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Uaxactún Città maya situata su una sorta di spianata rocciosa al cen- tro dello Stato di Peten (Guatemala), scoperta nel 1937 nel corso di una campagna di scavi effettuati col sostegno del Carnegie Institute di Washington. Il nome di U, che com- bina i termini maya uaxac, «otto», e tun, «pietra», venne scelto quando si disseppellí una stele recante un’iscrizione del sec. VIII; altre iscrizioni consentirono in seguito di data- re le prime costruzioni al sec. VI. I numerosissimi edifici di U, costruiti su terrazzamenti artificiali, sono stati classifi- cati in piú gruppi e numerati mano a mano che venivano portati alla luce. Solo l’edificio B-XIII conserva ancora una parete decorata da un affresco in cui sono raffigurati una ventina di personaggi in ordine paratattico, che documen- tano l’interesse narrativo di queste scene. Tra le figure com- paiono numerosi glifi. La scena centrale della parte inferio- re rappresenta tre personaggi in lunghe vesti, seduti, con le gambe incrociate, entro un edificio a tetto piano. Due di es- si sono collocati dinanzi a un altare, tenendo ciascuno nella destra un incensiere il cui fumo si dirige verso il terzo, se- duto sull’altro lato dell’altare, in segno di rispetto verso un ospite illustre. A sinistra dell’abitazione, due personaggi af- frontati sembrano dialogare animatamente. A destra, oltre a due figure colte nel medesimo atteggiamento, un gruppo sembra spiare quanto accade nella casa. Sei personaggi con- versano nella parte superiore. I colori – nero, rosso, arancio – sono distribuiti armonio- samente. Gli affreschi distrutti ci sono noti soltanto grazie alle co- pie eseguite nel 1937 e conservate nel Carnegie Institute di Washington. (sls). U Storia dell’arte Einaudi

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UaxactúnCittà maya situata su una sorta di spianata rocciosa al cen-tro dello Stato di Peten (Guatemala), scoperta nel 1937 nelcorso di una campagna di scavi effettuati col sostegno delCarnegie Institute di Washington. Il nome di U, che com-bina i termini maya uaxac, «otto», e tun, «pietra», vennescelto quando si disseppellí una stele recante un’iscrizionedel sec. VIII; altre iscrizioni consentirono in seguito di data-re le prime costruzioni al sec. VI. I numerosissimi edifici diU, costruiti su terrazzamenti artificiali, sono stati classifi-cati in piú gruppi e numerati mano a mano che venivanoportati alla luce. Solo l’edificio B-XIII conserva ancora unaparete decorata da un affresco in cui sono raffigurati unaventina di personaggi in ordine paratattico, che documen-tano l’interesse narrativo di queste scene. Tra le figure com-paiono numerosi glifi. La scena centrale della parte inferio-re rappresenta tre personaggi in lunghe vesti, seduti, con legambe incrociate, entro un edificio a tetto piano. Due di es-si sono collocati dinanzi a un altare, tenendo ciascuno nelladestra un incensiere il cui fumo si dirige verso il terzo, se-duto sull’altro lato dell’altare, in segno di rispetto verso unospite illustre. A sinistra dell’abitazione, due personaggi af-frontati sembrano dialogare animatamente. A destra, oltrea due figure colte nel medesimo atteggiamento, un grupposembra spiare quanto accade nella casa. Sei personaggi con-versano nella parte superiore.I colori – nero, rosso, arancio – sono distribuiti armonio-samente.Gli affreschi distrutti ci sono noti soltanto grazie alle co-pie eseguite nel 1937 e conservate nel Carnegie Institutedi Washington. (sls).

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Ubac, Raoul Rodolphe(Malmedy (Ardenne belghe) 1910-85). Dal 1926 al 1934 fe-ce numerosi viaggi in tutta Europa, soggiornando spesso aParigi, dove frequentò la Sorbona e la Grande Chaumière.Per influsso del surrealismo e di Man Ray presto abban-donò la pittura dedicandosi alla fotografia, sperimentandovarie tecniche (La nebulosa, 1939), e collaborando alla rivi-sta «Minotaure». Nel 1936 studiò incisione presso Hayter,partecipando alle attività del gruppo surrealista fino allaguerra. Rifugiatosi a Carcassonne nel 1940, tornò a dise-gnare; in seguito, a Bruxelles, tenne la sua ultima esposizio-ne dedicata unicamente alla fotografia (1941), arte che ab-bandonò definitivamente nel 1945. A Parigi, si legò a Que-neau, Eluard, André Frénaud, Jean Lescure; di questo pe-riodo sono numerosi piccoli guazzi e disegni. Tenne la pri-ma mostra di quadri nel 1950 a Parigi, nella Galleria Mae-ght, che ne presentò in seguito tutte le personali (dal 1955).Le sue composizioni, di grande austerità, traducono in for-me semplificate e astratte il mondo della natura e dell’uomo(i Taglialegna, 1950). Sperimentò l’incisione su ardesia,giungendo a padroneggiarne la struttura lamellare, sino adottenere risultati equivalenti a quelli della scultura a tuttotondo (Grande torso, 1962-66). Al contempo, impiegandoun miscuglio a base di ardesia e caseina, ha arricchito la suapittura di senso plastico e di effetti di rilievo, ottenutistriando la superficie con solchi paralleli (Grande paesaggio,1966). Ha realizzato numerose opere monumentali: la pare-te a mosaico e rilievi in ardesia a Evian (1958), le vetrate inlastre di vetro per la chiesa di Ezy-sur-Eure (1957), nonchéla Via Crucis per la cappella della fondazione Maeght aSaint-Paul-de-Vence. Notevole la sua attività di illustratoreche comprende litografie, xilografie, acqueforti, incisioni abulino e su ardesia. È rappresentato specialmente a Parigi(MNAM e MAM: Terre), a Colonia (WRM) e a New York (MO-MA). Esposizioni a lui dedicate si sono svolte a Parigi(MNAM) nel 1968 e alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence nel 1978. (rvg).

Ubertini, Francesco → Bachiacca

Uden, Lucas van(Anversa 1595-1672 ca.). Allievo probabilmente del padreArtus, fu accolto tra i liberi maestri della sua città natalenel 1627. Amico e collaboratore di Rubens, per il quale di-

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pinse alcuni paesaggi, eseguí quadri di grandi dimensioni ilcui stile richiama quello di Joos de Momper: Paesaggio confuga in Egitto (Stoccarda, SG), il Ritorno dal mercato(Bruxelles, MRBA). Se ne conoscono però anche raffinateopere di piccolo formato (Presso il ruscello del bosco, 1656:Dresda, GG). L’acqua, che compare in quasi tutti i suoipaesaggi, l’atmosfera particolare del crepuscolo (Paesaggioal tramonto: Monaco, AP) o di un arcobaleno (Paesaggio conarcobaleno: Dresda, GG) sono resi con giochi sottili di lucee contrasti di colore, che costituiscono il carattere distinti-vo della sua opera. I personaggi che popolano i suoi pae-saggi sono dovuti a pittori come Jordaens, David, TéniersII (Contadini che ballano: Dublino, NG) o Rubens. I suoiacquerelli, che ricordano quelli di Bruegel dei Velluti, rive-lano una sensibilità anche maggiore, e sono conservati neimusei di Amburgo, Berlino, e nella PML di New York.Le incisioni, nelle quali figurano vari paesaggi di Rubens,vennero edite ad Anversa dall’atelier di Franciscus vanden Wyngaerde e sono contraddistinte dalle stesse qualitàdi finezza e semplicità compositiva dei quadri. U ebbe perallievi J. B. Bonnecroy, Philips Augustyn Immenraet eGillis Neyts. Il suo influsso è evidente in Lodewijk deVadder e, attraverso quest’ultimo, in Ignatius van derStockt. (jl).

UdineU fa il suo ingresso ufficiale nella storia nel 983, allorchécompare in un diploma di Ottone II che conferma al pa-triarca di Aquilea il possesso di cinque castelli friulani tracui «Udene». Diventa però città soltanto nel sec. XIII,quando il patriarca Bertoldo di Merania, dopo avervi tra-sferito la propria residenza da Cividale, istituisce nel 1223

un mercato settimanale in grado di attirare anche gli abi-tanti dei dintorni. Risalgono a quel tempo le prime testi-monianze pittoriche, il ciclo d’affreschi con la Deposizionenel catino dell’absidiola di destra della chiesa di Santa Ma-ria in Castello e i lacerti della parrocchiale di Beivars, rea-lizzazione di un artista che da una parte sembra tener con-to dell’esempio altissimo della pittura della cripta di Aqui-leia, dall’altra pare richiamarsi ad affreschi dell’area au-striaca meridionale, salisburghese e soprattutto bavarese.Il sorgere di chiese importanti, quali Sant’Odorico (poiDuomo, 1236) e San Francesco (1260) e la conseguente lo-ro decorazione richiama in città agli inizi del Trecento nu-

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merose maestranze riminesi (presenti anche nella chiesafrancescana di Cividale) e venete. A queste ultime pare ap-partenere l’ignoto frescante del Lignum vitae dell’abside diSan Francesco (secondo quarto del sec. XIV) che, pur vici-no nell’iconografia allo stesso soggetto dell’abbazia di Se-sto al Reghena o del refettorio di Santa Croce a Firenze,mostra componenti a un tempo duecentesche (Giunta, Ci-mabue) e trecentesche (Pacino da Bonaguida). Di partico-lare importanza per le sorti della pittura in U e nel Friuli sirivela la presenza in città di Vitale da Bologna, chiamatodal patriarca Bertrando di Saint Genies, promotore, all’in-domani del rovinoso terremoto del 1348, del restauro delDuomo udinese e della sua decorazione. Vitale da Bolognadapprima affrescò la cappella maggiore del Duomo, constorie dell’Antico e del Nuovo Testamento (ne rimangonoalcuni riquadri, mutili) e nel 1349 la cappella di San Ni-colò con scene della vita del santo. Il suo linguaggio pitto-rico, assolutamente personale, reso piacevole dalla frescavena discorsiva che sfiora talvolta la parlata popolare, edalla gradevole fusione del fantasioso e del naturalisticomai privo di un pizzico di bizzaria, fece presa nell’attarda-to ambiente artistico locale.Al seguito di Vitale giunsero a U altri artisti (cui si devonodue tavolette dipinte in Duomo) forse anche quel Cri-stoforo da Bologna che gli fu aiuto nei lavori del Duomo eaffrescò in proprio – nel 1350 – l’abside del Duomo diSpilimbergo. Accenti vitaleschi si rinvengono nei pochi af-freschi trecenteschi conservati in U (Santa Maria di Ca-stello, San Francesco, Sant’Antonio abate, Istituto Uccel-lis), spesso dovuti a maestranze locali (Crocifissione a fre-sco, ora in museo e altra già in una casa di via Manin). Dipittura locale si parla tuttavia solo a partire dall’inizio delsec. XV, quando compaiono sulla scena Antonio Baietto eDomenico Lu Domine che tuttavia nelle poche opere lororiconosciute (affreschi esterni a U, lacerto della decorazio-ne di San Giusto a Trieste) si mostrano artisti di modestalevatura, cosí come lo è lo sconosciuto Vito di Giovanniche adorna di miniature un codice del Duomo di U ora nelMuseo di Cividale.Il 1420, data che segna la fine politica del patriarcato diAquileia e la conseguente annessione di quasi tutto il Friu-li alla Serenissima Repubblica, determina un nuovo orien-tamento della pittura udinese, che d’ora in poi gravita inarea veneta. Motivi squarcioneschi, montagneschi e vivari-neschi, in una aurorale luce rinascimentale costituiscono la

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poetica di Andrea Bellunello, sanvitese, incaricato nel1476 di eseguire per la Sala del Consiglio un telero con laCrocifissione, opera nella quale insistenza grafica, uso deicolori, mancata conoscenza delle regole prospettiche, de-nunciano una visione ancora gotica dell’arte. La stessache, per certi versi, informa le opere scultoree di Domeni-co da Tolmezzo, intagliatore ligneo di grande fama e dibuona capacità, ma anche pittore (pala di santa Lucia,1479: in museo), attardato su modelli vivarineschi.La presenza in U, nel 1496, di Vittore Carpaccio è di sti-molo al giovane Giovanni Martini, allievo di Alvise Viva-rini, con il quale talora fu confuso, la cui pittura, definitadal Vasari «crudetta e tagliente», risente della professionedi intagliatore (era nipote di Domenico da Tolmezzo) svol-ta in maniera eccellente e, a partire dall’inizio del sec. XVI,quasi a tempo pieno.Alla fine del Quattrocento la pittura udinese è in mano apittori di diversa formazione culturale: tra questi Antonioda Firenze, che tenne scuola in città e Giovanni de Cra-mariis, miniatore e pittore cui giovò non poco la frequen-tazione di Girolamo da Cremona e Liberale da Verona,con i quali aveva collaborato, circa il 1470, alla decorazio-ne dei libri corali del Duomo di Siena.Al suo linguaggio aggiornato su modelli veneti e centro-italiani non rimase insensibile il cognato Martino da U, fi-glio del pittore Battista da Zagabria (il Museo di U ne con-serva l’unica opera nota, una tavoletta con una goticheg-giante Crocifissione, 1468), meglio noto con il soprannomedi Pellegrino da San Daniele, cui si deve, soprattutto, ilsalto di qualità della pittura friulana e udinese in particola-re all’inizio del sec. XVI. Insieme con il Martini, fu infattiil primo ad abbandonare la tradizione tardogotica locale(diffusa da Gianfrancesco da Tolmezzo e dal suo discepoloPietro Fuluto) per aderire dapprima alla pittura veneta diCima, Mantegna e Bellini (Pala di san Giuseppe nel Duomodi U, 1501), di Giorgione in seguito (portelle dell’organodel Duomo e Annunciazione 1519-21: oggi in museo).Alla pittura dolce nel modellato e nei colori, ma talvoltaanche robusta e corposa di Pellegrino si rifanno, in partealmeno, Gaspare Negro, Luca Monverde e Sebastiano Flo-rigerio, il quale ultimo pare però soprattutto condizionatodalla personalità di Giovanni Antonio de Sacchis detto ilPordenone, maggior pittore friulano di tutti i tempi, chia-mato a U nel 1527 per illustrare con Storie della vita deisanti Ermacora e Fortunato la cantoria dell’organo del Duo-

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mo. In esse manca forse l’arrovellata magniloquenza degliaffreschi di Treviso o di Cremona, ma egualmente traspareil peculiare amore per gli scorci audaci e gli effetti illusio-nistici, per il colore vivace e costruttivo.Ne seguono l’esempio, ma con altri esiti, il genero Pompo-nio Amalteo, instancabile frescatore, piacevole (anche seripetitivo) novellatore, incline al gigantismo e al movimen-to esasperato dei personaggi, e Giovanni Battista Grassi,informatore friulano del Vasari. Bernardino Blaceo eFrancesco Floreani, invece, si distinguono per una qualchedolcezza di modellato, forse appresa da Giovanni da Udi-ne, allievo e aiuto di Raffaello. La particolare abilità diGiovanni nelle grottesche (castello di Colloredo di MonteAlbano e Palazzo Arcivescovile di U) non fu però da altriimitata.La pittura della fine del sec. XVI è affidata a pittori localidi scarsa fama (Giacomo e Secante Secanti, Giulio Brunel-leschi, Innocenzo Brugno, Vincenzo Lugaro) mentre il pri-mo Seicento è dominato dai manieristi veneti, Palma ilGiovane in particolare, ma anche Maffeo Verona e SantePeranda.Il sec. XVII vive dei nomi di Eugenio Pini, Fulvio Griffonie Giovanni Giuseppe Cosattini, che fu anche ritrattista dicorte a Vienna, ma è con Antonio Carneo che la pitturaudinese entra in una dimensione di piú ampio respiro. Par-tito da una base culturale nel complesso angusta, il Carneo– che lavorò per la nobile famiglia dei Caiselli, caso raro dimecenatismo in Friuli – aprí in seguito la sua visione al-l’arte dei «tenebrosi» quali il Langetti, lo Zanchi o ilGiordano, dai quali derivò un energico gioco chiaroscura-to mutuato dal luminismo neocaravaggesco.Molto richiesto dalla nobiltà e dalla ricca borghesia venetafu Sebastiano Bombelli, udinese, di cui il museo cittadinoconserva notevoli autoritratti: visse peraltro a Venezia, co-sí come Luca Carlevarijs, uno dei primi vedutisti, artistageniale anche sul piano tecnico: fu il primo a servirsi dellacamera ottica, l’uso della quale insegnò anche al discepoloCanaletto.La pittura a U, tra la fine del Seicento e l’inizio del Sette-cento è affidata quasi esclusivamente a pittori «foresti»:Giulio Quaglio, comasco, fecondissimo artefice di piace-voli affreschi sacri e profani, scenografici e magniloquenti,incorniciati per lo piú da ricche ornamentazioni a stucco;Ludovico Dorigny, francese, il cui misurato barocco daicolori luminosi non lasciò indifferente il giovane Giambat-

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tista Tiepolo, chiamato in Friuli dal patriarca DionisimoDelfino per affrescare nel Duomo e nel Palazzo Arcivesco-vile edifici nei quali aveva lavorato lo stesso Dorigny. Ilsoggiorno friulano del Tiepolo è uno dei capitoli piú im-portanti della storia artistica di U: tra il 1726 e il 1759 ipittore lascia (talvolta con l’aiuto del figlio Giandomenico)affreschi e tele che divennero sicuro punto di riferimentoper pittori all’epoca attivi in regione (Fontebasso, Zugno,Diziani), per il carnico Nicola Grassi (tuttavia piú inclinee seguire le orme di un Ricci o di un Pellegrini) e soprat-tutto per il cividalese Francesco Chiarottini che nella pie-na maturità artistica scelse di dedicarsi di preferenza al-l’affresco di architetture in prospettiva, genere particolar-mente apprezzato da nobili e borghesi udinesi e largamen-te praticato dai padovani Andrea e Marino Urbani, dalmodenese Giuseppe Morelli e dai veneziani Pietro Anto-nio Novelli e Vincenzo Chilone.Un tiepolismo annacquato sta alla base anche nella pitturadi Giambattista Canal, frettoloso ma piacevole decoratore– con effetti scenografici e talvolta illusionistici – di moltipalazzi udinesi: con lui, e con Giuseppe Borsato insieme alquale spesso operò, il neoclassicismo in pittura entra anchea U.Gli ultimi echi del vedutismo veneziano si ritrovano nellavivace poetica di Giuseppe Bernardino Bison di Palmano-va e in quella prosastica di Domenico Paghini, allievo del-l’Accademia veneziana cosí come Odorico Politi, conven-zionale forse nella pittura a fresco di carattere mitologico(palazzi Antonini e Politi) ma eccezionale nei ritratti in cuileggiadria settecentesca e realismo romantico felicementesi integrano.La pittura del secondo Ottocento si attarda su posizioniaccademiche provinciali, con l’eccezione, forse, di FilippoGiuseppini capace di quadri storici di grande effetto, e diLuigi Pletti, buon ritrattista.Inizialmente dominata dall’insegnamento dell’Accademiaveneziana la pittura del Novecento conosce alla fine deglianni Venti un momento di vivacità con la fondazione della«Scuola Friulana d’Avanguardia» (1928). Ne fecero parteAngilotto Modotto, Dino, Mirko e Afro Basaldella e Ales-sandro Filipponi. La personalità di maggior spicco è quelladi Afro che, partito da posizioni neoveronesiane (affreschidi Casa Cavazzini, 1939) perviene a un linguaggio perso-nale libero, astratto-concreto, che esplica però fuori daiconfini del Friuli. In U la pittura continua secondo ritmi

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tradizionali, con qualche sussulto nel secondo dopoguerra(neorealismo di Giuseppe Zigaina) ma solamente in que-st’ultimo trentennio esce dalle angustie provinciali per in-contrarsi con le molteplici esperienze internazionali.Collezione Astaldi–La raccolta privata di Maria Luisa Co-stantini e Sante Astaldi, a suo tempo conservata fra Ro-ma, Capri e Cortina, dal 1983 è passata per lascito testa-mentario della proprietaria al Comune di U ed è oggi ospi-tata nelle sale della Galleria d’arte moderna. La collezionecomprende quasi duecento pezzi di eccezionale qualitàscelti ad illustrare il panorama dell’arte italiana del Nove-cento secondo un criterio storico e secondo un gusto lette-rario e umanistico che dà ragione della scelta delle opere(fa in un certo senso eccezione solo un piccolo gruppo diesemplari di Santomaso, Sadun, Vespignani e Nicolson).Iniziando con Severini (di cui sono presenti quattro ope-re), si passa alla metafisica con De Chirico e Savinio, ami-co e consigliere artistico dei proprietari (presente con settedipinti e otto opere grafiche).Il panorama, fino agli inizi degli anni Sessanta abbastanzacompleto per quanto riguarda l’arte italiana (Sironi, Carrà,Martini, Rosai, Carena, Campigli, Cesetti, Tosi, Morandi,Casorati, Guidi, Mafai, Scipione, Capogrossi, Pirandello,Gentilini, Trombadori, Cagli, Cantatore, Spazzapan, Mu-sic, Guttuso) è arricchito da opere grafiche di Picasso,Dufy, Chagall, ceramiche e bronzi. (elr).Galleria d’Arte Antica (in Castello)–È costituita da opereprovenienti non tanto dal collezionismo privato (anche sesi annoverano dipinti di Bicci di Lorenzo, Fiorenzo di Lo-renzo, Juan de Juanes, Michele di Ridolfo Ghirlandaio,Bernardo Strozzi, Luca Giordano), quanto da chiese, case,palazzi della regione, opere che nel loro insieme consento-no di seguire con sufficiente chiarezza l’evoluzione dell’ar-te in Friuli dal XIV al XIX secolo.Affreschi post-vitaleschi caratterizzano il Trecento, men-tre al sec. XV risalgono i dipinti di Battista da Zagabria,Andrea Bellunello e Domenico da Tolmezzo. Il Cinque-cento è illustrato da opere di Girolamo da U, Gaspare Ne-gro, Vittore Carpaccio, Giovanni Martini, Pellegrino daSan Daniele, Giovanni Antonio Pordenone, PomponioAmalteo, Sebastiano Florigerio, Francesco Floreani, Ni-colò Frangipane, il Bronzino e Palma il Giovane.Del Seicento, oltre a un dipinto assegnato al Caravaggio(in realtà copia del San Francesco e l’angelo di Hartford), siricordano i quadri di Fulvio Griffoni, di alcuni pittori ve-

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neti e soprattutto di Antonio Carneo e Sebastiano Bom-belli cui è dedicata un’intera sala. Il Settecento è ben rap-presentato da quattro dipinti di Giambattista Tiepolo, tracui il noto Consilium in arena, da quelli di Luca Carlevarijse di Nicola Grassi (una decina), di Bellucci, Longhi, Gua-rana, Piazzetta, Diziani, Zompini, Cappella, Chiarottini.Molte le opere ottocentesche di Odorico Politi, accanto aquelle di G. Bernardino Bison, Filippo Giuseppini, LuigiPletti, Giovanni Pagliarini.Galleria d’Arte Moderna (al Palamostre)–Tre sono, agrandi linee, le sezioni della galleria: la prima comprendedipinti e opere grafiche relativi alla storia della pittura inregione dalla fine dell’Ottocento ad oggi (Ciardi, Tito,Selvatico, Nono, Brass, Cargnel, Martina, D’Aronco, Cra-li, Rapuzzi, Spazzapan, Filipponi, Grassi, Modotto, Pitti-no, Dino, Mirko e Afro Basaldella, Vedova, Pizzinato, Zi-gaina, Alviani ecc.) insieme ad altri di artisti «nazionali»(De Chirico, De Pisis, Martini, Mafai, Sironi, Guttuso,Fontana); la seconda è costituita da una donazione di arti-sti americani, risalente a subito dopo il terremoto del 1976

(opere di De Kooning, Lichtenstein, Segal, Judd, André,Christo, Stella); la terza infine è la prestigiosa collezionedonata da Maria Luisa e Sante Astaldi nel 1983. (gber).

Udine, Domenico(Rovereto (Trento) 1784 - Firenze 1850). Dopo una primaformazione presso Giovanni Galvagni di Isera, intorno al1800 si trasferisce a Firenze dove, nel 1802, si iscrive al-l’Accademia di belle arti. Premiato per il disegno d’inven-zione nel 1811 e 1812, nel 1816 vince il concorso trienna-le con il dipinto raffigurante Teseo che riconduce a Eudip-po, rifugiato nel bosco delle Eumenidi, le due figlie fatte rapi-re da Creonte. Da questo momento in poi l’U ottiene im-portanti commissioni fiorentine. Tra il 1821 e il 1822 è at-tivo in Palazzo Borghese dove esegue ad affresco le deco-razioni della Camera Rossa (Venere che intercede pressoMarte a favore dei Tebani), e contemporaneamente realizzadue tempere per la villa di Poggio Imperiale (episodi dellaStoria di Achille). Da queste date in avanti l’artista eseguenumerose opere anche per chiese e palazzi del Trentino -Alto Adige: tra le altre si ricordano la pala d’altare conSant’Antonio da Padova con il Bambino per la Cattedrale diTrento, il Cristo nell’orto (1834) per la cappella di PalazzoGalasso sempre a Trento, un San Virgilio per San Marco a

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Rovereto e la pala dell’altar maggiore della chiesa di SantaMaria delle Grazie nella stessa città. Sue opere si trovanoanche a Bolzano, Innsbruck e nel MC di Rovereto. (apa).

Uecker, Gunther(Wendorf (Mecklenburg) 1930). Studiò pittura a Wismare all’Accademia di belle arti di Weissensee (ex Berlino est)dal 1949 al ’53; lasciata nel ’55 la DDR, completò i suoistudi all’Accademia di Düsseldorf nel 1958. I primi lavori,che presentano già l’impiego delle file di chiodi dipinti dibianco risalgono al 1955; questi «quadri strutturali» ven-gono in seguito sviluppati includendovi elementi plastici,che conferiscono cosí alle opere l’aspetto di «rilievi» (treesemplari a Krefeld, Kaiser-Wilhelm-Museum). Questascelta porterà U progressivamente a usare la tela solo comesupporto, un oggetto qualsiasi da ricoprire con i suoi chio-di (Quadro, 1956-58; Struttura informale, 1957). L’uso diun unico materiale e di un unico colore, il bianco, uniti al-le ricerche in campo ottico, lo accomunano al Gruppo Ze-ro, del quale fu «ospite» dal 1958 al ’66. U ha usato ichiodi anche per ricoprire oggetti di uso comune, in mododa coinvolgere sia lo spazio circostante che il pubblico,grazie anche all’aiuto di effetti e strutture luminose, e dihappenings cui frequentemente è ricorso (Televisore, 1963;Sedia, 1963; Pianoforte, 1964; i Danzatori di New York,1965: proprietà dell’artista). L’interesse per il cinema e lamusica ha portato U ad analizzare le possibilità di un’azio-ne multimediale dei suoi lavori, dalle «piastre strutturalirotanti» (dal 1960) alle installazioni (Angolo, 1968), aglieffetti ottico-cinetici. Ha inoltre esperienze di scenografoe di allestitore teatrale (per opere di Beethoven, Wagner),nonché di compositore (Orchestra del terrore, Basilea1981). Insegna all’Accademia di Düsseldorf, città doveesordí nel 1960 alla Gall. Schmela, con la quale collaboròfino al 1973; intanto, sia quale membro del Gruppo Zeroche autonomamente ha esposto nelle piú importanti strut-ture pubbliche e private: Palais de beaux-arts, Bruxelles1962; Howard Wise Gallery, New York 1964; GalerieDenise René, Parigi 1968; Biennale, Venezia 1970; MM,Stoccolma 1971; Folkwang Museum, Essen 1975; Docu-menta 6, Kassel 1977; SM, GG, Berlino 1982; StadtischesMuseum Abteiberg, Monchengladbach 1986. (dc).

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Uffelen, Lucas van(? - Amsterdam 1637). Figlio di un commerciante di An-versa stabilitosi ad Amsterdam, si trasferí a Venezia nel1616. Banchiere e fabbricante d’armi, dedicò la maggiorparte della sua attività alla formazione di una raccolta dipitture presto divenuta celebre. Sandrart la visitò nel1629, e R. de Piles, nella sua Descrizione del gabinetto delduca di Richelieu (1666?) parla di lui come del «piú grandecurioso che fosse mai esistito» e ne ricorda la consuetudi-ne di far operare piú artisti contemporaneamente su diuno stesso soggetto, per poterne giudicare le opere in mo-do piú sicuro. Cosí un quadro della collezione Richelieucomperato presso U, il Corteo di Sileno di Rubens (oggi aLondra NG), fu commissionato anche a Reni, Guercino,Allori, Poussin, van Dyck e Rembrandt. È di fatto verosi-mile che U conoscesse personalmente i principali artistidel suo tempo: senz’altro fu amico di van Dyck, che lo ri-trasse in un quadro oggi a New York (MMA). Dovette favo-rire considerevolmente gli scambi artistici tra Venezia el’Olanda, e fu forse all’origine dell’entusiasmo degli ama-tori e dei mercanti olandesi dell’epoca per la pittura italia-na. Tornò ad Amsterdam nel 1630. L’asta della sua colle-zione, due anni dopo la sua morte, il 9 aprile 1639, fu unvero avvenimento: sfortunatamente non si è conservato ilcatalogo della raccolta, la cui perla era il Ritratto di Baldas-sarre Castiglione di Raffaello (oggi al Louvre di Parigi), ac-quistato da Alfonso Lope, successivamente rivenduto aMazzarino e passato a Luigi XIV. (gb).

Uffenbach, Philipp(Francoforte 1566-1636). Allievo di Adam Grimmer diMagonza, figlio di Hans Grimmer già discepolo di MathisGothart detto Grünewald, U fu un tardo continuatore diquest’ultimo, di cui possedeva un gruppo di disegni. Ap-partiene a quella tendenza culturale che, diffusa in Germa-nia attorno al 1600, guarda con nuova attenzione ai grandipittori tedeschi del sec. XVI e in particolare a Dürer. Unacopia di sua mano da una composizione perduta di Grü-newald (Uccisione dell’eremita cieco) si trovava nel 1808 inuna collezione privata di Francoforte. L’intera sua carrierasi svolse in questa città, dal cui Consiglio ricevette nume-rosi incarichi fino al 1612, data in cui venne consideratorivoluzionario. Riappare nel 1617-1618 operoso per il lan-gravio Hessen-Butzbach (decorazione scomparsa di una sa-

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la del castello di Butzbach). Oltre alla sua attività di affre-scatore (opere documentate quasi sempre perdute), carto-grafo, pittore di cavalletto (Crocifissione, 1588: Francofor-te, SKI; Altare della Resurrezione, per la chiesa dei Domeni-cani di Francoforte, 1599, conservatosi solo in parte; Trepubblici ufficiali di Francoforte, 1605; Adorazione dei Magi,1615; Ritratto di Vincenz Fettmilch, 1616), miniaturista eincisore, pubblicò un’opera di astrologia e un trattato sullaQuadratura del cerchio (1619), opere nelle quali U profusela sua stupefacente cultura geografico-matematico-astrono-mica. Ebbe come allievo Elsheimer, cui si suppose tra-smettesse la sua conoscenza dei pittori tedeschi del sec.XVI. (pv).

Ugo da Carpi(documentato a Carpi, Venezia e Roma tra il 1502 e il1525). Anche se piú noto per la sua attività di incisore, èricordato da Vasari anche per la sua attività pittorica. LaVeronica tra i santi Pietro e Paolo (firmata; Reverenda Fab-brica di San Pietro, proveniente dalla Basilica Vaticana),eseguita con una inusuale tecnica da un disegno di Parmi-gianino, è l’unica opera nota.Dopo una prima attività nella città natale, si trasferisce aVenezia, dove nel 1516 ottiene un privilegio di stampa perla sua tecnica innovativa di xilografia e chiaroscuro: attra-verso l’uso di piú tavole (nessuna delle quali porta incisitutti i tratti del disegno), ottiene una gradazione di tonipiú vicina a quella della pittura.Trasferitosi a Roma, poco dopo il 1516, U ottiene un se-condo privilegio dal papa. La sua produzione si basa so-prattutto sui disegni di Raffaello (Morte di Anania, Eneacon Anchise, 1518), ma incise anche da Perin del Vaga, Pe-ruzzi, come già aveva fatto con opere di Tiziano e di Par-migianino (Diogene). Svolse dunque un importante ruolonella divulgazione della «maniera moderna». (sr).

Ugolino di Nerio(Siena, documentato dal 1317 al 1327). Fu il piú sottiletra i seguaci di Duccio, di cui diede una interpretazioneancor piú squisitamente gotica, pur senza violare la morfo-logia del maestro. Eseguí, attorno al 1325, il grande polit-tico, ora disperso, per la chiesa di Santa Croce in Firenze(Berlino, SM, GG; Londra, NG; Los Angeles, County Mu-seum; Philadelphia, coll. Johnson; Richmond, coll. Cook;

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New York, MMA, coll. Lehman), dove lesse ancora la suafirma il Della Valle nel sec. XVIII, e un altro ne dipinse perSanta Maria Novella.Tra le molte opere del suo catalogo, la Madonna col Bambi-no in trono e un donatore, della chiesa della Confraternitadella Misericordia in San Casciano Val di Pesa è l’unicaopera accertata documentariamente, mentre l’unanimitàdegli studiosi gli assegna anche i Santi Pietro e Francescodella medesima chiesa, la Madonna col Bambino di Monte-pulciano (chiesa dei Servi), la mirabile Crocifissione e il po-littico di Siena (PN), quello del MFA di Cleveland, l’elegan-tissimo Crocifisso della chiesa dei Servi di Siena, nonchéaltre tavole sulla cui attribuzione a U è stato avanzatoqualche dubbio non sempre giustificato (Stubblebline).Tra queste la Madonna e santi della coll. Ricasoli (Gaiole inChianti, Castello di Brolio), la Madonna col Bambino diBoston (MFA), il polittico Clark (Williamstown, Mass.,Clark Art Institute), la Madonna in trono e santi di Chicago(Art Institute). (cv+sr).

Ugolino di Prete Ilario(Orvieto, notizie dal 1357 al 1384 - † 1404 ca.). Lo studiodella sua formazione e del suo sviluppo stilistico è ostaco-lato dalle ridipinture che hanno reso illeggibili gli affreschidella cappella del Corporale del Duomo di Orvieto esegui-ti fra il 1357 e il ’64 con il socio Giovanni Leonardelli eun numero consistente di aiuti, firmati (un restauro di al-tre zone quasi intatte e curiosamente trascurate dalla criti-ca dovrebbe tuttavia fornire altre buone indicazioni, insie-me a quelle fornite dalle sinopie recentemente rimesse inluce). Nello stesso torno di tempo collauda i mosaici diOrcagna e di Leonardelli per la facciata del Duomo, ed èresponsabile egli stesso di altri mosaici, specie nel 1364 e’67 (del 1365 è quello, anch’esso pesantemente restauratonell’Ottocento, con la Natività della Vergine, oggi a Lon-dra, VAM). Dal 1380 l’arte di U, completamente formata,appare nell’opera principale che resta di lui: la vasta deco-razione della tribuna del coro del Duomo di Orvieto con-dotta con aiuti, fra cui Cola Petruccioli e Andrea di Gio-vanni, fra il 1370 e il ’78. Ebbe funzioni di caposcuolaunendo ai forti elementi lorenzettiani, che sono parte del-la sua formazione, talune componenti giottesche, e facen-dosi ponte tra queste e il nascente linguaggio tardogoticodel centro Italia. Infatti i pittori orvietani della seconda

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metà del Trecento si formarono tutti aiutandolo nell’ese-cuzione di affreschi di cui era responsabile. Negli affreschidel coro del Duomo, un’attenzione al naturale e agli «acci-denti» della vita è unita a una ricerca di episodi luminosiche egli scopre e restituisce in ogni passo della sua pittura,nelle vesti, nei paesaggi, nel colore sempre inteso per regi-stri chiari e luminosi. Di sua mano, quattro tondi con gliEvangelisti (nella cappella della prothesis) e un’Annuncia-zione e Adorazione dei pastori (sulla parete destra), in SanGiovenale a Orvieto. (ppd+sr).

Ugolino Lorenzetti(Siena, attivo nel secondo quarto del sec. XIV ca.). Appella-tivo esegetico coniato nel 1917 da Bernard Berenson per ungruppo di opere legate sia ad Ugolino di Nerio sia a PietroLorenzetti. Insistendo su dipinti di carattere piú lorenzet-tiano, Dewald creò invece, nel 1923, un suo Maestro diOvile. Dimenticata l’ipotesi di Giacomo De Nicola (che,già nel 1919, tentò di identificare l’UL di Berenson con unnon meglio noto Biagio da Siena), ha trovato maggior cre-dito – ma non consenso unanime – quella di Millard Meissche, dopo aver riunito le opere di UL con quelle del Mae-stro di Ovile, propose nel 1936 di identificarne l’autore conBartolomeo Bulgarini. Le obiezioni di parte della critica sifondano sulla difficoltà di lettura della Biccherna del primosemestre del 1353, opera documentata del Bulgarini (Ar-chivio di Stato di Siena, n. 28) e sul fatto che il pittore la-vorò per Santa Croce a Firenze nel 1350, mentre il politti-co con Madonna e santi di UL in questa chiesa sembra piut-tosto databile al 1320-25 ca. In ogni caso, si possono di-stinguere alcuni dipinti piú antichi, e di gran pregio, comeuna Crocifissione (Settignano, Villa I Tatti, coll. Berenson),una Natività (Cambridge, Mass., Fogg Museum) e il citatopolittico fiorentino, da altri che sfoggiano caratteri ormaiprevalentemente lorenzettiani, dalla Crocifissione del Lou-vre all’Assunzione e alle due Madonne in trono con angeli(Siena, PN), oltre alla Madonna in trono e angeli della chiesadi San Pietro a Ovile di Siena. Piú di recente è entrata neldibattito su questo artista una Crocifissione (Roma, PV, n.152), in cui i legami con la produzione della bottega di Pie-tro Lorenzetti alla metà degli anni Trenta coesistono conspunti piú arcaici, a ribadire emblematicamente la validitàdella formula di Berenson. (sr).

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Ugrjumov, Grigorij Ivanovi™(Mosca 1764 - San Pietroburgo 1823). «Prix de Rome»,rettore dell’Accademia di San Pietroburgo, trattò con spi-rito classico i soggetti della storia nazionale: Entrata solen-ne di Alexander Nevskij a Pskov (1792: San Pietroburgo,Museo russo), Presa di Kazan´ nel 1552 (1797: ivi), Incoro-nazione di Michail Romanov (1799: ivi). Operò inoltre perla decorazione delle chiese della capitale; ha lasciato qual-che ritratto. (bl).

Uhde, Fritz von(Wolkenburg 1848 - Monaco 1911). Iniziati gli studi pres-so l’Accademia di Dresda, U fece carriera militare tra il1867 e il 1877. Dal 1877 al 1879 risiedette a Monaco, de-dicandosi, da allora, alla pittura. Nel 1879-80, lavorò a Pa-rigi presso Munkácsy. Tornò poi a Monaco, ma fu moltosignificativa, per la futura evoluzione del suo stile, la co-noscenza di Max Liebermann e il successivo soggiornopresso di lui a Zandvoort nel 1882, durante il quale U ap-prese le tecniche impressioniste e un uso del colore piúsciolto e libero da convenzioni delle strutture compositive.I suoi soggetti preferiti sono quadri di genere (La sorellamaggiore, 1883: Colonia, WRM), scene di interni o a carat-tere intimo (le Figlie dell’artista in giardino, 1906: ivi), oscene bibliche trasposte nell’ambiente realista e sentimen-tale del suo tempo, come Vieni, Signore Gesú, sii nostroospite (1885: Berlino, NG). La sua arte mostra la condizio-ne dei poveri e celebra il lavoro dei campi (Lo spigolatore,1889: Monaco, NP) in opere dal franco naturalismo (Uomocol mantello, 1885: Hannover, Niedersächsisches Landes-museum) che richiama quello di Lhermitte o di Cazin per icolori chiari, lo stile leggero e abozzato. È rappresentatonella maggior parte dei musei tedeschi. (hbs+sr).

Uhde, Wilhlem(Friedeberg 1874 - Parigi 1947). Studiò prima diritto aMonaco, poi storia dell’arte a Firenze; si stabilí a Pariginel 1904 e divenne amico di Picasso, Braque, Juan Gris,Marie Laurencin e soprattutto del Doganiere Rousseau,cui dedicò per primo una monografia nel 1910. Organizzòinoltre a Parigi, nel 1912, la prima retrospettiva di Rous-seau alla Galleria Bernheim-Jeune. S’interessò anche aLouis Vivin, Camille Bombois e André Bauchant; raccolseun’importante collezione che venne sequestrata perché ap-

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partenente a un cittadino di paese nemico e venduta nel1920 all’asta. In seguito alla pubblicazione a Parigi, nel1938, del suo libro intitolato De Bismark à Picasso, nel1939 Hitler lo privò della cittadinanza tedesca. U pub-blicò anche Picasso et la tradition française (Paris 1928),Helmuth Koll (Paris 1934) e Cinq Maîtres primitifs (Paris1949). (mga).

Uitz, Béla(Mehala 1887 - Mosca 1972). Allievo di K. Ferenczy a Bu-dapest, realizzò nel 1910 una serie di carboncini la cuiconcezione monumentale e il cui vigoroso modellato in-fluenzarono profondamente i giovani pittori ungheresi, inparticolare Szönyl. Fu membro autorevole degli Otto e poidegli Attivisti, raggruppati intorno ai periodici «A Tett»(Azione, 1915-16) e «MA» (Oggi, 1916-19), diretti da suocognato, Kassák. Il suo interesse si concentrò, in quell’e-poca, sul dinamismo espressivo di Nemes Lampérth. Co-me in quest’ultimo artista, il disegno ha nella sua opera unruolo importante; gli inchiostri di China colorati, di gran-de formato, sono trattati come pitture a olio (Veduta diVárosliget: Budapest, MNG). Costretto ad emigrare nel1920, dopo la caduta della Repubblica dei Consigli, U sitrasferí prima a Vienna, poi a Mosca (1921-22). Nel 1924

lavorava a Parigi; nel 1926 si stabilí definitivamente a Mo-sca e si dedicò soprattutto a pitture murali di formato mo-numentale. I suoi albums di acqueforti realizzati in Russiapreannunciano l’opera grafica di Derkovits. U è rappre-sentato a Budapest (MNG) e a Mosca (Museo Pu‰kin). (dp).

ukiyoe(pittura dell’ukiyo). Corrente di pittura giapponese diffu-sasi a partire dal sec. XVII. Il termine ukiyo, che può ren-dersi con la perifrasi «mondo effimero e mobile», è statotradotto in varie maniere. Il termine ukiyo appartiene alvocabolario buddista e significava in origine «mondo dimiserie, di cui ci si stanca» e ben rientra nella vena umori-stica della cultura giapponese aver battezzato «pitture delmondo effimero» le rappresentazioni della vita colorata ebrillante della capitale degli shÿgun Tokugawa.L’u, pittura di genere, comparve come una ramificazionepopolare della corrente di pittura nazionale yamatoe (→)nata dall’incontro tra la scuola Tosa e la pittura anonimadi genere del XVI e XVII secolo. Stilisticamente imparenta-

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to con lo stile dei Kanÿ decadenti, che operavano su inca-richi privati borghesi (omoteeshi della scuola Kanÿ →), l’unon diede alcun contributo tecnico, tranne che per lastampa.Si contraddistingue per la scelta dei soggetti. Legato all’e-spandersi della vita urbana di Edo (Tokyo) sotto i Toku-gawa, l’u operò essenzialmente secondo il gusto dei bor-ghesi e, sotto questo aspetto, si pone in posizione seconda-ria rispetto alle scuole tradizionali Kanÿ e Tosa, la primapatrocinata dai signori guerrieri, la seconda protetta dainobili di corte. Come la loro clientela, i pittori del «mon-do alla moda» frequentarono i quartieri di piacere, il cele-bre «Yoshiwara» e i teatri popolari kabuki. Si spiega cosícome la loro arte, essenzialmente cittadina, consista innan-zitutto in rappresentazioni di scene della vita quotidianain uno spazio senza sfondo o con sfondo urbano, e che ilpaesaggio non vi abbia svolto praticamente alcun ruolo, adeccezione di personalità originali e tardive come Hokusai eHiroshige.Con restrizione indebita, il termine u si riferisce, per glioccidentali, unicamente alla stampa. È certo vero che l’o-pera di numerosi pittori u (peraltro non tutti) è stata po-polarmente diffusa attraverso la stampa di incisioni, ma sideve tener conto del fatto che i loro autori si vantavano,in primo luogo, di essere pittori, anzi «pittori in stile na-zionale», yamatoeshi, come si definiva ad esempio Moro-nobu, uno dei primi maestri del genere. Fu però attraversole stampe che l’Occidente ebbe modo di incontrare la cul-tura orientale, fatto che ebbe un ritorno di interesse inGiappone per la stampa u. In Europa, peraltro, inizial-mente fu conosciuta soltanto attraverso tirature tarde diedizioni mediocri, con colori scadenti. Lanciata da FélixBracquemond, che nel 1856 donò a Degas un album diManga di Hokusai, suo zelante propagatore fu soprattuttoEdmond de Goncourt, che fece comparire successivamen-te nel 1891 il suo Outamaro (Utamaro) e nel 1896 il suoHokousai (Hokusai). È noto, d’altronde, il ruolo che lastampa giapponese, cosí diffusa, dovette avere nel succes-sivo svolgersi dell’arte in alcuni sviluppi dell’estetica im-pressionista francese. (ol).

Ulft, Jacob van der(Gorinchem 1627 ca. - Noordwijk 1689). Una nota ritro-vata in uno dei suoi album di schizzi (Parigi, Istituto olan-

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dese) dimostra che fece un viaggio in Italia. Dal 1660 al1670 fu sindaco di Gorinchem. Dipinse vedute di Romapopolate da numerose piccole figure, disegnate con moltavivacità (schizzi a Bruxelles, Bibliothèque Royale), checontrastano gradevolmente con i grandi edifici quadrati,monumentali e immersi nel sole, in mezzo ai quali si muo-vono (Veduta di città animata da una scena biblica o mitolo-gica: Utrecht, CM). Le sue «vedute» italiane, con le vastezone in ombra, sono molto vicine ai disegni di Jan de Bi-schop. (abl).

UlmCostruita sulla riva sinistra del Danubio attorno all’854 edivenuta sotto Federico Barbarossa città libera imperiale, Usi arricchí durante il Medioevo col commercio tra Italia eGermania, e fu notoriamente importante centro bancario.Città d’elezione del gotico fiammeggiante, con una Catte-drale che è, dopo quella di Colonia, la piú vasta chiesa go-tica tedesca, U fu nel sec. XV un brillante centro artistico eintellettuale. Dal punto di vista della pittura, la scuola diU si evolve in questa fase, dopo le cadenze espressive fi-siognomiche e gesticolanti di colui che ne fu in qualchemodo il fondatore, Hans Multscher, raggiungendo intornoalla metà del secolo con B. Zeitblom uno stile piú sobrioed elegante, influenzato senza dubbio dalla pittura fiam-minga, che i borghesi della città collezionavano volentieri.Tuttavia questo stesso influsso doveva contribuire ad av-viare la decadenza della scuola di U, e l’egemonia artisticafino ad allora da essa rivendicata doveva passare, alla finedel secolo, ad Augusta. (acs).Ulmer Museum–Fondato nel 1924, fu concepito come luo-go di conservazione, studio e presentazione delle varie te-stimonianze artistiche storiche e d’arte popolare del terri-torio, piuttosto vasto, controllato dalla città di U. Il primonucleo del museo fu costituito dalle raccolte del Gewerbe-museum che, inaugurato nel 1882, e con sede in un anticopalazzo patrizio (appartenuto alla famiglia Kiechel), racco-glieva non solo, come il nome indicava, modelli e oggettitestimonianti lo sviluppo artigianale, tecnologico e indu-striale dell’alta Svevia, rinata dopo la guerra del 1871, maanche le collezioni d’arte fortunosamente e disordinata-mente createsi nel corso dell’Ottocento attraverso lasciti eacquisti compiuti dall’Altertumsverein di U, che volevacosí salvare dalla dispersione e dall’abbandono quel che

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ancora rimaneva del patrimonio artistico ulmense dopo lefurie iconoclaste del 1531, i saccheggi austriaci (1796) ebavaresi (1802). Dopo alterne vicende, che tra l’altro com-portarono il definitivo allontanamento della sezione di artiindustriali, l’estensione degli spazi espositivi del museo ela ricostruzione del dopoguerra, questo rinacque nel 1952.Contiene, oltre un’importante collezione di scultura ligneatardogotica, un consistente patrimonio di dipinti, speciedell’epoca d’oro della storia ulmense (M. Schongauer, H.Strigel der J., Zeitblom, B. Strigel, M. Schaffner) e diclassici-moderni del sec. XX (coll. K. Fried). (sr).

Umbach, Jonas(Augusta 1624-93). Dell’artista si conoscono circa 290 di-segni e 230 acqueforti, mentre la sua opera pittorica è no-ta solo tramite 360 incisioni. Dopo un probabile viaggionei Paesi Bassi prima del 1645, e in Italia tra il 1648 e il1650, tornò ad Augusta dove ricevette commissioni dall’a-ristocrazia e dall’alta borghesia cittadina, classe alla qualeU apparteneva, oltre che dal vescovo, dai benedettini edagli agostiniani.Nelle sue opere di genere storico, mitologico e allegorico siaccosta a Schönfeld, stabilitosi nella città nel 1651 (Cerca-tori di tesori, Melancolia, Satiro legato a un albero dalle nin-fe, Baccanali). La Passione di Cristo ispira a U una delle suepiú interessanti e riuscite incisioni; un soggetto su cui tor-na spesso è la Sacra Famiglia trattata come scena di generesecondo un gusto tipico del pittore (cfr. Tre uomini e unbambino davanti al fuoco, 1645, disegno).L’influsso olandese, in particolare di van Ostade, è piutto-sto evidente. I suoi numerosi paesaggi rivelano il suo ag-giornamento sui testi della pittura italiana dai Bassano, aCodazzi, ai Carracci, a Salvator Rosa (ventidue paesaggicon rovine sono conservati a Düsseldorf tra cui Paesaggiocon la cascata di Tivoli, che si mescola alla tradizione nor-dica, in particolare olandese di Savery, Saftleven, Ruy-sdael (Paesaggio del bacino svedese, disegno) e tedesca diAltdorfer, Bauer, Franck (Paesaggio con albero morto, ac-quaforte). (sr).

UmbriaLa regione intesa nel suo ambito attuale è una distrettua-zione di conio otto-novecentesco, cioè post-unitario. Lesue ascendenze storiche somigliano assai poco alla configu-

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razione recente. Il confronto non è solo con la remota ter-ra degli Umbri che popolavano accanto alle altre stirpi ita-liche una vasta porzione centrosettentrionale della peniso-la fra il Tevere e le coste adriatiche e, verso nord, fino allapianura padana, la Umbrorum gens antiquissima Italiae diPlinio; né con i territori afferenti a due diverse culture,quella etrusca (Perugia, Todi, che tuttavia da Plutarco èdetta umbra, Orvieto) e quella umbra, alla sinistra del Te-vere; ma soprattutto con la configurazione che la regioneoggi denominata U va assumendo in epoca medievale-mo-derna.A partire dalla seconda metà del sec. VI, la formazione delducato longobardo di Spoleto costituisce la premessa perl’integrazione politica e territoriale dell’antica provincia diTuscia, corrispondente alle zone dell’U attuale alla sinistradel Tevere e alla conca di Terni, con le province Valeria ePiceno. In termini moderni, ciò vuol dire che si avvia allo-ra e si allarga e consolida nella fase di espansione del duca-to un processo di aggregazione, dalle molteplici implicazio-ni, di questa parte dell’U con i territori al di là dell’Ap-pennino e fino alle coste dell’Adriatico, corrispondenti al-meno in parte alle regioni oggi denominate Marche,Abruzzo e, per una quota minore, Lazio. È allora che dalcuore dell’Italia centrale, la cui vitalità in senso economicoe culturale, oltre che militare, si fondava in età romanasull’asse sud-nord dell’antica consolare Flaminia, cominciaa manifestarsi un movimento tendente complessivamenteverso il nord-est e l’est. Si tratta di un fenomeno di lungadurata, in senso lato culturale, con conseguenze sul pianodella lingua, del costume, dei modi di sentire e anche del-l’espressione artistica, nel corso del quale si stabilirà unarete per dir cosí preferenziale di relazioni, destinata ad as-sumere tutti i caratteri di una lunga consuetudine, comunealle popolazioni dell’area compresa fra il corso del Teveree l’Adriatico.Ciò dà luogo a un’assimilazione di umbri e marchigiani o,secondo il modo di esprimersi di una fonte mantovana diprimo Cinquecento, di «spoletini e marchiani», che sem-bra acquisita almeno nel comune giudizio di chi allora os-servava dall’esterno. Si aggiunga che in testi seicenteschi,questi invece di mano romana e dunque per molti versi«interni», «Spoletini» e «Perugini» sono nominati, al paridei «Romagnoli» e degli «Ascolani», come entità demo-re-gionali distinte. È interessante che una simile distinzionesi applicasse anche tra «Spoletini» e «Perugini». Se ne

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comprende il motivo ricordando come nella cartografiaseicentesca fosse sopravvissuta, per un vasto territorio nel-l’ambito dello Stato della Chiesa, la vecchia denominazio-ne di ducato di Spoleto, identificato senz’altro con l’U(«U ovvero ducato di Spoleto») e distinto dall’area di Pe-rugia («Territorio Perugino»). Né è da stupire che primanel tentativo napoleonico di riassetto dipartimentale, poinella diaspora amministrativa post-unitaria suscitata dalPepoli, centri e territori ai confini di questo nucleo «um-bro» fossero di volta in volta considerati interni o esterniad esso, mutando anche piú volte di ruolo. Nel primo de-cennio dell’Ottocento il dipartimento del Trasimeno cam-biò in pochi anni capoluogo, oscillando da Perugia a Spole-to; Rieti fu unita nel 1860 alla «provincia dell’U», peruscirne nel 1923, quando si decise di annetterla alla pro-vincia di Roma. Ma nel 1860 i margini della regione sonotutti in movimento, in seguito alle decisioni del commissa-rio del governo nazionale che provocano, a seconda deipunti di vista, applausi o tempeste nei consigli comunali.Gubbio esulta per essere stata assegnata all’U, nonostanteche il vecchio stato urbinate cui per secoli era appartenuta(Federico di Montefeltro vi aveva avuto i natali!) facesseparte delle Marche; contemporaneamente, con due mossea sorpresa, Visso e il suo vasto hinterland (trentaquattrofrazioni) vengono espunte dal loro storico contesto che eraquello dell’antico ducato e della diocesi di Spoleto, separa-ti dalla maggior parte della Valnerina, di cui costituisconoil piú alto segmento, e annessi alle Marche; mentre Orvie-to, che pur protestava il suo lungo legame con Siena, èunito per decreto all’U. Le discussioni, le perplessità, i la-menti per inclusioni o esclusioni sentiti come ingiustizienon si placarono tanto presto, se ancora nel 1862 Città diCastello chiedeva in nome dell’area dell’alto Tevere di es-sere aggregata ad Arezzo.Aver rammentato queste vicende non vale certo a negareche esistano dati di appartenenza e di permanenza, o al-meno di stabilità, riferibili a centri o aree; ma a sottolinea-re come anche il caso umbro induca a riconoscere la naturaaperta e mutevole della geografia culturale, superando unavisione puramente «regionale» del divenire storico. L’im-magine che ci forgiamo di centri di produzione, aree di in-fluenza, tradizioni si modifica sostanzialmente quando ilquadrante dei dati di appartenenza e di permanenza, im-messo in circuiti di piccola o grande circolazione, ne siacosí scosso e «deformato» da chiedere di essere ri-definito

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e, almeno fino a un certo punto, ri-identificato. Simili cau-tele sono necessarie quando il campo in esame presenti te-stimonianze numerose e diversificate, tra le quali possonotrovar posto anche forme locali. Ciò si verifica già nell’etàromanica e, con una densità eccezionale, nel Duecento eTrecento. Lo stesso non può dirsi per l’intero primo mil-lennio e basti ricordare come ai grandi, anche se rari, mo-numenti di architettura paleocristiana – come il San Salva-tore di Spoleto (sulla cui datazione gli studi sono tuttaviadivisi) e il Sant’Angelo di Perugia non si accompagni pur-troppo alcun resto di decorazione pittorica legata all’origi-ne dei due edifici: nulla può citarsi in U, pur assai ricca ditradizioni del primo cristianesimo, anche in relazione allefondazioni di edifici religiosi, che possa essere accostatoper importanza al monumenti pittorici romani.Anche dopo i primi secoli cristiani il raccolto è ben magro.Un recente restauro ha fatto meglio risaltare la qualità del-l’affresco con Santi e Angeli che orna l’absidiola del Tem-pietto sul Clitunno: i problemi dell’enigmatico edificio siriflettono anche sulla datazione di questi notevoli restidella decorazione originale, che si tende a collocare nel VII-VIII secolo. Circa quarant’anni fa un’indagine archeologicanella cappella di San Cassio del Duomo di Narni rivelò l’e-sistenza di un mosaico con Gesú benedicente, che fu subitoaccostato ad opere romane dell’VIII-IX secolo. Un rapportonella stessa direzione si avverte in un’opera ancora in par-te inedita, i resti della decorazione a fresco della cripta diSan Primiano a Spoleto, del tipo semianulare che ha permodello l’archetipo vaticano, resti che come l’edificio pos-sono essere ricondotti al sec. IX.A partire dal sec. IX la riorganizzazione della distrettuazio-ne ecclesiastica, attraverso la ricostruzione delle chiese – epiú spesso dei gruppi-cattedrali – e la creazione di una fit-ta rete di plebanie, promuove uno sviluppo dell’edilizia re-ligiosa che dovette essere straordinario soprattutto perconsistenza quantitativa e per capillarità di penetrazioneanche nelle zone piú accidentate e interne. Ma troppo va-ste sono le perdite perché si possa tentare di abbozzare ilineamenti di una geografia del preromanico. È qui da sot-tolineare che la ricca fioritura di edifici del sec. XI e so-prattutto dei due secoli successivi è avvenuta almeno inparte a spese di fondazioni piú antiche, trasformate e spes-so testimoniate da reimpieghi del tutto marginali. È la-mentevole che di una fase cosí lunga e cosí storicamenteimportante, cui dobbiamo un assetto territoriale tuttora

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ben riconoscibile, non siano giunte fino a noi testimonian-ze di un’attività pittorica che non poté mancare, mentreabbastanza numerosi sono i reperti scultorei. La presenzadi un quadro geografico infraregionale piuttosto differen-ziato si avverte assai distintamente nei secoli XII e XIII, colpieno fiorire della civiltà romanica. Innanzitutto, se giudi-chiamo sulla base dei monumenti superstiti, d’altronde as-sai numerosi, dobbiamo dedurne diversi gradi di vitalitànelle singole aree diocesane: Spoleto con il suo vastissimoterritorio, Assisi, Todi, Narni appaiono piú attive di Foli-gno, Gubbio, Città di Castello, mentre Perugia sembra ad-dirittura in secondo piano. Inoltre il romanico non parlaovunque la stessa lingua e l’impasto di tradizioni locali e diapporti esterni, spesso decisivi, è tutt’altro che uniforme.L’architettura profitta, nello spoletino, di contributi lom-bardi (come in Sant’Eufemia) per volgersi, a partire daltardo sec. XII, a interpretare modelli paleocristiani localima anche romani (come in San Paolo inter vineas); il clas-sicismo di questa seconda fase si diffonde verso sud (Lu-gnano in Teverina) e oltrepassa il confine regionale (Tu-scania), interessando anche il territorio di Narni, in cuituttavia si giunge fino alla desunzione letterale di caratterispiccatamente romani (Duomo, Santa Maria in Pensole,San Martino di Taizzano); a Foligno, Assisi, Todi, Spoletosi avverte una sensibilità comune nel giuoco dei volumi enegli ornati, mentre in alto Tevere il romanico rivela l’an-tico legame con Ravenna nella torre cilindrica della Catte-drale di Città di Castello. Se si stende una mappa dellapittura romanica nell’U attuale, il territorio di gran lungapiú ricco di opere risulta quello di Spoleto e della sua anti-ca diocesi, la cui crescente importanza in quei secoli (Inno-cenzo III ne consacrò la Cattedrale, ove piú tardi Grego-rio IX canonizzerà Antonio di Padova) dette un forte im-pulso ad attività di costruzione e di decorazione. I cicli pa-rietali di Sant’Isacco, San Gregorio, San Paolo inter vi-neas (tutti a Spoleto), San Pietro in Valle presso Ferentil-lo, San Tommaso di Terni (superstite in frammenti) offro-no possibilità di confronto con opere coeve di Roma e delLazio (Anagni), oltre che con miniature uscite da scriptoriadi cultura romana (le cosiddette Bibbie Atlantiche), cui fariscontro anche un’autonoma produzione di testi liturgiciminiati che deve essere stata molto vivace a giudicare dagliesempi superstiti (Leggendari del Museo capitolare di Spo-leto; Corali dell’abbazia di Sant’Eutizio, oggi a Roma pres-so la Bibl. Vallicelliana). La situazione degli studi non è ta-

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le da consentire una precisa definizione delle componentidi questa cultura figurativa che si rivela tutt’altro cheuniforme e che, nei debiti e nei crediti, non fu probabil-mente a senso unico. Sarebbe improprio parlare di espres-sioni provinciali della pittura romana per gli eccellenti af-freschi di San Pietro in Valle, l’antica abbazia ducale, etanto meno per la pittura su tavola; né, d’altra parte, è fa-cile ricorrere a spiegazioni basate sul concetto di luogo inambiti in cui era normale la presenza transeunte di mae-stranze, spesso legata alla diaspora di lungo raggio di mo-naci e abati.Non mancano prove che nel sec. XII e nel XIII l’U fosseormai all’interno di un fenomeno di grande circolazione.A questo si connettono impulsi di trasformazione e dirinnovamento che investono con conseguenze diverse learee regionali. Cosí dovrà spiegarsi la presenza a Spoleto,già nell’ultimo quarto del sec. XII, di botteghe di croci edossali dipinti della piú alta qualità, oltre che di affre-schi, i cui autori (come Alberto «Sotio» che firma e data1187 la Croce oggi nel Duomo) si dimostrano esperti dimodelli bizantini di gusto tardocomneno diffusi nell’Ita-lia meridionale. Da simili radici nasce nell’U centro-meri-dionale una cultura pittorica, ben documentata da operefino a tutto il secolo successivo, che fu indubbiamentel’avvenimento principale prima che l’orizzonte regionalefosse illuminato di nuova luce dal cantiere di Assisi. Nesono testimonianza opere come gli affreschi dei SantiGiovanni e Paolo di Spoleto (Assassinio di Thomas Becket;Martirio e gloria dei santi Giovanni e Paolo: oggi in Pina-coteca) e la tradizione di antependia e croci dipinte che siinoltra per tutto il sec. XIII, con opere spesso eccellenti,sia anonime (Croce frammentaria e Croce n. 17 della Pi-nacoteca di Spoleto), sia recanti il nome degli autori: Si-meone e Machilone, Rainaldo di Ranuccio, Pietro. Che sipossa parlare di un linguaggio elaborato da attive botte-ghe locali che si muovono a loro agio tra le asperità deivocabolari bizantini sembra da confermare osservandoquanto sia diverso e piú alla lettera il bizantinismo diun’opera sicuramente di importazione come la grandeDeesis a mosaico della Cattedrale di Spoleto (1207). Lafirma un «doctor Solsternus» che non rivela la sua origi-ne, che però si può supporre veneziana come per i mo-saicisti che, pochi anni dopo, Onorio III chiederà al do-ge di inviare a Roma per decorare l’abside della Basilicaostiense. L’esempio di Solsterno rimarrà senza seguito

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mentre la cultura che definiamo «spoletina», subito dif-fusa in U, da Foligno (affreschi della cappella dei SantiPietro e Paolo in Santa Maria infra Portas) ad Assisi (ta-bernacolo in Santa Chiara, attribuito a Rainaldo di Ra-nuccio) a Orvieto (una Croce e una Madonna, prossime aSimeone e Machilone, nel Museo dell’Opera del Duomo),si irradia lontano, ben oltre gli attuali confini regionali,soprattutto al di là dell’Appennino, lungo le valli che sfo-ciano nell’Adriatico. Il Duomo di Ancona aveva una Cro-ce di Simeone e Machilone; croci e tavole di provenienzaspoletina o collegabili alla cultura della vecchia capitaledel ducato si trovano a Fabriano, Camerino, San Maroto,Matelica, a Visso che apparteneva alla diocesi; molto piúa nord, nella valle del Metauro, a Mercatello; lo stessovale per i percorsi verso il Piceno, dove è difficile spie-gare il carattere dei sorprendenti affreschi di Montemo-naco (chiesa di San Giorgio in Isola) se non si fa riferi-mento ai modelli di Alberto «Sotio» e della sua cerchia;o lungo le valli del Velino (Madonna di Cossito) e dell’A-terno. Quest’ultimo percorso è particolarmente ricco diopere duecentesche che attestano il legame con l’U cen-tro-meridionale, dagli affreschi di Bominaco a un gruppodi tavole di varia provenienza (a Capitignano, San Pio diFontecchio, Tocco Casauria, nella valle del Pescara ecc.)oggi nel Museo dell’Aquila. La tendenza espansiva chepartiva dall’U centrale e meridionale interessava dunque,a giudicare da quanto rimane a documentarla, quei terri-tori transappenninici che, compresi oggi nelle Marche,nel Lazio e nell’Abruzzo, erano stati legati all’U, come siè già accennato, nei secoli dello sviluppo e del rafforza-mento del ducato longobardo. La posizione preminentenella regione alla sinistra del Tevere, assegnata a Spoletoper ragioni soprattutto strategiche, non era dunque venu-ta meno con l’estinguersi dello stato longobardo e nean-che dopo il passaggio delle sue terre dal regno franco al-la Chiesa. Ciò che la città aveva guadagnato in termini dicentralità civile e religiosa, con i vantaggi che ne deriva-vano anche nel campo delle relazioni con l’esterno, potéinnalzarla a polo culturale la cui importanza giunse aproiettarsi almeno fino a tutto il Duecento. Troviamo quiin sostanza un fattore specifico, che chiarisce un fenome-no di fioritura artistica, complessivamente assai ricco inquesto periodo, e le sue linee di diffusione; ed è eviden-te come anche i normali canali di comunicazione, a co-minciare da quelli religiosi – diocesani o monastici –, ne

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siano stati avvantaggiati. Il risultato è un’estensione delconcetto di regione artistica, di cui si trova un corrispet-tivo nel parallelo dilatarsi della geografia del culto di san-ti locali: Primiano era venerato a Spoleto come ad Anco-na; Eutizio nel territorio di Norcia come in quello del-l’Aquila; e, sulle vie che allacciavano il vecchio ducato alPatrimonio di San Pietro, la leggenda di Senzia era co-mune a Spoleto e a Blera.Nella seconda metà del Duecento il quadro regionale quisopra riassunto sarà nettamente rinnovato in relazione alformarsi o al consolidarsi di altre polarizzazioni. Con laprima fase dello straordinario sviluppo del francescanesi-mo si forma il polo di Assisi; con l’impetuoso crescere delruolo politico ed economico del suo comune si afferma ilpolo di Perugia, di cui è documentato in questi anni il for-te incremento demografico, soprattutto grazie all’inurba-mento della gens nova. Si tratta, beninteso, di due entitàassai diverse: il «raggio» assisiate-francescano acquista benpresto una dimensione che non avrebbe senso considerarein termini regionali; quello perugino-comunale, pur dandoprova di un’eccezionale intraprendenza nel guardare oltrei propri confini, per esempio convocando i grandi scultoripisani, conquista un primato rispetto ai centri dell’U. Nonè certo un caso che il piú importante monumento della pit-tura perugina del Duecento, ormai al suo scadere, sia il ci-clo allegorico e astrologico della Sala dei Notari, cioè unrilevante esempio di «arte civica» eseguito da maestri lo-cali educatisi su testi assisiati.L’emergere di Assisi e di Perugia, d’altra parte, non riducela vitalità dei centri grandi o minori della regione, la cuiattività artistica, al contrario, riceve spesso impulsi decisi-vi dall’enorme ampliamento dell’orizzonte pittorico graziesoprattutto all’incessante cantiere assisiate. A una societàmunicipale ormai complessa che ha sullo sfondo un grandepotere – quello della Chiesa – ma che provvede ai suoi bi-sogni organizzandosi in una sempre piú ricca articolazionedi ruoli corrispondono una piú intensa rete di relazioni eun’espansione del loro orizzonte geografico. Nella «lungadurata» che si apre con la rinascita duecentesca, l’attivitàartistica può allora essere presa in esame all’interno di unprocesso che è insieme di piccola e di grande circolazione.Le singole aree producono per sé e interagiscono ma nellostesso tempo esercitano la loro capacità di promuovere e diattrarre, talvolta in ambiti che oltrepassano la dimensionelocale e regionale. Di fronte a questa crescente complessità

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la storia dell’arte ha davanti a sé due strade: la prima con-siste nella segmentazione dei linguaggi secondo aree o«scuole», avallata dal riconoscimento di stili locali ritenutisuscettibili di una precisa definizione; la seconda, nellaidentificazione di campi e circuiti piú vasti e intrecciati, dipiú complesse dinamiche e, per conseguenza, di quasi illi-mitate «regioni stilistiche».Ad Assisi, dove San Francesco aveva pregato davanti a unCrocifisso del tipo triumphans di gusto spoletino prima fa-se, il suo seguace frate Elia introduceva il Cristo aspra-mente patetico di Giunta Pisano (Croce della Basilica infe-riore, 1236, perduta), cui appartiene anche il Crocifisso,eseguito piú tardi, di Santa Maria degli Angeli. Il piú anti-co ciclo murale francescano destinato a decorare la Basilicainferiore, fu invece affidato, al tempo di Alessandro IV(1254-1261), a un pittore molto probabilmente umbro, l’a-nonimo noto come Maestro di San Francesco. Sotto il suonome è stato raccolto un gruppo di opere, tra le quali ilgrande Crocifisso del 1272, già in San Francesco al Pratodi Perugia (oggi alla GNU) e il dossale con Storie della Pas-sione e santi (diviso tra la GNU di Perugia, il Tesoro di As-sisi e raccolte straniere), che dimostrano come la sua bot-tega fosse tra le piú importanti fra quelle attive in queglianni, dalle quali uscirono tra l’altro grandi croci sagomated’altare, come quella in Santa Chiara di Assisi e della Pi-nacoteca di Gualdo Tadino, che interpretano l’arte diGiunta senza esserne passivamente dipendenti. Nella chie-sa superiore il primo cantiere pittorico è in mano a fre-scanti (e a maestri vetrai) transalpini, forse francesi o in-glesi; a dividersi le pareti delle due basiliche saranno fio-rentini – Cimabue e, a piú riprese, Giotto – romani, sene-si e anche qualche umbro; intanto il Sacro Convento si ar-ricchiva di miniature francesi, stilisticamente vicine aquelle parigine della Sainte-Chapelle (Messale di San Ludo-vico), di stoffe palermitane e di oreficerie veneziane. Igrandi scultori pisani ornano della famosa Fonte la piazzadi Perugia; i senesi dirigono il grande cantiere del Duomodi Orvieto, dove operano anche Arnolfo di Cambio e altrifiorentini. Ai pittori di Siena l’U riserva una lunga fortu-na: da Simone Martini e Lippo Memmi a Orvieto, doveanche per il monumentale Reliquiario del Corporale è con-vocato un senese, Ugolino di Vieri, allo stesso Simone e aPietro Lorenzetti ad Assisi; da Meo da Siena, che diven-terà stabilmente perugino, a Jacopo di Mino a Todi e aCittà della Pieve ad alcuni fra i migliori quattrocentisti,

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come Taddeo di Bartolo e Domenico di Bartolo, a Peru-gia. Opere senesi e fiorentine giungono perfino in una del-le piú interne zone appenniniche, la Valle Oblita, importa-te dai pastori del luogo che svolgevano in Toscana il lorosecondo lavoro.Pittori e miniatori nati e formati in U ebbero certamentecampo nei quattro centri che, allo stato attuale delle cono-scenze e senza dimenticare l’enorme quantità del non per-venuto, rivelano la maggiore vitalità: Assisi prima di tutto,e poi Perugia, Spoleto e Orvieto. Già per quanto attieneallo scorcio del Duecento gruppi di opere senza nome sonostati interpretati dagli studi in senso locale sia per il ripe-tersi della presenza di opere affini nello stesso ambito ter-ritoriale, sia per il riconoscimento di persistenze della tra-dizione locale, sia per l’emergere di singolarità stilistiche,o meglio di accenti espressivi non riconducibili ai grandimodelli che l’U, forse piú di ogni altra regione d’Italia, fucapace di importare. Gli esempi non mancano, dal Mae-stro di Santa Chiara di Assisi (ancona del 1283) al Mae-stro del Trittico Marzolini a Perugia, dal Maestro dellePalazze a Spoleto al Maestro della Madonna di San Brizioa Orvieto. Opzioni «locali» sono possibili anche per duedei maggiori anonimi tardoduecenteschi operosi ad Assisi,il già citato Maestro di San Francesco e il Maestro dellaCattura, l’uno perfetto conoscitore di fonti toscane e bi-zantine, l’altro del tutto a suo agio tra i maestri pregiotte-schi della Basilica superiore. Ai due decenni dal ’70 al ’90

appartengono anche importanti testimonianze della minia-tura, tra le quali emergono codici conservati a (o prove-nienti da) Perugia, Assisi, Deruta, Città di Castello, Spo-leto. Si tratta di esemplari superstiti di un patrimonio che,legato com’era a un periodo di particolare intensità dellavita delle sedi degli ordini mendicanti e delle stesse catte-drali, è lecito immaginare enormemente diffuso nella re-gione; inoltre essi sono riferibili sia alle attività di scripto-ria locali – ove del resto operavano certamente illustratoridi varia provenienza – sia, come sempre avviene di oggettiper antonomasia portatili, all’afflusso da altre sedi degliordini. Per conseguenza, la loro collocazione in un ambitoculturale geograficamente ben definito incontra spesso se-rie difficoltà. In generale, si può osservare che l’azioneesercitata da alcuni tra i grandi modelli della pittura due-centesca presenti anche ad Assisi – da Giunta a Cimabue– coesiste, anche negli esemplari piú alti, con assimilazionipiuttosto eterogenee: intanto, da un sostrato bizantino

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non sempre abbastanza noto ma da intendere in una mol-teplicità di varianti, di accezione propriamente bizantina ogià fatte proprie dai piú organizzati ateliers umbri; in se-condo luogo, da «novità» cisalpine e transalpine di matri-ce gotica destinate a una sempre piú profonda penetrazio-ne anche nel cuore della penisola. Caratteristici di questasituazione i due Antifonari della Pinacoteca di Città di Ca-stello che anche per essere resti di un naufragio di codiciriflettono culture disparate e di non facile collocazione.Come si vede, i problemi relativi ai concetti di luogo cul-turale e di stile locale, di importazione, di irradiazione, dicircolazione di modelli, sono in questa fase cruciale pre-senti nella piú piena misura. Ad affrontarli, una stilisticadi alta definizione, ben inteso quando sia tale, può farmolto, ma non tutto. Si potrà parlare di un deciso avanza-mento quando sarà piú chiara la natura della centralità delluogo primo del francescanesimo, non solo come puntod’incontro per alcuni decenni dei maggiori artisti del tem-po ma come laboratorio di nuovi linguaggi, a cominciaredallo stile di Giotto. Di questo, della sua evoluzione e del-l’apporto dei suoi diretti collaboratori, è in primo luogoAssisi che ci dà alta testimonianza nei cicli murali dell’An-tico Testamento e delle Storie francescane, imprese che oc-cupano gli ultimi anni del Duecento, nella Basilica superio-re, e in quelli della cappella della Maddalena, dell’Infanziadi Cristo e delle Vele nella Basilica inferiore. Il fenomenoirradiativo che si sprigiona da tutto ciò è, si può dire, sen-za limiti. È vero che già l’opera di Cimabue nel transetto,verso la fine dell’ottavo decennio, e degli autori di Storiedel Nuovo Testamento nella navata della Basilica superiorediffonde germi di novità in numerosi centri della regione,a Spoleto (Maestro delle Palazze, Maestro di Sant’Alò), aPerugia (Maestro del Farneto, Primo Miniatore perugino,frescante di Santa Giuliana), a Gubbio (Croce della Pina-coteca); ma la capillarità di penetrazione del linguaggiogiottesco, nelle sue varie espressioni, non ha eguali. Già apartire dagli anni a cavallo tra Due e Trecento il grande ci-clo francescano è la nuova base linguistica per pittori atti-vi in U, che la interpretano dando spesso prova di una for-te personalità: ad Assisi, per il cosiddetto Maestro espres-sionista di Santa Chiara e per i frescanti operosi nella cap-pella di San Nicola nella Basilica inferiore; a Perugia, per ipittori attivi nella Sala dei Notari, per il Maestro dellaMaestà delle Volte, per Marino di Elemosina; a Spoleto,per il Maestro di Cesi, e, nel territorio, per gli autori del

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Crocifisso di Montefalco, vicino al cosiddetto Maestroespressionista di Assisi, e del Crocifisso di Sant’Andrea aSpello. I documenti restituiscono qualche nome di diretticollaboratori umbri di Giotto, come Palmerino di Guido,assisiate o forse eugubino, e di seguaci, formatisi sui ciclidella Basilica inferiore, come Giovanni di Bonino da Assi-si, pittore e maestro vetrario ad Assisi e ad Orvieto cui so-no state assegnate con convincente ipotesi le opere primaattribuite all’anonimo Maestro di Figline. Si può dunqueparlare di una vera e propria «leva» giottesca umbra, eparticolarmente assisiate, il cui piú alto esponente fu, allostato delle conoscenze, Puccio Capanna, attivo attorno al1330, sensibile interprete del Giotto della fase della cap-pella della Maddalena e autore di un gruppo di opere, an-ch’esse già accreditate a un fiorentino – Stefano –, che hadavvero operato ad Assisi, ma purtroppo senza lasciartraccia. A proporre un battesimo fiorentino per le operedell’assisiate Puccio era stato R. Longhi, cui va comunqueil merito di averle genialmente raggruppate, unendole sot-to il segno di una eccezionale personalità artistica: era,cioè, lo stesso studioso che proprio in quegli anni scoprivala pittura umbra del Trecento. Fu allora che assunsero perla prima volta consistenza di personalità anonimi come ilPrimo Miniatore di Perugia, il Maestro del 1310, il Mae-stro di Fossa e molti altri, avanguardie destinate a ingros-sarsi in un vero e proprio esercito di vari graduati inuniforme regionale. Si intende che il significato piúprofondo di questa – come di altre – intuizione longhiananon era tanto di arricchire di una ulteriore variante demi-ca, dopo i riminesi, i bolognesi ecc., la pittura italiana delTrecento, tra l’altro ponendola sotto un astorico esponen-te regionale anziché di civitas che è cosa di ben altra consi-stenza; quanto, invece, di avvistare nuovi circuiti, di allac-ciare ciò che non era stato ancora allacciato, scoprendo co-sí nuovi importanti aspetti di quel sorprendente fenomenod’insieme che fu la diffusione, in grande e in piccola rete,delle nuove idee dell’arte trecentesca.In questo grandioso fenomeno di diffusione, di cui l’U èprotagonista grazie all’attrazione-elaborazione-irradiazioneesercitata da Assisi, trova ampio spazio l’articolarsi diespressioni da ricondurre a quei centri piú vitali della re-gione nei quali vari fattori favorivano una notevole origi-nalità nell’interpretazione dei piú alti modelli. Ciò spiegalo stabilizzarsi per tutto il secolo e anche oltre di forme eaccenti, in particolare di quelli che hanno dato occasione

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agli studi di usare formule riassuntive all’insegna del «de-voto» e del «popolare». La fortuna di queste formule sispiega anche con la suggestione esercitata dall’accostamen-to della pittura alle immagini suscitate dalla poesia jacopo-nica e dal repertorio delle laudi. Ma si tratta di accosta-menti che fin quando rimangono in superficie non servonogran che a chiarire il clima figurativo umbro due-trecente-sco; e quando, viceversa, si provano in un’indagine piú ap-profondita non fanno che mettere allo scoperto la diver-sità di posizione della «serie» artistica rispetto alla «serie»letteraria, non sempre e non necessariamente comunicanti.Le personalità che meglio esprimono questa religiosità for-temente patetica o, per dirla con Longhi, la «passione de-gli Umbri» sono gli anonimi noti come Maestro del Ditti-co Cini e Maestro di Santa Chiara da Montefalco. Ma ciòche resta della pittura della prima metà del Trecento pro-dotta con buona probabilità da botteghe locali dimostra,anche nella diocesi di Spoleto cui le opere dei due Maestriappartengono, un certo pluralismo, non riconducibile aun’unica formula espressiva. I pittori attivi a Montefalcohanno poco a che fare con altri frescanti attivi nella ValleSpoletina o nei Monti Martani (a Pissignano, a Campelloalto, a Sant’Onofrio ecc.), sensibili a cose assisiati nell’am-bito di Puccio Capanna, e tanto meno con perugini del ti-po del Maestro di Paciano o con eugubini lorenzettiani co-me Mello. Anche nel considerare il circuito di promotori edestinatari, che in questi decenni si direbbe molto attivo,occorre usare con cautela il parametro locale: il Maestro diSanta Chiara da Montefalco soddisfa le richieste di ex votoin cappelle rurali (per esempio a San Nicolò di Matigge oin Santa Caterina a Trevi), ma il committente del ciclo diMontefalco è lo stesso rettore del ducato, il francese Jeand’Amiel, che si fa ritrarre ai piedi della Croce.Il rinnovamento della pittura del Trecento su base assisia-te, assai piú in accezione giottesca che senese, è fenomenogenerale cosí complesso da non poter essere trattato quiche per aspetti particolari. Le opere di piú rilevante inte-resse fra quelle superstiti in luoghi contigui all’U, come gliaffreschi di Santa Maria in Vescovio, del San Flaviano diMontefiascone o quelli del Maestro Consolo nel SacroSpeco di Subiaco sarebbero incomprensibili senza il riferi-mento ai modelli di Assisi. Al piú antico ciclo giottesco siguarda non solo perché aveva inventato una nuova linguafigurativa ma anche perché gli si riconosce l’autorità di unarchetipo dell’iconografia francescana di ispirazione bona-

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venturiana. Cosí, ad esempio, in cicli murali pertinenti afondazioni minoritiche di periferia, come il San Francescodi Rieti (affreschi trasferiti nel Palazzo Vescovile) o il SanFrancesco di Castelvecchio Subequo in Abruzzo, ritrovia-mo, fedelmente ripetute, le scene assisiati anche se tradot-te in idiomi diversi. Un altro particolare problema concer-ne l’eventualità che espressioni coniate in centri dell’U, inevidente rapporto con modelli assisiati due-trecenteschi,siano trasmigrate anche in siti lontani. Almeno alcuni de-gli interessanti affreschi neotestamentari che decorano lachiesa evangelica di Stugl (Stuls) nei Grigioni, da assegna-re alla prima metà del Trecento (non alla seconda come èripetuto anche nella piú recente letteratura), rivelano unasingolare commistione di giottismo di Padova e di trattipiú patetici ed empirici, vicini a cose umbre contempora-nee. Se cosí fosse, avremmo qui un fenomeno di migrazio-ne lontana di caratteri della provincia giottesca, analogo aquello solidamente provato per i riminesi, la cui presenza èattestata per via stilistica oltre che documentaria non soloa Bologna e a Padova ma fino al Trentino, all’Alto Adige enel Canton Ticino.Come già nel periodo precedente, anche nell’inoltrato Tre-cento i percorsi appenninici e al di là dell’Appennino, inparticolare lungo le valli del Nera, del Corno, del Velino,dell’Aterno allacciano quasi in una sola regione l’U centro-orientale con la Sabina e con l’Abruzzo. Del numerosogruppo di affreschi e di tavole che possono essere raccoltisotto il nome-pilota del cosiddetto Maestro di Fossa, ca-ratterizzato da una solidità formale di estrazione assisiate,addolcita da sensibili aperture al naturale, fanno parteopere conservate a (o provenienti da) Spoleto, Montefal-co, Trevi ma anche Posta, nella valle del Velino, e Fossapresso l’Aquila. L’impressione che si debba trattare di unavera e propria unità di cultura è rafforzata dalla constata-zione che i caratteri delle opere migliori di questo grupposono puntualmente rispecchiati in un gruppo di Madonnelignee policrome di collocazione indifferentemente umbrae abruzzese, il cui esemplare migliore è la Madonna delDuomo di Spoleto. La stessa osservazione vale per la bellaSanta Caterina lignea del Museo dell’Aquila, un tempo rac-chiusa in un tabernacolo le cui chiudende (nello stesso mu-seo) sono decorate con Storie di santa Caterina, stilistica-mente anch’esse collegabili allo stesso gusto diffuso versola metà del secolo nelle valli umbro-abruzzesi. È interes-sante osservare che, nonostante le enormi perdite di opere

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trecentesche, l’appartenenza di queste aree centro-orienta-li italiane quasi a un’unica tradizione trova conferma an-che in dipinti di fine secolo e del principio del Quattro-cento, per esempio nei gruppi denominati con gli appellati-vi convenzionali del Maestro della Dormitio di Terni e delMaestro del Trittico di Beffi (L’Aquila), entrambi espo-nenti tra i piú espressivi di un modo singolarmente affinedi animare un sostanziale conservatorismo trecentesco conun’acuta, anche se misurata, inclinazione per le novità go-tiche.A motivare queste tendenze di fine secolo contribuí certa-mente la diffusione del gusto settentrionale, sia per la pre-senza di artisti impegnati in imprese rilevanti, come il bo-lognese Andrea de’ Bartoli, attivo ad Assisi nella Basilicainferiore per commemorare il cardinale Albornoz (1367);sia attraverso libri miniati, oreficerie, avori e altri oggettidi pregio che entravano nella regione con destinazione li-turgica o collezionistica. Inoltre l’apertura di Perugia e diOrvieto verso la cultura senese è fenomeno, a questa data,ormai consolidato, che va ben oltre la presenza ab antiquodi tavole di Bartolo di Fredi o di Taddeo di Bartolo: sitratta di un atteggiamento costante che, come tale, non èreperibile in altre aree della regione. Che non si possa par-lare di dipendenza è evidente se si considera in particolareil caso di Orvieto, che nella prima metà del secolo si rivol-ge a Siena per assicurarsi l’opera dei migliori artisti, da Si-mone Martini ai maestri di legname del coro della Catte-drale; ma che da circa il 1360 alla fine del secolo disponedi un gruppo di «suoi» pittori, come Ugolino di Prete Ila-rio, Cola Petruccioli e Piero di Puccio, ai quali si devonoriconoscere gli incisivi caratteri di una vera e autonomascuola. Li accomuna un gusto largo e colorito del racconto,sostenuto da un disegno forte, di grande evidenza espressi-va: un linguaggio per eccellenza comunicativo, che vor-remmo chiamare gotico pur in assenza del repertorio diforme e di artifici che di solito si annettono a quella defi-nizione. È certo, comunque, che Orvieto assurge in quegliultimi decenni del secolo al grado di centro tra i piú vitalidell’Italia mediana, dotato di un notevole potere di irra-diazione, non solo in aree finitime (Narni, Todi) e versoPerugia, Assisi, Spello e Foligno (con Cola Petruccioli), maanche verso il territorio senese e in genere la Toscana (conPiero di Puccio a Cetona e a Pisa). La pittura orvietana co-stituisce inoltre un punto di riferimento importante pervalutare i caratteri che il tardogotico assumerà nella prima

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metà del Quattrocento in alcuni centri della regione: ciòvale anzitutto per la personalità artistica che, anche perl’abbondanza di opere giunte fino a noi, è tra le piú note,cioè l’eugubino Ottaviano Nelli.Anche per il Quattrocento i confini regionali si rivelanoinadeguati alla comprensione dello svolgimento reale dellevicende artistiche. L’abbondante materiale riunito sotto ilnome di Giovanni di Corraduccio interessa l’intera vallecentrale umbra e numerosi centri delle attuali Marche, daVisso a Camerino, da Treia a Massa Fermana a Fabriano.Per Giovanni di Corraduccio e per il Maestro della Dormi-tio di Terni si può proporre, parafrasando il Longhi, il ter-mine di «tardogotico umbratile» per designare una ten-denza di inizio secolo che non riguarda solo l’U e che oc-corre tenere distinta dalla grande ondata gotica che neglistessi anni si sviluppa tra Fabriano, San Severino e Gub-bio. In generale l’U si trova ben dentro quella circolazionetra Padania e Appennino centrale per via adriatica, attra-verso la quale si avvia e si sviluppa con esiti straordinari ilgotico tardo nell’intero quadrante italiano. Innanzitutto, èquesta la mappa degli itinerari di Gentile e dei veneziani;ma non mancano indizi forse minori ma ugualmente signi-ficativi: Luca da Perugia era nel 1417 a dipingere in SanPetronio; viceversa, proprio allora un maestro bolognesedi cui nulla rimane, Francesco di Giambono, abitava a Fo-ligno e nel 1412 era in rapporti con Giovanni di Corraduc-cio. Questa relazione tra nord e centro è resa vitale da unavasta gamma di consuetudini o di occasioni: l’intrecciodelle parentele signorili, la mobilità innanzitutto degli arti-sti, ma poi anche dei religiosi in trasferta, dei capitani inspedizione, dei dottori e degli studenti da studio a studio,il fascino esercitato dai piccoli oggetti che viaggiano facil-mente, non solo i messali e i libri d’ore o di cavalleria chedaranno fama europea all’ouvraige de Lombardie, ma anchei reliquiari o le scatole da viaggio o da toeletta; senza di-menticare i nuovi messaggi che giungevano attraverso lamoda delle stoffe, degli abiti e delle acconciature. È evi-dente che soltanto se gli studi saranno in grado di gettarenuova luce sull’articolarsi di quegli scambi, potranno chia-rirsi anche modi e circostanze della prima formazione diGentile – e del suo viaggio nel Nord – e di Lorenzo Salim-beni.Un altro collegamento importante, anch’esso di lunga du-rata, è quello con Siena e con Firenze. All’aprirsi delQuattrocento, l’eredità lasciata dai grandi pittori fiorenti-

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ni e senesi (e, del resto, anche dagli umbri) ad Assisi faparte della cultura dei pittori umbri. Per il consolidarsi diorientamenti gotici, alle opere di Simone Martini ad Assisie ad Orvieto occorre riconoscere una particolare importan-za. Inoltre numerosi centri dell’U importavano calici e re-liquiari da Siena e gli orafi umbri si formavano sul magi-stero senese: gli esempi, spesso di alta qualità, superstiti aPerugia, Gualdo Tadino, Montecolognola, Spello, Todi,Orvieto, rispecchiano questa propensione intensa e co-stante. Se si riflette sulla importanza e sulla varietà, in U,di strati culturali, per dir cosí, di preparazione al goticotardo, si può restare delusi dalle limitate conseguenze chepossono registrarsi almeno per i primi due decenni in buo-na parte della regione: infatti non è certo il caso di parlaredi un nuovo brivido nella percezione del naturale, né di unlirico abbandono alla forma musicalmente delineata. Inuna parola, i messaggi di Valle Romita e di San Lorenzo inDoliolo trovano difficoltà ad essere recapitati nell’U cen-tro-meridionale nonostante l’arrivo della Madonna di Gen-tile, ancor piú bella dopo il recente restauro, a Perugia(l’affresco di Orvieto è piuttosto tardo) e di opere del co-smopolita Zanino di Pietro a Fonte Colombo (Rieti) e aGubbio e nonostante la presenza di Lorenzo Salimbeni co-me frescante a Perugia e a Norcia. Una piú o meno auto-rizzata baldanzosità «internazionale» si trova in opere del-l’eterogeneo catalogo di Giovanni di Corraduccio come legrisailles con Le età dell’uomo in Palazzo Trinci a Foligno,tenuto anche conto delle devises in francese. Anche nellaserie posta sotto il nome del Maestro della Dormitio (aTerni, Spoleto, Trevi, ecc.) un’opera presenta inflessionipiú marcatamente gotiche, cui forse non è estranea l’azio-ne di Gentile. Si tratta delle tre tavole (Roma, Pinacotecacapitolina; Philadelphia, coll. Johnson; Kreuzlingen beiKonstanz, coll. H. Kisters) che in origine costituivano untrittico, la cui iconografia rende proponibile una prove-nienza dalla chiesa francescana di San Bartolomeo pressoFoligno e il cui stile concorda con quello di uno dei piú in-tensi affreschi della stessa città, cioè la probabile raffigura-zione della Vocazione della beata Angelina nella cappelladel monastero di Sant’Anna. Per questo tratto iniziale delsecolo si può parlare di appartenenza puramente anagrafi-ca allo stile «internazionale», tradita dall’impiego di qual-che vocabolo, piú che dal possesso del linguaggio. In que-sto senso, la geografia del fenomeno, che coinvolge anchele Storie cavalleresche di recente emerse nella camera pinta

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della Rocca di Spoleto, si allarga alla valle del Nera (affre-schi con il Martirio di santa Lucia e l’Annunciazione in SanFrancesco di Vallo di Nera; affreschi con Storie di sant’An-tonio abate in Sant’Antonio a Cascia) e nei vicini territorimarchigiani (affreschi con il Calvario nel monastero diSanta Chiara a Camerino e con Sposalizio della Vergine, unProfeta e Annunciazione nel braccio sinistro del transettoin Sant’Agostino a Fermo); e a comprendere personalitàdiverse e minori come il Maestro del 1409 a Narni, i fre-scanti protoquattrocenteschi della tribuna del Duomo del-la stessa città e anche le molte cose raggruppabili sotto ilnome di Bartolo da Spoleto.Passare dalla vallata centrale – e dall’Appennino che lachiude verso Oriente – al nord dell’U, all’eugubino e al vi-cino territorio altotiberino è come cambiare regione. Ciòsi deduce anche dal meccanismo di crescita di OttavianoNelli, che dopo il compassato polittico di Pietralunga en-tra, abbastanza rapidamente, con il ciclo delle Storie dellaVergine in San Francesco a Gubbio, in pieno gotico inter-nazionale e piú tardi, nelle Storie della Vergine affrescatenella cappella del Palazzo Trinci a Foligno (1424), in unatra le varianti piú sovraccariche del nuovo stile. Occorrericordare che Gubbio e Fabriano appartengono allo stessosettore della dorsale appenninica, che li rende insieme se-parati e contigui; Vasari, inoltre, parla di lavori eseguiti daGentile a Gubbio e a Città di Castello. Ammaestrato daGentile ma anche da Lorenzo Salimbeni, il Nelli dové ave-re conoscenza diretta anche di esempi di imagerie lombar-da ma anche francese, in particolare di miniature, ai cuirepertori rimandano anche i fondi a stelle e a nido d’apeche egli adopera di frequente. Come la sua formazione, co-sí anche il suo successo ebbe corso lungo quella fascia um-bro-adriatica che è la vera «regione» di tanta pittura delQuattrocento, da Gubbio a Rimini, Foligno, Urbino, Fa-no, Città di Castello. Molte analogie con la vicenda delNelli presenta quella di Antonio Alberti da Ferrara, delcui lavoro in alto Tevere ebbe nozione anche il Vasari. Siesprime anche lui in gotico tardo, ma nella variante pada-na che ha origine negli affreschi della cappella Bolognini;il suo principale mentore in U fu Braccio da Montone, ilcondottiero strettamente legato a Corrado Trinci, patronodel Nelli a Foligno; come l’eugubino, come Arcangelo diCola (tra l’altro, anche lui a Città di Castello nel 1416) ecome piú tardi Bartolomeo di Tommaso, è un vero cam-pione di mobilità lungo l’itinerario che allacciava il cuore

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dell’U alle signorie di qua e di là dell’Appennino, ai centriadriatici e infine alla pianura padana, a Bologna e a Ferra-ra. Tuttavia, i maestri in U di calligrafia gotica non sononé il Nelli né l’Alberti: occorre cercarli tra gli anonimi chenel Palazzo Trinci di Foligno eseguono probabilmente cir-ca il 1424 gli affreschi della Sala degli Imperatori, dellaLoggia e della Sala delle Arti e dei Pianeti; e, grazie al re-centissimo ritrovamento, anche tra gli altri anonimi cui sidevono i brani piú alti delle Storie cavalleresche e delle sce-ne allegoriche, come la Pesca nella peschiera, che ornano lacamera pinta della Rocca di Spoleto. Nelle parti migliori dientrambi i cicli si avverte una declinazione del gotico insenso internazionale, che già nella scelta dei temi cavalle-reschi e allegorici sottintende modelli settentrionali. Ciòha già trovato solide basi storiche, per la Foligno dei Trin-ci, nelle parentele contratte con gli Estensi, i Rangoni, gliSforza e, attraverso i Varano, con i Malatesta e i Visconti;nell’appartenenza politica al disegno visconteo di suprema-zia; nell’arrivo dal nord di mercanti, pittori, umanisti.Niente di piú naturale, dunque, che i pittori del Trinci ab-biano rivolto il loro interesse verso l’area che potremmodefinire non solo gentiliana, ma gentiliana-pisanelliana, ta-le cioè da comprendere opere – tra Veneto e Lombardia –la cui datazione non dovrebbe superare il 1420 e caratte-rizzate da uno stadio di gentilismo che richiama quell’en-tità ancora misteriosa che è Pisanello giovane. In ogni ca-so, la radice gentiliana è comune sia agli affreschi di Foli-gno sia a quelli della Rocca di Spoleto.I due cicli costituiscono le due piú importanti testimonian-ze in U della decorazione di soggetto profano in ambito digotico internazionale, ma in un quadro regionale che dove-va essere ben altrimenti ricco. In particolare, sorprende lapovertà di testimonianze pittoriche a Perugia che in que-sta fase culturale, coincidente tra l’altro con il dominio diBraccio, si arricchí anche grazie alla sua iniziativa di dipin-ti e di decorazioni murali purtroppo non giunti fino a noi.È dalle carte d’archivio che apprendiamo i nomi dei pitto-ri vicini a Braccio, non solo Antonio Alberti, attivo nellasua residenza di Montone, ma anche Baldassarre Mattioli,Pietro della Catrina, entrambi perugini, e a quanto pareanche Policleto, figlio di Cola Petruccioli, ai quali non èpossibile accostare con certezza alcuna opera. La perdita ègrave, tanto piú che i rari dipinti superstiti ci dànno un’i-dea piuttosto alta della cultura perugina di quegli anni. DiPolicleto fu socio per oltre un decennio Pellegrino di Gio-

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vanni, di cui è almeno nota un’opera, la Madonna firmatae datata 1428 (Londra, VAM), che lo rivela delicato inter-prete di Gentile; di stretta osservanza gentiliana è anche ilpolittico firmato da Lello da Velletri (Perugia, GNU), anco-ra una volta un pittore con un solo «pezzo» nel suo catalo-go; un’altra opera, il trittico del Farneto (ivi), tutt’ora sen-za nome, è ottima spia di una cultura quasi a mezza stradatra Perugia e Foligno, tra Braccio e i Trinci, tra realtà ecorte. Alcune di queste botteghe perugine, tra le quali eraanche quella, che sembra particolarmente attiva, di Maria-no d’Antonio, operano fino a gran parte della prima metàdel secolo, anche dopo l’arrivo a Perugia di Domenico Ve-neziano (1437).Da questo momento in poi, ancor piú marcatamente chenel periodo precedente, per le aree umbre si può ben par-lare di storie separate. L’apparizione di forme rinascimen-tali, e di «rinascimento umbratile» segue calendari diversinei centri della regione, nei quali, parallelamente, si estin-guono senza alcuna sincronia le simpatie per il gotico tar-do. Perugia – la Perugia dei Baglioni – è, come forse maiprima d’ora, il luogo piú pronto ad accogliere il nuovo e atrasformarsi. Domenico Veneziano dipinge nel 1437-38

per i signori di Perugia; quasi contemporaneamente arriva-no opere di Domenico di Bartolo e dell’Angelico e, appenavarcata la metà del secolo, di Filippo Lippi; il polittico diPiero ornerà l’altare del monastero di Sant’Antonio, pro-babilmente solo verso la fine del settimo decennio. Deltutto scomparsi gli affreschi di Domenico, la vitalità dellacultura locale rinnovata si manifesta in uno straordinariogruppo di pittori, già maturi e attivi in città negli anni invista del mezzo secolo: il camerte Giovanni Boccati e i pe-rugini Benedetto Bonfigli e Bartolomeo Caporali. La loroappartenenza a una generazione che aveva legami profondicon il gusto ormai al tramonto lascia tracce evidenti nelleloro opere e cosí la nuova maniera, venuta da Firenze, cheli conquista è, nella loro interpretazione, ornata e vagaquanto quella che l’ha preceduta nel rappresentare uominie donne, interni e paesaggi; ma, specialmente nel Boccati enel Bonfigli, un segno inconfondibile del nuovo linguaggioè nelle evidenze luminose dei toni delle stoffe, dei vicini elontani dei luoghi. Nella sua fase piú matura, segnata dal-l’iter prolungato e tormentato delle Storie di sant’Ercolanoe di san Ludovico nella cappella del Palazzo dei Priori (pri-mo contratto: 1454), il Bonfigli si rivela un profondo co-noscitore dell’arte di narrare e, nello stesso tempo, di leg-

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gere l’attualità che per lui si identifica in un corposo ri-tratto della sua città e dei dignitosi cittadini che la abitanoe la illustrano. È qui, soprattutto, da vedere la conquistabonfigliesca di un linguaggio sostanzialmente rinnovato,un «umanesimo perugino» nel gran concerto fiorentinodell’Angelico e soprattutto di Domenico e di Fra Filippo.Il legame tra Perugia e Foligno, fondato sulla amicizia traBraccio da Montone e Corrado Trinci, non sembra averséguito allorché quel presupposto viene a mancare. Comenel passato e come per gran parte dell’U centro-meridiona-le, il bacino culturale di Foligno ha i suoi assi nelle stradeappenniniche e trans-appenniniche. Si può dire che le suecoordinate geografiche coincidono con gli itinerari di lavo-ro di Bartolomeo di Tommaso: Ancona, Fano, Rimini, Ce-sena, Norcia, Cascia, Camerino, Terni. Se con Bartolomeoil gotico tardo di radice settentrionale raggiunge la suamassima estensione culturale senza perdere minimamentedi qualità, ciò si deve in gran parte al denso tessuto cultu-rale in cui il pittore si è formato e in cui si è svolto il suopercorso. Si tratta di una rete complessa, che sconfina dal-la Romagna verso Bologna e l’entroterra veneto interes-sando anche l’altra sponda dell’Adriatico, nella quale le re-lazioni di carattere artistico si intersecano con rapporti dinatura economica: ad esempio, il commercio del cuoio, cuiè legata la famiglia di Bartolomeo, aveva uno dei punti ne-vralgici ad Ancona, come del resto, sul versante tirrenico,a Pisa. Nel 1425 Bartolomeo frequenta ad Ancona la bot-tega di Olivuccio di Ceccarello, che era di Camerino, co-me Carlo e Arcangelo di Cola, e ha come condiscepolo undalmata, Giambono di Corrado; e a Norcia, molti anni do-po, nel 1442, quando è ormai maestro affermato, la suaéquipe comprende non solo il suo alter ego Nicola da Sie-na, ma il vecchio compagno dalmata, l’oltramontano Lucadi Lorenzo d’Alemagna e l’abruzzese Andrea Delitio. Perinciso, proprio il Delitio, cui appartiene l’unico resto del-l’impresa collettiva in Sant’Agostino di Norcia, potrebbenon aver lasciato subito l’U se, come sembra, la Fontana digiovinezza nella camera pinta della Rocca di Spoleto haqualcosa a che fare con lui. È lungo itinerari di attraversa-mento dal centro verso oriente, ma anche verso nord, neicrocevia appenninici, che si formano e son messe alla pro-va queste mobili e solide botteghe «interetniche», nel cuilinguaggio diffuse inflessioni tardogotiche convivono conintensi accenti espressivi, quasi in sintonia con l’infiamma-ta oratoria religiosa del tempo, ma anche con interessi per

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qualità di struttura e di modellato, incomprensibili se nonsi ammette una viva sensibilità per le novità fiorentine. Inparticolare Bartolomeo di Tommaso giunse ad esiti di sin-golare forza dell’immagine, che è anche forza del raccontoe, ancor piú, del discorso; tanto da meritare commissionidi grande prestigio, come la decorazione della cappella diMonaldo Paradisi nel San Francesco di Terni, suo capola-voro e uno dei vertici della pittura di metà secolo in U, edi alcuni ambienti del Campidoglio e dei Palazzi Vaticani,regnante Nicolò V, di cui nulla rimane.La stagione tardogotica si prolunga per buona parte del se-colo a Spoleto, nella valle del Nera e nel Nursino. A que-sta temperie appartengono pittori forestieri come Cola diPietro da Camerino, attivo a inizio secolo a Vallo di Nera,o locali, come gli epigoni del Maestro della Dormitio diTerni e, ormai nel Quattrocento inoltrato, il Maestro diEggi (forse un Arcangelo di Giovanni da Spoleto) e Barto-lomeo da Miranda; infine i frescanti di Santa Scolastica aNorcia e, ormai nell’area di Bartolomeo di Tommaso, Ni-cola da Siena, gli Sparapane da Norcia e molti altri, tuttipittori dell’Appennino, la cui formula – tra ex voto e orna-mento – ebbe talvolta successo anche fuori casa (affreschidegli Sparapane e Tuscania, o di Campilio da Spoleto aSpelonga, nella valle del Tronto). In una di queste aree ap-penniniche, tra Preci e Norcia, si costituisce fin dal Tre-cento una singolare tradizione di cultura fiorentina, chespiega l’afflusso in quella zona di opere di Raffaello di Ja-copo Franchi, del Maestro della Madonna Straus, di Ma-riotto di Cristofano e poi anche di Neri di Bicci, Piero diCosimo, Filippino Lippi: opere importate non via Perugia,come ci si potrebbe aspettare, ma direttamente da Firen-ze, dove per lunga consuetudine gli abitanti della ValleOblita e della Valle Campiana emigravano stagionalmenteper lavorare alle poste e alle dogane.In un quadro cosí differenziato di aperture, relazioni, rea-zioni, anche di piccola scala, fu particolarmente ricca diconseguenze la fortuna occorsa, soprattutto tra Foligno eMontefalco, alla pittura dell’Angelico e del suo allievo Be-nozzo. Per quanto riguarda l’Angelico, si tratta in sostan-za di proiezioni del suo cantiere vaticano prima a Orvieto,poi in quest’area piú centrale; quel cantiere in cui si formaanche il Gozzoli, che si fa luce in U fin dal 1447 e nel1450-52 lavora a Montefalco per la sua prima opera digrande impegno, gli affreschi in San Francesco e, tra l’al-tro, per la pala di San Fortunato (Roma, PV). Queste opere

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mostravano ai contemporanei un linguaggio sostanzial-mente nuovo per quest’area, cui il pittore era giunto gra-zie all’esempio dei grandi fiorentini, non solo l’Angelico,ma anche Domenico Veneziano e il Lippi. Fu questo, dun-que, un nuovo afflusso in U di arte fiorentina rinnovata,terzo in ordine di tempo dopo quelli segnati dalla presenzadi Domenico a Perugia e dell’Angelico con i suoi a Orvie-to: questa volta però proprio nel cuore della regione. Lasua importanza per gli artisti locali fu certo in ragione del-la grande cultura che le opere di Montefalco riflettevanoma anche di caratteri particolari che vi si potevano scopri-re, ad esempio accentuazioni e, inversamente, cedevolezzedella sensibilità, di una specie che troviamo intensamenteaffine nel Boccati e nel Bonfigli. Siamo poco oltre la metàdel secolo e per vie diverse cresceva dunque l’attrazioneesercitata da Firenze. Da Foligno Bartolomeo di Tommasoè partito da pochi anni per le rilevanti imprese di Terni edel Vaticano, quando un gruppo di artisti presumibilmentegiovani decora la cappella già dei Trinci in Santa Maria inCampis con affreschi che restano, insieme con gli affreschimigliori della cappella di Pietro dalle Casse nella stessachiesa, il capolavoro locale di un delicato e intensamentevissuto sperimentalismo filoangelichiano. Primo responsa-bile ne fu certamente Nicolò di Liberatore (chiamato daVasari l’Alunno), almeno per la prima cappella, perché nel-la seconda agisce un altro artista ancora senza nome, beneaffiatato con Nicolò e forse suo compagno nei viaggi distudio a Cortona e a Firenze. Nel clima aperto da questa«avanguardia» folignate è da leggere un’opera che appar-tiene a un’altra area, cioè sei tra i busti degli Apostoli afresco dipinti per la chiesa di San Michele nell’Isola Mag-giore del Trasimeno, insieme con un grande Crocifisso.Nella sua prima fase l’Alunno è conquistato dall’Angelico,un modello che rende naturale l’interesse per quanto Be-nozzo aveva lasciato a due passi da Foligno; nelle Marcheda lui frequentate queste attitudini sboccano poi in unastrada battuta anche da veneziani come i Vivarini e il Cri-velli, con reciproche conseguenze; piú tardi si deve regi-strare quasi un ripiegamento primitivistico a sfondo pate-tico, che in un certo senso prepara la fase finale, ormai inparallelo con cose toscane tra Signorelli, Verrocchio e Pol-laiuolo.Attorno all’Alunno, fin dalle sue prove giovanili, ruota ungruppo di pittori, noti talvolta solo attraverso i documentie ai quali è arduo riferire opere anonime che pur dimostra-

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no la vitalità dell’area folignate anche nella seconda metàdel secolo. Molto attivo fu Pierantonio Mezastris, che dif-fuse la sua formula benozzesca anche in altri centri, ad As-sisi e a Narni (che negli stessi anni importa anche operedel Vecchietta e del Ghirlandaio); una personalità caratte-ristica dello stesso clima, ma dotata di una sua aspraespressività, è Matteo da Gualdo, il cui campo d’azionecoincide con la valle del Chiascio, ove giungono ancheopere di camerti – tra le quali poco dopo il 1460 il politti-co di Girolamo di Giovanni, oggi a Brera, intreccio digrande cultura centrale e settentrionale – e fabrianesi,quasi solo a Montefalco si trovano le opere, tutte murali,di Jacopo Vincioli da Spoleto, pratico di forme benozze-sche e di caratterismo alunnesco. Proprio Spoleto è, alloscadere del settimo decennio, teatro di un nuovo avveni-mento artistico: un altro, grande apporto fiorentino in U,l’ultimo, anzi, a cui riferire conseguenze di rilievo. Si trat-ta della decorazione dell’abside della Cattedrale eseguitada un’équipe diretta da Filippo Lippi, che morirà senzaaverla vista del tutto compiuta. Un recentissimo restauroha messo ancor piú in risalto la qualità tutt’altro che stan-ca dell’opera, che continuò ad essere proposta come inelu-dibile modello ancora avanti nel Cinquecento in opere del-lo Spagna, di Giovanni da Spoleto e di Jacopo Siculo. Ac-canto al Lippi era Piermatteo d’Amelia, che quattro annidopo è forse fra i pittori dei Miracoli di san Bernardino eche nelle opere in cui è maestro autonomo, prima fra tuttel’Annunciazione di Amelia, oggi a Boston, mette a fruttol’insegnamento lippesco rivelandosi contemporaneamenteesperto di spazialità luminosa pierfrancescana.Ma è nel particolare contesto perugino, proprio della cul-tura di una città gelosa della sua identità – l’ultima in U alasciarsi assimilare nello Stato pontificio –, che viene co-niata nell’ultimo trentennio del Quattrocento un’arte delrappresentare che acquisterà rinomanza universale: unostile che, idealizzando insieme figure e paesaggio, li accor-da in un giuoco di ritmi semplici e studiati e li intride diuna luce alta e serena. La storia dell’arte, dimenticando lavaria e contrastante gamma di modi espressivi fioriti neisecoli in tanti luoghi della regione, ha a lungo identificatolo stile «Perugia 1500», rappresentato ad alto livello dagliaffreschi del Perugino al Cambio, come l’«arte umbra»per antonomasia. La fortuna di questo stile «umbro», checomprendeva anche il Pinturicchio e tanti seguaci e imita-tori, si legò e sarà per lungo tempo legata anche alla sua

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applicazione decorativa nell’intaglio e nell’intarsio ligneo,nelle stoffe e, soprattutto, nella maiolica, in primis in quel-la di Deruta. Piú propriamente il processo formativo diquesta maniera, destinata a un grande successo, è caratte-ristico di un’area, come quella perugina, che tra le areeumbre si distingue per una lunga tradizione di attenzioneper l’arte della vicina Toscana. Le qualità della luce di Pie-ro e della linea del Verrocchio sono i fondamenti sui qualiil Perugino costruisce, con graduale elaborazione, il pro-prio stile; e a quei modelli si attiene l’intero gruppo di pit-tori impegnati nel 1473 nel ciclo dei Miracoli di san Bernar-dino, primo «manifesto» dell’arte perugina rinnovata. Sitratta di una congiuntura eccezionalmente vitale da cuiemergeranno il Perugino, il Pinturicchio, Piermatteo d’A-melia, Pietro di Galeotto ma anche altri di profilo tutt’oraincerto come Andrea d’Assisi e Santi di Apollonio. Moltidi essi si ritroveranno insieme nelle imprese vaticane affi-date al Perugino (1479-82) che dipingerà la cappella dellaConcezione nel coro di San Pietro e coordinerà, parteci-pandovi di persona, l’intera decorazione della Cappella Si-stina, avendo al suo fianco Botticelli il Ghirlandaio, Cosi-mo Rosselli e poi Signorelli e Bartolomeo della Gatta. IlPerugino è già allora tra i piú famosi maestri del tempo madi lí in poi la sua ascesa sarà irresistibile. La sua arte seppeinfatti corrispondere ad attese ampiamente diffuse di nuo-ve immagini, che nella scelta delle figure e nella loro com-posizione nel paesaggio – di cui il Vannucci è tra i primi ascoprire l’importanza nella complessiva espressività delquadro – trasmettevano un sentimento dolce della santità,dell’ascetismo, della castità e una misurata affettazione divirtú, ordine, equilibrio. Questo nuovo spazio formale edespressivo, universalmente subito riconosciuto, attinse talequalità da assurgere a scuola per il giovane Raffaello, chenelle opere dipinte per Perugia e per Città di Castello neiprimi anni del nuovo secolo ci appare in simbiosi con ilmondo peruginesco, quasi una natura cui egli sa già dareuna seconda anima. Si spiega anche cosí come a un vero eproprio «peruginismo» seguisse ben presto un «perugini-smo-raffaellismo», fenomeni entrambi diffusi ben oltre iconfini della regione, entro i quali il meglio di questo se-guito è rappresentato da Giannicola di Paolo, Giovan Bat-tista Caporali e Giovanni di Pietro detto lo Spagna.Quanto piú avanziamo nel Cinquecento, tanto piú parlaredi geografia artistica usando schemi locali perde progressi-vamente di senso. Divenuta interamente provincia dello

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Stato ecclesiastico l’U si colloca nell’orbita di Roma, aspi-rando a condividerne gli ideali d’arte, oltre che di costu-me, e partecipando alle sempre piú complesse dinamichedell’ambiente metropolitano di cui, per dir cosí, intercettai ricchi circuiti. Gli apporti locali non mancano di vitalità,ma si pensi, per fare un solo esempio, all’importanza deimodelli del Raffaello romano per Giovanni da Spoleto, perFrancesco Tamagni quando lavora con Giovanni ad Arro-ne (1516), per Jacopo Siculo e anche per i fratelli Torresa-ni, nei quali è da considerare però anche la cultura venetad’origine. Alcune presenze di grandi forestieri in U sonotroppo sporadiche per lasciar tracce di qualche consisten-za. Cosí è per il Rosso, fuggiasco dopo il Sacco a Perugia ea Città di Castello, o per il Pordenone approdato nella pic-cola Alviano per via dei rapporti del celebre Bartolomeocon la Serenissima: eppure il primo lasciò a Città di Ca-stello un’opera straordinaria come la cosiddetta Trasfigura-zione (e un’altra a San Sepolcro), il secondo un bell’affre-sco nella collegiata e fregi murali nel castello. L’arrivo diGiulio Clovio si deve invece all’investitura del suo patro-no Grimani come legato di Perugia, dove il grande minia-tore si trattenne a lungo, godendo anche di un beneficioecclesiastico a Torgiano. Si tratta dunque di un rapportotutt’altro che sporadico con un ambiente, in cui l’attivitàminiatoria, antica gloria di Perugia, avrà una felice stagio-ne nello scorcio del secolo, soprattutto per merito di Cesa-re Franchi detto il Pollino e di Vincenzo Pellegrini. Tor-nando agli apporti esterni, cui in questo secolo è da attri-buire un peso particolare, le maggiori commissioni di deco-razione sia ecclesiastica sia gentilizia, molto meglio cono-sciute grazie agli studi recenti, contemplano, solo in alcunicasi, la partecipazione del tutto minoritaria di personalitàlocali. È naturale che i Bufalini, da San Giustino, guardas-sero alla Toscana, ed ecco arrivare Cristofano Gherardi; lapiú importante impresa pittorica «palatina» del Cinque-cento in U, cioè l’affrescatura del piano nobile e della log-gia del Palazzo Vitelli a Sant’Egidio a Città di Castello, èaffidata a un’équipe di toscani (Circignani) e di bolognesi(Prospero Fontana, Orazio Samacchini, Cesare Baglione);a Castiglione del Lago, per i della Corgna, lavorano ancorail Circignani, il pesarese Giovanni Antonio Pandolfi e l’a-nonimo pittore di Diana e Callisto, che certo locale nonera; la Orvieto gentilizia è palestra di frescanti reclutati ingenere a Roma per la decorazione dei palazzi di città (co-me quello dei Monaldeschi) o dei palazzi di villa (come

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quello di Girolamo Simoncelli a Torre San Severo), ma vifigura dignitosamente un artista nato ad Orvieto, lo zucca-resco Cesare Nebbia. La rete dei rapporti con Roma, mol-to fitta perché sono numerosi gli umbri con responsabilitàdi uffici o con prestigio di cariche nella curia ovvero per-ché si tratta di grandi famiglie, umbre di feudo e romanedi residenza, spiega la maggior parte di queste scelte: cosíanche ad Acquasparta, dove i Cesi chiamano Giovan Bat-tista Lombardelli, un marchigiano attivo nella metropoli epoi anche a Perugia; e ad Amelia, dove decoratori di tardamaniera romana si spartiscono i fregi dei palazzi Petrigna-ni e Geraldini; a Terni, il conte Spada, per rievocare nelsalone la Giornata di Lepanto e la strage degli Ugonotti, sirivolge a un illustre fiammingo, Karel van Mander. L’arti-sta-biografo veniva da Roma come la maggior parte deipittori fiamminghi particolarmente numerosi in U anchecome residenti; nella stessa Terni da un attento esame del-le opere e dei documenti sono emersi anche Marten Stel-laert, attivo anche a Narni, e Gillis Congnet; gli Altempsper la loro casa di Calvi si servirono di un fiammingo, for-se Cornelis Loots; Todi, Spello e Montone si procuranoper le loro chiese tele, rispettivamente, di Hendrick deClerk, Frans van de Kasteele e Denis Calvaert; Perugiaospita una vera colonia di Fiandra, di cui fanno parteHendrick van den Broeck e Jan Wrage. I dipinti che resta-no in U costituiscono spesso «la base per la ricostruzionedi personalità di pittori fiamminghi dei quali la decisivaesperienza italiana non era documentata da opere e nellostesso tempo aprono fra le quinte inediti punti di osserva-zione sulla grande scena romana» (G. Sapori).Sia protagonisti, sia comprimari di quella scena ricevonoimportanti commissioni per dipinti di soggetto sacro, mal’opera di Muziano a Foligno e di Siciolante a Terni è an-data perduta, mentre ancora molto resta a testimoniare iripetuti impegni tra Amelia, Narni, Terni di Livio Agresti,che ad Amelia aveva casa, e del Circignani in alto Tevere ea Foligno. Lungo tutto il secolo, iniziative di respiro parti-colarmente ampio chiamano a raccolta forestieri di variastatura e, insieme, qualche artefice locale. Ciò era già av-venuto nella prima metà del secolo nella decorazione del-l’Appartamento Crispo nella Rocca di Paolo III a Perugia,purtroppo perduta, che col Gherardi rifletteva qualche no-vità fiorentina, mentre introduceva timide varianti di raf-faellismo e michelangiolismo, in cui si provavano Raffaelli-no del Colle, Lattanzio Pagani, il Papacello e Dono Doni.

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L’unico umbro è il Doni ma ai suoi compagni spetta un di-ritto di cittadinanza per la loro frequente presenza nellaregione. In particolare le numerose opere che Raffaellino,che del resto era dell’alto Tevere, dipinse per Città di Ca-stello e per altri centri vicini continuano una tradizionecomune alle aree di confine tra l’U «romana» e la Toscana«medicea». Se per una simile cerchia c’è un nume tutela-re, questo era Vasari che del resto proprio per Città di Ca-stello e per Perugia prestò la sua opera di architetto e dipittore. Un altro arrivo da segnalare negli stessi anni aCittà di Castello è quello di Cola dell’Amatrice, chiamatoa decorare il Palazzo Vitelli alla Cannoniera. I decennisuccessivi vedono la diffusione anche in provincia dellacultura figurativa sviluppatasi a Roma e a Firenze in unaatmosfera di esaltante emulazione tra gli interpreti deigrandi modelli raffaelleschi e michelangioleschi, dal Sal-viati al Tibaldi allo stesso Vasari. Perugia ha un appassio-nato osservatore di questi importanti sviluppi in GirolamoDanti, che ne dà ottima testimonianza negli affreschi dellasagrestia di San Pietro (1574).Ma tornando all’U meridionale e centrale e superando dinuovo la metà del secolo le due piú rilevanti iniziative ri-guardano la trasformazione o la costruzione di due grandiedifici sacri, ormai nello spirito tridentino: a Orvieto ilgrandioso arredo unitario dell’antica Cattedrale, ad Assisil’edificazione attorno alla Porziuncola di un solenne san-tuario moderno. Dell’arredo delle navate del Duomo diOrvieto, la cui realizzazione si protrasse a lungo, dopo ilrestauro purista del secolo scorso restano le statue degliapostoli, una serie monumentale cui lavorò anche il Mo-chi, e le grandi pale d’altare: le une e le altre rimosse nelcorso del ripristino ottocentesco, poi museificate e oggi,piú semplicemente, immagazzinate. Una sorte lamentevolese si pensa che, per le pale, erano stati convocati il Muzia-no, Federico Zuccari, il Circignani, Hendrick van denBroeck e il Nebbia, unico genius loci: un’antologia diquanto di meglio offriva la cultura romana nel terzo quar-to del secolo. Se vi aggiungiamo il Barocci, che nella regio-ne è rappresentato da un’opera capitale come la Deposizio-ne del Duomo di Perugia (1569), dobbiamo riconoscereche nell’insieme il patronage umbro teneva bene il passocon i tempi. La seconda, rilevante impresa in campo reli-gioso, cioè la costruzione di Santa Maria degli Angeli pres-so Assisi, avviata nel 1569, procedette cosí lentamente chequando sul finire del secolo si affrontò il problema della

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decorazione pittorica, i migliori artisti della «piazza» ro-mana, da cui normalmente l’U si riforniva, erano stati tut-ti mobilitati per l’imminente giubileo. Se ne avvantaggia-no le botteghe umbre e, in genere, non metropolitane. DaPerugia arrivano svelti decoratori, formatisi su testi baroc-ceschi e di tarda maniera; lo studio urbinate del Baroccimanda un’Annunciazione. Ma anche a Seicento ormaiaperto, la gamma degli artisti è qui piú ampia che altrove:da Roma, ormai «raffreddata», giungono Baldassarre Cro-ce e Antonio Pomarancio e perfino il Pomarancio maiormanda una grande pala; ma accanto a loro si vede VenturaSalimbeni, di recente attivo a Perugia, donde arriva il ba-roccesco Ciburri, mentre a un altro umbro, Cesare Sermei,viene affidata un’intera cappella. Non si può infine dimen-ticare un’altra impresa di fine secolo, certo meno impo-nente, ma decisamente insolita: l’intero nuovo arredo pit-torico di una cattedrale – pale d’altare e affreschi – affida-to a un solo artista. Il vescovo di Todi Angelo Cesi ne det-te l’incarico a Ferraú Fenzoni, che lavorò a Todi per alme-no cinque anni trasformando il Duomo in una singolareesposizione personale, purtroppo travolta nel nostro secolodal purismo della cultura degli uffici.È da questo momento, con l’aprirsi dell’età post-tridenti-na, che si può parlare di un vero e proprio monopolio diRoma. Con caratteri complessivamente molto piú unifor-mi che nel secolo precedente, si presenta, nel Seicento, latendenza all’omologazione del modello metropolitano: fe-nomeno destinato a una cosí lunga stabilizzazione da con-sigliarci in questa sede, per i secoli dal Sei all’Ottocento,un trattamento decisamente sommario. È ormai un datodel tutto prevedibile la presenza maggioritaria di artisti edi opere provenienti da Roma o derivati direttamente damodelli romani. Tuttavia, nel suo complesso, questo uni-verso è nel Seicento cosí capillarmente attivo, che la situa-zione regionale non si rivela tessuta solo di forze umbre edi prevedibili immigrazioni, ma registra, spesso anche inluoghi minori ed eccentrici, arrivi inaspettati. Per la parteumbra, artisti dell’ultima generazione cinquecentesca co-me Ascensidonio Spacca da Bevagna, Michelangelo Braidida Narni e Felice Damiani da Gubbio hanno in comune latendenza a un’interpretazione astrattiva e quasi incisoriadelle grandi fonti cinquecentesche romane, dagli Zuccari aBarocci. Il Sermei, attivo soprattutto ad Assisi, accostasintetismi di specie diversa – quello del Nebbia «riforma-to» e quello dei primitivi umbri, dagli antichi fino a Dono

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Doni – a una ruvida passione per il naturale. All’aprirsidel Seicento, seduzioni di tarda maniera e naturalismo sicompongono, come avviene anche altrove, con esiti piú di-sinvolti ma con connotazioni legate all’azione di modelliparticolarmente fortunati nella regione. A Perugia, checontinua ad essere il centro piú attivo, Vincenzo Pellegrinie Giulio Cesare Angeli, eredi diretti del Barocci «perugi-no», hanno però esperienza anche di novità bolognesi,mentre Giovanni Antonio Scaramuccia, quasi un creato diCristoforo Roncalli, incontra sulla sua strada anche natu-ralisti del tipo di Baglione; analoghe oscillazioni e combi-nazioni si notano in Anton Maria Fabrizi, nell’insieme piúin sintonia con il classicismo – di cui il Camassei, mevana-te a Roma, è un buon comprimario –, e nel tuderte An-drea Polinori, attratto dagli addolcimenti del caravaggismocaratteristici della Roma del secondo e del tardo decennio;anche l’assisiate Giacomo Giorgetti parte dal Roncalli, cuisi sovrappone un baldo protobarocco alla Lanfranco. Con-tinuano gli scambi di qua e di là dell’Appennino: Damiani,Angeli, Fabrizi, Giorgetti lavorano anche nelle Marche; ilGuerrieri, che aveva molto da insegnare in fatto di primonaturalismo, manda quadri a Perugia e a Foligno. Contem-poraneamente, gli invii o gli arrivi di artisti da Roma sonocosí frequenti da non poter essere qui nemmeno elencati.Si tratta di un fenomeno di ordinaria irradiazione, desti-nato a durare fino al secolo scorso e di cui un aspetto im-portante, forse meno noto, è costituito dalla presenza in-numerevole di opere romane anche di alto livello (Domeni-chino, Poussin, Albani ecc.) nelle maggiori gallerie private:e con un risultato complessivamente cosí pieno da giustifi-care l’affermazione che, con l’eccezione di Caravaggio,l’intero corso della pittura romana, tra naturalismo, classi-cismo, barocco e relative varianti, era e in parte è tuttorarappresentato in U, talvolta con testimonianze di raro in-teresse (Annibale Carracci e Serodine a Spoleto, Riminaldiad Assisi, Orbetto a Trevi, Pietro da Cortona a Perugiaecc.); pale del Reni e del Guercino giunsero da Bologna e,nell’«isola fiorentina» presso Norcia, qui già segnalata, te-le d’altare di Filippo Napoletano e del giovane FrancescoFurini; un compromesso fra maniera e riforma naturalisti-ca, particolare variante napoletana elaborata dall’oriundoumbro Ippolito Borghese, s’era già visto a Perugia e a Ter-ni. Anche piú sorprendenti gli arrivi di opere non italianecome i dipinti del fiammingo-bolognese Denis Calvaert aMontone, del rarissimo francese Jean Lhomme a Nottoria

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(Norcia) o dello straordinario autore della Bottega di sanGiuseppe a Serrone (Foligno), un nordico di cosí alta qua-lità da reggere l’ipotesi di una identificazione con il giova-ne Georges de La Tour.Se ci poniamo da questo punto di vista, possiamo osserva-re che piú avanti nel tempo le sorprese di questo tipo si ra-refanno fino a scomparire. Nel tardo Seicento e nel Sette-cento tuttavia, grazie all’intraprendenza di vescovi diestrazione romana o di umbri ben sistemati negli ufficidella curia, il raccolto da Roma non fu affatto di secondopiano. Anzi, per studiare a dovere gli artisti della metro-poli, compresi alcuni stranieri, la visita in U può diventareobbligatoria: ciò vale, ad esempio, per il Brandi, il Troppa,il Gherardi, Louis Dorigny, Lucas de la Haye, EberhartKeil, G. A. Carlone, e nel Settecento, almeno per il Trevi-sani, il Mancini, il Subleyras, il Giaquinto, il Benefial, ilCades, il Leopardi. Ci si può domandare se nei pittori um-bri rimangano tratti riconoscibili delle tradizioni locali.Nelle opere di Francesco Allegrini, Giandomenico Cerrinie Luigi Scaramuccia, il cui percorso si svolse quasi intera-mente fuori dell’U, avrebbe un esito incerto il tentativo diseparare dalla ricca gamma di caratteri assimilati (nelloScaramuccia anche padani e lombardi) eventuali persisten-ze tradizionali. Si tratta di una nota tendenza mimeticatanto piú evidente quanto piú la qualità inseguita dal pit-tore e ricercata dal committente equivale a un linguaggiouniversalmente apprezzato, in cui le inflessioni locali, al-meno nel senso che a questa espressione si annette perepoche piú antiche, sono mal tollerate. Avrebbe sempremeno senso, ad esempio, designare come umbro l’acuto ta-lento grafico del perugino Carlo Spiridione Mariotti o ilrococò e poi lo stile impero nella brillante opera decorativadel folignate Liborio Coccetti o il quadraturismo e il ro-cocò del perugino Carattoli e dell’anconitano-peruginoFrancesco Appiani, nonostante che questi ultimi abbianooperato quasi solo in U. Viceversa, qualcosa che potrebbeessere definito come lascito di una remota tradizione sitrovava in pittori umbri «residenti» del tardo Seicento,come il Mattei, il Refini, il Providoni – quest’ultimo dinascita bolognese – e il Boccanera sotto forma di caratteri-smi e accentuazioni espressive.L’ultimo tentativo di ricostituire una cerchia, un cenacolodi artisti in cui potesse riconoscersi la cultura della città edella regione viene compiuto a Perugia, durante la brevestagione tra Sette e Ottocento, dopo la rinascita dell’Acca-

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demia per merito di Baldassarre Orsini. I risultati in ter-mini di realizzazioni pittoriche non furono esaltanti, mal’Accademia, promuovendo iniziative nel campo dell’arte eattirando a Perugia allievi, maestri e aggregati, svolse unaimportante funzione culturale e allargò l’orizzonte degliinteressi locali verso un gusto, come quello neoclassico, didimensione europea e, dopo la restaurazione, verso le ten-denze puriste e primitiviste. Nei decenni a cavallo del1800 si avverte un risveglio di interessi decisamente up todate anche nella élite gentilizia. I Connestabile chiamanoFelice Giani, allora molto in auge con il suo eclettismo ro-mano-bolognese, per la decorazione di un appartamento epiú tardi, quando la linea piú rigorosamente antichizzantedel neoclassicismo si era ormai imposta, la sala ovale delPalazzo Baglioni accoglie opere di Gaspare Landi e Vin-cenzo Camuccini. Tutto concorreva a rendere sempre piúesclusivo il nuovo gusto. L’Accademia aggrega TeresaMengs, poi Camuccini e il Wicar, che rimarrà a lungo inrapporto con la società perugina. Artisti, intellettuali e an-tiquari di Spoleto e di Perugia, come Pietro Fontana eGiovan Battista Vermiglioli, giurano tutti per il verboneoclassico; naturalmente per molti di loro il massimopunto di riferimento è Canova, che tra l’altro per le vacan-ze sceglierà una città umbra, San Gemini. Per dirigerel’Accademia e per gli insegnamenti principali si cerca nel-l’ambiente romano. Da lí vengono Carlo Labruzzi e, pocodopo, il Minardi che prepara la leva purista discettando,giovane com’è, dell’Invenzione nelle opere di Pussino e diRaffaello; a continuare la sua opera a Perugia saranno arti-sti, come il romano Silvestro Valeri, usciti dalla sua scuola,frequentata da piú generazioni di pittori umbri, come Gio-vanni Catena, Vincenzo Barboni, Girolamo Leoncilli,Giuseppe Sereni e, comunque, inevitabile polo di attrazio-ne per molti altri, da Vincenzo Chialli a Eliseo Fattorini.Potrebbe essere un grande momento per loro, ora che ipittori umbri del Quattrocento sono al vertice della scaladel gusto, ma si tratta ormai di modelli universali, rispettoai quali nessuno può vantare una maggiore legittimità didiscendenza. È l’U come terra del Perugino e di Raffaellogiovane, come insieme di luoghi memorabili dell’arte cri-stiana, che polarizza l’attenzione delle cerchie intellettualieuropee uscite dalla restaurazione. Già da molti anni iltour dei pittori, e non solo dei pittori, tedeschi, inglesi,francesi includeva Assisi, Orvieto, Spoleto, Terni, Narni,soste quasi fisse in un paesaggio esemplare per chi cercava

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alte presenze di natura e di storia. Quando il gusto siorienta decisamente in senso puristico e medievalistico, aPerugia si costituisce un vero e proprio cenacolo di tede-schi e in genere di nordici, che frequentano la villa di Ma-rianna Florenzi, ritratta dal Thorvaldsen, e casa Zanetti.Episodio caratteristico del nuovo clima è la distruzione,nel 1829, dell’affresco del seicentista assisiate GirolamoMartelli sulla facciata della Porziuncola per far posto a unintervento dell’Overbeck. Questi parteciperà insieme conCesare Mariani e con altri pittori perfettamente affiataticon il loro gusto alla decorazione con tele e affreschi dellachiesa della Madonna della Stella presso Montefalco, che,anche se realizzata sul finire degli anni Sessanta, costitui-sce insieme con il suo contesto architettonico una testimo-nianza unitaria e certo la piú significativa, dopo la perditadel ciclo murale di Silvestro Valeri nel Duomo di Todi,della fortuna del purismo nei suoi sviluppi fino agli anni diPio IX. Il primitivo appello alla Verità, motto dei priminazareni, si era ormai davvero stemperato, spesso con esitidi puro ossequio al conformismo della cultura ufficiale, inparticolare di quella ecclesiastica. Fu una lunga vicendache segnò in profondità la provincia umbra, dove non ècerto agevole reperire episodi in controtendenza. Nessunaconseguenza sortí il soggiorno a Spoleto, per tre anni(1849-52), del rivoluzionario romano Scipione Pistrucci,nonostante la qualità della sua pittura, di un intenso ro-manticismo venato di realismo, sensibile ad esempi anchenon italiani, assimilati negli anni di esilio.Nella seconda metà del secolo si fanno strada a Perugia gliallievi del Valeri che avevano meglio profittato del suolungo insegnamento. Non solo quanto si va svolgendo dia-letticamente nei grandi poli dell’Europa del pieno Otto-cento, ma anche i piú sofferti tentativi di nuove esperien-ze in Toscana, a Milano, a Napoli sembrano piuttosto lon-tani da questa cerchia perugina, tutt’altro che scarsa di ta-lenti ma intenta a muoversi su percorsi circoscritti e comefuori del tempo. Le occasioni di buoni incontri e di prov-vide aperture non erano mancati nella stessa Perugia, mané il soggiorno di Nino Costa, né, tanto meno, quello diFederico Faruffini nel suo ultimo drammatico anno di vitaprodussero conseguenze di rilievo. Napoleone Verga, Ma-riano Guardabassi, Matteo Tassi sono piuttosto petits maî-tres della miniatura, del ritratto, della scena di genere e delpaesaggio, la cui attenzione al vero – per esempio ad episo-di della storia recente di Perugia – va di pari passo con un

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amor di pittura pieno di richiami tradizionali. Il lato «mo-derno» della scuola del Valeri sarà rappresentato da Do-menico Bruschi e Annibale Brugnoli, ai quali si può acco-stare lo spoletino Cesare Detti, tutti destinati, o come de-coratori o come pittori da cavalletto, a un successo cheandò ben oltre i confini regionali. La loro opera matura,che chiude il secolo, si inserisce perfettamente in un feno-meno internazionale del gusto, caratterizzato da un eclet-tismo disinvolto sia nel guardare ai modelli del passato sianella loro strumentale modernizzazione. La vera pitturamoderna è altrove, ma l’identità culturale, ormai diffusanella metropoli come in provincia, di una borghesia indaf-farata tra banche, grand-opéra e sale di esposizione non po-trebbe essere piú fedelmente rappresentata. Né privo difascino è il suo aspetto pubblico di «municipalità pittri-ce», patrona generosa, qui come altrove, dell’ornato di re-sidenze comunali, prefetture e civici teatri. (bt).

Unger, Carl(Wolframitzkirchen (Znaim) 1915). Allievo di Boeckl al-l’Accademia di belle arti di Vienna tra il 1935 e il 1938, di-venne egli stesso, nel 1950, professore all’Accademia di ar-ti applicate. Fu tra i fondatori dell’Art-Club austriaco e trai primi astrattisti del suo paese. Venne influenzato in unprimo tempo dall’espressionismo, ma nel 1949 la mostra diKandinsky a Parigi lo indirizzò verso l’astrattismo.Interessato agli effetti del colore, ne esplora le possibilitàsoprattutto nei paesaggi, numerosi quelli ispirati alla natu-ra cretese: Variazione cretese (1962: Mährisch-Ostrau,Städtische Gall.). Ha eseguito inoltre opere monumentali,come la vetrata delle scale della Wiener StädtischeSparkasse di Vienna (1956). Rispettando la tecnica tradi-zionale del mosaico, ma in linguaggio astratto, ha decoratol’abside della chiesa della Sacra Famiglia sempre a Vienna(1965-66), sul tema della Gerusalemme celeste. (jmu).

UngheriaOrigini–Fu l’evangelizzazione a introdurre, nel corso delsec. XI (tra il 970 e il 1050), i modelli tecnici e figuratividella cristianità latina. I missionari benedettini d’Italia edi Cluny, i cistercensi di Chiaravalle e di Pontigny forni-rono i modelli liturgici delle prime pitture ungheresi cono-sciute: il Codice Szelepchényi (1070 ca.: Nyitra, archivi ca-pitolari), il Codice di Hahót (1080 ca.: Zagabria, archivi ar-

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civescovili), gli affreschi della cripta di Feldebrö, seguitinel sec. XII dal Codice Pray (Budapest Bibl. Széchenyi),dalla Bibbia di Csatár (Vienna, BN) e dalle pitture dellechiese di Hidegség e di Vizsoly, opere che attestano la pre-minenza dello stile romanico francese.Periodo gotico–L’invasione mongola nel 1241-1242 haprovocato devastazioni massiccie che rendono arduo rico-struire i segni di un mutamento di stile, e la comparsa delgotico. Le pitture della cappella Gizella di Veszprém, del-l’abbazia benedettina di Ják e di quella premonstratense diÓcsa (metà del sec. XIII) rivelano uno stile di transizione,mentre gli affreschi di Szepesdaróc e Süvéte si mostranoancora bizantineggianti. Un’impronta nettamente goticadimostrano invece gli affreschi ispirati dalla leggenda del-l’eroe nazionale, il re cavaliere san Ladislao: questo temasi ritrova in tutto il paese; la sua influenza si estende sulciclo di san Giorgio e persiste fin verso il 1500. I comples-si piú importanti sono quelli delle chiese di Bögöz, di Ge-lence (1300 ca.), di Zegra (sec. XIV) e di Derzs (1419), sen-za dimenticare il ciclo di Sibille e Profeti della cappella del-la residenza vescovile di Esztergom. János Aquila fu lapersonalità piú notevole di quest’arte d’ispirazione nazio-nale, ma stilisticamente integrata nel gotico europeo: sueopere si conservano a Velemér (1378), Mártonhely (1392),Bántornya (1383).L’estinzione della dinastia nazionale (1301) e l’avvento de-gli Angiò di Napoli (1308) conferiscono all’arte di corte unnuovo orientamento: l’influsso italiano sostituisce quellofrancese. I manoscritti miniati, la Bibbia di Nekcsei (Wa-shington, Library of Congress) o il Leggendario del Vatica-no (fogli sia a New York, PML, che all’Ermitage di SanPietroburgo) attestano il rapido estendersi di questa ten-denza. Punto culminante dell’evoluzione è la Cronaca illu-strata di Miklós Medgyesi (1370: Budapest, Bibl. Szé-chenyi), che unisce la tradizione degli affreschi di san La-dislao all’influsso napoletano. László Miskolczi e MihályNagyszombati, attivi attorno al 1400, rappresentano inve-ce una tendenza piú internazionale.Il regno angioino segna lo sviluppo della pittura di caval-letto e la nascita di corporazioni di pittori laici, la cui atti-vità diviene presto predominante. Certo, due secoli diguerre turche (1526-1716) hanno devastato il centro delpaese e in particolare le residenze reali, le sedi vescovili e ipiú importanti centri di pellegrinaggio. In ogni modo si so-no potuti inventariare quasi duemila altari dipinti tra il

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1400 e il 1526, individuando scuole regionali e infine iso-lando alcune personalità, anche se si tratta soprattutto diuna produzione periferica (in specie slovacca). Nel sec. XVTamás Kolozsvári si aggrega alla corte di Buda, dove, sot-to Sigismondo di Lussemburgo, è attestata la preferenzaper l’arte italiana, (in particolare è segnalata la presenza diMasolino tra il 1425 e il 1427, al seguito di Pippo Spano),mentre i pittori delle città del nord e della Transilvaniaserbano molteplici relazioni, che si estendono fino alla Sle-sia, al Reno e a Parigi, dove alla fine del sec. XIV operaEtienne «le Hongre». Altri pittori emigrano, come Miche-le Pannonio a Ferrara (dal 1390 al 1460), János Mikó e Ja-cob Kaschauer si stabiliscono in Austria nella secondametà del sec. XV, la famiglia Dürer emigra in Germania.Tradizione gotica e rinascimento italianizzante–A partiredal regno di Mattia Corvino, si assiste a una doppia evolu-zione. La corte di Buda, soprattutto dopo il 1460, divieneil primo centro umanistico e rinascimentale fuori d’Italia.Oltre ad assegnare incarichi ai maestri italiani (da Botti-celli ad Attavante) e ad invitare gli artisti, il re impiantalaboratori per gli artisti locali. Il monumento piú impor-tante di quest’attività è la biblioteca reale «Corvina», coni suoi duemila manoscritti miniati. Nel frattempo, le radicigotiche si ravvivano nel Zips e nelle città minerarie delNord, in stretto rapporto ora con Norimberga e la Boe-mia, ora con la Slesia e la Polonia centrale. Tra gli artisti sidistinguono il Maestro G.H. (attivo intorno al 1470) e so-prattutto il Maestro di Janosrét, personalità indipendente,la cui pittura, per la sua plasticità e il suo senso dello spa-zio, è accostabile alla contemporanea scultura. La scuola diKassa, fiorente nell’ultimo terzo del secolo, si afferma coni suoi temi nazionali e si pone al primo posto con artisticome il Maestro del Ciclo di sant’Elisabetta d’U. La scuo-la della Transilvania segna il limite dell’espansione del go-tico europeo verso est. Vi s’incontrano insieme, attorno al1510, forme arcaiche, elementi provenienti dalla scuoladel Danubio e dal rinascimento italiano, e un senso dellastruttura e delle masse che si ritroverà nel sec. XX.All’inizio del sec. XVI, la circolazione di cultura rinasci-mentale è favorita dal laboratorio di Buda, e dal mecenati-smo delle corti feudali di provincia oltreché, indirettamen-te, dagli scambi con il Sud della Germania. La direzione ditale movimento, che cerca di raccordare la nuova visionealla tradizione, è segnata in modo coerente dal Maestro diOkolicsnó (noto tra il 1500 e il 1510), e soprattutto dal

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Maestro M.S., che sembra avere intrattenuto legami diret-ti con la corte. L’offensiva turca nel 1526 sorprende unPaese in un momento di piena fioritura sociale e artistica.La resistenza contro l’invasore, le lotte di religione, le in-surrezioni nazionali, la riconquista e i coloni insediati daVienna completano le distruzioni dei conquistatori e nelcontempo spezzano la fioritura del paese, raggelando loslancio rinascimentale in un’arte conservatrice, identifica-tasi con lo spirito nazionalistico, tanto piú che il barocco èmanifestamente legato all’impero asburgico.I castelli del XVI-XVII secolo, centri di resistenza nazionalee corti signorili, si ornano di ritratti, di affreschi ornamen-tali e mitologici o di scene di battaglie patriottiche; le esi-genze della pittura di storia trovano un modello, nel corsodel sec. XVII, nel classicismo franco-fiammingo. Va poi ri-cordato il genere molto particolare dei quadri che ornano icatafalchi in cui rivive lo spirito dei giacenti (gisants) delsec. XV. Anche le città decorano con affreschi i loro palaz-zi, e le famiglie patrizie fanno erigere nelle chiese «epitaf-fi», ancone laiche che fungono da monumenti funerari. Lostile rinascimentale continua, fino al sec. XIX, a influenza-re il ritratto, e il repertorio ornamentale si espande fin neivillaggi, penetrando nell’arte popolare, dove resta vivopersino ai giorni nostri.Periodo barocco–Durante queste stesse epoche, il rinnova-mento dell’arte ungherese è dovuto a impulsi e iniziativeprovenienti dall’estero. La Controriforma e la restaurazio-ne imperiale del sec. XVIII contribuiscono ad ornare lechiese e gli edifici pubblici con altari ed affreschi baroc-chi, i cui modelli e i cui esempi migliori sono opera di pit-tori italiani (G. Giorgioli, D. A. Fossati a Pannonhalma),austriaci e talvolta francesi: D. Galli Bibbiena (attivo in Utra il 1721 e il 1740), P. Troger (1742-47), J. L. Kracker(1754-79), J. J. Chamant (1751-57), F. Sigrist (a Eger), C.Sambach (a Nagykanisza) e soprattutto F. A. Maulbertsch(1750-96).Alcuni artisti ungheresi raggiungono anch’essi un alto li-vello stilistico, come il cardinale György Szelepchényi, ec-cellente incisore; altri fanno carriera all’estero, come J.Priwitzer in Inghilterra e in Spagna, János Spillenberger aVenezia e in Germania, József Orient a Vienna, J.Bodgány in Inghilterra. L’unico che unisca il vigore delnuovo stile al sentimento nazionale è A. Mányoki.Lo spirito di rivalsa nazionale contribuirà a dare nuovoimpulso alla pittura favorendo intorno al 1780 un rinnova-

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mento dell’arte e dei modelli di riferimento (ritratti di F.Kazinczy).Il rinnovamento nazionale–Il programma definito sottoGiuseppe II diviene effettivo solo alla metà del sec. XIX.La fondazione dell’Associazione artistica di Pest (1839),del Museo nazionale (1840) e della Scuola di pittura diPest (1846), conferiscono infine basi solide per una vitaartistica autonoma, legata però alla contemporanea linead’evoluzione europea: tra gli artisti piú rappresentativi diPest citiamo J. Pesky (1795-1862), M. Barabás, J. Borsos eJ. Molnar (1821-99). Quest’adesione all’arte occidentaleresta una delle costanti della pittura ungherese moderna. Igiovani artisti concluderanno sempre i propri studi a Vien-na o in Italia, poi a Monaco e, da un secolo, quasi necessa-riamente a Parigi. La loro formazione internazionale facili-terà lo stabilirsi degli artisti fuori dell’U, com’è il caso perG. Benczùr a pieno titolo appartenente all’Accademia mo-nacense, S. Liezen-Mayer e S. Wágner (legati anch’essi al-lo storicismo di M. Than), M. Zichy, M. Munkácsy (im-portante per la rivitalizzazione della pittura di genere e delritratto, e per i temi storico-politici trattati) nel sec. XIX, epiú tardi per F. László, B. Czóbel, B. Uitz, L. Moholy-Nagy, A. Trauner, V. Huszár, Vertès, Kolos-Vary, Sze-nes, L. Szalay, Vasarely, Hantai. La circolazione di artistie l’aggiornamento sulle ricerche dei centri della produzio-ne artistica europea dà vita spesso a varianti ungheresi chemescolano tradizione locale e novità. Non è questo il casodi Markó, Brocky, Brodszky, József Molnár, A. Ligeti eGusztáv Keleti. L’atteggiamento nazionalistico è forse piúforte nei pittori Biedermeier, come Barabás, S. Kozina, H.Wéber, A. Györgyi e Károly Libay. Per contro i pittoridel romanticismo storico – V. Mandarász, B. Székely, S.Wágner – considerano la propria arte una manifestazionedella resistenza nazionale contro l’Austria. Dopo il com-promesso del 1867, il loro ruolo scade d’importanza ed es-si evolvono verso l’accademismo già abbracciato da J. Zi-chy, K. Lotz, S. Liezen-Mayer, G. Benczúr. Nello stessotempo, i pittori che nel 1860 ca. scoprono Courbet e Bar-bizon (M. Munkácsy, L. Paál, G. Mészöly) cercano attra-verso di essi di rappresentare la vita e il paesaggio unghe-rese: tra di loro, L. Deák Ébner (1850-1934) vicino al na-turalismo di Bastien-Lepage, è il fondatore della colonia diSzolnok.Perseguendo un simile scopo, P. Szinyei-Merse risolse au-tonomamente i problemi sociali e pittorici che gli impres-

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sionisti si ponevano nello stesso periodo. La sua situazionerappresentò la terza tendenza dell’arte ungherese, quelladella ricerca indipendente e non fondata su alcun modello,spesso destinata al fallimento. I pittori della scuola diNagybánya scopriranno l’importanza di Szinyei-Merse so-lo attraverso l’impressionismo, e quelli di Szolnok rimar-ranno legati al naturalismo per adattarvi un realismo poeti-co di pittura all’aperto.Il XX secolo–Tuttavia, alla svolta del secolo, la parziale,ma decisiva industrializzazione del paese e il persistere diuna società agraria pressoché feudale introducono nuovetendenze sociali e umane. Se i preraffaelliti di Gödöllö,oppure gli artisti che si potrebbero riallacciare ai nabisfrancesi o alla Secessione tedesca (Rippl-Rónai, J. Va-szary), esprimono una sensibilità nuova, il gruppo degliOtto associa il rinnovamento delle forme alla dialettica deiproblemi sociali. La scuola della Pianura (→ Pianura,scuola della) cerca il confronto diretto e nuovi mezziespressivi per raccontare la vita semplice e dura dei conta-dini della puszta aprendo la strada a un realismo diverso.Infine alcuni solitari, come l’aristocratico Mednyánszky, ilfarmacista Csontváry, l’intellettuale Gulácsy e l’operaioNagy-Balogh proiettano direttamente nelle loro opere glismarrimenti, i fantasmi e le tragedie dell’uomo isolato nel-la società industriale.La prima guerra mondiale accentua tali tendenze, tra lequali quella degli Otto viene ripresa dal gruppo degli Atti-visti (L. Kassák, J. Nemes-Lampérth, B. Uitz, J. Kmetty,L. Tihanyi), che nel 1919 divengono gli animatori della vi-ta artistica della Repubblica dei Consigli. Dopo la sua ca-duta gli artisti, per la maggior parte condannati all’esilio,si accostano ad altre correnti pittoriche, in particolare al-l’astrattismo.Tra le due guerre l’accademismo agonizzante cede il postoalla scuola ungherese di Roma, il cui monumentalismo siispira ai pittori italiani del Novecento. Il creatore piú ori-ginale è Aba Novák, con le sue «poesie pittoriche», mal’opera grafica di Pál Molnár e le «pietre ricamate» di Esz-ter Mattioni sono anch’esse degne di nota.La pittura non ufficiale sviluppa gli orientamenti già esi-stenti. La scuola della Pianura, cui si aggiungono IstvánNagy e György Kohán, pone l’accento sulla costruzione,espressione d’una situazione e di una filosofia tragiche.Gli artisti del caffè Gresham (L. Holló, I. D. Kurucz), co-loristi lirici e raffinati, riprendono le tradizioni di

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Nagybánya (vengono denominati perciò scuola del post-Nagybánya), ma si isolano dalla realtà contemporanea, vol-gendosi a un umanesimo estetico.L’opera di J. Egry, apparentata alle due correnti e insiemeda esse distinta, è la piú importante di questo periodo; lasua situazione è confrontabile con quella di Bartók in cam-po musicale.Il costruttivismo degli Attivisti si prolunga in Bertalan Póre sfocia in una potente sintesi con I. Dési-Húber. Esso in-fluenza anche artisti del KUT (Nuova Associazione degliArtisti) e del gruppo di Szentendre, ammettendo peraltroanche altri orientamenti, come l’espressionismo sociale diKernstock e Derkovits, il cubismo di Kmetty e di Szo-botka, il surrealismo di Jenö Pajzs-Göbel, di Dezsö-Kor-niss, di L. Vajda e di Tibor Csernus.Queste varie correnti proseguono dopo la seconda guerramondiale, particolarmente quelle che si rifanno all’avan-guardia occidentale. I loro creatori si raggruppano, intornoa Kassák, nella scuola europea. Ma, nel 1949, il realismosocialista, divenuto arte ufficiale, monopolizza la quasi to-talità della produzione figurativa fino al 1954 ca. Solo inseguito, pur restando prioritario, lascia ampio spazio allericerche formali piú varie e sperimentali. (dp+fd).La ricerca dei giovani artisti ungheresi, aperta alle elabora-zioni delle maggiori correnti europee, è stata illustrata dal-la grande mostra Iparterv (Budapest 1968) che ha consenti-to di constatare tutta l’originalità della giovane avanguar-dia nazionale. Le opere di Imre Bak, Endre Tót, AndresMengyán, Tibor Gayor, Ilona Keserü e Györg Jovanovicsoffrono un panorama di nuove ricerche pittoriche la cuiclassificazione resta per il momento inopportuna. (sr).

unismoL’u è un programma artistico creato dal pittore polaccoWladyslaw Strzemiƒski e da lui formulato nell’opuscoloUnizm w malarstwie (L’Unismo nella pittura, Warsawa1928). Allievo di Maleviã, che terrà una conferenza sul su-prematismo a Varsavia nel 1924, e sostenitore del costrut-tivismo in Polonia, Strzemiƒski elabora la poetica unistache riconosce nell’esistenza oggettiva del dipinto l’unicasua ragion d’essere, esaltandone cosí i valori plastici trala-sciando le componenti evocative, emotive, simboliche del-la pittura. L’opera, cosí purificata, può allora unirsi armo-nicamente all’insieme degli oggetti che la circondano. I co-

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lori e le linee, visibili sulla tela, (ciascun centimetro qua-drato della quale ha il medesimo valore) devono creareun’unità organica e omogenea. Parteciparono all’episodiounista, la cui importanza è incontestabile nel quadro delmovimento costruttivista polacco, Katarzyna Kobro, mo-glie di Strzemiƒski e autrice di numerose sculture uniste,nonché, in modo meno incisivo, J. Lewin e S. Wegner.(wj).

Unit OneAssociazione di pittori, scultori e architetti inglesi, fonda-ta da Paul Nash nel 1933 allo scopo di consentire al pub-blico britannico di prendere coscienza dell’esistenza di unmovimento d’arte moderna in Inghilterra. Tra i suoi mem-bri si ricordano Ben Nicholson, Henry Moore e BarbaraHepworth. Nel 1933 venne organizzata una mostra allaMajor Gallery di Londra e venne pubblicato un catalogocurato da Herbert Read. L’anno seguente il gruppo sisciolse a causa delle due anime astrattista e surrealista con-viventi in esso fin dal principio. Nonostante la breve dura-ta, l’influenza esercitata da UO sull’arte degli anni Trentain Gran Bretagna fu notevole. (abo).

Unkoku, Tÿgan(1547-1618). Malgrado la fama di cui godette nulla di cer-to si sa di lui, se non che vinse il processo che lo opponevaa Tÿhaku in una questione di filiazione, immaginaria nel-l’uno e nell’altro caso, dal grande Sessh. Sarebbe stato al-lievo di Shÿei, uno dei discendenti di Eitoku, ma nonsembra aver subito nella sostanza l’influsso dello stile deiKanÿ. Talento fertile ed eclettico, ma non di grande leva-tura, riprese tanto lo stile acuto di Sessh, come risultaevidente nelle due celebri paia di paraventi con personaggicinesi (Tokyo, coll. Sasaki; Paesaggio: Boston, MFA), quan-to uno stile puramente giapponese, dolce ed aereo (para-venti del Monte Yoshino: Nagato, coll. Masuda). Autore didipinti naturalistici di animali (Daini e cerbiatte: Iwakuni,coll. Kikkawa), ha decorato con Tÿhaku e Yshÿ, una saladel Daitokuji di Kyoto. (ol).

Unterperger (Unterberger)Michelangelo (Cavalese (Trento) 1695 - Vienna 1758).Dopo una prima formazione artistica alla scuola di Giusep-pe Alberti, prosegue gli studi a Venezia, dove entra in

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contatto con Nicola Grassi. Si stabilisce poi in Alto Adige,soggiornando a Chiusa e a Bolzano; fra le rare opere delperiodo altoatesino si annoverano il dipinto con il Giudi-zio di Salomone (1726: Bolzano, MC) e la pala dell’Angelocustode per la chiesa di Stramentizzo. Dopo un soggiorno aPassau, dal 1737 è a Vienna, dove conosce una brillantecarriera e si dedica allo svolgimento e all’organizzazionedell’attività dell’Accademia, di cui è rettore in alternanzacon l’amico Paul Troger. Fra le opere del periodo vienne-se, improntate a schemi accademici di corretta composi-zione ed equilibrato colorismo di ascendenza veneta, sonoda ricordare: la pala di Sant’Antonio da Padova (1744: giànel Duomo di Vienna, ora al Museo diocesano); la pala delRosario per la chiesa dei Domenicani di Bolzano (ora nellaparrocchiale di Caldaro); il San Sebastiano curato dalle piedonne (1748), nella Neuklosterkirche a Wiener Neustadt;la Morte della Vergine (1750) per il Duomo di Bressanone,di ascendenza solimeniana e piazzettesca; la Cacciata degliangeli ribelli (1752) nella Michaelerkirche di Vienna; la pa-la con Gesú fra i dottori della legge nella chiesa viennese de-gli Agostiniani.Francesco (Cavalese (Trento) 1706-76), unico dei pittoridella famiglia U ad operare stabilmente in tutta la regioneatesina, riceve la prima formazione artistica dal fratellomaggiore Michelangelo. La sua vasta produzione di operesoprattutto a soggetto sacro, scalata negli oltre quarant’an-ni di attività, rivela numerosi apporti culturali – dall’in-flusso del Pittoni, a seguito di un probabile soggiorno ve-neziano fra il 1740 e il 1745, a suggestioni solimeniane – esvolge una funzione importante di mediazione culturalenella regione atesina. Fra le opere, da ricordare almeno lagiovanile serie di tele con Storie di santa Chiara (1731-33:Bressanone, convento delle clarisse), le pale a Tesero, aPieve di Bono, a Montagnana di Piné. (cb).Cristoforo (Cavalese 1732 - Vienna 1797), nipote di Fran-cesco Sebaldo, con il quale apprende i primi rudimenti dipittura, nel 1751 si trasferisce a Vienna presso l’altro zio,Michelangelo, i cui modi sono chiaramente riecheggiatinella giovanile Madonna e san Giovanni Nepomuceno(1757: Vienna, Belvedere). Si sposta poi a Venezia e Vero-na, frequentandovi la bottega di Giambettino Cignaroli.Nel 1758 è a Roma, dove si lega a Knoller e Mengs (chenel 1772 ne appoggia l’ammissione all’Accademia di SanLuca) ed esegue dipinti per il Duomo di Bressasone (Marti-rio di sant’Agnese e Trasfigurazione) e per varie chiese di

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Faenza (la Madonna e i santi Giacomo e Giovanni di Dio:chiesa dell’Ospedale; Visitazione, 1766 ca.: San Domeni-co, e altri), nei quali è evidente l’impressione esercitata sudi lui dal Cignaroli e dai bolognesi. L’ultimo venticinquen-nio della sua attività, che ne vede la convinta adesione allapoetica neoclassica, è anche il piú ricco di opere di spicco,qualitativamente comparabili, talvolta, ai migliori esiti diCavallucci, Corvi e Maron (Sant’Ubaldo e le orfane, 1777:Jesi, Sant’Ubaldo; Predica di sant’Antonio, 1780 ca.: Faen-za, chiesa del Suffragio; Apollo e la Pizia e la Sala di Ercoleper Villa Borghese, 1784-86, con il fratello Ignazio; SanPonziano tra i leoni, 1787: Spoleto, Duomo; Assunta,1793-94: per il Duomo di Urbino). Un nutrito gruppo dibozzetti è nella PC di Montefortino.Per Caterina II di Russia esegue (1778-88) la copia (encau-sto su tela) delle Logge di Raffaello (San Pietroburgo, Er-mitage). Ebbe un figlio, Giuseppe, che completò alcunedelle opere inviate in patria. (lba).Ignazio (Cavalese (Trento) 1742 - Vienna 1797), fratellominore di Cristoforo, riceve i primi insegnamenti artisticidallo zio Francesco. Fin dal 1769 è documentato a Romaaccanto al fratello; qui conosce e frequenta la cerchia diPompeo Batoni, del Mengs e di von Maron. Talento ver-satile, esperimenta vari «generi» di pittura, ma si dedicasoprattutto allo studio dell’antico e dei maestri del Cin-quecento, con un’attenzione sia speculativa che pratica,secondo il modello del «pittore filosofo» teorizzato dalMengs. Verso il 1776 si trasferisce a Vienna, dove esponeall’Accademia i suoi lavori, i cui soggetti – imitazioni gra-fiche di incisioni in pietra e avorio o di rilievi in marmo –appaiono di gusto tipicamente neoclassico. Protetto dalministro Kaunitz, il pittore in breve acquista larga rino-manza, ottenendo commissioni soprattutto dall’aristocra-zia locale che lo apprezza, fra l’altro, per le doti di ritratti-sta (Ritratto del Consigliere G. von Kees, 1785 ca.: Bolzano,Palazzo Mercantile; Ritratto di G. J. Heister: Innsbruck,Ferdinandeum). Con il dipinto Ebe offre il nettare a Giove(ante 1795) per la pinacoteca privata di Francesco II(Vienna, Belvedere) ottiene l’incarico di pittore aulico enuove commissioni per la corte imperiale. A Vienna si de-dica con successo anche all’incisione, riproducendo ad ac-quaforte alcune sue opere pittoriche. (cb).

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Ur(Muqayyar o Mugeyer). Città sumerica della bassa Mesopo-tamia (Iraq) nella quale l’archeologo inglese Leonard Wool-ley (1880-1960) scoprí tra il 1922 e il 1934 tombe reali dieccezionale ricchezza (attorno al 2600-2500 a. C.). Tra inumerosi oggetti scoperti figuravano elementi decorativi inconchiglia incrostata ottenuti dalle grosse conchiglie delGolfo Persico, dalle quali erano ritagliate placchette qua-drate, poi ornate, tramite incisione, con soggetti mitologici(personaggi, animali e piante tra motivi geometrici).La tecnica piú ricorrente era di riempire il solco cavo checontornava gli elementi della scena con pasta nera o rossa;un’altra tecnica consisteva, dopo aver inciso i contorni,nello scavare il fondo di circa 1 mm riempiendolo poi dibitume, in modo che gli elementi figurativi risaltassero inbianco su fondo nero. Un terzo procedimento impiegavasilhouettes interamente ritagliate e direttamente incassatenel bitume – come è il caso delle casse armoniche delle lirein particolare nella parte anteriore in cui erano rappresen-tati animali musicanti (Philadelphia, Museo) –; piú ricerca-ta era la decorazione che ricorreva a pezzetti irregolari dilapislazzuli, incrostati in una base di bitume. L’esempiopiú alto è il leggio a due facce chiamato lo Stendardo (Lon-dra, BM), dalla tomba 179 del cimitero reale: due pannellirettangolari, di cm 47 x 20 ciascuno, un tempo riuniti me-diante due pannelli trapezoidali. Il legno che ne costituival’armatura, e una parte del bitume, sono scomparsi; mal’abilità dello scavatore ne ha preservato l’essenziale.Fronte e lati sono decorati a tre registri separati e inqua-drati da una bordura geometrica in lapislazzuli e pietra ro-sa tra due file di pezzi di conchiglia. Mentre i trapezi late-rali contengono soprattutto scene mitologiche, le due fac-ce presentano due quadri distinti, la Pace e la Guerra. Sitratta del tema, ben attestato sui bassorilievi del III millen-nio, della vittoria del capo della città, rappresentato sim-bolicamente in proporzioni maggiori rispetto ai restantisoggetti. Sulla faccia della Guerra, egli è ritto in piedi, conl’elmo sul capo, al centro del registro superiore, nell’attodi accogliere i prigionieri nudi condotti dai soldati. Sotto,i fanti e altri prigionieri; nel terzo registro, la cavalleriacon carri a quattro ruote piene, attaccati a due onagri, ca-rica, calpestando nemici. Sulla faccia della Pace si ha lascena del banchetto rituale dopo la vittoria: il capo vinci-tore, identificabile ancora per la dimensione, è seduto a

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tavola con i suoi dignitari, vestito con la gonna di lana, ilkaunakès, con in mano un bicchiere, in mezzo a servitori ea due musicanti. Nei registri inferiori, è il trasporto delbottino di guerra.Nelle stesse tombe reali sono stati ritrovati strumenti dagioco, specie di scacchiere con pedine, fatti in mosaico amotivi geometrici che impiegano gli stessi materiali: con-chiglie, lapislazzuli e pietra rosa. Elementi di conchiglia odi madreperla sono stati ritrovati in buon numero a Mari,sul medio Eufrate (Siria) – un pannello con scene di guerraè stato ricostruito a Parigi (Louvre) – nonché a Ki‰ (elOheimir), a est di Babilonia, a Nippur e a Tellÿ (Lagash)nella bassa Mesopotamia (Iraq), dimostrando che tale tec-nica alla metà del III millennio era diffusa in tutta la Meso-potamia. (asp).

UraliLa grotta Kapova, posta negli U meridionali sul fiume Bie-laja, scoperta da A. Rumin nel 1959, è ornata da due grup-pi di figure dipinte in giallo-bruno o tracciate a carbone,che rappresentano un complesso cavallo-mammut-rinoce-ronte, seguito da un bisonte. Lo stile schematico di tali fi-gure non si può paragonare che a grandi linee a quello del-l’area franco-cantabrica, ma lo stesso non può dirsi del te-ma ornamentale tipico dei santuari paleolitici occidentali(il cavallo-bisonte). Esistono inoltre numerosi giacimentidel Paleolitico superiore negli U meridionali, che confer-mano l’appartenenza di questo santuario a un periodo fon-damentale per la comprensione dell’origine e della diffu-sione dell’arte franco-cantabrica. (yt).

Urbani, Ludovico(Sanseverino, notizie dal 1460 al 1493). Estremamenteesiguo è il corpus delle opere di Ludovico U, la cui piú an-tica notizia risale al 1460. Del 1477 è la sua prima operafirmata, il polittico del Duomo di Recanati (oggi Museodiocesano), che ne mostra la formazione nel clima del goti-co fiorito di Lorenzo Salimbeni e di Cristoforo di Giovan-ni, mentre la sua seconda opera firmata, il polittico con laMadonna in trono e santi proveniente da Santa Maria diCastelnuovo, sempre a Recanati (oggi coll. Palumbo), del1480 ca., trascrive l’interesse per gli umbri Matteo daGualdo e Niccolò Alunno, figura chiave, quest’ultima, perl’evoluzione della pittura nell’entroterra marchigiano. Tra

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l’uno e l’altro dei polittici firmati si possono raggruppareopere come l’Adorazione dei Magi (Roma, PV), la Madonnadi coll. Campana (Parigi, Louvre), i Santi Francesco e Ludo-vico (Recanati, Museo diocesano) e soprattutto le due ta-vole da un polittico con Santi della chiesa dei Santi Teresae Antonio di Matelica. Già dichiaratosi cittadino di Reca-nati nel 1476, U ne diventa Priore municipale dal 1486all’88 e Console delle Arti nel 1493. Perduto il ciclo di af-freschi, documentato al 1491, della cappella di Santa Ve-rena in San Francesco a Potenza Picena, è difficile poterdire con certezza, come invece alcune volte affermato,quale ruolo giocò nel suo stile piú maturo l’influenza diCarlo Crivelli. (mrv+sr).

UrbinoDominio dei Montefeltro dal 1234, la città non dimostreràancora a lungo caratteri di autonoma evoluzione artistica,rimanendo inserita nei percorsi della pittura nelle Marche.Per tutto il Trecento vi si riconosce piuttosto una costanteadesione ai modelli culturali diffusi da Rimini, al cui ambi-to si ricollega ad esempio l’attività del cosiddetto Maestrodell’Incoronazione di U. A un momento iniziale dell’atti-vità di questo maestro (il cui nome convenzionale derivada un frammentario polittico della GN di U) è stato riferitol’affresco con la Crocifissione (ivi), databile al quinto de-cennio del sec. XIV, in cui si avvertono precisi ricordi daGiuliano e Pietro da Rimini. Il riferimento riminese nonresta comunque l’unico in grado di rendere partecipe lacittà al piú ampio articolarsi di linguaggi pittorici nelleMarche: un caso emblematico è costituito dall’arrivo delMaestro di Bellpuig, attivo nelle Marche e in Spagna.Questo pittore, già noto come Antonius Magister o Mae-stro di Mombaroccio, dipinge nella chiesa di San Domeni-co un affresco raffigurante l’Incoronazione della Vergine, incui si rivela sensibile ai modelli senesi, lorenzettiani chesono tra le costanti dello svolgimento della pittura nella re-gione.All’aprirsi del Quattrocento U non ha ancora una specificafisionomia artistica, a differenza di centri come Fabriano,Camerino o San Severino. Non a caso è proprio agli espo-nenti di punta di quest’ultimo centro, Lorenzo e JacopoSalimbeni che ci si rivolge al momento di affrontare unarilevante iniziativa di decorazione come quella dell’Orato-rio di San Giovanni Battista (1416). Nel ciclo delle Storie

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di san Giovanni Battista e nella Crocifissione, la bottega deiSalimbeni ha già raggiunto un altissimo livello nell’elabo-razione del piú maturo gotico internazionale, forse giàcondizionato dal confronto con Gentile da Fabriano. A Ugiunge anche Ottaviano Nelli, proveniente da un centrocome Gubbio, che dal 1385 dipende politicamente dallacittà marchigiana; qui il pittore soggiorna a piú riprese trail 1417 e il 1430 e affresca la parete di fondo della chieset-ta della Madonna dell’Homo. In questi anni un altro arri-vo degno di nota, sempre in ambito di gotico internaziona-le, è quello di Antonio Alberti. Nonostante questi inter-venti, anche qualitativamente importanti, U diventa uncentro artisticamente autonomo soltanto grazie alla straor-dinaria figura di committente di Federico da Montefeltro,che assume la dignità ducale nel 1444. Presso la sua corte,gli apporti esterni giungono a uniformarsi alle piú elevateesperienze del collezionismo contemporaneo, se si può pre-stare fiducia alla segnalazione, da parte di Bartolomeo Fa-cio, di un’opera di van Eyck, da lui vista in città.Ma è soprattutto il cantiere del Palazzo Ducale, sotto il di-retto controllo del duca, ad attrarre a U alcune tra le mag-giori personalità di artisti: tra i primi a intervenire è Gio-vanni Boccati di Camerino, che nel 1460 dipinge una saladell’Appartamento della Jole raffigurandovi una serie diUomini illustri ed eroi. Con la presenza di Boccati presso lacorte, si può dire si apra per U la stagione di nuove ricer-che pittoriche che ne farà una delle capitali del rinasci-mento italiano. Alla stessa temperie appartengono proble-mi che attendono tuttora una collocazione critica: si veda-no ad esempio le due tavole raffiguranti Città ideali (U, GNe Baltimore, WAG), oppure le opere del cosiddetto Maestrodelle Tavole Barberini (tra le altre si ricordano qui la Nati-vità della Vergine: New York, MMA, e la Presentazione dellaVergine al Tempio: ora a Boston, MFA). Al di là dell’ipotesidi ricollegare il corpus di quest’ultimo a quel Fra Carneva-le documentato a U ma legato piuttosto a una educazionefiorentina, la cultura di questo momento appare la piúadatta per accogliere la presenza di Piero della Francesca,il quale per i Montefeltro dipinge dapprima i Ritratti eTrionfi allegorici di Federico da Montefeltro e Battista Sforza(1456: Firenze, Uffizi), per dare in seguito saggio della suaaltissima concezione formale nella Flagellazione (o Visionedi san Gerolamo: U, GN), nella Madonna col Bambino, ange-li e santi con Federico effigiato in preghiera (Milano, Brera) onella cosiddetta Madonna di Senigallia (U, GN).

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La personalità di Piero trova senza dubbio un ambientecongeniale presso la corte urbinate, dove l’attività artisticae speculativa aveva tra i suoi protagonisti Leon BattistaAlberti, Francesco di Giorgio e Luca Pacioli, ma è da ri-cordare la pluralità di direzioni che la committenza ducaleè in grado di proporre, accogliendo le tendenze piú diver-se. La corte feltresca accolse pittori come Pedro Berrugue-te e Giusto di Gand, che collaborarono per la serie dei Ri-tratti di uomini illustri, tavole che arredavano lo studiolodel duca (U, GN e Parigi, Louvre), nell’ambito di un’insie-me ideato da Melozzo da Forlí. Berruguete lascia inoltrein città il ben noto Ritratto del duca Federico con il figlioGuidobaldo (U, GN), mentre del pittore fiammingo è la pa-la della Comunione degli Apostoli compiuta negli anni1470-75 (ivi), cui doveva integrarsi la predella di PaoloUccello con la Leggenda dell’ostia profanata (ivi). In questoambiente di grande apertura culturale non trova però po-sto il genio dell’urbinate Bramante, che non lavora per lacorte; lo stesso avviene per Giovanni Santi, stimato comefamiliare del duca ma non utilizzato come pittore. Anchela straordinaria parabola di suo figlio Raffaello non ha chepochi punti di contatto con la città natale, ridotti come so-no all’affresco staccato con la Madonna di Casa Santi, lacui autografia è legittimamente messa in dubbio, e ai pre-coci Ritratti dei duchi (Firenze, Uffizi). Il piú consistentelascito raffaellesco va piuttosto ricercato nell’attività delpiú anziano Timoteo Viti, che partendo dalla comune ma-trice peruginesca seguirà a lungo, e con una certa autore-volezza, le tracce del Sanzio. Accanto al Viti, altri pittoriurbinati come Pier Antonio Palmerini o Girolamo Gengatestimoniano quanto la pittura in piú di un centro delleMarche sia ormai dipendente, nella svolta verso il manieri-smo, da Roma e dai centri toscani. In questo si legge unachiara rinuncia al tradizionale riferimento alla pittura ve-neta che pure, con Tiziano e Palma il Giovane, è ancoraprescelta dal collezionismo dei Della Rovere, che dal 1512sono signori di Pesaro e U.A differenza del resto delle Marche, che passano sotto ildominio della Chiesa nel corso del Cinquecento, la città ri-mane ducato indipendente fino al 1631; il percorso di unapittura urbinate autonomamente intesa ha la sua luminosaconclusione nell’arte di Federico Barocci, che mantienecostantemente un profondo legame sia culturale sia psico-logico con la città natale. Nella sua pittura spesso, come adesempio nella Crocifissione (U, GN), è lo stesso paesaggio

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domestico a entrare nella composizione del dramma sacro,in una sorta di coinvolgimento emotivo di senso moderno;ma tutta la sua opera, che seleziona ai fini di una vibranterielaborazione le fonti rinascimentali, è in grado di faredella città uno dei centri irradianti nella svolta tra manie-rismo e barocco.Galleria Nazionale delle Marche–L’importante raccolta haorigine nel 1861, quando le opere risultanti dalla soppres-sione degli enti religiosi vennero destinate alla formazionedi un museo di interesse regionale, annesso alla Scuola dibelle arti collegata all’Università. La consistenza delle col-lezioni andò progressivamente ampliandosi, fino al mo-mento della creazione della galleria vera e propria, con se-de presso il Palazzo Ducale, nel 1912. Un primo riordinodelle raccolte ebbe luogo nel 1918, quando venne aumen-tato notevolmente il numero delle sale del palazzo destina-te all’esposizione. Nel corso dei decenni la galleria ha pro-seguito nella sua politica di acquisizioni come ad esempio,negli anni ’80, quella di un importante nucleo di operedella collezione Cini. (sr).

Urbino, Carlo(Crema, notizie 1553-85). Dopo una documentata attivitàcremasca oggi perduta, si stabilisce a Milano dove eseguenumerosi dipinti (San Lorenzo; Santa Maria presso SanCelso) e fornisce disegni per il Trattato di scientia d’arme diCamillo Agrippa che lo segnalano per la notevole abilitàgrafica. Inizia quindi un lungo sodalizio con il cremoneseBernardino Campi, ed esegue inoltre cartoni per la vetratadel Duomo di Milano e tele in Santa Maria della Passione.La produzione pittorica appare influenzata dal Lomazzo,con uno studio approfondito dei problemi prospettici, evi-denti nella Pentecoste affrescata in San Marco (1579) e neidisegni del Codice Huygens (New York, PML). Fra le operedi maggiore impegno è da segnalare la decorazione di San-ta Maria di Campagna a Pallanza, eseguita in collaborazio-ne con Aurelio Luini. (mat).

Uri, Aviva(Safed 1927 - ? 1989). Allieva del marito, il disegnatore epittore israeliano David Hendler, fu in primo luogo dise-gnatrice: solo dal 1967 U cominciò ad esporre i suoi qua-dri, alcuni dei quali testimoniano la sua adesione alla PopArt americana, avvenuta dopo un periodo astratto. (mt).

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Urlaub, Georg Anton(Thüngersheim 1713 - Würzburg 1759). Apparteneva auna famiglia di pittori, e fu anzitutto allievo del padre,Georg Sebastian. Nel 1737 il principe-vescovo FriedrichKarl von Schönborn lo inviò a studiare a Vienna, dove fuallievo di Bencovich. Dal 1745 al 1750 compí un viaggioin Italia, soggiornando a Bologna, dove ricevette un pre-mio dell’Accademia Clementina, poi a Venezia. Nel 1750tornò a Würzburg con Giambattista Tiepolo di cui fu col-laboratore per le decorazioni della residenza. L’influsso diTiepolo fu su di lui assai forte, tanto che risulta ancora og-gi difficile distinguere i suoi disegni da quelli del maestro.Possediamo però alcune grandi decorazioni di certo dise-gnate da U: quelle della chiesa di pellegrinaggio di Ipthau-sen (1752) e della chiesa degli Agostiniani di Würzburg(1754-55; le ultime sfortunatamente distrutte nel corsodella seconda guerra mondiale). (gmb).

urushie(pittura a lacca). Antico procedimento della stampa giap-ponese, verosimilmente inventato da Masanobu e consi-stente nel ravvivare i neri originali indeboliti dalla posa dicolori a pennello (tane) con una verniciatura a lacca. (ol).

U∫akov, Simon Fiodorovi™(? 1626 - Mosca 1686). Formatosi a Mosca, presso l’atelierdi pittura del Palazzo delle Armature, è considerato l’ulti-mo grande rappresentante russo della pittura d’icone. Fe-dele alla tradizione iconografica e tecnica del genere, simostra attratto dalla pittura occidentale che aveva comin-ciato allora a penetrare nel paese, in particolare ai valorichiaroscurali, ai modelli della pittura di ritratto e alle ri-cerche prospettiche. Dapprima unicamente sensibile alrealismo, di cui mostra gli effetti nelle sue Sacre Sindoni (inmodo particolare quella del 1680) o nelle rappresentazionidel Cristo Pantokrator, s’abbandona presto al gusto dell’il-lustrazione e moltiplica i personaggi, gli animali, i motividecorativi che riempiono i riquadri di icone e affreschi (laMadre di Dio di Vladimir: Mosca, Gall. Tret´jakov). Anchele sue incisioni riflettono l’influsso occidentale: abbando-nando il tema della filossenia d’Abramo, che Rublëv avevadefinitivamente fissato come illustrazione allegorica dellaTrinità, egli rappresenta il Padre e il Figlio troneggiantisotto la colomba dello Spirito Santo. Questo continuo ri-

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ferimento a due mondi pittorici totalmente differenti fa dilui un pittore d’icone eclettico, ma anche il precursore del-la pittura profana russa. U partecipò inoltre alla decorazio-ne della Cattedrale dell’Arcangelo Michele a Mosca.(bdm).

Usellini, Gianfilippo(Milano 1903 - Arona 1971). Dedicò la sua vita alla pittu-ra e all’insegnamento. Diplomatosi nel 1926 all’Accademiadi Brera, vi tornò nel 1960 come titolare della cattedra didecorazione e affresco che conservò fino alla morte. Mossei primi passi dalle esperienze del Novecento a cui colla-borò attivamente. Appartengono agli anni Trenta le im-portanti imprese decorative al Palazzo del Governo diSondrio, al Palazzo di Giustizia e all’Ospedale Maggioredi Milano, nonché alla V Triennale della stessa città. Fuautore di scenografie per la Scala di Milano dal 1950 al1955. Scrisse anche per il teatro una serie di balletti e didrammi rimasti inediti, ad eccezione di uno. I suoi quadrierano la fonte di ispirazione diretta per le trame dei ballet-ti. La sua vocazione di pittore narratore si espresse anchenell’illustrazione di numerosi libri. Sfuggiva alle definizio-ni che lo volevano classificare entro determinate poetiche,in particolare in quella surrealista. Riconosceva le sue radi-ci nella pittura ellenistico-romana e dichiarava il suo ap-prezzamento per il Doganiere Rousseau. Il preciso sensodella forma, che gli derivava dall’approfondito studio delQuattrocento italiano, caratterizzò il suo primo periodovenato di classicismo. Superò il Novecento in direzionemetafisica e il tono del suo racconto, in cui si intreccianoelementi sacri e profani, divenne allora ironico e favolisti-co. È da segnalare un viaggio a New York nel 1948.(chmg).

UssatLa decorazione parietale della grotta detta «des Eglises» aU (Ariège) venne scoperta nel 1921. In uno stretto e scurocorridoio, le pitture sono eseguite in rosso sulle pareti esulla volta. L’aspetto, alquanto indistinto, indusse l’abateBreuil a ipotizzare un loro forte degrado: ma, per Leroi-Gourhan, si tratterebbe piuttosto di una stilizzazione vo-luta, prossima a quella rilevata nella grotta di Bayol. Bi-sonti, cavalli e stambecchi si riducono a poche linee. I se-gni astratti sono, invece, accuratamente dipinti e presenta-

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no una varietà complicata dello stile tettiforme. Il com-plesso dipinto e la parte incisa che lo precede possono clas-sificarsi come stile IV antico e apparterrebbero al Madda-leniano medio. (yt).

Ussi, Stefano(Firenze 1822-1901). Studia all’Accademia di Firenze sot-to la guida del Pollastrini. Nel ’48 combatte con i volonta-ri toscani a Montanara ed è imprigionato a Theresien-stadt.Nel 1849 vince il concorso triennale con La resurrezione diLazzaro e cinque anni dopo il pensionato a Roma con Boc-caccio spiega Dante nella chiesa di Santo Stefano. Nella capi-tale dipinge una delle sue opere piú note, la Cacciata delduca di Atene (Firenze, GAM), grande tela terminata nel’61 ed esposta con successo all’Esposizione nazionale. Inquest’opera U tenta d’innestare la pittura di storia su unceppo naturalista, nel clima di moderato realismo che ve-niva formandosi in Toscana a contatto con artisti francesi(fra i quali Degas).Dopo aver dipinto per Monaco Bianca Cappello, nel 1868si reca al Cairo invitato dal viceré in occasione delle festeper l’apertura del canale di Suez. Vi esegue commissioniimportanti, come La preghiera del deserto e Il pellegrinaggioalla Mecca, oltre a numerosi bozzetti e scene dal vero but-tati giú con vivace immediatezza e notevole libertà espres-siva, quasi in un confronto voluto con la poetica dei mac-chiaioli (con cui aveva avuto in quegli anni incessanti pole-miche). In occasione della sua morte la rivista «Empo-rium» ricordava «come egli fosse impeccabile disegnatoree colorista insigne, grande come pittore storico e ritratti-sta, per la viva espressione che seppe imprimere nei suoipersonaggi». (mvc).

UtagawaLignaggio di pittori giapponesi di stampe uukkiiyyooee (→), attivialla fine del sec. XVIII e nel XIX. I loro nomi d’arte inizianocon Toyo- o con Kuni-: erano specializzati nell’illustrazionedi romanzi e nell’esecuzione di ritratti di attori.Toyoharu (1735-1814), fondatore della bottega, è poco co-nosciuto, ma lo si può considerare il precursore della stam-pa di paesaggi; sembra infatti sia stato il primo a introdur-re paesaggi caratterizzati da una prospettiva di stile occi-dentale, sullo sfondo dei gruppi di figure. A Toyokuni

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(1769-1825), suo allievo, si devono i primi ritratti di atto-ri della bottega degli U: fu lui a fissarne il modello in unostile essenzialmente decorativo e del tutto privo dell’inten-sità psicologica che caratterizzava Sharaku. Suo continua-tore in questo campo fu Kunisada, alias Toyokuni III(1786-1864), assistito dal genero Kunimasa (alias Kunisa-da II). Interprete originale sarà il solo Kuniyoshi (1797-1861): eseguí anch’egli stampe con paesaggi di stile occi-dentale, nonché belle incisioni di pesci. (ol).

Utamaro(nome d’arte di Toriyama Shimbi; 1753-1806). Pittore exilografo giapponese, il piú celebre nel genere dettoukiyoe. Dopo l’apprendistato svoltosi a Edo (l’attualeTokyo) sotto la guida di Toriyama Sekien (che non fu peròdeterminante per la sua formazione), esordí come illustra-tore di novelle e ritrattista di attori, firmandosi KitagawaToyoaki. La svolta decisiva pare sia avvenuta nel 1780 aseguito dell’incontro con l’editore Tsutaya Jusaburo, notocome Tsutaju; la bottega di libraio di questi, situata all’in-gresso dello Yoshiwara, il quartiere delle case di piacere,era ritrovo fisso di scrittori e pittori e la politica editorialeattuata influí profondamente sulla diffusione dell’ukiyoe.Quanto al linguaggio dell’artista sono ravvisabili, nel pe-riodo giovanile fra il 1775 e il 1785, due distinte influen-ze: quelle di Kiyonaga e di Masanobu. Il primo ricerca unequilibrio compositivo nella figura femminile sempre inte-sa secondo i canoni di stilizzazione classici. Di tutt’altrosegno l’opera di Masanobu, ritrattista di cortigiane e pio-niere del genere erotico shunga; la sua grafica è infatti ca-ratterizzata da un’estrema libertà compositiva affiancatada un marcato iperrealismo anatomico nelle innumerevoliscene di accoppiamento; tali elementi, che U farà propri,segneranno un progressivo distacco dall’ideale classico dibellezza, legato ai modelli di epoca feudale, e conseguente-mente il passaggio alla modernità. Fra il 1785 e il 1790, Uillustrerà Il libro degli insetti e Il libro delle conchiglie (rite-nuto la sua massima realizzazione nel campo della xilogra-fia a colori) affrontando tematiche paesistiche nonché sog-getti derivati dal genere di poesia kyoka. Dal 1790 inavanti (fino al 1800) il suo dominio nel genere ukiyoe di-venne incontrastato. Con la pubblicazione, nel 1791 dellamonografia dedicatagli da Edmond de Goncourt, Le pein-tre des maisons vertes, ha inizio la fortuna occidentale del-

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l’artista. All’arte giapponese da lui rappresentata insieme aHokusai e Hiroshige guarderanno i preraffaelliti, gli im-pressionisti, i nabis, van Gogh e i loro successori. Tanto isuoi soggetti (la donna al bagno e le toilettes femminili),quanto soprattutto la tipologia dell’impaginazione sarannouna fonte d’ispirazione per Degas; analoghe osservazionisi possono fare per Toulouse-Lautrec. Nel 1804 l’artista èvittima di una traversia giudiziaria per aver raffigurato loshÿgun Hideyoshi, condottiero militare del sec. XVI, cir-condato dalle sue cinque concubine. Le autorità governati-ve interpreteranno l’opera come una pesante allusione alloshÿgun Iyenari, allora al potere, e l’azione di censura si tra-durrà in tre giorni di carcere seguiti da cinquanta di arrestidomiciliari. Nel frattempo i primi anni del secolo hannosegnato un’ulteriore mutazione nell’orientamento del pub-blico giapponese: all’edonismo inquietante delle narrazionivisive che fecero la fortuna di U, subentra il gusto per uneros decisamente piú violento, distruttivo e crudele, estra-neo a ogni sensuale galanteria, destinato ad avere un note-vole influsso sulla cultura giapponese a venire. (rca).

Utkin, Nikolaj Ivanovi™(Tver 1780 - San Pietroburgo 1863). Dopo aver frequenta-to l’Accademia di San Pietroburgo completò la sua forma-zione a Parigi, presso de Bervic, dal 1803 al 1813. Torna-to a San Pietroburgo, divenne professore e conservatoredelle stampe dell’Accademia, nonché incisore di corte. Fuapprezzato soprattutto per i suoi ritratti incisi (Caterina IIe il Principe A. Kurakin da Borovikovskij, 1812; A. S.Pu∫kin da Kiprenskij, 1828). (bl).

UtrechtFatta eccezione per Haarlem, di tutte le città dei PaesiBassi settentrionali, è forse a U che meglio si applica ilconcetto di «scuola», di centro dall’autonoma fisionomiaartistica. A dire il vero, fu soprattutto la forte originalitàdi un attivo gruppo di pittori caravaggeschi a conferirequalche consistenza, e solo per qualche anno (intorno al1620-50), alla categoria tanto utilizzata dagli storici del-l’arte, di «scuola» di U. Di fatto gli scambi e le interferen-ze con le altre città, rispecchiano il composito panoramadelle ricerche artistiche dei Paesi Bassi; tuttavia è qui chela corrente caravaggesca sfociò in risultati tanto singolari,forse determinati dalla particolare situazione religiosa di

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U, ancora cosí aperta, rispetto agli altri centri del paese, alcattolicesimo. (if).XIV-XV secolo–Fervida sede vescovile, la cui influenza spi-rituale si estende su una regione assai ricca, U fu un centroartistico già attivo nel sec. XV. Da qui provengono le testi-monianze piú antiche della pittura su tavola nei Paesi Bas-si settentrionali. L’Epitaffio di Hendrik van Rijn (1363:Anversa, MRBA), eseguito per la chiesa di San Giovanni,rivela una certa consanguineità con opere straniere con-temporanee, pur denotando un’inclinazione piuttosto net-ta verso la caratterizzazione psicologica dei personaggi.L’Ex voto dei signori di Montfort (Amsterdam, Rijksmu-seum), datato secondo gli studiosi tra il 1375 e il 1390 eproveniente dalla chiesa di Linschoten, nel territorio delladiocesi, presenta d’altro canto un’arte piú stereotipa deldipinto precedente, e sembra riallacciarsi all’imitazione dimodelli parigini. Il carattere unico di una Crocifissione di-pinta a fresco nel primo quarto del sec. XIV, rinvenuta solonel 1889 nella chiesa di San Pietro, non consente neanchein questo caso di individuare una corrente pittorica a cuiriferirla.Persino nel sec. XV, date le amplissime distruzioni, l’attivitàdi U è ricostruibile solo grazie alle testimonianze dei mano-scritti miniati, buon numero dei quali provengono in modocerto dalla diocesi di U, in particolare dalla Certosa diNieuwlicht presso la città, dove sembra essere stato attivoun vero e proprio scriptorium. Risalgono ai primi anni del se-colo numerosi volumi, tra i quali una Bibbia completata nel1403 (Bruxelles, Bibliothèque Royale) e un Trattato diThierry di Delft del 1404 (New York, PML e Baltimore,WAG). In entrambi i casi le illustrazioni presentano caratte-ri che persisteranno nella scuola: non la sontuosità dei ma-teriali e l’eleganza stilistica dei manoscritti parigini con-temporanei, ma un’arte sobria, spontanea, che ricerca il ca-ratteristico, l’accento naturalistico e caricaturale spesso ri-correndo a una tecnica sommaria. Incontestabili si dimo-strano dunque i rapporti con l’arte autoctona dei Paesi Bas-si settentrionali: Arnhem, Zwolle, Deventer. La città fun-geva da collegamento tra la Geldria, dove nel sec. XIV fioríla tradizione miniatoria che ebbe a capo i Malouel e i loronipoti, i fratelli Limbourg, provenienti da Nijmegen, e l’O-landa propriamente detta; a completamento del quadro an-drebbe poi aggiunto l’influsso di Jan van Eyck. Il Breviariodi Rinaldo IV di Geldria (New York, PM) e il Breviario di Ma-ria di Geldria (Berlino, SB), un poco posteriori, pongono co-

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sí il problema della localizzazione di ateliers attivi tra U e laGeldria e della circolazione di caratteri che si ritrovano nel-l’opera del Maestro di Zweder de Culemborg, pittore dellaGeldria venuto a U (Bibbia di Bressanone, datata 1425), epiú ancora in quella del Maestro di Catherine de Clèves,forte personalità, positivamente influenzata da Campin,che apporta, in particolare, uno stile realista di singolarenovità. Con il Maestro di Evert van Zoudenbalch, attivonegli anni Sessanta del sec. XV, si fa strada un maggior in-teresse per il problema d’organizzazione dello spazio; l’au-tore dell’affresco dell’Albero di Jesse nella Buutkerk (al qua-le sono state attribuite due tavole ora nei musei di U e diProvidence, Rhode Island), rivela invece un’arte ancora in-certa tra illustrazione ed espressione.La città diventerà presto un centro da cui dipartirono nu-merosi artisti; cosí è per Guillaume Vrelant stabilitosi aBruges, e, nell’ultimo quarto del secolo, per Erhard vanReeuwich il quale abbandona U per la Germania, dovetroverà l’opportunità di accompagnare Bernard von Brey-denbach nel suo viaggio in Terra Santa. La scoperta di unlibro d’ore alla maniera di U, miniato nel 1475 ca. dalMaestro dell’Altare di San Bartolomeo a Colonia, consen-te di ipotizzare una sua possibile provenienza da U. Maforse occorre qui rovesciare la relazione tra basso Reno eU, e notare, a partire dal 1450, l’influsso crescente dellapittura di Colonia sull’ambiente di U, come attestano nu-merosi pannelli dipinti conservati al Museo vescovile. Inogni modo le esperienze figurative posteriori al 1470 si as-sestano sui caratteri riscontrati in precedenza. (ach).XVI secolo–Sin dalla fine del sec. XV è interessante rilevarecome a U si sviluppasse con originalità il gusto per il ri-tratto: accanto a un robusto ritratto anonimo come quellodel Canonico Jacob van Driebergen del 1502 (U, CM), sono ipreziosi ritratti su sfondo scuro e di piccolo formato di Ja-cob Claesz van Utrecht, attivo ad Anversa, poi a Lubecca,e soprattutto le prove di Jan van Scorel ad attestare la vi-talità del genere. Sarà proprio van Scorel, tra i fondatoridella gilda di pittori di U nel 1524, ad affermarsi come ilprimo grande artista della città, esercitandovi un influssoprofondo e vigorosamente moderno, dettando il soprav-vento di una maniera italianizzante (Giorgione e Palma ilVecchio), che risente anche di un apporto düreriano,unendo cosí impostazione monumentale, colori chiari e le-vigati, grafica angolosa e insistente, ritmi eloquenti e ar-moniosi.

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Proprio in ragione della presenza di uno Scorel, è assai ac-centuata la differenza tra U e le altre città olandesi comeAmsterdam, dove opera il tradizionalista Cornelis van Oo-stranen, adepto di un rinascimento puramente decorativoe superficiale, o Leida, la cui situazione artistica risulta il-lustrata da pittori come Jan de Cock, Engebrechtsz e Lucadi Leida, fortemente legati al manierismo tardogotico pra-ticato con tanto virtuosismo ad Anversa all’inizio del sec.XVI. Tra gli allievi di Scorel, ammirevole ritrattista è An-tonio Moro, iscritto alla gilda di Anversa nel 1547, artistapresto divenuto di fama internazionale senza peraltro rom-pere del tutto i rapporti con la città natale (vi soggiornòancora nel 1554 e nel 1559). L’influenza di Scorel superòcomunque abbondantemente i confini di U, come attesta-no le opere di Heemskerck, attivo ad Haarlem, di CornelisBuys, operante ad Alkmaar, di Dirck Jacobsz, ad Amster-dam, di Jan Swart van Groningen e Vermeyen.Nel corso del sec. XVI emergono le personalità di Block-landt e di Joachim Wtewael: il primo, con Joos de Beer, econ questi allievo di Floris di Anversa, incarna il trionfodel romanismo nordico proveniente dai Paesi Bassi meri-dionali. La tradizione di una grande pittura di storia simanterrà viva dunque a U, ma arricchita da influssi ma-nieristi (Parmigianino) che ammorbidiscono e affrancanoconsiderevolmente la severa lezione di Scorel. Una ricercaanaloga sviluppa, con apporti veneziani, Dirck Barendsznella vicina città di Gouda. Cosí, verso la fine del sec. XVI,U (analogamente a quanto avveniva ad Haarlem con Golt-zius e Cornelis) passò risolutamente dalla parte del manie-rismo internazionale. Lo attesta l’espressività ad oltranza,con accenti neobassaneschi, di Wtewael, allievo di Joos deBeer e grande rivale di Bloemaert, altra figura di primopiano del manierismo esacerbato coltivato a U – come adHaarlem – allo scadere del sec. XVI e protrattosi per unabuona parte del sec. XVII. Di fatto Cornelis van Haarlem eWtewael muoiono nel 1638, Abraham Bloemaert nel1651, prolungando in modo inatteso, in pieno secolo d’o-ro, un manierismo tipico della fine del secolo precedente:un’arte d’effetto, ricettiva verso ogni italianismo, inclineal monumentalismo, ma al contempo caratterizzata da unatendenza realistica ben individuabile nella ritrattistica diun Wtewael e di un Paulus Moreelse, nonché del giovaneMierevelt, formatosi con Blocklandt e stabilitosi ai suoiesordi a U, proprio come accadeva alla corte di Rodolfo IIa Praga, con Spranger, Hans von Aachen e Heintz. Gli an-

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ni 1580-1610 costituiscono dunque un terreno singolar-mente fertile per il caravaggismo italiano.XVII secolo: la scuola di Utrecht–Mentre Haarlem nel pri-mo quarto del sec. XVII imbocca una strada assai differen-te da U, coltivando un realismo particolare nel paesaggiocome nella natura morta e nella scena di genere, il successodelle idee caravaggesche resta un fenomeno tipico, pur af-fermandosi anche in altri centri, specie nella pittura di sto-ria. Ad Haarlem d’altro canto, con preclassicisti come Sa-lomon de Bray, César van Everdingen e Grebber, ad Am-sterdam con Lastman, i Pynas Moeyaert e presto conRembrandt e tutto il gruppo detto «dei pre-rembrandtia-ni», nonché con Lievens, si sviluppa una pittura di sogget-ti storici indipendente dal movimento caravaggesco. ComeLastman ad Amsterdam ha pienamente assicurato iltrionfo di una pittura narrativa derivante da Elsheimer,Honthorst, Baburen e Ter Brugghen – tornati da Romanei 1620 i primi due, e sin dal 1614 il terzo – hanno se-gnato una svolta fondamentale per la storia pittorica di U.Improntati dalla forte lezione realista e luminista di Cara-vaggio – mediato da Manfredi e Gentileschi piú che stu-diato e apprezzato direttamente – questi tre grandi nomidel caravaggismo olandese costituiranno una vera e pro-pria scuola con un repertorio tematico caratteristico, in cuila pittura di genere, spesso provocatoria, compete con lagrande pittura religiosa o mitologica, presentando con lastessa immediatezza che appartiene, d’altra parte, tanto aun clima caravaggesco che manierista, personaggi reali,storici, esotici e tutto un mondo di zingari, cortigiani egiocatori. Realismo pittoresco, anzi «picaresco», freschez-za descrittiva, semplificazione degli accenti pittorici, me-stiere nutrito di audacie policrome e di una tavolozza chespesso predilige toni chiari, moralizzazione satirica talvol-ta insistita: questi alcuni dei tratti tipici del caravaggismodi U che gli assicurano un innegabile e rapido successo. Inparticolare sarà il pubblico del sec. XX a sentire il fascinodi questa pittura «d’urto», apparentemente meno conven-zionale di altre, di fatto molto abile e diretta nella sceltadegli effetti pittorici. Attorno a queste tre figure principa-li – tra cui Honthorst incontestato capofila – si raggruppa-no numerosi altri pittori: alcuni, come Bloemaert e PaulusMoreelse, avevano dovuto subire il contraccolpo della vo-ga caravaggesca e adattarvisi, almeno temporaneamente.Tra gli altri vanno ricordati Paulus Bor, che sfuma il suorealismo con accenti poetici di grande fascino, con esiti

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paragonabili ai preclassicisti di Haarlem Grebber ed Ever-dingen; Bylert, presto indirizzatosi verso una versione piúaccademizzante di caravaggismo; infine Bronckhorst, Por-tengen, Johan Moreelse (fratello di Paulus), JohannesBaeck, Jan Rutgers van Niwael e altri. Tale caravaggismonon definisce né riassume peraltro interamente il climapittorico della città. Cosí Abraham Bloemaert, efficiente-mente sostenuto dai figli, gli incisori Frederick e Cornelis– mentre Adriaen, paesaggista, ne resta ben discosto – ag-giorna il proprio manierismo, che tratta ormai con maggiorpacatezza e ampiezza decorativa, guardando sia a Rubensche a Honthorst. Ma è nel paesaggio che si esprime in mo-do estremamente personale e fecondo, mettendo a punto,a partire dalle concezioni manieriste e brillantemente fan-tastiche di un Gillis van Coninxloo, una sorta di visionearcadica piena di gradevolezza e di flessibile ingegnosità,che avrà lunga discendenza, con echi ancora nelle opere«pastorali» di un Boucher. Nello stesso spirito di esube-ranza formale e quanto mai decorativa, si iscrivono le ri-cerche di Roelandt Savery, stabilitosi a U nel 1619, diPaulus van Vianen e di Gillis Claesz d’Hondecoeter – si-gnificativamente, tutti artisti di origine fiamminga – chedefiniscono, sulla scia di Vinckboons, un tipo di paesaggio«esotico», un poco arcaizzante ma destinato a grande suc-cesso, coltivato nei Paesi Bassi del sud nella cerchia diBruegel dei Velluti. A U, Savery si affermò anche comepittore di fiori; il genere vi conobbe poi notevole sviluppocon i membri della famiglia Bosschaert: Ambrosius, prove-niente anch’egli dalle Fiandre, e i suoi figli Abraham eAmbrosius il Giovane, nonché con Balthasar van der Ast,tutti autori di nature morte ancora arcaiche nel ricorso allepresentazioni frontali, ma piene di risorse poetiche nel lo-ro iperrealismo di virtuosismi botanici al servizio di un im-peccabile mestiere e decorativismo.Un altro grande nome della pittura di U – la cui influenzae il cui significato sono del tutto paragonabili a quelli deipiú noti caravaggeschi di U – è Cornelis van Poelenburgh,uno dei rappresentanti principali, con Breenbergh, delpaesaggio storico e italianizzante. Di fatto molti furono aU i paesaggisti che seppero sviluppare una maniera relati-vamente originale in relazione a quanto avveniva ad Am-sterdam, Leida, Haarlem o L’Aja. In luogo di una conce-zione realistica, che d’altro canto determinò il successo divan Goyen, Esaias van de Velde, Molyn o Salomon vanRuysdael, ebbe qui fortuna un tipo di paesaggio fantastico

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o quanto meno poetico, con riferimenti italiani. Il primogrande caposcuola del genere, virtuoso incomparabile dieffetti di luce cristallini e di limpidi cieli, fu il «pittore dirovine» Poelenburgh, ormai decisamente intriso della le-zione italiana, che nella scia di Elsheimer e di Saraceniapriva una strada paragonabile a quella di Claude Lorrain.Vedute romaniste, piccoli paesaggi idillici e accuratissimi,con pretesti narrativi di soggetto mitologico o religioso (aU, a causa della comunità cattolica, i soggetti di pittura re-ligiosa sono ricercati e sono trattati con una fattura chiara,pulita e miniaturistica, e con una perfezione e una raffina-tezza già tutte accademiche). Questa la poetica di Poelen-burgh che, come Gerrit Dou a Leida, godrà di fama im-mensa e avrà al suo seguito un cospicuo gruppo di allievi,seguaci e imitatori, come Vertangen, Dirck van der Lisse,Cuylenborch, Reinier van der Laeck, Johannes de Veer,Haensbergen o figure piú autonome, come Gérard Hoet,che si inserisce in quella corrente di neoclassicismo avantilettera – cui certo Poelenburgh è tra i primi a tracciare lastrada – nella quale trovano posto Lairesse e, in Francia,La Hyre e Stella.Ancor piú esplicitamente italianizzante e idealista è il pae-saggio messo a punto da Jan Both, altro pittore di U dure-volmente improntato dal suo soggiorno in Italia, vero riva-le olandese di Lorrain. La sua importanza supera d’altrocanto la dimensione locale arrivando a influenzare decisi-vamente Berchem e Aelbert Cuyp, due tra i massimi nomidel paesaggio olandese del sec. XVII.Accanto a Jan Both e alle sue vedute idilliche di un’Italiadi sogno, si collocano alcuni paesaggisti, talvolta di altrecittà, come Carel e Horatius de Hooch, Claude de Jongh,ma anche Herman Saftleven e Gysbert d’Hondecoeter,maestri nel suggerire l’atmosfera di lontananze sottili eprofonde, Adriaen Bloemaert, Jacob e Willem de Heusch,abili continuatori di Both, dalla cui opera traggono spessospunto eseguendo veri e propri pastiches, Willem van Bem-mel e Jan van Bunnik. Un poco in disparte, e d’altrondepiú anziani e ancora legati a una tradizione arcaizzante al-la Savery, i membri della famiglia Willaerts sono specializ-zati nella rappresentazione di marine e coste, in particola-re Adam, fondatore della dinastia, proveniente da Anver-sa, che anticipa l’arte di un Allaert van Everdingen. Dalcanto suo il pittore di architetture Nicolaes de Giselaerserbò a lungo il gusto per gli scenari complicati e neorina-scimentali trasmessogli da Vredeman de Vries e analogo a

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quanto sperimentato dagli Steenwyck. Nel campo dellescene di genere di piccolo formato, a parte i caravaggeschi,U conta alcuni pittori interessanti e di difficile classifica-zione, come Droochsloot – che a dire il vero mescola lastoria religiosa, concepita come narrazione pittoresca, conle vedute di città e le evocazioni rustiche nel gusto diBrouwer (di cui si compiace un altro pittore di U, AndriesBoth, fratello di Jan) –, come Knüpfer, virtuosistico sce-nografo, che a sua volta prepara il terreno a Jan BaptistWeenix, Metsu e attraverso di lui Steen, nonché a un al-tro artista di U, Maarten Stoop; tutti dediti sia alla pitturadi genere che alla pittura di storia e caratterizzati da unapiacevole irrequietezza formale con accenti che per un cer-to verso annunciano la stagione del realismo.Per quanto riguarda la ritrattistica, già tanto diffusa nelsec. XVI, sono alcuni manieristi di fine secolo, come PaulusMoreelse e Wtewael, a indicare la strada efficacemente ri-presa e ampliata dagli Honthorst, Gerrit e Willem, versoun realismo abile e moderato che troverà la sua massimafortuna nelle effigi principesche o nobili dalle forme armo-niche chiare e levigate, alternative alle caravaggesche. Inparticolare, il ritratto allegorico-mitologico, spesso a ten-denza pastorale, come in Poelenburgh e Zwaerdecron, in-contra vivo successo negli ambienti aristocratici: orienta-mento mondano e talora troppo «finito» e accurato, checomporterà la tarda venuta (nel 1652) del vandyckianoCornelis Johnson van Ceulen, amante degli sfondi grigiraffinati.Dopo il 1650 a U non si registrano pressoché piú eventi dirilievo. Possono ancora citarsi alcuni nomi interessanti perla storia della natura morta, che si sviluppa sia verso la re-sa di particolari preziosi e minuti (Abraham Mignon, Hen-drick Schoock, Maria van Oosterwyck, Michiel Simons,Jacobus Marellus), sia verso il fasto decorativo in voga nel-l’Europa dell’epoca di Luigi XIV (Jan Baptist e Jan Wee-nix, Melchior d’Hondecoeter, Ferguson, pittori di trofeidi caccia, mentre Jacob Gillig e Jan de Bont si specializza-no nei pesci). Per il resto, la storia pittorica della città èanaloga a quella degli altri centri olandesi, con l’affermarsidi un gusto sempre piú spiccato per la riduzione dei forma-ti, per lo specializzarsi nei generi e per la fattura minuta.Si ricordano dunque Hoet per la storia, Haensbergen peril genere mitologico, Reinier dell’Aja per il ritratto, gliHeusch nel paesaggio. Il bilancio è poco brillante e non sisolleva nel sec. XVIII con pittori coscienziosi ma fin troppo

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prudenti, come i ritrattisti Jan Maurits Quinkhard, Hen-drik van Velthoven e Louis-François van der Puyl o i pae-saggisti della famiglia Liender, con Jacob ancora italianiz-zante di stretta osservanza, mentre il nipote Pieter Jan sidedica alle vedute topografiche di U. Ci si incammina co-sí, alla soglia del sec. XIX, verso dati di carattere prevalen-temente locale, ma non privi d’altronde di un loro fascino(Kobell effettua interessanti pastiches da Potter; Wondernel ritratto ha ben assimilato il realismo davidiano; Craey-vanger, Haanebrink, Hendrik van Oort dipingono la lorocittà con accurata e pura modestia), da integrarsi solo de-bolmente, in una generale rievocazione dell’attività pitto-rica olandese, al livello delle altre scuole nazionali. (if).Centraal Museum–Fin dal sec. XVII il comune di U sipreoccupò di raccogliere nel municipio documenti, oggetti,dipinti riguardanti soprattutto la storia locale. Nel 1658,su proposta del borgomastro, una trentina di quadri storicie topografici vennero commissionati al pittore van Swa-nenburgh: il complesso andava ad arricchire la collezionedi quadri delle corporazioni, già trasferiti in municipio almomento della loro abolizione nel 1650 (tra essi erano iquattro dipinti di Jan van Scorel rappresentanti i membridella Confraternita di Gerusalemme: oggi al Museo). Con-temporaneamente oggetti d’arte e dipinti provenienti daconventi e chiese soppresse venivano anch’essi trasferitinella stessa sede. Sfortunatamente, all’inizio del sec. XIX,una parte di queste prime collezioni comunali è andata di-spersa a causa della negligenza e dell’abbandono in cui era-no state lasciate. Tuttavia, nel 1824, furono presi i primiprovvedimenti che, tramite l’acquisizione di alcune opere,nonché l’afflusso di donazioni e di qualche quadro prove-niente dall’Accademia di belle arti, portarono all’ingrandi-mento del fondo iniziale e all’apertura del museo al pub-blico nel 1838. Si trattava di un museo soprattutto stori-co, ma che andò progressivamente arricchendo la collezio-ne di quadri (una trentina, in origine). Fu nel 1872 chel’Associazione degli amici dell’arte decise di creare un ve-ro e proprio museo delle belle arti distinto da quello stori-co; la municipalità gli cedette sessantacinque quadri e il 5febbraio 1873 la nuova istituzione venne inaugurata colnome di Museo Kunstlifte. In seguito, nel 1916, la cittàdecise di creare un unico museo centrale che concentrassele raccolte storiche del municipio, i dipinti del MuseoKunstlifte, che vennero restituiti dall’Associazione degliamici dell’arte, le collezioni arcivescovili e le raccolte di

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antichità della provincia di U. Il museo venne collocatonella cappella e nel refettorio dell’antico convento diSant’Agnese, edificio del XIV e XV secolo, ampliato conuna nuova ala. La galleria di pittura è dedicata quasi esclu-sivamente ai pittori di U e consente pertanto di seguire losviluppo delle vicende artistiche del centro olandese. Do-po l’italianizzante Jan van Scorel (Ingresso di Cristo a Geru-salemme; Deposizione dalla Croce), il manierismo è rappre-sentato da Wtewael (Adorazione dei pastori; Giuseppe e isuoi fratelli) e Bloemaert (Adorazione dei Magi). Tra i cara-vaggeschi di U sono rappresentati Gerrit van Honthorst(la Mezzana; Morte di Seneca), Ter Brugghen (le Lacrime disan Pietro; la Vocazione di san Matteo), Dirck van Baburen(Deposizione dalla Croce; Suonatore di liuto). Da ricordareancora, le opere di Paulus Bor, Jan van Bylert, Bronck-horst. (gb).Museum Het Catharijneconvent–Documenta la storia delcristianesimo nei Paesi Bassi con un’ampia collezione diarte religiosa, in particolare opere di pittura (Rembrandt,Hals), scultura, manoscritti, suppellettili ecclesiastiche,tessili. Il museo, che ha sede nel convento medievale diSan Giovanni, ospita la principale raccolta olandese di ar-te medievale. (gb+sr).

Utrecht, Adriaen van(Anversa 1599-1653). Poco dopo aver iniziato l’apprendi-stato pittorico, verso il 1614, fece viaggi in Francia, Italiae Spagna. Nel 1625 venne iscritto come maestro nella suacittà natale. Nel 1646 eseguí alcuni dipinti destinati alloHuis ten Bosch dell’Aja. La sua produzione va dal 1629 al1650; specializzato in nature morte, riprese spesso glischemi di Snyders. Predilesse ampie composizioni di gustobarocco, trattate tuttavia con un colore sobrio: per esem-pio, il Cesto di frutta con scimmia (1635: Stoccolma, NM), ola Selvaggina e frutta (1645: Oxford, Ashmolean Museum).La monotonia degli schemi viene compensata da alcunenotazioni di colore vivo, come il piumaggio del pavone nelCortile del Museo di Basilea. Collaborò con Willeboirts,Bosschaert, Jordaens ed Erasmus Quellinus. (jl).

Utrillo, Maurice(Parigi 1883 - Dax (Landes) 1955). Nato sulla Butte diMontmartre dalla pittrice Suzanne Valadon, acquisisce ilnome nel 1891 del critico spagnolo Miguel Utrillo y Mo-

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lins, amico della madre. Il suo temperamento inquieto gliimpedisce di proseguire gli studi al College Rollin, e ab-bandona un posto come impiegato di banca. È la madre aindirizzarlo alla pittura, una volta dimesso nel 1901 dopouna prima cura disintossicante dall’alcool. Definito «il piúbohémien dei bohémiens», U dipinge angoli di Montmartree della provincia parigina, dal vero o da cartoline illustra-te, frequenta i piccoli caffè della Butte e trascorre a piú ri-prese periodi in cliniche. Al di là della leggenda creatasiintorno al suo personaggio, sono i suoi dipinti a comunica-re un’acre malinconia e un senso di solitudine. Inizialmen-te, nel periodo cosiddetto «di Montmagny», dalla cittadi-na dove vive per alcuni anni con la madre e il patrignoPaul Mousis, avvocato benestante, la sua interpretazionedel paesaggio è vicina ai modi di Pissarro e Sisley; succes-sivamente trasparirà dai suoi lavori la conoscenza dell’ope-ra dei fauve e dei cubisti. Autentico autodidatta, U assimi-la le esperienze a lui vicine, anche per tramite della madree degli artisti da lei frequentati. Espone per la prima voltanel 1909 al Salon d’Automne. Gli anni dal 1910 al 1914vengono definiti il «periodo bianco», per il suo insistitoimpiego del bianco di zinco mescolato al gesso. Sono anniparticolarmente felici della sua produzione, anni in cui co-nosce Modigliani e dipinge angoli di Montmartre insiemealla madre e all’amico Utter, che diventerà nel 1914 il se-condo marito della Valadon (Rue du Mont-Cenis, 1910: Pa-rigi, MNAM; L’Impasse Cottin, 1911: ivi; Place du Tertre,1911: Londra, Tate Gall.). Il mercante e poeta simbolistaLibaude gli organizza nel 1913 la prima mostra alla Gall.Eugène Blot. Lo stesso anno U è presente al Salon desIndépendants. Il suo lavoro viene visto con interesse daiconoscitori Elie Faure, Octave Mirbeau e Paul Gallimard,ma nessuno in particolare lo segue con costanza, scoraggia-to dalle sue crisi e dalla sua abitudine a vendere le opereper conto proprio. L’ambiente di U continua ad essere ilbistrot del Casse-Croûte, il cabaret della Belle Gabrielle, ilLapin agile (Le Lapin agile, 1910: Parigi, MNAM). Dopo laguerra, la mostra alla Gall. Lepoutre (1919) gli procura unnotevole successo, morale e materiale; seguono le due mo-stre alla Gall. Berthe Weil (dove espone insieme alla Vala-don) e da Paul Guillaume (1921 e 1922). Cresce anche ilsuo successo popolare e cominciano ad apparire falsi U.Dopo un periodo al Château de Saint-Bernard, presso Lio-ne, portatovi dalla madre per allontanarlo da Montmartree dall’alcolismo, nel 1935 U sposa Lucie Valore Pauweis,

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anziana attrice e vedova di un ricco collezionista, e si sta-bilisce, fino alla morte, in campagna (Charente e Vésinet);qui continua a produrre, un po’ stancamente, opere suisoggetti a lui cari, spinto dal suo mercante Paul Pétridès.Nella concezione dello spazio, nelle prospettive che salgo-no e scendono, nelle svolte delle strade, nei volumi dellecase e delle chiese, nel vuoto e nella solitudine delle car-reggiate e dei marciapiedi, U imprime una forte poeticacompletamente originale e una vibrante sensibilità emoti-va. Egli impiega, in composizioni rigorose di studiata mi-sura, larghe pennellate e talvolta la spatola, in una grandelibertà interpretativa. Raggiunta fama internazionale conuna mostra a New York nel 1939, ha nel dopoguerra ungrande successo di mercato. Riconosciuto come il «miglio-re paesaggista» alla rassegna presso la Gall. Charpentierdedicata ai pittori dell’Ecole de Paris (1946), gli è riserva-ta nel 1950 una sala alla Biennale di Venezia. La Gall.Charpentier ha allestito nel 1959 un’importante mostracommemorativa. Un vasto complesso della sua opera èconservato a Parigi (MNAM e MAMV), come nella maggiorparte dei principali musei d’Europa e Stati Uniti. (eca).

Uyl, Jan Jansz I den, detto il Vecchio(Amsterdam 1595-1638). Cognato di Jan Treeck, dipinsenature morte nello stile di quest’ultimo e sotto il palese in-flusso di Heda (Londra, NG; Rotterdam, BVB; Amsterdam,Rijksmuseum). Fu padre di Jan Jansz II (Amsterdam 1624ca. - ? dopo il 1670), che eseguí incisioni raffiguranti ani-mali; molti suoi disegni sono conservati a Rotterdam(BVB). (jv).

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Elenco degli autori e dei collaboratori

aa Andrea Augentiaaa Aracy Abreu Amaralabc Antonio Borret Correaabl Albert Blankertabo Alan Bownessacf Anna Colombi Ferrettiach Albert Châteletacl Annie Cloulasacs Arlette Calvet-Sérullazad Anna Disteladg Arianna di Genovaadl Alessandro Della Lattaaeps Alfonso Emilio Pérez Sánchezafh Antoniette Faÿ-Halléalb Agnès Angliviel de La Baumelleamr Anna Maria Rybkoanb Annamaria Bavaapa Alfonso Panzettaas Antoine Schnapperasp Agnès Spycketaze Andrea Zezzabc Bernard Crochetbda Bernard Dahhanbdm Brigitte Pérouse de Montclosbl Boris Losskybp Béatrice Parentbt Bruno Toscanobz Bernard Zumthorcame Carlo Meliscb Camilla Barellicbr Catherine Brisaccc Claire Constans

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chmg Chiara Maraghini Garronecmg Catherine Mombeig Goguelcsc Cecilia Scatturincsm Costanza Segre Montelcv Carlo Volpedc Davide Cabodidp Denis Patakydr Daniel Robbinseb Evelina Boreaeba Elfriede Baumebi Enza Biagieca Elisabetta Canestrinieg Elisabeth Gardnerelr Elena Ramaer Elisatbeth Rossiererb Elena Rossetti Brezzies Elisabetta Samboet Emilia Terragnifa François Avrilfam Fabrizio Maganifc Françoise Cachinfd Ferenc Debreczenifdo François Donatienff Fiorella Frisonifg Flávio Gonçalvesfir Fiorenza Rangonifrm Frieder Mellinghofffv Françoise Viattega Gotz Adrianigb Germaine Barnaudgbé Gilles Béguingber Giuseppe Bergaminigcs Gianni Carlo Sciollagf Giorgio Fossaluzzagib Giorgina Bertolinogl Geneviève Lacambregmb Georges M. Brunelgp Giovanni Previtaligra Giovanna Ragionierigrc Gabriella Repaci-Courtoisgsa Giovanna Saporigst Guido Strazzagv Germaine Viatteg+vk Gustav e Vita Maria Künstlerhb Henrik Bramsen

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hbf Hadewych Bouvard-Fruytierhbs Helmut Borsch-Supanhl Hélène Lassallehm Helga Muthht Hélène Toussaintic Isabelle Copinils Isabella Lo Salvoim Ines Millesimiivj Ivan Jirous e Vera Jirousovajaf José-Augusto Françajf Jacques Foucartjh John Hayesjhm Jean-Hubert Martinjho Jaromir Homolkajhr James Henry Rubinjjg Jean-Jacques Gruberjjl Jean-Jacque Lévêquejl Jean Lacambrejm Jennifer Montagujmu Johann Muschikjns John Norman Sunderlandjpc Jean-Pierre Cuzinjpm Jean-Patrice Marendeljr° Jean-René \stiguyjs Jeanne Sheehyjv Jacques Vilainka Katarina Ambroziclaw Lucie Auerbacher-Weillba Liliana Barroerolbc Liesbeth Brandt Corsiusldm Lella di Muccil° Leif \stbylt Ludovica Trezzanimal Monica Aldimas Marcel-André Staltermat Marco Tanzimba Michele Baccimbé Marie Bécetmbi Margaret Binottomcb Maria Carmela Bertòmcm Maria Celeste Meolimdc Marco di Capuamfb Marie-Françoise Briguetmga Maximilien Gauthierml Mauro Lucco

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mo Marina Onestimr Marco Roscimri Monique Ricourmrs Maria Rita Silvestrellimrv Maria Rosaria Valazzimt Miriam Talmtmf Marie-Thérèse Mandroux-Françamtr Maria Teresa Robertomv Michael Voggenhauermvc Maria Vera Crestimwb Michael W. Bauernd Nicole Dacosnr Nicole Reynaudns Nicola Spinosaol Olivier Lépinepdb Pierre du Bourguetpg Paul Guinardpgt Piera Giovanna Tordellaphp Pierre-Henri Picoupmo Paola Morellippd Pier Paolo Donatipr Pierre Rosembergpv Pierre Vaissepva Poul Vadrba Roberta Bartolirca Riccardo Cavallorch Raymond Charmetrdg Rosanna De Gennarorl Renée Locherla Riccardo Lattuadarm Robert Mesuretrpa Riccardo Passonirvg Roger van Gindertaelsag Sophia A. Gaysba Simone Baioccosc Sabine Cottéscas Serenella Castrisde Sylvie Deswartesdn Sirarpie Der Nersessiansk Stefan Kosakiewiczsl Sergio Lombardisls Serge L. Strombergso Solange Orysr segreteria di redazionesro Serenella Rolfi

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ss Sandro Scarrocchiaszu Stefano Zuffitb Thérèse Burollettf Tiziana Francotp Torsten Palmervb Victor Beyerdvbl Vitale Blochvc Valentina Castellanive Vadime Elisseffwb Walter Buchowieckiwh Wulf Herzogenrathwj Wladyslawa Jarowskawl Willy Laureyssenswv William Vaughanxm Xénia Muratovayt Yvette Taborin

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Elenco delle abbreviazioni.

Accademia Gallerie dell’Accademia, VeneziaAccademia Galleria dell’Accademia, FirenzeAG Art GalleryAlbertina Graphische Sammlung Albertina, ViennaAM Art Museum, Museum of Art, Musée

d’art, Museu de Arte, Muzeul de artaAM Altes Museum, BerlinoAmbrosiana Pinacoteca Ambrosiana, MilanoAP Alte Pinakothek, Monaco di BavieraBA Bibliothèque de l’Arsenal, ParigiBC Biblioteca civica, Biblioteca comunaleBIFA Barber Institute of Fine Arts, Birmin-

ghamBL British Library, LondraBM British Museum, LondraBM Biblioteca municipaleBN Biblioteca nazionaleBrera Pinacoteca di Brera, MilanoBV Biblioteca Vaticana, RomaBVB Museum Boymans-van Beuningen, Rotter-

damCapodimonte Museo e Gallerie nazionali di Capodimon-

te, NapoliCarrara Galleria dell’Accademia di Carrara, Berga-

moCastello Museo del Castello Sforzesco, MilanoCastelvecchio Museo di Castelvecchio, VeronaCloisters The Metropolitan Museum of Art - The

Cloisters, New YorkCM Centraal Museum der Gemeente Utrecht,

Utrecht

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ENBA Ecole Nationale des Beaux-Arts, Louvre,Parigi

Escorial Monasterio de San Lorenzo de El Escorial(prov. di Madrid)

Fogg Museum William Hayes Fogg Art Museum, Har-vard University, Cambridge, Mass.

GAM Galleria d’Arte ModernaGG GemäldegalerieGM Gemeentemuseum, L’AjaGN Galleria NazionaleGNAA Galleria nazionale d’arte antica, RomaGNAM Galleria nazionale d’arte moderna, RomaGNM Germanisches Nationalmuseum, Norim-

bergaGNU Galleria Nazionale dell’Umbria, PerugiaHM Historisches MuseumKH Kunsthalle, KunsthausKK Kupferstichkabinett, Musei Statali, BerlinoKM Kunstmuseum, Museum für Kunst, Kunst-

historisches MuseumKMSK Koninklijk Museum voor Schone Kun-

sten, AnversaKNW Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen,

DüsseldorfKröller-Müller Rijksmuseum Kröller-Müller, Otterlo

(Olanda)MA Museo ArcheologicoMAA Museu Nacional de arte antiga, LisbonaMAC Museo Español de Arte Contemporáneo,

MadridMAC Museo d’arte contemporaneaMAC Museo de arte de Cataluña, BarcellonaMAC Museu Nacional de arte contemporânea,

LisbonaMAC Museum van Hedendaagse Kunst, GandMAC Museo de arte contemporânea, San Paolo

del BrasileMAD Musée des arts décoratifs, ParigiMAM Museo d’arte moderna, Musée d’art mo-

derne, Museo de arte modernoMAMV Musée d’art moderne de la ville de Paris,

ParigiMarciana Biblioteca Nazionale Marciana, VeneziaMauritshuis Koninklijk Kabinet van Schilderijen

(Mauritshuis), L’Aja

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MBA Musée des Beaux-Arts, Museo de BellasArtes

MBK Museum der bildenden Künste, LipsiaMC Museo Civico, Musei CiviciMFA Museum of Fine ArtsMM Moderna Museet, StoccolmaMM Museo Municipale, Musée MunicipalMMA Metropolitan Museum of Art, New YorkMMB Museum Mayer van den Bergh, AnversaMN Museo NazionaleMNAM Musée national d’art moderne, Centre na-

tional d’art et de culture Georges Pompi-dou, Parigi

MNG Magyar Nemzeti Galéria, BudapestMO Musée d’Orsay, ParigiMOCA Museum of Contemporary Art, Los Ange-

lesMOMA Museum of Modern Art, New YorkMPP Museo Poldi Pezzoli, MilanoMRBA Musées Royaux des Beaux-Arts, BruxellesMSM Museo di San Marco, VeneziaMuseo Wilhelm-Lehmbruck-Museum, DuisburgMuseo Musée de peinture et de sculpture, Greno-

bleMuseo Groninger Museum voor Stad en Lande,

GroningaMuseo Museo provinciale (sez. Archeologica e Pi-

nacoteca), LecceMuseo Musée-Maison de la culture André Mal-

raux, Le HavreMuseo Malmö Museum, MalmöMuseo Westfälisches Landesmuseum für Kunst

und Kulturgeschichte, MünsterMuseo Musée Saint-Denis, ReimsMuseo Musée d’Art et d’Industrie, Saint-EtienneMuseo Musée de l’Hôtel Sandelin, Saint-OmerMuseo Museo di storia ed arte, SondrioMuseo Museo Provinciale d’arte, TrentoMuseo Ulmer Museum, UlmMVK Museum für Völkerkunde und Schweizeri-

sches Museum für Volkskunde Basel, Ba-silea

NCG Ny Carlsberg Glyptotek, CopenhagenNG Nationalgalerie, National Gallery, Ná-

rodní Galerie

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NM Nationalmuseum, National Museum, Ná-rodní Muzeum

NMM National Maritime Museum, GreenwichNP Neue Pinakothek, Monaco di BavieraNPG National Portrait Gallery, LondraÖG Österreichische Galerie, ViennaPAC Padiglione d’arte contemporanea, MilanoPC Pinacoteca Comunale, Pinacoteca CivicaPetit-Palais Musée du Petit PalaisPitti Galleria Palatina, Palazzo Pitti, FirenzePML Pierpont Morgan Library, New YorkPN Pinacoteca NazionalePV Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano,

RomaRA Royal Academy, LondraSA Staatliche Antikensammlungen, Monaco

di BavieraSans-Souci Staatliche Schlösser und Garten, PotsdamSB StadtbibliothekSB Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di

BavieraSG Staatsgalerie, Staatliche GalerieSGS Bayerische Staatsgemäldesammlungen,

Monaco di BavieraSKI Städelsches Kunstinstitut, FrancoforteSKS Staatliche Kunstsammlungen, Städtische

KunstsammlungenSLM Schweizerisches Landesmuseum, ZurigoSM Staatliches Museum, Städtisches Museum,

Stedelijk Museum, Staatliche MuseenSM, GG Staatliche Museen Preussischer Kulturbe-

sitz, Gemäldegalerie, Berlino (Dahlem)SMFK Statens Museum for Kunst, CopenhagenSZM Szépmüvészeti Mùzeum, BudapestVAM Victoria and Albert Museum, LondraWAG Walters Art Gallery, BaltimoreWAG Walker Art Gallery, LiverpoolWAG Whitworth Art Gallery, ManchesterWRM Wallraf-Richartz-Museum, ColoniaYale Center Yale Center for British Art, New Haven,

Conn.

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