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twen Libertà e responsabilità Violenza gratuita Intervista con un esperto Quali le paure e le conseguenze per le vittime Dagli attacchi ci si difende così Gli argomenti del momento

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Libertà e responsabilità

Violenza gratuitaIntervista con un esperto Quali le paure e le conseguenze per le vittime Dagli attacchi ci si difende così

Gli argomenti del momento

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AutoriLa violenza cambia la vita. Le vittime non si sentono più sicure, perdono fiducia nel loro ambiente, hanno costantemente paura.

Voglia di pestaggio

Dirk Maina, 19 anni

Fino a tre anni fa bastava poco perché Dirk cominciasse a mena-re le mani. «Se uno rompeva o mi offendeva, io lo picchiavo», rac-

conta. Non che se l’andasse a cercare, puntualizza, «ma in certi periodi sen-tivo troppo spesso la parola negro», afferma il diciannovenne di madre keniota. Ammette però che a volte aveva proprio voglia di una rissa: «Quando ero giù diventavo aggressi-vo, dovevo fare qualcosa per scaricar-mi. Ma non ero il tipo sempre in cerca di qualcuno da pestare», sottolinea.

Fermato dalla poliziaL’alcol faceva spesso da miccia. Quan-do Dirk beveva, bastava un nonnulla a scatenare la violenza. È andata così anche circa tre anni fa. Dirk era in giro e aveva bevuto: tasso alcolemico attorno all’1.3 per mille, come poi appurato. Una discussione, una parola di troppo e Dirk sferra un pugno, un colpo tremendo alla testa. La vittima, di cinque anni maggiore di lui, ripor-ta una commozione cerebrale. Alcuni passanti allertano la polizia, Dirk viene fermato. È il padre ad andarlo a cercare al posto di polizia. «Stavo da schifo, mi vergognavo», ricorda ora, «perché il mio è sempre stato un buon padre.» A causa della denuncia, Dirk deve frequentare un corso anti-aggres-sività (ATT, Anti-Aggressivitäts-Trai-ning, di più a pag. 9). «Realizzai che stavo mandando a puttane il mio futu-ro e capii l’importanza di una forma-zione.»

Obiettivo: educatore socialeL’AAT è la svolta nella vita di Dirk. Poco dopo inizia una formazione in campo sanitario; adesso sta seguendo il corso pratico. Altri obiettivi: di -ventare educatore sociale e lavorare con i giovani, «anche con quelli che non sanno controllare la propria aggressi-vità.» Già se ne occupa: per gli AAT Dirk, insieme a istruttori qualificati, funge da tutor e aiuta dei giovani ad interrompere la spirale della violenza. Perché? «So come si arriva alla vio-lenza, ma anche come evitarla. Voglio trasmettere questo messaggio.»

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Camilla Belfiore, 21, Caneggio

È vero che certe volte, la sera, sarebbe meglio non es-sere in giro da sola. Credo che in situazioni simili

anche lo spray al pepe non aiuterebbe. Primo, non credo che così si riduca il pericolo. Secondo, mi chiedo se in caso di necessità riuscirei a prendere e ad azionare la bomboletta in tempo.

… solo qualche livido

Jeremy Siffert, 17, Vauderens

Un volta mi hanno picchiato, ad un festa qui in zona. Mio padre ha dovuto portarmi al pronto

soccorso: avevo il naso rotto e un labbro tagliato. Non riesco a ricordare niente tranne l’ospedale, dove lentamente ho ripreso conoscenza...

VittimeQuali le esperienze dei giovani con la violenza? Abbiamo chiesto in giro a Chiasso, Berna e Losanna.

Danica Rass, 20, Ittigen

Mi è capitato di assistere al pestaggio di un clien-te da parte di un buttafuori. Il cliente si ostina-

va a dire che voleva riprendere la sua giacca al guar-daroba. Sono rimasta piuttosto scioccata: da un addetto alla sicurezza non mi sarei mai aspettata un comportamento simile.

Claudio Zulauf, 23, Berna

Durante le uscite in tutti questi anni sono stato spettatore di molti pestaggi. Ogni volta è la stes-

sa storia: si beve un po’ troppo e già basta un’oc-chiata sbagliata perché a qualcuno venga spaccata in testa una bottiglia di birra.

Lukas Denzler, 23, Oberhofen

Finora non ho mai avuto problemi durante le mie uscite. A quanto pare, non mi trovo mai dove

scoppiano le risse. A volte però bisogna anche esse-re capaci di ignorare le provocazioni: in certe situa-zioni le risposte insolenti non aiutano di certo.

Manuel Schneuwly, 24, Berna

È successo una tranquilla sera d’estate di un paio di anni fa. Sono stato aggredito nel bel mezzo della strada perché mi ero rifiu tato di dare una sigaretta a un tipo. Allora lui e i suoi amici hanno iniziato ad inseguire me e il mio

amico. Mi hanno colpito in faccia un paio di volte con un pezzo di legno e il naso ha cominciato a sanguinarmi. Per for-tuna in quel momento sono arrivati dei passanti e gli aggresso-ri sono scappati. Sono andato in polizia e ho sporto de nuncia contro ignoti: naturalmente senza risultato. Ma non mi è venu-ta paura. E non ho cambiato il mio comportamento. Non mi voglio chiudere in casa per via di questa storia. Il pericolo è, se nessuno osa più uscire per strada.

Leo Vonlanthen, 17, Berna

Ero in giro con dei compagni a bere birra e una volta me la sono vista piuttosto brutta. Durante una discussione con un ragazzo, c’è stato uno stupidissimo equivoco e allora lui ha chiamato i suoi amici. Nel giro di pochi minuti è

arrivata una decina di tipi armati di bastoni. Mi sono beccato un paio di colpi ma siamo riusciti a tagliare la corda. Le conse-guenze sono state solo qualche livido e un paio di escoriazioni. Da allora non posso dire di avere più paura, però cerco di stare alla larga dai gruppi numerosi.

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I giornali riportano quasi giornal-mente di atti violenti commessi da giovani: la violenza sta effetti-vamente aumentando?

Non si può parlare di aumento della violenza. La quota è relativamente sta-bile. Cambiata ne è invece la percezio-ne. La nostra è una società senescente, nella quale la percentuale di giovani sotto i 20 anni è molto ridotta: 20% da noi, 17% in Germania. La società si preoccupa di più della violenza poiché per le persone anziane l’integrità fisica è più importante. Anche per questo i media dedicano più spazio all’argo-mento. Eppure anche in precedenza vi era molta violenza, per esempio negli anni ’60 o ’80 il periodo delle rivolte giovanili, vero campo di battaglia per chi cercava la violenza. Allora è la brutalità ad essere aumentata?

Sì, oggi le forme di violenza tra i giovani seguono meno certe regole ta-cite, alle quali inconsciamente ci si at-tiene in situazioni di stress. L’attuale modo di picchiarsi può provocare le-sioni letali. Si continua a colpire in viso la vittima anche quando giace a terra. Questi tabu sono crollati negli ultimi anni.

Atti violenti: quali i fattori scatenanti?

Una percezione soggettiva dell’in-giustizia, della mancanza di rispetto o di riguardo verso le donne. Immagi-niamo un gruppo di giovani, magari già piuttosto brilli. Se qualcuno attac-ca bottone con una delle loro ragazze, subito si ritengono offesi. Pensano di doversi difendere: il colpevole non può passarla liscia. Si crea così una dina-mica di gruppo: un effetto branco. Ognuno vuole dimostrare di non avere paura.Ma spesso si sente anche di attacchi senza motivo apparente

Molti giovani uomini hanno un problema comune: non hanno occasio-ni per dimostrare il proprio coraggio, per prendere dei rischi, per infrangere dei tabu. Tutte cose che fanno parte della crescita. L’integrazione sociale di ragazzi e giovani uomini oggi passa solo attraverso un educato conformi-smo. Molti invece vogliono sì inte-grarsi, ma opponendosi al sistema, comportandosi maleducatamente, da sfacciati impertinenti. In questo senso, nella società attuale esiste una grande lacuna che porta a degli eccessi patolo-gici: quando picchiano qualcuno,

fanno proprio quello che tutti temono e che molti rifiutano. Questi giovani non hanno paura di conseguenze irreparabili o di essere arrestati?

Assolutamente no. È sorprendente: vivono come su un altro pianeta, con regole proprie. Molti giovani violenti non provano alcun rimorso. Dovevano agire così, pensano. Sono come in uno stato mentale alterato. Non si preoccu-pano affatto delle conseguenze, di feri-re altri e perfino di restare feriti. Per questo si riesce ad influenzarli solo fissando chiare regole esterne, finaliz-zate ad incanalarne l’aggressività. È praticamente impossibile farli ragio-nare, dato che sono convinti di essere autorizzati a picchiare. Nessun rimorso di coscienza?

Dal loro punto di vista sarebbe la società a doverne avere, visto che non persegue la giustizia. Bizzarro, vero? Si sentono i depositari della coscienza pulita. Il bene e il male diventano con-cetti flessibili e adattabili al contesto del momento.Ma se sono gli autori, come mai si considerano vittime?

In un conflitto, la prima cosa che si tende a voler dimostrare è la propria

Allan Guggenbühl, psicologo

«Il piacere diprovocare» Nei pestaggi, i giovani agiscono sempre più brutalmente, senza considerare affatto le conseguenze, così dice Allan Guggenbühl.

L’intervista

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innocenza. È una reazione innata. Considerarsi l’autore richiede una pro-fonda riflessione e grande impegno. Nel mio lavoro con giovani violenti metto dapprima in chiaro che loro sono gli autori degli atti non le vittime. E devono assumersene la responsabili-tà. È un processo importantissimo. Ma non li giudico come persone.Che profilo ha il giovane che picchia per provare la propria mascolinità?

Lavoro con diversi giovani. Molti sono normalissimi, senza atteggiamen-ti psicopatologici bensì, se presi singo-larmente, sensibili e riflessivi, cortesi e educati. Non tutti. Ma non esiste un profilo. Altri sono molto suscettibili.Significa allora che praticamente chiunque può diventare un violento?

No, non chiunque. Quando un gio-vane uomo ha attorno a sé delle solide figure di riferimento maschili che lo accompagnano, ha un notevole vantag-gio. Può trattarsi del padre ma anche di uno zio o di un fratello maggiore. Se questi modelli mancano o sono deboli, aumenta il rischio di diventare rissoso e violento.Sta dicendo che la mancanza di esempi e modelli maschili porta alla violenza?

A partire da una certa età, i giovani maschi hanno bisogno che uomini più vecchi pretendano qualcosa da loro: devono potersi confrontare. Nella no-stra società questo manca, tranne forse durante l’apprendistato, con il maestro di tirocinio che si aspetta dei risultati. Altrimenti tutto il sistema scolastico è femminilizzato. Non solo per il mag-gior numero di maestre rispetto ai ma-estri, ma anche per il tipo di approc-cio. Cosa intende? I giovani instaurano un rapporto dapprima dando sui nervi: solo in seguito mostrano le proprie emozioni. È la presa di contatto trami-te la provocazione. Le competenze so-ciali, così sopravvalutate in ambito scolastico, spesso non prevedono que-sto. E neppure mettersi le mani addos-so, proibito in molte sedi durante la ri-creazione, ma inevitabile se a dei ragazzini di 12, 13 anni non è permes-so azzuffarsi e relazionarsi tramite il confronto fisico. Così mancano loro queste esperienze. Una cosa è certa:

quello che viene represso si manifesta patologicamente. E allora arrivano a picchiare come succede oggi. Lei sostiene che i giovani devono infrangere dei tabu. Si spieghi.

Se i giovani agiscono stupidamen-te, tanto per provocare, non li si deve né emarginare, né mandare in terapia o mobilitare il Care team. Hanno solo bisogno che adulti sensibili e attenti dicano loro chiaro e tondo di piantar-la. Che educazione è questa?

L’autostima di un uomo non può passare solo dal dare una mano in cu-cina. Niente in contrario a questo. Ma vedo tanti padri così presi dalla vita familiare da assomigliare sempre più alla loro partner a scapito, questa la mia impressione, del loro lato maschi-le. Non si tratta di escludere un aspetto o l’altro. Servono entrambi, dunque bi-sogna anche buttarsi in un’avventura, scalare una montagna, fare un giro in bici. Ultima domanda: cosa ne pensa della richiesta di pene più severe?

Bisogna reagire, a volte anche con la detenzione. Due settimane passate in cella ad alcuni fanno un gran bene. Ma pene detentive più lunghe, come i 10 anni della Germania, non portano nulla. Creano solo altri problemi. Chi trascorre sei o più anni in prigione so-cializza poi con difficoltà. Gli USA o la Germania dimostrano che le quote di reinserimento sociale sono molto più basse. Reagire infliggendo pene ade-guate può modificare l’atteggiamento dei giovani autori di atti violenti.

Allan Guggenbühl (1952)Lo psicologo per l’infanzia, dal 1984 è re-sponsabile delle terapie di gruppo per bam-bini e giovani presso i centri di sostegno del Canton Berna. Dal 1995 dirige l’istituto zuri-ghese IKM (Institut für Konfliktmanagement und Mythodrama).

Più denunceIn uno studio del Cantone Zurigo

sulla violenza fra i giovani, i crimi-nologi Manuel Eisner e Denis Ribeau hanno esaminato, mettendoli a confronto, i dati contenuti nelle sta-tistiche criminali sulla violenza gio-vanile con quelli forniti dai giovani stessi. Dal 1998 al 2007 le statisti-che mostrano un aumento del 163 % mentre nello stesso periodo, stan-do a quanto detto dai giovani, vi è una leggera diminuzione (–1,39 %). Motivo della differenza: probabilmen-te anni fa vi erano più atti violenti non segnalati, mentre oggigiorno sono aumentate le denunce.

Manca l’empatia«Oggi l’idea di educazione di alcuni geni-

tori non comprende più la formazione della coscienza. I giovani non hanno più

un’istanza morale che distingue fra ciò che è bene e ciò che è male, valori

apparentemente svaniti nel nulla. Molti autori di atti violenti sono totalmen-

te incapaci di immedesimarsi in un’altra persona. Non hanno mai svilup-

pato l’empatia. È una questione di educazione: la responsabilità non va

addossata alla scuola. Sono chiaramente i genitori che hanno mancato di insegnare

ai loro figli ciò che è giusto e ciò che non lo è.»

Renato Rossi, responsabile del centro di intervento Arxhof, Niederdorf BL

Gravità in aumentoLe lesioni causate da atti violen-

ti sono sempre più gravi, spesso quasi letali. Aris Exadaktylos, prima-rio del pronto soccorso dell’Insel-spital di Berna: «Oggi si picchia più forte e sempre più sovente alla testa.» Le ferite al capo negli ultimi 6 anni sono aumentate del 60 %!

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FPS

Giovani violenti: la richiesta di divieto dei giochi ad alto contenu-to di violenza aumenta. È la soluzione?

Nel mirino sono i cosiddetti sparatutto, giochi come «Call of Duty» e «Counter Strike», dove il protagonista è una specie di Terminator che uccide tutto quanto gli capita a tiro. Olivier Steiner, della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera nord occidentale, è scettico circa l’efficacia di un divieto. Lo scorso anno, nella perizia «Nuovi media e violenza», commissionata dall’Ufficio federale delle assicu­razioni sociali, l’esperto afferma che i contenuti violenti dei giochi da soli non rendono violenti. Il consumo di con­tenuti violenti può diventare a rischio soprattutto in un contesto di fattori ambientali e sociali sfavorevoli. Per esem­pio predisposizione all’aggressività, conflitti a scuola o con i coetanei, ambiente familiare violento, consumo me­diatico elevato o eccessivo da parte dei genitori. «Se i geni­tori si piazzano ogni sera davanti alla TV mentre il loro figlio, solo in camera, gioca a uno sparatutto e l’argomento non viene mai toccato, si può arrivare ad uno sviluppo problematico», avverte Steiner.

Frustrazione o gara?Lo scopo del gioco fa la differenza. «È diverso se uno sfoga la propria frustrazione con i videogames, chiuso in camera da solo, oppure se gioca in una Community per misurarsi con gli altri», afferma Steiner. «Anche ai LAN party si gioca agli sparatutto, eppure questi incontri sono tra i più paci­fici eventi giovanili, ai quali non si registrano né eccessi con l’alcol, né violenze in genere.»

Un divieto potrebbe essere controproducente?Per Steiner il pregiudizio generale verso i videogames è incomprensibile: «Anche la TV mostra violenze di ogni tipo» dice Steiner e cita ad esempio il telegiornale o le innume­revoli serie stile CSI. «Se vogliamo fare un discorso coerente sulle restrizioni alla violenza, allora ci dovremmo chiedere qual è più in generale la dose consentita.» Ritiene un di­vieto dei giochi addirittura controproducente. «Verrebbero scaricati da Internet», mette in guardia Steiner, «e si con­tinuerebbe a giocare ma, vista l’illegalità, i giovani non ne parlerebbero più apertamente.»

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Giochi =violenza?

La violenza ha molte causeChe i giovani divengano violenti dipende da svariati fattori, per esempio da un’educazione repressiva e al contempo incoerente, da una predisposizione del giovane alla depressione oppure da rapporti difficoltosi con gli insegnanti. Altre eventuali cause indicate da Olivier Steiner: povertà, spazi ristretti negli appartamenti in città oppure esclusione sociale. E ancora: l’aumento del traffico, l’anonimità delle città e il loro decadimen-to sociale dovuti alla migrazione dei ceti medio alti fuori dai centri. Conseguenze: disgregazione del tessuto sociale – campagna luogo di residenza, città luogo di consumo – quartieri anonimi, fatiscenti, privi di controllo sociale.

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Passano da un telefonino all’altro, li si guarda durante il tempo libero e persino nel corti-le della scuola: filmati brutali di violenze reali, addirittura di ese-cuzioni. Certo, uno si sente un duro se guarda delle immagini si-mili. Non mancano però gli ef-fetti secondari: «Questi eccessi di violenza possono avere conseguenze traumatiche», dice Olivier Steiner della SUP. «Se giovani o addirittura bambini ve-dono una decapitazione, le im-magini si imprimono nella men-te e spesso li tormentano per lungo tempo.» Un suggerimen-to: chi si trova filmini simili sul telefonino li cancelli subito. Esi-stono prove di coraggio più intelligenti!

Più rispetto!Offendere, screditare, ridico-

lizzare – succede di tutto in Internet. E non solo a parole. An-che con foto denigranti. La rete diventa una gogna virtuale dove non solo personaggi famosi ma anche docenti, compagni dete-stati o ex-fidanzatine vengono coperti di ridicolo. «Dato che og-gi molti giovani frequentano piattaforme come Facebook o festZeit e da lì comunicano con un sacco di conoscenti, i conflitti del mondo reale vengono tra-sportati nella dimensione net-work», spiega Olivier Steiner. Non si pensa però ai sentimenti che attacchi anonimi e mobbing suscitano nelle vittime. «Non

Avoce alta l’uomo parla al ra-gazzo. Questo, seduto su una sedia, diventa sempre più si-lenzioso, pare prossimo alle

lacrime. Attorno a lui, seduti uno vicino all’altro, stanno altri ragazzi e qualche adulto. Una messinscena inusuale, ma tipica del corso anti-aggressività (ATT: Anti-Aggressivitäts-Training) che il centro basilese di rieducazione per giovani, Aufnahmeheim AH Basel, tiene da anni con gli autori di atti violenti. Vi partecipano circa dieci giovani fino ai 18 anni, denunciati per lesioni per-sonali e obbligati a prendervi parte per decisione del tribunale per i minoren-ni. La conduzione è affidata ad istrutto-ri qualificati, affiancati da cosiddetti tutor, ex-partecipanti, come Dirk Maina.

Instaurare la fiduciaAll’inizio dell’AAT, che comprende

22 incontri settimanali, gli istruttori instaurano un rapporto di fiducia con i partecipanti e chiariscono tramite delle interviste preliminari la dinami-ca dei fatti.

Olivier Steiner (1970)Collaboratore scientifico alla facoltà Lavoro sociale alla Scuola universitaria professio-nale della Svizzera nord occidentale in particolare per violenza, violenza giovanile, povertà, culture giovanili e nuovi media.

Traumi dal cyberspazioI videogames violenti dominano la discussione quando si parla di media e violenza. Ma il mondo virtuale nasconde ben altri pericoli.Lascia perdere

importa se online o nel mondo reale», dice Steiner, «di una per-sona bisogna avere rispetto.» Chi fa mobbing virtuale è spes-so con vinto che la vittima non possa in nessun caso risalire all’autore degli attacchi.» Errore: «Anche gli autori di messaggi anonimi possono essere identi-ficati», conclude Steiner, «dato che l’indirizzo IP del mittente è disponibile. I casi penali posso-no così essere perseguiti.»

Troppa leggerezzaBoccucce a cuore, scollature

vertiginose, pose osé: Olivier Steiner si meraviglia di come i giovani si mostrino senza troppi pudori nelle foto pubblicate su festZeit, Facebook & Co. Ma la rete non tutela affatto la sfera privata: «La consapevolezza che in questi siti navigano molte persone con tendenze pedofile sembra non esistere», constata Steiner. Nelle chat lines, dei per-fetti sconosciuti chiedono re-golarmente a giovani e bambini nome e indirizzo – e, preoccu-pante, non pochi li forniscono come dimostra uno studio tede-sco. Perché? Scarse conoscenze dei media: «I nuovi media non vengono trattati spesso nelle scuole, anche se hanno un gran-de influsso nella formazione e sulla personalità», dice Steiner. «Nessuno insegna ai giovani quanto e cosa rivelare in rete. Sarebbe ora!»

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«Ammettilo:tu l’hai picchiato!»«Tu hai detto che non esiste proprio che si continui a picchiare qualcuno dopo che è caduto a terra. Riesci a ricordare una situazione dove invece hai fatto proprio questo?» Il ragazzo annuisce. «Sì,» dice l’istruttore, «perciò hai mentito di nuovo. Tu sei violento, tu picchi gli altri.»

«Mostriamo loro che li apprezziamo come persone ma che condanniamo fer-mamente le loro azioni», spiega Annette Denz dell’AH Basel. Il punto centrale del corso AAT è «la sedia bollente», sulla quale il partecipante, come descritto, si confronta con le proprie azioni. Obiettivo: indurlo a smettere di giustificare i propri delitti, assumendosene invece la responsabilità e, nella migliore delle ipotesi, provando rimorso. Il potenziale c’è: «I partecipanti giustificano in tutti i modi le proprie azioni», dice Annette Denz, «ma criticano in fretta gli atti violenti degli altri e danno anche consigli su come evitarli.»

Non sono coccoleL’AAT è volutamente basato sul confronto: gli istruttori non usano certo mezzi

termini, utilizzano il gergo giovanile e non esitano ad essere sgarbati. «Per i par-tecipanti però questo è normale», spiega Annette Denz, «anzi per loro potremmo essere ancora più duri.»

Soluzioni diverseUn migliore autocontrollo dei ragazzi in situazioni delicate, questo lo scopo

dell’ATT. Apprendere come inizia e si sviluppa un conflitto, quali ne sono le fasi e come gestire al meglio la situazione. Chi supera il test finale di provoca-zione, dimostrando di essere in grado di evitare un conflitto invece di reagire aggressivamente, ha concluso con successo il corso – e riceve anche un diploma. La cosa più importante: dopo l’ATT la maggioranza dei partecipanti sa gestire meglio un’aggressione. Il 35 % dei partecipanti invece ne resta incapace, confida Annette Denz, «Possono sembrare tanti», ammette. Ma se confrontato al 65% di recidivi dopo una pena detentiva, l’ATT risulta nettamente migliore.

Corsi di autocontrollo per scolari

Anche per gli scolari fino ai 16 anni che a scuola o nel tragit-to casa-scuola hanno picchiato, minacciato o ricattato i compa-gni esistono corsi simili all’ATT. Dato che in questa fascia d’età gli autori agiscono praticamente sempre in gruppo, ai corsi di au-tocontrollo, quasi identici agli ATT ma non obbligatori, per co-minciare si convocano i «capi branco». Non a caso. «Seguiamo la scala gerarchica», racconta l’istruttore Michael Miedaner, «poiché se si comincia dal capo, è facile poi avere il resto della banda.» Il docente di scuola me-dia basilese Miedaner, dell’Isti-tuto di Pedagogia confrontativa, ha diretto per anni corsi di au-tocontrollo e attualmente forma istruttori in tutta la Svizzera. Miedaner definisce i corsi «lavo-ro sull’autore in nome delle vittime». Obiettivo: ridare alle vit-time di soprusi il piacere di an-dare a scuola. E gli autori? «Non vogliamo trasformarli in ragazzi diversi», dice Miedaner, «ma de-vono arrivare a comprendere come si sentono le vittime. Impa-rano inoltre a gestire pacifica-mente un conflitto, ad ignorare le provocazioni e a cercarsi, quando possibile, un nuovo am-biente.» www.ik-s.ch

Aiuto alle vittimeChi ha subito violenza ha

bisogno di aiuto – indipendente-mente dal fatto di essere stato ferito, derubato o aver subito vio-lenza domestica. L’aiuto alle vit-time offre supporto per elabora-re l’esperienza, consiglia in caso di denuncia o per la richie-sta di eventuali risarcimenti. Gli uffici cantonali di aiuto alle vittime si trovano via Google.

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Il buon esempio da uomo a uomoHai voglia di lanciarti in qualcosa di nuovo? Cogli l’occasione ed impegnati per bambini e ragazzi, per esempio come capo dei lupetti o docente di scuola elementare

Iragazzi, e naturalmente anche le ragazze, crescono oggi in gran parte senza figure di riferimento maschili. I padri, presi dagli impegni lavorativi, sono assenti e anche fuori dalle famiglie gli uomini sono spesso latitanti. Dall’asilo nido, alla scuola dell’infanzia o a quella elementare – nella maggior parte dei casi i giovani maschi si ritrovano in mani femminili. Visto che così nei primi dieci, dodici anni di vita mancheranno loro dei modelli maschili, li cercheranno altrove, «nei

media, nei film, nei videogames o nel mondo musicale», elenca il pedagogista Ron Halbright, specializzato nel lavoro con i ragazzi. Lì trovano «eroi» come Schwarzenegger, 50 Cent o i campioni di wrestlig. E si fanno un’opinione: un uomo deve essere un combattente, un duro, un vincente. Ma queste figure mediatiche sono irraggiungibili. La frustrazione è garantita. Ci vogliono modelli maschili reali.

Amo guidareI ragazzi e i giovani possono assu-

mere importanti funzioni guida, quali p. es. responsabile nei club sportivi, nei movimenti Scout o in altre associa-zioni giovanili. Premessa essenziale: in questi gruppi non si deve solo lotta-re e vincere ad ogni costo. Si deve cu-cinare insieme, scoprire la natura o impegnarsi per persone anziane o di-sabili. Si deve capire che lo sport è mo-vimento e fairplay. Così i ragazzi im-parano che: «Ci si può divertire tutti insieme, senza doversi dare battaglia o far soffrire qualcuno», dice Ron Hal-bright.

Amo insegnareNelle scuole primarie, il 75 % del

corpo insegnate è femminile. Manca-no i maestri. Eppure è una professione ideale per gli uomini che nel lavoro cercano flessibilità, indipendenza e la-voro di gruppo. L’associazione Netz-werkSchulische Bubenarbeit (NWSB) nella Svizzera tedesca persegue la ri-valutazione della professione di do-cente, in particolare degli aspetti fi-nanziari e di carriera. Ai liceali propone professioni quali docente di scuola dell’infanzia o elementare. Gli interessati possono prendere parte a presentazioni nelle scuole. www.nwsb.ch

Amo migliorareI bambini, specialmente i maschiet-

ti, hanno bisogno del padre per il loro sviluppo. Ma spesso non lo vedono granché. In media i papà trascorrono con i loro eredi 20 minuti, pasti esclu-si. I piccoli vedono nel papà soprattut-to «quello che non c’è quasi mai » dice Ron Halbright. Un bambino su cinque cresce senza padre in una famiglia mo-noparentale. L’associazione «Avanti-Papi» vuole correggere il tiro: incorag-gia gli uomini a lavorare part-time e dà consigli su come dividere con la part-ner gli impegni educativi, familiari e domestici.

www.avanti-papi.ch

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Citazione«Accompagnare i bambini, scoprire con loro

mondi nuovi, è sempre eccitante, mai una routine. Mi sento una figura chiave nella vita di persone giovani e curiose. Il mio lavoro facilita a questi bambini una partenza sicura sul cammino della formazione.»

Lorenz Pauli, docente di scuola dell’infanzia a Berna

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Wing-Tsun: pronti all’emergenza

Conflitti: come risolverli pacificamente

zato dall’associazione Taskforce, attiva in tutta la Svizzera. Il co­siddetto teatro a tema è il mezzo di comunicazione prediletto da Taskforce; un concetto ampio comprendente varie forme di rappresentazione teatrale.

Soluzioni in provaLe scenette rappresentate, stu­diate e preparate in gruppo du­rante il corso, sono brevi. Di re­gola, il conflict manager Renato Maurer di Taskforce descrive solo la situazione iniziale e i ruoli, mai la storia completa né tanto meno il finale. È compito delle e dei partecipanti, partendo dalla trama assegnata, discutere i pos­sibili sviluppi della vicenda e poi metterli in scena. «Spesso arrivia­mo a moltissime preziose pro­poste sui possibili comportamen­ti da adottare in caso di conflit­to», questa l’esperienza di Renato Maurer.

i violenti cercano vittime. Chi non as-sume atteggiamenti da vittima, scorag-gia i comportamenti potenzialmente aggressivi. Gli attaccabrighe in genere stanno alla larga da chi appare sicuro di sé.

Wing-TsunSe invece la situazione precipita,

con il Wing-Tsun si è pronti a reagire: i partecipanti imparano come difender-si facilmente ed efficacemente. Nella vita di tutti i giorni, la consapevolezza di sapersi difendere quando necessa-rio aumenta la libertà personale e la tranquillità. Altro vantaggio: indipen-dentemente dall’età o dalla costituzio-ne, migliorano condizione fisica e agi-lità. www.wingtsun.ch

Nuovi modelliTramite il teatro a tema, così vicino alla vita reale dei giovani, i ragazzi sperimentano in modo emotivamente coinvolgente per­ché durante un conflitto possono saltare i nervi e come si arriva alla violenza. Imparano a infran­gere stereotipi e ad applicare nuovi schemi comportamentali, aumentando così la consape­volezza di sapere gestire diversa­mente un conflitto. «Sono con­vinto che», conclude Maurer, «chi ha sperimentato reazioni alterna­tive attraverso il teatro, in situa­zioni delicate non si comporterà più come avrebbe fatto prima.» Taskforce ha come scopo la pre­venzione, l’intervento e la forma­zione continua e lavora soprattut­to con le scuole, ma anche con istituti socio pedagogici, foyer, centri specializzati ecc. I pro­grammi di Taskforce sono conce­piti su misura per i destinatari. www.tf-taskforce.ch

Ci vuole poco perché un semplice litigio si tra-sformi in un conflitto violento. Per evitarlo, l’associazione Taskforce mette in scena con i gio-vani dei pezzi teatrali a tema che permettono loro di sperimentare comportamenti alternativi.

Due ragazze litigano, alzano la voce: «Stupida, cosa sei andata in giro a dire di me», urla la pri­ma. Si avvicina alla compagna, l’afferra e la spinge contro il mu­ro. Pare ormai solo questione di tempo: tra poco le ragazze co­minceranno a picchiarsi. Im­provvisamente invece qualcuno grida «stop» e entrambe molla­no la presa. La scena è solo simu­lata, le attrici sono due studen­tesse di un Liceo zurighese che partecipano a un corso di pre­venzione della violenza organiz­

Riconoscere le situazioni a rischio e risolvere amichevolmente i con-flitti – ecco cosa si impara con la tecnica di difesa Wing-Tsun.

Con il Wing-Tsun sei pronto ad af-frontare le situazioni delicate: la tecni-ca di difesa proveniente dalla Cina per-mette di sviluppare una sorta di sistema di allarme che aiuta a riconoscere i se-gnali di minaccia. Il corso tratta aspetti psicologici, linguaggio del corpo e reto-rica, grazie ai quali è possibile evitare conflitti e litigi o risolverli senza ricor-rere alla violenza.

Non sono una vittima!Gli esercizi di Wing-Tsun inoltre

aumentano la sicurezza e la fiducia in sé stessi di giovani e adulti. È un fatto:

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Twenty, che combini?Twenty c’è proprio cascato in pieno. Ma magari è successo anche a te di picchiare qualcuno senza averne affatto l’intenzione? Quali sono le tue esperienze con la violenza? Sei mai stato aggredito senza motivo? Discutine su www.myrespect.info.

Twen Violenza è il supplemento speciale euro26 pubblicato con Twen 2 Estate 2010, www.euro26.ch Editore SJAG, Berna Idea / Coordinazione gedankensprung, Berna Concetto / Realizzazione Basel West, Basilea Testi / Redazione Stephan Lichtenhahn, Basilea Traduzione Darma Lupi Stampa Büchler Grafino AG, Berna Fotografie Frédéric Giger pag. 2 Disegni Joel Büchli pag. 1, 12 Disclaimer SJAG non assume alcuna responsabilità per prezzi, offerte e contenuti redazionali di terzi

Twen Violenza è pubblicato grazie a

Deficiente di un arbitro! So dove abiti.

Aspetta e vedrai!

Piantatela subito con questo casino! Devo venire

giù a suonarvele?

Li ammazzo tutti!

Che forza! Ho già fatto saltare le

cervella a 17 tipi!

Sì dai, pestalo! Ehi, tu! Non guardarmi con quella faccia!

Non conosci l’educazione? Alzati

subito …

Se a uno non riuscite a togliere la palla,

andategli dritti sui piedi …