC) presso il Ministero della Salute. Dal 2010 al 2014 componen-te Comitato dei garanti della CNFC. Dal 2002 al 2014 Presidente Federazione Re-gionale OMCeO Liguria. Componente gruppo regia iniziativa “fare di più non si-gnifica fare meglio” di “Slow Medicine”. Autore e coautore di pubblicazioni scienti-fiche e libri per medici e di libri di pedia-tria per famiglie. Webmaster del sito per-sonale e APEL. Blogger. Attività su me-dia (TV e giornali) e su social network. Attività formazione e promozione alla sa-lute e prevenzione incidenti, disagio e si-tuazioni a rischio (alcol, fumo, droghe, maltrattamento ecc.) anche nella comuni-tà.

Martina FornaroSono nata e cresciuta a Messina, siciliana in viaggio, mi sono trasferita a Verona do-ve mi sono laureata e specializzata in Pe-diatria nel 2008. Durante la specializza-zione ho conosciuto l’ACP, iscrivendomi e partecipando alle attività della Newsletter ACP. Dal 2010 vivo e lavoro a Forlì, come pediatra ospedaliera. Mi sono quindi iscritta al gruppo ACPR di cui, da due an-ni, faccio parte del direttivo. Dal 2016 so-no uno dei coordinatori dei gruppi di Newsletter romagnoli. Collaboro regolar-mente con Quaderni acp. La mia formazio-ne specialistica da sempre è nell’ambito della gastroenterologia e della nutrizione clinica pediatrica (presso il centro Fibrosi Cistica di Verona nel 2009); Master in medicina dei trapianti a indirizzo epatolo-gico pediatrico, Università di Milano Bi-cocca nel 2010; Master in gastroenterolo-gia pediatrica, Università La Sapienza di Roma nel 2011, con un particolare interes-se verso gli aspetti della cronicità e dell’in-terazione tra ospedale e territorio nella re-te delle cure pediatriche. Ho appena ini-

ziato un percorso di formazione in Cure palliative e terapia del dolore pediatriche all’Università di Bologna. Infine, ma non infine, sono una appassiona-ta lettrice volontaria di “Nati per Leggere”.

Italo MarinelliSpecializzazione in Pediatria (1987) e Malattie Infettive (1993). Pediatra Ospe-daliero (Agnone, Campobasso, Gubbio). Giornalista pubblicista. Già amministra-tore locale (consigliere comunale e provin-ciale) e sindacalista ANAAO. Socio ACP dal 2004, già Referente Regionale ACP per il Molise, dove è stato promotore di NPL. Attualmente membro del Direttivo ACP Umbria.Si è dedicato al tema del sostegno e dell’em-powerment nelle malattie respiratorie cro-niche (asma bronchiale, fibrosi cistica). Promotore e coordinatore di iniziative di formazione e aggiornamento/valutazione critica della letteratura scientifica (journal club). Ha collaborato alla FAD ACP (il bambino con dolore osteo-articolare).Interessato alla slow medicine e al contra-sto culturale all’interventismo medico diagnostico e terapeutico (http://www.acp.it /wp-content /uploads/Quader-ni-acp-2008_155_213-215.pdf) e alle ini-ziative di umanizzazione delle cure ospe-daliere (gioco e scuola in ospedale, pro-mozione della musica e della lettura).

Luca TafiSpecializzazione in Pediatria nel 1988 e in Reumatologia nel 1994. Dal 1990 al 2006 Pediatra Ospedaliero in Casentino e dal 2006 Pediatra Ospedaliero ad Arezzo. Socio ACP dal 2016. Socio SIEDP dal 2013. Membro del gruppo di studio della SIEDP Toscana. Dal 1994 si interessa di Auxologia (già collaboratore scientifico del Centro Studi Auxologici diretto dal prof. Ivan Nicoletti). Autore di varie pubblicazioni di Auxoen-docrinologia.Titolare dell’incarico di Auxoendocrinolo-gia nella UO di Pediatria di Arezzo. Impe-gnato, con altri colleghi, nella promozione dell’allattamento al seno e nel progetto BFHI nel punto nascita del Casentino.

SALUTE MENTALE112 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Il ritardo mentale lieve

Qual è la prevalenza del ritardo mentale (RM) lieve? Quali le cause?Il ritardo mentale di grado lieve 1 è la forma più frequente di RM; la sua prevalenza è del 2,5% sulla popolazione generale e le cause principali del ritardo sono nella maggior parte dei casi di origine scono-sciuta. L’American Mental Retardation se-gnala che nel 50% dei casi di soggetti con RM di grado lieve non è possibile deter-minarne l’origine, nel 30% dei casi l’origi-ne è su base organica, nel 5% dei casi si tratta di cause ereditarie mentre nel re-stante 15% ci possono essere influenze ambientali o altri fattori di deprivazione.

Il RM lieve generalmente non è accompa-gnato da disturbi motori o da dimorfismi so-matici, e le capacità comunicative e sociali negli anni prescolastici spesso non sono di-stinguibili dai bambini senza RM. Per questi motivi, nella maggioranza dei casi, il ritardo non viene individuato in una età precoce e i problemi si presentano quando il bambino inizia a frequentare la scuola. Ci sono mo-dalità comportamentali e relazionali nei pri-mi anni di vita del bambino che possono fare prevedere un ritardo cognitivo di grado lieve e che il pediatra può cogliere? Il RM lieve non è sempre facile da diagno-sticare in età evolutiva poiché il suo esor-dio può manifestarsi con un semplice ri-tardo di sviluppo sia di tipo psicomotorio che del linguaggio.Nei primi anni di vita il pediatra deve fare attenzione quando il bambino presenta un ritardo psicomotorio con una deambula-zione oltre i 18 mesi e una comparsa del linguaggio che risulta fortemente ritarda-ta. Spesso il bambino con RM lieve mo-stra anche scarsa tendenza all’esplorazione dell’ambiente, un gioco molto ripetitivo con applicazione di schemi molto primiti-vi. Per esempio tende a mantenere a lungo un gioco semplice come quello di rovescia-re gli oggetti da un contenitore per provo-care rumore, rimetterli dentro e poi rove-sciare ancora una volta o lanciarli. Queste

Intervista di Angelo Spataro* a Giacomo Stella***Pediatra di famiglia, Palermo; Responsabile del Gruppo “Salute mentale” dell’ACP **Psicologo, professore ordinario di Psicologia clinica all’Università di Modena e Reggio Emilia

condotte che di solito nei bambini scom-paiono dopo i 18-20 mesi, nei bambini con RM lieve persistono anche fino ai tre anni. Molte difficoltà si manifestano anche nell’esecuzione del gioco con dei semplici incastri dove il bambino invece che com-portarsi con una strategia di prova ed erro-re insiste con lo stesso oggetto, per esem-pio un cubo di plastica, senza cambiarlo, anche se questo non entra nel foro corri-spondente che ha forma, per esempio, ret-tangolare. Questo comportamento privo di flessibili-tà è un dato molto caratteristico dei bam-bini con RM lieve. Anche nel gioco delle costruzioni presentano delle difficoltà in quanto sono in grado di costruire solo semplici torri ma non riescono a compiere, all’età di quattro anni, forme di costruzio-ni più strutturate. Infine un altro elemento caratteristico è la difficoltà di progettare anche semplici disegni. Verso i cinque an-ni il bambino continua a produrre infatti il cosiddetto scarabocchio privo di ideazione e al quale attribuisce un significato solo do-po averlo prodotto e solo su richiesta dell’adulto e mai spontaneamente. Questo comportamento spesso trae in inganno l’a-dulto che ritiene che sia un segno di com-parsa di capacità espressive invece il bam-bino compie quelle che Piaget chiamava azioni senza rappresentazioni. Non è facile fare una valutazione del RM in un ambu-latorio del pediatra, tuttavia alcuni consi-gli pratici possono essere molto utili; per esempio si consiglia di tenere in ambulato-rio dei puzzle oppure dei cubi o delle sfere a incastro oppure si può dare una matita e invitare il bambino di cinque anni a fare un disegno.Il bambino con RM di grado lieve farà un disegno molto semplice o farà, come si di-ceva prima, uno scarabocchio. Molto importante per l’orientamento dia-gnostico risulta anche l’anamnesi sia fami-liare che personale; la presenza nel nucleo familiare o nei parenti prossimi di altri ca-si di RM è un indicatore molto importan-

te. Inoltre, come abbiamo già detto, rile-vare un ritardo psicomotorio associato al ritardo del linguaggio è un elemento al-trettanto importante.

Si può fare prevenzione? Una diagnosi preco-ce del ritardo migliora la prognosi? Su quali competenze del bambino si deve agire per fa-vorire lo sviluppo delle sue potenzialità?Parlare di prevenzione nel RM è improprio. Invece è molto importante parlare della diagnosi precoce perché abbiamo dati solidi che dimostrano che l’intervento molto pre-coce migliora la prognosi evolutiva anche in misura molto significativa. In questi casi è importante avvalersi della collaborazione di specialisti, perché un dato fondamentale nel potenziamento precoce delle funzioni cognitive è l’introduzione di vincoli nelle azioni. Vediamo cosa significa. Il bambino con RM tende a compiere azioni prive di significato, azioni senza rappresentazioni, e per questo motivo è molto importante non lasciare spazio all’i-niziativa casuale ma bisogna dare invece compiti con vincoli da rispettare. Per esempio è molto utile fare eseguire sem-plici costruzioni e semplici puzzle con due o tre pezzi in modo ripetitivo finché il bambino riesce a eseguire il compito da solo. Il bambino di cinque anni deve essere avviato a un’attività grafica supportata dall’adulto come, per esempio, il disegno della figura umana, invitandolo a comple-tare il volto che viene disegnato dall’adulto con la richiesta di aggiungere i capelli; successivamente l’adulto posiziona un oc-chio chiedendo al bambino di aggiungere l’altro occhio e così via. È molto impor-tante quindi non lasciare che il bambino proceda a caso, perché la caratteristica fondamentale del RM è la mancanza di rappresentazioni, ed è proprio in questa direzione che deve essere indirizzata l’atti-vità di potenziamento.

1. Nel DSM-5 il termine “ritardo mentale” è stato sostituito da “disabilità intellettiva”.

Rubrica a cura di Angelo Spataro

I PRIMI MILLE 113Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Il Programma 1000 Giorni a Roma: un anno di lavoroElisa Serangeli*, Flaminia Trapani*, Pamela Caprioli*, Virna D’Antuono*, Mara Bitetto**, Alessandro Telloni**, Maria Edoarda Trillò***, Eliana Coltura***, Giuseppe Cirillo*** *Associazione Pianoterra onlus; **Cooperativa sociale Antropos; ***Associazione Culturale Pediatri

L’articolo descrive in modo sintetico l’attività socio-sanitaria-educativa denominata “1000 Giorni” nell’ultimo anno nel quartiere Tor Sapienza a Roma.Il Progetto “1000 Giorni” è un programma d’intervento precoce, di tipo territoriale comunitario, di sostegno alla maternità e di prevenzione dei fattori di rischio per il sano sviluppo psicofisico del bambino, indirizzato alle donne in gravidanza, ai neogenitori e ai bambini di età compresa tra 0 e 3 anni. Analogo programma è in corso nel Quartiere Sanità a Napoli.

The article describes the socio and health-educational activity named “1000 Days” in the last year in Rome in the Tor Sapienza District.The “1000 Days” is an early intervention community program aimed at the child’s wellbeing through parenting promotion and preventing risk factors. The program is addressed to pregnant women, new parents and children 0-3 years of age. A similar program is being launched in the Sanità District in Naples.

Ogni anno a Roma nascono circa 24.000 bambini, numero importante rispetto alle nascite registrate in tutta la regione [4,5,6].Nella capitale, la rete dell’assistenza alla gra-vidanza, al parto, alla cura della mamma e del bambino ha visibili smagliature e divari interni: i servizi di eccellenza e gli elevati li-velli d’intervento dei quartieri più centrali e benestanti si abbassano sensibilmente man mano che ci si inoltra nelle aree più periferi-che, fino a diventare quasi inesistenti nei con-testi abitativi abusivi e nei campi rom. In que-ste aree si riscontrano più frequentemente quelle barriere di accesso ad alcune cure pre-natali dovute allo svantaggio socio-culturale quali: famiglia monoparentale, madre stra-niera, madre con basso titolo di studio o mol-to giovane (meno di venti anni). Tali condi-zioni incidono negativamente sulla salute e sul benessere di madre e bambino durante la gravidanza, al momento del parto e nei primi anni di vita. Al quarto posto, tra i presidi sanitari della ca-pitale che registrano ogni anno il più alto nu-mero di nascite, c’è il Policlinico Casilino. Con i suoi 2181 nati vivi rappresenta quasi il 10% delle nascite a Roma. Il Policlinico Casilino è al primo posto per la percentuale di nascite da mamme di ori-gine straniera (35,8%) e al terzo per età del-la mamma inferiore ai 20 anni (2,5%). Ciò è dovuto al fatto che questo ospedale è il principale polo sanitario del quadrante sud-est di Roma, che comprende il V, il VI e il VII Municipio, ovvero i Municipi con più popolazione straniera residente, se si esclu-

dono Esquilino e Stazione Termini (I Mu-nicipio). Molte delle donne che partecipano al pro-gramma 1000 Giorni di Pianoterra onlus hanno partorito o partoriranno al Policlinico Casilino e risiedono nel V Municipio. La sede operativa di 1000 Giorni a Roma è infatti ospitata all’interno della Casetta delle Arti e dei Giochi, una ludoteca gestita dalla Cooperativa sociale Antropos, situata a ri-dosso di viale Giorgio Morandi, un comples-so residenziale di edilizia popolare che ospi-ta, dagli anni Settanta, circa cinquecento fa-miglie in condizioni di forte disagio sociale. Un classico “quartiere dormitorio”, dove gli spazi inizialmente destinati ad attività com-merciali e a servizi mai realizzati, sono stati occupati e trasformati in abitazioni di fortu-na. In questo contesto, la ludoteca Casetta delle Arti e dei Giochi, il centro di aggregazio-ne giovanile – entrambi gestiti da Antropos – e l’ambulatorio del medico di base, rappre-sentano gli unici punti di riferimento per le famiglie della zona. Nel complesso di viale Giorgio Morandi non è presente un pediatra di famiglia e il più vicino si trova a diversi chilometri di distanza, su viale Palmiro To-gliatti.

La rete territoriale Il programma 1000 Giorni prevede la map-patura e l’attivazione di una rete territoriale di sostegno alla gravidanza e alla genitorialità attraverso la collaborazione e il coordina-mento degli enti territoriali che si occupano di salute materno-infantile e offrono servizi per le famiglie più vulnerabili: consultori fa-miliari, ambulatori pediatrici, ambulatori di medicina di base, ospedali, ASL, e altro an-cora.La rete territoriale, a sostegno e in continuità con le attività di 1000 Giorni, mostra legami forti tra i partner che già collaborano sul ter-ritorio in altri progetti. Come già accennato, la Cooperativa sociale Antropos gestisce un Centro di Aggregazione Giovanile e la Casetta delle Arti e dei Giochi destinata ad attività ludi-co-espressive per i più piccoli (5-10 anni). Inoltre, dal 2015 coordina, nel quartiere li-mitrofo di Torre Maura, lo Spazio Mamme e il Punto Luce per Save the Children Italia on-lus, rispettivamente un Centro di sostegno

IntroduzioneL’Associazione Pianoterra Onlus, in collabo-razione con l’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e la Cooperativa sociale Antropos, ha avviato da un anno, a Roma, nel quartiere Tor Sapienza (V Municipio), “1000 Giorni”: un programma d’intervento precoce, di sostegno alla maternità e di prevenzione dei fattori di rischio per il sano sviluppo psicofisico del bambino, indirizzato alle donne in gravidan-za, ai neogenitori e ai bambini di età compre-sa tra 0 e 3 anni. Analogo programma è stato avviato nel Quartiere Sanità a Napoli [1].1000 Giorni è un intervento territoriale di tipo comunitario [2,3]: Pianoterra si avvale dell’impegno e della collaborazione di un’éq-uipe professionale multidisciplinare che lavo-ra in rete con i servizi materno-infantili, per coordinare e integrare gli interventi educativi e di cura, di assistenza sanitaria per l’infanzia e di sostegno materiale rivolti alle famiglie più vulnerabili.

Nascite e maternita a RomaCon un tasso di natalità pari all’8%, l’Italia è uno dei Paesi più vecchi d’Europa. Il pro-gressivo e drammatico calo delle nascite rap-presenta per il nostro Paese un campanello d’allarme molto importante. La denatalità ha avuto ripercussioni anche su Roma, sebbene il dato sia lievemente migliore rispetto a quello nazionale, grazie alla presenza di don-ne di origine straniera che sono il 24% delle neomamme. Ma, per la prima volta, si regi-stra tra le immigrate un tasso di fecondità al di sotto dei 2 figli per donna (1,97).

I PRIMI MILLE114 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

alla genitorialità e di socializzazione rivolto a mamme e bambini in età prescolare e un Centro educativo per bambini e ragazzi in età scolare. Per quanto riguarda gli interventi ri-volti ai minori, il Servizio Sociale si contrad-distingue come una realtà presente, fattiva e collaborativa, e ciò ha permesso a molte fa-miglie, fin dall’inizio, di rivolgersi allo spor-tello 1000 Giorni. La rete territoriale include anche legami con i servizi del privato sociale quali Zero in Condotta, Casa di Sant’Anna onlus e altri che si attivano al bisogno, in ma-niera meno sistematica e continuativa.Grazie alla rete territoriale il programma 1000 Giorni ha coinvolto, fino a ora, 60 mamme, 83 bambini e 4 papà.

Come lavoriamoL’invio e il primo contattoIl primo contatto può avvenire su segnalazio-ne dei partner della rete territoriale o diretta-mente, quando la persona si rivolge allo spor-tello grazie al passaparola o perché ha letto un volantino informativo. Proponiamo ini-zialmente un appuntamento per un incontro individuale se la donna è già pronta a parlare dei suoi problemi, altrimenti la invitiamo a prendere parte a un incontro di gruppo con altre mamme. Questa duplice prospettiva serve a incoraggiare le donne più timide e in-sicure a prendere confidenza con il nostro gruppo di lavoro e con le attività offerte.Le donne in gravidanza che partecipano al programma 1000 Giorni possono richiedere la Valigia Maternità: un trolley che contiene diversi beni di prima necessità per il neonato e per la neomamma. La Valigia Maternità sarà donata poco prima della data presunta del parto, a condizione che le future mamme abbiano partecipato con continuità alle ini-ziative del programma sin dal 4° mese di gra-vidanza, e seguito un percorso completo di accompagnamento alla maternità: corso di preparazione alla nascita, visite mediche spe-cialistiche, analisi ed ecografie raccomandate dal Sistema Sanitario Nazionale. È inoltre attivo il dispositivo di sostegno ma-teriale Di Mamma in Mamma, una possibilità di mutuo aiuto tra mamme che ha l’obiettivo di fornire beni di prima necessità per la pri-missima infanzia, usati ma ancora in ottime condizioni.

Lo Sportello di Ascolto e OrientamentoLo Sportello è uno spazio di accoglienza, ascolto e analisi dei bisogni e delle risorse di ciascuna mamma, indispensabile per definire con lei obiettivi concreti, strategie, azioni; ma è anche uno spazio di orientamento ai servizi territoriali esistenti e una cerniera tra le di-verse competenze di sostegno psico-sociale di cui una famiglia in difficoltà può avere bi-sogno o con cui già interagisce (assistente so-ciale, psicologa, educatrici ecc.).

Una volta stabilito il contatto, alla mamma viene presentato il programma con le sue fi-nalità, attività e modalità di adesione. Gli in-contri individuali servono a conoscere la per-sona, a circoscrivere le sue difficoltà, i suoi bi-sogni e le sue risorse (sociali, amicali, fami-liari); a definire il progetto specifico di soste-gno e presa in carico del nucleo familiare; a costruire, insieme all’utente, un percorso di accompagnamento realistico e sostenibile; a individuare, tra le attività offerte all’interno della rete del progetto, quelle che possano es-serle di aiuto. Il percorso individualizzato si snoda su traiettorie interconnesse: un pro-gramma per il bambino nella primissima in-fanzia; un percorso di supporto alla genito-rialità; un sostegno alla formazione personale e, quando possibile, professionale; un coordi-namento degli interventi già attivi sull’intero nucleo familiare.

Le attività1000 Giorni prevede il coinvolgimento delle donne in gravidanza, neomamme e nuclei fa-miliari in percorsi di salute e cura di sé. Offre attività e servizi per sensibilizzare, formare e accompagnare le donne verso una gravidanza e una maternità consapevole e competente, integrando le attività e i servizi già presenti sul territorio e offrendone di complementari. Ciclicamente, mediamente due volte al mese, organizziamo incontri tematici di gruppo condotti da professionisti di diversa forma-zione: pediatri, psicologi, educatori; offriamo inoltre attività di svago come, per esempio, laboratori creativi ed espressivi, spazio giochi per mamma e bambino o anche giornate de-dicate alla cura del corpo con parrucchiera ed estetista professioniste. Più di recente abbiamo avviato un’attività di gruppo con cadenza settimanale, Scuola di Mamma, con l’obiettivo di accompagnare i genitori verso forme di cura e accudimento idonee a creare le migliori condizioni di cre-scita e benessere per i loro bambini. Le tema-tiche solitamente affrontate sono le seguenti: la gravidanza, il parto, le prime ore di vita, il pianto, il sonno, la salute del bambino, le vac-cinazioni, l’allattamento e lo svezzamento, il comportamento del neonato, il suo sviluppo, e molto altro. Partendo dalle competenze di base che ogni mamma possiede, Scuola di Mamma è uno spazio/tempo nel quale i sape-ri e le conoscenze sono messi in comune, un luogo di scambio e confronto tra pari ma con la presenza attenta di professionisti, un modo per sentirsi meno sole, per modulare e tra-sformare le proprie ansie e insicurezze. Du-rante Scuola di Mamma poniamo molta at-tenzione anche all’apprendimento, alla com-prensione di termini e concetti legati alla gra-vidanza e al parto, in modo che le mamme possano muoversi più agevolmente nelle strutture ospedaliere, comunicare con mag-

giore facilità con i medici ed essere quindi più consapevoli di quello che succede loro.I colloqui individuali iniziali e la partecipa-zione attiva e continuativa agli incontri di gruppo costituiscono i due punti fondamen-tali della nostra presa in carico.

La presa in caricoNel primo anno di attività del programma 1000 Giorni, delle 60 donne raggiunte che hanno partecipato ad alcune attività, 30 sono state prese in carico con percorsi personaliz-zati e integrati di sostegno alla persona e di accompagnamento alla genitorialità; 7 di loro si sono rivolte allo Sportello nei primi mesi di gravidanza e hanno ricevuto la Valigia Mater-nità, altre 5 sono attualmente in gravidanza e riceveranno la Valigia Maternità a ridosso del parto; tutte le altre erano già mamme di bim-bi tra 0 e 3 anni di età. Delle donne prese in carico, 12 sono state inviate dal Servizio So-ciale di zona, 7 dall’associazione Zero in Condotta, 4 dalla Cooperativa sociale Antro-pos, 3 da Save the Children (attraverso i pro-getti Fiocchi in ospedale e Spazio mamme) e 4 hanno ricevuto il volantino da un’amica. Del-le 30 donne solo una è italiana e pertanto il problema della comprensione linguistica è ri-sultato subito evidente; molte delle mamme straniere sono state quindi indirizzate a fre-quentare il corso di italiano presso lo Spazio Mamme di Torre Maura. Le difficoltà di comprensione della nostra lingua penalizzano le mamme e i bambini in misura esponenzia-le: molte donne in gravidanza, non riuscendo a orientarsi nel complesso sistema di welfare che caratterizza il nostro Paese, rinunciano all’assistenza sanitaria di base nonostante questa sia un loro diritto. Spesso allo Sportel-lo si sono presentate donne che, quasi a fine gravidanza, non avevano ancora effettuato la prima visita specialistica, o anche neomamme che avevano rinunciato al servizio pediatrico di base perché non erano in grado di capire le prescrizioni del medico né riuscivano a for-mulare richieste appropriate. La collaborazio-ne con ACP Lazio ha permesso al progetto di dare informazioni chiare sulla pediatria di ba-se, aiutando così le famiglie a orientarsi più efficacemente nel nostro sistema sanitario, ma anche di offrire consulenze individuali e di gruppo su vari temi quali la salute, la cura e l’accudimento del bambino.Le mamme con cui abbiamo costruito un percorso individuale provengono perlopiù dal quadrante sud-est di Roma, vivono in occu-pazione o in case popolari. Pochissime paga-no un affitto con un regolare contratto. Il li-vello socio-economico è molto basso: è pre-sente un forte indice di disoccupazione, gli impieghi sono saltuari, anche quelli dei mari-ti. La maggior parte delle famiglie prese in carico sono famiglie ricomposte, con più figli. Solo 4 sono monoparentali. Una giovane

I PRIMI MILLE 115Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

mamma vive ancora con la madre e il fratello perché, così come il papà del bambino, è mi-norenne. La maggior parte dei casi che abbiamo segui-to sono stati inviati da servizi che fanno parte della rete 1000 Giorni; questo ha permesso di attivare una presa in carico condivisa, con un confronto continuo (ma ancora non del tutto sistematico) sull’andamento sia della situa-zione familiare nel complesso, che di quella individuale della persona che si è rivolta al nostro servizio. Nei casi in cui l’arrivo è stato spontaneo, si è avviato invece il percorso in-verso: la donna, dopo un periodo di analisi dei bisogni e delle risorse, è stata presentata ai partner più idonei a rispondere alle specifiche necessità emerse.

La storia di Anna Quella di Anna e del piccolo Thomas (nomi di fantasia) è una storia che spiega con chia-rezza la metodologia e l’utilità di un pro-gramma come 1000 Giorni.Anna ha 29 anni, è filippina, è arrivata in Ita-lia 5 anni fa con la zia in cerca di lavoro. Co-me la maggior parte delle donne straniere che abbiamo incontrato, per Anna l’Italia è il luogo dove lavorare e guadagnare un po’ di soldi per mantenere la sua famiglia in patria. Per questo motivo sente una forte responsa-bilità che la lega al Paese d’origine dove ha lasciato una figlia di 9 anni che vive con i nonni. Anna fa le pulizie in due case della “Roma bene” per 5 pomeriggi alla settimana e un salario di 550 euro al mese. Dopo un po’ di tempo in Italia, Anna ha conosciuto un uomo con il quale ha avuto una breve relazio-ne che lui ha troncato quando ha saputo della gravidanza. Rimasta sola con un bimbo pic-colo, la vita di Anna si è complicata. È andata a vivere in un piccolo appartamento che divi-de con altre persone, dove paga un affitto di 350 euro. Del suo magro stipendio le restano 200 euro con i quali far quadrare i conti: utenze, cibo, vestiti. La donna ha deciso allo-ra di chiedere un aiuto, e si è recata con il fi-glio al Servizio Sociale del V Municipio dove ha incontrato la referente dell’area minori. Dopo un primo incontro, l’assistente sociale ha offerto ad Anna la possibilità di rivolgersi allo Sportello di Ascolto e Orientamento di 1000 Giorni. Il giorno stesso la donna è arri-vata da noi: parla poche parole di italiano, è molto ansiosa e diffidente. Suo figlio Thomas ha 18 mesi, è molto magro e mal vestito. Le abbiamo proposto allora un incontro di grup-po per aiutarla a capire meglio chi siamo e per permettere a noi, al contempo, di monitorare la sua situazione personale. Al primo incontro di gruppo Anna assume un comportamento ambivalente: da una par-te il desiderio di aprirsi e partecipare, dall’al-tra l’istinto di chiudersi e resistere da sola. Inoltre non sa decidere se chiedere un collo-

quio individuale oppure no. A causa di questa forte incertezza, le abbiamo proposto di par-tecipare a un’altra attività di gruppo. Al se-condo incontro Anna finalmente ha vinto le resistenze e ha chiesto un appuntamento per un incontro individuale. Il colloquio viene svolto dalla psicologa mentre l’educatrice la-vora con il bambino. Durante il colloquio individuale si esplorano diverse aree: personale, familiare, relaziona-le. Cerchiamo di capire se è attiva una rete con i servizi sociali, se esistono altre realtà con cui l’utente s’interfaccia nell’ambito so-cio-educativo-sanitario.Ci rendiamo subito conto che Anna ha diffi-coltà a raggiungere il pediatra di base perché troppo lontano: il suo lavoro si trova dall’altra parte della città e, dovendo muoversi con i trasporti pubblici, non riesce a raggiungere l’ambulatorio nei tempi di apertura mettendo così a rischio la salute del bambino. Attraver-so la rete territoriale riusciamo a metterla in contatto con un pediatra più vicino alla sua abitazione, disposto ad accogliere altri piccoli pazienti. La barriera linguistica le impedisce di accedere a quei servizi di aiuto e sostegno importanti data la sua situazione. Per supera-re questa difficoltà di comunicazione le ab-biamo prospettato l’ipotesi di seguire il corso di italiano offerto dallo Spazio Mamme di Torre Maura. Contemporaneamente, la refe-rente dell’area minori del servizio sociale, le fissa un incontro con l’ufficio nido del V Mu-nicipio che l’ha sostenuta nella compilazione della domanda a due giorni dalla scadenza del bando. Dopo un mese dal primo incontro, la situa-zione economica già difficile di Anna peg-giora ulteriormente perché perde uno dei due lavori. Attraverso il dispositivo di so-stegno Di mamma in mamma, siamo in gra-do di fornirle del vestiario per lei e per il suo bambino, giochi per il piccolo Thomas e, sempre nell’ottica di un sostegno materiale concreto, attiviamo il Banco Alimentare. Contemporaneamente, allertiamo il Servi-zio Sociale per trovare una struttura adatta per entrambi: una casa famiglia nel quartie-re di Centocelle, non distante da Tor Sa-pienza. L’urgenza della casa famiglia diven-ta impellente perché Anna ha un preavviso di licenziamento: entro 30 giorni avrebbe perso anche la sua piccola ultima entrata economica. In seguito a questa notizia e al-lo stato di deprivazione che grava sulla vita del bambino, Anna accetta positivamente la proposta della casa famiglia. Con Anna stiamo costruendo una rete di sostegno a partire dagli incontri di gruppo, dai colloqui individuali, dagli incontri di collaborazione e confronto con l’assistente sociale e con il gruppo di lavoro della casa famiglia dove Anna e Thomas hanno trova-to alloggio.

La situazione di Anna è molto complessa: il nostro intervento, basato principalmente su una presa in carico immediata e sull’attiva-zione di risorse sul breve periodo per tampo-nare l’urgenza delle sue condizioni, non ci ha ancora permesso di costruire con lei un per-corso più a lungo termine che dia alla coppia madre-bambino la possibilità di uscire dall’indigenza e di iniziare a programmare il futuro. Attualmente Anna è coinvolta in tutte le no-stre attività di gruppo, perché ha bisogno di sentirsi parte di una comunità, di confrontar-si con altre mamme e perché sa cosa potrebbe significare per lei ripiombare nella solitudine.Da quando è rimasta incinta, Anna ha vissu-to un lento e graduale isolamento perché, con il procedere della gravidanza e la nascita del bambino, non era più in grado di lavorare ai ritmi massacranti che spesso contraddistin-guono il lavoro delle donne immigrate in Ita-lia. Sola con un bambino piccolo, senza una famiglia, in una città che non conosce e di cui non parla la lingua, la sua condizione di don-na e di madre è andata naturalmente peggio-rando: il fatto di dover portare con sé il bam-bino sul posto di lavoro è stato uno dei fattori che le hanno fatto perdere gradualmente gli impieghi che, dopo la gravidanza, era riuscita a procurarsi tra mille sacrifici e difficoltà. In queste condizioni la maternità finisce inevi-tabilmente per rivelarsi un fattore d’impove-rimento.La storia di Anna è emblematica non solo perché evidenzia la maggior parte delle azio-ni previste dal programma 1000 Giorni, ma anche e soprattutto perché rileva con chia-rezza l’importanza e la potenzialità di un si-stema territoriale comunitario e di un’efficace integrazione professionale e organizzativa dei servizi, al fine di ampliare in maniera organi-ca e sistematica l’offerta di sostegno alle fa-miglie più vulnerabili.

* [email protected]

1. Trapani F, Arpaia C, Esposito I, et al. 1000 Giorni: dalla gravidanza ai primi tre anni di vita del bambino. Quaderni acp 2016;23,177-8. 2. Sanders M, Markie-Dads C, Turner K. Theo-retical, Scientific, and Clinical Foundations of the triple P-Positive Parenting Program: a population approach to Promotion of Parenting Competen-ce, Parenting Research and Practice Monograph No.1 (St. Lucia, Queensland, Australia: The Pa-renting and Family Support Centre at the Univer-sity of Queensland, 2003).3. Bronfenbrenner U, Morris PA. The Bioecolo-gical Model of Human Development. In: Han-dbook of Child Psychology, vol. 1: Theoretical Models of Human Development, edited by Ri-chard M. Lerner (Hoboken, NJ: Wiley, 2006), pp. 793-828.4. Eurostat 2016.5. CENSIS 2013. 6. ISTAT. Le nascite nel Lazio 2014.

SCENARIO116 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Cibo a pezzi già dai sei mesi? E se poi si soffoca?Manuela Musetti*, Maddalena Marchesi**, Luisa Seletti****Pediatra di famiglia, Monticelli Terme (PR); **Pediatra di famiglia, San Polo d’Enza (RE)

***Pediatra di famiglia, Brescello (RE)

Lo scenario clinico affronta il tema del rischio di soffocamento in bambini sani con l’utilizzo delle nuove tecniche di svezzamento (autosvezzamento – alimentazione complementare a richiesta) che prevedono l’utilizzo di cibo in pezzi già a partire dai 6 mesi di vita. Anche se non è possibile trarre conclusioni definitive, queste nuove modalità di svezzamento, quando associate a un’adeguata formazione del genitore su come prevenire e affrontare il problema dell’inalazione da cibo, non sembrano esporre il bambino a un maggiore rischio di soffocamento.

‘This clinical scenario addresses the choking risk in healthy children introducing solid foods through a baby-led weaning and a complementary feeding approach. At 6 months of life solid food is introduced in small eatable pieces, finger food, suitable for his/her age.Although it is not possible to draw definite conclusions, these new ways of weaning, associated with appropriate parent training on the prevention and management of choking, do not seem to expose children to a greater risk of inhalation.’

frequenza degli eventi fatali sono hot dog, caramelle dure, noci/semi, alcune verdure, frutti crudi e chewing gum [3]. Uno studio multicentrico dell’Università di Torino [4] ha valutato i casi di inalazione di corpi estranei che hanno determinato complica-zioni e richiesto l’ospedalizzazione nella fa-scia 0-14 anni in 19 ospedali europei negli anni 2000-2002. Più della metà dei sogget-ti aveva meno di 3 anni (55%) e la classe d’età più colpita è il secondo anno di vita. I

cibi sono i corpi estranei più frequentemen-te inalati (complessivamente nel 64% dei casi noci, semi, frutti di bosco, mais, piselli, fagioli; nel 12% lische di pesce) e le diverse abitudini alimentari determinano un coin-volgimento più frequente di alcuni cibi ri-spetto ad altri: per esempio in Finlandia nel 69% dei casi sono coinvolte lische di pesce. Mentre questi studi analizzano nel detta-glio il tipo di cibo coinvolto, le circostanze in cui questo si è verificato non vengono mai discusse, determinando un vuoto di dati significativo. Dal registro nazionale delle schede di di-missione ospedaliera, emerge che in Italia nel periodo 1999-2003 ci sono più di 400 ricoveri annui per inalazione di corpi estra-nei (CE), e che più della metà sono stati nella fascia d’età 0-4 anni [5]. Dati ISTAT per il 2013 indicano che, nella fascia 0-4 anni, l’inalazione di CE è la seconda causa di morte accidentale, con il 27% dei decessi, dopo gli incidenti stradali [6].

Modelli di alimentazione complementareMentre fino agli anni 2000 ha prevalso una modalità di svezzamento tradizionale gui-

Caso clinicoIncontro, per il bilancio di salute, Marco, un bambino sano, che compirà 6 mesi dopo po-chi giorni. La mamma mi racconta di una sua amica che sta praticando l’autosvezzamento; a lei piacerebbe provare questo approccio, ma è preoccupata perché teme che offrendo a Mar-co cibo in pezzi, il bambino possa soffocare. Cosa rispondere alla mamma?

BackgroundLa preoccupazione della mamma di Mar-co è reale: il rischio di soffocamento causa-to da inalazione accidentale di cibo è un problema rilevante nei primi anni di vita.

Epidemiologia del soffocamento da ciboUna revisione del 2013 sui rischi di soffo-camento da cibo [1] ha evidenziato che nell’87% dei casi analizzati i pazienti ave-vano meno di 5 anni e nell’84% degli studi (6585 pazienti) prevaleva il cibo tra i corpi estranei inalati; i semi, la frutta secca e i legumi sono stati i cibi più frequentemente coinvolti, con le arachidi al primo posto.Dati americani per il periodo 2001-2009 [2,3] indicano che nei bambini 0-14 anni il soffocamento da cibo ha causato 57 morti e 12.435 accessi ai dipartimenti di emergen-za; il 10% è stato ospedalizzato. Tra i casi non fatali più di un terzo dei bambini era di età inferiore all’anno (37,8%) e più della metà erano bambini di età inferiore a 4 anni (61,7%). L’ambiente domestico è il contesto in cui avviene il maggior numero di episodi (89,9%) [2]. I cibi responsabili con maggior

TABELLA 1. Tipi di svezzamento (modificata da voce bibliografica 14)

Autosvezzamento o alimentazione complementare a richiesta secondo L. Piermarini

Il passaggio da un’alimentazione solo lattea a una mista con cibi solidi si realizza progressivamente, facendo partecipare il bambino ai pasti della famiglia. L’inizio è stabilito verso i 6 mesi dalla comparsa nel bambino delle necessarie competenze motorie e cognitive (seduto con minimo appoggio, interesse per il cibo dei genitori, porta il cibo alla bocca e lo deglutisce). Al bambino si propone lo stesso cibo dei genitori con eventuali adattamenti (il cibo viene sminuzzato, tritato/macinato/frullato o proposto in pezzi afferrabili); si usa il cucchiaio ma il bambino può anche mangiare con le mani. Si rispetta la capacità di autoregolazione del bambino che è libero di mangiare quanto vuole.

Svezzamento guidato dal bambino o babyled weaningsecondo G. Rapley

Il bambino partecipa ai pasti della famiglia. L’inizio è stabilito, verso i 6 mesi, dalla comparsa nel bambino delle necessarie competenze motorie e cognitive. I genitori propongono il loro stesso cibo a pezzi delle dimensioni del pugno del bambino e afferrabili a pugno dal lattante. Non si usa il cucchiaio e il bambino si autoalimenta da solo mangiando la parte che sporge dal pugno. Il bambino è libero di mangiare la quantità desiderata.

Svezzamento tradizionale(parent led weaning)

È uno svezzamento guidato dal genitore. Il bambino non mangia a tavola con la famiglia ma in un momento diverso. A un’età stabilita dagli esperti e uguale per tutti i bambini (4-6 mesi) si inizia un’introduzione graduale, tramite cucchiaino, di alimenti diversi dal latte, omogeneizzati o liofilizzati, o, se freschi, ridotti in purea. Le quantità, il tipo di alimenti e il timing d’introduzione sono dettati dalla prescrizione del pediatra.

SCENARIO 117Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

dato dal genitore (parent led weaning), se-guendo schemi rigidi proposti dal pediatra, nell’ultimo decennio si sono diffuse altre due modalità di svezzamento, diventate sempre più popolari anche attraverso numerosi siti internet, blog, forum online: l’autosvezza-mento o alimentazione complementare a ri-chiesta secondo L. Piermarini, introdotta in Italia dal 2001 [7] e il Baby Led Weaning (BLW, svezzamento guidato dal bambino) secondo G. Rapley, introdotto nel Regno Unito a partire dal 2003 [8]. Nella Tabella 1 vengono descritte le principali caratteristi-che dei tipi di svezzamento. L’ESPGHAN nel suo recente position pa-per sull’alimentazione complementare [9] prende atto della diffusione di queste nuove pratiche e, pur sottolineando la necessità di ottenere maggiori dati di sicurezza rispetto alla copertura dei fabbisogni nutrizionali e del rischio di soffocamento, suggerisce che la condivisione in famiglia dei pasti e un ruolo più attivo del bambino possono inco-raggiare uno stile genitoriale più responsivo che è molto importante per una crescita sa-na, tanto che risulta essere la miglior forma di prevenzione dello sviluppo di sovrappeso e obesità nei primi due anni di vita.

La domanda strutturataL’autosvezzamento espone il bambino a un maggior rischio di soffocamento rispetto allo svezzamento tradizionale? Formulia-mo la domanda strutturata in questo modo: Un bambino sano nel secondo semestre di vita [POPOLAZIONE] che viene ali-mentato attraverso la pratica dell’autosvez-zamento [INTERVENTO] rispetto a un tipo di svezzamento tradizionale [CON-FRONTO] è esposto a un maggior rischio di soffocamento da cibo [OUTCOME]?

La ricercaAbbiamo eseguito la ricerca su PubMed utilizzando la stringa (Baby led weaning OR food weaning OR complementary fe-eding) AND choking. Sono emersi 47 ar-ticoli, di cui quattro hanno affrontato il te-ma del rischio di soffocamento. La stessa

ricerca su Google schoolar non ha portato alla selezione di ulteriori contributi.

RisultatiUno studio cross-sectional [10] ha confron-tato l’autosvezzamento con lo svezzamento complementare a 6-8 mesi d’età: il BLW è associato a un periodo più lungo di allatta-mento esclusivo, a un’introduzione più tar-diva dell’alimentazione complementare e a una maggiore partecipazione dei pasti fa-miliari; l’introito calorico è simile, mentre si è visto che i bambini che seguono il BLW introducono più grassi e meno ferro, zinco e vitamina B12; il rischio di soffocamento è uguale in entrambi i tipi di svezzamento.Sempre lo stesso gruppo, per aumentare l’ap-porto di ferro e di calorie e ridurre il rischio di soffocamento, ha realizzato uno studio pilota [11] su una forma di autosvezzamento modi-ficato, denominato Baby Led Introduction to Solids (BLISS) e successivamente uno studio RCT [12] su 206 bambini, con follow-up a 2 anni, per valutare, come outcome primario, il BMI a 12 mesi e, come outcome secondario, la capacità di autoregolazione nell’apporto energetico, lo stato di zinco e ferro, la qualità della dieta, gli episodi di soffocamento, la cre-scita e la fattibilità da parte dei genitori. Allo studio ha aderito solo il 23% della popolazio-ne eleggibile, con una ridotta rappresentazio-ne degli stati socioeconomici più svantaggiati. Di questo studio sono stati attualmente pubblicati solo i risultati relativi al rischio di soffocamento [13]. Il BLISS, che preve-de una formazione specifica ai genitori per ridurre il rischio di soffocamento, non si associa a un maggior rischio di inalazione. Più nel dettaglio emerge che a 6-8 mesi di età complessivamente il 35% dei bambini avevano presentato almeno un episodio di “choking” (Box 1) (in totale di 199 episodi) senza diffe-renze di frequenza tra i due gruppi. Purtroppo però il rischio di soffocamento rappresenta un outcome secondario dello studio, per cui la sua potenza, scelta per verificare il BMI a 12 mesi, non è sufficiente per trarre conclusioni sugli episodi di soffocamento gravi. Nello studio sono stati valutati anche gli episodi di gagging

(Box 1) [14], che sono risultati molto frequenti (in totale 8114 episodi), con maggior frequen-za nel gruppo BLISS a sei mesi (RR 1,56; IC 95% 1,13-2,17) e in minor misura a 8 mesi (RR 0,60; IC 95% 0,42-0,87). Comunque, il dato più significativo emerso dallo studio è che a 7 e a 12 mesi, rispettiva-mente al 52% e al 94% dei bambini, è stato offerto cibo a rischio di soffocamento (nel diario alimentare comparivano fette biscot-tate, verdura cruda, mela cruda, crackers…) senza significative differenze tra i due gruppi. Un’elevata percentuale di bambini, in en-trambi i gruppi, non sono stati adeguatamen-te supervisionati durante il pasto. Questo sot-tolinea la necessità che il pediatra, indipen-dentemente dal tipo di svezzamento scelto, informi ogni caregiver su come evitare i cibi e le situazioni pericolose, e sulle manovre sal-vavita. Queste informazioni vanno riprese periodicamente, in particolare nel secondo anno di vita quando i bambini acquisiscono maggior autonomia e capacità di movimento.

ConclusioniIn base ai risultati degli studi non è possibi-le trarre delle conclusioni definitive; tutta-via sembra che l’autosvezzamento in questi primi studi che hanno valutato il BLISS, quando prevede un’accurata formazione ai genitori su come minimizzare i rischi del soffocamento da cibo, non esponga il bam-bino a un maggior rischio di soffocamento rispetto allo svezzamento tradizionale. Discuto con la mamma di Marco dei diver-si tipi di svezzamento che è possibile prati-care, dell’importanza di preferire cibi pre-parati in casa, meno ricchi di sale, zuccheri e grassi rispetto a quelli industriali [14]; della possibilità di utilizzare sia cibi in con-sistenza di purea con il cucchiaio sia cibi schiacciati, tritati, macinati o a pezzi affer-rabili, sufficientemente morbidi da poter essere ridotti in purea dalla lingua contro il palato. Un metodo non esclude l’altro. Il punto fondamentale è rispettare i tempi del bambino che è in grado di autoregolare la propria richiesta così come è stato in gra-do di farlo con l’allattamento, proseguendo con quello stile di alimentazione che coin-volge tutta la famiglia e che consiste nell’os-servare i segnali di fame e di sazietà del bam-bino, rispondendo in modo coerente.La informo sulle misure da mettere in at-to per ridurre il rischio di soffocamento (Box 2) [11,15]. Le spiego le manovre di disostruzione con il supporto dei video della Croce Rossa, visibili su Youtube [16] e la indirizzo all’Assistenza Pubblica dove periodica-mente vengono organizzati corsi di diso-struzione delle vie aeree.

* [email protected]

BOX 1. Definizione di gagging e choking (da voce bibliografica 14, 8)

Gagging Choking

Riflesso di espulsione scatenato da punti trigger sulla lingua e sulle pareti del faringe, la cui stimolazione determina contrazione del faringe e spinta anteriore della lingua, che determina episodi di conato legati all’introduzione del cibo o di altri oggetti solidi.I punti trigger del riflesso di gagging si posteriorizzano nel corso del primo anno di vita, per cui è usuale che un bambino di 6 mesi abbia una maggior frequenza di gagging rispetto a un bambino di un anno.

Aspirazione di cibo o di oggetti solidi che ostruisce in parte o completamente le vie aeree.

SCENARIO118 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

1. Sidell DR, Kim IA, Coher TR, et al. Fo-od choking hazards in children. Int J Pediatr Otorhinolaryngology 2013;77:1940-6.2. Chapin MM, Rochette LM, Annest JL, et al. Non fatal Choking on Food Among Chil-dren 14 Years or Younger in the United States, 2001-2009. Pediatrics 2013;132:275-81.3. Center for Disease Control and Prevention. CDC WONDER. Underlying cause of death 1999-2009. Aviable at: htttp//wonder.cdc.gov/4. Gregori D, Salemi L, Scarinzi C, et al. ESFBI Study Group. Foreign bodies in the upper airways causing complications and re-quiring hospitalization in children aged 0-14 years: results from the ESFBI study. Eur Arch Otorhinolaryngol 2008;265:971-8.

5. Casalini AG. Broncoscopia operativa pe-diatrica: i corpi estranei tracheobronchiali in età pediatrica. Pneumologia Interventistica. Springer, 2007.6. http://www.istat.it.7. Piermarini L. Quando svezzare il lattante? Quando vuole lui. Quaderni acp 2004;11:94.8. Rapley G. Baby-led weaning: transitioning to solid foods at the baby’s own pace. Commu-nity Pract 2011;84:20-3.9. Fewtrell M, Bronsky J, Campoy C, et al. Complementary Feeding: A Position Pa-per by the European Society for Paediatric Gastro enterology, Hepatology, and Nutri-tion (ESPGHAN) Committee on Nutrition. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2017;64:119-32.

10. Morison BJ, Taylor RW, Haszard JJ, et al. How different are baby-led weaning and conventional complementary feeding? A cross-sectional study of infants aged 6-8 mon-ths. BMJ Open 2016;6:6(5).11. Cameron SL, Taylor RW, Heath AL. Development and pilot testing of Baby-Led Introduction to SolidS--a version of Baby-Led Weaning modified to address concerns about iron deficiency, growth faltering and choking. BMC Pediatr 2015;15:99.12. Daniels L, Heath AL, Williams SM, et al. Baby-Led Introduction to SolidS (BLISS) study: a randomised controlled trial of a baby-led approach to complementary feeding. BMC Pediatr 2015;15:179.13. Fangupo LJ, Heath AM, Williams SM. A Baby-Led Approach to Eating Solids and Risk of Choking. Pediatrics 2016;138 (4). pii: e20160772. Epub 2016 Sep 19.14. Iaia M. L’alimentazione Complementa-re Responsiva. Il Pensiero Scientifico Edito-re, 2016.15. Committee on Injury, Violence, and Poi-son Prevention. Prevention of choking among children. Pediatrics. 2010;125(3):601-7.16. Corso di disostruzione pediatrica - Ma-novre di disostruzione del bambino. ht-tps://www.youtube.com/watch?v=1AY34y KQNIc. Corso di disostruzione pediatrica - Manovre di disostruzione del lattante. ht-tps://www.youtube.com/watch?v=dc1biiR-q1m4

BOX 2. Misure per ridurre il rischio di soffocamento da cibo (modificato da voci bibliografiche 11 e 15)

> Sorvegliare il bambino mentre mangia, senza perderlo di vista, seduto con la schiena dritta, a tavola o nel seggiolone

> Impedire al bambino di fare altre attività mentre mangia come correre, giocare, guardare la televisione, il cellulare o il tablet

> Controllare che non abbia del cibo in bocca prima di lasciare che si alzi da tavola> Non infilare forzatamente del cibo all’interno della bocca del bambino> Evitare gli alimenti che per forma e consistenza sono maggiormente a rischio:

– piccoli, duri, lisci e scivolosi come arachidi e frutta a guscio in generale, chicchi d’uva, pomodorini, olive, pop-corn, caramelle dure...

– cibi che si spezzano senza perdere la consistenza dura come carota cruda, mela cruda, biscotti secchi, fette biscottate, cracker, frutta acerba...

– cibi con filamenti come sedano, finocchio, prosciutto crudo…

Clown, lettura, gioco in ospedale. Patch Adams“Non possiamo promettere di guarire le persone, ma possiamo promettere di prenderci cura di loro”.Con questo slogan Patch Adams - il medico che, sulla base di precedenti esperienze, tra cui quella di Michael Christensen del Big Apple Circus di New York - porta avanti da 40 anni l’ambizioso progetto di inserire risate, amore, gioia e fantasia nelle terapie mediche. E proprio Patch Adams è stato a Napoli all’ospedale Santobono per far conoscere ai bambini presenti in ospedale e al personale medico e infermieri-stico il potere del gioco e delle risate.Rendere il reparto di pediatria un luogo accogliente per il bambino e la sua famiglia è sempre stato un nostro obiettivo perché siamo convinti che saper accogliere il bambino in luoghi pensati per lui rende meno traumatico il ricovero ospedaliero.La lettura, il gioco, i clown sono parte integrante del nostro lavoro e sono importanti allo stesso modo di una terapia efficace o di una risonanza ma-gnetica. Abbiamo sempre cercato di creare un ospedale ad alta tecnologia con alti livelli di umanizzazione delle cure. E i clown con il loro intervento, il loro sorriso, il loro gioco ci aiutano a realizzare il nostro obiettivo.Ospitare il dr Patch Adams è stata un’esperienza unica e di alto valore scientifico che servirà a migliorare le nostre performance.

STORIE CHE INSEGNANO 119Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Parlare con il bambino può cambiare la relazione con la mammaGianni Garrone, Maria Merlo, Paolo Fiammengo, Paola Ghiotti, Chiara Guidoni, Antonietta Innocenti, Patrizia Levi, Lia Luzzato, Monica Montingelli, Paolo Morgando, Gianna Patrucco, Ivo Picotto, Danielle RollierACP Ovest (ACPO)

Da qualche tempo, all’interno di ACPO, ci confrontiamo sul tema dello “spazio” da lasciare al bambino durante la visita in pediatria di famiglia. Nell’articolo in cui è descritta la storia di Mara [1], abbiamo raccontato un caso in cui la comunicazione pediatra-bambina è stata facile ed è risultata indispensabile a individuare un malessere della piccola, inaspettato e sconosciuto ai suoi stessi genitori. Nell’articolo di oggi, la storia di Mario, raccontiamo invece di un dialogo pediatra-bambino più difficile e contrastato, che, nel momento in cui riesce a realizzarsi, si rivela prezioso per sbloccare la relazione del medico con l’intera famiglia e per aprire la strada, secondo un modello bio-psico-sociale, a un maggior benessere del bambino.

Lately within ACPO we have faced the need to give “space” to the child during an office visit in paediatric primary care.In the precedent article, describing the story of Mara, we reported a case in which the paediatrician-child communication was easy and necessary to identify a malaise in the child, unexpected and unknown to her own parents.In today’s article, in Mario’s story, we describe a difficult and constrated paediatrician-child communication. Nevertheless, once realized, it becomes valuable in unlocking the docotr’s relationship with the entire family and in paving the way, by a bio-psycho-social model, to the child’s wellbeing.

La storiaMario, 9 anni, viene accompagnato dalla mamma per un bilancio di salute.La situazione familiare è complessa.Il padre è stato gravemente colpito da un ictus in età molto giovane.I reliquati sono pesanti e lui è arrabbiato per quello che gli è successo e con la “Sani-tà” in generale.Nei primi anni è venuto spesso in studio ad accompagnare i figli, nonostante le no-tevoli difficoltà di deambulazione e di lin-guaggio, ma da molto tempo non lo fa più.Mario ha una sorella di 16 anni, Alessia, obesa, estremamente dipendente dalla ma-dre, timida, introversa, triste, che non so-no riuscita a far dimagrire di un etto in tanti anni.La madre è una donna con cui è difficile rapportarsi: ti guarda poco, sembra sem-pre estremamente rispettosa delle tue pro-poste e del tuo parere, ma fa poi tenace-mente quello che vuole.Tanto per capirci, in anni di conoscenza e di visite per Alessia, ai miei disperati ten-tativi di farla mangiare meglio e meno, di farle fare attività sportiva inserendola in un gruppo che la motivasse e migliorasse la sua scarsa capacità di socializzare, la si-gnora rispondeva invariabilmente e appa-

rentemente in accordo: “Io e lei camminia-mo tantissimo al parco, noi due sole, ve-ro?” “Ma certo, adesso ci proviamo, vero Alessia?”E non cambiava mai niente.Anche rispetto a Mario la comunicazione tra me e la mamma sembra riproporre lo stesso schema.Anche quando mi telefona molto allarma-ta per un episodio di tosse o di mal di pan-cia insorto da poche ore, se io, capendo la sua ansia, la invito a portarmi il bambino in studio in giornata, lei regolarmente re-plica: “Io ci provo, ma lui non vuole, non se la sente proprio, non vuole lasciare il letto, vero Mario?”Oggi invece Mario se la sente ed è apparen-temente più disponibile, anche più sorri-dente. Entra meno titubante e non nascon-dendosi come al solito dietro alla madre.Durante la visita riesco a farlo parlare e sembra più rilassato.Quando poi torna a sedersi di fronte a me e accanto alla madre, che è rimasta per tutto il tempo seduta ferma e imbacuccata nel suo cappottone e calzando in testa un berrettone di lana, fatto a mano, sintetizzo per entrambi il risultato della visita e le mie considerazioni.

L’atmosfera è distesa. Lei è contenta che io abbia trovato bene il bambino. Poi, colpita da un pensiero improvviso, chie-do alla mamma: “Come sta suo marito?”Silenzio assordante dei due.Poi la mamma con gli occhi bassi: “Mio marito non c’è più da un anno”.Io non ci posso credere e sbotto: “E dirlo?”“Non c’è stata occasione”.L’avrò sentita al telefono perlomeno 6 volte e vista 2 o 3 in quest’anno, sempre tutti e tre insieme appassionatamente, mamma e Alessia ad accompagnare Mario!Guardo Mario e dico: “Deve essere diffici-le per te”.Lui ci pensa un po’ e risponde: “No. Beh… sì, un po’”.Mi guarda dritto negli occhi, sorridendo lievemente e poi guarda la mamma che tiene sempre gli occhi bassi.E io: “Certo, lo capisco. Ti mancherà mol-to, era un buon papà”.Lui annuisce e sta per rispondermi, ma… la mamma interviene fermamente guar-dandomi fisso: “Adesso però basta!”Io non ci sto e le spiego gentilmente la ne-cessità per tutti, ma specialmente per il bambino, di parlarne, di poter nominare le cose, di non negare.Lei annuisce molto rapidamente, si alza, saluta e fa per andarsene.Mario invece rimane ancora seduto e si at-tarda. Non solo non la segue immediata-mente come avrebbe fatto durante gli in-contri precedenti, ma raccoglie con calma le sue cose, felpa, giacca, guardandomi spesso. Io mi avvicino, mi protendo istin-tivamente per aiutarlo a indossarle, aspet-to che sia pronto e dico ancora: “Sono si-cura che ce la farete bene, hai una buona mamma e ti aiuterà”.Lo saluto affettuosamente e lo accompa-gno alla porta dove la mamma lo aspetta impaziente.

Prime riflessioni Due modelli differenti di salute e di medico Ci troviamo di fronte a una mamma che intende utilizzare la pediatra ponendole li-miti ben precisi: deve occuparsi solo della salute fisica dei suoi figli. Non deve perciò

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occuparsi degli stili di vita della primoge-nita o delle sue difficoltà a socializzare, né delle difficoltà di Mario nell’elaborare un lutto che si può immaginare particolar-mente difficile perché riguarda un padre invalido (col quale quindi il rapporto in vi-ta è stato probabilmente complesso). La pediatra, invece, con coerenza e molto te-nacemente, si propone come interessata al benessere globale del bambino. Possiamo dire che in questa storia si contrappongono 2 modelli diversi di medico che negli anni non hanno trovato un punto di incontro: biologico, quello della madre, e bio-psi-co-sociale [2] quello della dottoressa.Mamme come quella di Mario, che scel-gono un modello solo biologico di salute e di medico e che perciò ci tengono “fuori”, ne conosciamo tante. I motivi della loro scelta possono essere i più svariati: alcune temono l’occhio “pubblico” sulla loro vita familiare o sentono il medico come un giudice; altre (come forse in questa storia) tengono lontano chiunque sembri propor-re di cambiare gli equilibri della famiglia; altre sentono una profonda differenza di valori e obiettivi fra sé e il medico, a cui quindi non intendono affidarsi; altre anco-ra non immaginano che il medico possa essere una risorsa per la soluzione di pro-blemi non esclusivamente sanitari ecc.In più in questa famiglia forse serpeggia un sottofondo di “rabbia” nei confronti della Sanità per il problema irrisolto dell’i-ctus del padre. Perciò Alessia e Mario so-no probabilmente sentiti dalla mamma più come vittime della Sanità che come poten-ziali beneficiari.La scelta di un modello bio-psico-sociale da parte del medico, d’altra parte, non è la regola. Molti medici, infatti, scelgono un modello biologico (che è quello per il qua-le siamo tutti stati formati dagli studi uni-versitari) o si adeguano a questa scelta fat-ta dai genitori. La pediatra di Mario inve-ce sembra aver fatto una scelta differente, molto consapevole e con una forte conno-tazione etica: la dottoressa si sente investi-ta della responsabilità di occuparsi del be-nessere globale del bambino e non solo dei suoi problemi fisici.

Due modelli inconciliabili? Sappiamo, come abbiamo appreso nei no-stri confronti con la sociologia [3], che la relazione medico-paziente è frutto di una co-costruzione nella quale le due parti so-no ambedue attive. Il professionista stabi-lisce le regole del rapporto e il paziente non solo può avanzare richieste differenti (per esempio di un maggiore ascolto, di maggiore attenzione a un sintomo, di me-no o più esami e medicine ecc.) ma anche difendersi, decidendo quanto affidare al

medico di se stesso. Nella storia tra la pe-diatra e la famiglia di Mario la relazione medico-mamma non si è co-costruita in modo armonico nel corso degli anni, ma è rimasta conflittuale.Ricordiamo che la responsabilità di una co-costruzione soddisfacente è soprattutto del professionista che ha, fra i suoi stru-menti, le tecniche del colloquio.La pediatra, nel colloquio soprariportato, ha utilizzato una comunicazione non trop-po ortodossa e apparentemente poco effi-cace. Quando la dottoressa, per esempio, ha scoperto che le è stata nascosta la morte del padre, è sbottata in un: “E dirlo?” ricco di emotività e in parte anche di aggressivi-tà e poi si è lanciata in una “conferenza” sulla necessità di parlare con il bambino per aiutarlo a elaborare il lutto, proponen-do subito “cosa bisogna fare”, senza cercare prima un terreno comune di collaborazio-ne. Durante la visita accade però un evento nuovo e interessante: Mario questa volta è disponibile al dialogo. La pediatra non si lascia sfuggire questo spiraglio e comincia a parlare con il ragazzino, ma, quando i te-mi si fanno “caldi”, la mamma la stoppa: “Ora basta”. Una storia fallita, dunque?Sorprendentemente, no.

La storia prosegueDurante l’estate successiva al colloquio la mamma disdice più volte all’ultimo minu-to l’appuntamento per Mario: il ragazzo si rifiutava proprio di venire in studio.In un’occasione però arrivano agitatissimi, come al solito tutti in pattuglia, mamma, sorella e Mario, perché il bambino era ca-duto giocando in cortile giorni prima, si era escoriato un ginocchio e adesso si rifiu-tava di farsi medicare. “Dottoressa, faccia un po’ lei, sono due giorni che urla non appena ci avviciniamo, e non vuole togliere la garza appiccicata. Solo lei ci può aiutare”.Io mi avvicino titubante a Mario, ma mi basta sollevare un lembo di garza e questa viene via senza danno e senza urla.Mi sono guadagnata in quell’occasione molti crediti, fra sorrisi, applausi e “Grazie a Dio” di mamma e sorella.E arriviamo a oggi. Oggi entrano tutti sorridenti e Mario mi dice subito che era d’accordo a venire.I motivi della consultazione sono nell’or-dine:Primo: Mario non sente, deve avere un tappo di cerume e ha bisogno di un otori-no. Escludiamo il tappo e che Mario non senta. Secondo: Mario cammina male, dice di aver male al ginocchio, quel colpo deve averlo lesionato.

Mario contraddice la mamma “Non ho male”. Il ginocchio è perfetto.In effetti cammina ancora un po’ sulle punte e parliamo del problema.Terzo: Mario ha delle carie che non si la-scia curare. Questo è innegabilmente vero, per cui va-luto con tutti cosa fare.Il clima è sereno. Mario mi parla sponta-neamente, la mamma lo lascia fare rispet-tosamente e io molto accuratamente non contraddico mai nessuno. Ho riletto molto attentamente gli appunti sul counselling!Penso che la visita sia finita (siamo stati in-sieme quasi mezz’ora) quando la mamma mi guarda negli occhi e dice: “Adesso dovremmo parlare di una questio-ne molto delicata. Vero Mario che mi per-metti di parlarne alla dottoressa?”Mario fa cenno di sì col capo, non troppo di buona voglia.E viene fuori che: “Mario non accetta le regole, è un po’ un anarchico, direi più adesso… ma no, non è vero, anche prima che morisse papà!”Finalmente lo ha detto!E la mamma continua: “Credo ci tolleri molto poco, siamo tre donne: io, mia figlia e mia suocera, tutte insieme in casa”.E qui mi guarda in modo molto espressivo.Mario mi guarda e mi comunica senza parole, sbuffando e a gesti, che è davvero pesante.Io mi sento veramente commossa dall’es-sere messa a parte di questa situazione dif-ficile per tutti loro, dico che posso capire molto bene e che mi dispiace. (Penso che la decisione della convivenza sia anche sta-ta obbligata da questioni economiche: la mamma non lavora, il padre era invalido da anni).Poi, per alleggerire un poco, forse a spro-posito, faccio qualche battuta sulla scarsa tolleranza reciproca che può esserci fra ge-neri diversi. E poi seriamente chiedo se Mario ha ami-ci maschi con cui lega.Scopro che Mario non esce mai, non ha amici. A scuola non lega per niente e a sua giustificazione la mamma mi spiega che ha avuto la sfortuna di essere in una classe in cui sono solo tre italiani. Tutti gli altri sono arabi e rumeni anche di recentissima immi-grazione, che parlano quindi poco l’italiano.Piove sempre sul bagnato!Da qualche tempo scende in cortile a gio-care a pallone con ragazzi di 16 anni. Quindi, benissimo che giochi a pallone, ma poi i loro interessi sono lontanissimi e loro se ne vanno lasciandolo solo. E d’altra parte lei non sarebbe d’accordo che li fre-quentasse fuori dal campo di calcio, già così ha i suoi dubbi sulla differenza di età.

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Mario non vuole saperne di gruppi par-rocchiali (avrebbero perlomeno il vantag-gio di essere economici): “Lui è un anticle-ricale!” dice la mamma. Ma non vuole ne-anche andare con gli scout.Scopro però, per inciso, che ultimamente parla sempre più spesso di andare a vivere in Islanda.Io ci sono appena stata, per cui ho buon gio-co di parlargliene e lo incuriosisco molto. Gli chiedo “en passant” se lo attrae per la grande solitudine dei suoi abitanti e lui ride.Scopro anche che gli piace molto fare dei lavoretti manuali e quindi mi lancio sulla bellezza dei campi scout laici, dove innan-zi tutto non si prega, si sta lontani da casa durante le uscite anche per qualche gior-no, si lavora molto a costruire cucine da campo, capanne sugli alberi, ponti sui ru-scelli ecc.È veramente interessato. Gli propongo di provare a informarmi per qualche gruppo e di riparlarne. Gli chiedo di telefonarmi fra qualche giorno per dir-mi cosa ha pensato. Ci tengo a saperlo.A questo punto è la sorellona che guarda la mamma e dice:“Se ci va lui, però lasci andare anche me. Non mi hai mai lasciata negli scorsi anni”.E Mario la guarda sorridendo: “Dai, an-diamo insieme, se vai tu, ci vado anch’io”.Speriamo che se la cavino…

Riflessioni sull’evoluzione del casoIncredibilmente, dopo anni, la situazione sembra essersi sbloccata. La mamma si è fidata della dottoressa, ha cercato un’alle-anza con lei e ha accettato di interpellarla su questioni al di fuori dei confini stretta-mente biologici. Il nuovo atteggiamento materno ha permeato tutta la famiglia: sia Alessia che Mario interagiscono con la dottoressa, e tra di loro in sua presenza, in maniera piana, non trattenuta.Cosa è successo?Non lo sappiamo né possiamo saperlo. Del resto anche i più grandi terapeuti ammet-tono di non sapere cosa davvero “ha fun-zionato” in una terapia (come per esempio ci racconta nelle sue affascinanti storie cli-niche un noto psicoterapeuta, I.D. Yalom) [4]. Forse nelle telefonate intercorse fra le visite la mamma si è sentita più accolta; forse il processo di elaborazione del lutto ha cambiato i suoi equilibri, attivando sue risorse latenti; forse il sistema di famiglia “chiuso” è diventato anche per lei soffocan-te e poco gestibile; forse ci sono stati altri avvenimenti che non conosciamo e che hanno modificato i rapporti familiari…Ci sono stati però, nella prima visita rac-contata, due fatti importanti che possono aver giocato un ruolo nel far evolvere la situazione:

1 La dottoressa è riuscita per la prima volta a instaurare un buon rapporto con Mario. La mamma ha così potuto ca-pire, nei fatti e non attraverso enuncia-zioni teoriche e programmatiche, che la pediatra era in grado di comunicare con il bambino e che era realmente e con-cretamente interessata a Mario: alle vi-cende della sua vita, ai suoi vissuti, alle sue risorse e alle sue difficoltà. Perciò quando si è trovata in difficoltà non so-lo per la medicazione del ginocchio, ma anche per il figlio “un po’ anarchico” ha potuto pensare: “solo lei ci può aiutare”.

2 La dottoressa ha esplicitato con grande carica emotiva, anche se in modo ru-vido, il suo modello di medico atten-to alla salute globale, e non solo fisica, dei suoi pazienti. Il brusco: “E dirlo?” è suonato certo accusatorio, ma ha an-che comunicato un mondo non tanto di idee quanto di emozioni: la profonda delusione della dottoressa per non es-sere stata informata del grave lutto, il suo reale interessamento per la loro fa-miglia, il suo avere a cuore il benessere globale del bambino. Quando vogliamo far cambiare comportamento ai nostri pazienti dobbiamo tener conto del fatto che i cambiamenti, secondo le più re-centi teorie, sono reali se non coinvol-gono solo la sfera razionale ma anche, e soprattutto, la sfera emotiva [5,6]. La chiave, dunque, non è tanto essere con-vincenti sul piano razionale e di real-tà (e in questo certamente ci aiutano le tecniche del colloquio), ma soprattutto comunicare a livello delle emozioni. La mamma di Mario, al di là del momen-taneo rifiuto, ha potuto probabilmente entrare in una qualche risonanza emo-tiva con la dottoressa.

Dal caso di Mario proviamo a estrarre qualche considerazione più generaleNon ci sentiamo di concludere questa sto-ria con un: “Cosa abbiamo imparato”, co-me nelle altre storie da noi precedente-mente presentate. Proponiamo solo alcune considerazioni sulle quali il nostro gruppo ha trovato un accordo, che forse possono essere generalizzabili ad altri casi e con le quali pensiamo sia utile che il lettore si confronti.1 Il rapporto continuativo e la frequenza

degli incontri che caratterizzano la pe-diatria di famiglia permettono al medi-co di intravedere situazioni di famiglie disfunzionali, di relazioni bloccate, di difficoltà spesso complesse, di situa-zioni di rischio educativo e comporta-mentale. Di fronte al crescente impatto delle problematiche relazionali e com-portamentali, all’aumento, da molti se-

gnalato [7,8], di sintomi e patologie so-matomorfi e alla sempre maggiore dif-ficoltà dei servizi di neuropsichiatria a far fronte alla massa delle richieste [9], noi pediatri, quando non ci rinchiudia-mo in un modello biologico di salute, ci troviamo inevitabilmente coinvol-ti in tutti gli aspetti sociali, familiari e affettivi che condizionano il benessere e il futuro dei bambini. Mentre la no-stra formazione tradizionale ci orienta verso la prima opzione [10], il nostro gruppo pensa che occuparsi di questi nuovi bisogni di salute e farsene cari-co sia una scelta etica e professionale irrinunciabile: una scelta che deve per-meare l’attività quotidiana del pediatra, le modalità e i contenuti dei colloqui e delle visite. Del resto non siamo i so-li a pensarla così, come testimoniano numerose lettere pubblicate da Medico e Bambino nella seconda metà del 2016 sulla “inquietudine del pediatra” e sui bambini più “matti” che “malati”. Se-condo noi, in questa ottica, pur con le dovute cautele, è lecito e spesso dovero-so andare oltre le richieste e le esigen-ze più immediate della famiglia e por-si l’obiettivo di facilitare, anche solo a piccoli passi, un’evoluzione delle dina-miche familiari e dello sviluppo globale dei bambini.In fondo è quanto già facciamo quan-do mostriamo ai genitori le competenze e le acquisizioni del neonato e del lat-tante; quando evidenziamo gli aspetti relazionali dell’allattamento, del pian-to, del sonno, dello sviluppo motorio, dell’alimentazione; quando stimoliamo alla lettura precoce e all’ascolto della musica.Il nostro atteggiamento verso i bambi-ni può assumere un ruolo pedagogico nei confronti dei genitori anche nelle età successive: parlare direttamente col bambino, comunicare con lui, ascoltare anche le sue domande o affermazioni, fare emergere le sue capacità, le sue ri-sorse e i suoi interessi, considerarlo in grado di comprendere le nostre conclu-sioni e le nostre scelte terapeutiche, lo valorizza agli occhi dei genitori come persona degna di essere ascoltata e ca-pace d’interagire con un adulto. In altre parole favorisce la crescita della fami-glia e l’evoluzione positiva di alcune dif-ficoltà di relazione o di alcuni sintomi secondari a rapporti poveri e bloccati.

2 L’interesse e la capacità di comunica-re anche con i bambini facilitano l’ap-proccio globale alla salute. Riuscire a parlare al bambino durante la visita può infatti farci percepire dai genitori co-me una risorsa cui rivolgersi anche nei

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casi di loro difficoltà di relazione con i figli. Questo amplia le possibili atte-se rispetto al ruolo e ai compiti del pe-diatra, che non saranno però uguali per tutte le famiglie.

3 Durante ogni singola visita, dando per acquisita la scelta di una medicina ba-sata sul paziente e non sulla malattia, occorre certamente rispondere alle esi-genze di salute, vale a dire esercitare la prevenzione e la cura delle patologie (di-seases), e badare nel contempo al vissuto di malattia dei bambini e delle famiglie (illness); ma è necessario anche conside-rare e ricostruire quella che è stata defi-nita l’agenda del paziente (nel caso del-la pediatria dei diversi componenti della famiglia, bambino compreso) in cui ri-entrano anche le aspettative e i desideri concernenti la visita (Box 1) [11].Il pediatra, per permettere lo svilup-parsi di una relazione terapeutica di questo tipo, deve essere in grado di rac-cogliere informazioni e sensazioni con domande aperte e con uno spazio di ascolto attivo che permetta all’interlo-cutore anche di immaginare nel tempo le proprie risposte ai problemi che ri-porta. La consapevolezza che il collo-quio professionale ha delle regole diver-se dal colloquio spontaneo è essenziale per non cadere in quelle trappole della comunicazione che rendono sterili i dialoghi e inutili i tradizionali buoni

consigli. Ne deriva che la formazione al counselling riveste un’importanza fon-damentale, e la conoscenza delle relati-ve tecniche di comunicazione deve far parte del bagaglio del pediatra. In que-sto modo, senza interventi troppo pe-santi, a volte controproducenti, senza un eccesso di consigli difficili da segui-re e che non aiutano comunque a cre-scere, ci sembra si possano orientare verso la salute le relazioni complesse che caratterizzano in maniera diversa ciascun sistema famiglia. Senza dimen-ticare che il pediatra stesso rientra nel sistema più allargato costituito dalla fa-miglia e dal complesso di persone con cui più frequentemente interagisce (amici, insegnanti o altre figure diver-samente significative).

4 Per una presa in carico globale del bam-bino è necessario però anche che vi sia nel pediatra una particolare volontà e tensione a prendersi cura del benessere dei bambini. In questo entra in gioco una dimensione affettiva, “la voglia di curare”, in cui si producono e si comu-nicano anche sentimenti ed emozioni. Non sempre questo si limita agli aspet-ti desiderati e positivi. È esperienza co-mune che ne sorgano anche di negati-vi, quali frustrazione, rabbia, reazioni verbali o gestuali negative (per esem-pio quando il medico colga un rifiuto verso la propria disponibilità, le proprie

preoccupazioni o verso suggerimenti e consigli ritenuti importanti).Per ritrovarsi preparati a questo tipo di relazione senza danni per sé o per i pa-zienti il medico in generale e, credia-mo, il pediatra in particolare devono acquisire anche una formazione mirata al controllo e alla comprensione dei sentimenti e delle emozioni che si libe-rano, si scambiano e si alimentano nei pazienti e nel curante stesso. Una for-mazione di questo tipo si può ottenere per esempio con i gruppi Balint (Box 2) [12]. Emozioni e sentimenti possono così diventare una risorsa invece che un ostacolo ai cambiamenti, una spinta verso la salute, e forse la chiave per af-frontare in maniera empatica, e qualche volta superare, resistenze e chiusure di alcuni genitori, avviando un percorso che, applicando l’approccio bio-psi-co-sociale, ci permetta di meglio tute-lare la salute del bambino.

* [email protected]

1. Merlo M, Levi P, Fiammengo P, et al. Pro-ve di dialogo: perché parlare con i bambini? Quaderni acp 2016;23:279-81.2. Engel GL. Il modello bio-psico-sociale. Change, 2007.3. Davico S, Fiammengo P, Garrone G, et al. Dialogo con la sociologia: quando il bambino si ammala. Quaderni acp 2015;22:288-92.4. Yalom ID. Guarire d’amore. Storie di psi-coterapia. Raffaello Cortina, 2015.5. Kahneman D. Pensieri lenti e veloci. Mon-dadori, 2012.6. Haidt J. Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione. Codice, 2013.7. Chun T, Mace SE, Katz ER. Evaluation and management of children and adolescent with acute mental health or behavioral pro-blems. Part 1: Common clinical challenges of patients with mental health and/or behavioral emergencies. Pediatrics 2016;138(3).8. Chun T, Mace SE, Katz ER. Evaluation and management of children and adolescent with acute mental health or behavioral emer-gencies. Pediatrics 2016;138(3).9. Sangermani R. Problemi di salute mentale nell’infanzia e nell’adolescenza: criticità nella pratica e nella modalità di intervento. Quader-ni acp 2014;21:210-3.10. McMillan JA, Land M jr, Leslie LK. Pe-diatric residency education and the behavioral and mental health crisis: a call to action. Pedia-trics 2017:139(1).11. Moja EA, Vegni E. La visita medica cen-trata sul paziente. Raffaello Cortina, Milano, 2000.12. Balint M. Medico, paziente e malattia. Giovanni Fioriti editore, 2014.

BOX 1. Agenda del paziente (da voce bibliografica 11)

All’interno della medicina centrata sul paziente con il termine “agenda del paziente” s’intende ciò che egli porta con sé e con la sua malattia, suddiviso in quattro dimensioni: le idee di malattia, vale a dire le diagnosi ipotizzate o credute; i sentimenti e i timori relativi; le aspettative su ciò che farà o dovrebbe fare il medico; il contesto in cui si collocano i sintomi, compresi avvenimenti passati e difficoltà presenti.Rispetto al vissuto di malattia, che è una situazione personale che prescinde dal rapporto con altri, il concetto di agenda implica un aspetto relazionale, perché è quanto viene portato in visita al medico dal paziente o dalla famiglia, spesso però senza essere esplicitato.

BOX 2. Gruppi Balint (da voce bibliografica 12)

I gruppi Balint (dal nome del loro ideatore, Michael Balint, psicoanalista ungherese, 1986-1970) sono gruppi di formazione, a indirizzo psicoanalitico, rivolti a quanti si dedicano a professioni di aiuto (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti ecc.). Il loro obiettivo non è fornire nozioni di psico-logia o di tecniche di comunicazione, ma insegnare a fare i conti con le emozioni, del professionista e del paziente, che giocano un ruolo nei processi di diagnosi e cura e nella relazione terapeutica. I partecipanti, attraverso discussioni di casi clinici guidate da uno psicoterapeuta, diventano più con-sapevoli dei modi in cui utilizzano la loro personalità, le reazioni automatiche istintive, le emozioni, le convinzioni scientifiche. Possono così aumentare le capacità introspettive ed evitare che le loro componenti più immature interferiscano negativamente nel rapporto con il paziente. E possono, per usare le parole di Balint, cercare di raggiungere “una modificazione notevole, seppur parziale, della personalità”, diventando più capaci di una relazione empatica e di quella “azione catalizzatrice”, fondamentali per favorire i cambiamenti del paziente.

I TROPICI IN AMBULATORIO 123Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

I tropici in ambulatorio: la malariaFabio CapelloUO di Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni-L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì

Questo contributo apre una piccola serie di ar-ticoli che dovrebbero aiutarci a tenere a mente malattie a noi poco note, ma in certa misura “emergenti” perché rese più attuali dalle com-mistioni etniche nelle quali siamo immersi e delle quali, in fondo, siamo parte. Non c’è la pretesa di trattare esaurientemente e sistema-ticamente ciascun tema, quanto di rinfrescare argomenti forse poco frequentati e far nascere qualche curiosità di approfondimento. I tro-pici sono oggi più vicini di un tempo; qualche volta andiamo noi da loro, spesso vengono loro da noi, nel nostro ambulatorio. Proviamo a conoscerli un po’ di più.

Enrico Valletta

Per il medico occidentale, il termine “ma-lattia tropicale” apre scenari remoti ed eso-tici apparentemente lontanissimi da ciò che si trova ad affrontare ogni giorno nel proprio ambulatorio. In effetti alcune di queste patologie sono ti-piche di aree geografiche ben definite o se-condarie a specifiche situazioni socio-sani-tarie e, tuttavia, vengono diagnosticate

quotidianamente e gestite con dimesti-chezza da colleghi che si sono formati o che prestano regolarmente la propria ope-ra in quei contesti. Paradossalmente, quin-di, condizioni che interessano miliardi di persone che abitano le fasce equatoriali e tropicali del pianeta, finiscono con il susci-tare scarso interesse alle nostre latitudini. Proprio per questo, anche il medico occi-dentale dovrebbe sentirsi stimolato ad ap-profondire tematiche che, come vedremo, sarebbe utile entrassero a fare parte del suo bagaglio culturale già nel corso degli studi universitari.Negli ultimi decenni, fattori economici e geopolitici hanno comportato radicali cambiamenti in vaste aree del mondo. Tra le conseguenze più evidenti: l’incremento della popolazione mondiale (quasi rad-doppiata dagli anni ’70 a oggi), l’aumento dei flussi migratori e la maggiore circola-zione di uomini e merci anche in aree sino a poco tempo fa pressoché inesplorate. Dal punto di vista sanitario, constatiamo come malattie prima confinate in ampie ma cir-coscritte zone del pianeta siano arrivate a

interessare anche il mondo industrializza-to; allo stesso tempo persone abitualmente residenti in Paesi ad alto reddito si spingo-no oggi con maggiore facilità verso aree dove malattie a noi sconosciute sono, in realtà, endemiche.

Noi e la malariaLa malaria, vista sotto questa luce, è una malattia paradigmatica (Figura 1) [1]. Co-me è noto, il parassita che la causa viene tra-smesso all’uomo da zanzare infette del ge-nere Anopheles. Perché il plasmodio possa sopravvivere e diffondersi è necessario che l’insetto vettore sia presente nell’ambiente, possa moltiplicarsi e, infine, entrare in con-tatto con l’uomo. Il parassita infatti ha svi-luppato il suo ciclo vitale approfittando dei meccanismi che consentono all’Anopheles di riprodursi, il che avviene solo in presenza di specifiche condizioni ambientali (per esem-pio, acqua stagnante) e stagionali.Sotto alcuni aspetti, agli stessi cicli è sog-getto l’uomo, ospite intermedio del paras-sita. Se da un lato l’inizio delle stagioni umide favorisce la moltiplicazione della

Non endemia malarica, 2000Malaria endemica nel 2000, non più nel 2016

Malaria endemica

Malaria endemica, 2016Non nota

Figura 1. Paesi endemici per malaria nel 2000 e nel 2016 (modificata da voce bibliografica 1).

I TROPICI IN AMBULATORIO124 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

zanzara, dall’altro fattori ambientali e comportamentali rendono più probabile il contatto tra insetto e uomo. Questo influi-sce sulla moltiplicazione del plasmodio e produce picchi di infezione che seguono il tipico andamento stagionale. La conse-guenza pratica è che i soggetti che vivono in aree endemiche sono più esposti agli ef-fetti della malattia in alcuni periodi dell’anno, quando anche i meccanismi di difesa che proteggono dalle forme più gra-vi sono, in qualche misura, ridotti. Tipica-mente questo fa sì che i casi clinicamente più impegnativi si osservino proprio all’i-nizio e verso la fine della stagione umida. Nelle aree endemiche, quindi, il primo so-spetto clinico del medico in caso di febbre è la malaria ed è frequente incontrarne an-che decine di casi in una settimana, la maggior parte dei quali non richiederanno neppure il ricovero in ospedale. Per quale motivo allora dovremmo cono-scere qualcosa di più della malaria? La prima considerazione è di tipo cultura-le: il numero dei nostri pazienti che pro-vengono da Paesi dell’area tropicale è in continua crescita. Alcuni possono risiede-re da tempo qui da noi, ma mantenere co-stanti contatti con le regioni di origine (viaggi periodici); talora sono arrivati da poco per riunirsi ai propri familiari; sono immigrati regolari appena entrati nel no-stro Paese o, al contrario, possono essere profughi o rifugiati che hanno saltato i normali canali di immigrazione. Nella cultura di queste persone, la febbre o il malessere sono spesso sinonimi di malaria e possono quindi rivolgersi al medico per-ché ritengono di avere contratto la malat-tia e, non raramente, possono effettiva-mente esserne affetti. Il medico che non ha mai visto o ha poca dimestichezza con questa patologia può trovarsi spiazzato. Trattare la malattia e in che modo, igno-rando la possibilità di una diagnosi diffe-

renziale? O sottovalutare l’autodiagnosi del paziente, anche per paura di non saper-la gestire rischiando, in definitiva, di non trattarla? Occorre, quindi, sapersi orienta-re su quando sospettare la malattia e quali accorgimenti avere nei confronti di un pa-ziente che proviene da un Paese endemico per malaria.Una seconda considerazione riguarda i cit-tadini occidentali che per diversi motivi si trovano a soggiornare in aree endemiche. Il medico, anche se non specialista, può trovarsi di fronte a tre possibili scenari: persone in partenza per un’area endemica che chiedono consigli su come prevenire la malattia; pazienti che tornano da un’area endemica con sintomi suggestivi di mala-ria; o, infine, pazienti che tornano con una diagnosi già formulata di malattia [2].Le stesse considerazioni valgono anche per il pediatra. Da un lato le famiglie di immigrati arrivano e viaggiano sempre più spesso accompagnate da bambini; a volte questi bambini sono nati e cresciuti in Pae si industrializzati e viaggiano per la prima volta in aree di endemia malarica. Dall’altro, il turismo a lungo raggio sta di-ventando sempre più semplice e più prati-cato e non è raro che famiglie occidentali con bambini si rechino in viaggio in aree critiche. Ed è comunque vero che non tut-ti coloro che viaggiano in queste regioni tornano poi a casa ammalati.

Quando sospettare la malaria?L’approccio migliore è il consueto: un’at-tenta anamnesi e la clinica guideranno i passi successivi. L’esordio, come quello di altre malattie trasmesse da artropodi, può essere insidioso e i sintomi, spesso sfuma-ti, mimano talora quelli di altre malattie più comuni. Il sintomo-guida è la febbre, classicamente descritta come terzana o quartana, ma che nelle fasi iniziali è raramente così ciclica.

Ci sono certamente periodi di remissione e riacutizzazione con brivido scuotente, ma la sincronizzazione delle fasi nei vari cicli del parassita, dentro e fuori l’eritrocita, si verifica tardivamente quando è auspicabile che la diagnosi sia già stata fatta. Nelle forme non complicate, accanto alla febbre possono esserci sintomi aspecifici si-mil-influenzali come cefalea, astenia, do-lori muscolari, vomito, diarrea e più rara-mente tosse. Le forme complicate sono ca-ratterizzate da specifiche condizioni, rap-presentano la forma più grave e potenzial-mente letale della malattia e richiedono trattamento intensivo con farmaci di se-conda linea (Tabella 1).Il sospetto deve nascere sempre quando e se c’è stata possibilità di contagio. Le pri-me domande riguarderanno il se, dove, quando e per quanto tempo la persona è stata in aree endemiche; se è stata fatta la profilassi; se il paziente ha mai avuto una diagnosi confermata di malaria. Le rispo-ste dovranno essere confrontate con map-pe spaziali e temporali che definiscano ri-schio e probabilità di contagio, avendo presente che l’indicazione generica di ma-cro-aree quali “Africa” o “Sud America” hanno scarso significato epidemiologico. Regioni differenti, anche all’interno di singole nazioni, possono avere livelli di-versi di endemia, o cicli stagionali diffe-renti. Paesi come il Sudan, per esempio, si estendono dalle aree desertiche del nord alle regioni paludose del sud con estrema disomogeneità di condizioni climatiche.È fondamentale ricordare che i cicli del plasmodio variano in base alla specie, e che l’esordio dei sintomi avviene a distan-za di tempo dall’inoculazione del parassita da parte della zanzara (una o due settima-ne per il Plasmodium falciparum o anche molti anni per il Plasmodium malariae che può restare inattivo negli epatociti per lungo tempo). La conferma diagnostica

TABELLA 1. Sintesi dei diversi scenari clinici in pazienti con diagnosi di malaria

MUUMalariaUncomplicated Unconfirmed

MUCMalariaUncomplicated Confirmed

MCUMalariaComplicated Unconfirmed

MCCMalariaComplicated Confirmed

Diagnosi di malaria basata solo sul sospetto clinico ed epidemiologico.

Diagnosi laboratoristica di malaria. Sospetto clinico di malaria con presenza di uno o più di questi segni: anemia, ipoglicemia, ittero, insufficienza renale, acidosi, shock, edema polmonare, emorragie, convulsioni e coma.

Diagnosi laboratoristica di malaria con presenza di parassitemia elevata e uno o più di questi segni: anemia, ipoglicemia, ittero, insufficienza renale, acidosi, shock, edema polmonare, emorragie, convulsioni e coma.

Preferibilmente aspettare conferma di laboratorio prima di trattare.

Trattare con cicli di terapia combinata.

Richiedere urgentemente conferma laboratoristica.In caso di ritardo iniziare subito la terapia per via parenterale.

Trattare con terapia parenterale. Somministrare la 1a dose (anche i.m.) prima di eventuale trasferimento. Associare sempre antibiotico a largo spettro. Trattare le complicanze.

I TROPICI IN AMBULATORIO 125Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

viene dai test di laboratorio: al microsco-pio su goccia spessa di sangue o con la ri-levazione di antigeni o enzimi specie-spe-cifi ci. I test sono poco costosi e di facile interpretazione, con un’elevatissima sensi-bilità e specifi cità nel caso dei test immu-nologici, più operatore-dipendenti nel ca-so della microscopia.

Alcuni principi di terapiaLa terapia dell’adulto o del bambino con malaria non è diffi cile e le forme non com-plicate vengono quotidianamente gestite con successo da operatori sanitari - spesso non medici - in migliaia di punti di assi-stenza in tutto il mondo. I farmaci antima-larici sono numerosi e si rimanda alle racco-mandazioni della WHO-OMS per la scel-ta del trattamento più appropriato [3-6]. Rimane fondamentale, anche se a volte tra-scurato dai medici occidentali, l’uso della terapia combinata (ovvero l’uso contempo-raneo di più farmaci antimalarici) sia per aumentare l’effi cacia del trattamento che

per ridurre il rischio di sviluppare resisten-ze. Le terapie attualmente disponibili uti-lizzano per lo più due principi attivi (uno dei quali derivato dall’artemisina), e preve-dono generalmente cicli di tre giorni. Nei casi di malaria complicata, il trattamento deve essere sempre riferito a un centro spe-cialistico, ricordando che il quadro clinico può essere sovrapponibile a quello di altre malattie gravi (es. meningite per le forme di malaria cerebrale), che la malaria può coesi-stere con altre patologie concomitanti e che la terapia delle forme severe non dovrebbe mai essere rimandata (Tabella 1). In questi casi è buona norma iniziare subito il tratta-mento considerando anche la distanza dal centro specialistico più vicino. L’artesiona-to, l’artemether o il chinino per via parente-rale rimangono le terapie di scelta per le forme severe che richiedono, peraltro, sicu-ra competenza specifi ca. Non va dimenti-cata la concomitante somministrazione di un antibiotico a largo spettro che copra an-che il rischio di setticemia che spesso si ac-

compagna o la cui clinica può sovrapporsi a quella della malaria complicata.

* [email protected]

1. WHO. World malaria report 2016. www.who.int/malaria/publications/world-mala-ria-report-2016/report/en/2. Calleri G, Castelli F, El Hamad I, et al. New Italian guidelines for malaria prophyla-xis in travellers to endemic areas. Infection 2014;42:239-50.3. WHO. Guidelines for the treatment of malaria (2015). www.who.int/malaria/publi-cations/atoz/9789241549127/en/ 4. WHO. Management of severe malaria – A practical handbook (2013). www.who.int/ma-laria/publications/atoz/9789241548526/en/ 5. WHO. Pocket book of hospital care for children: guidelines for the management of common childhood illnesses (2013). www.who.int/maternal_child_adolescent/documents/child_hospital_care/en/ 6. Lalloo DG, Shingadia D, Bell DJ, et al. UK malaria treatment guidelines 2016. J In-fect 2016;72:635-49.

Associazione Pediatri del Mezzanino (APM)Il gruppo di pediatri volontari attivi a Milano dalla primavera 2014 in risposta ai bisogni di salute dei profughi in arrivo alla Stazione Centrale si è costituito in Associazione (APM) operante in campo socio sanitario e umanitario, espressione del volontariato nella società civile .L’articolo 5 dello Statuto APM sottolinea “l’impegno per la promozione integrale dell’uomo con il rispetto dovuto alla sua dignità che non viene mai meno, l’accettazione delle diversità dei valori culturali e delle diverse etnie e l’atteggiamento di dialogo e di confronto con essi”.Non solo una “care” da parte dei pediatri e di altre figure sanitarie, ma anche una occasione per vivere concretamente la solidarietà e la mondialità per tutti coloro che desiderano condividerne scopi e ideali.

Patrizia [email protected]

SOLUZIONE “A COLPO D’OCCHIO”126 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Soluzione del quesito a p. 98

Rx e TAC in bambina con dolore e segni di flogosi al tallone da alcune settimane

Osteoma osteoideLa radiografia mostra un’area osteolitica calcaneare di circa 5 mm che la TAC conferma (8 mm) e identifica come piccola formazione calcifica subperiostale circondata da sclerosi reatti-va suggestiva di nidus di osteoma osteoide. L’osteoma osteoide è una neoformazione benigna osteoblastica, di dimensioni ge-neralmente inferiori a 1 cm. Rappresenta il 10% dei tumori ossei benigni e nella metà dei casi coinvolge la tibia o il femore. L’interessamento delle ossa del piede è meno frequente: nel 2-10% riguarda l’astragalo, nel 2-3% il calcagno, nel 2% le fa-langi e nell’1-2% il metatarso. È prevalente nella seconda-terza decade di vita e nel 75% dei casi l’età di insorgenza è inferiore ai 25 anni. La localizzazione è più frequentemente intracorti-cale nelle ossa lunghe e subperiostale a livello del piede. I sin-tomi di presentazione dipendono in larga parte dal sito della lesione, ma includono tensione, dolore, edema, gonfiore e im-potenza funzionale. Nel 50-70% dei casi il dolore ha prevalen-za notturna e si attenua con l’uso dei FANS (nel nidus vengono

prodotte prostaglandine). L’efficacia diagnostica della TAC è superiore a quella della RM che può non essere conclusiva in un terzo dei casi. La lesione può regredire spontaneamente nell’arco di 2-6 anni, ma nei casi sintomatici è indicata l’escis-sione chirurgica o l’ablazione con laser o con radiofrequenze.

Hamada T, Matsubara H, Kimura H, et al. Intra-articular osteoid osteoma of the calcaneus: a case report and review. Radiol Case Rep 2016;11:212-6.

Jordan RW, Koç T, Chapman AW, Taylor HP. Osteoid osteo- ma of the foot and ankle. A systematic review. Foot Ankle Surg 2015;21:228-34.

Papachristos IV, Michelarakis J. Riddles in the diagnosis and treat-ment of osteoid osteoma in child foot: A concisive study. Foot An-kle Surg 2016;22:97-102.

Vuoi esaminare nuovi casi e indovinare la diagnosi? Visita la pagina della rubrica al seguente link: http://www.acp.it/a-colpo-docchio

Contributo di Sara Monti e Augusto BiasiniUO di Pediatria, AUSL della Romagna, Cesena

A COLPO D’OCCHIO

NARRATIVE E DINTORNI 127Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Quando la pediatria incontra la pedagogiaMichela Schenetti*, Elisa Guerra*, Enrico Valletta***Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna

**UO di Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni-L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì

In questo articolo si vuole proporre una riflessione sulla necessità, per il pediatra, di aprirsi ai contributi di altre discipline “umane” per acquisire nuove chiavi di lettura nella relazione di cura con il bambino e la sua famiglia. Il tema della sofferenza e del dolore può essere un buon punto di partenza, perché trasversale a tutta la pediatria e oggetto di crescente attenzione a ogni livello.La pedagogia ci può aiutare a decifrare meglio modi di essere e di porsi in relazione alla sofferenza, che possono esserci preziosi nella comprensione di chi ci sta di fronte.

In this paper we reflect on the opportunity that the paediatrician opens his mind to other human sciences to gain new perspectives in the therapeutic relationship with the child and his family. We suggest that suffering and pain could be a reasonable starting point that crosses the whole paediatric practice and is at the centre of attention of all decisional levels. Pedagogy can help us in the interpretation of the different ways of being and facing suffering, valuable in understanding our patients.

scente frequenza ci vengono posti in situa-zioni cliniche difficili o di sofferenza e malattia estreme. Tutto questo è anche pa-trimonio di discipline “altre” che nel corso della nostra formazione abbiamo forse mai toccato, o solo sfiorato, e che pochi di noi sono in grado di padroneggiare con sicu-rezza. Siamo nel vasto campo delle medical humanities, insieme di saperi attinenti alle scienze sociali e comportamentali, alla fi-losofia morale e alle arti espressive che do-vrebbero dare al medico nuovi strumenti di comprensione della salute e della malat-tia, di se stesso e dell’altro con cui cerca di entrare in una relazione terapeutica [3-5]. Formarsi alle medical humanities non è compito da poco e, probabilmente, non da tutti. Ma se già non fatto, qualche passo è bene provare a muoverlo. Mai forse come in questo tempo, la fluidità delle strutture familiari e sociali e la varietà di espressioni culturali che contattiamo ci danno l’op-portunità e ci chiedono di ampliare il no-stro orizzonte di comprensione e di dotarci di nuovi e diversi strumenti di lavoro [6]. Le propensioni di ciascuno e le occasioni cercate o fortuite di “contaminazione” ci possono indicare le strade da percorrere, ma si fa sempre più evidente l’esigenza che le medical humanities entrino a far parte strutturale della formazione medica.

Saperi “diversi” per affrontare il doloreIl tema della sofferenza e del dolore può essere un buon punto di partenza, perché trasversale a tutta la pediatria e oggetto di

crescente attenzione a ogni livello. La leg-ge 38/2010, che ha segnato un punto di svolta nell’approccio al dolore e alle cure palliative pediatriche, ha anche svelato la grande esigenza di formazione per il per-sonale sanitario e socio-sanitario che si oc-cupa della salute del bambino. Molte ini-ziative sono state avviate e si stanno svi-luppando, altre restano tuttora nelle inten-zioni della legge o stentano a coprire un fabbisogno formativo che è quanto mai multidisciplinare e multiprofessionale  [7-9]. Il dolore - la sua percezione, il suo si-gnificato, la sua elaborazione - è esperien-za umana tra le più universali, così uguale e così diversa per ciascuno di noi. Gli aspetti psicologici e ancor più quelli far-macologici ci sono sempre più familiari, ma questa è forse l’occasione per allargare lo sguardo anche oltre. L’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: attorno a un bambino che affronta un’esperienza dolorosa ci sono una famiglia, una cultura, uno stile educa-tivo con i quali ci dobbiamo confrontare e che, con sfumature sempre diverse, intera-giscono con il nostro operare. La struttura educativa e psicologica che sorregge e pro-tegge il bambino (e i suoi genitori) nel dif-ficile rapporto con le esperienze di dolore (psichico o fisico) è un elemento di conte-sto rilevante, ma su cui abbiamo quasi mai il tempo, la volontà o gli strumenti cultu-rali per riflettere. La pedagogia, che come la medicina viene definita “scienza dell’uo-mo e per l’uomo”, ci può aiutare a decifrare meglio modi di essere e di porsi in relazio-ne alla sofferenza che possono esserci pre-ziosi nella comprensione di chi ci sta di fronte nella relazione terapeutica che si va costruendo [10]. Un approccio multidisci-plinare così concepito, oltre a essere nello spirito della legge 38/2010, è anche auspi-cato dalla letteratura come strumento cul-turale e pratico al servizio delle professioni sanitarie nel quotidiano [11].È in questo solco, tracciato dalle racco-mandazioni scientifiche e inciso nel senti-re comune, che abbiamo avviato un con-fronto tra pediatria e pedagogia in una re-cente iniziativa formativa realmente mul-tidisciplinare, con l’obiettivo di condivide-re saperi ed esperienze diverse in vista di un obiettivo comune [12].

Una pediatria che ancora oggi voglia farsi garante della salute mentale e fisica dell’infanzia – e di ciascun bambino come individuo unico e complesso che si svilup-pa in un contesto familiare e sociale deter-minato, in uno spazio e un tempo defini-ti – non può non aprirsi ai contributi e alle conoscenze che altre “discipline umane” sono in grado di offrirle. La figura del pe-diatra resiste, tuttora e nella maggioranza delle sue declinazioni professionali, alla tentazione della medicina d’organo – verso la quale la medicina dell’adulto sembra sempre più orientarsi – e si dedica con cre-scente impegno alla prevenzione, all’edu-cazione sanitaria, alla promozione del be-nessere e alla cura del bambino in un ap-proccio che è stato definito “olistico” per quanto concerne la visione, e “biopsicoso-ciale” per quanto riguarda la comprensio-ne allargata dei problemi di salute [1]. Il pediatra si interroga sulle reali competen-ze del bambino, sulla necessità che sia coinvolto nel processo di cura, sulla sua soggettività nella relazione con i genitori, il medico e la malattia; non più, quindi, “corpi muti da accudire, diagnosticare e cura-re”, ma portatori di “conoscenze, emozioni, volontà e desideri” [2].Non mancano certamente occasioni, a noi pediatri, per riflettere sulle componenti sociali, antropologiche, educative e psico-logiche che intercettano e accompagnano il bambino nel corso della sua crescita e ne determinano gli infiniti possibili percorsi. Per arrivare fino ai più complessi interro-gativi filosofici, etici e morali che con cre-

NARRATIVE E DINTORNI128 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Il dolore in pediatria, il dolore in pedagogiaUn luogo nel quale medicina e pedagogia possono incontrarsi è l’ospedale, contesto nel quale forse più di altri vi è la necessità di non considerare solo le condizioni og-gettive della persona-utente ma di acco-gliere e dare voce anche alla sua soggettivi-tà e ai vissuti attraverso i quali dà senso al suo essere lì. Tutto ciò è ancora più neces-sario quando il paziente è un bambino e sta vivendo sulla propria pelle esperienze dif-ficili, dolorose, ed emotivamente intense. Ma cosa intendiamo quando parliamo di dolore? In pediatria, il dolore è anzitutto un sinto-mo che guida la diagnosi, che marca il de-corso della patologia, che accompagna pro-cedure e terapie e che ha stretti rapporti con la paura e l’ansia per la malattia. È un sintomo che non solo siamo tenuti a curare, ma che dobbiamo anche prevenire, evitare o rendere sopportabile, per quanto possibi-le. Nelle parole di Franca Benini è “il sinto-mo che più mina l ’integrità fisica e psichica del bambino e più angoscia e preoccupa i suoi fa-miliari, con un notevole impatto sulla qualità della vita durante e dopo la malattia” [13]. Questa descrizione del dolore ha il pregio di sottolinearne non solo le componenti fi-siche, ma anche le conseguenze psicologi-che, il coinvolgimento totale della famiglia e le tracce spesso indelebili che la sofferen-za lascia dietro di sé. Negli ambulatori e nei reparti di pediatria, medici e infermieri si confrontano giornalmente con il tema del dolore in una sequenza, prevenzio-ne-rilevazione-trattamento, molto operati-va. Ma non sfugge loro la grande variabili-tà soggettiva con la quale l’esperienza è vissuta, la differente qualità del supporto genitoriale offerto al bambino e l’impor-tanza che ha, per gli operatori stessi, una migliore consapevolezza del contesto cul-turale ed educativo che sorregge il bambi-no e i suoi genitori. Quali differenti storie ci possono raccontare i bambini già terro-rizzati al semplice approccio fisico o, al contrario, quelli che sembrano relativa-mente “stoici”? E quali i genitori che risuo-nano della sofferenza del loro figlio senza riuscire a contenerne l’emotività o che in-vece ne minimizzano l’entità facendo ap-pello al loro “coraggio”? Comprendere la strada percorsa fino a quel momento da quella famiglia può servirci per aiutarli meglio nel superare la prova. Ma altre ancora possono essere le defini-zioni affidate alla parola dolore. Quella che più compiutamente sembra cogliere la complessità del fenomeno è quella offerta da Fehr e Russell [14] che hanno elaborato la teoria della “famiglia di emozioni”, se-condo la quale più emozioni possono as-

solvere funzioni molto simili. Ciascuna fa-miglia può essere raggruppata in tre livelli differenti: un primo livello normalmente definito emozione, un livello intermedio al quale sono riconducibili le emozioni che vengono comunemente nominate nella quotidianità e un terzo livello subordinato al quale fanno riferimento le specificazioni del livello precedente. Dunque, quando parliamo di dolore, o di “famiglia dell’e-mozione dolore”, facciamo riferimento a tutte le sfumature che potrebbero caratte-rizzare un’esperienza dolorosa: delusione, paura, vergogna, invidia, gelosia, rabbia, tristezza, malinconia. Parlare di dolore, di sofferenza sia fisica che emotiva in relazione alla malattia nell’infanzia, non è semplice, specie se quest’ultima è quell’infanzia “curata” che abita il mondo occidentale [15]. In queste situazioni ci si chiede spesso quanto i bambini debbano sapere e, altrettanto spesso, si finisce per decidere al posto loro di omettere, di estrometterli da qualsiasi comunicazione che riguardi la malattia, delegittimandoli in questo modo dal poter porre delle domande, tutte, dalle più insi-gnificanti alle più profonde. Le figure educative (i genitori), stravolte e sconvolte da questa realtà imprevista e temuta, ten-dono a sentirsi impotenti di fronte a un male a loro sconosciuto. Affidarsi alla scienza e ai medici sembra l’unica via pos-sibile. Ma quali potenzialità può ancora ri-servare l’adulto, genitore o altro, nel soste-gno del bambino? Di quante innumerevoli vie può disporre proprio nel momento in cui si sente più fragile e delicato? Il bambi-no che si ammala spesso perde i propri spazi e le proprie abitudini, è costretto a lunghe degenze in ospedale, a spostamenti e cambiamenti repentini, a lasciare la scuola e le attività che prima caratterizza-vano la sua vita. A lui, però, può rimanere una fondamentale costante: se i suoi geni-tori, la sua famiglia condivideranno con lui questo percorso, potranno aiutarlo a colo-rare nuovamente quel mondo, che improv-visamente era apparso in bianco e nero. Dal punto di vista della pedagogia, occor-re andare oltre i contenuti oggettivi che caratterizzano o mediano il rapporto edu-cativo e clinico, per valorizzare e dare voce ai “vissuti individuali o, se si preferisce, ai significati particolari, spesso addirittura fortemente diversificati, che quei contenu-ti finiscono per avere per ciascun indivi-duo” [10]. Questo implica l’impossibilità da parte del sanitario di rifarsi a un ap-proccio unico, omologato e omologante alla malattia ma, al contrario, la necessità di avere la capacità di gestirla in situazione, avendo cioè un atteggiamento rispettoso della soggettività del paziente.

Ciò che preme qui sottolineare è che l’e-vento dolore acquista senso e valore esi-stenziale, positivo o negativo, se e solo se diviene possibile viverlo, soffrire il dolore. Come ci ricorda Alice Miller: “Il bambino può vivere i sentimenti solo se c’ è una persona che con quei sentimenti lo accetta, lo compren-de, lo asseconda. Se manca tale condizione, al-lora... preferisce non viverli affatto” [16].Ecco allora che il ruolo dell’adulto, in quanto socializzatore emotivo, diventa fon-damentale per aiutare il bambino ad assu-mere nei confronti di situazioni emotiva-mente difficili un atteggiamento non di fuga o negazione, ma di accettazione recu-perando, quando perso o indebolito dagli eventi, un ruolo da protagonista della pro-pria storia. Occorre, a nostro avviso, avere cura dei gesti, delle parole e delle emozioni degli adulti che a vario titolo ruotano in-torno al bambino al fine di avere cura delle emozioni del bambino stesso.Tuttavia allenatori emotivi non si nasce, ma occorre, come ricorda il termine stes-so, allenarsi a riconnettersi prima con il proprio mondo emotivo, poiché solo pren-dendo consapevolezza delle proprie emo-zioni adulte, senza negare la propria pau-ra, la rabbia, la sofferenza e il senso di straniamento, gli adulti potranno accom-pagnare il bambino attraverso l’esperienza del dolore.

Il ruolo dell’adulto tra saperi trasversali: pratiche di cura emotivaIl contributo che la pedagogia può offrire alla clinica e alla quotidianità degli opera-tori sanitari non si traduce né riduce a ri-cette, schemi interpretativi o indicazioni operative standard, perché tradirebbe il suo mandato che è quello di saper declina-re in situazione un sapere teorico. In questo senso la pedagogia si pone come scienza “debole”, che non ragiona per schemi ma che sa dare forma a una pratica educativa a partire dal soggetto che si ha di fronte e dalla relazione che si è instaurata con esso. È certamente possibile offrire direzioni al-le quali ispirarsi, indicazioni ampie da per-seguire, strumenti per la riflessione, ma la traduzione in gesto e parola spetta in ulti-ma battuta al soggetto educante. All’adulto che si trova per volere (genitore o familiare) o necessità (sanitario) accanto a un bambino che sta vivendo una situa-zione dolorosa, è chiesto di avere un atteg-giamento entropatico nei confronti del pic-colo, il che significa prima di tutto prende-re sul serio il vissuto del bambino, com-prenderlo, provare a “mettersi nei suoi panni”, non nell’ottica di una immedesi-mazione totale che si esaurisce in un “io adulto soffro con te”, ma in quella che ri-chiede la capacità di pensare, rappresenta-

NARRATIVE E DINTORNI 129Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

re, sentire e descrivere una situazione se-condo il punto di vista del bambino. Una comprensione che deve cogliere il più luci-damente possibile il vissuto del bambino sofferente. Questa sensibilità entropatica si esplica in un doppio compito: da un lato all’adulto è chiesto di contenere emotiva-mente (holding) il bambino, di essere per quest’ultimo l’abbraccio che accoglie e contiene le gioie così come le urla e le sof-ferenze, facendogli sentire di potere e vo-lere sopravvivere anche ai suoi atteggia-menti più aggressivi e distruttivi. Spetta quindi all’adulto il compito di promuovere il dialogo e accompagnare i bambini nell’imparare a fare esperienza delle emo-zioni, senza esserne sopraffatti. Promuo-vere il dialogo non significa cadere in un atteggiamento permissivo grazie al quale ai bambini tutto è concesso. Ascoltare il bambino e sostenere le sue emozioni non significa autorizzare lo sfogo a tutti gli im-pulsi che le emozioni suggeriscono, ma permette di far comprendere che c’è un equilibrio, un limite in ogni situazione, tra quello che vuole, sente o di cui ha bisogno e le altre persone. Dall’altro lato, all’adulto spetta il difficile compito di sostenere il bambino (scaffol-ding) e spronarlo a evitare qualsiasi atteg-giamento di rassegnazione, di occulta-mento o di fuga nei confronti del suo vis-suto. Per farlo, l’adulto deve dare testimo-nianza di un modo di essere possibile di fronte al dolore, esempio di una modalità di azione significativa perché non evitante, ma pronta ad affrontare qualsiasi esperien-za dolorosa o difficile che sia. A partire da queste premesse, l’incontro tra pedagogia e medicina può rivelarsi

molto promettente. In primo luogo, per-ché il focus condiviso diventa la centralità della cura intesa come sistema complesso nel quale le diverse variabili risultano in-terconnesse e inscindibili: la cura del cor-po e delle emozioni, i gesti attraverso cui la cura si esplicita, i luoghi che accolgono azioni e relazioni di cura. Il bambino che si ammala non smette, appena varca la soglia dell’ospedale o dell’ambulatorio, di essere un bambino. In secondo luogo, per-ché spinge gli adulti coinvolti (medici, infermieri, pedagogisti, genitori) a riflet-tere su quanto l’intelligenza emotiva dell’adulto si riveli essenziale in tutte le situazioni cui abbiamo accennato. A og-gi, tuttavia, non sono previsti percorsi strutturati di formazione che permettano alle “professionalità di cura” di lavorare sul sapere dei propri sentimenti [17]. Ed è per questo che l’incontro tra pediatria e pedagogia può e deve evolvere in sempre nuove occasioni di contaminazione e scambio tra professionalità diverse, in un’ottica di ricerca e formazione condivi-sa e reciproca.

* [email protected]

1. Davico S, Fiammengo P, Garrone G, et al. Dialogo con la sociologia: quando il bambino si ammala. Quaderni acp 2015;22:288-92.2. Favretto AR, Zaltron F. Mamma, non mi sento tanto bene. Roma: Donzelli Editore, 2013.3. Nazario RJ. Medical humanities as tools for the teaching of patient-centered care. J Hosp Med 2009;4:512-4.4. Greaves D, Evans M. Medical Huma-nities. J Med Ethics: Medical Humanities 2000;26:1-2.

5. Bert G. Il medico e le storie. Quaderni acp 2007;14:220-1.6. Davico S, Fiammengo P, Garrone G, et al. Dialogo con la sociologia: il pediatra di fronte ai nuovi bambini, ai nuovi genito-ri, ai nuovi problemi educativi. Quaderni acp 2015;22:185-8.7. Schenetti M, Guerra E. Il dolore dell’in-fanzia. Educare alle emozioni difficili. Berga-mo: Edizioni junior – Spaggiari srl, 2015. 8. Benini F, Gangemi M. Il dolore nel bambi-no: dove siamo? Quaderni acp 2014;21:49.9. Gangemi M. Cure palliative pediatriche: dai bisogni formativi alle risposte. Quaderni acp 2016;23:196.10. Bertolini P. Ad armi pari. La pedagogia a confronto con le altre scienze. Torino: UTET, 2005.11. Sollami A, Marino L, Fontechiari S, et al. Strategies for pain management: a review. Acta Biomed 2015;86 Suppl 2:150-7. 12. OMCeO della Provincia di Forlì-Cesena. Le esperienze dolorose nell’infanzia. La cura educativa delle emozioni “difficili”. Forlì, 16 giugno 2016. 13. Benini F. Il dolore nel bambino. Il grup-po terapeutico con i genitori, esperienza di sostegno alla genitorialità. Quaderni acp 2010;17:70-3.14. Fehr B, Russell JA. Concept of emotion viewed from a prototype perspective. J Exp Psychol: General 1984;113:464-86. 15. Kanizsa S. La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale. Roma: Meltemi, 1998.16. Miller A. Il dramma del bambino dotato. Torino: Bollati Boringhieri, 1982.17. Iori V. Il sapere dei sentimenti. Fenome-nologia e senso dell’esperienza, Milano: Fran-co Angeli, 2009.

RingraziamentiSiamo grati a Nadia Bertozzi per avere fa-vorito questo incontro tra pediatria e pe-dagogia e a Michele Gangemi per avere re-visionato il manoscritto.

NARRATIVE E DINTORNI130 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Una proposta di formazione per promuovere il dialogo in pediatria di base. Lo Scaffolding psicologico alla relazione sanitariaMaria Francesca Freda*, Francesca Dicé***Professore Associato di Metodologia dell’Intervento in Psicologia Clinica, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II **Psicologa e Specialista in Psicologia Clinica, Centro di Ateno SInAPSi, Università degli Studi di Napoli Federico II

Le Autrici presentano alcuni criteri che ritengono utili alla stesura di una proposta metodologica per la formazione dei pediatri nell’ambito delle cure primarie, allo scopo di favorire lo sviluppo dello scambio dialogico con il loro duplice utente, il genitore e il bambino. La proposta di uno “Scaffolding Psicologico alla Relazione Sanitaria” prevede la strutturazione di alcuni Setting di Ascolto Congiunto (SAC) con la presenza, in veste consulenziale, dello psicologo all’interno della stanza di visita. Tali setting, grazie alle loro specifiche funzioni, possono essere utili a pediatri e utenti nel conseguimento dei “compiti psicologici” della relazione sanitaria (titolarità, cum-sensum, concordance), che spesso si affiancano ai necessari “compiti operativi” più strettamente legati alle prassi diagnostiche e terapeutiche.

The Authors present a methodological proposal for the training of paediatricians in primary care, aimed to develop the dialogue with their dual user, the parent and the child. The proposal of a Psychological Scaffolding to Doctor Patient Relationship is based on the structuring of Joint Listening Settings (JLS) with the presence, as a consultant, of a psychologist. These settings, with their specific functions, can be useful to paediatricians and users in achieving some “psychological tasks” (ownership, cum-sensum, concordance), side by side with the “operational tasks” closely linked to diagnostic and therapeutic practices.

le che sia, in questo contesto si instaura di frequente una relazione dialogica che, pur avendo come scopo la cura del bambino, è gestita prevalentemente dai partecipanti adulti. Il pediatra viene infatti scelto dalla famiglia in ragione delle sue competenze, ma anche della sua capacità di metterle al servizio delle preoccupazioni portate dalle madri rispetto a condizioni cliniche molto diffuse nella prima infanzia. Assai raro sembra essere invece il coinvolgi-mento dialogico del bambino [4-8] che spes-so si ritrova ad assumere un ruolo periferico e meno interattivo durante la visita; ricordia-mo un ragazzino di 10 anni, con malattia cronica, che una volta ha detto: “Conosco perfettamente la mia malattia. I medici ne hanno sempre parlato davanti a me”. Inoltre, la trattazione ricorsiva in stanza di visita delle preoccupazioni delle madri può essere a volte considerata un rallentamento della prassi e dell’efficienza sanitaria; per-tanto l’esperto operatore sa bene come ge-stirle assumendosi presto la richiesta di delega decisionale relativa alla soluzione del problema presentato, talvolta ricorren-do all’azione prescrittiva del farmaco [4]. Tale dinamica riesce a garantire l’efficiente svolgimento delle visite mediche, soprat-

tutto nella concitata quotidianità degli ambulatori, in cui viene richiesto un inter-vento veloce e risolutivo, volto a fornire una pronta e rapida soluzione a questioni concrete e che ben si incastri nelle esigen-ze della quotidianità di ciascun utente (es. “È da ieri che la temperatura è di 36 °C, domani posso mandarlo a scuola?” “L’altro giorno ha sudato, posso togliergli la ma-glietta di lana?” “Posso scalare la medici-na?”). Tuttavia, questa dinamica può an-che comportare il mantenimento di rigidi assetti che non consentono l’approfondi-mento delle preoccupazioni o la chiarifica-zione delle questioni a esse legate, con la conseguente tendenza delle madri a porre domande spesso simili o a ricorrere sem-pre nelle stesse difficoltà [4]. Inoltre tali assetti rischiano inesorabil-mente di essere meno efficaci in caso di decisioni complesse (es. un’operazione chirurgica, la consultazione di uno specia-lista) in cui è necessaria l’opinione del pa-ziente ma che, in alcuni casi, non riesce a fare altro che delegarla al medico (“Dotto-re, mi metto nelle sue mani. Cosa farebbe al mio posto?”). Un’altra situazione com-plessa può essere relativa a quei casi in cui il posizionamento decisionale del paziente è talmente forte da impedire totalmente l’affidamento al medico, con conseguenti rigide chiusure dialogiche, evidenti riper-cussioni sull’aderenza al trattamento e for-ti rischi di esodo sanitario (es. “Quella mamma è testarda e vuol fare di testa sua!” “Alcune mamme vengono soltanto quando vogliono una prescrizione! Se non la ot-tengono, si rivolgono ad altri pediatri”, ma anche: “Quel medico è antipatico e non ti sta nemmeno a sentire!”).

Il dialogo fra medicina e psicologia: un incontro fra compiti operativi ed emotiviLa specificità di questi aspetti ci ha porta-to a considerare la pediatria di base come un osservatorio privilegiato sulla possibili-

Introduzione Promuovere il dialogo in medicina è sem-pre un compito complesso, perché i conte-nuti trattati nelle stanze di visita possono spesso generare ansietà riguardanti le con-dizioni cliniche e le difficoltà nei processi decisionali necessari al prosieguo delle cu-re [1,2]. In pediatria lo scambio dialogico è, se possibile, ulteriormente complesso perché il medico è in presenza di (almeno) due utenti, il genitore e il bambino [3]. Ta-le contesto dunque può essere rappresenta-to attraverso una configurazione triango-lare, ai cui vertici si posizionano i parteci-panti alla visita e in cui le relazioni presen-ti lungo ognuno dei lati possono influen-zare quelle presenti sugli altri (Figura 1). In questo lavoro proponiamo delle consi-derazioni riguardanti la relazione sanitaria in pediatria di base, sorte a seguito di di-versi piani di ricerca-intervento declinati all’interno di alcuni ambulatori della città di Napoli e volti a promuovere il dialogo fra i partecipanti alla visita medica [2-4]. L’operatore sanitario è chiamato spesso a sostenere le competenze di cura dell’intero nucleo familiare, che può necessitare di es-sere guidato nella gestione quotidiana della crescita del bambino [5-7]. Come è natura-

NARRATIVE E DINTORNI 131Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

tà di costruire nuove azioni congiunte e di dialogo fra le discipline della medicina e della psicologia [3]. Le dinamiche finora descritte sono indice di una relazione sani-taria orientata da modelli teorici assoluta-mente efficaci per la gestione dei fonda-mentali “compiti operativi”, necessari al conseguimento di obiettivi specifici quali la diagnosi, la prognosi, la cura [9,10], che mirano all’identificazione esatta della condizione clinica del bambino e di terapie a essa coerenti. Tuttavia, a tale prassi è tal-volta necessario affiancare il consegui-mento di alcuni “compiti psicologici”, che richiedono che ognuno dei presenti in stanza di visita acceda all’assunzione di un punto di vista diverso dal proprio [3]: yIl primo compito, il “riconoscimento del-

la titolarità”, prevede che ognuno dei partecipanti veda riconosciuto il suo ruolo di interlocutore nel processo me-dico, e quindi di sentirsi portatore di istanze, richieste e vissuti riguardanti la condizione di salute trattata. Può es-sere utile dunque operare per favorire il coinvolgimento dialogico di tutti i pre-senti; escludere qualcuno (il bambino o un genitore presente), infatti, rischierà di fargli sentire come disagevole la sua partecipazione al processo di cura e il confronto con il resto della famiglia.

yIl secondo compito, la “costruzione di un cum-sensum (ovvero di significati con-divisi)”, riguarda la progressiva capacità della relazione sanitaria di trasformare le informazioni in risorse di senso, cioè comprensibili e fruibili da tutti i prota-gonisti. Tale compito riguarda l’intero processo sanitario e implica sia aspetti cognitivi, ovvero di scambio delle in-formazioni, sia aspetti emotivi, ovve-ro di elaborazione delle ansie connesse

alla salute. Creare cum-sensum non si-gnifica ripetere più volte, e in più mo-di, le informazioni per essere sicuri che esse siano percepite da tutti i protago-nisti, ma accompagnarne e monitorar-ne l’uso in modo che esse potenzino un condiviso senso di controllo della situa-zione.

yIl terzo compito ha a che fare con i pro-cessi di condivisione di decisionalità, o concordance [8], ovvero la possibilità di affrontare insieme momenti di incer-tezza. È un compito complesso perché le famiglie non desiderano spesso es-sere coinvolte nelle decisioni terapeu-tiche e tendono a ricorrere alla delega nei confronti delle competenze medi-che e a continue richieste di rassicu-razioni anche per questioni legate alle cure più ordinarie. Promuovere decisio-nalità condivisa significa operare affin-ché nella relazione sanitaria avvenga un graduale dosaggio fra le funzioni vica-rianti e di sostegno da parte del medico e quelle volte a sviluppare l’autonomia del paziente. La complessità del conse-guimento di questi compiti è indicativa di come la relazione pediatrica necessiti di essere aiutata a non risolvere le pre-occupazioni dell’utenza in azioni pre-scrittive, ma ad accoglierle e integrar-le nelle esigenze di efficienza e velocità della prassi medica. Ciò è possibile solo attraverso la promozione di un processo di conoscenza che coinvolga tutti i par-tecipanti e orienti l’assunzione di scelte consapevoli e condivise [8].

Una proposta metodologica Per far questo, proponiamo un intervento clinico di Scaffolding psicologico alla rela-zione sanitaria [3] quale occasione di for-

mazione per i pediatri, al fine di sostenere la relazione con i loro utenti nello svolgi-mento delle prassi e nel perseguimento di obiettivi condivisi (Figura 2). Lo Scaffolding [11] è un intervento consu-lenziale di un esperto che aiuta un’altra persona a effettuare un compito, esatta-mente come le impalcature sostengono gli operai durante i lavori edilizi. Nel nostro caso, pensiamo a un intervento della dura-ta di un mese, volto a promuovere il dialo-go intrasanitario, partendo dai significati soggettivi che ogni partecipante attribui-sce alla condizione di salute e favorendo, attraverso il conseguimento dei compiti psicologici, la loro trasformazione in in-formazioni utili allo svolgimento delle prassi di visita [3]. Nello specifico contesto della pediatria, proponiamo l’implementazione di Setting di Ascolto Congiunto (SAC) [3] che pre-vedano la presenza dello psicologo nella stanza ambulatoriale, durante lo svolgi-mento delle attività sanitarie. Il suo ruolo, meno impegnato nelle prassi mediche, sa-rebbe quello di partecipare, attraverso pic-coli commenti, al dialogo relativo alla visi-ta, promuovendo il conseguimento dei “compiti psicologici”. Il suo apporto po-trebbe favorire lo sviluppo di alcune fun-zioni dialogiche [3], di cui annoveriamo quelle che riteniamo più utili a declinarsi nel contesto della pediatria di base. yPromuovere il riconoscimento della

circolarità, ovvero di ogni partecipante come interlocutore dotato di conoscen-ze ed esperienze da mettere al servizio del processo medico, in modo da resti-tuire la centralità interlocutoria di alcu-ni partecipanti (spesso i bambini) che necessitano di maggiori solleciti al dia-logo.

Pediatra

Genitore Bambino

Pediatra

Psicologo

Genitore Bambino

Figura 1. La configurazione triangolare della relazione pediatrica. Figura 2. Una raffigurazione dell’intervento di Scaffolding.

NARRATIVE E DINTORNI132 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

yPromuovere le funzioni dialogiche, ovvero ricorrere a piccoli interventi, o commenti, che coinvolgano chi resta in disparte e consentano a tutti di far-si partecipi dell’esperienza di cura e di dialogo.

yFocalizzare gli stati emozionali, ovvero favorirne l’integrazione nel dialogo in-trasanitario attraverso commenti e bre-vi considerazioni.

yTrasformare le informazioni discusse in stanza in risorse di senso, ovvero dal significato fruibile per tutti i presenti. Può essere di aiuto una rimodulazione del linguaggio per metterlo al servizio del campo dialogico, aiutando gli uten-ti ad apprendere terminologie e pras-si sanitarie e gli operatori a utilizzare termini più adeguati e condivisibili. In questo caso proponiamo tre possibilità operative:1 Adeguare il dialogo al bambino, ov-

vero promuovere l’utilizzo di lin-guaggi caratterizzati da termini più semplici, piccoli commenti, con la possibilità di intercettare eventuali espressioni non verbali, onomato-pee, sguardi di smarrimento o in-comprensione dei contenuti.

2 Verificare la comprensione, ovve-ro promuovere frequenti verifiche dell’effettiva comprensione dei con-tenuti scambiati nello spazio dialo-gico; tale funzione può favorire il ri-conoscimento delle diverse emozio-ni ed esigenze all’interno dello spa-zio dialogico.

3 Promuovere autonomia, ovvero so-stenere i genitori a riappropriarsi delle proprie competenze decisio-nali, consentendo agli operatori di confrontare le proposte della medi-cina con le necessità del bambino e della sua famiglia

Conclusioni I SAC possono rivelarsi un’utile occasione di riflessione congiunta fra medici e psico-logi, attraverso la possibilità di promuove-re dialoghi e azioni volti a un’organizza-zione condivisa del piano terapeutico. Pos-sibili esiti positivi del processo formativo possono essere rinvenuti nelle effettive possibilità di operare passaggi di trasfor-mazione e di svolgimento dei compiti psi-cologici. L’avvenuto “riconoscimento della

titolarità” può essere collegato a una mag-giore attenzione all’alterità dei partecipan-ti, da considerare come un fattore di inte-grazione delle possibilità decisionali: per esempio, una madre sente di poter espri-mere la propria opinione circa la natura della condizione del bambino, oppure che un bambino possa prendere la parola du-rante il dialogo riguardante il suo stato di salute. Diventa titolare della relazione sa-nitaria ogni componente che sente di poter farsi serenamente portavoce di esigenze, punti di vista o proposte che possono orientare il proseguimento delle cure me-diche [3]. La “costruzione del cum-sensum” può es-sere invece rinvenuta nelle maggiori possi-bilità di accedere a contenuti comprensibi-li a tutti i partecipanti, laddove le infor-mazioni tecniche della visita si integrano con le dinamiche emotive, culturali e so-ciali portate da ciascuno [3]. Un esempio tipico del raggiungimento del cum-sen-sum è l’integrazione, nel linguaggio co-mune utilizzato dalla famiglia, di termi-nologie mediche comprese ed elaborate; questo è uno degli indici della competenza raggiunta attraverso l’esperienza, legata a un continuo scambio tra il sistema sanita-rio e i pazienti, con una costante continui-tà dialogica fra la comunicazione intrasa-nitaria e quella intrafamiliare. Infine, lo “strutturarsi della concordance” può avere a che fare con la possibilità di prolungare il tempo della scelta, messa quindi al servizio di esigenze legate agli aspetti biologici, soggettivi, sociali, cultu-rali ed economici portati da ciascuno [3]. È un processo che si innesca quando tutti i presenti possono contribuire autonoma-mente e responsabilmente alla gestione delle cure. Un esempio di decisionalità condivisa potrebbe essere l’assunzione di scelte terapeutiche che tengano conto delle richieste di tutti i partecipanti, dalla moda-lità di assunzione di un farmaco al concor-dare i tempi di un’operazione chirurgica. Questi sono alcuni degli aspetti che pos-sono caratterizzare un intervento di Scaf-folding psicologico in pediatria di base, che non intende mirare alla creazione uto-pistica di un ambiente armonioso e idillia-co tra pediatri e pazienti, ma al riconosci-mento di una maggiore competenza dialo-gica e relazionale nei partecipanti [3,12]. Comunicazioni e decisioni possono dun-

que attraversare i diversi livelli relazionali e la pluralità di codici previsti dalle disci-pline implicate (medicina, psicologia e quotidianità), agevolando il dialogo fra di esse e favorendo le possibilità di trasfor-mare la stanza di visita in un luogo di evo-luzione, di costruzione di significati co-muni, di condivisione.

* [email protected]

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OFF SIDE 133Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Assonanze pedagogiche nell’apprendimento: pedagogia scientifica di Maria Montessori e pedagogia della gestione mentale di Antoine de La GaranderieAnna BrigandìPedagogista specializzata in differenziazione didattica nel metodo Montessori

Presidente Nazionale APP (Associazione Professioni Pedagogiche), Messina

IntroduzioneNon è dalla volontà che scaturisce la moti-vazione e l’interesse ad apprendere dell’al-tro, piuttosto il contrario: concetto chiave che potrebbe configurarsi come denomi-natore comune tra la “tradizionale” peda-gogia scientifica di Maria Montessori e la “contemporanea” pratica pedagogica del-la gestione mentale ideata dal pedagogi-sta francese Antoine de La Garanderie. Analogamente all’approccio promosso da Montessori, improntato sulla prioritaria necessità di strutturare un ambiente all’in-terno del quale il bambino potesse speri-mentare il “proprio” modo di apprendere e sollecitare la capacità di concentrazione attraverso l’uso del materiale di svilup-po, anche de La Garanderie propose del-le strategie di presentazione dei contenuti capaci di rispettare maggiormente i tempi e le personali “modalità evocative” dell’al-lievo, vale a dire il modus operandi con cui si richiama alla mente ciò che si è perce-pito. La pratica pedagogica della gestione mentale consente di ri-vedere e ri-ascoltare mentalmente le operazioni cognitive ne-cessarie alla rappresentazione della realtà, oltre che individuare se si favorisce l’ac-cesso a un canale auditivo o visivo. Così come anche Montessori considera i sensi della vista e dell’udito alla stregua di “por-te dell’intelligenza” che, in sinergia con il movimento, assumono importanza consi-derevole per la costruzione intellettuale e morale della persona.A questo punto è legittimo porsi degli in-terrogativi: “Come far convergere diversi approcci teorici e metodologici ritenuti di-stanti in ordine cronologico e geografico?”

Intrecci educativi fra tradizione e modernita: da Montessori a de La Garanderie.Negli ultimi anni il numero dei bambini e degli adolescenti interessati da difficol-

tà di apprendimento è aumentato sensi-bilmente. Pertanto, come anche sostenu-to in passato da Maria Montessori e più recentemente da de La Garanderie, si po-ne la necessità di una revisione dell’appa-rato pedagogico, didattico e metodologico dell’attuale sistema scolastico.Assumendo tale revisione come nostro prioritario punto di partenza scaturisco-no svariate “assonanze” pedagogiche e possibili intersezioni, di cui si cercherà di fornirne una panoramica, tra i due peda-gogisti. Entrambi ritengono che le ragio-ni alla base dello scarso interesse per lo studio, nonché dell’insuccesso scolastico, non siano da ricondurre al singolo bam-bino o adolescente, ma a un ingranaggio sistemico più ampio che abbraccia l’impo-stazione metodologica, la responsabiliz-zazione educativa degli adulti e la scarsa preparazione di un contesto di apprendi-mento adeguatamente pensato per aiutare lo studente a “fare da solo” e assolvere con-cretamente il famigerato principio di “una scuola a misura di bisogni educativi” dei suoi fruitori. Questi aspetti andrebbero comunque ri-considerati e attualizzati an-che alla luce delle odierne scoperte scatu-rite da molteplici contributi interdiscipli-nari (psicologia, pedagogia, neuroscienze, tecniche di comunicazione e informatica). Montessori, secondo l’età, propone attività sensoriali, utilizzo di materiale di svilup-po, attività di vita pratica, contatto con la natura, gruppi autogestiti per i più gran-di. Invece de La Garanderie, per aiutare a prolungare la qualità e i tempi dell’atten-zione, si avvale di metodologie e di stru-menti del suo tempo ritenuti consoni ai bisogni educativi e cognitivi dei bambini in difficoltà: l’aiuto reciproco nel picco-lo gruppo, i supporti audiovisivi, l’elabo-ratore, la lavagna luminosa, gli schemi, le mappe concettuali, il teatro e altri canali espressivi.

Antoine de La Garanderie, partendo dal-la considerazione della sua personale espe-rienza di studente con difficoltà di appren-dimento e scarso rendimento scolastico, divenuto docente in età adulta, elabora la “Pratica pedagogica della gestione mentale” al fine di promuovere l’uso consapevole e strategico dei “gesti mentali” (da qui la denominazione di gestione mentale), atti a favorire il processo di elaborazione e ri-elaborazione dell’esperienza cognitiva. Di primo acchito potrebbero configurarsi co-me concetti consolidati o conosciuti, an-che se in realtà non semplici da concretiz-zare e differenti da ciò cui siamo “abitua-ti”. L’originalità di questo percorso, e delle sue vicinanze al pensiero montessoriano, risiede nell’obiettivo di aiutare l’alunno a prendere coscienza e usare in modo effica-ce, attraverso una serie di strategie opera-tive, i propri gesti mentali, vale a dire le at-tività della corteccia cerebrale: attenzione, memorizzazione, comprensione, riflessio-ne e immaginazione.La gestione mentale dunque si qualifi-ca come pratica metacognitiva orientata a migliorare l’attenzione e conseguente-mente il rendimento scolastico dei bam-bini attraverso l’ascolto attivo e il dialogo pedagogico, al fine di giungere alla scoperta del loro profilo pedagogico e alla descrizione delle abitudini evocative (modalità cogniti-ve) per elaborare dati e conoscenze.Queste abitudini adottate per richiama-re alla mente, tramite immagini menta-li principalmente di tipo visivo o uditivo, ciò che si è osservato, ascoltato o percepito con un altro senso: sono le stesse procedu-re impiegate nel processo dell’attenzione e più in generale in quello dell’apprendi-mento scolastico ed extrascolastico. Per-tanto l’itinerario da seguire nella pratica pedagogica della gestione mentale è il se-guente: dai gesti mentali alle abitudini men-tali, all ’autonomia mentale.

OFF SIDE134 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

L’adulto, prima di individuare le difficoltà di apprendimento, attraverso e durante il dialogo pedagogico si focalizza sugli inte-ressi extrascolastici dell’alunno e, ponendo delle domande attive (in che modo…? Co-me fai per…? Quando…?), chiede se, per esempio, nel ricordare i libri letti o i pro-grammi televisivi visti, ricorre maggior-mente a immagini oppure a spiegazioni. Potremmo dunque asserire che il nesso in cui far convergere gli approcci di Montes-sori e de La Garanderie sia riconducibile alla considerazione che entrambi i peda-gogisti hanno rivolto a funzioni quali: l’at-tenzione, l’immaginazione e la volontà di apprendere scaturite dall’incremento del-la motivazione e non il contrario. Inoltre gli attuali contributi neuro-scientifici, così come altri saperi disciplinari, forniscono altre conferme che attenzione, percezione e azione sono aspetti essenziali implicati nel processo educativo poiché si costitui-scono in qualità di elementi presenti du-rante tutto l’arco della vita, dalla nascita sino alla morte.Montessori infatti osserva il bambino che fissa la propria attenzione su un oggetto si-no a ripetere più volte lo stesso esercizio, per esempio infilare e sfilare i cilindretti da appositi sostegni, per soddisfare la “fa-me di conoscenza” della realtà circostante, così come de La Garanderie indaga il sor-prendente “appetito” cognitivo e affettivo alla base della motivazione ad apprende-re. Quest’ultima intesa come coscienza e consapevolezza di esercitare delle scelte e riconoscere i fini della propria azione at-traverso il ricorso alle “evocazioni men-tali” all’interno di un “progetto di senso” realizzabile secondo la propria esperienza. Sostanzialmente si tratta di una serie di esercizi da praticare (mentali e scritti ana-logamente a quelli adottati per lo studio della grammatica montessoriana) per gui-dare all’autoformazione, cioè “insegnare ad apprendere”. Prima ancora di quest’af-fermazione Montessori dichiara che, per favorire l’autoeducazione, l’ambiente deve fornirne i mezzi che non possono essere scelti casualmente o lasciati al caos, ma scaturire da uno studio scientifico, poiché lo sviluppo psichico si organizza con l ’aiuto di stimoli esterni sperimentalmente determinati al fine di canalizzare “l’innata” attenzione del bambino verso obiettivi proficui e mi-rati. In tale contesto acquisisce rilevanza il concetto di predisposizione di una certa “disciplina nella libertà” in cui il materia-le di sviluppo montessoriano rappresenta un punto di partenza. Entra anche in gio-co il ruolo della coscienza e della memo-ria: è solo dopo il terzo anno di vita che nel bambino subentra la dimensione della consapevolezza e tutte le acquisizioni dei

primi tre anni possono essere recuperate in modo consapevole. Montessori dichiara che si verifica il passaggio dal creatore in-conscio (0-3 anni) al lavoratore cosciente (dopo i 3 anni): prima il bambino costrui-sce le proprie competenze attraverso i sen-si e in modo disorganizzato, dopo cambia il proprio modo di rapportarsi all’ambien-te e recupera le acquisizioni maturate nel primo triennio mediante il movimento e il linguaggio e li perfeziona attraverso un’a-zione consapevole. Solo quando soprav-viene la coscienza, abbiamo unità nella personalità e quindi memoria. Così attra-verso l’alfabeto e il materiale di psicoarit-metica, il bambino esercita l’intelligenza e mette in rapporto le immagini uditive con quelle visive e motrici della parola parlata, scritta e nello studio delle quantità, delle proporzioni e del numero. La mente quin-di “allena” e affina le proprie potenzialità; pertanto insegniamo ai bambini a evocare e noi mostreremo loro le capacità da sviluppare. Si tratta di conoscere cosa sta succedendo nella propria mente, per imparare ad au-to-monitorare la concentrazione e l’atten-zione nello studio analogamente ad altre attività desiderate come lo sport.Ciò fa dire ad Antoine de La Garanderie che “L’intelligenza è alla portata di tutti”1, asserendo che l’opinione secondo la quale l’attitudine sia un dono naturale allontana la mente del pedagogista dal cercarle al-tra origine; in questo senso sono rilevabi-li le assonanze pedagogiche con il pensie-ro montessoriano, entrambi a sostegno di una “pedagogia incarnata”. “La parola ‘ intuizione’ era la prova della pre-disposizione. Poiché la comprensione è imme-diata e avviene in un lampo, essa è intuiti-va perché è il prodotto di una predisposizione naturale. Se è una predisposizione, è perché è innata. Eravamo così legittimati da tutto questo materiale di discussione a esimerci da altro approccio di successo scolastico. La via psico-pedagogica era culturalmente chiusa” 2. Consapevolezza che arriva decenni dopo l’affermazione di Montessori: “La società ha rinunciato a curare il bambino”. È au-spicabile che tale consapevolezza incontri maggiore applicazione, per ri-cominciare a “prenderci cura” dei più piccoli, metten-do noi, adulti, nelle condizioni di assolvere il ruolo primario dell’educazione: accom-pagnare le nuove generazioni nel loro per-corso di crescita e di autodeterminazione.

Un filo conduttore comune: “esame di coscienza pedagogica” dell’insegnante e del pedagogistaMontessori e de La Garanderie, pur se in momenti storici diversi, inducono l’adul-to ad abbandonare i pregiudizi e a non ri-nunciare alla scoperta delle risorse menta-

li, quali memoria e intelligenza. Per tale ragione de La Garanderie adotta lo stru-mento del dialogo pedagogico, vale a dire che l’insegnante interroga l’alunno e in-daga sul suo personale metodo di lavoro: come organizza le lezioni, comprende una spiegazione, memorizza i contenuti, riflet-te su un problema di matematica, applica formule o esegue un compito di altre di-scipline scolastiche. Dunque, quando fac-ciamo riferimento all’espressione di “atti-tudine scolastica”, bisognerebbe ricondur-la alla qualità di adattamento dell’allievo a situazioni predisposte a misura del suo profilo pedagogico, onde evitare di consi-derarla come qualcosa di determinato alla nascita.Da ciò si evince che entrambi i pedagogisti pongono la necessità di un esame di coscien-za pedagogica da parte dell’adulto che volge il proprio sguardo ai più giovani. Soven-te accade che l’adulto invece assuma come sua base di partenza un assunto di esclusi-va matrice comportamentista, identifican-do tout court le difficoltà di apprendimen-to come causa e non conseguenza di una precisa procedura mentale adottata dall’al-lievo. Invece gli insegnanti e i pedagogi-sti, per scoprire il profilo pedagogico degli alunni, potrebbero avvalersi della pedago-gia dell’abitudine evocativa e interrogarsi sulle cause dei loro punti di forza e dei lo-ro punti di debolezza, non semplicemen-te per conoscerli, ma per allenarli ai fini dell’adattamento scolastico e dell’appren-dimento delle diverse discipline. Lo stesso principio sostenuto da Montessori nel mo-mento in cui dichiara che l’educatore deve partire dalle risorse esistenti del bambino e aiutarlo a svilupparsi “a modo suo” im-prontando l’azione educativa sull’aspet-to motivazionale e il talento individuale. Pertanto si focalizza molto sull’attenzio-ne, sulla volontà e sull’immaginazione in-fantile, come testimoniato in uno dei suoi testi che oggi si configura “pietra miliare” della pedagogia della fascia d’età 6-10 an-ni: L’autoeducazione.Il suo contributo scientifico-pedagogico in merito al processo attentivo denota un certo spirito di osservazione concepito co-me primo strumento del cosiddetto “mi-croscopio spirituale” che dovrebbe essere parte dell’operato dell’adulto nella scoper-ta del mondo del bambino. Di seguito un suo contributo sull’attenzione: “Il fenome-no che si attende dal piccolo bambino, quando egli è posto nell ’ambiente della sua crescenza interiore, è questo: che a un tratto il fanciul-lo fissi la sua attenzione sopra un oggetto, lo usi secondo lo scopo per cui è stato costruito, e continui indefinitivamente a ripetere lo stes-so esercizio (…) Ciò che muove il bambino a tale manifestazione di attività è evidente-

OFF SIDE 135Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

mente un impulso interiore primitivo, qua-si un senso di fame interna; ed è l ’ impulsiva soddisfazione di questa fame, che muove poi veramente la coscienza del bambino su quel determinato oggetto, e lo conduce a poco a po-co a un primordiale ma complesso e ripetuto esercizio dell ’ intelligenza nel comparare, giu-dicare, decidere un atto, correggere un errore (…) È probabilmente una sensazione interna di questo sviluppo, che rende piacevole l ’eser-cizio, e costante e prolungato il lavoro. Come per dissetare, occorre non vedere solo l ’acqua o assaggiarla, ma berne a sazietà (…) quel-la quantità di cui l ’organismo ha bisogno, così per saziare questa specie di fame o di sete psi-chica, non basta “vedere fuggevolmente le co-se” o tanto meno “sentirle descrivere”; ma biso-gna possederle o usarne tanto quanto è neces-sario ai bisogni della vita interiore” 3.Montessori prosegue asserendo che tutti sono stati erroneamente d’accordo nel so-stenere che nel bambino, sotto i cinque an-ni, l’instabilità e la difficoltà di trattenere l’attenzione sia una caratteristica consueta: tale convinzione si è costituita come osta-colo dell’educazione. In realtà l’attenzione, poiché impulso interiore, si rivolge verso le cose che sono “necessarie” allo sviluppo e non può essere trattenuta artificialmen-te da ciò che si aspetta l’adulto. Lo scopo degli incastri solidi e degli incastri piani, solo per citare alcuni esempi, non è sem-plicemente quello di dare il concetto delle forme, dei colori e delle dimensioni attra-verso la conoscenza sensoriale, ma fare in modo che il bambino eserciti le sue attivi-tà e fissi l’attenzione su di esse. L’oggetto esterno, afferma Montessori, è “una pale-stra su cui lo spirito fa i suoi esercizi” at-traverso il movimento che così si configura come una sorta di “metabolismo psichico” per lo sviluppo, analogamente a “quell’ap-petito cognitivo e affettivo” che secondo de La Garanderie risiede alla base della motivazione ad apprendere, determinando il piacere di fare, attraverso la libertà di un progetto coscientemente costituito.

Insegnare a imparare: un approccio pedagogico nell’apprendimento della lettura e della scritturaI bambini che vogliono imparare a leggere e scrivere amano pensare per oggetti men-tali visivi, uditivi o senso-motori, e cerche-ranno di stabilire un rapporto di senso tra grafemi, fonemi e movimento. Vygotskij ha scritto che l’unicità del metodo Mon-tessori consiste nel considerare il proces-so della scrittura come un momento natu-rale del processo di sviluppo della mano; la difficoltà dello scrivere non è correlata al riconoscimento delle lettere, ma all’in-

sufficiente sviluppo della fine motricità. Quest’ultima, come rilevato dalle neuro-scienze e da Montessori nell’attenzione riposta al canale senso motorio e al tatto, dipende dal movimento e dalle sue rica-dute sullo sviluppo delle funzioni mentali superiori del pensiero analogico. L’azione motoria, collegata sul piano neuronale con i centri dell’udito e della vista, si costitui-sce come il supporto più efficace e potente per raggiungere il cervello, allenare i pro-cessi cognitivi e mentali che sono alla base dell’apprendimento.A tal proposito è calzante il riferimento a de La Garanderie il quale ritiene che, nell’insegnare ad apprendere, il nodo cru-ciale non sia “cosa apprendere” (contenuti disciplinari) ma “come apprendere” (mo-dalità mentali che regolano l’apprendi-mento). Anche Montessori sollecita l’a-dulto che si accinge a osservare il bambino a non soffermarsi semplicisticamente sul risultato finale, ma a valorizzare il processo di apprendimento. Sulla scorta di queste preziose informazioni è possibile asseri-re che, attualmente, alcune difficoltà so-no originate da abitudini mentali sbagliate riconducibili all’incapacità dell’alunno di servirsi correttamente del canale uditivo o visivo.L’alunno auditivo favorisce il dialogo in-teriore riuscendo meglio nelle materie che richiedono buone capacità espressive o lo-gico-linguistiche: lingua italiana, lingua straniera, filosofia; l’alunno visivo, invece, trasforma le impressioni ricevute in im-magini mentali preferendo l’uso di carti-ne, mappe, schemi, foto, grafici e dunque eccelle nei settori disciplinari che impli-cano capacità visuo-spaziali: matematica, geometria, geografia e disegno. Ecco perché prima di accompagnare e edu-care l’alunno nella gestione di quei pro-cedimenti mentali volti a facilitare il suo apprendimento è opportuno indagare, at-traverso il dialogo pedagogico, le sue “abi-tudini mentali” adottate per elaborare da-ti e conoscenze. Il contesto si pone così nell’ottica dell’integrazione, dell’inclusio-ne e dell’individualizzazione dei bisogni educativi dell’allievo, partendo dalla se-guente asserzione: “lo adeguo a te affinché tu possa integrarti a esso”. Il pedagogista francese de La Garanderie, infatti, nel considerare il processo di ap-prendimento, non reputa sinonimi i termi-ni “mentale” e “cognitivo”. Per chiarire la differenza si avvale della calzante similitudi-ne dei pesci (la dimensione cognitiva) e l ’ac-qua (la dimensione mentale). I pesci vivono nell ’acqua, loro ambiente di vita. La maggior parte degli studi psicologici e filosofici si sono

focalizzati sui pesci ossia sulla conoscenza, sui concetti, sulle strutture cognitive, sulle carat-teristiche del pensiero e dell ’ intelligenza, in-vece de La Garanderie si occupa “dell ’acqua”, cioè della dimensione mentale. I pesci, infat-ti, non sono l ’acqua anche se non possono fa-re a meno di essa per vivere e parimenti l ’ac-qua non si identifica con i pesci pur potendoli contenere. In altre parole le conoscenze posso-no “vivere e proliferare” nell ’essere umano a patto di trovare certe condizioni ambientali indispensabili: i gesti mentali che sono tra lo-ro strettamente connessi nell ’atto della cono-scenza 4.Queste considerazioni rivelano, come già palesato, svariate “assonanze pedagogi-che” con il pensiero di Maria Montesso-ri e con la sua profonda consapevolezza in base alla quale l’insegnante non risponde esclusivamente alla società e alla scienza, ma alla verità dello studente e della sua mente. Riflettere quindi sul proprio ruolo di “esperti dei processi educativi” diventa linfa vitale per non incorrere nel rischio di soluzioni standardizzate e per incentivare, invece, progettualità di orizzonti di senso.

ConclusioniLa possibilità di costruire nuove prospet-tive pedagogiche, volgendo lo sguardo al-la nostra tradizione, non dimenticando di ri-modularla e di ri-considerarla alla luce delle odierne scoperte scientifiche ed edu-cative, può fornire ai bambini e agli ado-lescenti l’occasione di “muovere il pensie-ro” secondo un proprio progetto logico o creativo, rendendoli più autonomi e per-mettendogli di acquisire padronanza del proprio movimento e delle proprie relazio-ni spazio-temporali con l’ambiente circo-stante. Sia Montessori che de La Garan-derie, con il loro approccio capace di rivo-luzionare il modo di concepire la relazione educativa tra adulti e bambini, lo avevano ben compreso.

L’Autore dichiara di non avere alcun conflitto di interessi.

* [email protected]

1 Jean Paul Chich, Michelle Jacquet, Nadette Meriaux, Michele Verneyere. La pratica peda-gogica della gestione mentale. Edizioni del Cer-ro, p. 18.2 Antoine de La Garanderie. I profili pedagogici, scoprire le attitudini scolastiche. La Nuova Italia, p. 169.3 Maria Montessori. L’autoeducazione. Garzan-ti-Elefanti, pp. 135-136.4 Pietro Sacchelli. Prevenire e risolvere le diffi-coltà ortografiche. Il metodo della gestione men-tale. Anicia, Roma, p. 12.

FARMACIPì136 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Trattamento del vomito da gastroenterite acuta in età pediatricaAntonio ClavennaLaboratorio per la Salute Materno Infantile, Dipartimento di Salute Pubblica, IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano

Quali sono i trattamenti farmacologici ef-ficaci nel trattamento del vomito da ga-stroenterite acuta nel bambino? È questo il quesito a cui ha cercato di rispondere SONDO (Studio ONdansetron vs DOm-peridone), uno studio clinico randomizza-to controllato, finanziato dall’Agenzia Ita-liana del Farmaco (AIFA) nell’ambito dei bandi per la ricerca indipendente, condot-to in 15 Centri di Pediatria di urgenza/Pronto Soccorso italiani dal 2011 al 2013.Lo studio ha confrontato l’efficacia di on-dansetron (0,15 mg/kg), domperidone (0,50 mg/kg) e placebo nel controllare il vomito da gastroenterite. Sono stati coinvolti 1313 bambini di età 1-5 anni con accesso in Pronto Soccorso (PS) per vomito da gastroenterite: 832 hanno risposto alla sola somministrazione di soluzione reidratante orale (ORS), mentre 356 sono stati randomizzati a uno dei trattamenti.La percentuale di bambini che hanno ne-cessitato di reidratazione endovenosa o tramite sondino nasogastrico (endpoint primario) è risultata del 12% nel gruppo ondansetron, del 25% nei trattati con domperidone e del 29% nel gruppo place-bo. I bambini che avevano ricevuto ondan-setron avevano un rischio di reidratazione endovenosa ridotto di più del 50% se con-frontati con i trattati con domperidone (RR 0,47; IC 98,6% 0,23-0,97) e placebo (RR 0,41; IC 98,6% 0,20-0,83). L’ondansetron è risultato più efficace degli altri due trattamenti anche per altre misu-re di esito secondarie (p.es. la necessità di una permanenza in PS maggiore di 6 ore, la percentuale di bambini con persistenza di vomito e il numero di episodi). Non so-

no emerse differenze per quanto riguarda la sicurezza dei trattamenti, con la sola ec-cezione di un aumento del numero di epi-sodi di diarrea nel bambini del gruppo on-dansetron.Al di là dell’efficacia delle terapie farmaco-logiche, il risultato dello studio che merita di essere maggiormente sottolineato è che in 2/3 dei casi la sola ORS si è dimostrata efficace nel risolvere il vomito. Questo si-gnifica che più del 60% degli accessi in PS per gastroenterite potrebbe essere poten-zialmente evitato con un uso appropriato a domicilio della ORS.Inoltre, non è stata osservata nessuna dif-ferenza di efficacia tra domperidone e pla-cebo nel controllare il vomito da gastroen-terite; l’utilizzo di questo farmaco in pe-diatria è quindi da abbandonare.L’ondansetron è risultato efficace nei casi non migliorati con ORS. Questo significa che può essere introdotto nella pratica quo-tidiana del pediatra? Nel rispondere a que-sta domanda, occorre chiarire alcuni aspet-ti. Ad oggi l’ondansetron è autorizzato in pediatria solo per il controllo della nausea e del vomito indotti da chemioterapia e per la prevenzione e il trattamento del vomito po-stoperatorio. I risultati dello studio SON-DO, così come quelli di altri studi interna-zionali, supportano un possibile uso off-la-bel per il vomito da gastroenterite. Gli studi disponibili sono, però, stati condotti nel contesto del PS; inoltre, il profilo benefi-ci-rischi dell’ondansetron appare favorevole solo per la somministrazione di una singola dose, mentre con dosi ripetute e prolungate nel tempo c’è un aumento del rischio di re-azioni avverse, in particolare di diarrea, senza una documentazione di maggiore ef-

ficacia. Non si tratta, dunque, di un farma-co da prescrivere ai genitori per la sommi-nistrazione a casa.Inoltre, l’ondansetron può prolungare l’in-tervallo QT e aumentare il rischio di arit-mia ventricolare nei soggetti a rischio. Per quanto non sia segnalata la comparsa di aritmia dopo la somministrazione di una singola dose, l’impiego del farmaco richie-de cautela.Lo studio SONDO rappresenta un’ulte-riore evidenza a supporto dell’utilità della ricerca indipendente nel rispondere a que-siti che nascono dalla pratica clinica quoti-diana. Per certi aspetti è speculare allo studio ENBe: se quest’ultimo ha docu-mentato la mancanza di efficacia del be-clometasone nel trattamento sintomatico delle “affezioni infiammatorie del tratto rinofaringeo” (indicazione per cui il far-maco è autorizzato), SONDO ha consen-tito di confermare l’efficacia dell’ondanse-tron per il vomito da gastroenterite, indi-cazione non (ancora) autorizzata.Il tempo dirà se la ricaduta nella pratica di SONDO sarà maggiore di quella (al mo-mento modesta) dello studio ENBe.

* [email protected]

Marchetti F, Bonati M, Maestro A, et al. Oral Ondansetron versus Domperidone for Acu-te Gastroenteritis in Pediatric Emergency Departments: Multicenter Double Blind Randomized Controlled Trial. PLoS One 2016;11:e0165441.

Tomasik E, Ziółkowska E, Kołodziej M, Szajewska H. Systematic review with me-ta-analysis: ondansetron for vomiting in children with acute gastroenteritis. Aliment Pharmacol Ther 2016;44(5):438-46.

VACCINACIPì 137Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Il morbilloRosario CavalloPediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce) – Gruppo ACP prevenzione malattie infettive

Il morbillo è una delle poche malattie teori-camente eradicabile con la vaccinazione, ma da qualche anno le coperture vaccinali hanno subito prima un ristagno e poi addi-rittura un calo.La “fiammata” epidemica registrata a inizio 2017 ha indotto l’ISS a istituire un Sistema di sorveglianza integrata per morbillo e ro-solia.L’aggiornamento dell’11 aprile 2017 con-ferma la notifica di quasi 1500 casi da inizio anno, ben più che in tutto l’anno preceden-te.Circa il 90% dei casi si è verificato in sog-getti non vaccinati (il che conferma l’effica-cia della vaccinazione); circa il 40% di que-sti casi è stato ricoverato, testimoniando che non si tratta di quella malattia di scarsa rilevanza di cui troppo spesso si favoleggia; circa il 75% dei casi si è verificato in sogget-ti > 15 anni per cui il morbillo non può es-sere più definito una malattia dell’infanzia!!Come al solito moltissime sono state le complicanze, anche gravi: dalla diarrea alla polmonite, dalla otite alla cheratocongiun-tivite, dall’epatite all’insufficienza respira-toria, alla trombocitopenia e alla immanca-bile encefalite [1].Per ora non sono segnalati decessi, come in-vece è successo in Svizzera [2] e in Germa-nia [3] per non parlare della Romania, dove i decessi confermati sono stati ben 16 [4].La peculiarità che rende particolarmente pericoloso il morbillo è la sua altissima con-tagiosità: si calcola che il R0 (basic repro-duction number) vari tra 14 e 18; significa che, in un contesto privo di soggetti vacci-nati, si sviluppano 14-18 casi secondari per contatto col caso primario [5].Nel contesto reale di popolazione in gran parte vaccinata (come nel caso dei focolai epidemici sviluppatisi in Italia tra il 2008 e il 2011), il R0 è stato invece di 6,1 [6].Quando il 10% della popolazione non è im-munizzato si può determinare un focolaio epidemico [5].La diagnosi di morbillo si basa sulla triade: febbre, rash generalizzato non vescicolare e almeno uno tra i seguenti sintomi: tosse, coriza, congiuntivite. Patognomoniche ma non sempre presenti le macchie di Koplik. La conferma laboratoristica prevede la ri-

cerca delle IgM specifiche (da effettuare nel periodo 3-28 giorni dall’inizio del rash); l’esame ha alta sensibilità e specificità.Poco usata la coltura, mentre la PCR ha an-che la capacità di individuare il genotipo, fornendo indicazioni utili per il controllo delle epidemie. Non esiste un trattamento antivirale speci-fico ma in base a una revisione sistematica Cochrane l’OMS e la AAP raccomandano nei casi di morbillo un trattamento con vi-tamina A, almeno nelle forme gravi [7].Altra caratteristica del morbillo è la capaci-tà di deprimere, a volte anche per diversi anni, la risposta immunitaria; ciò rende ra-gione delle frequentissime complicanze, fra cui una delle più temibili è l’encefalite, che può verificarsi in forme differenti:1 encefalomielite postinfettiva su base au-

toimmune: si verifica circa una settima-na dopo il rash, associata a demieliniz-zazione; raramente si riscontra il virus nel cervello;

2 encefalite acuta, distanziata di alcune settimane o mesi dal contatto: si verifica in genere in soggetti immunodepressi, a volte senza anamnesi di rash febbrile;

3 PESS o PanEncefalite Sclerosante Su-bacuta, complicanza tardiva (da 7 a 20-30 anni dopo la malattia) e mortale. I casi sono quasi scomparsi con la vacci-nazione al 90%; l’autopsia dimostrava riscontro del virus selvaggio nel cervello anche nei casi con anamnesi di malattia negativa.

La sorveglianza britannica dimostra come l’introduzione della vaccinazione correli di-

rettamente con la riduzione del numero di casi di morbillo e di conseguenza dei deces-si.Prima del vaccino si contavano da 160.000 a 800.000 casi/anno con 100 decessi/anno in media.Negli anni con bassa copertura i casi sono scesi tra 50.000 e 100.000/anno con ancora 13 decessi/anno in media.I decessi hanno riguardato soprattutto sog-getti immunodepressi o già portatori di al-tre malattie croniche, ma merita di essere segnalato il fatto che tra il 1970 e il 1983 la metà dei decessi si sono verificati in bambi-ni non vaccinati fino a quel momento appa-rentemente sani [8].I CDC stimano una letalità dello 0,2% ne-gli USA.La principale causa di morte è la polmonite, seguita dalla encefalite e dalla PESS [9].La Tabella 1 riporta una stima che compara gli effetti avversi da morbillo rispetto agli effetti avversi da vaccino [10].Fatta questa analisi, è doveroso fare una riflessione: il 10% dei casi notificati in Italia nel 2017 è a carico di operatori sa-nitari [1].Non è solo una questione di coerenza e di buon esempio; si tratta di vero e proprio malcostume perché l’operatore non vacci-nato che si contagia, sarà a sua volta l’“unto-re” magari a carico del soggetto fragile e più esposto alla complicanza grave.È inaccettabile che continui a succedere!

* [email protected]

Bibliografia consultabile online.

TABELLA 1. Tratta da “Measle and measle vaccination, JAMA Pediatrics”

1 milione di bambini affetti da morbillo 1 milione di bambini vaccinati

50.000 bambini con polmonite 999.996 bambini senza eventi avversi gravi

80.000 bambini con diarrea 33 casi di trombocitopenia transitoria

70.000 bambini con otite 1 reazione allergica grave

1000-3000 bambini con encefalite acuta 0,2 casi di encefalite non correlabile con certezza

1000 bambini con encefalite postinfettiva

110 bambini con PESS

2000 decessi

LIBRI138 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Libri: occasioni per una buona lettura

Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano

Campanelli Verdi e RossiScreening precoce nei Disturbi dello Spettro Autistico per bambini da 0 a 3 anni di Gionata Bernasconi, Chiara Lombardoni, Nicola Rudelli, con contributi di Gian Paolo Ramelli, Erica Salomone, Evelyne Thommen, Paola Visconti, Giacomo Vivanti Edizioni Fondazione Ares - Giampiero Casa-grande editore, 2016, pp. 111, € 20

Guida all’osservazione della tipicità del comportamentoPer il pediatra di famiglia non esistono test precoci di screening dello spettro autistico che possano sostituirsi all’osservazione di-retta delle atipie comportamentali. Nei pri-mi 18 mesi la diagnosi precoce dei disturbi della relazione si basa sulla profonda cono-scenza della tipicità del comportamento e il pediatra deve stimolare i genitori a diventare esperti osservatori delle abilità psico-moto-rie, manipolazioni, sguardi espressivi, deam-bulazione, linguaggio, emozioni condivise. Un’altra finestra di osservazione privilegiata è quella dell’asilo nido dove i professionisti della prima infanzia dovrebbero sapere iden-tificare comportamenti atipici nello sviluppo del bambino. Campanelli Verdi e Rossi non è uno strumento di diagnosi ma un’ottima guida all’osservazione che permette di rac-

cogliere informazioni mirate e oggettive. È un manuale utilissimo sia per i professionisti della prima infanzia che per i pediatri che sono i riferimenti cardine per l’identificazio-ne di comportamenti atipici nello sviluppo del bambino. Nella prima parte del manuale è descritto lo sviluppo tipico del bambino dalla nascita ai tre anni, con un accento particolare allo svi-luppo precoce dell’intersoggettività, cioè della capacità di capire e interagire in manie-ra reciproca con gli altri, e alle peculiarità che emergono nei bambini con DSA.La seconda parte è composta dalle schede operative che guidano l’osservazione del comportamento dei bambini e da una de-scrizione di come utilizzare il manuale. Le modalità di osservazione sono descritte con un linguaggio semplice e accessibile, e le si-tuazioni proposte sono applicabili con facili-tà alla realtà delle strutture per la prima in-fanzia. Ogni scheda è accompagnata dalle illustrazioni di Barbara Bongini, che danno un contributo, colorato e vicino al mondo dell’infanzia, alla comprensione degli item.Nella terza parte Giacomo Vivanti ed Erica Salomone sintetizzano le caratteristiche principali di un intervento di qualità nei DSA, in accordo con le linee guida interna-zionali. La finalità di questa parte conclusiva non è tanto quella di fornire una panoramica globale ed esaustiva di tutti gli interventi ef-ficaci, quanto piuttosto quella di evidenziare alcuni punti chiave e principi di base ai qua-li è utile fare affidamento nel periodo succes-sivo alla diagnosi di DSA.

Massimo Soldateschi

Le otto montagnedi Paolo CognettiEinaudi, 2016, pp. 200, € 18,50

Il significato di essere figli e di essere genitoriIn questo romanzo si cammina molto, in salita e in discesa, su sentieri o su nevai, con mente libera o con il cuore pesante. Cam-minano Pietro e Bruno, due amici di infan-zia che lentamente diventano adulti. Attor-no ai due protagonisti ruotano altre figure importanti, soprattutto le madri e i padri. Il padre di Pietro è una figura complessa e in-

gombrante, e come spesso accade occorre attendere la sua assenza per scoprirne gli aspetti più importanti e ricchi. Il corso dell’esistenza dei due amici procede come un torrente di montagna, salti veloci e im-petuosi si alternano a pozze d’acqua più placide e riflessive. I due sono uguali e di-versi, vicini e lontani, e la loro esistenza si intreccia con nodi invisibili e ineludibili. Cosa significa essere figli, essere genitori: è questa la vera riflessione che la storia di Co-gnetti ci regala, con la semplicità della vita vissuta, con l’immediatezza dei pascoli, con un linguaggio diretto alla Rigoni Stern. Una storia nella quale viene facile immede-simarsi. Siamo tutti un po’ Bruno e un po’ Pietro. E come loro, anche noi vorremmo ossigenare il fisico e la mente per trovare pace e limpidezza, lassù in cima alla nostra vita.

Alessandro Volta

Inquinamento e salute dei bambini Cosa c’è da sapere, cosa c’è da farea cura di Giacomo Toffol, Laura Todesco, Lau-ra RealiIl Pensiero Scientifico Editore 2017, pp. 326, € 25.00

LIBRI 139Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

L’inquinamento nell’ambulatorio del pediatraRicco il doppio delle pagine rispetto alla versione pubblicata sette anni fa e con nuovi argomenti affrontati, definire questo libro come una seconda edizione mi sem-bra davvero riduttivo. I temi già affrontati nel testo del 2010, l’inquinamento indoor e outdoor, le radiazioni solari, l’inquina-mento di acqua e cibo, gli alimenti per i bambini sono stati completamente riscrit-ti. In nuovi capitoli sono state affrontate le questioni riguardanti la sicurezza dei pro-dotti per l’igiene e la pulizia (dalla lozione antizanzara al dentifricio), la gestione dei rifiuti e il cambiamento climatico.Ogni capitolo inizia dentro l’ambulatorio del pediatra con il racconto di alcuni casi clinici o l’impegno da parte del professio-nista di offrire delle ragionevoli guide ai genitori. Segue poi un attento svolgimento dell’argomento attraverso l’analisi delle prove scientificamente attendibili. Ottima ed esaustiva la bibliografia riportata alla fi-ne di ogni capitolo. I colleghi del Gruppo di lavoro ACP «Pediatri per un Mondo Possibile» rendono la lettura mai noiosa offrendo numerose e chiare tabelle espli-cative e inserendo validi approfondimenti su questioni cliniche concrete, come per esempio la supplementazione della vitami-na D all’interno del complesso tema delle radiazioni ultraviolette, oppure sui possi-bili inquinanti del latte materno. Il penultimo capitolo affronta il vasto pro-blema del cambiamento climatico, un tema al di fuori della portata di azione di ogni singolo pediatra, ma significativo di come ogni sistema ecologico sia intrinsecamente legato agli altri. L’impatto sulla salute deri-vato da queste complesse modificazioni cli-matiche, spesso non avvertito in modo con-sapevole, è ben delineato. Originale e di ve-

ro interesse è il capitolo finale dedicato ai processi mentali razionali o culturali legati alla percezione del rischio e sul valore delle conoscenze in un mondo odierno affetto da una sindrome da iperinformazione. Leggere Inquinamento e salute dei bambini, infine, non sarà solo un arricchimento cul-turale o un aggiornamento professionale: le numerose guide anticipatorie e raccoman-dazioni inserite nel testo rappresentano un concreto ausilio per l’attività ambulatoriale.

Costantino Panza

Proust era un neuroscienziatodi Jonah LehrerCodice edizioni 2008, pp 204, € 22

L’arte come contrappeso al riduzionismo scientificoLibro non recente ma che ho riletto per motivi di lavoro e che ho trovato ancora molto interessante e attuale per la tesi che il giovane autore dichiara sia nel “Prelu-dio” che nelle conclusioni: la necessità e l’utilità di un dialogo tra arte e scienza. Lehrer, all’epoca in cui scrive il libro, ha 26 anni, e dopo la laurea alla Columbia University ha lavorato nel laboratorio di Eric Kandel, neuroscienziato di fama mondiale (tra i suoi scritti: “Alla ricerca della memoria” “L’età dell’inconscio – ar-te, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni”). Un primo dato di attualità è la caratteristica del periodo storico in cui operano gli artisti scelti: vissero tutti in un’epoca in cui il riduzionismo veniva ap-plicato dagli scienziati alla realtà, tutto viene suddiviso, l’insieme può essere com-preso scomponendolo nelle sue parti, la tecnologia dà una spiegazione a molti mi-steri, l’uomo viene diviso in parti, atomi. Per certi versi la crisi della medicina oggi

viene in parte imputata proprio a questo approccio riduzionista e la storia delle sco-perte artistiche descritte suggerisce che, per la conoscenza dell’uomo, i metodi ri-duzionisti della scienza devono allearsi con le modalità di approccio artistico allo studio dell’esperienza. Lehrer in ogni ca-pitolo dedicato a un artista cerca di imma-ginare un dialogo dove, partendo dalle in-tuizioni dell’artista, l’arte viene interpreta-ta alla luce della scienza mentre quest’ulti-ma viene vista attraverso l’arte.Qualche esempio: nel capitolo da cui il ti-tolo del libro, Proust, nella Recherche, con la famosa madeleine e la descrizione delle emozioni e dei ricordi scatenati dall’odore e dal sapore del dolcetto intuisce che pro-prio l’olfatto e il gusto hanno una impor-tanza eccezionale per la memoria: limitar-si a guardare la madeleine non gli fece ri-cordare nulla. Questa intuizione è confer-mata oggi dalle neuroscienze: olfatto e gu-sto sono gli unici che hanno un collega-mento diretto con l’ippocampo, centro della memoria a lungo termine. Le intui-zioni sulle caratteristiche della memoria non si fermano qui: nella Recherche Proust introduce anche il pensiero che i nostri ri-cordi siano fasulli, anticipando anche qui importanti conferme delle neuroscienze.In modo quasi complementare il celebre cuoco Escoffier fece una rivoluzione culi-naria attribuendo una grande importanza al palato, al gusto intuendone la soggetti-vità, per cui inventò il menù che permette-va di personalizzare il pasto di ogni cliente in base al proprio gusto. Intuì anche il ruolo importantissimo dell’olfatto, motivo per cui serviva il cibo caldo direttamente dai fornelli perché con il calore le molecole del cibo evaporano nell’aria con il loro pro-fumo allettante. Capì che ciò che gustia-mo è influenzato dal contesto, ponendo molta attenzione al servizio, alla raffina-tezza delle posate e delle ceramiche e ai nomi ricercati dei piatti. Lehrer ci aiuta a interpretare queste intuizioni artistiche alla luce degli studi delle neuroscienze, ri-portando esperimenti che spiegano la vali-dità e le basi anatomo-fisiologiche delle teo rie di Escoffier. Gli artisti di questo li-bro (Whitman, Cézanne, George Eliot, Stravinskij, Virginia Woolf, Gertrude Stein) dimostrano che ci sono svariati mo-di di descrivere la realtà, e ognuno di que-sti è in grado di produrre verità. Termino con le parole di Lehrer: “Spero che questo libro abbia dimostrato come l ’arte e la scienza possano integrarsi in una vasta sfera critica … l’arte è il necessario contrappeso alle glorie e agli eccessi del riduzionismo scientifico so-prattutto quando vengono applicati all ’espe-rienza umana.”

Patrizia Elli

FILM140 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Svelamenti e passaggi della crescita in MoonlightRubrica a cura di Italo SpadaComitato per la Cinematografia dei Ragazzi, Roma

MoonlightRegia: Barry JenkinsCon: Mahershala Alì, Naomie Harris, Trevan-te Rhodes, André Holland, Janelie Monae, Ashton Sanders USA, 2016 Durata: 110’

Probabilmente Moonlight, secondo lungo-metraggio del trentasettenne Barry Jen-kins, occuperà un posto nella storia del ci-nema più per il pasticciaccio dello scambio di buste che ha regalato un minuto di feli-cità a La la land nell’89a edizione degli Oscar (2017) che per le tre statuette (film, attore non protagonista e sceneggiatura non originale) che ha portato a casa. La scelta dell’Academy Award, peraltro condi-visa da molti critici, resta comunque una vera sorpresa perché antepone la prosa alla poesia, la nota stonata al musical, la realtà alla fantasia, i turbamenti alla felicità. Non tutte le storie sono fiabe e Moonlight non appartiene a quei film che si chiudono

con “e vissero felici e contenti”. È, piuttosto, una lezione con poche parole e molti primi piani per capire meglio le fasi della crescita di un ragazzino timido che, all’interno di un contesto di sopraffazione, viene emar-ginato perché è gay. Come dire che, a spettacolo finito, non si può tornare a casa e dimenticare, ma fare delle riflessioni al di là di ogni stereotipo su quanto si è visto. E, allora, facciamole. Prima o poi, arriva per tutti il momento di sapere chi siamo. Infanzia e adolescenza sono stagioni delicate e ogni educatore, a prescindere dal bagaglio intellettuale che possiede, non può ignorare che i passaggi da uno stadio all’altro possono causare traumi nei ragazzi e che lo svelamento im-pone delle scelte. Nel 2005, sette registi di diversa naziona-lità raccontarono in All the Invisible Chil-dren storie di bambini lasciati soli nel mo-mento in cui avrebbero dovuto poter con-tare sul sostegno degli adulti. Tra di loro c’era anche Blanca, protagonista dell’epi-sodio Jesus Children of America di Spike Lee, affetta da AIDS per colpa dei suoi genitori tossicodipendenti. Ho pensato a lei vedendo Moonlight e, quando ho saputo che tra gli autori preferiti da Barry Jenkins c’era anche il regista afroamericano che con Fa’ la cosa giusta (1989) aveva denun-ciato razzismo, violenza e droga a Brook-lyn, non mi sono sorpreso più di tanto. Da Brooklyn a un quartiere popolare di Mia-mi. È qui che vive Chiron, uno dei tanti ragazzini “invisibili” persino tra le mura di casa. Ha una madre che si droga, è vittima del bullismo scolastico, rifiuta la violenza, parla poco, è nero tra neri. Gli altri lo chiamano Piccolo e gli dicono che è “fro-cio”. Chiron non conosce nemmeno il si-gnificato di questa parola e, quando in-contra lo spacciatore buono Juan e la sua compagna Teresa, chiede: “Ma io sono gay? Come faccio a saperlo?” “Lo saprai quando

sarà il momento che tu lo sappia,” gli rispon-de Juan. Non è una risposta da genitore o da educatore (Juan non è né l’uno né l’al-tro), ma un invito a iniziare un percorso per scoprire la sua identità. I luoghi in cui si cresce e le persone che ci stanno accanto impostano e impastano la nostra esistenza. Chiron vive con una madre non madre, in una casa non accogliente, in un quartiere degradato, in una scuola machista e omo-foba. È un bambino emarginato che resi-ste oltre ogni aspettativa grazie a un solo amico non nemico e alla coppia di genitori non naturali che si prende cura di lui. Per maturare, tuttavia, più del battesimo di coraggio che Juan gli amministra nelle ac-que del mare, avrebbe bisogno di un batte-simo di onestà. Avrebbe bisogno di qual-cuno che gli insegnasse a controllare l’ira, a non confondere le lezioni della strada e del carcere con quelle della scuola, a non considerare un’auto di grossa cilindrata, una pistola e lo sfoggio di denti d’oro come simbolo di potenza. Blanca di Jesus Chil-dren of America ci riesce; Chiron, almeno in quei tre capitoli che compongono Mo-onlight (infanzia, adolescenza e maturità), no. E nonostante tutto, Chiron, pur cam-biando nome per gli altri, rimarrà il Piccolo coniglietto timido che abbiamo conosciu-to nelle prime sequenze quando, per sfug-gire alla caccia dei suoi compagni, cerca una tana più accogliente di quella che la vita gli ha assegnato. La trova veramente quando asciuga le lacrime della madre pentita e tra le braccia dell’unico amico che lo abbia mai sfiorato? Per saperlo, bi-sognerebbe aggiungere alla vicenda un quarto capitolo appena accennato dalla se-quenza finale e immaginare che sul cam-mino di Piccolo-Chiron diventato Black il chiaro di luna prima o poi proietterà qual-che lama di luce.

* [email protected]

INFO 141Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

Info: notizie sulla salute

Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali

Minori stranieriÈ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017 il Decreto del Pre-sidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 12 gennaio 2017 con i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza - LEA (Supplemento ordinario n. 15). Il nuovo Decreto sostituisce integralmente - a di-stanza di 16 anni - il DPCM del 29 no-vembre 2001, con cui erano stati definiti per la prima volta le attività, i servizi e le prestazioni che il Servizio Sanitario Na-zionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamen-to di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse raccolte attraverso la fiscalità generale. Gli articoli 62 e 63 (sui 64 totali) sono riferiti ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea, richiamando esplici-tamente le norme del Testo Unico sull’im-migrazione e del suo Regolamento (artico-li 34 e 35 del Decreto Legislativo n. 286 del 27 luglio 1998 e degli articoli 42 e 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 31 agosto 1999) e, di fatto, l’Ac-cordo del 20 dicembre 2012, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Re-gioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: «Indica-zioni per la corretta applicazione della nor-mativa per l’assistenza sanitaria alla popo-lazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome». (Rep. Atti n. 255/CSR). Proprio da quest’ultimo è ripresa la novità più importante della parte che ri-guarda gli immigrati e cioè la previsione che “I minori stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all ’ingresso e al soggiorno sono iscritti al Ser-vizio Sanitario Nazionale e usufruiscono dell ’assistenza sanitaria in condizioni di pari-tà con i cittadini italiani” (articolo 63, com-ma 4). Quando nel 2005 la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) presentò alla comunità scientifica questa proposta, ad esclusione del Gruppo di La-voro Nazionale per il Bambino Immigrato (GLNBI) e dei pediatri che aderirono fa-cendola propria con lo slogan “ad ogni bam-bino il suo pediatra”, fu considerata visiona-ria. Tuttavia ancora non si può essere com-

pletamente soddisfatti perché possono es-sere esclusi di fatto da questo diritto assi-stenziale i minori figli di cittadini comuni-tari presenti in Italia in condizione di fra-gilità (ENI), creando una chiara discrimi-nazione tanto più grave in quanto si tratta di minori, e, per tutti, la non previsione di una specifica esenzione dal ticket potrebbe vanificare la norma stessa. Su questi temi la SIMM continuerà il proprio impegno.

(Fonte SIMM).

Nati per ContareNell’ambito del Congresso di Tabiano 2015 si è delineato il progetto “Nati per Contare” (NpC) con l’obiettivo di pro-muovere l’esposizione dei bambini al mon-do dei numeri e delle figure geometriche già dalle prime epoche della vita, alla luce di alcune interessanti evidenze in lettera-tura. Il bambino fin dai primi mesi di vita può entrare nel mondo dei numeri e delle figure geometriche attraverso disegni, li-bri, giochi, filastrocche, canzoni in stretta armonia con la madre o di chi si prende cura di lui, così come succede per la lettura e la musica. Diversi studi dimostrano che le influenze familiari favoriscono nei bam-bini l’acquisizione di competenze numeri-che, fanno diminuire “l’ansia specifica per la matematica”, e che essere bravi in mate-matica e apprezzarne lo studio significa potere avere maggiore successo non solo a scuola ma anche nel mondo del lavoro. Nell’ambito del progetto si è dunque anda-to definendo un gruppo di lavoro dedicato. Quaderni acp ha nel frattempo pubblicato una intervista a Francesco Ciotti (Quader-ni acp 2015;22;231), un articolo di Carlo Tomasetto (Quaderni acp 2015;22:293-5), una intervista a Maria Teresa Pantina (Quaderni acp 2017;24:19). Anche Un pe-diatra per amico, nel numero 2/2017, ospita un articolo di Angelo Spataro dal titolo “Nati per Contare”. Sono partite alcune iniziative a Palermo promosse da ACP in collaborazione con la Onlus Metaintelli-genze e a Cesena sarà avviata una ricerca in collaborazione con la Cattedra di Psico-logia dello Sviluppo dell’Università di Bo-logna. È stata istituita una collaborazione con la casa editrice Giunti che ha pubbli-

cato alcuni libri dedicati. Sono stati predi-sposti un elenco di libri sui numeri divisi per fasce di età e una bibliografia selezio-nata, disponibile per chi partecipa al pro-getto.Sono stati pensati e previsti incontri di sensibilizzazione/formazione sul tema, da svolgersi localmente e preferibilmente con il coinvolgimento delle diverse figure pro-fessionali attive con i bambini in età pre-scolare (pediatri, insegnanti, bibliotecari, educatori).Angelo Spataro è disponibile per informa-zioni sul progetto e i suoi aspetti organiz-zativi all’indirizzo: [email protected].

Fronte comune per difendere il Sistema Sanitario NazionaleL’ACP, sollecitata da La Rete Sostenibilità e Salute, ha aderito alla mobilitazione euro-pea #health4all del prossimo 7 aprile, orga-nizzata da Europe Health Network (www.europe-health-network.net) per la difesa dei sistemi sanitari in Europa mediante la costituzione di un fronte comune che:ycontrasti la volontà politica di ridimen-

sionamento della sanità pubblica,yfavorisca la promozione della salute

agendo sul territorio e sui determinanti sociali e ambientali,

ycostruisca una società più equa.

Secondo le valutazioni OMS degli ultimi dieci anni, gli indicatori di salute dimo-strano che il sistema sanitario in Italia è stato efficace e meno costoso che nella maggior parte dei Paesi occidentali ad alta industrializzazione.Le varie forme assicurative integrative o sostitutive, invece, rischiano di produrre livelli differenti di copertura sanitaria che colpirebbero profondamente il solidarismo del sistema sanitario basato sulla fiscalità generale, con aumento del consumismo sanitario e riduzione dell’appropriatezza degli interventi.La salute non equivale alla quantità di pre-stazioni erogate: pertanto bisogna favorire l’informazione perché i cittadini non cre-dano che il mantenimento della salute di-penda dal numero di visite specialistiche

INFO142 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

ed esami diagnostici effettuati o dal con-sumo di farmaci.Un sistema sanitario sostenibile persegue il fine di determinare la migliore e più adatta risposta ai differenti bisogni di cia-

scuno, considerando criteri di documenta-ta efficacia.Secondo l’art. 32 della Costituzione, la gratuità delle prestazioni in funzione del bisogno è dovuta in quanto il servizio sa-

nitario è sostenuto dalla fiscalità generale secondo la logica della progressività; ciò ha un valore ancora maggiore in fase di crisi economica per consentire a tutti l’accesso alle cure.

Manifesto per la creazione di un fronte comune per la difesa del Sistema Sanitario Nazionale

1. Non è vero che la sanità pubblica è insostenibile. Un sistema sa-nitario è tanto sostenibile quanto si vuole che lo sia. Secondo le valutazioni dell’OMS degli ultimi dieci anni, gli indicatori di salute dimostrano che il sistema sanitario in Italia è stato efficace e me-no costoso che nella maggior parte dei Paesi occidentali ad alta industrializzazione. Un sistema sanitario sostenibile non prevede l’utilizzo illimitato delle risorse ma persegue il fine di determinare la migliore e più adatta risposta ai differenti bisogni.

2. Le varie forme assicurative integrative o sostitutive di ogni natura e il cosiddetto secondo welfare rischiano di produrre livelli diffe-renti di copertura sanitaria che potrebbero colpire profondamente il solidarismo del sistema sanitario basato sulla fiscalità generale, tendendo ad aumentare il consumismo sanitario e a non migliorare l’appropriatezza degli interventi. Gli attuali 35 miliardi di euro della spesa sanitaria privata italiana potrebbero costituire solo la spesa iniziale in un mercato privato che ha come sua principale finalità la massimizzazione degli utili e la minimizzazione del rischio d’impresa: la tendenza che ne risulterebbe potrà aumentare di conseguenza an-che la spesa sanitaria complessiva scaricando sempre sul pubblico gli interventi più complessi e costosi (emergenza-urgenza, rianima-zione, oncologia, patologie cronico-degenerative).

3. È deleteria l’ideologia della salute equivalente alla quantità di pre-stazioni erogate che significa indurre la popolazione a credere che il mantenimento della salute dipenda dal numero di visite, esami, indagini e dal consumo di farmaci: ciò è solo funzionale al sistema medico-industriale nella logica di una crescita economica illimitata e indiscriminata e dell’accrescimento dei profitti.

4. La prevenzione primaria, intesa come andare alle cause delle cause che producono malattie e disagi nell’ambiente di vita e di lavoro, deve tornare ad essere elemento fondamentale del sistema sani-tario e non può essere confusa né sostituita da pratiche di diagnosi precoce, pur se dimostrate utili. Altrettanto importanti sono le azioni di promozione della salute e del benessere, da perseguire in modo intersettoriale con approccio di “salute in tutte le politiche”: preve-dere interventi di cura per poi riportare le persone nei luoghi di pro-venienza senza modificare le condizioni che le hanno fatte ammalare contraddice il buon senso, l’efficacia e la giustizia sociale.

5. La dimensione relazionale è centrale al rapporto di cura, e coinvol-ge il paziente come persona all’interno delle proprie reti familiari e sociali. Per questo serve un approccio multidisciplinare, in stretta sinergia con l’ambito d’intervento sociale.

6. Secondo l’art. 32 della Costituzione, la gratuità delle prestazioni in funzione del bisogno è dovuta in quanto il servizio sanitario è soste-nuto dalla fiscalità generale secondo la logica della progressività; ciò vale specialmente in fase di crisi economica che riduce una cre-scente percentuale della popolazione sotto il livello di povertà.

7. Il ricorso a forme di assistenza privatistica in ambito pubblico de-ve essere profondamente rivisto incentivando da un lato modalità d’effettiva continuità assistenziale del processo di cura dei pazienti, dall’altro valorizzando gli operatori sanitari che aderiscano a proget-ti con questa finalità. L’obiettivo di riduzione delle liste d’attesa non può prescindere dalla valutazione dell’efficacia degli interventi.

8. Il servizio sanitario è un sistema che si realizza nel decentramento territoriale: appare opportuno che i responsabili siano conosciuti e identificati dai cittadini in modo tale che questi ultimi possano eser-citare forme partecipate di controllo. Tale possibilità, finora peraltro mai contemplata, diventa sempre più ardua a causa della continua estensione territoriale delle ASL che allontanano sempre più dai ter-ritori locali i responsabili istituzionali.

9. Il servizio sanitario deve essere riformato dai principi costituzionali di cui agli articoli 3, 32, 41 della Costituzione, ripresi ed estesi dagli articoli 1 e 2 della legge di Riforma Sanitaria del 23 dicembre 1978.

10. Una nuova riforma sanitaria e sociale non può prescindere da una riforma del sistema di formazione dei professionisti della salute, che comprenda i criteri e le procedure di reclutamento, selezione e accesso (riduzione del gradiente sociale); gli approcci metodologici (formazione al pensiero critico); i contenuti (multidisciplinarietà); le sedi di formazione (territorio, comunità); e le modalità operative (la-voro integrato in équipe all’interno di un sistema sanitario pubblico).

Bologna, 7 Aprile 2017Rete Sostenibilita e SaluteSi invitano tutte le realtà che condividono il manifesto a segnalare la loro adesione scrivendo a: [email protected]

143Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

CONGRESSO ACPCortona, Centro Convegni Sant’Agostino

12, 13, 14 ottobre 2017

GARANTIRE I DIRITTI PER COSTRUIRE UN FUTURO DI SALUTEPRIMA SESSIONEGiovedì 12 ottobre, pomeriggio

ORE 14,30 Saluti del Sindaco di Cortona

Il Bambino e l’Adolescente: soggetti di diritto e non oggetti di tutela (Maurizio Bonati)

DIRITTO ALLA SALUTESANA ALIMENTAZIONE Moderatore: Diego Peroni

ORE 15 La dieta Smart Food (Lucilla Titta)

ORE 15,20 Grande industria alimentare, piccoli consumatori: l’influenza del Big Food sulla dieta dei bambini nei primi anni di vita (Laura Bruzzaniti)

ORE 15,50 I disturbi alimentari nel bambino 0-3 anni: l’urgenza della cura e la complessità della prevenzione (Catherine Hamon)

ORE 16,15 DISCUSSIONE

L’angolo di Quaderni acp (a colpo d’occhio; occhio alla pelle) Martina Fornaro, Laura Reali

ORE 17 BREAK

VACCINAZIONIModeratore: Rosario Cavallo

ORE 17,20 Vaccinare il proprio figlio: le basi scientifiche di una sana scelta genitoriale (Chiara Azzari)

ORE 17,40 Le dinamiche delle informazioni sulla rete. Come difendersi dalle bufale in rete e i vantaggi di una corretta comunicazione mediatica (blogger Iddio alias Alessandro Paolucci)

ORE 18,00 DISCUSSIONE

SECONDA SESSIONEVenerdì 13 ottobre, mattino

AMBIENTEModeratore: Roberto Romizi

ORE 9,00 La salute riproduttiva prima del concepimento: cinque priorità “hic et nunc” (Stefania Ruggeri)

ORE 9,20 La salute riproduttiva in gravidanza: consigli pratici (Patrizia Gentilini)

ORE 9,40 PERSUADED: dati della ricerca (Giacomo Toffol)

ORE 9,50 DISCUSSIONE

L’angolo di Quaderni acp (a colpo d’occhio; occhio alla pelle) Martina Fornaro, Laura Reali

DIRITTO ALLA SALUTE MENTALE Moderatore: Maria Luisa Scattoni

ORE 10,30 Il diritto alla diagnosi per tutti gli autismi (Filippo Muratori)

ORE 10,50 Osservatorio Nazionale Autismo: rilevazione dei percorsi per la diagnosi precoce (Michele Gangemi)

ORE 11,00 DISCUSSIONE

ORE 11,20 BREAK

ORE 11,40 I giochi Allenamente, attività per un cervello che gioca (Carlo Carzan)

ORE 12,00 Modificazioni cerebrali in adolescenza: resilienza e risorse (Carlo Calzone)

ORE 12,20 L’abuso psico-emozionale (Maria Grazia Apollonio)

ORE 12,40 DISCUSSIONE

ORE 13,00 PRANZO

TERZA SESSIONEVenerdì 13 ottobre, pomeriggio

DIRITTO ALLA SALUTE SOCIALEModeratore: Anna Maria Falasconi

ORE 14,30 Il diritto del bambino a non essere maltrattato (Monica Pierattelli)

ORE 14,50 Accoglienza sanitaria del bambino migrante: aspetti generali e situazioni particolari (Simona La Placa)

ORE 15,10 DISCUSSIONE

L’angolo di Quaderni acp (a colpo d’occhio; occhio alla pelle) Martina Fornaro, Laura Reali

ORE 15,45 L’angolo degli Specializzandi (5 specializzandi, 5 minuti a testa con 3 slide)

ORE 16,30 ASSEMBLEA

QUARTA SESSIONESabato 14 ottobre, mattino

Moderatore: Giancarlo Biasini

ESPERIENZE LOCALIORE 9,00 La RMN: esperienza umbra (Michele Capurso, Corrado Rossetti)

ORE 9,30 ECD: buone pratiche ed esperienza di rete in Umbria (Giorgio Tamburlini, Mariolina Frigeri)

ORE 10,00 Dalla città possibile alla comunità educante (Giuseppina Stellitano, Laura Fedeli)

ORE 10,30 DISCUSSIONE

ORE 10,45 Premiazione concorso fotografico PASQUALE CAUSA (Lina Di Majo e Stefania Manetti)

ORE 11,05 L’angolo di Quaderni acp: Osservatorio Internazionale: vaccine hesitancy (Stefania Manetti)

RICERCA E FORMAZIONEORE 11,20 Il progetto “Margherita” (Antonio Clavenna)

ORE 11,35 Il progetto Scopre (Laura Reali)

ORE 11,50 L’attività della newsletter pediatrica e il diritto a una corretta informazione (Patrizia Rogari e Maddalena Marchesi)

ORE 12,00 Chiusura dei lavori (Federica Zanetto)

144 Quaderni acp www.quaderniacp.it 3 [2017]

QUADERNI ACP – INDICE PAGINE ELETTRONICHE (NUMERO 1, 2017)

Cari colleghi,vi segnaliamo in questo numero delle pagine elettroniche numerosi contributi che toccano argomenti di interesse per ogni pediatra.Qual è il rischio di soffocamento in caso di alimentazione complementare con i cibi della tavola? Quanto funziona il vaccino contro il meningococco B? E quali possono essere i sintomi e i segni di esordio di una leucemia? Nella Newsletter pediatrica si parla di anche di depressione nei bambini e di infezione delle vie urinarie.Presentiamo nella rubrica Documenti due importanti linee guida regionali sulla faringotonsillite e l’otite in età pediatrica elaborati dalla regione Emilia-Romagna e una linea guida del Ministero della Salute sull’alimentazione complementare presentata sotto forma di FAQ per essere fruibile anche ai non addetti ai lavori.Pagare le mamme se allattano al seno i propri figli: una novità che vi riportiamo nell’articolo del mese.Il gruppo ACP Pediatri per Un Mondo Possibile ci offre due ricchi contributi sulla neurotossicità del manganese e sulla possibile riorganizzazione del sistema dei trasporti.Infine, come vediamo la ragazza malata, il dipinto di Christian Krohg. Ognuno di noi ha la propria sensibilità e una esperienza unica nell’affrontare la lettura di questa impegnativa immagine: grazie a Giancarlo Biasini e a Maria Francesca Siracusano per la loro intima riflessione.

Buona lettura

Per la redazioneCostantino Panza

Newsletter pediatrica- Infezione urinaria febbrile: meno cicatrici renali se il trattamento è precoce. Uno studio di coorte retrospettivo.- Autosvezzamento e maggior rischio di soffocamento: un RCT non lo prova.- La presentazione clinica della leucemia in età pediatrica: revisione sistematica e meta-analisi dei dati della letteratura.- Screening e terapia per la depressione maggiore in bambini e adolescenti: nuove raccomandazioni USA. - Immunogenicità del vaccino antimeningococco B: risultati di uno studio osservazionale.

Cochrane Database of Systematic Review- Revisioni nuove o aggiornate, dicembre 2016-gennaio 2017.

Documenti- Agenzia sanitaria e sociale regione Emilia-Romagna. Faringotonsillite in età pediatrica. Linea guida regionale. Dossier n. 253/2015.- Agenzia sanitaria e sociale regione Emilia-Romagna. Otite media acuta in età pediatrica. Linea guida regionale. Dossier n. 254/2015.

Commento a cura di R. Buzzetti, M. Callegari, R. Signorini, M. Doria- Corretta alimentazione ed educazione nutrizionale nella prima infanzia. FAQ Ministero della Salute.

Commento di Sergio Conti Nibali- La salute dei bambini in Italia. Dove va la pediatria? Il punto di vista e le proposte dell’ACP – Piena attuazione di linee guida e Raccomandazioni

su Nascita e Postpartum. Commento di Dante Baronciani

Ambiente e salute- Neurotossicità del Manganese: una revisione delle conoscenze.

Vincenza Briscioli, Giacomo Toffol. Gruppo ACP Pediatri per Un Mondo Possibile- Cambiamento climatico: modificare il sistema dei trasporti per mitigare l’impatto sul clima.

Giacomo Toffol, Laura Reali. Gruppo ACP Pediatri per Un Mondo Possibile

L’ Articolo del mese- Incentivare con denaro le mamme per aumentare l’allattamento al seno. Un RCT pilota.

Narrare l’immagine- Christian Krohg, Ragazza malata, 1880-1881.

Descrizione a cura di Cristina Casoli. Impressioni di Giancarlo Biasini e Maria Francesca Siracusano

Maggio - Giugno 2017 / Vol. 24 n. 3Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri

Editoriale97 Luci e ombre dei big data Antonio Addis, Alessandro Rosa

99 Con i bambini e con i genitori Federica Zanetto

Formazione a distanza100 Sintomi di esordio in età pediatrica che preludono a

malattie psichiatriche dell’adulto Lucio Rinaldi

Infogenitori106 Emozioni… e ancora emozioni Costantino Panza, Stefania Manetti, Antonella Brunelli

Research letter107 Le comunicazioni orali presentate dagli specializzandi

al Congresso Tabiano XXVISalute mentale112 Il ritardo mentale lieve Rubrica a cura di Angelo Spataro. Intervista di Angelo Spataro a

Giacomo Stella

I primi mille113 Il Programma 1000 Giorni a Roma: un anno di lavoro Elisa Serangeli, Flaminia Trapani, Pamela Caprioli, Virna

D’Antuono, Mara Bitetto, Alessandro Telloni, Maria Edoarda Trillò, Eliana Coltura, Giuseppe Cirillo

Scenario116 Cibo a pezzi già dai sei mesi? E se poi si soffoca? Manuela Musetti, Maddalena Marchesi, Luisa Seletti

Storie che insegnano119 Parlare con il bambino può cambiare la relazione con

la mamma Gianni Garrone, Maria Merlo, Paolo Fiammengo, Paola Ghiotti,

Chiara Guidoni, Antonietta Innocenti, Patrizia Levi, Lia Luzzato, Monica Montingelli, Paolo Morgando, Gianna Patrucco, Ivo Picotto, Danielle Rollier

I tropici in ambulatorio123 I tropici in ambulatorio: la malaria Fabio Capello

Narrative e dintorni127 Quando la pediatria incontra la pedagogia Michela Schenetti, Elisa Guerra, Enrico Valletta130 Una proposta di formazione per promuovere il dialogo

in pediatria di base. Lo Scaffolding psicologico alla relazione sanitaria

Maria Francesca Freda, Francesca Dicé

Off side133 Assonanze pedagogiche nell’apprendimento:

pedagogia scientifica di Maria Montessori e pedagogia della gestione mentale di Antoine de La Garanderie

Anna Brigandì

Farmacipì136 Trattamento del vomito da gastroenterite acuta in età

pediatrica Antonio Clavenna

Vaccinacipì137 Il morbillo Rosario Cavallo

Libri138 Campanelli Verdi e Rossi Aa.Vv.138 Le otto montagne Paolo Cognetti138 Inquinamento e salute dei bambini

Giacomo Toffol, Laura Reali, Laura Todesco (a cura di)139 Proust era un neuroscienziato Jonah Lehrer

Film140 MoonlightInfo141 Minori stranieri141 Nati per Contare141 Fronte comune per difendere il Sistema Sanitario

Nazionale

Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACPLa quota d’iscrizione per l’anno 2017 è di 100 euro per i medici, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per il personale sanitario non medico e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a Associazione Culturale Pediatri, Via Montiferru, 6 - Narbolia (OR) (indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota), oppure attraverso una delle altre modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi”. Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di adesione presente sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi” e seguire le istruzioni in esso contenute, oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, le pagine elettroniche di Quaderni acp, la Newsletter mensile Appunti di viaggio e la Newsletter quadrimestrale Fin da piccoli del Centro per la Salute del Bambino, richiedendola all’indirizzo [email protected]. Hanno anche diritto a uno sconto sulla iscrizione alla FAD dell’ACP alla quota agevolata di 60 euro anziché 80; a uno sconto sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino (come da indicazioni sull’abbonamento riportate nella rivista); a uno sconto sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento e formazione. Potranno anche partecipare a gruppi di lavoro tra cui quelli su ambien-te, vaccinazioni, EBM. Per una informazione più completa visitare il sito www.acp.it